Slope the moon

di T_D_VLm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La crescita ***
Capitolo 2: *** Adulta ***
Capitolo 3: *** Il mio Jacob ***
Capitolo 4: *** Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** Annunci ***
Capitolo 6: *** Elizabeth Sarah Isabella ***
Capitolo 7: *** Valium ***
Capitolo 8: *** Futuro ***
Capitolo 9: *** E.j. ***
Capitolo 10: *** Fulmine ***
Capitolo 11: *** semplicemente V. ***
Capitolo 12: *** I prodigi ***
Capitolo 13: *** L'incidente ***
Capitolo 14: *** Il sogno ***
Capitolo 15: *** La Visita ***
Capitolo 16: *** Il rapimento ***
Capitolo 17: *** Il viaggio ***
Capitolo 17: *** Malcom ***
Capitolo 19: *** L'azione ***
Capitolo 19: *** Il lupo bianco ***
Capitolo 20: *** Il branco ***
Capitolo 22: *** certezze e incertezze ***
Capitolo 23: *** L'altra parte ***
Capitolo 24: *** Preparativi ***
Capitolo 25: *** Addio a nubilato ***
Capitolo 26: *** Il mio giorno ***
Capitolo 27: *** Il ricevimento ***
Capitolo 28: *** Luna di miele ***
Capitolo 29: *** L'ultimo ballo -Epilogo ***
Capitolo 30: *** piccola anticipazione- Witch ***
Capitolo 31: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** La crescita ***


Reneesme

Mi svegliai di prima mattina.
Ero euforica: oggi avrei passato l'intera giornata con Jacob. Il mio Jacob. E poi oggi è anche il mio settimo compleanno.
Uscii dalla mia stanza in vestaglia e saltellando. Mi bloccai quando vidi mia mamma, seduta sul divano con la testa fra le mani. Di papà nemmeno l'ombra.
«Mamma» sussurrai.
Lei alzò di scatto la testa e mi guardò «Buongiorno, tesoro. Auguri» disse con voce malinconica.
«Dov'è papà?» chiesi.
Beccata. Si fece improvvisamente seria e rispose in fretta «ora arriva».
«Dov'è?» gridai. Sapeva che non poteva mentire, quindi rispose sinceramente «sta cercando di mettersi in contatto con Nahuel».
«Perché?» pretesi di sapere.
«Lo sai perché. Guardati Ness. Dovresti avere l'aspetto di un'adulta! Ma sembri una semplice bambina di tredici anni. Vogliamo sapere perché!» disse.
«Questo è il colmo. Tu non dovresti volere che io restassi per sempre bambina?» chiesi infuriata.
«Si, ma non è normale» rispose lei.
«Perché, un ibrido come me è normale?  Io sono normale?» urlai.
«Ness ascolta...» inizió mamma.
«No!» urlai e m'infilai in camera. Che vita patetica. Non ho mai potuto frequentato una scuola, non ho mai potuto avere degli amici,  se non il branco e Claire, la mia migliore amica. Mi sono sempre sentita patetica per non avere una vera vita sociale. Ho pianto molto per questo e ancora ci soffro di nascosto. Ho sofferto molto perché non sono umana. Ho dovuto rinunciare a molte cose, fin da quando ero molto piccola. Quella per cui ho sofferto è: non poter essere per qualcuno quello che mia madre è per me. Così pensano tutti e così e la cosa migliore per tutti, visto che  ho già dichiarato che da grande sposerò Jacob. Anche se l'ho detto quando avevo tre anni.
Involontariamente mi toccai il braccialletto che mi regalò per il mio primo Natale. 
Allora i miei genitori facevano di tutto pur di non farmi sentire la pressione dell'arrivo dei Volturi. Allora, nonostante tutto ero felice. 
Ma il tempo passa e la felicità passa anch' essa.
 Certo, non sono il tipo di ragazza che ce l'ha con tutti e con tutto, di quelle che sono morte dentro e si vestono di nero. Io sono vivace all'apparenza, ma soffro in silenzio. Le persone non si devono preoccupare per me!
Ormai ero pronta ad andare con il mio Jacob, ma lui non era ancora arrivato.
 Senti la sua auto stridere sul vialetto di casa mia.
 «Ehi, ciao Bells. Come te la passi?» chiese la voce più bella del universo a mia madre.
«Oggi non è giornata. Sia per me che per lei» rispose mamma. «Mi sa che non ha voglia di uscire» continuò. 
«Allora passo domani» disse Jacob con voce dispiaciuta.
Quando torno alla porta e fece per andarsene, venni allo scoperto. «Fermo dove sei!» gridai. Corsi fra le sue braccia, facendolo cadere e sbattere la testa sullo stipite della porta.
 «Oh, mer...» non continuò la frase perché c'ero io. Si, perché per lui ahimè sono solamente la sua piccola Nessie. «Te la faccio pagare,sai?» disse.
«Contanti o bancomat?» scherzai.
«A suon di solletico» Urlò scherzoso. Iniziò a farmi il solletico, e io gridavo come una matta e mi dimenavo fra le sue braccia.
«Jacob». Lo richiamò mamma cercando -invano- di non ridere. Mi lasciò e mi fece sedere a terra. 
Il suo sguardo era come quello della mamma: apparentemente divertito, ma in fondo molto preoccupato.
«Andiamo?» chiesi.
«Certo» rispose lui.
«Ciao mamma» dissi.
«A dopo Ness» rispose lei.
«Programma per oggi?» chiesi una volta saliti in macchina.
«Cinema, parco, il nostro posto segreto e per contorno un bell frulato al cioccolato» disse.
Allettante, pensai.
Al cinema c'era " Storia di una ladra di libri". Trovai questo film meraviglioso, invece Jake lo trovò piuttosto noioso.
Andammo al parco e io giocai sull'altalena. Avevo solo sette anni,  e anche avendo un corpo da tredicenne il mio cervello è quello di una semplice bambina.
Poi andammo all'unica gelateria di Forks. Presi il mio solito e unico cibo da umani: frullato al cioccolato. Perché il cioccolato era l'unico cibo da umani di cui usufrivo volentieri.
Ci sedemmo vicino alla finestra e iniziammo a parlare del più e del meno. Fino a quando una smorfiosa chiamò il Mio Jacob.
«Jake, anche tu da queste parti?» chiese con fare da gattamorta.
 «Milly» sospiro Jake. «No, e la figlia di una mia amica» rispose Jacob stufo.
«Te la fai con le sposate?» chiese lei sarcastica. «Tranquillo scherzo» rispose immediatamente vedendo l'espressione sul viso di Jacob -a dir poco infuriata.
«Stavo giusto chiamando Embry per il tuo numero. Ti cercavo» continuò lei. 
Questa brutta smorfiosa ci sta provando con il Mio Jacob! Volevo strappargli i capelli, farla morire dissanguata e poi ballare sulla sua tomba.
Ma mi limitai a buttargli addosso il mio frullato per poi scappar via. 
Andai nel bosco, e mi arrampicai su un'albero. Lì mi addormentai. Feci un sogno strano. Mi svegliai con due occhi blu come il mare che mi fissavano.
«Ciao» disse una voce cristallina. «Bentornata, come te la passi?» chiese la ragazza che era piegata su di me.
Era bellissima, il viso era molto somigliante a quello di mio padre, ma lei aveva gli occhi più grandi e i tratti più tondi. E stava bene anche di fisico.
Era un angelo. 
«Ci conosciamo?» chiesi.
Lei si alzò, e io mi sedetti.
Era vestita come Leah e aveva dei lunghi capelli color bronzo che le arrivavano al fondo schiena, lisci e incredibilmente dritti.
Aveva una collana al collo, molto semplice ma stupenda. Era molto bassa, ma ciò non la faceva brutta, anzi, rendeva il suo fisico più grazioso.
«Non ancora. Ma prima, si mi conoscevi» rispose vaga.
Non mi soffermai sul quel "prima".
«Dove mi trovo?» chiesi confusa.
«Nel prima. Qui è il posto più bello che esista. Non esistono paure, a parte una» disse con lo stesso tono di voce di poco prima.
Non accennava a proseguire, quindi io la invogliai con un «quale?».
«Quella di andare nel mondo reale. Devi sapere che tutti siamo passati da qui, un tempo. Questo è l'unico posto in cui puoi essere felice. Qui si sa cosa succederà là fuori» spiegò indifferente. 
«Tipo?» chiesi.
«Un tempo tu e Jacob eravate felici qui. Giocavate spesso con me e Ephraim. Non vi arrabiavate se Charlie mi dava un bacio davanti a voi, e nemmeno Bell... sto dicendo troppo» mormorò pensierosa. 
«Tu assomigli molto a una persona che conosco molto bene» l'informai.
«Lo so!» dichiara lei entusiasta.
Mi lasciò un pò confusa. Lo sa? «Perché mi trovo qui?» chiedo.
«Ti ho chiamato io» spiegò.
  «Perché?» chiesi.
«Per chiederti di non soffrire per cose inutili» rispose. 
«Ah» fu l'unica cosa che riuscì a dire.
«Perché mi dici questo?» chiesi preoccupata.
 «Lo scoprirai» disse triste. 
«Qual'è il mio destino?» mi sfuggì di bocca. 
«Lo scoprirai molto presto» disse nello stesso tono di voce di poco prima.
Se ne andò, senza proferire parola, lasciandomi sola.
Mi svegliai, ed era il crepuscolo. Stavo lì dalle tre del pomeriggio. Dovevano essere tutti preoccupati. 
Andai a casa Cullen, che in quel momento era piena di auto, tra cui quella dell'ispettore Capo Swan.
Dovevano essere davvero preoccupati per chimare il nonno. 
Senti le voci provenire da sopra.«Dovevi starci attendo! Lo affidata a te!» gridò mamma a dir poco infuriata, dal piano di sopra.
 «Anch'io mi sento come te. come credi che mi dovrei comportare? L'abbiamo cercata, senza nessun risultato!» urlò Jacob. Più che arrabbiato, era preoccupato.
 «Esci dalla mia vita. Vattene da qui» sbottò mamma esasperata. 
«Ehi, calma» mormorò papà. «Ness!» urlò lui. Mi prese in braccio e mi strinse contro il suo petto.
Sentii mamma scendere le scale.
Mi liberò dalla presa di Jacob, per stringermi al suo di petto.«Non farmi più uno scherzo del genere» mormorò singhiozzando.
Alzai lo sguardo, e vidi che aveva gli occhi asciutti che mi guardavano, colmi di felicità. «Mamma» mormorai, e affondai la testa nei suoi capelli.
In seguito scoprii che zia Alice aveva avuto una delle sue brillanti idee di farmi una festa a sorpresa, che durò tanto.
Ricevetti tanti regali, e per ultimo quello di Jacob. Una collana, color corallo: Quattro spaghi color corallo, intrecciati a un pezzo di ferro a forma di rombo.
 Okay mi dissi, o sto uscendo pazza o prevedo il futuro come zia Alice.
Che mi venisse un colpo, è la collana del sogno.
Cercai di strozare lo sgomento fino a quando non fui nel mio letto, e osservai la collana. Era identica! 
La buttai nel cassetto del comodino, e mi lasciai sprofondare in un sonno profondo.
Non so cosa successe quella notte, ma in qualche modo mi sentivo più grande. Ero cambiata. I miei pensieri stavano cambiando e durante la notte per la prima volta sognai il mio Jake in una luce diversa.
Ma non ero ancora conscia di quello che sarebbe successo.
CAPITOLO REVISIONATO con l'aiuto di EmoTrilly_Watanka


Spazio all'autrice:
Ciao a tutti! Come avrete letto, il capitolo e stato revisionato... Ma non da me! La fantastica scrittrice che mi aiutato -insomma ha fatto tutto lei- e stata EmoTrilly_Watanka, che ancora ringrazio!
Dopo aver ringraziato EmoTrilly_Watanka, volevo informare chi mi segue, che ho aperto una pagina dedicata alla storia su Facebook. Basta cercare "The moon prohibiting" su Facebook, e dovreste trovare la mia pagina. Lì troverete immagini, descrizioni, foto, disegni e quant'altro dedicato alla storia. Mi piacerebbe trovare un nuovo "mi piace" sulla pagina, quindi visitatela.
Spero di conoscervi nella pagina! A presto, V.

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Capitolo 2
*** Adulta ***


Renesmee

Non mi volevo svegliare. Era uno di quei giorni "no".
Stavo sdraiata su un lato, con le coperte fino alla testa.
C'era qualcosa di strano! Le coperte non mi coprivano i piedi! 
Era insopportabile.
Per quanto mi dimenassi, i miei piedi restavano scoperti. 
Quindi mi alzai.
A parte la nebbia in camera -risultato della mia brillante idea di lasciare la finestra aperta al piano terra-, ero più alta, e di molto!
 Okay, riguardo alla domanda del giorno prima, si ero pazza.
La mia camicia da notte mi andava corta sulle braccia e sulle gambe, e mi stringeva sul petto.
Okay, stavo sognando. Avevo un seno, che fino al giorno prima non esisteva!
 Corsi in bagno, e mi guardai allo specchio.
E quella chi è? pensai.
Allo specchio c'era una donna: aveva i capelli lunghi e mossi fin sotto il seno, il viso era ovale ma a forma di cuore, che circondavano due occhi color cioccolato, stranamente profondi per un colore così scuro, che mi restituivano lo sguardo sgomentato. 
«Che diavolo è successo?» mormorai.
La paura si impadronì di me quando sentì quella voce cristallina, ma adulta.
Camminai all'indietro, fino a cadere nella vasca.
Svenii lì. 
Il tubo era chiuso, e con il piede aprii l'acqua.
La sentivo riempire la vasca. L'acqua che avanzava fino a sommergermi.
Ma non riuscivo a svegliarmi. Ritornai in quel posto.
La ragazza mi guardava e urlava «Ness! Ness!Ness!». Qualcuno mi tirò fuori dall'acqua, e io respirai aprendo gli occhi.
Appena in tempo per vedere arretrare i miei genitori. Il loro sguardo era lo specchio del mio. Sbigottiti e sorpresi, si avvicinarono con lentezza assurda.
«Ness, sei tu?» chiese mamma con voce inespressiva e sorprese.
Mi limitai ad annuire.
Si buttò vicino alla vasca e iniziò ad accarezzarmi il viso con fare protettivo.
«Che ti è successo? Stai bene? Hai ingoiato acqua?» chiese con un tono di voce preoccupato.
Guardai papà, e risposi mentalmente: Non risponderò a nessuna delle sue domande finché non sarò sicura che questa cosa sia passeggera.
«Ti rendi conto di quello che hai pensato?» chiese lui con fare severo.
 No! risposi col pensiero.
 Il telefono squillo e mamma andò a rispondere seguita a ruota da papà.Mi lasciarono sola,e io origliai quello che si diceva: Era zia Al.
«Bella, dove sei? Jacob è qui. Vi stiamo aspettando» urlava nella cornetta.
«Si, scusa. Abbiamo avuto una complicazione» spiegò mamma.
«Cos'è successo?» chiese zia Alice preoccupata.
«Capirai quando arriveremo lì» rispose mamma.
Riattacó senza aspettare una risposta. 
Mi diede dei suoi vestiti, e dopo che mi resi conto che erano corti, decisi di lasciar perdere.
Casa Cullen era piena di sussurri di preoccupazione. Tra un «Chissà che sarà successo» di nonna Esme e un «Spero niente di grave» di zia Rose, iniziai ad avere veramente paura di entrare la dentro.
 Mamma bussò alla porta e chiese a zia Alice, che aprì la porta, di chiamare solo nonno Carlisle.
Ma lei insistette che voleva sapere quello che succedeva anche lei.
E ora eccomi, seduta su una sedia, nello studi di mio nonno, con quest'ultimo che mi visitava.
«Non ne posso più!» urlò Jacob da sopra.
Lo sentì correre lungo le scale, e fermarsi davanti alla porta dello studio.
Proprio dov'era posizionato il metro per misurare la mia altezza, con quell'ultima misura.
«Per fortuna non hai ingerito molta acqua»disse nonno Carlisle assorto nei suoi pensieri.
«Nessie» mormorò Jake entrando ma non appena mi vede si blocco guardandomi con stupore.
«Nessie!» esclamò.
Il resto della famiglia si precipitò nella stanza.
Tutti ebberò la stessa reazione. Sgomento, paura e sorpresa.
Ma non prestai attenzione a queste reazioni.
La mia attenzione puntò ad altro: il viso di lui, del mio lui. Era bello come il sole. Proprio come nel sogno di questa notte. Le sensazioni che ora provavo erano diverse da quelle che ho provato fino al giorno prima: guardandolo ora, con occhi da adulta, sentivo le guance avvampare, il cuore esplodermi nel petto e una strana sensazioni nella bocca dello stomaco. E solo una parola mi veniva in mente: amore. Mamma non mi aveva mai descritto quello che provava per papà, ma ora lo stavo vivendo pure io...Ma per Jacob.
E questo mi faceva paura. Il fischio di zio Em mi portò alla realtà.
«Da quando le bambine sono così...».
«Non lo dire» dissero papà e lui all'unisono, cercando di nascondere un'evidente minaccia.
«Quando è successo?» chiese Jacob.
Perché mi doveva fare questo effetto la sua rauca e perfetta voce. «Credi?» chiese zia Rose. Tutti la ignorarono.
Jacob si avvicinò a me, s'inginocchió e mi afferrò le mani.
A quel tocco il mio corpo reagì repentino. Ebbi paura di quella reazione. 
«Come ti senti?» chiese lui. 
Bene, pensai.
«Perché non parli?».
 È complicato, risposi. 
«Ho tutto il tempo» insistette. 
Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia.
Lui si alzò più lentamente. Mi guardò negli occhi - gli arrivavo al mento.
Gli butta le braccia al collo e mi misi a piangere.
Lui mi strinse contemporaneamente. «Tesoro, stai bene?» fece mamma preoccupata. 
Andiamocene da qui, pensai repentina. I mio pensiero arrivò a Jacob, che mi mise un braccio intorno spalle e mi portò fuori. 
«Qui stai meglio?» chiese preoccupato. 
Io mi limitai ad annuire.«Con me puoi parlare» disse.
Attesi un attimo, poi parlai «Ho paura» dichiarai. Mi stupii per la seconda volta di quella voce, dolce ma potente.
Anche lui si stupì, ma si riprese subito «di cosa?».
«Di questo» confessai a voce voce strozzata, e m' indicai contemporaneamente. «Non ne posso più di vampiri, licantropi e quant'altro!» mi liberai da quel peso, e mi sentii meglio.
 «Ma é quello che sei» rispose lui per consolarmi.
«Sono anche un'umana ma non mi pare di vivere una vita da umana» risposi cercando di essere più acida possibile, senza riuscirci. 
«Cosa stai cercando di dirmi?» chiese lui preoccupato e irritato. 
«Che Forks ha una cattiva influenza su di me. Sarà meglio che me ne vada» risposi.
«Perché?» urlò lui.
 «Per tutto questo, per me, per ... te» risposi.
«Cosa intendi con quel per te?» insistette.
Non so cosa mi prese in quel momento: mi avvicinai al suo orecchio e sussurrai: «Ho paura che se ti starò troppo vicino, non ti resisterei». Mi allontanai senza dargli una spiegazione.
Avevo paura. Paura delle emozioni che mi precoruva quando lui era accanto a me. Paura di non essere all' altezza di quella situazione completamente nuova per me. Insomma, in una notte la mia persona era completamente cambiata e mi ero ritrovata a provare sentimenti completamente nuovi e dispersivi per me che fino s ventiquattro ore prima ero solo una bambina. La figlia della sua amica, che accompagnava al parco o prendere il frullato.
Mentre mi allontanavo sentivo la voce di Jake urlare il mio nome. Ma io non mi girai. Gridava anche del suo imprinting, e io sapevo perfettamente cosa voleva dire ma ero più che convinta di essere la persona più sbagliata per lui.
In fondo sono un ibrido. Una mezza vampira. Licantropi e Vampiri sono nemici naturali. Avrei voluto dirgli tutto questo ma non lo feci. 
Non mi voltai e proseguì per la mia strada.
 Il giorno dopo non mi venne a trovare, e diede inizio alla mia agonia.Alla mia vita senza il mio Jake.
CAPITOLO REVISIONATO con l'aiuto di EmoTrilly_Watanka


spazio all'autrice:
Salve a tutti! Per prima cosa, ringrazio EmoTrilly_Watanka, che ha revisionato il capitolo al posto mio, e che ringrazio ancora -andate a leggere le sue storie, sono fantastiche.
Poi, vorrei pubblicizzare una storia e una scrittrice: Elisa Callen, e Everside. Fantastica storia, originale e creativa dal mio punto di vista! Da lettrice vi consiglio queste due scrittrici fantastiche, e così vi saluto.
Un bacio, V.

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Capitolo 3
*** Il mio Jacob ***


Renesmee

L'angoscia m'incasinava la vita! Era troppo rinunciare a lui, ma era quello che volevo.
Era difficile convivere con la mente da una parte e il cuore da un'altra.
Ed era ancora più difficile mostrarsi felice davanti a i tuoi cari! Ma resistetti. 
I giorni passavano, così come le settimane, i mesi ... Gli anni. 
Non lo vedevo quasi mai. Anzi proprio mai! 
Mamma faceva il modo che non c'incontrassimo mai.
Ma poi, prima di andare al letto mi faceva la predica: sbagli; lo fai soffrire; ti ama; eccetera. Mancava due settimane al mio compleanno.
Undici anni!
E da quasi quattro che non lo vedevo, e ci stavo molto male. Soprattutto perché in questi quattro anni ero sempre più consapevole di amarlo e di volerlo più di qualunque altra cosa.
Per fortuna sapevo mascherare i miei sentimenti molto bene.

Ero in camera mia.
Stavo aspettando Claire.
Il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, e, siccome c'erano le vacanze, le chiesi se voleva dormire da me.
Lei accettò senza pensarci due volte. 
Stavo cercando qualcosa da mettere per il compleanno - i vestiti che mi piacevano erano molto pochi.
Puntai su un paio di jeans azzurri, un top stile impero di una tonalità più scura e un paio di ballerine bianche.
Solo che non riuscivo a trovare il top!
Cercavo senza sosta nei cassetti, quando m'imbattei in una foto: ritraeva una bambina con i capelli color del bronzo e gli occhi color cioccolato, stranamente profondi per il loro colore.
Sembrava felice tra le braccia di quell'uomo dalla pelle bronzea a dai capelli neri.
Era veramente felice!
Non come lo era ora!
Arretrai fino a raggiungere il letto. Sentì la porta chiudersi e la voce di Claire salutare i miei. Con un impeto di rabbia scaraventai la foto contro la parete.
La cornice si fece a mille pezzi che vagarono per la stanza.
Mi strinsi le ginocchia al petto, e scoppiai a piangere.
Gelosia.
Ecco cosa mi aveva spinto ha fare quel gesto. Per quella bambina tanto felice tra le braccia di Jacob.
Quella che promise di volerlo sposare! Quella che lo chiamava Mio Jacob.
Perché non potevo essere io!
La porta si spallancò all'improvviso.
«Tesoro, che hai?» chiese mamma appena mi vide.
«Nessie?» mi chiamò Claire. «Stai bene?» chiese visibilmente preoccupata.
«Si» dissi asciugandomi le lacrime.
Mamma si avvicinò al punto in cui si trovava la foto. L'afferrò e la studiò attentamente.
«Sicura?» chiese mamma.
 Mi alzai e gli presi la foto dalle mani.
«Si, sto bene!» risposi. 
«Potete lasciarci un attimo da soli?» chiese papà.
In silenzio Claire e mamma lasciarono la stanza. «Puoi far finta di essere quello che non sei, ma questo non ti farà essere quello che sei» disse mio padre.
 «Io voglio essere felice» risposi acida.
 «E puoi esserlo solo al suo fianco» disse papà. 
«Non dovresti essere geloso?» chiesi sarcastica. 
«Lo sono, ma sono stato egoista per troppo tempo. Io voglio solamente la tua felicità» disse. «Sei mia figlia» continuò, quasi ce l'avesse con me.
 «Non ho intenzione di parlare con Jacob Black!» annunciai acida. 
«Testardaggine di tua madre e masochismo di tuo padre» commentò sarcastico.
«Accoppiata perfetta» mormorai sarcastica.
«Senti, io voglio andare al college! Non voglio Jacob. voglio una vita normale! Umana» continuai seria.
«Puoi far finta di essere quello che vuoi, ma questo non cambierà quello che sei» ripetè. Uscì dalla porta. Dopo un minuto entro Claire.
Ci divertimmo un sacco insieme. Rovistò nel mio armadio, in cerca di qualcosa di carino. Ne trovò di cose che gli piacevano- lei e zia Alice si capivano molto bene- ma era tutto troppo grande o troppo piccolo per lei. La cosa positiva è che mi trovò il top.
Andammo a letto verso le tre di notte.
Il mattino seguente la buttai giù dal letto con un: «Auguri Claire» urlato nel suo orecchio.
«Delicata come sempre» mormorò alzamdosi dal pavimento.
Le diedi il mio regalo- i bracccialetti dell'amicizia- e iniziammo a chiacchierare.
«Io voglio diventare come tua madre» annunciò di punto in bianco.
«Cosa?!» urlai sbigottita.
«Si! Prima o poi dovrò lasciare Quil da solo, e io non voglio» dichiarò tristemente. 
Mi fece paura pensare alla sua morte, e quindi sviai il discorso in un'altra direzione: «Con Quil, come va?» chiesi.
Ricominciò a parlare dei suoi problemi con Quil.
 La giornata passò in fretta.Verso le quattro iniziammo a prepararci.
Mi trucco e mi piastrò i capelli. Poi si preparò lei.
«Caspita! Sono le sei meno dieci. Alle sei inizia la festa! ci vuole mezz'ora da qui a La Push» urlò disperata.
«Ti fidi di me?» chiesi.
«Perché non dovrei?» chiese sarcastica.
La presi sulla schiena schiena e corsi verso La Push.
In un minuto eravamo già lì. «Ora so perché non mi dovrei fidare!» commentò quando scese dalle miei spalle. Traballava un pò, ma camminava su una linea retta.
La casa di Emily era colma di persona.
Jacob non c'era.
Salutai tutti, e conobbi Amanda. Sapevo che Embry aveva avuto l'imprinting, ma non avevo mai incontrato Amanda. Era dolce e timida, aveva l'età di Claire.
Sentii la sua presenza, e mi voltai a guardarlo. Era lì, spingeva Billy verso la sala da pranzo.
Seguito a ruota da Paul e Rachel che teneva fra le braccia il piccolo P.j. 
Si voltò come se avesse sentito il suo nome e incrociò il mio sguardo. Mi voltai immediatamente verso Claire e Amanda che chiacchieravano animatamente del più e del meno.
«Chi stai guardando?» chiese Rachel.
«Ness...nessuno» Rispose Jacob.
«Chi è quella?» chiese Rachel «è davvero una ragazza carina» commentò.
«Lo è sempre stata» rispose Jacob con voce malinconica.
«Ma chi è?» insistette Rachel.
«Renesmèe Cullen» rispose Billy acido.
Sentii lo sguardo di Rachel traffigermi la nuca.
«Nessie, Rachel ti vuole uccidere da come ti guarda» mormorò Claire.
«Lo so!» risposi.
«Vado a dare gli auguri a Claire» disse Jacob.
«Aspetta che la strega se ne vada» mormorò Rachel.
Non la sentì.
Si stava dirigento verso di noi.
«Auguri Claire» disse abbracciandola.
Era così vicino che potevo sfiorarlo. 
«Grazie zio Jay» disse chiamandolo con il soprannome che gli ha dato da piccola. Lei arrossì lievemente ma rispose «ciao Jake». 
«Vado a salutare Sue» comunicai. 
«Posso parlati, Ness?» chiese quando feci per andarmene.
«Io non ho niente da dirti» risposi sinceramente.
«Sicura?» chiese per mettermi in dubbio.
Uscimmo di casa.
Pioviginava un pò.
 «Che c'è?» chiesi esasperata.
«Ho sentito Bella sta mattina» spiegò.
«La sento ogni giorno da quando mi buttasti fuori dalla tua vita» continuò.
«Dove vuoi arrivare, Jacob?» chiesi insospettita da quelle parole.
«Mi ha detto cosa hai fatto ieri» mi disse.
 «Non ho fatto un bel niente ieri!» dichiarai.
«A me non puoi mentire, e lo sai!» mormorò. «Non puoi far finta che non esisto» continuò con la stessa tonalità di voce.
«Lo fatto per tre anni, quasi quattro. Ci sono riuscita, non credi?» parlai a denti stretti per reprimere la rabbia.
«No, non credo»disse con orgoglio.
«Sarai anche una brava attrice, ma non mi freghi Renesmee Cullen». Fece un passo verso di me, e io arretrai di riflesso.
Mi afferrò le braccia e si avvicinò ancora.
Sentii il cuore esplodermi in petto e il sangue affluirmi sulle guance.
Rise e mi avvicinò a lui.
Mi cinse con le braccia la vita. «Non mi freghi Renesmee Cullen» ripetè in un sussurro. Cercai di liberarmi, ma me lo impediva.
Fece scorrere le mani lungo la mia schiena, fino a raggiungere la nuca. Mi afferrò i capelli.
Sapevo quello che voleva fare, ma non riuscivo a liberarmi dal suo sguardo.
Avvicinò le sue labbra alle mie fino a sfiorare le mie con le sue. Afferrai la sua testa con le mie mani, e lui mi strinse le braccia sulla vita.
Ci staccammo e l'unica cosa che mi sussurró fu «ti amo,Nessie».
Lo costrinsi ad abbassarsi di più, fino a che le mie labbra non sfiorarono il suo orecchio.
«Ti amo Jacob Black, ti ho sempre amato e sempre ti amerò» sussurrai.
Mi strinse fra le braccia e mi sollevò da terra.
«Ah, comunque volevo avvisarti che tu sei la mia ragazza. Ti starò attorno per un bel pò» annunció.
«Quanto?» chiesi scherzando.
«L'eternità ti basta?» chiese.
«Anche dopo» commentai.
Posò le sue labbra sulle mie e mi fece girare vorticosamente su me stessa.
Mi lasciò e mi disse di far finta di niente perché Rachel lo avrebbe ucciso.
«Ti fai picchiare da una donna Jacob Black?» lo presi in giro.
«No, ma lei ti odia. Pensa che siccome sei una Cullen tu sia viziata e subdola. Arriverebbe ad uccidere me pur di non vederti girovagare per casa» comunicò. Così feci quando rientrai.
La festa era divertente ma non riuscii a stare tranquilla neanche per un secondo.
Avevo appena ritrovato il mio Jake e non potevo stare al suo fianco solo perché sua sorella non riusciva a capire che se mi sono allontanata da lui è stato solo per il suo bene o per lo meno, lo credevo.
Non sapevo che così facendo ne avremo sofferto di più, ma per fortuna Jake aveva insisto e io avevo capito qual' era il mio posto.
E per questo sarei voluta essere tra le braccia di Jake anche adesso.
Per stare alla nostra prima festa insieme.
Per ballare, scambiarci dolci baci o anche solo semplicemente tenerci per mano.
Lanciai un sospiro di sollievo quando la festa finì e la gente iniziò ad andarsene. 
Salutai Amanda e Claire, poi Emily e Sam. S alutai Seth e lanciai un saluto con la mano a Leah che non rispose.
E corsi a tutta velocità a casa mia.
Spalancai la porta -non sapevo se arrabbiarmi o ringraziare mamma- ma la casa era vuota.
Andai a casa Cullen, ma anche questa era vuota. "Forse sono a caccia" pensai.
Mi diressi verso il pianoforte a coda per suonare qualcosa.
Sul piano c'era un foglio con su scritto delle indicazioni. 
Seguì quelle indicazioni fino a trovare una radura piena di fiori in cui sorgeva una casa a due piani.
Era bellissima da fuori.
Le chiavi erano infilate alla fessura della porta, sopra la quale c'era un bigliettino.
C'era scritto " entra".
Girai la chiave nella serratura e aprii la porta.
Dentro era ancora più bella: La cucina era rossa -anche se non saprei di che farmene- con un piano e degli sgabelli stile anni ottanta.
Poi il salotto era adiacente alla cucina era tutto bianco, con un televisore al plasma posizionato sul muro e circondato da mobili, e poi c'era una libreria enorme che copriva un'intera parete. 
I Cullen erano tutti lì.
Compreso lui. Il mio Jake. Incrociò il mio sguardo e io sorrisi. 
«Che vi avevo detto» mormorò. 
«Ness, sei un'attrice eccezionale» commentò Claire.
«Tu cosa ci fai qui?» chiesi sorpresa di vederla.
«Questa casa e molto più vicina al La Push di quando immagini» rispose.
«E sul confine» disse papà.
«Ma di chi è questa casa?» chiesi.
«È tua!» rispose zia Alice come se fosse una cosa ovvia.
«Puoi anche rifiutare se vuoi» rispose in fretta mamma.
«Ma il mio compleanno e fra due settimane» commentai.
«I lavori sono finiti prima» rispose zia Alice.
«Ti piace?» chiese zia Rose.
«L'adoro» risposi.
«Vorrei vedere di sopra» dissi. 
«Mi dispiace tesoro, stavamo andando a caccia. avevamo deciso che avresti socializato da sola con la casa» comunicò zia Alice. 
Sentii il suono di un clacson fuori, e Claire s'incupì.
«È Quil» mormorò.
«Ci vediamo domani Nessie» disse dandomi un bacio sulla guancia.
Uscì, e subito dopo di lei, la mia famiglia fece lo stesso. Lasciandomi sola con Jake. 
«Posso offrirti qualcosa?» chiesi per rompere il ghiaccio.
«Credo che nella tua dispensa ci sia solo sangue» commentò.
Aprii il frigo ed era pieno di cibo da umani, lo chiusi prima che mi venisse la nausea.
Aprì la dispensa e trovai del caffè.
L'avevo visto fare spesso da Sue e nonna Esme per Jacob. Ci potevo riuscire.
«Ti va del caffè?» chiesi.
«Certo, perché no» rispose.
Misi a fare il caffè, e intanto parlavo con Jake.
Del più e del meno.
«Okay» dissi quando il caffè fu pronto.
Lo versai nella prima tazza che trovai e gliela porsi.
«Non essere cattivo, e la prima volta che lo preparo» comunicai.
Assaggiò.
«Non devo essere cattivo?» chiese.
Io annui.
«Fa veramente schifo» urlò scherzoso.
«Dai, non sarà così male» mormorai.
Presi la tazza e assaggiai. Me ne pentì subito.
Aveva un gusto amaro, e faceva veramente schifo. Ma avrei fatto di tutto pur di non dargliela vinta.
Gli tirai il caffè, che ormai era freddo, in faccia.
«Ehi!» urlò.
Io risi fragorosamente.
«Questa me la paghi».
 Trovai uno strofinaccio e glielo lanciai, sempre ridendo.
Si alzò di scatto e io scappai al piano di sopra con lui che mi seguiva.
M'infilai nella prima stanza.
Era bellissima: aveva un letto a badalchino stupendo. Non feci in tempo per controllare tutta la camera, perché Jacob mi spinse sul letto e iniziò a farmi il solletico.
«Okay, okay, basta! Ho capito!» urlai.
Mi lasciò andare e ci guardammo negli occhi.
 «Ti amo,Ness» mormorò.
Lo attirai verso di me e poggiai la mie labbra sulle sue. Il bacio da delicato e dolce, diventava sempre più esigente e passionale. Successe tutto in un attimo e ci ritrovammo a rotolarci senza vestiti sotto le lenzuola. E quando lo sentii entrare dolcemente dentro di me, mi beai di quella sensazione pensando finalmente di non avere più paura di questo amore che sarebbe durato per l' eternità.
CAPITOLO REVISIONATO con l'aiuto di EmoTrilly_Watanka.


Spazio all'autrice:
Prima cosa, ringrazio EmoTrilly_Watanka, per aver revisionato il capitolo al posto mio. Non smetterò mai di esserle riconoscente.
Che ne pensate del capitolo? A me piace particolarmente, dopo la revisione di EmoTrilly_Watanka.
Ma giudicate voi.
Vi aspetto sulla mia pagina "The moon prohibiting" such Facebook, e sul mio profilo "Elizabeth Isabella Sarah".
Vi aspetto in tanti, un bacio V.

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Capitolo 4
*** Cambiamenti ***


Renesmee
Mi svegliai sul suo petto scolpito e febbricitante. Mi gingeva la vita con una mano.
Misi le mani sotto il mento e lo fissai.
Era lì.
Immerso in chissà qualle sogno. Era così tranquillo. Felice.
Per un momento mi passò per la mente il pensiero di svegliarlo, ma poi lasciai perdere. 
La mia mente vagava alla sera prima, quando mi aveva stretta, mi aveva baciato da per tutto, aveva gridato il mio nome...Sbatté le palpebre, e mi mise a fuoco. 
«Buongiorno» sussurrò sorridentomi.
«Buongiorno» risposi.
Gli sfoderai il sorriso più grande e bello che avevo.
«Da quant'è che sei sveglia?» chiese con voce roca.
«Da un pò» risposi continuando a sorridere.
Mi strinse la vita, e mi portò le mie labbra alle sue.
Ci baciammo con passione, tanto quanto la sera prima.
Mi fece mettere a cavalcioni su di lui, e mi spostò i capelli dal seno.
Tentò di riavvicinarmi a lui, e di bacciarmi ma a pochi centimetri dal suo volto, gli misi un dito sulle labbra. 
«Di sera possiamo fare quello che vuoi tu, ma di giorno voglio fare quello che dico io» ordinai.
«E che vuoi fare tu?» chiese sorridente. 
«Questo» sussurrai,avvicinando le mie labbra alle sue.
Gli diedi un piccolo bacio e mi buttai su di lui acoccolandomi fra le sue braccia.
Ci guardammo intensamente per una decina di minuti, e poi si fece pensieroso.
Gli domandai con lo sguardo se ci fosse qualcosa che non va.
«Nulla» rispose lui sovrapensiero.
«Dai, puoi dirmi tutto. E lo sai» lo incitai.
«Pensavo al futuro...» mormorò.
«Eh?» chiesi io.
«Al nostro di futuro» rispose guardandomi.
«Cosa faremo. Ti sto aspettando da dieci anni, ma mentre aspettavo non ho mai pensato a questo! Cosa faremo in futuro?» mi chiese.
«Saremo felici» risposi semplicemente.
«Avremmo una famiglia? Dei bambini?» chiese seriamente.
 M'incupí e risposi fredamente «Non c'è bisogno di bambini per essere felici».
«Cosa? Io voglio dei figli!» disse irritato.
«Bé, io no» mentì acida. 
«Mi stai dicendo che non vuoi figli?» chiese triste.
«No!» urlai.
«Ti sto dicendo che non ne posso avere» urlai in lacrime, scattai a sedere.
«Non lo sapevo» mormorò dispiaciuto.
«Ehi, vieni qui» disse prendendomi per le spalle e trascinandomi sul suo petto.
«Shh, calma. Ne addotteremo uno» sussurrò contro i miei capelli.
«Così appena si sbuccia un ginocchio lì salto addosso e lo uccido» singhiozzai triste.
«No, non lo farai. Ma sei davvero sicura che non puoi avere figli?» mi chiese.
«Non ne sono sicura» dissi asciugandomi le lacrime.
«In che senso?» chiese.
Una strana luce gli si accese negli occhi.
«Ci sono poche possibilità che io possa avere un bambino. Io ... bé... Non ho il... ciclo» arrossí appena quando lo dissi «Ma nonno Carlisle ipotizza che io abbia giorni di concepimento diversi da quelli umani. Solo che ancora non sa quali» risposi.
«Ma mamma mi ha sempre detto che è meglio così» continuai.
«Non vuole diventare nonna?» chiese Jacob sarcastico.
«No» sospirai dopo aver riso. «Sia mia madre che mio padre sostengono che se io avessi un figlio sarebbe troppo forte e mi ucciderebbe» risposi. 
«In che senso sarebbe troppo forte?» chiese lui.
«Nel senso che hanno sempre dato per scondato che sarebbe stato tuo figlio» risposi.
«Ah» sussurrò.
«Ora basta poltrire. Andiamo a fare colazione da qualche parte» suggerì alzandomi di scatto dal letto.
La testa mi girò e ricaddi a sedere sul letto. Non mi era mai successo prima.
«Ness, stai bene?» chiese Jacob dietro di me con una punta di preoccupazione.
«Si, mi succede sempre quando mi alzo troppo in fretta» mentì. Per fortuna non se ne accorse.
M'infilai la sua T-shirt che era sul comodino.
Mi alzai più lentamente di prima, e m'infilai nella cabina armadio che trovai vicina alla porta del mio bagno personale.
 Era colma di vestiti da sera e abiti da cocktail.
Dov'erano i miei jeans e le mie magliette?
Sentii le sue mani afferrarmi i fianchi e cingerli con le braccia.
«Ti avviso: sono nudo» mi avvertì ridendo.
Io mi girai e mi accorsi che mentiva. 
«Sei un bugiardo» lo accusai ridendo.
 «Bé, se mi tolgo i pantaloni resto nudo» rispose sorridendomi.
«Non ho paura» risposi sorridento.
Si sbottonò i pantaloni e li abbassò. Io lo squadrai da testa e i piedi. E risi.
«Ti piaccio?» chiese Jake divertito. 
«Sei sempre meraviglioso» risposi ridendo.
«Non lo dovrei dire io?» chiese retorico.
Mi avvicinai a lui e mi prese fra le braccia mentre io strinsi le gambe intorno ai suoi fianchi.
Lo baciai con passione, e quando mi staccai e lo guardai negli occhi.
«Usciamo?» chiesi.
Mi lasciò e s'infilò i pantaloni.
Mi baciò sulla guancia prima di cingermi i fianchi e posare la testa sulla mia spalla.
«Stavo pensando... perché non porti qualche vestito qui, così sarà come se vivessi qui» proposi.
«E una bella idea, amore» disse baciandomi la guancia. 
«Come mi hai chiamata?» chiesi scettica.
«Amore?» chiese.
«Anche tu sei il Mio Amore» gli dissi sorridendo.
«Dai, preparati» disse dandomi un'altro bacio sulla guancia. «Vado a cambiarmi a casa» annunciò.
Mi fece voltare per baciarmi sulle labbra.
«Mi serve la maglietta» disse con una punta di malizia nella voce. «Te la darò dopo» dissi.
Lo portai alla porta.
Mi fermai di colpo quando vidi la segreteria telefonica lampeggiare.
«Mi aiuti con quella, per favore?» chiesi indicandola.
«Okay» disse avvicinandosi all'apparecchio.
«Devi fare così» spiegò premendo un bottone rosso. C'erano dieci messaggi.
«Cara signorina Renesmee e caro signor Jacob, siete seriamente nei guai!» urlò mamma.«Ha appena chiamato Rachel per dirmi che il suo caro fratellino non è tornato a casa l'altra notte, e l'ultimo posto dove l'ho visto e a casa tua!». Suonò il bip e la chiamata si blocco.
Io e Jacob ci guardammo negli occhi.
«Siamo nei guai» annunciai. 
«Augurami buona fortuna» disse facendo finta di essere spaventato.
«Buona fortuna» dissi.
Mi diede un bacio veloce e fece per andarsene ma si fermò davanti alla porta e si voltò. «Vengo a prenderti fra un'ora» disse prima di uscire.
Salii le scale e m'infilai sotto la doccia.
Mi lavai in fretta e mi strinsi nell'asciugamano. Corsi nella cabina armadio.
Cercavo jeans azzurri e magliette stile impero, con magari un paio di ballerine, ma l'unici indumenti che si potevano avvicinare a quello che cercavo erano una maglietta bianca aderente e un paio di blue jeans. Di scarpe non c'era molta scelta: rigorosi tacchi dodici.
Perfetto.
Abbinai le scarpe di lacca azzurre -mio colore preferito- con un cardigan e un cerchietto dello stesso colore.
Mi asciugai i capelli e li piastrai. Mi vesti e iniziai a cercare una borsa.
Trovai una borsa azzurra, e la portai all'altezza del gomito. Dopo aver sistemato il cerchietto, mi guardai allo specchio.
Stavo bene.
Lasciai la borsa sul letto ed andai in esplorazione della casa. Entrai in una porta a caso e m'imbattei in una cameretta completamente colorata.
Le pareti erano color arcobaleno. C'era un letto con le lenzuola viola e la fodera del cuscino era fucsia.
Accanto a letto c'era una scrivania con il pomello del cassetto a forma di cuore, e ancora accanto alla scrivania c'erano due porte.
Una verde - che sicuramente portava al bagno- e l'altra era l'anta di un armadio a muro.
Di fronte e al fianco del letto c'erano due finestre: una affacciava sul fiume e l'altra sul bosco. 
Mi sedetti accanto alla porta e mi strinsi le ginocchia al petto. Scoppiai a piangere. Questa stanza sarebbe perfetta se potessi avere dei figli. Un maschio o una femmina con i miei occhi e la carnagione di Jake. Sarebbe davvero un sogno!
Sentii Jake bussare alla porta, ma non accennai ad andare aprire. Ero disperata ed esausta allo stesso tempo. Ora più che mai desideravo essere umana, per avere il ciclo normale ma in ritardo. Ma purtroppo nella vita non si può avere tutto.
Passarono dieci minuti e Jacob si stava alterando.  Scoprì che la porta non era chiusa a chiave ed entrò. Urlava il mio nome.
Spallancò la porta della stanza accanto.
La chiuse subito e spallancò quella della cameretta in cui ero io.
Squadrò la stanza e poi si accorse di me.
«Amore...» disse inginocchiandosi e stringendomi a sé.
«Fa male... Non voglio questa camera nella mia casa» mormorai.
«No, tesoro... C'è ancora una possibilità. Pensa positivo» mi sussurrò in un orecchio.
«Su, avanti, alziamoci e usciamo» disse alzandosi. Mi afferrò la mano e mi fece alzare. 
Presi la borsa e uscimmo di casa.
 Parlammo per tutto il tragitto da casa mia a la caffetteria più vicina. 
Mentre facevamo colazione mi disse di aver minacciato sua sorella e suo padre che sé non mi avessero accettato lui non gli avrebbe più rivolto la parola.
Mi arrabbiai ma lasciai perdere. La vita era sua.  Poi andammo a casa Cullen.
«Ho paura» disse serio.
«Come paura! Di chi, di mamma o di papà?» lo presi in giro.
«Che t'impediscano di vedermi» rispose seriamente.
Sorrisi della sua tenera sincerità. «Non lo faranno» risposi «Mi vogliono troppo bene per farmi questo». 
«Ti amo» disse.
«Ti amo» risposi.
Mi diede un bacio rapido e uscì per aprirmi la portiera. Mi tese la mano e non esitai a prenderla. 
C'infilammo in casa Cullen e aspettammo il diluvio.
Ed eccolo qui.
Mamma e papà si dirigevano infuriati verso me e Jacob. Papà lanciò un pugno verso Jacob, e sappi per certo che lui non ci avrebbe pensato due volte a rispondere.
Quindi, strinsi con una mano quella di Jacob e con l'altra fermai il pugno.
Un ringhio cupo e minaccioso si lanciò dal mio petto e uscì dai miei denti, scoprendoli in modo minaccioso.
«Abbassa la mano» ringhiai.
Lui si liberò dalla presa e fece cadere la mano sul fianco.
 Mi voltai verso Jacob che mi guardava deluso.
Per lui, picchiare mio padre, era un buon modo per entrare nelle sue grazie.
«Si può sapere cosa ti è saltato in mente?» urlò mia madre.
«Sei solo una bambina, Ness!» urlò papà.
«Vivere da sola non vuol dire che ti puoi portare a letto chi ti pare! Hai solo dieci anni!» mamma stava sbreatando.
Era paonazza -per quando un vampiro può essere paonazzo.
«È la mia vita, non la vostra! Non volevate che io fossi felice? Bé, ora lo sono! Non potete esserlo anche voi per me? O chiedo troppo?».
Stavo supplicando i miei di accettare il fatto di non essere più vergine prima del matrimonio.
Anche se poi alla fine stavo supplicando mio padre, sì perché quello all' antica era lui. Mia madre invece, era più preoccupata del fatto che fossi ancora una bambina anagraficamente visto che fisicamente ero praticamente una donna!
I miei si fecero improvvisamente pensierosi. Entrambi mi guardarono. «Nessie, sei felice?» chiese mio padre improvvisamente serio.
Alzai le nostre mani intrecciate e dissi «Non si vede?». Sorrisi. 
Papà mi abbracciò. «Non ce la facevo più a vederti in quello stato» disse.
 «Mamma?» chiesi liberandomi dall'abbraccio di mio padre. 
«Non te la faccio passare liscia! Hai solo dieci anni! Io alla tua età giocavo ancora con le barbie! Non è normale!» urlò esasperata.
«Io sono normale?» chiesi retorica. «Ma è questo a rendermi felice! Essere unica!».
Non mi fece continuare che mi strinse a sé, anche sé mi dovetti abbassare per stringerla. 
Avevo appena cambiato opinione? Cosa non da Nessie. L'amore può veramente fare tutto questo?
Ero contenta di non essere umana! Ero finalmente completa e felice: Avevo un ragazzo che amavo e mi amava, avevo l'appoggio dei miei, mi mancava solo una fede al dito e un bam... Basta Ness, mi dissi. 
La giornata a casa Cullen passò in fretta.
Certamente zia Alice mi fece i complimenti per come mi ero vestita, ma promisi che fu l'ultima volta che mi vide così.
Mi misi al pianoforte beandomi dei volti sorpresi e sorridenti della mia famiglia e del mio fidanzato suonai una composizione che mio padre scrisse per mia madre per la prima volta dopo tre anni.
Verso pomeriggio m'incontrai con Claire a La Push.
Jacob e Quil sparirono lasciandoci da sole.
 «Devo dirti che oggi sei uno schianto» disse entusiasta.
«Domani vado a fare shopping a Seattle. Vieni?» chiesi sovrapensiero.
«Ho avuto un'idea! Perché non facciamo un uscita a coppie: tu e Jacob, io e Quil e Amanda e Embry?» chiese euforica per la sua idea.
«Si, mi piace» dissi sorridento. «Come va con Quil?» chiesi.
«Cazzo! L'altra volta lo baciato e lui mi a spinto via!» urlò. 
«Bacio come?» chiesi.
«Con la lingua e tutto il resto! Mi giudica ancora una bambina! Ho quattordici anni! La maggior parte delle ragazze che conosco cambia fidanzato ogni giorno! Pure tu hai un ragazzo e sei più piccola di me!» era isterica.
«Con me è diverso, e lo sai» risposi calma.
«Lasciamo perdere quest'argomento. Come va con Jake? Sembrate molto affiatati» disse con area sincera.
«Bé, lo siamo molto» risposi arrossento pensando alla notte precedente.
«Renesmee Cullen, o parli o farò morire la tua parte umana a suon di solletico!» minacciò.
«Bé..., non so come dirtelo» ammisi. «Capisci se ti dico che siamo andati oltre un ... bacio?» chiesi.
«Pomiciare è normale» commentò pensierosa.
«Non intendevo quello. Oltre, vuol dire "luna di miele" senza matrimonio» spiegai arrossento.
Strabuzzò gli occhi e urlò «Te lo sei portata al letto?!».
«Grazie Claire, ora lo sa tutta La Push!» urlai a mia volta.
«Ops. Scusa» disse.
«Com'è stato? Avete usato delle protezioni? Che cazzo di domanda. E stato bello?» chiese euforica.
«Non so cosa possa interessarti» commentai sospettosa.
«Un giorno toccherà a me! Solo informarmi!» rispose.
«Ness» mi sussurró il mio Jacob in un orecchio sbucando da non so dove.
Mi cinse la vita con un braccio e si sedette su un tronco insieme a me e a Claire.
Quil si sedette vicino a lei.
«Ciao, amore mio» disse Claire euforica.
«Claire!» la richiamò Quil con aria stufa.
Gli spiegammo i nostri piani per il giorno dopo.
A Jacob e a Quil piacque l'idea. Jake chiamò poi Embry, che accettò di buon grado l'idea.
 Quella notte Jacob dormì a casa sua. 
Il giorno dopo andammo a Seattle. 
In auto Jacob, Quil e Embry si misero avanti, mentre io, Claire e Amanda ci mettemmo dietro.
Jacob accese l'autoradio e Claire si mise a cantare a squarcia gola quasi tutte le canzoni.
Non si poteva negare che lei avesse una voce straordinaria.
All'interno del centro commerciale ci divertimmo molto.
Claire si voleva infilare in qualsiasi negozio. 
Stavamo prendendo un frullato quando Quil fece una battuta: «Credo che mi arresterebbero se mi vedessero con questa bambina».Indicò Claire.
Jacob, Embry e Amanda risero. Io scruttai Claire. 
«Tieni» mi disse porgendomi le sue buste e il suo frullato. Corse al bagno più vicino.
Diedi le mie buste e quelle di Claire a Jacob.
La seguii in bagno, con Amanda al seguito.
Claire stava piangendo.
Era chiusa in un bagno. 
Bussai piano.
«Claire, tutto bene?» chiesi.
«No!» urlò in lacrime. «Non voglio più vederlo» continuò piangendo.
 «Dai, non fare così. Lui ti vuole molto bene» intervenne Amanda.
«Io lo amo!» Urlò l'altra.
Uscii dal bagno più veloce possibile. 
«Tu!» dissi puntanto il dito su Quil.
«Che c'è?» chiese con una nota di preoccupazione nella voce.
«La stai facendo soffrire parecchio, e so che ci soffri pure tu!» mormorai fra i denti.
«Io ho cresciuto quella ragazza! Non può pretendere che mi dimentichi dodici anni della mia vita così!» urlò.
«Ti parlo come amica. Se ci soffrite entrambi non né vale la pena, fidati» dissi.
In quel tono di voce c'era qualcosa da adulta.
Amanda confinse Claire ad uscire.
Era già il crepuscolo quando uscimmo dal centro commerciale.
«Claire» chiamò Quil.
«Che vuoi?» chiese acida Claire.
La raggiunse «chiudi gli occhi» ordinò Quil.
A primo acchito sembrò scettica,ma poi obbedì.
Quil gli prese la testa fra le mani e posò le sue labbra su quelle di Claire.
Sul volto di lei le si dipinse una sorriso malizioso, e gli buttò le braccia al collo.
 «Contenta?» chiese Quil, staccandosi da lei.
«No» rispose lei sorridendo.
«Okay, proviamo così: Cara Claire Young, vuoi essere la mia ragazza?» chiese Quil sorridento anche lui.
«Ora sono felice» gli buttò le braccia al collo e posò le sue labbra sulle quelle di lui.

Passarono due settimane.
Non mi sentivo per niente bene: appena mi alzavo correvo al bagno per vomitare, di sangue e caccia non né volevo sentire proprio parlare, mi girava la testa e due volte sono svenuta.
Quella mattina Jacob era a casa sua.
La sera prima era stato di ronda e tornò alle cinque. Mi sveglio lui quando mi chiamò.
Era passata un'ora.
Erano le sei del mattino e non avevo nulla da fare.
Cercai un libro che mi potesse interessare.
Nulla. 
Allora andai al computer.
Scrissi lettere a caso e composi la parola "bambini".
Non so perché lo feci.
Trovai un sacco di associazione di addozione, annunci di tate, club di mamme disperate e siti per come scoprire quando si è incinta.
Cliccai su uno di quei siti. Quasi d'istinto.
 C'erano voci di medici che descrivevano i sintomi di una gravidanza.
"I primi sintomi di una gravidanza sono giramenti di testa nei primi mesi, poi la nausea nei primi cinque mesi, svenimenti, voglie, sensibilità all'odore. Si può anche cambiare in questioni di gusti e odori". 
Mi fermai e corsi a cambiarmi. M'infilai le prime cose che mi capitarono nelle mani.
Uscì di casa.
 Corsi verso Seattle e m'infilai nella prima farmacia che trovai aperta. 
Presi tre test di gravidanza. Corsi verso la cassa.
La cassiera mi fece pagare e mi auguro buona fortuna. 
Corsi a casa, e feci tutti e tre i test.
Tre su tre positivi.
Da quattro mesi e mezzo.
Ma io quattro mesi fa ero vergine!
Dovevo essere incinta da massimo due settimane no quattro mesi e mezzo!
Non era umano!
 "Ma io non sono umana" pensai.
Andai in iper ventilazione. Uscii di casa e andai verso casa Black. 
Ero felice. Tutto questo era assurdo, veramente assurdo ma ero talmente felice che non ci pensai un secondo di più, Jake doveva sapere.
CAPITOLO REVISIONATO con l'aiuto di EmoTrilly_Watanka



Spazio all'autrice:
A parte i ringraziamenti a EmoTrilly_Watanka, e molto poco quello che devo dire!
Prima cosa, spero di avere più fan con questa revisione!
Detto questo, non so che dire!
Tocca a voi giudicare! Recensite! Recensite! Recensite!
Un bacio, V.

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Capitolo 5
*** Annunci ***


Ero spaventata, ma allo stesso tempo felice.
Correvo a tutta velocità verso La Push, quando uno strano movimento mi blocco a metà strada.
Qualcosa dentro di me si mosse. Quello strano movimento non provocò nessun dolore, anzi, fu piacevole, e mi fece il solletico. Risi.
«Adesso calma cucciolo, andiamo dal tuo papà» mormorai.
Ricominciai a correre. Ragiunsi casa Black in me che non si dica. Era passata un'ora. Le luci di casa Black erano accese. Billy era sveglio.
Il coraggio iniziava a scarseggiare. Non mi avrebbe fatto entrare.
Ancora quei movimenti. Anche lui o lei voleva vedere il papà. Trovai un coraggio mai provato prima. Un pensiero mi sfiorò la mente:"Tutto per lui".
Corsi verso la porta e bussai con foga. Quasi rompevo la porta.
«Calma, calma. Arrivo» urlò Billy dall'altra parte della porta.
Aprì la porta e un vortice di emozioni gli passò sul viso: prima fu sorpreso, poi sospettoso, curioso e infine la rabbia si impossesò del suo viso.
«Che ci fai tu qui?» mormorò.
«Salve Billy, anch'io sono felice di vederti» risposi sarcastica.
«Bene, perché io non lo sono per niente» rispose. «Perché sei venuta?» chiese. Era infuriato.
«Non per te» risposi. Ero stranamente calma. «Sai perfettamente per chi sono venuta qui» continuai.
«Non è in casa» rispose in fretta.
«Ma se sta mattina mi ha chiamato per dirmi che stava tornado a casa!» esclamai infuriata.
«Lo vedi da qualche parte?» chiese retorico.
«Ma sento il suo cuore» risposi. Era in camera sua. Si sentiva da chilometri. «Forse ti sei dimenticato da quello che sono?» chiesi sarcastica. Fece una smorfia ma non si spostò di un millimetro.
«Ti sposti, per favore?» chiesi.
«Sta dormendo. Credo che tu sappia che è tornato tardi?». Mi odiava così tanto?
«Sentì, potrai avercela con me quando vuoi, ma ora devo parlare con Jacob!» ero agitata e da quello che avevo letto non era positivo per il bambino.
«Testarda come tua madre» detto questo si spostò e mi fece entrare. Superai con lunghe falcate il corridoio e spallancai la porta della sua camera. Lui era immerso in un sonno profondo. Il suo letto era troppo piccolo. Non ci entrava. Mi faceva tenerezza e a un certo punto non volevo svegliarlo, ma sentì ancora quello strano coraggio. Presi un cuscino e glielo tirai sul viso.
«Sveglia, dobbiamo parlare! Urgentemente!» pretesi la sua attenzione.
Fece finta di dormire: aveva gli occhi chiusi ma sulle labbra aveva stampato un sorriso.
«Lo so che non stai dormendo» dissi.
«Chiudi la porta» mormorò con la voce impostata di sonno. Io obbedì senza proferire parola, anche se volevo sapere perché.
«Devo parlarti!» dichiarai. Ci fu un attimo di silenzio in cui pensai si fosse riaddormentato. Poi mi prese per la vita, e mi fece girare su di lui, fino a posarmi sull'altra parte del letto e intrappolandomi con le sue lunghe, muscolose braccia.
«Si, dobbiamo parlare del fatto che non riesci a stare un giorno senza far sesso con me» disse ridendo.
«Devo parlarti!» urlai.
Face finta di niente, e iniziò a accarezzarmi la coscia. Posò le sue labbra sulle mie. Mi baciò con passione mentre l'eccitazione cresceva in lui. Iniziai a protestare, ma non volle sentire ragioni. Quindi gli morsi il labbro inferiore. Si mosse di scatto, sbattendo la testa contro la mia.
«Che diavolo ti prende?» sbottò, sfrefandosi la fronte.
«Devo parlarti!» ribadì urlando.
Si calmò, e si scanso lasciandomi libera di alzarmi.
«Parla» m'incalzò.
«Non qui» risposi in fretta.
«Okay. Aspetta fuori, devo farmi una doccia» disse. Non contrabbatei e uscì dalla camera.
Billy uscì dalla cucina e incontro il mio sguardo.
«Allora?» chiese.
«Dovrei aspettarlo» spiegai.
«Fai come se fossi a casa tua» urlò Jacob da dietro la porta. «Aspettami in salotto» continuò.
Ero seduta in salotto. Sentivo l'acqua della doccia scorrere.
Qualcuno bussò. Sentì la sedia a rotelle di Billy cigolare e la porta aprirsi.
«Il fuggitivo è a casa o è dalla strega?» chiese Rachel dirigendosi in soggiorno.
«È in casa» risposi io appena mi vide «ma c'è anche la strega» continuai acida.
Aveva fra le braccia P.j. che dormiva.
«Vado a dire a Jake che l'aspetto in spiaggia» annunciai.
Non mi ero accorta che l'acqua aveva smesso di scorrere. Quando andai verso la porta questa si aprì, e ne uscì Jacob mezzo nudo, con solo la tovaglia stetta in vita.
«Stavo per venirti a dire che stavo andando in spiaggia» gli annunciai.
«E per Rachel?» chiese in un tono di voce inudibile per orecchie umane.
Non risposi.
Un sorriso malizioso gli spuntò sul viso. «Che ne dici di fargli saltare un pò i nervi?» chiese nella stessa tonalità di voce di prima.
«Dico che non sia una buona idea» risposi nello stesso suo tono. Un barlume di divertimento si sentì nella mia voce. Lui la capto e mi prese la mano trascinandomi in camera sua. Chiuse la porta a chiave e mi fece sedere sul letto.
«Come la prenderebbe mia sorella se mi vedesse uscire da questa stanza completamente vestito?» chiese malizioso.
«Mi caccerebbe di casa con aggettivi poco educati» risposi calma.
«In questa casa vivo pure io! Dovranno capire che ormai sei la cosa più importante per me!» disse nervosamente.
«Ma non così!» risposi. Non c'era traccia di nervosismo nella mia voce.
Si cacciò l'asciugamano e io mi coprì gli occhi con le mani.
«Non fare la femminuccia Ness! Mi hai già visto nudo un milione di volte!» disse in tono di sfida. Feci cadere le mani lungo i fianchi e lo squadrai per bene. Feci una debole risata.
Si vesti e mi squadró in ogni mio movimento.
Si buttò sul letto e mi trascinò con lui.
«Sono sfinito!» annunciò. «Perché mi hai svegliato?» chiese sbadigliando.
«Devo parlarti!» risposi seccamente.
«Dimmi!» ordinò.
«Non qui» risposi. «Se dobbiamo parlare da soli, parliamo dopo. Ora dormiamo». Mi strinse a sé e chiuse gli occhi. Dopo poco mi addormentai pure io.

