PARANORMAL ACADEMY

di Black_Sky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** mondi in collisione: arriva il male sulla Terra? ***
Capitolo 4: *** Puzza di bruciato: amico o nemico? ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


prologo
L’aria era tiepida, il sole di metà settembre illuminava il cielo e un leggero venticello faceva muovere lievemente le foglie degli alberi.
L’estate era appena terminata, bambini e ragazzi erano alle prese con i primi giorni di scuola, quelli in cui si è felici di rivedere i propri amici, dopo mesi di vacanza, anche se con la consapevolezza che la voglia di alzarsi alle sei di mattina sarebbe sparita nell’arco di una settimana o due.
Non si poteva dire la stessa cosa però, delle tre ragazze dall’aspetto così insolito che andavano a passo spedito verso il grande cancello in ferro battuto che divideva la strada da un grande edificio color pesca.
Molti si giravano quando le vedevano arrivare, parecchi occhi erano puntati su di loro, forse per le loro voci squillanti e per le loro risate cristalline, oppure per il loro strambo abbigliamento.
Una aveva i capelli che partivano viola, fino ad arrivare ad un rosa molto intenso sulle punte.
Era mediamente alta, con un fisico normale ed aveva il septum e un dilatatore da 2 cm all’orecchio destro.  Indossava delle collant nere, degli shorts in jeans chiaro e un maglione qualche taglia in più della sua di un color verde smeraldo.
La seconda aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, lisci come spaghetti, con una graziosa frangetta. La cosa insolita nei suoi capelli era probabilmente il colore: come l’altra aveva i capelli tinti, ma lei di due colori, metà testa era di un azzurro cielo, mentre l’altra metà rosa confetto.
Indossava dei leggins neri ed una felpona in pile bianca con delle stampe colorate sul retro, il tutto abbinato a delle Converse bianche completamente ricoperte da scritte e disegnini colorati.
L’ultima era più piccola e minuta rispetto le altre due, aveva i capelli completamente legati in treccine color cioccolato fondente, gli occhi grandi e azzurri nascosti dietro a degli occhiali grandi con le bacchette gialle.
Indossava dei pantaloni a vita alta a righe bianche e nere verticali, con due file di bottoni dorati nella parte alta e una camicetta con le maniche a sbuffo bianca con un fiocco nero. Ai piedi aveva delle creepers nere e sulla spalla aveva una borsa in cuoio marroncino, con le cinghie dorate.
Stavano camminando velocemente, come tutti i lunedì mattina, verso la loro “Scuola”.
Sapevano di avere tutti gli sguardi puntati addosso, era così tutte le volte, da quando scendevano dal treno fino a quando varcavano la soglia del cancello in ferro, c’era molta gente che le guardavano male, perfino bambini che le puntavano il dito contro, ragazzi che le osservavano curiosi.
Entrarono di corsa nell’edificio, che frequentavano ormai da 2 anni.
Per arrivare in classe passarono davanti al bancone dei bidelli, che le guardavano sorridendo e mimando un no con la testa, attraversarono il corridoio sul quale si affacciavano le classi dedicate allo studio, scesero le scale in marmo e corsero verso la loro classe, passando dal corridoio completamente coperto da murales, fino a trovarsi di fronte alla porta arancione della loro aula speciale.
Aprirono la porta, entrarono nell’aula ed in silenzio arrivarono al loro posto, passando accanto alla professoressa intenta a fare l’appello.
Andarono al proprio posto sperando di non essere troppo in ritardo e di non essersi fatte notare dall’insegnante che però parve sentire i loro pensieri e disse : << Bhè, buon giorno anche a voi. Comunque fatevi spiegare da questi fannulloni dei vostri compagni cosa ho appena spiegato. Poi iniziate anche voi. >>
La ragazza dai capelli bicolore andò vicino ad un’altra ragazza che stava cercando di prendere una scatola sull’ultimo ripiano dell’armadio, senza però arrivarci.
La ragazza le andò vicino e si appoggiò all’anta del mobile.
<< Ciao Giorgia, vuoi una mano? >> chiese con tono divertito la ragazza.
L’amica sobbalzò, per poi mettersi a ridere fragorosamente per lo spavento.
<< Ciao Sara … Sì, non è che potresti prendermi la scatola nera  là sopra? >> chiese poi imbarazzata.
Giorgia era una ragazza dai capelli arancioni fluo lunghi fino alle spalle e gli occhi grigio-verde brillante. Indossava una felpa grigia e dei jeans blu, con delle Converse nere. Era molto bassa, non raggiungeva il metro e cinquantacinque  e spesso veniva scambiata per una primina nonostante fosse ormai in terza.
Sara le prese la scatola e gliela porse, per poi chiedere cosa avesse spiegato la prof.
<< Bhè, ci ha parlato della missione di Alessia e Adrian e ci ha spiegato come affrontare un licantropo di secondo livello. >> spiegò la ragazza dai capelli arancioni. L’altra sobbalzò a sentire il nome dell’amica che ormai era in missione da quasi una settimana.
Era partita con il suo compagno e non si erano più avute loro notizie.
<< Alessia?? Cosa le è successo?! >> chiese preoccupata alzando la voce e guadagnandosi un occhiataccia dalla professoressa che stava sbraitando contro un ragazzo.
<< Non ti preoccupare, hanno detto che lei a Adrian erano in missione speciale e hanno trovato una nuova recluta. Avremmo una nuova compagna di scuola, il suo nome è Xenia, ha 15 anni. E domani tornano a scuola … mi sa che dovremmo andare in infermeria a trovarli, perché hanno detto che Adrian si è rotto un braccio e Alessia si è ustionata una gamba … >>
Era frequente che durante le missioni gli studenti si facessero male, molti si rompevano qualche osso, altri si prendevano malattie. Anche se in pochi alcuni erano morti durante le missioni: si potevano contare sulle dita di una mano. Una era una ragazza che frequentava il secondo anno, che andata in missione con la compagna del quarto si era lasciata trascinar via da un vampiro che l’aveva ammaliata e che poi l’aveva uccisa sotto gli occhi dell’amica. Altre vittime delle missioni furono tre ragazzi, uno del primo anno e due del terzo, che nel cacciare un lupo mannaro vennero catturati e uccisi poco dopo.
Oltre a questi però nessun altro era stato ferito davvero gravemente, ance se molti erano andati vicini.
Alessia e Adrian erano due ragazzi molto svegli, anche se spesso si trovavano in mezzo a guai seri, forse per l’impulsività di Adrian quasi sempre, dopo le missioni entrambi finivano spesso in infermeria.
<< Come al solito … quei due prima o poi si faranno male sul serio … >> disse sconsolata Sara, con una mano sulla fronte e  l’altra sul fianco.
<< Bhè ora mi sa che dovremmo iniziare … ma aspetta un po’… mi devi spiegare alcune cose … ad esempio … cos’è questa storia che esci con Munel Colucci ? >> aggiunse ridendo l’arancione, picchiando una mano sulla spalla dell’amica che la fissava a bocca aperta.
