Le sei parti più imbarazzanti di una storia d’amore

di lumieredujour
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E lui chi sarebbe? ***
Capitolo 2: *** Ti presento i miei. ***
Capitolo 3: *** Mi presenti i tuoi. ***
Capitolo 4: *** 4. Pranzo di famiglia. ***
Capitolo 5: *** Ci vogliamo sposare ***
Capitolo 6: *** Un fagiolo in cantiere ***



Capitolo 1
*** E lui chi sarebbe? ***


Quando ci si fidanza, soprattutto i primi tempi, si cerca di non dirlo a tutti per non tirarsi i piedi da soli. Figurarsi dirlo ai proprio genitori! Ma arriva sempre il momento in cui bisogna spiegare perché si vuole uscire ad ogni costo, perché ci si sta mettendo in ghingeri per una “semplice pizza con le amichE” (da sottolineare la E, che indica l’assenza di presente maschili nella compagnia) e, saranno le Parche* che spingono il nostro destino in una situazione poco piacevole, sarà la sfiga che ci perseguita da sempre, ma arriverà la fatidica domanda (se fatta dal padre, la situazione diventa incredibilmente imbarazzante): e lui chi sarebbe?!

1. E lui chi sarebbe?!



- Mamma esco!- disse Francesca, guardandosi allo specchio per l’ultima volta.
Sì, dopo varie ore di preparazione (leggi torture), di trucco, parrucco, ceretta e yoga, si vedeva abbastanza carina per poter uscire.
-Fre vieni subito qui-  le gridò la madre in modo indiscutibile
Sbuffando la ragazza si addentrò in salotto con una missione ben precisa: rimanerci il minor tempo possibile.
Sua madre, appena entrò, la squadrò da capo a piedi e perfino il padre alzò gli occhi dal giornale e sparò inconsciamente le sopracciglia verso l’alto.
-Con chi esci?- disse la madre, forse un po’ stanca di questa solita manfrina, ma Francesca sapeva che non era LEI a voler sapere ogni minimo pelo.
-Con le solite. Saremo io, Giorgia, Maria e Tiziana.- sparò nomi a caso, saltellando in modo impaziente
-Mh- e con quel suono, capì che la prima balla era andata a segno
-E quando ti dobbiamo venire a prendere? E dove?- disse il padre, analizzando ogni movimento conscio (e inconscio) della ragazza.
-Mi venite a predere alle 11.30, dietro la Piazzetta.- stava per aggiungere “come ogni stramaledetta sera”, ma si fermò in tempo.
-Mh- questa volta lo dissero entrambi e prima che potessero chiedere qualsiasi altra cosa, li baciò entrambi in fronte e volò via.
*
-Aspetta ripetimelo: hai detto ai tuoi che stavi uscendo con le tue amiche?- chiese ancora Ettore, cercando ti trattenere una risata.
-Sì, razza d’imbecille!- quando iniziò a ridere, Francesca stava seriamente pensando all’omicidio – tu sei maschio, non puoi capire! Sono rare le persone che riescono a parlare della propria situazione sentimentale con i propri genitori. In più, se mio padre sapesse che ho un fidanzato, molto probabilmente rischieresti di diventare la nuova voce bianca della città- ed mimò con le mani delle forbici.
Il solo pensiero fece inorridire il ragazzo.
-Ma è impossibile che ci credano! Insomma, sei così bella, che penseranno siano due le possibilità: o sei lesbica- e contò questa possibilità sull’indice, alzando un po’ il sopracciglio per farle capire quanto fosse assurda come cosa – o stai mentendo- questa la contò sull’anulare, sorridendo affabile.
-Non mi interessa cosa sospettano, non hanno le prove. Ma non parliamone più e godiamoci la serata-

*
Ore: 11.15
Francesca ed Ettore uscirono dal pub, si fumarono una sigaretta e si avviarono alla piazzetta, dove Francesca sarebbe stata prelevata (sì prelevata, come se fosse un pacco) e portata a casa. Ettore aveva circondato le spalle della ragazza con un braccio, mentre lei gli teneva affettuosamente il fianco. Si stavano sorridendo l’uno l’altra, quando la catastrofe accadde.
Una macchina sbucò dalla strada e illuminò i due, quasi fossero due ricercati che finivano sotto il riflettore della polizia nel più scadente dei film polizieschi. E per un attimo Francesca pensò seriamente di fuggire e andarsene in latitanza perché al posto di guida c’era una persona che assomigliava a suo padre, solo che aveva uno sguardo assassino, le narici dilatate (da cui poteva quasi vedere il fumo uscirne) e il volante stretto in maniera ossessiva.
-Beh, allora ciao- disse Francesca staccandosi immediatamente dal ragazzo, senza degnarlo del “saluto” che entrambi volevano darsi.
Il ragazzo annuì e i suoi occhi la salutarono nella maniera più affettuosa, ma le sue gambe furono abbastanza veloci da portarlo in salvo.
Francesca accese un metaforico cero a tutti gli dei di tutte le religioni mai esistite sulla terra ed entrò in macchina. Sbirciò in modo cauto il padre e per un attimo ebbe paura che si sarebbe trasformato sotto i suoi occhi in un possente drago, pronto ad incenerire la città stessa per proteggere la “virtù” della propria figlia.
-Francesca.- il suo nome non l’aveva mai spaventata così tanto. – non dovevi uscire con le amiche?-
Ogni parola aveva la propria pausa, perché il padre stava cercando di controllarsi.
-Sì infatti lui è il fidanzato di…- sentiva il rumore delle proprie unghie che stridevano sugli specchi su cui si stava arrampicando e aveva l’impressione di non essere l’unica a sentirlo.
-Francesca- altro tono gelido, altro brivido sulla schiena della ragazza – e quello chi sarebbe?-
“Quello”, sapeva la ragazza, stava per “quella sottospecie di animale che aveva poggiato le sue zampacce a te” o “quell’incauto coglione depravato che rischia di essere messo sotto dalla mia auto la prossima volta che lo incrocio” e lei non sapeva come uscirne. Doveva rischiare, doveva dire la verità.
-Papà, lui era Ettore, il mio ragazzo- abbassò lo sguardo sulle sue mani intrecciate e sentì suo padre imprecare a denti stretti mentre, ne era sicura, la stava riportando a casa per non farle più mettere piede fuori casa.
L’unica cosa che riusciva a pensare la ragazza era un semplice, quanto efficace
“Porca troia”

