Fatal Attraction

di Juuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Consapevolezza ***
Capitolo 2: *** Paura ***
Capitolo 3: *** Crescita ***
Capitolo 4: *** Domani ***
Capitolo 5: *** Buon compleanno ***
Capitolo 6: *** Si lascia amare ***
Capitolo 7: *** Perfezione ***
Capitolo 8: *** Arte ***



Capitolo 1
*** Consapevolezza ***


Consapevolezza.

Quel pomeriggio il sole faceva capolino tra le nuvole, illuminando placidamente il cortile, dove gli studenti si riversavano e i colori delle loro sciarpe si confondevano.
L'inverno pian piano andava perdendosi, e il suo freddo veniva sostituito da un illusorio tepore primaverile, con il calore che accarezzava il volto dei passanti, e si divertiva a rammentare la stagione dei fiori ancora lontana, quando, con dolce prepotenza, interferiva tra il gelo di febbraio.
In quei momenti, James adorava guardarla. Capitava che, involontario, il suo sguardo si allungasse sul giardino, attratto dalla migliore delle calamite.
Si perdeva nel contemplarne i movimenti, dimentico del libro che aveva tra le mani, narrante di una lezione che mai sarebbe stata sua, distratto com'era dai capelli fiammanti di lei, mossi dal vento, che catturavano la sua attenzione ovunque. Si era sorpreso di come i suoi occhi ragionassero prima della mente, nell'istinto che li portava ad alzarsi al suo passaggio e girarsi verso la sua direzione: durante le partite di Quidditch, in tutte quelle volte che gli passava accanto, nella sua postura diritta qualche banco più avanti, in classe.
Lo impensieriva, lei, in ogni suo gesto, spingendolo a sfiorarsi le labbra con il pollice, distratto, inconsapevole, lì dove aveva ricordato com'era stato baciarla per la prima volta, e immaginato come sarebbe stato per tutte quelle dopo.
Quelle dopo che dovevano ancora venire, che sarebbero arrivate, a cui non smetteva di pensare. E la sua mente lo riportava al momento del loro primo bacio, quando ricordava come le labbra di lei avessero il sapore dell'estate, e dell'aria, lì dove l'estate e l'aria avessero avuto un sapore. Ed era impossibile associarle qualsiasi altra cosa di esistente, perché lei stessa, per lui, quasi non esisteva.
Si era reso conto di come James Potter stesse rivalutando le proprie priorità, perché era capace di introdurgli pensieri che prima non c'erano, e riportava nella mente di lui la necessità di starle accanto.
E lei lo sapeva. Perché James era le sue giornate storte, e la capacità di raddrizzarle.
E James l'amava. L'amava da sempre. L'amava come non aveva mai amato nessun'altra.
Quello, era amore.


Angolo.
Non so cosa sia. In realtà avevo solo voglia di scrivere, e l'ispirazione per continuare “Moments” non arrivava. Quindi, eccomi qui. E credo che sarà una raccolta, per tutte quelle volte che non so cosa scrivere, e che mi usciranno cose del genere.
Mi scuso se è simile, per contentuti ed argomenti, ai precedenti. Ma, come ho detto su, dovevo solo sfogare e... be', James e Lily aiutano. Chissà che prima o poi non mi decida a pubblicare anche su qualcun altro.
Grazie per essere arrivati fin qui. <3
Juuri.

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Capitolo 2
*** Paura ***


Paura.

Paura era vedere Evans arrabbiarsi e cacciare la bacchetta, nascosto sotto il Mantello dell'Invisibilità, e sorridere ai suoi incantesimi, davanti alla sua frustrazione, e lasciarsi scappare un ghigno divertito, perché era incredibile quanto fosse bella anche arrabbiata.

Paura era vedere i suoi occhi diventare rossi, lucidi e le lacrime lasciarli, troppo ingombranti per essere racchiuse, in troppe per essere assorbite. Era vedere quelle lacrime scivolare sulle guance di lei, che dopo un po' abbandonava il tentativo di asciugarle, perché le sue mani erano ricoperte di pioggia, e il suo viso bagnato, e il labbro inferiore imprigionato dalla forza del morso, quando cercava la via di uscita attraverso il dolore. E quel dolore James l'odiava, e avrebbe voluto fermarlo, e dirle che non serviva, e farle sapere che conosceva il modo di allontanarlo, se solo lei gliel'avesse permesso.