<< E tu come lo sai? >>
Come poteva saperlo? Era un segreto, nessuno a parte Alessia, Elisa, Federica e Gaia lo doveva sapere.
In fondo era poco tempo che erano fidanzati e lei lo aveva detto solo alle sue amiche più intime.
Lui era di due anni più grande e lei aveva paura del giudizio della gente.
Si erano conosciuti circa un mese prima, lui si era proposto come rappresentante d’istituto, lei lo aveva visto e da quel momento se ne era perdutamente innamorata. Lui dapprima non la considerava, anzi, non sapeva neanche della sua esistenza, non sapeva che lei tutti i giorni lo aspettava vicino alle scale per vederlo passare oppure sorridere ai suoi amici che lo aspettavano sempre per poi uscire a fumare.
Si erano conosciuti per caso, dopo che Federica l’aveva spinta facendola sbattere contro di un ragazzo di nome Sam, nonché amico di Manuel che si era avvicinato ridendo ed aiutandola a rialzarsi.
Da quel momento lui l’aveva sempre salutata  e molte volte si erano anche parlati. Dopo quasi una settimana lui andava a trovarla ad ogni pausa pranzo e spesso si sedeva con lei a pranzare, sotto lo sguardo divertito dei suoi amici e delle amiche di lei.
 Le aveva chiesto di essere la sua ragazza solo quattro giorni prima, durante l’intervallo delle due e lei non aveva esitato d accettare.
Manuel Colucci era un tipo molto particolare: aveva i capelli lunghi fino alle spalle metà castani e metà verde prato, gli occhi erano del colore della cioccolata calda, che infondevano serenità e dolcezza. Non era molto alto per avere diciassette anni, aveva un fisico asciutto e la pelle abbronzata. Indossava sempre dei jeans a sigaretta con felpe di ogni colore e forma. Era uno dei ragazzi più belli della scuola ed era per quello probabilmente che aveva vinto le elezioni e forse anche per quello che non voleva che si sapesse del fidanzamento. Era capitato solo l’anno prima che delle ragazze minacciassero la sua fidanzata con frasi spiacevoli e non voleva che la cosa si ripetesse.
Lei non aveva detto nulla ed aveva accettato la cosa anche quando lui era stato eletto secondo più popolare della scuola, dopo un certo Marco Castellini e prima del fratello di quest’ultimo, tale Luca.
Ma come faceva a saperlo Giorgia? Lei non aveva detto nulla tranne che alle sue amiche che le avevano promesso che non avrebbero detto nulla a riguardo. Oltre a loro però lo sapevano anche Marco e Luca, che li avevano visti baciarsi in casa di Manuel, il giorno prima, dopo che i tre avevano fatto un video in diretta con la scuola per ringraziare quelle che li avevano votati più popolari.
Infatti lei era a casa del suo ragazzo quando i due ragazzi sono entrati di colpo vedendoli.
Si erano poi seduti davanti alla webcam, mentre lei si era accomodata in salotto a chiacchierare con la mamma di Manuel fino alla fine del video.
Era poi tornata su dopo un quarto d’ora, assicurandosi che avessero finito di  registrare il video.
Quando aveva sentito Manuel dire << Ok, Luca spegni la webcam , abbiamo finito >> era entrata ed aveva aspettato che Luca si risedesse, con il cellulare in mano come probabilmente aveva fatto per tutta la durata del video, per messaggiare con chi non si sa, dopo aver spento la telecamera.
Poi lei era andata a baciare Manuel e insieme avevano spiegato ai due fratelli della loro storia.
<< Allora, come lo sai? >> chiese lei di nuovo.
<< Credo che tutti vi abbiano sentito parlare ieri, sai, Luca sarà anche popolare e carino ma è un idiota totale. >>
<< Non dirlo, la webcam era accesa, vero? >> chiese consapevole della risposta.
L’arancione fece segno di si con la testa e poi la guardò curiosa come non mai di sapere tutto.
Naturalmente non seppe nulla poiché una certa persona dalla chioma viola cadde a terra, facendo girare tutti quanti.
<< Elisa, ti sei fatta male? >> chiese Sara correndo verso l’amica, felice di non dover spiegare niente a nessuno.
Elisa era la ragazza più imbranata e pasticciona che potesse esistere sul pianeta Terra, ma forse anche nell’universo, non c’era lezione che non cadesse o riuscisse a fare subito un esercizio correttamente senza cadere, farsi male oppure urlare come una pazza. Ma in fondo era una delle sue migliori amiche proprio per questo: si compensavano, erano il magnifico quintetto.
Sara, Elisa, Gaia, Federica e Alessia.
Insieme erano il gruppo perfetto, pur essendo totalmente diverse tra loro. Si compensavano, erano i pezzi di un puzzle che combaciavano perfettamente: se a una di loro fosse successo qualcosa le altre sarebbero andate in tilt, fuori controllo.
Si conoscevano da appena due anni e già erano diventate inseparabili.
Sara porse la mano all’amica che si rialzò senza perdere il sorriso che la caratterizzava: nessuno era mai riuscita a toglierle la risata, tranne Luca Castellini, per il quale aveva una cotta dall’aprile dell’anno precedente e che molte volte l’aveva fatta piangere.
Non perché fosse una cattiva persona, anzi. Lui era popolare tra le ragazze e se ne vantava un sacco, ne cambiava una ogni due settimane ma non era questo che la faceva stare male. La infastidiva il fatto che fumasse, che si facesse di canne tutti i giorni e che non rinunciava mai ad ubriacarsi . la vita era già breve, pensava, perché un ragazzo doveva distruggersela così? Non sapeva neanche il motivo per cui si fosse innamorata di quel ragazzo tanto stronzo e stupido quanto bello. Quando le si faceva la domanda lei rispondeva che “bho, in fondo l’amore è cieco …”, non le piaceva per l’aspetto, ma non le poteva piacere sicuramente per il modo di fare o per il carattere.
<< Grazie, Sara … >> disse lei ridendo.
Teneva in mano una spada e probabilmente era stata la sua scarsa abilità con le armi che l’aveva portata a cadere rovinosamente per terra. Lei era abituata ad usare le sue amate pistole e non sapeva adattarsi alle altre armi. Più volte Sara aveva provato ad insegnarle come utilizzare il suo tridente, Gaia a farle provare la falce e Alessia la sua spada ma nulla. L’unica che aveva avuto un piccolo successo era stata Federica che le aveva insegnato ad usare il mitra.
<< Hai sentito, Alessia e Adriano si sono messi di nuovo nei guai … chissà cos’è successo questa volta. >> rifletté la viola.