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Capitolo 2
*** Ti presento i miei. ***


3. Ti presento i miei

-Penso sia ora- lo fissai intensamente mentre un ghigno affiorava sulle mie labbra.
Mi girai, per fare in modo che non lo vedesse, e presi a tirarlo per la manica. Due scalini, ma lui non dava segni di vita. Altri tre, ma niente. Mi girai sperando che non fosse morto – o peggio – che non si fosse asfissiato per evitare di conoscere i miei.
Era bianco come un cadavere, con gli occhi sbarrati e la bocca schiusa in una “o” perfetta. Il suo sguardo era fisso sulla casa, sembrava avesse visto un fantasma. Mi girai anch’io e puntai lo sguardo alla finestra dove mio fratello Giorgio si era appostato. Quello stramaledetto nanerottolo. Tredici anni di pura perfidia.
Arrivammo davanti alla porta, che stavo per aprire, quando decise di dare segni di vita.
-Irene ti prego no. Tutto ma non – tentennò – questo-
Speravo che i “segni di vita” che dovessero essere più promettenti e ottimisti. Mi girai con le mani sui fianchi.
-Io ho affrontato i tuoi– gli presi una mano – stiamo assieme da quasi tre anni, me lo devi! Ti prego- sfoderai l’ultima arma: gli occhi da cucciolo.
Abbassò lo sguardo sconfitto. Bersaglio colpito in pieno, vittoria!
-Promettimi che rimarremo poco- chiese, implorandomi.
Alzai gli occhi al cielo.
-Ma certo! E ora muoviti. Ricorda cosa ti ho detto: rispondi sempre e se non sai cosa rispondere guarda me. Ora, da bravo, vieni ti presento i miei-
L’ultima parola la dissi stringendo i denti mentre, con uno sforzo per me titanico, gli feci suonare il campanello. Non vedevo l’ora!
La porta si aprì dopo dieci secondi e mia madre fissò prima me, poi guardò Leonardo, ed infine notò che eravamo a braccetto. Stavo quasi per placcarla per farci entrare, quando disse:
-Caro, abbiamo un amico di Irene! Vieni in salotto.-
Fece entrare entrambi e io feci le presentazioni:
-Mamma questo è Leonardo, Leo questa è mia madre.-
- Potresti chiamarmi anche Cristina. Non sono così vecchia da dover essere chiamata “signora”. Irene conosci la casa, porta il tuo – pausa maliziosa – amico in salotto. Io vado a chiamare tuo fratello.-
Fece per andarsene, ma si fermò e chiese: - Vuoi qualcosa?-
La faccia di Leo esprimeva un pensiero come “un bicchiere di arsenico, grazie” perciò risposi io per lui.
-Un bicchiere d’acqua per lui e un po’ di te caldo per me, grazie mami.- le scoccai un bacio sulla guancia prima di trascinare Leo in salotto.
In salotto, vicino al caminetto, mio padre stava leggendo un libro quando alzò gli occhi.
-Papà questo è il mio ragazzo, Leonardo- gli sorrisi per poi rimanere sconcertata.
Fissai prima lui, poi Leo. Incredibile, mi dissi.
Avevano la stessa identica espressione di puro terrore. Aggrottai le sopracciglia e fissai di nuovo mio padre.
Si alzò, si avvicinò e tese la mano a Leo che la strinse e balbettò un “piacere”. Mio padre grugnì.
Ringraziando chi di dovere, mia madre entrò provvidenzialmente in salotto con un vassoio e Leo distolse lo sguardo da mio padre per posarlo su mia madre. Mio padre non si mosse di un millimetro, l’unica cosa che si muoveva era la palpebra sinistra. Bene, ora aveva pure un tic.
-Caro come sei scortese, non hai nemmeno fatto accomodare l’ospite – disse ospite con un tono intimidatorio- prego Leonardo, siediti sul divano.-
Leo si sedette, prese e ringraziò mia madre per il bicchiere d’acqua e bevve.
In quel momento entrò mio fratello Giorgio, il bastardo, che chiese:
-Quindi questo è il ragazzo che ora tenta di portarsi a letto mia sorella?-
Leo rischiò di sputare tutta l’acqua, io e mia mamma guardammo mio fratello in cagnesco. Solo mio padre non si era mosso, ma il tic all’occhio aveva iniziato ad essere preoccupante ed intimidatorio. Ed anche inquietante.
-Giorgio o stai zitto o te ne vai.- dissi a denti stretti e ripromettendomi di fargliela pagare cara.
La temperatura nella stanza era scesa di dieci gradi e la tensione era palpabile. Presi un po’ di te per riscaldarmi.
Leo era una statua di sale, eppure le sue mani stavano tremando. Per poco mi dispiacque. Poi ricordai come fu affrontare i suoi.
-Dicci Leonardo- mia madre tentò una debole domanda- studi? O lavori?-
Leo si schiarì la gola e disse:
-Studio all’università. Giurisprudenza. E lavoro part-time come aiuto-bibliotecario.-
Mia madre sorrise bonaria. 1 punto per Leo.
-E come hai incontrato mia figlia?- chiese mio padre con tono freddo. Giurai d’aver visto una nuvoletta di fumo uscire dalla sua bocca, come se fosse pronto a sputare fuoco.
-Lei veniva ogni giorno in biblioteca a leggere libri su una poltrona. Rimaneva fino all’orario di chiusura e io, a volte, alzavo lo sguardo verso di lei. A volte la vedevo ridere, altre piangere. Un giorno le chiesi se potessi farle compagnia. Lei mi rispose che Mr. Darcy era una compagnia abbastanza impegnativa e che non poteva intrattenersi con nessun altro. Dopo che se ne fu andata trovai sulla poltrona un biglietto con il suo nome e  il suo numero.-
Mia madre stava quasi per piangere. Altro punto per Leo.
-Quanti anni hai detto d’avere?- chiese mio fratello, brusco.
-Ne ho ventuno-
-Sei più grande- affermò mio fratello.
-Di un anno, sì- annuii Leo.
Quello che seguì fu un silenzio denso ed imbarazzante. Mi schiarii la voce e dissi:
-Papà, lo sai che Leo gioca a basket?-
-Davvero?- mio padre alzò un sopracciglio.
-Sìssignore- disse Leo in modo militare.
-Giocavo anch’io a basket. In tempi antichi. Prima dell’incidente-
-Incidente signore?- chiese Leo incuriosito.
-Caddi dal letto a castello- disse mio padre malinconico.
A Leo scappò una risata che nascose dietro un attacco di tosse. Purtroppo mio padre non era così stupido.
-Lo trovi divertente? Trovi divertente cadere di ginocchio da un metro e mezzo d’altezza? Vuoi provare per vedere se è così divertente?- a mio padre prese a pulsare pericolosamente una vena all’altezza della tempia destra.
-Non ridevo di lei. Ridevo della vita. E’ strana a volte- potevo sentire le unghie di Leo scivolare sugli specchi su cui si stava arrampicando.
Pensai fosse abbastanza perciò sorrisi e dissi:
-Bene, ora che vi siete conosciuti, possiamo andare.- mi alzai, seguita a ruota da Leo e da mia madre che ci accompagnò all’entrata.
Sentii mio padre borbottare un “stupido ragazzino” e mio fratello mormorare una frase che doveva assomigliare a “mia sorella si è messa con un pappamolle imbecille”. Lo scappellotto che vidi colpire Giorgio mi fece piacere, anche se lo vidi solo con la coda dell’occhio.
-Bene signora, volevo dire, Cristina- per la prima volta da quando eravamo entrati Leo si permise di sorridere in modo aperto – le auguro buona giornata.
-Buona giornata a te, Leo. Tratta bene mia figlia.-
-Andiamo lontano. Sento ancora lo sguardo di tuo padre addosso- Leo rabbrividì.
Gli sorrisi e l’abbracciai prima di sentirmi tirata affinchè in tutta fretta entrassi in macchina.
Alzai gli occhi al cielo e partimmo a tutta velocità.



