Schönheit

di Facy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Boulevard of broken dreams ***
Capitolo 2: *** To disappear ***
Capitolo 3: *** Cliente "blindato" ***
Capitolo 4: *** The Addams Family's House ***
Capitolo 5: *** Prima regola del manuale ***
Capitolo 6: *** Schönheit ***
Capitolo 7: *** Distanza professionale, questa sconosciuta ***
Capitolo 8: *** Il potere di Internet ***
Capitolo 9: *** Una stanza nascosta ***
Capitolo 10: *** Galeotto fu il film... ***
Capitolo 11: *** I need you... ***
Capitolo 12: *** Spada di Damocle ***
Capitolo 13: *** Can you call this revenge? ***
Capitolo 14: *** Tentazione ***
Capitolo 15: *** Il vaso di Pandora ***
Capitolo 16: *** Beloved traitor ***
Capitolo 17: *** Delitto e castigo ***
Capitolo 18: *** Mostro ***
Capitolo 19: *** Verdetto finale ***
Capitolo 20: *** Apocalisse ***
Capitolo 21: *** Monsoon girl ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Boulevard of broken dreams ***


Questa volta credo proprio di aver trovato un’idea originale: e se Bill perdesse la sua bellezza in modo irreparabile? Come cambierebbe la sua vita?

Ovviamente i Tokio Hotel non mi appartengono e non ricavo un soldo da questa fanfiction: i fatti descritti non sono mai accaduti, le descrizioni dei personaggi già esistenti sono del tutto inventate. Leggete e commentate, per favore.

 

 

Cap. 1: Boulevard of broken dreams

 

La macchina andava veloce.

 

Bill sbadigliò, e cambiò canzone sull’I-Pod. Le note di “The bitter end” dei Placebo furono sostituite da “Boulevard of broken dreams”.

 

Era seduto sui sedili di pelle nera dell’Aston Martin grigio metallizzata, con l’unica compagnia dell’autista, che guidava silenzioso e con il quale il giovane non aveva mai avuto rapporti di sorta. Saki aveva già accompagnato Tom, Gustav e Georg a fare il sound check degli strumenti al Berlin Halle, dove quella sera avrebbero tenuto un concerto.

 

Bill, che aveva accusato durante il pomeriggio di un breve attacco d’emicrania, aveva preferito farsi un sonnellino di un paio d’ore, per essere in forma durante lo show. Aveva dovuto quindi accettare il sostituto di Saki senza tante storie.

 

Per ingannare la noia il ragazzo si concentrò sul ripassare la scaletta del concerto, sui vestiti che avrebbe dovuto indossare quella sera, e poi cominciò a canterellare tra se e se la canzone dei Green Day che gli stava sfondando i timpani.

 

I walk this empty streets, on the Boulevard of...”, canticchiò prima di rendersi conto che la macchina andava molto veloce.

 

Troppo veloce.

 

Le ruote slittavano sull’asfalto umido -quella mattina aveva diluviato- e il ragazzo, gettando l’occhio agli indicatori luminosi sul cruscotto, si rese conto con spavento che avevano superato i duecentoventi all’ora.

 

Bill tentò di ricordarsi il nome dell’autista per chiedergli di frenare, era pericoloso procedere così velocemente con la strada bagnata, con le altre macchine che sfrecciavano nella direzione opposta, si rischiava un frontale, andava troppo veloce, non sarebbe riuscito a fermarsi, ma come dannazione si chiamava? non voleva fare la figura dello stronzo chiamandolo “ehi, tu!”, la macchina accelerò ancora, le ruote sbandarono con un suono atroce, Bill si decise e urlò -Rallenti!- ma i fari di una delle auto che venivano dall’altra parte lo accecarono e l’impatto fu tremendo.

 

Il ragazzo percepì le urla dell’autista senza nome, il rumore orrendo delle lamiere che si tagliavano, si accartocciavano, si scontravano tra loro, la luce e il suono delle fiamme che si alzavano dai due veicoli, e poi una vampata insopportabile di calore, un dolore al volto, straziante, atroce, insopportabile, indicibile.

 

Si sentì sbalzato via dalla macchina, cadde sull’asfalto duro, rotolò su un fianco, e restò lì a contorcersi e ad urlare, agonizzante: mentre ancora aveva nelle orecchie la voce di Billie Joe Armstrong che cantava la sua solitudine sul Viale dei sogni spezzati -e com’era adatta quella colonna sonora!- gli cadde davanti agli occhi sconvolti il velo di una pietosa oscurità.

 

     

 

-Herr Kaulitz! Herr Kaulitz, mi sente?-

 

L’anonima voce baritonale era sconosciuta alle orecchie di Bill, e anche piuttosto fastidiosa in quel momento, così il giovane non si prese la briga di rispondere, considerato anche che aveva la gola dannatamente secca.

 

-Credo sia ancora svenuto- concluse la voce.

 

-Ma si riprenderà, vero?- una seconda voce, che Bill riconobbe come quella di suo fratello

 

Bill spalancò gli occhi, ma si accorse di avere una fasciatura sul volto. Il primo suo impulso fu quello di saltare a sedere, ma si accorse di non poter muovere un muscolo, tanta era la debolezza che lo attanagliava.

 

-Non rischia la vita- rispose intanto la prima voce.

 

-Ma?- la voce di Tom era soffocata dal panico. -Il suo viso... Tornerà quello di prima, vero?-

 

Un sospiro profondo, pieno di rammarico.

 

-No, mi dispiace. Non oso tentare una plastica facciale e non credo che nessun chirurgo oserebbe farlo. Vede, le lesioni sono troppo profonde, è tremendamente pericoloso tentare un’operazione. Si rischierebbe di toccare il sistema nervoso, suo fratello potrebbe rimanerne cieco o paralizzato con tutta facilità. Potrebbe anche morirne-

 

-Ma il suo viso... il suo viso...- la voce di Tom era quasi irriconoscibile tanto era sconvolta: intervallava le parole a respiri ansimanti.

 

-Può considerarsi fortunato di essere sopravvissuto. L’autista è morto sei ore fa, aveva ustioni di terzo grado sui due terzi del corpo-

 

-La prego... la prego...!-

 

-Mi dispiace- ripeté la prima voce, la voce del medico.

 

-Lei deve aiutarlo!- urlò Tom.

 

-Herr Kaulitz, non posso fare nulla e me ne rammarico enormemente, ma ho altri pazienti che aspettano le mie cure. Suo fratello non è in pericolo di vita, né fortunatamente le ustioni gli hanno leso la vista, la voce o altre parti importanti del corpo. Si può ritenere relativamente fortunato. Mi dispiace, ma questo è tutto-

 

Alcuni passi e il rumore secco di una porta che si chiudeva comunicarono a Bill che il dottore doveva essersene andato. Tom invece era rimasto lì, sentiva i suoi respiri affannosi che gli dovevano squassare il petto, da un punto imprecisato alla sua destra.

 

Un sottile terrore freddo strisciò ad impadronirsi della mente di Bill. Il medico aveva parlato di lesioni al volto... Lottò con tutte le sue forze per vincere quella debolezza, quell’inedia che lo teneva accasciato sul letto, simile ad un macigno che gli pesava sulle membra, e le sue labbra riuscirono a muoversi tanto per pronunciare il nome di Tom.

 

-BILL!- urlò questi.

 

-Tom...- ripeté Bill con voce rauca. -Tomi... Aiutami...-

 

-Bill... oh, Bill!-

 

-Aiutami, ti prego...-

 

-Si, Bill... si, ti aiuterò...-

 

-Il mio viso... -

 

Gli rispose un gemito prolungato.

 

-Tom, il mio viso... il mio viso...- il panico si fece crescente nella voce di Bill.

 

Bill si sentì prendere la mano, percepì il calore delle lacrime del gemello che la bagnavano, cercò di mettersi a sedere, di alzare le mani per strappare la fasciatura che gli copriva la vista di ogni cosa, ma non poté muoversi, sempre per quella strana debolezza che in seguito avrebbe saputo essere causata dagli antidolorifici e dai sedativi.

 

Il silenzio, il non-sapere, la sensazione orrenda di non potersi muovere, quella soffocante data dalla fasciatura, lo tormentavano.

 

Si sentì in trappola e cominciò ad urlare, pieno di terrore.

 

-AIUTAMI, TOM!-

 

Il pianto di Tom aumentò ancora, e i gemiti divennero singhiozzi convulsi.

 

-TOM! AIUTAMI!-

 

Ci fu un attimo di fragoroso silenzio, nel quale Bill trattenne il fiato, poi si levò un filo di voce tremante che a stento il ragazzo riconobbe come quella del fratello. Pareva che quelle parole gliele stessero strappando con le tenaglie:

 

-Non posso farlo. Non posso fare niente-

 

E Bill svenne.

 

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Capitolo 2
*** To disappear ***


Cap. 2: To disappear

 

La notizia dell’incidente fece il giro del mondo nel arco di pochissime ore. L’impatto sul pubblico fu devastante. I siti si riempirono di commenti di fans angosciati, di falsi allarmi (Bill era sano e salvo? Bill era morto? Bill si era ucciso per la disperazione?) e quando arrivarono le prime notizie sicure, innumerevoli giornalisti si assieparono sotto l’ospedale dove era ricoverato Bill, nel tentativo di strappare la foto che gli avrebbe fruttato milioni di euro: quella del volto sfigurato del giovane cantante.

 

Non succedeva una cosa del genere dai tempi della morte di Lady D, e molti cronisti misero appunto a paragone i due incidenti.

 

Gli articoli, i servizi sui telegiornali, si moltiplicavano.

 

Bill Kaulitz, vocalist dei Tokio Hotel, è rimasto l’altroieri coinvolto in un drammatico incidente su Thomas-Mann-Straße, Berlino. Morto l’autista responsabile dell’impatto.

 

Le condizioni di salute di Bill Kaulitz (Lipsia 1 Settembre 1989), leader della band tedesca “Tokio Hotel”, restato tre giorni fa vittima di un incidente a Berlino, sono ancora sconosciute.

 

Il mondo è in ansia per Bill Kaulitz, silenzio da parte del manager dei Tokio Hotel e dallo staff di medici dai quali Kaulitz dovrebbe essere in cura.

 

Bill Kaulitz, diciottenne cantante dei Tokio Hotel, è rimasto sfigurato nell’incidente che lo ha visto vittima cinque giorni fa.

 

Le condizioni di Bill Kaulitz (18), frontman dei Tokio Hotel, sono date per stabilizzate. Il primario del Berlin Hospital esclude la possibilità di plastica facciale per il cantante.

 

Bill Kaulitz è stato dimesso dal Berlin Hospital dove era stato ricoverato due settimane fa, in seguito all’incidente del quale era stato vittima. Kaulitz, rimasto sfigurato al volto, è stato trasferito nella notte dall’ospedale ad una rinomata clinica privata.

 

Pubblicata la cartella medica di Bill Kaulitz, diciottenne vocalist del gruppo “Tokio Hotel”: non c’è alcuna possibilità d’operazioni al volto per il giovane cantante, rimasto coinvolto un mese fa in un incidente a Berlino.

 

I fans sembrarono impazzire: blog, fansite e forum si riempirono di smarrimento e di dolore. Il silenzio da parte del management del gruppo non faceva che aumentare la preoccupazione.

 

Ci fu il caso di una ragazza francese che si tagliò le vene e che venne soccorsa per miracolo: molte fans cominciarono ad imitarla, e dovette intervenire David Jost in persona, che chiese da parte dei ragazzi del gruppo di astenersi da dichiarazioni di sostegno così estreme.

 

Ma non aveva capito niente: quello non era sostegno. Quella era disperazione.

 

Chiunque si dicesse fan dei Tokio Hotel continuava a ripetere che non li avrebbe mai dimenticati, che non importava che Bill fosse rimasto sfigurato, che li avrebbe seguiti per sempre, ma il silenzio ostinato dei Tokio Hotel stessi non aiutava.

 

Passarono i mesi.

 

La gente continuava a chiedersi dove fosse Bill, come stesse. Le fans continuavano a scrivere interventi strappalacrime sui loro blog.

 

Passò un anno.

 

Arrivò un’altra band targata Universal. Il pubblico gridò al tradimento.

 

Passò un altro anno, ne passarono due. Sui giornali compariva qualche occasionale articolo sull’incidente, ma era roba vecchia che non interessava a nessuno. Le canzoni dei Tokio Hotel non erano più nelle classifiche da tantissimo tempo, nessuno comprava più i loro CD.

 

Al quarto anno le parole “Tokio Hotel”, prima sempre sulla bocca di tutti, sembravano essere quasi scomparse, il sito ufficiale della band chiuse i battenti, le ultime fans cancellarono definitivamente le dichiarazioni d’amore dai loro blog e cominciarono a dire che in fondo quella nuova band pubblicizzata dalla Universal non era poi tanto male.

 

I Tokio Hotel erano spariti, e del volto di Bill, nessuno aveva mai saputo più nulla.

 

 

 

Questo è un capitolo di parentesi, corto e un pò schifoso, ma l’ho dovuto inserire per esigenze di trama. Non preoccupatevi, la fanfiction ritroverà tutto il suo smalto iniziale, ho intenzione di dedicarmici parecchio. Grazie a chi legge, ancor più a chi ha commentato e a chi lo farà. A presto!

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Capitolo 3
*** Cliente "blindato" ***


Vorrei ringraziare sentitamente tutte le persone che hanno lasciato quelle bellissime recensioni: stavo quasi piangendo dalla felicità, quando le ho lette. Prometto che in cambio m’impegnerò il doppio nel continuare la FF.

Grazie anche a chi non ha commentato, ma ha solo letto, in ogni modo vi sarei ancora più grata se lasciaste una piccola recensione, la prossima volta.

Bando agli indugi, e via con il terzo capitolo.

 

 

Cap. 3: Cliente “blindato”

 

Quando Sibylla entrò nello studio percepì subito che c’era qualcosa che non andava.

 

Non c’era la solita atmosfera, decise. Solitamente lo studio odorava di cuoio vecchio e libri, e calma e cultura, e risoluzione pacata delle problematiche più difficili. L’odore che ci si aspettava dal più importante studio medico specializzato in psichiatria di Hannover.

 

L’odore che Sibylla, ex-secchiona uscita con un anno d’anticipo dall’università, era andata ricercando per lungo tempo, e che, una volta trovato, non aveva mai più abbandonato.

 

Ecco, quell’amato e familiare profumo, quella mattina, non c’era.

 

Lo studio sapeva d’agitazione, di matite tormentate tra mani sudate, di discorsi concitati e di problemi incorsi all’ultimo minuto.   

 

La ragazza (ventidue anni, un cervello da Enciclopedia multimediale e un aspetto assai poco tedesco, con grandi occhi neri dalle lunghe ciglia, e una chioma castano ramata la cui ribellione silenziosa ma indomita costringeva la sua proprietaria a raccoglierla in una lunga treccia nei giorni di pioggia) sospirò, e si sfilò il soprabito, appendendolo all’attaccapanni di mogano all’ingresso.

 

Passò davanti al busto di Freud (nemmeno il principale studio medico-psichiatrico privato di tutta la Germania sfuggiva a certe tradizioni), e lo salutò silenziosamente.

 

Povero Sigmund!” si disse ridacchiando mentalmente. “Stai a vedere che se la Capa si arrabbia ci vai di mezzo anche tu, un’altra volta”.

 

L’unica volta che la dottoressa Stofel, titolare dello studio e luminare della psichiatria aveva perso il controllo di se, Sibylla l’aveva vista scagliare un portapenne di metallo contro il busto di Freud. Il colpo gli aveva staccato il naso, che era poi stato rincollato con santa pazienza da una delle segretarie.

 

I peggiori presentimenti della ragazza furono confermati, quando Johanna, la sua amica della segreteria, vedendola entrare, le sibilò indicando la porta di noce con la scritta “Dott.ssa Stofel”:

 

-In campana, Darenbaum! Tempesta in corso!-

 

-La Stofel?- domandò la ragazza.

 

Johanna annuì con sussiego. Era una donna magra e insoddisfatta che aveva abbondantemente passato i trenta, e che di recente aveva tagliato i capelli biondo cenere a caschetto: pettinatura che non donava particolarmente al suo viso da zitella, evidenziando la linea troppo marcata della mascella e l’assenza totale di zigomi.

 

Era piuttosto antipatica e aveva il fastidioso vizio di chiamare la gente per cognome, ma era l’unica persona sotto i quarantacinque nello studio, l’unica così indiscreta da rivolgere la parola a quella ragazza solitaria e intelligente, talmente timida e stravagante che molti erano convinti che avesse scelto il mestiere di psichiatra solo per stare con quelli più matti di lei.

 

-Dio, aiutaci tu- invocò a bassa voce Sibylla.

 

-Già- convenne Johanna. -A proposito, ho l’ordine di avvertirla del tuo arrivo-

 

-Che ho fatto?- si lamentò la ragazza.

 

-Qualcosa di grosso di sicuro, dato che la Stofel mi ha detto di interromperla mentre telefona al nostro miglior cliente per avvisarla che sei arrivata-

 

I suoi occhi azzurri scintillavano e dicevano inequivocabilmente “cazzi tuoi, Darenbaum”.

 

-Fa quello che devi fare- disse Sibylla, come Gesù davanti a Giuda.

 

Johanna premette un pulsante dell’interfono sistemato sulla sua scrivania e le due donne udirono per un attimo la voce alterata della Stofel che diceva “troveremo una soluzione, vi sto dicendo che troveremo una soluzione”, prima che questa s’interrompesse e rispondesse alla chiamata.

 

-Si?-

 

-Dottoressa, la Darenbaum è arrivata-

 

-Era ora! Mandamela nel mio ufficio immediatamente-

 

-Si, dottoressa-

 

Johanna chiuse la comunicazione e additò a Sibylla la porta di noce.

 

-La fossa dei leoni ti attende-

 

-Grazie del sostegno morale, Jo- rispose sarcastica la ragazza, prima di aprire la porta ed entrare.

 

Fece in tempo a sentire la Stofel chiudere la chiamata con un “si, certo, sarà solo per oggi, arrivederci e buona fortuna con suo fratello”, prima che questa si girasse verso di lei e le facesse cenno di accomodarsi su una delle due comode poltrone di pelle marrone sistemate davanti alla grande scrivania direttoriale.

 

-Buongiorno, dottoressa- disse Sibylla dopo essersi seduta.

 

-‘giorno, Darenbaum- la salutò distrattamente la Stofel.

 

Sibylla si dovette trattenere dallo sbuffare fragorosamente. Dottoressa, dottoressa Darenbaum: poteva passare sopra al fatto che Johanna se lo dimenticasse, ma la Capa! Sembrava che in quel posto nessuno guardasse tanto al suo titolo di studio e alle sue capacità, quanto alla sua giovane età.

 

-Darenbaum...- cominciò la donna.

 

Ancora!” si disse Sibylla.

 

-Da quanto tempo sei qui?- domandò poi l’altra.

 

-Sei mesi, dottoressa-

 

-Mmmh...-

 

Oddio! Stai a vedere che questa ora mi licenzia!” pensò terrorizzata la ragazza.

 

-E ti ho mai affidato un cliente “blindato”?- chiese la Stofel.

 

-No, dottoressa-

 

I clienti “blindati”, come venivano chiamati nel gergo del mestiere, erano quelli di cui lo stesso medico curante non conosceva il nome: erano i migliori, i più ricchi, quelli su cui uno studio medico privato faceva i veri soldi. Quelli grazie ai quali un dottore poteva fare strada: guarire uno dei “blindati” era una spinta sicura alla propria carriera.

 

-Allora oggi avrai la tua grande occasione. Ho in cura da quasi quattro anni un “blindato” che è stato vittima di un grave incidente automobilistico nel 2008. E’ rimasto gravemente sfigurato: io non l’ho mai visto in faccia, porta una maschera, e non esce mai dalla sua villa fuori Hannover. Gli accordi che ho siglato con suo fratello, il quale ha la tutela legale del cliente, stabiliscono che i nostri incontri si tengano una volta ogni due giorni, ma purtroppo oggi mia madre ha avuto un ictus e devo assolutamente raggiungerla in ospedale-

 

-Oh, mi spiace- disse automaticamente Sibylla, anche se la faccia della Stofel era rimasta impassibile come al solito, senza che trasparisse nessuna apprensione per la sorte della madre. -E io che c’entro?-

 

-Tu sei la migliore dei medici dello studio, dopo di me, e sei anche l’unica libera questa mattina. Non preoccuparti, sarà solo per oggi: ho cercato di far capire al fratello che è assolutamente inutile un cambio così repentino di psichiatra, ma niente. Il cliente si fa chiamare “Wilhelm”, e questo è il suo fascicolo-

 

-Ma dottoressa- tentò di protestare Sibylla. -E’ un incarico troppo importante per me, non sono ancora in grado...-

 

-Lo diventerai lungo la strada: la villa dista un’ora buona da qui. Ripassa Freud, Darenbaum-

 

Detto ciò abbassò lo sguardo sulle carte che aveva aperte sulla scrivania e congedò la ragazza con un gesto della mano.

 

Sibylla prese riluttante il fascicolo e si trascinò fuori dall’ufficio.

 

-Allora?- domandò Johanna, piena di morbosa curiosità. -Ti ha licenziata?-

 

-Magari- gemette la ragazza. -Mi ha affidato un “blindato!”-

 

Sul volto di Johanna comparve per un secondo un’ombra di delusione, che fu subito rimpiazzata da un’aria invidiosa e curiosa al tempo stesso.

 

-Come si chiama? Che cos’ha?-

 

-Wilhelm. E’ rimasto sfigurato quattro anni fa, e ha un fratello che lo protegge con accanimento. Per colpa sua mi tocca farmi due ore di macchina, andata e ritorno: il “blindato” fa l’eremita e non esce mai dalla sua villa-

 

-Oh!- mormorò Johanna. La sua espressione ricordò a Sibylla quella di un automobilista che rallenta in autostrada per osservare i resti fumanti di un incidente.

 

La ragazza s’infilò il soprabito e scese di corsa le scale, inseguita dalla voce della segretaria, che diceva “dovrai raccontarmi tutto, Darenbaum!”.

 

 

Ho appena terminato il terzo capitolo e non vedo l’ora di sapere come secondo voi mi sono cimentata nell’impresa più difficile nelle fanfiction sui Tokio Hotel: la descrizione del personaggio femminile protagonista della storia. Si rischia sempre di creare una troia o una stronza, non so se mi spiego. Alla prossima!

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Capitolo 4
*** The Addams Family's House ***


Rispondo a MalkContent, che mi dice che un intervento di plastica facciale è sempre possibile, quale sia la gravità delle lesioni.

Lo so: quello che ho scritto non sta assolutamente in piedi e dal punto di vista strettamente clinico non ha senso. Ma se gli faccio fare l’incidente e poi lo rimetto a posto, la storia non va né avanti né indietro!

Temo di aver dimenticato di scrivere al primo capitolo che mi sarei concessa questa “licenza poetica”, mi scuso!!!!!

MalkContent, ti ringrazio per la recensione: continua a seguirmi!

 

 

Cap. 4: The Addams Family’s house

 

-Oh. Mio. Dio-

 

Queste furono le tre parole che Sibylla pronunciò quando vide la villa del cliente “blindato”.

 

Prima di ciò aveva fatto tutto con grande diligenza. Era stata esemplare.

 

Aveva preso con obbedienza la macchina, aveva guidato con obbedienza per più di un’ora per l’autostrada, fermandosi solo per fare colazione in un autogrill.

 

Nell’autogrill, mentre sorseggiava il caffè al sapore di brodo di cartone, aveva letto con cura (e con obbedienza) il fascicolo di “Wilhelm”, e aveva persino sottolineato a matita le frasi più significative.

 

Aveva con obbedienza percorso le stradine fangose di campagna fino alla villa.

 

Ma quando le era arrivata davanti, a quella benedetta villa, il suo senso del dovere era evaporato nell’aria umida della mattina come neve al sole.

 

-Oh, no. No, no, no. Io là dentro non ci entro- disse con decisione. -Fossi matta-

 

La villa, una costruzione di pietra ricoperta d’edera, si ergeva in posizione rialzata, su una collinetta dalle pendici ricoperte di fitta vegetazione, cinta da un’alta recinzione di cemento. Gli scuri delle finestre erano chiusi, non si udiva un suono provenire dall’abitazione.

 

Fissate subito sopra al cancello corazzato c’erano due telecamere a circuito chiuso dall’aria sofisticata, e al posto del citofono c’era una diavoleria tecnologica con tanto di webcam che consentiva agli abitanti della casa di identificare l’incauto visitatore.

 

L’effetto finale era uno spiacevole misto tra la casa della famiglia Addams e Fort Knonx.

 

-Mi spiace, caro Herr “Wilhelm”, ma te lo scordi che io entri lì dentro- mormorò la ragazza, posando il fascicolo sul sedile accanto a quello del guidatore per fare marcia indietro.

 

Sfortunatamente, facendo ciò, le cadde l’occhio su qualcosa che era sfuggito non si sa come alla lettura attenta nell’autogrill: “Wilhelm” aveva esattamente la sua età.

 

Chissà perchè si era fatta l’idea di un grasso signore sui quaranta...

 

Nella mente le si affacciò l’immagine di una sorta di Lord Faunterloy in versione cresciuta, accasciato su una poltrona vicino ad una grande vetrata, che guardava fuori con aria malinconica ma speranzosa, aspettando che arrivasse il suo unico contatto con il mondo esterno che lo aveva così crudelmente maltrattato...

 

-Oh, merda- imprecò Sibylla. -E va bene, va bene!-

 

Spinse il piede sull’acceleratore e parcheggiò subito davanti al cancello. Scese e, dopo aver dato un respiro profondo e un ultimo sguardo preoccupato alla casa, suonò il campanello.

 

Udì un ronzio metallico e vide le telecamere ruotare verso di lei.

 

-Si?- le rispose dall’interno una voce distorta dall’impianto elettronico.

 

-Dottoressa Darenbaum, studio medico-pscichiatrico Stofel. Sostituisco la dottoressa Stofel per l’appuntamento di oggi-

 

Ci fu un attimo di silenzio.

 

-Può identificarsi?-

 

Sibylla tirò prontamente fuori la carta di identità e i documenti che segnavano la sua appartenenza alla clinica privata e li esibì davanti alla webcam.

 

-Venga pure, dottoressa- disse dopo poco la voce dal citofono.

 

E il cancello ruotò lentamente su se stesso, rivelando a Sibylla un lungo viale alberato leggermente in salita. Lei entrò, e cominciò a camminare sotto gli alti pini che s’intrecciavano sulla sua testa.

 

Dopo un paio di minuti raggiunse la fine del corridoio d’ombra creato dagli alberi, e giunse in uno spazio erboso e curato, che attraversò fino ad arrivare a salire i gradini di pietra che portavano ad una veranda e ad un portone di legno.

 

Sibylla suonò il campanello, e subito le aprì una donna rotondetta sui cinquanta, dal volto gentile e banale e in uniforme da cameriera.

 

-Buongiorno. Vuole darmi il soprabito? Mi segua, da questa parte-

 

La ragazza la seguì, grata che non avesse fatto obiezioni alla sua età così poco ortodossa per una psicologa d’alto livello.

 

L’interno della casa era meno inquietante di quanto si sarebbe potuto supporre da fuori, i mobili erano un discreto misto d’antichi e raffinati con moderni e razionali, d’ottimo gusto, e non c’erano grandi ritratti foschi dalle cornici gotiche appesi alle pareti, né attrezzi di tortura in vista. L’unico neo era l’assenza quasi totale di luce esterna, che però veniva validamente soppiantata dall’illuminazione artificiale.

 

Nonostante le premesse fossero decisamente migliorate, il carattere lunatico di Sibylla le aveva già cancellato dalla testa la romantica immagine del ragazzo malinconico seduto alla finestra.

 

Ma perchè non sono tornata a Hannover?” si chiese angosciata, ma era troppo tardi. Già la cameriera bussava leggermente ad una porta alla fine del corridoio che avevano appena percorso.

 

-Si?- le rispose dall’interno una voce.

 

-La dottoressa per l’appuntamento di oggi, signore-

 

-La faccia passare, Irma-

 

-Come desidera, signore-

 

La donna, Irma, aprì la porta, e fece cenno a Sibylla di entrare. Lei obbedì, un pò titubante, e la cameriera richiuse la porta alle sue spalle.

 

Sibylla sussultò. Riecco il suo incubo alla Piccolo Lord.

 

La ragazza si trovava in un ambiente molto grande, una biblioteca arredata in stile ottocentesco. I pavimenti erano di parquet e in fondo alla stanza c’era una grande vetrata che occupava l’intera parete. La luce era schermata da lunghe e grandi tende leggere, e davanti era stata sistemata una poltrona, che dava le spalle alla porta.

 

     

 

-Dottoressa Stofel?-

 

La voce proveniente dalla poltrona era incerta ma melodiosa.

 

Sibylla sospirò e fece qualche passo avanti.

 

-Dottoressa Darenbaum, in realtà-

 

La persona seduta sulla poltrona balzò in piedi e si voltò verso la giovane con un movimento pieno di fluida eleganza.

 

Sibylla trattenne il respiro.

 

Il cliente “blindato” era un ragazzo alto e molto snello, vestito con grande semplicità: una maglietta attillata e nera sopra jeans che gli fasciavano le gambe magre, sostenuti sui fianchi sottili da una cinta dalla fibbia di metallo e scarpe da ginnastica. Aveva strani capelli corvini e lisci, lunghi fino alle spalle, e striati di mechés biondo chiarissimo.

 

E portava una maschera bianca che gli nascondeva il viso.

 

I due tacquero per un istante. Sibylla percepì lo sguardo di “Wilhelm” veleggiarle addosso, scenderle sui vestiti troppo castigati, risalirle sui capelli troppo arruffati, soffermarsi sul suo volto e fissarsi poi nei suoi occhi.

 

La stava valutando in maniera quasi insostenibile, e la ragazza pensò bene di spezzare la tensione andando verso di lui e porgendogli la mano sottile con gentilezza.

 

-Piacere di conoscerla, Wilhelm-

 

Lui la strinse con la sua e le sorrise, un pò a fatica. Aveva una bocca bellissima, rifletté Sibylla.

 

-Non ero stato informato del cambio...-

 

-Non si preoccupi, sarà solo per oggi. La dottoressa Stofel ha purtroppo dovuto far fronte a un’emergenza di carattere familiare, e mi ha affidato l’incarico di sostituirla-

 

Ha dovuto far fronte a un’emergenza di carattere familiare, solo a me vengono certe uscite”, si rimproverò col pensiero, ma “Wilhelm” non contrastò la scelta di lessico. Ancora una volta dovette essere lei a rompere il silenzio imbarazzante.

 

-Allora, che ne dice di fare due chiacchiere?- domandò con gentilezza.

 

-Ah, si... certo- acconsentì lui.

 

-Posso prendere una sedia?-

 

“Wilhelm” fece per andare verso il tavolo della biblioteca e le sedie sistemate intorno ad esso, ma Sibylla lo bloccò.

 

-Non si preoccupi, faccio io-

 

Afferrò una sedia, la sistemò vicino alla poltrona e ci si accomodò.

 

-Su, venga. Si metta comodo, voglio solo parlare un pò con lei-

 

Il ragazzo, che prima era stato in piedi a fissarla, obbedì e si sedette sulla poltrona.

 

Per qualche secondo gli si dipinse negli occhi un’espressione incerta (Sibylla rimase in silenzio per consentirgli di parlare, era molto importante che lo facesse di sua spontanea volontà), poi disse:

 

-Mi dispiace, ma io non credo sentirmi in grado di essere... visitato da lei-

 

Sibylla sorrise, piacevolmente stupita. Perchè, pur essendo giovane, aveva già una certa esperienza, e sapeva che cosa sarebbe potuto accadere con un paziente come “Wilhelm”. I casi principali erano due: mutismo assoluto oppure maleducazione e aggressività allo stato puro.

 

Il giovane paziente, al contrario, diceva “mi dispiace”, e le dava del lei, e soprattutto le parlava. Ad occhi profani tutto ciò sarebbe potuto apparire scontato, ma la ragazza, in qualità di psicologa, sapeva che non era affatto così.