Paura era cercarla per i corridoi della scuola senza trovarla, col cupo pensiero che fosse raggomitolata da qualche parte, che non volesse essere scoperta, che si nascondesse anche davanti a lui - da lui che avrebbe fatto di tutto, pur d'aiutarla.
Era non vederla a lezione, lei che le lezioni le amava. Era non trovarla in biblioteca, lei che considerava la biblioteca la sua seconda Sala Comune. Era non scorgerla nella Guferia, intenta ad inviare l'ennesima lettera ad un destinatario a lui sconosciuto. 
Era osservarla mentre cambiava direzione di corsa, alla vista di Mocciosus, che lui non avrebbe mai perdonato, perché nessuno poteva trattare Evans in quel modo.

Paura era non conoscerla davvero e non avere l'opportunità di farlo, perché lei glielo impediva, e s'allontanava, ed incrinava le speranze di lui che riaffioravano in germogli sbocciati l'indomani, in una corsa senza fine e nella fine di un inizio.
Era non godersi i raggi del sole che disegnavano sulla sua pelle chiara, e risaltavano il suo viso spruzzato di lentiggini, che si accavallavano sul naso e sulle goti, e danzavano seguendo la musica dei raggi.

Paura era non vederla ridere e non osservarne il broncio infastidito, quasi infantile. Era non spuntarle davanti, dal nulla, e strapparle un sorriso. Era non punzecchiarla, interrogarla, ammirarla. Era quando non le sfiorava la punta del naso con le dita, come si fa con i bambini quando sono ancora piccoli, per sottolinearne la bellezza, la purezza, la delicatezza. Era non farle il solletico alla pancia – perché lei l'odiava, il solletico alla pancia.

Paura era non perdersi in lei.
Lei e i suoi capelli rossi, lei e i suoi occhi verdi, lei e il sole e la pioggia e la neve e l'estate e l'autunno. Lei che era lo scorrere del tempo e il tempo stesso al suo passaggio, l'attenzione di un Prongs troppo catturato dalla sua vista per darsi un contegno. Era la sua arroganza accentuata – come se ce ne fosse stato bisogno -, la sua mano tra i capelli, e il suo sorriso, il suo sorriso, il suo sorriso.

Paura era non sognarla, perché lei ne occupava i sogni, in ogni istante di ogni giorno, e lo attirava, lo ammaliava, lo trascinava fuori dalla stabilità che lui era – perché James era stabile, più di quanto lo fosse lei.
Era vederla spezzarsi tant'era fragile, era l'impotenza di quando non poteva consolarla, era abbracci platonici perché lei non si faceva avvicinare. Era l'aria che rappresentava, che gli sfuggiva tra le mani, inafferrabile.

Paura che scomparve quando intrecciò le mani con le sue, e poteva finalmente toccarle i capelli, e scoprire ch'erano come l'immaginava, e sfiorarle la punta del naso – di quel suo nasino alla francese – senza doverla cogliere di sorpresa, e perdersi nei suoi occhi – nei suoi occhi a mandorla - orgoglioso di vederla arrossire, e conoscere il sapore delle sue labbra – le sue labbra che s'adattavano perfettamente a quelle di lui.
Paura divenne conquista, conquista bramata per sette lunghissimi anni, vissuti con lei, conoscendola, imparando cose che s'era sorpreso a scoprire, e aveva saputo amare.
E lui apprezzò ogni secondo di quel tempo, e lei scoprì come la sua presenza divenne incredibilmente necessaria, di come James Potter si fosse ricavato uno spazio in lei, solo per lui.



***
Angolo.

Lo so, totalmente fluff. Spaventosamente fluff.
E sono una brutta persona per non star aggiornando l'altra - ma ci sto lavorando, davvero.
Vostra,
Juuri. 

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Capitolo 3
*** Crescita ***


Crescita.

Lily era sempre stata importante, per lui. Lo era nelle notti in cui raggiungeva i sogni e in quelle dove non riusciva a dormire; nella luce dell'alba e nel tenue sopraggiungere della notte. Lo era nelle lezioni, nelle partite di Quidditch, in quei pensieri che diventavano parole e in quelle frasi che si trasformavano in lettere. Nei fiumi di idee che avrebbe voluto scrivere su di lui e a cui non aveva mai dato vita, perché scrivere sarebbe stato ammettere, e l'ammettere che James fosse il protagonista di ogni suo pensiero sfiorava il fare un passo azzardato, un punto di non ritorno, un salto nel vuoto.
James era diventato importante, per lei. Nel rincuorarsi di vederlo arrivare, nell'attesa di sentirlo ridere, lui che aveva la risata contagiosa, nelle sue frasi maliziose e nelle battute scappate dalle labbra, negli occhiali che, distratto, con l'indice spingeva verso l'alto, nei sorrisi ambigui, nel terrore di una guerra e nell'immaginazione di un futuro a cui molti non riuscivano a pensare, a cui tanti altri non sarebbero più riusciti.
Lui era l'azzardo, il punto di non ritorno; lui saltava nel vuoto un giorno sì, e l'altro pure.

