Polvere di stelle

di Chimeres
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tancredi ***
Capitolo 3: *** Lettere ***
Capitolo 4: *** Pensieri di te ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Freud definì il sogno come la rappresentazione mascherata di un desiderio represso e questa storia parte proprio da qui, dalla voglia di un abbraccio che una notte si materializza e che lascia l’amaro in bocca il giorno dopo, perché di notte è tutto più bello quando si ha qualcuno da sognare, ma è meno bello il risveglio, quando il posto accanto al tuo è freddo e a riscaldarti non trovi due braccia calde ma solo il tuo piumone.

“Dai vieni qui!” ed è solo un sussurro accompagnato da un sorriso sicuro, lei poteva morirci, dietro quel suo sguardo intenso, le stava tendendo la mano e nonostante fosse un po’ restia si lasciò subito convincere.

“Sai che non possiamo” esclamò semplicemente mentre seduta sulle sue gambe chiuse gli occhi appoggiando la guancia al suo petto e improvvisamente il mondo rimase fuori, ed era sempre cosi quando le distanze tra di loro si facevano ridotte, le situazioni li allontanavano, ma qualcosa di magnetico li faceva attrarre come il ferro con la calamita e in quel momento lei si sentiva come un piccolo ago sperduto sul pavimento e lui era la sua calamita che l’aveva appena salvata da una fine sicura. Avrebbe potuto dire tante cose: che non era giusto, che l’altra non se lo meritava, che lei non si meritava di fare l’amante, eppure quelle dita che si muovevano sicure sulla sua maglietta rossa riuscivano a farle provare brividi lungo la schiena che erano più convincenti di qualsiasi bacio o di qualsiasi promessa. La stava guardando e lei lo sapeva bene nonostante avesse gli occhi chiusi e non potesse vederlo, sentiva il suo sguardo cosi profondo ma allo stesso tempo cosi dolce che dopo attimi che le sembrarono interminabili si rassegnò ad aprire gli occhi ed incontrare i suoi, sentì il fiato farsi corto e il cuore accelerare i battiti quando il suo volto si avvicinava lentamente, senza alcuna fretta, quasi a godersi quell’attimo prima del bacio e, mentalmente, quasi invidiò Psiche che nella famosa opera di Canova poteva godersi quel momento per sempre, visto che quelle labbra di marmo bianco non si sarebbero mai toccate.                                                                              

Un bacio che per Psiche non sarebbe mai arrivato, ma neanche per lei perché la sveglia suonò e quello era solo uno stupido ma fantastico sogno e con la testa ancora appoggiata al cuscino le sembrò di sentire quel calore e il suo profumo.
“Maledetta sveglia!!” esclamò staccandola poco delicatamente e con un ultimo sospiro abbracciò di nuovo il cuscino chiudendo gli occhi per ritrovare ancora quello sguardo che durante il sonno le aveva tenuto compagnia. Ma ormai l’incantesimo si era spezzato e quel meraviglioso sogno era rimasto solo la parentesi di una notte. Si mise seduta sul letto a gambe incrociate passandosi la mano tra i capelli scombinati e dopo un lungo sbadiglio girò la testa prendendo il cellulare dal comodino, si era presa l’abitudine di lasciarlo acceso la notte cosi che se lui avesse sentito la sua mancanza e l’avesse voluta chiamare lei avrebbe potuto rispondergli.

Nessuna chiamata e nessun messaggio.

Nulla.

“Svegliati Anita” si rimproverò dandosi della sciocca e non si riferiva sicuramente a quella mattina visto che ormai era già sveglia da un po’, si riferiva a quella strana situazione che stava vivendo, a quei castelli in aria che costruiva giorno dopo giorno, castelli fragili come quelli che costruiva da bambina con le carte e se quando era piccola era il suo cuginetto a distruggere tutto, adesso ci pensava la vita e faceva sicuramente più male, perché di illusioni non si vive e lei con le sue ventuno primavere era ancora troppo incline alla follia per rendersene davvero conto.

Era venuta su guardando cartoni animati dove il cattivo veniva sconfitto e ogni principessa trovava il suo principe. Ma lei principessa non lo era mai stata e nessuno l'aveva mai scelta davvero, era sempre stata quella che gioiva per gli altri, che si emozionava per delle storie che non erano la sua e non ne aveva mai fatto la colpa a nessuno di questo, perché del resto neanche lei sceglierebbe tra la folla delle sopracciglia disordinate e una matita per gli occhi sbavata.                                                                                                               

Anita non era una principessa e non lo sarebbe mai stata, si era abituata a essere una guerriera, si sarebbe salvata da sola e si era già rassegnata a quella scelta se solo due comunissimi occhi castani non l'avessero prepotentemente sbattuta con le spalle al muro.
 