<< Bhé, io so solo che se non torniamo ad allenarci la Pagani ci mette due e poi ci caccia fuori come ha fatto con Ale, l’ultima volta … >> disse Sara avvicinandosi alla postazione con le armi. Impugnò arco e frecce e, seguita dall’amica che lasciò giù la spada per prendere anche lei arco e faretra, si avvicinò a due ragazze che stavano parlando animatamente. Una aveva i capelli biondi, occhi castani  e l’altra i capelli arancioni carota e occhi blu mare. Entrambe erano alte e magrissime, con i capelli lunghi e indossavano gli stessi vestiti: canottiera fucsia e leggins neri, con degli anfibi neri la prima e Vans grigie la seconda. Erano Martina e Beatrice, due delle più popolari in tutta la scuola. Erano vanitose e un po’ipocrite ma erano dei maghi con arco e frecce e quindi le due insegnanti perfette per due tipe che con la mira andavano poco d’accordo.
<< Ehi Sara, Elisa … pronte per iniziare? >> disse ridacchiando Bea, fissandole con aria superiore.
<< Già guardate che oggi non vi risparmieremo … >> aggiunse l’altra.
<< Pronte >> risposero in coro le due amiche, per poi mettersi a tracolla le faretre e impugnare l’arco.
Andarono alla  parte di sala dedicata al tiro e iniziarono a lanciare qualche freccia. Sara se la cavava, qualche volta riusciva persino a prendere le x rosse segnate sui manichini che stavano appesi in diverse pose dall’altro lato dell’aula.
Questa infatti era ampia, molto più grande di qualsiasi altra, con un diametro di circa 75 metri. Era vastissima, di forma ottagonale, con il soffitto di circa quindici metri di altezza e le pareti grigie.
Sul muro di fronte all’entrata c’erano disposte ogni varietà di armi: dalle katane, alle pistole, dagli archi ai tridenti. Sulla destra c’era poi un armadio in acciaio, con garze e kit per il pronto soccorso, oltre che aggeggini strani che utilizzavano i ragazzi di quarta e quinta.  Sulle pareti accanto, rispettivamente una a destra e una a sinistra, si trovavano i manichini con segnati i punti in cui colpire, che si muovevano azionandoli con il computer che stava su una mezza colonna e che faceva funzionare tutto il resto.
Andando a destra poi c’era una pedana rialzata di almeno mezzo metro che serviva per i combattimenti corpo a corpo, accanto invece c’era una delle cose più strane che si potessero trovare: tramite il computer e un sistema efficientissimo di apparecchi supertecnologici quella parte di sala diventava un qualsiasi paesaggio con animali, oggetti e persone in movimento da poter colpire.
Erano ologrammi ben fatti e non erano radi come i soliti: se dovevi colpire un cervo questo ti si presentava davanti come se fosse reale.
Dall’altra parte poi c’era una vasca con delle piattaforme galleggianti, con accanto un percorso che si poteva regolare con il computer, con ogni genere di ostacoli molto difficili da superare.
Insomma, l’allenamento non era sottovalutato ed in media una classe stava in quell’ “aula speciale” per quasi quattro ore al giorno.
Quando la porta di quell’aula si chiudeva non si riapriva fino a quando le due ore stabilite non erano terminate.
La seconda si allenava dalle sette fino alle nove, la mattina e la sera dalle cinque alle sette. Dalla terza in poi ci si allenava tre ore ed in prima cinque.
Oltre le ore di allenamento speciale c’erano due ore di arte, poi italiano, inglese, russo, mandarino, algebra, geometria, scienze e corsi di recitazione.
Inoltre era obbligatorio svolgere almeno tre corsi extra.
Si tornava a casa il sabato sera, per poi tornare il lunedì mattina. Il resto della settimana dormivano a scuola, in camere da sei, tutti divisi per età e sesso.
Suonò la campanella che segnava la fine di due delle ore più intense della giornata e tutti uscirono dall’aula di fretta, come se fossero statti un branco di pecore e non degli studenti della scuola di agenti del paranormale più famosa al mondo.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO PRIMO: chi non muore si rivede
Stavano correndo per i corridoi come al loro solito quando si trattava di pausa pranzo.
Dopo le due ore più pesanti della giornata, una d’italiano,due di algebra e una di storia finalmente potevano mangiare.
<< Cibooooo !!! >> urlò Sara correndo verso il bancone del paninaro con i soldi in mano. Insieme a lei correva anche un’altra ragazza, più bassa di lei, con i capelli ramati e un vestito verde petrolio.
Era Federica, quella che l’aveva spinta contro l’amico di Manuel, quella che, in pratica, li aveva fatti conoscere.
Dopo aver preso il pranzo si sedettero in cortile, aspettando Elisa e Gaia che erano andate in bagno.
Arrivarono poco dopo, ridendo come due cretine.
<< Indovina chi abbiamo incontrato?! >> disse Elisa sedendosi accanto a Federica sul muretto in pietra.
<< Dai, abbassa la voce! Ti sentiranno tutti! >> disse la ragazza con le treccine urlando a sua volta e facendo girare molte teste. Loro erano così, quando Elisa urlava, dato il suo tono di voce troppo alto, loro per farla smettere urlavano ancor più forte. Insomma, non era una cosa molto intelligente, però era così … in fondo quando stavano insieme ogni logica andava in fumo.
<< Mhhhh …. Fammi indovinare …. Marco e Luca? Ma per caso è … >> disse Sara dopo aver fatto finta di ponderarci su un po’.
S’interruppe quando vide varcare la soglia della porta-finestra il suo fidanzato, seguito dai due fratelli Castellini  e diverse occhiate.
Molti le avevano mandato occhiatacce tutto il giorno, tra ragazze invidiose e ragazzi che la guardavano e ridevano, convinti che fosse una delle solite ragazze facili che si faceva Manuel. 
Il ragazzo la notò e le andò in contro, con gli altri due al seguito.
Le altre tre ragazze non se ne accorsero nemmeno, troppo impegnate a sbranare i loro panini con la cotoletta e insalata.
Appena Manuel fu abbastanza vicino prese Sara per un braccio, baciandola e lasciandola di sasso. Avevano quasi tutti gli occhi puntati addosso e nessuno sembrava voler distogliere lo sguardo da quella scena così inusuale.
<< Tanto ormai lo sanno tutti no? Sarebbe inutile fingere>> disse poi staccandosi da lei ancora scioccata.
<< Sì lasciatelo dire, hai un idiota come amico. >> rispose lei guardando Luca malissimo che nel frattempo era rimasto assieme al fratello ad osservare la scena.
A quell’affermazione le tre ragazze, che nel frattempo erano state così impegnate  a mangiare il loro panino, alzarono la testa.
Elisa e Gaia saltarono dalla sorpresa nel vedere i due ragazzi che stavano in piedi accanto a loro. Federica, dal canto suo, si mise a fissare la scena ridendo come una pazza pensando a quanto fosse esilarante la scena.
Se ci fosse stata Alessia sarebbe scoppiata a ridere vedendo la faccia di Gaia ed Elisa. La prima stava fissando il maggiore dei due, rossa come un peperone e con un sorriso ebete in faccia, mentre la seconda era presa a fissare Luca  che era grato di spalle e fissava il telefono.