Lily amava perdersi nelle giornate di pioggia, perché la trovava poetica, ed era ammaliata dal suo costante tintinnio contro la finestra della Sala Comune. Le piaceva il rumore del fuoco nel camino e la neve che si posava, lenta, sulla finestra. E quando i pensieri della guerra sfiguravano quel fuoco, aumentandolo, e nella sua mente prendevano vita le immagini di un'Hogwarts divorata dalle fiamme, lei chiudeva gli occhi, stringendoli forte, e di tanto in tanto scuoteva la testa, quasi quel gesto potesse allontanare quelle idee. Sapeva che non si potevano scrollare da lei con un semplice movimento del capo, ma ci provava ugualmente.
A James, invece, piacevano le giornate assolate, quando sembrava quasi che il giardino fosse suo, suo e di quei tre ragazzi ch'erano la sua famiglia e che, ovunque fossero, catturavano sempre l'attenzione – e non poco frequenti erano i loro scherzi, grandi nella bravura quanto nella fama. Gli piacevano le tempeste di grandine, gli uragani con la loro forza, il rumore del vento in lontananza, provocando il solletico alle foglie della Foresta Proibita; la notte, il suo mantello, complice di un segreto che conoscevano solo i Malandrini, unica estranea consapevole dell'esistenza di Prongs.
Lui non si perdeva mai nei pensieri della guerra, perché non sarebbe servito a nulla. Sapeva che Hogwarts non sarebbe mai crollata, così come sapeva che avrebbe combattuto per reggerla in piedi, fino al suo ultimo respiro. Perché James era un Grifondoro, in ogni sua sfaccettatura.

A Lily piacevano i vestiti, come tutte le ragazze, ma era soggiogata dal pudore di indossarli, che svaniva solo quando un'Alice decisa e quasi irritante la costringeva – ma alla fine costrizione non era, quanto più diffidente accondiscendenza e voglia d'essere convinta. E così erano iniziate le prime feste, sebbene le trascorresse nei suoi angoli tranquilli, tra le chiacchiere con Mary e una vaga, stramba invidia nei confronti di chi, in pista, si divertiva tranquillamente – con quella sfacciataggine che non le apparteneva, e che spuntava fuori solo in date circostanze; circostanze ambigue, come ambiguo era il suo sorriso. E lei impiegava il tempo nell'osservare i presenti, e nemmeno si accorgeva d'essere alla ricerca di qualcuno.
James trascorreva il tempo a guardarla, mai stanco e sempre più stupito di quanto potesse essere bella; ed era un gioco che lo vedeva vincitore in partenza, quello di trovarla tra la folla – giacché mai lei sarebbe sfuggita alle sue attenzioni, divenendone ed essendone vittima e carnefice. E quella volta la scorse alla svelta, perché lei, alla feste di quel genere, v'andava solo perché era costretta. Ed era bella, bellissima nel suo vestito bianco, nei capelli raccolti in boccoli disordinati, nell'attenzione che suscitava negli altri e nella gelosia che divampava in lui, quando coglieva qualcuno a guardarla. E lei, nel contempo, restava lì, a chiacchierare, ignara di ciò che scatenasse, in lui, la sua presenza.