 

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Capitolo 2
*** Tancredi ***


Capitolo 1. Tancredi
 
Lui la rivoluzione l’aveva negli occhi, bastava guardarli per due secondi per rimanere fulminati
 
Se ne stava seduto sul bordo della panchina e distrattamente guardava il cellulare mentre decisamente controvoglia stava aspettando la sua fidanzata. La sveglia era suonata presto quella mattina e adesso nascondeva gli occhi stanchi dietro un paio di occhiali scuri, un po’ fuori dal comune esattamente come lui. Erano un vecchio paio di occhiali da sole che suo padre usava da giovane e quando li aveva trovati in un vecchio scatolone in mansarda non aveva resistito e li aveva spolverati accuratamente deciso a dargli di nuovo la luce che meritavano. Suo padre in uno dei pochi momenti di complicità gli aveva confessato che con quel paio d’occhiali molti anni prima aveva conquistato quella che da li a qualche mese dopo sarebbe diventata sua moglie e quando li aveva rigirati in mano aveva pensato che ad Anita sarebbero piaciuti senz’altro, perché a lei piaceva tutto quello che era fuori dagli schemi e che non seguiva i cliché...
Quegli occhiali erano fuori dal comune esattamente come lui che aveva fatto del “controvento” il suo motto di vita, mai e poi mi si sarebbe uniformato alla massa, tutti i suoi amici portavano i capelli col gel, pantaloni larghi e magliette con scritte che invitavano alla rivoluzione ma lui no. Lui la rivoluzione l’aveva negli occhi, bastava guardarli per due secondi per rimanere fulminati e non riusciva ancora a spiegarsi come mai i suoi normalissimi occhi castani avessero quell’effetto tale da far abbassare lo sguardo anche alla persona più fiera di tutte. Controllò l’orologio e vide arrivare la sua fidanzata che si lamentava su quanto fossero scomodi i suoi tacchi e quanto quella mattina detestasse suo padre per non averla accompagnata vicino alla stazione degli autobus. Lei era bellissima, era la classica ragazza perfetta dai capelli biondi e gli occhi verdi, aveva un fisico slanciato e nessuna imperfezione e le era bastato battere le ciglia vigorosamente per farlo cadere ai suoi piedi ed era convinto che niente potesse rapirlo da lei, fino a quando un uragano si abbattè su di lui, quell’uragano aveva un nome femminile e rideva sempre, rideva quando forse avrebbe fatto bene a piangere, trovava un motivo per ridere anche dove non c’era e poi era bella, ma non bella fisicamente, era bella intellettualmente... poteva parlare con lei e finire al tappeto come fosse su un ring in un incontro di pugilato, era una cintura nera di sapere lei ... e poi amava leggere e spesso si erano ritrovati a condividere gli stessi libri.
Ultimamente quella ragazza navigava spesso tra i suoi pensieri, ma lui era fidanzato e convinto che mai e poi mai quella ragazza si sarebbe innamorata di lui. Guardò la sua fidanzata e quegli occhi verdi gli parvero improvvisamente insignificanti,si limitò a baciarla velocemente sulle labbra senza alcuna passione e, se fino a qualche mese prima si sarebbe sentito in colpa per questo cambiamento ormai non se ne faceva più un problema; la prese per mano e quando, saliti sull’autobus, lei si infilò le cuffiette nelle orecchiette, prese il cellulare andando istintivamente nella chat di quella che lui aveva definito “un piccolo angelo con la coda” e sorrise quando vide che si era disconnessa da poco, segno che un treno la stesse portando esattamente nel suo stesso posto: all’università.
Lui, finalmente, dopo giorni in cui aveva vinto la tentazione di scriverle, l’avrebbe rivista e questa volta non se la sarebbe lasciata scappare.