angolo: beh? ditemi un po' se ho esagerato, se dovrei ritirarmi o cosa. ricordate che vi voglio bene,
tanti cuori
Em

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Capitolo 3
*** Mi presenti i tuoi. ***


2. Mi presenti i tuoi



-Dai, vieni!-
-No!-
-Ma perché no?-
-Perché mi vergogno! Stefano, ho paura, non incontrare i tuoi- disse Alice mettendo il muso.
Il ragazzo la fissò implorante e una muta lotta iniziò tra i due. Come sempre, alice ne uscì vincitrice. Il ragazzo abbassò lo sguardo e disse:
-Va bene, non ti presento nessuno.- 
-Bravissimo! Ora andiamo- Alice lo prese per un braccio e lo trascinò in pizzeria
Stefano alzò gli occhi all’insegna al neon del locale “l’ultima pizzeria”. Chissà perché quel nome apocalittico gli risultava familiare.
 -Come mai hai scelto questa pizzeria?- chiese il ragazzo.
-Beh, è vicino casa e la pizza la fanno proprio bene.- sorrise ad un cameriere che li fece accomodare all’interno della sala. 
Scelsero un tavolino appartato e iniziarono ad ordinare le pizze. 
-Io prendo una margherita con doppia mozzarella!- disse la ragazza
-Io una con patatine wrustel e salsiccia-
Alice lo guardò schifata: com’era possibile che un ragazzo così a modo, sottile come un giungo e gentile come un uomo d’altri tempi, riuscisse a mangiare una schifezza del genere. Stefano, conscio dei pensieri della sua ragazza, sorrise divertito. 
Parlarono del più e del meno, conversando amabilmente di cose inutili e così arrivarono le pizze. Neanche a dirlo erano bollenti. Alice prese un pezzo di pizza, la portò alle labbra e stava per bestemmiare tutte le sue papille gustative per essere troppo reattive quando una voce ruppe il filo dei suoi pensieri.
-Stefano?- 
Alice si girò, con ancora la fetta di pizza metà in bocca e metà in mano, pronta a fulminare la bastarda che osava rivolgere la parola al suo ragazzo quando sgranò gli occhi scioccata.
-Mamma?! Che cosa ci fai qui?- disse Stefano, abbozzando un sorriso.
Alice guardò prima lui, poi la madre (con padre e sorella dietro) e infine il pezzo di pizza bollente. Lo abbandonò sul piatto, si pulì con il fazzoletto e finalmente divenne rossa per la vergogna.
“Che figura!” si disse.
La madre di stefano si stava avvicinando e la stava squadrando amabilmente. Aveva un sorriso stampato in faccia, ma i suoi occhi erano freddi e scrutatori come un critico di moda. Alice si chiese perché non si era truccata un po’ di più. Così, giusto per non sembrare Voldemort.
Stefano si alzò in piedi e disse, sogghignando (aggiungerei il bastardo, ma so che non l’ha fatta apposta):
-Mamma, lei è Alice. Alice, lei è mia mamma- 
Alice si era alzata in piedi e aveva stretto la mano alla donna. L’altra si era limitata a sorriderle, a squadrarla e a gridare
-Sabrina, Alberto venite! Stefano vi deve presentare qualcuno.- continuava a sorridere e a tenerle la mano e Alice aveva seriamente paura che la stesse avvelenando. 
Si avvicinarono anche un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e lo stesso viso delicato di Stefano, e una ragazzina di tredici anni al massimo con una zazzera di capelli neri che le copriva il viso. Sorrise ad entrambi e lasciò fare a Stefano le presentazioni.
-Papà, Sabri, come ho già detto alla mamma, lei è Alice-
Mi strinsero la mano e Sabrina sorrise. In maniera alquanto sadica.
-Oh quindi tu sei la ragazza di mio fratello! Mi aveva detto che eri bassa, ma non mi aspettavo l’ottavo nano- e iniziò a ridere con una risata nasale. 
Forse per buon senso, forse per pietà, nessuno rise con lei. Anche la madre di Stefano la fulminò con lo guardo.
-E quindi da quanto state assieme?-
Alice lasciò a Stefano l’impegno di rispondere, lei era troppo occupata a tenere a freno le mani, che avevano voglia (chissà come mai) di stringersi al collo della ragazzina.
-Tre mesi- 
-TRE MESI?- quasi gridarono i coro i suoi genitori – perché non ce l’hai presentata prima?- disse il padre sorridendomi.
Forse potevo avere un alleato in questa battaglia. Sorrisi timidamente anch’io e vidi che tutti mi stavano guardando. 
-Ehm… diciamo che non… io- non sapevo cosa dire. 
“avevo paura che mi avreste sacrificata a qualche Dio”? No, troppo melodrammatica.
“non volevo conoscervi”? No, troppo acida (anche se vera)
-Sa, non ce n’è stata quasi mai l’occasione- disse in un tono quasi di scuse. 
Le donne di casa mi squadrarono freddamente, ma alla fine il padre concluse con un bel 
-credo che le nostre pizze siano pronte, andiamocene – prese entrambe le donne per il braccio – prima che si freddino.-
Per un attimo pensai si stesse riferendo a me e Sabrina che ci sparavamo, ma poi capii che parlava delle pizze. Ah, giusto, non eravamo nel far west, eravamo in pizzeria. 
Salutarono tutti, io e Stefano ricambiammo e (finalmente) se ne andarono.
-Beh, hai visto? Di cosa ti vergognavi?- disse Stefano addentando un pezzo di pizza.
-Sappi che questa sarà l’ultima pizzeria al mondo in cui verremo a mangiare, d’ora in poi. Anzi – disse, spostando la pizza- la vuoi tu?-
Stefano la guardò con gli occhi lucidi e disse:
-Oh amore, grazie! Visto sono divertenti, no? La prossima volta vieni a mangiare direttamente a casa-
Alice alzò gli occhi al cielo “Nemmeno gli avessi chiesto di presentarmi i suoi!”
 

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Capitolo 4
*** 4. Pranzo di famiglia. ***