 

Sibylla era un medico, e svolgeva il suo lavoro in modo professionale: sapeva che “Wilhelm” aveva alzato una barriera tra loro, quella del suo rifiuto. Era suo compito abbatterla.

 

Un paziente come “Wilhelm” era un animale selvatico terrorizzato: non poteva mostrarsi debole o incerta di fronte a lui. Però c’era sempre la voce del ragazzo, piena di un’insicurezza quasi commovente, che contribuiva a bloccarla nel vincere le sue difese.

 

Improvvisamente Sibylla decise di buttare la prudenza alle ortiche.

 

-In tutta confidenza, Wilhelm, nemmeno io mi sento in grado di visitarla. Ho ventidue anni, lavoro da solo sei mesi nello studio Stofel, e mi hanno spedita qui da lei appena sono arrivata al lavoro. Ho letto la sua documentazione nell’autogrill, mentre facevo colazione. Ma se ritorno a Hannover senza aver concluso niente, posso scordarmi gratifica e promozione. La prego, Wilhelm... mi permetta semplicemente di parlare con lei-

 

Già da prima che il ragazzo rispondesse, Sibylla capì di aver fatto due mosse giuste: porsi in una posizione di svantaggio rispetto a lui e chiamarlo ripetutamente con il nome che lui si era scelto.

 

-Va bene- disse infatti lui.

 

Sibylla sorrise per ringraziarlo. Poi le cadde l’occhio su un libro che “Wilhelm” aveva posato sul largo bracciolo della poltrona quando ci si era seduto.

 

La copertina rigida dagli angoli dorati era rilegata in tela verde intenso, il titolo e l’autore erano anch’essi indicati in lettere d’oro: “Der Tod in Venedig” di Thomas Mann.

 

-Lo conosce?- chiese “Wilhelm”, che evidentemente doveva aver notato lo sguardo della ragazza.

 

-Il mio libro preferito...- mormorò lei. -Posso?-

 

-Certo- il ragazzo prese delicatamente il volume e glielo porse.

 

Sibylla lo sfogliò con reverenza. Le prime pagine erano occupate da una serie di bellissimi acquarelli a colori rappresentanti vedute di Venezia: una calle, una piazzetta con un pozzo, un ponticello, il Lido e il Canal Grande alla luce dell’alba. Quella sola immagine bastò a creare un nodo alla gola a Sibylla.

 

-Mio dio... quest’edizione è bellissima-

 

-E’ anche il mio libro preferito- disse lui, chinandosi con lei a guardare i delicati acquerelli, come se fosse la prima volta che li vedeva. -Sa, l’incidente di Berlino è avvenuto in Thomas-Mann-Straße... non riesco a portagli rancore-

 

Sibylla alzò gli occhi per un istante, e gli sorrise, leggermente meravigliata: aveva nominato l’incidente e le aveva fatto una confidenza di tutta spontanea volontà.

 

-Ha visto il film?- le stava intanto chiedendo “Wilhelm”.

 

-Si-

 

Sibylla si mise più comoda sulla sedia e avviò una conversazione sul film di Visconti. “Wilhelm” non era d’accordo con lei su alcune scelte del regista, e discussero animatamente per un bel pezzo, passando poi ad altri libri e film che avevano letto e visto entrambi.

 

Sibylla sbirciò l’orologio: era passata mezz’ora. L’incontro stava prendendo una piega migliore di quanto si fosse mai aspettata, ma era arrivato il momento di portare la conversazione su qualcosa di maggiormente personale rispetto a film e libri.

 

-Mi dica di lei, Wilhelm. Niente di compromettente per il suo anonimato. Mi racconti qualcosa di generale su di lei. Per esempio, so che è stato suo fratello a contattare lo studio Stofel, perchè ha la sua tutela dal punto di vista legale. E’ più grande di lei?-

 

-E’ il mio gemello-

 

-Mi parli di lui- chiese Sibylla con gentilezza.

 

Il ragazzo le parlò abbastanza a lungo di “Thomas”, un nome falso anch’esso, come aveva tenuto a specificare, arrivò persino a raccontarle di qualche episodio della loro infanzia.

 

Sibylla, che prendeva appunti mentalmente, si vide tratteggiare davanti agli occhi il ritratto di un grande affetto, di un rapporto molto forte, e rimase di stucco, quando “Wilhelm” le confessò che non lo vedeva da tre anni.

 

-E perchè mai?- domandò allibita.

 

Lui sospirò.

 

-Sa, è difficile a dirsi... Ci sentiamo regolarmente, in quel senso siamo in buoni rapporti, ma... semplicemente, quando siamo al telefono, non mi chiede mai di venire da me, né io gli chiedo mai di farlo-

 

Sibylla rifletté per un istante.

 

-Ha avuto motivi di dissenso con suo fratello, nel passato?-

 

-No, mai. Litigavamo, ma non c’è mai stata una vera frattura tra noi-.

 

-E dopo l’incidente?-

 

Gli occhi di “Wilhelm” s’indurirono.

 

-Ripeto: non c’è mai stata una frattura tra di noi- rispose con freddezza.

 

Mossa sbagliata, accidenti”, pensò Sibylla.

 

Se “Wilhelm” si sentiva abbastanza a suo agio da nominare l’incidente davanti a lei, questo non voleva dire che Sibylla potesse fare altrettanto. La ragazza capì che il loro incontro era finito. Si alzò dalla sedia, subito imitata da lui.

 

-E’ stato un vero piacere parlare con lei, ma temo che sia ora che io vada-

 

-La farò accompagnare alla porta da Irma-

 

Il ragazzo premette un pulsantino su una parete, e dopo poco la cameriera bussò alla porta.

 

-Arrivederci, dottoressa- la salutò-

 

-Temo che non avremo altri incontri, Wilhelm. La dottoressa Stofel tornerà certamente in tempo per il vostro prossimo appuntamento- disse lei.

 

-In tal caso, addio, dottoressa-

 

-Addio-

 

 

Finalmente il grande incontro è avvenuto! Peccato che lei non sospetti ancora niente sulla vera identità di “Wilhelm”...

Che ne pensate di un Bill così “intellettuale”? So che non è tanto verosimile, ma si tratta della mia storia e soprattutto del mio Bill, e posso rigirarmelo come mi pare ^_^

Vi prego, commentate!

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Capitolo 5
*** Prima regola del manuale ***


Cap. 5: Prima regola del manuale

 

Quella mattina Sibylla si svegliò con un diavolo per capello, un brufolo nascente sul mento e una voglia di andare a lavorare pari a zero.

 

Rotolò giù dal letto, si trascinò in bagno, considerò distrattamente che la sua faccia sembrava una pizza, e si accasciò sulla tavoletta chiusa del water, sbadigliando.

 

Uscì da casa mezz’ora dopo, si infilò in macchina e scoprì con suo profondo orrore che il giorno prima, durante la sua gitarella fuori porta, aveva consumato tutta la benzina.

 

La ragazza maledì con tutto il cuore il fantomatico “Wilhelm” del giorno prima e cercò un taxi.

 

Dato che era molto fortunata lo trovò dopo un’era glaciale e mezza, e arrivò sotto lo studio con la bellezza di venti minuti di ritardo.

 

Si fiondò nel palazzo, si infilò rapida nell’ascensore, premette furiosamente sul pulsante del quarto piano, pregando ardentemente che il meccanismo non si bloccasse (perchè quando la sfiga ce l’ha con te non fa certo le cose a metà), fu esaudita e riuscì finalmente a fare il suo ingresso trionfale nello studio.

 

Che poi trionfale non tanto, perchè non voleva dare alla Stofel una nuova occasione per un altro incontro ravvicinato.

 

Salutò con la mano Johanna, sperando che la donna si limitasse a ricambiare il saluto silenzioso, ma il cielo aveva già esaudito la sua preghiera dell’ascensore, per quel giorno...

 

-Ehilà, Darenbaum!- il tono della segretaria era persino più squillante del solito.

 

-Ciao, Jo- le sorrise debolmente Sibylla, tentando di guadagnare la porta del suo ufficio per defilarsi.

 

-Non dimentichi qualcosa?- la fermò la voce di Johanna.

 

-Ehmm... no?-

 

-Ehmm... si! Suvvia, Darenbaum, rifletti. Non è difficile-

 

-Oh si, il “blindato” di ieri! Senti, Jo, ho dell’arretrato in ufficio, e tra dieci minuti mi arriva il primo cliente, sai, la signora Keller e le sue manie di persecuzione. Prometto, giuro, che ti racconterò tutto Nei particolari-

 

-Ci vediamo per la pausa pranzo, allora. Ah, a proposito: c’è una sorpresina sulla tua scrivania-

 

Sibylla la fissò con aria interrogativa.

 

-Brutta o bella?-

 

Johanna fece una faccia scandalizzata, e tirò fuori dalla borsa la lametta per le unghie.

 

-E io che ne so? Non guardo mica tra la posta altrui, io-

 

E cominciò a lavorarsi le unghie.

 

Sibylla spinse la porta del suo ufficio e si sottrasse alla vista della donna, bofonchiando a voce bassissima:

 

-No, Jo, non la guardi mica la posta altrui, tu-

 

Poteva ritenersi fortunata che il pacchetto ci fosse ancora. Era lì, sulla sua scrivania, proprio come aveva detto Johanna, ma Sibylla riteneva piuttosto improbabile che fosse giunto nello studio così male impacchettato.

 

Si strinse nelle spalle: difficile che fosse qualcosa di compromettente. Lo prese in mano, e la carta mal riaggiustata finì a terra, assieme con la mandibola della ragazza. Sibylla era rimasta letteralmente a bocca aperta.

 

Perchè quella che teneva tra le mani era la bellissima edizione del capolavoro di Thomas Mann che aveva visto alla villa di “Wilhelm”, era proprio lei, con la rilegatura verde carico e le dorature, non ne potevano esistere due uguali...

 

Sibylla ritirò immediatamente tutte le maledizioni che aveva lanciato a “Wilhelm” quella mattina.

 

Aprì con mani tremanti il libro e trovò un biglietto.

 

Alla mia nuova dottoressa.

 

Sibylla fissò perplessa quelle parole. Se non andava errata ricordava che le ultime parole che aveva sentito pronunciare dal misterioso ragazzo del giorno prima erano state “addio, dottoressa”...

 

Proprio in quel momento arrivò a salvarla dai suoi dubbi la voce di Johanna.

 

-Darenbaum?-

 

-Si, Jo?-

 

-Ti vuole la Stofel-

 

La gioia (per il libro) e la perplessità (per il biglietto) scoppiarono come una bolla di sapone.

 

Imprecò tra i denti, posò con amorevolezza il volume sulla scrivania e si precipitò fuori dall’ufficio, andandosi ad infilare, dopo aver bussato, in quello direttoriale.

 

-Buongiorno, dottoressa-

 

-‘giorno, Darenbaum-

 

Sibylla aveva una spiacevole sensazione di déjà vu.

 

-Darenbaum, oggi ho ricevuto una telefonato davvero strana-

 

Mmmh, davvero? E io che c’entro?

 

-Davvero, dottoressa?

 

-Già. Non hai proprio idea di chi possa essere stato l’autore della telefonata?-

 

Mickey Mouse?

 

-No, dottoressa-

 

-Era Herr “Thomas”, il fratello di Herr “Wilhelm”. Per la cronaca, il fratello del cliente che ti ho affidato non più tardi di ieri mattina-

 

Ma non mi dica!

 

-Oh-

 

-E sai cosa mi ha detto?-

 

Di andare a farti fott...” Sibylla si autocensurò, ma la situazione era troppo frustrante.

 

-No, dottoressa-

 

-Mi ha detto che tu, ieri mattina, hai passato da Herr “Wilhelm” non più di una mezzora. Quando l’appuntamento doveva raggiungere le due ore abbondanti-

 

Merda...

 

-Sono mortificata, dottoressa, io...-

 

-Risparmia il fiato. Herr “Thomas” mi ha chiesto una sostituzione. Vuole, anzi, dice che suo fratello vuole, che tu sia il suo nuovo medico curante. La sua nuova psicologa-

 

-Oh, merda!-

 

-Darenbaum!- esclamò la Stofel con aria estremamente scandalizzata.

 

-Ops... L’ho detto a voce alta, eh?-

 

-Si. Ad ogni modo, vorresti spiegarmi il motivo di questa richiesta?-

 

-Non saprei proprio dirlo, dottoressa- e questa volta era assolutamente sincera.

 

-Vedi, ho in cura Herr “Wilhelm” da quasi quattro anni, e in tutto questo tempo non ho mai notato un minimo miglioramento dall’inizio della terapia e francamente, anche se può sembrare crudele dirlo, non credevo che ce ne sarebbero mai stati. “Wilhelm”, durante i nostri incontri, non ha mai parlato, se non per lo stretto indispensabile. Per quasi quattro anni. E ora arrivi tu, e in un oretta scarsa lo convinci a prendere una decisione così risoluta da scomodare il fratello e da chiedere un cambio di medico. Perchè?-

 

Sibylla ebbe improvvisamente un flashback dalla chiarezza impressionante.

 

     

 

-Purtroppo oggi mia madre ha avuto un ictus e devo assolutamente raggiungerla in ospedale-

 

E la faccia assolutamente impassibile di Krista Stofel: nessuna traccia di apprensione per la sorte della madre, al massimo un leggero fastidio per l’incomodo causato dal viaggio in ospedale...

 

     

 

Sibylla non ebbe il coraggio di dire alla Stofel quello che pensava, e cioè che a “Wilhelm” non doveva essere parso vero di avere la possibilità di liberarsi di quel Panzer del secondo conflitto mondiale in forma di donna.

 

Si limitò a scuotere il capo.

 

-Non saprei proprio, dottoressa-

 

-Bè, questo non è importante. E’ importante che tu capisca appieno che cosa comporta questa sostituzione. Herr “Wilhelm” è, e te lo dico senza tanti giri di parole, il nostro migliore cliente. E’ un paziente che, in condizioni di normalità, non mi sarei sentita di affidare a te né a nessun altro. Io non credo che tu possa “guarirlo”, nemmeno dopo il tuo exploit di ieri. Ma quantomeno non devi dare a lui né a suo fratello altre occasioni di lamentarsi-

 

-Ma certo! Non si preoccupi, dottoressa, sarò all’altezza della fama dello studio Stofel-

 

Un pò di sano servilismo non faceva male a nessuno, ma non era proprio un sentimento sulle corde interpretative di Sibylla... L’altra parve accorgersene e la squadrò freddamente.

 

-Lo spero, Darenbaum. Lo spero per te-

     

 

-Quindi non sono licenziata per il ritardo, né per la parolaccia detta in sua regale presenza, né per essermene andata via prima della fine dell’appuntamento di ieri mattina, bensì ho un cliente “blindato” a tempo pieno, e perciò un aumento di stipendio e una gratifica finale-

 

Sibylla concluse il discorso, e si portò alla bocca la forchetta per inghiottire un altro boccone dell’insalata di pollo con salsa cocktail che aveva ordinato.

 

Johanna, seduta dall’altra parte del tavolino, la fissò per un secondo, poi urlò:

 

-Sibylla Darenbaum, hai il culo più pazzesco di questo mondo!-

 

Improvvisamente, nel piccolo ristorantino dove le due donne erano andate a trascorrere la pausa pranzo, calò un silenzio imbarazzato.

 

-Intendevo in senso del tutto lato. E fatevi gli affari vostri- sbraitò Johanna alle persone che la stavano fissando con curiosità.

 

Sibylla soffocò un risolino.

 

-Grazie, comunque- disse ironicamente.

 

-Non scherzare, Darenbaum- la rimbeccò l’altra. -Sappi che mi sto rodendo il fegato di invidia, e che con la gratifica finale dovrai pagarmi il gastroenterolgo, perchè mi starà venendo un’epatite così!-

 

-Neanche morta, Jo- rispose gentilmente Sibylla. -Con la gratifica finale mi ci pago un attico in centro e mollo finalmente quei venti metri quadrati dove vivo adesso-

 

Johanna si strinse nelle spalle e annuì.

 

-Beata te, Darenbaum. Io me la sogno, una gratifica... Stesso stipendio da dieci anni, non una luce in fondo al tunnel di questa storia...-

 

-E dai, Jo... non sarà così per sempre-

 

Gli occhi dell’altra donna si indurirono.

 

-Prima regola del manuale, Darenbaum...-

 

-Abbiamo un manuale?- la interruppe la ragazza, curiosa.

 

-Da ora si. E la prima regola è: mai sperare in un miglioramento-

 

-Ma come! Io sto per avere la gratifica...-

 

-Non illuderti, baby. Mai sperare in un miglioramento. Perchè anche se arriva, è un miglioramento illusorio. Non cambia niente-

 

-Jo, mi stai mettendo di buon umore-

 

-Sono qui per questo, zucchero-

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Capitolo 6
*** Schönheit ***


Cap. 6: Schönheit (bellezza)

 

Quella mattina Sibylla indossò un bel tailleur di seta blu scuro, regalatole da sua sorella per il suo ventunesimo compleanno, e talmente poco usato da sembrare nuovo.

 

Ci abbinò delle decolletè nere, due cerchietti d’argento alle orecchie, si truccò un pochino e si pettinò energicamente i capelli fino a far risaltare i riflessi nascosti nel castano ramato.

 

Si guardò allo specchio, decise di potersi ritenere soddisfatta, gettò nella borsa chiavi, cellulare, portafoglio e fascicolo di “Wilhelm”, e partì alla volta dalla casa della famiglia Addams, come aveva ormai soprannominato la villa.

 

Mentre guidava lungo l’autostrada, ripensò al dialogo del giorno prima con il giovane e decise che c’erano cose strane nell’aria. Per esempio lei che si pettinava prima di uscire e indossava il tailleur di seta: Sibylla non aveva esattamente il culto dello specchio...

 

Ma doveva esserci qualcosa di più strano... Sbadigliò. Al momento le sfuggiva.

 

Sostò nel solito autogrill per la pausa caffé, e arrivò davanti al cancello corazzato della villa alle dieci e mezza in punto.

 

Salì fino alla villa e fu accolta da una cameriera diversa da quella del giorno prima, ma fu introdotta nuovamente nella biblioteca.

 

“Wilhelm” la aspettava, seduto su un grande divano di pelle marrone, sistemato all’altro capo della stanza, rispetto alla vetrata e alla poltrona.

 

Indossava jeans e maglietta e appena la vide si alzò in piedi e le venne a stringere la mano.

 

-Buongiorno, dottoressa-

 

-Salve, Wilhelm-

 

Lui la invitò ad accomodarsi, e lei si sedette sul divano. E lì, calò il silenzio. Lo ruppe Sibylla.

 

-Prima di tutto, volevo ringraziarla sentitamente per il regalo. Io... non so nemmeno esprimere che cosa significhi quel libro per me, e tenga presente che prima di ieri possedevo un’edizione da sette euro con la copertina di cartoncino...-

 

-Si figuri. E’ stato un dovere, dopo averla congedata così bruscamente, l’altra mattina. Lei stava solo cercando di fare il suo lavoro di psicologa, e io...-

 

-Lei ha fatto solo il suo lavoro di paziente- intervenne con decisione Sibylla. -Ma vorrei chiarire una cosa con lei, Wilhelm. Ora o mai più. Lei può dirmi tutto. Nella mia veste di medico, sono vincolata dal segreto professionale. Capisce, se vado a strombazzare ai quattro venti una sola parola detta da lei durante i nostri incontri, lei mi può denunciare-

 

Il ragazzo annuì, ma sembrava poco convinto e Sibylla dovette rassegnarsi ad iniziare la seduta con quell’atmosfera di tensione.

 

     

 

Rileggendo, qualche ora dopo, gli appunti che aveva preso, mentre “Wilhelm” parlava, Sibylla si rese conto con grande disappunto di aver scoperto poco o nulla sul suo nuovo paziente. Le scarne informazioni ricavate dalle parole del ragazzo l’aiutavano ben poco ad inquadrarlo.

 

     

 

Nato il 1 settembre 1989, a Lipsia. Figlio di un camionista e di una sarta della Sassonia-Anhalt. Un fratello gemello (omozigote). All’età di sei anni assiste alla separazione dei genitori. Separazione, a detta del paziente, del tutto “pacifica”. Possibile trauma infantile ben celato? Improbabile, nessun indizio a conferma di questa ipotesi.

Scuole normali, frequenta il Gymnasium fino ai 15 anni, poi lascia: chiesto motivo, blocco di silenzio da parte del paziente. Inutili i tentativi di riprendere il discorso, rifiuto netto da parte del paziente di rivelare il motivo dell’abbandono della scuola. Lasciato perdere.

Domande circa impieghi svolti prima dell’incidente. Nessuna risposta. Preferito non insistere (del resto condizioni economiche d’evidente e grande ricchezza).

Apparente buona salute, reazione alla domanda circa il bere e il fumare, ma nessun segno di problemi da alcool e tabacco.

Fisicamente molto magro (troppo per la sua altezza. Sintomi di anoressia?). Rigidità nella postura, leggero ritrarsi protettivo. Paranoica condizione di difesa? Accento sassone piuttosto marcato, parlata veloce: per contrasto voce estremamente armoniosa e gradevole.

Nessuna storia di malattia mentale, nessuna precedente esperienza di terapia.

Terapia come condizione necessaria per tornare a una vita normale (il paziente non esce mai da casa, pur non soffrendo di agorafobia o altre forme di ansie).

 

     

 

In pratica, pareva che l’unico trauma subito da “Wilhelm” fosse l’incidente di quattro anni prima. E lui non voleva parlarne. Inizialmente Sibylla si sentì inutile, poi ricordò quanto c’era scritto su uno dei suoi libri dell’università.

 

Conquistarsi la fiducia del paziente.

 

Due chiacchiere con il ragazzo non potevano fare che bene.

 

     

 

-Cambiando argomento. Mi toglie una curiosità?- chiese Sibylla.

 

-Quale?-

 

-Lei ha fatto quasi quattro anni di terapia con Krista Stofel. Ovvero una delle menti più brillanti nel campo della psicologia, attualmente operante. Il meglio del meglio, diciamocelo-

 

-Diciamocelo- ammise lui.

 

-Ecco. Una mattina arrivo io. Ventidue anni, sei mesi di lavoro nello studio, una laurea più che meritata e una media scolastica eccezionale, lo concedo, ma in ogni modo sempre una mezza incompetente. Un principiante, mandata in sostituzione della dottoressa. Che se ne va dopo mezz’ora scarsa. Del tutto irresponsabilmente. Senza una minima professionalità. E lei, miglior cliente dello studio Stofel, richiama la dottoressa e richiede una sostituzione: perchè?-

 

-Dopo tutto quello che ha detto, temo di non ricordarmelo più. Credo che sia stato perchè mi pareva che guardasse a me come un essere umano e non come una macchina fabbrica soldi (come faceva la sua dottoressa Stofel). Ma ora, dopo il suo bel discorso sulla sua incompetenza sono tentato di rimandarla a Hannover-

 

Sibylla sbiancò, poi si accorse del brillio ironico nello sguardo del ragazzo e scoppiò a ridere. Il suono squarciò la quiete polverosa della biblioteca, e parve sorprendere lo stesso “Wilhelm”, che non si unì alla sua risata.

 

La ragazza si ricompose.

 

-Quindi, in pratica, ha chiesto la sostituzione perchè la dottoressa Stofel ha la sensibilità di un sergente delle SS-

 

-Esattamente. Non mi sembrava vero di togliermela di torno-

 

Sibylla ci rimase male, a quelle parole. Lo sospettava già, ma in pratica “Wilhelm” le aveva appena detto che l’unico motivo per cui era lì era l’antipatia di un’altra dottoressa.

 

“Fantastico” pensò.

 

-Wilhelm, posso farle un’altra domanda? E’ libero di non rispondere, se vuole-

 

-Mi dica-

 

-Ecco, molte persone hanno incidenti e restano sfigurate. Ma riescono a superare bene o male il trauma subito, grazie all’aiuto dei familiari, delle persone care. Lei mi ha parlato di suo fratello, e mi è sembrato di capire che la natura dei vostri rapporti fosse più che affettuosa. Ora, perchè...-

 

-Dottoressa- la interruppe bruscamente lui. -Chiariamo una volta per tutte: mio fratello fa di tutto per me. Soddisfa ogni mio desiderio, non mi fa mancare niente. Mi ha trovato questa villa, cura i miei affari per me, mi chiama al telefono ogni giorno, si è preoccupato di farmi iniziare una terapia con la sua clinica... E’ più che premuroso-

 

-Non lo metto in dubbio, ma...-

 

-Semplicemente i nostri rapporti, col tempo, non sono più gli stessi di una volta. Eravamo molto uniti, ma si cambia, dottoressa-

 

Il tono del giovane non ammetteva repliche. Le difese di “Wilhelm” non accennavano a cadere.

 

-Certamente- replicò lei in tono formale. Poi gettò l’occhio all’orologio, e si accorse che le due ore erano passate. -Credo che il tempo sia scaduto- disse al ragazzo.

 

Questo si alzò, subito imitato da lei, e i due si congedarono fissando un altro appuntamento per due giorni dopo, come da accordi presi.

 

     

 

Quella sera Sibylla si spogliò, si fece una doccia, si lavò i denti, indossò il pigiama, si mise a letto e aprì “Der Tod in Venedig”.

 

Saltò a piè pari il primo capitolo e gran parte del secondo, per arrivare direttamente al punto in cui Gustav von Aschenbach vede per la prima volta Tadzio.

 

Rilesse con il cuore in gola la descrizione del ragazzo meraviglioso.

 

... il ragazzo era di una bellezza perfetta. Il suo volto pallido e graziosamente assorto, attorniato da capelli color biondo miele, la linea dritta del naso, la bocca amabile, un’espressione di soave e divina gravità, ricordavano le sculture greche dei tempi più nobili, e alla purissima perfezione della forma si univa un fascino unico e particolare...

 

Sospirò. Ci si poteva innamorare di una descrizione letteraria?

 

Chiuse il libro, un pò immalinconita, e spense la luce. Nell’oscurità della sua camera da letto si ritrovò a pensare a quanto fosse strano che un libro sul desiderio impossibile di possedere la bellezza ideale fosse il preferito di una persona rimasta sfigurata al punto di dover nascondere il viso sotto una maschera.

 

Pensò che forse “Wilhelm” doveva aver posseduto anche lui una sua bellezza, prima... La sua maschera si modellava su un’ossatura molto delicata, e finiva poco prima di quelle labbra così belle, lasciandole scoperte (l’unica parte visibile del volto del ragazzo, a parte i suoi occhi, di uno splendido nocciola ardente).

 

La ragazza sbadigliò e chiuse gli occhi.

 

Mentre cadeva nell’oblio del sonno, alcune parole le si affacciarono alla mente.

 

Una bellezza troppo grande per essere posseduta da un mortale...

 

Ma non poté capire se le stesse pensando o già sognando.

 

 

 

Spero vi sia piaciuto, recensite!!!

Modifico il capitolo per ringraziare decentemente tutti quelli che mi hanno recensito.

 

lilylemon, che mi ha gentilmente segnalato una imprecisione più vistosa e imbarazzante delle innumerevoli che stanno andando, piano ma inesorabilmente, a costellare questa fanfiction.

 

SpaceQueen13, che in qualità di TH Hater mi riempie di orgoglio per il fatto che la mia storia le sia piaciuta nonostante parli dei Tokio Hotel.

 

Lidiuz93, che mi ha aggiunto nei preferiti, e alla quale anticipo (con tutta probabilità) una comparsata veloce di G&G nei prossimi capitoli e una più ampia in seguito.

 

little devil, che non si deve scoraggiare per le recensioni negative, capita anche ai miglior, credimi.

 

SiSi, che è già alla quarta recensione (imitatela ^_^)

 

CaTty, alla quale spero di aver chiarito la faccenda della maschera di Bill (o di “Wilhelm-il-ragazzo-che-sembra-un-vampiro-dalla-mia-descrizione-idiota” ^_^)

 

CAMiL92, alla quale dico di non disperare per la strana situazione di Bill, e di continuare a seguirmi.

 

hEiLig FuR ImMeR, che mi riempie di complimenti in maniera imbarazzante... XD

 

Miss_Kaulitz, alla quale dico che minacce come le tue sono SEMPRE benvenute!

 

Kalix, che è d’accordo con me sull’impossiblità di far tornare Billino come prima, in ogni caso.

 

ruka88, che mi fa arrossire con quei complimenti XD.

 

Moony Magic, intrigata dalla mia storia ^_^

 

toxicgirl, alla quale prometto aggiornamenti velocixximi.

 

GaaRa92, che se non si sbriga a postare le sue fanfiction farà una brutta fine

 

kate35, che, dandomi del genio, ha gonfiato il mio ego come una mongolfiera!!!

 

natalia, che ha apprezzato la descrizione in stile ottocentesco della villa di Bill... io me lo vedo proprio così, a chiudersi fuori dal mondo.

 

_Princess_, che ringrazio per avermi segnalato gli errori di battitura e di distrazione.

 

MalkContent, che ha sgamato la mia passione morbosa per il Fantasma dell’Opera.

 

Lisa90, alla quale è piaciuta la mia descrizione di una protagonista femminile non troia... nessuno ne può più delle solite puttanelle.

 

bluebutterfly, che si complimenta con me per il mio “taglio giornalistico”.

 

darkettone, che mi ha fatto i complimenti per un bell’inizio.

 

makistellina, che ha letto la mia fanfiction invece di studiare, sono orgogliosa!

 

pikkolahacker, alla quale dico che AMO quella canzone che tu sai!

 

 

Inoltre ringrazio tutte le persone che mi hanno inserito nei preferiti, e tutte quelle che hanno letto, e tutte quelle che mi hanno fatto i complimenti a voce invece che attraverso EFP, questo sito meraviglioso, i Tokio Hotel per l’ispirazione, Bill Kaulitz (al quale auguro non capiti mai niente di peggio di un raffreddore) per tutto.

CIAO!

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Capitolo 7
*** Distanza professionale, questa sconosciuta ***


Cap. 7: Distanza professionale, questa sconosciuta

 

Due settimane dopo, “Wilhelm” e Sibylla erano di nuovo seduti sul divano di pelle: la biblioteca era diventata il teatro dei loro incontri, la ragazza non aveva mai visto nessun altro ambiente della casa.

 

-Allora, il suo incidente risale a... quasi quattro anni fa. Me ne parli-

 

-Il mio autista mi stava portando in un posto per lavoro, la strada era bagnata e lui andava troppo veloce, ho esitato a dirgli di rallentare, e quando mi sono deciso la nostra macchina ha fatto un frontale con un’altra che veniva dalla direzione opposta-

 

Sibylla sorrise dolcemente.

 

-Si, questo è quello che è successo. Ma vorrei che lei me lo raccontasse-

 

Sotto la maschera, gli occhi di “Wilhelm” dardeggiarono.

 

-Mi prende in giro?- chiese con voce dura.

 

Davanti agli occhi della ragazza balenò il titolo di un capitolo di uno dei suoi libri dell’università.

 

Reazioni di ostilità da parte del paziente.

 

- Certo che no. Che cosa ha provato?-

 

-Inquietudine e per pochi secondi, paura. Poi sono svenuto- disse laconicamente il ragazzo.

 

Fin qui ci arrivavo da sola, grazie

 

-Facciamo così. Se la sente di chiudere gli occhi?-

 

-Perchè?- scattò il ragazzo.

 

Sibylla si trattenne a fatica da trarre un sospiro. Doveva stare attenta a non forzare la mano con lui, né ad accelerare i tempi.

 

In quelle settimane aveva scoperto di avere molte cose, molti gusti in comune con il suo paziente nuovo di zecca. Per carità, era molto più piacevole avere a che fare con lui che con Frau Keller, convinta che tutto il mondo cospirasse contro di lei, o con Herr Ziegler, fobico nei confronti di tutto ciò che volava (uccelli, jumbo jet e areoplanini di carta).

 

Con “Wilhelm” Sibylla poteva parlare, scambiare opinioni e pensieri.