 
Ad interrompere questi pensieri profondi fu proprio Luca, con un urlo che neanche una ragazzina avrebbe saputo fare. Sara aveva deciso di punirlo e per questo aveva iniziato ad inseguirlo con le braccia alzate e lo sguardo minaccioso, mentre lui, preso di sorpresa, correva in cerca di riparo.
Continuarono a rincorrersi sotto lo sguardo scioccato di molti che se la ridevano per quasi 10 minuti, fino a quando a Luca vibrò e lui si fermò improvvisamente, beccandosi uno schiaffone in faccia da Sara.
Lui rispose al messaggio sotto lo sguardo amareggiato di Elisa che era rimasta ad osservare la scena di poco prima. Perché la sua amica parlava e scherzava con Luca e lui non sapeva neanche della sua esistenza? Perché nonostante tutti i suoi sforzi di perdere peso l’anno prima lui non l’aveva notata? Perché non0stante aver perso quasi venti chili lui non la guardava?
Probabilmente perché era troppo impegnato con le sue amichette oche, bionde tinte e senza pensieri propri, troppo occupate a seguire la moda per impegnarsi davvero in qualche cosa. Quelle che lo aspettavano fuori da scuola, le solite ragazze che non cercavano davvero una storia seria.
 
Probabilmente perché lei non era così , perché li era timida, insicura e con l’autostima sotto la suola delle scarpe.
Ci rimaneva sempre male quando lui usciva con una di quelle oche, si struggeva al pensiero che non l’avrebbe mai notata … stava male perché pensava di essere brutta, obesa e senza capacità.
Elisa era così, fin dall’anno prima, quando si erano conosciute: a quel tempo era più robusta delle altre, e si vergognava del suo aspetto, del suo modo di essere.
Quando poi però, in un giorno di Aprile, incontrò Luca Castellini cominciò a seguire una dieta del tutto priva di fondamento logico, aveva smesso di mangiare quasi del tutto ed a dimagrire a vista d’occhio. Le sue amiche poi la convinsero a mangiare, le offrivano panini, cioccolato, mele … qualsiasi cosa pur di farla tornare sorridente come era prima d’iniziare. Ci riuscirono dopo quasi quattro pesantissimi mesi di sofferenza per tutti.
Nonostante ciò lei pensava ancora di essere grossa, di essere più brutta delle sue amiche, di non poter meritare un ragazzo per il proprio aspetto.
Stava ancora pensando ai suoi sacrifici per dimagrire quando Sara le si avvicinò.
<< Luca, Marco, loro sono le mie amiche Elisa, Gaia e Federica. >>
Disse con aria felice, per poi tornare ad abbracciare Manuel.
<< Ciao, piacere >> dissero Gaia ed Elisa porgendo le mani ai due, che le strinsero con un grande sorriso stampato in faccia mentre Federica sorrideva a quella vista.
<< Beh è stato un piacere, ora scusateci ma dobbiamo andare, sapete … l’ora dopo abbiamo una verifica importante di Mandarino quindi ci si vede in giro >> disse poi Marco, portandosi via Luca.
Sara e Manuel nel frattempo si erano dileguati e le tre rimasero sole.
Si erano nascosti da ormai due ore buone.
Il settimo sole era tramontato e sull’ex Villaggio della Tredicesima Stella regnava il più assoluto silenzio, dopo ore ed ore di grida.
Il fuoco si era spento.
I corpi dei morti erano bruciati tutti quanti.
Il poco vento che c’era aveva trascinato con se l’odore di sangue, forte, che ti entra nel naso e ne lascia il sapore nella gola.
Erano gli unici sopravvissuti.
Loro tre, solo loro.
Le tre figure incappucciate erano rimaste a guardare impotenti il fuoco che divampava e il popolo dei Kamivash che uccideva quelli che riuscivano a scappare, per poi fuggire con il bottino.
Decisero di scappare, solo loro tre.
 
Si trasformarono in luce e oltrepassarono il primo cielo e poi si ritrovarono nel nero dell’Universo.
La pausa era finita ormai da un’ora e Sara, Gaia, Elisa e Federica erano in classe a seguire quella che doveva essere la lezione di “strategia e tecnica di guerra”.
Quando poi nella classe entrò una delle bidelle, dai capelli bianchi,ricci e con un camice rosso, quello della scuola. Era una donna sulla cinquantina, che solitamente portava i messaggi della preside. Disse qualcosa alla professoressa per poi andarsene salutando tutti con un grande sorriso.
Quando si chiuse la porta la lezione riprese, senza più interruzioni.
Quella settimana la professoressa aveva deciso che avrebbe dedicato le ore pomeridiane di allenamento alla teoria.
<< Prendete appunti. Riprendiamo da quello che abbiamo iniziato ieri. Tecniche di guerriglia e armi da fuoco. Per prima cosa, Alexander cosa abbiamo detto ieri a proposito di questi due argomenti? >> chiese la professoressa ad un ragazzo che stava in ultima fila, seduto su uno sgabello, impegnato a conversare con una ragazza.
Appena sentì il suo nome Alexander, per gli amici Alex, sobbalzò, facendo una faccia da pesce lesso con un enorme punto interrogativo stampato in faccia.
<< Ehmm, può ripeter la domanda prof? Non ho capito … >> chiese lui cercando una via d’uscita.
<< Quindi non sa la risposta? >> chiese l’altra di rimando.
Era sempre così. Quando qualcuno veniva interpellato e non sapeva la domanda lei metteva in scena quel teatrino solo per fargli fare la figura della capra davanti alla classe.
<< Eh, se non so la domanda come faccio a risponderle? >>
<< Bene, allora vorrà dire che aggiungeremo una bella settimana di congedo dalle Missioni speciali … non potrà uscire da scuola mi ha capito? Spero di essere stata chiara … anche se io sono Luisa >>

Perché si ostinava a fare quelle battutacce che facevano ridere solo lei lo sapeva solo il Signore.
Alex ritornò poi a fare i fatti propri, e la lezione continuò senza interruzioni. Solo la voce della professoressa si sentiva in tutta l’aula, forse perché la lezione era interessante o, più probabilmente, si erano tutti addormentati.
Suonò la campanella di fine ora e gli studenti corsero fuori dall’aula.
Alex stava scappando fuori quando la prof lo fece tornare indietro.
<< Alexander Sherwood ,sappia che sono molto delusa da lei, nonostante rimanga sempre uno dei miei studenti migliori. Per questo volevo avvisarla che se vuole posso farle un permesso per andare a trovare Alessia e Adrian che sono appena tornati dalla loro missione e come al loro solito sono in infermeria. Lo stesso vale per le tue compagne, le quattro dell’Ave Maria. >>
Quindi Alessia e Adrian erano tornati … ecco perché la bidella era entrata di corsa durante la lezione …
<< Certo, grazie mille >>
E presi i cinque foglietti che la donna gli porgeva se ne andò di corsa, a cercare le altre quattro ragazze.
Le trovò nella loro stanza, al secondo piano, nell’edificio affianco a scuola.