4. Pranzo di famiglia


Silvia si alzò dal letto come uno zombie. In sottofondo c’erano le tipiche canzoni natalizie come sveglia che ricordarono alla ragazza che giorno fosse: il 25 dicembre. Andando in bagno urlò al suo ragazzo in modo gentile:
-Svegliati coso! Fra tre ore dobbiamo essere a casa dei tuoi!-
Le coppie normali usavano nomignoli dolci come “amore”, “tesoro” o “patatina” mentre Silvia e Paolo no, si chiamavano affettuosamente “coso” e “cosa”.
Mentre la ragazza stava entrando nella doccia sentì uno stanco grugnito provenire dalle lenzuola.
-Silvia se dobbiamo essere lì fra tre ore, perché ci siamo svegliati così presto?- il ragazzo parlava strascicando le parole.
La testa gocciolante di Silvia uscì dal box doccia sorridendo sadica. Paolo entrando in bagno ebbe paura.
-Perché dobbiamo andare a prendere i miei, amore-
Paolo strabuzzò gli occhi e si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli ancora di più. Si chiamavano con qui nomignoli solo per darsi sui nervi o quando erano sinceramente arrabbiati. Come aveva fatto a dimenticarsi di una giornata così agghiacciante? Era completamente sveglio. Chi gliela aveva fatto fare?
Mentre pensava questo Silvia uscì dalla doccia e capì perché valeva la pena vivere quella giornata: per lei.
-Mi faccio una doccia veloce e andiamo- la baciò affettuosamente ed entrò canticchiando in doccia.
Dopo una mezzoretta tutta questa leggerezza di spirito era sparita. Entrarono in macchina scuri in volto e con il braccio di lei che sfiorava distrattamente i capelli di lui.
Arrivarono davanti alla porta dei genitori di lei e Silvia si voltò per le ultime raccomandazioni alla sua dolce metà:
-Allora questa sarà una giornata impossibile. I miei saranno a disagio, i tuoi anche e a noi tocca smuovere l’atmosfera. Questa sarà l’ultima giornata prima del nostro viaggio per le capitali d’Europa: Praga, Amsterdam, Londra, Berlino, Parigi. Pensa a queste cose mentre staremo lì. Ricorda che ti amo-
-Ti amo anch’io. Che il pandemonio abbia inizio.- un bacio veloce e i suoi arrivarono.
-Buongiorno Paolo tutto bene?- la madre di Silvia entrò impettita nella macchina, iniziando a studiare lo stato dell’abitacolo.
Il padre di Sarah entrò, gli strinse la mano in modo freddo e partirono.
Per tutto il viaggio l’unica cosa che Paolo sentì fu il borbottio delle ragazze che sedevano sui sedili posteriori e le frasi del genere “rallenta ragazzo, non voglio morire” emesse dal padre di Silvia.
Arrivati nel vialetto di casa scesero e si preparano ad entrare. Suonarono il campanello e iniziò- così come Paolo e Silvia l’avevano soprannominata- la fiera dell’ipocrisia.
-Ciao Fabiola, come stai?- disse la madre di Sarah baciando sulle guance la madre di Paolo
-Ciao Caterina, tutto bene. Buon natale! Buon natale anche a te Massimo-
Baci e bacetti, frasi di circostanza dette e imbevute di auguri di natale.
Il padre di Paolo, Leonardo, si accostò a Massimo.
-Tutto bene tra i ragazzi?-
-Penso di sì. Sai, non sono il loro consigliere.- disse Massimo prendendo un bicchiere di vino.
-Capisco. Lo vuoi un sigaro prima d’iniziare a pranzare?-
-Certo andiamo- e si avviarono verso terrazza, per la felicità di Silvia
“Meno due” pensò.
-Fabiola, queste tende sono divine! Dove le hai comprate?- disse la madre di Silvia
-Oh Caterina cara, tende così non le compri mica. Queste le ho fatte io!-
-Davvero? Devi essere una sarta davvero sublime. Cosa hai cucinato per oggi?-
-Oh, mi sono fatta aiutare da mia figlia Giulia che purtroppo non potrà venire. Sai, è stata invitata dai suoceri, ma ci teneva a fare qualcosa per voi.-