Mi svegliai tra strani suoni fuori dalla porta. Qualcuno bussava forte alla porta della camera di Jacob. Mi alzai piano, e andai ad aprire.
Era P.j.
«Zio Jay! Zio Jay!» urlava il piccolo. Gli sorrisi immediatamente. «Shhh» sussurrai. «Sta dormendo» mormorai sorridente.
«Velamolo!» ordinò il bambino. Io mi girai verso Jake, che dormiva profondamente.
«Svegliamolo» approvai.
L'armai di un cuscino. Ne presi un'altro.
«Sai quella frase "al mio tre scatenate l'inferno"?» chiesi scherzosa.
Il bambino scosse la testa e io risposi «tienila in mente». Lui annui. «Uno.Due.Tre» urlai. Io e il piccolo P.j iniziammo a colpire Jake a cuscinate. Lui cadde dal letto. Io e il bambino scoppiammo a ridere.
«Che diavolo succede?» chiese Rachel precipitandoosi nella stanza.
«Oh, le cose stanno così?!» esclamò Jake alzandosi.
Io battei il cinque con P.j. e sorrisi sadica a Jacob.
«Ora vi faccio vedere io» disse scherzoso Jacob. Si ranicchio sul letto in posizione d'attacco. Stava per saltare quando quella strega di sua sorella non c'interruppe richiamando il bambino.
Jacob l'incenerì con lo sguardo, ma lei non gli prestò attenzione. Prese il bambino e lo portò nell'altra stanza.
L'odore di sugo al ragù entrò nella stanza. Di solito mi dava fastidio, ma ora mi faceva venire l'acquolina in bocca.
«Chi sta cucinando?» chiesi. Interruppi i pensieri di Jacob. Aveva il viso di un'assassino pronto ad uccidere.
«Rachel» sputò fra i denti. Si fece pensieroso. Sapevo che stava pensando ad un modo per farla pagare alla sorella. «Vuoi restare a pranzare?» chiese con un sorriso malizioso sul volto.
«Non credo che sia una buona idea» risposi dubbiosa.
«Deve imparare a risperttarti» rispose malinconico.
«Sentì, io ora vado. Magari passi oggi e parliamo, okay ?» avrei aspettato pur di non passare un intera giornata con Rachel.
«Sai che non ti farò uscire da questa casa?» chiese sarcastico.
«L'ho immaginavo» sospirai.
«Allora resti per pranzo» dichiarò.
Cercai di convincerlo ma fu tutto inutile. Lo seguì fino alla cucina dove Rachel manestava hai fornelli.
«Nessie resta a mangiare» avvisò Jacob.
Gli cadde il cucchiaio di legno a terra e lo guardò torvo.
«Ti spiace lasciarci soli?» mi chiese acida.
«Vai in salotto» ordinò Jacob. Feci per andarmene ma lui mi affarrò da un braccio, mi fece mettere davanti a lui e mi prese la testa fra le mani prima di posare le labbra sulle mie. Sapevo che lo faceva per far arrabbiare la sorella. Ma non protestai. Mi lasciò e io andai nel salone.
Paul e Billy parlavano della partita, mentre P.j. giocava con le costruzioni. Mi appogiai al muro e ascoltai quello che dicevano nell'altra stanza.
«... Salta in mente?! Te la porti qui come se niente fosse, ci vai al letto e poi pretendi pure che resti a mangiare qui! A casa sua potete fare quello che volete, ma qui no!» disse fra i denti Rachel.
«Parli di lei come se fosse una prostituta» mormorò Jacob.
«Si vede che lo penso! Si! Ora uccidimi! Avanti! Ma non cambierò opinione!» rispose quella nello stesso tono di voce.
«Non ti farei mai del male! Lo sai! Ma io la amo! E se ti permetti ancora a darle della puttana me ne andrò di casa e non ti rivolgerò più la parola! Né a te né a nostro padre!» rispose Jacob. Parlavano a bassa voce per non farsi sentire, ma se non fosse per noi avrebbero gridato.
«Come potresti definire una persona che prima ti fa soffrire per ben tre anni, poi ti porta al letto a meno di tre ore che siete fidanzati?» chiese lei sarcastica.
«Bambina che prima ha paura e poi si accorge di amare il sottoscritto» rispose Jacob. «Tu non sai cosa ha passato quella ragazza» mormorò Jacob malinconico.
«Ti a detto che ti sposerà? Che ti darà dei figli? Ho é troppo preoccupata per la sua linea?» disse Rachel.
«Lei non può avere figli» mormorò Jacob malinconico. Sentì dei sospiri. Per un minuto nessuno preferì parole.
«Sentì, puoi amarla quando vuoi, ma fuori da questa casa» decreto Rachel.
«No, non ci sto» mormorò Jacob. Sentì dei passi dirigersi verso il salone.
Mi cinse la vita con un braccio. Mi baciò la nuca nuca e mi strinse forte.
Pranzammo nella piccola cucina. Jacob fece il modo che le nostre mani congiunte fossero in bella vista sul tavolo.
Dopo pranzo giocai un pò con P.j. Si addormentò fra le mie braccia mentre la madre lavava i piatti. Avevo proposto di aiutarla, ma lei aveva rifiutato all'istante.
Rachel finì di lavare i piatti e pretese il bambino.
«Andiamo in spiaggia?» chiese Jacob.
«Certo» risposi. Mi alzai e gli presi la mano.
«Cosa mi dovevi dire sta mattina?» chiese giunti in spiaggia.
«Be', è certamente più importante di far i saltare i nervi a tua sorella» risposi acida.
«Ma hai visto la sua faccia. Se avesse potuto mi avrebbe staccato la testa a morsi!» disse ridendo.
Io rimasi seria e lo guardai negli occhi. Ero preoccupata. «Non voglio che litighi con la tua famiglia! Non per me! E soprattutto non ora» risposi. La mia voce si fece sempre più bassa fino ad affievolirsi con un sospiro.
«Perché non ora?» chiese incuriosito.
«E da questa mattina che cerco di dirtelo ma ora non so come fare» spiegai dopo aver esitato un secondo.
«Cosa c'è, Ness?» chiese preoccupato.
Sentì quei strani movimenti. Risi e mi sfiorai la pancia.
«Perché ridi?» chiese Jacob. Gli presi la mano e la porta sul mio ventre. Vidi un fiume di emozioni attraversargli il viso, Poi lo shok se ne appropriò completamente.
«Che diavolo è?» sussurrò scioccato.
Gli sorrisi. «Tuo figlio» mormorai.
Come poco prima un vortice di emozioni gli attraverso il viso.
«Mio figlio? Come? Avevi detto che non ne potevi avere!» mormorò.
Mi sentì improvvisamente triste. «Non lo vuoi?» chiesi in un sussurro. Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.
Lui cacciò la mano dal mio ventre e mi strinse a sé. «Certo che lo voglio! Ma è pur sempre uno shok. Mi prenderò cura di te e di lui! Lo prometto!» disse contro i miei capelli. «Quando L'hai scoperto?» chiese un attimo dopo.
«Questa mattina» risposi sinceramente.
«Come?» domandò. Era curioso come un bambino. Feci un risolino, e gli spiegai la storia.
Appena finì di raccontare, mi lasciò per prendermi il viso fra le mani. Posò le sue labbra sulle mie. Mi diede un bacio lungo e passionale. Eravamo stretti l'uno a l'altra quando sentì una voce che conoscevo bene dietro di me.
«Ma guardali! La regina di First Beach vi proibisce di scambiare un certo tipo di effusioni in spiaggia» disse Claire dietro di me.
«Lo so, Jake, e arrivata la rompi palle di Claire» commentò Embry.
Le nostre labbra si staccarono, ma io mi strinsi contro il suo petto. Una lacrima di felicità mi scese dagli occhi.
«E tu saresti la regina di First Beach?» chiese scettico Jacob.
«No, e solo la regina delle rompi palle» rispose ridendo Quil.
Sentì la risata di Amanda.
«Ness, che hai?» chiese Claire preoccupata.
No. Non potevo dirgli che ero incinta. Quello che portavo in grembo, anche se l'amavo, era ignoto. Non avrei sottoposto Claire a un pericolo tanto grande. Certo, mi potevo sbagliare, ma non volevo che Claire potesse essere il primo pasto di mio figlio.
«Nulla» risposi. «Sono solo stanca» continuai.
«Noi abbiamo pensato che domani potremmo andare a Seattle? Vi stavamo giusto chiamando. Venite, vero?» chiese Claire.
«Domani non posso» risposi in fretta.
«Okay» Claire sembrava molto insospettota da quel mio comportamento, ma lasciò perdere.
«Claire, dobbiamo fare quella cosa» disse Quil ammiccanto.
«Oh, si! Vero! ti saluto Ness» rispose ridendo Claire.
Se ne andarono verso l'auto di Embry.
Mi stavano preparando una sorpresa per il mio compleanno, Jacob me l'aveva detto.
«Perché gli hai mentito?» chiese serio Jacob.
Risi nervosamente. «Sarebbe l'ora di pensare un pò a gli altri prima che ha se stessi» risposi.
Mi abbracciò e insieme guardammo le onde infrangersi su St. James, all'orizzonte, pensando al futuro.
CAPITOLO REVISIONATO.


Spazio all'autrice:
Eccomi ancora a tormentarvi la vita.
In questo capitolo abbiamo capito il rapporto tra la famiglia di Jake e Nessie, e poi Ness ha dato la bella notizia a Jake. Cosa ne pensate? Fatemelo sapere con una recensione!
Ha presto. Xoxo, V.

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Capitolo 6
*** Elizabeth Sarah Isabella ***


La parte difficile era in corsa verso La Push.
I miei genitori stavano correndo a tutta velocità verso First Beach.
Io e Jake stavamo guardando le onde infrangersi contro gli scogli di St.James.
Avevo la testa poggiata sulla spalla di Jake.
«Nessie?». Sentì mia madre dietro di noi. Mi voltai di scatto, e una piccola lacrima mi scese dagli occhi. Io non ci badai ma mi madre si.
Mi strinse forte a se. «Tesoro, che hai?» chiese protettiva.
«Nulla» sussurrai a voce strozzata dalle lacrime.
«Sicura?» chiese scettica. Annuì fra i suoi capelli.
Mi libero fra le braccia di mio padre. Mi abbracciò, mentre mamma salutava Jacob con un abbraccio.
«Che hai?» chiese mio padre.
La testa mi andò in confusione. Di solito lui non sapeva tutto di tutti tranne di mamma?
«Non lo sai?» chiese Jacob.
«È colpa mia. In questi giorno il mio scudo va per conto proprio» spiegò mamma.
«Perché?» chiesi liberandomi dall' abbraccio di mio padre.
Ero visibilmente incuriosita da questa strana situazione.
«Non so» disse alzando le spalle.
«Perché ci hai chiamato con tanta urgenza?» chiese papà.
Guardai Jacob preoccupata. Lui Annuì.
«Non so come dirvelo» mormorai.
Ancora quei strani movimenti. Quello strano coraggio.
«Puoi dirci tutto» mormorò mia madre.
«Sono incinta!». Mi uscì di bocca senza pensarci.
I miei sgranarono gli occhi e si fecero più pallidi del gesso. Il silenzio scese fra di noi. Il rumore delle onde mi riempì le orecchie.
«Dite qualcosa» mormorai titubante.
«Da quando?» chiese papà seriamente.
«Non lo so con precisione...Sul test c'era scritto quattro mesi e mezzo... Ma è impossibile» le parole uscivano veloci dalle mie labbra.
«È incinta!» mormorò mamma. «Quindi io sarei nonna?!» esclamò Bella.
«Che c'è, Bells? Ti sentì vecchia?» la prese in giro Jacob.
«Un pò di paura c'è sempre» rispose scocciata mia madre. Io è Jacob ridemmo di gusto.
Il mio sorriso sparì quando incrociai lo sguardo di mio padre. Avevo uno sguardo serio e cattivo. M'incupì di colpo.
«Andiamo da Carlisle» mormorò serio.
Mamma mi prese sotto braccio e ci dirigemmo all'auto.
Vicino all'auto c'era Claire, Amanda, Quil e Embry. La salutai con un gesto della mano, mentre lei mimo con le labbra un gesto "ti chiamo".

Jacob si mise dietro vicino a me, mentre mamma sul sedile del passeggero.
Eravamo nel confine, vicino a casa mia, quando lo sentì ancora. Presi la mano a Jacob, che guardava fuori dal finestrino, e la posai sul mio ventre. Si voltò e mi lanciò un sorriso rassicurante.
Io risi. Quel piccolo cucciolo dentro di me, mi faceva il solletico.
«Che c'è da ridere?» chiese mamma.
«Mi fa il solletico» mormorai ridendo. Mamma incrociò il mio sguardo e mi lanciò un sorriso.
Invece, mio padre strinse la presa sul volante. Che gli prendeva?
Eravamo arrivati. Scesi per ultima dall'auto e m'infilai per ultima in casa.
«Che succede?» chiese Carlisle quando vide mio padre.
«Edward, non hai una bella cera» lo prese in giro zio Emmett.
«Papà, c'è l'hai con me?» sussurrai.
Si infiuriò. «Come puoi credere che c'è l'ho con te!» urlò. Jacob, al mio fianco, ringhiò. L'ignorai. «Allora con chi c'è l'hai?!» pretesi di sapere.
«Digli la novità, è capirai» mormorò acido.
Osservai i volti dei miei famigliari uno a uno, per poi soffermarmi sui visi dei miei genitori.
Un ricordo di una vita passata mi ritorna in mente: la prima volta che vidi mia madre. Il suo viso magro e fragile. Quel ricordo mi provocò una stretta al cuore.
Ma quel coraggio mi ritornò in corpo. Come se fosse adrenalina. «Sono incinta!» mi uscì di bocca.
Il viso di chi non sapeva la notizia divenne un misto di emozioni.
«Ora capisci?» chiese mio padre. L'incenerì con gli occhi.
«Sfortunatamente si» risposi con voce colma di rabbia.
«Non é possibile» mormorò Carlisle.
«Non ci credevo nemmeno io» rispondo senza distogliere lo sguardo da mio padre.
«Edward, che hai?» chiese zia Rose. Nella sua voce c'era qualcosa che non riuscivo a percepire.
«Ti ucciderà» disse mio padre.
«Ma fammi il piacere» risposi con voce colma di rabbia.
«Sai cos'è? Sai come si comporterà? Cosa potrà succederti?» mio padre era infuriato.
«È mio figlio! Si comporterà come noi! Non mi farà mai del male!» urlai.
«Calmati, Nessie» ordinò Carlisle.
«No! Non mi calmo! Ho sempre desiderato questo bambino! E voi mi avete sempre fatto credere che non potevo averne! Non rinuncerò a lui!» urlai in lacrime. Mi girai verso Jacob «andiamo» mormorai.
Lui non reagì. Mi guardò negli occhi e disse «non posso perderti».
Reagì d'istinto e gli diedi uno schiaffo in pieno volto, prima di dirigermi verso la porta e uscire.
Corsi verso casa mia. Era al buoi. Salì in camera da letto e sprofondai nel letto. Mi addormentai in fretta.
Forse la giornata era stata corta ma lo stress si era accumulato e dormì fino al mattino successivo.

Le lacrime mi scendevano anche mentre dormivo. Avevo freddo. Ma non un freddo normale. La mia anima era congelata mentre le immagini del giorno prima mi passavano davanti. Ero stata cattiva! Ma che potevo fare? Uccidere il mio cucciolo? Avrei preferito la morte!
No, non ero stata cattiva! Ero stata una madre! La morte mi sembrava più rosea senza il mio Jacob, ma se voleva me, ci doveva essere pure il mio cucciolo. Forse avevo esagerato con lo schiaffo? No! Non avevo esagerato.
Mi alzai dal letto e mi cambiai. Indosai una T-shirt bianca e un paio di pantaloncini elastici azzurri.
Mi legai i capelli e pensai alla casa: feci il bucato, lavai i piatti e aggiustai il letto. Stavo spazzando a terra quando sentì bussare alla porta.
Non ebbi nemmeno il tempo di aprire che posò le sue calde e morbide labbre sulle mie. Lo spinsi via e gli tirai uno schiaffo. Ci fissammo per un attimo, e poi riccaddi fra le sue braccia.
Le mie labbra bramavano le sue. Avevo sete di Jacob.
Mi strinse più forte e io strinsi le gambe intorno ai suoi fianchi.
«Ti amo» sussurrai fra un bacio e un altro.
«Vi amo» rispose lui. Mi staccai un'attimo, pensando che si era confuso. Ma i suoi occhi erano sicuri e felici.
Capì che non si riferiva solo a me. Le mie labbra si posarono sulle sue con passione e felicità. Mi portò al piano di sopra e mi fece sdraiare sul letto.
Lui iniziò a scendere lungo il mio corpo. Lo faceva sempre. Ma questa volta si blocco sulla mia pancia. Mi alzò la maglietta fino al seno e posò le labbra sulla mia pancia, per poi posarci un orecchio.
«Non riesco a sentirlo» mormorò sovrapensiero.
«Forse starà dormendo?» chiesi retorica.
«Forse» rispose. «Come vuoi chiamarlo?» chiese senza sollevare la testa.
La domanda mi lasciò confusa. «A dire il vero, non ci ho mai pensato» mormorai.
«Come? Secondo Carlisle nascerà fra due settimane è non ci hai ancora pensato?» chiese.
«Vedremo» risposi. «Ma tu non odiavi questo bambino?» chiesi arrabbiata.
«Hai ragione. Abbiamo deciso di darti un pò di fiducia» rispose. Non accennava a alzarsi.
«Abbiamo?» chiesi scettica.
«Si, io e la tua famiglia» rispose sinceramente.
Qualcosa mi fece il soletico dentro di me. Sul viso di Jacob apparve un sorriso gigantesco. Bellissimo.
Diede un bacio al mio ventre prima di strisciare il suo corpo contro il mio fino a raggiungere le mie labbra.
Si alzò e mi afferrò i polsi per riportarmi alla realtà.
«Carlisle ci sta aspettando! Vuole visitarti» spiegò. Corsi a cambiarmi.

Jacob mi teneva la mano mentre entravo in casa Cullen. Ma non mi sarei mai aspettata tutta questa accoglienza.
Mamma e papà mi abbracciarono. Come tutti gli altri della mia famiglia.
La visita diede buoni risultati. Il mio cucciolo non mi avrebbe fatto mai del male!

Vedevo il mio corpo mutare. Gonfiarsi per accogliere il mio cucciolo.
Certo, mi faceva impressione, ma sapevo che era normale.
Il sangue mi faceva venire la nausea, quindi mi nutrivo di cibo da umani. Questo fece calmare la mia intera famiglia, di cui Jacob ne faceva parte.

Eravamo nel salotto di casa Cullen, quando mi facero la fatidica domanda: «come lo chiamerai?» chiese zia Rose, seduta sulla poltrona diffronte a me.
«Se è maschio J.j» rispose al posto mio Jacob.
«Nome da cane» mormorò zia Rose.
«Assolutamente no!» urlai.
«Perché? È un nome stupendo?» fece Jacob tristemente.
«Perché è orrendo! Non chiamerò mio figlio J.j.!» urlai.
«E come vuoi chiamarlo?» accusò Jacob. Sapevo che era una domanda, ma il tono con cui l'aveva detto sembrava un'accusa. «Si, può andare bene» mormorò indifferente Jacob.
Mia madre, che mi cingeva la schiena con un braccio, mi strinse forte. Sapevo che quel nome era il nome che mi avrebbe dato se fossi stata un uomo. Edward Jacob era stupendo.
«E se è femmina?» chiese zia Rose.
«Spero sia Sarah» mormorò Jacob. Si era rintristito di colpo.
«Perché Sarah?» chiesi confusa.
«È... il nome di... mia... madre» rispose in un sussurro.
Il mio cuore si spezzo vedendolo così. Sapevo che la madre di Jacob era morta in un incidente d'auto. Lo stesso incidente che costrinse Billy sulla sedia a rotelle. Jacob non me ne parlava spesso.
«Ora mi hai messo in un bel pasticcio» dissi. Sapevo che l'avrei tirato su di morale.
«Perché?» chiese confuso.
«Io volevo chiamarla Elizabeth» risposi. Il mio sguardo cercò quello di mio padre. Lo trovò. Era sorpreso.
«Elizabeth? Come mia madre?» chiese disorientato.
«Elizabeth come tua madre» risposi. «Ma Sarah e troppo bello, e ora sono confusa». Sembravo una bambina di cinque anni.
«Daglieli entrambi. Se è maschio si chiamerà Edward Jacob, se è femmina Elizabeth Sarah» propose Jacob.
«Elizabeth Sarah Isabella Black. Suona bene» dissi.
«Isabella no» disse mia madre.
«Erediterà la sua sfortuna» disse papà.
«Vero» acconsentí Jacob.
«Isabella rimane» decretai. Nessuno contrabbattè.
Il mio telefono squillo. Guardai il nome sullo schermo e l'ho staccai. Claire.
Non parlai con lei dal giorno in cui scoprì la mia gravidanza.
Prima a gli altri, poi a se stessi. Mi ripetevo ogni volta che ricevevo una sua chiamata. Claire era in pericolo qui con me.

Anche quella giornata si concluse. Io e Jacob tornammo a casa mia, che fra poco sarebbe stata nostra.
Come ogni notte, prima di andare a dormire, aprì quella stanzetta. Vicino alla finestra che affacciava sul bosco, ora c'era una culla.
Bianca con disegni di fiori verdi e gialli.
Quella stanza non mi sembrava più una camera degli orrori. Sembrava la stanza di mio figlio/a.
Io e Jacob andammo al letto, stretti l'uno a l'altro, come ogni notte.
Ci svegliammo presto e andammo subito a casa Cullen. Erano gli ultimi giorni. Fra poco avrei abbracciato il mio cucciolo.
Eravamo appena entrati in salotto, quando una fitta atroce come una lama conficata nello stomaco, mi fece svenire.
Rinvenì nello studio di mio nonno. Su un lettino d'ospedale. Ero ricoperta di sudore.
La fitta non era passata, anzi, era peggiorata.
«Ness? Ness mi senti?» chiese Jacob al mio fianco. Era particolarmente preoccupato.
«Jacob?» ansimai.
«Carlisle, è sveglia» urlò d'altra parte della stanza.
Sentì il vento alzarsi e nonno Carlisle era davanti a me.
«Nessie? Mi senti?» chiese mio nonno.
«Si» ansimai.
«Bene. Stai per partorire! Ho bisogno che tu sia conscia per salvare la vita a te e al bambino!» spiegò.
«Okay» mormorai. Una fitta più atroce mi colpì, e un urlò di dolore mi uscì dalla bocca.
Carlisle mi diceva di spingere, Jacob m'icoraggiava con dei "brava" o con dei "continua così". La fitta più dolorosa fu l'ultima. Mi girai verso Jacob, che sorrideva, illuminato da qualche dio o dea che fissava inoridito e sorridente. Anche Carlisle sorrideva.
Il pianto di una voce cristallina riempi la stanza.
«E una bellissima bambina» mormorò Carlisle.
«Elizabeth» sussurrai. Allungai le braccia per chiedere la bambina. Carlisle me la porse.
Era meravigliosa. Aveva la pelle diafana, dei ciuffetti di capelli color bronzo, e il visino era da cherubino. Ma la cosa che mi colpì più di tutte, furono i suoi occhi. Gli avevo già visti! In un sogno, in una vita precedente. Blu mare. Di quei blu così intensi e stupendi. M'innamorai di quegli occhi.
«Se non sapessi che non sono stato l'unico, non crederei mai che questa piccolina sia mia figlia. Non mi assomiglia per niente» disse Jacob.
Non mi accorsi che mio nonno ci aveva lasciato soli. Ero rimasta ipnotizata da quegli occhi, che non mi accorsi del suo corpicino. Del suo braccio destro.
Una macchia nera mi colpì. Gli girai con delicatezza il braccino e rimasi inoridita. Lo stesso simbolo che Jacob portava al braccio l'aveva lei sul suo di braccio «Sicuro che da te non abbia preso nulla?» chiesi sarcastica. «Jacob, cos'è questo?».
Lui osservo quello strano simbolo inoridito quando me.
«Non è possibile» mormorò.
«Cosa vuol dire?» chiesi preoccupata.
«Che appartiene al branco» disse.
«Come appartiene al branco?» chiesi.
«Questo e il sigillo! Noi c'è lo siamo tatuato, ma si dice che i nostri antenati ci nascevano, e di solito erano sempre i più forti» rispose. Incrocio il mio sguardo «Ephraim e nato con il sigillo» pronunciò quelle parole con paura negli occhi. La stessa che rifletteva la mia.
«Jacob, non lo permetterai, vero? Non farà parte del branco, vero?» urlai.
«Te lo prometto!» disse. «Ora riposa, e dalla a me» ordinò. «Non la farò toccare da nessuno» disse. Prese la bambina e mi schiocco un bacio sulla testa.
Non ci volle molto per addormentarmi.

Mi svegliai nella vecchia camera di mio padre. Le tapparele erano abbassate, quindi non riuscì a decifrare l'orario.
Vidi dei miei vestiti posti sulla sedia della scrivania: una maglietta stile impero color panna e un paio di jeans azzurro cielo con della ballerine bianche.
«Buon giorno, piccola» sentì mormorare Jacob.
«Si è svegliata?» chiese zia Rose. Come faceva a saperlo?
«Si» mormorò Jacob. Sentivo la felicità nella sua voce. «Piccolina, hai fame?» chiese.
«Gli do io da mangiare» propose zia Rose.
«E mia figlia! Non te lo scordare, bionda» disse Jacob a denti stretti.
Mia Figlia. Mi sembra strano solo pensarlo. Poi quegli occhi. Da chi gli avrà presi?
La pelle da vampira, anche se è calda come un licantropo, e i suoi occhi da umana. Vampira, licantropo,umana.
Corsi fuori dalla stanza, gridando «gli do io da mangiare!».
Tutti si girarono di scatto, mentre mi affrettavo verso Jacob per sottrargli la mia piccola dalle braccia.
«Buon giorno, amore» sussurrò Jacob. Io non gli prestai attenzione. Ero concentrata su quei capelli, leggermente cresciuti, e su quel viso, che era un pò più ovale. «Posso sapere quando ho dormito?» chiesi.
«Due giorni» rispose mio padre.
I miei occhi si posarono su tutti i presenti in quella stanza, e per ultima su quel mostricciattolo fra le mie braccia. Su i suoi occhi. Chissà da chi gli avrà presi?
«Da mio padre» rispose papà. «Aveva gli occhi blu come lei».
Alzai lo sguardo e sorrisi a mio padre. Poi un lamento uscì dalla bocca della mia bambina.
«Ha fame» spiegò Jacob.
«Allora andiamo a mangiare...» mormorai.
«Elizabeth Sarah Isabella?» chiese Jacob.
Ci pensai un attimo. Quei nomi sarebbero rimasti, ma qualcosa di più originale.Una firma.
«Certo, quei nomi vanno bene, ma pensavo a un nome che racchiude i suoi tre esseri: Vampira, licantropo, umana» Quel nome mi uscì di bocca, senza che io ci potessi pensare: «Valium».
Mia figlia sorrise quando sentì quella piccola parola.
Lei era Valium! La Mia Valium!
CAPITOLO REVISIONATO.


Spazio all'autrice:
Ciao a tutti. Questo capitolo e di passaggio, come avrete intuito. Ecco perché la storia va molto veloce.
Come avrete avete notato in molti, ho cambiato il nome di "Jan" con quello di "Sarah".
Spero che non dispiaccia a nessuno.
Continuate a leggere, e recensite tutti.
Un bacio, V.

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Capitolo 7
*** Valium ***


La mia vita non poteva essere più felice.
Dopo che mi svegliai, io, Jacob e la mia piccola Valium, andammo a casa nostra. Jacob mi disse che la mia Valium aveva un sonno molto leggero, quindi dovetti attendere un bel pò per essere sicura che si era addormentata e metterla nella culla.
«Nessie?» chiamò Jacob a bassa voce.
«Si?» dissi voltantomi di scatto. Era davanti alla porta della cameretta di Valium.
«Andiamo a letto?» chiese.
Diedi un bacio sulla testa alla mia cuccioletta, e andai verso il Mio Jacob.
Lo spinsi nel corridoio, e uscì chiudendomi la porta alle spalle.
«Ness, che hai?» chiese.
Gli presi la testa fra le mani, e posai le mie labbra sulle sue. Mi strinse a se con passione. Io gli cinsi i fianchi con le gambe, inarcando la schiena e facendo combaciare ogni centimetro dei nostri corpi.
Mi portò in camera, facendomi sbattere contro il muro ogni cinque secondi. Mi buttò sul letto, e io lo presi per la maglietta, trascinandolo sopra di me.
«Vuoi già un secondo figlio?» mi chiese mentre io tentavo di cacciargli la maglietta senza strapparla.
Mi bloccai un attimo. «Non ancora» risposi distinto. «Lei è troppo piccola, magari in futuro. Ma ora no».
«Se vuoi vado a prendere un profilattico in auto?» chiese. «Ti fidi di me?» chiese lui.
«Certo, mi hai tolto la verginità e condivido con te una bambina e un letto» risposi. «Più che altro, tu ti dovresti fidare si me».
«Tu l'hai tolta a me» rispose. Restai stupita. Jacob non aveva mai fatto sesso?!
«Vado a prendere il profilattico» comunicò. Si alzò dal letto, e sparì oltre la porta della nostra stanza.
Sentì la porta di casa sbattere. Un pò troppo forte, e in tutta risposta sentì i vagiti della bambina nell'altra stanza. Avrei ucciso Jacob appena sarebbe rientrato.
Corsi in camera della bambina, e la presi fra le braccia. Smise di piangere appena posai la testolina sul mio cuore. Restai impotizata dai quegli occhi. Blu come il mare.
La portai in camera mia, e mi sdraiai sul letto. La vedetti chiudere gli occhi, e mi addormentai pure io.
La luce grigio perla di Forks mi fece aprire gli occhi. La mia cuccioletta dormiva profondamente, e Jacob, al mio fianco, russava. Chissà cosa era successo la sera prima, quando e ritornato e mi aveva trovato addormentata?
Speravo che non si fosse arrabbiato.
Mi persi un secondo a vedere la mia piccola.
Durante la notte era cresciuta. Si era allungata di qualche millimetro, il viso era più ovale, e pure i capelli erano più lunghi.
Mi concentrai su i suoi occhi chiusi. Era così beata nei suoi sogni. Avrei dato tutto quello che avevo per sapere cosa sognava di così bello. Solbbazai quando sbatte le palpebre e mise a fuoco. Quei suoi stupendi occhi blu incrociarono il mio sguardo, e, sulle sue labbra color rosa ciliegie, gli si dipinse un sorriso.
Quel sorriso mi stordì per qualche istante, poi posai le miei labbra sulla sua testolina. E iniziai a godermi l'iniziò della mia nuova vita.

Quattro giorni dopo la sua nascita, con sorpresa di tutti, Valium si mise a camminare.
La cosa fu molto strana, visto che io ci avevo messo tre settimane, e non quattro giorni.
Voleva attirare l'attenzione di mio padre, visto che era l'unico che riusciva a capirla, visto che la lingua non la voleva usare. Era con zia Rose, che era intenzionata a farla giocare con le costruzioni. Ma lei non voleva, e dopo un'infinità di tentativi di buttare le costruzioni addosso a mio padre per attirare la sua attenzione -mandati in fumo da zia Rose, che gliele prendeva dalle mani e le posava a terra, dove era seduta con la piccola-, lei si alzò, caminò verso il nonno, e si sedette vicino a lui. Laciò una piccola grida, che fece sobbalzare mio padre.
Cappimmo immediatamente che era molto pespicace.
Jacob, dopo una mia richiesta, non fece parola con il branco di Valium.
Ne il suo -Lhea, Seth, Quil e Embry-, ne quello di Sam -Paul, Jared, Brady e Collin. Quindi il quinto giorno dell'iniziò della mia felicità, dopo un'estenuante litigata con Jacob e la mia famiglia -che vinsero loro-, Jacob chiamò Sam, per dirgli che saremmo andati a fargli visita il giorno dopo, e di chiamare l'intero branco con le loro compagne, compreso il branco di Jake con le loro compagne. E ora eccomi, con Valium, nella vecchia auto di Jacob.Destinazione La Push.
Valium giocava con una bambola di pezza -regalata da zia Alice- sulle mie gambe. Io tenevo il broncio a Jacob, e lui sbuffava ogni cinque secondi.
«Ness?» mi chiamò quando superammo il confine.
«Che vuoi?» risposi acida.
«Prima o poi sarebbe successo» mormorò indifferente.
«Meglio "poi" che "prima"» urlai tappando le orecchie alla piccola.
«Dai, Nessie, non fare così!» pregò Jacob al mio fianco.
«Come vuoi che faccia?!» mormorai acida.
«Lo faccio per voi» mi rispose.
Parcheggiò davanti alla casa di Sam.
Era una piccola casa, che un tempo doveva essere grigia, con una piccola finestra a lato destro, e una porta scolorita che un tempo doveva essere blu. Era circondata da fresie color arancio e giallo. Era una casa stupenda.
Jacob scese dall'auto, dando un bacio sulla testa a me e a Valium. Lo seguì con lo sguardo, fino a quando non s'infilò in quella piccola casa. Strinsi forte Valium, e ascoltai la conversazione che avveniva in casa.
«Jake? Che succede?» chiese Sam.
«Dove'è Nessie?!» s'intromise Claire.
«Claire!» sussurrò Emily.
«Vi prego, non fate nulla di avventato. Capitemi» sussurrò Jacob. Nella sua voce c'era preoccupazione, tanto quando la mia. Capì in quel istante che era difficile per me quando per lui.
«Capiremo, se ti spiegassi». La voce di Claire mi risvegliò dai miei pensieri.
«Claire!» questa volta fu Quil a richiamerla.
«Ha ragione. Ti capiremo se ti spiegassi» disse Sam. Era calmo. È saggio. Come sempre. Mi ricordava molto nonno Carlisle.
«Ness?» mi chiamò Jake.
A mal in cuore, aprì la portiera dell'auto, strinsi la piccola, e andai verso casa.
Jacob aveva lasciato la porta semi aperta. Diedi un bacio a Valium, e aprì la porta.
La prima reazione fu lo stupore, poi, ad un tratto, il branco spinse dietro di loro le donne -tranne Lhea- e i bambini, e ringhiarono contro me e Jacob.
In tutta risposta, dal mio petto uscì un ringhio gutturale, che mi uscì fra i denti, facendo immobilizare tutti. La bambina si strinse più forte a me, e Jacob tirò in dietro la sua mano, in cerca della mia. L'afferrai e la strinsi forte, mentre mi spingeva dietro di lui.
Il branco guardava spaventato la bambina, e io incenerivo con lo sguardo ognuno di loro. Poi il mio sguardo incrociò quello comprensivo di Claire.
«Jacob» fece Sam serio «portata via di qui».
«No!» urlò Claire.
«Calma Claire» sussurrò Quil.
Anch'io capì il significato di quelle parole: Portala via, e non tornate più.
Per un attimo squadrai il volto di Jacob. Era tristemente doloroso. Questa era la sua famiglia. E lui era appena stato cacciato via dalla sua famiglia.
Si voltò, e cercò di spingermi fuori dalla porta, ma io non accennai a muovermi.
Guardai a terra e pronunciai le parole più dolorose di tutta la mia vita: «Lei fa parte del branco». Dire la verità mi fece male. Avevo condannato mia figlia ad essere un licantropo/mutaforma. A far parte del branco.
Ero ad un vicolo cieco, e io non ciò pensato due volte -anzi non ciò pensato proprio- a sacrificare mia figlia.
«In che senso?» chiese Sam.
«E troppo piccola» disse Rachel acida. Era al fianco di Paul, che la proteggeva con il suo corpo.
«Ness, credo che dovremmo andare» mormorò Jacob. Mi teneva per un braccio, e mi fissava negli occhi. Era completamente voltato verso di me, e dava le spalle all'intero branco.
I suoi occhi neri mi nascondevano la tristezza in un espressione di indifferenza.
Ma io non gli prestai attenzione. I miei occhi bruciavano all'interno di quelli di Sam. Ormai era fatta.
«Jacob, alza la manica alla piccola» sputai fra i denti, senza distogliere lo sguardo da Sam.
«Ness!» mormorò Jacob.
«Per favore, fa come ti ho chiesto» risposi.
Esito qualche istante, poi obbedì.
Il branco sussultò quando vide il sigillo.
«È impossibile» sussurrò Seth.
«Non credo» mormorai acida.
«Com'è possibile?» chiese Emily a Sam.
«E una leggenda» rispose Sam. «I lupi più forti nascevano con il sigillo. Si dice che Ephraim e nato con il sigillo» spiegò.
«Non è pericolosa» ribattè Jacob.
Ma Sam ringhiò.
«Suvvia, Sam. Non vedi quant'è dolce» disse Emily. Passò avanti a Sam, e mi si avvicinò. «E tu chi sei, piccola?» chiese Emily alla mia Valium.
«Ancora non parla» risposi sorridento.
«Posso?» chiese Emily porgendo le mani per prendere la piccola.
«Certo. Valium?» chiesi. Lei porse le piccole braccine paffute verso Emily, che l'afferrò, e gli diede un piccolo bacio sulla testa.
«Valium?» chiese Emily scettica.
«È una lunga storia» dissi sorridente.
«È bellissima» mormorò Emily immersa nei suoi occhi blu.
«Lo so» risposi.
La temperatura scese. Sam e l'intero branco iniziò a parlare con Jacob, mentre le donne s'innamoravano una dopo l'altra di Valium.
Era tra le mie braccia quando Claire uscì da una stanza con dietro Quil.< Non mi ero accorta che era sparita.
«Tu!» disse alzando il dito verso di me, mentre Quil si sporgeva protettivo verso di lei. « Perché non mi hai più risposto alle telefonate!» si lamentò.
«Mamma a tempo pieno non ti basta?» la prese in giro Kim.
«No, non per questo. E che avevo paura per te» risposi. Tutte capirono cosa intendevo, ma non fecero commenti.
«Jake mi aveva detto che tu non potevi avere figli» comunicò acida Rachel.
«Si, l'avevi detto anche a me» rispose Claire.
«Lo credevo. Ma mi sbagliavo» risposi.
«Sono contenta per te!» disse Claire. «Aspetta un attimo! Tu due settimane fa non eri incinta! Ci siamo viste a La Push!» sbottò Claire.
«Vero» ricordò Rachel.
«E stata una gravidanza veloce» mi limitai a dire in un sussurro.
«Aspetta un attimo!» fece Claire «quanti mesi ha?».
«Cinque giorni» risposi sincera.
«Cinque giorni?!» chiese Amanda sorpresa.
«Ed è già così grande?!» chiese Claire nello stesso tono di voce di Amanda.
«Si! Sa già camminare e parlare» risposi sincera.
«Come, prima hai detto che non sapeva parlare» disse Emily sinceramente.
«Ho detto che non parla, non che non sa parlare» corressi.
«Oh» si limitò a dire.
«Non vuole. Mio padre dice che sa parlare, ma non vuole per qualche strano motivo che non gli vuole rivelare» spiegai.
«Con tuo padre parla?» chiese Claire.
«Claire, non dirmi che non ricordi che ogni volta che combinavi qualcuna delle tue lui lo sapevi?» chiese sarcastico Quil.
«A già. Legge nel pensiero» mormorò Claire.
«Esatto» mormorai.
Valium iniziò a fare i capricci quando vide P.j, Levi, Mary, Kelly e Bob. La più grande era Kelly, e aveva nove anni, seconda figlia di Sam, poi c'era Levi suo fratello di otto anni, Bob, figlio di Kim e Jared, che aveva cinque anni, e per ultimi Mary - seconda figlia di Kim- e P.j. -mio nipote- che avevano entrambi quattro anni.
Valium si dimenava tra le mie braccia, quindi la misi a terra, e la vidi andare a giocare con i bambini. Nel esatto istante in cui lasciai la piccola, Claire mi saltò addosso.
«Tu non sai quando mi sei mancata» urlò.
Mi prese per mano, e mi trascinò in un angolo, e si mise a parlare di lei e di Quil.
Passò mezz'ora, e Valium si alzò. La seguì con lo sguardo, fin a quando non la vidi dirigersi verso... Lhea?
Era seduta in disparte, sul divano a due piazze che era appoggiato alla parete. Sola soletta. Non prestava nessuna attenzione a noi o all'altre donne. Nemmeno al branco.
Valium le fu davanti e le sorrise. Lhea non se ne accorse. Era tutta concentrata al telefono.
«Ciao» disse una voce cristallina nell'esatto istante in cui spostai lo sguardo dalla scena.
Il silenzio scese nel piccolo salotto della casa di Sam e Emily. Tutti gli occhi cadderò sulla mia piccola.
Lhea abbassò lo sguardo, e rimase stupita. «C...ciao» balbettò.
«Io sono Valium. Tu come ti chiami?» chiese la voce di poco prima.
«L...Lhea» rispose timidamente quest'ultima.
Valium camminó qualche passo, e saltò agile sul divano, sedendosi vicino a Lhea. «Posso chiamarti Lee-lee?» chiese la piccola.
«In realtà è il nome che mi davano da piccola» rispose Lhea. C'era un non so che nel suo sguardo che mi colpì. Era stupore... e simpatia.
«Perfetto! Ti chiamerò Lee-lee» dichiarò Valium.
«Hai detto che ti chiami Valium, vero?» chiese Lhea. Valium annuì. «Ti posso chiamare V.?» chiese Lhea.
«Bello! Certo! Chiamami V.!» rispose entusiasta Valium.
Da quello che mi aveva detto Jake, Lhea era la più problematica del branco.
Una specie di zia Rose prima della mia nascita.
Ma Lhea era fastidiosa, antipatica e molto arpia. Ma non la conobbi mai veramente. Se ne stava sempre per conto suo le poche volte che la vedevo. E a dirla tutta, mi stava pure antipatica. Ma non potevo obbligare Valium a non parlarci. In fondo ci avrebbe scambiato solo qualche parola. Le sue prime parole.
Tutti lasciarono stare sia Valium che Lhea. E così il resto della giornata passò in fretta. Arrivò il momento di ritornare a casa. Mia madre ci aspettava a casa Cullen.
«Allora?» chiesi alla piccola quando eravamo in auto.
«Allora cosa?» disse Jacob.
«Ho chiesto a lei! Hai affittato la lingua al gatto che te l'ha mangiata?» chiesi sarcastica. Lei mi fissò e annuì. Restai a bocca aperta. «Dì qualcosa!» ordinai esasperata.
«Che vuoi che dica?» chiese Valium.
«Che ne so? Mamma o papà?» risposi sarcastica.
«Mamma e papà» disse. Jacob, al mio fianco, rise.
«Lo trovi divertente?» chiesi acida.
Mi fissò come per dire si, e io misi il broncio.
«Dai, non fare così!» pregò Jacob.
«E come dovrei fare? Ha preferito Lhea a me!» risposi arrabbiata.
«Dai, non vederla così! È solo una bambina! Vedrai che da domani parlerà anche con te! Anzi, già da sta sera!».
«Lo spero» mormorai.
Appena arrivammo a casa Cullen, diedi la piccola a Jacob, e m'infilai in casa.
«Nessie è arrabbiata?» chiese Valium a Jacob. Nessie?
«No, e solo un pò triste» rispose Jacob. «E poi la devi chiamare mamma» continuò.
Entrai in salotto, e senza salutare nessuno, mi buttai sul divano. Otto paia di occhi mi fissarono incuriositi.
«Non capisco quel cucciolo» sputai fra i denti.
«Perché?» chiese mia madre.
«Glielo spieghi tu, o lo devo fare io?» chiesi acida alla bambina.
«Lo sapevo, l'ho fatta arrabbiare!» disse la piccola.
Gli occhi dei Cullen si sgranarono nel sentire quella voce così cristallina. Tutti i Cullen erano sorpresi, tranne mio padre.
«No, non mi hai fatto arrabbiare, e solo che... volevo essere io la prima a sentire la tua vocina» spiegai sorridente.
«Be', sei stata la seconda. Sei sempre sul podio» rispose lei.
«Dimmi un pò, ti sei mangiata un dizionario?» la prese in giro mio padre.
Valium si dimenò fra le braccia di Jacob, che fu costretto a posarla a terra.
Lei corse tra pe braccia di mio padre, che la fece sedere sulle sue gambe.
«No! Tu mi hai insegnato a leggere, e io l'ho letto» rispose Valium.
«Oh, certo Valium, è una cosa di tutti i giorni» commentò sarcastico Jacob.
«Vero» prese in giro zio Emm.
Valium fece la linguaccia a entrambi.
«Ness, sicura che abbia cinque giorni?» chiese mia madre.
«No» risposi esasperata.
Restammo poco tempo in casa Cullen. Ero stremata, e si notava troppo.
Quando rientrammo nella nostra casa, mi feci una doccia veloce, e mi buttai nel letto, abbracciandomi la mia piccola -non aveva intenzione di dormire da sola.
Sognai un oggetto che apparteneva ad una vita precedente. Una collana, in un comodino, vicino al mio letto, nella mia vecchia camera. Una collana a quattro spaghi color corallo, che si intrecciavano a un rombo di ferro. Una promessa fatta per quella collana.
Collegai in un secondo, mentre dormivo, tutto.
Il regno del prima; l'angelo dagli occhi blu e i capelli bronzei; La collana. Valium.
Jacob mi stava accompagnando a casa Cullen.
Fu strano il suo comportamento. Era euforico. Già dal giorno prima, solo che io non me ne accorsi.
Parcheggio davanti a casa Cullen.
«Ora devo andare» comunicò quando ci trovammo davanti alla porta.
«Cosa?» chiesi confusa.
«Mi dispiace» disse sorridente. Schiocco un bacio sulla testa alla bambina, e mi diede un bacio sulle labbra, prima di scomparire nella sua auto.
Entrai in casa, e corsi verso mia madre.
«Mamma, andiamo un attimo a casa? devo prendere una cosa» le chiesi.
Sembrò confusa da quella domanda. «C...certo» rispose.
Mia madre aprì la porta della mia vecchia e piccola casa, invitandomi ad entrare.
Io lasciai Valium a terra, e gli chiesi la manina. Le si scosto i capelli dagli occhi -un liscio a caschetto-, afferrò la mia mano.
La trascinai nella mia vecchia stanza. Gli lasciai la mano, e lei iniziò a guardarsi attorno. Era molto sorpresa. Dopo che ero andata via, non era cambiata una virgola.
M'inginocchiai vicino al comodino. Aprì il cassetto, e afferrai la collana.
«Valium? vieni un secondo» la chiamai. Lei si avvicinò, e io le porsi la collana. «Ti piace?» chiesi.
«Molto» disse entusiasta.
«Girati» ordinai. Lei obbedì. Gli spostai i capelli da un lato, e gli misi la collana.
Lei osservo il ciondolo, e sorrise.
«Nessie? Hai finito?» chiese mamma dall'altra stanza.
Mi alzai, e presi fra le braccia Valium. «Si» risposi.
«Oh, quando sei bella con questa collanina» si complimentò mia madre con la piccola, facendola arrossire.
Poi fu un secondo: nell'occhio destro di Valium passò un lampo. Una strana luce che coloró per un attimo tutto l'occhio di rosso.
Poi fu un secondo: nell'occhio destro di Valium passò un lampo. Una strana luce che coloró per un attimo tutto l'occhio di rosso. 
Nel momento esatto in cui il suo occhio si tinse di rosso, un urlò lancinante venne da fuori.
Mamma si precipitò fuori, e io la seguì a ruota, prendendo fra le braccia Valium.
La scena che vidi fu spaventosa: una donna, bellissima e dalla pelle bronzea, si dimenava sotto una quercia, mentre il suo ventre gonfio tremava.
Presa dal terrore, afferrai il telefono, e composi il numero di papà, mentre mia madre si precipitava dalla donna bellissima.


Spazio all'autrice:
Ciao a tutti!:)
Molte persone hanno criticato questa parte della storia, e, anche se le ho aggredite- mi scuso per il mio comportamento da stupida bambina viziata, ma non ci tengo proprio a farmi dei nemici- ho deciso di modificarla, sperando che gli piaccia di più.
Quindi leggete ed esprimetevi.
A presto, V. La mia vita non poteva essere più felice.
Dopo che mi svegliai, io, Jacob e la mia piccola Valium, andammo a casa nostra. Jacob mi disse che la mia Valium aveva un sonno molto leggero, quindi dovetti attendere un bel pò per essere sicura che si era addormentata e metterla nella culla.
«Nessie?» chiamò Jacob a bassa voce.
«Si?» dissi voltantomi di scatto. Era davanti alla porta della cameretta di Valium.
«Andiamo a letto?» chiese.
Diedi un bacio sulla testa alla mia cuccioletta, e andai verso il Mio Jacob.
Lo spinsi nel corridoio, e uscì chiudendomi la porta alle spalle.
«Ness, che hai?» chiese.
Gli presi la testa fra le mani, e posai le mie labbra sulle sue. Mi strinse a se con passione. Io gli cinsi i fianchi con le gambe, inarcando la schiena e facendo combaciare ogni centimetro dei nostri corpi.
Mi portò in camera, facendomi sbattere contro il muro ogni cinque secondi. Mi buttò sul letto, e io lo presi per la maglietta, trascinandolo sopra di me.
«Vuoi già un secondo figlio?» mi chiese mentre io tentavo di cacciargli la maglietta senza strapparla.
Mi bloccai un attimo. «Non ancora» risposi distinto. «Lei è troppo piccola, magari in futuro. Ma ora no».
«Se vuoi vado a prendere un profilattico in auto?» chiese. «Ti fidi di me?» chiese lui.
«Certo, mi hai tolto la verginità e condivido con te una bambina e un letto» risposi. «Più che altro, tu ti dovresti fidare si me».
«Tu l'hai tolta a me» rispose. Restai stupita. Jacob non aveva mai fatto sesso?!
«Vado a prendere il profilattico» comunicò. Si alzò dal letto, e sparì oltre la porta della nostra stanza.
Sentì la porta di casa sbattere. Un pò troppo forte, e in tutta risposta sentì i vagiti della bambina nell'altra stanza. Avrei ucciso Jacob appena sarebbe rientrato.
Corsi in camera della bambina, e la presi fra le braccia. Smise di piangere appena posai la testolina sul mio cuore. Restai impotizata dai quegli occhi. Blu come il mare.
La portai in camera mia, e mi sdraiai sul letto. La vedetti chiudere gli occhi, e mi addormentai pure io.
La luce grigio perla di Forks mi fece aprire gli occhi. La mia cuccioletta dormiva profondamente, e Jacob, al mio fianco, russava. Chissà cosa era successo la sera prima, quando e ritornato e mi aveva trovato addormentata?
Speravo che non si fosse arrabbiato.
Mi persi un secondo a vedere la mia piccola.
Durante la notte era cresciuta. Si era allungata di qualche millimetro, il viso era più ovale, e pure i capelli erano più lunghi.
Mi concentrai su i suoi occhi chiusi. Era così beata nei suoi sogni. Avrei dato tutto quello che avevo per sapere cosa sognava di così bello. Solbbazai quando sbatte le palpebre e mise a fuoco. Quei suoi stupendi occhi blu incrociarono il mio sguardo, e, sulle sue labbra color rosa ciliegie, gli si dipinse un sorriso.
Quel sorriso mi stordì per qualche istante, poi posai le miei labbra sulla sua testolina. E iniziai a godermi l'iniziò della mia nuova vita.

Quattro giorni dopo la sua nascita, con sorpresa di tutti, Valium si mise a camminare.
La cosa fu molto strana, visto che io ci avevo messo tre settimane, e non quattro giorni.
Voleva attirare l'attenzione di mio padre, visto che era l'unico che riusciva a capirla, visto che la lingua non la voleva usare. Era con zia Rose, che era intenzionata a farla giocare con le costruzioni. Ma lei non voleva, e dopo un'infinità di tentativi di buttare le costruzioni addosso a mio padre per attirare la sua attenzione -mandati in fumo da zia Rose, che gliele prendeva dalle mani e le posava a terra, dove era seduta con la piccola-, lei si alzò, caminò verso il nonno, e si sedette vicino a lui. Laciò una piccola grida, che fece sobbalzare mio padre.
Cappimmo immediatamente che era molto pespicace.
Jacob, dopo una mia richiesta, non fece parola con il branco di Valium.
Ne il suo -Lhea, Seth, Quil e Embry-, ne quello di Sam -Paul, Jared, Brady e Collin. Quindi il quinto giorno dell'iniziò della mia felicità, dopo un'estenuante litigata con Jacob e la mia famiglia -che vinsero loro-, Jacob chiamò Sam, per dirgli che saremmo andati a fargli visita il giorno dopo, e di chiamare l'intero branco con le loro compagne, compreso il branco di Jake con le loro compagne. E ora eccomi, con Valium, nella vecchia auto di Jacob.Destinazione La Push.
Valium giocava con una bambola di pezza -regalata da zia Alice- sulle mie gambe. Io tenevo il broncio a Jacob, e lui sbuffava ogni cinque secondi.
«Ness?» mi chiamò quando superammo il confine.
«Che vuoi?» risposi acida.
«Prima o poi sarebbe successo» mormorò indifferente.
«Meglio "poi" che "prima"» urlai tappando le orecchie alla piccola.
«Dai, Nessie, non fare così!» pregò Jacob al mio fianco.
«Come vuoi che faccia?!» mormorai acida.
«Lo faccio per voi» mi rispose.
Parcheggiò davanti alla casa di Sam.
Era una piccola casa, che un tempo doveva essere grigia, con una piccola finestra a lato destro, e una porta scolorita che un tempo doveva essere blu. Era circondata da fresie color arancio e giallo. Era una casa stupenda.
Jacob scese dall'auto, dando un bacio sulla testa a me e a Valium. Lo seguì con lo sguardo, fino a quando non s'infilò in quella piccola casa. Strinsi forte Valium, e ascoltai la conversazione che avveniva in casa.
«Jake? Che succede?» chiese Sam.
«Dove'è Nessie?!» s'intromise Claire.
«Claire!» sussurrò Emily.
«Vi prego, non fate nulla di avventato. Capitemi» sussurrò Jacob. Nella sua voce c'era preoccupazione, tanto quando la mia. Capì in quel istante che era difficile per me quando per lui.
«Capiremo, se ti spiegassi». La voce di Claire mi risvegliò dai miei pensieri.
«Claire!» questa volta fu Quil a richiamerla.
«Ha ragione. Ti capiremo se ti spiegassi» disse Sam. Era calmo. È saggio. Come sempre. Mi ricordava molto nonno Carlisle.
«Ness?» mi chiamò Jake.
A mal in cuore, aprì la portiera dell'auto, strinsi la piccola, e andai verso casa.
Jacob aveva lasciato la porta semi aperta. Diedi un bacio a Valium, e aprì la porta.
La prima reazione fu lo stupore, poi, ad un tratto, il branco spinse dietro di loro le donne -tranne Lhea- e i bambini, e ringhiarono contro me e Jacob.
In tutta risposta, dal mio petto uscì un ringhio gutturale, che mi uscì fra i denti, facendo immobilizare tutti. La bambina si strinse più forte a me, e Jacob tirò in dietro la sua mano, in cerca della mia. L'afferrai e la strinsi forte, mentre mi spingeva dietro di lui.
Il branco guardava spaventato la bambina, e io incenerivo con lo sguardo ognuno di loro. Poi il mio sguardo incrociò quello comprensivo di Claire.
«Jacob» fece Sam serio «portata via di qui».
«No!» urlò Claire.
«Calma Claire» sussurrò Quil.
Anch'io capì il significato di quelle parole: Portala via, e non tornate più.
Per un attimo squadrai il volto di Jacob. Era tristemente doloroso. Questa era la sua famiglia. E lui era appena stato cacciato via dalla sua famiglia.
Si voltò, e cercò di spingermi fuori dalla porta, ma io non accennai a muovermi.
Guardai a terra e pronunciai le parole più dolorose di tutta la mia vita: «Lei fa parte del branco». Dire la verità mi fece male. Avevo condannato mia figlia ad essere un licantropo/mutaforma. A far parte del branco.
Ero ad un vicolo cieco, e io non ciò pensato due volte -anzi non ciò pensato proprio- a sacrificare mia figlia.
«In che senso?» chiese Sam.
«E troppo piccola» disse Rachel acida. Era al fianco di Paul, che la proteggeva con il suo corpo.
«Ness, credo che dovremmo andare» mormorò Jacob. Mi teneva per un braccio, e mi fissava negli occhi. Era completamente voltato verso di me, e dava le spalle all'intero branco.
I suoi occhi neri mi nascondevano la tristezza in un espressione di indifferenza.
Ma io non gli prestai attenzione. I miei occhi bruciavano all'interno di quelli di Sam. Ormai era fatta.
«Jacob, alza la manica alla piccola» sputai fra i denti, senza distogliere lo sguardo da Sam.
«Ness!» mormorò Jacob.
«Per favore, fa come ti ho chiesto» risposi.
Esito qualche istante, poi obbedì.
Il branco sussultò quando vide il sigillo.
«È impossibile» sussurrò Seth.
«Non credo» mormorai acida.
«Com'è possibile?» chiese Emily a Sam.
«E una leggenda» rispose Sam. «I lupi più forti nascevano con il sigillo. Si dice che Ephraim e nato con il sigillo» spiegò.
«Non è pericolosa» ribattè Jacob.
Ma Sam ringhiò.
«Suvvia, Sam. Non vedi quant'è dolce» disse Emily. Passò avanti a Sam, e mi si avvicinò. «E tu chi sei, piccola?» chiese Emily alla mia Valium.
«Ancora non parla» risposi sorridento.
«Posso?» chiese Emily porgendo le mani per prendere la piccola.
«Certo. Valium?» chiesi. Lei porse le piccole braccine paffute verso Emily, che l'afferrò, e gli diede un piccolo bacio sulla testa.
«Valium?» chiese Emily scettica.
«È una lunga storia» dissi sorridente.
«È bellissima» mormorò Emily immersa nei suoi occhi blu.
«Lo so» risposi.
La temperatura scese. Sam e l'intero branco iniziò a parlare con Jacob, mentre le donne s'innamoravano una dopo l'altra di Valium.
Era tra le mie braccia quando Claire uscì da una stanza con dietro Quil.< Non mi ero accorta che era sparita.
«Tu!» disse alzando il dito verso di me, mentre Quil si sporgeva protettivo verso di lei. « Perché non mi hai più risposto alle telefonate!» si lamentò.
«Mamma a tempo pieno non ti basta?» la prese in giro Kim.
«No, non per questo. E che avevo paura per te» risposi. Tutte capirono cosa intendevo, ma non fecero commenti.
«Jake mi aveva detto che tu non potevi avere figli» comunicò acida Rachel.
«Si, l'avevi detto anche a me» rispose Claire.
«Lo credevo. Ma mi sbagliavo» risposi.
«Sono contenta per te!» disse Claire. «Aspetta un attimo! Tu due settimane fa non eri incinta! Ci siamo viste a La Push!» sbottò Claire.
«Vero» ricordò Rachel.
«E stata una gravidanza veloce» mi limitai a dire in un sussurro.
«Aspetta un attimo!» fece Claire «quanti mesi ha?».
«Cinque giorni» risposi sincera.
«Cinque giorni?!» chiese Amanda sorpresa.
«Ed è già così grande?!» chiese Claire nello stesso tono di voce di Amanda.
«Si! Sa già camminare e parlare» risposi sincera.
«Come, prima hai detto che non sapeva parlare» disse Emily sinceramente.
«Ho detto che non parla, non che non sa parlare» corressi.
«Oh» si limitò a dire.
«Non vuole. Mio padre dice che sa parlare, ma non vuole per qualche strano motivo che non gli vuole rivelare» spiegai.
«Con tuo padre parla?» chiese Claire.
«Claire, non dirmi che non ricordi che ogni volta che combinavi qualcuna delle tue lui lo sapevi?» chiese sarcastico Quil.
«A già. Legge nel pensiero» mormorò Claire.
«Esatto» mormorai.
Valium iniziò a fare i capricci quando vide P.j, Levi, Mary, Kelly e Bob. La più grande era Kelly, e aveva nove anni, seconda figlia di Sam, poi c'era Levi suo fratello di otto anni, Bob, figlio di Kim e Jared, che aveva cinque anni, e per ultimi Mary - seconda figlia di Kim- e P.j. -mio nipote- che avevano entrambi quattro anni.
Valium si dimenava tra le mie braccia, quindi la misi a terra, e la vidi andare a giocare con i bambini. Nel esatto istante in cui lasciai la piccola, Claire mi saltò addosso.
«Tu non sai quando mi sei mancata» urlò.
Mi prese per mano, e mi trascinò in un angolo, e si mise a parlare di lei e di Quil.
Passò mezz'ora, e Valium si alzò. La seguì con lo sguardo, fin a quando non la vidi dirigersi verso... Lhea?
Era seduta in disparte, sul divano a due piazze che era appoggiato alla parete. Sola soletta. Non prestava nessuna attenzione a noi o all'altre donne. Nemmeno al branco.
Valium le fu davanti e le sorrise. Lhea non se ne accorse. Era tutta concentrata al telefono.
«Ciao» disse una voce cristallina nell'esatto istante in cui spostai lo sguardo dalla scena.
Il silenzio scese nel piccolo salotto della casa di Sam e Emily. Tutti gli occhi cadderò sulla mia piccola.
Lhea abbassò lo sguardo, e rimase stupita. «C...ciao» balbettò.
«Io sono Valium. Tu come ti chiami?» chiese la voce di poco prima.
«L...Lhea» rispose timidamente quest'ultima.
Valium camminó qualche passo, e saltò agile sul divano, sedendosi vicino a Lhea. «Posso chiamarti Lee-lee?» chiese la piccola.
«In realtà è il nome che mi davano da piccola» rispose Lhea. C'era un non so che nel suo sguardo che mi colpì. Era stupore... e simpatia.
«Perfetto! Ti chiamerò Lee-lee» dichiarò Valium.
«Hai detto che ti chiami Valium, vero?» chiese Lhea. Valium annuì. «Ti posso chiamare V.?» chiese Lhea.
«Bello! Certo! Chiamami V.!» rispose entusiasta Valium.
Da quello che mi aveva detto Jake, Lhea era la più problematica del branco.
Una specie di zia Rose prima della mia nascita.
Ma Lhea era fastidiosa, antipatica e molto arpia. Ma non la conobbi mai veramente. Se ne stava sempre per conto suo le poche volte che la vedevo. E a dirla tutta, mi stava pure antipatica. Ma non potevo obbligare Valium a non parlarci. In fondo ci avrebbe scambiato solo qualche parola. Le sue prime parole.
Tutti lasciarono stare sia Valium che Lhea. E così il resto della giornata passò in fretta. Arrivò il momento di ritornare a casa. Mia madre ci aspettava a casa Cullen.
«Allora?» chiesi alla piccola quando eravamo in auto.
«Allora cosa?» disse Jacob.
«Ho chiesto a lei! Hai affittato la lingua al gatto che te l'ha mangiata?» chiesi sarcastica. Lei mi fissò e annuì. Restai a bocca aperta. «Dì qualcosa!» ordinai esasperata.
«Che vuoi che dica?» chiese Valium.
«Che ne so? Mamma o papà?» risposi sarcastica.
«Mamma e papà» disse. Jacob, al mio fianco, rise.
«Lo trovi divertente?» chiesi acida.
Mi fissò come per dire si, e io misi il broncio.
«Dai, non fare così!» pregò Jacob.
«E come dovrei fare? Ha preferito Lhea a me!» risposi arrabbiata.
«Dai, non vederla così! È solo una bambina! Vedrai che da domani parlerà anche con te! Anzi, già da sta sera!».
«Lo spero» mormorai.
Appena arrivammo a casa Cullen, diedi la piccola a Jacob, e m'infilai in casa.
«Nessie è arrabbiata?» chiese Valium a Jacob. Nessie?
«No, e solo un pò triste» rispose Jacob. «E poi la devi chiamare mamma» continuò.
Entrai in salotto, e senza salutare nessuno, mi buttai sul divano. Otto paia di occhi mi fissarono incuriositi.
«Non capisco quel cucciolo» sputai fra i denti.
«Perché?» chiese mia madre.
«Glielo spieghi tu, o lo devo fare io?» chiesi acida alla bambina.
«Lo sapevo, l'ho fatta arrabbiare!» disse la piccola.
Gli occhi dei Cullen si sgranarono nel sentire quella voce così cristallina. Tutti i Cullen erano sorpresi, tranne mio padre.
«No, non mi hai fatto arrabbiare, e solo che... volevo essere io la prima a sentire la tua vocina» spiegai sorridente.
«Be', sei stata la seconda. Sei sempre sul podio» rispose lei.
«Dimmi un pò, ti sei mangiata un dizionario?» la prese in giro mio padre.
Valium si dimenò fra le braccia di Jacob, che fu costretto a posarla a terra.
Lei corse tra pe braccia di mio padre, che la fece sedere sulle sue gambe.
«No! Tu mi hai insegnato a leggere, e io l'ho letto» rispose Valium.
«Oh, certo Valium, è una cosa di tutti i giorni» commentò sarcastico Jacob.
«Vero» prese in giro zio Emm.
Valium fece la linguaccia a entrambi.
«Ness, sicura che abbia cinque giorni?» chiese mia madre.
«No» risposi esasperata.
Restammo poco tempo in casa Cullen. Ero stremata, e si notava troppo.
Quando rientrammo nella nostra casa, mi feci una doccia veloce, e mi buttai nel letto, abbracciandomi la mia piccola -non aveva intenzione di dormire da sola.
Sognai un oggetto che apparteneva ad una vita precedente. Una collana, in un comodino, vicino al mio letto, nella mia vecchia camera. Una collana a quattro spaghi color corallo, che si intrecciavano a un rombo di ferro. Una promessa fatta per quella collana.
Collegai in un secondo, mentre dormivo, tutto.
Il regno del prima; l'angelo dagli occhi blu e i capelli bronzei; La collana. Valium.
Jacob mi stava accompagnando a casa Cullen.
Fu strano il suo comportamento. Era euforico. Già dal giorno prima, solo che io non me ne accorsi.
Parcheggio davanti a casa Cullen.
«Ora devo andare» comunicò quando ci trovammo davanti alla porta.
«Cosa?» chiesi confusa.
«Mi dispiace» disse sorridente. Schiocco un bacio sulla testa alla bambina, e mi diede un bacio sulle labbra, prima di scomparire nella sua auto.
Entrai in casa, e corsi verso mia madre.
«Mamma, andiamo un attimo a casa? devo prendere una cosa» le chiesi.
Sembrò confusa da quella domanda. «C...certo» rispose.
Mia madre aprì la porta della mia vecchia e piccola casa, invitandomi ad entrare.
Io lasciai Valium a terra, e gli chiesi la manina. Le si scosto i capelli dagli occhi -un liscio a caschetto-, afferrò la mia mano.
La trascinai nella mia vecchia stanza. Gli lasciai la mano, e lei iniziò a guardarsi attorno. Era molto sorpresa. Dopo che ero andata via, non era cambiata una virgola.
M'inginocchiai vicino al comodino. Aprì il cassetto, e afferrai la collana.
«Valium? vieni un secondo» la chiamai. Lei si avvicinò, e io le porsi la collana. «Ti piace?» chiesi.
«Molto» disse entusiasta.
«Girati» ordinai. Lei obbedì. Gli spostai i capelli da un lato, e gli misi la collana.
Lei osservo il ciondolo, e sorrise.
«Nessie? Hai finito?» chiese mamma dall'altra stanza.
Mi alzai, e presi fra le braccia Valium. «Si» risposi.
«Oh, quando sei bella con questa collanina» si complimentò mia madre con la piccola, facendola arrossire.
Poi fu un secondo: nell'occhio destro di Valium passò un lampo. Una strana luce che coloró per un attimo tutto l'occhio di rosso.
Poi fu un secondo: nell'occhio destro di Valium passò un lampo. Una strana luce che coloró per un attimo tutto l'occhio di rosso. 
Nel momento esatto in cui il suo occhio si tinse di rosso, un urlò lancinante venne da fuori.
Mamma si precipitò fuori, e io la seguì a ruota, prendendo fra le braccia Valium.
La scena che vidi fu spaventosa: una donna, bellissima e dalla pelle bronzea, si dimenava sotto una quercia, mentre il suo ventre gonfio tremava.
Presa dal terrore, afferrai il telefono, e composi il numero di papà, mentre mia madre si precipitava dalla donna bellissima.