Lily bramava l'amore, ma si ostinava a non ammetterlo, immaginando, invece, quello dei libri, in baci rubati e dolcezza sommessa. Amava l'amore e le passeggiate e le carezze, sebbene non cedesse alla tentazione di provarlo con chi di avance non gliene sottraeva, e lo delineava senza averlo mai assaporato – perché, talvolta, il primo amore non è realmente tale, e l'ultimo diventa il primo. Le scivolava, dunque, tra i pensieri, e diveniva racconti che sempre sarebbero stati suoi, rinchiusi nei cassetti e sprofondati nelle valigie, che narravano di una lei e di un lui in cui, vagamente, si rivedeva, e in cui cercava di associare un volto a quel lui tanto atteso. Perché, in fondo, era romantica Lily. Sognava sempre, trascorrendo le ore del sonno che tardava ad arrivare e che svaniva troppo presto nel pensare ad ogni cosa: i paesaggi, il cielo notturno, il sole che cedeva il posto alla sua gemella, che talvolta giungeva insieme alle sue compagne, quelle stelle che tanto le piacevano. Immaginava spesso come fosse strana l'idea di amare qualcuno sopra ogni cosa, e sperando lei stessa di riuscirci, un giorno.
James nell'amore non credeva. Non ne definiva la forma, non ne assaporava le parole, non scriveva né immaginava quali sensazioni potessero trasmettergli. Non era molto più che un gioco adolescenziale, in sostanza. Non era stato molto più di questo per molto tempo. E come ogni cosa attesa e che attende, quel tempo giunse alla fine. Nell'alba di un giorno e nel tramonto di una sera, in una corsa di sette anni e in una maturazione più profonda di quanto gli altri si fossero realmente accorti. Lo stesso James, in realtà, non se n'era accorto; ai Malandrini, invece, non era sfuggito. E i suoi gesti mutarono, divennero minuziosi, accurati, l'avventatezza utilizzata non più per gli scherzi in cui era tanto bravo, ma per incuriosirla, per sorprenderla, per sentirsi rifiutare ancora una volta e riprovare, riprovare, riprovare.

Lily cedette, accondiscendente, e i suoi “no” si trasformarono da rifiuti a istigazioni, alle quali lui ricambiava con un sorriso divertito e un'occhiata maliziosa, ed entrambi erano il ritratto dell'allegria - e di qualcosa più sottile, meno conosciuta ed infinitamente presente: James, a quegli sguardi, si sentiva felice. Quando avvertiva la sensazione di essere osservata, durante le lezioni, sapeva già in che direzione volgere la testa, e formava quel suo sorriso genuino, trasparente; conosceva il colore scuro, caldo, degli occhi che avrebbero accolto i suoi, ma non sapeva come i suoi ridessero, a volte, ancor più delle labbra. Divenne un rituale abituale trovarlo ad aspettarla fuori dalla classe, e offrirsi di portarle i libri, con quella stessa offerta che, negli anni, lei aveva rifiutato; perché, in fondo, era sì un Malandrino, ma in pochi avrebbero saputo dire quanto fosse gentile.
James vide i suoi giorni assumere il colore del rosso e del verde, dei sorrisi di lei e delle sue parole; gli piaceva quando, tra i corridoi, gli raccontava delle sue giornate, e lui l'ascoltava, prestandole quell'attenzione che nessun'altra aveva mai avuto. E quando si chinava per baciarla, lei s'alzava sulle punte; sebbene non avesse più bisogno di coglierla di sorpresa, le abitudini restavano, e i baci rubati erano quelli più belli, la sua espressione sempre più divertita dal suono indistinto di sorpresa che le sfuggiva. E, inconsapevolmente, James assunse le sfumature di quell'affetto che Lily aveva sempre cercato.
E se è vero che lui le fece conoscere l'amore – paradossalmente irreale, la conoscenza di qualcosa che non si sa di possedere -, lei gl'insegnò a comprenderlo a sua volta.

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Capitolo 4
*** Domani ***


Domani.

Ti ripeti che Lily è Lily e niente può cambiarla. Che quel suo altalenante comportamento nasconde più di quanto non si creda. Che crescere è crescere, in ogni modo. Che la proteggerai, nel sole del giorno e nella luna della sera. Nelle semplici occhiate scambiate con occhi fuggenti, tra corridoi che racchiudono memorie di anni.
Ricordi come se fosse ieri la prima volta che l'hai vista, e pensi che gli anni l'hanno resa più bella. Giorno dopo giorno.
E guardi con occhi diversi i mesi passati a non parlarle, per una stupida sciocchezza compiuta da te, o forse da lei. Ritrovarvi è stata la fine delle angosce di entrambi, come chi scioglie quel nodo che, vuoi la gelosia, vuoi la rabbia, di solito si lega all'altezza del petto.
- Ho paura, James.
La sua voce ti riscuote dall'oblio in cui ti sei racchiuso, riportandoti ad una realtà che forse, e quasi, te lo fa rammaricare. Ma la sua presenza è un'ancora costante, qualcosa che ti suggerisce di non abbandonarti alla via più semplice. Dopotutto, le vie semplici non ti sono mai piaciute.
Vorresti abbracciarla e dirle che andrà bene, un sussurro e una carezza che rimarranno silenziosi nel buio dei corridoi della scuola, nascosti allo sguardo indiscreto e ai dolori costanti che vedete in quest'adolescenza strappata troppo in fretta, per catapultarvi in circostanze che nessuno dovrebbe mai conoscere.
Ma come fai?
Come dire che una guerra finirà bene, quando i morti sono troppi e i rimanenti arrancano verso l'idillio della salvezza? Non sono “i vivi”, solo "gli altri."
Così ti limiti ad ornare le sue spalle con un braccio, l'attiri a te e le posi un bacio sui capelli. Lei non ti ha mai chiesto certezze, solo presenze.
- Dormi, Evans. Domani è un altro giorno.
E speri in silenzio che un domani ci sia.