Silvia e Paolo si trovavano in mezzo alle due donne, seguivano la conversazione come si segue una partita di tennis voltando la testa incessantemente. Scoprendo questa notizia Silvia si sentì mancare la terra sotto i piedi.
-Quindi Giulia non verrà?- la ragazza era sbiancata.
Come sarebbe riuscita a sopportare tutti e quattro da sola?
-No, ahimè. Ma vi saluta calorosamente!- le sorrise Fabiola.
Silvia si appuntò mentalmente di strozzare la cognata e sorrise vedendo la casa addobbata per bene.
Per lei il Natale era sempre una festa speciale, ma quest’anno Paolo non aveva voluto addobbare la casa perché durante le vacanze non ci sarebbero stati.
-Signori accomodatevi è meglio iniziare a mangiare!-
Si sedettero a tavola: i due capofamiglia a capotavola, sulla sinistra c’erano le madri e sulla destra la coppia sciagurata, che si teneva per mano.
Iniziarono a mangiare, sorridendo e elogiando la padrona di casa per la bontà delle pietanze.
Man mano che il vino in circolo aumentava, però, anche le gaffe e le situazioni pericolose aumentavano.
-Paolo caro, ti ricordi della tua ex fidanzata alessia? Cara ragazza, l’altro giorno è venuta a trovarci! Saluta calorosamente te e Silvia.-
Silvia sorrise melliflua e tirò un calcio a Paolo che stava sorridendo sotto i baffi.
-Oh amore, mi aiuti a preparare il dolce?- disse Fabiola a Silvia con uno sguardo che lasciava intendere una conversazione importante.
La ragazza annuì e si alzò, non prima d’aver lanciato uno sguardo disperato al suo ragazzo. Così, mentre stavano tagliando a fette la torta al cioccolato , Fabiola iniziò a parlare.
-Allora tesoro, sono ormai tre anni che tu e il mio Paolo siete assieme. Avete voglia di fare il grande passo?-
-Ehm signora, non chieda a me. Per tradizione è l’uomo a doverlo chiedere alla moglie.-
- Lo so, lo so, ma tu ami il mio ragazzo?- questa continua ripetizione dell’appartenenza di Paolo l’irritò.
-Io amo Paolo, è il mio ragazzo, l’unico uomo della mia vita. E nei suoi confronti non ho il minimo dubbio- disse Silvia e si avviò nella sala da pranzo contenta di aver “vinto” la partita.
-Paolo, amore, la tua ragazza la sto vedendo un po’ più abbondante, non è che è incinta e ce lo state nascondendo?- disse Fabiola entrando in sala e facendo sputare il bicchiere d’acqua che il figlio aveva appena bevuto.
“Ho vinto una battaglia, non la guerra” pesnò silvia digrignando i denti.
-No, mamma, non siamo incinti. Te lo avremmo detto altrimenti.- Paolo rise forzatamente e lanciò uno sguardo disperato alla sua ragazza.
Mangiarono in silenzio il dolce, assaporando ogni boccone.
Questi silenzi erano provvidenziali, un balsamo per le orecchie di Silvia e per il mal di testa di Paolo, causato dal troppo stress.
Il caffè lo bevvero in salotto scambiandosi i regali di natale e ringraziando forzatamente per doni non voluti e mentre i padri parlavano dei sigari, le madri delle case, Silvia e Paolo fecero il bilancio della giornata.
-Non è andata male, dai. A parte piccole questioni risolvibili, penso che ne siamo usciti indenni- bisbigliò Silvia
-Sì, hai ragione, ma ti prego fingi un malore e andiamocene.- chiese Paolo
-E’ stata una bellissima giornata in famiglia, ma io e Silvia dobbiamo finire le valige per il viaggio. Vi dispiace se ce ne andiamo un po’ prima?-
-Oh cari, andate andate non preoccupatevi! Riaccompagnamo noi i genitori di Silvia, voi andate. Buone vacanze cari!- disse il padre di Paolo, rosso in viso per il troppo vino bevuto.
I ragazzi colsero questa occasione al volo e salutarono frettolosamente i propri genitori per poi inifilarsi velocemente in macchina.
-Pensi che si scuoieranno mentre noi non ci siamo?- chiese Paolo mettendo in moto
-Non credo, sono tutti troppo ubriachi per fare molto.- disse sorridendo Silvia.
E un’altra giornata in famiglia era passata.