Bussò alla porta e gli aprì Federica, che saputa la notizia del ritorno dell’amica avvisò le altre che uscirono di corsa dalla camera verso l’infermeria del  sesto piano.
Fecero vedere i permessi all’infermiera ed entrarono.
Varcata la soglia della porta color cremisi si trovarono nello spazio più triste e desolato della scuola.
Il lungo corridoio bianco con i letti disposti in fila era completamente bianco, pareti, soffitti e pavimenti compresi. I letti erano in acciaio e con le lenzuola bianche, le tende che dividevano i letti erano bianche, gli stipiti delle finestre erano bianchi, le veneziane dietro ad ogni letto erano bianche.
Bianco, bianco ed ancora bianco.
Per questo non fu difficile notare le sagome dei due arrivati distesi su due dei lettini .
Adrian aveva la pelle abbronzata, in contrasto con i capelli biondissimi e gli occhi ghiaccio. Indossava un cappellino con la visiera rigido viola, abbinato alla felpa con cappuccio e senza maniche che portava aperta, con dei pantaloni abbastanza larghi di jeans che gli arrivavano alle ginocchia e che sembravano volergli cadere da un momento all’altro.
Aveva stampato in faccia un’espressione da duro che spesso lasciava posto ad un grande sorriso.
<< Ehi bella Adri …>> lo salutò Alex.
Erano totalmente diversi ma erano praticamente come fratelli.
Alexander infatti era uno di quei ragazzi che pur essendo particolari, vanno d’accordo con tutti. Anche nell’aspetto erano come il giorno e la notte: Alex aveva i capelli lunghi fino alle spalle, di un biondo quasi platino, la pelle diafana e gli occhi neri come due pozze. Inoltre era alto e magro mentre l’altro aveva dei muscoli che molti gli invidiavano.
Adrian si girò e gli fece cenno di avvicinarsi.
Nel letto di fronte l’infermiera stava ancora medicando Alessia.
Le amiche aspettarono e appena la donna si fu allontanata andarono dall’amica che rivolse loro un gran sorriso.
Anche sul letto dell’infermeria Alessia era inquietante.
Aveva i capelli celesti tirati in piedi con del gel, che sparavano da tutte le parti, con il ciuffo che le copriva l’occhio destro, lasciando intravedere l’altro di un indaco intenso. In quel momento indossava una canottiera bianca abbastanza grande e dei pantaloni neri stretti. La giacca che era appoggiata ai piedi del letto era però il suo marchio distintivo: era rossa, con due file di bottoni decorate come le giacche dell’ottocento con ricami dorati, il collo ampio come quello delle giacche da uomo, il polsi rigirati con il bordo dello stesso colore dei ricami e sulle spalle aveva gli stessi cosi che hanno quelli del circo, dorati anche loro e con le frange.
<< Ehi, chi non muore si rivede eh Ale? >> disse ridendo Sara, andando ad abbracciare l’amica, seguita a ruota dalle amiche che si gettarono a pesce sul letto, ridendo come pazze.
<< Eh gia … ehi attenzione alla gamba … >> rispose Alessia.
<< A proposito di gamba … Adrian che hai combinato questa volta? >> chiese Elisa guardando il lettino di fronte e aspettando una risposta.
<< Bhe diciamo che ci siamo fraintesi ed ho scambiato Alessia con il mutaforma e l’ho ustionata, incendiando la foresta dove ci trovavamo e facendomi cadere un albero addosso per poi scoprire che il mutaforma in verità era una ragazzina che aveva paura … insomma un casino per niente. >> rispose lui diventando bordeaux quando sentì ridere tutti, compresa la compagna di avventure.
Ormai lei era talmente abituata che non ci faceva più caso … infondo lei non provava dolore tranne in alcuni casi particolari quindi non era un problema per lei. L’unica cosa era che l’avventatezza del ragazzo l’avrebbe sicuramente ucciso qualche volta … era troppo impulsivo e per questo era stato abbinato a lei quando il primo anno li divisero in coppie.
Passarono l’intera sera a parlare fino alle dieci e trenta, ora del coprifuoco, poi ognuno nella sua stanza e lasciarono Adrian e Alessia stanchissimi in infermeria.
Quella notte però nessuno dormì sogni tranquilli.
Almeno, lo fecero fino a quando tre “cose” luminose precipitarono nella fontana al centro del cortile distruggendola completamente.
 

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Capitolo 3
*** mondi in collisione: arriva il male sulla Terra? ***


2
Mondi in collisione: il male arriva sulla Terra?
Un tonfo improvviso fece sobbalzare i due ragazzi in infermeria, che si svegliarono di colpo.
Si guardarono negli occhi e, quando la sirena d’allarme della scuola suonò, non esitarono a saltare giù dal letto e correre verso il cortile centrale, dove molti ragazzi in pigiama stavano correndo in massa.
I professori erano tutti lì, dalla prof di storia a quello di arte, persino i bidelli e le infermiere erano accorsi.
Alessia e Adrian arrivarono affannati, col fiato corto e cercarono gli altri.
Sara, Gaia, Elisa e Federica, stavano chiacchierando, tutte sedute in cerchio per terra, a gambe incrociate, dei fatti loro, quando sentirono muoversi qualcosa fuori dalla porta.
Qualcuno poi bussò forte, con colpi secchi.
Le quattro non fecero in tempo ad alzarsi che sentirono la voce calma e monotona della direttrice invitare tutti quanti ad uscire dalle camere.
Si tirarono su di colpo ed aprirono la porta: si trovarono davanti al caos più totale, ragazze che correvano verso la scala, gente che non sapeva cosa fare e chi urlava irritato per essere stato svegliato così in malo modo. C’erano le ragazze di terza , quarta e quinta che stavano spingendo per scendere e nella mischia cercarono qualche altra ragazza della loro classe, intanto scendevano, spinte dalla folla.
Varcarono la porta e si trovarono, al posto che davanti alla grande fontana che solitamente troneggiava al centro del cortile, ad un enorme cratere, di almeno cinque metri di profondità.
<< Sara! Siamo qui! >> si sentì chiamare la ragazza che si girò e trovò Adrian e Alessia che le correvano incontro.
La terra tremò.
Scosse violente e forti che misero paura a molti.
Poi una luce abbagliante fece chiudere gli occhi a tutti gli studenti.
Dopo qualche secondo questa scomparve, lasciando posto a tre figure rannicchiate nel centro del cratere.
Due ragazze e un ragazzo, con le orecchie a punta e i vestiti sporchi di sangue.
Il ragazzo era alto, con le spalle larghe. Aveva una mantella bianca, dei pantaloni neri e degli stivaletti. I capelli erano bianco latte e gli occhi azzurrissimi sembravano caldi in confronto al resto.
Si guardava attorno spaesato e quando un ragazzo si avvicinò, lui tirò fuori di colpo un arco con frecce e glielo puntò contro.
Tutti rimasero immobili, nessuno sapeva cosa fare.