 

Lo trovava simpatico.

 

Ma si era accorta che c’erano alcuni argomenti off limits con lui, e che non sopportava l’idea di perdere il controllo della seduta. Non voleva sentirsi vulnerabile.

 

Sibylla doveva andarci con i piedi di piombo: ma se non riusciva a prendere almeno qualche iniziativa, la loro terapia si sarebbe arenata, come quella condotta dalla dottoressa Stofel con lo stesso “Wilhelm” per ben quattro anni.

 

Perciò la ragazza si convinse a continuare.

 

-Voglio che lei immagini di trovarsi nella macchina, quattro anni fa. Immagini di tornare indietro nel tempo, e mi descriva quello che vede-

 

Lui la squadrò per un secondo, poi chiuse gli occhi.

 

-Come si sente?- chiese Sibylla.

 

-A disagio- ammise “Wilhelm”.

 

-Mi permette di continuare?-

 

Lui annuì senza parlare. Sibylla lo osservò con l’occhio critico della terapeuta.

 

“Wilhelm” sembrava uno schizzo a china nera pieno di contrasti cromatici.

 

La figura in ombra dalla quale emergeva la chiazza bianca della maglietta indossata su jeans scuri, il lampo d’argento di una catena a grossi anelli che gli cingeva il polso sottile di una delle braccia d’avorio, il nero e le strisce di luce delle mechés chiare dei capelli corvini, che ricadevano lisci, sfiorando le spalle strette del ragazzo, e ombreggiando il biancore della maschera.

 

Stranamente, la figura del ragazzo magro seduto sul grande divano, le apparve ieratica come quella di una statua... un angelo scolpito in marmo e ossidiana.

 

Del tutto priva della parvenza di fragilità che trasmettevano i suoi dolci occhi castani da aperti, aliena, quasi inespressiva (gli occhi chiusi, le labbra strette e il resto del viso nascosto sotto la maschera), ma mortalmente affascinante

 

Sibylla dovette compiere uno sforzo davvero notevole per distogliere lo sguardo, appena in tempo per evitare che lui la sorprendesse nel fissarlo: il giovane, infatti, aveva aperto gli occhi.

 

Sibylla, davanti alla domanda inespressa nel suo sguardo, glissò.

 

-Mi scusi, Wilhelm. Temo di essermi distratta un momento. Possiamo riprendere?-

 

-Si figuri-

 

Il ragazzo tornò a serrare gli occhi. Sibylla si accorse della sua postura esageratamente rigida e tesa e, col tono più clinico in grado di tirare fuori nonostante il suo cervello fosse momentaneamente sconvolto dall’impatto visivo della strana figura, disse:

 

-Mi permette di toccarla?-

 

Le mani di lui, tenute in grembo, si contrassero.

 

-Credevo che questa fosse una terapia verbale- disse, parlando molto velocemente.

 

-Certo, ma la rigidità che parte dalle sue spalle e si propaga alle braccia e al busto, “inchioda” il suo corpo e automaticamente anche la sua mente e, a livello inconscio, la sua capacità di parlare-

 

Detto ciò, Sibylla si avvicinò a lui e gli appoggiò le mani sulle spalle, con l’intenzione di sciogliere il nodo di tensione che lo bloccava.

 

“Wilhem” sussultò e si sottrasse bruscamente al suo tocco, scostandole con malagrazia le mani.

 

-Non si azzardi mai più a fare niente di simile- le sibilò, alzandosi e dirigendosi verso la porta, che sbatté alle sue spalle.

 

Merdamerdamerda” pensò Sibylla.

 

“Wilhelm” tornò poco dopo, le porse le sue scuse e Sibylla le accettò: ma non osò più riprendere l’idea del sogno a occhi aperti, né altre similari.

 

Terminò la seduta con domande formali e fondamentalmente prive di rischi.

 

     

 

Mentre guidava verso casa (stanca morta per essersi sorbita altri tre pazienti in studio dopo la visita a domicilio per il cliente “blindato”), Sibylla si ritrovò a dubitare del pretesto della sua ricerca di contatto fisico con “Wilhelm” di quella mattina.

 

Più tardi si sedette alla scrivania e scribacchiò alcuni fogli di appunti disordinati.

 

     

 

Due settimane. Sei incontri con “Wilhelm”.

Sedute inutili, o quasi: “Wilhelm” parla ma non dice. Glissa sulle domande, a volte non risponde.

Delineazione dei terreni minati: rapporto con il fratello, incidente, occupazione prima dell’incidente. Non rimane poi tanto di cui parlare.

Mi sento frustrata professionalmente.

Per contrasto, rapporto di simpatia stabilito con lui.

Oggi sesto incontro: cercato contatto fisico con lui. Reazione al limite della furia.

Quasi troppo ovvio: una persona che porta una maschera per nascondere il viso non si fa toccare così facilmente.

Forte resistenza al contatto fisico- non insistere più (importante).

Perchè oggi invece l’ho fatto?

Sto impazzendo, adesso vedo i miei pazienti come sculture di marmo.

Marmo e ossidiana, a voler essere fiscali.

Bianco e nero. Luce e tenebra.

Wow, che affermazione da adolescente fissata di saghe fantasy di quarta categoria.

Mistero, tensione, fascino. “Wilhelm” è affascinante oltre ogni dire.

Probabile vero motivo della mia ricerca di contatto fisico con lui.

Distanza professionale, questa sconosciuta.

 

     

 

E lì dovette bruscamente interrompersi, perchè si ricordò di essere attesa a cena da sua sorella, Angelika. Si scollò dalla scrivania e si gettò sotto la doccia.

 

Quando ne uscì, avvolta in un asciugamano enorme e con i capelli fradici, si diresse a passo di carica verso l’armadio e indossò velocemente un paio di jeans neri e attillati e un morbido maglioncino azzurro con lo scollo a barca e il risvolto.

 

Si asciugò i capelli, indossò un paio di All Star nere e si infilò al polso un sottile braccialetto d’argento pieno di ciondoli tintinnanti come unico gioiello.

 

Si guardò allo specchio.

 

Sibylla andava alle sedute di terapia in tailleur e decolletè, i capelli spesso acconciati in uno chignon, pur sentendosi sempre troppo elegante, ma senza mai trovare il coraggio di presentarsi agli appuntamenti in tenuta meno formale.

 

Quando non era al lavoro, però, si vestiva ancora come una teenager: in quel momento dimostrava al massimo diciassette anni.

 

Questa è la vera me stessa” si ritrovò a pensare. “Non la dottoressa in tailleur”.

 

Quel pensiero non le era troppo gradito: Sibylla aveva sempre avuto il culto della donna in carriera, ed ora eccola a sbavare su un’immagine da adolescente romantica.

 

Distolse gli occhi dallo specchio, si infilò il soprabito e uscì di casa, chiudendosi alle spalle la porta e le riflessioni su Herr “Wilhelm”, la sua vita e quell’amore che ormai disperava di trovare.

 

 

 

 

Grazie a tutti voi che leggete e recensite, scusate se questo capitolo è corto e se giunge in ritardo, prometto che però nel prossimo succederà una cosa molto importante per lo sviluppo della storia.

Bacioni, continuate a recensire e a seguirmi.

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Capitolo 8
*** Il potere di Internet ***


Vorrei ringraziare tutte le persone che continuano a recensirmi.

Non ho tempo di scrivere ringraziamenti fatti per bene, come quelli che ho inserito alla fine del sesto capitolo (se avete lasciato una recensione per uno dei primi sei capitoli, andatevi a cercare il vostro ringraziamento personalizzato ^_^), rendo brevemente grazie a:

 

Frehieit489, hEiLig FuR ImMeR, ruka88, SiSi, _Glossy_, Miss_Kaulitz, Colinde, GaaRaa92.

 

Godetevi questo capitolo, importante ^_^ e lunghissimo (rispetto ai soliti).

 

 

Cap. 8: Il potere di Internet

 

Georg svoltò e la macchina prese in pieno una buca particolarmente profonda tra quelle che costellavano la strada sterrata.

 

-Addio sospensioni!- gemette Gustav. -Perchè ti ho fatto guidare la mia macchina?-

 

-Perchè detesti guidare su questa strada. Comunque non è colpa mia, se Bill ha deciso di vivere in campagna, con le pecore-

 

Gustav controllò ancora la chiusura della sua cintura di sicurezza.

 

-A sinistra-

 

-Lo so-

 

Georg prese la curva piuttosto strettamente (i rami di un cespuglio che cresceva sul ciglio della strada sfiorarono il fianco della macchina con un rumore inquietante e una smorfia di Gustav, che pensava alla carrozzeria), e in fondo alla strada apparve lo spettacolo triste e ben noto della villa.

 

Georg, solitamente, percorreva tutta la stradina in un’accelerata, ma quella mattina frenò di colpo.

 

-Merda, una macchina!- esclamò, in preda allo stupore più totale.

 

-Saranno dei fornitori-

 

-Guarda!-

 

Gustav strabuzzò gli occhi e, mentre si avvicinavano, distinse chiaramente la sagoma di una macchina blu scuro dall’aria piuttosto malandata e per niente simile a un furgoncino del latte, mezza coperta dalla polvere della strada sterrata.

 

-E questa di chi è?-

 

Georg stava per rispondere che non ne aveva idea e che moriva dalla voglia di saperlo, quando il cancello corazzato cominciò lentamente a ruotare su se stesso, aprendosi. Georg rallentò, poi si fermò del tutto, a circa venti metri dalla recinzione.

 

Dal cancello uscì una ragazza alta sulla ventina: aveva lunghi capelli castani e mossi, animati da qualche ricciolo ribelle, e portava un soprabito nero stretto in vita da una cintura e presumibilmente un tailleur dalla gonna abbastanza corta, dato che si potevano ammirare due belle gambe in calze trasparenti.

 

Fece qualche passo in avanti, e i due ragazzi poterono vederne il viso perfettamente ovale da Madonna del 600 e gli occhioni neri dalle lunghe ciglia. Una viso un pò antico, per niente vistoso, ma affascinante.

 

La sconosciuta, senza dare segno di averli visti, si diresse verso la macchina blu. Come un sol uomo, Georg e Gustav si lanciarono fuori dalla macchina e si precipitarono verso di lei.

 

-ASPETTI!-

 

La ragazza si voltò, spaventata.

 

     

 

Sibylla uscì dal portone, scese i gradini della veranda e si avviò lungo il viale alberato, ripercorrendo mentalmente la seduta di quella mattina, un pò per ragioni professionali, un pò per rivivere, piena di sensi di colpa, alcuni, particolari momenti: il sorriso con cui lui l’aveva accolta, la mano sottile e ornata di anelli posata sulla sua in un momento di distrazione, la risata leggera che era riuscita a strappargli, la stretta di mano con la quale l’aveva salutata...

 

Solo l’arrivo alla recinzione le impedì di fermarsi a sospirare. Aspettò pazientemente che il cancello ruotasse su se stesso, poi uscì, dandosi della cretina.

 

Si stava dirigendo verso la sua auto, quando sentì dei passi di corsa, e due voci maschili che urlavano:

 

-ASPETTI!-

 

Si voltò, spaventata, e vide due ragazzi avvicinarsi a passo di carica, e fermarsi davanti a lei: il più grande non doveva aver avuto venticinque anni.

 

Era anche il più alto: carino, con un viso e un fisico molto virili, lunghi capelli castano chiaro lievemente mossi e begli occhi grigioverdi.

 

L’altro, che sembrava di poco più giovane, era bassino e robusto: con un volto pieno di ingenua dolcezza e due occhioni scuri sotto capelli corti e biondi.

 

Entrambi indossavano jeans e giacche di pelle nera, che avevano in comune l’aspetto di costare una fortuna: i due li indossavano con una naturalezza invidiabile.

 

Il biondino prese la parola con aria imbarazzata.

 

-Ci scusi se l’abbiamo aggredita così, ma volevamo chiederle, se non siamo indiscreti... bè, che cosa ci faceva alla villa-

 

Sibylla lo fissò, sorpresa e un pò contrariata e il ragazzo arrossì. Parlò l’altro.

 

-Ci scusi, ma per noi è un pò strano vedere qualcuno andare o venire da qui. Sa, la villa appartiene a un nostro carissimo amico, e personalmente non ho mai visto nessuno entrarci o uscirci-

 

Sibylla sorrise, mossa a compassione dall’evidente imbarazzo dei due.

 

-Sono la psicologa del vostro amico- spiegò loro.

 

Quello con i capelli scuri aggrottò le sopracciglia.

 

-Bill ha un psicologa?-

 

-“Wilhelm” senz’altro. Ora se non vi spiace dovrei andare- tagliò corto Sibylla, con espressione rilassata, ma con il cuore in tumulto.

 

-Arrivederci, e scusi ancora-

 

-Non c’è problema, arrivederci-

 

     

 

“Bill... Bill... Bill...”

 

Mentre guidava lungo l’autostrada, Sibylla si rigirò in bocca quel nome fino a farlo diventare una cantilena priva di senso.

 

“BillBillBillBill....”

 

Era questo il vero nome di quel ragazzo più enigmatico di un rebus.

 

Non aveva avuto tanta fantasia nel scegliarsi lo pseudonimo per la terapia: Bill, William, Wilhelm...

 

Wilhelm faceva molto principe delle tenebre, ma Bill era un bel nome: adatto alla persona che lo portava.

 

-Bill- lo pronunciò ad alta voce, e dovette arrestare un brivido che le aveva impudentemente cominciato a percorrere la schiena.

 

-Bill- lo ripetè mentre rievocava l’immagine degli occhi del colore dello zucchero caramellato che splendevano da dietro la maschera.

 

-Bill- lo disse per la terza e ultima volta, e sorrise.

 

     

 

Nel momento in cui Sibylla imboccò con la macchina il vialetto della casa di Angelika (per la seconda volta in tre giorni: Angelika non faceva che invitarla a cena), realizzò di aver fatto una sciocchezza di dimensioni apocalittiche.

 

Si gettò giù dalla macchina e risalì la striscia di mattonelle di cotto che si snodava tra il fazzoletto di prato all’inglese che sua sorella si ostinava a chiamare “giardino”. Corse alla porta di ingresso e premette il campanello con tutte le sue forze.

 

Dopo qualche secondo la porta si aprì, e gli occhi di Angelika e quelli di Sibylla si incontrarono.

 

-L’invito era per il pranzo, vero?- azzardò Sibylla a voce bassissima e contrita.

 

-Già- disse serenamente l’altra. -Vuoi entrare?-

 

Sibylla annuì, e strisciò umilmente dentro casa. Angelika la precedette fino in cucina, dove Sibylla si sedette su una delle sedie attorno al tavolo di legno.

 

-Hai mangiato?-

 

-No, mi sono ricordata due minuti fa che non dovevo venire a cena e quindi...-

 

-Ti preparo qualcosa, vuoi?-

 

-Magari-

 

Angelika aprì il frigo e aprì due uova in una padella: le ruppe con una forchetta di legno e le strapazzò con il latte. Sapeva benissimo come le piacevano le uova.

 

Sibylla osservò la sorella muoversi nella cucina.

 

     

 

Angelika Darenbaum portava su di se il segno delle due gravidanze, e soprattutto l’impronta indelebile lasciata dal divorzio con l’amatissimo marito e dal tentativo di suicidio risalente all’epoca della separazione.

 

Lei e Sibylla erano alte uguali, ma avevano dieci anni e dieci chili di differenza. E, se i sessanta chili di Sibylla si distribuivano bene sul suo metro e settantacinque, la sorella appariva troppo pesante per essere bella. Questo, unito alla tinta bionda con la ricrescita scura, ai vestiti da grande magazzino, alla sigaretta tenuta perennemente all’angolo della bocca, e alle crisi depressive di cui ancora Angelika soffriva, contribuivano a creare l’immagine di una donna distrutta dalla vita.

 

Sibylla sapeva che non era così, ma non poteva esimersi dal piangere amaramente la perdita della sua bellissima sorella dai lunghi riccioli castani, che amava Shakespeare, il cinema francese, e la musica di Mahler, e che, durante una vacanza a Parigi di dodici anni prima, davanti al gruppo marmoreo di Amore e Psiche del Canova, al museo del Louvre, aveva pianto, commossa.

 

La storia di Angelika era breve e dolorosamente semplice: bella e intelligente, orgoglio della famiglia e della sorellina, aveva lasciato gli studi a diciannove anni, per sposarsi con un uomo che, dopo averla messa incinta due volte in quattro anni, l’aveva lasciata (senza un soldo) per un’altra.

 

E questo era tutto. O meglio, c’era ancora qualcosa. Un piccolo particolare che continuava a mandare in bestia Sibylla. Dopo tutto quello che le aveva fatto, Angelika si ostinava a difendere Mark Weber, così si chiamava il bastardo traditore.

 

E Sibylla non era ancora riuscita a capire perchè.

 

Lo amo, Sibyl” rispondeva con semplicità Angelika. “Vedi, se ora tornasse da me, quasi dieci anni dopo avermi abbandonata, e mi implorasse di tornare con lui, io lo farei. Non è bello, non è ragionevole. E’ umiliante, e degradante. Ma è così

 

     

 

-Allora, Sibyl. Per essere così impegnata da confondere gli appuntamenti devi essere molto impegnata. Che cosa fai di bello in questo periodo?-

 

-Mi ammazzo di lavoro. Ho un nuovo paziente-

 

-Ah si?-

 

Sibylla annuì, con la bocca piena di uovo e pane.

 

-Un blindatissimo ragazzo che abita fuori Hannover-

 

-Un ragazzo blindato?-

 

-Nel senso che non conosco il suo vero... si, la sua vera identità-

 

Era stata sul punto di dire che non conosceva il suo vero nome. La forza dell’abitudine.

 

“Bill” ripetè mentalmente le quattro lettere che avevano il potere di evocare gli occhi del giovane.

 

-E’ carino?- chiedeva intanto Angelika.

 

-Porta una maschera-

 

-Oh mio dio! E perchè mai?-

 

-Un incidente, qualche anno fa. E’ rimasto sfigurato, e vive come un eremita-

 

-Oh. Poverino... E dimmi, ti piace?-

 

-E’ simpatico- azzardò Sibylla.

 

-Si, ma ti piace?-

 

-Lika, possibile che tu debba sempre vedere tutto in rosa? E’ un cliente... niente di più-

 

-Non sarebbe male se ti trovassi un fidanzato, lo sai?-

 

Sibylla alzò gli occhi al cielo. Con Angelika andavano sempre a cadere li.

 

-Non cominciare...-

 

-Hai ventidue anni, e non uno straccio di ragazzo. Eppure sei tanto carina...-

 

-Non voglio un ragazzo- tagliò corto Sibylla.

 

Non voglio finire come te” pensò guardando la sorella, ma non lo disse, perchè le voleva bene.

 

-Voglio dedicarmi al mio lavoro, in questo periodo-

 

-L’amore è importante, Sibyl-

 

-L’amore ti rende schiava- ribattè lei, fissandola negli occhi con intenzione.

 

Angelika non replicò, ma le tolse il piatto vuoto da davanti, le voltò le spalle e cominciò a lavarlo assieme alle altre stoviglie sporche, in silenzio.

 

Sibylla, fissando la schiena di Angelika, curva sul lavello, si sentì in colpa. Ma non l’avrebbe mai potuta perdonare, per essersi fatta massacrare in quella maniera dal suo ex marito. Né le poteva perdonare di continuare a difenderlo e ad amarlo.

 

Quando Angelika parlò, il tremito nella sua voce fu nascosto dallo scroscio dell’acqua:

 

-Un giorno incontrerai qualcuno per il quale ti metterai in ginocchio. E ne sarai felice-

 

-Mai, Lika- mormorò tristemente Sibylla.

 

Entrambe tacquero e rimasero ad ascoltare il suono del getto d’acqua sui piatti sporchi.

 

     

 

-Ciao, zia!-

 

Una voce squillante spezzò la tensione tra le due sorelle.

 

-Ciao, Katharina-

 

Sibylla baciò sulle guance sua nipote, che era entrata in quel momento in cucina. Ad essere sincera non aveva troppa simpatia per Katharina: troppo smorfiosa, troppo pettegola, troppo simile a Mark.

 

La ragazzina, undici anni e capelli biondo chiaro, era piccola e aveva il fisico esile della ballerina: era al quinto anno di ginnastica artistica e al sesto di danza.

 

Si sedette sulla sedia accanto a quella di Sibylla, incrociò le gambe e le domandò, con voce di bambina ma con crudeltà di adulta, se si fosse trovata finalmente un ragazzo.

 

-Aspetto quello giusto- sorrise Sibylla, piena di dolcezza.

 

Non intendeva dare a quella mocciosa con le crisi preadolescenziali e gli ormoni in risveglio più attenzione di quella che si da a una pulce con la tosse.

 

-Dov’è Dominik?- chiese invece alla sorella.

 

Angelika alzò gli occhi al cielo.

 

-Figurarsi: incollato al computer come al solito-

 

-Vado a salutarlo-

 

Sibylla si alzò e lasciò la sorella distrutta e la nipote strega in cucina, per andare alla ricerca dell’adorato nipotino. Dominik aveva un anno meno di Katharina, ma era mille volte più intelligente, e un milione più gentile.

 

Percorse il corridoio e si fermò davanti a una porta. Bussò.

 

-Chi è?-

 

-Sono zia Sibyl-

 

Sentì un rumore di passi veloci, poi la porta si aprì: Dominik si era precipitato ad aprire.

 

Era piccolo anche lui, ma aveva gli occhioni neri e i capelli castano ramati e ribelli made in Darenbaum. E non aveva niente di Mark Weber, se non il cognome.

 

-Il mio nipotino preferito!- lo abbracciò la ragazza.

 

-Ciao, zia-

 

-Che facevi di bello?-

 

-Navigavo su internet- rispose lui alzando le spalle.

 

-E LO FAI TROPPO- arrivò la voce di Angelika dall’altra stanza. -SIBYL, DIGLI QUALCOSA!-

 

-QUALCOSA!- urlò lei in direzione della cucina.

 

Poi tornò a rivolgersi al ragazzino.

 

-Sul serio, ma che ci trovi di tanto speciale, in internet? Io non lo uso mai-

 

-Ci trovi di tutto. Veramente di tutto. Qualunque cosa tu voglia-

 

Quelle parole colpirono Sibylla come una scarica elettrica.

 

Qualunque cosa io voglia...

 

-Ah... si?...- mormorò.

 

-Si!- ribattè con entusiasmo Dominik. -Qualunque cosa tu voglia- ripetè con decisione.

 

Io voglio sapere chi è Bill

 

La sincerità e la decisione di quel pensiero sorpresero la stessa Sibylla. Era vero. Voleva assolutamente sapere chi era quel ragazzo misterioso e affascinante che tanto l’aveva colpita. Non c’erano vie di scampo: voleva saperlo.

 

-Amore, devo chiederti un grosso favore, allora-

 

-Tutto quello che vuoi!- esclamò Dominik, guardandola con occhi adoranti.

 

-Io... ecco, io e delle mie amiche abbiamo organizzato un gioco- improvvisò. -.... qualche giorno fa, ci siamo assegnate delle... descrizioni di persone. Potrebbero essere sia delle persone famose che persone comuni. E dobbiamo scoprire chi sono-

 

-Ho capito. Se il tuo personaggio ha fatto qualcosa di pubblico (un libro, un concerto, un film, un comizio politico, qualsiasi cosa), lo scoprirò e ti dirò chi è-

 

-Potresti anche stamparmi una biografia, se la trovi?-

 

-Certo. Dammi la descrizione e mi metto al lavoro-

 

-Sono più indizi che altro... allora... ha ventidue anni-

 

-Aspetta, me lo scrivo- corse a prendere carta e penna.

 

-Ha ventidue anni, si chiama Bill, quattro anni fa ha fatto un incidente d’auto che lo ha sfigurato... come caratteristica fisica so solo che ha i capelli neri con le mechés bionde-

 

-Basterà-

 

E con questo, Dominik tornò a rinchiudersi in camera sua.

 

     

 

Sibylla tornò in cucina.

 

-Lo hai convinto a staccarsi dal computer?- chiese Angelika.

 

-Veramente gli ho chiesto di fare una cosa per me-

 

-Oh mio dio, no... Diventerà cieco, e tu pagherai gli occhiali-

 

-Promesso-

 

Dalla stanza di Dominik arrivò un urlo.

 

-MAMMA, POSSO STAMPARE?-

 

-NO!-

 

-E DAI! E’ PER LA ZIA!-

 

-VA BENE, MA SENZA LE FOTO!-

 

-GRAZIE!-

 

Katharina fece una faccia schifata.

 

-Perchè dovete sempre strillare, tu e Dominik?- si lamentò.

 

Sibylla non le prestò attenzione, come non prestò attenzione alla risposta di Angelika. Se Dominik aveva chiesto se poteva stampare, allora...

 

Ascoltò con i battiti cardiaci a mille il rumore della stampante, cercando di tenere a bada l’impulso di balzare in piedi e precipitarsi nell’altra stanza.

 

Quando udì i passi di Dominik nel corridoio, quando il ragazzino aprì la porta con alcuni fogli stampati in mano, il cuore le esplose nel petto.

 

-L’ho trovato, zia!- esclamò pieno di orgoglio.

 

-Dammelo- esalò lei a voce bassa.

 

Dominik le tese i fogli con aria delusa: si era aspettato che la zia lo riempisse di complimenti...

 

Ma Sibylla non aveva tempo per i complimenti. Afferrò i fogli, e cercò avidamente l’inizio delle frasi stampate.

 

Bill Kaulitz, nato a Lipsia il 1 settembre 1989, dieci minuti dopo il fratello Tom, è il cantante e il frontman del gruppo tedesco Tokio Hotel...

 

La biografia continuava, le frasi erano lunghe e occupavano almeno altri due fogli, ma Sibylla non lesse oltre. I suoi occhi si arrestarono su quelle due parole.

 

Bill Kaulitz.

 

 

Questo capitolo è chilometrico, ma era ora di una svolta decisiva. Alcuni dei misteri di “Wilhelm”, anzi, a questo punto di Bill ^^, sono stati svelati.

Recensite assolutamente, perchè questo capitolo è importante, e DEVO sapere che cosa ne pensate. E poi perchè quello passato ha avuto pochissime recensioni (sigh). Vabbè, vi perdono, era solo un capitolo di transizione.

Ciao!

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Capitolo 9
*** Una stanza nascosta ***


Cap. 9:  Una stanza nascosta.

 

Un turbine di pensieri.

 

Il giorno dopo, la mente di Sibylla era attraversata da un turbine di pensieri.

 

Pensiero numero uno: “...sono nei guai, ho violato l’anonimato di un paziente, se lo scopre posso direttamente raccogliere i miei stracci e andarmene dallo studio...”.

 

Pensiero numero due: “...i Tokio Hotel: chi non conosce i Tokio Hotel? Andavano tantissimo quattro o cinque anni fa. Erano sempre al telegiornale, peggio di Angela Merkel”.

 

Pensiero numero tre: “... i Tokio Hotel... Peccato che io non abbia mai sentito due note in croce scritte da loro”.

 

Sibylla era probabilmente una delle poche ragazze tedesche a non aver mai sentito un pezzo della band: in realtà non aveva mai nemmeno visto una loro foto, pur conoscendoli di nome.

 

Quel giorno non aveva la seduta con “Wilhelm”, anzi, con Bill.

 

Quando uscì dal lavoro, verso le cinque e mezza della sera, decise quindi di andarsi a comprare un cd dei Tokio Hotel al videonoleggio-libreria-negozio di musica sotto lo studio.

 

Era un posto a due piani, piuttosto grande, con la fama di essere assai fornito.

 

Sibylla entrò, andò nella sezione musica e girovagò tra gli scaffali fino a trovare la lettera T. 

 

T.a.t.u, Take That, Tarja Turunen, Tears for fears... I Tokio Hotel non c’erano.

 

Strano. Se non ricordo male erano molto famosi”.

 

Decise di chiedere a Julius, il suo amico che lavorava (viveva) dietro il banco della reception.

 

-Ciao, Julius, sto cercando un cd, ma non l’ho visto sullo scaffale...-

 

-Ciao, dimmi pure-

 

-Cioè, non è un cd in particolare. Mi basta qualunque cosa dei Tokio Hotel-

 

-Dei Tokio... che?-

 

Sibylla si sorprese: Julius lavorava in un negozio di musica, non era possibile che fosse così ignorante... Poi si ricordò che era appena maggiorenne: troppo giovane per aver vissuto in pieno l’orda dei Tokio Hotel, troppo giovane per essere stato un fan.

 

Ripetè il nome e attese che il ragazzo lo digitasse sulla tastiera del computer.

 

La risposta arrivò, secca e concisa, come una condanna.

 

-Fuori catalogo-

 

-Come fuori catalogo?-

 

-Sibylla, non vendiamo un cd di questi Tokio Hotel da due anni-

 

     

 

Sibylla guidò verso casa, ripensando perplessa alla conversazione con Julius.

 

Possibile che i Tokio Hotel fossero scomparsi così rapidamente dal panorama musicale?

 

La dura legge dello show business...” si disse Sibylla.

 

Comunque, Julius, in virtù della simpatia che aveva per lei, le aveva scaricato in dieci minuti qualche canzone dei Tokio Hotel, e le aveva riversate su un cd vergine.

 

Sibylla aveva passato quel lasso di tempo a girovagare nel negozio e a considerare l’idea di comprare il dvd di “Labyrinth” oppure mettere da parte i soldi per il solito progetto di una casa più grande.

 

Alla fine, pensando alla possibile gratifica che avrebbe ottenuto in caso di conclusione positiva della terapia con “Wilhelm”-Bill, aveva deciso di comprarlo per buon augurio.

 

Si era diretta verso la reception e aveva chiesto a Julius se avesse finito.

 

-Un momento ed è fatto-

 

La ragazza aveva atteso pazientemente, poi lui le aveva consegnato il cd nella sottile custodia di plastica colorata.

 

-Mi dispiace solo che non sia originale-

 

-Grazie lo stesso, va bene così. Stammi bene, Julius-

 

Aveva pagato il dvd ed era uscita dal negozio.

 

Non vedeva l’ora di essere a casa, per poter ascoltare il cd. Aveva una strana sensazione...

 

     

 

Quando Sibylla, la mattina dopo, cominciò a percorrere il viale alberato che portava alla villa di Bill, il suo cuore batteva come se volesse esploderle nel petto. Il sangue le era tutto affluito al volto, passava da un passo di mezza corsa a uno da lumaca.

 

Voleva vedere Bill... e nel contempo non poteva vederlo! Non dopo aver ascoltato quelle canzoni!

 

Chi l’avrebbe mai potuto immaginare che quella voce melodiosa nel parlare si potesse trasfigurare cantando in una sorta di... di strumento di dolce tortura, di... dio, non sapeva nemmeno parlarne rendendole giustizia!

 

Rubando una definizione a uno scrittore di cui aveva letto qualche cosa, era come “lo sfregare di due fogli di carta vetrata su uno strato di miele”.

 

Era... era incredibile. Indefinibile.

 

Quella voce era in grado di farti morire e risorgere nel giro di una sola canzone. E la musica che cantava era sconvolgente.

 

Non era musica, era emozione allo stato puro. La relativa semplicità delle melodie era arricchita dalla bravura straordinaria di chitarrista, bassista e batterista.

 

I testi, per lo più in tedesco, ma anche in inglese, erano pieni di vita... autentici. Molto diversi tra loro (a volte struggenti, a volte saturi di ribellione, altre ancora persino divertenti) ma sempre simili a frammenti di esistenza.

 

A volte le parole sembravano addirittura troppo private per poterle ascoltare, così tranquillamente... Sibylla aveva ripetutamente avuto l’impulso di fermare la canzone, arrivando quasi a sentirsi di troppo.

 

Di troppo... quei testi erano stati scritti per il pubblico mondiale!

 

Eppure apparivano così personali da avrebbero indotto Sibylla (ascoltatrice silenziosa e nottambula, piena di una qualche sorta di pudore nei confronti di Bill, che anni prima aveva scritto quelle parole) a spegnere lo stereo, se solo quella musica e quella voce non fossero state così... era riduttivo dirlo in questo modo... ma così belle!