*angolino* scusate l'indecente ritardo, ma questo capitolo è stato seriamente un parto! ditemi cosa ne pensate! ormai mancano solo due capitoli alla fine, non ci credo.
tanti cuori
em

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Capitolo 5
*** Ci vogliamo sposare ***


5. Ci vogliamo sposare


Riuscivo a sentirla. In realtà era molto difficile non sentirla, visto che aveva avvolto la stanza. Mio padre e mia madre erano fermi come congelati nelle loro posizioni, mia sorella aveva perfino la bocca aperta. I genitori di Giulio, invece, sembravano aver dimenticato d’avere ancora i cappotti in mano. Essi, infatti, giacevano sconsolati sul pavimento.
-Come amore? Puoi ripetere?- chiese mia madre con voce stridula
-Io e Giulio vogliamo sposarci- sorrisi, prendendo per mano il mio ragazzo che in realtà aveva occhi solo per mio padre.
-Tu brutto approfittatore, oddio oddio il cuore, sto per avere un malore!- mio padre s’accasciò sulla poltrona e io maledii le lezioni di teatro che aveva preso da giovane.
-Papà parlare in rima non ci farà rimangiare niente.-
-Io amo completamente sua figlia, signore. Non potrei volere nient’altro al mondo. Niente- Giulio quasi tremava per l’emozione ed era nata in me la voglia di sporgermi per baciarlo.
-Su questo non ho dubbi, giovanotto. E’ lei che sta facendo il passo più lungo della gamba!- disse con voce grave, riaccasciandosi sulla poltrona.
-Oh Luca, stai esagerando. Maledetto a te e a quel corso di teatro- mia madre cercò di smuovere l’ambiente, ma notai con disappunto che i cappotti erano ancora stesi a terra.
Lanciai uno sguardo preoccupato a Giulio; almeno i miei avevano reagito.
-Mamma, papà? State bene? Respirate? Volete che vada in Cina a prendervi un po’ di oppio?-
Ci avvicinammo ai suoi genitori che fissavano me in maniera distaccata, come se non potessero crederci.
-Ma, amore, tu sei ancora un bambino!- disse la madre prendendogli la testa
-Ho ventinove anni e vivo con Daniela da due. Era anche ora. Non vuoi vedermi felice? Nemmeno un po’?-
Intanto il padre, quando mi vide intenta a prendere i cappotti da terra, si sveglio dallo stato di shock per aiutarmi e disse:
-Se avessi frequentato lezioni di teatro come tuo padre, forse sarei riverso a terra a far finta d’essere svenuto. Come diavolo vi viene in mente di dircelo così, diamine! Siamo tutti anziani qui, volevate passare questa giornata al pronto soccorso?- sorrisi a mo’ di scusa e subito aggiunse – mia moglie sapeva che vi sareste sposati, ma sperava che avreste aspettato un altro po’-
Cioè, la mia menopausa?
-Quindi tu e mia sorella, potrete avere dei bambini?- chiese Chiara, l’ultima ad essersi svegliata dal coma.
-Deficiente di una sorella- dissi bisbigliando per poi alzare la voce – Io e Giulio potevamo già avere dei figli, ma non ci stiamo sposando perché sono incinta, non preoccuparti.-
-Oddio svengo di nuovo.- mio padre chiese a mia madre un bicchiere di whiskey e lo offrì anche ai suoi futuri consuoceri.
Il padre di Giulio rifiutò, ma la madre si scolò il primo bicchiere come un’alcolista professionista.
-Non so quale sia la cosa più scioccante: il fatto che la mia bambina si stia sposando o il fatto che sua sorella non sappia ancora come si facciano i figli- disse mia madre, sedendosi sul bracciolo della poltrona dove mio padre era seduto.
-Quindi, noi avevamo voluto rendervi partecipi a questa lieta notizia – calai il tono di voce sul lieta
-Noi siamo molto felici che voi due bimb—volevo dire, che voi due abbiate deciso di fare il grande passo. Forse un po’ troppo presto, ma se siete convinti voi-
I miei e i genitori di Giulio non erano mai stati d’accordo su una cosa, ma giuro che quella volta sembravano un unico ente pieno di dubbi. Avevano tutti la stessa faccia, come se stessero per mandare i propri figli ad un rituale satanico con tanto di orgia finale. I loro occhi vacui, le loro sopracciglia attaccate alla parte più alta della fronte; si guardavano perfino l’un l’altro, chiedendosi cosa fosse successo.
Sembrava come se un Man in Black fosse passato per cancellargli la loro memoria.
-Secondo me l’hanno presa bene.- disse Giulio
-Secondo me invece no. Tua madre si sta scolando con mio padre tutta la bottiglia di whiskey.-
E ci girammo entrambi verso i suddetti genitori, che stavano parlando di quanto fossimo piccoli.
-Io mi ricordo ancora quando sua madre gli puliva il culetto perché non arrivava a prendere la carta igienica!- singhiozzò  mio padre (non so se fosse colpa dell’alcool o della tristezza)
-Io ricordo ancora quando s’ingelosiva perché non gli pulivo più il sedere a 6 anni, oh il mio bimbo.- altro singhiozzo di sua madre.
Stavano sinceramente esagerando: non stavamo partendo per il fronte, non dovevamo combattere contro disturbi psicologici o malattie inguaribili.
D’altro canto, gli altri due nostri genitori stavano iniziando a metabolizzare la notizia, avvicinandosi l’un l’altra come se dovessero scambiarsi un segno di pace. O le condoglianze.
L’unica che, ostinata continuava a rendere la situazione imbarazzate, era mia sorella che ora aveva deciso di tormentarmi con le domande.
-Dov’è l’anello?-
-A casa-
-E’ grande?-
-Certo!- rispose Giulio, punto sul vivo.
Era oggettivamente un bellissimo anello, semplice ma mozzafiato, proprio come piacevano a me.
-Ed è proporzionale al tuo gioiello?- chiese quella cretina di mia sorella maliziosamente.
Avrebbe dovuto tacere, o almeno parlare a voce più bassa perché mia madre andò da mio padre che stava rischiando l’attacco apoplettico, la madre di Giulio continuava a bere e dire quanto il suo bimbo fosse “misurato in tutto, proprio come me!” e suo padre cercava semplicemente di nascondere la testa nel terreno come uno struzzo.
-Piccola bastarda, giuro che quando dovrai dirlo tu a mamma e papà sarò la prima a fartela pagare.- le strinsi il braccio e la feci scappare.
Io e Giulio ci baciammo velocemente e ci separammo, ognuno a consolare i propri genitori.