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Capitolo 5
*** Buon compleanno ***


Buon compleanno.

Un bimbo siede sul tappeto del soggiorno, da quegli stessi ricami rossi e dorati che, undici anni dopo, segneranno i colori della sua casa.
Si alza e cerca di afferrare la scopa che Padfoot gli ha regalato quel pomeriggio, incartata in un pacco che, ironicamente, rappresentava dei cani; piccola, a misura di bambino qual è, ma che sembra racchiudere tante promesse.
Così come sembrano farlo le piccole manine che si allungano ad afferrarla, sbilanciandogli il peso: ha dimenticato di tenersi ben stretto al tavolino.
Ed Harry cade all'indietro, atterrando nuovamente su quel tappeto: i capelli sulla fronte, i primi dentini che si affacciano quando sorride, il nasino all'insù e due enormi, bellissimi occhi verdi.
Ogni bambino avrebbe pianto, lui ride.
James guarda ora lui ora Lily, vedendo riflessi in quelli del suo piccolo gli occhi della ragazza che ha sempre amato, e in quella scopa che tiene già stretta il suo futuro.
Lo vede mentre, adolescente, la impugna, capitano di una squadra rosso-oro, così come lo era stato lui pochi anni prima.
Si rivede mentre lo andranno a trovare a scuola e quando lui tornerà a casa, forse quasi a malincuore, a raccontargli delle sue nuove avventure, delle sue prime ragazze, della magia che Hogwarts rappresenta; della squadra di Quidditch, uno sport che spera amerà, di quanto fosse severa la professoressa McGranitt e dell'infinita bontà del preside. Immagina già Lily perdersi in mille raccomandazioni, e si ripromette di riabbracciarla, quando lo guarderanno allontanarsi verso Hogwarts, salutandolo da un treno che, pochi anni prima, aveva accolto anche loro. Si promette che la sua prima partita ufficiale la vedranno insieme, alla Coppa del Mondo di Quidditch, perché vuole godersi lo stupore e il divertimento che gli si disegnerà sul viso.
Sa che il tempo volerà in fretta, James. Ma non sa quanto possa essere breve, quella fretta.
Lily si alza, prende Harry tra le braccia e torna da lui. Lo mantiene, mentre il piccolo James (perché è identico a suo padre, tranne gli occhi - quelli sono di sua madre) è in piedi sulla poltrona, e lo guarda: una mano ancora stretta intorno alla scopa giocattolo, e l'altra tesa nel tentativo di afferrare qualcosa. 
James ride e gli scompiglia i capelli.
Ride anche Lily. La macchina fotografica è ancora appoggiata al tavolino, dove lei l'ha lasciata, dopo essere stata certa di aver catturato ogni istante di quella giornata. Su quello stesso tavolino, poco più a destra, c'è una loro foto, dai piccoli, essenziali dettagli: il braccio di James intorno alle spalle di Lily; i suoi capelli che, mossi dal vento, si ribellano in ciocche sulle guance, mentre tiene stretta Harry; una mano di Harry che afferra una di quelle ciocche, l'altra che, chissà per quale motivo, mira agli occhiali del padre.
Tempo fa, James aveva una fotografia molto simile, risalente ai tempi di Hogwarts, ma non era mai riuscito a capire se Lily ridesse o meno.
Adesso lo sa, e lei ride; ride spesso, sempre, per lui e per Harry.
Ride anche adesso, e il suo è poco più di un sommesso, dolce sussurro, quando dice:
- Buon compleanno, Harry.

È il primo compleanno di tanti altri,
James e Lily lo sanno.
 