 

Era la stessa identica sensazione che provava in quel momento, mentre risaliva il viale verso la villa.

 

Continuare ad ascoltare le canzoni, vedere Bill...

 

Non posso, non posso... Ma devo!

 

     

 

Alla villa la accolse una sorpresa.

 

-Sono costernata, ma il signore sta ancora dormendo-

 

Il viso gentile di Irma, la cameriera rotondetta di mezza età, sembrava sinceramente dispiaciuto, e così Sibylla le sorrise.

 

-Non c’è problema-

 

-Vuole aspettare in biblioteca, Fräulein?-

 

Dottoressa... cosa vi costa, chiamarmi dottoressa, una buona volta?” pensò Sibylla, stringendo i denti in un sorriso più forzato del primo.

 

In realtà, l’unico che la chiamava con il suo titolo ufficiale era proprio l’unica persona dalla quale avrebbe voluto sentire pronunciare il suo nome. Doveva proprio chiedere a Bill (pardon, “Wilhelm”, altrimenti si abituava e si faceva scoprire mentre gli parlava) di darle del tu e di chiamarla Sibylla.

 

-Si, aspetterò nella biblioteca. Non si preoccupi a mostrarmi la strada, ormai la conosco- rispose a Irma.

 

Detto ciò, girò un angolo e sparì dalla vista della donna.

 

Percorse tutto il lungo corridoio, svoltò un paio di volte, e poi si trovò di fronte alla porta della biblioteca. Appoggiò la mano sulla maniglia, fu sul punto di abbassarla, quando si accorse che, al posto della solita parete di rivestimenti di legno lì a fianco, c’era un’apertura lunga e sottile, una sorta di ferritoia alta come la porta della biblioteca.

 

Un pannello scorrevole che portava a una stanza nascosta.

 

Sibylla rabbrividì di emozione: da piccola aveva adorato i gialli di Nancy Drew che le aveva passato Angelika. Quante storie iniziavano in questa maniera...

 

Si riscosse, e si ordinò di essere razionale.

 

Quella non era una casa stregata, impossibile che Bill nascondesse lì i cadaveri delle sue sette mogli come Barbalù.

 

Ma Sibylla era curiosa. Molto curiosa. Troppo curiosa.

 

Sapeva che la sua curiosità l’avrebbe messa nei guai, un giorno. Lo sapeva.

 

Ma non potè proprio trattenersi da infilare le dita nella fessura e far scorrere il pannello.

 

     

 

La stanza era buia, ma lei fece scivolare la mano sulla parete di fianco alla porta fino a quando le sue dita non incontrarono una piccola sporgenza dura e rettangolare che riconobbero come un interruttore della luce.

 

Lo premette. Dei lampi di neon rivelarono una stanza molto grande, dal pavimento di parquet...

 

La ragazza la osservò, cercando di capire dove si trovasse.

 

Non era un’ambiente familiare a Sibylla: la cosa a cui assomigliava di più era un’aula di musica, ma gli strumenti che ospitava sembravano troppo costosi per un posto del genere.

 

Almeno una decina tra chitarre e bassi, appesi alle pareti o sistemati sui loro sostegni, una batteria completa e stupenda, e soprattutto un bellissimo, enorme pianoforte a coda nero in un angolo.

 

Addossati a una parete c’erano alcuni microfoni dall’aria professionale, in fondo alla stanza c’era una sorta di bunker di compensato e materiale isolante. Sibylla gli si avvicinò lentamente, e scrutò dal vetro le apparecchiature in essa contenuta: le sue approssimative conoscenze in materia le consentirono di stabilire che si trattava di una cabina di registrazione.

 

Sibylla si portò al centro della stanza.

 

Fece scorrere la mano sulla targhetta di una delle chiatarre, con la scritta “Gibson”. Ritirò le dita macchiate di polvere. Quello strumento non veniva usato da anni.

 

Un lato della stanza era occupato da una libreria molto diversa da quelle della biblioteca: bianca, di metallo, funzionale, e piena di cd e spartiti musicali. Quando Sibylla tirò fuori un libro, le pagine scricchiolarono sotto le sue dita: non era mai stato aperto.

 

Le tende della grande finestra in fondo alla stanza erano tirate e polverose anch’esse.

 

La stanza aveva l’aspetto di un santuario abbandonato: gli strumenti dimenticati, i libri mai usati.

 

La ragazza si avvicinò al pianoforte. Al contrario del resto, era aperto, privo di polvere, e sul leggio c’era un foglio pentagrammato scritto a matita.

 

Sibylla lanciò uno sguardo fugace all’apertura del pannello scorrevole, poi si sedette sullo sgabello nero e appoggiò le dita sulla tastiera.

 

Aveva studiato pianoforte per molti anni, da ragazzina.

 

Guardando lo spartito, cominciò ad accennare le note segnate.

 

La melodia prese forma sotto le sue dita sottili, in modo approssimativo e incerto, ma nel complesso ben riconoscibile: era un tema dolce e fortemente malinconico, che sfociava poi nella tristezza.

 

E, appena sopra, c’era scritto un testo, delle parole modulate sulle note.

 

Sibylla lo prese in mano, cominciò a leggere, e subito, con il cuore in gola, riconobbe lo stile inconfondibile di Bill Kaulitz.

 

Bill aveva scritto quelle parole. E non molto tempo prima...

 

     

 

-Che cosa ci fa lei qui?-

 

Sibylla sussultò bruscamente.

 

Ritta sulla soglia della stanza nascosta, stava l’inconfondibile figura mascherata di “Wilhelm”. Che la fissava con occhi pieni di furia.

 

La ragazza si alzò di scatto, spaventata, mentre lui percorreva la stanza a lunghi passi veloci e le si avventava contro. Le strappò il foglio dalla mano e lo gettò in terra.

 

-Mi scusi, io...- provò a giustificarsi lei, ma lui la fece tacere, afferrandola per le braccia e scuotendola violentemente.

 

-Lei. Non. Ha. Visto. Niente!- le urlò in faccia, sottolineando ogni parola con uno scossone. -Lei. Non. E’. Mai. Stata. Qui!-

 

Poi la lasciò andare e si voltò di scatto. Sibylla, atterrita, lo guardò seppellire il volto tra le mani, le spalle scosse da muti singhiozzi.

 

Passò forse un mintuo e lo vide raddrizzare la schiena e trarre un respiro profondo. Il giovane si voltò, e la squadrò, con quegli occhi dal colore così caldo ghiacciati dalla rabbia.

 

-Troverà la sua lettera di licenziamento domani mattina, sulla sua scrivania-

 

Sibylla si morse il labbro a sangue.

 

-Se ne vada, ora- continuò lui.

 

Poi girò sui tacchi e uscì dalla stanza, correndo. Sibylla udì sbattere una porta, poi solo silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora, allora, allora.

21 RECENSIONI!!! Ma siete matti? Così mi fate venire un infarto! Oddio, sono troppo felice! ^_^ Vi amo <3<3<3 : )

Ringrazio:

 

simmyListing, non conosco Mark Weber, per scegliere i nomi ricorro a un metodo altamente scientifico: vado su Google, scrivo “nomi tedeschi”, “cognomi tedeschi”, e scelgo dalle liste ^^.

 

ruka88 oddio, non farti venire la tachicardia, ci penso già io XD

 

GaaRa92 continua la tua ff!!!

 

Lally_the best thank you, my darling

 

tokiohotellina95, sinteticamente, grazie!

 

Freheit489 Sibylla è stra-curiosa, come puoi vedere anche in questo capitolo.

 

makistellina, grazie per i complimenti!

 

ilenia91dorough, dankedanke ^^

 

Miss_Kaulitz, hihi, Wilhelm me lo centellino... XD

 

Lidiuz93, anche io adoro Dominik!

 

MalkContent, sono contenta di sapere che mi segui, grazie!

 

SoRrOw PoEtEsS anche a me ogni tanto viene l’impulso di autorecensirmi e insultarmi per quello che ho osato scrivere... schizzofrenia galoppante.  

 

_Glossy_ , hihi, anche i miei rompono sempre. Grazie mille!!!

 

PikkolaZoe95 apprezzo molto le recensioni come la tua, grazie per le correzioni , giuro che cerco sempre di trovare tutti gli errori, ma qualcuno sfugge sempre. Continuate a segnalarli!

 

I LoVe BiLl, non ti preocupare, non renderei MAI Sibylla simile a Christine!

 

hEiLig FuR iMmEr, danke schon! Penso che Sibylla ci penserà due volte prima di confessare a “Wilhelm” quello che sa, dopo questo capitolo...

 

buonanotte non studio psicologia, ma mi interessa... sono contenta che la ff ti sia piaciuta anche se non conosci i TH. A proposito, sentili! Non sai che ti perdi! ^^

 

Colinde, oddiomio: GRAZIE!

 

SiSi, temo di aver fatto la figura della str...., lamentandomi delle poche recensioni, ma che vuoi, mi avete “viziata” con un sacco di commenti, sono diventata avida ^^

 

Freiheit, i tuoi complimenti mi fanno un grande piacere, grazie!

 

 

e tutti quelli che mi hanno inserita tra i preferiti e quelli che mi hanno solo letto.

 

Baci!

 

PS: dal momento che mi hanno messo il terrore delle Mary Sue, sto creando un personaggio pieno zeppo di difetti... Non potete lamentarvi: Sibylla non è perfetta (tutto il contrario, anzi).

 

Ciaociao!

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Capitolo 10
*** Galeotto fu il film... ***


 

 

 

 

 

 

ATTENZIONE! In questo capitolo rivelo parte della trama del film “Il Fantasma dell’Opera”. Se non l’avete ancora visto (ed è un delitto)... fate un pò voi: non racconto proprio la fine, anzi, i fatti di cui scrivo sono piuttosto intuibili fin dall’inizio del film. Decidete voi!

 

 

 

 

Cap. 10: Galeotto fu il film...

 

Sibylla aveva dormito male.

 

Si era rigirata nel letto come le pale di un ventilatore, aveva combattuto l’impulso di alzarsi e cominciare a fustigarsi per penitenza, ma soprattutto aveva pianto di rabbia e di tristezza.

 

Anzi... in realtà non aveva dormito per niente.

 

Quando la sveglia suonò, si trascinò fuori dal letto gemendo. Non ricordò mai come riuscì ad arrivare fino in bagno: quando si guardò allo specchio non vide altro che due fessure scure perse in un mare di bianco sotto una massa orrendamente ingarbugliata di serpentelli castani: i suoi occhi, la sua faccia e i suoi capelli.

 

Si tolse la camicia da notte, la lasciò cadere sul pavimento e entrò barcollando nella cabina della doccia.

 

Si lasciò scivolare a terra con la schiena appoggiata al muro di piastrelle bianche e azzurre. Alzò debolmente un braccio e aprì la manopola dell’acqua. Rabbrividì, quando il getto gelato la investì, ma strinse i denti e serrò gli occhi, in attesa che l’acqua fredda facesse il suo effetto.

 

Dopo qualche minuto fu sufficientemente sveglia da ricominciare a piangere. Stranamente, dopo i pianti dirotti della notte, non le erano ancora finite le lacrime da versare.

 

Riuscì a trovare il coraggio e la forza di alzarsi e di uscire solo un quarto d’ora-venti minuti dopo.

 

Indossò l’accappatoio, si avvolse i capelli in un asciugamano, e andò all’armadio. Finì per seppellire la testa nei vestiti impilati e ricominciare a singhiozzare.

 

     

 

In qualche modo la ragazza riuscì a raggiungere lo studio in condizioni estetiche (abbastanza) accettabili. L’ascensore era rotto, quindi salì mestamente a piedi, ed entrò nello studio con passo strascicato. Arrivò davanti al busto di Freud.

 

Ciao, Sigmund... la vita è una merda, te l’ha mai detto nessuno?”.

 

Passò oltre senza attendere una risposta.

 

Appese il soprabito all’attaccapanni, poi, con un notevole sforzo di volontà, raddrizzò la schiena, alzò la testa e trasse un respiro profondo.

 

Sii donna, Sibylla” si incitò. E si diresse a passo di carica al banco della segreteria.

 

Johanna alzò la testa dalle scartoffie che stava esaminando, e incontrò l’espressione decisa negli occhi di Sibylla.

 

-Ciao, Darenb...- comiciò, ma la ragazza la interruppe.

 

-Dammela, Jo-

 

-Darti che cosa?-

 

-La-let-te-ra- sillabò la ragazza.

 

-E tu come lo sai?- sgranò gli occhi la donna bionda.

 

-Dammela-

 

La segretaria trasse dal mucchio della corrispondenza un’anonima missiva di carta stampata. Sibylla la afferrò e rimase a guardare le lettere scritte al computer.

 

Dott.ssa Darenbaum, presso Studio Medico-Psichiatrico Stofel,

22 Weissenhorn-Straße, Hannover

 

Il sangue le batteva alle tempie: non si era degnato nemmeno di scrivere a mano...

 

Percepì una specie di colpo sordo al petto, quando lesse che l’aveva chiamata “dottoressa” e che non aveva neanche inserito il suo nome.

 

Aprì la lettera con mani tremanti, e cominciò a leggere.

 

     

 

Alla cortese attenzione della Dott.ssa Darenbaum

 

con la presente, io sottoscritto Klaus Ziegler, chiedo l’interruzione della terapia con Lei iniziata, per motivi dipendenti dal mio lavoro: infatti, la società della quale sono vice direttore, ha stabilito di aprire una succursale a Berlino, e necessita della mia presenza lì.

Allego il bollettino dell’ultimo versamento al conto bancario dello Studio Stofel.

                       

                                                           Ringraziando e augurandoLe buon lavoro

 

                                                                                                          Klaus Ziegler.

 

     

 

Quando Sibylla alzò gli occhi dalla lettera, questi erano pieni di lacrime. Di gioia, stavolta.

 

-Darenbaum! Che succede?- chiese Johanna, in tono più curioso che preoccupato.

 

-Ziegler- esalò lei. -Ha interrotto la terapia-

 

-E c’è da piangerci sopra?-

 

-Oddio, Johanna. Oddio...- Sibylla si accasciò su una delle sedie della sala d’attesa. Si portò una mano al cuore: batteva come un martello pneumatico.

 

Johanna si alzò e uscì da dietro il bancone. Si sedette sulla sedia vicino a quella di Sibylla, le prese la lettera dalle mani e la lesse con attenzione. Non avendoci trovato niente di strano, fissò la ragazza con occhi penetranti.

 

-Tu mi nascondi qualcosa-

 

-Io?- disse Sibylla con fare sorpreso, sgranando gli occhi.

 

-Tu- affermò l’altra con decisione.

 

-No, ti sbagli. Sono solo contenta perchè Ziegler era un rompiscatole pazzesco, e quindi...-

 

-E quindi questo giudica un mezzo infarto da parte tua?-

 

-Sai com’è...-

 

-Esatto, Darenbaum. Io so com’è. So che tu mi nascondi qualcosa. E so anche che se non mi dici subito cosa, un uccellino andrà dalla Stofel e le racconterà un paio di cosette non proprio piacevoli su di te... e tu sai quali-

 

Sibylla sbiancò.

 

-Non lo faresti...-

 

-Non ne sarei così sicura, se fossi al tuo posto-

 

Sibylla non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe nemmeno dovuto concepire l’idea di farlo. Ma lo fece.

 

Trasse a se l’amica e, a voce bassissima, le mormorò all’orecchio:

 

-Ho scoperto chi è il blindato-

 

Gli occhi di Johanna si accesero come candeline.

 

-Ma no?- domandò con la voce soffocata dall’eccitazione.

 

-Si. “Wilhelm”. So chi è-

 

-Dimmelo- ordinò la donna.

 

-Jo, non posso...-

 

-Se non me lo dici, la Stofel lo saprà in meno di un secondo. E tu potrai dire addio a questo posto e al tuo ex blindato-

 

La naturalezza con cui Johanna la stava ricattando aveva dell’incredibile. Sibylla la guardò con espressione incredula, ma nel volto aguzzo della donna trovò solo una freddezza inflessibile.

 

Chinò la testa, umiliata e sconfitta.

 

-E’ Bill Kaulitz. Il cantante dei Tokio Hotel. E’ lui- mormorò, sentendosi un mostro.

 

-Bill Kaulitz? Quello sfigurato... che non si vede da quattro anni...?-

 

-Lui- confermò Sibylla.

 

Sei una lurida traditrice” si accusò mentalmente.

 

Intanto gli occhi di Johanna stavano scintillando come fari.

 

-Ma tu hai una miniera d’oro sotto le mani, Darenbaum! Pensa... pensa solo a quello che pagherebbero i giornali per una sua foto!-

 

Sibylla scosse la testa.

 

-Non lo farei mai. Sarebbe orribile. E’ un ragazzo così... così carino-

 

-E’ sfigurato, Darenbaum. Sotto la maschera farà schifo-

 

La ragazza si ritrasse da lei, disgustata. Si alzò e la fissò dall’alto in basso con sguardo gelido.

 

Senza parlare si ritirò nel suo studio, sentendosi sporca e indegna.

 

     

 

Quando uscì, quella sera, fece accuratamente attenzione a evitare Johanna. Non voleva parlare, non voleva nemmeno vederla.

 

Scese dallo studio, si infilò in macchina e restò lì per qualche secondo, ancora annichilita e perplessa. Le ore di lavoro l’avevano trasportata su un’altra dimensione, e il peso degli eventi della giornata le ricadeva tutto addosso solo allora.

 

Mise lentamente in moto la macchina, guidò fino a casa sua.

 

Una volta lì, si cambiò (jeans e maglietta viola), raccolse i capelli, più ricci che ondulati quel giorno, in una coda spettinata, e si gettò sul divano. Non aveva fame, e voleva pensare.

 

La cosa che più l’aveva sconvolta era stata la lettera, o meglio, l’assenza della lettera che si aspettava.

 

Troverà la sua lettera di licenziamento domani mattina, sulla sua scrivania

 

Parole molto chiare. E per quale cappero di motivo Bill aveva deciso di non spedirla, questa benedetta lettera?

 

E comunque, dove avrebbe trovato il coraggio di ripresentarsi davanti a Bill, così, tailleur e chignon, blocco per appunti in mano, e faccia di bronzo?

 

Avevano avuto uno scontro fisico, non poteva mica far finta che non fosse successo niente.

 

Non poteva... non poteva ripresentarsi da lui, così, come se niente fosse.

 

Ok, aveva capito quello che non poteva fare. Ora, che cosa poteva fare?

 

Restò lì a rimuginare per un bel pezzo. Mentre pensava, fece scorrere distrattamente gli occhi sui dvd contenuti nello scaffale fissato alla parete di fronte al divano.

 

Le cadde l’occhio su un dei titoli e improvvisamente un lampo di genio le attraversò la mente. Lo sapeva. Sapeva quello che poteva, quello che doveva fare.

 

Si alzò di scatto, si precipitò verso il raccoglitore, rischiando di uccidersi con il puf davanti al divano, che aveva travolto nell’impeto. Afferrò il dvd, la borsa e corse in strada. Si infilò in macchina, inserì le chiavi nel quadro e partì in quinta, con grande dispiacere della macchina, che manifestò il suo disappunto con una sonora grattata, che Sibylla ignorò.

 

Aveva capito... sapeva cosa fare.

 

Mentre guidava, uscendo da Hannover, Sibylla pregò.

 

     

 

-Dottoressa Darenbaum, studio Stofel-

 

Si annunciò al videocitofono della villa di Bill parlando velocissima.

 

-A quest’ora?- chiese dubbiosa una voce resa irriconoscibile dall’apparecchio elettronico.

 

-Seduta straordinaria-

 

Ci fu qualche secondo di silenzio, durante il quale il cuore di Sibylla le martellò nel petto con un ritmo insostenibile.

 

-Venga-

 

La ragazza tirò un sospiro di sollievo, e si infilò rapidissima nella fessura che il ruotare del cancello aveva appena rivelato, senza aspettare che si aprisse del tutto. Risalì il viale alberato di corsa, e non si fermò nemmeno quando le fitte di dolore al fianco le mozzarono il respiro.

 

Arrivò fino alla casa, salì di corsa i gradini, e tempestò la porta di colpi. Quando una cameriera le venne ad aprire, la scansò e si precipitò verso la biblioteca. Spalancò la porta ma non trovò nessuno. Disperata, cominciò a correre per i corridoi, chiamando il nome di “Wilhelm” a gran voce.

 

Improvvisamente una porta si aprì, e ne uscì Bill in persona. Sibylla si fermò e tacque. Il suo sguardo scivolò sui jeans neri attillati, risalì sulla maglietta rossa, sulla catena d’argento che gli ornava il polso, si perse tra i capelli corvini, vagò sulla maschera bianca e poi si fissò nei suoi occhi.

 

Erano così belli, quegli occhi. Sibylla avrebbe venduto l’anima per possederne un paio uguale.

 

Dovette riaversi in fretta dalla contemplazione, perchè Bill la stava fissando con aria di attesa.

 

Si schiarì la gola e, cercando di non arrossire troppo, cominciò a parlare, sempre più velocemente.

 

-Lo so... non è l’ora della seduta... hai detto che mi avresti licenziata... e mi sono comportata da schifo, ieri mattina, e adesso mi sono precipitata a casa tua senza alcun rispetto... e faccio schifo come psicologa, e non so che cosa voglia dire professionalità... e non dovrei essere quì...-

 

La voce le si incrinò e le morì in gola. Stava dicendo un mucchio di sciocchezze.

 

-No-

 

La voce di Bill, calmissima, la sorprese.

 

-No?-

 

-No, non dovresti essere quì. Tra l’altro, non dovresti nemmeno darmi del tu-

 

Le guance di Sibylla divennero di porpora. Dimenticò completamente il motivo per il quale era venuta.

 

-Scusami... scusami tanto- mormorò lei, umiliatissima. -Ora me ne vado... mi dispiace-

 

Si girò, e fece per andarsene. Bill le afferrò il polso e la fermò. Sibylla abbassò lo sguardo, con le guance sempre più in fiamme.

 

Le dita del ragazzo le sollevarono delicatamente il mento, costringendola a guardarlo negli occhi.

 

-Se non l’hai notato, ti sto dando anche io del tu. E non ti ho licenziata. E vorrei sapere perchè sei venuta quì, stasera-

 

Eccola ancora, quella strana dolcezza che affiorava dalla durezza e dai modi scostanti del ragazzo... come un ombra di un carattere differente e tenuto celato. Le sovvenne che Bill Kaulitz doveva essere stato molto diverso, prima dell’incidente: la tenerezza che a volte si lasciava sfuggire ne era la prova certa.

 

Si sciolse da lui, e frugò dentro la borsa. Tirò fuori un dvd, ma nascose il titolo con la mano.

 

-Vorrei che tu vedessi questo con me-

 

-Che cos’è?-

 

-Per favore- lo implorò lei.

 

Bill non rispose, ma le fece segno di seguirlo. La portò davanti a una porta, che aprì. Era un salotto dove facevano bella mostra un grande divano di pelle e un televisore al plasma, enorme e bellissimo, con tanto di home theatre.

 

Sibylla inserì il film nel lettore dvd.

 

-Ti prego, guardalo fino alla fine. E non dire niente, anche se lo hai già visto-

 

-Va bene-

 

     

 

Lo schermo, di velluto nero, venne illuminato dal calore dorato di una candela accesasi per magia.

 

Alcune note cominciarono a creare un tema misterioso e arcano. Sibylla trattenne il respiro: se Bill conosceva il film, se l’aveva già visto, avrebbe riconosciuto subito quella musica.

 

Seduto al suo fianco sul divano, Bill non disse una parola.

 

Sullo schermo apparve una cartolina in bianco e nero che rappresentava un grande ed elegante edificio: gradualmente la foto prese vita, e la telecamera si avvicinò sempre di più al palazzo, fino ad arrivare ad inquadrare uno striscione sospeso sopra l’entrata: “ASTA PUBBLICA”, annunciava.

 

Dentro Sibylla, la tensione crebbe smisuratamente durante i minuti che precedevano quella battuta. Serrò spasmodicamente gli occhi.

 

Alcuni di voi forse ricorderanno la strana vicenda... del Fantasma dell’Opera

 

Sentì Bill inspirare profondamente e bruscamente. Pregò che non saltasse su dal divano e corresse via.

 

Fu esaudita. Il giovane non si mosse, ne parlò.

 

I fotogrammi e le note continuarono a ricreare la storia d’amore più tormentata di sempre.

 

     

 

Past the point of no return, no backward glances: the games we’ve played till now ar at an end...”

 

Le note del Don Juan Triumphant, cantate dalla voce potente e sensuale del Fantasma scossero Sibylla dalla contemplazione segreta del suo silenzioso compagno di visione.

 

La ragazza, che conosceva il film praticamente a memoria, aveva passato quelle ore ad osservare di sottecchi le reazioni di Bill (per quanto permetteva il suo viso nascosto) limitandosi ad ascoltare quella musica stupenda.

 

Ma quella canzone, la sua preferita, non poteva che seguirla con gli occhi incollati allo schermo.

 

Past the point of no return, no going back now: our passion-play has now, at last, begun...

 

La voce angelica di Christine si levò, e ben presto i due si ritrovarono a duettare appassionatamente.

 

Sibylla sapeva che cosa sarebbe successo tra pochi minuti...

 

Si chiese se non fosse meglio bloccare il dvd in quel momento: quel film, la storia di un musicista straordinario, rimasto terribilmente sfigurato, che si mantiene in vita grazie alla musica, fatta vedere proprio a Bill, era un messaggio abbastanza chiaro.

 

Stava rischiando parecchio: se Bill lo avesse capito, se avesse capito che lei sapeva, e le probabilità erano piuttosto alte, c’era la possibilità che lui la licenziasse per davvero e le rovinasse addirittura la carriera.

 

Del resto, non era forse il suo scopo, fargli capire che sapeva chi era? Non era proprio quello, il motivo, il solo motivo per il quale stava vedendo quel film con lui?

 

Deve vederlo. Deve capire. E’ per la terapia. Altrimenti non andiamo da nessuna parte” cercò di convincersi.

 

Non volle ammettere a se stessa che era una sensazione stupenda, il calore del fianco di Bill contro il suo, il suo respiro vicino al suo orecchio, il sapere che i loro cuori stavano battendo all’unisono, emozionati dalla stessa musica...

 

Quando il Fantasma e Christine si avvinghiarono in un abbraccio di fuoco, duettando appassionatamente, Sibylla trattenne il fiato.

 

Say you’ll share with me one love, one lifetime... lead me, save me form my solitude...

 

Istintivamente, ascoltando quella preghiera disperata, Sibylla cercò la mano di Bill e la strinse.

 

Say you want me with you, here, beside you... Anywhere you go, let me go to: Christine, that’s all I ask of...

 

La ragazza sullo schermo strappò la maschera, quella sul divano gemette di dolore: Bill le aveva stretto la mano nella sua con un’intensità dolorosa e disperata.

 

Entrambe (Christine e Sibylla) guardarono il volto sfigurato del Fantasma, e la storia ricominciò a dipanarsi dopo l’intervallo magico della canzone.

 

     

 

You alone can make my song take flight... it’s over now, the Music of the Night!

 

Un canto che in realtà era un pianto di sofferenza accompagnò la fine della storia.

 

Sibylla chinò la testa per nascondere la lacrima che le rigava la guancia.

 

Al suo fianco, Bill era immobile: ma le teneva ancora la mano. Lo schermo si oscurò e cominciarono a scorrere i titoli di coda.

 

Sibylla si asciugò velocemente gli occhi, poi si voltò verso il giovane. Voleva parlargli, voleva chiedergli qualcosa... non ricordò mai cosa.

 

La sorpresero la morbidezza di due labbra premute leggermente sulle sue e il calore di due mani posate sui suoi fianchi.

 

Durò un’istante. Poi, la voce dolce di lui le mormorò all’orecchio due parole:

 

-Ho capito-

 

Sibylla lo respinse, si alzò di scatto. Restò a guardarlo a bocca aperta per un secondo. Poi fuggì via, fuori dalla stanza, fuori dalla villa, lontano dall’amore.

 

 

 

 

 

 

MUAHAHAHAH, come sono sadica a interrompere in questi punti!

Allora, che ne pensate? Sibylla è molto, MOLTO confusa... Chissà come andrà a finire?

 

Ringrazio tutti coloro che leggono, inseriscono nei preferiti e soprattutto recensiscono! Un kissone!

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** I need you... ***


 

 

Cap. 11: I need you...

 

Nei giorni che seguirono, Sibylla provò a rimettere insieme i pezzi della sua vita e delle sue certezze, che si erano drammaticamente infrante quella sera.

 

Si sforzò di dimenticare quel bacio... provò a rimuovere dalla memoria le ore di quella notte.

 

I risultati furono decisamente apprezzabili.

 

In breve, Sibylla riuscì a rientrare nel ruolo della psicologa perfetta: cortese, professionale, priva di coinvolgimento emotivo, che non conosceva l’identità del suo cliente blindato, che non gli dava del tu, che non si metteva a vedere film con lui...

 

Ebbe altre tre sedute con Bill, e furono tre sedute perfette, da manuale. Sibylla era fiera di se. Era riuscita a dimenticare quel bacio troppo irreale, quel frammento di tempo che non avrebbero mai dovuto vivere, quella linea di confine che non avrebbero mai dovuto varcare.

 

E Bill era stato un vero signore: un episodio simile non si era mai più ripetuto, non aveva fatto alcuna menzione ai fatti di quella sera, e si comportava come se Sibylla non avesse scoperto un bel niente su di lui.

 

Sibylla gli era più che grata. Traboccava di riconoscenza nei suoi confronti ogni volta che lui la chiamava “dottoressa”, ogni volta che le si rivolgeva con accenti formali.

 

Quel rapporto così professionale era talmente rassicurante...

 

Ma... ma c’era un “ma”.

 

Ma questo funzionava solo nelle ore diurne. Perchè Sibylla si ritrovò a vivere una doppia vita.

 

Se di giorno era la dottoressa Darenbaum, tailleur, agenda ed espressione seria, di notte la tormentavano i ricordi che non volevano morire nel suo cuore.

 

Il suo sonno era turbato da teneri occhi color nocciola, da sorrisi appena accennati, da voci degne di arcangeli, da baci a fior di labbra dalla dolcezza devastante.

 

A volte, alla bellezza di quei sogni, si accompagna il dolore che giaceva, sopito ma non vinto, in fondo al suo cuore, e che era causato dall’atteggiamento freddo e indifferente di Bill. Se la sua mente si rifiutava di viverlo, era il suo inconscio, libero di vagare senza costrizioni di sorta, a rievocarlo.

 

L’annegare in quei pensieri... l’intensità delle emozioni che provava in quei momenti... la sofferenza vibrante e nascosta... tutto ciò la spaventava.

 

Così, aveva cominciato a tirare tardi la sera: passava la sera a lavorare sui suoi appunti fino a ore indecenti, armata di un’abbondante riserva di caffè nero.

 

Col risultato che crollava esausta a dormire con la testa sulla scrivania... e che i sogni sembravano divertirsi a diventare sempre più terrificanti.

 

Due notti prima, per esempio, si era svegliata proprio mentre Bill le stava sfilando le calze a rete sul divano della biblioteca. Si era alzata dalla scrivania di scatto, con le guance in fiamme, e aveva preso a farsi freneticamente aria con le mani sudate.

 

Non riusciva nemmeno a ricordarsi quale fosse stata l’ultima volta che avesse fatto un sogno erotico... probabilmente a sedici anni, all’epoca della sua indimenticabile cotta per David Bowie in versione Labyrinth. Lui e i suoi attillatissimi pantaloni.

 

-E’ assolutamente ridicolo- aveva detto ad alta voce nel buio.

 

Poi si era alzata, si era preparata la colazione e si era messa a riordinare gli appunti presi durante la notte, nonostante fossero solo le cinque e mezza del mattino: non voleva correre il rischio di riaddormentarsi, nemmeno per sbaglio.

 

Avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita sveglia e pimpante.

 

Le ore del giorno avevano un solo neo: i sensi di colpa e la paura per quelle parole che si era lasciata sfuggire con Johanna.