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Capitolo 3
*** Lettere ***


Capitolo 2. Lettere “Non preoccuparti ragazza, questo terreno che ti frana sotto i piedi passerà e sarai felice anche tu”. E vide il treno andare via e con il treno se ne andò via anche lui lasciandola li, ferma sul marciapiedi, a occhi chiusi sperando che da un minuto all’altro potesse spuntarle alle spalle e abbracciarla forte riparandola dal venticello della stazione che a quell’ora del pomeriggio soffiava sui binari facendo volare qua e la un sacchettino di plastica. Ma Anita era troppo occupata a guardare il treno per rendersi conto del resto, non lo perse di vista fino a quando, con il cuore in gola, non lo vide sparire all’orizzonte e per un attimo immaginò la scena di un film. Si vide correre, come non aveva mai fatto, dietro quel treno fino a farlo fermare, si immaginò a sbattere i pugni contro la porta perché qualcuno la aprisse e la facesse entrare e poi si immaginò lo sguardo sorpreso di Tancredi e gli applausi del treno quando lui l’avrebbe abbracciata forte per non lasciarla andare più. Ma questi erano solo film, certamente degni del premio oscar, ma sempre e solo stupidi film da ragazzetta e mentre il treno era già lontano e lei se ne stava li, ferma immobile con in mano i suoi libri che strinse al petto, quasi per lasciarsi proteggere da quel senso di vuoto che provava ogni volta che lo vedeva andare via; perché quando lasci andare qualcosa che sai essere tuo hai almeno la certezza che quel qualcosa da te tornerà...ma quando lasci andare qualcosa che non ti appartiene, e forse mai ti apparterrà, come si fa? Non aveva alcuna certezza Anita, quel giorno meno che mai e anche lei, orgogliosa come poche, aveva decisamente dato il peggio di se e adesso, che si stava sedendo su un freddo sedile di quel treno, se ne stava persa tra i suoi pensieri provando a convincersi che quella sensazione di profonda incertezza sarebbe passata presto. “non ci vuole molto... devi solo capire che non vuole te... non è la prima volta... ci sei abituata” si ripeteva deglutendo e il peso dei fallimenti passati tornò prepotente nella sua mente. Aveva amato tanto qualche anno prima, era stato il suo primo amore, ma il più romantico degli idilli si interruppe con un messaggio e con la scoperta che, quello che credeva essere il suo principe azzurro, fosse solo uno stupido ranocchio come molti che in realtà aveva già puntato la sua amica... decisamente più bella, più furba, più avvenente rispetto a lei che all’epoca era solo una ragazzetta ingenua che affrontava il mondo per la prima volta. “non mi innamoro più” aveva detto tra le lacrime alla sua migliore amica che quella volta la stringeva in un abbraccio e sa già che anche questa volta ci sarà lei a consolarla per questa ennesima delusione. Il pensiero del suo ex ragazzo fu di nuovo abbandonato per tornare prepotente a Tancredi e mentre il treno iniziò la sua corsa per riportarla a casa appoggiò la testa al finestrino lasciando sfuggire una timida lacrima sulla sua guancia. Quella mattina l’aveva visto alla stazione con la sua fidanzata, si tenevano per mano e lei camminava come se avesse un trofeo, e forse era proprio cosi, era lei ad avere vinto e ad Anita non rimaneva che imparare da quella sconfitta. Incrociò lo sguardo del ragazzo per pochi attimi e ancora una volta nella sua vita era stata lei ad abbassare lo sguardo come una colpevole e forse l’errore che aveva commesso era quello di provare delle fastidiosissime farfalle nello stomaco, la sua unica colpa era quella di essersi lasciata guidare dal cuore e non dalla testa che già dal primo secondo la invitava ad allontanarsi da quegli occhi magnetici che la chiamavano come il canto delle sirene chiamava Ulisse, ma questa volta non era una donna che ammaliava un uomo, le parti si erano invertite ed era lei ad essere rimasta vittima di quello strano scherzo del destino; nella loro università avrebbe potuto incontrare mille occhi e intanto tra mille erano stati due semplici occhi castani a toglierle il respiro e adesso stava con la testa appoggiata al finestrino, ancora una volta delusa ancora una volta sconfitta e si chiese per un attimo se mai avesse avuto la gioia di provare davvero cosa significasse sentirsi amata, protetta, se mai avesse avuto la fortuna di essere al primo posto per qualcuno e la risposta la spaventava perché sapeva che in fondo lei era affetta da una malattia che non conosce cura,lei era invisibile. Era sempre stata invisibile, lo era ai tornei a scuola, lo era ai compleanni, alle feste e anche quando alle elementari le amichette si organizzavano per giocare con le barbie a lei non la invitavano mai. Era invisibile e mai nessuno si sarebbe accorto di lei. Solo i suoi occhi magnetici le avevano fatto credere di avere l’abilità di capire che dietro quella corazza da acida c’era un cuore buono, lei non avrebbe mai chiesto un abbraccio o una parola dolce, l’avrebbe mandato a quel paese sempre ma un istante dopo l’avrebbe seguito, e ci aveva creduto... si era illusa che quegli occhi potessero capirla, che lui potesse davvero innamorarsi di lei. Ma ormai da qualche giorno non lo capiva più. Non riusciva a capirne il comportamento, fino a qualche giorno prima sembrava piacergli e invece adesso sembrava invisibile anche per lui, non l’aveva salutata quella mattina quando l’aveva raggiunta a lezione e lei orgogliosa aveva fatto in modo di evitarlo e di scappare e scappare forse è una delle poche cose che le riescono bene. “Basta Anita, basta” si ripetè aprendo il libro di diritto penale decisa a concentrarsi sullo studio per superare brillantemente il prossimo esame, ma non si rese nemmeno conto che il libro se ne stava aperto sulle sue gambe al contrario e la signora seduta di fronte a lei la guardò con passione regalandole un timido sorriso che la diceva lunga, sembrava dirle “Non preoccuparti ragazza, questo terreno che ti frana sotto i piedi passerà e sarai felice anche tu”. Quando quella sera si stese sul letto Anita prese il suo diario, non lo apriva da mesi ormai e quella era la serata giusta per riprendere a scrivere e non avrebbe iniziato con un Caro diario ... e no . . . questa volta no. “Caro Amoremio Tancredi, stasera il mio diario ha il tuo nome, così forse questa è la volta buona per raccontarti tutto e per dirti che, anche se mi mostro calma, mi da un fastidio tremendo vedere quella che ti prende la mano, che ti bacia come se tu fossi suo e lo so che è cosi e probabilmente questo mi da più fastidio ancora. Non sono mai stata abituata a vincere e so che anche questa volta perderò ... ma mi sarebbe piaciuto perdere insieme a te e non perdere te. Perché mi sto innamorando di te?” Dopo aver cancellato quasi tutto strappò il foglio dal quaderno velocemente infilandolo sotto il cuscino e spegnendo la luce, tirò un sospiro profondo e chiuse gli occhi sperando di sognarlo anche quella notte, perché almeno nei sogni lui sarebbe stato suo.