Spazio all'autrice:
Ciao a tutti!:)
Molte persone hanno criticato questa parte della storia, e, anche se le ho aggredite- mi scuso per il mio comportamento da stupida bambina viziata, ma non ci tengo proprio a farmi dei nemici- ho deciso di modificarla, sperando che gli piaccia di più.
Quindi leggete ed esprimetevi.
A presto, V.

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Capitolo 8
*** Futuro ***


Mio padre si precipitò a casa nostra, e fissò la donna che non smetteva di urlare.
Guardò un attimo mamma, poi carico la donna sulle spalle, e corse in direzione di casa Cullen, con mamma e me che avevo tra pe braccia Valium a seguito.
Lasciai Valium a zia Rose, che continuava a guardarci terrorizzata.
La portammo sul lettino di ospedale, nello studio di Carlisle.
«Bella, Nessie, fatela parlare!» ordinò papà mentre studiava il ventre tremolante della donna.
«Che hai?» chiese immediatamente mamma, prendendole il viso tra le mani, facendo si che la guardasse negli occhi.
«Sono incinta» mormorò la donna con uno strano accento portoghese.
«Chi sei?» chiesi io cacciando le mani di mamma dal suo viso.
«Mi chiamo Milihan... Sono una sorella di Nahuel... Lui mi ha detto che qui ci aiuterete... Che farete nascere il mio piccolo... Mi ha detto che c'è una nostra simile» mormorò la donna in preda agli spasmi.
«Bella, vai ha prendere dell'acqua calda!» ordinò papà.
Mia madre uscì senza proferire parola.
«Dov'è il nonno?» chiesi mentre stringevo la calda mano di Milihan, più calda per via della febbre.
«È ha caccia! Dobbiamo pensarci noi!» rispose lui. «Tranquilla, Milihan. Vi aiuteremo entrambi» mormorò papà.
La ragazza ansimava, e ci squadrava entrambi. Si vedeva da un chilometro che era spaventata.
«Chi è il papà?» chiesi cercando l'attenzione della donna.
Mia madre aprì la porta, e si mise vicino a mio padre, per aiutarlo, lasciando la bacinella colma d'acqua sulla scrivania di mio nonno.
«È un vampiro nomade... Veniva dall'Inghilterra per parlare con Senna e Zafrina ... Si chiamava... Alistar» mormorò Milihan.
Io e i miei genitori ci scambiammo uno sguardo, mentre i ricordi si facevano largo nelle nostre menti, per ricordare quel vampiro, che per paura dei Volturi, ci voltò le spalle, dieci anni fa.
«L'incontrai per caso... Era un giorno come tanti...» un urlò lancinante interruppe il suo racconto.
«Senti Milihan, noi vogliamo aiutarti, ma tu devi collaborare. Il tuo bambino starà bene, ma devi parlarmi, chiaro? Devi restare sveglia, qualsiasi cosa accada, capito?» incitai la ragazza, mentre mi guardava con gli occhi sbarrati.
I ricci capelli neri, erano zuppi di sudore, e i suoi occhi neri colmi di lacrime, mi supplicavano di ucciderla.
«Edward...?» fece mia madre, supplichevole.
«Bella...?» fece lui disperato.
«Aiutiamola!» decretò decisa Bella.
«Vai ad aiutare a Ness» ordinò papà. «Senti Milihan...» disse mio padre, rivolgendosi alla ragazza. «Ora tu ci devi aiutare, se vuoi tenere in vita il tuo piccolo, capito?» continuò mio padre.
Strappò il vestito di pelle selvatica di Malihan, e affondò i denti nella carne di Milihan, facendo urlare quest'ultima.
Il corpo di quest'ultima, venne colto da spasmi, mentre papà cercava di dare alla luce quel bambino.
Un urlo tremendo rimbombo per la stanza, seguito da un sonoro "crak".
Malihan svenì, ma le sue urla furono rimpiazzate dai gemiti di un bambino.
Mio padre aveva tra le braccia un bambino, pallido, con i capelli neri e gli occhi rosso sangue socchiusi.
Cercavo di mordere lo spazio fra noi.
«Bella, Nessie, andate di là, a lei penso io» mormorò mio padre.
Senza dire una parola, mamma prese il bambino, ed, insieme, uscimmo dalla stanza.
Valium dormiva tranquilla tra le braccia di zia Rose, e ciò mi tranquillizzò.
Pochi minuti dopo mio padre uscì dallo studio di Carlisle, e ci disse che Malihan stava bene, e che voleva vedere il suo bambino.
Mamma glielo portò, e dopo averglielo lasciato tra le mani, uscì, senza proferire parola.

Quando tornò Carlisle, visitò Malihan, e ci disse che stava bene.
Fu un sollievo per tutti.

Più tardi, arrivò Jacob, e dopo avergli spiegato la situazione, gli affibbiai Valium, per andare -con mia madre- a parlare con Malihan.
Era ormai buoi, e lei si trovava nella camera di papà, sul letto da ospedale.
La stanza era completamente al buio, e lei era china sul bambino, a cui dava del sangue di donatore con un biberon di ferro.
«Malihan?» la chiamò mia madre.
La giovane alzò lo sguardo, e i suoi occhi neri incrociarono quelli di mamma, e in un attimo, sulle sue labbra , gli si dipinse un sorriso lieve.
«Grazie» mormorò nel suo strano accento.
«Aiutarti e stato un nostro dovere. Con quale coraggio credi che ti avremmo potuto lasciare là, da sola?» rispose mamma sorridente.
«Con il coraggio che solo un vampiro puoi avere» mormorò la ragazza, con un tono triste nella sua voce.
Il silenzio calò fra di noi, consapevoli tutti della ragione che aveva quella ragazza.
«Sapete, avrei tanto voluto crescere in questa famiglia» mormorò nella sua voce melodiosa, rompendo il silenzio.
«Be', se vuoi, puoi pure rimanere» mormorai.
«Ho detto crescere, non vivere. Non so come farei senza la mia foresta amazzonica» rispose ridendo. «Sapete...» cominciò Malihan, guardando il bambino. «... Mio padre non mi avrebbe mai aiutata. Per canto suo, gli umani erano solo cibo, ed avere qualche problemi ad livello fisico, nella nostra "famiglia", significava morte» continuò in un mormorio.
«Tuo padre ti avrebbe ucciso?» chiesi senza pensarci.
«Ha lasciato che le nostre madri morissero. Non mi sarei sorpresa se mi avesse lasciato lì a soffrire o a morire» mormorò lei in risposta.
Restammo in silenzio per qualche minuto, prima che una domanda mi uscì di bocca. «Come lo chiamerai?» chiesi.
Lei mi sorrise. «Non posso dirtelo ora. E una vecchia tradizione del mio popolo. Non posso dare un nome a mio figlio fino a la prima notte di luna piena, cioè domani. E poi non lo devo scegliere prima, mi deve venire spontaneamente, senza pensarci su» spiegò lei.
«Oh...» mormorai.
«Perché non ci racconti come hai incontrato Alistar?» propose mia madre.
Lei rise e iniziò a raccontare la sua storia: «lo conosciuto per caso. Un giorno venne a parlare con Zafrina e Senna. Era venuto per conto di un clan irlandese, a chiedere di voi.
La nostra storia, durò mesi. M'insegnò a leggere e a scrivere. L'unica cosa che non riuscì a condividere, fu il fatto di non avere lo stesso rispetto per la vita umana, ma rispettammo le nostre scelte.
La nostra vita poteva essere perfetta...» nel bel mezzo del racconto, una lacrima gli solco il viso. «... Un giorno, mi alzai, e lui non c'era più... Al suo posto, c'era una lettera col scritto che il suo posto era a londra, e se volevo, potevo raggiungerlo quando volevo.
Tre settimane dopo capì di essere incinta, e Nahuel mi disse di venire qui, per essere aiutata... Ed eccomi qua» mormorò stringendo di più il sui bambino al petto.
«Credo che dovresti riposare» mormorò mamma.
Si avvicinò al bambino, e Malihan le lo porse, e lei lo afferrò.
Uscimmo dalla sua stanza, e Valium si precipitò fra le mie braccia, con Jacob a seguito, e papà, che prese mamma per la vita.
«Sta bene?» chiese papà guardando la sua vecchia camera.
«Dorme» rispose mamma, che strinse più forte il piccolo.
«Nonno! Nonno!» mormorò con insistenza Valium, tirando la camicia a mio padre.
«Si, piccola?» rispose mio padre, prendendola in braccio.
«Voglio vedere il bambino» rispose Valium, sporgendosi dalle braccia di mio padre, per vedere il piccolo.
Restò un attimo imbambolata, mentre mio padre impalidiva e sgranava gli occhi.
Tirò immediatamente via Valium, che pretese di scendere.
«Che succede?» mormorai sospettosa e preoccupata al tempo stesso.
Valium, intanto, iniziò a girovagare per il corridoio, strofinandosi l’occhietto destro.
«Valium, che hai?» chiesi andandole vicino.
«L’occhio, mi brucia» disse in un lamento. Dopo pochi minuti, smise di strofinare l’occhio, e lo apri.
Era rosso sangue, più di quelli del bambino. «Ma che cosa è successo?» chiesi a Jacob, terrorizzata.
«Rose! Rose!» chiamò mio padre, con molta rabbia nella voce.
Zia Rose si precipitò nel corridoio del terzo piano della grande casa, e dopo aver ricevuto delle istruzioni da papà, portò giù i piccoli, mentre papà si dirigeva nello studio di Carlisle, proferendo solo una parola: «seguitemi!».
Entrammo nello studio, dove papà mi fece sedere.
«Che succede?» chiesi terrorizzata, rivolgendomi a papà.
«Ho il... Presentimento che... Valium... Abbia avuto l'imprintigh!» rispose intimorito.
«Valium … Valium ha avuto l’imprinting?» chiese Jacob sbigottito quando me.
«Scherzi, vero?» chiesi nel suo stesso tono di voce.Ora, ero sicura, che non ci capivo proprio nulla della vita.
Papà fece cenno di no con la testa. «Ma ci sono altre possibilità» mormorò. «Quali?» chiesi disperata. Ero seduta, con la testa fra le mani, e, senza volerlo, piangevo.
«Nasconderglielo. La bambina non è intelligente come te, col passare del tempo dimenticherà» propose papà.
Un ringhio usci dal torace di Jacob. Lo azzittì con la mano, alzando la testa.
«Fino a quando?» chiesi speranzosa. «No!» gridò mamma alterata. «Cosa? La volete far soffrire?» urlò Jacob.
«Appunto per questo lo sto facendo, per non farla soffrire. Domani quel bambino sparirà, e lei se ne dimenticherà!» risposi quasi urlando.
«Le lo terremo nascosto fino a quando sarà responsabile, cosi non potrà più soffrire» propose papà. Ma subito qualcosa lo turbo «Bella, stai usando lo scudo?».
«No, lo sento quando va per conto suo, ma ora no» disse mamma visibilmente irritata.
«Vi prego, non dite a Valium di lui. Per favore» mormorai prima di alzarmi e uscire dalla stanza.
Valium dormiva fra le braccia di nonna Esme.
La presi, e la portai a casa, senza aspettare a Jacob.
Appena entrata, posai Valium sul mio letto, e dopo una breve doccia, m'infilai nel letto, insieme a Valium, stringendomela al petto.

Il mattino seguente, mi svegliò Jacob, mentre si preparava per il lavoro.
Ma anche se mi svegliò, preferì non alzarmi, solo per non incontrarlo. Un'altra sfuriata, e non saprei cosa avrei fatto.
Svegliai Valium, ed insieme andammo a casa Cullen, dove, con nostra grande sorpresa, regnava il subbuglio più totale, se bene a casa fossero solo in due: zia Rose e mia madre.
«Che succede?» chiesi entrando in casa.
«Malihan e sparita» mormorò mamma, mentre cullava il bambino. Stringeva fra le mani una lettera, che non esito a darmi.
Ne lessi subito il contenuto.
"Cari Cullen,
vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me e per il mio bambino.
Ma non posso restare qui, e mio figlio non può restare con me. Spero che capirete. La vita che avrà con voi, con me non l'avrà.
Quindi, addio. Se un giorno avrò fortuna, tornerò. Lo prometto. Spero che con voi vivrà piena di rispetto per l'umanità".
«Sono andati tutti a cercarla» mormorò zia Rose.
«Dove? Ora sarà a migliaia di miglia da qui!» sbottai.
Valium si strinse di più a me, e il bambino lanciò un piccolo gemito. Mamma lo strinse, e gli baciò il capo.
Era stranamente materna nei confronti del piccolo.
Le ore passarono, e i Cullen non tornavano.
Era ormai sera quando la porta della casa si aprì, e i Cullen entrarono. Da soli.
«Non l'avete trovata?» chiese zia Rose.
«No. Abbiamo seguito le sue tracce fino allo stato dell'Oregon, siamo arrivati pure in California. Ma era troppo veloce, ed è stato un azzardo andare fin a lì, dove il sole è molto forte. Abbiamo deciso di tornare indietro Appena sfiorato il confine col Messico» spiegò papà, un pò rintristito.
«E il bambino?» chiesi io, stizzita.
«Ce ne prenderemo cura io e Carlisle» rispose nonna Esme molto dolcemente.
Poi tutti guardarono mamma, che non aveva smesso nemmeno un'attimo di tenere tra le braccia il bambino.
«Sempre se qualc'un altro non si voglia prendere cura di lui» disse papà sorridente.
Mamma alzò lo sguardo , e incrocio quello di nonna Esme. «Spero che non ti dispiaccia. Ma sono rimasta completamente imponotizata da questo bambino» mormorò entusiasta.
«Fai pure. Sono contenta» rispose nonna Esme.
«Mamma, dobbiamo parlare!» decretai dirigentomi al terzo piano, della casa.
Mamma mi seguì, con il bambino, mentre entravo nella vecchia camera di mio padre.
«Non ti capisco!» sibilai fra i denti. «Ti ho chiesto di nascondere a Valium del suo imprintigh con lui, e tu decidi di tenerlo con te. Io speravo che se ne andasse!» piagnucolai.
«No, io terrò segreto l'imprintigh. Lo giuro, perché so che lo reputi la cosa migliore per tua figlia.
Però, devi tenere segreto a questo bambino le sue origini» spiegò.
Mi lasciò un pò spiazzata. «È perché?» chiesi incuriosita.
«Perché non voglio che mi voglia bene come la donna che l'ha cresciuto. Voglio che mi voglia bene come una madre!» rispose decisa.
Ci pensai un attimo, e decisi che era la cosa migliore per tutti. Non conoscevo bene la sensazione di essere abbandonata, ma non auguravo a nessuno quella sensazione.
«Ci sto» mormorai solamente.
Mamma annuì, mentre si sedette sul letto dove fino al giorno prima c'era Malihan.
La luna illuminò la stanza, e mamma la fissò un istante. Poi incrociò lo sguardo del bambino. «Benvenuto al mondo, E.j.» mormorò entusiasta.

E.j. entrò a far parte delle nostre vite tanto quando Valium.
Carlisle disse che aveva una piccola percentuale umana, che lo faceva crescere, e gli dava un odore disetante: un misto di fiori, lilla, fresia e ... sole. Molto simile a quello di mia madre quand'era ancora umana.
Quell'essere, ormai, veniva considerato mio fratello. Anche se non di sangue, visto che le sue vene erano vuote.

Il tempo passava indisturbato. Come se l'eternità dovesse finire.
Era strano come passasserò indisturbati i giorni. Tre giorni. Per gli umani sarebbero poco, ma per me, no.
Mamma e io eravamo seduti sul divano di casa mia. Valium e E.j. giocavano a terra.
Mamma insistette molto perché cresceserò come fratelli, ma nonostante questo, sapevo che appena sarebbero diventati adulti, la loro non sarebbe più stata tenera fratellanza. Parlo per esperienza personale.
Giocavano felici con i peluche di Valium. Erano così spensierati. Gli invidiavo un pò.
La porta si spalancò di colpo. Jacob corse su per le scale, con una vecchia valigia tra le mani e - ci avrei messo la mano sul fuoco- gli occhi con una strana lucidità.
«Mamma, cos'ha papà?» chiese Valium.
«Niente» mormorai prima di rivolgermi a mamma. «Puoi portare i bambini a casa Cullen? Vorrei parlare da sola con Jake» chiesi a mia madre.
«Certo, tesoro» mormorò. «Valium, che ne dici di andare a casa Cullen a giocare?» chiese rivolta a Valium.
«Si! Voglio giocare nella casa grande!» urlò entusiasta la piccola. Mia madre prese entrambi i bambini in braccio, e si volatilizò oltre la porta si casa.
Io corsi al piano di sopra, e scovai Jacob a sistemare la sua roba nella cabina armadio.
«Hai litigato di nuovo con tuo padre per me?» chiesi con un tono di voce triste.
Lui si bloccò, ma non si voltò per guardarmi in viso. «Definitivamente» mormorò.
Da quel giorno, io e Jake non parlammo molto. Era arrabbiato con me, e lo capivo.
Ricominciò a sistemare i suoi vestiti nella cabina armadio.
«Definitivamente?» chiesi io preoccupata.
Si voltò. I suoi occhi erano colmi di lacrime e rossi. il suo volto esprimeva solo tristezza. Mi bruciava al cuore.
«Che ti credi? Che tutte le famiglie sono come la tua? Tutte rose e fiori?» sputò fra i denti.
«Lo sai perfettamente che la mia vita non è rose e fiori! Anch'io ho i miei problemi!» sbottai arrabbiata.
«Si! Certo! Tipo quello di nascondere a tua figlia che ha avuto l'imprintigh a solo una settimana vita! Oh, si, che gran problema! Non so come tu ci riesca! Finiscila Ness! Te lì sei sempre creati i problemi!» urlò.
Le sue parole si schiantarono su di me, e quasi mi cedettero le ginocchia.
Lo fissai negli occhi, cercando di trattenere le lacrime.
«Se è quello che pensi» sussurrai con una falsa calma nella voce.
Lui si voltò, e io feci per andarmene.
«"Quel mostro non è mia nipote"» sussurrò a voce strozzata.
Billy. Ne aveva avuto il coraggio?
Mi voltai, e gli cinsi la vita con le braccia, poggiando il capo sulle sue enormi spalle.
«Supereremo anche questo, amore mio» mormorai.
Sciolse delicatamente il mio abbraccio. Si voltò, e mi strinse contro il suo petto.
«Come abbiamo sempre fatto» rispose tristemente. «Sono morto ogni giorno aspettandoti, tesoro. Non aver paura. Risolveremo tutto» mormorò triste.
Mi staccai da lui con delicatezza. Mi misi in punta di piedi, e posai le mie labbra sulle sue.
Non mi baciava con passione, ma con dolore. Lo sentivo che bruciava dentro di lui. Ma le sue labbra bramavano le mie. Quindi arretrai fino a sedermi sul letto. Strisciai fino ad arrivare al cuscino.
Si staccò da me, e mi lanciò un mezzo sorriso. Cercò di alzarsi, ma io glielo impedì.
«Che c'è?» chiesi preoccupata.
«Non avevi detto "niente bambini finché Valium non sarebbe stata abbastanza grande"?» chiese ironicamente.
«Ho iniziato a prendere la pillola. Dopo una visita di Carlisle, ha detto che funzionava su il mio corpicino. Lo stesso che ora ti desidera più che mai!» risposi con un pizzico di malizia nella voce.
«Chissà come e stato duro per Edward! Avrei tanto voluto esserci!» rispose ridendo.
Le nostre labbra si rincontrarono. Spegnendo la mia sete di lui.
Dopo la nascita di Valium, non siamo stati da soli neanche un pò. Nemmeno la notte, quando insisteva di voler dormire con noi.
Eppure, non riuscirò mai a pentirmi della mia piccolo Valium.

«Ne voglio 10 di figli» mormorai un minuto dopo che la mia sete di lui era stata messa a tacere.
«Anch'io. Basta che somigliano tutti a te» disse ridendo. «Così, quando mi lascerai, avrò dieci ricordi di te» disse scherzando.
Io mi posai sul suo petto, e cercai il suo sguardo.
Quando lo trovai, parlai seriamente: «io, Renesmèe Carlie Cullen -meglio conosciuta come Nessie- non ti lascerò mai. Te lo prometto».
Mi fissò un istante, e mi fece mettere a cavalcioni su di lui, premendo le sue labbra sulle mie. La mia lingua cercò la sua, accarrezandola.
Mi staccai dalle sue labbra, e mi alzai dal letto.
«Andiamo da Valium?» chiesi supplichevole.
«Certo» rispose lui alzandosi dal letto.
Appena arrivata a casa Cullen, Jacob -dopo aver scherzato per tutto il viaggio in auto- disse: «devo andare».
«Ma dove passi tutte le sante mattine e tutti i santi pomeriggio?» chiesi insospettita. «Hai un'altra donna?» scherzai.
«Come te lo devo dire che amo solo te?» mormorò posando le sue labbra sulle mie. «Fatti bella. Sta sera ti porto fuori a cena» disse quando le nostre labbra si staccarono.
Uscì dall'abitacolo, ed entrai in casa.
«Mamma! Mamma!» urlò Valium entusiasta correndomi incontro.
L'afferrai al volo, e girai su me stessa.
Valium stava diventando bellissima: i suoi capelli di bronzo gli cadevano dritti sulle spalle, il suo viso ogni giorno diventava più ovale, ma restava sempre dolce e paffuto, era alta fino al mio ginocchio - e io ero alta un metro e ottanta. L'unica parte che odiavo di lei, erano quegli occhi, che fino tre giorni prima amavo tanto.
Carlisle non diede una spiegazione precisa a quel che gli era successo. Ma io si. Era la parte di lei che l'avrebbe sempre legata a E.j.
«Sbaglio, o Jacob ha detto che ti devi fare bella per sta sera?» chiese zia Alice interrompendo i miei pensieri.
«Sbagli» rispose Valium. «Mamma è già bella così com'è!» continuò fiera.
«Zitta marmorchia, se non vuoi una dose di soletico super forte!» minacciò scherzosa zia Alice.
Valium scese abilmente dalle mie braccia, e sparì oltre il salone, con zia Alice al seguito.
Mi arrivò un messaggio. Controllai il display, e aprì il messaggio.
"Passo a prederti alle 7:00, bellezza. Jake".
Zia Alice mi afferrò il telefono dalle mani, e legette il messaggio.
«Oh santo cielo! Sono già le cinque!» esclamò impaziente. Mi prese la mano, e mi trascinò nella sua stanza.

Non sapevo dove Jake mi stava portando. Ma speravo che il mio abito da cocktail nero lungo fino sopra il ginocchio, e le decoltè nere rigorosamente tredici centimetri non sembrasserò esagerate e volgari.
«Dove mi stai portando!» pretesi di sapere dopo un'ora di viaggio.
«È una sorpresa! Quante volte te lo devo ripetere!» disse tenendo gli occhi sulla strada.
Era vestito elegante anche lui: aveva una camicia bianca, coperta da una semplice giacca nera, con una cravatta abinata, un paio di jeans neri, con scarpe nere laccate.
Posai la pochette sul cruscotto della sua vecchia auto- non mi ricordo mai il nome, ma so che ci aveva lavorato molto quando aveva quindici anni-, e accavallai le gambe, incrociando le braccia al petto mentre sbuffavo impaziente.
«Sai, stasera sei molto sexy» disse con qualcosa di strano nella voce. «Ti strapperei i vestiti in questo momento» continuò. Mi voltai a fissarlo, e notai che il suo sguardo si soffermata sulle mie gambe accavallate e sulle mi braccia incrociate sul petto. Poi si voltò a fissare la strada, e posò la mano sulla mia gamba.
«Grazie» mormorò d'un tratto.
«Di cosa?» chiesi sorpresa.
«Grazie di esistere» rispose. La sua voce era felice.
«Prego» risposi sorridento.
Dopo un'altra ora di viaggio, entrammo a Seattle.
Parcheggiò davanti al più gettonato ristorante di Seattle.
Scese dall'auto, e mi venne ad aprire la portiera. Mi aiutó a scendere, e mi porse il braccio. Io l'afferrai, e lui mi portò dentro il ristorante.
La maître iniziò a fargli l'occhio dolci, poi incrociò il mio sguardo, e rimase delusa.
«Buonasera. Posso esservi utile?» chiese con voce da gatta morta.
«Si. Ho prenotato un tavolo al nome Black» rispose Jake al mio fianco.
La maître ci accompagnò a una fila di separè, portandoci ad un tavolo vicino alla finestra.
Jacob mi fece accomodare, tenendomi la sedia, poi si accomodò di fronte a me.
«Mando il cameriere» disse la maître sparendo dietro il separè.
«Che ci facciamo qui?» chiesi sicura che nessuno ci potesse sentire.
«Devo fare due annunci importanti!» comunicò entusiasta.
«Dimmi» ordinai impaziente.
«Ho un lavoro, e l'ho adoro» rispose Jake.
«Cosa?! Un lavoro?! Dove?!». Ero entusiasta quando lui. Finalmente non eravamo più dipendenti dalla mia famiglia.
Qualsiasi cosa ci serviva, avevamo più bisogno di nessuno.
«Ho chiesto un prestito alla banca. Io, Quil e Embry abbiamo aperto una officina! E -siccome l'unica officina a Forks e molto costosa- in questi giorno ho già saldato il debito! Non è fantastico?». Era molto felice. Si vedeva. Aveva esaudito tutti i suoi sogni. Mi strappò un sorriso.
«Buonasera» disse il cameriere. «Madame» disse porgendomi il menù. Se ne andò.
«Che schifezze sono?» mormorai guardando il menù
Lui rise. «Ehi, non fare la sofisticata. So che ti piace più bere che masticare, ma ora no!» scherzó. «Perché non provi il salmone affumicato? E molto buono» propose sorridento.
«Provo a fidarmi, ma se non mi piace lo lascio nel piatto» risposi indifferente. «Tu che prendi?» chiesi sorridentogli.
«Bistecca al sangue! Così ti provoco un pò!» rispose ridendo. Io alzai gli occhi al cielo, prima di incrociare il suo sguardo.
«Facciamo così! Ora io mangio cibo da umani, ma sta notte io è te andiamo a cacciare» proposi. Lui si sporse verso di me, e io feci altrettanto, fino a ritrovare il suo viso a una spanna dal mio, e la sua mano sotto il mento.
«Credo che sta notte avremmo ben altro da fare che andare a caccia!» disse con un filo di malizia nella voce. Io pensai subito a Valium.
«Ho già parlato con i tuoi. Valium dorme da loro» rispose al mio pensiero. Allontanandosi da me.
Il cameriere prese le nostre ordinazioni. E dopo dieci minuti ci portò i nostri piatti.
Appena lasciò la bistecca al sangue davanti a Jacob, mi venne Sete.
Abbassai lo sguardo sul mio piatto. Okay, mai giudicare un libro dalla copertina, ma questo piatto aveva un'aspetto orribile.
«Mangia!» ordinò Jacob, infilandosi un pezzo di carne in bocca.
Cercai di non pensare a cosa stavo per fare. Presi coraggio, e presi con una mano la forchetta e con l'altra il coltello. Ne tagliai un piccolo pezzo -notando con disgusto che non c'era bisogno del coltello per quando fosse tenero-, e lo infilai in bocca. Iniziai a masticare, e mi accorsi che... era ottimo. Delicato e cremoso, con un sapore che non riuscì a definire - visto che io andavo matta per il cibo da umana.
«Allora?» chiese Jacob sorridente.
«Comestibile» mormorai indifferente. Rise. Ma lasciò perdere.
Parlammo tutta la sera. Della piccola, del suo lavoro, di cavolate varie.
Quando finimmo di cenare, pagò il conto, e mi porse la sua giacca. Non avevo per niente freddo, ma avere qualcosa di suo addosso, mi faceva sentire protetta.
Mi portò in un parco, tenendomi per mano tutto il tempo.
«Che ci facciamo qui?» chiesi incuriosita dalla sua espressione. Era pensieroso.
«Sai, alcune delle ultime ore della vita umana di tua madre, lo passate qui» confessò sorridentomi.
«Ah» mormorai. Sapevo che Jacob, un tempo, aveva provato qualcosa di più forte della amicizia per mia madre. Un tempo.
«Io ti odiavo allora» sussurró immerso nei ricordi. «Ed ero venuto qui per avere l'imprintigh con qualcuna -non importava chi-, così avrei dimenticato tua madre, e non avrei sofferto quando sarebbe morta» continuò.
«Jacob, che c'è?» chiesi preoccupata.
«Fammi finire!» ordinò con foga. Io annuì piano, e lui proseguì con il racconto: «avevo perso già mia madre, le mie sorelle mi avevano lasciato solo. Non potevo perdere anche lei! Sarei rimasto senza un punto di riferimento!
Ma qui non trovai nessuno.
Eri così vicina e nemmeno me ne sono reso conto!
Sai che mia madre è morta davanti a me?».
Restai spiazzata da quella domanda. «Mi dispiace. Dev'essere stato difficile per te» mormorai a voce strozzata dal dispiacere.
«Si, lo è stato. Ma mi disse "Jake, vai avanti, anche se tutti ti staranno contro".
Mia madre era la tipica persona che viveva ogni giorno come se fosse l'ultimo.
L'adoravo. E ho sofferto molto quando mi ha lasciato.
Mi ha lasciato una cosa prima di andarsene. E ora voglio che appartenga a te» mormorò quelle parole con una tale malinconia, che riuscì a strapparmi una lacrima.
«Jake, io ho già troppo da te! Non posso prendermi l'ultimo ricordo che hai di tua madre!» sussurrai sfiorandogli la spalla.
«Ma questo regalo me l'ha dato per te» rispose sorridento.
«Non capisco» dissi a voce alta.
«Nessie. Ti ho dato io questo soprannome. Ma ora non mi serve proprio.
Renesmèe Carlie Cullen, sei entrata nella mia vita strappandomi la cosa, che un tempo, giudicavo la più importante. Ma, - a parte nelle tue ultime settimane in cui eri dentro a tua madre - non ti ho mai odiato per questo.
Sei sempre stata coraggiosa. Sei riuscita a portare un peso così grande, come quello della morte fin da quand'eri una bambina. Ti ho sempre stimata per questo.
Mi alzavo ogni mattina pensando a come sarebbe stato bello, oggi, giocare con te. E, ogni sera, andavo al letto pensando a come sarebbe stato bello, domani, giocare con te.
Ti amo» sussurró.
S'inginocchió davanti a me. Mi prese la mano.
«Renesmèe Carlie Cullen, ricordati sempre che ti amo.
La mia vita e perfetta, solo per te.
Ho una figlia magnifica, e solo grazie a te. Alla tua perseveranza, al tuo coraggio e al tuo amore.
Grazie a te, sono l'uomo più felice del mondo.
Renesmèe Carlie Cullen, vuoi diventare mia moglie?». Parlò con uno strano entusiasmo nella voce.
Le sue parole mi colpirono direttamente nel cuore, e le lacrime mi scesero lungo il volto. «Certo che ti sposo!» risposi nei singhiozzi.
«Ora dovrei darti l'anello, ma si trova nella giacca, e l'hai indosso tu» mormorò timido, alzandosi da terra.
Risi tra le lacrime, e infilai le mani nelle tasche della giacca, fino a trovare un cerchio di ferro. Lo afferrai, e senza guardarlo lo diedi a Jacob.
Mi prese la mano, e m'infilò all'anulare un solitario d'oro bianco, con un diamante posizionato al centro della montatura.
Appena l'anello di Sarah Black sfiorò il mio dito, ebbi la sensazione che l'eternità non sarebbe bastata a cacciarmelo da lì.
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice:
Ciao a tutti!
Molti di voi si staranno chiedendo perché ho modificato questo capitolo, modificando l'intera trama. Ve lo spiego subito:
1°: una scrittrice senza fan, e come un re senza popolo. Cioè non serve a niente.
2°: ho letto su wikipedia tutto quello che mi hanno contestato le ragazze a cui la mia storia non è piaciuta, e devo dargli ragione, anche se prima non lo fatto solo per il mio orgoglio, che credevo non esistesse.
3°: così la storia mi sembra più logica, anche se E.j. o Charlie, sarà sempre figlio legittimo di Bella ed Edward.
Quindi ne approfitto per chiedere scusa alle persone che ho contestato ingiustamente. Mi dispiace veramente di non avergli dato conto prima. Le critiche aiutano, e io non gli ho dato peso.
Ne approfitto anche per pubblicizzare la mia storia originale, che si chiama "100 giorni per farla innamorare". Se vi va, passate a leggerla.
Un bacione, V. Alla prossima.<3

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Capitolo 9
*** E.j. ***


E.j. cresceva in fretta, tanto quando Valium.
Riusciva sempre a sorprendere tutti.
Era intelligente, buono e ingenuo. Riusciva a tirarci su di morale anche se non parlava e non camminava.

Passò una settimana dalla nascita di E.j, e due da quella di Valium.
Crescevano come fratelli, non come... due corpi e un solo cuore.
Dopo la sua nascita, mia madre, ebbe la scusa di demolire la cabina armadio. Sapevano perfettamente quando ero gelosa della mia camera, e quindi, dopo averla demolita, fece restringere la parete, e mise un immenso armadio a muro.

Il telefono di mia madre squillò, e lei -come era abitudine da due settimane- afferrò il telefono, e staccò la chiamata di nonno Charlie.
«Non puoi continuare così» l'ammonì Jacob.
«Non ho idee! Come gli spiegherò dei due piccoli? Sai, sei diventato bisnonno e nonno -la seconda volta- nel giro di una settimana? Gli verrà un'attacco di cuore!» esclamò mamma ridendo.
Mi misi a ridere. «Si, ma non possiamo evitarlo per sempre!» risposi seria.
«Vero, ma mettiti nei nostri panni. Non possiamo dire quei due sono figli di un altro mio fratello! Impazzirebbe!» spiegò papà.
«Io voglio essere francese!» sbottò Valium. Tutti ci voltammo a guardarla.
E.j. aveva la testa china su i suoi soldatini, come intimidito da qualcosa.
«Che centra la Francia?» chiese insospettita.
«Io ho avuto una brillante idea!» disse orgogliosa. E.j. alzò lo sguardo, solo per incenerire lei.
«Ma se non sai nemmeno quall'è il problema?!» feci io.
«Si invece! Il padre di Bella!» rispose repentina. Mia madre non voleva essere chiamata nonna.
«Allora?» chiese Jacob.
«Ho avuto un'idea» rispose guardando E.j. di sottecchi.
«Be'?» chiese mamma.
«Praticamente possiamo...» Valium venne interrotta da un soldatino di E.j., che le venne tirato in testa dal sottoscritto.
«E.j.!» lo riprese mamma.
«Non è giusto!» sbottò il piccolo, con voce dolce come il miele, ma che esprimeva rabbia.
Io e il resto della famiglia restammo a bocca aperta.
Tutti, tranne Valium, che saltellava felice per tutta la stanza. Porse una manina davanti a Charlie, e lui, a malavoglia, prese uno dei suoi soldatini, e glielo consegnò.
«Merci!» disse in un perfetto francese, con un sorrisetto beffardo sul volto.
Corse tra le braccia di mio padre, gridando «nonno!».
Mia madre volò al fianco di E.j., intimandoci di allontanarci con la mano.
I Cullen sparirono oltre la porta del salone.
Restammo solo io, Jacob, papà, Valium -tra le sue braccia-, mamma e E.j.
«Andiamo a giocare?» chiese Valium a mio padre.
«Dopo, ok?» chiese mio padre dolcemente.
Lei annuì, e volle venire tra le mie braccia.
«Io vado» disse Jacob, stampando un bacio sulla testa a me e alla bambina. «Tu fai la brava, chiaro?» disse a Valium.
«Cristallino» rispose quest'ultima, con un sorriso a trentadue denti. Mia madre era china sul bambino, e bisbigliava a voce bassissima parole che non riuscivo a comprendere, a cui E.j. rispondeva nello stesso tono.
«Che hai combinato?!» mormorai a Valium.
«Era una scommessa, e io lo vinta onestamente» rispose indifferente.
«Bugiarda!» sbottò E.j.
«Ehi, calmo. Parla con me» disse mamma.
«Senti, se non facevo così, non avrebbe mai parlato!» bisbigliò Valium. Aveva una piccola ruga tra le sopraciglia, che gli dava una espressione di rabbia.
«Bella?!» urlò il nome di mia madre, che si voltò di colpo. «Tieni!» disse lanciandogli il soldatino di E.j. Lei l'ho afferrò e lo diede al piccolo.
Un sorriso di felicità gli si stampò in volto.
«Non si dica mai che Valium bari» detto questo, si liberò facilmente dalla mia presa, e si lasciò cadere a terra, fino ad atterrare sulla tenera moket bianco candida. Andò verso E.j., e gli porse la mano. «Amici come prima?» chiese.
Lui afferrò la mano e la strinse. «Amici come prima!» decretò felice.
«Ora andiamo a giocare?» chiese mio padre, suscitando l'entusiasmo dei piccolo che gridarono all'unisono un «SI!».

Il piano consisteva a mentire a nonno Charlie, dicendogli che che avevamo fatto un viaggio in Europa, e abbiamo adottato due bambini. Un maschio e una femmina.
Certamente, il nonno non avrebbe fatto domande. E questo fu positivo.
Ma uno dei problemi più grandi erano proprio i bambini : come facevamo a mostrare a mio nonno due bambini con gli occhi color rosso sangue? Sai, sono vampiri!
Valium poteva andare -una lente a contatto blu mare, e sarebbe stata una bambina perfetta-, ma E.j. aveva entrambi gli occhi rossi, e se gli avremmo messo un paio di lenti si sarebbero disintegrate nemmeno cinque minuti dopo averle messe.
Quindi si parlava di qualche settimana, in cui E.j. avrebbe imparato a camminare e a cacciare. Anche se ci volevano mesi per far si che i suoi occhi raggiungessero un colorito, se non normale, almeno concepibile.
Certo, potevamo far assumere ai suoi occhi un colore nero onice, ma questo verrebbe a dire non nutrirsi per settimane, e mamma non voleva.

Eravamo in salotto. Valium e E.j. giocavano a terra felici con gli scacchi -Erano molto intelligenti, e gli piaceva molto quel gioco.
Io ero seduta accanto a mio padre, sullo sgabello del piano. Suonavo qualche brano, sotto la supervisione del mio insegnante.
I Cullen erano impegnati in diverse conversazioni. Jacob- che oggi aveva giorno di riposo- mi fissava. Mia madre, invece, giocava con i piccoli.
«Hai sete?» chiese mia madre, interrompendo la quiete di tutti.
Andò ad inginocchiarsi vicino a E.j., guardandolo con fare protettivo.
E.j. aveva la piccola manina posata a coppa sulla gola. Lui si limitò ad annuire.
Mia madre si girò, e ci fissò uno per uno.
«Vi va di fare una passeggiata?» chiese Esme cordialmente.
«È una bellissima idea» rispose Carlisle, alzandosi.
Uno alla volta, i Cullen, si alzarono e usciranno dalla stanza. Notai di sfuggita gli occhi di zia Alice, incenerire mamma con lo sguardo.
Valium si alzò, e si diresse verso Jacob, e dopo avergli preso la mano, si diresse verso mio padre -al mio fianco- e prese la mano pure a lui.
«Andiamo pure noi! Il sangue mi fa vomitare!» spiegò. Fece alzare mio padre, e trascinò entrambi fuori, dietro gli altri della mia famiglia.
Restammo solo io, mamma e E.j.
«Vado a prendere il sangue» comunicò mia madre alzandosi da terra, e dirigendosi in cucina.
La seguì a ruota, lasciando il piccolo da solo.
«Che ti salta in mente?!» chiesi una volta che fummo lontane dal bambino.
«Perché?» chiese lei confusa.
«Per quando credi che possa andare avanti?» chiesi appoggiando una mano sul tavolo ovale. Il mio sguardo severo era rivolto a mamma, che in quel momento, faceva finta di nulla.
«Cosa?» chiese lei senza guardarmi.
«Questo!» urlai indicando il contenitore di ferro e la borsa trasparente che conteneva il sangue dei donatori.
«Fino a quando non imparerà a camminare e a cacciare» rispose calma senza fissarmi.
«Ma non puoi far andare via tutti i Cullen per lui! È ingiusto!» sibilai fra i denti.
Lei si girò verso di me, e alzò una sopraciglia. «Senti chi parla!» disse dubbiosa.
«Perché?» mormorai incuriosita.
«"Mamma, oggi sono troppo stanca per andare a caccia, posso bere il sangue di donatori?"» imitò la voce di quando ero piccola. «Fecevi la stessa cosa, e anche di peggio! Non criticare tuo fratello! E smettila di essere gelosa!» mi rimproveró.
Le sue parole mi lasciarono di stucco. «Non sono gelosa! Sto solo dicendo che i donatori non hanno dato il sangue per lui!» sbottai alzando la mano dal tavolo.
«Ha ragione!» disse la voce di Charlie.
Era in piedi, e si teneva allo stipite della porta.
«Cosa?!» chiese mia madre, sbalordita quando me.
«Non voglio più bere sangue umano! Voglio imparare a cacciare! Il prima possibile!» decretò il piccolo, avvicinandosi a noi. Io e mamma lo guardammo sbalordite.
«È.j., tu...» mamma iniziò una frase, che E.j. l'interruppe. «Ti prego, mamma! Io non... voglio fare schifo a Valium! Gli voglio bene!» quasi urlò.
"Non l'amava! Non l'amava! Erano troppo piccoli!" mi ripetevo spaventata.
«Ma ora devi bere! Non puoi morire di sete!» lo rimproveró mamma.
Lui si materializzò al fianco di mamma, prese la borsa del sangue, e si volatilizò oltre la porta della cucina.
Dopo un minuto ritorno con le mani vuote.
«Dov'e il sangue?» chiesi.
«A casa tua!» rispose secco.
«È perché e lì?» chiesi infuriata.
«Perché a te piace!» rispose indifferente.
«E.j., avrai sete!» disse mamma.
«Resisterò fino a domani!» rispose lui con lo stesso tono di voce di poco prima.
«Non potrai stare vicino a Valium!» disse mia madre.
«Si invece. Resisterò!» rispose lui.
Mia madre si avvicinò a lui, e posò una mano sulla sua spalla. «Se è quello che vuoi» disse sorridente.

E il giorno dopo ci ritrovammo nel bosco.
Eravamo io, i miei, Valium e E.j.
«Pronti?» chiese mio padre ai piccoli. Anche se sembrava un diciassettenne, i panni del nonno gli calzavano a pennello.
«Sono nato pronto!» rispose E.j.
«No, sei nato piangendo» lo prese in giro Valium.
«Io non piango!» rispose stizzito l'altro.
«Basta!» intervenne mamma. Entrambi si azitirono di colpo.
«Andiamo?» chiesi impaziente.
«Certo» rispose papà.
C'incamminammo nel fitto bosco.
Quando fummo davanti all'albero più vecchio del bosco, iniziammo a dare istruzioni hai piccoli.
«Facciamo così! Chi prende l'animale più grosso vince, ci state?» proposi entusiasta lo stesso gioco che facevo da piccola con Jake. Vincevo sempre io.
I bambini accettarono di buon grado la sfida. E quindi, per farli vincere, io e i miei ci buttammo su un branco di cervi, lasciando liberi i piccoli.
Dopo due ore, ritornammo al punto di partenza, e gli aspettammo.
«Mamma! Mamma! Guarda!» urlò E.j. saltando in braccio a mamma. I suoi occhi erano di oro puro. Come se andasse a caccia da sempre.
«Come hai fatto?» chiesi inoridita.
«Ho cacciato un puma» rispose sorridente. «Quindi ho vinto!» dichiarò sorridente.
Mi guardai un pò intorno. «Dov'è Valium ?» chiesi preoccupata.
«Io. Non.Caccierò. Mai. Più.!» gridò la voce cristallina di Valium oltre il bosco.
Apparì da dietro un albero. I capelli -dritti e lisci come sempre- erano sporchi di sangue, come la maglietta bianco candido- almeno quella mattina-, e i suoi pantaloni erano dimezzati, e scoprivano lembi di pelle color allabastro. Il suo viso -ricoperto di sangue come il resto del corpo- era corruciato in una espressione di rabbia e frustrazione.
La presi in braccio. «Vedrai che la prossima...» m'interruppe nel mezzo di una frase.
«Non ci sarà una prossima volta!» urlò. Risi della sua espressione.
Ritornammo in dietro.
Valium insistette di saltare da sola il fiume. Prima l'aveva saltato tra le mie braccia, ma ora insisteva a volerlo fare da sola, e io la lasciai fare.
Il resto della famiglia era dall'altra parte, che aspettava.
Valium prese una lunga rincorsa, e poi si lanciò oltre il fiume. Sembrava una elegante farfalla per come era leggera.
Poi mise male il piede, e scivolo sul masso, dall'altra parte del fiume. Mio padre si affrettò ad afferarle la mano, e io mi precipitai dall'altra parte. Presi mia figlia, con l'altra mano, e la tirai a me.
Non so cosa successe. Era una strana sensazione.
Per un attimo, mia figlia, ebbe paura di qualcosa. Di mio padre.
Strinsi più forte la bambina a me - era rigida, come se fosse sotto shock- e gli diedi un bacio sul capo.
Realizzai in quell'istante che tutto sarebbe cambiato radicalmente.
CAPITOLO REVISIONATO

Spazio all'autrice:
Salve a tutti, veterani lettori e non.
Che ne dite di questo capitolo? Le recensioni sono sempre gradite, critiche e non!
Continuate a leggere, mi raccomando.
Un bacio, V.

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Capitolo 10
*** Fulmine ***


POV Valium
Avevo più o meno un mese. Ero la bambina più fortunata del mondo. Avevo una famiglia amorevole, e un'amico fantastico, anche se troppo timido.

Stavamo giocando in camera mia, mentre mamma e Bella - non voleva che la chiamassi nonna- erano al piano di sotto, e discutevano animatamente su questioni molto noiose, che comprendevano un certo Charlie. Intanto, nonno Eddy - non avevo il permesso di chiamarlo Eddy- suonava il pianola di mamma. Aveva cercato di insegnarmelo, ma, per noia, quasi lo ruppi.
E.j giocava con i soldatini, e -siccome il gatto gli ha mangiato la lingua- non mi rivolgeva la parola.
«E.j, mi passi il mio orsachiotto?» chiesi per rompere il ghiaccio. Ma lui non mi rispose. Prese l'orsachiotto e me lo passò. Dovevo fargli una domanda per estorcergli qualche parola! Sapevo che lui sapeva parlare, ma si ostinava a non farlo.
«Allora, so che sai parlare! Ma se non lo fai, mi alzò e ti picchio a morte!» minacciai infuriata.
Lui, in tutta risposta, mi fece la linguaccia.
Okay, mi stava facendo arrabbiare! Chi diavolo si credeva di essere!
«Sei solo un moccioso» sussurrai senza guardarlo.
«Come hai detto?» chiese acido.
«Allora la tua lingua esiste?!» chiesi con fare sorpreso.
«Perché, prima non l'hai vista?» chiese retorico. In tutta risposta, contracambiai la linguaccia di poco prima. E lui sorrise.
«Facciamo così: se tu non parlerai mai con nessuno dei Cullen, quando saremo grandi ti darò ciò che vuoi!» proposi sorridentogli.
«E se parlo?» chiese sospettoso.
Io afferrai il maggiore Grey dalla sua collezione di soldatini, che guarda caso lui adorava. Ma il problema a che piaceva pure a me. «Tu mi dai il maggiore!» risposi con un sardonico sul viso.
«Ma qualunque cosa io voglia?» chiese sospettoso.
«Quando saremo grandi» precisai.
Ci pensò un attimo, e poi rispose un «Ci sto!» entusiasta. Gli offrì la mano e lui l'accettò, stringendola forte.
Il patto era fatto! Ora toccava a me! Lui doveva parlare con i Cullen! Ne andava il futuro del maggiore Grey!

La mia famiglia stava parlando dopo l'ennesimo squillo di telefono.
«Se direbbero che sono stati in Europa, si salverebberó tutti!» mormorò E.j.
«In che senso?» sussurrai curiosa.
«Sw direbbero che hanno fatto un viaggio in Europa, e se direbbero e che ci hanno adottati lì, il povero Charlie non soffrirebbe!» mormorò piano per non farsi sentire dalla nostra famiglia.
Un idea mi fulminó la testa.
«Io voglio essere francese!» dissi a voce alta attirando l'attenzione di tutti, mentre E.j. m'inceneriva con lo sguardo. Poi l'abbassò, intimidito da qualcosa.
«Che centra la Francia?» chiese mamma insospettita. «Io ho avuto una brillante idea!» dissi orgogliosa. E.j. alzò lo sguardo, solo per incenerirmi.
«Ma se non sai nemmeno quall'è il problema?!» sbottò mamma.
«Si invece! Il padre di Bella!» risposi in fretta.
«Allora?» chiese papà.
«Ho avuto un'idea» risposi guardando E.j. di sottecchi.
«Be'?» chiese Bella.
«Praticamente possiamo...» venni interrotta da un soldatino di E.j., che le mi tirò in testa il sottoscritto. «E.j.!» lo riprese Bella.
«Non è giusto!» sbottò lui, con voce piena di rabbia. Il resto della mia famiglia restò a bocca aperta. Tutti, tranne io, che saltellavo felice per tutta la stanza. Porsi una mano davanti ad E.j., e lui, a malavoglia, prese il maggiore Grey, e me lo diede.
«Merci!» dissi in francese, sorridendo.
Corsi tra le braccia del nonno, gridando «nonno!».
Bella volò al fianco di E.j., intimandoci di allontanarci con la mano.
Il resto della mia famiglia sparì oltre la porta del salone. Tranne io, papà, mamma, il nonno, Bella e E.j.
«Andiamo a giocare?» chiesi al nonno.
«Dopo, ok?» rispose il nonno dolcemente.
Io annuì, e mi trasferì tra le braccia di mamma.
«Io vado» disse papà, baciando prima me e poi la mamma.
«Tu fai la brava, chiaro?» si raccomandò, indicandomi.
«Cristallino» risposi lanciandogli un enorme sorriso.
«Comunque, puzzi di vampiro» mi prese in giro papà, prima di scomparire oltre la porta del salone di casa.
Bella era china su E.j., e bisbigliava a voce bassissima parole che non riuscivo a comprendere, a cui lui rispondeva nello stesso tono.
«Che hai combinato?!» mormorò mamma.
«Era una scommessa, e io lo vinta onestamente» risposi indifferente.
«Bugiarda!» sbottò E.j.
«Ehi, calmo. Parla con me» disse Bella.
«Senti, se non facevo così, non avrebbe mai parlato!» bisbigliai a mamma. Ero ostinata, e si vedeva.
«Bella?!» urlai, facendo voltare quest'ultima. «Tieni!» dissi lanciandogli il maggiore Grey. Lei l'ho afferrò e lo diede a E.j.
Un sorriso di felicità gli si stampò in volto.
«Non si dica mai che Valium bari» detto questo, mi liberai da mamma, e mi lanciai a terra,atterrando sulla moket bianco candida. Andai verso E.j., e gli porsi la mano. «Amici come prima?» chiesi.
Lui l'afferrò e la strinse forte. «Amici come prima!» decretò felice.
«Ora andiamo a giocare?» chiese il nonno.
«SI!» urlammo io e E.j. all'unisono.

Io e Charlie giocavamo a scacchi, mentre Bella era seduta accanto a noi, e ci guardava divertita.
Mamma suonava col nonno, mentre papà la fissava e il resto della famiglia chiacchierava su cose noiose.
Fu un attimo, e E.j. si posò la mano sulla gola.
«Hai sete?» chiese repentina Bella, inginocchiandosi al fianco di E.j.
Lui si limitò ad annuire.
«Vi va una passeggiata?» chiese nonna Esme appena Bella si girò per guardarli.
«È un ottima idea» rispose nonno Carlisle.
La maggior parte della mia famiglia si alzò, e scomparì oltre la porta di casa.
Io mi alzai, e corsi a prendere per mano papà e il nonno. «Andiamo pure noi! Il sangue mi fa vomitare» spiegai trascinandoli fuori di casa.
«Nonno?» lo chiamai quando eravamo ormai fuori.
«Si, Valium?» rispose lui abbassando lo sguardo su di me.
«Credi che E.j., un giorno, potrebbe smetterla di bere sangue umano?» chiesi preoccupata. E.j. non poteva bere sempre del sangue umano! Non era giusto!
«Certo! Lo farà!» rispose subito, mettendomi a tacere.
«Io voglio salire su quel albero!» decretai per cambiare discorso.