 

Come aveva potuto rivelarle il suo segreto? - il segreto di Bill!

 

Sono stata maledettamente stupida, maledettamente imprudente... ho agito d’istinto...” cercava di convincersi.

 

Ma la verità era che, dietro la sua decisione di rivelare l’identità di Bill alla segretaria, c’era stato un ragionamento estremamente pronto e freddo.

 

Johanna l’aveva velatamente minacciata di rivelare alla titolare dello studio alcuni “segreti”, alcune pecche nel suo lavoro... roba non abbastanza significativa da farle perdere il posto, ma certamente più che sufficiente per muovere la Stofel a toglierle il lavoro con Bill... quel lavoro che aveva così impensabilmente ottenuto, per un colpo di pura fortuna.

 

Sibylla, davanti a quella eventualità, aveva freddamente calcolato di essere disposta a fare parecchie cose, pur di non perdere quel lavoro. Persino violare il segreto professionale. Persino esporsi a rischi troppo terribili da immaginare.

 

Lo aveva deciso, e, se avesse avuto la possibilità di tornare indietro, l’avrebbe fatto.

 

Ma ora aveva paura... Johanna non era pettegola nel vero senso della parola (non c’era il rischio che andasse a strombazzare la cosa ai quattro venti) ma avrebbe potuto usare quel segreto contro di lei e contro di Bill senza pensarci due volte.

 

Sibylla si era messa in pericolo... e quant’è peggio, aveva messo in pericolo anche Bill. E questo la torturava.

 

Giorno e notte.

 

     

 

Una mattina, un martedì (giorno in cui non aveva appuntamento con Bill), arrivò in ufficio piuttosto di buon umore.

 

Quella notte non aveva sognato nulla di sconvolgente, era riuscita a svegliarsi in orario, e non aveva nemmeno bruciato il latte.

 

Si sedette dietro la scrivania, riordinò le carte e si mise ad attendere il primo cliente della giornata.

 

Dovette passare circa mezz’ora, prima che Sibylla cominciasse a preoccuparsi.

 

Controllò l’agenda, e si rese conto che l’assente Marja, una e minuta biondina di diciassette anni e dal sorriso timido.

 

Sibylla aveva grandi speranze con lei... la ragazza soffriva di depressione, ma stava gradualmente uscendo dalla situazione di crisi nella quale Sibylla l’aveva trovata.

 

Ma era sempre puntuale e invece, quella mattina...

 

Sibylla si alzò, mossa da un presentimento funesto, e corse in segreteria: chiese a Johanna di chiamarle Marja Schuler.

 

     

 

-Studio Stofel, parlo con Fräulein Schuler?-

 

La voce che Sibylla udì rispondere a Johanna dall’altro capo dell’apparecchio, seppur distorta, le parve decisamente maschile.

 

-Ah. Oddio! E Fräulein? Oh mio dio... No, non si preoccupi. Arrivederci-

 

Il volto di Johanna era stranamente turbato. Mise giù il ricevitore, e parlò alla ragazza.

 

-Sibylla...- si rivolse a lei con il suo nome. -Marja Schuler si è suicidata-

 

-No...- esalò Sibylla, mentre tutto il colore fuggiva dalle sue guance.

 

-Si è gettata da un palazzo. Non sono riusciti a fermarla-

 

-Oddio... no...-

 

-Mi dispiace tanto-

 

Ma Sibylla non l’ascoltava più. Barcollò fino al suo ufficio, entrò e si chiuse a chiave la porta alle spalle. Si lasciò scivolare fino a terra, con la schiena contro il legno della porta, si tirò le ginocchia al petto, abbracciandole, e cominciò a piangere silenziosamente.

 

-Bill...-

 

Quella parola le sfuggì dalle labbra senza che lei potesse far niente per fermarla.

 

Voleva Bill. Voleva ranicchiarsi contro il suo petto e piangere tra le sue braccia. Voleva che lui le parlasse, che la consolasse, che le sussurrasse all’orecchio il ritornello di una delle sue canzoni. Voleva le sue labbra, voleva il suo abbraccio.

 

E lo voleva anche se era giorno, anche se non stava sognando. Lo voleva con tutta se stessa.

 

 

     

 

Forse sarebbe rimasta in eterno a piangere e a chiamare invano il nome di Bill... ma arrivò qualcosa che dovette distoglierla dalle lacrime e dai desideri irrealizzabili.

 

Il suono del telefono che squillava.

 

Si alzò stancamente, e rispose, dopo aver tirato su con il naso due o tre volte.

 

-Dottoressa Darenbaum-

 

-C’è una telefonata per te sulla linea uno- la informò la voce di Johanna, già tornata alla freddezza abituale.

 

Sibylla prese la telefonata senza dirle niente.

 

-Dottoressa Darenbaum, come posso aiutarla?-

 

Il tono della profonda voce maschile, vagamente familiare, la sorprese. Concitato, quasi duro: il suo proprietario non lasciò un secondo ai convenevoli.

 

-Devo vederla. Dobbiamo incontrarci-

 

-Mi scusi, ma chi parla?-

 

-Lei conosce il mio nome... anche se non dovrebbe-

 

-Se non mi dice immediatamente chi è, riaggancio e chiamo la polizia!- strillò Sibylla nel telefono.

 

Ci mancava il maniaco.. proprio oggi” e dovette ritrattenere le lacrime. Era troppo...

 

-Mi chiamo Tom Kaulitz-

 

A Sibylla cadde il microfono di mano.

 

-Oddio...- esalò, mentre lo riacchiappava al volo, e riaccostava l’orecchio alla cornetta.

 

-Dobbiamo incontrarci. Domani. Al bar, sotto il suo studio- ripetè lui.

 

-Io...-

 

-Non era una domanda-

 

-Io... non credo di...-

 

- Lei ha violato il segreto professionale. Lei è in guai seri. Sarà meglio per lei che venga, dottoressa-

 

Sibylla trasse un respiro profondo.

 

-Va bene-

 

Tom Kaulitz chiuse la comunicazione senza una parola e Sibylla si lasciò cadere sulla sua sedia girevole da ufficio.

 

-Bill... ho bisogno di te...- mormorò al vuoto.

 

Non poteva farcela da sola. Aveva bisogno di lui.

 

Non sapeva se chiamarlo amore... ma sapeva di avere un bisogno disperato di Bill Kaulitz.

 

 

 

 

 

 

 

SCUSATE IL RITARDO!!!

 

Vi ringrazio per le recensioni, chiedo scusa per le licenze poetiche (ancora), e vi invio un bacione! Ciao!

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Spada di Damocle ***


 

 

 

 

 

 

Cap. 12: Spada di Damocle

 

Sibylla portò a termine la complicata manovra che le consentì di insinuare la sua automobile tra una  Mazda verde giada e una Smart nera piuttosto ammaccata.

 

Spense il motore, sfilò le chiavi dal quadro e trasse un respiro profondo, cercando di trovare il coraggio necessario a uscire fuori dalla macchina. Non era certa di riuscire a rintracciarlo prima della prossima glaciazione, ma l’appuntamento con Herr Kaulitz imperava.

 

Perciò aprì lo sportello, mise fuori con precauzione le gambe armate di tacco a spillo e uscì dall’auto.

 

Si aggiustò lo chignon scompigliato (in puro stile casual-chic... più casual che chic, a dire il vero) con il quale aveva morbidamente raccolto la massa ondulata della chioma castano-rossiccia, e indossò un paio di occhiali da sole dalla montatura piuttosto grande.

 

Tacchi a spillo (che aveva scelto per aggiungere qualche centimetro al suo metro e settantatre) e occhiali da sole (i quali servivano allo scopo di mascherare le sue emozioni), rappresentavano un pò la sua tenuta da combattimento.

 

Perchè sentiva che il colloquio con il fratello di Bill sarebbe stato tutt’altro che amichevole.

 

Si strinse in vita la cintura del soprabito e si avviò verso il bar dove aveva appuntamento con Tom Kaulitz.

 

     

 

 

Nel messaggio che le aveva mandato dopo la telefonata, Tom Kaulitz era stato laconico:

 

Alle nove davanti al bar”.

 

Peccato che davanti al locale, non ci fosse nessuno.

 

Sibylla sbuffò, mentre la tensione che le bloccava lo stomaco si allentava un pochino. Si sedette su un muretto che correva vicino al bar e separava l’area di proprietà del locale, allestita con tavolini di ferro battuto.

 

Attese per qualche minuto poi, stanca di appiattirsi il sedere sulla pietra, si sedette a un tavolino, sistemato in pieno sole davanti al bar.

 

Passarono cinque o dieci minuti senza che Tom Kaulitz la onorasse della sua regale presenza.

 

Sibylla chiamò con un cenno il cameriere e si fece portare un caffè: non che avesse bisogno di eccitanti, ma l’essere sorpresa da Herr Kaulitz a sorseggiare una camomilla calmante non era il miglior presupposto per iniziare il loro colloquio.

 

Bè, sorpresa un corno, se Herr Kaulitz non si degnava di arrivare.

 

Sibylla sbadigliò e si stiracchiò nella luce calda del sole mattutino. Si mise comoda, lasciandosi scivolare leggermente con la schiena appoggiata al ferro della sedia, e accavallando le gambe.

 

Si portò alle labbra la tazzina di caffè e ne sorbì un sorso.

 

-Tutta sola?-

 

Sibylla sussultò bruscamente e sputò il caffè che aveva in bocca. Si voltò verso la voce maschile che l’aveva apostrofata, giusto in tempo per intravedere un ragazzo alto sulla ventina che si sedeva velocemente sulla sedia di fronte a quella dove stava lei.

 

-Tutta sola- confermò Sibylla, mentre tentava di non arrossire troppo.

 

Approffittò del momento di pausa che lui le stava lasciando per pulirsi con un tovagliolino, per osservarlo di sottecchi.

 

     

 

Il viso di Tom Kaulitz era parzialmente nascosto da un paio di enormi occhiali da sole... aveva lunghi rasta biondo scuro, raccolti in una coda alta sotto un cappello... la visiera di quest’ultimo rendeva ancora più difficile l’esame al quale la ragazza avrebbe voluto sottoporre i suoi lineamenti.

 

Per quel che ne poteva vedere Sibylla, questi erano praticamenti privi di ogni difetto, appena un pò troppo delicati per il viso di un ragazzo: ma qualunque parvenza di femminilità che poteva essere suggerita dalla carnagione chiara e liscia, dalle labbra sensuali, dalla linea morbida del mento, dal naso sottile e perfetto, era smentita dal modo di fare sicuro di se al limite dell’arroganza.

 

Il cuore di Sibylla mancò un battito, quando realizzò che i tratti del volto di Tom Kaulitz erano uguali, o almeno estremamente simili, a quelli del volto di Bill.

 

Sono stati uguali” si corresse mentalmente, e si stupì dell’intensità del turbamento che provò.

 

Ma proprio in quel momento lui le rivolse nuovamente la parola, giudicando probabilmente sufficiente il tempo che le aveva lasciato per pulirsi dal caffè.

 

     

 

-E’ molto giovane- osservò. Sibylla ebbe la netta sensazione che lui la stesse squadrando molto attentamente da dietro le lenti scure.

 

-Non più di lei- ribattè.

 

-Infatti io non ho la presunzione di poter fare il medico a ventidue anni-

 

Ma guardo sto str....

 

-Sono laureata, Herr Kaulitz. So fare il mio lavoro- replicò con voce di ghiaccio.

 

-Ha anche il coraggio di chiamarmi con il mio cognome, vedo-

 

-Acuta osservazione-

 

-Non è nella posizione di fare del sarcasmo-

 

-Questione di punti di vista-

 

-Affatto. Se non lo ha ancora capito, glielo ripeto: lei è in guai seri-

 

-Se lei fosse stato veramente intenzionato a farmi licenziare starei già in mezzo alla strada-

 

-Non ne sia troppo sicura-

 

E tu non fare tanto il coglione” ringhiò Sibylla nella sua mente. Ma non rispose.

 

-Fräulein...-

 

-Dottoressa- lo interruppe lei di impulso.

 

-Non ritengo che lei si meriti questo titolo-

 

Sibylla restò di sasso.

 

-Ma come si permette...- gli sibilò con voce alterata dall’ira.

 

-Mi permetto. Se non se n’è resa conto, sono io ad avere il coltello dalla parte del manico, Fräulein-

 

La frustrazione nell’udire il tono di palese piacere con il quale Tom Kaulitz pronunciava quella parola, quel titolo che non era il suo, dopo essersi rifiutato di riconoscerla come medico, era insopportabile.

 

Oddio, ora lo ammazzo!

 

Ma tacque, perchè il ragazzo aveva ragione. Era lui ad avere ogni potere su di lei. Tom Kaulitz sembrò soddisfatto del silenzio sottomesso della ragazza.

 

-Ha ragione, non intendo farla licenziare. Non perchè non se lo meriterebbe. Se dipendesse da me, in questo momento, lei starebbe facendo le valige per andarsene da Hannover: potessi fare a modo mio, lei non troverebbe nemmeno più un lavoro, in questo paese-

 

Sibylla impallidì. Quelle erano minacce evanescenti: evidentemente, Herr Kaulitz si stava solo sfogando dalla sua rabbia contro di lei. Ma non era escluso che il colpo di grazia non fosse terribile come quelle minacce.

 

Intanto, il ragazzo continuava a parlare:

 

-Ma purtroppo, mio fratello mi ha espressamente chiesto di non fare niente contro di lei-

 

Sibylla si sentì pervadere da un senso di profonda felicità, che valicava il confine dell’euforismo e della contentezza.

 

Bill glielo aveva chiesto... Bill voleva proteggerla... Bill teneva a lei...              

 

Dovette trattenere il sorriso raggiante che le stava per nascere sulle labbra. Improvvisamente, Tom Kaulitz non le sembrò poi tanto antipatico...

 

-Lei è al sicuro... per ora-

 

Ok... questa battuta da film di mafiosi te la potevi anche risparmiare

 

-E con questo cosa vorrebbe dire?-

 

-Esattamente quello che ho detto. Lei è al sicuro, per ora-

 

-Si vuole spiegare meglio?-

 

-Con piacere-

 

Il ragazzo avvicinò la sedia a quella di Sibylla. Si tolse gli occhiali da sole (gli stessi occhi nocciola del gemello con quell’espressione così furiosa) e avvicinando il volto al suo le parlò piano in tono pacato, perchè nessuno lo udisse.

 

-Per ora mio fratello stravede per lei. Mi ha fatto giurare che non le avrei fatto niente di male. -

 

Nella mente di Sibylla qualcuno emise un urlo di giubilo.

 

Tom intanto continuava a parlare, e la sua voce cortese e impersonale si mutò gradualmente in un ringhio basso e rabbisoso.

 

-Ma se solo lei farà soffrire... se anche minimamente... se dovesse versare anche solo una lacrima per lei... una sola... se dovesse soffrire... ancora... le rovinerò la carriera... non troverà mai più un lavoro, la costringerò a vivere sotto i ponti... scoppierà uno scandalo e lei ne uscirà rovinata-

 

Sibylla non parlò: le parole di Tom le stavano mettendo un gelo addosso. Le sue minacce non erano più tanto evanescenti...

 

La giovane fece un cenno d’assenso con la testa e il ragazzo parve ricomporsi

 

Si rimise gli occhiali da sole, si alzò.

 

-Spero che non ci rivedremo più: sarà meglio per lei- disse squadrandola dall’alto in basso. -Si ricordi. Se fa dal male a mio fratello, è finita-

 

Stava per andarsene, e Sibylla non sapeva cosa dirgli... voleva trovare una battuta al vetriolo che lo costringesse a tacere, che la facesse sentire un pò meno sconfitta e umiliata...

 

-Bè, almeno io ci provo ad aiutarlo, io-

 

Sibylla non poteva guardare l’espressione nei suoi occhi, ma lo vide serrare la mascella con forza spasmodica.

 

-E con questo che cosa intende dire?- sibilò Tom. La sua voce era alterata spaventosamente dalla rabbia.

 

-Che almeno io non lo ho abbandonato-

 

Il ragazzo la afferrò, affondandole le dita nelle braccia, la sollevò leggermente dalla sedia e avvicinò il viso al suo.

 

Il suo congedo fu il chinarsi vicinissimo a lei, e mormorarle all’orecchio alcune parole intrise di puro odio.

 

-Se fai male a mio fratello, io ti distruggerò la carriera... ma prima verrò da te, e ti rovinerò la faccia. Questa è una promessa-

 

Sibylla annuì nuovamente, tentando di mantenere un’aria impassibile e ringraziando gli occhiali da sole che le nascondevano gli occhi.

 

Tom Kaulitz la lasciò andare: lei ricadde sulla sedia di ferro. Il giovane girò sui tacchi e fece per andarsene.

 

-Aspetti!-

 

Il giovane si voltò: la ragazzo lo aveva chiamato.

 

-Chi è stato a dirle... che io sapevo...?-

 

-E’ stato mio fratello-

     

 

Sibylla lo guardò passivamente allontanarsi. Portava vestiti troppo grandi per la sua taglia, notò distrattamente.

 

Bill... Bill glielo aveva detto! Altro che tenere a lei! Altro che volerla proteggere! L’aveva tradita... aveva tradito il loro segreto.

 

Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto morire.

 

Poi, il gelo della paura cominciò a strisciarle nel cuore. Tom Kaulitz non faceva sul serio... vero?

 

Sospirò e chiuse gli occhi, lasciandosi andare contro la sedia, improvvisamente priva di forze.

 

Eccola lì, la spada di Damocle sospesa sopra la sua testa.

 

 

 

 

 

 

CIAO! Quì la vostra autrice che vi parla. Vorrei ringraziarvi tutti per le vostre recensioni: vedo che la povera Marja ha suscitato la vostra compassione. Mi è dispiaciuto tantissimo “ucciderla”: ma Sibylla doveva trovarsi in una situazione di crisi per ammettere di aver bisogno di “Wilhelm”.

Solo vorrei chiarire una cosa: in questo capitolo ho descritto Tom come... bè... come uno stronzo, via.

Io non penso assolutamente che Tom sia così!

Semplicemente, è fermamente intenzionato a proteggere Bill a ogni costo (il mio povero love ha sofferto così tanto... sospirone).

Scusate per i probabili errori di battitura, ringrazio chiunque leggerà, inserirà nei preferiti, e soprattutto RECENSIRA’!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Can you call this revenge? ***


 

 

 

 

Cap. 13: Can you call this revenge?

 

L’etica dello Studio Medico-Psichiatrico Stofel imponeva una regola non scritta: mai mancare all’appuntamento con un paziente.

 

Sibylla stava gettando alle ortiche la serietà e la prudenza che le avevano inculcato all’università, almeno nel caso di Bill: c’era troppo dentro per lasciarsi condizionare dal concetto di professionalità

 

Ma sapeva che c’erano alcune cose che semplicemente non si potevano fare.

 

Non importava se il giorno prima ti era morta una delle tue clienti... non fregava a nessuno se avevi ricevuto una telefonata minatoria... e a nessuno interessava il fatto che il fratello di un tuo paziente ti avesse appena minacciata di morte.

 

Avevi l’appuntamento? Dovevi andarci.

 

Perciò Sibylla guidava verso la villa di Bill: ultimamente aveva come l’impressione di passare più tempo in macchina che da qualunque altra parte.

 

E mentre guidava cantilenava ad alta voce.

 

-Lo odio... lo odio... lo odio... lo odio... lo odio...-

 

Non si riferiva tanto allo Stronzo Mafioso, quanto al Traditore Ipocrita (i soprannomi nuovi di zecca che aveva scelto per i gemelli Kaulitz).

 

Voleva la testa di Bill su un vassoio d’argento. All’istante. Il traditore...

 

Una vocetta irritante (che aveva una rassomiglianza inquitentate con quella di Johanna) l’apostrofò nella sua testa, e Sibylla si ritrovò ad intavolare una piacevole conversazione con quella che supponeva essere la parte più razionale del suo cervello.

 

     

 

Traditore di che cosa, di preciso?

 

-Traditore di me. Del nostro giuramento-

 

Non avete fatto nessun giuramento. Niente di niente

 

-Invece si-

 

Mmh... mi ricorderesti quando esattamente Bill ha giurato di non dire a nessuno che conoscevi la sua vera identità?

 

-Non ne ha più parlato da quella sera, era ovvio che...-

 

Temo che tu dia troppe cose per scontate, mia cara

 

-Ma perchè glielo ha detto?-

 

E’ suo fratello, zucchero, è naturale che glielo abbia spifferato

 

-Bastardo traditore...-

 

Suvvia, Darenbaum! Realisticamente: tu sai chi è, e questo lo espone a un pericolo enorme. E’ ovvio che lo abbia detto al fratello, è ovvio che il fratello voglia proteggerlo. E poi: ma quale tradimento? Lui-non-è-legato-a-te, te lo vuoi ficcare in testa?”

 

-Credevo di essere importante, per lui-

 

Sbagliavi. Sei solo la sua psicologa, Darenbaum. Non sei niente per lui. Lo vuoi capire o no?

 

     

 

La ragazza fermò la macchina in mezzo alla strada, frenando bruscamente e sbattè la testa sul volante due o tre volte, in preda ad un’attacco di frustrata pazzia mista a una tristezza opprimente.

 

-Maledizione, maledizione, maledizione- piagnucolò, infelice.

 

Aveva mal di testa e la sua situazione non era cambiata: l’attacco al volante della macchina non era servito.

 

Tirò su col naso, dilatò gli occhi e respirò affannosamente: non voleva mettersi ancora a piangere.

 

Riprese a guidare e imboccò con la macchina la lunga e tortuosa strada sterrata che portava alla villa di Bill. Quanto meno si era relativamente calmata: fece il punto della situazione. Doveva andare all’appuntamento e trascorrere due ore e mezza con lui, senza causare altri incidenti.

 

Scartò immediatamente l’idea di accennargli al dialogo con Tom: aveva il dubbio che l’espressione “...se solo lei lo farà soffrire...” fosse intesa in senso preoccupantemente lato.

 

Sospettava che sarebbe bastata una qualsiasi lamentela di Bill sul suo conto per attirarle contro le ritorsioni di Tom.

 

Improvvisamente ebbe paura di se stessa: non sapeva bene quale sarebbe stata la sua reazione, alla vista e alle parole di Bill. Le possibilità principali erano due: azzannamento alla gola con urla belluine o crisi isterica di pianto.

 

Conosceva quel ragazzo da poche settimane e le aveva già fatto versare più acqua di una fontanella...

 

 

     

 

Davanti alla villa considerò l’idea di darsi malata di la peste bubbonica. Dopo essere uscita dall’ombra del viale alberato ricordò la peste era stata debellata parecchio tempo prima.

 

Salendo i gradini della veranda ipotizzò di fuggire semplicemente in Antartide e darsi alla cura dei pinguini schizzofrenici. Mentre suonava il campanello rammentò di odiare ogni specie di volatili.

 

La porta si aprì e una delle cameriere la scortò dentro la villa: non aveva scampo.

 

     

 

Quando il giovane la vide entrare nella stanza abbandonò il libro che stava leggendo. Era passato da Thomas Mann a Oscar Wilde... “Il ritratto di Dorian Gray”.

 

L’ossessione per la bellezza ideale, così malsana in una persona sfigurata, sembrava non averlo ancora lasciato.

 

Sibylla ne sarebbe quasi rimasta inquietata, se Bill non si fosse alzato, andando ad accoglierla. Le sue belle labbra, appena rivelate dalla maschera bianca, si incurvarono in un sorriso che fece dimenticare alla giovane psicologa ogni pensiero di rabbia, ogni tristezza.

 

Le sembrò che l’aria nella stanza si fosse fatta leggermente rarefatta, conferendo alla scena un’atmosfera da sogno. O forse era semplicemente l’effetto che le faceva Bill.

 

-Buongiorno- mormorò, piena di gratitudine per lo sguardo amichevole che le rivolgeva.

 

-Buongiorno, dottoressa-

 

La ragazza capì  che se non lo faceva ora lo avrebbe rimpianto per tutta la vita.

 

-Sibylla- lo corresse, in un impulso avventato.

 

-Sibylla- ripetè lui, con un piccolo cenno di assenso. -Prego- aggiunse, e  le fece cenno di precederlo sul divano.

 

     

 

-Bene... adesso vorrei affrontare un concetto più complicato del solito, se è d’accordo-

 

-Mi dica, Sibylla-

 

All’improvviso le parve di possedere il nome più bello del mondo, solamente per la carezza esitante con la quale la voce di Bill pronunciava la S, per il suono limpido che dava alle vocali, per la dolcezza morbida che riservava alle consonanti.

 

Il tono di voce con il quale Bill pronunciava quelle tre sillabe che componevano il suo nome riusciva a farla sentire la persona più importante del mondo.

 

La ragazza dovette frenare a viva forza l’istinto di chiudere gli occhi e sospirare sognante.

 

-Vorrei che lei mi parlasse di quello che significa per lei la parola “normale”-

 

La maschera rendeva impossibile decifrare la sua espressione, ma la voce del ragazzo si fece leggermente scettica.

 

-Normale è una persona in condizioni di normalità: priva di contrassegni salienti e di caratteristiche particolari-

 

Sibylla rise.

 

-Ancora con questo gioco? Parlare senza dire niente?-

 

Era così bello lasciarsi andare con lui...

 

-Che cosa intende dire?-

 

La voce tagliente del ragazzo le rammentò quanto era anche pericoloso.

 

-Niente- si affrettò a rassicurarlo lei. -Intendevo dire che non voglio la definizione dell’aggettivo “normale”. Solo... mi parli di quello che significa questa parola per lei. Se vuole-

 

Bill trasse un respiro profondo. E cominciò.

 

     

 

-Lei non può saperlo, ma quando ero... cioè, prima... prima dell’incidente, fin da bambino, avevo un look decisamente inusuale... mi truccavo parecchio, addirittura. Ovviamente, dopo l’incidente non ho più potuto... sa, per la maschera. Sarebbe stato inutile-

 

Sibylla non fiatò.

 

Bill stava facendo qualcosa di assolutamente straordinario per lui: parlava dell’incidente.

 

Le esitazioni nel discorso del ragazzo le facevano capire quanto fosse importante lasciarlo parlare liberamente.

 

Subito infatti Bill parlò in modo più sciolto e sicuro.

 

-E’ strano pensare a come è cambiata la mia concezione di normalità negli ultimi anni... capisce, io non sono mai stato “normale”, non nel senso inteso comunemente dalla maggior parte delle persone-

 

Lei annuì per comunicargli che aveva capito.

 

-E io ne ero fiero. Sono sempre stato diverso, e ho sempre fatto di questa mia diversità una bandiera. Qualcosa di cui essere orgoglioso. Pensi che, in un periodo della mia vita, ero arrivato al punto in cui non me ne importava niente di quello che pensavano le altre persone... o meglio, al punto di riuscire a fingere perfettamente che non me ne importasse-

 

-E poi?-

 

-Lei si sarà chiesta perchè porto una maschera: ci sono molte persone sfigurate che non ne fanno uso, e che hanno una vita relativamente normale. Non si confinano in una villa come eremiti, non interrompono i contatti con il mondo-

 

-Si, me lo sono chiesto- ammise sinceramente Sibylla.

 

-Vede, quando è successo... improvvisamente ho scoperto un sentimento che in pratica non avevo mai conosciuto: la vergogna. Non mi ero mai vergognato di quello che ero. Ma quando mi tolsero le bende dal viso, dopo l’incidente, e guardai il mio viso nello specchio... sarei voluto morire. Mi vergognavo dei medici, delle infermiere... mi vergognavo anche di mio fratello! Ero così... orrendo... non ero più io... ero un mostro-

 

Il tono di Bill era pieno di dolore.

 

Non un suono uscì dalle labbra di Sibylla.

 

-E’ così che è successo. E’ così che mi sono rinchiuso in questa villa. Non esco da quattro anni... la cosa peggiore è che non voglio neppure farlo-

 

-E suo fratello?- osò chiedere la ragazza.

 

-Mio fratello passò tutto il primo anno a venirmi a trovare. Non poteva vivere quì con me perchè aveva degli... affari da sbrigare a Berlino. Io... noi facevamo un lavoro prima dell’incidente e lui non voleva perderlo. Voleva rimanere in contatto con i... con la gente con la quale lavoravamo. Voleva che io ricominciassi a cant... a lavorare con lui. Ma io non volli. Mi vergognavo di me stesso. Non volevo più vedere nessuno-

 

-Non ha più ripreso il suo lavoro?-

 

-No-

 

-E non ne ha mai sentito il bisogno-

 

Lui non rispose e Sibylla non insistè.

 

-Mi diceva di suo fratello-

 

-Dopo il primo anno gli chiesi di non venirmi più a trovare. E lui mi parve quasi sollevato.

Non fraintenda, lui... mi vuole molto bene. E ha sempre detto che non importava il mio aspetto. Ma... io so che lui non si perdona ancora di non avermi potuto aiutare. Non che avrebbe potuto fare niente. Non avrebbe potuto evitare l’incidente. Ma non riesce comunque a perdonarselo-

 

-E non lo ha più rivisto?-

 

-Ci sentiamo unicamente per telefono... per comunicazioni di servizio, se così le vuole chiamare. Telfonate di natura molto pratica-

 

-E quindi?-

 

-E quindi, ritornando al concetto di normalità, mi ritrovo a desiderare di non essere mai stato diverso. Non ne sono più orgoglioso. Darei qualunque cosa per avere una vita normale, per essere come tutti gli altri: banale, semplice... ma felice-

 

-E’ certo di non poter essere felice anche da diverso?-

 

-Non lo potrò mai più essere, Sibylla. Ho lasciato andare mio fratello... non ho più nessuno-

 

-Hai me- disse pianissimo lei, in un agitato sussuro pieno di commozione.

 

Bill, mentre parlava, aveva l’aria di essere lontano mille miglia, ma quando Sibylla parlò le rivolse la sua attenzione, guardandola con aria perplessa.

 

-Come, prego?-

 

-Niente- si affrettò a dire lei. -Ma vorrei chiederle ancora una cosa... come si fa a stabilire che cosa esattamente è la normalità? Non c’è un metro di misura unico...-

 

-Lei è normale. In senso buono, ovviamente. Lei può essere felice-

 

Sibylla gli rivolse un sorriso venato di amarezza.

 

-Io, normale? Temo che lei abbia proprio sbagliato esempio-

 

-Si?-

 

-Mio caro “Wilhelm”...-

 

-Bill-

 

La ragazza sgranò gli occhi, con un mezzo sorriso imbarazzato.

 

-Posso?- chiese arrossendo.

 

-Può. Tanto ormai...- sorrise lui.

 

-Bill, nessuno di noi è normale, e io meno di tutti. Voglio dire... i miei capelli quando piove diventano una balla di fieno, ho letto una dozzina di volte il “Faust” e mai un numero di “Bravo” e... e sono vergine a ventidue anni, diamine!-

 

Ma perchè gliel’ho detto?” si chiese la ragazza, terrorizzata da se stessa.

 

Bill sgranò gli occhi.

 

-Come hai detto?- chiese con aria allibita, mandando il “lei” a farsi benedire.

 

-Sono vergine a ventidue anni- ripetè lei, con le guance in fiamme.

 

Bill  scoppiò a ridere, e Sibylla avvampò ancora di più.

 

Ma... oddio... ma che cos’ho nel cervello?

 

Intanto il ragazzo continuava a sghignazzare.

 

Ti prego, fa che smetta di ridere” lo implorò mentalmente.

 

Fu esaudita.

 

-Scusami- disse Bill, una volta calmatosi. -Scusa se ho riso-

 

-Lo fanno tutti- mormorò lei.

 

Lui le posò una mano sulla sua, accorgendosi dell’umiliazione della ragazza.

 

-Mi dispiace- ripetè dolcemente.

 

-Non fa niente- sussurrò lei.

 

-E’ solo che... capisci, è un pò strano-

 

-So di essere grandicella per non averlo mai fatto, ma sono diversa, te l’avevo detto-

 

-Non è l’età che mi stupisce... piuttosto la persona-

 

-La persona?-

 

-Tu... tu sei... ecco, sei molto bella. E sei dolce, simpatica... mi pare strano che...-

 

-Come scusa?- lo interruppe Sibylla.