*hello* scusate per l'immenso ritardo, spero ci sia qualcuno che ha ancora voglia di leggere questa storia. Questo capitolo è stato difficile da scrivere perchè oggettivamente non ho mai vissuto quest'esperienza. Non so, non sono molto convinta riguardo le gag e le battute, più che altro perchè io tendo sempre ad essere critica, perciò se avete tempo, ditemi cosa ne pensate. Siate critici, non potrei mai prendermela, anzi!
Un saluto a chiuque sia arrivato fin qui, il prossimo capitolo sarà l'ultimo (e poi dico che la matematica non serve a niente) e giuro solennemente che non tarderò a pubblicarlo
tanti dolcetti,
em

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Capitolo 6
*** Un fagiolo in cantiere ***


6. Un fagiolo in cantiere

Fisso il soffitto del mio bagno, pregando tutti i santi in paradiso affinchè il tempo scorra un po’ più velocemente. Giuro che ogni secondo lo sento scivolare con la stessa fluidità del sasso che ingoiai a sette anni. Diamine! Già è stato imbarazzante andare in farmacia, con tanto di occhiali e cappellino, e chiedere con la voce più discreta che sapessi fare “Potrei avere un test di gravidanza?”.
Il farmacista, quello stronzo, mi ha sorriso e si è voltato a gridare (penso che anche in Cambogia si siano girati infastiditi) “Katia portami un test di gravidanza per questa signora, grazie!”.
Se non fossi stata “questa signora” avrei sicuramente riso, ma in quel momento volevo solo scavarmi una fossa e morire. Magari portando anche il farmacista con me.
Comprato lo stramaledetto test ho vissuto tutta la mia giornata con l’ansia costante. Saltavo ad ogni minimo rumore, non avevo fame e perfino mio marito Tiziano ha notato una qualche stranezza.
-Amore, cos’hai? Le vuoi le coccole- strofina il naso sul mio collo e qualche ormone è già andato al cervello per premere il bottone “Stasera si puffa!”.
Giuro che sto per abbandonarmi al richiamo della natura, ma il pensiero del pacchetto dentro la mia borsa spegne ogni fantasia.
-No amore, oggi niente coccole. Dobbiamo parlare- mi giro verso mio marito che, dio, ha uno sguardo allarmato.
Per un attimo sono tentata di tenerlo sul filo del rasoio per un po’, magari convincendolo a raccontarmi qualche bastardata che ha fatto.
-Roberta non dirmi così. Lo sai che il cassetto della cucina lo riparo al più presto. E giuro che chiuderò il tubetto del dentifricio stasera- suda freddo.
-No, niente di tutto questo. Molto probabilmente sono solo incinta- lo dico con un tono leggerissimo, come se gli stessi parlando del mio episodio preferito di Winnie The Pooh, ma i miei neuroni hanno già premuto il bottone “Panico pa-panico pa-pa-paura”.
 Il mio cervello è un ammasso di bottoni, lo ammetto. Ecco perché non ho mezze misure. Tiziano è scioccato, giustamente, e mi fissa come se fossi la madonna. Una cosa però è sicura: qui non c’entra lo Spirito Santo.
-Dì qualcosa. Parlami del tempo o dimmi la definizione di “minzione”, cosa che devo fare su un test di gravidanza per sapere se ti ho spaventato a morte inutilmente o no- gli tocco perfino il braccio e solo allora ritorna in sé e mi abbraccia.
-Oddio sto per diventare padre. Io padre. Io come mio padre- continua a mormorare e la voglia di tirargli una badilata sulla testa diventa forte. Sarà colpa degli ormoni.
-Già, bellissimo. Tu diventerai padre, io una balena esaurita. Come diavolo è che non sono così eccitata come te?-
-Perché tu lo porterai a spasso per nove mesi mentre io andrò in giro per il mondo sfoggiando il mio fisichetto- ghigno malefico alla bocca, mi rassicura così.
E poi mi chiedono perché l’ho sposato.