Quando rientrammo a casa, E.j. leggeva un libro, mentre Bella lo fissava preoccupata e mamma inceneriva Bella con lo sguardo.
In casa non si sentiva l'odore di ruggine e sale che era tipica del sangue.
Io ero in braccio al nonno, e lo guardavo come se fosse un dio. Un mito.
«Valium, vuoi scendere?» mi chiese dolcemente. Io annuì, e lui mi lasciò a terra.
«Mamma! Mamma!» gridai correndo fra le braccia di quest'ultima. Lei mi prese, e mi strinse a sé. C'era qualcosa di strano nel modo in cui mi stringeva. Era sovrapensiero.
«Mamma? Che c'è?» chiesi io preoccupata.
«E.j., digli la tua idea!» ordinò. Era strano il modo in cui parlava. Parlava dolcemente, in contrasto con la sua espressione seria.
E.j. si alzò, e incrociò lo sguardo di tutti i presenti. «Domani andrò a caccia come papà! che ne dite?» chiese lui.
La nostra famiglia accettò di buon grado la notizia, ma dovevo partecipare pure io!
E così il giorno dopo andammo a caccia. Eravamo io, E.j., mamma, il nonno e Bella.
«Pronti?» chiese il nonno.
«Sono nato pronto!» rispose E.j.
«No, sei nato piangendo» lo presi in giro.
«Io non piango!» rispose stizzito.
«Basta!» intervenne Bella. Entrambi ci azzittimmo di colpo.
«Andiamo?» chiese impaziente mamma.
«Certo» rispose il nonno.
C'incamminammo nel fitto bosco.
Quando fummo davanti all'albero più vecchio del bosco, mamma, il nonno e Bella ci diedero delle istruzioni.
«Facciamo così! Chi prende l'animale più grosso vince, ci state?» propose entusiasta mamma.
Io accettai entusiasta tanto quando Charlie. E quando fummo abbastanza lontano iniziai ad usare l'olfatto e l'udito alla ricerca di qualche grosso animale, con un grosso cuore a cui togliere i battiti e uccidere freddamente...Basta Valium!
«Vuoi vedere cosa so fare?» chiese E.j. interrompendo i miei pensieri.
«Cosa?» chiesi incuriosita.
«Guarda lì» disse indicando un uccello.
«Che bello!» mormorai. «Pensato che non verrà mai da me» sussurrai malinconica.
«Scommettiamo?» chiese sorridente.
«Cosa?» chiesi incuriosita.
«Che ne dici di "schiavitù eterna"?» mormorò pensieroso.
«Dico di si» risposi con un sorrisetto maligno sul viso. «Tanto l'uccellino non si poserà su di me!» dissi ad occhi chiusi. Non feci in tempo a parlare, che me lo ritrovai a cinguettare sulla mia testa. Cercai di spaventarlo con un ringhio, ma fu tutto inutile. Strillai, cercai di prenderlo a schiaffi, di spaventarlo... Ma fu tutto inutile.
E.j. rideva soddisfatto. «Sarai la mia schiavetta! Sarai la mia schiavetta!» cantinelo su un albero.
«Mi hai buttato del magime per uccelli in testa?» chiesi saltando su un albero, per cercare -inutilmente- di far scappare l'uccello da miei capelli.
«È il mio dono» spiegò euforico.
«Come quello della mia mamma?» chiesi incuriosita. L'uccello dalla mia testa volò via con un minimo gesto di E.j. Io ci pensai un attimo, e risposi acida: «Si, e è il più forte di tutti!».
«E cosa sai fare?» chiese incuriosito.
Ci pensai per cinque secondi. «Riesco a copiare i doni altrui!» mi vantai spavalda.
«E fammi vedere! Copia il mio dono!» ordinò acido.
«Io...io...Io sono troppo piccola, e non riesco ad usarlo!» mentì spudoratamente su un dono che nemmeno esisteva!
Mamma mi aveva spiegato cos'era un dono, e io non ne avevo nemmeno uno. Lei mi disse che non tutti i vampiri avevano doni. Oppure dovevo ancora svilupparlo, come quello di zia Kate -una zia che non avevo mai conosciuto e che viveva a Denali- che si manifestò prima sulle mani, e poi su tutto il corpo. Forse io ero troppo piccola, e avevo poca esperienza.
«Si si, come no, V., il tuo dono è così forte che non riesci ad usarlo» mi prese in giro.
«Come mi hai chiamato?» chiesi inclinando la testa di lato.
«V. Perché non ti piace?» chiese sorridente.
«Si, molto» risposi sorridente.
«Andiamo?» chiese indicando un sentiero.

Io mi buttai su un grizly enorme, che era almeno il quadruplo di me. Mi sporcai di sangue quando lo ferì con le unghie, ma lui mi franciò i vestiti, e quando finalmente riuscì ad addentare il collo dell'enorme grizly, gocce di sangue mi sporcarono la maglietta, il viso e i capelli. E quando finalmente completai il mio...pasto, andai alla ricerca di E.j.
Lo trovai chino su un cumulo di pelliccia color sabbia. Il cuore della bestia a stento batteva, e sentivo il sangue affluire fuori dal corpo, fino a riscaldare il corpo di E.j. Poi sentì un risucchio, e E.j. alzò lo sguardo soddisfatto. In quel momento assistetti a una specie di miracolo ultraterreno. Gli occhi di E.j., da color vinaccia -tipici di un vampiro neonato-, cambiarono colore in un perfetto castano dorato -come quelli del nonno. Me ne innamorai subito, perché a lui stavano meglio di chiunque altro.
«Dobbiamo sbarazzarci dei cadaveri!» mormorò divertito. Prese in spalla il suo puma prosciugato, e lo lanciò oltre la foresta, dove sbatte contro la roccia di un enorme montagna.
«Ora tocca a te!» disse soddisfatto.
Sparì oltre gli alberi, e ritornai con l'enorme grizly.
Okay, partiamo dal fatto che io non discrimino nessuno, ma quel grizly, oltre a puzzare, mi stava completamente sporcando di sangue.
Lo lanciai contro la montagna, dove fece crollare qualche pietra.
E.j. risi, mentre io ripromettevo a me stessa che non avrei più cacciato.
Dopo aver girovagato un pò per il bosco, ritornammo al punto di partenza. E mentre mamma cercava di consolarmi, il nonno propose di ritornare a casa.
«Valium, e pericoloso!» disse preoccupata mia madre guardando gli altri dall'altra parte del fiume.
«Sono immortale!» rispose secca. E a questo non poté contrabbattere.
Presi una lunga rincorsa, e saltai. Fu bellissimo. Il vento mi soffiava nei capelli, mentre guardavo l'acqua scrosciare sotto di me. Poggiai male il piede, e persi l'equilibrio.
Per fortuna il nonno mi prese la mano.
Ma non so cosa, un fulmine credo, mi attraverso il corpo. Era lui. Vedevo persone uccise da lui. I suoi occhi rosso sangue. Il suo dolore. La sua rabbia. Ogni cosa nella testa degli altri. E una sfilza di segreti che si portava dietro. Uno in particolare mi colpì. Parlava di me: Valium ha avuto l’’imp…
A quel punto mi ritrovai fra le braccia di mia madre. «Tu non salti mai più» disse. Ma non stavo attenta a niente.
Quella strana notte feci un incubo: correvo nel bosco, impaurita. Poi vidi il nonno e cercai di chiamarlo «Nonno! Nonno!» ma c’era qualcosa di oscuro nel suo sorriso, qualcosa di spaventoso. Fu un attimo, mi ritrovai con i suoi denti confiscati in gola, si alzo e vidi i suoi occhi rosso sangue.
Mi alzai di scatto, trattenendo le urla. Io ancora non capivo cos’era quel fulmine di immagini. Ho ipotizzato ricordi, visto che c’era il viso di mia madre, di Bella quant’era ancora umana. Allora lui ha ucciso veramente.
No, non’era possibile. Il mio mito. Cominciavo ad avere paura del mio mito. Iniziai a odiarlo per aver cacciato la vita ad degli esseri umani, quanto cattivi che fossero. Lui era peggio di loro. Lo faceva per la sua sete. Lui era un perfido essere. Ma ancora non capivo perché tutti lo rispettassero così tanto. Hanno ucciso anche loro? Probabile. Ma loro erano la mia famiglia, lui era il mio unico mito. La terza persona a cui ho parlato, e se mamma non mi avesse portato a quella festa, forse sarebbe stato la prima.
In quel momento non mi potevo fidare di nessuno, parte E.j.

Il giorno dopo, iniziai a evitare mio nonno, odiandolo ogni giorno di più. Alla fine li trovai pure un sopranome: Succhiasangue. Feci una promessa a me stessa. Io non l’avrei mai perdonato, e non sarei mai diventato come lui. Io sarei stata Valium e lui sarebbe stato Succhiasangue, almeno per me.

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Capitolo 11
*** semplicemente V. ***


POV Renesmèe
La visita da nonno Charlie colpì entrambi i bambini, come colpì il nonno. Soprattutto Valium, che chiese più volte del suo lavoro e del suo passatempo - cioè la pesca.
«Ma che bambina intelligente!» commentò il nonno quando Valium gli spiegò cos'era una canna da pesca. «Nessuna bambina si è mai interessata alla pesca!».
«Sono una bambina speciale!» rispose indifferente.
«Credo unica» risposi io.
«E menomale!» scherzò E.j. facendo ridere i presenti.
Anche lui resto molto colpito dal nonno. Forse perché era l'unico umano che conoscevano.
Ma la parte più bella della giornata fu quando vennero Lhea e Seth. Certamente non per me, ma per Valium si. Si presentò come mia sorella, e presentò E.j. sorridente. Lhea e Seth fecero subito amicizia con E.j.
La vicinanza di Lhea mi metteva subito in subbuglio. La odiavo, e si vedeva. Ogni misera volta che si avvicinava a Jake, la gelosia m'invadeva. Ma, se era per rendere felice mia figlia, non potevo fare altrimenti.
La giornata passò in fretta, e mentre ritornavamo a casa, E.j. iniziò a parlare con Valium. Jacob gli aveva dato un passaggio, giusto per non separarli. Anche se non lo davano a vedere, erano molto legati, e io, anche se non volevo, gli capivo. Da piccola, non potevo stare a un metro di distanza da Jake, e quando ci ho provato per ben tre anni, sono quasi morta.
«Il nonno e molto buono!» commentò E.j.
«Vero» rispose Valium, giocando con la bambola americana che gli aveva regalato.
«Si» mormorai guardando avanti e sorridento.
«Nessie, e vero che ci ritorneremo?» sbottò E.j.
Io lo guardai sbalordita. Sembrava entusiasta di parlare con me, anche se io lo avevo trattato freddamente da quando e nato. «...ehm...Certo» balbettai.
«Evvai!» urlò felice.
«Il vecchio Charlie mi e sembrato un pò deluso quando a saputo il nome di E.j.» commentò Jacob.
«Davvero?» chiese quest'ultimo dietro di me.
«Sperava che mamma lo chiamasse Charlie» risposi ridendo.
«E tua madre gli ha dato il nome di suo marito e quello del suo migliore amico. Povero Charlie» mormorò Jacob divertito.
«Però Charlie è un bel nome» sussurrò Valium.
«Vero» rispose E.j.
Mi girai a fissarli.
«Dite sul serio?» chiesi sbigottita. «Ne ho sentiti di più belli» commentai indifferente. Mi rimisi al posto mio.
«Non ne dubito, ma Charlie e un nome comune, e se E.j. si fosse chiamato così, forse lo avrebbe reso più comune!» spiegò Jake al mio fianco.
«Charlie, eh?» fece Valium sorridente.
«Che hai in mente, V.?» chiese E.j.
Io restai un attimo sorpresa per quel nome.
«Tu mi chiami V. e io ti chiamo Charlie, ci stai?» chiese Valium con fare diplomatico.
E.j. fece finta di pensarci un attimo, poi rispose con un «ci sto!» entusiasta.
Gli guardai dallo specchietto retrovisore mentre si stringevano la mano mo'di accordo.
La rabbia mi prese alla sprovvista. E i miei occhi incenerirono quelle mani strette una a l'altra.
Iniziai a sbuffare, quando Jacob parcheggio diffronte all'immensa casa bianca.
Scesi, e andai ad aprire la portiera a i bambini.
Ci bloccammo tutti, mentre una musica dolce e melodiosa usciva dall'immensa casa, e ci travolgeva in pieno. Non era la ninna nanna di mamma, ne il brano preferito di nonna Esme, ne nessuno di quelli che papà aveva composto in precedenza.
Mio padre ne compose uno per ogni componente femminile della famiglia -tranne per zia Rose, che, a detta sua, non gli ispirava nulla-, quindi anche per me.
Una dolce sinfonia che travolgeva i sensi, fino a strapparti le lacrime dagli occhi. E quando l'ascoltai la prima volta, mi sembrò quasi che somigliasse a me. Dolce ma allo stesso tempo forte e combattiva.
Ma questa era puramente diversa. Era un misto di dolcezza e serenità. E, mentre l'ascoltavo, sembrava che volassi in un vortice di soffici nuvole bianche... o che sprofondassi in un mare di sogni... Era come il blu degli occhi di Valium... intensi e ruba cuori.
«Spero che gli piacerà» mormorò mio padre. «In questi giorni e così distante» continuò nello stesso tono di voce, in qualche senso, dispiaciuto.
«Se potessi, mi commuoverei» rispose mamma.
«Andiamo» mormorai con voce strozzata.
«Si» rispose Jake, stringendomi la vita con un braccio, e trascinandomi in casa.
Mamma era al fianco di papà, e posava il capo sulla sua spalla, mentre papà gli stringeva la vita.
«Mamma! Mamma!» urlò E.j., attirando l'attenzione di mamma, che si voltò e l'ho accolse a braccia aperte, mentre lui volò tra le sue braccia e la strinse forte.
Valium stava qualche passo dietro di noi, e guardava la scena con la coda dell'occhio da dietro la parete, come se fosse intimidita da qualcosa.
Quando incrociò il mio sguardo, si nascose del tutto dietro la parete, al fianco della porta. Non feci in tempo a squadrarla bene, ma notai per caso il suo grande occhio color sangue, lucido.
«Valium, perché non vieni qui?» chiese papà, prendendo tra le braccia E.j.
«Non credo sia una buona idea» risposi sorridento. «L'ultima volta che si è avvicinata al piano, a tentato di distruggerlo» dissi ridendo e facendo ridere tutti. Tranne papà, che mi fissava con area severa.
«È la cosa più noiosa che esiste» mormorò Valium da dietro la parete.
Papà ricominciò a suonare il brano di poco prima.
La musica invadè la stanza, e zia Alice iniziò a cantichiarla con la sua voce che sembrava il tintinio di mille campanelline, rendendo quel momento perfetto.
«Ti piace, V.?» chiese mio padre, sovrapponendosi alla voce di zia Alice. «Mi hai ispirato tu» spiegò calmo.
Passarono attimi di silenzio, in cui solo la musica riempi la stanza. E le lacrime riempirono i miei occhi.
Un singhiozzo sommesso blocco tutti. La musica si bloccò di colpo, e mio padre, come il resto della famiglia, si voltò verso la parete dove era nascosta Valium.
Il mio cuore perse un battito, e, con la paura che la mia piccola si fosse fatta male, mi precipitai oltre la porta, diffronte alla bambina, che appena mi vide, nascose il viso solcato da lacrime.
«Che hai, tesoro?» chiesi preoccupata. M'inginocchiai e la presi fra le braccia, stringendola al petto. Sentivo le sue lacrime bagnarmi la maglietta. La strinsi più forte, cercando di ignorare i suoi capricci.
Poi mio padre mi fu accanto, e lei s'immobilizzò di colpo. «Ehi, piccola, che hai?» chiese quest'ultimo chiamandola tra le sue braccia. Ma lei, in tutta risposta, mi strinse più forte, come se avesse... Paura.
Di chi? Di mio padre? Del suo idolo? Era impossibile!

E pure, lei iniziò ad evitarlo giorno per giorno, senza mai darci una spiegazione utile a capire. Cosa gli stava succedendo.

Un anno dopo...
«Mamma, io e Charlie possiamo andare da papà oggi pomeriggio?» chiese di punto in bianco, mentre spadellava hai fornelli.
Non sapevo cucinare molto bene, quindi, la mia piccola -dopo aver chiesto lezioni di cucina a nonna Esme e a mamma- s'improvvisò cuoca, e, da come era contento Jake dopo aver mangiato le sue pietanze, si poteva dire che era una chef professionista.
«Sai che ti è proibito andare a La Push» risposi calma.
«Ma c'è Lhea!» urlò esasperata.
Valium sembrava una bambina di sei anni, ma da come parlava, sembrava in crisi adolescenziale.
«Ho detto no, tesoro. Non ne parliamo più. Puoi vedere Lhea ogni volta che viene a trovarti, o quando andiamo da nonno Charlie» risposi calma e indifferente. Ero seduta su uno sgabello, e leggevo "cime tempestose", che era posato sul piano.
«Non è giusto! Perché papà ha rifiutato di essere capo branco!» mormorò esasperata. Una vampata di fiamma avvampò nella padella, e l'odore di uova strappazzate inondó la stanza.
«È giusto. Non te l'ho voglio ripetere la milionesima volta» risposi.
Jake ha abbandonato il branco dopo che glielo chiesi io. Non volevo che succedesse qualcosa di spiacevole a Claire per colpa di Valium o E.j., meglio conosciuto come Charlie, dopo che Valium gli diede questo nome.
E anche se la mia famiglia cercava di convincermi che nessuno dei due avrebbe fatto male a qualcuno, la paura dell'ignoto s'impadroniva di me ogni volta che pensavo a Claire.
«Okay» mormorò rassegnata.
Sapevo che non si sarebbe arresa così facilmente, ma chiusi un occhio. Tanto, qualsiasi cosa avesse in mente, in un modo o in un altro, l'avrei scoperto.
Finì di cucinare, e prese un piatto dalla credenza, dove buttò le uova. Si sedette e iniziò a mangiare. Indifferente.

Il pomeriggio andammo, come sempre, a casa Cullen. La tranquillità regnava sovrana. Mamma stava leggendo un libro, mentre il resto della famiglia - a parte Charlie- era impegnata in una discussione di quelle che Valium definiva "noiose e inutili". Charlie, invece, si cimentava nella sua nuova passione -e credo unica-: i manga giapponesi. Ne leggeva uno al giorno, e la notte, ne disegnava uno, o almeno ci provava. Valium si andò a sedere al fianco di Charlie, che era seduto hai piedi di mamma. E io mi sedetti vicino a papà, che era seduto allo sgabello del pianoforte.
«'Giorno papà» lo salutai posado un piccolo bacio sulla sua guancia marmoria.
«Siamo di buone umore oggi» mi fece notare zia Rose.
Certo, dopo aver passato una serata come quella del giorno prima, mi sembrava logico che sarei stata felice tutto il giorno, e lei lo sapeva, visto che V. dormì a casa Cullen.
«Certo, Rose. Che domande fai?» rispose mio padre al posto mio, facendo ridere tutti, tranne V.
Io l'incenerì con lo sguardo.
«Io ancora chiedo ancora come faccia quella casa a stare ancora in piedi!» disse zio Em, facendomi arrossire.
«Zio Emmet, i bambini» gli feci presente in un sussurro, mentre il mio viso diventava paonazzo.
Lui trattenne una risata, e mio padre mi strinse le spalle.
«Charlie, perché non dici a Valium la bella notizia?» chiese mio padre con un non so che di entusiasta nella voce.
«Andremo a Goat Rocks!» urlò il piccolo, buttando il fumetto a terra.
«Davvero?» chiesi entusiasta, guardando mia madre, che aveva spostato gli occhi dal libro a me.
Mia madre annuì sorridente.
I miei ricordi più belli erano legati a quel posto.
Le caccie più divertenti, e le bestie più grandi.
Ma andare a Goat Rocks, stava a dire allontanarsi dal mio Jacob. Perché lui non sarebbe mai venuto a Goat Rocks. È ciò mi faceva male.
«Ora vuoi un dollaro?» chiese sarcastica Valium rivolta a Charlie, che la guardava con un espressione confusa.
«In che senso?» chiese zia Alice confusa quando tutti i presenti.
«Che se cercate di rifilarmi una caccia in un posto popolato da enormi orsi -e sottolineo orsi- vi sbagliate di grosso» rispose acida Valium.
«Che trovi di male negli orsi?» chiese interdetto zio Emmet.
«C'è molto di male negli orsi! Puzzano e sono grossi, non ti basta, o ti devo fare un elenco?» rispose V.
«Non puzzano quando tuo padre» mormorò zia Rose.
L'incenerì con lo sguardo.
«Non verrò. Punto.» decretò V.
«E cosa faresti quel giorno?» chiese mio padre dolcemente.
«Credo non siano affari tuoi, Succhiasangue!» rispose acida.
«Valium!» la rimproverai. Ma lei, come sempre, fece finta di niente.
«Ti va di fare un giro?» chiese di punto in bianco a Charlie, ravvivandosi la lunga chioma bronzea.
Lui scattò in piedi, e rispose in fretta e in furia:«certo!».
«Dove andate?» chiese mamma visibilmente preoccupata.
«Nel bosco» rispose repentina V.
«A fare cosa?» chiesi io.
«Una passeggiata» rispose lei indifferente.
«Basta che non vi allontaniate troppo» rispose mamma.
Loro sparirono oltre la porta di casa, e io incrociai lo sguardo di mamma.
«Io non gli dato il permesso» mormorai indignata.
«Dai, sono bambini. Cosa potrebbero mai fare?» fece mamma ritornando al suo libro.
Passarono cinque minuti, e il mio telefono squillò. Sul display apparse "Jacob".
«Jake? Perché mi chiami dal lavoro?» chiesi preoccupata.
«Ora. Tu. Mi. Spieghi. Che. Diavolo. Ci. Fanno. I bambini qui!» sbraitò Jacob dall'altra parte del telefono, scandendo ogni parola.
«COSA?!» urlai. Ora vedevo rosso dalla rabbia. «Passami Valium!» urlai.
«Tua madre» mormorò Jacob dall'altra parte del telefono.
«Il cliente da lei chiamato non è al momento disponibile» rispose Valium con fare serio e professionale.
«Ora tu torni immediatamente a casa, se non vuoi che ti venga a prendere, e ti chiuda in casa per un mese!» minacciai senza pietà.
«Non sto facendo nulla di male! Ho pure la lente!» si giustificò con fare innocente.
«Che cavolo stai dicendo?! Ti avrò detto mille volte di non andare a La Push! E tu che fai?! Ci porti a Charlie?! Sai che vuol dire "obbedire"?!» urlai esasperata.
«Scusa se non ne ho memorizzato il significato!» urlò lei. «Vuol dire stare hai miei ordini!» urlai.
«Ecco perché non mi piace!». Mi staccò il telefono il faccia.
Mi alzai di scatto, e corsi a velocità inumana alla porta.
Ma lì, venni bloccata da papà. Mi afferrò da un braccio e lo strinse.
«Se ora vai a prenderla, ti odierà!» mormorò severo.
«E che dovrei fare? Lasciarla lì? Fammi mettere i piedi sulla testa?» sputai fra i denti.
«C'è Jacob con lei, questo gli basta!» rispose lui nello stesso tono di poco prima.
«No! Non gli basta!» urlai.
«Si, invece! Credimi!» rispose lui.
Allentò la presa sul mio braccio.
«So com'è fatta, e sarà peggio se andrai a prenderla!» mormorò.
Ma come faceva? Lei gli era stata amica solo per un mese! Come faceva a sapere così tanto di lei?
«Perché io e lei siamo più uguali di quello che pensi» rispose alle mie domande mute, poi ritorno al piano.
Chiamai Jake, e lo pregai di tenere i bambini lì fino a quando non sarebbe ritornato a casa.

Quella sera rimproverai Valium, e quando ritornai a casa gli feci una vera e propria scenata. Ma sembrò che non gli fece né caldo e né freddo, visto che il giorno dopo il fatto ricapitò. E anche due giorni dopo. E il giorno dopo.
Quindi mi costrinse a chiuderla in casa per una settimana. Cosa che lei non piaceva. Urlò. Pianse. Pregò. Stavo quasi per cedere, quando intervenne Jacob a salvare la situazione, facendogli capire che lei aveva sbagliato, e aveva torto. E se ne uscì di scena con un: «Non riuscirete a mettermi i piedi sulla testa! Tanto è vero che mi chiamo Valium!».
Il mattino dopo dovevo andare a Goat Rocks, quindi andai a dormire molto presto, per prepararmi al meglio.
Mi svegliai presto, e dopo aver salutato Jacob -come si deve-, mi concessi una lungo bagno rilassante, visto che avrei rinunciato a un bagno del genere per i prossimi tre giorni.
Lasciai una sveglia sul lavandino, e ogni tanto gli davo un'occhiata, per vedere quando Valium si sarebbe svegliata.
Restai un'ora nella vasca, ma di lei, manco l'ombra -è ciò era strano, visto che era sempre mattiniera.
Mi alzai dalla vasca, e m'infilai l'accappatoio di spugna. Mi strinsi forte, e corsi in camera sua.
Spalancai piano la porta, e la trovai china sulla scrivania.
La sua stanza era in disordine, con vestiti, fogli accartociati e libri sparsi ovunque. Lei dormiva profondamente, su un cumulo di fogli e libri. La presi tra le braccia e la posai sul letto spoglio. Alzai le coperte dal pavimento, e l'avolsi attorno al suo corpo.
Poi avanzai verso la scrivania, per mettere un pò al posto tutte le sue cose, ma mi bloccai di colpo quando vidi un biglietto ripiegato col scritto "x mamma".
L''ho aprì e ne lessi avidamente il contenuto:
"Cara mamma,
sei la migliore del mondo. In questo preciso istante sto cercando frasi nei miei libri per descrivere quando ti voglio bene, ma non ne trovo, perché ti voglio molto più bene di una insulsa frase scritta da Sheaksper o da Nicholas Sparks.
Tu sei l'unica persona che mi sopporta, e allo stesso tempo mi vuole bene.
Ma sappi che, per quante punizioni tu possa darmi, io non voglio cambiare.
Perdonami se ti ho fatto arrabbiare, ma ti voglio bene, e spero che riceverai questo biglietto prima che tu parta. Ti voglio bene, V."
Lacrime silenziose iniziarono a solcalmi il viso. Come potevo essere arrabbiata col mio unico motivo di felicità?
Non perdere mai questa parte di te, V.
E, dovunque tu andrai, io ti vorrò bene.
Schioccai un bacio sulla testa della mia piccola, augurandogli di non soffrire mai!


Spazio all'autrice:
Se vi state chiedendo se la storia di Renesmee e finita così, vi sbagliate di grosso! In futuro la sua storia sarà spesso contrastata. Vi aspetto al prossimo capitolo.
Un bacio,V.

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Capitolo 12
*** I prodigi ***


7 anni dopo...
POV Bella
Più li guardavo, più mi sembravano due angeli.
Il primo, cioè Charlie, era quasi bello più di Edward: i suoi capelli erano scuri quanto i miei con una sfumatura di rosso quando c'era il sole, la sua pelle diafana brillava come un diamante sotto i raggi solari, il suo viso sfiorava la fanciullezza ma i tratti erano adulti e dritti, e gli occhi erano oro puro. Il fisico era uguale a quello di Edward, ma lui lo mascherava con camice nere e larghe, era alto quanto me, ma per lui non era un problema.
Il secondo angelo era Valium: era di cinque centimetri più bassa di Charlie, e aveva un fisico perfetto. Lei era la più bella di tutti. Più di me, di Ness, di Rose, Alice e Esme. aveva i capelli lunghi fino al fondo schiena, di un liscio color bronzo. Il suo viso era molto uguale a quello di Edward, ma i suoi tratti erano più tondi, come quelli di una bambina ma allo stesso tempo esprimevano una consapevolezza da adulti. E poi c'erano i suoi occhi. Anche se mi capiterà qualcosa di orribile un giorno, non dimenticherò mai quegli occhi: di colore differente anche se appartenevano alla stessa persona. Misteriosi. Uno di un blu come il mare di Jaksonville, l'altro di un rosso intenso come il sangue. Così spaventoso da fare venire le vertigini anche a un vampiro. O anche a una vampira.
Ero una vampira da diciotto anni ormai . E nonostante Edward mi ripete sempre che primo o poi mi stuferò, non smetto mai di stupirmi di me stessa.
Valium stava cercando di fare uno scherzo a Edward. Come al solito Edward non ne sarebbe accorto di lei. Ogni nostro dono non funziona con lei: e quando dico "ogni" intendo tutti, anche Alice non vede il suo futuro e Jasper non può modificare le sue emozioni. Eravamo in veranda di casa mia.
Ness era seduta sull'altro tavolo, dall'altra parte della veranda, con la sua nuova pianola sul tavolo e Jacob a fianco. Suonava la mia ninna nanna. Quasi superava il padre per la sua bravura.
Io, invece, ero dalla parte opposta della lunga veranda, seduta al tavolo più grande, cosparso di libri, quaderni e quand'altro. Stavo aiutando Valium e Charlie a studiare, visto che a scuola non erano mai andati.
Edward uscì dalla porta di casa, e il secchio d'acqua che si trovava tra lo stipite e la porta semi aperta, gli cadde addosso.
Valium inizio a ridere, e Charlie la seguì a ruota.
«Lo trovi divertente?» chiese Edward indicando i vestiti zuppi che aderivano al suo corpo. Sposta immediatamente lo sguardo. Se fossi stata umana sarei arrosita.
«Ogni scherzo che ti faccio e divertente, succhiasangue» rispose lei con voce cristallina.
«Valium!» la rimproverammo io e Ness all'unisono.
«Che c'è?» chiese lei facendo la finta tonda.
Lei odiava Edward! Nessuno sapeva perché, ma in fondo chi sapeva qualcosa di lei.
Lei era piena di segreti, e ho giurato più di una volta che gli avrei scoperti.
CAPITOLO REVISIONATO.


Spazio all'autrice:
Se state leggendo questo mio angolino, vuol dire che avete letto il capitolo.
Come l'avete trovato? Vi è piaciuto? E i nuovi personaggi? Gli trovati simpatici?
Fatemelo sapere con una recensione, mi raccomando! Un immancabile bacio, da V.

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Capitolo 13
*** L'incidente ***


POV Bella
Dopo aver passato la fase dello scherzo, riprendemmo i libri. Valium mi completò in un attimo il problema di trigonometria che gli avevo assegnato, e Charlie finì il suo saggio di inglese in cinque minuti.
Edward uscì dalla porta di casa e si sedette al mio fianco circondantomi la vita con un braccio.
«Bene, io ho finito» sbottò Valium.
«Il problema lo consegnato, quindi ho finito» rispose lei.
«Valium, siediti!» ordinò Jacob con fare severo.
Alzò gli occhi al cielo, ma obbedì.
Non ho mai saputo perché reagiva così alla presenza di Edward. Un tempo pendeva dalle sue labbra. Lui la faceva divertire come nessuno: La portava su alberi alti cinquanta metri, l'insegnava a correre, a cacciare, e se le lo chiedeva anche a combattere. Ma poi, da un giorno all'altro iniziò a chiamarlo Succhiasangue, o Conte Dracula, o anche parassita.
Edward ci ha sofferto molto, anche se non me ne ha mai parlato. Neanche lui sa perché. Non riesce a leggere la mente da quel giorno... Eppure dopo quel giorno lei non era cambiata . Gli voleva bene, si vedeva! Ma, allora che sarà successo? Nessuno di noi riesce a darsi questa risposta.
La macchina di Carlisle spuntò sul vialetto di casa mia.
Un sorriso beffardo spuntò sulle labbra di Valium. Quel tipo si sorriso che dice in poche parole: "Ora mi diverto".
I Cullen si erano trasferiti a Seattle da ormai due anni, ma noi restammo per mio padre.
Rosalie scese dall'auto, con in mano: un fumetto giapponese introvabile per Charlie, e un libro d'amore per Valium.
Alice consegnò un' enorme scatola a Rose, e prese me e Ness per un braccio, trascinandoci in camera mia e di Edward, con Esme e Rose a seguito.
«Tu!» Alice indicò Nessie,«vai a mettere l'abito!» proseguì indicando il bagno.
«Da te voglio un consiglio» disse rivolta a me «so che di moda non ne capisci molto, ma conosci Nessie».
Prese una busta dalle mani di Esme. Ne tirò fuori un vestitino.«Gli piacerà?» chiese.
Era un'abito stile Nessie! poco appariscente, dolce e del suo colore preferito: azzurro. «Certo che gli piacerà! Chi la fatto?» chiesi.
«Rose» rispose Alice sospirando.
Nessie uscì dal bagno con quel vestito orendo. Era simile al mio abito da sposa, ma era molto aderente e si apriva in fondo, stile sirena. Il viso di Ness era molto arrabbiato. Come se volesse strapparselo di dosso, ma poi guardò il vestitino di Rose, e ci si catapultò di sopra. «Di chi é questo?» sussurrò toccando il soffice tull.
«È tuo» rispose Rose.
Sul viso di Renesmee le si dipinse un sorriso. Uno di quelli che ti dice "se non si vede, sono felice".
Sentì delle voci provenire da fuori. Stava per succedere l'inevitabile.
«Esco» mi sbrigai a dire.
Mi precipitai fuori e sentì la fatidica frase: «Quando puntate?». Lo sapevo. Non mettere mai, in un bosco: Emmet, Jasper, Charlie e Valium. Pensai.
«Ancora dovete arrivare, e già scomettete?» chiesi retorica.
«Mi piace barare» commentò sarcastica Valium.
«Tanto oggi perdi!» disse Emm.
«Sicuro?» lo prese in giro Valium.
«Certo. Cinquanta dollari che perdi!» dichiarò Emm.
«Cinquanta» dichiarò Jasper.
«Cinquanta» ripetè Charlie.
«Chi vince avrà duecento dollari» concordò.«La sfida consiste a fare un giro di tutto il bosco, e arrivare alla cima di questo albero» posò la mano al albero più vecchio del mio giardino, che era lungo venti metri. «Bella, dai il via» proseguì. Io esitai, ma non resistetti a l'espressione sul suo viso da cane bastonato.
«Pronti, hai posti, via!» mormorai. Vidi Charlie, Emmet e Jasper correre, ma lei era ferma, e sorrideva.
«Che fai?» gli chiesi.
«Gli do un pò di vantaggio» finì la frase, e scomparve più veloce di ogni altro vampiro che conosca, pure più di Edward.
«Sono stufa di vincere così facilmente» disse lei sul ramo più alto del albero.
Sentì Emm correre e imprecare allo stesso tempo. Charlie fu in un attimo vicino a Valium sbattendo con lei il cinque. Dopo di lui arrivò Emmet e per ultimo Jasper.
Dopo averla pagata, gli altri scesero. Ma lei restò la sopra.
«Mi piace qui» dichiarò.
«Ora scendi, e vieni a studiare» gli dissi.
«No» rispose lei. «Voglio stare qui» proseguì.
«Valium» disse Jacob. Lei si alzò di mala voglia.
Tre cose successeró contemporaneamente: il suo occhi da rosso si fece nero carbone - come quando non vado a caccia da mesi -, lei cadde dal albero e Charlie si precipitò ha prenderla urlando il suo nome.
Nessie uscì da casa, con dietro Alice, Rose e Esme. Si precipitò su Valium con fare protettivo: «Che ha?» urlò.
«E caduta dal albero, l'occhio gli si è fatto nero...» mormorai esasperata.
«Occhio?» chiese Carlisle.
Non feci in tempo a rispondere, che il corpo di Valium iniziò a tremare e dalle sue labbra uscì un urlo terrificante. Si portò una mano tremante alla gola.
«Ha sete» sussurrò Nessie. «Ho del sangue a casa» proseguì.
«Non lo berra» protesto Charlie.
«La costringeremo!» continuò Nessie, e sparì dietro gli alberi.
«Jasper andiamo» si affrettò a dire Alice. «Emm, pure noi» disse Rosalie. Entrambi le coppie sparirono dalla parte opposta da dove era sparita Nessie. Appena dopo che loro furono spariti comparve Nessie con una busta in mano che emanava un'odore che mi faceva venire l'acquolina in bocca, o meglio dire veleno.
Ma ero andata a caccia la notte prima, quindi non mi faceva nessun effetto. Io e Edward le tenemmo le braccia e le gambe ferme, mentre Charlie le teneva la testa mentre Carlisle gli versava in bocca il sangue da un bicchiere.
Quando il sangue finì le lascia le braccia e incrociai le dita. Charlie si sedette sul cuscino, vicino la testa di lei.
Valium sbatte gli occhi e il suo sguardo si posò su quello di Charlie. Il suo cuore accelerò e le sue guance si colorarono di rosa. Ma la sua espressione restò neutra. Come ho potuto essere così cieca. Loro si amavano!
«Perché sorridi?» chiese con voce roca a Charlie.
«Perché ti sei svegliata» rispose lui.
Si alzò a sedere, e guardò noi quattro e poi il bicchiere vuoto. «Cosa è successo?» chiese seria.
«Nulla, tranquilla. Ora devi riposare» risposi io.
«Cos'è questo sapor...» si blocco a collegare i tasselli.
Poi si alzò e corse in bagno cercando di vomitare infilandosi due dita in gola.
«Ormai il tuo corpo l'ho ha assorbito. Ne aveva bisogno» spiegò Carlisle calmo.
«Questo non vi obbliga a farmelo bere senza il mio permesso. Sapete molto bene quando lo odio» urlò Valium arrabbiata.
«Ora basta!» sbottai «hai fatto per troppo tempo quello che ti pareva! Ora devi crescere e obbedire! Tu, questo fine settimana verrai con me e il resto della famiglia a caccia! Che ti piaccia oppure no!» urlai esasperata. Lei non intervenne.
Ritorno a casa sua, e restò tutta la notte nel bagno, infilandosi le dita in gola. Ma ormai tutti eravamo abituati alle su pazzie. Lei era Valium.
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice: Piaciuto il capitolo? Non siete curiosi di come andrà a finire la storia?
In questo capitolo abbiamo capito il carattere di questo nuovo personaggio, dal punto di vista della nostra amata Bella. Che ne pensate? Lasciate una recensione per farmelo sapere!
Xoxo V.

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Capitolo 14
*** Il sogno ***


POV Valium
Stavo dormendo. Sognavo st.James, a La Push. Sognavo di buttarmi dalla scogliera. Allungai la gamba per lasciarmi andare. Ma qualcuno mi afferrò per la vita, e mi trascinò a terra. Stavo per gridare contro Charlie o Seth, ma non era nessuno di loro. Era alto, pallido come un gesso e stupendo come un dio. I suoi capelli erano neri corvini.
Indossava un paio di occhiali da sole, quindi non vidi il colore degli occhi.
Cercai di liberarmi da quel uomo. Ma fu tutto inutile.
Con un forte strattone gli feci cadere gli occhiali. E finalmente vidi i suoi occhi. Rossi vinaccia. Mi svegliai di colpo.
«Il sogno che esistito è vero... Ti stringo per dirti che i sogni son belli come il tuo volto...» sussurrò Charlie al mio fianco. Eravamo entrambi sul letto. Ero girata di fianco, quindi non potevo guardarlo in volto.
«Allora sono spaventosa?» chiesi sarcastica.
«Hai avuto un brutto sogno?» chiese protettivo.
«Secondo te perché mi sono svegliata a quest'ora...A proposito che ora sono?» chiesi notando le persiane chiuse.
«Le dieci del mattino» comunicò «Buon giorno V.».
«Ora che ti sento non lo è» risposi sarcastica.
«Vuoi parlarmi del sogno?» chiese con evidente curiosità.
«Ho sognato questo schianto di ragazzo...» mormorai.
«Più bello di me?» m'interruppe. Nella sua voce c'era divertimento ma anche una nota di pura gelosia.
«Molto più di te» risposi, sapendo che era impossibile.
Strinse il lenzuolo. «Continua» m'incitò serio.
Gli raccontai il resto della storia e lui rispose che era lo stress per quello che era successo la settimana prima e per la caccia del giorno prima.
«Tu perché sei qui?» chiesi sapendo molto bene la risposta.
«Perché mi piace sentirti dire le cose che non riesci a dirmi in faccia» rispose divertito.
«Non devi dare conto a quello che dico nel sonno. Non voglio che ti illuda» mormorai seria.
«Continua con questa storia» proseguì sarcastico «Sei cotta di me. Lo so» mi prese in giro.
«Non è vero» mormorai. Era meglio che non avessi il suo viso davanti. Non avrei avuto il coraggio di mentire.
«Oh, certo che lo è. Ami pure Seth. ma sussurri il suo nome meno volte del mio. Ami di più me» dichiarò.
«È tardi, mi devo alzare» annunciai.
«Okay. Viene anche lei?» chiese cordialmente.
«Le non sa manco che esista un punto Zero. Lo direbbe a Jacob» dissi «ci vediamo dopo» comunicai e m'infilai le scarpe e una lente a contatto per l'occhio rosso. Poi buttai giù dalla frinestra.
Corsi verso st.James, dove avrei incontrato Lhea.
Era sulla spiaggia. Seduta su un telo mare, che mi aspettava. Era seduta di spalle, quindi gli avrei potuto fare uno scherzo.
M'incamminai piano dietro di lei. Stava parlando con una ragazza dalla pelle bronzea e dai capelli biondi ramati.
«Non socializzi molto a La Push. Collin mi ha detto che tutti ti giudicano insopportabile. Ma sono da un anno qui, e non mi sembri così insopportabile» disse la ragazza.
«Sentì, io non ho bisogno della compassione di nessuno. ..» stava blateranno.
Gli toccai la schiena, facendola saltare all'aria. «Ah!» urlò.
«Io non ho bisogno della compassione di nessuno» gli feci eco.
«Valium, non è divertente» disse.
«Calma, Lee-lee. Era solo uno scherzetto innocente» mi giustificai.
«Ti spiace lasciarci sole?» disse rivolta alla ragazza.
«Non sei obbligata» m'affrettai a dire.
«No, fa niente» disse. Sì alzò, e andò verso il branco. Stava a una decina di metri da noi. Tutto il branco con le loro donne, tranne Jacob e Nessie.
«Allora quella e la donna di Collin?» chiesi. «Non lo mai vista da queste parti. Prima lo sentita dire e che vive da un anno qui. Da dove viene?» proseguì.
«Hawaii. No, non è di qui, ma sua madre si» rispose Lhea.
«La conosco?» chiesi.
«Probabilmente no» rispose.
«E quel ragazzo?» indicai un ragazzo da la pelle rosea e dai capelli neri.
«E suo fratello» rispose.
«Non dirmi che hai avuto l'imprintigh con lui!» urlai entusiasta.
«No!» rispose «a scoperto quello che siamo, quindi Sam se lo porta in giro da per tutto» spiegò. «Com'è andata ieri?».
Iniziai a raccontare quello che avevo fatto la sera prima.
«Avrei voluto vederti» commentò divertita Lhea quando finì di raccontare.
«No» risposi secca.
«Troppo spaventoso?» chiese.
«Troppo umiliante per me» risposi.
Si mise a ridere. Io sorrideva solamente ripensando alla sera prima. Era stata un'impresa cacciare solo un grizzly. Ho perso cinquanta verdoni contro Emmet per questo.
Guardai un attimo il branco, e incrociai lo sguardo inceneritore di due donne.
Entrambi con la pelle bronzea, i capelli neri e gli occhi dello stesso colore. Ma una era più grande, con i capelli mossi. Assomigliava a qualcuno, solo che non mi veniva in mente chi. Era al fianco di Paul, e aveva in braccio un bambino di tre anni.
L'altra avrà avuto ventun'anni. Era snella, e aveva i capelli lunghi e lisci fino alla schiena. Era vicino a Quil, che la teneva per la vita. Erano entrambi due bellezze esotiche.
«Che vogliono quelle?» chiesi a Lhea.
Lei si voltò, e guardò le due donne. «Niente, lasciale perdere» disse.
«Vado a vedere cosa vogliono. Così saluto anche Sam» annunciai. Mi alzai, e mi diressi dove si trovava il branco. Lhea cercò di fermarmi ma per poco non cadeva.
«Ehi, ciao Sam» dissi.
«Ehi, Valium. Come Va?» chiese.
«Bene, grazie. Tu?» chiesi a mia volta.
«Sono vivo e felice. Non posso chiedere di più» rispose.
«Vero» risposi sorridendo.
«Emily, ricordi Valium?» chiese alla sua donna.
«Chi se la può dimenticare» commentò Emily.
«Claire, te la ricordi, vero?» chiese Quil alla sua ragazza.
«Si. Al dire il vero assomigli molto a... Lhea che hai?».
Mi voltai verso Lhea e la beccai a incitare Claire a starsi zitta. Appena mi girai le si fermo di colpo.
«Perché non la fai stare zitta una buona volta» mormorò Seth a Quil.
«Ma non volevo fare nulla di male. Volevo solo dire che assomiglia molto a Edward» disse Claire.
«Ah» risposi io. Lhea si pizzico il naso tra il pollice e l'indice e chiuse gli occhi. «Tranquilla, non gli assomiglio per niente» risposi calma.
Spostai lo sguardo sul bambino di tre anni.
«Ehi, ciao piccolo. Quando sei carino» dissi porgendomi verso il piccolo. «Somigli molto alla tua mamma» gli dissi.
«Piacere, Valium»dissi alla donna porgendo la mano.
Lei strinse il bambino e non accennò a darmi la mano.
«Rachel» rispose Paul al posto suo.
«Valium, vuoi mangiare qualcosa?» chiese Emily.
«Quello che gli vuoi offrire non è rosso e sicuramente non è liquido» mormorò acida Rachel.
«Rachel!» la rimproverò Paul.
«Farò finta di non aver sentito» mormorai. «Solo l'odore e ottimo, ma di solito mangio più tardi. Comunque grazie» risposi cordialmente.
In quell'esatto istante squillo il mio telefono.
«Tempismo perfetto» mormorai facendo finta di nulla.
«Che fai?Non rispondi?» chiese la ragazza di Collin.
Presi il telefono e risposi. «Dove caspita sei?» urlò Ness dall'altra parte del telefono.
«Calmati, Ness. Sto tornando» risposi calma.
«Lo spero per te» urlò e mi staccò il telefono in faccia.
«Sorridi, V.» disse Seth al mio fianco. Scattò la foto con una di quelle macchine con stampa istantanea.
«Questa va a Jacob» dichiarò ridendo prima di tuffarsi nel fitto bosco.
«Vi saluto. Alla prossima» Mi affrettai a dire. Sparì nel bosco, urlando il nome di Seth. Lo trovai appoggiato a un albero.
«Dai dammi quella foto» gli dissi.
«Tu dammi un bacio» ribattè.
Mi avvicinai a lui, e lo baciai sulla guancia.
Fece un ghigno maligno. «Non è questo quello che intendevo» disse.
Si mise la foto dietro la schiena. Io cercai di prenderla ma m'intrappolò la mano tra la sua schiena e l'albero. Come un'idiota ci ricascai anche con l'altra mano. Mi ritrovai con le mani strette tra il tronco e la sua schiena. Mi potevo facilmente liberare, ma il suo sguardo intrappolò il mio.
«Sai benissimo quello che voglio» dichiarò.
«Sarà il mio primo bac...» mi mise un dito sulle labbra.
«Lo so molto bene che non lo è». Certo. Charlie mi rubò quel bacio con l'inganno. «E la nostra amicizia non finirà così» disse. «Voglio un tuo bacio» pretese.
Non ci pensai due volte. Posai le mie labbra sulle sue. Indugiai su ogni particolare di quelle labbra carnose e bollenti. Un flash mi illuminò gli occhi. Mi staccai immediatamente.
«Queste sono tue» mi disse porgendomi due foto. Una sembrava uno scatto rubato di me. L'altra era un bacio. Seth e io, con le braccia dietro la sua schiena.
«Dimmi cosa hai provato» ordinò.
Nulla. Nulla di travolgente o emozionante come il primo bacio. Una vocina dentro di me disse "inizia ad avere paura V.".
«Non voglio che soffri, ma meglio la verità che una bugia: non arrabbiarti, ma sinceramente non ho sentito ... Nulla» risposi.
Mi liberò le mani e non disse nulla.
Io corsi a nascondere le foto nel "Punto Zero". La mia casa sull'albero. Costruita da me. Dentro era pieno di bauli e scatole, poster e pezzi di stoffe appesi ai muri. Buttai le foto in uno dei tanti bauli. All'interno c'erano un sacco di foto. Mie e di Charlie.
Non avevo tempo per spulciare quelle foto. Corsi verso casa Cullen. Zia Alice insistette per restare a Forks per preparare il matrimonio.
Quando arrivai, trovai Charlie ad aspertarmi.
«Gli animali vi hanno visto» comunicò acido.
«Io credo che Bambi dovrebbe farsi un pò i fatti suoi, e anche tu!» dissi acida.
«Io ho un dono! Al contrario di te! E scusa se ti sto monitorando, ma tu sai molto bene quello che sento per...». Gli tappai la bocca con una mano. «Non lo dire» lo supplicai.
«Valium, Charlie, in casa» urlò Bella dalla finestra.
Gli voltai le spalle e m'infilai in casa.
L'atrio era colmo di bisbigli. Il Succhiasangue stava al piano. Suonava il brano che aveva composto per me. Cercai di non prestarli attenzione e di riccaciare le lacrime dentro.
«Oh, finalmente!» esclamò zia Alice scedendo dalle scale. «Dov'eri? Ti eri dimenticato che oggi dovevi provare l'abito da damigella?» chiese.
«No, stavo cercando di fartelo dimenticare a te» risposi sarcastica.
Il resto dei presenti si mise a ridere mentre lei m'incenerì con lo sguardo.
«Dove sei stata?» chiese Nessie.
«In giro» risposi indifferente.
«A La Push, vero?» chiese Jacob.
«Non dovresti essere al lavoro, tu?» gli chiesi di rimando.
Lui ignorò la mia domanda e urlò « sai molto bene che ti è proibito andare lì!».
«Dai, lascia in pace la bambina. Sicuramente non l'ha fatto in cattiva fede» mi difese Esme.
«Vero» risposi io.
«Se succede un'altra volta giuro che starai chiusa in camera per due mesi» rispose Jacob.
«Dai su, V. Andiamo, devi provarti il...» zia Alice s'interruppe di colpo. Gli occhi gli si velarono, e lei respirò più affannosamente. «I Volturi» disse con voce velata.
«Chi?» chiesimo io e Charlie all'unisono.
«Quando?» chiese Jasper protettivo.
«Fra due settimane» rispose Alice.
«Non ce la faremo a radunare i nostri amici con così...» iniziò a dire Bella, ma zia Alice l'interruppe «non vengono per combattere» si affrettò a dire.
«Allora per cosa?» chiese zio Emm.
«Per far capire che loro sono pronti» rispose zia Alice. «C'è un volto che non riesco a mettere a fuoco» continuò.
«Prova a disegnarlo» propose Esme.
Zio Jasper fece sedere zia Alice al tavolo. Gli diede un foglio e una matita. Zia Alice iniziò a fare gesti convulsi sul foglio. Il suo sguardo era altrove. Assente. Intanto Nessie si avvicinò a me e a Charlie. Ci afferrò le mani e io abbassai la mia "protezione" per vedere le immagini che affluivano dalle sue mani alle nostri menti.
Una lunga processione di mantelli neri e grigi. Una mano da bambina posata sul volto freddo e quasi trasparente di un vampiro dai capelli neri e lunghi. Gli occhi color vinaccia di tutti quelli che indossavano il mantello... Un urlò terrificante ci riportò alla realtà.
Zia Alice era impaurita, schiacciata contro la parete con le gamba strette al petto e il viso tumefatto dalla paura. I Cullen erano chini su di lei, e Jacob guardava il disegno posato sul tavolo.
Io, Ness e Charlie ci avvicinammo verso il disegno.
Era un viso stupendo. I capelli erano lisci e ordinati, il viso di un diciassettenne e gli occhi da tigre.
«Io ho già visto questo volto» sussurrai senza distogliere lo sguardo da quel viso del mio incubo la sera prima.
L'attenzione di tutti vago verso di me.
Per un'attimo ebbi la sensazione che quella piccola parte della mia vita, potesse essere l'iniziò del mio destino.
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice:
Okay, in questo capitolo abbiamo avuto modo di conoscere meglio il carattere della giovane V.: il suo spirito libero, la sua pazzia e il suo strano carattere.
Che ne dite? Vi è piaciuta? Fatemelo sapere con una recensione.
Un bacio, V.

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Capitolo 15
*** La Visita ***


POV Bella
Valium aveva qualcosa in mente! Lei adorava il pericolo, e i Volturi erano di certo pane per i suoi denti.
«Okay, ho capito chi sono i Volturi, ma nei pensieri di Nessie non c'era questo ragazzo. In poche parole, chi è questo tizio?» chiese Valium giocherellando con il disegno di Alice.
«Non l'avevi già visto?» chiese sarcastico Charlie.
«Lo visto, ma no» rispose confusa Valium.
«L'hai visto o no?» cominciò Charlie.
«Questo non è importante!» risposi io.
«Allora, chi è? Perché Alice ha reagito così?» chiese Valium incuriosita.
«Alice, come ti senti?» chiesi preoccupata.
«Ho paura» rispose a voce tremante. «I ricordi legati a quel volto sono convusi e spaventosi. Sono legati a James» disse. Jasper la guardò con area preoccupata. «Sicura?» chiese. Alice annui.
«Posso vedere il disegno?» chiese Carlisle. Valium gli porse il disegno e lui l'afferrò. Studiò il foglio con aria sorpresa. «Raul» mormorò. A quel nome Alice scatto all'indietro, ranicchiandosi contro la parete.
«Chi è?» chiese Edward. Mi cinse la vita mentre studiava i pensieri di Carlisle.
«Voglio ascoltare pure io, se permetti?» disse Valium a Edward.
«Un tempo...» iniziò Carlisle. La mia attenzione si posò su di lui. «Aro, Marcus e Caius erano comuni umani. Avevano mogli... e figli. Aro aveva tre figli: Felix, che lo segue dall'inizio, Raul» disse sollevando il disegno «che fa tutto di testa sua, e una donna».
«Jane?» chiesi.
«No, Jane fa parte di un'altro clan, e poi Alec e suo fratello gemello.
La persona di cui stiamo parlando e almeno il quadruplo della cattiveria di tutti i Volturi messi insieme. Non lo mai conosciuta, ma ti posso dire che da dove passava lei, i Volturi andavano per finire il lavoro» Carlisle concluse la storia con una nota di malinconia.
«La cosa mi eccita» mormorò Valium.
«Te lo scordi» rispose Nessie.
«Non pensarci proprio. È pericoloso» la rimproverai.
«Non quando me» rispose Valium sfoderando il sorriso sghembo di Edward. Sul suo volto sembrava un ghigno maligno.
«Scordatelo, è molto pericoloso. Loro non devono sapere di te e Charlie» replicò Rose.
«Possono restare in casa, mentre noi parliamo con i Volturi?» propose Esme.
«Io in casa con lei non ci resto» protesto Charlie. Era strano da lui.
«Oh, ma fammi il piacere!» rispose irritata Valium.
«Che è successo?» pretesi di sapere.
«Se parli ti uccido» mormorò a denti stretti Valium.
«Tanto non ce ne bisogno» rispose Charlie sorridento. Edward al mio fianco strinse la presa.
«Parli tu? O costringo loro?» chiesi esasperata.
«Mi vergogno di te» mormorò Edward a Valium «ma la vita e tua» proseguì. «Charlie, lasciala stare».
Charlie spostò lo sguardo, mentre V. gli faceva una linguaccia.

Due settimane dopo eravamo tutti pronti.
Valium e Charlie non rimasero in quello stato per molto tempo. Due giorni furono abbastanza per rimettere tutti i tasselli al loro posto.
Valium era ancora arrabbiata perché voleva conoscere "La morte". Così l'aveva chiamata.
Quel giorno era stranamente assolato.
Stavamo dando istruzioni molto precise a Valium e Charlie.
Gli abbracciai entrambi e uscì dalla porta, seguita da tutta la famiglia.
Ci predisposimo a fila e a coppie. Carlisle e Esme all'inizio, io e Edward penultimi, vicino a Nessie e a Jacob umano, che chiudevano la fila. Alzai lo scudo per proteggere tutti.
Vidi le mantelle nere avvicinarsi. Aro era al centro, con al fiancoMarcus e Caius. Una figura alta e vestita di nero mi colpì: era bello come un dio, aveva la carnagione bianca, non trasparente, aveva i capelli nero corvini, il viso era da ventenne, e gli occhi erano rosso vinaccia e incorniciavano un sorriso mozzafiato. La guardia non era al completo. C'era Alec, Demetri, Felix e l'immancabile diavolo dal viso da cherubino di nome Jane.
«Come potevo aspettarmi di farvi una sorpresa se avete la graziosa Alice al vostro fianco» disse Aro.
«Cosa ti porta qui?» chiese Carlisle con voce impassibile.
«Una pura visita di cortesia» rispose Aro. «Ti ricordi di mio figlio Raul, vero?» chiese cordialmente.
«Certo. Spero che lui si ricordi di me» disse Carlisle con voce calma.
«Certo che mi ricordo» rispose Raul con voce potente.
«Lei e la sua compagna, Esme» disse Aro avvicinandosi a quest'ultima che era mano nella mano con Carlisle.
«Piacere di conoscerla. Tua moglie e incantevole» disse Raul usando i modi accomodandi del padre.
«Loro invece sono Emmet e Rose» disse passando avanti.
«Salve. E un piacere conoscervi» disse Raul.
«Ti presento a Jasper. Credo che Alice già la conosca, ho sbaglio?» Aro passo a Alice e Jasper.
«No, non sbagli. E un piacere rivederti Alice, anche se mio padre dice che non ricordi nulla della tua vita umana» disse Raul con tono dispiaciuto. Porse la mano verso Alice, e lei arretrò di scatto.
«Oh, questa e la parte della famiglia che mi affascina di più: lui è Edward, e lei e l'incantevole Bella» disse Aro. Edward strinse la presa su di me.
«Bella di nome e di fatto» disse Raul baciandomi la mano.
«Grazie» mormorai.
«Oh, cara Renesmeè» disse Aro. «Mia giovane amica. Sei diventata veramente affascinante» proseguì in tono accomodante.
«Ciao Aro» rispose lei indifferente.
«Lui sarebbe il tuo compagno mutaforma, o sbaglio?» chiese Aro.
«No, non sbagli. Lui è mio marito» dichiarò Nessie.
«Oh, auguri» rispose Aro. «Posso presentarti Raul?» continuò.
«Ho sentito tanto parlare di te!» disse sorridente Raul.
«Io no» rispose onestamente Ness. «Anzi, fino a due settimane fa non sapevo nemmeno della tua esistenza» continuò.
Raul rise di gusto. «Sai, sarei curioso di vedere com'è il tuo dono. Posso?» chiese cortesemente Raul.
«Cosa voresti vedere?» chiese Ness indifferente.
«Quello che è successo in questi diciotto anni» rispose.
Ness posò la mano con molta delicatezza sul volto di Raul. Fui contenta di poter usare lo scudo su di lei senza impedirle di usare il suo dono.
Dopo qualche minuto Nessie cacciò la mano dal viso di Raul. Quest'ultimo gli afferrò la mano e la baciò.
«Che dono straordinario, non trovi figliolo?» chiese Aro.
«Ti devo dare ragione, padre. È un dono stupendo» rispose Raul.
«Ormai è tardi! Meglio tornare a Volterra» disse Aro.
Stavo per lanciare un sospiro di sollievo quando la palla da baseball di Valium cadde oltre la porta d'ingresso. Uccidere quella ragazza era il minimo.
«C'è qualcuno in casa vostra?» chiese Aro guardingo.
Nessuno di noi rispose.
«Jane?Alec?». I due gemelli entrarono in casa e ne uscirono con Charlie trasportato da Alec che lo teneva con le braccia dietro la schiena. Poi ne uscì Valium, trasportata da Jane. Aveva la stessa posizione di Charlie, ma gli occhi erano puntati a terra e sul viso c'era l'ombra di un sorriso. Jane e Alec gli fecero inginocchiare al cospetto di Aro.
«E voi chi sareste?» chiese Aro. Io Stesi lo scudo verso Charlie, lasciando libera Valium.
«Io sono Charlie e lei è Valium» rispose Charlie.
«Valium?» chiese scettico Caius parlando per la prima volta.
«Alza la testa Valium» ordinò Aro.
«Non posso» disse Valium sorridento.
«Alza la testa!» urlò.
«Tu promettimi che non ti spaventerai?». Valium stava giocando con il fuoco.
«Che sfacciatagine! Solleva la testa, se non vuoi morire in questo istante!» Aro era su tutte le furie. Non l'avevo mai visto così!
«Okay, L'hai voluto tu» minacciò Valium. Alzò lo sguardo facendo sobbalzare tutti i Volturi. Non avevo mai visto Aro così spaventato.
«Oh, santo cielo!» esclamò Raul.
«Ve l'avevo detto» mormorò Valium. Sulle sue labbra le si dipinse un sorriso.
«Come hai fai ad avere questi occhi?» chiese Aro sconcertato.
«Lenti a contatto» rispose Valium.
«Sono stupendi» commentò Raul. Sembrava molto affascinato da Valium.
Porse la mano verso Valium, facendo un segno a Jane. Quest'ultima lasciò le braccia di Valium. Lei posò delicatamente la mano su quella di Raul e con legiadria si alzò da terra.
Raul fece un segno a Alec che lasciò immediatamente a Charlie. Lui si alzò e osservò Valium.
Mi allungai e gli afferrai la mano, per tirarlo verso me.
Raul baciò la mano di Valium e da Charlie uscì un piccolo ringhio di gelosia. Nessuno gli prestò attenzione.
«Cosa sei?» chiese Aro.
«Siamo entrambi vampiri» mentì Valium.
«Quanti anni avete?» sbraito Caius.
«Io novant'anni, lui centoventi» rispose Valium.
«Io ne voglio la conferma» ringhio Caius.
«Zio, non ti fidi di una fanciulla così graziosa?» chiese Raul.
«Figliolo, fidarsi e bene, non fidarsi è meglio» commentò Aro. Chiese con un gesto la mano di Valium dal figlio. Lei gli diede la mano senza pensarci due volte. Aro si concentro in modo incredibile sulla mano, ma come tutti ipotizzavamo non sentì nulla. «Perché no sento nulla?» chiese Aro a Valium.
«Be', non ci riesce nessuno. Io, se voglio posso essere immune a qualsiasi dono, pure a quello di Alice» spiegò Valium. Nel suo tono si poteva benissimo capire che se ne stava vantando.
«Che dono eccezionale» commentò Raul.
«Non lo giudico un dono, bensì pura forza. Se trovassi qualcuno al mio livello forse ci riuscirebbe» spiegò Valium.
«Allora non è un problema se Jane usa il suo dono contro di te?» chiese Caius. Una strana luce gli illuminò gli occhi color vinaccia.
Io e Ness ci avvicinammo di un passo verso Valium, ma lei alzò una mano in segno di ammonimento.
«D'accordo» rispose.<
«Anche Alec?» chiese scettico Caius.
«Certo. Non so quale sia il loro dono ma fa lo stesso» rispose Valium indifferente.
«È molto coraggiosa» mormorò Raul.
«Jane?Alec?» gli chiamò Caius.
Jane affillò lo sguardo su Valium, e la nebbia di Alec strisciò verso Valium.
La nebbia formò una cupola intorno a quest'ultima. Jane, invece, sembrò irritata.
«Ora cosa dovrei fare?» chiese Valium da sotto la coltre di nubi.
«È eccezionale» mormorò Raul.
«Si» accosentì Aro. «Credo che ora dovremmo andare» disse.
«Vorresti venire con noi?» chiese Raul a V.
Io sussultai a quella richiesta.
«No. Mi spiace, ma devo stare qui. Con i miei cari» rispose Valium.
«Okay. Arrivederci Valium» disse Raul. "Spero mai più" pensai.
Aro salutò noi e se ne andò. Lanciai un sospiro di sollievo.
«Vedete? Siamo tutti salvi!» disse Valium.
«Sei proprio un'incosciente!» urlò Nessie.
Io osservavo preoccupata Edward. Era pensieroso. E preoccupato.
«Edward, che hai?» chiesi preoccupata.
«Ho un brutto presentimento legato a quel Raul» rispose con voce inespressiva.
Si. L'avevo pure io. Qualcosa stava per accadere. Qualcosa di brutto.
Valium raccolse la sua palla e entrò in casa.
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice:
Se credete che con i Volturi sia finita così, vi sbagliate di grosso!
Continuate a leggere e fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio. V.