 

Forse aveva sentito male.

 

-Mi pare strano che tu non l’abbia mai fatto-

 

-No... che cosa hai detto che sono?-

 

-Sei molto bella-

 

-Mi prendi in giro, vero?-

 

-Ehmm... no! Dico sul serio... sei davvero bella-

 

-Ok. Mai pensato a un bel paio di occhiali?-

 

Bill scoppiò a ridere e, senza fermarsi, le prese la mano e la guidò con se. Varcò con lei la porta, e il suono delle sue risate riecheggiò nel corridoio silenzioso.

 

Si fermò davanti a un grande specchio in penombra, e spinse delicatamente Sibylla davanti a se.

 

-Che cosa vedi?- le chiese.

 

-Vedo una secchiona troppo cresciuta. Vedo una ragazzina brutta, che nessuno ha mai guardato... che si rifugia ancora dietro ai libri... senza speranza-

 

Chiuse gli occhi per non vedere quell’immagine penosa.

 

Lui le posò le mani sulla vita e la strinse a se con dolcezza.

 

-Guarda meglio...- le mormorò all’orecchio, e la ragazza rabbrividì.

 

Aprì gli occhi. Guardò.

 

Una figura nella penombra... una giovane donna. Era alta... il lungo collo sembrava troppo sottile per reggere la massa di capelli ondulati, una nuvola formata da fili luminosi tra il castano e il rame. Gli occhi neri brillavano nell’ovale perfetto del suo viso, le guance erano arrossate.

 

Era trattenuta davanti allo specchio da due mani affusolate che la stringevano alla vita... una figura oscura stava alle sue spalle... il nero dei vestiti e dei capelli contrastava con la chiazza bianca della maschera.

 

-Sei bella- le sussurrò lui. Il suo sguardo riflesso dallo specchio le trafiggeva gli occhi.

 

-Togliti la maschera- mormorò lei in risposta, come incantata dall’immagine che vedeva riflessa nel vetro lucido.

 

-Mai-

 

Sibylla sobbalzò e si voltò precipitosamente.

 

-Herr Wilhelm... mi scusi...- annaspò alla ricerca di un modo di uscirne fuori. -La seduta è finita- concluse, in preda all’imbarazzo più totale.

 

Gli occhi di Bill si incupirono. Il suo sguardo divenne duro come pietra.

 

-Sai che cos’è che mi fa impazzire? E’ che tu sai chi sono... hai capito che cosa... provo per te... “Herr Wilhelm”? Ma quanto sei ipocrita!-

 

Il suo tono era disgustato.

 

-Vattene-

 

-Cosa?- domandò lei, senza fiato.

 

-Ho detto vattene! Questa volta è finita, è un addio. Non ti voglio mai più vedere-

 

-Bill...-

 

-VATTENE!-

 

     

 

Quando Sibylla rientrò in casa, sapeva già che cosa fare.

 

Si precipitò alla scrivania, accese il computer e il modem dell’ADSL.

 

Si sedette pesantemente sulla sedia, e chiuse gli occhi, tentando di regolarizzare i respiri.

 

Lo odiava.

 

E non per un “tradimento” fittizio.

 

Lo odiava perchè aveva distrutto la sua professionalità, la sua serietà e il suo distacco.

 

Lo odiava perchè riusciva a farla rabbrividire con la sua sola voce.

 

Lo odiava perchè aveva ogni potere su di lei... potere di farla piangere e ridere.

 

Lo odiava perchè la faceva sentire sempre più vulnerabile.

 

Lo odiava perchè aveva distrutto tutte le sue certezze.

 

La schermata del computer si accese, Sibylla corse con la freccetta del mouse fino al link della connessione Internet.

 

Sibylla ora voleva la sua vendetta.

 

Apparve la pagina di Google, e la ragazza premette su “Immagini”.

 

Scrisse due parole con mani tremanti.

 

Bill Kaulitz

 

La schermata cambiò, decine di piccole foto apparvero. Sibylla ne aprì una a caso.

 

Lentamente, per via della connessione antiquata che aveva il computer, la foto apparve.

 

La ragazza smise di respirare.

 

     

 

Da quel piccolo schermo scaturiva l’immagine della pura bellezza.

 

Fioriva rigogliosa, si librava in volo, ricordo di un tempo lontano. Lacerante nella sua perfezione.

 

Era... bellissimo.

 

Non c’era altro da dire. Non avrebbe potuto aggiungere niente a questa parola.

 

Era la rappresentazione concreta del concetto astratto di bellezza.

 

Era... sconvolgente.

 

Sibylla prese fiato bruscamente. Impallidiva e arrossiva. Il seno le si alzava e le si abbassava velocemente, preda dei suoi respiri irregolari.

 

Improvvisamente sentì di non poter più sopportare quella visione.

 

Chiuse la pagina e l’immagine di perfezione sparì dai suoi occhi sgranati.

 

La ragazza si portò una mano tremante al cuore. Era certa che, per pochi istanti, avesse smesso di battere.

 

Poteva forse chiamare vendetta quello che era appena successo?

 

Come intorpidita, spense il computer.

 

Si spogliò, si cambiò per la notte e andò a letto.

 

Odi et amo...

 

Aveva detto di odiarlo. Ora sapeva di amarlo.

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi di nuovo quì con un capitolo fresco fresco. Che dire? Spero che vi sia piaciuto. Sibylla ha litigato con Bill (un’altra volta), ha visto la sua foto, ma soprattutto LO AMAAAAAA!!!

 

Ememem... scusate il momento di pazzia.

 

Ora la parte più triste di tutte. Annuncio con mio gran dispiacere che il prossimo capitolo arriverà leggermente in ritardo. Non uccidetemi.

 

Ringrazio tutti voi che leggete, inserite nei preferiti e soprattutto recensite. Questa ff, che sono lieta e stupita vi piaccia, cresce e matura anche grazie alle vostre recensioni.

 

Un bacione da Facy, alla prossima!

 

PS: ancora umilissime scuse per gli errori di battitura... la fretta è cattiva consigliera, ma poi voi mi dite di postare presto...

 

KISSES!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Tentazione ***


 

 

 

 

Cap. 14: Tentazione

 

Cosa si può fare, quando ci si rende conto di aver sbagliato tutto?

 

Come si può reagire accorgendosi di aver gettato al vento tutte le occasioni che si sono presentate e che non si ripresenteranno mai più?

 

Quale può essere una reazione sensata al capire di aver perso definitivamente la persona amata?

 

Stranamente Sibylla non passò la notte a lacrimare sul cuscino: non sempre le lacrime sono un male e il dolore non le concedeva nemmeno lo sfogo del pianto.

 

Per la prima volta capiva il significato di quella parola, “dolore”.

 

Dolore per quel volto bellissimo... quel viso che l’aveva perseguitata per tutta la notte. Era un dolore con una componente di spietatezza: perchè proprio lui? Avrebbe accettato uno sfregio su un viso meno bello, ma su quello di Bill le appariva come un sacrilegio, una profanazione.

 

Dolore per la sua immensa stupidità. Lo aveva perso... proprio quando aveva capito di amarlo, proprio nel momento in cui si era accorta che forse lui avrebbe potuto ricambiare il suo sentimento.

 

Dolore per le parole che lui le aveva scagliato contro: a cosa peggiore era che aveva perfettamente ragione: era un’ipocrita, e una codarda. Non aveva avuto il coraggio di ammettere a se stessa quello che provava per lui, e ora lo aveva perso per sempre.

 

Ed era tutta colpa sua.

 

Il giorno dopo Sibylla si svegliò sentendosi le ossa rotte dalla stanchezza. Assecondando il suo lato melodrammatico si vestì di nero come lutto per la storia d’amore che le dure parole di Bill avevano ucciso prima ancora che questa fosse nata.

 

Ma come spesso accade, arrivò qualcosa di molto terreno e prosaico che dovette distoglierla dalle sue sofferenze d’amore.

 

Mentre usciva da casa, controllò la cassetta della posta, e trovò una lettera bianca, dall’aria ufficiale. L’aprì, non senza un certo senso di ansia, la lesse velocemente.

 

-Merda-

 

Un’ingiunzione di pagamento per l’affitto della casa.

 

Si appoggiò con la schiena alla parete dell’ingresso, mentre l’assalivano innumerevoli pensieri di angoscia, che si chiamavano “rata della lavatrice”, “rata del televisore”, “rata del computer”, “tasse”, “tasse” e “tasse”.

 

Calcolò velocemente l’importo, e si rese conto con terrore di essere totalmente al verde.

 

-Merda. Oh, merda! OH, MERDA!-

 

La portinaia si affacciò dalla guardiola per controllare chi fosse il responsabile di tanta oscenità, la intercettò con lo sguardo e le rivolse un’occhiata di aperta disapprovazione.

 

Ma Sibylla aveva altri problemi. Problemi di natura decisamente più materiale.

 

Oddio, devo chiedere un prestito? Dannazione! A chi? Ad Angelika che non ha un soldo in tutte le tasche?

 

Un nome le si affacciò alla mente, ma lo ricacciò nei meandri della sua mente balzana.

 

Si, figuriamoci se gli posso chiedere pure dei soldi!

 

Uscì di casa, con passo leggermente barcollante. Entrò in macchina e si avviò verso lo studio, tentando di non scoppiare a piangere.

 

Mentre aspettava che scattasse il verde del semaforo dell’incrocio sotto lo studio, rifletté sulla possibilità di chiedere un prestito ad una banca: la scartò ben presto. Non aveva idea di come fare, e aveva come l’impressione che non gliel’avrebbero mai concesso.

 

La disperazione stava raggiungendo livelli iperbolici (mentre saliva con l’ascensore), quando le arrivò l’illuminazione.

 

Entrò a passo di carica nello studio, e intercettò con lo sguardo la figura di Johanna china sulla scrivania.

 

Si fece forza... l’idea di parlare le ispirava un profondo disgusto, ma era l’unica chance che le restava.

 

     

 

-Johanna?-

 

La donna alzò la testa bionda.

 

-Si?-

 

-Mi serve un prestito-

 

-E me lo dici così?-

 

-Preferivi un telegramma?-

 

-Non ho un centesimo, Darenbaum, e tu lo sai-

 

-Jo...-

 

-“Jo” un corno! Non me li posso certo inventare, i soldi che non ho-

 

-Avrai pure qualcosa da parte! Giuro che ti ridò tutto...-

 

-Ammesso e non concesso che io abbia qualcosa da parte, non ti presterò un centesimo-

 

Sibylla si lasciò cadere su una delle sedie della sala d'attesa, sconsolata e priva di forze.

 

-Ho bisogno di quei soldi... perchè non me li presti?-

 

-Perchè li hai a portata di mano-

 

-Ma che cosa stai dicen...-

 

-E non fare finta di non capire, Darenbaum. Non sei un’idiota, e non lo sono nemmeno io-

 

-Johanna... so che non puoi capire, ma sforzati, ti prego... Non potrei mai tradirlo-

 

-Lo ami?- domandò la donna a bruciapelo.

 

Sibylla arrossì.

 

-Io non amo nessuno!- esclamò con veemenza. -E’ solo... non potrei farlo per una questione di professionalità-

 

Johanna inarcò un sopracciglio con un’espressione tra il divertito e il sarcastico.

 

-Professionalità? Darenbaum, tu non sai che cosa significa questa parola-

 

Sibylla fece per protestare, ma Johanna la fermò.

 

-Lui ti ama?-

 

La ragazza chinò la testa, piena di tristezza.

 

-No-

 

-E allora perchè non lo sputtani per vendicarti?-

 

-Vendicarmi di cosa?-

 

-Lo hai detto tu che ti respinge...

 

Sibylla si alzò, e la squadrò con occhi di gelida furia.

 

-Piuttosto mi faccio mettere dentro a vita per insolvenza-

 

E si precipitò nel suo ufficio.

 

     

 

-Ma guarda te, quella troia...-

 

Sibylla camminava nella stanza come una tigre in gabbia.

 

Aveva debiti per una cifra semi-incalcolabile, Johanna continuava a proporle ad intervalli regolari di vendere alla stampa il suo cliente del cuore, e per di più, il primo paziente della giornata le aveva appena dato buca.

 

Era letteralmente imbestialita, e quando dovette sollevare la cornetta del telefono squillante, per poco non rispose ruggendo come una tigre dai denti a sciabola.

 

-Dottoressa Darenbaum-

 

-Ciao, Sibyl-

 

Sibylla sospirò di sollievo.

 

-Lika!-

 

-Devo dirti una cosa. Mark...-

 

-Ha fatto il botto con la moto? Era ora!-

 

-Sibylla! No, mi ha chiamata-

 

-E meno male che andava tutto bene...-

 

-Vuole che io torni con lui! Ti ho chiamata per questo!-

 

Sibylla piombò pesantemente a sedere sulla sedia girevole.

 

-COSA?-

 

-Vuole che io torni con lui! Non è meraviglioso?-

 

-No. Qualunque cosa sia, non è affatto meraviglioso. E’ la notizia peggiore che potevi darmi. Angelika... non gli avrai detto di si?-

 

-Veramente io...-

 

-ANGELIKA! Gli hai detto di si!-

 

-No, non gli ho detto di si. Per il semplice motivo che non posso farlo-

 

Sibylla elevò mentalmente un canto di ringraziamento al cielo.

 

-Allora lo hai capito finalmente che è uno stronzo apocalittico!-

 

Angelika la ignorò diplomaticamente.

 

-Mark ha detto che tornerà con me se gli presto dei soldi... -

 

-E perchè?-

 

-Ha dei debiti di gioco piuttosto seri. Si tratta di una una grossa cifra, soldi che al momento non ho. Ma quando li troverò...-

 

Sibylla restò a bocca aperta, senza fiato. Aveva il cervello del tutto intorpidito, le sue sensazioni si erano improvvisamente fatte come ovattate.

 

-Angelika...- piagnucolò sconvolta. -Non hai un minimo di dignità?-

 

-No- la sorprese il tono duro della sorella. -Farei qualunque cosa per farlo tornare con me-

 

-Angelika...-

 

L’altra sospirò dal capo opposto del telefono.

 

-Cambiamo discorso, che è meglio. Come va?-

 

Ahia”.

 

-Tutto ok... Alla grande, anzi- mentì spudoratamente.

 

-Tu non sai mentire. Che è successo?-

 

-Sono nei guai, Lika- cedette la ragazza in tono disperato.

 

-Ne hai ammazzati molti?-

 

-No!-

 

-E allora?-

 

Sibylla cedette e le raccontò tutto: di Bill, dei soldi che doveva pagare, della disperazione immane che la attanagliava... Vuotò il sacco anche sull’identità di Bill: peggio di così non poteva andare, e almeno era certa che Angelika non l’avrebbe mai tradita.

 

Sfogarsi le fece bene. Quando Angelika prese la parola si era relativamente calmata.

 

-Calma e sangue freddo. Per il tuo “blindato-non blindato” non possiamo far molto. Ma quanto esattamente devi pagare?

 

-Un quattromilacinquecento...-

 

-EURO?-

 

 -Di sicuro non dobloni...-

 

-Ma ti pare il caso di scherzare?-

 

-Ridere per non piangere, Lika-

 

-Ma vaffanculo! Sei nei guai, Sibylla!-

 

-Si... di questo me n’ero accorta-

 

-E come pensi di venirne fuori?-

 

-Ovviamente tu non hai un centesimo bucato, no?-

 

-Ovviamente-

 

Improvvisamente Sibylla percepì un moto di fastidio nei confronti della sorella.

 

-Penserò a qualcosa, Lika. Ora devo andare. E’ arrivata gente per me- mentì.

 

-Ciao, Sibyl. In bocca al lupo-

 

-Crepi- e riattaccò.

 

Si lasciò cadere sulla sedia girevole.

 

Certo, Angelika, mi aiuti molto facendo così...

 

Cominciò a far ruotare leggermente la sedia, dondolandosi e rimuginando pensieri che avevano come protagonisti cifre esorbitanti e affascinanti ragazzi mascherati.

 

Cifre esorbitanti e ragazzi mascherati...

 

Johanna, in fondo, non aveva tutti i torti... i soldi erano lì, a portata di mano. E Bill ormai l’aveva già perso. Lui non voleva più rivederla: la situazione non sarebbe potuta peggiorare, neanche se lo avesse fatto.

 

Si crogiolò nella fantasia di fare davvero quello che Johanna le consigliava: sarebbe stato facile...

 

Uscire dallo studio... andare ad un’edicola... certamente sul retro delle riviste scandalistiche c’era il numero delle redazioni... qualunque giornale avrebbe pagato cifre astronomiche per una foto del volto di Bill.

 

Sollevò delicatamente la cornetta del telefono, se la portò all’orecchio e immaginò di fare una telefonata anonima.

 

     

 

“Redazione di ........., buongiorno”

 

“Ho delle informazioni riservate su Bill Kaulitz”

 

“Come, prego? L’ex cantante dei Tokio Hotel?”

 

“Lui. Informazioni di prima mano, segretissime”

 

“Ma chi è che parla?”

 

“Un’amica... le interessa o no?”

 

“Mi dica”

 

“So come procurarmi una foto del suo viso dopo l’incidente”

 

     

 

Sibylla si riscosse dalla sua fantasia. Inorridì di se stessa. Come aveva potuto anche solo concepire l’idea di fare qualcosa del genere?

 

Eppure... eppure non vedeva altre vie d’uscita. Come avrebbe fatto a trovare il denaro?

 

Si diede uno schiaffo da sola.

 

Ma sei scema o cosa?” si chiese.

 

Oramai lo aveva perso... che alternativa aveva?

 

Mi fai schifo, Sibylla Darenbaum. Mi fai veramente schifo” s’insultò, disgustata dei suoi pensieri.

 

Non poteva fare questo a Bill... lo amava troppo...

 

Aveva detto a Johanna di essere pronta a finire in galera se l’alternativa era tradire Bill. 

 

Si era trattato di una frase buttata lì?

 

Era vero che dicendolo ne era veramente convinta, ma era sotto l’impulso del momento. Invece, ripensandoci a freddo...

 

Si alzò di scatto. Cominciò a percorrere la stanza a grandi passi, incapace di stare ferma.

 

Afferrò una penna dalla scrivania e cominciò a giocherellarci con le lunghe dita nervose.

 

-Merda!-

 

Scagliò la penna a terra con violenza.

 

Non poteva farlo -non poteva nemmeno pensare di farlo! Tom Kaulitz l’avrebbe amazzata, in primis. Lentamente e dolorosamente. E poi... ma con che coraggio avrebbe potuto guardarsi allo specchio?

 

Scosse bruscamente la testa, sperando irragionevolmente che i ricordi scivolassero via.

 

Si lasciò cadere nuovamente sulla sedia, si cinse il corpo con le braccia, quasi a volersi proteggere dai pensieri che le parole di Johanna le avevano suggerito.

 

Ma quei pensieri le restarono accanto per tutta la giornata, una piccola spina nel fianco che aveva nome “tentazione”.

 

 

 

 

 

 

Lo so, torno dopo parecchi giorni con un capitolo schifoso. I’m sorry!

Finora mi è parso che il personaggio di Sibylla fosse generalmente amato da voi... la ritenete capace di tradire Bill?

...

Io non mi pronuncio. E’ un personaggio in linea di massima positivo, ma anche lei ha il suo lato oscuro.

E ora un pò di ringraziamenti:

 

Lidiuz93: il capitolo è arrivato. Schifoso ma è arrivato XD

 

_Illusion_: davvero hai aperto la pagina tutti i giorni per controllare se avevo postato? Mi rendi orgogliosa!

 

Fee17:  come riesco a descrivere sensazioni così complesse... bella domanda. Diciamo che Sibylla è un personaggio che mi assomiglia molto (e non solo nel nome)... mi limito a scrivere quello che proverei io in situazioni simili. Per inciso, anche io sono candidata a Miss Pippe Mentali 2008 XXD.

 

ruka88: Bill è scemotto, sisi... ma anche lei non scherza mica. E’ stato Bill o non è stato Bill a spifferare tutto a Tom? Mistero...

 

_Glossy_: ti sei innamorata della mia fanfiction??? MA QUALE ONORE!!! Ti serve uno psichiatra? Non ti consiglio Sibylla... troppo rischioso XD. Una cosa che non c’entra con la fanfiction: ho letto nelle tue informazioni personali delle frasi che mi hanno colpito molto. Sai? Anche io sto cominciando ad “odiarli”. Stanno facendo di tutto (loro o i loro manager... tu contro chi punteresti il dito?) per farli diventare un prodotto confezionato per ragazzine isteriche. Ok, è divertente avere due o tre gadget... MA LE MUTANDE NO, PER CORTESIA! Ti ammiro e sono lieta che qualcuno oltre me se ne sia reso conto.

 

Principessa89: il capitolo eccolo quì, ma non è bello come il precedente. Puoi perdonarmi?

 

GaaRa92: Giàgià, la Diva è decisamente lunatica. Sibylla ha superato la notte... ma il vendicatore è sempre in agguato dietro l’angolo (flashata di Tom in impermeabile e cappello da investigatore-sicario e pistola in mano acquattato dietro l’angolo di un vicoletto buio... XXXXXD).

 

Susisango: Bill ha decisamente grossi problemi... per usare un eufemismo è teso come una corda di violino, scatta al minimo sgarro di quella poraccia di Sibylla.

 

Rouge17: ti ringrazio per i complimenti, sono lieta che tu abbia apprezzato “l’inversione di ruoli” davanti allo specchio. Se vuoi la mia opinione io Bill ce lo vedo magnificamente, in veste di psicologo: mi pare proprio il tipo...

 

SoRrOw PoEtEsS: ti ringrazio!!! Davvero ti piace il nome Sibylla? Ti ho riattaccato il Phantom? Tanto di guadagnato, quel film e quel libro sono stupendi. Mi perdoni per il capitolo schifido?

 

I LoVe BiLl: Niente può spiegare perchè Bill sia così dannatamente bello... non mi sono nemmeno cimentata nell’impresa. PS FUR IMMER!

 

hEiLiG fUr ImMeR: professionalità? E che significa? Tom a Sibylla non farà niente... per ora. Ma se lei fa davvero questa famosa telefonata?

 

MARINA KAULITZ: grazie, danke, thank you, merci... in tutte le lingue del mondo, GRAZIE!

 

SiSi: Sibylla... labirinto... Non puoi mettermi queste due parole attaccate! Considerando che Sibylla è il mio nome e che ho una fissa immane con Labyrinth e David Bowie e che spasimo per Jareth, Re dei Goblin, così mi fai venire i colpi XD. Lietissima che la storia ti piaccia!

 

Shiro Neko: che bello ricevere una tua recensione! “Anorexia” è una delle mie fanfiction preferite e per me ricevere complimente dalla sua autrice è una grande soddisfazione. Baci!

 

Colinde: grazie per i complimenti! Bill è dolcissimo, si... mi chiedi perchè non faccio si che lei resti finalmente con lui, invece di fuggire sempre: la verità è che Sibylla ha una paura dannata dell’amore. Diciamo pure che è terrorizzata dall’idea di innamorarsi (merito dell’esperienza della sorella). Le piace lasciarsi andare con Bill, ma subito dopo si pente... è moooolto confusa, mooolto indecisa. E’ già tanto che abbia finalmente ammesso di amarlo... ma è troppo tardi! O no?

 

SusserCinderella: già, lei lo ama. Finalmente ce l’ha fatta ad ammetterlo a se stessa. Lo ama nonostante tutto, per adesso... sarà sempre così? Baci!

 

Helena89: quanto sono brava a scrivere? Me la cavo, non sarò Thomas Mann (my beloved!), ma faccio tanto allenamento... Togliere la maschera a Bill? Ma sei davvero sicura di voler sapere cosa si nasconde dietro la sua maschera? Grazie per i complimenti!

 

 

Che dire? Vi lascio con il capitolo più scheißosso (XD) della fanfiction... ma per farmi perdonare vi avverto che il prossimo sarà una BOMBA!

 

CIAO!

 

 

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Capitolo 15
*** Il vaso di Pandora ***


 

 

 

Cap. 15: Il vaso di Pandora

 

Sibylla aveva un déjà vu.

 

Scendeva dalla sua macchina con fare circospetto e occhiali da sole, si sedeva ad uno dei tavolini davanti al bar sotto lo studio e attendeva.

 

Giocherellava nervosamente con una ciocca dei suoi capelli, arrotolandosela ripetutamente intorno al dito.

 

Si toglieva gli occhiali scuri, per controllare meglio la strada, e se li rimetteva con gesti veloci e ansiosi, come se temesse di essere riconosciuta da un passante.

 

Accavallava e scavallava le gambe, incapace di stare ferma.

 

Era tesa come una corda di violino: le persone che stava aspettando non accennavano ad arrivare.

 

E i dubbi continuavano ad assalirla. Poteva davvero fare quello che stava per fare?

 

Ci aveva pensato a lungo. L’idea le era venuta il giorno prima, l’aveva tormentata per tutte le ore diurne... solo in serata si era veramente decisa. Aveva trovato i loro numeri di telefono sull’elenco (una fortuna assolutamente inaspettata), li aveva chiamati e aveva fissato l’appuntamento per la mattina seguente.

 

Mancava poco, non poteva tirarsi indietro adesso... l’idea di lucrare sulla pelle di Bill le ispirava un gran disgusto, ma oramai non poteva più tornare indietro. Aveva decisamente oltrepassato il punto di non ritorno.

 

Si guardò attorno.

 

Perchè non arrivano?

 

Aveva bisogno di loro... aveva bisogno di complici. Non poteva materialmente farcela da sola.

 

E poi, se non arrivavano, temeva di perdere coraggio e di rinunciare.

 

Tamburellò nervosamente con le dita sul piano del tavolino.

 

-Mer-daaa- mormorò, in preda all’ansia. -Merda, merda, mer-daaa-

 

Si voltò, spaventata dal rombo forte e improvviso di un motore. Vide arrivare una macchina molto grande e molto bella, di un nero lucido... lei non era esperta, ma certamente doveva trattarsi di un’auto di lusso.

 

La macchina parcheggiò, il suo conducente e il suo passeggero smontarono: Sibylla tirò un sospiro di sollievo.

 

I due si guardarono intorno per qualche attimo, la videro e si diressero verso di lei: la sicurezza del loro passo fece inspiegabilmente svanire tutta quella della ragazza.

 

Ma era davvero troppo tardi per tornare indietro.

 

I due ragazzi si sedettero al tavolino e le strinsero a turno la mano.

 

-Fräulein Darenbaum-

 

Dottoressa! Dottoressa, dannazione!”

 

-Herr Listing... Herr Schäfer...-

 

Sibylla percepì gli sguardi dei due valutarla... ma non era forse quello che stava facendo anche lei?

 

Il ragazzo dai capelli scuri sembrava curioso e perplesso, il biondo diffidente. Entrambi indossavano occhiali da sole. Entrambi la studiavano in silenzio.

 

Silenzio che si fece così pesante da costringere Sibylla a romperlo, nonostante la sensazioni di star sbagliando tutto.

 

-Vi starete chiedendo perchè vi ho dato appuntamento...-

 

     

 

Sibylla finì di esporre la sua idea, e guardò i suoi due compagni di tavolino, cercando di decifrare le loro espressione.

 

Gustav fu il primo a prendere la parola. La sua faccia era scura come una tempesta estiva.

 

-Fräulein, quello che ci chiede di fare è inaccettabile... una costrizione assurda... è escluso!-

 

-Herr Schäfer...-

 

-No, Fräulein Darenbaum, Gustav ha ragione- intervenne Georg. -Non possiamo farlo-

 

-Ma...-

 

-Nessun ma. E poi, noi non abbiamo bisogno di denaro-

 

-Io si, però- disse Sibylla con un accento disperato.

 

-Mi dispiace, ma questi sono problemi suoi. Non potremmo mai fare una cosa del genere senza il consenso di Bill-

 

-Ma lo aiuterebbe...-

 

-Lo aiuterebbe? Lo aiuterebbe essere messo in trappola-

 

Georg aveva un’espressione scandalizzata.

 

-Credetemi... quello che lui vuole in realtà, secondo il mio parere professionale...-

 

-Professionale?-

 

Sibylla rispose con un’occhiataccia al tono sarcastico del biondino.

 

-Secondo il mio parere professionale, lui vuole... come dire... tornare sotto le luci dei riflettori-

 

-E crede di poter rischiare basandosi su un suo mero parere?-

 

Sibylla guardò freddamente il ragazzo dai capelli castani.

 

-Io sono un medico, e quindi...-

 

-E quindi niente! Fräulein, sia realistica. Lei ha violato il segreto professionale... ha scoperto volontariamente l’identità di un suo paziente... si è comportata in maniera inaccettabile sotto tutti i punti di vista... che considerazione pensa di poter ancora ottenere del suo parere di medico?-

 

-Herr Listing...- cominciò la ragazza con aria esasperata.

 

Ma Gustav intervenne e fu molto diretto.

 

-Perchè dovremmo fidarci di lei?-

 

Sibylla tacque un istante. Doveva pesare bene la sua risposta. Percepiva in qualche modo che l’esito di quella conversazione si basava sulle parole che avrebbe detto pochi secondi dopo.

 

-Perchè sono brava. Non sarò... professionale, ma sono brava-

 

I due ragazzi non risposero subito. Sibylla incrociò spasmodicamente le dita.

 

-Sarebbe un forte shock per Bill, ne è consapevole?- disse Georg, parlando con cautela.

 

-Si... ma... non vorrei usare queste parole... ma non ne morirà certo, no?-

 

I due si scambiarono un’occhiata che Sibylla non poté interpretare per via delle lenti scure.

 

Poi, finalmente Gustav annuì.

 

La ragazza esultò: l’affare era andato in porto.

 

-Io sto per andare da lui... ho già predisposto tutto... voi dovete solo tenervi pronti- spiegò la giovane, parlando in tono concitato.

 

-Siamo d’accordo, allora-

 

Sibylla si alzò, subito imitata galantemente dai due ragazzi.

 

Si strinsero la mano.

 

-A dopo, allora-

 

-A dopo. Buona fortuna, Fräulein-

 

-Ne avrò bisogno. Arrivederci-

 

-Arrivederci-

 

     

 

Sibylla stava per fare qualcosa al cui confronto ogni cosa che aveva fatto in precedenza (scoprire l’identità di Bill, piombare a casa sua armata di dvd, litigare con suo fratello...) appariva estremamente professionale.

 

Ma era qualcosa che avrebbe risolto ogni suo problema finanziario. Doveva pensare solo a quello.

 

Diamonds are a girl’s best friend” si rammentò per farsi forza.

 

Soldi... doveva pensare solo ai soldi.

 

Come se fosse facile...

 

Parcheggiò la macchina davanti al cancello della casa di Bill.

 

Fissò intensamente il citofono e la webcam, le due piccole ma sofisticate diavolerie tecnologiche che le sbarravano l’accesso alla villa.

 

Primo ostacolo” si disse.

 

Si fece coraggio e suonò.

 

-Si?-

 

-Dottoressa Darenbaum- si annunciò.

 

Pregò intensamente che Bill non avesse ancora avvertito la servitù della sua decisione di interrompere le sedute con lei.

 

Fu esaudita.

 

Il cancello ruotò lentamente su se stesso: quel cigolio le era ormai familiare.

 

Cominciò a risalire il viale. I pini che si intrecciavano sopra la sua testa creavano giochi di luce e di ombra che conferivano al sentiero un aspetto quasi irreale.

 

Le venne la pazza idea di aver preso un sentiero magico, diverso da quello che era solita percorrere. Lo scacciò dalla sua mente, infastidita.

 

Una chiazza di luminosità che filtrava dalla coltre di alberi bagnò d’oro il volto della ragazza... il calore le raggiunse il corpo ma non bastò a scaldarle il cuore.

 

Ormai aveva deciso. Non si tornava indietro.

 

Era pervasa da una strana calma, da uno strano senso di fatalità. Eppure il sentiero non le era mai parso così lungo.