Poi la voce della preside rimbombò nel silenzio.
<< Voi, giovani elfi, dovete essere i sopravvissuti della Tredicesima Stella! Benvenuti sul pianeta Terra! >> disse con la solita voce monotona, accennando a qualche cosa come la gioia.
<< Bello schifo, c’è puzza >>
A parlare era stata una delle due nuove arrivate.
L’elfa era piccola, minuta, con i capelli lunghi e argentati, gli occhi scuri e un tatuaggio sulla guancia destra. Indossava le stesse cose del fratello ed un cappello in pelo bianco, con una piuma attaccata, come quella sul cappello degli alpini.
L’altra elfa era totalmente diversa: aveva i capelli color perla, a caschetto con una graziosa frangetta corta che faceva apparire due occhi verde acqua. Indossava dei pantaloni leggeri e larghi, col cavallo basso, marroni con la fascia in vita dorata e un top del medesimo colore senza spalline e corto, che lasciava scoperto l’ombelico accanto al quale spiccava un tatuaggio nero.
<< Comunque siate i benvenuti, Federico, accompagnali nelle loro nuove stanze >>
Il professore, sentendosi chiamato in causa fece un passo avanti, e fece segno ai nuovi arrivati di seguirlo. Egli era un uomo sui 40 anni, ma che ne dimostrava circa 10 in più. Indossava sempre camice chiare e pantaloni colorati a vita alta e quella notte portava un giaccone come quello di Sherlock Holmes.  
Li guidò sotto lo sguardo incuriosito di tutti i ragazzi che osservavano i tre nuovi compagni.
***
Camminava leggera sul prato freddo e ghiacciato senza lasciare impronte .
Il freddo tetro del paesaggio si intonava alla sua figura, i capelli color latte cadevano morbidi sulla schiena, il vestito del medesimo colore cadeva morbido sul corpo minuto e sembrava non soffrire l’aria fredda della Svezia.
Era sola, almeno fino a quando una macchina nera spuntò improvvisamente, uscendo dalla strada e ribaltandosi.
Ne uscirono quattro ragazzi, borbottando in svedese.
Nessuno si accorse della strana figura bianca che quasi si confondeva con la neve.
Continuarono a parlare ed imprecare fino a quando con un ronzio la terra si squarciò e loro vennero risucchiati dal buio.
***
Era rimasta sveglia tutta la notte, aspettando l’ora per svegliare le altre che si erano addormentate come sassi non appena la loro testa si era appoggiata al cuscino del letto.
Lei invece non era riuscita a dormire, troppo persa nei suoi pensieri contorti sull’esistenza.
I capelli viola davanti al viso, gli occhiali sul naso e la bocca curvata in un piccolissimo sorriso rivolto allo schermo del cellulare che aveva in mano da ormai quasi due ore buone.
Aveva sbloccato lo schermo non appena aveva sentito vibrare il telefono.
Messaggi da facebook di gente che la invitava a provare giochi che le facevano schifo o di chi pubblicava cose a caso.
Non sapendo cosa fare era andata sul suo profilo di Ask, e stranamente aveva trovato una domanda.
“ ehi! Se fossi un ragazzo come vorresti essere? “ recitava la domanda anonima.
Ci pensò su prima di rispondere con un “ come sono ma con i capelli corti (?) lol “ ed inviare.
Si mise le cuffiette ed iniziò ad ascoltare la musica.
Qualche minuto dopo il telefono vibrò nuovamente e lei sobbalzò dallo spavento.
Aprì e di nuovo una domanda.
“ ehi, grazie per la risposta ahahahahah! :’) ma cosa ci fai sveglia a quest’ora? Se vuoi essere bella devi riposare !”
Lesse e diventò color ciliegia e pensò ad una risposta.
“ boh non riesco a prendere sonno, questa notte sono successe troppe cose strane… tu per primo/a …. Chi sei? “
Era più curiosa che mai, nessuno si era mai interessato davvero a lei se non per arrivare alle sue amiche (almeno questo era ciò che pensava). Aspettò poco e un’altra domanda arrivò.
“ non ci conosciamo direttamente, io ti conosco. Indovina… il mio nome inizia per L “
Luca, fu la prima cosa che pensò la ragazza.
Grazie alla sua autostima pari a quella di un pesce in decomposizione però si ricredette e lasciò vagare la mente cercando qualcun altro. Non trovando altri pensò ad uno scherzo.
Ma chi poteva essere? Sara e le altre erano in stanza con lei e ad Alessia avevano somministrato dei sonniferi dopo l’arrivo degli Elfi. E quindi? Sperava davvero che fosse Luca, lo aveva sognato per tanto ed ora si stava montando la testa per un messaggio anonimo.
“ ok qualcos’altro? :D”
“sono un po’più grande di te “
Ok ora stava impazzendo, se avesse trovato quella che le stava facendo quello scherzo da quattro soldi l’avrebbe ammazzata.
E se fosse stato davvero Luca, boh. Non era Luca, punto e basta. Ma se fosse stato lui?
E così non aveva risposto ed era rimasta a fissare appunto lo schermo con quei messaggi.
Si risvegliò dalla specie di trans in cui era caduta quando la sveglia suonò e le ragazze una ad una si svegliarono.
Si prepararono ed uscirono dalla stanza, attraversarono il corridoio ed andarono al bar a fare colazione.
Si sedettero nel piccolo bar della scuola ed ordinarono.
Le quattro erano sedute attorno ad un tavolino rotondo in vetro, con le gambe d’acciaio, come molti altri ragazzi .
Il locale era pieno di gente e c’era un gran rumore.
<< Quindi cosa pensi di fare? Non possiamo non andare con Masedu >>
<< Sì, le terme, che palle! Poi cosa me ne frega a me, io sono qui per imparare a sopravvivere mica per fare gite così perché a lui va! >>
Di questo stampo era la conversazione che stava prendendo una piega lagnosa.
Smisero di parlare quando la voce della professoressa Pagani interruppe i discorsi di tutti.
<< tutti gli alunni sono pregati di andare in Aula Magna immediatamente con ordine. La preside chiarirà ciò che è successo questa notte. >> e detto questo chiuse il discorso e gli studenti accorsero in massa nell’Aula Magna della scuola.
***
Loro cosa facevano lì? Il loro pianeta era stato distrutto e pensavano ad andare a scuola?!
Perché in quella scuola, dove avrebbero dovuto passare il tempo d’ora in avanti puzzava di traditori?
Erano sicuri tutti e tre di questo, sapevano riconoscere l’odore, lo avevano imparato tempo prima quando sul loro pianeta era iniziata la guerra che lo aveva fatto esplodere.
L’elfa con i capelli più lunghi era sdraiata sul suo letto a fissare il soffitto canticchiando una canzoncina che le aveva insegnato suo padre.
<< Cosa stai facendo Soph? >> a parlare era stato l’elfo.