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Capitolo 16
*** Il rapimento ***


POV Valium
Era sabato. E come ogni sabato, andavo a vedermi un film anime da Charlie. Di solito vedevamo film nuovi, ma quel giorno insistetti per vedere " Il castello errante di Howl". Era il mio preferito!
Erano passati quattro giorni dalla visita dei Volturi. Tutti ci erano andati pesanti con me, pure Esme e Rose, che di solito mi difendevano sempre. Ma non ci fu nessuna punizione. "Ci dovevano ancora pensare''. Era stupido. Le mie cose tecnologiche non mi facevano ne caldo ne freddo, se mi chiudevano in casa io scappavo, i libri non lì toccavano! Erano rovinati!
Bussai alla porta della piccola casa di Bella e il Succhiasangue. Aprì Charlie che mi sorrise. Cazzo! Non svenire V.!
«Ho portato i pop corn» annunciai alzando i pacchetti che avevo in mano.
«Io non ne mangio, sai?» disse facendo una smorfia di disgusto.
«Ma io si!» risposi entrando in casa. «Bella e il Conte Dracula?» chiesi guardandomi in giro.
«Ehi, sei già arrivata!» disse Bella uscendo da camera sua.
«Ta tah!» urlai facendo un gesto con le mani. Sia Bella che Charlie scoppiarono a ridere. «Il Conte Dracula?» chiesi.
«Non era "Succhiasangue"?» chiese Charlie dietro di me.
«Sai, muta» risposi indifferente. Charlie trattenne una risata.
«Edward e a casa Cullen. Si è fermato a parlare con Carlisle. Io volevo restare ma l'idiota dietro di te mi ha costretto a ritornare» spiegò sottolineando la prima parola.
«Capito Charlie, sei un idiota. Io lo sempre detto» dichiarai indifferente. Loro risero. «Lo so che faccio ridere» mi vantai scherzosa.
«Si, Charlie Ceplin, andiamo a vedere il film» disse Charlie spingendomi per la vita.
«Sei tu Charlie, poi per Ceplin lo sai tu» dissi mentre mi spingeva. Lui rise.
La sua camera era enorme! Molto più grande della mia! Aveva le pareti di un azzurro chiaro, un letto a una piazza e mezzo -anche se non sapevo a cosa gli servisse- come il mio, era piena di scaffali pieni di manga e la scrivania era colma di spine e fili. C'era una porta finestra al fianco della scrivania, che portava al giardino. Poi c'erano tablet e portatili di ogni statura e marca. Casse ultima generazione, videocamere e DVD. Era un negozio di oggetti tecnologici.
Si sdraiò sul letto, davanti al televisore al plasma. Poggio la schiena al poggiatesta del letto, e mi fece cenno di accomodarmi. Io obbedì senza pensarci due volte. Fece partire il film e io aprì il pacco di pop corn già pronti. Gliene offrì ma lui rifiutò con una smorfia. Iniziai a sgranocchiare i pop corn senza troppi problemi.
Mi concentrai sulla storia di Sophie e Howl.
Adoravo quel film, e avevo anche il romanzo a casa.
Ero tutta concentata quando sentì la sua mano fredda stringermi la vita.
«Inizi?» chiesi retorica.
«Che starei facendo?» chiese sarcastico.
«Mi stai stringendo a te» risposi. La stanza era completamente al buoi, e il bagliore lieve della tv gli illuminava il viso.
«Non è vero» protesto.
Io impallidì. Abbassai lo sguardo e vidi una mano tumefatta stringermi. Urlai e saltai in area. La mano cadde su letto e Charlie si mise a ridere. Blocco il film e mi guardò. Sghignazzava divertito dalla mia espressione.
Lanciai la mano finta vicino alla porta nell'istante esatto che Bella aprì la porta.< Saltò in area pure lei.
«Che diavolo è?» urlò. il suo viso era così divertente che non ce la feci! Mi buttai sul letto e mi misi a ridere. Charlie, al mio fianco, fece lo stesso.
«Idioti» mormorò Bella e uscì dalla stanza.
Charlie si alzò e raccolse la mano finta e me la pasò. Io la studiai per bene.
«Dove l'hai presa?» chiesi.
«Un negozio che vendeva articoli per far scherzi, a Seattle» rispose divertito. Cercò di trattenere una risata. «V.?» mi chiamò.
Io mi voltai e lui indicò la scrivania. La videocamera aveva la spia rossa accesa.< Aveva registrato tutto.
Prese un telecomando e chiuse la spia rossa.
«Quello va su internet» annunciò. Si avvicinò alla videocamera e ne tirò fuori la scheda memoria. Se la mise in tasca e mi sorrise.
«Stronzo» mormorai. Mi alzai e gli andai incontro a velocità inumana. «Dammi la micro sd!» ordinai porgendo la mano per afferrarla.
«Scordatelo» disse sorridendo beffardo.
«Dai! Charlie!» lo pregai.
«Credo tu sappia come guadagnartela» mormorò in tono bassissimo. Era fatto improvvisamente serio.
Io ero confusa «come?» mormorai.
Si avvicinò. Il suo viso era a un centimetro dal mio. «Come hai recuperato la foto che ti ha fatto Seth?» chiese malizioso.
Mi allontanai, e mi sdraiai sul letto, come prima. «puoi metterlo su internet» annunciai.
M'incenerì con lo sguardo, ma non disse nulla.
Si mise vicino a me e fece ripartire il film.
Dopo dieci minuti sentì una mano cingermi la vita.
«Non puoi pretendere che io ci caschi un'altra volta» annunciai ridendo. «Gli scherzi sono belli, ma devono durare poco» dissi.
«E chi sta scherzando?» chiese retorico. Strinse più forte la presa sulla mia vita.
«Vai a quel paese» dissi cercando di alzarmi. Me l'impedì.
«Non ti sto toccando chissà cosa! È solo un abbraccio affettuoso!» spiegò. Io gli alzai il dito medio e cercai di liberarmi. Rise e mi strinse più forte.
«Charlie» urlai.
«Dai, V!» pregò. Io feci l'errore di voltarmi e di cadere nella sua trappola. I suoi occhi dorati erano un trappola mortale per me.< Mi arresi. Gurdammo il resto del film con lui che mi stringeva a sé e io con la testa appoggiata sulla sua spalla. «Okay, io vado!» annunciai stiracchiandomi.
«Dove credi di andare a quest'ora?!» chiese lui. Era serio.
«A casa» risposi sinceramente.
«Te lo puoi scordare! È tardi! Tu dormi qui!» dichiarò.
Okay. Partiamo dal presupposto che non sarebbe la prima notte che dormo -è sottolineo dormo- lì. Ma ultimamente Charlie si era fatto sempre più sfrontato! Mi trattava come se fossi sua! Mi faceva incazzare sul serio!
«Charlie, devo andare!» risposi calma.
«Te lo scordi! È notte, e non ti lascerò andare via di qui! E credo che neanche Bella ti farebbe uscire!» disse.
Sentimmo bussare alla porta. «Che succede?» chiese Bella entrando.
«Dice che è troppo tardi e devo restare qui!» spiegai.
«Se credi che ti faccia ritornare a casa a quest'ora, te lo sogni» disse Bella.
A quel punto non potei più controbattere. Quello che diceva Bella era legge.
«Si arrabbiaranno molto» mormorai.
«Ci parlo io, non ti preoccupare» rispose Bella. «Vado ad aggiustare la stanza di Ness» annunciò Bella facendo per andarsene. «Non ti preoccupare! Il mio letto è abbastanza grande!» comunicò Charlie.
«Ma Charlie ...» Iniziò Bella.
«No, va bene, non ti preoccupare. Non é la prima volta che dormo in questo letto» l'interuppi.
«Okay» mormorò riluttante. «Ti do qualche mio vestito. Vado a prenderne» comunicò e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
«Contento?» chiesi sarcastica.
«Molto» mormorò soddisfatto. Sorrise sadico.
«Stronzo» mormorai.
«Se ti sentissero i Cullen si scandalizzarebberò» commentò ridendo.
Risi di gusto. « Elizabeth! Non usare questi linguaggi!» immittai Bella.
«Edward Jacob! Non ridere!» fece lui.
Bella aprì la porta e ci trovò a ridere come due idioti. «Che c'è?» chiese.
«Nulla. Dammi i vestiti che vado farmi una doccia e mi buttò nel letto» comunicai. «Hai una borsa dove mettere i vestiti che ho addosso?» chiesi.
«Si, vado a prendertela». Mi diede i vestiti e uscì dalla camera come poco prima. Mi sedetti sul letto, in direzione della porta.
Sentì le sue mani sfiorarmi la schiena per spostarmi i capelli da un lato prima di posare le sue labbra sulla mia spalla. Erano fredde ma al contatto con la mia palle, questa avvampava.
«Charlie...» mormorai. I miei occhio si chiusero da soli.
«Shhh» sussurro lui. Le sue labbra indugiavano sul mio collo.
Mi feci forza e mi scansai. «È sbagliato!» ansimai.
«Perché, la vita giusta?» chiese retorico.
In quel esatto istante Bella aprì la porta. Mi diede una sacca da viaggio.
Corsi in bagno e mi feci una doccia veloce. Una strana emozione mi crescette dentro. Impazienza.
Sapevo che il Charlie nell'altra stanza non era il Charlie di cui iniziai a provare "quei sentimenti", ma ero molto attratta da lui.
Sapevo che ormai avevo perso il mio migliore amico per uno spasimante. Per qualcuno che mi promise protezione e felicità.
Era l'unico essere a sapere più di me che di chiunque altro. Sapeva le mie paure, i miei sogni... Era l'unica persona che tratteneva il mio spirito libero nella piovosa e piccola Forks.
Fin da piccola volevo viaggiare e scoprire, ma quando "lo vidi veramente" i miei sogni scomparirono per sempre nei suoi occhi dorati.
Non scordo le sensazioni del mio primo bacio. La passione e il mio cuore. Era solo una scommessa tra Charlie e Seth: chi mi avrebbe dato il primo bacio. Vinse Charlie mentre io perdevo una parte di me: La forza di volontà.
Quando finì la doccia e mi vesti in bagno ero ormai stremata. Entrai in camera e buttai la sacca da viaggio in un angolo prima di crollare sul letto. Mi coprì con il piumone e mi girai di lato.
Sentì le sue mani percorrermi lungo i fianchi fino a stringersi a me.
«Charlie?» lo chiamai.
«Shhh» sussurro contro i miei capelli.
«Charlie, puoi allontanarti? Fa freddo!» mentì.
Il suo corpo così vicino al mio generava emozioni e sensazioni pericolose per il mio autocontrollo. Poi c'era il suo odore. Era un misto di fiori...e sole. Se avessi quel genere di Sete gli avrei attaccato ad occhi chiusi.
«V., ti amo» sussurrò.
Il mio cuore rimbalzo contro il petto e perse qualche colpo. Un brivido caldo mi attraverso la schiena. Ma il colmo fu quella lacrima fuggita dai miei occhi, che cadde sul letto.
Lui se ne accorse e mi lasciò. Si alzò dal letto e si cacciò la camicia, buttandola sulla sedia della scrivania. Sentì che si era seduto sul letto e si mise le cuffie dell' Mp3 nelle orecchie.
Mi addormentai cinque secondi dopo.

Mi svegliai nel momento sbagliato e nel posto sbagliato.
Sentì sbattere la porta e il vento alzarsi dalla corsa di qualcuno.
Ero sul suo petto, con un suo braccio che mi stringeva la vita.
Feci finta di dormire per poi girarmi dall'altro lato. Ma lui mi trattenne e mi bacio i capelli. Aveva capito che ero sveglia.
«Che vuoi per colazione?» chiese con voce priva di emozione.
«Nulla» risposi con gli occhi chiusi.
Il silenzio scese tra di noi.
Io ero ancora avvinchiata a lui. Non volevo aprire gli occhi! Non volevo rovinare quel momento sbagliato.
«Sentì...» ruppe il silenzio. «Riguardo a ieri sera...».
«Nulla» l'interruppì in un sussurro.
«Forse per te» disse acido.
Io aprì gli occhi e fissai i suoi. C'era rabbia, irritazione e peggio di tutti, tristezza. Mi liberai dalla sua presa, e mi alzai.
Okay, che ci facevo in intimo?
«Charlie?» lo chiamai. Era voltato dall'altra parte, e sorrideva. «Che ci faccio mezza nuda nel tuo letto? Non avremmo mica fatto...?» urlai esasperata.
«No!» si affrettò a dire. Si voltò per un secondo prima di ritornare a quello che stava guardando. «Avevi caldo e ti sei spogliata nel letto. Sai, sei sonnabula?» scherzo ridendo.
«Non c'è nulla da sghignazzare!» urlai.
Si azzitti di colpo. «No, non c'è nulla da ridere!» mormorò. La situazione era imbarazzante per tutti e due.
Ne approfittai per fargliela pagare. Saltai sul letto e mi avvicinai a lui. Era girato di spalle, e indossava solo i boxer.
«Charlie» gli sussurrai in un orecchio. «Perché non ti giri?» chiesi con voce seducente. Lo sentì rabbrividire.
«Perché sei nuda!» rispose deciso.
«Mezza nuda» precisai « e lo sei pure tu» continuai.
«È scorretto!» urlò arrabbiato. Il mio migliore amico era tornato. Era ancora vivo sopra quello sfrontao che ieri sera mi aveva provocato. Il mio gentiluomo.
«Così mi piaci» mormorai. Gli schioccai un bacio sul collo e gli afferrai la mano per portarla sul mio petto. «So che ti piace sentire il mio cuore» dissi.
«E con questo?» rispose lui.
«Vuoi sentire il mio cuore?» chiesi sinceramente.
Fu un attimo: mi ritrovai sul letto, con lui che era sopra di me e aveva il braccio destro nell'icavo del mio collo.
«A che gioco stai giocando? Ieri reagivi male alle mie provocazioni, ti ho detto ti amo e ti sei messa a piangere! È ora vuoi fare sesso con me! A che gioco stai giocando?» sputò fra i denti.
«Io non voglio fare sesso con te» urlai.
«Allora smettila di provocarmi!» urlò.
«È più forte di me» mi scappò di bocca in un sussurro.
Cacciò il braccio dal mio collo e posò le labbra al suo posto.
Dovevo protestare ma non lo facevo.
Gemevo, sorridevo e godevo per i suoi baci. Il cuore mi fremeva in petto. Mi costrinsi a protestare.
Charlie, è sbagliato» ansimaì. Lui alzò lo sguardo e io capì che voleva fare sesso con me. «Vuoi scoparmi?» chiesi sarcastica.
Posò la mano destra sul mio petto e la fece scivolare fino al mio seno, solo rivestito dal reggiseno.
Avvicinò le sue labbra al mio orecchio e sussurrò «voglio fare l'amore con te».
La paura s'impadronì di me. Lo spinsi via, facendolo cadere dal letto.
Mi vesti in fretta e scappai da quella casa.
Casa Cullen era colma di bisbigli. La porta era aperta, quindi entrai senza pensarci.
«Buon giorno» salutarono tutti.
«Tesoro, fatta colazione?» chiese Esme col suo solito tono premuroso.
«No, ma non ti preoccupare. Non ho fame» risposi in fretta.
«Okay» disse Esme. Poi fece la stessa domanda a Nessie e a Jacob che risposero come me.
Sentì dei passi dietro di me ma non mi voltai. La sua presenza mi faceva venire pe vertigini.
«Salve» mormorò con voce morta. Priva di emozioni. Loro lo salutarono.
«Pensavo di andare a caccia» disse a Bella.
«Ma io non ho sete» rispose quest'ultima.
«Non ti preoccupare, vado da solo» rispose e uscì di casa.
Io lo seguì a ruota.
«Charlie?» lo chiamai in un sussurro timido.
«Che vuoi?» rispose scontroso, girandosi di scatto.
«Riguardo a quello che è successo...» m'interruppe.
«Non è successo nulla! Secondo te perché se no sarei arrabbiato con te?!
Questo è il problema! Non succede mai nulla!». Non urlò ma era veramente arrabbiato. Mi feci piccola piccola di fronte alla sua rabbia. M'incenerì con lo sguardo e sparì oltre gli alberi.
Non volevo tornare in casa e affrontare i Cullen. Corsi verso la casa sull'albero.
Era un covo di ricordi. Bei ricordi.
Salì, e andai verso il baule delle foto. L'ho aprì e lo svuotai a terra.
La prima foto che mi saltò all'occhio ritraeva due bimbi: entrambi con la pelle diafana, ma la prima era vestita di verde, con un abitino pieno di pizzi e merletti. Aveva gli occhi di colore diverso, uno blu mare l'altro rosso sangue, e aveva i lunghi capelli bronzei legati in lunghe code ai lati della nuca. Era molto graziosa e carina, ma fin troppo femminile.
Poi c'era un bambino con gli occhi dorati e i capelli scuri. Era vestito con una camicia bianca e dei pantaloni neri. Era dolce e piccolo. Si tenevano la mano e sorridevano. Lei era più alta di lui, e questo mi fece ridere, visto che ora era il contrario.
Ne presi un'altra che ritraeva sempre i due bambini, ormai adulti.
Erano con la schiena appoggiata una a l'altro. La ragazza aveva una posizione divertente: con le mani faceva una pistola, e guardava il ragazzo più alto di lei.
Lui era stupendo: aveva gli occhi dorati e il viso dolce ma adulto. Avevamo uno sguardo divertito. Entrambi sorridevano compiaciuti.
Erano amici. Anche se provavano qualcosa di più dall'amicizia.

Passai l'intera giornata lì dentro. Era sera tarda quando ritornai a casa.
Mangiai qualcosa del giorno prima, mi feci una doccia e mi buttai sul letto.
Sognai un posto strano, antico. Un piccolo paesino antico. Era completamente vuoto. Poi c'era la biondina che mi aveva preso ultima giorno della visita dei Volturi, quella che Bella aveva chiamato "strega dal viso da cherubino". Teneva le braccia a Charlie, mentre Raul lo decapitava.
Mi svegliai di colpo, ed era già mattina.
La casa era stranamente silenziosa.
Mi cambiai e corsi a casa Cullen.
Bussai alla porta e aprì Rose. Aveva un'espressione strana. Triste e misteriosa.
«Che succede?» chiesi.
Lei mi guardò in modo strano, ma spostò subito lo sguardo.
Capì che era successo qualcosa di brutto, e anche a chi era successo. «Charlie» sussurrai. Lei mi guardò.
La lasciai lì, e corsi sopra.
Mi sorpresi nel vedere Lhea e Seth.
«V.» mormorò Nessie.
Bella m'incenerì con lo sguardo. «È tutta colpa tua!» urlò.
«Calma, Bella. Tranquilla. Lo riporteremo a casa» disse il Succhiasangue.
«Perché? Se ne andato?» chiesi in un sussurro.
Si scambiarono uno sguardo loquace. «Allora?» urlai.
Bella si avvicinò a me, e mi porse un foglietto piegato.L'ho aprì.
"Cara Valium,
Sarei felice d'informarti che il tuo amichetto, Charlie, è qui con noi.
Ti avviso che non sarà una passeggiata per lui! Ma tu e la piccola Alice potete risolvere ogni cosa. Vi aspetto a Volterra. Tu e Alice, senza nessuno. Un caloroso abbraccio, Raul".
Non ci pensai due volte. Buttai il foglietto a terra e corsi verso casa, con gli occhi colmi di lacrime.
Presi la prima borsa che mi capitò e c'infilai i primi vestiti che trovai.
Ritornai a casa Cullen.
«Ti muovi o parto da sola?» chiesi a Alice, tra i singhiozzi.
«No!» urlò Nessie.
«Okay!» risposi.
Non pensai due volte ad uscire di casa e iniziare a correre.
Nella mia mente c'era solo un pensiero: Tutto per il mio LUI.
CAPITOLO REVISIONATO.


Spazio all'autrice:
Okay, se debbo essere sincera, questo e uno dei miei capitoli preferiti. Lo so, è sbagliato fare preferenze, ma qui si capisce molto bene i sentimenti che provano i miei due personaggi. Si capisce molto bene il carattere di Valium.
Ma sta ha voi giudicare. Che ne pensate? Vi piace?
Fatemelo sapere con una recensione.
Un bacio, V.

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Capitolo 17
*** Il viaggio ***


POV Valium
Zio Emmett e zio Jasper mi bloccarono. Mi trattenevano dalle braccia. Cercavo di liberarmi, ma era tutto inutile se non volevo fargli del male.
Nessie si mise davanti a me, e mi afferrò la testa tra le mani, costringendomi a guardarla.
Mi dimenavo e urlavo.
«Lasciatemi!» urlavo in continuazione. Sentivo le lacrime riempirmi gli occhi.
«Senti! Non lo lasceremo lì! Ma dobbiamo essere uniti se vogliamo ritornare insieme a casa! Sei vogliamo essere tutti vivi!» urlò Ness «Perché tu ci vuoi vivi?» chiese.
Gli buttai le braccia al collo, liberandomi da i miei zii.
«È tutta colpa mia!» singhiozzai. «Non tornerà più!» continuai.
«Calma, tesoro! Tornerà!» mormorò mia madre, stringendomi a sé.
«Mamma!» urlai. «Ho paura!» continuai.
«Calma, Valium» disse mio padre stringendoci entrambi.
Mi trascinarono in casa, facendomi sedere sul divano. Mia madre non mi lasciò un secondo.
«Dobbiamo pensare a un piano» disse zio Emmett.
«Non possiamo lasciarlo lì» acconsenti zia Rose.
«Facile» mormorai asciugandomi le lacrime «andrò a Volterra».
«Faresti questo per lui?!» chiese scettica Bella.
«No!» rispose mia madre. «Non andrai da nessuna parte senza di noi!».
«Basta con questa super iper protettività del cazzo!» urlai. «C'è la vita del mio migliore amico in gioco! Non penserò solo a me! Andrò a Volterra! Che vi piaccia oppure no!». Scattai in piedi e mi volatilizai oltre la porta di casa Cullen.
Camera mia era nel suo perenne disordine. Ma pure essendo così, sapevo benissimo dove trovare le cose che cercavo.
Una sacca da viaggio e la maggior parte dei miei vestiti. Trovai una valigia color fucsia acceso, e la riempì con i primi vestiti che mi capitarono per mano.
La porta di camera mia si spalancò e mio padre mi strinse a sé.
«Non ti lasceremo andare da sola!» mormorò mia madre dietro di lui.
«Una vita per una vita! La mia, per quella di Charlie!» urlai esasperata.
«Non ne hanno il diritto!» sussurrò mia madre.
«Oh, piccola mia, davvero credi che ti lasceremo andare da sola nella tana del lupo?» chiese sarcastico papà.
Risi. Mio padre riusciva sempre a sollevarmi su di morale. «Papà?» lo chiamai.
«Si, tesoro?» rispose.
«Sono già nella tana del lupo» dissi.
Loro risero di gusto. Mi riportarono a casa Cullen.
Stavano pianificando ciò che potevano fare.
«Partiremo io e Bella con Alice e Valium» propose il Succhiasangue.
«Non lascerò mia figlia da sola lì!» intervenì Ness.
«Nemmeno io» rispose Jacob.
«Ma Ness, è pericoloso! Se dovesse succedervi qualcosa...» Bella non proseguì. Forse aveva paura della sua sfortuna.
«No!» dissi io. «Più siamo e meglio è!».
«Ma V! È peric...» interuppì Bella nel mezzo di una frase. «La vita di Charlie è in pericolo! Solo questo è pericoloso! Che lui non torni a casa! Il resto non conta!» urlai.
Anche se non sapevo come sarebbe andata a finire, non riuscivo a immaginare se sarebbe andata male. Non riuscivo a immaginare una vita senza Lui. È ciò non era positivo.
«Valium, sta tranquilla. Si risolverà tutto» mormorò Ness abbraciantomi.
«Abbiamo un jet privato che ci aspetta al aeroporto di Olympia» comunicò il Succhiasangue.
«Jet privato?» chiese Jacob.
«Almeno non faremo soste a New York e a Roma» rispose il Succhiasangue.
«Ottimo» mormorai.
Andammo a casa dove finì di preparare le valige.
Per tutto il tempo non feci altro che pensare a Charlie. Chissà come stava? Gli facevano male? Lo facevano cacciare? Era vivo? Il cuore mi si spezzo in mille pezzi quando mi feci questa domanda. Certo che era vivo!
L'avresti sentito se fosse morto! Disse una vocina nella mia testa.
«Valium? Sei pronta?» gridò Nessie dall'altra stanza.
«Si» urlai uscento da camera mia.
Jacob tentò di prendermi la valigia, ma io glielo impedì. Non ero una bambina!
La jeep di zio Emmet ci aspettava davanti casa. Saltai per raggiungere il sedile, e presi posto vicino al finestrino.
Da Forks per arrivare ad Olympia, c'erano tre ore di viaggio. Partimmo alle quattro. Ebbi tre ore per pensare.
Okay, non dovevo essere così protettiva nei confronti di Charlie. Ma non riuscivo a liberarmi questa iper prottetività. Non era amicizia quello che provavo per lui.
Quando raggiungemmo l'aeroporto era ormai sera, e io ero stanca di pensare. Ero stanca é basta!
Entrammo nel jet, dove mi addormentai in un attimo.
Feci un sogno strano: «Non puoi nasconderglielo all'infinito» disse una voce maschile.
«Non ne ho intenzione» rispose una donna.
«Ness, hai visto come ci soffre. Puoi dire quello che vuoi, ma hai visto come si atteggia. Quella non è amicizia!» disse un altro uomo.
«Ti sarai confuso! Quello che ho capito io e che si sente in colpa!» contrabbattè la voce femminile di poco prima.
«No, si amano! Charlie almeno l'ama! E anche tanto!» disse una donna. Non la stessa.
«Forse non vedrò lei, ma in teoria dovrei vedere Charlie, ma non ci riesco! Non da quando l'ha vista veramente!» mormorò una vocina di cristallo.
«Ness!» la richiamò la seconda donna.
«È ancora una bambina» rispose Ness.
«Hai tuoi occhi resterà sempre bambina» rispose la donna.
Il silenzio calò.
Charlie. La mia parola d'ordine. Perché lo desidero così tanto?
La domanda e perché non possiamo essere felici? Come i miei, come Bella e il Succhiasangue!Perché non ci è permesso?
Forse è il fato? O il destino? O forse è il fatto che lui non è la mia anima gemella! Che io non ho avuto l'imprintigh con lui! Certe volte avrei desiderato essere umana. Per esempio: ogni volta che lo guardavo negli occhi, che lo vedevo senza camicia, o la sera prima, quando ha detto le parole più semplici che esistono, ma anche le più importanti. Per gli umani è facile. Loro non si preoccupano di far soffrire le persone. Io, invece, non potevo far soffrire il mio migliore amico.
«Valium, sveglia. È mattina» mormorò Jacob scuotendomi con delicatezza.
La mia testa era poggiata sul grembo di Ness, mentre le mia gambe erano posate sul grembo di Jacob. Ero coperta da un caldo plaid, e i miei piedi erano più che cotti. La mia pelle era un misto dei miei tre esseri: Tenera e liscia come quella umana, infrangibile e brilla al sole come un vampiro e guarisce in fretta come un licandropo. Poi non ho un odore. La mia pelle non profuma di niente. Il calore e umano, quindi posso sentire sia caldo che freddo.
Non ho mai saputo il perché il mio occhio sia rosso e non blu. Tutte le volte che lo chiesi a Ness, lei sviava i discorso.
Mi alzai, facendo cadere il plaid a terra. Lo raccolsi e lo posai vicino a Nessie.
«Ci vuole ancora molto?» chiesi impaziente.
«No, qualche ora» rispose Bella.
«Non sapevo che parlassi nel sonno» commentò il Succhiasangue.
«Non lo sapevo nemmeno io» rispose Bella.
«Che ho detto?» chiesi in un sussurro. Sapevo molto bene cosa avevo detto! È ciò non era positivo.
«Sei molto in pena per Charlie. Niente di che» rispose mamma.
Pronunciare il suo nome era diventata una tradizione da un anno a questa parte. Da quando lo vidi con occhi d'adulta.
Passarono le "poche ore" di cui aveva parlato Bella.
Prendemmo in prestito una macchina a sei posti: due avanti e quattro dietro. Avrei preferito una Ferrari testa rossa per essere in tema.
Eravamo a Pisa. Ci voleva poco più di un'ora in auto.
La musica che usciva dall'autoradio era molto carina. Anche se non capivo le parole.
«Perché sorridi?» fece Bella. Seguì il suo sguardo fino al viso del Succhiasangue.
Io cercavo con il telefono le canzoni dell' autoradio.
«Mi piace l'Italia. Potrebbe essere piena di problemi -tipo politici/economici- ma pensano sempre all'amore. Tutte le canzoni che stai ascoltando parlano d'amore. Gli italiani sono molto diversi dagli americani» spiegò il Succhiasangue.
«Perché?» chiese Bella sorridente.
«Perché gli italiani pensano all'amore, mentre gli americani pensano a qualcosa collegato all'amore, ma senza amore» rispose.
«Non dire cosa» mormorò mia madre indifferente.
«Sesso?» chiesi io. «Valium!» mi richiamò Ness con fare severo. Non gli prestai attenzione. Non m'interessava.
«Ha ragione» comunicò il Succhiasangue.
«Vorresti dirmi che vuoi trasferirti in Italia?» chiese scettica Bella.
«Con i Volturi in giro?» rispose retorico. «Se fossi stato umano, perché no? Qui, se ti sposi a diciott'anni, nessuno pensa che tu abbia lasciato la tua ragazza incinta» spiegò.
Bella annuì, e strinse più forte la mano del Succhiasangue.
Nessuno ti giudica. Di questo avrei bisogno. Di non essere giudicata.
Passò un'ora da quando partimmo dall'aeroporto.
Iniziai a scorgere le mura che racchiudevano una vecchia città, circondata da gente vestita di rosso.
«Che diavolo è?» borbottò Jacob.
«Che giorno è?» chiese Bella sorpresa e spaventata allo stesso tempo.
«Quindici Aprile» rispose Nessie.
Il Succhiasangue strinse la presa sul volante.
«L'hanno fatto di proposito?» chiese zia Alice in tono di voce privo di emozioni. «Sono già passati diciannove anni» mormorò Bella pensierosa.
Girammo intorno alle mura della grande città, fino a trovare un posto in ombra e isolato. Lasciammo l'auto lì, e scavacalmo il grande muro.
Non so il significato di quello che sentì. La stessa sensazione che provai qualche settimane fa, quando vidi per la prima volta il viso di Raul. Ma il fatto sta, che quando posai un piede su una strada di quella vecchia città, provai la sensazione che quello era l'inizio del mio destino.
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice :
Ciao a tutti!
Questo capitolo e fondamentale per la storia.
Uno dei tanti segreti che circonda questo nuovo personaggio, e stato svelato.
Se ne volete sapere di più, continuate a leggere, e lasciate una recensione, per farmi sapere che ne pensate.
XOXO. V.

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Capitolo 17
*** Malcom ***


POV Valium
Stavamo entrando in un hotel a cinque stelle. Cercai di non discutere sul fatto che era costoso, e che non dovevamo farci notare.
Eravamo alla reception, quando un bambino mi venne addosso. Cadde a terra, ma si rialzò in fretta, e parlò in italiano per, forse, chiedere scusa.
«Rihito! Rihito!» urlò un ragazzo. Avrà avuto si e no sedici anni. >BR> Venne verso di me, e disse parole incomprensibili.
«Parli inglese?» chiesi io.
«Sei inglese?» chiese lui in una perfetta lingua.
«Americana» precisai.
«Fortunata» mormorò lui.
«Non direi proprio» risposi sorridento.
Mi sorrise. «Scusa mio fratello. Mia madre e occupata alla reception, e mi ha lasciato a fare il babysitter a lui e al suo amichetto» disse dispiaciuto il ragazzo.
«No, può capitare. Lascia perdere» dissi.
Okay, partiamo dal fatto che era carino -occhi neri, capelli neri, muscolatura molto ben sviluppata, e viso da angelo- ma nel suo sguardo c'era qualcosa di strano. Misterioso.
«Comunque, piacere, Malcom» disse porgendomi la mano.
«Valium» risposi stringendola.
«Valium?» chiese scettico lui.
«Si» risposi sorridente.
«Che nome strano!» disse insospettito. Ma a lui cosa interessava del mio nome?
«La mia vita e strana, Malcom» risposi ridendo.
«Non quando la mia» rispose tristemente.
«Sicuro?» chiesi sinceramente.
«Si!» dichiarò.
Ad un tratto, tre persone lo affiancarono. Due donne bellissime, e un uomo stupendo.
La prima donna sembrava la più grande: aveva occhi e capelli castani, di fisico era maggiorata, ma non grassa, aveva la carnagione rosea. Sembrava sud-americana.Un uomo la scrutava preoccupato dall'altra parte della sala. Aveva gli occhi e i capelli neri, ma era bellissimo: alto, muscoloso.
Bellissimo. Ma non come quello che mi stava davanti e scrutava mi divertito: Capelli neri e occhi di ghiaccio. Sembrava sicuro di se. Il suo viso aveva tratti dritti, e il suo fisico era muscoloso abbastanza da sembrare un atleta. E pur essendo così bello, qualcosa mi disse che era pericoloso.
L'ultima donna era alta e molto femminile: aveva lunghi capelli color oro pallido, occhi di un blu intenso, tipo lapislazzuli, il viso era a forma di cuore.
Esprimeva una calma e una tranquillità assoluta. Sembrava un angelo. «Tua madre a detto di salire» comunicò calma quest'ultima.
«Shira si arrabbierà molto, sai?» disse il ragazzo ridendo. Sembrava volesse mangiarmi con gli occhi.
Cacciarmi i miei vestiti - T-shirt con la stampa di un incendio e le parole "bad girl" a cui avevo tagliato le maniche, uno paio di jeans tagliati al ginocchio, le mie calze colorate e le scarpe da ginnastica- e nutrirsi di me.
«E solo una ragazza! Si chiama Valium!» disse lui sulla difensiva. Poi si rivolse a me «loro sono...».
La ragazza da i capelli scuri l'interruppe. «Non perdiamoci in parole inutili! Tua madre ha detto di muoversi!» disse in un strano accento portoghese ormai scomparso.
«Dov'è tuo fratello e Bob?» chiese la bionda.
I due bambini -nemmeno fossero stati chiamati- corserò verso i quattro.
«Bene, credo che possiamo andare!» disse la bionda.
«Aspetta un attimo» disse l'uomo. «Piccola, perché dopo non ci vieni a tro...» si blocco di colpo, e guardò un punto dietro di me.
Mi voltai, e vidi il Succhiasangue che era appena un passo dietro di me. Ricambiava lo sguardo del l'uomo.
«Andiamo?» chiese senza distogliere lo sguardo.
«Certo» risposi. Non volevo contrabbattere o rispondere. «Ciao Malcom» dissi, e mi voltai.
Sentì il Succhiasangue seguirmi a ruota. Fu strano il modo in cui camminò. Sembrava nervoso. Ne ebbi la certezza quando mi mise una mano sulla schiena, come per spingermi.
Non mi lasciò finché non entrammo nella camera.
«Non devi più parlare con quei tizi, capito?» ordinò con fare severo.
Il sangue mi ribollì nelle vene. Volevo ucciderlo con le mie stesse mani! Chi si credeva di essere?! Mio padre?! Era solo un assassino! A cui non devo nulla!
«Stai giocando col fuoco, Succhiasangue» mormorai calma. Ero sempre stata una brava attrice. È l'unica persona a cui non riuscivo a darla a bere era nelle mani sporche di sangue dei Volturi.
Il Succhiasangue imprecò silenziosamente. «Valium, dammi ascolto! Una buona volta, dammi ascolto! Quel tizio con i capelli neri e molto pericoloso! Dammi ascolto!» mormorò fra i denti arrabbiato, sputando le ultime parole.
«Chi? Quello con gli occhi di ghiaccio? Quello bello come un dio? Ho deciso di accettare il suo invito! Magari ho trovato l'uomo della mia vita!» urlai. Non avrei mai accettato il suo invito. Quell'essere, anche se perfetto, mi metteva paura.
«Quale invito?» chiese mio padre dietro di me.
«Cazzo» mormorai sottovoce. «Nessuno. Scherzavo» risposi a voce alta.
«Me l'ho auguro» mi liquidò il Succhiasangue. Si allontanò da me, e andò verso Bella.
«Tesoro, vuoi qualcosa da mangiare?» mi chiese mia madre.
«No» sussurrai.
«Non mangi dall'altro ieri» mi fece notare.
«Si, ma non ho fame» risposi. Stavo per perdere la pazienza. «Okay, vado sotto a fare colazione» comunicai.
Scesi al Bar del hotel. Mi sedette su uno sgabello, ad aspettare il basista.
Mi salutò in italiano. «Sà parlare l'inglese?» chiesi io preoccupata. «Che mi consiglia. L'unico cibo italiano che conosco, e la pizza. Mi affido a lei!» risposi ridendo.
Il cameriere rise. «Le consiglio un ottimo caffè italiano, e un bel cornetto al cioccolato» disse quando finì di parlare.
«Vada per questo» risposi.
Il cameriere si allontanò per servirmi.
Il telefono mi squillo in tasca. Lo presi, e lessi il nome della persona che mi stava chiamando.
«Le chiamate fuori stato costano, sai?» la presi in giro.
«Valium! Basta! Dove siete?» urlò Lhea dall'altra parte della cornetta.
«In hotel. Sono le dieci di mattina e è il santo patrono del paese. Le strade sono colme di gente! Non possiamo uscire fino a sta sera» risposi.
«Cha cavolo di sfortuna!» urlò lei.
«Non sono sorda! Ma se continui così, lo diventerò» risposi io. «E poi lo so che è una cazzo di sfortuna» continuai.
«Valium?» nel suo tono di voce c'era molta preoccupazione. «Ci riuscirete?» chiese tristemente.
«Certo» risposi. «Ora devo andare. Ti saluto! E sappi che mi manchi!». Gli staccai il telefono in faccia.
Se ci avrei parlato ancora, avrei pianto di certo!
Lhea a sempre voluto bene a Charlie, tanto quando ne voleva a me. Era l'unica del branco, con Seth, a sapere della sua esistenza.
Quand'ero piccola, non si annoiavano mai a giocare con noi. Anzi si divertiva.
«Valium!» la voce di Malcom mi svegliò dai miei sogni ad occhi aperti. Era con la donna sud-americana e una ragazzina dai capelli rossi e gli occhi blu. «Come va?» chiese Malcom sedendosi vicino a me.
«Bene, a parte che mi costringono a mangiare» risposi.
«Oh, non si preoccupi, signorina. Una volta che assaggia la cucina italiana, non ne può fare più a meno» s'intromise il barista. Malcom e il barista scoppiarono a ridere.
«Chi ti costringe?» chiese Malcom.
«I miei» risposi.
«Quello che prima ti ha chiamato e tuo padre?» chiese lui.
«No. È mio zio» risposi.
Fu un attimo. Notai i due uomini di prima -quello con gli occhi neri e l'altro dagli occhi di ghiaccio- che osservavano la sala.
«Sei venuta a festeggiare san Marco?» chiese divertito. Non mi accorsi che aveva ordinato anche lui.
«È un caso che ci troviamo qui proprio oggi. Tu?» non mi andava di inventare una scusa.
«Mia madre è una cantante. E venuta a cantare per la festa» rispose.
«La conosco?» chiesi sorridente.
«No. Ma forse fra qualche mese si» rispose ricambiando il sorriso.
«Come si chiama?» chiesi dando un morso al cornetto. Era ottimo.
«Chichi Miyagi» rispose.
«Non siete di qui» non era una domanda.
«Si, mia madre è mezza americana, mio padre e stato adottato, ma entrambi sono cresciuti in Giappone» rispose.
«Adoro il Giappone» sbottai. «Io e mio fratello ogni sabato ci vediamo un anime, e lui colleziona e disegna manga!» continuai.
«Bene. Ne sono contento!» rispose ridendo della mia pazzia.
«Malcom! Non fare l'idiota con le ragazze, se no lo dico a Shira!» minacciò la rossa.
«Shira e la tua ragazza?» chiesi.
«Si! Stiamo insieme da un anno» rispose. Era veramente entusiasta quando parlò di lei. Era innamorato. Lo invidiai tantissimo per questo.
«E tu? Niente fidanzati?» chiese ridendo.
«Ho un paio di persone che mi fanno il filo, ma non m'interessano». Una si! È troppo! Cambiai discorso. «Loro chi sono?» chiesi indicando le ragazze dietro di lui.
«Amiche di mia madre» rispose. Non sapeva mentire. Si vedeva a vista d'occhio che mi mentiva. Ma avevo troppi problemi per pensare a lui.
«Che ne dici se sta sera andiamo alla festa? Ho sentito che ci saranno le giostre. Ci divertiremo» chiese.
«È un appuntamento? Non sei fidanzato?». Non mi sarei arrabbiata, ma non avrei accettato.
«No! E solo un uscita! Niente di più! Non so in America, ma in Italia, uscire tra amici e normale» rispose.
«Che ci fa un giapponese mezzo americano in Italia?» chiesi.
«A mia madre piace l'Italia! Siamo in vacanza» rispose sorridente.
Stavo per chiedergli dove stava, ma il Succhiasangue scese, e dietro di lui c'era Jacob. Perfetto.
«Hai finito?» chiese mio padre avvicinandosi a me.
«No» risposi. Finì il cornetto, e bevvi in un sorso il caffè. Provai a non sputarlo visto che era senza zucchero, e pure amaro.
Malcom, al mio fianco, si mise a ridere della mia espressione. Senza pensarci mi avventai sull'acqua.
«Finito» dichiarai.
Il Succhiasangue stava pagando il conto, e io salutavo Malcom quando incrociai lo sguardo di quel uomo.
Lui mi lanciò un sorriso, e un brivido freddo mi salì per la schiena. Ogni cosa di quel uomo mi urlava "pericolo". Dalle sua bellezza sconvolgente, ai capelli neri e gli occhi di ghiaccio.
Ma anche se mi spaventava, una parte di me provava una strana sensazione nei suoi confronti. Attrazione.
Non saprei descrivere che genere di attrazione era. Ma potrei assicurare che non si trattava della mia sete di pericolo. No. Non lo era.
Mio padre mi afferrò da un braccio, e mi trascinò su per le scale, con il Succhiasangue dietro di noi.
Mi spinse in camera. In quell'istante mi accorsi che era nervoso.
«Che c'è?» chiesi dispiaciuta. «Ti ho fatto arrabbiare?».
«No, tranquilla. Vai a dormire!» ordinò nervoso.
«Cosa?» chiesi intimorita.
«Vai!» urlò. Obbedì senza pensarci.
Mi buttai sul letto, e provai a dormire.
Mi svegliai con la luce del tramonto entrava dalla finestra. Era il crepuscolo, e a terra la gente festeggiava il suo patrono.
Mi alzai, e mi affacciai alla finestra. Le strade erano piene di bancarelle, di urla e di gente vestita di rosso e grigio.
I bambini avevano palloncini, e ridevano felici con i loro genitori.
Perché non potevo essere come loro? Ah, già: perché il mio caro nonnino a avuto la brillante idea di innamorarsi di una umana, che si è sposata e lasciato incinta, per poi trasformarla in un essere immortale dopo la nascita di mia madre, con cui mio padre ha avuto l'imprintigh nemmeno mezz'ora dopo la sua nascita! Okay, sono una sfigata!
Il mio modo di vedere le cose e diverso da quello dei Cullen. Loro giudicano le parolacce un grave sintomo di maleducazione, mentre io le giudico un puro atto di sfogo. Okay, non é l'esempio giusto. Per loro l'amore e una cosa che rende ogni giorno più bello, per me l'amore e una cosa inutile! Anche se il mio cuore batte per Charlie, non vuol dire che io lo ami sul serio!
L'amore rende ogni santo giorno più orrendo, brutto,...Triste! Parlo per esperienza personale.
Qualcuno bussò alla porta, e io sussurrai «avanti».
Mia madre entrò in camera, e scrutò la mia espressione.
«Che c'è?» chiese preoccupata.
«Niente» risposi calma.
«Perché piangi?» chiese.
Stupido corpo del cavolo. «Oh, potrei essere allergica a qualcosa» risposi sorridente.
«Ne dubbito» rispose lei «cosa c'è, tesoro?» chiese.
«Sono solo preoccupata per Charlie. Quando andremo a prenderlo?» chiesi tristemente.
«Mio padre dice che dovremmo aspettare la fine della festa» rispose pensierosa.
«Perché?» chiesi.
«Tuo padre si deve trasformare, e in pubblico non può farlo» rispose.
«Io vado» urlò zia Al dall'altra stanza.
«No! E pericoloso!» rispose Bella urlando.
«Rivuoi Charlie a casa? O non t'interessa?» rispose zia Al.
«Alice, andremo insieme» disse Bella.
«Non è possibile aspettare. La sua vita ogni istante e più vicina a un addio» mormorò zia Al.
«Edward, dì qualcosa!» ordinò Bella. Ci furono istanti di silenzio, poi la porta della suite sbatte, e quella di camera da letto si spalancò.
Bella entrò in camera chiudendosi la porta alle spalle.
Si buttò sul letto, Accanto a me e a Nessie.
«Ti è morto il gatto?» chiesi ironica.
«Basta scherzare! Non solo la vita di Charlie è in pericolo, ma anche quella di Alice!» urlò esasperata. «È lo sapete cosa, quando ho chiesto a Edward di appoggiarmi, lui si è messo dalla parte di sua sorella!».
«È pur sempre un Succhiasangue» mormorai sarcastica.
«Valium!» mi richiamò mia madre. Risi.
«Non è giusto! Alice è in pericolo!» sbottò Bella, scattando a sedere sul letto.
«Bella, calma!» sussurrai assolta nei miei pensieri. E se fossi andata pure io? «Forse dovrei and...» stavo sussurrando prima di essere interrotta da mia madre. «Scordatelo!» sbottò.
Cambiai discorso prima di andare a finire in una discussione. «Jacob che aveva prima?» chiesi in un sussurro preoccupato.
«Oh, nulla. Dice che ha sentito odori non umani, e si è alterato» rispose lei indifferente.
«Mi spieghi perché io non gli sento!» sbottai infuriata. Era da quando ero piccola che parlavano di questi odori inumani. Ma io non ne avevo mai sentito.
«Tu e tua madre avete una parte umana, non dimenticarlo» rispose Bella.
«Ma Charlie...» stavo dicendo, ma Bella m'interruppe «Charlie e un caso a parte, e lo sai!» disse con fare severo.
«Lo so» mormorai.
Nessie mi fece alzare, e andammo tutte e tre nell'altra stanza.
Sul tavolo c'era un vassoio, con varie cibarie.
Mio padre russava sul divano, mentre, il Succhiasangue fissava fuori dalla finestra le persone che festeggiavano e urlavano divertite.
Mi avvicinai al vassoio e iniziai a sgranocchiare qualcosa.
«Se non ci fosse Jacob, potremo già andare. Il sole è tramontato» mormorò il Succhiasangue assolto nei suoi pensieri.
Bella scattò in avanti, e sgranó gli occhi. «Edward?» lo chiamò. Il Succhiasangue si voltò, e incrociò lo sguardo di Bella. «L'ultima volta che sono venuta qui, non siamo mica entrati dalla porta principale» disse. Volevo scoprire cosa avesse in mente.
«Dove vuoi arrivare?» chiese il Succhiasangue. Una strana luce di speranza gli si accese negli occhi. A sentire il suo nome, mio padre si svegliò.
«Sei un genio» mormorò il Succhiasangue.
«Cosa?» chiese mio padre.
Gli spiegarono la loro idea.
Mio padre non sembrò molto entusiasta dell'idea, ma dovette accettare.
Quindi uscimmo dalla nostra camera.
«Valium?» mi chiamò dietro di me Malcom.
«Si?» mi voltai. Mio padre mi fissò, e anche il Succhiasangue mi traffisse con lo sguardo. Gli feci un cenno con la mano, e loro iniziarono ad andare.
«Vai alla festa?» chiese.
«No. Io e la mia famiglia andiamo a ritirare una cosa, e poi partiamo. Credo che dovremmo salutarci qui» risposi sinceramente. Gli lanciai un sorriso, che lui contracambiò.
«Sai mia madre deve andare a Seattle fra due mesi, se vuoi posso passare da Forks, e ci vediamo» disse.
Rimasi confusa. «Come...come fai a sapere che abito a Forks?» chiese confusa.
Impalidì. Mi fissò terrorizzato. Stavo per rifargli la domanda, ma mio padre c'interruppe.
«Valium, muoviti!» urlò.
Gli lanciai un ultimo sguardo, e gli voltai le spalle.
Sentì ancora quella sensazione. Avrei rivisto quel ragazzo, ne avevo la certezza!
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice:
Eccomi, sono ancora passata a tormentarvi!
Questo capitolo e molto enigmatico, per via di questo misterioso personaggio, anzi di questi nuovi personaggi.
Forse qualcuno avrà già percepito qualcosa dalla descrizione di uno di loro, ma non anticipo nulla. Solo che sentirete ancora parlare di questi strani esseri.
Un bacio, V.

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Capitolo 19
*** L'azione ***


POV Valium
Ero come papà! Uno dei giorni – sere– più belle dalla mia vita eterna. Uno dei miei sogni inespressi.
Fui costretta a farmi leggere la mente dal Succhiasangue, giusto per farmi capire, ma poi compresi io.
Tu volevi che mi trasformarsi?! Pensai in collera.
«Si, ci serve un aiuto maggiore, e cosi sei più utile» disse tranquillo.
Menefreghista, masochista, stronzo, idiota … m’interruppe.
«La smetti di dirmele di tutti i colori, e andiamo in azione?» disse, calmassimo.
Andiamo. Pensai stufa di lui, e desiderosa di salvare Charlie.
«Avevo ragione. Lo ami» mormorò. Io risposi con un ringhio cupo.
Camminammo per intere ore all'interno del corridoio, fino a trovare i due vampiri che avevo visto durante la visita dei Volturi a Forks.
«Edward, tu che ci fai qui?» chiese il più grosso.
«A portare ad Raul ciò che vuole» rispose indicandomi. «Non è un licantropo, Felix» rispose il Succhiasangue .
«Lei è Valium. Interessante, Aro no ha fatto altro che parlare di lei in questi giorni» mormorò lo smilzo «però non ha detto che è un lupo. Ci sono due passibilità: uno, era cosi preso che non la scoperto. Due –che puoi essere una conseguenza la prima– non le l’avete detto per difendere qualcuno. In poche parole le opzioni portano a una sola conseguenza: avete mentito. Male» continuò impassibile.Iniziando a darmi su i nervi pensai nervosa.
«Comunque, tua sorella e dentro, e Aro l’ha già saputo. Non mi sembra molto sorpreso» disse Felix, con un area amara.
«Felix, Demetri, cosa state comminando? Aro vuole la ragazza e Edward dentro» urlò la biondina col viso da cherubino, quella che ha provato ad usare il dono contro di me.
Aro a scoperto il piano? Pensai preoccupata.
«E arrivata prima Bella» mi mormorò nell’orecchio.
«Andiamo! E solo un cane rabbioso. Non servirà ad Aro, anzi Caius l’ucciderà solo perché e un brutto, orrendo, randagio» provocò Felix. Li ringhiai contro, e lui sorrise. Mi fece segno di avanzare con il dito.
Posso? Chiesi nel pensiero.
«Mi arrabbierei se non lo facessi» bisbiglio, in risposta, il Succhiasangue .
Sfrecciai dietro Felix, lo spinsi giù con la testa, lo feci girare, fino ad immobilizzarlo con la zampa.
A chi hai detto brutto, orrendo, randagio? Pensai.
«A chi hai detto brutto, orrendo randagio?» tradusse il Succhiasangue. «No Jane!» urlò di colpo.
Tutt’un tratto caddi a terra, presa da un dolore mai sentito. Dovevo isolare la mente per non farmi attaccare dalla biondina. Ci riuscì per fortuna. Mi alzai, e sogghignai alla biondina.
Lei provò ad attaccarmi, ma lo smilzo di nome Demetri la fermo.
«Proseguiamo. Non vorrai far arrabbiare Aro, Jane» disse il Succhiasangue, con un che di strafottenza nel tono di voce.
Lei si girò, senza degnarci di uno sguardo, e prosegui.
La seguimmo in un corridoio, che sembrava un ufficio. Fino a un altro corridoio, con moquette rossa, e pareti color oro.
Lo percorremmo tutto, fino ad arrivare ad un portone di legno.
Jane l’ho aprì, ed ci fece entrare. A centro dell’immensa stanza circolare, c’erano tre troni, occupati da Aro, Caius e Marcus.
C’erano altri troni dentro la stanza. Erano in tutto sette.
A fianco di Caius, risedeva Raul, e a fianco di Marcus, zia Alice, che appena ci vide, ci venne incontro, e mi strinse il collo in un abbraccio.
«Grazie al cielo non vi hanno scoperto. Stai bene?» mi chiese, seriamente preoccupata.
Sto da lupo risposi mentalmente.
«Non riesco a sentirti» bisbiglio il Succhiasangue . Caccia l’isolamento della mente, e li feci leggere la risposta.
«Sto da lupo» tradusse il Succhiasangue. Rimisi immediatamente l’isolamento.
Aro si alzo, e ci venne incontro «Valium. Perché non mi hai detto quello che sei? Io avrei capito» pronunciò quelle parole con una falsa comprensione.
Ricacciai l’isolamento, e pensai non siamo qui per parlare di me. Dov’è Charlie?
Il succhiasangue tradusse tutto ciò che avevo pensato.
«Vi giuro che non so niente» disse Aro, con un tono di falsa sincerità. Io mi girai verso il Succhiasangue, che annui.
Tirò fuori dalla tasca il biglietto, e le lo porse. Lui lo prese, e lo leggete per bene. Poi chiamò «Raul? Raul!». Lui si alzò dal trono, e ci raggiunse.
«Ditemi, padre» rispose.
«Cos’è questo? Perché c’è la tua firma?» chiese Aro su tutte le furie.
«Non so padre. Può essere uno scherzo di cattivo gusto» rispose lui in falso tono innocente.
«Mente» mi bisbigliò nell’orecchio il Succhiasangue. Ringhiai.
In quel momento spuntarono da dietro una porta a destra dei troni, Bella, mamma, papà e Charlie.
«Sta mentendo!» gridò Charlie, facendo eco a i miei pensieri.
Valium? senti la voce di mio padre nella testa.
È fantastico, Vero? Pensai, poi mi isolai.
Gli occhi, di mamma, Bella e Charlie erano puntati stupiti su di me.
Tutt’un tratto vidi dell’immagini. Charlie correre dietro un puma. Poi il volto di Raul, con un sorrisetto minaccioso. Poi il buio. Poi una prigione, con due guardie alle sbarre. Poi papà e Bella uccidere le guardie mentre mamma liberava Charlie, e venire qui, e guardare me. Poi delle parole:come hai fatto? Pensò Charlie.
Dopo! Pensai in risposta. Jane esitava, come se non volesse.
«Mi stai disobbedendo, Jane?» chiese Caius «Se lo fai, la sai la tua fine, giusto?» continuò con tono minaccioso. Lei non ci penso due volte, ed attacco.
Raul cadde a terra, in preda a spasmi e grida.
Felix e Demetri lo presero delle braccia, e lo portarono via.
Poi si rivolse a noi, e con un sorrisetto tipo “scusatemi” ci rivolse la parola. «Mi scuso per Raul. Ora, però vi prego d’andare. Però non prendete il portone principale, potrete dare nell’occhio».
«Certamente, Aro» disse il Succhiasangue.
Uscimmo da un'altro tombino, che portava fuori dalla città, dove la festa continuava indisturbata.
Appena fuori il Succhiasangue baciò Bella.
Dopo tutti si girarono verso di me. Io sorrisi, felicissima.
Non devi essere felicissima, e come una maledizione, Valium! disse papà nella mia mente.
Vero! Penso Charlie.
«Sei troppo estroversa!» disse il succhiasangue.
Mi avvicinai a Bella, zia Alice e mamma, tutte vicine cercando di capirci qualcosa.
Sono pazza! Sento le voci nella testa! Pensai con una falso nota esasperata.
Certamente solo chi mi sentiva i pensieri si mise a ridere.
Faccio parte del branco. Faccio parte del branco. Canticchiavo felice nella mente.
Sentivo che mi stavano ispezionando la mente. E quando cercai di cacciarli, era troppo tardi.
SAM COSA!?mi gridò nella mente papà. Assolutamente no! Tu non diventerai capo branco. Neanche se mi pagassero … Lo cacciai dalla mia mente, prima che scovasse qualcos’altro.
Sei cattiva certe volte pensò Charlie.
Credevo di avervi cacciato? Comunque lascami in pace! Pensai.
Non si rivolse più a me. Intanto il succhiasangue aveva tradotto, e mentre camminavamo mamma mi faceva la predica. Cacciai l’isolamento mentale.
Digli di procurarmi dei vestiti decenti. E di non farli sceglierli a zia Alice, poi mi isolai.
«A pensato di procurarli dei vestiti decenti, e di non farli scegliere a Alice» tradusse il Succhiasangue.
Corsero a prendermi un paio di pantaloncini e una T– Shirt con un paio di scarpe da ginnastica. Corsi dietro dei cespugli e mi ritrasformai in umana. Mi vestì in un attimo, e usci fuori.
«È stranissimo. Fino a cinque secondi fa ero un lupo enorme, ora sono me» dissi. Pure papà si ritrasformo, e si vesti.
Ci incamminammo verso la macchina rubata, ma dopo due passi, caddi e vidi tutto nero.

Mi risvegliai con i mormorio continuo dei Cullen:
«A solo perso energie. Un accumulo di emozioni come sorpresa, rabbia, felicità, preoccupazione possono stressare, ed è svenuta, oltretutto la trasfor…» interruppi Carlisle ancora ad occhi chiusi «lascia perdere la mia trasformazione, che è perfetta».
Feci spaventare tutti. Senti i sussulti a occhi chiusi. Ma non ci feci caso «Da quant’è che dormo?» dissi aprendo gli occhi.
«Conta che siamo ritornati a Forks» disse Charlie. Mi alzai di scatto, e li corsi incontro buttandoli le braccia al collo.
«Sei tornato!» gridai.
«Ehm … si. Devo andarmene più volte da questa città» mi provocò. Li pestai un piede, e lui si allontano di scatto «Mi hai rotto un piede!» Urlò.
«Impossibile! I vampiri non possono rompersi le ossa, sei solo combattuto dal fatto che una donna sia più forte di te» mi vantai un po’. Tutti si misero a ridere con me.
Valium lupo. Lupo bianco. Alfa. Mi sembrava tutto così irreale. Ma, infondo, per le persone comuni, io sono irreale.
In un certo senso, mi sentivo realizzata. Mi sentivo Valium!
CAPITOLO REVISIONATO

Spazio all'autrice:
Ciao a tutti dalla vostra V.
In questo capitolo assistiamo alla liberazione di Charlie.
Che ne dite? Lo so, lo so, va troppo veloce, ma non vi preoccupate, al prossimo capitolo vi aspettano tante sorprese!
Recensite, mi raccomando!
Un bacio, V.

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Capitolo 19
*** Il lupo bianco ***


POV Valium
Dimenticai immediatamente quello che è successo in hotel.
In realtà, Malcom, era l'ultimo dei miei pensieri.
Certo, era strano che per qualche strano motivo sapeva dove vivevo e senza che la sottoscritta glielo dicesse. Ma, da come il Succhiasangue mi disse di starle alla larga, e da come la "guardia del corpo" e sbiancata vedendo il Succhiasangue, si conoscevano.
Traduzione di tutto, se Malcom era umano, le persone che frequentava avevano poco di umano. Eppure avevano un cuore che batteva. Avrei tanto voluto sapere cosa ci entrasse il Succhiasangue con quegli strani esseri, ma non glielo avrei mai chiesto.
In fondo, se il Succhiasangue conosceva qualcuno, lo conosceva anche il resto della famiglia. Avrei chiesto a qualcuno di loro.