La notte la passiamo a farci le coccole, ma solo quelle perché Tiziano non vuole “spaventare la creatura entrando in casa sua senza permesso”. Ormai il mio utero non è più una parte del mio corpo, ma la casa di qualcun altro. Che palle, mi toccano nove mesi senza puffare.
Il giorno dopo, una domenica mattina piovosa, mi ritrovo seduta sul wc ad aspettare tre maledetti minuti.
-Sei incinta?- chiede per la nona volta Tiziano che aspetta pazientemente al di fuori del bagno.
Giro lo sguardo verso la porta bianca e alzo il mio dito medio. Poi, dopo essermi un po’ sfogata, vado a riprendere il mio caro test e lo giro senza pensarci due volte.  Lampeggia la parola “incinta” e i miei neuroni schiacciano ad intermittenza i bottoni “porca troia” e “sento già gli ormoni pazzi in circolo”. Lancio un grido-ora come ora non saprei dire se fosse un grido di panico o di gioia- e subito Tiziano entra e mi abbraccia.
-Aspettiamo un bambino, una bambina, che bello- continua a saltellarmi attorno e mette la sua mano sulla mia pancia che a me sembra sempre uguale a se stessa.
-Senti qualcosa?- chiede
-Sì. Sento che ho fame. E voglio piangere- sussurro sadica e adoro vedere la sua faccia sbiancare.
Se io dovrò soffrire, anche lui dovrà patire le pene dell’inferno, mi dico sorridendo.
-Dovremmo dirlo ai nostri genitori- mi ricorda Tiziano, appoggiandosi con me alla porta del bagno.
-Non oggi. Basta dramma, voglio solamente stare seduta sul divano a mangiare e giocare con te- sorrido prendendolo per mano e facendolo sedere sul divano accanto a me.
-Hai ragione. Anche perché, nel momento in cui lo diremo a tuo padre, sono sicuro che prima mi strangolerà perché non potrà ignorare il fatto che io e te abbiamo consumato e poi avrà un infarto-
-Perché tua madre? Mi dirà che sono una svergognata e  mi chiederà di chiamare nostro figlio “Ermenegildo” come tuo nonno-
Scoppiamo entrambi a ridere, ma ognuno sta cercando di realizzare cosa succederà. Come sarà avere un’altra creatura a cui badare?
-Sicuramente sarà stronzo come te signor “Fatti una camminata a piedi che stai ostruendo col tuo culo la mia televisione”- dico mordendogli il naso.
-Davvero? Secondo me sarà lunatico come te cara la mia “metti il preservativo, no anzi no, ma magari sì, non lo so”- dice e poi si copre la mano con la bocca.
-Cosa c’è?- gli chiedo, l’ombra di un sorriso fra le labbra.
-E se fosse femmina? Non voglio che senta le parole “preservativo” “sesso” o “ragazzo” fino a che non avrà compiuto i ventisette anni- un lampo passa negli occhi di Tiziano e, sconsolata, penso che sarà un padre super geloso.
Povera la mia probabile bimba, dovrà affrontare tante situazioni imbarazzanti. Soprattutto coi genitori esauriti che si ritroverà.




*angolo della pazza* non ci credo, sono arrivata alla fine! E' stato stranissimo premere il bottone "completa". Io che non completo nemmeno le versioni di latino durante i compiti in classe, io che sono la procrastinazione fatta persona, io che ho la costanza di una farfalla ubriaca. E' scioccante, ma gratificante allo stesso tempo. Dedico questa raccolta a chiunque stia affrontando una relazione o a chi si diverte sulle figura di merda altrui. Molte di queste storie sono tratte da eventi realmente accaduti. Magari non tutte sono divertenti come avrei voluto, ma c'est la vie. Niente inizia e finisce seguendo i nostri piani, molte volte le parole prendono il sopravvento. In particolare, quest'ultimo capitolo l'ho pensato non tanto per farvi piangere dalle risate, ma qualche battuta potrà magari strapparvi un sorriso.
Fatemi sapere cosa ne pensate, io questa raccolta che lo vogliate o no la dedico anche a voi e alla vostra pazienza.
Infinitamente grazie,
Em

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