 

Sospirò di sollievo, quando finalmente la villa le apparve nella luce accecante del sole.

 

Salì i gradini di pietra, fu scortata dentro da una delle cameriere.

 

Era tutto così familiare... tutto così simile alla normalità...

 

Eppure, quando entrò nella biblioteca, capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava.

 

     

 

La grande stanza dalle belle librerie di legno che coprivano tre pareti su quattro era sempre la stessa... ma, a circa una decina di metri da lei, Bill era accasciato sulla poltrona davanti alla grande vetrata.

 

Aveva la testa poggiata pesantemente allo schienale... un braccio dalla mano sottile, carica di anelli, pendeva inerte dal bracciolo...

 

Sibylla attese che lui si alzasse per riceverla, ma non accadde niente.

 

Sibylla impallidì, quando lei rese conto che Bill era troppo immobile anche per una persona immersa in silenziosa e contemplativa meditazione.

 

Un senso di terrore viscido e freddo le strisciò lentamente nel cuore.

 

 -Oddio...- mormorò. -Oh, no...-

 

Fece per avvicinarsi, ma si fermò. La paura, sempre crescente, la paralizzò per qualche istante.

 

Cercò di calmarsi, ma l’intero suo corpo sussultava bruscamente, in preda a respiri irregolari che le squarciavano i polmoni.

 

La sua mente correva a briglie sciolte. Temeva il peggio...

 

Si costrinse ad inspirare profondamente.

 

Va avanti! Va avanti!” si ordinò.

 

 Tremava come una foglia, era bianca come una morta, ma avanzò, barcollando sul pavimento di parquet scuro coperto da tappeti persiani tessuti nelle sfumature del rosso... rosso sangue... rosso morte.

 

Si portò vicina, vicinissima alla poltrona.

 

E guardò.

 

     

 

Si portò una mano al petto, si coprì il battito impazzito del cuore.

 

E sospirò di sollievo.

 

Bill dormiva.

 

La pesantezza con la quale si era appoggiato allo schienale della poltrona, quella assoluta immobilità che Sibylla aveva preso per fatale, erano causate semplicemente da un sonno profondo.

 

Il petto del ragazzo si alzava e si abbassava lentamente: la sua respirazione era profonda e regolare.

 

Aveva gli occhi chiusi, e le labbra semiaperte, distese in un piccolo sorriso: stava sognando.

 

Sibylla si sentì invadere il cuore da un gran senso di tenerezza.

 

Le ginocchia le cedettero, e lei si sedette sul bracciolo dove Bill non aveva posato il braccio. Restò a guardarlo. Era così bello... così vulnerabile... Sorrise tristemente, ripensando a quello che doveva fare.

 

Con mano leggera gli sfiorò i capelli corvini che gli erano piovuti sul volto. Glieli scostò con una carezza... sussultò, quando il candore immacolato della maschera le sfiorò le dita.

 

La maschera... gli occhi di Bill serrati dal sonno...

 

Sibylla perse ogni traccia di colore dal viso e smise di respirare.

 

Improvvisamente capì quel senso di fatalità che aveva provato risalendo il sentiero... tutto doveva compiersi lì, in quell'istante.

 

Non poteva più resistere. La tentazione era troppa. Avrebbe aperto finalmente il suo vaso di Pandora.

 

Non poteva essere altrimenti.

 

La sua mente non percepiva più niente... le sensazioni le arrivavano al cervello ovattate e sfocate, come in un sogno.

 

Ma le sue dita erano sveglie e agili, e scivolarono dai capelli neri di Bill alla consistenza fredda della maschera.

 

Risalirono la linea del mento, le guance, la fronte.

 

Si insinuarono leggermente sotto lo spessore della maschera.

 

Afferrarono.

 

Tirarono.

 

Tolsero.

 

Sibylla vide.

 

In quell’istante, gli occhi di Bill si spalancarono.

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti!

Che ne dite di questo capitolo? Mi aspetto molte recensioni, prima di tutto perchè sono stata bravissima e ho postato subito, poi perchè... diciamo che è un capitolo corto ma d’effetto!

Lo ha fatto! Lo ha fatto! Gli ha tolto la maschera! E lui? Che farà? Hihi, lo scoprirete nella prossima puntata!

E poi... ha deciso di tradirlo!............. O no? Ai posteri l’ardua sentenza.

Ora, mi aspetto si molte recensioni, ma anche molto negative: “Georg e Gustav non sono così”, “loro non farebbero mai una cosa del genere”, “devi mettere OOC, o AU”.

Solo una cosa: non puntatemi il dito contro. Non subito, almeno. Please.

Parafrasando il mio adorato Labyrinth: “tutto non è sempre come sembra, in questa fanfiction!”.

Attendete e vedrete.

Che altro vi posso dire? Ah si, sono stata stronzissima a farlo finire in quel punto... ma vi devo tenere sulla corda, cosa credete? XD

Grazie a chi ha recensito (10 persone), e a chi ha messo in preferiti (69)... ovviamente anche a chi ha solo letto. Commentino, la prossima volta, eh?

CIAO!

 

 

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Capitolo 16
*** Beloved traitor ***


 

 

Cap. 16: Beloved traitor

 

Bill era balzato in piedi e la fissava: il suo volto non aveva niente di umano, nel bene e nel male.

 

Era la somma di tutti i suoi incubi e di tutti i suoi sogni.

 

Inferno e paradiso uniti nelle stesse sembianze.

 

Sibylla indietreggiò involontariamente.

 

Non aveva mai visto niente di simile: era un prodigio, qualcosa di così stupendo e di così orrendo al tempo stesso.

 

Una creatura orribile... ma bella da spezzare il cuore. Una visione non di questo mondo.

 

La ragazza stava fissando il volto di un angelo storpiato dalle ferite più atroci che si potevano immaginare. E distorto da un odio bestiale.

 

Era il suo sguardo a spaventarla... non certo gli sfregi, le cicatrici, rimarginate ma mai del tutto guarite, che violavano quel volto un tempo così perfetto (e il cui ricordo era così vicino!).

 

Bill la guardava con occhi saturi di puro odio.

 

Sibylla era terrorizzata. Sbatteva le palpebre freneticamente, tremava.

 

-Non mi guardare così- esalò, atterrita. -Ti prego, non mi guardare!-

 

-Ti guardo, invece- la sua voce era un basso ringhio. -E tu guarda quello che hai voluto vedere!-

 

-No...- mormorò la ragazza, improvvisamente priva di forze.

 

-Non credevi a quanto ti dicevo, Sibylla? Ora lo puoi vedere. Non sono forse un mostro?-

 

-No...- sussurrò lei, in tono implorante.

 

-No? NO?-

 

Con pochi, grandi passi Bill colmò la distanza che li separava. Lei urlò, e cercò di fuggire, verso la porta, verso la salvezza da quegli occhi pazzi di furia.

 

Ma il giovane fu più veloce, e la afferrò per le braccia, affondando le dita nella carne. La scosse con violenza.

 

-GUARDA! GUARDAMI!-

 

Sibylla serrò spasmodicamente gli occhi. Non voleva più incontrare quello sguardo... quello sguardo che era il segno tangibile di quanto lui la odiasse... di come lo avesse perso.

 

-GUARDAMI!-

 

-LASCIAMI!- gridò la ragazza.

 

Dagli occhi chiusi sgorgarono lacrime ardenti. Bill si ritrasse, lasciò la presa come se la stoffa della sua camicetta scottasse.

 

Sibylla si accasciò lentamente sul pavimento, e iniziò a singhiozzare, il volto nascosto dalla massa scomposta dei capelli spioventi.

 

Il giovane rimase in piedi... la fissava senza vederla.

 

Dovette passare qualche minuto, prima che la ragazza riuscisse a trovare la forza di rialzarsi.

 

Barcollò come ubriaca, ma le sue dita riuscirono comunque a trovare la maniglia della porta e ad abbassarla. Le sue gambe riuscirono lo stesso a trovare la via di fuga.

 

     

Se n’era andata.

 

Se n’era andata per sempre.

 

Non sarebbe mai più tornata.

 

Era rimasto solo... solo, un’altra volta. Lei non sarebbe mai più tornata da lui... mai più...

 

Era tutto finito. Lei... lei lo aveva guardato e aveva tremato davanti al suo viso. E non sarebbe mai tornata da lui.

 

Bill cadde in ginocchio. Il suo corpo sottile sussultava come in preda a una crisi epilettica.

 

Emise un urlo rauco e rabbioso che non sembrava nemmeno quello di un essere umano

 

Era tutta colpa della ragazza.

 

Si, era lei che era colpevole... era lei che doveva pagare.

 

-SIBYLLA!-

 

Urlò il suo nome con furia incontrollata.

 

Balzò in piedi, si precipitò alla porta, l’aprì bruscamente, rischiando quasi di scardinarla.

 

Irruppe nel corridoio, travolgendo una delle cameriere che era venuta a controllare il motivo di tanto rumore in biblioteca.

 

Cominciò a correre.

 

Gridava... il nome della ragazza si confondeva tra la rabbia delle sue urla animalesche.

 

-SIBYLLA!-

 

La inseguiva, per farle non sapeva nemmeno bene che cosa. Sapeva solo che doveva pagare, doveva essere punita... l’aveva guardato ed era fuggita via... miserabile... vile... era solo colpa sua... lo aveva abbandonato...

 

Corse fino alla portone, lo spalancò. Scese a precipizio i gradini di pietra della veranda, attraversò il prato illuminato dal sole e imboccò il viale alberato.

 

Intravide in fondo al corridoio creato dagli alberi, un’ombra muoversi veloce, uno svolazzo di capelli ramati scintillare sotto una pozza di luce filtrante dalle fronde.

 

-SIBYLLA!- urlò il suo nome per la terza volta, ma lei non si voltò.

 

Bill accellerò la corsa, ma la ragazza era già scomparsa.

 

Tra pochi istanti non sarebbe nemmeno bastata la rabbia a spingere il giovane ad andare avanti: le fitte di dolore al fianco gli mozzavano il respiro, aveva la vista offuscata, non sentiva altro che il suono dei suoi passi di corsa e il battito del cuore pulsargli nelle orecchi... si sentiva terribilmente stanco e disperato.

 

Ma continuò a correre, spinto dal ricordo di quella figura veloce fatta di ombra, con i capelli splendenti...

 

Quel ricordo era così vivo e prepotente, che Bill non sentì nemmeno il grido della ragazza.

 

Giunse correndo fino al cancello, lo trovò ancora semiaperto: stava ruotando sui cardini per richiudersi dopo aver lasciato passare la ragazza.

 

Bill uscì fuori, velocemente.

 

In quel momento si ricordò di non portare la maschera.

 

Milioni di flash lo accecarono.

 

     

 

-Herr Kaulitz!-

 

-Bill, una dichiarazione!-

 

-Herr Kaulitz, guardi da questa parte!-

 

-Bill!-

 

-Dov’è suo fratello?-

 

-Herr Kaulitz!-

 

-Chi era quella ragazza?-

 

-I Tokio Hotel non si riuniranno mai più?-

 

-Herr Kaulitz!-

 

Bill indietreggiò, barcollando.

 

Non vedeva più niente, le luci dei flash dei fotografi lo avevano abbagliato, i giornalisti gli premevano addosso, spingevano verso di lui microfoni e telecamere, gridavano per ottenere la sua attenzione, spintonavano per raggiungere la posizione giusta per una foto milionaria.

 

Trovò la forza di urlare solo molto dopo, una volta che i corpi invadenti cominciarono a premergli addsso talmente tanto da togliergli il respiro.

 

Bill cercò di spingerli via, ma erano troppi.

 

Urlò ancora, in cerca di aiuto, ma su tutti i volti, maschili e femminili, giovani e vecchi, era dipinta la stessa espressione bramosa, avida di lui.

 

Lo avrebbero ucciso, lo avrebbero fatto a pezzi... un pezzo di Bill per ognuno di loro e tutti per le pagine dei giornali e gli schermi delle televisioni.

 

Cercò di coprirsi il viso con le mani. Gliele strapparono dal volto a viva forza.

 

Si volse, cercando a tentoni l’apertura del cancello, ma questa si era già richiusa.

 

Perse le forze. Si accasciò in terra, si ranicchiò, cingendosi il corpo con le braccia, per proteggersi dalla calca dei giornalisti, che fotografavano e filmavano ogni cosa, e premevano, premevano così crudelmente contro il suo corpo...

 

-Aiuto...- mormorò con un filo di voce. -Sibylla, aiutami...-

 

Poi chiuse gli occhi (i corpi premevano sempre di più, lo avrebbero calpestato, sarebbe morto sotto di loro) e iniziò a piangere silenziosamente.

 

     

 

-BILL!-

 

Tra le grida e lo strepito riconobbe una voce familiare.

 

-Georg...- sussurrò fievolmente, rianimato da una speranza incredula.

 

Ma non udì più la voce dell’amico. Altre lacrime disperate sgorgarono dai suoi occhi... se l’era solo immaginato.... i flash scattarono immortalando il suo pianto.

 

-BILL!-

 

Un’altra voce, ma nota anche quella.

 

-Gustav...- esalò il ragazzo. -GUSTAV! GEORG!-

 

-BILL!- le due voci familiari si unirono in un solo grido.

 

-SONO QUI! AIUTO!- urlò con tutte le sue forze.

 

Bill sentì degli strilli impauriti e, con sua immensa gioia, vide lentamente aprirsi un varco tra la folla.

 

Georg Listing apparve, i capelli solitamente perfetti scompigliati per lo scontro con i giornalisti, il labbro sanguinante.

 

-Bill!- esclamò, vedendo l’amico accasciato a terra e piangente.

 

Riuscì ad arrivare a lui, lo afferrò e lo rimise in piedi.

 

-Andiamo via da qui-

 

Bill si lasciò sollevare come una bambola inerte e priva di forze. Georg prese tra le braccia, senza sforzo apparente, il corpo sottile del ragazzo. Bill intravide la figura robusta di Gustav che lottava per tenere aperto il varco tra la folla dei giornalisti e dei fotografi... aveva un occhio nero.

 

Il ragazzo chiuse gli occhi.

 

Si sentì trasportare e poi adagiare da qualche parte. Riconobbe il rumore di una portiera che si chiudeva. Le urla dei giornalisti furono smorzate drasticamente.

 

-Metti in moto-

 

Il tono di Georg era concitato, la sua voce leggermente ansimante.

 

Gustav obbedì e la macchina partì con un rombo dei motori, lasciandosi alle spalle la villa.

 

Passò qualche minuto prima che una delle tre persone presenti nell’abitacolo parlasse. Georg si voltò dal sedile del passeggero, e cercò con lo sguardo l’amico.

 

-Bill? Tutto bene?- la sua voce era gentile e preoccupata.

 

Bill non rispose. Si era ranicchiato sul sedile posteriore, aveva nascosto il suo povero viso sfigurato tra le mani. Le sue spalle tremavano, scosse dai singhiozzi.

 

Per il resto non dava segni di vita.

 

Georg si odiò per l’imbarazzo che provava per il pianto di Bill e per l’idea di quello che poteva essere il suo viso, ma distolse lo sguardo.

 

-Andiamo a casa, Gustav- disse con voce malferma.

 

L’altro non rispose ma accellerò.

 

Bill non sentiva niente: era imprigionato nella sua mente. I flash scattavano ancora davanti ai suoi occhi... la calca dei giornalisti gli toglieva ancora il respiro... un vortice immaginario di colori e di urla lo stordivano... le immagini si susseguivano davanti ai suoi occhi, prive di un filo logico.

 

L’unico pensiero sensato in quel delirio psichedelico e terrorizzante era un volto da Madonna... con quegli occhi così belli... le ciglia lunghe e tremanti...

 

-Sibylla...- sussurrò come un bambino che chiama la madre.

 

Sibylla era la donna che amava.

 

Sibylla era colei che lo aveva tradito. Era stata lei ad organizzare tutto... non poteva essere altrimenti.

 

Era venuta per togliergli la maschera... lo aveva indotto a seguirla.

 

Lo aveva messo in trappola. Lo aveva venduto.

 

E non lo amava.

 

Del resto, chi avrebbe mai potuto amare un mostro come lui?

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, eccomi con un nuovo capitolo. Che ne pensate?

Sibylla lo ha tradito... lo ha venduto per denaro... bastarda.

E qual’era il ruolo di Georg e Gustav nell’accordo stretto con lei? Ai posteri l’ardua eccetera eccetera.

A proposito, mi spiace dare un’immagine così negativa dei giornalisti (o meglio dei “paparazzi”)... esigenze di trama!

And now... RINGRAZIAMENTI!

 

_Glossy_: ti ho fatto prendere un colpo, eh? Hihi, me sadicissima... che ne dici di questo capitolo?

 

SusserCinderella: si, questa è davvero la str...ata più str...ata tra quelle che Sibylla ha fatto fino ad ora... e si che ne ha fatte parecchie!

 

Princess89: il compito di G&G? Intanto hanno salvato Bill dalle grinfie dei giornalisti (e non è poco)... ma per sapere il loro vero ruolo in questa storia dovrai ancora aspettare!

 

Pocia: nuova lettrice, che bello!

 

Rouge17: eccolo, il capitolo... ora non mi devi più venire a cercare XD.

 

Fee17: Sibylla ama Bill... ma il suo ruolo in questa storia non è chiaro... mistero.

 

SiSi: eccola, la reazione di Bill... fa paura, no? Hai recensito all’una di notte... oddio.

 

Lauchan: oddio, hai recensito alle quattro della notte o è il computer che mette un’ora a caso? A proposito, “Fräulein” vuol dire “signorina” in tedesco... teoricamente Sibylla dovrebbe essere chiamata “Dottoressa” perchè è laureata, ma per la sua giovane età e per le stupidaggini che fa tutti la chiamano “signorina”... un pò in segno di spregio al suo lavoro. Una bella frustrazione, per lei.

 

hEiLig FuR ImMeR: Gus cattivo? No, normalmente nemmeno io ce lo vedo... ma chissà che cosa tirerà fuori la mia menta bacate nei prossimi capitoli.

 

ruka88: Sono d’accordo!

 

susisango: ho aggiornato presto! Temo di aver fatto prendere un infarto un pò a tutti, comunque.

 

Helena89: tolta la maschera, come desideravi! Soddisfatta dalla mia descrizione? Può sembrare azzardata (come può una persona essere orrenda e bella al tempo stesso?)... ma un Bill sfigurato per me è proprio così!

 

SoRrOw PoEtEsS: Sibylla: il nome è corretto così. Si, ha la lingua lunga un chilometro, ma ci sa fare.

 

GaaRa92: doppia recensione, danke schon!

 

 

CIAO A TUTTI!

 

 

 

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Capitolo 17
*** Delitto e castigo ***


 

 

 

Cap. 17: Delitto e castigo

 

Una settimana dopo, le foto scattate davanti al cancello della villa furoreggiavano.

 

Le immagini del viso deturpato dell’ex cantante degli ex Tokio Hotel erano dappertutto.

 

Dalla rivista tedesca, alla televisione italiana, alla radio israeliana, al web americano: non si faceva altro che parlare delle foto che avevano fatto il giro del mondo in un arco di tempo brevissimo persino per i normali standard della comunicazione.

 

Eminenti chirurghi plastici vennero invitati per le dirette dei talk-show: con lo sfondo del viso di Bill proiettato sui maxischermi degli studi televisivi, discussero animatamente dei suoi sfregi.

 

Psicologi e analisti trattarono in diretta dello schok che doveva aver causato tale esperienza alla mente del giovane.

 

Politici, curatori di immagine e gente di showbusiness in generale analizzarono la possibilità che lo scandalo delle foto fosse tutta una trovata pubblicitaria archittettata dalla Universal per rilanciare il gruppo.

 

Gruppi di giornalisti piantarono una sorta di accampamento fuori dalla villa di Bill.

 

Le foto scattate alla ragazza bruna che fuggiva dalla villa furono studiate quasi come quelle del vocalist: il suo viso fu confrontato con quello di attrici e cantanti, ex detenute schedate negli archivi della polizia, albi scolastici e professionali.

 

Ovviamente non fu trovato nessun riscontro, ma non ci volle molto prima che trapelasse qualche notizia anche su di lei: in un paio di giorni il mondo intero seppe che era una psicologa, che si chiamava Sibylla... e la Germania seppe che lo studio in cui lavorava era nientemeno che lo Studio ùMedico-Psichiatrico Stofel di Hannover, responsabile del quale era la Dottoressa Krista Stofel, famosa luminare della psichatria contemporanea.

 

Non era chiaro invece il ruolo che aveva svolto nella vicenda... ma il pubblico se ne fece comunque un’idea abbastanza precisa.

 

Parallelamente al subbuglio nel quale le foto di Bill avevano gettato il mondo, la tempesta nel cuore di Tom Kaulitz non accennava a placarsi.

 

     

 

Il giovane aveva aspettato per tre giorni consecutivi sotto lo studio dove Sibylla lavorava: la ragazza non si era mai fatta vedere, in compenso aveva rischiato più volte di essere notato dai giornalisti accampati là sotto.

 

Aveva allora cercato il suo nome sull’elenco telefonico: aveva scoperto il suo indirizzo, e in quel momento stava guidando verso la zona periferica di Hannover dove la ragazza aveva il suo monolocale.

 

La rabbia che provava era indescrivibile.

 

Se solo l’avesse avuta davanti a lui l’avrebbe uccisa... oh, no, anzi. Non l’avrebbe affatto uccisa: sarebbe stata troppo pietosa, una morte veloce. No, lui intendeva farla soffrire: annientarle ogni possibilità di carriera, distuggere la sua vita e quella dei suoi cari, farla pentire di essere nata e di aver incrociato il cammino di Bill.

 

Ma soprattutto voleva rovinarle la faccia a ceffoni... e voleva che lei gli chiedesse “perchè” tra le urla. E allora, mentre lei piangeva di dolore, lui le avrebbe mormorato all’orecchio il nome di suo fratello.

 

     

 

Il suono del campanello riscosse Sibylla dallo stato di inerzia in cui era sprofondata: la ragazza indossava una t-shirt sgualcita e troppo piccola e un paio di pantaloni della tuta viola, ed era sdraiata sul divano davanti a un vecchio telefilm americano e sotto un plaid.

 

Aveva i capelli scarmigliati, e delle occhiaie spaventose: i suoi occhi portavano il segno delle lacrime versate nei giorni precedenti.

 

Si alzò, sbadigliando: il gaio chiacchiericcio insulso proveniente dalla televisione le dava i nervi, ma non aveva voglia di andare a spegnerla.

 

Si diresse con un passo leggermente incerto verso l’ingresso, barcollando a piedi nudi sulle piastrelle fredde del pavimento.

 

-Sono impresentabile, chiunque tu sia... spero sia una questione di vita o di morte!- annunciò alla persona sconosciuta che aspettava dietro la porta chiusa.

 

-E’ una questione di vita o di morte- assicurò una voce maschile dal timbro profondo.

 

Sibylla si strinse nelle spalle, e non indagò oltre: le faceva male la testa, la notte prima si era addormentata sullo stesso divano dal quale si era appena alzata e non aveva voglia di continuare a parlare con una porta chiusa.

 

Così fece compiere due giri al pomello con un rumore secco e vagamente minaccioso e aprì la porta.

 

Un pugno fulmineo la colpì in pieno viso.

 

     

 

Sibylla strillò di dolore e si appoggiò allo stipite della porta per non cadere. La soprese il calore di un rivolo di sangue che dal sopracciglio dolorante le colò lentamente lungo la tempia.

 

Alzò lo sguardo e incontrò quello fiammeggiante di un ragazzo alto sulla ventina... un viso bello e troppo familiare.

 

-Oddio...- esalò la ragazza, indietreggiando.

 

Allo schok per il colpo ricevuto si sostituì la paura.

 

-Sorpresa- sibilò Tom, con un sorriso cattivo.

 

-Oddio... VATTENE!- gridò lei, in preda al panico più totale. La testa le pulsava, le gambe le sembravano sul punto di cedere.

 

-Così presto?-

 

-AIUTO!- urlò Sibylla, terrorizzata. -QUALCUNO MI AIUTI!-

 

La voce di Tom Kaulitz, stranamente, era calmissima.

 

-Non verrà nessuno. Lo sai che non verrà nessuno-

 

Sibylla sbarrò gli occhi, quando lui si chiuse la porta alle spalle e fece scattare la serratura. La ragazza fece ancora qualche precipitoso passo indietro, poi corse verso la porta di camera sua. Tentò di entrare per chiudercisi dentro, ma il ragazzo fu più veloce.

 

La raggiunse in pochi, grandi passi e la strappò a forza dalla porta, spingendola brutalmente.

 

Sibylla barcollò: la forza dell’urto la mandò con violenza contro la parete davanti alla porta. Battè il capo e scivolò lentamente a terra, stordita dal colpo: il bianco del muro fu rigato da una striscia vermiglia del suo sangue.

 

Improvvisamente il dolore le esplose nella testa, fortissimo: la ragazza urlò.

 

Tom torreggiava in piedi su di lei: la guardava, e nei suoi occhi non c’era un briciolo di pietà. Sibylla tentò di rotolare via, ma lui la raggiunse e la tempestò di calci violenti.

 

La ragazza non faceva altro che urlare, il dolore era insopportabile... il giovane si chinò e l’afferrò per i polsi, tirandola bruscamente in piedi: con una mano la tenne saldamente ferma contro il muro, mentre con l’altra la schiaffeggiò ripetutamente.

 

Il palmo della grande mano si abbattè più volte rabbiosamente sul viso della ragazza, mentre lei gridava e tentava di liberarsi: ma lui era troppo forte.

 

Le venne in mente l’idea disperata di lacerarsi la gola a forza di urla... qualcuno l’avrebbe dovuta sentire... qualcuno l’avrebbe aiutata...

 

Cominciò a urlare come una pazza, ma Tom intuì il suo piano e le tappò la bocca con una mano. Sibylla ci affondò i denti. Il giovane la ritirò, urlando di rabbia e di dolore, ma la ragazza fece in tempo a correre verso il bagno e a entrarci.

 

Si chiuse la porta alle spalle e girò spasmodicamente la chiave nella serratura. Poi si lasciò cadere sul pavimento, si strinse le ginocchia al petto e iniziò a piangere.

 

Ma non era ancora finita...

 

La porta tremò.

 

Sibylla balzò in piedi, ritraendosicon un grido terrorizzato. Tom Kaulitz stava sfondando la porta.

 

La ragazza urlò e voltò angosciosamente lo sguardo in giro per il piccolo bagno, cercando qualcosa con cui potersi difendere: afferrò un paio di forbici che luccicavano sull’armadietto sotto il lavabo.

 

Restò a fissare la porta che traballava sotto i colpi del ragazzo.

 

Avrebbe ceduto... non avrebbe resistito che pochi attimi di più... Sibylla non aveva scampo. Lui l’avrebbe uccisa...

 

La porta fu scossa terribilmente, con un rumore orribile: lei sussultò, e alzò davanti al viso la sua unica arma.

 

Il legno cedette, e la porta si sfondò. Sibylla la vide spinta via dai suoi cardini penzolanti. Tom apparve.

 

-STA LONTANO DA ME!- strillò la ragazza istericamente.

 

Tom intercettò con lo sguardo l’arma improvvisata con la quale Sibylla lo minacciava e scoppiò a ridere.

 

-Altrimenti?-

 

-ALTRIMENTI TI BUCO LA PANCIA!-

 

Il ragazzo fece qualche passo verso di lei.

 

-NON TI AVVICINARE O TI AMMAZZO!- gridò Sibylla.

 

Tom la ignorò, e con qualche passo fu vicino a lei e le sussurrò:

 

-Credi sia così facile? Perchè non lo fai davvero?-

 

Un lungo tremito percorse la spina dorsale di Sibylla, mentre Tom la fissava con aria di sfida.

 

La ragazza lasciò cadere le forbici che risuonarono metallicamente contro il pavimento di piastrelle, e si accasciò in terra. Si ranicchiò, proteggendosi il volto con un braccio.

 

-Perchè mi fai questo?- mormorò, sfinita e spaventata.

 

Entrambi sapevano la risposta, ma fu musica per le orecchie di Tom.

 

Il ragazzo la guardò: sanguinava, tremava, aveva i capelli spettinati... sentiva di non aver mai odiato  tanto nessun’altro essere vivente.

 

Si chinò su di lei, sorrise. La sua voce era dolce.

 

-Bill-

 

     

 

Se n’era andato... aveva aperto e richiuso la porta di casa con una delicatezza impensabile, ed era sparito giù per le scale.

 

La ragazza si terse il sangue che le colava dal labbro... si portò una mano tremante alla fronte, sfiorò il livido che si stava formando e sussultò con una smorfia.

 

Si alzò a fatica. Quando si guardò allo specchio il suo viso le apparve come una maschera di dolore.

 

Tirò su con il naso, respirò affanosamente... non poteva mettersi a piangere proprio adesso.

 

Si lavò con precauzione il viso, trasalendo ogni volta che sfiorava con le dita un livido o un taglio. Si diresse verso l’armadio, e si vestì... non più tailleur e tacchi a spillo, ma jeans e maglietta per una dottoressa che non lo era più e che forse non lo era mai stata. Si pettinò i capelli... indossò un basco con la visiera di velluto a coste nero e occhiali da sole dalla montatura larga per nascondere i segni dello scontro con Tom.

 

Prese la borsa, e uscì. Non aveva intenzione di continuare a non fare niente. I sospetti che da una settimana stavano prendendo forma nella sua mente erano più vividi che mai... sul punto di tramutarsi in certezze.

 

Scese le scale e uscì dal palazzo. C’era un’edicola poco lontano: comprò qualche rivista scandalistica, poi si fermò in mezzo al marciapiede.

 

A quel punto c’erano due strade che poteva prendere... due direzioni corrispondenti a due sospetti differenti... doveva decidere... dove andare, da chi andare...

 

Doveva scegliere una via facile... facile ma quasi certamente sbagliata? Oppure una strada dolorosa e diversa, impensabile, eppure così chiara, così giusta?

 

Sibylla chiuse gli occhi. Una singola lacrima le rigò la guancia pallida. Qualcosa nel suo cuore morì.

 

Sapeva dove andare.

 

     

 

-Sibylla-

 

-Angelika-

 

-Non ti aspettavo...-

 

-Posso entrare?-

 

La donna si ritrasse nel vano della porta aperta, per permetterle di entrare. Trasalì quando una manica della maglietta di Sibylla le sfiorò la mano.

 

-Vuoi una tazza di thè?- chiese Angelika, per spezzare il silenzio pieno di tensione.

 

-No, grazie- rispose educatamente la donna più giovane.

 

-Allora un caffè?-

 

-Non voglio niente, grazie-

 

Il silenzio teso ricadde nella stanza. Le due sorelle si fronteggiavano, l’una davanti all’altra, nell’oscurità del salotto: Angelika non si era curata di accendere le luci, solo il fuoco nel caminetto rischiarava la stanza.

 

Non si udiva alcun rumore proveniente dal piano di sopra o dal resto della casa.

 

-Dove sono i ragazzi?- chiese Sibylla.

 

-Sono andati da Mark... li porta a cena fuori...-

 

-Sarà più facile...- mormorò Sibylla, leggermente sollevata.

 

-Sarà più facile fare che cosa?- chiese Angelika con una nota isterica nella voce.

 

Sibylla non rispose, ma fece qualche passo in direzione della sorella, che indietreggiò involontariamente.

 

La ragazza bruna sorrise tristemente.

 

-Hai paura di me, Angelika?-

 

La donna bionda non disse niente, ma trasalì, quando l’altra le gettò ai piedi le riviste. Abbassò lo sguardo, ma lo distolse subito, quando vide l’immagine in copertina.