Ci addentrammo nella festa.
Le urla assordanti mi riempivano la testa, mentre una voce femminile iniziò a parlare al microfono, facendo urlare di più le persone.
«Da quando i vampiri hanno i canini sporgenti?» presi in giro il Succhiasangue quando vidi un uomo con le zanne finte.
Papà si mise a ridere, e mamma cercò di trattenere una risata, come Bella.
Il Succhiasangue mi lanciò uno sguardo scettico. «Potresti fare di meglio» mi sfidò, lanciandomi il sorriso sghembo che tanto odiavo.
Incrociai le braccia al petto, sbuffando e spostando lo sguardo.
Camminammo per minuti, facendoci spazio fra la muro di persone accalcate contro un palco in cui si esibiva una donna che cantava divinamente.
Entrammo in un vicolo buio, e senza persone.
«Seguitemi» disse il Succhiasangue con voce neutra.
La strada era in discesa e sempre più stretta.
Arrivammo a una curva strettissima, dove la strada finì.
«Pronta?» chiese il Succhiasangue a Bella.
«Lo faccio per Charlie» rispose lei con voce priva di emozioni, gli diede un breve bacio, prima di gettarsi in un tombino che spuntava ai piedi del muro.
«Jacob?» disse il Succhiasangue. Mio padre raggiunse il tombino.
«Non urlare» mormorò il Succhiasangue prima di spingere mio padre giù nel tombino.
«Ahi» imprecò Jacob, dopo un rumore sordo e una risatina di Bella.
«Idiota» disse a voce alta Jacob, facendo spuntare un sorriso sadico sul viso del Succhiasangue.
«Ness?» mormorò quest'ultimo. Mia madre mi diede un bacio sulla testa, prima di dirigersi verso il Succhiasangue, che abbracciò.
«Spero che finisca presto» disse prima di gettarsi nel tombino.
«Valium?» chiamò il Succhiasangue.
Mi avvicinai al tombino, e guardai il Succhiasangue.
«Dopo di te» mormorò invitandomi a proseguire con un gesto della mano.
«Cosa c'è lì?!» dissi indicando il muro completamente spoglio. Lui si voltò repentino e io lo spinsi nel tombino.
«Mai voltare le spalle al nemico» dissi fra le risate.
«Scendi!» sibilò lui.
Non ci pensai due volte. Sporsi un piede, e mi lanciai nel tombino, cercando di trattenere l'urlo che avevo in gola.
Atterrai sulle punte, e sorrisi. «Andiamo a salvare zia Alice e Charlie?» chiesi.
Il Succhiasangue si portò avanti, stringendo la mano a Bella. I miei, subito dietro loro, fecero lo stesso. E io, per ultima, non potevo fare altro che soffrire guardando questa dimostrazione d'affetto.
A un certo punto, il Succhiasangue -capo fila- si fermò.
Tutti -eccetto io- guardarono mio padre, che diede un bacio a fior di labbra a mia madre, prima di girarsi e accarezzarmi i capelli.
«Speriamo che vada tutto bene» mormorò. Poi successe tutto velocemente.
Al posto di mio padre c'era l'enorme lupo che tanto amavo.
Mi ricordo che quando ero piccola, e se per caso papà si trasformava, io e Charlie ci buttavamo su pelo morbido e soffice di mio padre. E quasi sempre mi addormentavo lì.
«Sai, caro papà, sei un genio. Incompreso, ma genio» mormorai per sdrammatizzare la situazione. Tutti mi guardarono confusi. «Io dopo non andrò a prenderti i vestiti» decretai con una falsa serietà nello sguardo.
Mio padre, cacciò un piccolo ringhio -come per imprecare-, e mia madre fece una piccola risata.
Ricominciammo a camminare lungo quel corridoio buoi.
Bella si fermò di colpo, e annusò l'aria.
«L'odore di Charlie!» esclamò entusiasta. «Siamo sulla strada giusta!» disse, quasi urlando.
La strada si divideva in tre corridoi: uno proseguiva dritta, l'altra a destra e l'ultima a sinistra.
«Andiamo!» disse Bella dirigendosi verso il corridoi a destra.
«Bella» l'ammonì il Succhiasangue afferrandola per il braccio.
Lei lo fisso confusa. Poi si mise ad annusare l'aria, e si voltò dall'altra parte.
«Alice» sussurrò a voce bassissima.
Incroció di nuovo lo sguardo del Succhiasangue, che annuì.
«Bella, se vogliamo salvarli entrambi dovremmo dividerci» mormorò il Succhiasangue.
«Okay. Noi andremo a salvare Charlie, e loro andranno a salvare Alice» si affrettò a dire Bella.
«Quel corridoio porta hai troni. Nella sala principale. E come se mandassi un vitello al macello» rispose lui.
«Noi due salviamo Alice, e loro salvano Charlie?» chiese Bella confusa.
«Tu, Jacob e Ness salvate Charlie, io e la ragazzina salviamo Alice» spiegò lui calmo.
«Cosa?!» sbottammo tutti.
«Sei un pazzo se credi che mandi mia figlia al cospetto di Aro!» disse mamma. Mio padre acconsenti con un ringhio.
«Sei un pazzo se credi che io mi separi da te» rispose Bella.
«Sei pazzo!» dissi io. «Non. Verrò. Con. Te. A. Salvare Alice» scandì ogni parola, facendo capire al Succhiasangue che ero più dura di un muro di cemento armato.
«Bella, tu sei allenata, ma non hai mai combattuto, e ti saprei più sicura con Jacob al tuo fianco. Nessie non ha mai combattuto, e sentirei anche lei più sicura con Jacob. Invece la ragazzina non sa fare nulla...».
«Ehi!» mi lamentai.
«...E quindi può venire con me, per aiutarmi se c'è né sarà bisogno. Aro non farà del male a Valium. Già l'immagina al suo fianco. Quindi vedo più al sicuro lei, con i Volturi, che uno di voi» continuò il Succhiasangue calmo.
«Non voglio Valium alla mercé di Aro» mormorò mia madre guardandosi i piedi.
«Non la farò toccare da nessuno, tranquilla Nessie» rispose il Succhiasangue. «Forza, ora dobbiamo andare» continuó.
Baciò con passione Bella, prima di stringerla fra le braccia e dirle una cosa nell'orecchio. Così piano che nessuno percepì.
«Ora vai» disse. Bella si voltò verso i miei. Mamma mi abbracciò e papà mise il suo muso sotto la mia mano, cercando una carezza che non rifiutai a dargli.
Bella si avvicinò, e mi diede un bacio sulla fronte.
«Buona fortuna» disse.
Sparirono nell'altro corridoio, lasciandomi sola col Succhiasangue.
«Andiamo?» chiese, voltandosi e dirigendosi verso l'altro corridoi.
Lo seguì di mala voglia.
«Tu hai un piano!» dichiarai dietro di lui.
«Non era una domanda» disse non degnantomi di uno sguardo.
«Non era una domanda» risposi io.
«Sei pespicace, anche se una ragazzina» disse lui.
«Me lo spieghi? Ps:non sono una ragazzina!» dissi strappandogli un sorriso.
«Preferisco metterlo in atto» mormorò. «Sai, mi manca Charlie» disse tristemente.
Al solo sentire il suo nome sentì le guance avvampare, e il cuore perdere qualche battito.
«Perché reagisci cosi quanto senti il suo nome?» chiese.
«Perché non ti fai mai i cazzo tuoi?» chiesi.
«Perché non ti riesco a leggere nel pensiero» rispose.
«Forse perche io non voglio» risposi acida.
«Lui e mio figlio, ho il diritto di sapere» disse.
«È questa e la mia vita, e non voglio che tu ne faccia parte» dissi.
«Perché? Che c’è che nascondi a tutti? Il tuo segreto inconfessabile, Valium?» chiese.
«Mi stai facendo innervosire. Sta zitto se davvero vuoi bene a Bella. Sai, non voglio renderla vedova» dissi acida.
«Io provo per lei la stessa cosa che provi per Charlie» disse. Colpita in pieno.
«Amicizia? Credevo di più» borbottai.
«Amore» rispose.
«Mi lasci stare e cammini?» chiesi retorica.
«No, se prima non mi spieghi le tue vere intenzioni» disse.
«Voglio andare al college e laurearmi in veterinaria. Contento per la risposta?» risposi acida.
«Intendevo con lui» disse.
«Io non ho avuto l’imprinting con lui. Non mi merita. Ma perché te lo sto dicendo a te?» chiesi arrabbiata.
«Perché una volta mi consideravi il tuo migliore amico» disse calmo.
«Una volta, ora è diverso» risposi. La sua espressione era piena di tranquillità. Uno strano pensiero mi balenò in testa. «Ci stai … provando con me?» azzardai.
Si mise a ridere, con fragore. «Sono tuo nonno, è sono sposato. E non ci proverei mai con te, neanche se fossi l’unica donna in tutto l’universo» disse, sempre tranquillo.
Restammo lì in silenzio per qualche minuto, ma poi mi colpi alla sprovvista.
«Chissà come starà soffrendo Charlie la dentro? Non ti senti in colpa, infondo e la dentro per colpa tua, no?» disse acido.
Lo spinsi contro il muro, con un braccio tra l’incavo del collo. «Non parlare di lui. Non merita di stare nella tua bocca» sibilai fra i denti. Lui sorrideva tranquillo «Io ho sempre ragione» sussurrò a se stesso «Tu lo ami» dichiarò.
Io arretrai a quelle parole, e caddi seduta, mi afferrai le ginocchi strette al petto. Iniziai a ripetere «no, non è vero. No. No. No!» quasi urlai.
«Come si ci sente a far soffrire la persona cui si ama?» chiese per provocarmi.
«Non bene come quanto ti distruggerò» risposi fredda.
«Eppure io ti ho salvato la vita. A da qual giorno che mi tratti cosi. Preferivi morire?» continuò. Iniziai a sentire un leggero tremolio alle mani.
«No!» mormorai, serrando i pugni per combattere il tremore, ma non funziono.
«Allora preferivi che qualcuno saltasse per prenderti?» disse. E il tremore divenne uno spasmo che sentì per tutto il corpo.
«No!» borbottai.
«Volevi che qualcuno desse la vita per te, magari Charlie, come sta facendo ora?» disse.
A quel punto mi senti strappare i vestiti da dosso. Vedevo tutto rosso. Avevo letteralmente perso la calma.
Poi mi accorsi del suo entusiasmo nello sguardo dorato «ce lo fatta!»disse tra se e se.
Mi accorsi che ero a quattro zampe, ed ero più alta.
Mi accorsi del pelo color bianco sulle zampe, e di quanto fossero grosse.
In quello'istante capì il piano del Succhiasangue.
Mi ero finalmente trasformata. Ora dovevo solo vendicarmi. Ora ero solo Valium.
CAPITOLO REVISIONATO.


Spazio all'autrice:
Salve a tutti, adorabili lettrici e lettori della mia amata storia. ^.^
Devo farvi una rivelazione, che sotto certi versi può essere incredibile: una parte di questo capitolo fa parte della bozza primaria di "Slope the moon" che ho scritto qualche anno fa -un anno fa, in pien'estate- ma siccome -dopo la breve riparazione del computer, gentilmente rotto da mia madre- lo passato sul telefono -avevo già iniziato a riscrivere la storia per EFP- e dopo una breve revisione, ho deciso che alcuni punti della storia potevano andare bene, e quindi, se troverete qualcosa di poco logico, o dei discorsi inesistenti tra questo simboli "<" e ">" è una cosa normale.
Dopo questa breve spiegazione -lo so, sono spiritosa- ditemi che ne pensate con una recensione!
Baci baci, la vostra V.

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Capitolo 20
*** Il branco ***


POV Valium
Mio padre non voleva accettarmi come nuova alfa, ma doveva, quindi feci fare una riunione urgente dei due branchi.
«Sam, mi devi aiutare» bisbigliai al telefono di Charlie «Mi sono trasformata! Ma papà non vuole che diventi il nuovo alfa» spiegai.
«Vuoi che ci parli io?» chiese Sam dall’altro capo del telefono.
«No, sarebbe peggio. Devi organizzare una riunione urgente dei branchi. Entrambi, mi raccomando. Lui non ti può scavare nella testa. Ci stai?» mormorai.
Ero in camera mia– come al solito in punizione– con Charlie che scuoteva la testa in segno di disapprovazione. Non li facevo caso.
«Ok. Tu sarai un ottimo alfa, come Ephraim. Non ti preoccupare. Ci vediamo dopo, alla radura delle legne. Chiaro?» mi rassicurò. Uno dei pregi della famiglia Cullen, era quello di trovare gli alleati più improbabili.
«Si, chiarissimo. A dopo» bisbigliai. Attaccai prima che potesse rispondere.
«Sei assurda» disse Charlie a voce un pò troppo alta, con il solito tono di disapprovazione.
«Shhh...» sibilai «lo vuoi capire che sono in pericolo? Cerca di non mettermi nei guai!» lo intimai con un bisbiglio.
«Okay, se va male non venire a piangere da me, ti strozzo» minacciò.
«Non m’interressa di te, lo vuoi capire?! Se sei dalla mia parte, bene, ma se sei contro di me, vai a quel paese, Charlie. Però si prega di andarci in silenzio» sibilai fra i denti.
«E se volessi gridare? Cosa fareste ?» quasi urlò.
«V. con chi parli?» chiese mamma, dall’altra stanza, con Bella, zia Alice, zia Rose e nonna Esme.
«Mamma, io non sto parlando» feci la finta tonta, facendola passare per stress post fede al dito.
«Charlie, facciamo i conti a casa» gridò Bella in tono indifferente.
«Grazie,C. quella e capace di chiudermi in una gabbia, con catene e cani da guardia!» bisbigliai fra i denti.
«Magari con tuo padre che fa la guardia!» mormorò, poi scoppio in una risata, che divenne nervosa a poco a poco che osservava il mio sguardo severo.
«Coprimi. Esco dalla finestra» mormorai «E il minimo per farti perdonare» bisbigliai per giustificarmi, in risposta al suo sguardo severo.
Non badai il suo mormorio, e non lo capì nemmeno.
Aprì la finestra, e mi gettai. Mi misi a correre più veloce possibile, quando mi accorsi che qualcuno mi seguiva.
Mi fermai di botto, e mi accorsi di Charlie dietro di me.
«Cosa vuoi?» chiesi secca e acida.
«Non ti lascerò fare una sciocchezza! Poi non c’è divertimento lì dentro» disse indicando il sentiero che portava a casa mia.
«Ora però devi andare» mormorai imbarazzata.
«Perché?» chiese quasi offeso.
«Perché … perché … perché mi devo … svestire per non rompere i vestiti con la trasformazione» risposi rossa di vergogna.
Fece una risata nervosa, e poi rispose «Bene, guardo!».
Mi avvicinai, lo presi per le spalle, e poi li tirai un calcio alla gamba.
«Ahi … ti odio, Valium» mormorò dolorante.
«Si, so farmi odiare. Ma ora vattene!» risposi gridando le ultima tre parole.
«Vai dietro il cespuglio, io mi giro. Ma non me ne vado!» rispose.
Cosi feci, e mentre mi cacciavo i vestiti fra un «Non sbirciare!» e un «se ti giri ti disintegro», vidi un serpente strisciare – il mio terrore segreto, ma più che paura, ribrezzo. Mi feci scappare un urlo.
«Valium. che succede?!» urlò Charlie girandosi. Gli tirai un sasso in testa «ti avevo detto di non girarti!» gridai.
«Scommettiamo?» chiese rigirandosi, senza un ombra d’imbarazzo sul viso.
«Cosa?» chiesi perplessa.
«Un giorno– forse nemmeno lontano– io ti vedrò nuda» propose con fare cospiratore. Ci vedevo rosso fuoco, per un secondo e ho avuto paura che pure l’altro occhio fosse diventato rosso.
«No! Battaglia persa in partenza! Lo dirò a mio padre!» lo minacciai.
«Da quanto si fida di te, e di quanto di me, nah, non ti crederà» rispose sfrontato.
Mi trasformai, e corsi nel fitto bosco, ululando.
«Tanto sento ogni tuo sgarro» mi avvertì.
"VATTENE!" Gridai nel pensiero.
Non mi rispose. Speravo che se ne fosse andato.
Trovai Sam -versione lupo- vicino alla radura, era l’unico che sentivo oltre Charlie.
"Ciao, come va?" Chiesi nel pensiero.
"Che ci fa il tuo amico dietro quel cespuglio?" Mi chiese lui.
"VATTENE! E.J." urlai nel pensiero, facendo sobbalzare Sam. "Ops, scusa", pensai più pacata.
"Okay,ci sono tutti. Senti qualcuno?" Mi chiese Sam.
"Dovrei?" Chiesi sorpresa.
"No. Nessuno sa di te, vero?" Mi disse. Odiavo le voci nel pensiero. "Ti ci abituerai" rispose.
"Non lo sa nessuno, a parte papà del branco, e poi i Cullen. Ma non li interessa, sparte quello ch’è dietro il cespuglio" risposi indifferente.
"Ci sono tutti. Tuo padre non lo saprà. Resta qui dietro, ti chiamo io, chiaro?" si raccomandò. Io annui come un’ imbecille.
"Sam, che succede?" Riuscivo a sentire i pensieri di papà attraverso Sam.
"Lo sai bene!" Dichiaro Sam. Partirono un misto di ringhi, non solo di papà. Tutti avevano capito. Tutti avrebbero accettato … Vero?
"NO! "Gridò Paul credevo in risposta alla mia domanda. "Non mi farò comandare da una bambina di otto anni!" Continuò.
"Valium non dimostra otto anni, ed è molto più intelligente di te, Paul". Penso Leah.
"Ma per favore, in parte è una succhiasangue" penso Jared. Si alzo il ringhio di mio padre. "Senza offesa, Jake".Continuò.
"Niente, Jared. Tu non capisci, Sam. Lei e mia figlia, e non voglio che passi quello che abbiamo passato … "si blocco un attimo. "E tu che ci fai qui? Esci da li dietro, se non vuoi che ti venga a prendere. Capito, V.?" ho, ho. Beccata.
Usci a testa bassa, e a occhi bassi, senza farmi vedere in volto.
"Tua madre non sa che sei" qui non era una domanda.
"Sono libera …" non mi fece finire.
"Tu non sei libera di niente! Tu se mia figlia! Sei appena entrata nel branco, già vuoi diventare alfa?" Domanda retorica a cui io ho risposto con un bel: "si!"
"Jake, certo che tua figlia e più carina in forma umana". pensò Paul.
"Non ti conviene …" L’avvertirono Seth e Quil.
Conoscevo il branco alla perfezione, e ancora meglio mio padre. Non fecero in tempo a finire di parlare, che Paul si ritrovava già a terra. Mio padre gli ringhiava contro, e prima di lasciarlo, lo morse sulla zampa.
"Lhea, hai trovato un’avversaria" pensò Jared.
"Non sarà mai una mia avversaria. È solo la mia migliore amica" pensò Leah.
"Ma che diavolo hai all’occhio" penso Paul, sbigottito.
"Difettino. Sai come: figlia di una mezza vampira mezza umana e di un mezzo lupo. Mi hanno deformato la vita" pensai indifferente.
"Ti voglio come Alfa" pensò secco Paul.
"Anch’io" pensò in risposta Jared.
"Ci puoi contare" penso Quil.
"Sapete già la mia risposta" rispose Leah.
"Anch’io" pensò Embry.
"V. contaci" disse Seth. "E dici a Charlie che gli spacco la faccia se fa ancora scommesse del genere" continuò con fare minaccioso.
"Contaci, e comunque e dietro un cespuglio, solo non so quale" riportarmi indifferente.
"Anche noi due ti vogliamo. Sei molto forte" penso Collin indicando Brandy.
"NO!" Urlò papà.
"Siamo in maggioranza. Jacob non puoi fare nulla". Pensò con voce calma Sam. Quasi mi ricordava Carlisle.
"Non capisci! Lei è mia figlia! Non voglio che lei diventi alfa! È troppo giovane! "Penso papà infuriato.
"Lo dici come se fosse una maledizione!" Gridai mentalmente, con una grande rabbia.
"Ma lo è!" Pensò, anzi urlò in risposta. Si poteva sentire la sua rabbia da chilometri.
"Sono più responsabile di te!" Gli urlai in faccia … perdon, in mente.
"Ti devo ricordare cosa stavamo facendo quanto ti sei trasformata la prima volta?!Ti devo ricordare che tua madre non sa che sei qui?! Questa tu la chiami responsabilità? Ti prenderesti la responsabilità di tutti membri del branco?!" Mi accusò.
"Non puoi farci la predica, Jacob! Ci hai abbonato per anni!" urlò Quil.
Lo azzitti con un minimo segno del capo.
"E quello che voglio. Voglio diventare l’alfa del branco. Tu hai avuto i tuoi buoni motivi per rinunciare. Non volevi la responsabilità del branco, io la stra voglio. E questo fa di me una donna responsabile. Ma voglio che tu mi sostenga. Voglio che tu ti fida di me" sibilai mentalmente in tono più pacato.
Ci stava pensando.
"Pensaci bene, Jacob. Lei è nata per questo!" S’intromise Sam. Dalla mia parte avevo tutti, tranne lui.
"No so. Tu. Il branco". Ci pensò un altro po.’ "Mi devi prima mostrare che sarai un bravo alfa. E non lo giudicare un si". Disse infine.
"È un forse? Se farò la brava?" Chiesi. Lui annui. Se avessi avuto le braccia, le l’avrei buttate al collo.
"Grazie papà più stra fico del mondo. Sarà uno dei migliori alfa che esista. Te lo prometto. Affronderò qualsiasi punizione che mi darai per essere scapata di casa. Te lo giuro" promisi entusiasmata come una bambina chiusa in un negozio di caramelle. "Ora tocca a me, pensai più seria. Ho deciso che tu avrai il posto alla mia destra e Sam alla mia sinistra. È un ordine. Il mio primo incarico". Ordinai nel pensiero.
"V., sei certamente l’alfa migliore che io abbia mai avuto" pensò Leah.
"Non ne dubito, Lee-lee" pensai.
"Fra poco si sbaciucchiano" pensò Paul.
"Paul lo vedi quello li col pelo rossiccio? È mio padre" pensai. Papà fece un ringhio cupo. Mi misi in cima alla pila più alta di tronchi, con mio padre a destra e Sam a sinistra.
"Vi lascerò liberi, e vi chiamerò solo quando c’è ne sarà bisogno. Questo non ci obbliga a non incontrarci … non so molto delle leggende Quileute, e spero di possiamo incontrarci per raccontarle. La trasformazione solo in caso di emergenza. Inizieremo a controllarci. Solo la rabbia ci può disturbare, chiaro? Contatela come la prima regola.
Seconda regola: niente faccende private all’interno del branco. C’è una minorenne fra di voi, e che soffre di stomaco. Niente Claire, Rachel, Emily, Nessie, eccetera, chiaro? Lasciate l’imprinting fuori da questo branco. Quando siete umani.
Terza regola: a causa di imprevisti mai agire da soli. Prima chiamare il branco. Vampiro non autorizzato nel nostro territorio, chiamare il branco.
Quarta regola: ogni notte si fa dei gruppi di turno: si va in questo ordine: alfa, destro, sinistro. Lhea, Seth, Paul. Jared, Embry e Quil. Collin, Brady. E questo e tutto". Pensai orgogliosa.
"E se non lo faremo che succede?"chiese Collin curioso.
"Mi fido di voi" dissi. "Il turno inizia stanotte, con il mio gruppo".
"COSA?! Te lo scordi!" Urlò papà.
"E un dovere da lupo. Staro in castigo per i rimanenti quattro giorni, e poi riandremo. Ci sarai tu con me". Pensai pacata. "Ora via. Verso la morte". Pensai sarcastica.
"Che c’è? Ti butti da uno scoglio?" Chiese sarcastico Paul.
"Quello lo faccio sempre" risposi.
"Farò finta di non aver sentito". mormorò mio padre nel pensiero.
"Traduzione: a casa ti rompo le gambe!" Pensai sarcastica, facendo ridere tutti.
"Perché stai andando a morire?" Pensò Jared.
"Il vero cane da guardia, lì dentro, non è papà – o almeno non lo è con chi gli piace– è mia madre. Soprattutto con me. Mi sminuzzeranno le gambe. Ditemi addio ragazzi. Domani, forse, non mi vedrete più" feci la finta triste, e disperata. "Lee-lee, andiamo!" ordinai all’improvviso.
"Dove?" Chiese lei disorientata.
"Vieni e basta" pensai con un non so che di offeso. Trottolerai verso il cespuglio di felci dove era nascosto Charlie.
"Non stai facendo il pervertito che annusa il vestiti di una donna, vero?" Chiesi sarcastica. "Sai, mio padre e là".
"Ma con chi … ?" Lhea non riuscì a finire che «Ora fai pure del sarcasmo sugli stolcker? Complimenti Valium, sei sulla giusta via» rispose con del sarcasmo amaro.
"Mi dai i vestiti?" Chiesi imbarazzata.
«Quali vestiti?» chiese sorpreso. Lo guardai imbarazzata. Lui mi sorrise, buttandomi una palla di tessuti. Io li apri col naso – se fosse stato uno scherzo di pessimo gusto, me l’avrebbe pagata.
Fortunatamente erano i miei abiti.
Presi i vestiti in bocca, e pensai" tu resta qui, e fai la guardia. Chiaro?" Rivolta Charlie.
Lui annui. E io mi infilai a tutta corsa nel bosco, con Lhea alle spalle. Presi la forma umana e iniziai a vestirmi. Vidi Lhea correre in un punto più lontano della foresta, e tornare con dei vestiti in bocca. Si trasformo e ci vestimmo insieme.
«Sono contenta che ci sei tu» disse all’improvviso «ero stanca di essere l’unica donna del branco. Con te sarà più facile. Oltretutto sei alfa. Con i due precedenti non sono mai andata tanto d’accordo. Ti voglio bene, Valium»
L’abbracciai. «Ti hanno mai spiata? Dico mentre ti vestivi» chiesi imbarazzata.
«Si! Fino a quando non c’è li ho beccati a pensarci» urlò ironica. Mi misi a ridere.
«Se li becco a guadarmi giuro che me la pagheranno. E tuo fratello li lasciava fare?» chiesi sorpresa.
«Se ci spiava pure lui. E pure tuo padre!» disse facendo la finta offesa.
«Ora se mi spieranno, con il cane da guardia di mio padre, sarà molto pericoloso per loro» risposi ridendo sotto i baffi.

Alfa. Già a pensarlo sentì un brivido percorrermi la schiena. Valium, l'alfa.
Dopo che mi cambiai, andai verso Charlie. Per un millesimo di secondo, incontrai il suo sguardo dorato. Gli lanciai il mio sorriso sconcio -il suo preferito-, e quando ricambio ebbi la conferma di qualcosa che non capì, ma allo stesso tempo capì troppo bene.
E in un attimo, come una rivelazione, capì che quello era il mio posto. Quello di Alfa era il mio posto.
Quello al fianco di Edward Jacob Cullen era la mia priorità!



Spazio all'autrice:
Ciao a tutte quelle che seguono questa storia!
Ci stiamo avvicinando all'epilogo, ed la storia d'amore fra i nostri due protagonisti inizia a farsi più intensa di quello che già è! Cosa succederà? Se volete saperlo, continuate a leggere, e ditemi che ne pensate!!
Un bacio, sempre vostra, V.

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Capitolo 22
*** certezze e incertezze ***


Ora che ero alfa, dovevo essere felice. Ma invece mi sentivo vuota. Certamente quando sono rientrata a casa, la sfuriata – per dire poco – di mamma, mi castigò a casa fino al matrimonio, cioè tre mesi di reclusione. Ma con l'’aiuto di papà ebbi la “liberta vigilata” solo, ed esclusivamente per il branco. Charlie era pure in castigo: cioè costretto a seguire Bella e il Succhiasangue da per tutto, senza via d’uscita. Invece io ero libera di girare per casa. Solo per casa. Avevano messo delle telecamere vicino alle mie finestre e alla porta d’entrata. Certo, potevo disattivarle – due giocatoli di metallo non avrebbero mai fermato Valium Black – ma non volevo peggiorare la mia posizione. O almeno non ancora. Quindi mi ritrovavo a stare sola in camera, a pensare alle conseguenze delle mie scelte. I miei errori più grandi. Forse io ero l'errore più grande. Si, forse era cosi. "V. ma cosa stai dicendo?!" Mi diceva una vocina nella mia testa. "Tu sei la cosa più grandiosa che possa esistere" diceva il diavoletto sulla mia spalla sinistra. Poi ci pensai un attimo. Ero io il mio diavoletto. Okay, stavo diventando pazza. Fu un tratto. Un attimo. Ripensai a quel senso di vuoto. Quel vuoto che ogni secondo diventava sempre più doloroso. E se forse il branco non era la cosa che volevo? Ma allora – se fosse vera questa teoria – cos'era quella che desideravo più del branco? Fino al giorno in cui ero diventata alfa non avevo questo senso di vuoto. Cos’era? Cosa non avevo avuto da quel giorno? E se si trattasse di qualcuno? Chi non avevo visto da quel giorno? Cacciamoci della testa mamma e papà. Di persone che probabilmente mi potevano mancare: Bella, zia Alice, zia Rose, nonna Esme, nonno Carlisle, zio Em, zio Jazz, Lee-lee... il Succhiasangue neanche per sogno. Ma non capivo chi. Qualcuno del branco? Probabile. Sapevo che stavo escludendo un nome. Quel nome. Quello che avevo messo in pericolo una sola volta, e sapevo che mi sarei sentita in colpa per tutta la vita. Il nome di Charlie. Un tempo avrei pensato anche a Seth in quel senso, ma dopo al bacio privo di significato, non aveva senso. Un tempo li amavo tutte e due. Tutto era iniziato un anno prima, quando ero diventata adulta. Seth sbatte più volte le palpebre quanto vide la migliore amica della sorella entrare in casa dei fratelli Clearwater – Dopo il matrimoni in comune, Sue e nonno Charlie sono andati a vivere insieme, lasciando casa Clearwater ai due fratelli. Quando vide il mio nuovo aspetto iniziò a corteggiarmi e io me ne innamorai. Invece con Charlie fu amore a prima vista, giusto una settimana dopo. Mi ricordo che anche lui si strofino gli occhi quando mi vide. Ma era ancora piccolo. Quindi una settimana prima, pretesi di essere la prima a vedere Charlie adulto. Anche prima dello specchio. In poche parole, quella sera dormi lì – Non era una novità per me, di solito i sabati in cui ci vedevamo gli anime, mi addormentavo e mi svegliavo là. Ma la mattina dopo me ne penti. «Che te ne pare?» aveva detto alzandosi dal letto. Il cuore iniziò a battere all’impazzata, ero bollente, avevo la lingua in gola e la bocca bloccata e aperta. Non mi sapevo muovere. Non avevo mai visto nulla di più bello, come un attimo prima, con i suoi occhi. Capelli neri, occhi d’oro puro, pelle pallida, bianca, viso d'angelo. E la sera prima aveva fatto l’'errore di dormire a torso nudo. Non potevo credere che in una notte il suo corpo si fosse mutato cosi velocemente. Aveva un petto scolpito. Avrebbe fatto invidia a chiunque che passa mesi in palestra per avere un fisico come il suo. Solo che quelli ci mettevano mesi, lui solo una notte. «Allora?» chiese impaziente. «S-sei u-uno s-schianto» balbettai. Ero completamente rossa. Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Ma ora mi sentivo come la luna scendente, che pian piano perde il suo splendore, mentre l'oscurità ne prende il sopravvento. Charlie stava prendendo il sopravvento nel mio cuore, e io non potevo permetterlo. Ora riflettevo sulle certezze e l’incertezze che avevo dentro. Prima certezza: secondo quello che aveva detto il Succhiasangue, quella di Raul era tutta una farsa. Jane provava dei sentimenti per lui, quindi non l'aveva potuto attaccare veramente. E oltretutto Aro era al corrente di tutto, e che a fatto finta di non saperne niente solo per guadagnare il mio rispetto. Il Succhiasangue aveva annuito solo per non farci uccidere. Quindi i Volturi sarebbero ritornati, giudicando un’offesa l'’intrusione nella loro abitazione. E certamente si sarebbe combattuto. Seconda certezza: Era solo colpa mia. È brutto giudicare in ritardo i propri errori. Feci una promessa a me stessa. Non permetterò a nessuno di morire per i miei errori. Avrei combattuto io. Pur di non vedere una testa che cade per colpa mia, avrei combattuto. E se c’è ne fosse stato bisogno mi sarei vendicata con le mie stesse mani per il rapimento. Io avrei ucciso Marcus, Caius, Aro e Raul, facendo fare la fine più brutta a questi ultimi tre. Lo giurai sul mio nome. Su mia nonna, Jan, che non avevo mai conosciuto. Su mio padre e su mia madre. E io sono famosa nel mantenere le promesse, a parte se incrocio le dita. Terza certezza: Ero sola contro il mondo. Nessuno me lo avrebbe permesso. Anche se lo facevo per loro. Mi avrebbero fatto scappare, con zia Alice e mamma, costringendoci lasciare tutte le persone che amiamo a Forks, a combattere, forse per l’ultima volta. Papà, Bella, zia Rose, zio Em, zio Jazz, nonno Carlisle, nonna Esme, forse anche il Succhiasangue. Ma la persona che mi sarebbe mancata di più era certamente Charlie. Quarta certezza: io amavo Charlie. Più della mia vita eterna. Questo non era buono. Non era buono per lui. Non era buono per me. Non volevo farlo soffrire. Come potevo. Avrei aspettato di avere l’imprinting per frantumarli il cuore. Non era giusto. Prima incertezza: cos’era giusto? Che io fossi felice, o che lui chissà fra quanto tempo soffrirà per amore? Io o lui? Il mio amore o la sua sofferenza? Io mi sarei dimenticato di lui un giorno, ma lui mi avrebbe dimenticato? Sono innamorato della persona sbagliata? Io vedevo ogni giorno come papà guardava mamma: come un cieco che vede per la prima volta il sole. Ogni giorno vedevo gli sguardi d’amore e fede che si scambiavano Bella e il Succhiasangue. Perché io non potevo fare lo stesso. Mentre facevo queste riflessioni ero seduta sul letto, con le gambe stretto al petto. Senza accorgermene, mi senti qualcosa di umido rigarmi le guance. Mi asciugai in fretta le mie stupide lacrime. Io non avrei mai più pianto per amore. Non era da me. Mi sdraiai e chiusi gli occhi. Mi svegliò il rumore della chiave che girava nella toppa. «V. siamo a casa!» gridò mamma dal piano di sotto «dove sei?» continuò insospettita . Mi asciugai le ultime lacrime, e corsi giù. «Mamma eccomi. Stavo dormendo. Preparo la cena» gridai scendendo in fretta dalle scale. «Non ti preoccupare. Ho preso la pizza» intervenne papà, baciandomi in fronte. «Dove siete andati?» chiesi con curiosità. «La nana ci sta facendo diventare pazzi per questo matrimonio. Ho dovuto provare lo smoking tutto il giorno» spiegò papà sorridendomi. «Tutto il giorno?» mi nascondevano qualcosa, e io dovevo saperlo. Li guadai con curiosità, alzando un sopraciglio. «Si tutto il giorno» rispose mamma con un non so che di stressato. «Dove siete andati?» insistetti sfacciata. Mamma corse via, all’'improvviso, come se si sentisse offesa da qualcosa. Papà la stava per inseguire, ma io l’afferrai per il polso. «Siamo andati da tuo nonno. Da mio padre – se si può chiamare così. Odia tua madre. Odia te. Ecco perché non ti ha mai voluto conoscere. Per colpa sua, tua madre non e più andata a La Push. A lasciato perdere le sue uniche amiche. Ci ha sofferto molto. Ma ha insistito per invitarlo. Infondo e sempre mio padre» spiegòlui stizzito. Un altro errore per colpa mia. Infondo e sempre colpa mia. Lasciai che le lacrime mi rigassero il viso. Mio padre mi abbraccio. Scese pure mamma, e corse ad abbracciarmi. «È … è sempre colpa mia» singhiozzai. «No! Tu non centri nulla. Crede che essere una Cullen e una cosa brutta. Il vecchio Billy non e la persona che va a passo con il tempo» mormorò mamma. «E le tue amiche?» singhiozzai. «Non è nulla. Io ho te, e mi basti. Ho te e tuo padre. Non ho bisogno di nulla. Ma un giorno le rivedrò» provò a rassicurarmi. «Dai mangia. Lascia perdere ciò che hai sentito, okay?». «Questo mi sconta la pena?» chiesi sarcastica. «Neanche per sogno!» rispose secca. Mi lasciò, e io mi accomodai al tavolo, iniziando a mordicchiare un pezzo di pizza. Mamma si mise vicino a me, e, come sempre, non mangio nulla. Doveva andare a caccia nel fine settimana. «Non assomiglia un giovane licantropo» sbotto papà di punto in bianco. «Perché?» chiese mamma rubandomi le parole di bocca. «Quando ero un giovane licantropo – può dirtelo pure tua madre – mangiavo in un modo esorbitante. Mio padre ogni giorno doveva fare la spesa per cinque. E quattro su cinque finivano nella mia pancia» rispose ridendo. «Be’, non è colpa mia se ho uno stomaco delicato» mormorai sarcastica. «Ecco perché odio il cibo da umani» commentò mamma. «Lo odi per le pappe per bambini, no?» la stuzzico papà. «Quella e una parte del mio odio» rispose lei indifferente. «Molto meglio le pappe per bambini, che il sangue di qualche essere indifeso, oppure di qualche stupido che lo dona per noi» sussurrai. «Ecco un’altra parte della punizione. Questo fine settimana vieni con me!» dichiarò mamma. «NO!» gridai «Tutto tranne questo!». «Preferisci che ti faccia mettere il tacchi al matrimonio? Zia Alice te li farà provare per giorni e giorni finche non impari a camminarci» mi manaccio. «No!» mi lamentai. disse lei indifferente. Da una parte la caccia mi serve, dall’altra uccidere un’animale innocente non si addice a me, ma camminare sui tacchi e un grande sforzo per me. «La caccia» decisi. Il lato positivo era che potevo vedere Charlie. Però era sbagliato. Molto sbagliato. Illudere Charlie, col solo risultato di farlo soffrire, e di soffrire anche io. Ma avevo bisogno di lui. Avevo bisogno di chiudere il vuoto. Quinta certezza: la vita e dure... ma è solo una, e se è eterna e ancora più difficile.

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Capitolo 23
*** L'altra parte ***


Quel fine settimana mia madre mi portò nel più fitto bosco. C’erano ad aspettarci: Bella, Charlie e il Succhiasangue. «Scusate il ritardo. E scusate per l’ospite a sorpresa» si scusò mia madre. Io camminavo a testa bassa. «Se non lo sapevano, non vorrei essere d’intralcio. Vado via» mormorai facendo per andarmene. «Non darai nessun problema» disse il Succhiasangue. Lo fulminai con lo sguardo. E lui sogghignò. Appena incrociai lo sguardo di Charlie, il mio vuoto si riempi. Il cuore che non avevo sentito da giorni, mi perforava il petto. Ancora più forte ora che capivo di amarlo. «Dividiamoci a gruppi. Tecnicamente e la prima volta per Valium, giudicando le precedenti, in cui non cacciò un bel niente. Quindi, papà perché non vai tu con lei?» propose mamma. «NO!» urlai. «Vado io con Valium. non ti preoccupare Nessie» si offri Charlie. I rimanenti si scambiarono uno sguardo strano, preoccupato. Poi scomparirono. «Dove andiamo?» chiesi subito. «Ti ha scontato la pena solo per la caccia?» chiese lui sarcastico. «Libertà vigilata. Dove andiamo?» ripetei. «C’è un branco di cervi a est. Chiudi gli occhi, e annusa» ordinò. Io eseguì subito il suo ordine. «Fai prendere il sopravento alla tua parte vampira. Come quando ti trasformi. Diventa vampira» mi ordinò. Io segui i suoi consigli. Immediatamente mi senti più forte, la testa più spaziosa. Senti l’'odore dei cervi, e un bruciore alla gola. Sete. Ma non di acqua. Sentivo il mio cuore pulsare sangue, umido. Mi solleticava la sete. Il cuore di mia madre. Dei cervi. Apri gli occhi di scatto, e mi lanciai verso i cervi. Inquadrai il più grande, il maschio. L’istinto di sopravivenza prese il sopravvento sul mio cervello. Solo una parte era rimasta normale. Quella che mi diceva di non attaccare mamma e Charlie, con il suo buon’odore che mi stuzzicava la gola, e oltre tutto nessun umano. Mi avventai sulla mia preda. Morsi il suo collo pulsante. I miei denti taffisserrò la pelle e la carne come se fosse burro. Mi senti riscaldare tutto il corpo, mentre il sangue dell'animale mi affluiva nel corpo. E senti il mio cuore smettere di battere. Dopo aver prosciugato la mia preda mi alzai di scatto. non avevo fatto caso al mio cuore fermo.Come se fosse una cosa normale. «Ottimo lavoro, Valium. Giuro che non mi sembravi tu» si complimentò Charlie. Mi tocco la spalla. Il suo tocco mi fece sussultare. Era caldo. Sobbalzai. E mi ritrovai con le spalle contro un pino. Nel suo sguardo c’era un non so che di spaventoso. «V. Che hai?» gridò in preda al panico. «Che ho? Che mi è successo? Mi sento diversa! Il mio cuore non batte più» ero nel panico più assurdo. Non avevo mai avuto tenta paura. Vidi guizzare ai fianchi di Charlie Bella, il Succhiasangue e mamma. Tutti e tre con gli occhi sbarrati. Terrorizzati? Da me? «Valium, che hai?» mi chiese mamma con voce colma preoccupazione. «Sto andando in iperventilazione. Non mi sento più il cuore. Sto respirando, ma lo sento inutile. Sento Charlie caldo!» gridai esasperata. «Valium... hai gli occhi … Rossi!» urlò Charlie spaventato. «L’occhio» lo corressi calma. «Entrambi» rispose nella stessa tonalità di voce d poco prima. «Cosa?! Stai scherzando, vero?» ero scettica, e di calma ne avevo molto poca. Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare, e me lo posso per specchiarmi. Ero più pallida di lui, è avevo entrambi gli occhi rosso. Ma che diavolo stava succedendo?! Sembravo una neonata! Come diavolo ho fatto? «Come hai fatto?» chiese sbigottito il Succhiasangue come se mi leggesse nel pensiero. «Non. Ne. Ho. Idea!» urlai minimizzando ogni parola. «Cosa hai fatto per diventare cosi? Che ti ricordi?» insistette lui. Percorsi all'’indietro tutto quel frangente di tempo. «Charlie mi ha detto di concentrarmi. Di far predominare il mio istinto di sopravivenza vampiresco. Io ci ho provato. Ed eccomi» risposi pensierosa. «Riesci ha farlo al contrario?» chiese lui. Io ci provai. Mille volte. Ed ecco i loro sospiri di sollievo. Il mio cuore ricomciò a battere, Il respiro non era più inutile, Charlie mi tocco, e la sua pelle era di ghiaccio. Chiesi il telefono per specchiarmi. Avevo un occhio rosso e l’altro blu. Ero capace di diventare una vampira a piacimento. Appena liberata da quel assurdo potere, corremmo a casa Cullen. Il Succhiasangue spiegò cos’era successo a nonno Carlisle. Dopo visite e inutili «Sto bene», venne papà. L’ennesima, assurda, preoccupazione. «Se questo e il risultato, io non andrò mai più a caccia!» conclusi. «Se ne hai bisogno, tu ci voli a caccia» minacciò Jacob. «È assurdo. Ma come è possibile?» chiese con voce colma di preoccupazione nonna Esme. «Non so come è potuto succedere. E non so nemmeno cosa è successo» rispose Carlisle. «Gli svantaggi di essere unica» mormorai. «Questo e il problema. Sei unica. Almeno tua madre aveva dei simili. Tu no!» sussurrò Carlisle. Non l'avevo mai visto cosi preoccupato «Non sappiamo se tu sei come tua madre. Voglio essere sincero con te. C’è una possibilità che tu muoia, un giorno». «Carlisle, che dici?!» gridò il Succhiasangue. «E maggiormente umana. Deve sapere quale può essere il suo futuro. Io non so cos’è! Avrei bisogno del suo sangue, e non so come procurarmelo. Sono più preoccupato io che voi!...» ancora sbraitava come non mai. Era girato di spalle, non mi vedeva. Negli anni avevo scoperto che solo una cosa riusciva a scalfirmi: me stessa. Mi taffissi il polso con i denti davanti, trascinandoli lungo la larghezza del polso. Non mi preoccupai di essere in una stanza colma di vampiri che cercavano di disintossicarsi dal sangue umano, perché il mio sangue era inodore, e ciò voleva dire che io ero salva. «Prendilo prima che si cicatrizzi» mormorai. Lui si giro di botto, e resto a bocca aperta. «Ci puoi pure infilare un ago. Dopo il primo strato di pelle, il resto e tessuto molle. Però muoviti, si cicatrizzerà entrò due minuti» continuai. Non ci penso due volte. Corse nel suo ufficio, e ne ritorno con una siringa. La infilo nel taglio – non la senti per niente – e ne tiro una grande dose di sangue. «Ci passerò tutta la notte. Te lo prometto Valium» promise soddisfatto e corse nel suo ufficio. Tutti mi guardavano sbigottiti. Io abbassai lo sguardo sul polso. Del graffio n'era rimasto solo una macchia di sangue. Presi un fazzoletto dalla tasca dei bermuda, e l'asciugai. Nessuno proferì parola, si limitarono a fissarmi sbigottiti. «Ma come è possibile!» gridò Carlisle dal piano di sopra. Non ci pensai due volte, e corsi su. Nonno Carlisle era chino sulla scrivania, e osservava una lastrina al microscopio. «Carlisle che succede?!» chiese il Succhiasangue superandomi. «È straordinario. Vieni a vedere. Pure tu Valium, sarai curiosa di vedere com’è fatto il tuo organismo, perché è straordinario» disse Carlisle. Il Succhiasangue spio il microscopio prima di me. «Straordinario! Mai visto nulla del genere!» mormorò sorpreso. «Posso?» chiesi acida. Il Succhiasangue si scanso, e mi fece spiare. Era stranissimo. Il mio sangue si era diviso in tre parti con tonalità di rosso differente. Un rosso più pallido a destra, un rosso vivo al centro e un rosso arancio a sinistra. «È straordinario,vero?» chiese nonno Carlisle. Io annui senza staccare gli occhi dal microscopio. «Prova a mescolarli con questo» propose porgendomi un bastoncino di fero sterile. Io ci provai, ma avevano una diversa consistenza. Il più pallido era duro come il marmo, lo toccai con un dito ed era congelato. Il centrale era denso, e quando lo toccai sembrò una temperatura umana. Toccai il sangue leggermente aranciato, era più liquido, e al tatto bollente. «Si sono divisi pochi secondi dopo che lo posato sulla piastrina. Un po’ è ancora nella siringa» spiegò calmissimo nonno Carlisle, indicandomi la siringa li vicino. La presi, e il risultato ero lo stesso ma più evidente. Provai ad agitarlo, ma dopo pochi secondi ritornava com’era, a parte la parte congelata che era immobile. Già odiavo quella parte di me. «Ventisei?» chiese sorpreso il Succhiasangue. «Si. È più difficile» rispose nonno Carlisle con un tono preoccupato nella voce. «Cosa?» chiesi incuriosita. «I tuoi cromosomi. Hai ventisei cromosomi. Sei unica, e questo vuol dire che sarà più difficile capire come trattare il tuo essere» spiegò Carlisle con una nota di preoccupazione nella voce. «Sto implorando i miei di farmi un fratellino, ma nulla» risposi sarcastica. Carlisle ridacchio, e il Succhiasangue m’incenerì con lo sguardo. «Non intendevo questo» disse Carlisle. «Posso vedere?» chiese Charlie dietro di me, rubandomi la siringa dalle mani. «Wow. Cos’è?» continuò. Non mi ero accorta che mi aveva seguito. «Il mio sangue» risposi indifferente. «Oh. Perché è diviso a tre?» chiese curioso. Assomigliava un bambino. Be’, Charlie era famoso per i suoi scambi d’umore … «Forse perché sono i miei tre esseri» risposi come se fosse una cosa ovvia. «Mah» bisbiglio, e si mise a giocare con la siringa. Carlisle le la strappo dalle mani «Non è un giocatolo» l'ho rimproverò calmo. «Il verdetto?» chiesi. «Tu sei immortale. E questo è bene. Ma tu puoi trasformarti nei tuoi esseri … diciamo extra» spiegò Carlisle. «È ciò che vuol dire?» chiesi incuriosita. «Che, se non stai attenta, potresti essere molto pericolosa. Devi imparare questo tuo... potere, prima che succedi l'inevitabile» sussurrò Carlisle. Per un attimo un brivido freddo mi percorse la schiena. Un'immagine mi passò davanti: Sangue. Disperazione. Tristezza... L'immagine di me con gli occhi rossi, a nutrirmi di un... umano. Edward, il mostro... Valium la sanguinaria. Charlie mi strinse la vita, e posò la testa sulla mia spalla, prima di sussurrarmi in un orecchio:« Sta calma, tu non ucciderai nessuno! Ne sono certo!». Mi girai, e mi strinsi contro il suo petto, creando un ennesimo momento sbagliato.

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Capitolo 24
*** Preparativi ***


I tre mesi passarono in fretta. Ci ritrovammo a una settimana prima dal matrimonio. Tutti avevano dimenticato quella parte di me che si era manifestata l’ultima volta che ero andata a caccia. La mia pena stava terminando. Una settimana, ed ero fuori dalla mia punizione. Solo che mi sarebbe stata inflitta un’altra punizione. Casa di Succhiasangue Cullen e signora Bella, fin quanto mamma non sarebbe ritornata dal viaggio di nozze. Ottimo. In quei giorni mamma e zia Alice pregavano – quasi inginocchiandosi – papà di qualcosa che non capì. «Dai ti prego. Fammi felice» pregava mamma. «Non ho nessuno per fare la damigella d’onore» spiegò zia Al. «Nana accontentati di Valium. Sai che Quil, se non sapesse la verità, ti odierebbe per ciò che l'hai fatto» rispose papà, quasi accusandola. «Sai che lo fatto per il loro bene. Dai! È un favore. Farò tutto quello che mi dici» suplicò mamma. «Quil mi odierà se la farai soffrire ancora, e forse pure Embry» mormorò papà. «Giuro che non la farò mai più soffrire» rispose mamma quasi entusiasta. Alla fine papà acconsenti. Solo ora capisco cosa voleva. Ero posteggiata su un albero, con Charlie al fianco. Sfuggivamo dalla prova dell’abito per “porta fedi” – cioè Charlie – e per “ la butta petali di fiori sulla navata della sposa” – cioè io – che zia Alice ci aveva imposto. Odiavo il mio abito tanto quanto Charlie odiava il suo. Stavamo tranquillamente bisbigliando – per evitare che zia Alice ci scoprisse – fin a quanto una macchina, che conoscevo molto bene si fermò sul vialetto. La macchina di Quil? Forse voleva parlare con me? ma qualcosa mi disse di no. «Da quanto non venivo qui. Da otto anni fa. Da quando ho compiuto quattordici anni» mormorò la voce di Claire. «Oh. Non fare la dura!» disse Quil. Lui e Embry uscirono dall’auto, corsero ad aprire le portiere dietro. Ne uscirono due donne: Amanda e Claire. Non mi ero mai abituata alla bellezza di quelle due: Una con la pelle bronzea, un viso stupendo, con gli occhi a mandorla, e una bocca a forma di cuore con labbra carnose, tutto incorniciato da capelli lunghi fino alle spalle e neri come la pece, fisico perfetto, snello al posto giusto. Era vestita con una T–shirt con una stampa, una giacca di Jeans, Jeans stretti e una borsa abbinata ai tacchi vertiginosi. Tutto vigorosamente blu e rosso. L’altra aveva gli occhi verdi, la pelle rosea, delle labbra stupende, simili a quelle di Claire, ma con un colorito più chiaro. I capelli lunghi fino alla schiena, mossi e di un vigoroso castano. Era magra, e come l’altra, snella nei posti giusti. Si vestiva sempre come mamma. Maglietta impero bianca, con fiocco azzurro che separava il seno dal resto della maglia, un cardigan azzurro, un paio di ballerine e un jeans chiaro. «Quil. Che. Ci. Facciamo. Qui?» chiese la rispettiva compagna di quest'ultimo. «Claire, non fare l’'impossibile!» si lamento Quil. Amanda, come al solito,stava sulle sue, sempre attaccata al braccio di Embry. «Si stanno per sposare» mormorò abbassando la testa, come se delusa. Mamma spuntò dalla porta, e corse vicino a Claire. «Appunto. e ho bisogno di una damigella d’onore» disse entusiasta . «E tua figlia non ti basta?» chiese acida Claire. «Prova a mettere quella insulsa ragazzina sui tacchi, e sparisce!». Il tono imbastialito di zia Al, quando spuntò anch'essa dalla porta, era al dir poco spaventoso. «A proposito, l'avete vista in giro?». «No!» urlai da un'enorme quercia al fianco di casa Cullen. Quil rispose con una risata fragorosa, che fece tremare tutta la foresta, e pure da dentro qualcuno si mise a ridere. «Molto divertente, Emmet. Davvero molto» disse sarcastico papà, uscendo dalla porta. Volevo scendere, ma poi ripensai alla voce di zia Alice. Feci cenno di star zitto a Charlie, che continuava ad assillarmi sul fatto che non dovevo rispondere. «Volete vedere i vostri vestiti?» squittì zia Alice. Certe volte i suoi cambiamenti di umori facevano paura. «E un modo per chiedere il mio perdono?» chiese acida Claire. «Vedila come vuoi. Si vede che chiederò a qualcun’ altra di fare la mia damigella d’onore» rispose acida mamma. «E chi?» chiese nello stesso tono di voce Claire. Ma che aveva contro mamma? «Ho una persona che mi deve una punizione!» «Scordatelò!» urlai da sopra la quercia. «Un altro mese ti basta, o scendi?» chiese acida Nessie rivolta a me. «Elizabeth e E.j., la punizione vincola che la pasiate in casa! Scendete!» fece Bella uscento da casa. Quando si ritrovò davanti Claire, strabuzzò gli occhi, in un'espressione di evidente stupore. «Claire?!» fece lei stupita. «Sei proprio tu?» chiese nello stesso tono di voce. «Signora Cullen» salutò Claire salutando con un cenno della mano. «Quante volte ti ho detto di chiamarmi Bella?» chiese quest'ultima abbracciando Claire. Lei accettò amorevolmente l'abbraccio. Come se si conoscesserò da chissà quando tempo. "Da otto anni" aveva detto Claire. «Scendete, si o no?» chiese mamma. «No!» risposi beccantomi uno schiaffo in testa da Charlie. «La violenza non risolve nulla! Soprattutto con la sottoscritta!» mormorai rivolta a Charlie. «Tre mesi non ti sono bastati? Ne vuoi provare quattro?» minacciò. Afferrai Charlie dal colletto della camicia, e mi lanciai nel vuoto. Atterrai sulle punte dei piedi, facendo cadere Charlie sulle ginocchia. «Delicata come sempre» commentò sarcastico. «Non voglio un altro mese di reclusione» mormorai scocciata. «Eccovi!» fece Bella. «Claire, lei è...» interruppi mia madre nel bel mezzo di una frase. «Ciao Claire, come te la passi?» chiesi io. «Vi conoscete?» fece papà con fare severo. «Qualche problema Jay? Mi volevate pure tenere nascosta vostra figlia? Per quale motivo, vorrei sapere!» iniziò Claire con voce acida e piena di rabbia. «Alza lo sguardo e capirai» cantilenai in un mormorio, alzando gli occhi al cielo. Amanda e Claire spostarono lo sguardo sulla mia destra, e lo posarono su Charlie. Sbarrarono gli occhi, e iniziarono a sventolarsi una mano vicino al viso. «C...ciao» balbettò Claire. «Ehi, Charlie, da quando tempo!» disse Embry. «Da quando scappavamo da casa per venire all'officina» risposi io ridendo. «C...ciao» balbettò Claire rivolta a Charlie. «Io sono Claire» si presentò offrendogli la mano. Charlie la strinse, e una vampata di gelosia s'impadronì di me, e gli strinsi la mano libera, guardando avanti. Con la coda dell'occhio vidi la sua espressione sbigottita mentre squadrava le nostre mani intrecciate. Io gli prestavo indifferenza, mentre Claire si faceva rossa di vergogna. Né Nessie né Bella se ne accorserò. «Charlie e mio fratello» disse Nessie. «Da che mondo e mondo, le vampire non possono avere figli, o, almeno, così mi ha cresciuta Quil» rispose repentina Claire. «È semplicemente un miracolo» rispose calma Bella. «Credi che riuscirai mai a perdonarmi?» chiese mamma a Claire, con voce molto bassa, come se fosse una supplica. «Dammi una motivazione per farlo» rispose quella. Si era fatta improvvisamente seria. Il suo sguardo era rivolto a Nessie ed esprimeva rabbia che lasciava trapelare un pò di dolcezza. «Be`... Io non ho una motivazione valida, ma so dirti una cosa: che in tutti questi anni tu sei stata un mio pensiero fisso! Non so dirti a parole quando mi sei mancata, e non basterebbe la mia vita per descrivere questo! Tu sei la mia Claire, e io sono la tua Nenè, così mi chiamavi da piccola, ricordi? Be`, io si! Ricordo ogni misero istante passato con te! Da quando giocavamo con le barbie, a quando ti lamentavi di Quil! Mi ricordo anche quando hai dato fuoco al tuo Ken, buttandolo nel camino, il giorno dopo me lo portasti, e gli mancava mezzo braccio e mezza gamba...» si bloccò di colpo, per sentir la risata di Claire. «Poi cadde dalla finestra di casa di tuo nonno, e un cane se lo prese in bocca!» rispose Claire tra una risata e un'altra. «Ricordi il tuo quattordicesimo compleanno? Perché io lo ricordo fin troppo bene! E non solo perché fu l'inizio della storia tra me e Jake, ma perché fino ad allora, ogni volta che t'incontravo, non facevo altro che ridere e divertirmi, cosa che in quei tre anni non facevo spesso! Ora e per sempre io ho bisogno della mia Claire!». Mamma concluse il discorso con una lacrima, che gli colò dal viso, e cadde sul terriccio umido hai suoi piedi. «Non so, Nessie. Te ne sei andata nel periodo della mia vita in cui avevo più bisogno di te! Avevo quattordici anni! Stavo per iniziare una nuova scuola, avevo una nuova storia d'amore, ed ero troppo giovane per gestire tutto questo senza nessuno che riusciva a sostenermi come il dovuto! Non riuscivo a non soffrire senza te! Eri la mia migliore amica! Il mio unico punto di riferimento! Ti volevo bene!» rispose Claire. «Claire, lo so che ora c'è l'hai con me per averti abbandonata senza una parola, ma ho dovuto. Era tempo di pensare un pò a gli altri, prima che a se stessi! Ma non basterebbe la mia vita per descriverti quando mi sei mancata!» ripetè mia madre, lasciando scappare altre lacrime. Mancavano solo i pop corn! Film drammatico a ore 12! Claire si lasciò sfuggire una risata nervosa. «Nessie, tu sei eterna!» mormorò. «E tu eri la mia Claire, fino ha otto anni fa! Non siamo poi così diver...». Non fece in tempo ha finire di parlare, che Claire gli buttò le braccia al collo, facendo cadere entrambi. «Sono ancora la tua Claire, idiota!» urlò quest'ultima entusiasta. «Brave! Brave! Ora ha provare gli abiti!» s'intromise zia Alice. «Un attimo» mormorò mamma, alzandosi da terra e aiutando Claire. Si avvicinò ad Amanda, e iniziò a parlare: «Credo che dovrei scusarmi pure con te. Noi tre dovevamo essere unite, e io vi ho abbandonate ancora prima di conoscerti meglio! Ma tu sai che ti ho sempre giudicato una mia amica, quindi ti vorrei chiedere se ti andrebbe di fare l'altra damigella, sempre se ti va, certo!». «E ovvio che mi vada! Be`, anch'io ti ho sempre giudicato un'amica, anche se non ti ho quasi mai vista! So di non essere al livello di Claire, ma spero di arrivarci un giorno, perché so come sei, e sei una ragazza fantastica!» rispose Amanda. Mamma l'abbracciò. Zia Alice si avvicinò a me. «Pronti a provare gli abiti?» squittì al mio fianco. «No!» risposi in un sussurro, mentre le altre accettavano di buon grado la proposta. Mentre il resto dei presenti entrava, io, Charlie -con la mano ancora intrecciata alla mia- e zia Alice restammo fuori. «Ti do cinquanta dollari se la porti dentro, più un fumetto introvabile giapponese! E sai che posso preoccurarmi tutti i fumetti introvabili che voglio!» propose zia Alice rivolta a Charlie. «E un piacere fare affare con te!» rispose Charlie stringendole la mano libera, mentre raddoppiava la presa sulla mia. Zia Alice saltellò in casa, mentre io pregavo con lo sguardo Charlie. Ma, ormai, sapevo che era inevitabile. Mi caricò sulle spalle, e mi portò in casa, ha provare il mio stupido e odioso abito. Non era che io ero uno stupido maschiaccio, ma ero solo ina ragazza che odiava le cosa da ragazza, tra cui tacchi, vestiti e borse, e chi più ne ha più ne metta. Soprattutto quando i miei abiti gli sceglieva zia Alice, su cui, in fatto di moda, andavo tutt'altro che d'amore e d'accordo, soprattutto con quell'abito: blu scuro -l'unica parte che mi piaceva-, aderente fino ha sopra le ginocchia, senza maniche, che metteva in risalto il decoltè con una scollattura ha forma di cuore, decorato con svariati punti di luce, che si stringeva sotto il seno con uno strano incrocio di raso. E, come ciliegina sulla torta, tacchi tredici blu con punti luce sulla punta. E se non lo capiva, si leggeva in faccia, pardon, in corpo che ero una stronza. Il lato positivo e che ero più alta di tredici centimetri. Dopo essermi provata il mio stupido abito, scesi le scale, per andare in salotto. Ma, alla fine della lunga scalinata, trovai Charlie. «Mi fai guadagnare bene» disse sventolantomi sotto il naso i cinquanta verdoni che gli aveva dato zia Alice. «Dividiamo?» chiesi con fare cospiratorio. «So perfettamente che ha casa tua sei piena di questi» rispose continuando a sventolare i soldi. «Ma, anche se non gli avessi nascosti in qualche angolo oscuro della tua camera, non te gli avrei dati! Devo fare delle compere» continuò. Non gli prestai attenzione, e mi andai a sedere sul primo scalino dall'entrata. Come quand'ero piccola... E lì che Charlie mi diede in mio primo bacio. Lui si venne a sedere vicino a me, e posò la sua mano sulla mia. Io la spostai immediatamente. Ma lui la riprese, e la portò sul gradino, stringendola con la sua. «Sei proprio fatta per fare il capo branco» mormorò guardando avanti. «Perché?» chiesi incuriosita. «Perché sai difendere il tuo territorio, quando ne senti la necessità» rispose abbassando lo sguardo sulle nostre mani. Qualcosa di malizioso percepì nella sua voce. «Non so a cosa ti riferisci» mentì alzando lo sguardo sul bosco e sul sentiero che portava all'autostrada. Si avvicinò a me. «Lo sai molto bene» mi alitò sul collo. Il suo alito era freddo, ma al contatto con la mia pelle -come sempre- questa avvampava. «No, non lo so» mormorai chiudendo gli occhi. «Si, invece» sussurrò lui avvicinandosi di più. «Si?» mugugnai io. «Si» rispose lui nel mio stesso tono. Posò le sue labbra sul mio collo. Okay, non so cosa mi prese in quel momento! Mi alzai di scatto, e gli presi la mano, facendolo alzare. Corsi nel bosco, trascinando Charlie con me. Lo spinsi contro un albero, e mi fiondai nella sua bocca. Charlie sorrideva a ogni mio bacio. Mi strinse più forte, mentre io lo circondavo con le mie gambe. «Ti amo» sussurrò tra un bacio e un altro. Lì mi dovetti fermare. Ma cosa diavolo stavo facendo?! «Basta!» urlai sciogliendo la presa delle gambe da lui. Ma lui strinse più forte, e posò le labbra sul mio collo. «Charlie, basta!» lo pregai. Mi dimenavo fra le sue braccia, in cerca di attenzioni da lui. In cerca del mio migliore amico. Ma lui non c'era, e l'essere davanti a me non mi ascoltava. «Charlie!» urlai. Mi liberai dalla sua presa, e l'ho afferrai dalle spalle, per trattenerlo contro l'albero. «Che c'è? Mi stavo divertento» disse lui con fare malizioso nella voce. Anche se era ostacolato, allungò la mano, cercando di afferrarmi il fianco, ma io mi scansai. «Che c'è? Paura che qualcuno ci scoprì?» Chiese sorridente. Mi prese le mani, e mi avvicinò a lui. Stava per baciarmi, ma girai il viso. «Che diavolo vuoi da me?» mormorò acido. Lo guardai negli occhi, e presi una lunga boccata d'aria, prima di rispondere sinceramente: «Non lo so». Mi la lasciò le mani, e mi evitò, correndo a prendere a calci una vecchio pino. Quello si sdradico dal terreno, e quello cadde nel bosco. «Io non si cosa pensare! Fammi capire cosa vuoi da me! SMETTILA DI ILLUDERMI!» urlò con.voce colma di rabbia. Non gli risposi, e scappai. Non so dove stavo andando, ma non me ne fregavo. Non m'importava più di niente! Nemmeno che le lacrime mi solcavano il viso! Nemmeno che se non fossi tornata a casa, sarei stata segregata un altro mese! Non m'importava più di niente, solo di quel viso devastato dalla rabbia, dal disprezzo e dalla... tristezza. Dal suo viso. Mi bloccai quando le luci di Seattle mi accecarono. Lì capì che dovevo tornare indietro.