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Capitolo 6
*** Si lascia amare ***


Lasciarsi amare


Si lascia amare.
In una fredda sera d'inverno, Lily si lascia amare. Perché ha aspettato troppo e ha avuto paura. Perché ha visto il mondo cadere e ricomporsi ed è nata in lei quella consapevolezza della vita che si scorge negli occhi degli anziani, ancor più in quelli di coloro che possono vantarsi di aver visto tutto in questo mondo. Ma a differenza dei venerandi, che vantano i loro capelli bianchi e le rughe dei sorrisi lasciati come marchi sul viso raggrinzito e sincero, in lei è giovane. Ancora presente, ma con la speranza che possa dissolversi pian piano, nel corso del tempo, senza la necessità di corrergli incontro.
Ha mantenuto le sue abitudini, Lily. Lega i capelli quando studia in uno chignon improvvisato, da cui sfuggono ciocche rosse come fiamme. È freddolosa come sempre, ricopre le mani con i guanti, il viso con sciarpe e cappelli. Si raggomitola sotto le coperte e vi sprofonda fin sopra la testa, perché sostiene che il buio sia complice dei sogni.
C'è reminiscenza nei suoi occhi, quando si perde in meditazioni tutte sue. Reminiscenza che si scorge in ogni oggetto che la circonda. La spinge a valutarne la beltà, che non hanno mai perso. Il tempo scalfisce gli animi, vi lascia sfumature e cicatrici, ma sono segni di sopravvivenza. C'è bellezza negli occhi di chi c'è riuscito.
La Sala Comune è accogliente come sempre, ma la sua mente sembra un flusso di coscienza che non può essere interrotto. È una di quelle sere in cui non sa come affrontare il tempo che scorre e fuori è buio e fa freddo e il vento batte contro le finestre con una forza maggiore di quanto chiunque possa pensare. Di tanto in tanto la fa sussultare, cogliendola di sorpresa con i suoi fragori forti.
Il vento è rumore improvviso.
Lily non ha mai amato i rumori. A lei piaceva il silenzio.


Ama.
In una fredda sera d'inverno, James ama. Nel modo in cui l'ha sempre amata. Si compiace dei baci di Lily che non hanno mai perso il loro sapore e delle sue mani tra i capelli. Lily è calda, anche quando cerca calore in lui, accoccolandosi contro il suo petto. Il divano accoglie entrambi. Il fuoco nel camino scoppietta con irregolarità.
Allo stesso modo, lei ama e lui si lascia amare.
Le accarezza i capelli e Lily sente il calore del suo corpo anche attraverso il maglioncino che ha indossato quel giorno, per proteggersi dalle intemperie improvvise. Se fossero quelle esterne o interne, non avrebbe saputo dirlo.
C'è silenzio, lo scoppiettare di un fuoco che, gentile, invade lo spazio e riscalda i suoi ospiti. Sembra accompagnarli sempre, come le note di un pianoforte.
"Perché sei triste?"
"Non lo so."
James si limita a stringerla, con quel suo modo che sa sempre come comportarsi e cosa fare, anche quando ciò che è giusto compiere non gli è mai stato suggerito. Lily lo ama anche per questo, ed è veloce il modo in cui il sonno le soggiunge, quando sono le braccia e il corpo di James ad accompagnarla.
Il silenzio c'è ancora, ma adesso è riempito dal respiro regolare di Lily, al quale presto si aggiunge quello di James.
Anche questo è lasciarsi amare.




Angolo.
Nell'ultimo periodo l'ispirazione non c'è, ma ormai sembra un dato di fatto. Mi dispiace per la lunga assenza, nel caso in cui qualcuno aspettasse il capitolo. È che oggi fa freddo e io dovrei studiare, e la voglia, soprattutto, non c'è. Spero solo di non farvi attendere fino al prossimo anno!
Juuri. 

 

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Capitolo 7
*** Perfezione ***