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Capitolo 4
*** Pensieri di te ***


Capitolo 3. Pensieri di te
 
“non preoccuparti giovanotto, le donne intelligenti sanno aspettare”


“l’avrebbe rivista e non se la sarebbe lasciata scappare” (cit. Cap 1)

E invece se l’era fatta scappare esattamente come tutte le altre volte, non aveva avuto il coraggio di andare da lei e abbandonare per una volta quello stupido orgoglio e quella stupida paura di rivoluzionare la sua vita. Quella mattina si era svegliato con le migliori intenzioni, non si era preparato un discorso ma si sarebbe affidato alle parole che il cuore gli avrebbe sussurrato.   
                                                                                                       
Ma qualcosa andò storto.                                                                                    

Quando quella mattina arrivò alla stazione e camminò mano nella mano con la sua fidanzata mai e poi mai avrebbe immaginato di scontrarsi con quegli occhi; stava camminando distrattamente, con una espressione in volto che palesava al mondo la sua noia nonostante accanto avesse una ragazza da far invidia a molti. Si guardava intorno senza alcuna cura ripensando mentalmente al momento in cui avrebbe rivisto Anita e a quel solo pensiero il cuore iniziò ad accelerare i suoi battiti e le sue labbra si incresparono in un risolino stupido, tipico di chi sta viaggiando con la mente... ma il cuore ben presto sembrò fermarsi e il risolino gli morì sulle labbra quando due comunissimi occhi castani incontrarono i suoi e lui non potè fare a meno di notare il percorso che quello sguardo fece: i suoi occhi, la ragazza al suo fianco, le loro mani unite. La vide deglutire e abbassare lo sguardo per poi allontanarsi dalla sua vista a passi veloci come se fosse in ritardo, un ritardo che lui sapeva bene essere solo una scusa visto che, a giudicare dall’ora del grande orologio, era sicuramente in anticipo come sua abitudine.                                                                                                            
Quando, al primo incrocio, salutò la sua fidanzata si guardò la mano e se la portò con vigore sulla testa imprecando contro la sfiga che si era abbattuta su di lui.
“mille persone al mondo e dovevo incontrarla adesso?” si chiese attraversando un semaforo con il rosso per nulla preoccupato dai motorini e dalle macchine che sfrecciavano veloci e suonavano minacciosi per destarlo da quei pensieri in cui era sprofondato. Improvvisamente capì che quella mattina non avrebbe potuto dirle nulla di sensato, come avrebbe potuto convincerla che per lui fosse importante dopo aver visto il suo sguardo deluso qualche attimo prima?                                                                                                                 