<< Pensavo che presto questa gente capirà di dover morire >>
<< perché dici questo? Può essere solo un odore come un altro, almeno lo spero. >>
<< No, qui c’è puzza di male. >>
***
L’aula Magna era colma di alunni e professori per sentire il discorso della preside.
<< bene ragazzi, quello che è successo questa notte è un segno. Segno che il nostro mondo presto verrà attaccato da qualcosa di molto più forte di noi paranormali. Presto le strade puzzeranno di morte, i boschi si incendieranno, i mari diventeranno neri e la mente delle persone verrà corrotta. >>
La preside aveva iniziato a parlare, come in trans.
Era raro vederla a scuola con il corpo s’intende. Era sempre chiusa in presidenza, nessuno se non con un permesso speciale poteva andare e lei non si era mai mostrata, parlando sempre telepaticamente oppure con il sistema che era installato in tutte le aule e stanze dell’edificio.
Era una donna con i capelli scuri, portava gli occhiali e si vestiva come un’ottantenne, con maglioni in lana scuri e pantaloni rigorosamente neri.
Nessuno capì quello che voleva dire.
Il mondo era in pericolo e loro erano stati addestrati per questo. Ma erano pronti davvero?
<< Comunque tutto continuerà come prima ma con molta più attenzione. Per chiarire chi sono i nuovi alunni vi racconterò quello che so. Nell’universo ci sono milioni di stelle, tra cui quello che noi chiamiamo Sole. Di stelle simili ce ne sono altre 7, in ordine il nostro Sole è l’ottavo. Io lo so poiché provengo dal terzo Sole e lì ho studiato l’universo. Poi qualcosa accadde. La mente di molti venne occupata da esseri malvagi e questi non riuscirono a combatterli, finendo con il diventare crudeli e sena scrupoli. Uccisero tutti ma io riuscii a scappare con cinque sopravvissuti. Ognuno di noi si stabilì su un pianeta di un Sole diverso, io venni qui, sulla Terra e fondai la scuola. Purtroppo però tutti gli altri Soli con i rispettivi pianeti sono stati distrutti. Tutti in ordine. Ogni volta che uno di questi moriva con esso perdevano la vita anche i miei compagni di viaggio, con cui sono in contatto telepaticamente. Quindi il Sistema Solare sarà il prossimo >>
Ora si spiegava tutto.
Un brusio generale si trasformò in domande a raffica e si creò il caos più generale.
Tutti tornarono in classe, più spaventati di prima. Le lezioni diventarono più pesanti e le missioni più frequenti.
Dopo quasi un mese nella scuola erano arrivati altri paranormali e addestrati.
Il mondo fuori sembrava calmo e tranquillo, forse era per questo che tutti erano agitati: peggio della guerra era la calma che la precedeva.
Il fresco dell’autunno aveva lasciato posto al freddo invernale e finalmente arrivò il giorno della prima gita dell’anno che nonostante tutto avevano deciso di non sospendere.
Adrian e Alessandro stavano parlando in fondo all’autobus, altri ascoltavano la musica, altri ancora dormivano, c’era persino chi leggeva o puliva la propria arma.
Quando scesero dal pullman gli studenti seguirono volentieri il professore di storia dell’arte che con passo veloce conduceva il gruppo.
Si fermarono davanti a due colonne altissime, che facevano da entrata.
<< vedete ragazzi, queste colonne in porfido rastremate sono di ordine ionico e reggono la trabeazione. Osservate la maestosità della struttura ragazzi ed ora seguitemi. >> e detto questo, con gesto teatrale passò le colonne.
Quel luogo era bellissimo eppure così ambiguo e inquietante, scuro e tetro.
Visitarono ogni angolo e dopo quasi tre ore si trovarono in un corridoio, costruito per facilitarne l’uscita.
Era in vetro, come quelli degli acquari moderni, che passano sotto le vasche per farti vedere i meglio i pesci ed era molto claustrofobico.
Il professore continuava imperterrito a camminare gongolando in giro e vedendo la Madonna ad ogni passo.
Quando finalmente uscirono vennero investiti dalla luce del sole che era molto più forte rispetto a quella che c’era all’interno delle rovine.
Chiusero d’istinto gli occhi e poi li riaprirono.
Forse sarebbe stato meglio tenerli chiusi.
 

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Capitolo 4
*** Puzza di bruciato: amico o nemico? ***


Puzza, fu la prima cosa che sentirono.
Carne in decomposizione, muffa.
Tutto puzzava e non si sapeva il perché.
Il professore tutto agitato alzò la manica della camicia, per guardare l’orologio.
Portò il braccio vicino per vedere meglio.
E la mano destra cadde.
Il sangue iniziò a scorrere e poi scoppiò il finimondo.
Alex, nel sistemarsi la giacca nera tirò una gomitata ad Adrian che cadde per terra, senza più riuscire ad alzarsi, quasi come immobilizzato. Il biondo quindi cercò di aiutarlo porgendogli una mano che l’altro afferrò.
Schifo, quando Adrian tentò di alzarsi con l’aiuto dell’amico e la pelle venne via come un guanto.
Le ossa, le vene e i muscoli, si muovevano senza più qualcosa che le coprisse.
Urla dei compagni, quando lo videro.
Elisa iniziò a piangere e portandosi le mani al volto agitò la testa velocemente, Gaia stava in silenzio in un angolo cercando di svegliarsi da quell’incubo.
Sara cercava di soccorrere gli altri, senza accorgersi che alla sua faccia mancava molta della pelle che solitamente curava con creme speciali.
Un ragazzo impazzito iniziò a correre, con le mani nei capelli, per poi cadere a terra e accorgersi che la sua gamba era rimasta indietro.
Tra tutto il caos che c’era il professore era quello meno spaventato, com’era giusto che fosse.
<< SILENZIO >> urlò il professore cercando di capire qualcosa in mezzo a tutto quel macello.
Tutti si zittirono e fermarono ciò che stavano facendo, guardando curiosi l’uomo.
<< siete stati addestrati per questo. Cosa fate? Vi abbattete così, vi spaventate per cosa? Assolutamente nulla! >> disse serio, per poi guardare la man che ancora giaceva al suolo, con le dita contratte.
L’uomo si guardò intorno, senza capire bene ciò che stava accadendo.
Erano entrati in quelle rovine, le avevano visitate e poi erano usciti.
Nessuno si era visto in giro o comunque avvicinato al gruppo, anche perché quel posto era talmente poco conosciuto che quasi nessun andava a visitarlo.
Poi, strofinandosi gli occhi con la mano sinistra il professore si concentrò. Chi meglio di lui aveva studiato per potenziare la mente e capirne i segreti? Lui poteva teletrasportare gli oggetti e sé stesso, manipolare la mente e controllarne i pensieri.
Raccolse le emozioni, liberò la mente e tutto apparve più chiaro.
Distorsione della realtà. Qualcuno aveva tentato di ingannarli, probabilmente per nascondere qualcosa, ma che cosa?
Quando aprì gli occhi si guardò attorno incuriosito.