Perfezione
 

- Mi piace starti accanto.
Lo pensa da anni, ma l'ha sempre tenuto per sé. Forse è stato il suo atteggiamento un po' altero e distante, quando gli rivolgeva occhiate tirate e a malapena sufficienti. Forse sono state le sue dita strette in quelle di un altro a farlo attardare, a ricordargli che, per quanto possa fingere d'essere il centro del mondo, ha sempre saputo di non essere il centro del suo mondo. Forse è stata la consapevolezza improvvisa e inaspettata che l'amore non nasce, ma cresce.
- Mi piace il modo in cui ti scosti i capelli dal volto, in cui mordicchi le matite, i tuoi segnalibri dimenticati in pagine che sempre ricordi.
Le parole scivolano via dalle sue labbra come l'acqua dagli scogli, eppure James non tace nemmeno un istante. È giusto il tempo di riprendere fiato, il suo, e quel coraggio che si cerca quando si vuole ammettere parole che hanno taciuto se stesse per anni. È in quei momenti che ricorda il valore della sua casa, e si dice di appellarsi a quella forza.
- Mi piacciono i tuoi disegni agli angoli delle pergamene, quando in classe ti distrai perché pensi a qualcos'altro – forse a qualcun altro. E quando te ne accorgi, poi, rinsavisci, consapevole e un po' colpevole di aver ritenuto importanti pensieri che non riguardino l'apprendimento scolastico.
Si sposta in avanti ed è già dinanzi a lei, nel momento in cui vede il rossore tingere il diafano delle sue guance. Le sirene, perfino nei migliori affreschi del castello, non sono mai state così belle.
- Amo i tuoi capelli e il colore dei tuoi occhi. Le tue risposte pungenti e il bellissimo modo in cui il rossore colora le tue guance. Amo il tuo comportamento, e quando stringi le braccia al petto, incrociandole, quasi dovessi reggerti in piedi unicamente facendoti forza da sola. La tua dolcezza.
Quelli sono i momenti in cui vorrebbe dirgli che non è mai sola, perché lui è sempre presente. Lo è anche quando smette di tormentarla e si limita ad osservarla da lontano, fingendo una noncuranza che ha in sé una repressione del proprio essere – James non è mai stato abituato ad essere trattato come qualcuno di non importante, a reprimere i suoi comportamenti, a regolare le parole. James non ha mai accettato di non poterle mostrare la parte migliore del suo essere James, che lei è riuscita a scoprire, ha collaborato a creare.
Vorrebbe baciarla e si trattiene, perché quasi si aspetta un rifiuto. O forse uno schiaffo.
Vorrebbe abbracciarla e non lo fa, perché ha colto, nel suo essere profondo, la profondità dell'animo umano, e quanto facilmente esso possa spezzarsi, come attimi perfetti vengano spazzati dalla più piccola tempesta, con una fragilità che terrorizza lo spettatore, tanto è sottile la linea tra disastro e perfezione.
Non tutti comprendono il modo in cui un bel momento possa perseverare nel rimanere tale, né conoscono la bellezza che risiede nella sua perfezione.
James sa di avere la pessima abitudine di interrompere silenzi troppo profondi, sa di essere incapace di cogliere gli attimi giusti.
E dunque rimane immobile, a guardarla, a sperare e mai pentirsi. A scegliere che sia lei a compiere una scelta, perché amare è lasciare andare.
Ma un angolo delle labbra di Lily, inaspettatamente e con una dolcezza che lo scalda e si sostituisce al calore provocato dall'imbarazzo, s'innalza. E, prima che uno dei due possa rendersene conto, gli regala un sorriso, di quelli che rimangono impressi nella mente delle persone perché sono meravigliosi.

Hanno aperto gli occhi e visto il punto in cui i loro orizzonti si incontrano.