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Capitolo 25
*** Addio a nubilato ***


«Perché no?!» urlai con voce colma di falsa rabbia. Non volevano che io partecipassi all’addio a nubilato di mia madre. Dovevo stare a casa, da sola, con una pizza a farmi compagnia. Certamente non era vera rabbia. Sapevo perfettamente cosa avrei fatto quella notte. Nulla di illegale. «Primo: Perché sei minorenne, e non so cosa Claire abbia organizzato. Secondo: sei mia figlia. Terzo: sei ancora in castigo. Quarto: domani tocca a te svegliare tuo padre» rispose mamma mentre si prestava a fare il borsone. Quella sera avrebbe dormito a casa Cullen. «Ma Charlie – che è pure più piccolo di me – partecipa a quello di papà!» mi lamentai. «Lui non è tuo fratello. È suo amico» spiego Bella «Ci andrà pure Ed …» cominciò «Succhiasangue» l'interuppi. «Edward! Lo terrà d’occhio lui. Quindi non mi preoccupo» continuo lei. «Ma è incastigo pure lui!» mi lamentai a voce ferma. «Tua madre a detto di no, ed è no!» rispose papà entrando in cabina armadio. Gli seguì fino alla porta, dove mamma mi abbracciò. «Ci vediamo domani» mormorò nel mio orecchio. Anche Bella mi abbracciò. «Fai la brava» si raccomandò. Mamma e papà si abbracciarono. «Ci vediamo all'altare» mormorò mamma a papà. «Non scappare, mi raccomando» rispose papà, facendola ridere. «Non bruciate casa!» urlò mamma uscento dalla porta. «Di solito quella sei tu!» risposi nel suo tono di voce, facendo ridere papà. «Okay, io vado a prepararmi. Tu ordina la pizza» annunciò salendo le scale. Chiamai la pizzeria, e, appena staccai, presi il mio portatile, per scrivere il discorso di papà. L'unico riferimento era "io provo per lei qualcosa d'indescrivibile". Quindi -giustificandosi con questa banale scusa- mi affibbió il compito di scrivere il suo discorso, facendolo passare per una tenera richiesta d'aiuto. E quando lo misi davanti al computer, gli uscì il fumo dalle orecchie, mentre si scervellava alla ricerca delle parole per completare una frase di senso compiuto. Quindi lo feci alzare, e lo mandai nell'altra stanza. Mentre riflettevo su qualcosa che avrebbe fatto piangere mamma, lo sentì scendere le scale. Fischiai in segno di approvazione. «Ci siamo messi in tiro» lo presi in giro. Non ero abituata a vedere mio padre con il gel nei capelli. Era molto elegante -per quando un Black può esserlo-: aveva una camicia a maniche corte stile scozzese sul tono verde, che portava con il primo bottone aperto, facendo intravedere un pò di pettorale scolpito; indossava dei bermuda di jeans chiari, tagliati al ginocchio; i capelli -erano corti, perché mamma e io lo costrinsimo a tagliarli- erano incollati alla testa dal gel e hai piedi aveva un paio di anfibi maroni. «Hai visto la mia giacca?» chiese un tantino agitato. «Si, e qui!» dissi prendendola dalla spalliera del divano e lanciandogliela. La prese al volo, e l'indossò. «Come sto?» chiese. «Stai andando a fare il test di maturità che non hai fatto?» chiesi sarcastica. «Ha-ha, molto divertente» rispose offeso. «Dipende tutto da ora! Devo conquistare Edward, anche se l'idea non mi piace» rispose nervoso. «Vuoi conquistarti il Succhiasangue al tuo addio al celibato?» chiesi confusa. «Si! Perché e la mia unica opportunità! E perché è il padre di quella che domani sarà mia moglie!» rispose. Mi alzai, e mi materializzai diffronte a lui. «Allora devi essere elegante. Hai una cravatta?» chiesi. «Quale cravatta?! E già tanto che domani mi metto lo smoking, non mi metterò la cravatta!» rispose nervoso. Gli sistemai il colletto della camicia, mentre lui mi guardava storto. «Okay, basta!» disse spostandomi le mani dalla sua camicia. Si sistemò la giacca, e mentre si dirigeva alla porta, sentimmo bussare. «Deve essere la pizza» mormorai affrettandomi ad andare ad aprire. Aprì la porta, ma non trovai il fattorino. Charlie m'inceneriva con lo sguardo, mentre io lo scrutavo sorpresa. «Tu che ci fai qui?!» chiese mio padre sorpreso quando me. «Ti faccio la stessa domanda» mormorai con voce che voleva sembrare acida, ma era solo stupita. È inutile dire che in quella settimana eravamo andati tutt'altro che d'amore e d'accordo, ma i Cullen non fecero domande su questo. Era una delle nostre liti... ma questa non sarebbe durata poco... anzi, sarebbe durata più di tutte, se non per sempre. Il cuore sussulto a quel presupposto. «Qualcuno ha ricordato a mamma che ero in punizione, e quella mi ha spedita qui a fare compagnia alla spia!» disse alzando la voce ad ogni parola, urlando l'ultima. Si, era proprio incazzato con la sottoscritta. «Credi che gliel'abbia chiesto io?!» urlai rabbiosa. «Si!» rispose acido. «E per quale motivo?!» pretesi di sapere. «Oh, io ne avrei parecchi» rispose acido. Sbiancai. Dal suo tono di voce si poteva facilmente percepire una punta di malizia. «Okay. Chiamerò Lhea per farvi da babysitter» annunciò mio padre sorridente. «Sono in ritardo» annunciò. Mi schioccò un bacio sulla guancia prima di darmi venti dollari per la pizza e scomparire oltre la porta. Posai i soldi sul piano della cucina, e mi lasciai scappare un sospiro. «Siamo soli» mormorò Charlie avvicinandosi a me di un passo. Io mi allontanai di riflesso. «Non sei arrabbiato con me?» chiesi un pò impaurita. Si volatilizò dietro di me, e mi prese dai polsi, strittoladomi con le mie stesse braccia intorno alla vita, A mo'di croce. «Io ho un modo per smaltire la rabbia» mi alitò sul collo. Chiusi gli occhi. «Io credo che non sia una buona idea» mormorai. «Si, invece! Ci credi che ti desidero in un modo che non capisco?» sussurrò al mio orecchio. «In che senso?» mormorai succube della sua voce. «Nel senso che desidero ogni sfaccettatura del tuo corpo!» rispose in un sussurro, posando le sue labbra sul mio collo. «Vuoi scoparmi?» chiesi a voce alta. Sorridevo beffarda della mia battuta. Non avrei perso la verginità con lui! Mai! «Se vuoi interpretarlo così, si! Voglio scoparti!» rispose ridendo. «Be', io no!» risposi acida. Mi liberai facilmente dalla sua presa, e mi andai a sedere sul divano. «Che stronza» mormorò sovrapensiero. «Edward Jacob Cullen, non usare questi termini!» lo rimproverai per scherzo. Si volatilizò un'altra volta al mio fianco, allungando una mano sulla spaliera del divano. Era tanto vicino che se mi sarei avvicinato di un millimetro le mie labbra e le sue si sarebbero toccate. «Preferisci non fare niente, al posto di questo» con un gesto indicò il suo corpo perfetto. Abbassai lo sguardo, prima di riportarlo subito su, in balia dell'imbarazzo più totale. Un'enorme erezione gli premeva contro il pantalone. «Accuccia Mr. Grey» lo presi in giro rossa di vergogna. Lui mi lanciò uno sguardo obliquo. «Chi sarebbe questo "Mr. Grey"?» chiese. «Eh, sapessi!» risposi sul vago. Rise. «Senti, voglio portarti al letto!» dichiarò. «Senti, non perdero la verginità con te!» urlai esasperata. Qualcuno bussò alla porta. «Spera che non sia Lhea!» sibilai fra i denti. Lui trattenne una risata. «Valium, con chi parli?» urlò oltre la porta Lhea. Mi buttai su Charlie, e lo presi a schiaffi in testa. «Valium?!» urlò preoccupata. «Che c'è?!» gridai esasperata andando ad aprire la porta. Quando aprì la porta lanciò uno sguardo inceneritorio prima a me e poi a Charlie. «Tu!» urlò indicando Charlie. «Se fai ancora queste proposte a Valium, ti spacco la faccia!» minacciò. «Che credete?! Sono nata prima di voi! Avete otto anni!» urlò. Qualcuno bussò. Presi i venti dollari dal piano cucina, e corsi ad aprire. «Buonasera» salutò il fattorino. «Quand'è?» chiesi afferrando la maxipizza. «Quindici dollari» rispose. Gli afferrai la mano, e ci misi i venti dollari, prima di sbattergli la porta in faccia. «Okay, facciamola breve: io sta sera avevo un piano, ma voi due non eravate calcolati, okay?» dissi con voce piena di rabbia. «Non me ne posso andare. Mamma mi ucciderebbe» rispose calmo Charlie. «E dopo quello che ho sentito, non posso lasciarvi soli!» rispose Lhea un pò alterata. «Bene! Perfetto! Non permetterò a voi due di rovinarmi la serata!» urlai. Salì al piano di sopra, e mi chiusi in camera mi poggiai alla porta. Corsi al pc, per disattivare le telecamere. Non era un'operazione difficile. Bastava inserire nel computer un immagine della parte che inquadrava la telecamera, e con un programma -più un virus- si inseriva l'immagine nell'obbiettivo. Così avrei avuto qualche ora per attuare il mio piano. In silenzio mi buttai dalla finestra e corsi verso casa Cullen. Zia Alice non poteva prevedere le mie mosse, e ciò giocava a mio vantaggio. M'infilai dalla finestra nella sua stanza. Aprì l'immensa cabina armadio, e ne tirai fuori l'abito da sposa e i tre vestiti delle damigelle. Gli posai sul letto con estrema delicatezza, poi presi le scarpe di mamma, e le buttai nel bosco. "Cazzo, le ballerine?!" urlò la vocina nella mia testa. Le avrei portate al ritorno. «Claire, basta!» urlò mamma dal piano di sotto, mentre rideva convulsamente. Presi gli abiti, e, dopo aver rimesso tutto al proprio posto, mi buttai dalla finestra con gli abiti in mano. Certamente i vestiti erano dentro la secca per gli abiti, così non mi preoccupare se si sarebbero sporcati o rovinati durante la corsa. Anche se non successe. Raggiunsi in un attimo casa mia, e rientrai nella mia camera facendo più silenzio possibile. Buttai i vestiti sul letto, e sgombrai la scrivania. Corsi verso l'armadio, che aprì e ne tirai fuori la macchina da cucire di nonna Esme. Era antica, degli anni '20, ma stranamente silenziosa. Presi i tesuti e le bozze degli abiti. Okay, so che se zia Alice mi avrebbe scoperto io sarei sotto due metri di terra, ma ne valeva la pena. Tanto, il giorno dopo, quando l'avrebbe scoperto, sarebbe stato troppo tardi per rimediare a tutti i "danni" che avevo combinato. Perché non avevo intenzione di cambiare solamente gli abiti e le scarpe, ma avevo già contattato in fioraio facendo cambiare le composizioni dei fiori e questo non era niente rispetto a quello che avrei combinato domani. Avrei trovato una scusa per truccare mamma, e un'altra per sistemarli i capelli. Non volevo rovinare il matrimonio di mamma, volevo solo migliorarlo. Non sapevo le misure della sposa a parte che era alta più o meno un metro e ottanta -come il Succhiasangue- e aveva una seconda di seno. Poi le altre misure erano più o meno simili alle mie. Mi misi a lavorare su gli abiti. Prima di domattina i vestiti dovevano trovarsi nella cabina armadio di zia Alice. Se no, sarebbero stati guai. Iniziai a lavorare sull'abito di mamma, togliendo tutti gli strati di stoffa che davano l'aspetto da meringa ripiena. Avevo pensato a qualcosa di semplice e stupendo, come mamma. Finita la gonna, pensai alla scollattura. Ero così concentrata sul mio lavoro che sobbalzai quando qualcuno bussò alla porta. «V., ti ho portato un pezzo di pizza. Non hai mangiato niente» urlò Lhea oltre la porta. Corsi verso la porta, e l'aprì quel tanto che bastava per far entrare il piatto con la pizza. Mangiai in fretta, stanta attenta a non macchiare i vestiti. Corsi in bagno e a lavarmi le mani, e mi rimisi immediatamente a lavoro. Ci misi mezz'ora a finire l'abito da sposa. Essere in parte vampira dava i suoi vantaggi. Iniziai immediatamente a lavorare sull'abito di Claire, iniziando ad inserire sulla gonna strati di tessuto morbido. Mi basai sulle misure del vestito, che gli calzava a pennello. «Ma ti rendi conto che così soffri?!» urlò Lhea di sotto. Smisi di lavorare e corsi -senza fare rumore- a sedermi sul l'ultimo scalino che portava alle camere da letto. «Non urlare, per favore» mormorò Charlie. «Tu non capisci...» continuò, ma venne interrotto da Lhea. «Capisco perfettamente!» urlò con qualcosa di offeso nella voce. «Sam mi ha abbandonata per Emily... la mia ex migliore amica» sussurrò. Dopo qualche attimo di esitazione Charlie rispose: «non è la stessa cosa» mormorò indifferente. «Lo sarà» rispose Lhea. «Ora alzati e vai a chiederle scusa!» disse Lhea a voce alta. «Non so cosa potrei fare lì! Quando gli sto vicino non sono padrone del mio corpo. Potrei chiederle scusa, ma potrei saltarle addosso e... il resto te lo risparmio» mormorò Charlie. «Accontentati di quello che hai! La sua amicizia e un inestimabile tesoro! E lo sai meglio di me! Quindi...» ci fu un attimo di esitazione in cui sentì qualcuno alzarsi dal divano «...alzati, e vai a chiederle scusa» continuò Lhea. «E se la bacio? E se faccio anche peggio?» chiese Charlie preoccupato. «La ragione domina gli istinti!» rispose Lhea calma. «Vieni con me!» pregò Charlie. «Non posso! E una cosa vostra!» rispose Lhea. «Ora vai, e non farti pregare!» continuò con fare materno. Corsi -silenziosamente- in camera mia, e con molta delicatezza chiusi la porta. Nemmeno un secondo dopo sentì bussare. Aprì uno spirale di porta. Charlie era lì: una figura statuaria, immobile a testa bassa. «Charlie? Qualche problema?» chiesi acida. Alzò lo sguardo e per un attimo mi venne voglia di afferrarlo per la camicia e farlo entrare in camera mia, lasciando l'amicizia dietro la porta per quella notte. Mi sembrò di percepire la stessa cosa nei suoi occhi, ma scuotè la testa, come per cacciarsi un brutto pensiero dalla testa. «Volevo chiederti scusa» mormorò impacciato. «Bene, scuse accettate. Ciao» risposi secca cercando di chiudere la porta. Ma lui la blocco con la mano, avvicinandosi pericolosamente a me. Il mio viso era a una spanna dal suo. Bastava davvero poco e le nostre labbra si sarebbero toccate. E ci avvicinavamo sempre di più. «Basta!» mormorò lui, allontanandosi da me. Mi lasciò di stucco. Un sorriso mi si dipinse in viso, che lui ricambiò immediatamente. «Ti perdono» mormorai sorridento. «Grazie» rispose sorridente. Spalancai la porta, e l'abbracciai. «Mi sei mancato» sussurrai contro il suo petto. Mi stavo quasi mettendo a piangere. «Mi spieghi cosa ci fanno un vestito da sposa e i vostri abiti da damigella in camera tua?» chiese sospettoso. Lo spinsi via e mi affrettai ad entrare in stanza. «Nulla!» urlai. Completai il lavoro, cercando di non pensare a "Charlie migliore amico". Il "Charlie migliore amico" era uno degli stati d'animo di quest'ultimo. Uno dei tanti modi per definirlo: "Charlie migliore amico", "Charlie fratello", "E.j.", "Charlie insopportabile" e, da poco, avevo preso in considerazione la parte "Charlie fidanzato", quella - che doveva essere- improbabile. Provai l'abito di mamma, che mi doveva calzare leggermente largo. E andava bene. Provai quello di Claire, che era uguale a quello di mamma. Quello di Amanda, che mi stava alla perfezione, visto che, a parte l'altezza, avevamo le stesse misure. Poi provai il mio. Anche se odiavo ogni tipo di oggetto tipicamente femminile, visto che gli giudicavo inutili e superficiali, mi sentivo bene in quel abito. La mia immagine su quello specchio esprimeva sicurezza e serietà, ma allo stesso tempo esprimeva stupore e fascino. Provai le mie scarpe nuove -da ginnastica blu- per vedere come ci stavano. E erano bellissime insieme al vestito. Sentì bussare, e il cuore mi salì in gola. «Valium, sono Charlie» disse oltre la porta. Come se non l'avessi già capito dalla voce! «Volevo farti sentire il repertorio per domani. Sai, zia Alice mi ha proposto di fare il D.j. per la festa, e io ho accettato». Idiota, c'ero pure io!. Mi cacciai il vestito, e lo buttai nella sua sacca per gli abiti. Ma non feci in tempo a rivestirmi, perché Charlie aprì la porta, e io restai in... intimo. Charlie mi lanciò una mezza occhiata, e uscì fuori. «Scusa, non pensavo che fossi nuda!» mormorò imbarazzato. Corsi verso la porta, e gli afferrai il braccio. «Ti prego! Mi hai visto mille volte mezza nuda!» dissi trascinandolo in camera. «Fammi sentire il repertorio» ordinai facendolo sedere sul letto. "Oh, ma dai V.! Che cavolo stai combinando?!» urlò la vocina nella mia mente. «Si, ma ora e diverso. Tu hai... un...» si blocco a mezza frase mentre mi squadrava il seno. «Una seconda di seno?» completai la frase. «Eh!» rispose Charlie spostando lo sguardo su i miei occhi. «Poi, dopo quello che è successo prima e la settimana scorsa» mormorò. «Charlie, il passato e passato. Questo e il presente. Mi fido di te!» risposi. «Io non mi fido di me!» sussurrò pianissimo. «Prendilo come un allenamento! Per controllare il tuo autocontrollo!» proposi. Gli lanciai un sorriso d'incoraggiamento, e lui annuì. Una luce strana gli si accese negli occhi. L'ho interpretai come segno della sua testardaggine. Ce l'avrebbe fatta a dimenticarmi? «Che ci fanno questi vestiti qui?» chiese mentre metteva la musica sul telefono. «Il mio regalo di nozze per mamma!» risposi infilandomi la T-shirt senza maniche. La prima canzone partì -era una di quelle canzoni divertenti e molto adatte a una festa. «Com'è?» chiese Charlie alzando un pò lo sguardo dal telefono. «Perfetta» risposi infilandomi i jeans tagliati al ginocchio. Senza far finire la prima, mise la seconda canzone. «Carina, ma non adatta a un matrimonio» risposi prima che potesse chiederlo, cercando le scarpe che avevo comprato a mamma nel mio armadio. Mise la terza: era una delle mie canzoni preferite. «Si» risposi secca. M'infilai i miei anfibi beije, e il mio cappotto a scacchi blu e bianchi. «Il resto fallo sentire a Lhea, devo aggiustare tutto prima della mezzanotte, e manca solo un'ora!» spiegai con fare indifferente. Il gesto che fece mi lasciò di stucco: si alzò, e venne ad abbracciarmi. «Ci proverò, te lo prometto»! sussurrò contro i miei capelli. Capì subito a cosa si riferiva, e gli circondai la vita tra le mie braccia. «Come vorrei che non dovessi provarci» sussurrai tristemente. «Si, anch'io» rispose nel mio stesso tono di voce, raddoppiando la presa. Ci staccammo di malavoglia. «Devo andare! non dire niente a Lhea!» annunciai. Gli diedi un bacio sulla guancia. Misi le scarpe in una tracolla, e riposi il mio abito nella sua sacca. Caricai tutto sulle spalle e mi lanciai oltre la finestra. Raggiunsi in un secondo la camera di zia Alice. Riposi i vestiti nell'esatto punto dove gli avevo presi, mentre le risate dal piano di sotto mi riempivano le orecchie e mi dicevano che la festa sarebbe durata ancora per molto. Misi le scarpe che avevo comprato -un paio di ballerine di stoffa, con un pò di tacco- nella scatola delle scarpe che aveva comprato zia Alice, quelle che avevo buttato nel bosco. Lasciai tutto come l'avevo trovato, e chiusi la cabina armadio. Mi lanciai oltre la finestra. Ma mi fermai alla casa sull'albero. Okay, partiamo dal presupposto che soffrivo troppo per Charlie. Ma che dovevo fare? Ridurlo come Lhea? Non potevamo essere solo quei due bambini che non facevano altro che far dannare la propria famiglia? Qualcosa mi disse che quei bambini erano morti due anni undici mesi e una settimana fa. Se non due anni undici mesi e trenta giorni fa, visto che mamma si sarebbe sposata il giorno del mio compleanno. Quando gli chiesi perché, lei rispose che era per "festeggiare l'inizio della felicità con un'altro avvenimento felice". Forse era per questo che io e mia madre eravamo tanto diverse: lei è dolce, io sono dura come il marmo; lei è seria, io sono sarcastica; lei è timida, io sono e masochista; lei è psicologicamente normale e sadica, io sono pazza e masochista... come il Succhiasangue. Secondo Bella è per questo che ci odiamo tanto, ma se sapesse la verità -cosa che dubito fortemente- l'odierebbe pure lei. Ma chi lo sa, forse i Cullen -compreso lei- lo sanno e non l'hanno detto a noi -io, Charlie, mamma e papà- per evitare quello che è successo con me. Intanto c'era Charlie, che mi martellava la testa. Mi venne in mente quella frase di "le petit prince": "Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle". Devo pur sopportare qualche cotta prima di provare il vero amore. Ma la mia mente collegava immediatamente la parola "vero amore" a Charlie. «Perché a me?!» mi lamentai ad alta voce. In fondo Charlie era parte della mia vita più di quando io volessi. Decisi di ritornare a casa mia, e di pensare a un modo per far il modo che il giorno tutti si scordarserò di me. Cosa che giudicavo qualcosa si impossibile, visto che ogni santo anno, il venti Agosto- precisamente centodicianove anni e tre mesi dopo il Succhiasangue- io dovevo essere al centro dell'attenzione... di tutti. Ma quel giorno sarebbe stato di mamma. Appena entrai in camera mia, la sistemai, riponendo la macchina da cucire nell'armadio, e buttando nella spazzatura tutti i pezzi di stoffa che sono rimasti. Poi scesi al piano di sotto, giusto in tempo per veder finire "la città incantata". «Eccoti» fece Lhea vedendomi scendere le scale. «Sai che ore sono?!» chiese con fare severo. «Devo essere a letto?» chiesi confusa. «Si, perché io me ne stavo andando! Vai a dormire, ora!» ordinò all'alfa. Feci dietro-front, e me ne ritornai in camera, dove mi concessi una breve doccia. Uscì dal bagno stretta nell'asciugamano, e mi misi il mio pantalogino elastico viola e la mia canottiera blu che di solito usavo per dormire. Mi avolsi nelle coperte, fin troppo calde per i miei gusti. Ma, infondo, l'unica cosa che mi mancava era sotto. Un bussare timido mi riporto alla realtà. «Posso?» chiese Charlie da dietro la porta. Neanche l'avessi chiamato. «Entra» risposi alzandomi a sedere. «Ti ho svegliata?» chiese entrando e sedendosi alla scrivania. «No» mormorai dopo un attimo di esitazione. «E sola che la solitudine non mi va a genio. Lhea se ne dovuta andare, e mi ha lasciato qui, da solo. Posso aspettare mio padre qui con te, o disturbo?». Era impacciato come non mai. Alzai delicatamente la coperta. «Entra!» ordinai seria. «V... credo che sia bagliato» mormorò abbassando lo sguardo. «Mi fa caldo, entra!» ordinai per la seconda volta. «Cacciati delle coperte!» urlò esasperato. «Poi mi farà troppo freddo!» rispose col suo stesso tono di voce. «E io sarei la soluzione a i tuoi problemi?!» chiese quasi offeso. «Si!» risposi sarcastica. Alzò gli occhi al cielo, ma si levò le scarpe, e mi raggiunse nelle coperte. Mi strinsi contro il corpo freddo e scolpito, e lasciai che le palpebre mi cedettero e l'emozioni di quella giornata sparisserò. «V.?» mi chiamò. «Mmh?» mi limitai a rispondere. «Mi prometti un ballo per domani?» chiese. «Certo» risposi con voce impastata di sonno. L'ultima cosa che sentì fu il ritocco del orologio a muro che ho in camera e un «Auguri, amore mio» sospirato contro i miei capelli. Poi uno dei miei tanti e bizzarri sogni si impossesso del mio sonno: Sognai mia madre andare all’altare con quel bellissimo vestito, e papà con lo smoking ad aspettarla. Poi i suoi tratti cambiarono, divenne più pallido, più basso, gli occhi diventarono d’oro, i capelli erano neri con sfumature di rosso sotto il sole che brillava in quel sogno. Era Charlie. Ma anche lei cambio: divenne più bassa, i capelli più lunghi e dritti dietro la schiena che coprivano tutta, i tratti più dolci e gli occhi da cioccolato si fecero blu mare, e poi uno di loro – il destro – divenne rosso sangue. Ero io. Non mi fermavo, continuavo a comminare, nonostante non volevo. Ero ipnotizzata dallo sguardo dorato di Charlie. Dal mio amore eterno. Non c’era nessun ospite. Eravamo solo io e lui. Poi mi accorsi del sacerdote che doveva celebrare la cerimonia. Sali sull’altare e restai spaventata a morte: Raul. Fu un attimo, e mi ritrovai la testa di Charlie tra le mani. Mi alzai in preda al panico più totale. La stanza era buia, e la luce fiocca della luna entrava della finestra, illuminando la scrivania al fianco del mio letto. Di Charlie nemmeno la traccia. «Se ne andato» sospirai. Mi sdraiai di fianco, verso la scrivania. Delle braccia fredde mi circondarono i fianchi, e un sorriso mi spuntò naturale. «"L'amore chiede tutto, ed ha il diritto di farlo". Beethoven» mormorò al mio orecchio. Richiusi gli occhi, e mi lasciai trasportare da quelle parole, finché non.mi addormentai senza sognare.

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Capitolo 26
*** Il mio giorno ***


Renesmee Mi svegliai presto. Non avevo per niente paura o agitazione. Era tutto quello che volevo. Una famiglia felice, una figlia bellissima, e – fra poche ore – un marito fantastico. Era tutto perfetto. A parte l’odiato abito. Le sera precedente non era successo nulla di ché. Claire aveva organizzato – con l’aiuto di zia Alice – un pigiama party, cioè, pedicure, manicure, maschere di bellezza, torture all’infinito. C’era molta musica e risate. Mi sono divertita, certo, però, vedendo l’espressione di mamma – a dir poco terrorizzata – persi qualsiasi forma di divertimento. Odia cose del genere. Alle nove e dieci venne Valium. «Ciao» salutò con la sua voce cristallina. «Ciao. Tuo padre?» chiese la voce da soprano di zia Alice. «Una secchiata d’acqua basta» rispose lei indifferente. «Bene» rcommentò zia Alice. Poi si rivolse a me «Nessie, ti ho preparato un bagno caldo. Ci sono ancora sei ore. Rilassati, noi intanto prepariamo tutto il resto. Abbiamo sei ore, sposa. Vai» e mi spinse verso il suo bagno personale. Mi rilassai nella vasca da bagno, mentre sentivo dall’altra stanza zia Alice, zia Rose, Valium, Claire, Amanda, nonna Esme e mamma parlare incessantemente del matrimonio. Sentì qualcuno bussare alla porta, e il passo leggero di zia Alice andare ad aprire. «Ci sarà stato un errore. Io non ho ordinato queste composizioni!» urlò zia Alice dal piano di sotto, dopo aver mormorato per quasi un minuto. «Le faccio vedere l’ordinazione» rispose una voce maschile. Ci fu un minuto di silenzio. «Ma come è possibile» sussurrò zia Alice assorta neo suoi pensieri. «Okay, va bene. Arrivederci» disse a voce più alta prima di sbattere la porta. Senti il su passo leggero più frustrato mentre saliva, e borbottava qualcosa tipo «Chi è stato?» oppure «Come è possibile?». »Chi era, Alice?» chiese mamma leggermente preoccupata. «Il fioraio!» rispose con un tono di esasperazione «Hanno sbagliato composizione per i bouquet, e oltretutto mi hanno dato pure i petali sbagliati. Qualcuno ha chiamato e disdetto l’ordine a mio nome! È un disastro! Non starano bene con gli abiti! Che cassino! Chiunque è stato me la pagherà!» borbottò più esasperata di prima. «Io … li trovo … molto carini» azzardò Amanda. «Non dico che non sono carini, ma non ci staranno bene. Mi toccherà farla da me la composizione!»si lamentò zia Alice. Mi alzai, e mi misi l’asciugamano addosso, prima di uscire fuori dal bagno. «Posso vedere?» chiesi incuriosita. Zia Alice si giro e me li mise in mano. Erano stupendi. Due avorio di rose con quattro rose blu disposte a quadrato ai lati delle rose avorio – destinati alle damigelle –, l’altro era più grande, tutto blu di rose con quattro rose avorio disposte a forma di quadrato ai lati delle rose blu. «Sono stupendi!» esclamai entusiasta. «Non dubito che ti piacciano, ma questo non risolve il problema» sbraitò zia Alice, strappandomeli di mano «vai a risciacquarti, devo farti i capelli» ordinò. Corsi in bagno, mi risciacquai alla svelta, e poi, mi misi la tuta e la maglietta di cotone che avevo portato per la preparazione. Mi raccolsi i capelli in una coda alta, e usci dal bagno. «Tu, tu, tu e tu» disse zia Alice indicando zia Rose, mamma, nonna Esme e Valium «Finite fuori, io penso a Nessie!» ordinò. «Ci penso io a mamma. Dimmi solo come devo farli i capelli e ci penso io!» propose Valium. «Perché mi dovrei fidare?» gli chiese lei sospettosa. «Perché dovrei rovinare le nozze di mamma?» rispose retorica Valium. Lei non rispose, e usci fuori seguita da tutte, tranne Claire, Amanda e Valium. «Caso mai lo miglioro» bisbiglio Valium cosi piano che Claire e Amanda non la sentirono. «Si è dimenticata di mostrarti come devi fargli i capelli» osservò Amanda. «Meglio!» rispose Valium entusiasta. «Ho una buona scusa per fargli i capelli come dico io» si avvicino con il phon, e inizio a destreggiarsi con il phon e la spazzola i miei capelli. «Che intendi fare?» chiesi sospettosa. «Farti più stupenda di una dea!» rispose entusiasta «Chiudi gli occhi, e tienili cosi finche non ti dico io» ordinò. Io segui il suo ordine. Chiamo Amanda e Claire per farmi truccare. Sentivo i complimenti rivolti a Valium tipo «Sarà stupenda» o «Sei un genio, Valium!». Alla fine mi fecero aprire gli occhi. Ero a bocca aperta. Nello specchi c’era un’altra donna. Sbattei più volte le palpebre. »Che ne pensi?» chiese Valium. «Chi è quella?» risposi sarcastica «Perché è stupenda!» continuai entusiasta più di una bambina chiusa in un negozio di caramelle per una notte. I capelli erano a un lato, messi in una acconciatura molto complessa – si sentiva ancora il profumo di lacca –, e il trucco era molto semplice, e stupendo, come me. Mi conosceva bene. «Vanitosa la ragazza!» commentò sarcastica Claire. «Sei meravigliosa!» si complimentò Amanda. Non risposi. Ero più concentrata a guardare i movimenti di Valium. Aveva qualcosa di strano. Appena si accorse che la stavo studiando, corse alla finestra a comunicare che lei aveva finito. Senti immediatamente bussare alla porta. Lei corse ad aprirla. Si scanso per farmi vedere. Tutte restarono a bocca aperta. «È favolosa, vero?» chiese Valium con uno strano entusiasmo nella voce. «Sei straordinaria, Valium!» si complimentò mamma. Fu seguito da un «Vero» di zia Rose e un «Ha ragione» di nonna Esme. «Non è quello che volevo» sibilò zia Alice fra i denti. «Tu non mi hai detto nulla. Ho fantasticato un po’, ed è venuto una capolavoro» rispose Valium indifferente. «Li do ragione. Mi piace tanto. Ora è tutto perfetto, a parte quell’orribile abito» dissi, sputando l’ultima frase. «Quella è la parte più bella!» mormorò zia Alice. «Ora tocca preparare voi. Non abbiamo tempo, solo cinque ore. E concedo un ora a ognuna. Dopo gli abiti. Muovetevi!» ordinò a Valium, Claire e Amanda «Su, aiutatele!» ordinò alle vampire ferme sulla soglia della porta. Mi alzai dalla sedia, e corsi alla finestra. Guardai quella meraviglia di altare, panche piene di fiori, il profumo di lilla, rose, fiori d’arancio – i miei preferiti – e una fragranza che mi sembrava margherita. Era tutto ciò che avevo sempre desiderato. «Che fai? Pensi di scappare?» chiese mamma mettendosi al mio fianco. «No! Sono molto più pronta di te! Neanche un incubo, neanche un po’ di nervosismo. Sono molto calma!» gli risposi con un sorriso. «Lo spero!» mormorò lei. Osservai che non c’era neanche un uomo «Dove sono i vostri compagni e Charlie?» chiesi. «Scusa se hai un futuro marito che sa a mala pena cose uno smoking. E poi Charlie porta le fedi» rispose lei. «Sai, Bella, te la devo ancora far pagare per ieri!» s'intromise Valium. Poi si rivolse urlando a zia Alice «Fammi una treccia!» ordinò. «No! stai meglio senza!» rispose zia Alice nel suo stesso tono di voce. «Trova la più piccola» bisbigliai. Mamma si mise a ridere con zia Rose, nonna Esme, Amanda e Claire. Valium e zia Alice si voltarono a farmi la linguaccia. «Cosa è successo ieri?» chiesi a mamma. «Ho mandato Charlie a casa tua, per far compagnia a Valium» rispose calma. «Cosa?!» sbottai. Mi girai appena in tempo per vedere lo sguardo obliquo di Valium. Quindi decisi di usare un'altra tattica. «Mi avranno devastato casa!» mi lamentai. «Papà a chiamato Lhea. c'era lei con noi» rispose V. interrompendo il battibecco con zia Alice. «So perfettamente perché hai reagito così! Smettila di fare la bambina» sibilò mamma tanto piano che la capì solamente io. Sì allontanò da me, lasciandomi sola. Alla fine vinse Valium. Stava molto bene con la treccia. Invece Amanda e Claire avevano delle acconciature piuttosto ovvie, ma carine. Alla fine mamma e il resto delle figure femminili della mia famiglia -tranne Valium-, si andarono a cambiare. Non ci misero neanche un ora. Ormai erano le tre, e fra un ‘ora sarei stata la signora Black. Senti bussare alla porta. Mamma corse ad aprire. Zia Alice li aveva fatto mettere un abito lungo e marrone, con spalline sottili, e che mostrava le sue forme perfette. Le scarpe non riuscivo a vederle. Dopo pochi minuti vidi arrivare mamma e papà con un cofanetto in mano. «Cos’è?» chiesi piena di curiosità. «Il mio primo cimelio di famiglia. Da tramandare a te e poi, un giorno, a Valium» rispose mamma. «Contaci!» rispose sarcastica Valium. Mamma non li presto attenzione, e apri il cofanetto. All’interno c’erano due fermacapelli d’argento. Sopra i pettini, intricati alle composizione floreali erano incastonati degli zaffiri stupendi. «Mamma, papà … sono stupendi!» mormorai stupita e entusiasta. «Si, lo so. Erano di mia nonna, e i miei me l’hanno regalati il giorno del mio matrimonio» spiegò mamma, infilandomene uno nei capelli. Con la coda dell’occhio vidi papà e Valium scambiarsi sguardi divertiti. Tutt’un tratto, lui scoppio a ridere. «Che succede?» chiese mamma insospettita. «Nulla. Nulla» rispose lui ricomponendosi. Non insistette. «Edward, vai sotto» ordinò zia Alice «Nessie deve cambiarsi!» continuo. «Vorrei vedere l’abito» rispose papà trattenendo una risata. Valium l'imitò. Era strano vederli così. «Okay, resta pure» rispose zia Alice sospettosa. Apri l’armadio, e ne tirò fuori le quattro sacche contenenti i nostri abiti. Aprì la prima, dov’era contenuto il mio vestito. Scoppio a urlare dall’esasperazione. Papà e Valium si misero a ridere più forte. «Cosa è successo?» chiesi preoccupata. Zia Alice non mi ascolto. Si diresse verso Valium «So che si stata tu!» l’accusò. «Indovinato. Non sono perfetti!» rispose Valium con uno strano entusiasmo nella voce. «HAI SABOTATO IL MATRIMONIO CHE AVEVO ORGANIZATO TANTO BENE!» ruggì la voce cristallina di zia Alice. «Tanto bene?! Caso mai l'ho sistemato!» si giustifico Valium «vedi come reagirà vedendo l’abito!» consigliò. Io mi avvicinai, e vidi il contenuto della sacca. Era un abito stupendo, completamente diverso da quello del giorno prima. Era stile impero a maniche lunghe, con una grossa fascia sotto il seno dove era cucita una rosa di raso blu. La gonna era piena dei brillantini con uno strascico lunghissimo. All’interno della sacca c’era pure un velo corto, fino alle spalle, pieno di brillantini. Presi la scatole delle carpe, e l’aprì. All’interno erano posizionate le scarpe più belle che avessi mai visto: Un paio di ballerine di stoffa color avorio con un piccolo tacco. Ora era tutto cosi perfetto. «È perfetto!» mormorai quasi alibita. «Visto! Io ho sempre ragione!» si vantò compiaciuta Valium. «Ti conviene non guardare l’abiti delle damigelle. Non so come potresti reagire!» disse beffarda rivolta a zia Alice. «Pure quelli!» urlò zia Alice disperata. «Dammi un motivo per non ucciderti!» ruggì zia Alice. «Ehm … mmm …» si guardo attorno, poi incrocio il mio sguardo. «Il viso raggiante di Nessie!» rispose con una sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Zia Alice mi guardò. E, alla fine, si calmò. «Va bene. Se lei è felice, lo sono anch’io – in parte –» mormorò infine. Papà usci dandomi un bacio sulla testa. Ci vestimmo in fretta, ed incominciavo ad avere un po’ di agitazione, ma non perché avevo paura – ero più pronta di mamma–, ma perché era tutto a posto giusto: figlia stupenda – a parte il carattere –, marito – fra mezz’ora – super bello e buono, casa stupenda. Tutto ciò che desideravo. Prima di uscire mi vidi allo specchio. Non prestavo la minima attenzione a zia Alice e a Valium che battibeccavano sulle scarpe, sugli abiti e su tutto il resto – tanto sapevo che alla fine avrebbe vinto Valium. Ero troppo concentrata a fissare quell’immagine di perfezione allo specchio. Più bella di una dea aveva detto Valium, che, come al solito, ha portato a termine la sua missione. Anche se ora era più bella di una dea, quello stesso viso era quello che mi fece cadere nella vasca la prima volta che lo vidi, lo stesso che per tre anni pianse ogni notte perché non voleva l'uomo che avrebbe sposato nella sua vita, lo stesso che decise di crescere sua figlia nonostante avesse tutti contro. Poi incrociai lo sguardo color cioccolato tanto familiare. Papà mi aveva sempre detto che i miei occhi erano un pozzo senza fondo, dove annegarci per ore. Come quelli di mia madre quand'era umana. Mi dicevano sempre che in quegli occhi traspariva ogni mio carattere. Erano lo specchio del mio coraggio, della mia dolcezza e della mia intelligenza. Ad un tratto mi ritrovai bambina. Quella dolce bambina che viveva felice con la sua mamma e il suo papà... e il suo migliore amico. Rividi in me una sorta di principessa, a cui non mancava mai nulla, ed era sempre fortunata e felice. Forse una volta ero triste perché non riuscivo a capire la fortuna che avevo ad essere... me, ma ora sapevo quello che volevo, qualcosa che quella bambina nemmeno capiva. Io volevo essere me stessa, sposare Jake e crescere la mia V., anche se fisicamente era già abbastanza adulta. Volevo questa vita... la mia vita. «Pronta?» chiese Valium riportandomi alla realtà. Vidi il suo abito: semplice, un abito senza scollo, e senza brillantini, a parte sulla gonna: piena di tulle e brillantini, che iniziava da sotto il seno, con una fascia uguale alla mia – a parte il colore del tessuto e della rosa che vi era cucita, l’opposto del mio – e finiva sopra il ginocchio. Le scarpe erano veramente divertenti: scarpe da ginnastica blu. Era perfetta. Come tutto il resto. Mi limitai ad annuire, mentre lei mi stava di fianco ad aspettare la sua entrata in scena. Salutai tutti, per prima zia Rose e zio Emmet. Lei mi abbraccio e mi chiese «Per forza mi devi apparentare con quel cane?». «Si!» esclamai con il mio solito sorriso. Si arrese «Okay» mormorò con falso tono rassegnato. «Sei stupenda» e mi riabbraccio. Poi venne il turno di zio Emmet «la mia nipotina super bella» ruggì strittolandomi tra le sue braccia. «Promettimi un ballo» pretese lasciandomi respirare per un attimo. «Certo! che nipote sarei?» risposi sarcastica. Se ne andarono, con zia Rose che mi mandava i baci e zio Emmett che la trascinava. Io la salutai con la mano. «Ricordami che dopo la cerimonia devo uccidere Valium!» disse zia Alice a mamma, con voce colma di collera. Lei annuì. Io abbraccia zia Alice «Grazie per tutto questo. È perfetto!» gli sussurrai in un orecchio. «A parte l’abito» concluse lei speranzosa. «L’abito è perfetto come tutto il resto» risposi in tono di disapprovazione. Si stacco, e mi diede un bacio sulla testa. Zio Jasper mi abbraccio, e mi aiuto a calmarmi. Non disse nulla, segui zia Alice. Poi nonna Esme mi strinse forte, io ricambiai l’abbraccio. Mimò con le labbra un «buona fortuna». Invece, nonno Carlisle mi diede un bacio sulla testa e segui la nonna. Con mamma fu più difficile. Se poteva, si sarebbe prosciugata dalle lacrime. Mi strinse forte e per un minuto abbondante. «Sembra ieri che ti tenevo in grembo, e ora è già il tuo momento. Ma mi fido di voi due, non fate gli stupidi» si raccomando. «Caspita! Non sto andando a morire!» urlai esasperata facendo ridere mamma. «E l’ultima volta che ti posso chiamare signorina Cullen. Renesmee Cullen. È un giorno speciale, futura Nessie Black» spiegò triste. «Mi piace come suona: Nessie Black. Perfetto» commentai con tono da sognatrice. Mi diede un ultimo abbraccio, e se ne andò. Valium mi si parò d’avanti, e mi saluto con un bacio sulla guancia «Addio alla classificazione di bastarda» esultò, e si mise in posizione. Amanda e Claire mi abbracciarono, e si posizionarono davanti a me. Papà mi prese sotto braccio, e mi sussurrò in un orecchio: «Sei sempre in tempo per scappare». «No. Sono o non sono tua figlia. La nostra famiglia non fa altro che lottare per amore. Ho sbaglio?» risposi sarcastica. Mi fissò con ammirazione, e mi lanciò un sorriso sghembo, prima di fissare mamma tra la folla e rispondere: «No, non sbagli» sussurrò. Da sotto venne la marcia nuziale di Wagner suonata da zia Rose. È ora pensai. Mi voltai a guardare papà, e lui annuì. Valium inizio a buttare i petali, e scese il primo gradino, la segui, dopo il terzo, Amanda, con l'abito simile a quello di Valium, ma con la parte di sopra piena di punti luce. E poi, dopo che V. era al sesto, Claire inizio a scendere, nel suo abito totalmente diverso da i primi due: aveva una scollattura a forma di cuore, ricoperta tutta di stras, invece la gonna era uguale agli altri due vestiti, solo più carica di luce. Contai fino a tre. Strinsi forte il braccio di papà, e iniziai a scendere. Mentre scendevamo pensavo a tutti i miei ricordi passati con lui. Con mio padre. Lui sorrideva a ogni ricordo, e cosi ci ritrovammo al piano di sotto senza nemmeno accorgermene. Guardai la navata piena di gente che conoscevo – avevo chiesto d’invitare Senna e Zafrina, ma mamma a detto che non era una buona idea –, ma il mio sguardo era direzionata all’ altare, e alla persona che mi aspettava lì. Resistei all’impulso di correre e abbandonare il braccio di mio padre per saltarli addosso, come quant’ero piccola. Mio padre sorrideva al mio buffo pensiero, ma io non li prestavo attenzione. I miei occhi erano puntati su quella persona. Sul mio migliore amico. La seconda persona che mi ha preso imbraccio dopo la mia nascita. Il mio eterno amore. Il suo sguardo nero, stupendo, mi attirava a lui, come una calamita. Senza accorgermene eravamo già lì. Il pastore Webber inizio la cerimonia. Non avevamo chiesto nulla, solo che quel “finché morte non vi separi” veniva sostituito con un semplice “ per sempre”. La cerimonia durò così poco, che sembrò che parlavamo contemporaneamente. E venne quel momento. «Si. Per sempre» promise Jacob. E mi infilo l’anello. «Si. Per sempre» ripetei io. E feci altrettanto. «E vi dichiaro signore a signora Black» disse il pastore «Può baciare la sposa» continuò. «Ti amo» sussurrai. «Ti amo» rispose. Mi prese per la vita e mi strinse a sé. Fu il bacio più bello che abbia mai ricevuto. Forse per l’emozione , forse perché era tutto perfetto. Dimenticai la folla, il luogo, il tempo, la ragione. Ricordavo solo che mi amava, che mi voleva, che ero sua. Mi stacco con un sorriso, «Lasciane un po’ per stanotte». Sorrisi e accolsi i nostri applausi. Valium corse ad abbracciarci «Addio classifica di bastarda!» mugugno, di nuovo, fra sé. «Quella resta sempre» gli rispose Jacob sorridente. Lei fece una smorfia e si allontano. Poi venne Charlie, che mi sussurrò in un orecchio: «Ma come fate?» chiese quasi un lamento. Io feci spallucce, e lui se ne andò con un sorriso. Prese sotto braccio Valium, e si allontanò. Tutti si succedevano, ma la maggior parte l’incontrai al ricevimento. «Benvenuta nella famiglia, signora Black» mi sussurrò Jacob nell'orecchio, facendomi scoppiare in una fragorosa risata. Eravamo un attimo entrati in casa, prima del ricevimento. «Anche a te, signor Cullen» risposi. Mi fece una smorfia di paura, e io trattenni una risata. «Credo che sia ovvio che ti ami» sussurrai avvicinandomi a lui. «Credo che sia ovvio che contraccambì» rispose lui prima di posare le sue labbra sulle mie. Lasciando l'ennesimo momento di felicità nel mio cuore.

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Capitolo 27
*** Il ricevimento ***