Quando arrivò a lezione la ignorò passando dritto e fece di tutto per evitarla, ma mentre la vedeva ridere con altri sentiva il cuore perdere colpi perché quei sorrisi non erano rivolti a lui e l’idea che lei potesse dedicarli a qualcun altro lo faceva impazzire come non mai e si sentì ferito perché lei non era per nulla giù di morale per quello che aveva visto, lei rideva e possibilmente rideva anche di lui. Si sentiva stupido per aver pensato anche solo per un istante di mandare all’aria tutta la sua vita per lei.                                                                           

Prese il suo quaderno e andò all’ultima pagina e mentre tutti prendevano appunti lui iniziò a buttare giù qualche riga:

Devo dimenticarmi di te perché:
  • Ridi di me ma non con me
     
  • Odio la tua risatina civettuola con quel cretino                                         
     
  • Non mi scrivi, non mi pensi e non mi cerchi                                              
     
  • Hai un brufolo vicino al naso                                                                    
     
  • Non mi cerchi se non ti cerco io
Si voltò a guardarla e lei gli regalò un timido sorriso e allora scrisse quell’unico motivo che voleva nascondere anche a se stesso:
  • Non riesco ad amarti come vorrei.

Strappò la pagina accartocciandola ripromettendosi di buttarla via quanto prima, rimase a guardarla con la coda dell’occhio con la speranza di coglierla in fallo mentre volgeva  i suoi occhi verso di lui e solo una volta si accorse che, mentre torturava tra le labbra il tappo della penna, lo scrutava timidamente distogliendo lo sguardo quando la sua amica le lanciava una gomitata e le sussurrava “lo stai consumando, lasciagliene un pochino alla barbie fisioterapista”, la vide arrossire e concentrarsi sui suoi appunti. Capì che forse non era tutto perso, doveva giocare le carte giuste e forse avrebbe vinto finalmente la sua timidezza. Rise tra se e se all’appellativo di “barbie fisioterapista”, doveva essere sicuramente il nomignolo che avevano dato alla sua fidanzata e in effetti l’avevano indovinato in pieno. Elettra, era all’ultimo anno di fisioterapia, non era mai stata portata per quella disciplina, ma suo padre era un fisioterapista affermato che poteva vantare tra i pazienti calciatori e uomini di prestigio e lei controvoglia aveva deciso di seguirne le orme con il solo scopo di potersi occupare un giorno dei clienti di suo padre.

Elettra era cosi diversa da Anita a tal punto che si chiese come potessero piacergli due ragazze cosi diverse tra di loro: eccentrica, perfetta e modaiola la prima e riservata, distratta e disastrosa la seconda. Nonostante tra le mani avesse quello che tutti avrebbero giudicato il meglio c’era qualcosa in Anita che lo ammaliava, non aveva ancora capito se fossero i suoi capelli scombinati che ravvivava con una mano o il suo essere profondamente distratta, più e più volte si era perso ad osservarne i movimenti, riusciva ad essere donna ma contemporaneamente cosi bambina da fargli venire voglia di stringerla forte e proteggerla dal mondo, anche se forse avrebbe dovuto proteggerla da se stesso perché sapeva bene che i suoi sorrisi nascondevano una malinconia che controvoglia era lui a procurarle.
Poche volte era riuscito a beccare i suoi occhi immersi nel vuoto come se la sua mente navigasse chissà dove e quelle poche volte aveva avuto voglia di abbracciarla e non lasciarla andare più, ma ogni volta ricadeva sempre nello stesso errore, quell’errore che fece quando finita la lezione alla stazione prese un treno diverso dal suo...
Con la fronte appoggiata al vetro la guardò sul marciapiede con i libri stretti al petto come a proteggersi dal freddo e quel senso di vuoto che immaginò provasse lei colpì anche lui . . .

“Sono un cretino” sussurrò quando un anziano signore gli porse una caramella alla menta “non preoccuparti giovanotto, le donne intelligenti sanno aspettare”
 

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