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Capitolo 8
*** Arte ***


Arte


James ha un sorriso che gli illumina i lineamenti marcati mentre stringe una pallina dorata, che agita le ali con tanta veemenza che quasi pare stia esultando anch'essa. Gli occhiali gli sono scivolati giù, lungo il naso, ma lui non ne ha più bisogno: la platea dei Grifondoro era esplosa in un boato di gioia nel momento stesso in cui le sue mani, fasciate dai guanti, si erano chiuse intorno al Boccino d'Oro. La partita è conclusa.
È ancora in sella alla sua Nimbus e sfreccia sulle teste dei membri della sua casa, perchè è pur sempre James e dare spettacolo è il suo forte. Lo accolgono altre grida e il suo sorriso si allarga, come quello dei bambini. Urla, vanta quel gioiello poco più grande di quei meravigliosi cioccolatini che vendono a Mielandia, un campanellino che li ha condotti alla definitiva vittoria. Vola e i colori s'intrecciano tra di loro - il verde delle colline e il rosso del tramonto che si perde sul mare, e gli ultimi tocchi di un cielo dipinto che sembra appartenergli, quando è in sella alla sua scopa. Non è difficile fingersi un dio, pensa.
Quando vola, James è padrone del mondo. Ha i capelli al vento, più spettinati del solito, ed il mantello che sfreccia dietro di lui, il fuoco di un drago, il leone dei Grifondoro.
Rosso è il colore della sua divisa, dello stemma che sfoggia beffardo un leone sulle giacche dei presenti, dei capelli della ragazza che sta cercando. La trova, finalmente, in una delle prime file. È in piedi, Lily, ed ha gli occhi talmente verdi che James si chiede come abbia fatto a non scorgerli prima. Lo guarda e gli sorride, entusiasta. Vorrebbe dirle che ha vinto per lei. Quasi non sente le voci che si alzano in un coro, idolandolo come se fosse un eroe. E James, in quel momento, davanti a Lily, si sente davvero un eroe.
 "James Potter", urlano.
 "Capitano!", esclamano.
 Lily, invece, non parla. Trattiene per sè la sua voce - ed è bella, la sua voce, ed è dolce, come il rumore delle onde - il mare - quando si infrangono sulla spiaggia - e si limita a guardarlo - sorride ancora. Sorride nel pomeriggio di un marzo che diventa sempre più caldo, mentre le sue guance si tingono del colore del tramonto e il sole decora il suo volto di lentiggini. Un sole rosso.
 - PRONGS! - La voce di Padfoot lo richiama. Hanno vinto, ricorda. La coppa appartiene ai Grifondoro. Nemmeno si accorge di come l'argento dei loro avversari si stia ritirando, non sente i borbottii, le maledizioni, promesse di vendetta che vengono spazzate via dall'entusiasmo e dalla gioia della loro vittoria. James sfreccia verso il centro del campo di Quidditch ed atterra senza nemmeno fermarsi, come se fosse nato per quel ruolo, per il Quidditch e per essere capitano. La sua squadra gli corre incontro e lo sommerge.
 - Abbiamo vinto! - urla. - Abbiamo la coppa!
 - Sì, fratello! - conferma Sirius, battendogli una pacca affettuosa sulla spalla e stringendolo in un abbraccio. James guarda verso i professori. Silente è in piedi, ancora applaude, ed ha un sorriso che è lo specchio del suo. Alza la mano e richiama l'attenzione. Al suo fianco, la McGranitt si tampona le guance con un fazzoletto di seta, ed arrendendosi cede a nuovi applausi, perchè quelli sono i suoi bambini e lei è piena d'orgoglio. Quando si avvicina per donaragli la coppa, James guarda la sua squadra e la alza nella direzione della sua rossa preferita.
La dedica a loro, e la dedica a Lily.


Scivola come acqua sulla pelle, James - mani calde che esplorano il suo corpo e labbra che ardono nell'incavo del collo di lei, che si piega, per accoglierlo, e vorrebbe dirgli che può, James. L'incandescenza di un contatto che crea scintille, si direbbe - è il sorriso di Lily a mandarlo in totale confusione, sorriso che scorge quando schiude appena gli occhi e non ci crede, occhi bramosi di ammirarla e poi richiusi, perché la bellezza delle sensazioni è tale in tutti i suoi sensi, ed il profumo di Lily - Dio, il suo profumo! - richiede attenzioni solo per sé. I capelli gli solleticano il viso e le sue dita corrono a togliergli gli occhiali, per raccogliere il calore delle sue guance in una carezza dolcissima.
 - Ti amo, James. - sussurra, voce di velluto che si insinua tra i suoi pensieri, pensieri come un mare, alla deriva, flusso di coscienza, confusione.
Lily è ovunque: tra le sue braccia - quando risale i suoi fianchi, si sofferma sui seni, disegnando ogni curva -, sul suo letto - quando si piega per posare le labbra su di lei, ancora e ancora, perché di amore si potrebbe anche morire, pensa, ed è assurdo come il cuore - il misero, piccolo cuore, dalla grandezza di un pugno - abbia una forza tale da poter contenere tutto quell'amore, tutta quella gioia. Lily è nei suoi pensieri, nella sua stanza che adesso è intrisa del suo profumo - vaniglia, giglio, Lily.
Un quadro, Lily, un insieme di colori e sfumature, ed un pittore, James, quando disegna ogni dettaglio, quando imprime il suo corpo nella propria pelle. Amare è facile. E sarebbe stato facile pronunciare quelle parole, quel ti amo anch'io, Lily già stampato sulla sua lingua, talmente evidente da essere quasi superfulo, lingua che assapora quella di lei. Sarebbe stato facile e avrebbe voluto dirglielo.
 Prima che le urla squarciassero il silenzio.
 - MALEDIZIONE, PRONGS! Spero che tu non ti stia facendo una scopata, perché sto per buttare giù questa fottutissima porta!

 James voleva dirle che la amava, ma quel che fuoriuscì dalle sue labbra fu tutt'altro.
Dannato Merlino. Giuro che questa volta sei morto, Black.

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