Valium non conosceva la maggior parte dei presenti, e quindi, durante gli auguri, l’obbligammo a stare con noi. Qualcosa di freddo mi abbraccio, ma non poteva essere qualcuno della mia famiglia, mi avevano fatti tutti gli auguri. «Nessie! Sei diventata una bellissima ragazza!» esordì Carmen entusiasta. «Carmen!» esultai, e ricambiai l’abbraccio. «Sono contenta che siete venuti» commentai e mi liberai dall’abbraccio. «Come potevamo mancare al matrimonio della bambina che mi a fatto incontrare la mia Kate» rispose Garrett sorridente. Lui iniziò a far parte del clan Denali poco dopo l'arrivo dei Volturi. E dovrei dire che gli occhi dorati gli stavano proprio bene. «Anche se è con un cane» aggiunse Kate al suo fianco, con un tono acido nella voce. «L’importante è che tu sia felice» concluse Tanya. «Vado a dar fastidio a D.j. Charlie» sbottò Valium, facendo per andarsene. Jacob l’afferrò per un braccio e l’immobilizzò. «Devi conoscere tutta la famiglia» sibilai fra i denti. Sbuffò, ma si fermò. «Lei è la ragazza di cui Carlisle ci ha parlato?» chiese Tanya con tono gentile. «Si, sfortunatamente» mormorai esasperata «Valium, loro fanno parte del clan Denali» dissi a voce più alta. «Tu devi essere Tanya» concluse Valium chiedendo la mano alla vampira bionda rossiccia. «Si. Piacere di conoscerti Valium» rispose Tanya stringendola. «Loro sono: Kate, mia sorella, Garrett, il suo compagno, Carmen e Eleazar, nostri amici, nonché membri del nostro clan, anzi, la nostra famiglia» spiegò Tanya, indicando i membri del suo Clan «Vorrei conoscere l’altro prodigio di cui Carlisle mi ha parlato». «Vieni con me, te lo presento» propose Valium, e prese per mano Tanya mentre la portava da Charlie. Per fortuna dopo il clan Denali ci fu Reneè. Mamma me l’aveva fatta conoscere un giorno, facendola venire a Forks. Non ce la faceva a dirle che non c’era più, quindi, un anno dopo la mia nascita incontrai la mia nonna materna, solo che lei non sa un ben niente dei licantropi. Mamma era ancora un’umana per Reneè, e io la nipotina, orfana, di papà. Sapeva dell’esistenza di Valium e Charlie, solo per telefono. «Sei un incanto, tesoro» urlò entusiasta abbracciandomi. «Grazie, nonna» risposi timida. «Vado a parlare con tua madre. Sono contenta di rivederti. A dopo» mi salutò. Si vedeva che non stava nella pelle a conoscere i suoi nuovi nipoti. Se ne andò. Dopo Reneè, c’era il padre dello sposo. Era trasportato da Rebecca. Lei sapeva tutto di noi, visto che sostituiva Sue nel consiglio, ma non l’interessava. La sorella, divorziata di Jacob era a posto, altro che Rachel. Certamente Rachel c’era, e al suo fianco Paul, che teneva imbraccio il piccolo Bill, mentre P.j. - che ora aveva quattordici anni- con al fianco Bob e Mary -le figlie, sue coetanee, di Kim e Jared. Dietro di loro Sarah e Adrian, i figli sedicenni di Rebecca, che, come la madre, sapevano tutto. A loro fianco c'erano Kelly e Levi, la seconda e il terzo figlio di Sam, mentre S.j. era dietro tutti, a parlare con il padre. «Sono contenta che siete venuti» salutai contenta. «Come potevamo non venire al matrimonio di mio fratello?» chiese, retorica, Rebecca. «Dov’è l’alfa?» azzardò Paul. Jacob l'incenerì con lo sguardo «Scusa. Dov’è Valium?» corresse. «V., vieni qui» gli ordinai. Stava parlando con Tanya e Kate, mentre Charlie, al suo fianco, divincolava i fili della consol. Salutò, e mi raggiunse. chiese disorientata. «Lui è... Billy» mormorai quando mi raggiunse, indicando quest’ultimo. «Ciao. Io sono Valium» rispose lei dandoli la mano. «Piacere di conoscerti, Valium» rispose Billy – stranamente amichevole – accentando la mano. «Ehi, ciao Bill, come te la passi?» fece lei porgendosi verso il bambino di cinque anni, in braccio alla mamma. «Lo conosci?» sibiló fra i denti Jake. «Sai che non sono una santarelina, Jake. Che diavolo vuoi se per noia scappavo di casa!» lo liquidò indifferente, facendo ridere tutti. Pure sul viso di Rachel spuntò un sorriso. «Me lo dai?» fece Valium con fare da cucciolo bastonato. «No, deve dormire» rispose acida e in fretta Rachel. «Ma quante volte al giorno lo fai dormire questo battufolo?!» esordì Valium. «Auguri» esordì Levi, mentre Sarah e Kelly lo prendevano a gomitate e Andrian rideva sotto i baffi. Al primo acchito pensai si riferisse a me e a Jake, poi vidi che il suo sguardo era puntato su Valium. «Oh, scusa V., me n'ero dimenticata» sussurrai imbarazzata «Era quello che voleva» cantilenò Charlie che venne al mio fianco. Fu un attimo, e tutte le ragazze impallidirono e sgranarono gli occhi diffronte a lui. «Mi aiuti con la consol?» sussurro a V. «Certo» rispose e fece per andarsene. «Devi sapere perché ti stiamo presentando queste persone» sussurrai fermandola da un braccio. «Perché?» chiese incuriosita. «Vedi, Billy è ... tuo... nonno» sussurro Jake. Lei per un attimo sgrannò gli occhi, poi si girò a fissare Billy e poi Rachel e Rebbecca. «Ecco a chi assomigliavi! sbottò Valium indicando Rachel. «Scommetto che sei mia zia!» continuò. «Scommessa vinta!» rispose Paul. «Quindi io sono imparentata a Paul?!» chiese con finto terrore, facendo ridere a tutti. «Sai, e un onore essere imparentata a me, nipotina» rispose Paul «Non ti vantare!» lo rimproverò scherzosa lei. «Ciao. Io sono Rebecca . tua zia» si presento quest’ultima «Loro sono Adrian e Sarah Jan» disse indicando i ragazzi dietro di lei. Uno avevo i capelli neri e la pelle rosea e gli occhi verdi. L’altra era bionda, con gli occhi verdi e la pelle bronzea. Erano due bellissimi ragazzi. «Piacere di conoscervi. Mam … Nessie non mi ha parlato per niente di voi> gli disse scherzando. In pubblico era mia sorella. «Io sono P.j., piacere!» disse indifferente quest'ultimo, giocando con il suo telefono, mentre Bob e Mary -al suo fianco- fissavano il suo telefono. Paul gli tirò uno schiaffo in testa. «P.j., sta un pò attendo» lo rimproverò. P.j. alzò lo sguardo, e mi guardo sorridente. «Zia Nessie, che bello vederti!» urlò entusiasta. «Pure per me P.j. Ma quando sei dolce!» commentai. «Più che altro arrapato» mormorò Valium a voce così bassa che solo io, Jake e Charlie lo perceppimmo. Charlie si mise a ridere fragorosamente, mentre Jacob soffocò una risata. «Valium!» la ripresi. «Commento sarcastico, non farci caso, Ness» mormorò indifferente. «Scusa, ma che scarpe hai?» chiese Kelly rivolta a Valium. Rideva e ciarlava con Sarah. «Se ti danno fastidio non guardarle!» rispose Valium con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Nonno Charlie spuntò da dietro la sedia a Rebbecca. «Billy!» esultò abbracciandolo. «Pensavo che non venissi» mormorò. «Come potevi credere che io non venissi al matrimonio di mio figlio?!» chiese retorico Billy, interrompendo l'abbraccio. «Che ne dici se, dopo aver fatto gli auguri a Nessie, ci scolliamo insieme una bottiglia di champagne? Come hai vecchi tempi!» propose il nonno ridendo. «Mamma e zia Alice non ti faranno avvicinare per nulla al mondo allo champagne» gli ricordai io. «Secondo te io mi faccio fermare da tua madre?!» chiese sarcastico avvicinandosi e stringendomi in un goffo abbraccio, prima di darmi un bacio sulla guancia. «Sei bellissima, principessa» disse lasciandomi. «Guida in stato di ebbrezza, nonno Charlie?» lo prese in giro Valium. «Tu, tagliarti la lingua mai, eh?» rispose nonno Charlie. «È il mio sogno inespresso» commentò Charlie sarcastico. «Andiamo Billy, se no rischio di ucciderli» disse spingendo la sedia a rotelle di Billy. «Auguri» sussurrò spingendo la sedia a rotelle verso il buffet. Il resto della sua famiglia lo seguì a ruota. Salutai tutti quelli del branco. Ringraziai tutti i presenti. Non mi mancava nulla. Jacob e io tagliammo la torta, e ci imboccammo a vicenda. Io lanciai il bouquet, che prese Valium. «Fortuna del principiante» aveva detto. Poi, Jacob mi caccio la giarrettiera con i denti, mentre tutti i presenti del branco, Charlie e gli zii, ringhiavano e si sganasciavano dal divertimento. Questa fini a Charlie. Mi ripetevo che era un caso. Valium e Charlie, prossimi sposi? Era assurdo. Ma, alla fine non ci pensai più. Venne il turno dei brindisi. Inizio il testimone. «Jacob e Nessie, vi auguro una eterna felicità. Sia di giorno che di notte» aveva augurato Quil con una punta di malizia nella voce. «Viva gli sposi» aveva cominciato Claire «Io ho conosciuto Nessie quando eravamo molto piccole. Io ora sono felice per lei. Perché lei è felice. Un brindisi agli sposi, e alla loro felicità» concluse. Quasi mi fece commuovere. «Io sono felice, se Nessie lo è. Odio suo marito, ma non m’importa del mio parere. Lei lo conosce meglio. Un brindisi alla sposa. Alla più bella dopo tua madre. Sono contenta di quello che sei diventata» disse papà. Poi venne il turno di mamma. «Quando mi sono sposata, anzi, quando ho conosciuto Edward li ho dato il mio cuore. Quando Ness è entrata nella nostre vite, se ne preso metà , o forse anche di più. L’altra volta Jacob mi disse che sarò la migliore suocera del mondo. Non esserne sicuro. Se spezzi il cuore a Nessie, io te lo spezzo – letteralmente – a te. È difficile. Ho sempre desiderato che Jacob facesse parte della mia famiglia. E ora, ecco. Ma come a detto Edward: se Nessie è felice, io sono felice. Un brindisi agli sposi. Vi auguro la più eterna felicità». Mi sembrò che volesse piangere. Mimai un «Grazie» con le labbra. Poi salì Rebecca. «Mamma oggi non è potuta essere con noi. Jacob aveva nove anni quando è successo. Io e mia sorella abbiamo provato a scappare dal passato, ma non si può. Nessie e la persona più giusta per Jacob, è colta, saggia, bella, come nostra madre. Io oggi parlo al nome suo. Lei diceva sempre: “non badate mai a quello che la gente dice. Se volete essere felici, siatelo. Vivete la vostra vita per amore, non per soldi e fortuna. Amate”. Lei ora sarebbe felice di vedere il suo anello al dito di Nessie. lei la troverebbe perfetta. Un brindisi alla mia nuova sorella. L’anello ti sta da dio» mi misi a piangere. Jacob mi strinse forte, e mi bacio la fronte. Mi tirai su per il prossimo discorso. Jacob si alzò, e mi si diresse al leggio. «Quello che provo per te...» si bloccò di colpo e fissò Valium. «Sul serio? E troppo sdolcinato, V.» si lamentò con Valium. «Improvvisa!» urlò Valium seduta vicino a Lhea. «Okay, devo ammetterlo: ho chiesto a Valium se mi preparava il discorso. Perché? Perché fino a qualche ora fa, quando ho visto i suoi occhi... fin a ora, che ti ho davanti, e ti guardo negli occhi, non riuscivo a descrivere il modo in cui ti amo. E quando V. mi ha chiesto "cosa provi per lei" io gli ho risposto: "qualcosa di indescrivibile". Perché io ti amo in un modo che nemmeno capisco. Riesci a sorridere nei periodi più brutti, e riesci a tirarmi su ogni volta che ne ho bisogno. Non dirò che sei la mia migliore amica o che sei mia sorella, perché, amore, sei qualcosa di più. Se c'è qualcosa di perfetto in questo mondo, quella cosa sei tu. Lo sei per me. Un brindisi alla mia stupenda sposa. Che ogni giorno, tu, possa avere il sorriso che hai in questo momento». Le lacrime che mi rigavano il volto, sembravano nulla rispetto al fiume in piena che mi sentivo negli occhi. «Ora vorrei chiamare a leggere il suo discorso, Valium. Perché, sinceramente, ha il diritto di essere ascoltato» esordì Jacob. Valium face "no" con il capo e diede vita a un coro in suo nome. Rossa di vergogna, Valium si alzò di malavoglia, e quando raggiunse il Leggio, dove ad attenderla c'era Jacob, gli diede uno spintone giocoso, mentre un sorriso gli spuntò sul viso. «Okay, partiamo dal fatto che questo discorso lo scritto questa mattina, mezza addormentata» cominciò Valium, dopo che Jacob si fosse seduto al mio fianco, e dopo che gli diedi un lungo bacio per ringraziarlo del discorso. «Quando Jacob mi ha chiesto di aiutarlo a scrivere questo maledetto discorso, io pensavo che avrebbe collaborato, ma l'unica collaborazione che ha dato e "quello che provo per lei è indescrivibile". Non è molto utile. Quindi ho dovuto improvvisare. Non lo dedicato a nessuno in particolare, e quindi e stato difficile, visto che sono sigle -e mi vanto di esserlo. O solo pensato agli sguardi che si scambiano ogni giorno le persone intorno a me. Amore, se vogliamo farla breve. Basta con l'introduzione, che sono già abbastanza agitata. "Quello che provo per te è indescrivibile, ma nonostante tutto lo provo. Vinco le mie paure e sto al tuo fianco, e per una manciata di minuti, sembra che tutto sparisca. E ciò mi succede solamente in tua presenza."» si bloccò di colpo e guardò il pubblico. «Scusate se cambio i conotati, perché qui gli o scritti al maschile. Chiusa parentesi, continuamo: "Mi fai sentire viva, e rendi ogni giorno straordinario. Riesci a farmi ridere, e ha sollevarmi quando ne ho bisogno. Riesci a rendere ogni giorno speciale. Se chi trova un'amico trova un tesoro, se io ho trovato te, che cosa ho trovato? Non riesco a rispondere a questa domanda, perché non esiste risposta, se non una: Ti Amo» alzò lo sguardo e, per un attimo, mi sembrò che il suo e quello di Charlie s'incrocciaserò. In quello sguardo tutto sembrava urlare "Amore". Basta Nessie! pensai. L'attenzione di Valium tornò su di me. «Un brindisi alla sposa. Vi auguro di amarvi per sempre» disse alzando il calice colmo di succo d'arancia, mentre intorno a me il tintinare di bicchieri mi riempì le orecchie. Dopo i brindisi, ci dirigemmo sulla pista da ballo. «Per prima cosa, sgombrate la pista, perché c'è il primo ballo degli sposi!» annunciò Charlie al microfono della consol. Jacob mi prese per mano, e iniziammo a roteare in pista, mentre la gente ci guardava stupita dalla nostra bravura. La canzone finì, e noi ci baciammo. «Ehi, pincioncini, basta sbaciuchiarvi in pista» s'intromise Valium al microfono. «Iniziamo a scattenarci!» urlò Charlie. La musica partì molto più forte di prima, e quasi tutti circondarono la pista, mentre si scattenavano. Io e Jacob stavamo per tornare al posto -eravamo seduti con mamma e papà al mio fianco, e Billy e Rebbecca al fianco di Jacob-, dove papà stava cercando di convincere mamma a ballare - sapeva ballare, solo che era timida quando si trattava di farlo-, quando Claire ci spuntò davanti. «Mi concedi un ballo con la sposa?» cinguettò afferrandomi la mano e trascinandomi in pista. «Scattenati Ness» urlò per sovrastare la musica. Mi prese una mano, mentre con l'altra teneva una birra, e iniziò a saltare sulla pista. Io -ancora frastornata- la fissai incredula. «Dai, muoviti Ness!» urlò al microfono V. «A ragione!» urlò Claire euforica. Fissai Valium, che si scatenava al fianco di Charlie, dietro la consol. Poi guardai Claire, al mio fianco, che faceva altrettanto. Quindi decisi di lasciarmi andare per un pò. Fin a quando Claire non finì la birra, e mi trascinò in bagno, con la scusa che si doveva rifare il trucco. «Tu...sei...proprio...pazza» ansimai. «No, sono solo brilla!» rispose ridendo. Prese il rosetto, e se lo mise. «Certo che in questi nove anni sei cambiata tanto» commentai pensierosa. «Che ti aspettavi, che restassi un'eterna quattordicenne? Come te?» chiese con un tono di acidità nella voce. La squadrai per bene, dai tacchi a spillo di stoffa blu, senza punta e una rosa di brillanti in cima, ai capelli, sciolti e ricci. «Certo che sei fatta proprio carina» dissi sorridente. «Quil dice sempre che sono sexy» rispose ridendo. Poi s'incupì di colpo. «Che c'è? Problemi con Quil?» chiesi incuriosita. Come tutta il nostro discorso, non mi prestò attenzione. Fissava lo specchio, mentre si truccava. «Non ti va di parlare... con me?» chiesi riluttante. «Dopo quasi dieci anni, mi sembra un'eufemismo parlare con te di Quil» confessò mentre si.metteva il mascara. «Ti servo solo per ballare?» chiesi retorica. Si voltò, e mi fissò negli occhi. «Ci sto provando, okay. Mi è così difficile perdonarti. Tu non sai cosa e successo in questi nove anni» disse con qualcosa di strano nella voce. «Dimmi, sono qui per questo» risposi seria. «I miei mi hanno cacciata di casa a sedici anni!» confessò seria. Restai basita per qualche secondo. Non tanto per la notizia, ma per il modo isplicitò in cui la detto. «P...perché?!» balbettai. Si voltò, e continuò a mettersi il mascara. «Perché? Io e Quil aspettavamo un bambino!» rispose indifferente. Un'altro shok. «Sei diventata mamma?!» urlai stupita. «No. Il fato a voluto -quando ero incinta di solo cinque mesi- far sbattere la mia auto contro un albero, e farmi perdere il bambino» rispose nello stesso tono di voce di prima. «Mi dispiace» sussurrai. «Vivo con Quil dal giorno in cui i miei mi hanno ripudiato da tutto». Si voltò a fissarmi negli occhi. «Io per loro sono morta. Non mi stupirei se, andando al cimitero della riserva, troverei una lapide al mio nome» mormorò guardandomi negli occhi. «Tu non sai quando mi dispiace» mormorai. «È troppo tardi» disse. «Sai cos'è stata la cosa più terribile di tutto: che alla riserva la notizia si diffuse in fretta. Tu non sai com'é stato orrendo essere la principale causa dei bisbigli. Quando passavo nei corridoi della mia scuola, tutti mi additavano. Non ho avuto un futuro per questo, lo capisci?! Non puntavo in alto, solo una borsa di studio per la Emory o Anchorage. Non puntavo in alto, ma il preside della scuola mi ha sbattuto fuori dalla scuola, perché "non ero un buon esempio per le studentesse". Ma per iscrivermi alla Forks High School ci volevano i genitori, cosa che io non avevo. Cosa dovevo fare?! Disperarmi?! Piangermi addosso?!» era retorica, ma io risposi lo stesso. «Venivi da me!» mormorai. «Rovinando la quete familiare della famiglia perfetta? No, non potevo. Sono andata avanti, senza guardarmi indietro. Se non vi fosse stata Quil, forse sarei morta» il tono in cui parlava mi sorprese. «E le tue amiche della riserva?» chiesi timida. Mi lanciò uno sguardo strano, prima di buttare il mascara nella pochette e prendere la matita. «O sparivano o veniva proibito loro di parlare con la sottoscritta. Mi sono ritrovata sola» concluse la frase lasciando trasparire un pò di tristezza. «Mi dispiace» sussurrai dopo un attimo di esitazione. «Ormai e troppo tardi. Non dispiace neanche a me» rispose freddamente. «Sai, Quil non mi tocca in quel senso dal giorno dell'incidente. Il problema era che l'avevamo fatto solo una volta» quasi rise. «Perché io non ne ho saputo niente?» sussurrai sovrapensiero. «Perché ho fatto promettere al branco che non l'avrebbero detto a Jake, così tu non lo venivi a sapere» spiegò. «Potevi venire quando volevi!» sussurrai guardandola negli occhi attraverso lo specchio. «Se sarei venuta, vedendoti, avrei sofferto» confessò. «Perché?» chiesi. «Avevi quello che io non avevo» mormorò buttando la matita in borsa. Mi prese la mano. «Ritorniamo alla festa?» mi chiese sorridento. Cercò di tirarmi verso la porta del bagno, ma io la tirai a me, abbracciandola. «Mi dispiace! Non sapevo che avessi sofferto così tanto! Davvero mi spiace!» scoppiai a piangere sulla sua spalla, mentre Claire mi stringeva, e cercava di consolarmi. «Basta piangere Nessie, ti sbava tutto il trucco!» sussurrò facendomi sorridere. «Sembri più grande di me» singhiozzai. «Io sono più grande di te!» rispose sciogliendo l'abbraccio. «Dai, su, andiamo!» disse entusiasta. Mi trascinò alla festa, dove la musica spaccava i timpani. Si diresse al buffet, e prese un calice di champagne, che bevette in un sorso, facendomi ridere. Stavamo per tornare in pista, quando Jacob si ci parò davanti. «Mi dispiace Claire, ma te lo concessa per troppo» disse tirandomi a lui. «Vado a cercare Quil» annunciò Claire, dandomi un bacio sulla guancia e scomparendo tra la folla. «Jacob, mi spiace interromperti, ma ora tocca al papà ballare con la sposa» annunciò Charlie al microfono. Uscì da dietro la consol, e si diresse verso mamma che era stretta a papà. «Permette?» chiese a papà. «Certo» rispose papà dandogli la mano di mamma. Superò a grandi falcate lo spazio fra noi, mi prese dalle braccia di Jacob, e mi strinse mentre partiva un'altra canzone. Mi fece salire su i suoi piedi, e iniziammo a roteare su tutta la pista. Con la coda dell'occhio notai Valium ballare con nonno Charlie, mentre mamma rideva fra le braccia di Charlie. Erano vicini, e -sicuramente- Valium stava facendo commenti sarcastici sul modo di ballare di nonno. Invece Jacob ballava con Rebbecca, molto vicino a me e a papà. Non passò molto che.mi ritrovai di nuovo fra le sue braccia. Poco dopo, mentre ballavamo, vennimmo interrotti da zia Alice. «Dobbiamo andare, se non vuoi che chiami i rinforzi» annunciò con la sua voce cristallina. «Ti seguo dopo un ultimo bacio» gli promisi allungandomi verso Jake. «No, vai» sussurrò Jacob, e mi spinse verso la grande casa. Prima di entrare, notai Charlie e Valium attaccare delle lattine vuote e un cartellone con scritto “oggi sposi” all’auto. «Che fanno?» chiesi a zia Alice. «Gli ho detto di attaccarci le scarpe, ma no, le lattine erano più belle»si lamentò zia Alice. «Fa niente» mi scusai subito. «Giuro che ti lascio senza figlia» promise con rabbia. «Come se ci potessi riuscire» mormorò Valium alle miei spalle «Zia Rose è sopra?» chiese. «Si» rispose nervosa zia Alice. Corse sopra seguita da Charlie. Scesero subito seguiti da zia Rose. Intanto io ero in camera di zia Alice, con solo mamma. Mi misi il mio adorato abito, e – costretta – misi i tacchi neri che aveva scelto zia Alice. Mamma mi sciolse l’acconciatura e mii spazzolò i capelli. Un bella sensazione, che mi riportò all'infazia, quando lo faceva zia Rose. Quando fui finalmente pronta, non mi voleva lasciare più. Scesi le scale con lei che mi teneva per la vita. Papà si trovava vicino al primo scalino. Mi abbraccio forte, e mi baciò sulla testa. «Addio Renesmee Cullen» sussurrò tra i miei capelli, mentre mamma mi stringeva la mano. «Oh, ma per favore! Sarò sempre una Cullen!» risposi cercando di trattenere le lacrime. Jacob mi aspettava sulla soglia della porta a vetro, e mi tendeva la mano. Io l’afferrai appena mamma e papà mi lasciarono. «Ti amo» mi sussurrò in un orecchio. «Ti amo» risposi. Appena uscimmo vennero i bombardamenti di riso. Valium li tirava precisi per prenderci in testa, Charlie l’aiutava. Prima che raggiungemmo l’auto, Valium, Charlie e zia Rose si postarono d’avanti a noi. «Questo e per te» disse Valium porgedomi una scatola rivestita di carta argentata. «Noi abbiamo avuto l'idea e zia Rose ci ha messo i soldi» spiegò Charlie. «La maggior parte del lavoro l'hanno fatto loro» disse zia Rose. «La maggior parte del lavoro l'hanno fatto Charlie» si affrettò a dire Valium. «Modestamente» si vantò Charlie. «Cos'è?» chiesi incuriosita. «Lo scoprirai in auto» rispose V. Li abbracciai veloce e m’infilai in auto. Tutti ci salutarono quando passammo con l’auto. Mamma e zia Rose mi mandavano baci, mentre Valium gridava «Non tornate mai più». «Contaci» gli mimai con le labbra. Appena superata la grande casa bianca, aprì il regalo. C'era un biglietto: "Dialoghi scritti da Valium, disegni fatti da Charlie. Vi auguriamo di essere felici per sempre". Sul fumetto c'era scritto "la stramba vita di Renesmee Carlie Cullen". Lo sfogliai e mi sembrò di leggere la mia vita in quelle piccole vignette. Arrivai a l'ultima pagina, in cui c'ero io, all'altare, con Jacob. Leggetti l'ultima frase: "Per quando può essere eterna l'eternità, il vostro amore andrà oltre" e poi la firma di una grande "V" a coronare il tutto. Sentivo le lacrime riempirmi gli occhi, mentre capivo il significato di quella frase.

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Capitolo 28
*** Luna di miele ***


Non avevo detto a Jacob la meta del viaggio. Sapeva che dovevamo andare in un posto.
Segui il buon’esempio di mio padre.
Non andammo a isola Esme – anche se fosse stato un posto da sogno.
Accettammo il regalo di zia Rose e zio Emm. Un’isola tutta per noi. Si trovava alle Bahamas. Il mio amore eterno era un tantino impaziente.
«Mi dici dove andiamo» pretese in continuazione. «In un posto» rispondevo automaticamente.
In aeroporto non mi lasciava un attimo.
«Come faccio a sapere se mi porti in qualche posto, per morire lì?» chiese sarcastico.
«Non lo sai» risposi a mia volta sarcastica. «Devi essere paziente!» lo pregai.
«Come faccio ad essere paziente se ho aspettato nove anni prima di essere tuo marito!» sibilò tra i denti.
«E questo che centra?» chiese incuriosita.
Si avvicinò al mio orecchio e rispose con fare malizioso: «fare sesso con te ora sarà diverso da prima».
«Perché?» chiesi divertita.
«Perché ora sei mia moglie» rispose ridendo. Lo guardai sbalordita.
«Un solo giorno. Per favore» lo pregai.
«Ti odio ma allo stesso tempo ti amo. È strano» commentò sarcastica.
«Anch’io ti amo» risposi sarcastica. Mi diede un bacio, e mi strinse forte.
In aero mi addormentai sul suo petto bollente.
Ci svegliammo entrambi in piena notte.
«Il fuso orario» mi lamentai.
«Fa molto caldo» mormorò Jacob.
«Notato?» lo presi in giro.
«Dove siamo?» insistette leggermente nervoso.
«Lo vuoi veramente sapere?» chiesi. Lui annui.
«All’inferno» risposi scherzosa. Inizio a farmi il solletico, io ridevo cosi tanto ch’è dovuta venire la hostess per metterci a tacere con un «Shhh». Lui mi lascio immediatamente.
«Scusi» sussurrai. Lui si mise a ridere – molto piano – al mio fianco. «Ti odio anch’io» continuai rivolta a lui.
Presi il fumetto di Charlie e Valium, e iniziai a leggerlo. La storia era quella di una ragazza che s'innamora di un vampiro, e dopo una terribile gravidanza, diede alla luce una bambina dai capelli color del bronzo e dagli occhi al cioccolato, di cui, il migliore amico della madre -cioè un licantropo/mutaforma-, aveva avuto l'imprintigh con lei. E poi una vita: dal giorno della mia nascita, al mio primo natale, all'arrivo dei Volturi, alle giornate passate con Jacob. Parlava della mia crescita accelerata, dalla mia paura a diventare adulta, di quello che provavo per Jacob... Un attimo, era descritto troppo bene!
Valium aveva scritto i dialoghi e i commenti in quel fumetto. Ma che cavolo, sembrava che lei sapeva perfettamente di che parlava.
Valium... Valium e Charlie. Ormai erano una coppia.
Se si pensava a una si pensava pure all'altro.
«A che pensi?» chiese Jacob al mio fianco.
«Come ho fatto ad essere così ceca?!» sussurrai ignorandolo. Notai con la coda dell'occhio che abbassò lo sguardo sul fumetto e sospiro piano.
«Sapevi che prima o poi sarebbe successo!» mormorò con tono di rimprovero.
Presi immediatamente il telefono, e composi il numero di Valium.
«Che stai facendo?!» chiese Jake strappandomi il telefono dalle mani.
«Voglio sapere da quando tempo va avanti!» risposi cercando di riprendermi il telefono.
«Valium sa badare a se stessa!» sibilò fra i denti.
«Ha nove anni! Non si sa badare a se stessi a quell'età! Parlo per esperienza personale!» mormorai con voce colma di rabbia, rivendicando ricordi dolorosi.
«Be', lei non è te» rispose Jake, mettendomi a tacere. Ripresi il fumetto, e ricominciai a leggerlo.
Poco dopo mi addormentai.
Mi risvegliai quand'era già mattina. comandante comunico l’atterraggio, e quindi l’hostess passo per i sedili, a raccomandarsi che tutti avevano messo le cinture.
Mi stava antipatica. Faceva gli occhi dolci al mio Jacob. A mio marito!
«Desiderate qualcosa?» chiese quando passo per il nostro sedile.
«No. Io e mio marito non desideriamo nulla, grazie» risposi acida. Lei mi guardò sorpresa, e andandosene bisbigliò «Arpia» pensando che io non la sentissi. Mi accorsi dello sguardo divertito di Jacob, solo quando la vidi entrare nello stanzino con le altre hostess. «Fa la gelosa» mi prese in giro.
«Mi ha chiamato arpia. Ma io sono adulta. Niente vendetta» mi vantai. «Pensi che sia idiota?» chiesi rassegnata.
«Molto» rispose divertito. «La mia idiota, che amo e proteggerò, per sempre» continuò.
«Per l’eternità» lo corressi divertita. Mi baciò. Io ricambiai in pieno il bacio.
L’aereo attero a cuba.
Appena preso il taxi, iniziai a parlare un perfetto spagnolo, sotto gli occhi sbalorditi di Jacob.
«Ci porti al porto di Marial» gli chiesi.
«Certo, signorina» rispose il taxista.
«Signora» lo corressi. Lui sorrise.
«Ora parli anche lo spagnolo?» mormorò Jacob.
«Scusa se il giorno non ho niente da fare» risposi indifferente.
«Da domani avremmo molto da fare» mormorò lui con fare malizioso e baciandomi il collo.
«Iniziamo male. Giuro che, pur di visitare il posto, ti butto dal letto, e ti trascino fuori di casa» promisi arrabbiata.
«Ti credo» rispose lasciandomi il collo.
Il taxista ci lasciò al porto. Io camminavo tranquilla, mentre lui portava le valigie.
«Spero che non soffri di mal di mare» dissi indicando il nostro motoscafo.
«No, ma non lo so guidare» rispose repentino.
«Signor Black, metta le valigie sulla barca, e mi aiuti a salire. Al resto penso io». Jacob mi guardò stupito. «Ho molte qualità. Se non vuoi aspettare …» indicai la barca. Lui andò a posare le valigie all’interno della barca per poi mi aiutarmi a salire.
«Quando ci vuole?» chiese. Sul volto un’espressione di totale impaziente.
«Tre ora. Ma andrò ha massima velocità, quindi una» risposi.
«Perché non fermi la barca in mezzo al mare, e, be’, il resto lo sai. Che ne dici?» chiese, con quel fare da seduttore professionista che io tanto odiavo.
«Che ne dici se ti lasciassi qui, e partissi da sola?» chiesi sarcastica. Per mezz’ora rimase zitto. Poi parlai io «Quella e la nostra isoletta» dissi indicando un puntino che si faceva sempre più grande e vicino.
«La nostra isoletta?» chiese scettico.
«Zia Rose non ci ha regalato solo il fumetto. E da parte sua e di zio Emmet» risposi.
«La bionda psicopatica che mi fa un regalo del genere?!» chiese sarcastico.
«Non l’ha fatto a te, l’ha fatto a noi. A te ti avrebbe regalato un collare o una ciotola per cani. Ma visto che la sposa sono io ci ha regalato una bella isola» risposi calma.
Giunti a destinazione, scesi con un balzo dal motoscafo – certamente mi cacciai i tacchi – e chiesi l’attenzione di Jacob. «Allora?» chiesi.
«Allora, cosa?» chiese confuso.
«Lo sai che se non porti la sposa imbraccio sulla soglia di casa diventiamo sfortunati?» chiesi sarcastica. Lasciò le valigie nella barca, e corse ad afferrarmi. Mi strinsi a lui, chiusi gli occhi e ascoltai il suo cuore, lui mi bacio sulla testa. Mi sorprese sentire la superficie dove mi appoggiò. Era morbida, ma allo stesso tempo bruciava. Lo senti allontanare, e apri gli occhi. Ero in camera da letto, sul grande letto e baldacchino. Credeva che stessi dormendo? Bene, una motivazione per fargli uno scherzo.
Mi finsi addormentata, con tanto di sorriso per far vedere che sognavo. Mamma a sempre detto che ero molto brava a recitare, molto più di lei.
Lo senti arrivare, posare le valigie, chiudere la porta e venire da me. senti il suo sguardo addosso, e poi lo senti mormorare «Si è addormentata. Si vede che era stremate». Senti i suoi passi venirmi vicino. Prese con attenzione la coperta, e mi copri – come se non stessi già morendo di caldo. Mi bacio, un’altra volta, sulla testa. Lo presi dal braccio e lo tirai dall’altra parte. «Ti ho desiderato troppo per addormentarmi» spigai maliziosamente. Lo baciai. «Sto aspettando questo momento da troppo tempo» rispose.
E ci preparammo alla seconda notte più bella della nostra vita.



Spazio all'autrice:
Ciao a tutti, e la prima vola che interagisco con i lettori, ma per ovvi motivi, prima non ho potuto. Avviso subito che a breve, darò una revisione a tutti i capitoli, sperando che questi avranno più recensioni! Mi dispiace che la storia non sia piaciuta a molti -Anche se una o due persone mi hanno detto che era legato al fatto che era tutto appiccato- ma nonostante tutto, io continuerò la storia di Valium, e spero che in futuro diventerà al livello di altre storie stupende che ho letto su questo sito. Mi dispiace aver scoperto alla fine della prima storia il metodo che mi ha fatto scrivere con gli invii ecc. Recensite, per favore, perché non ne posso più di avere così poche recensioni. Non mi sto vantando della mia storia, e solo che vorrei avere altri pareri, anche critiche, per migliorarla, e renderla al livello di altre storie, molto più belle della mia.
Quindi recensite. XDXDXD
Un bacio, V.

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Capitolo 29
*** L'ultimo ballo -Epilogo ***


POV Valium
Mamma era oltre che raggiante. Era stupenda. Quel giorno era una specie di debutto in società per me e per Charlie. Feci amicizia con la famiglia Denali e con i miei cugini. Ho conosciuto la nonna di Charlie, Reneè, che ho trovato molto simpatica.

«Comunque, sei una pazza!» disse Seth divertito.
Avevamo lasciato la festa, solo il tempo di stare con i miei migliori amici.
Lhea, al mio fianco, era vestita con un abito a palloncino viola, pieno di fiori rossi e blu, e aveva dei tacchi neri a incoronare il tutto.
«Sai che il viola porta sfiga?» la presi in giro.
«Si, ho conosciuto te» rispose repentina facendo ridere tutti.
«Ne hai portato anche a me, Lee-lee» commentò Charlie.
«Dai, però! Era perfida!» mi lamentai divertita. Seth mi abbracciò da dietro, e io gli tirai una gomitata nello stomaco.
«Zero di questi giorni, V.» mi dannò, mentre si piegava in due per il dolore.
«Ne avrò miliardi di questi giorni!» risposi facendoli la liguaccia.
Charlie e Lhea risero, mentre io porgevo una mano a Seth. Lui l'afferrò, e si tirò su.
«Scusa, V. Non ti abbiamo nemmeno fatto un regalo. Me l'ero proprio dimenticato!» si scusò Lhea.
«Lee-lee, sai quando me ne può fregare di uno stupido regalo?» chiesi retorica.
«Sei la mia migliore amica, e io... be', te lo dovevo!» balbettò.
«Tu non mi devi niente! Oggi io avevo già deciso di non festeggiare, per via del matrimonio! Non preoccuparti, Lee-lee» risposi repentina. Non mi andava di discutere con Lhea di una cosa così inutile. E poi ero certa che il giorno dopo, zia Alice, avrebbe organizzato una festa in mio onore! Quindi ne avrei avuto mille di regali!
«... sta antipatica» sentì in lontananza la voce di quella Kelly, la figlia di Sam. Qualcosa mi disse che si riferiva a me. Quindi decisi di avvicinarmi.
Presi Lhea sottobraccio, e la trascinai dove si trovavano loro. Erano in una piccola radura, appoggiati ad degli alberi, e fumavano dalle sigaretta. D'accordo, Kelly, Levi, Andrian e Sarah Jan, erano adulti rispetto a quell'arrapato di P.j. e i suoi amichetti che avevano massimo tredici anni e la sigaretta in bocca.
«Ti sta antipatica più di Margaret?» la prese in giro il fratello.
«Molto più di Margaret» rispose lei ridendo.
. «Hai finito? Sai che se ci scopre tua madre siamo nei guai?!» chiese Sarah Jan a P.j.
«Tu sei nei guai, io non centro nulla! E se poi mamma viene a sapere che fumi! Ti conviene scappare!» rispose Adrian.
«Non ho capito perché a te mamma non dice niente!» si lamentò Sarah.
Il resto della mia compagnia non si era accorta di loro. Erano più lontani da noi, dietro l'albero dov'ero poggiata.
Non prestavo attenzione a cosa dicevano diffronte a me, perché, d'altronde, dicevano cazzate.
«Perché tu sei una donna, e sai come la pensa mamma» rispose Adrian.
«E una cosa maschilista!» intervenni io appoggiantomi dal altro lato dell'albero, così che mi potessero vedere.
«Da quando tempo ci stai ascoltando?» chiese Kelly acida.
«Da abbastanza tempo per capire che ti sto sul cazzo» risposi acida.
«Oh, bene! Così non dovrò ripetermi» rispose lei.
«Sembra che tu abbia bevuto acido!» commentai sarcastica facendo ridere tutti.
«Quindi oggi e il tuo compleanno?» chiese Adrian rivolgendomi per la prima volta la parola.
«Si!» risposi sorridente. Lui.e Levi restarono un pò abbagliati, poi lui parlò: «Quanti anni fai?» chiese timidamente.
Lanciai uno sguardo a Charlie e a Lhea, dietro di me, che sorriserò. «Non ha importanza» risposi ridendo sotto i baffi. «Voi, quando anni avete?» chiesi per cambiare discorso.
«Io e mia sorella ne abbiamo sedici, Levi ne ha diciassette e Kelly ne ha diciotto!» rispose Adrian cordialmente.
«Quindi andrai a l'università l'anno prossimo?» chiesi rivolta a Kelly.
«No, visto che, per colpa che anno chiuso la scuola alla riserva per mancanza di alunni, o dovuto ricominciare tutto da capo in seconda superiore alla scuola superiore di Forks, e ora devo affrontare, finalmente, l'ultimo quarto anno!» spiegò -come sempre acida- Kelly. Come se fosse ovvio per me che non ho mai messo piede in una scuola pubblica.
«Kelly, basta!» pregò Levi. Mi fece ridere.
«Mi fai fare un tiro?» chiesi rivolta a Sarah Jan.
«No!» urlò Lhea al mio fianco. «Non ti permettere signorina, de no giuro che lo dirò a tua madre!» continuó in tono di rimprovero.
Mi girai, e l'incenerì con lo sguardo. Lei arretrò di colpo. «Se osi rovinare il matrimonio a i miei, giuro che te la farò pagare!» minnacciai.
Corsi a velocità inumana sul ramo più vicino alla testa di Sarah Jan, lasciando tutti gli umani a bocca aperta.
«Dammi!» ordinai calando il braccio verso Sarah Jan. Era così vicino che gli bastava davvero poco per toccarla. Innoridita, mi passò la sigaretta, e io ne presi una lunga boccata di fumo, che mi entrò in gola... e mi fece tossire.
Ripassai la sigaretta a Sarah Jan, che se la rimise in bocca, ridendo.
«Fumo nei polmoni?» intervenne Charlie facendo sbiancare tutte pe donne oltre a me e a Lhea.
«Anche troppo, direi!» risposi cercando invano di non tossire.
«Il mio silenzio costa caro» disse Charlie con un sorriso stampato in volto.
«Cinquanta dollari ti bastano?» chiesi calma.
«Voglio death note» disse lui. Come se non sapessi di cosa parlasse quel maledetto fumetto, che odiavo tanto, e che mi faceva schifo!
«Te lo scordi!» risposi secca.
«Death Note? Quel cartone animato bellissimo? Del quaderno assassino? Io adoro quel cartone!» s'intromise Levi.
«Si, ma io voglio il fumetto, visto che i miei mi trattano ancora come un bambino e non me lo lasciano vedere!» rispose Charlie apparentemente seccato!
«No! Non ti metterò a tacere con quel fumetto maledetto che istiga all'omicidio!» urlai con tutta la rabbia che avevo in corpo.
«Meglio quello che istiga a l'omicidio che un libro a luci rosse!» rispose sorridente.
Cazzo, la battuta su "Mr. Grey"! Pensai maledicentomi.
«Quale libro a luci rosse?!» feci la finta tonta.
«"Accuccia Mr. Grey" ti dice niente?» rispose lui con straffotenza.
«Ti sei letta quel libro?!» chiese stupita Sarah Jan.
«La ragazza inizia a piacermi!» commentò Kelly.
«Dimmi che sta scherzando?» intervenne Lhea con fare severo.
Scesi dal ramo atterrando sulle punte, e corsi da Charlie. Mi fermai diffronte a lui, e iniziai a parlare. «Allora, tu non dici ai miei di quel libro e io non dico ai tuoi che mi hai ricattato chiedendo quel fumetto maledetto, che ne dici?» proposi, sperando che avrebbe accettato.
«E io che ne ricavo?» chiese insospettito.
«Siamo realisti, C. I miei stanotte partono, e Bella non mi metterebbe mai in punizione. Invece a te si! Quindi, se vuoi stare libero ti conviene non parlare» risposi con fare ovvio.
Mi fissò un attimo, pensieroso, poi mi rispose. «Resta sempre il fatto della sigaretta!» disse.
«Una scommessa! Quando la festa sarà finita! Il giro del bosco! Da qui a qui, con tutti loro presenti! Così gli faremo vedere di cosa siamo capaci! Ci stai?» proposi entusiasta.
«Cosa ci giochiamo?» chiese sospettoso.
«Se vinco io, tu ti stai zitto -gratuitamente-, se vinci tu, ti regalo il fumetto!» risposi. Non feci in tempo a finire, che mi prese la mano, e me la strinse. «Ci sto!» rispose.
«Ritorniamo alla festa?» chiesi a tutti quando mi accorsi che quelli che prima fumavano avevano appena finito.
«Certo! Vuoi una gomma?» chiese in risposta Sarah Jan. «Sai, per non sentire la puzza della sigaretta» spiegò.
«Certo, grazie. Ma sono certa che non servirà a niente col branco» dissi.
«Lo so, me la spiegato Collin, ma che posso fare, non riesco a smettere» disse Sarah dandomi la gomma. La ringraziai con un gesto, e aspettai che l'offrisse a tutti, prima di prenderla sotto braccio. «Credo che come cugine ci dovremmo conoscere meglio» proposi facendola sorridere.
«Benvenuti nell'incubo!» esordì Charlie rassegnato.
«Questa te la faccio pagare!» risposi scherzosa.
«Certo, certo» disse Charlie indifferente.
Kelly mi prese sotto braccio, e disse «Mi ero fatta un'idea sbagliata su di te!» con entusiasmo.
Ritornammo alla festa, parlando del più e del meno.
Le persone avevano appena finito di cenare, e si era dato iniziò all'intrattenimento da matrimonio.
Io presi il buquet di mamma, per la mia fortuna da principiante. E Charlie si becco in pieno la giarettiera che tirò papà.
Lasciai perdere i film che mi giravano in mente. Era solo un caso, mi ripetevo in continuazione.
Giunse il momento dei discorsi, e io avevo in mente di alzarmi e chiudermi in bagno quando papà avrebbe letto quello che avevo scritto io per lui.
L'avevo scritto quella mattina, dopo che Charlie se n'era andato dalla mia stanza, cercando parole che solo lui riusciva a ispirare. Scrivendo sensazioni che solo lui riusciva a provocarmi.
Speravo che per papà fosse lo stesso.
Ma papà non volle leggere il mio discorso, e mi chiese di leggerlo io personalmente. Io obbedì, ma me ne pentì amaramente, perché, mentre leggevo quel maledetto discorso, non facevo altro che leggere e alzare lo sguardo verso il mio Charlie, che mi guardava insospettito... e felice. Lo stavo ancora alludendo.
Non gli diedi spiegazioni, e non me le chiese nemmeno.
Andammo alla consol, e dopo il ballo degli sposi, ci scattenammo. Corrggo, io mi scattenavo, lui rideva e mixava le canzoni a piacimento. Mi diverti un mondo a ballare con nonno Charlie. Era un pezzo di legno!
«Dai, nonno C. sciogliti» lo presi in giro facendo ridere Bella e Charlie.
Mi diverti tantissimo, e alla fine dovetti salutare mamma.
Mamma se ne doveva andare, e noi dovevamo preparare il regalo alla perfezione.
«Giuro che ti lascio senza figlia» promise zia Alice a mamma, quando entrai in casa.
Io e Charlie avevamo legato le lattine all'auto, sapendo che avrebbe fatto saltare i nervi a papà.
«Come se ci potessi riuscire» risposi a zia Alice «Zia Rose è sopra?» chiesi.
«Si» rispose nervosa zia Alice. Corsi per le scale, e irruppi in camera di zia Alice, seguita a ruota da Charlie. «Zia Rose!» gridai.
«Sono qui, calmatevi» rispose divertita.
«Il regalo!» spiegò Charlie.
Scendemmo in fretta, volevamo tutto pronto.
«Spero che gli piaccia» sussurrai.
«Gli piacerà,e sicuro» mi rassicuro zia Rose.
«Grazie zia Rose, senza di te non potevamo far niente» disse Charlie. Io annui.
Uscimmo dalla sua stanza, e corremmo sotto. Abbracciai papà. «Ti voglio bene» sussurrai senza sciogliere l'abbraccio.
«Anch’io, V., mi raccomando, non fare impazzire Bella» rispose sciogliendo l'abbraccio.
«Ci proverò» risposi sarcastica.
Non avevo tempo di aspettare che mamma scendesse, l’avrei salutata quando gli avrei dato il mio regalo.
«Aiutatemi» ordinai a Charlie e a Lhea dopo aver posato il regalo a terra. gli misi nelle mani dei pugni di riso, «guardatemi» gli ordinai di nuovo.
Tirai il pugno di riso dritto sulla testa di mamma e papà, facendo ridere Kelly, Sarah Jan, e il resto della compagnia dietro do me. Charlie e Lhea fecero altrettanto. Poi presi sottobraccio il regalo, feci cenno a zia Rose e Charlie di seguirmi. Prima che potessero entrare in auto, ci posizionammo d’avanti a loro.
«Questo e per te!» dissi a mamma porgendogli la scatola argentata.
«Noi abbiamo avuto l'idea e zia Rose ci ha messo i soldi» spiegò Charlie.
«La maggior parte del lavoro l'hanno fatto loro» spiegò zia Rose.
«La maggior parte del lavoro l'ha fatta Charlie» risposi repentina io.
«Modestamente» si vantò Charlie.
«Cos'è?» chiese Nessie incuriosita.
«Lo scoprirai in macchina!» risposi. Ci abbracciammo velocemente, e la salutammo mentre l'auto di papà spariva oltre il vialetto di casa Cullen.
Richiamai tutti gli spettatori e ritornammo nel punto di prima.
«Non stupitevi, mi raccomando!» gli presi in giro, mentre Charlie mi guardava divertito.
«Se ti si alza la gonna, mi sa che mi stupirò» mi prese in giro Levi con fare malizioso.
«Non avrai il tempo di sbirciare» rispose al posto mio Charlie. Dal suo tono si poteva facilmente capire che ora era lui a rivendicare il suo territorio.
«Allora vai piano» propose Levi con voce maliziosa.
«E far vincere l'idiota numero uno d'America? Te lo scordi!» risposi sarcastica. «Ch da il via?» chiesi più seria.
«Io!» si propose Adrian.
«Pronto a dare il via?» chiesi sarcastica.
«Pronti a partire?» chiese lui in risposta.
«Sono nata pronta!» risposi.
Lui mi fissò divertito, e alzò il braccio destro. «Pronti!» urlò. Mi misi nella stessa linea di Charlie. «Hai posti!» continuò nello stesso tono di voce. Mi preparai a partire, mettendo un piede in avanti e un'altro indietro, a mo'di spinta, mentre il mio sguardo incrociava il sentiero davanti a me. «Via!» urlò Adrian. La sua voce mi riecheggiò nelle mie orecchie, e le mie gambe scattarono in quinta.
Il vento mi soffiava tra i capelli, mentre gli alberi mi sfrecciavano davanti, incredibilmente nitidi per la mia velocità, altamente superiore a quella media di un vampiro.
Sembrava durasse un'eternità, ma durava solo un attimo.
Mi bloccai di colpo, quando vidi una strana struttura in mezzo al bosco.
Sentì che Charlie stava correndo. Allungai la mano appena in tempo per afferrare la sua in corsa. Lo tirai a me e lo bloccai. Ero uno spazio con tanto di fontana. Era tutto di pietra, come una casa senza tetto. Era coperto dall’ombra degli alberi, che non impedivano di vedere le stelle in una notte limpida come quella. La porta erano due muri che si aprivano. Era un posto stupendo.
«Permetti?» chiese porgendo la mano a mo'di invito.
«Cosa?» chiesi scioccata.
«Un ballo» rispose come se fosse una cosa ovvia.
«Senza musica?» chiesi scettica. Si scavo nella tasca della Giacca, e ne tirò fuori un lettore C.D. All’interno della quale c’era già un C.D. Cacciò le cuffie e premette Play.
«Lo scelta per te» annunciò «Per questo momento» suscitò.
La mia canzone preferita m'indondo le orecchie. Le parole e la melodia di quel brano riuscivano ad entrare nel profondo del mio cuore. Non lo sapeva nessuno. Almeno così credevo.
«Perché hai scelto questa canzone?» chiesi.
«Perché e la mia canzone preferita» rispose.
Lo presi per mano, e mi strinsi a lui. Mi fece salire su i suoi piedi, e iniziò a condurre la danza.
Mi venne in mente un ricordo del succhiasangue. Il ballo di fine anno con Bella.
«Sembriamo loro due» mormorai assorta nei pensieri.
«E tu come lo sai?» chiese. Mi sorprese che capì chi intendevo.
Gli sorrisi «so molte più cose di quanto immagini» risposi. Gli sorrisi.
Per un po’ rimanemmo zitti, mentre io ballavo su i suoi piedi.
Poi ruppe il silenzio «Perché?» chiese tristemente.
«Cosa?» chiesi io confusa.
«Perché non possiamo essere felici?» chiese nello stesso tono di voce di poco prima. «Io ti amo, tu mi ami. Viviamo l’eternità così» continuò.
«Non posso, Charlie» risposi automaticamente «non è così facile» sussurrai.
«Perché? Perché mi vuoi fare soffrire così? Mi fa male vederti, e non poterti amare» mormorò.
«Sto evitando di farti soffrire di più!» gridai. Ecco le lacrime indesiderate. «Ho fatto un errore unendo i due branchi, ogni giorno sono costretta a vedere Lhea, soffrire per una storia che è successa un dicciott’ anni fa. Ogni giorno vedo Seth soffrire per me. non ce la farei a vederti in quelle condizioni, anche se non ti amassi. Primo o poi avrò l’imprinting, e non ti potrò più seguire, Charlie. Ti farei solo soffrire, e sarei costretta ad andarmene da Forks. Mi dispiace averti illuso. Non ci... può...» la voce mi ruppe in gola, mentre i singhiozzi mi tormentavano il petto.
«Viviamo il momento» urlò disperato.
«No, se ci saranno della conseguenze» urlai tra i singhiozzi.
Si calmo «baciami, e dimmi che non provi nulla» mormorò stringendomi più forte.
«Non posso illuderti ancora. Voglio che tu sia mio amico, non qualcosa che possa illudere un futuro fra noi» mormorai cercando di avitare i singhiozzi «ti faccio una promessa. Appena avrò l’imprinting andrò via» annunciai a voce alta.
«No!» urlò. Si calmò, e poi parlò «Hai baciato Seth, ora prova con me» supplicò.
«Ti ho già baciato, e non è finita bene. Charlie io voglio essere tua amica, Charlie, io ti voglio bene …» m’interruppe «E io ti amo» urlò. Gli misi una mano sulla bocca.
«No. Non lo dirlo mai più. Se io ti farò soffrire … Quello non è amore» suplicai.
Mi prese la mano, e la strinse contro il suo petto.«Il mio cuore non ha mai battuto. Ma quanto sono con te, lo sento, anche se non c’è» confesso. La canzone finì, e riparti da capo.
«Tu hai un grandissimo cuore, e non centra nulla che non batte. Non proveresti odio, amicizia, …» m’interruppe di nuovo «Amore».
«Solo che lo provi per la persona sbagliata» risposi.
«Elizabeth Jan Isabella Black, non dirmi che sei così... realista! Non esiste persona sbagliata o persona giusta per provare amore. Si prova e... basta! E tu sei la persona per cui io provò amore!» spiegò con estrema calma.
«L'amore non ti fa soffrire» mormorai a sguardo basso.
Mi mise due dita sotto il mento, e mi sollevò il viso. «L'amore fa questo e altro, e se tu non sei pronto a provarlo, non sarai pronto mai. Se non lo prendi a volo, non lo proverai mai!» disse calmo.
«Parli come se lo provassi» mi uscì di bocca con una risata nervosa.
«E lo provò!» rispose immediatamente.
«È solo una cotta quella che provi per me» risposi.
«Proviamolo, baciami!» ordinò.
«Non ci tengo ad illuderti!» risposi nervosa.
«Non m'illiderò, ti giuro!» rispose subito. Si avvicinò, posando la testa sulla mia spalla. «Ma ti prego, baciami! Non ho mai avuto voglia di baciarti come in questo momento!» sussurrò al.mio orecchio.
Si allontanò, e i nostri sguardi s'incrociarono. Come quella volta, sette anni e una settimana dopo la mia nascita, quando mi svegliai per la prima volta sul suo petto, e vidi la prima cosa adulta di lui che mi fissava e mi attirava a sé come una calamita. I suoi occhi.
Per un attimo lasciai le preoccupazione, gli errori, i dubbi... la mia stessa vita, fuori da quel mondo dove solo con lui riuscivo ad entrare. Dove esisteva solo lui! C’eravamo solo io e lui. Il nostro amore. Le nostre labbra che si stavano per sfiorare in quel attimo che volevo fosse eterno.
«Charlie!» urlò una voce familiare dietro di noi.
«Mamma?» bisbigliò lui. Aprì gli occhi, e mi fece allontanare da lui.
«Vi stavo cercando. La famiglia Denali vi voleva salutare» spiegò Bella -visibilmente dispiaciuta- avvicinandosi. «Scusate se vi ho interrotto» si scusò in un bisbiglio.
«Stiamo per arrivare» rispose in fretta Charlie.
«Hanno fretta» insistette Bella.
«Aspetteranno!» urlò Charlie visibilmente irritato.
Arretrai di un passo, scedento dai suoi piedi.Sorrisi a Charlie, «mandateli i miei saluti. Ci vediamo fra mezz’ora» bisbigliai.
Iniziai a camminare tranquillamente fino alla porta. Ero stranamente felice che Bella ci avesse fermati. Non so cosa avrei fatto.
Raggiunsi la porta, ma mi fermai per voltarmi. Bella e Charlie non c’erano più. Bene. dovevo stare un po’ da sola.
Quando arrivai alla porta, due mani fredde mi spinsero con le spalle alla parete. Delle labbra congelate si posarono sulle mie. A primo impatto pensai che era Charlie, ma poi si allontano da me, e io misi a fuoco.
«Raul» ansimai impaurita. «Valium, non è finita» promise. Si volatilizzo, lasciandomi li scioccata.
No, non era finita. Mi sentì un'idiota a credere il contrario.
I sensi di colpa s'impadronirono di me, mentre riflettevo sul pericolo in cui avevo messo la mia famiglia, i miei... Charlie.
Ma ora era tempo di combattere, non di piangersi addosso. Io ero la peggior arma che potesse esistere. Io ero unica. Io ero Valium.



Spazio all'autrice:
Mi dispiace aver finito la mia prima storia, ma, se ancora non l'avete capito, ci sarà un proseguo! E sono certa che vi piacerà di più di questa storia! Non voglio anticiparvi nulla, ma state certi che sarà ricco di colpi di scena, di amori e di paure. Questo non e nulla rispetto a quello che ho in mente!
Okay, ora v' scritto che la storia Non è completa, ma come ogni autrice che si rispetti, l'ultima parte sarà dedicata hai ringraziamenti. É per quelle poche fan che ho, ci sarà una sorpresa, ma ci vorrà ancora un pò di giorni.
Occhi aperti ragazze, come il mio personaggio ritornerò, e, giuro, più aguerita di prima.
Un Bacio, V.
Ps: vi lascerò una breve anticipazione della prossima storia, se avrò tempo.

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Capitolo 30
*** piccola anticipazione- Witch ***


POV Sefi
Il giorno dopo...
«COSA?!» urlai alla cornetta. Margaret parte per Parigi tra una settimana e torna fra un mese e io sono bloccata in questo schifo di città, senza mai concedermi una vacanza!
Poi, per Margaret, e facile. Essendo la figliastra del preside e la più popolare della scuola per lei non è un problema fare un mese di assenze!
Sefi, non fare la stronza! Come se potessere essere facile! Josefina, tu sei nata stronza, hai perso la verginità con lo zio del tuo ragazzo dopo che hai scoperto che il tuo ragazzo ti tradiva con la tua ex migliore amica! E quello stronzo di zio che aveva e andato a dirlo a papà! Ecco perché ora mi trovo in questo posto da schifo, in cui si vede il sole solo tre volte all'anno!
«Tranquilla, ti porterò un souvenir» rispose lei. «Amore, ora ti devo lasciare! Vado a fare shopping con mamma!» rispose entusiasta. Non mi fece nemmeno rispondere, e mi staccò il telefono in faccia.
D'accordo, lei era la più popolare della scuola, poi c'ero io, Kelly e Sarah, e degli uomini i più popolari erano i loro fratelli: Adrian -capitano della squadra di baske- e Levi - quarterback della squadra di football- poi il resto delle squadre, ma, Margaret, stava veramente esagerando!
Proprio ora che sta per iniziare l'anno scolastico e il comitato di benvenuto della Forks High School -cioè io, Sarah, Kelly e il capo del comitato studentesco Margaret Raimond!- deve dare il bevenuto a i novellini! Più, bisognava organizzare il ballo d'inizio anno, e lei va in vacanza, sapendo che tra una settimana inizia la scuola! Ma a lei non gliene frega niente, e certo, essendo la figliastra del preside -che tiene le corna come un montone- a lei e tutto concesso!
Calmati Sefi, vai a prenderti una tisana, o un matè o anche una valeriana, basta che ti prendi un calmante, e la smetti di fare la stronza, anche se ti è difficile!
Composi il numero di Sarah per comunicarli la "bella notizia". Rispose al secondo squillo: «Pronto?» fece lei timidamente.
«Chiama Kelly. Dobbiamo fare una conferenza telefonica! Ora!» ordinai nervosa. Come leadership ero fatta su misura, anche se ero alta un metro e cinquanta.
«Pronto?» fece Kelly.
«Margaret parte fra una settimana e torna fra un mese» comunicai acida.
«Ora basta! Questa stronza mi ha rotto!» sbottò Kelly. Kelly era la più forte di noi. Non aveva paura di dire le cose in faccia, anzi, Margaret l'aveva presa nel suo gruppo perché una volta aveva chiamato "drogata" Ella Wilson, accerima nemica di Margaret, e spericolata come non mai. «Il potere gli ha dato alla testa! Non ne posso.più di quella stronza! L'anno prossimo le cose cambieranno, lo giuro sul mio onore!» urlò lei. Quando Kelly giurava sul suo onore, la gente si doveva spaventare! Stava con quel Brady di La Push praticamente da quando sono arrivata a Forks, e ci stava già da due anni!
«Io proporei qualcun'altro come capo del comitato studentesco» propose timidamente Sarah. Era l'ultima ad entrare nel nostro gruppo. Margaret l'aveva convinta per paura di essere spodestata, perché Sarah era molto più bella di lei. Poi voleva suo fratello, e ero stanno insieme "ufficialmente", solo che lui fa il cretino con tutte le ragazze della scuola. Io c'ero stata ad inizio anno, ma non era durata più di due settimane, perché eravamo troppo diversi.
«Io ci sto. Ma il problema è chi?» fece Kelly riportandomi alla realtà.
«Ovvio,io!» risposi come se fosse ovvio.
«ASSOLUTAMENTE NO!» urlarono all'unisono.
«Non sai badare a te stessa vuoi badare a un'intera scuola!» urlò Kelly.
«Ha ragione!» acconsentí Sarah.
«Non sono mica così letale» sussurrai dispiaciuta ricordando tutti i miei guai. Quando, l'anno scorso, ho quasi rovinato il ballo di fine anno per aver ordinato le decorazioni sbagliati, e Margaret mi aveva quasi ucciso per questo!
«Dobbiamo trovare una persona responsabile» mormorò Kelly sovrapensiero.
«Qualcuno abbastanza coraggioso, da sfidare Margaret» mormorò Sarah.
«Qualcuno capace di prendere in mano la situazione, e non ci abbandoni quando abbiamo bisogno!» mormorò Sarah.
Restarono per un attimo zitti, poi urlarono all'unisono «Valium!».
«Chi?!» esclamai dubbiosa.
«Sei sicura che venga?» chiese Kelly ignorando la mia domanda.
«Si, ha detto che Bella l'ha iscritta a scuola insieme...» Sarah venne interrotta da Kelly. «Quello schianto di Charlie!» completò con fare da sognatrice.
«Brady, Kelly. Brady» le ricordò Sarah.
«Mi spiegate di che diavolo state parlando?!» urlai cercando di attirare la loro attenzione mentre ciarlavano di questo Charlie e questa Valium -ma poi che nome è Valium.
Staccai il telefono. Ero stufa di questa scuola del cavolo!
Avevo bisogno di svagare.
Quindi decisi di prendere quello strano libro che avevo trovato in soffitta. Spensi le luci, e chiusi le persiane e corsi a prendere delle candele.
Era un vecchio libro, con uno strano simbolo al centro della copertina e quattro pietre sugli estremi - un turchese, un malachite, un corniola e un lapislazule. Non sapevo cosa potesse significare.
Aprì la prima pagina, e mormorai quella frase che avevo imparato ormai a memoria: «" lucernas accendunt"».
Con una vampata tutte le candele si accesero, illuminando la mia camera con una luce fiocca.
Iniziai a sfogliare le pagine del libro, in cerca di qualche "filastrocca" carina.
Non osavo chiamarli incantesimi, perché ciò voleva dire... Strega. Io non ero una strega.
Trovai una filastrocca che m'incuriosì. " Exponentia ad amorem tuum".
Ci diedi una occhiata, prima di ripeterlo ad alta voce. «"Spiritu, ponamus primo homine amare.Dai vita cogitatione cupio, qui mihi velle pati demat"».
Fu un attimo, e un'immagine mi fulmino lo sguardo. Un'uomo dalla pelle bronzea e dagli occhi neri, mentre una sola lettera mi suonò negli orecchie. "S".
Mi ripresi dopo cinque secondi, e iniziai a sfogliare le pagine di quel libro. Era come se una filastrocca chiamasse le altre.
M'imbattei in uno strano incantesimo: " incantationem futuri". Come prima mi concessi una breve sbirciatina, prima di pronunciare le parole scritte sul libro:«Invocato auxilio futurum. Video quid futurum sit. Mutare fortunam videbo». Un'altra immagine mi colpi in pieno. Una donna, dai capelli neri e da gli occhi color carbone, che mi fissava come se io fossi qualcosa di potente e incomprensibile. Come prima sentì, delle parole. Non so chi le pronunciava, ma ero certa che riuscivo a percepirle solo io. «Ti proteggerò per sempre» promise la voce. La donna annuì, e scomparse dalla mia vista a una velocità disumana.
La visione finì, e io sbattei le palpebre.
Né volevo ancora!
Ricominciai a sfogliare le pagine, fino a quando non m'imbattei in un nome scritto a penna. "Grace Roidriguez". Non era la prima volta che m'imbattevo in quel nome, ma avrebbe dovuto essere la vecchia proprietaria del libro. Perché ora ero io!
Sfogliai un altro pò, fino ad imbattermi in un incantesimo che prometteva bene. " Incantationem immortales". Ma, al contrario degli altri, in questa filastrocca c'erano delle avertenze. Le tradussi con il traduttore sul web, scoprendo per la prima volta che la lingua usata dal libro era latino antico. Dicevano che la "filastrocca" era capace di dare gioventù e vita eterna a chi l'avrebbe recitata. Ma un punto mi colpì: "State attenti, perché poi non potrete tornare indietro". Mi spaventai, ma volli provare fino a che punto potessi spingermi. Quindi lessi le uniche tre parole: «et aeterna erit».
Al primo acchito non successe niente, poi una folata di vento mi colpi in pieno. Le candele si spenserò, le persiane iniziarono a sbattere da sole, anche se l'avevo sigillate, e nella mia stanza -completamente serrata- si diffuse il disordine più totale.
Abbassai lo sguardo, quel tanto che bastava per inquadrare una delle cose più stupefacenti che io abbia mai visto: un tornado si era creato dalla pagina del libro in cui c'era la formula.
Afferrai la copertina del libro, e con tutta la forza che avevo, la chiusi.
Il vento cessò, e le persiane smisero di sbattere.
Mi alzai con cautela, e andai verso lo specchio.
La ragazza che era lì era la stessa di sempre -pallida, occhi neri, capelli neri, fisico perfetto e un metro e cinquanta di altezza-, ma una strana luce gli passò negli occhi. Una luce rossa.
Mi spaventai a morte. Arretrai di colpo, fino a scontrarmi contro la finestra.
Lì decisi di guardare se qualcuno mi avesse visto.
Guardando fuori dalla finestra notai una ragazza guardare sbalordita la mia finestra.
Era seduta sul portico della casa diffronte alla mia, quella dell'ispettore capo Swan.
Era una ragazza bellissima, dai capelli color bronzo e dal pelle diafana. Ma la parte più che mi terrorizzava erano i suoi occhi blu mare, che mi guardavano stupiti.
Aprì la finestra, e chiusi le persiane, nascondendomi per l'ennesima volta da me stessa.


Spazio all'autrice:
Questo e il capitolo che avevo promesso alle mie poche fan. Non sarà nella prossima storia, ma il personaggio sarà molto importante nella vita della nostra Valium.
Volete sapere cosa succedere in seguito? Be', dovrete aspettare!
Non vi preoccupate, non vi farò attendere molto, solo un paio di settimane al massimo. Quindi, dopo aver scritto degli speciali ringraziamenti, e aver fatto una piccola sorpresa alle mie fan, aspettatevi di tutto!
Un bacio, V.

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Capitolo 31
*** Ringraziamenti ***


POV Valium autrice
Così sono sicura che non vi confondeteXD.
Come ogni scrittrice che si rispetti, l'ultima pagina e dedicata a i ringraziamenti.
Ora voi direte: ma chi devi ringraziare, scrittrice di ff? Chi te la fa fare? Ma che ci vuoi scrivere?
E io rispondo che ho molte persone da ringraziare.
Prima di tutto, la Meyer!
Io sono un'ultima arrivata in questo magnifico mondo, e vi dico immediatamente ho capito che il mondo di Twilight e un mondo stupendo. Ma infondo i libri sono fanfiction della vita. Perché, come loro, ci fanno sognare, e Twilight a me mi ha fatto sognare! E mi dispiacerà molto se non ci sarà un proseguo, se non a libro -che certamente amerei- almeno cinematografico. Pure a costo di andarlo a girare io stessa!
Un grazie speciale va alla musica, perché, come i muse hanno ispirato la Meyer, molti cantanti mi hanno ispirato, e vorrei farvi giusto qualche qualche nome: Imagine Dragons, Cristina Perri, Linkin park, Katy Perry, Avril Lavigne, Bella's lullaby -che io adoro-, Robert Pattison, Timbaland e molti altri.
Un grazie speciale a Fredoom99, che ho tormentato quasi fino alla fine, e che mi ha fatto capire che l'amicizia e un tesoro inestimabile.
Ringrazio Forgivnessinblu -Lisa- che è stata la prima a recensire - andate a leggere la sua storia, e stupenda!-, e poi la cugina di Clary_Bella e il suo sostegno morale, perché proprio quando stavo meditando sulla teoria di lasciar perdere la storia, e arrivata la sua recensione, che mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto capire che ci sono ragazze come lei che seguono la mia storia.
Un grazie anche a Sweet_luna -leggete la sua storia- e Efp Perla, che, anche con le loro critiche mi hanno fatto capire come migliorare la storia, e tra questi c'è anche Paride che mi ha fatto capire che con il testo tutto appiccicato alle persone passava la voglia di leggere.
Ne approfitto per dire che sto provedendo ad aggiustarli, grazie alla Webminister Erika, che mi ha spiegato come dovevo fare.
Ringrazio calorosamente tutti i lettori silenziosi.

In questi quattro mesi ho avuto l'opportunità di conoscere questo mondo, d'innamorandomene, e di far conoscere la mia storia. Perché chi è una vera scrittrice, non gli importa dei soldi -I SOLDI NON VI RENDONO FELICI-, ma gli importa solamente che la sua storia venga letta da qualcuno, non importa chi, ma da qualcuno! Per carità, non mi sto dando delle aree, perché i palloni gonfiati prima o poi esplodono! Sto solo descrivendo il mio modo di essere una scrittrice!
Ma la persona che devo ringraziare più di tutti, e quella che nella mia presentazione ho chiamato "Figlia"- se così posso definire una creazione concepita e partorita dalla mia mente.
Io ho cercato di descriverla più ribelle possibile, di descrivere il suo spirito libero, e se non ci sono riuscita mi dispiacerà molto.
Questo personaggio mi ha cambiato molto. Da una goffa Bella Swan, mi ha fatto essere una via di mezzo tra loro due. Quindi sono goffa e pazza, un'occopiata perfetta, perché cadono e mi rialzo. Qualche giorno di questi, mamma mi chiude in camera e butta via la chiave -tranquille, esco dalla finestra. Quindi ringrazio Valium. Una specie di angelo custode per me.
Quindi dopo tutti questi grazie, mi sono resa conto di aver dimenticato la persona più importante per la storia.
E quindi vorrei salutarvi così, chiedendovi di recensire tutta la storia così. Anche chi non la mai fatto. Tutti quelli che hanno letto la mia storia. Dite la vostra, e non vi preoccupate. Se avete dubbi e quand'altro.
Ora godetevi la sorpresa che vi avevo promesso.
E seguitemi ancora con "Red moon" la continuazione di questa storia.
Al posto del mio solito bacio, vi saluto così.
Grazie Isabella Swan. Grazie Bella!

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