<< Ma ragazzi, queste immagini, osservatele bene. Distorsione della realtà. Ecco cos’era che non mi quadrava.>>
Tutti si zittirono. Nonostante il professore non fosse quello più terribile che avessero tutti lo rispettavano quando si parlava di mente umana.
Era di certo quello più “normale” in quella scuola di paranormali. Semplicemente era un umano che aveva studiato tantissimo, per far parte del sistema.
<< Prof, chi è stato? >> chiese Giorgia, che fino a quel momento era rimasta in un angolino, lontana da tutti per non vomitare dal disgusto, con voce tremante e appena percettibile.
<< Non lo so ragazzi, non lo so. Ora che però siete al corrente di quel che è accaduto veramente possiamo trovare il colpevole. Dividetevi nei gruppi e cercate. >> rispose il professore, sistemandosi gli occhiali rettangolari sul naso.
Adrian cercò Alessia ed insieme tornarono indietro, con le armi bene in pugno.
Alex seguì la compagna nel bosco, Sara e Gaia dalla parte opposta e Elisa e Federica andarono verso la strada.
 Gli altri gruppi si sparpagliarono.
Adrian camminava per il corridoio con la sua ascia in mano, con passo ciondolante e alquanto instabile, pronto a scattare ed agire.
Era sempre stato un ragazzo iperattivo, sempre agitato e con un carattere forte.
Non gli era mai andato giù il fatto di essere diverso dai suoi compagni di scuola, alle scuole elementari, quando i suoi “amici” lo prendevano in giro perché tutte le volte che giocavano a calcio lui bucava la palla. Tutte le volte che scriveva in classe rompeva biro e fogli ed una volta aveva inciso un banco scrivendo una sottrazione di compito.
Sapeva di non essere come gli altri bambini, che quando succedeva qualcosa piangevano come dei pazzi. In tutta la sua vita non aveva mai pianto, almeno da che ne avesse memoria.
Anche alle scuole medie la storia non era diversa, tranne per il fatto che ormai aveva rinunciato a vivere.
Era solo, la madre lo aveva abbandonato con dieci fratelli in un orfanotrofio, i genitori adottivi non erano mai a casa e Adrian, all’età di dodici anni aveva cercato di togliersi la vita buttandosi da un ponte.
Si era lanciato nel vuoto ed era caduto in acqua pestando la testa su un masso. Nonostante ciò non era morto. Le ferite si erano rimarginate in pochissimo tempo e lui si era spaventato talmente tanto da scappare. Aveva vagato per quasi due un mese, cavandosela rubando dai supermercati quello che gli serviva per vivere: giusto del cibo, acqua e null’altro.  Fino a quando un giorno si era imbattuto in una ragazzina della sua età con i capelli color cielo e gli occhi viola. Erano diventati subito amici e lei lo aveva portato dalla sua famiglia che lo aveva accolto  come un secondo figlio.
Ed erano rimasti amici da allora, la sua amica gli aveva rivelato la sua vera identità ed erano diventati inseparabili e compagni di avventure, nonché di classe.
Ed ora si trovavano lì, in un tempio deserto, a cercare qualche essere fuori controllo che non avrebbe esitato un secondo ad ucciderli.
Cercò lo sguardo della compagna, che camminava tranquilla accanto a lui.
Aveva l’aria pensierosa, come al solito, al contrario di lui.
Un urlo fece sobbalzare entrambi portandoli a correre verso quel fracasso.
Corsero fino ad arrivare nel tunnel che conduceva all’uscita, che stava crollando.
***
È una sensazione orribile.
Come ci era finito in quella situazione?
Come poteva aver perso il controllo in quel modo?
Forse vedere quei ragazzi gli aveva ricordato che lui non avrebbe mai fatto parte di una classe, di una vera famiglia.
Perché lui ormai era dimenticato da tutti e da tutto. Persino suo fratello lo aveva abbandonato, ormai non aveva più nulla.
Si era solo sfogato su di loro, li aveva puniti per essere felici, al contrario di lui.
Si era sentito in colpa quando aveva visto una ragazza con i capelli viola piangere dal terrore di quello che stava accadendo, si era sentito uno schifo nel vedere l’amica della ragazza si era allontanata con le mani premute sulla bocca come per reprimere i conati di vomito.
Poi il professore era riuscito a capire il trucco … come aveva fatto?
A quel punto aveva cominciato a correre, tornare nel tempio e cercare di allontanarsi il più possibile.
Poi una fitta alla testa lo fece fermare, portandolo ad urlare mettendosi le mani sulla testa e il vetro del tunnel si ruppe.
Ormai era accasciato a terra, con le mani sulle orecchie che premevano forte e una pioggia di vetri tutt’intorno, fino a quando non svenne.
***
Il tunnel crollò del tutto, sollevando un gran polverone.
Aspettarono qualche secondo prima di continuare a camminare.
Poi si bloccarono di colpo.
Una figura bianca era distesa per terra, sotto cocci di vetro e polvere.
Si avvicinarono e osservarono meglio.
Era un ragazzo, di circa sedici anni, con i capelli biondi e abbastanza lunghi e la pelle chiara. Indossava dei jeans bianchi con delle aperture laterali con dei lacci e una giacca del medesimo colore abbastanza corta, con gli spallacci rosa di piume ed un paio di guanti sempre bianchi e rosa.
Era raggomitolato, con le mani sulle orecchie, e l’espressione dolorante.
Adrian cercò di prenderlo in spalla per farlo uscire, ma non appena toccò il braccio di lui lo lasciò cadere.
Si era sentito come quando si era accidentalmente rovesciato il caffè addosso.
Così toccò all’amica tirare su il ragazzo che era talmente magro che probabilmente era a digiuno da qualche tempo.
Rimise la spada nel fodero e tirò su il ragazzo, lo portò fuori e lo appoggiò sul prato.
Ormai tutti erano tornati indietro, l’allarme era cessato e, disposti a formare un cerchio attorno al biondo, stavano aspettando il suo risveglio.
***
Bianco, era tutto bianco.
La neve era soffice e candida.
L’unica cosa che stonava con l’ambiente era un fumo nero all’orizzonte.
Una macchina capovolta e il terreno letteralmente diviso, spaccato a metà.
Che fine avevano fatto i ragazzi che lo stavano seguendo? E le terme in cui era fino a qualche secondo prima?
Si sentiva debole, senza fiato e con un grandissimo peso addosso.
Poi lo vide.
Aveva un espressione terrorizzata.
<< Kevin! Kevin! Sono io! >> provò a chiamarlo, invano.
Poi, senza che se ne accorgesse, il buio lo inghiottì.
E sentì delle voci.
Aprì gli occhi e si trovò davanti a moltissimi ragazzi, gli stessi delle visioni.
<< Chi sei, ragazzo? >>
A parlare era stato il professore che lo aveva scoperto.
Con molta fatica riuscì a dire il suo nome
<< L..leonardo >>
E poi crollò di nuovo.




e questo è Leonardo, interpretato(?) da Yohio perchè sì.

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