 

-Perchè non vuoi guardarlo, Angelika? E’ così terribile?-

 

-E’...-

 

-E’ quello che hai fatto-

 

-Io non...-

 

-Abbi almeno il coraggio di guardare in faccia la sofferenza che hai provocato-

 

-Sibyl...-

 

-Non chiamarmi “Sibyl”, per favore. Mi hai usata. Mi hai ingannata... ma tu sei mia sorella. Avrei potuto perdonarti, ti avrei perdonata. Ma non potrò mai dimenticare quello che hai fatto a lui-

 

-Tu... lo avevi detto anche alla tua amica... sarà stata lei-

 

-Johanna? Sono abbastanza sicura che Jo abbia solamente parlato riguardo al fatto che avevo scoperto chi era Bill... probabilmente per invidia del mio stipendio, più alto rispetto al suo, forse per farmi licenziare. Chi può dirlo? La verità è che Johanna non aveva un motivo concreto per fare una cosa del genere... tu si-

 

-Io? Io non avevo nessun motivo-

 

-Menti sapendo di mentire. Mark con i debiti di gioco, Mark che ti chiede una grossa somma di denaro... i soldi a portata di mano, offerti dalla sorella stupida e chiacchierona... come avresti potuto resistere?-

 

Non appena Sibylla pronunciò il nome del suo ex marito, la donna sembrò improvvisamente molto provata e priva di difese.

 

-Non hai prove...- mormorò in tono implorante.

 

-Certo, non ho prove che sia andata veramente così. Ma posso facilmente scoprirlo. Vedi, Angelika, tu dimentichi quanto io ti conosca: so tutto di te. Per esempio so che tu non ti fidi delle banche, e che conservi i soldi in casa... e so perfettamente dove li conservi- concluse Sibylla, implacabile.

 

Sotto lo sguardo atterrito di Angelika la ragazza si diresse verso il caminetto. Le fiamme le barluginavano in volto, mentre faceva scorrere le dita sulla mensola, fino a che queste non incontrarono la superfice lavorata ad arabeschi di una bella scatola di argento marocchino... il ricordo di un viaggio che avevano fatto insieme con i loro genitori.

 

-Non l’aprirò, Angelika. Mi basta guardarti in faccia per sapere che i soldi sono tutti qui-

 

Angelika non rispose: il suo silenzio fu l’ammissione di colpevolezza più eloquente che ci potesse essere.

 

-Che cosa vuoi da me?- chiese poi in tono duro a Sibylla.

 

-Una firma. Una firma su un documento scritto da me-

 

-Che documento?-

 

-Una confessione, se così vuoi chiamarla-

 

-Quello che ho... quello di cui parli non è legalmente perseguibile-

 

-Non mi interessa farti finire in prigione. Ma devi firmare quel documento. Altrimenti il contenuto di questa scatola finirà nel caminetto. E non credo che Mark ti riprenderà con se, a quel punto-

 

Angelika contrasse il viso in una smorfia di dolore. Sibylla le indicò la propria borsa, che aveva appoggiato sul divano quando era entrata in salotto.

 

La donna bionda ne trasse fuori un foglio, che lesse attentamente.

 

-Cosa vuoi farne?-

 

-Non sono affari tuoi. Firma- ordinò Sibylla.

 

Angelika appoggiò il foglio sul piano del tavolo da pranzo e, dopo averle lanciato uno sguardo di odio, firmò.

 

-Ecco il tuo fottuto documento del cazzo- sibilò con voce satura di veleno, gettandole ai piedi la confessione.

 

Sibylla chiuse gli occhi, improvvisamente stanca.

 

Lasciò cadere la mano dalla mensola, si chinò lentamente a raccogliere il foglio. Recuperò la borsa, ci ripose con cura il documento.

 

-Addio, Angelika- disse con voce calmissima.

 

Ma l’altra era completamente fuori di se. Si gettò contro la ragazza e la afferrò per i capelli, tirandoglieli e graffiandola in viso. E intanto urlava insulti irripetibili all’indirizzo della sorella.

 

Sibylla non mosse un muscolo per difendersi e così Angelika si staccò da lei, e si lasciò cadere per terra, iniziando a singhiozzare pateticamente.

 

-L’ho fatto per lui... l’ho fatto per Mark- mormorò tra i singluti. -Sibyl... io l’ho fatto per lui... l’ho fatto perchè lo amo... Sibyl... lo amo...-

 

La ragazza osservò la sorella dall’alto in basso. A ragione Oscar Wilde aveva scritto che “vi è sempre qualcosa di ridicolo nelle emozioni delle persone che non si amano più”.

 

-Angelika, vuoi sapere perchè non ho gettato i soldi nel fuoco? Avrei potuto farlo... hai venduto il ragazzo che amo... sarebbe stata una giusta vendetta-

 

Angelika raddoppiò i singhiozzi, ma Sibylla continuò senza pietà.

 

-L’ho fatto perchè lasciarti con Mark è la punizione peggiore che ti si possa dare. E l’hai scelta tu-

 

Detto ciò girò sui tacchi e se ne andò, lasciando a piangere sul pavimento una donna che si era distrutta con le sue stesse mani.

 

     

 

Sibylla raccolse i capelli nel cappello calcato sul viso, indossò gli occhiali da sole per non essere riconosciuta e scese dalla macchina.

 

Si fece largo a spintoni tra i giornalisti accampati davanti al cancello della villa, si guadagnò a forza l’arrivo al citofono, che premette freneticamente.

 

-Si?- chiese sospettosa una voce irriconoscibile.

 

-Dottoressa...- allontanò il gomito di un uomo che le si stava conficcando tra le costole. -Dottoressa... EHI!- strillò, quando una donna cercò di travolgerla per raggiungere il citofono. -Dottoressa Darenbaum!- riuscì finalmente a dire.

 

-Cosa desidera?-

 

-Herr...- ansimò, la calca dei giornalisti le stava togliendo il respiro. -Herr Kaulitz, devo parlare con Herr Kaulitz-

 

La parola “Kaulitz” scatenò il clamore e le urla dei giornalisti.

 

Sibylla tese le orecchie, nella speranza di comprendere ciò che la voce le stava dicendo.

 

Il chiasso era troppo forte, le parole si perdevano tra le urla dei giornalisti.

 

-Non capisco!- gridò disperata, tentando di sovrastare con la sua voce il caos della folla. -Che sta dicendo? MA VOLETE STARVI ZITTI?- urlò come una furia.

 

Miracolosamente calò un silenzio imbarazzato.

 

-Herr Kaulitz non è qui-

 

Le parole pronunciate dalla voce suonarono alle orecchie di Sibylla come una condanna.

 

-E dov’è?-

 

-Questo non è dato saperlo-

 

-E quando tornerà?-

 

-Non lo so. E se lo sapessi non lo direi certo a lei-

 

La rabbia invase la mente della ragazza.

 

-BE’, IO LO ASPETTERO’ QUA SOTTO FINO A STANOTTE, SE NECESSARIO!- urlò furibonda.

 

Poi si allontanò di qualche passo da cancello, si sedette sotto un albero, e si preparò ad aspettare. Avrebbe aspettato ben oltre quella notte, se proprio doveva. Avrebbe aspettato fino alla fine dei tempi, per Bill.

 

 

 

 

 

 

CIAO A TUTTI!

Che ne dite di questo capitolo? Finalmente si è spiegato tutto! Ve lo aspettavate, un tradimento da parte dell’amata sorella? E un Tom così vendicativo?

Temo (spero) di avervi scioccato... Che dire... commentate!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Mostro ***


 

 

Cap. 18: Mostro

 

Un lampo e un tuono squarciarono l’aria. Sibylla aprì gli occhi di scatto. Pioveva.

 

-Che ore sono?- mormorò, rivolta a nessuno in particolare.

 

Nell’attesa si era lasciata scivolare contro il tronco dell’albero, assopendosi: il tuono l’aveva destata. Si rimise faticosamente seduta dritta... sentiva la testa pesante, l’odore umido e intenso della terra bagnata la stordiva.

 

Il cielo era crepuscolare, e il suono della pioggerella era stato, fino a quel momento, così delicato da non svegliarla. Ora invece le gocce cominciavano a sferzare le fronde dell’albero sotto il quale aveva trovato rifugio.

 

Sibylla mise a fuoco i giornalisti, che attendevano ancora davanti al cancello della villa: scrutavano preoccupati il cielo plumbeo e tempestoso.

 

Altri lampi scaturirono dalle nubi basse e brune, altri tuoni squarciarono l’aria e fecero tremare terribilmente la terra. Uno strillo di donna e una figura che fuggiva via dalla radura davanti al cancello.

 

La ragazza si alzò, aiutandosi con il sostegno del tronco dell’albero. Il fragore spaventoso di un altro tuono, stavolta molto più vicino, la fece sobbalzare.

 

Il ritmo della pioggia si fece più serrato: era un susseguirsi di lampi e tuoni. Sibylla schizzò via da sotto l’albero: non ci teneva proprio a beccarsi un fulmine in testa.

 

Le nubi nere la tempestarono di gocce di pioggia, inzuppandole in pochi minuti i capelli e i vestiti.

 

Attese sotto la pioggia, in piedi vicino ai giornalisti: qualche ora dopo quest’ultimi cominciarono lentamente a disperdersi. Era passata più di una settimana da quando le foto di Bill Kaulitz erano state scattate, non si era più visto alcuno entrare o uscire dalla villa e nessuno voleva aspettare sotto la pioggia un minuto di più.

 

Salirono nelle loro macchine e, nel giro di mezz’ora, ad aspettare fuori dal cancello non c’era che la ragazza. Nel frattempo il cielo aveva perso il suo colore livido per diventare nero: veniva illuminato a tratti solo dai lampi.

 

Sibylla batteva i denti: l’acqua gelida aveva trovato la strada sotto ai suoi vestiti per lasciarla completamente fradicia, i capelli le scendevano bagnati sulle spalle dandole una sensazione di freddo al collo. Era praticamente inutile tentare di coprirsi senza ombrello ma, ad ogni modo, l’unica cosa che le importava era il documento con la confessione di Angelika: fortunatamente la borsa era impermeabile.

 

Attese ancora per un tempo indefinito: aveva perso il conto delle ore, era solamente conscia del freddo e dell’acqua, del vento che mugghiava facendo turbinare le gocce di pioggia in strani mulinelli, degli alberi che ondeggiavano sotto la furia del temporale. Attese a testa alta, serrando le mascelle e stringendo i pugni, in una prova di forza contro la tempesta.

 

Accolse come un’ancora di salvezza la luce accecante dei fari della macchina che avanzava verso il cancello.

 

     

 

-Ferma- ordinò Bill all’autista.

 

Georg, che stava guardando il cielo tempestoso fuori dal finestrino, con il mento appoggiato alla mano, guardò l’amico. Bill si era drizzato dalla posa languida con la quale aveva trascorso il viaggio e aveva avvicinato il viso mascherato (la prima cosa che si era fatto portare dalla villa era stata proprio la sua maschera) al vetro: scrutava la strada buia con attenzione.

 

-Cosa c’è?- chiese.

 

-C’è una donna sotto la pioggia-

 

-Lascia perdere, sarà una giornalista. Autista, acceleri-

 

-No, non è una giornalista... autista, ferma!-

 

L’uomo alla guida, davanti ai due ordini contrastanti, trovò il compromesso di rallentare. Grazie alla luce improvvisa e bianchissima di un lampo, Georg potè intravedere una silhouette femminile.

 

-Bill, non possiamo mica farla salire...- disse, nonostante non avesse visto nè macchine fotografiche nè altri segni distintivi del mestiere di giornalista.

 

-Ferma, maledizione, ferma! Oppure scendo io!- esclamò Bill, cominciando ad armeggiare con la sicura della portiera.

 

-Bill, non fare stronzate...- lo ammonì Gustav, che era seduto sul sedile vicino a quello dell’autista.

 

-FERMA!-

 

Al grido imperioso di Bill l’autista frenò bruscamente. La figura scura e sottile che agitava le braccia sotto la pioggia raggiunse di corsa la macchina e cominciò a picchiare sul finestrino: un volto incorniciato da lunghi capelli scuri e fradici di pioggia fu illuminato dal fulmine.

 

-E’ lei- esalò Bill, terrorizzato. Si ritrasse sul sedile.

 

-Andiamo... entriamo nella villa- consigliò Gustav.

 

-Gustav ha ragione, lasciamola quì fuori-

 

-No!- esclamò Bill. -E’ tutta bagnata...-

 

-E a te che te ne frega?-

 

-Voglio parlarle... voglio sentire quello che ha da dirmi-

 

-A tuo rischio e pericolo, amico mio- disse Georg.

 

Bill aprì la portiera, e la ragazza entrò nell’abitacolo caldo e asciutto della macchina.

 

     

 

Le gocce d’acqua scivolavano dai vestiti e dai capelli grondanti della ragazza alla pelle nera degli interni dell’automobile, con un suono delicatamente ritmico. Sibylla, stretta tra Bill e Georg sul sedile posteriore, taceva e si fissava con molto interesse le unghie della mano destra, rossa in viso.

 

L’autista uscì per suonare il citofono. Rientrò bagnato di pioggia, mentre il cancello ruotava su se stesso. Risalì in macchina il viale alberato e si fermò proprio davanti all’entrata della villa.

 

-Ragazzi...- cominciò Bill, con voce commossa, all’indirizzo di Georg e Gustav. -Io non so proprio come ringraziarvi per quello che avete fatto per me in questi giorni...-

 

-E allora non farlo- sorrise Gustav, nonostante la preoccupazione con la quale guardava Sibylla di sottecchi.

 

-Ci sentiamo, Bill- lo salutò Georg, osservando anche lui la ragazza con la coda dell’occhio.

 

Il giovane annuì, con un piccolo sorriso, e scese dalla macchina. Sibylla lo seguì velocemente. Bill aprì la serratura con le chiavi che portava con se: le tenne la porta e la fece galantemente entrare prima di lui. Sibylla accolse quella cortesia con una smorfia: avrebbe preferito che Bill la prendesse a calci o che le tirasse sassi, o qualunque altra cosa, ma non che ostentasse quella cortesia silenziosa, quell’indifferenza placida.

 

-Ti dispiace accomodarti nella biblioteca?- chiese Bill, in tono basso e garbato.

 

Lei annuì, arrossendo.

 

Entrò nella biblioteca: stranamente il fuoco brillava anche lì, come in casa di Angelika. Restò in piedi, nella penombra, e ascoltò la voce di Bill che salutava le cameriere e che le invitava a tornare a letto. I passi che echeggiarono lungo il corridoio le annunciarono il ritorno del ragazzo.

 

Bill si chiuse la porta alle spalle.

 

-Siediti pure- la invitò gentilmente, indicando il divano. -Vuoi qualcosa da bere? Vuoi... avvicinati al fuoco, sei tutta bagnata...-

 

-No, grazie- rispose Sibylla: il tono lievemente isterico della sua voce sembrò forzato anche a lei.

 

-Va bene. Come preferisci-

 

Lui invece andò al mobile bar e si versò un liquido ambrato in un bicchiere sfaccettato. Si sedette sul divano e la guardò, in attesa.

 

Sibylla si riscosse, e frugò nella sua borsa, cogliendo così l’occasione per chinare la testa in modo da nascondere il viso con i capelli bagnati.

 

Tirò fuori la confessione di Angelika e si avvicinò al divano: le sue mani tremarono quando sfiorarono quelle del ragazzo nel consegnargela.

 

-Ti spiegherà tutto- disse lei, la voce piatta in segreto contrasto con il tumulto nel suo cuore.

 

Bill abbassò lo sguardo sul foglio: il fuoco gettava ombre e luci sulla sua figura silenziosa, la maschera non consentiva a Sibylla di dedurre alcunchè dei suoi pensieri. Il breve lasso di tempo nel quale lui lesse le righe firmate da Angelika le sembrò quasi eterno. Aveva la mente completamente svuotata da ogni pensiero... era come se tutta la sua vita dipendesse dalla reazione che lui avrebbe avuto dopo aver letto il foglio.

 

     

 

Quando Bill rialzò gli occhi, sorprese la ragazza a fissarlo con aria vergognosamente speranzosa.

 

Sibylla arrossì, e cercò di ritrovare un’espressione distaccata.

 

-Allora è così che è andata...- mormorò Bill, guardando le fiamme danzare nel caminetto.

 

La sua voce era... non propriamente triste... calma e lontana, più che altro... melanconica.

 

-Bè?- non potè trattenersi dal dire, in tono interrogativo, Sibylla. -Allora?-

 

Bill non rispose: guardava le ombre fantastiche generate dal fuoco.

 

-Bill?-

 

Lui si riscosse: a Sibylla parve di averlo svegliato da un sogno.

 

-Scusami?-

 

-Allora? Non dici niente?-

 

-Ah, si. Perdonami. Non avrei dovuto dubitare di te, avrei dovuto pensare che c’era qualcosa sotto... ti porgo le mie scuse. E’ abbastanza?-

 

-NO!- esclamò lei. -Non ti devi scusare... non è colpa tua... anzi, è tutta colpa mia! Oddio, sono stata così maledettamente stupida a dirlo ad Angelika! E’ solo che... io mi fidavo di lei, non avrei mai creduto... mai... mai! Hai fatto benissimo a dubitare di me, sono stata stupida... una stupida chiacchierona... e hanno fatto bene a licenziarmi... sai, hanno telefonato qualche giorno fa e mi hanno buttata fuori dallo studio... ma me ne sarei andata comunque... oddio, perdonami! Ti prego... so che... che ti faccio schifo e che non vorrai mai più rivedermi, ma ti prego... sono stata orrenda... non avrei mai dovuto... ti prego...-

 

-Angelika è tua sorella, vero?- chiese Bill in tono gentile, interrompendo quel torrente di mezze frasi esitanti e di veemente autoaccusa che era scaturito dalle labbra di Sibylla.

 

Questa annuì.

 

-E allora non è colpa tua. Tu ti fidavi e lei ti ha tradito. Tu non hai fatto niente. Sei perdonata-

 

-Come, scusa?- chiese Sibylla, senza fiato.

 

-Sei perdonata- ripetè Bill, sorridendo.

 

-NO!- gridò lei, indignata. -No che non sono perdonata! Io... io faccio schifo, capisci? Tu mi dovresti urlare contro, mi dovresti insultare... non mi puoi perdonare così!-

 

Bill la guardò interrogativamente, la bocca curvata in una piega divertita.

 

-In che senso?- chiese.

 

-Io non mi sento perdonata, in questo modo, capisci?-

 

-Vuoi che ti assegni una penitenza?-

 

-Oh, non scherzare! E’ una cosa seria... io... io so che tu sei triste e che sei arrabbiato, a causa mia... e mi sembra che tu mi dica “ti perdono” tanto per fare, tanto per liquidarmi... non è forse così?-

 

Aveva colpito nel segno. Le mani di Bill, che stringevano ancora la confessione, si contrassero. Il giovane si alzò di scatto e cominciò a percorrere nervosamente la stanza a grandi passi.

 

Non la guardò, quando parlò.

 

-Sei brava, Sibylla. Conosci le persone. E’ vero, sono triste, a causa tua. E sono molto arrabbiato. Ma non con te-

 

-E con chi?-

 

-Con me stesso. Capisci... in questo momento mi sto odiando come non mai... se solo tu potessi comprendere che quello che... sento in questo momento... quello... quello che io vorrei...-

 

-Dimmelo- disse Sibylla.

 

Bill si voltò, i suoi occhi inquieti saettarono, e incontrarono quelli di lei, stranamente sereni: le loro posizioni si erano invertite, la calma distaccata di lui era passata a lei e così viceversa la sua agitazione si era trasmessa al ragazzo.

 

Bill trasse un respiro profondo. E quando parlò la sua voce dolce era satura di puro dolore.

 

-Vorrei strapparmi questa maschera dal viso. Vorrei poterti guardare in faccia senza il timore di terrorizzarti. Vorrei prenderti le mani tra le mie senza sentirti urlare di spavento. Vorrei...- esitò. -... vorrei baciarti senza la paura che tu mi muoia tra le braccia dall’orrore. Vorrei poterti avere con me senza il dubbio di averti condannata a prigionia eterna. Vorrei poterti amare-

 

-E non puoi forse farlo?-

 

-Io non potrò mai farlo. Sono un mostro, Sibylla. Come posso amare -come posso essere riamato?-

 

Sibylla chinò il capo e sorrise.

 

-Mostro? Ma tu sai cosa vuol dire mostro?-

 

-Il mio viso... è orrendo, è mostruoso...- la voce gli si spezzò in gola.

 

Era in piedi vicino alla grande vetrata, i lampi disegnavano la sua silhoutte in controluce. Sembrava così solo, così sperduto nella cornice della furia degli elementi, che Sibylla balzò in piedi, agitata da una strana commozione che le stringeva il cuore e corse vicino a lui.

 

Bill evitò il suo sguardo, fissò le tende drappeggiate intorno alla vetrata, ma lei continuò a parlare, e la sua voce tremava per l’emozione.

 

-Mostruoso vuol dire straordinario, prodigioso... e se proprio vuoi collegarlo a te stesso...- gli prese le mani tra le sue, facendolo sussultare. -se proprio devi... per me significa anche “bellissimo”-

 

Quando Sibylla prounciò in tono intenso l’ultima parola, Bill alzò finalmente gli occhi e incontrò quelli ardenti della ragazza.

 

Il suo sguardo era... arrabbiato.

 

-Vuoi prendermi in giro?- chiese in tono duro.

 

-Oh Bill...- mormorò lei, sorridendo davanti allo scatto del giovane, che le ricordava quelli delle settimane di terapia passate con lui. -Potrò avere tutti i difetti del mondo, ma sulla mia sincerità puoi scommetterci oro quanto pesi-

 

-Tu... tu non puoi dire sul serio... non dopo avermi guardato... hai tremato davanti a me...-

 

-Se l’ho fatto è stato perchè pensavo alla bellezza della tua voce... alla dolcezza dei tuoi occhi... alla tenerezza delle tue parole... Bill... io... io ti...-

 

-Tu mi?-

 

-Lo so che non è convenzionale, che a dirlo sia la donna... non dovrei... e non so come... ma io ti...-

 

Le labbra di Bill la zittirono in un bacio.

 

     

 

In piedi davanti alla vetrata priva dello schermo delle tende, era come trovarsi al centro della tempesta.

 

Il vento ululava e piegava gli alberi sotto la sua forza, il tuono scuoteva la terra, la folgore squarciava il cielo, in attimi di luce accecante, e la pioggia sferzava le piante e il vetro della finestra davanti alla quale Bill e Sibylla si stavano baciando.

 

Ma niente di tutto ciò era paragonabile a quello che i due ragazzi provavano... la tempesta degli elementi non era che un vago riflesso di ciò che agitava i loro cuori.

 

Un bacio leggero, appena a fior di labbra...

 

Quante cose si possono dire in un bacio così accennato? Si può raccontare la storia di una vita, si può narrare l’intensità di un sentimento, la gratitudine di fronte a un regalo meraviglioso, la dolcezza di un amore e l’ardore di un desiderio?

 

Sibylla avrebbe creduto di si... se solo fosse stata ancora in grado di pensare. Ma così non era... non esisteva più niente per lei, solo Bill, Bill nell’aria che respirava, Bill nel suono della pioggia, Bill nel chiarore del lampo... e soprattutto Bill nel calore di quel bacio dalla dolcezza straziante.

 

Drogata di lui... completamente ebbra di quel bacio a fior di labbra.

 

Si convinse a staccarsi da lui solo quando il fiato le mancò del tutto. Fece un passo all’indietro, stordita dall’intensità di quello che provava. La luce negli occhi di Bill era più luminosa di quella dei fulmini, eppure lei non poteva fare a meno di guardarlo.

 

-Grazie...- mormorarono entrambi a una voce, e sorrisero contemporaneamente.

 

Bill la avvinse a se, e l’abbracciò. Sibylla accolse con gratitudine il calore del suo corpo. Aveva sognato così tanto quel semplice abbraccio, che fu quasi con sollievo che si strinse a lui.

 

Restarono così, abbracciati per un tempo indefinito. Lui le accarezzava delicatamente i capelli bagnati. I vestiti della ragazza erano fradici, ma Bill non sembrava curarsene.

 

-Sibylla...-

 

-Si?-

 

-Vorresti...- Bill si fermò, in preda all’incertezza. -Non so come dirtelo...-

 

-Puoi dirmi tutto, nel modo in cui preferisci-

 

-Vorresti togliermi la maschera?-

 

Sibylla sussultò.

 

-Non chiedermelo, ti prego... non questo... io ti ho causato così tanto dolore... ho giurato a me stessa che non lo avrei fatto mai più... è stata una tentazione alla quale non ho saputo resistere, e ti ho fatto così male...-

 

Lui la strinse un pò di più.

 

-Te lo sto chiedendo io-

 

Sibylla si sciolse leggermente da lui, sempre però restando tra le sue braccia.

 

-Sei sicuro?- chiese, esitante.

 

Lui non rispose, ma sorrise. Le prese delicatamente la mano, e gliela condusse al suo volto. Le dita di Sibylla, guidate da quelle di Bill, sfiorarono il margine della maschera. Si insinuarono sotto il suo spessore e la tolsero con delicatezza.

 

Lei guardò a lungo il volto sfigurato di Bill.

 

-Ti amo- disse poi a voce alta e sicura.

 

Dalla commozione, Bill scoppiò a piangere.

 

     

 

Le prese la mano e la guidò verso il caminetto. Alla luce delle fiamme le premette le labbra in un bacio appassionato e lei gli circondò il collo con le braccia, affondando le dita nella morbidezza corvina dei suoi capelli.

 

Bill l’aiutò ad adagiarsi sul morbido tappeto davanti al fuoco... lei lo attirò a se, non voleva perdere nemmeno un secondo del contatto tra i loro corpi... non desiderava nient’altro che lui.

 

Bill la strinse a se, senza smettere di baciarla. Percorse con labbra infuocate la linea della mascella della ragazza, scese a baciarle il collo, mentre le accarezzava i capelli. Si staccò a fatica.

 

-Vuoi...?-

 

Sibylla annuì. Lo voleva con tutta se stessa.

 

Bill lasciò scivolare le sue mani sotto la maglietta di lei: la ragazza fremette, al tocco delle sue dita, che le sfilarono l’indumento in una dolce carezza. Lei fece altrettanto con la maglietta di lui. Il petto di Bill era magro e scolpito, e lei ci poggiò la testa, chiudendo gli occhi, mentre lui le apriva il fermaglio del reggiseno, lasciandolo poi cadere in terra.

 

Le dita della ragazza armeggiarono con la cinghia dei pantaloni di lui, fino a slacciarla: Bill l’aiutò a sfilarglieli, poi la fece adagiare sul tappeto, per toglierle comodamente i jeans. Il suo tocco, mentre slacciava il bottone e tirava giù la cerniera dell’indumento, la faceva rabbrividire come se gelasse.

 

Lei gli cinse il collo con le braccia e lo attirò a se, per baciarlo. Le mutandine di lei e i boxer di lui raggiunsero gli altri indumenti sul pavimento. Bill le accarezzò il seno, Sibylla gli sfiorò la guancia devastata e sorrise.

 

Il calore fu ovunque e ardente... sofferenza per Sibylla ce ne fu ben poca, o se ci fu lei non potè poi rammentarselo... entrambi ricordarono solo quel miscuglio di sensazioni meravigliose chiamato amore.

 

     

 

Diverse ore dopo, il fuoco moriva tra le braci e la cenere... Bill accarezzò i capelli della ragazza abbracciata a lui, che dormiva con la testa appoggiata al suo petto.

 

-Sibylla...- la chiamò improvvisamente.

 

-Mmmh...- lei si svegliò, mugolando. -Che... che c’è?- chiese in tono pigro.

 

-Mi sono ricordato di una cosa importantissima!-

 

Lei si sollevò leggermente e lo guardò

 

-Dimmi-

 

-Ti amo. Solo questo. Mi ero dimenticato di dirtelo-

 

Lei sorrise... e piano piano il sorriso si trasformò in una risata lieve.

 

-Perchè ridi?-

 

-Ma perchè sono felice!- sussurrò lei, con gli occhi brillanti.

 

E le loro labbra si unirono in un bacio dolcissimo.

 

 

 

 

 

 

 

CIAO A TUTTI! Notate l’ora tarda in cui posto, e perdonatemi se non rispondo ai vostri commenti. Solo un paio di cose: il cambio di rating (da giallo ad arancione) giustifica la violenza del capitolo precedente... nel prossimo si spiegheranno tutti i punti oscuri fino ad ora, pazientate e vedrete.

UN BACIO!

PS: se non mi credete, guardate su Wikipedia la definizione di mostro: vuol dire straordinario, fuori dalla norma.

 

ALLA PROSSIMA!

 

 

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Capitolo 19
*** Verdetto finale ***


 

Salve a tutti! Solo un piccolo e velocissimo chiarimento, poi vi lascio alla lettura: nonostante il titolo, questo NON è l’ultimo episodio della storia! Temo che vi dovrete sorbire la mia fanfiction ancora per qualche tempo (ho calcolato approssimativamente di postare ancora circa quattro capitoli)...

 

 

 

Cap. 19: Verdetto finale

 

Sibylla giurò a se stessa che non avrebbe mai più aperto gli occhi: non voleva svegliarsi, non voleva che quel sogno stupendo le scivolasse via dalla mente come sabbia tra le dita... voleva dormire per sempre, voleva restare in eterno nella tiepida zona crepuscolare tra i sogni e la realtà.

 

Ma la realtà, purtroppo, al momento era decisamente più imperante del sogno... la ragazza era in una posizione scomoda, sdraiata sul duro, un refolo di aria mattutina le gelava la schiena, aveva il gomito di qualcuno che le premeva tra le costole e uno strano peso sul petto...

 

Sibylla sussultò e si tirò leggermente su, appoggiandosi sui gomiti. Sbattè convulsamente le ciglia per mettere a fuoco la scena della quale era protagonista e spettatrice.

 

Uno dei pannelli della grande portafinestra era leggermente aperto... l’aria gelida e profumata di pino si insinuava da lì. La biblioteca era illuminata dalla luce del sole che entrava a fiotti dai vetri, facendo risplendere il pavimento di parquet di mogano scuro, fuori il cielo era di un blu cobalto privo di sfumature o macchie di nuvole.

 

Sibylla indossava solo una maglietta sopra la biancheria intima e stava semisdraiata su un tappeto persiano dall’aria costosa, sistemato davanti al grande caminetto di pietra... e, sdraiato accanto a lei, un braccio a cingerle la vita e il capo poggiato sul suo petto, c’era Bill, seminudo anch’esso e addormentato.

 

La giovane spalancò gli occhi, di stucco, poi sorrise. Non aveva sognato niente... la sua immaginazione non era certo così fertile.

 

Si rimise comoda, e accarezzò i capelli neri del ragazzo, sparsi sul suo petto... le facevano un pò di solletico, scivolavano come seta sotto le sue dita. Una cascata di luce la riscaldava, l’aria era profumata, sentiva persino cantare gli uccelli fuori dalla finestra... non le era mai capitato, vivendo in città fin da piccola. Le sembrava di non poter desiderare niente di più bello.

 

Così, tra una carezza e l’altra, Bill aprì gli occhi e incontrò i suoi.

 

     

 

-Buongiorno- gli mormorò Sibylla, guardandolo sorridente.

 

Il sorriso nato per risposta sulle labbra di Bill morì quasi immediatamente in una smorfia di orrore e vergogna. Si tirò di scatto a sedere, coprendosi il viso sfregiato con le mani, e ritraendosi da lei.

 

-No...- sussurrò Sibylla, addolorata. -No, no...- si sedette e gli prese le mani tra le sue, togliendogliele delicatamente dal viso.

 

Lui sospirò di sollievo, e si rifugiò nel suo abbraccio. Lei lo strinse forte e gli accarezzò i capelli... era diventata la sua nuova mani, era così bello sentirne la consistenza setosa sotto le dita e tenendo gli occhi chiusi.

 

-Buongiorno- rispose finalmente Bill, con il viso sepolto nella sua spalla. -Ho pensato di averti sognata-

 

-L’ho pensato anche io-

 

Bill si staccò da lei per guardarla bene.

 

-Sei più bella di un sogno...- cominciò a dire, ma poi si fermò.

 

-Che c’è?- chiese Sibylla.

 

Lui non rispose, ma le sfiorò con un dito la guancia. Sibylla fremette: aveva sfiorato uno dei graffi causati dallo scontro con Angelika.

 

-Chi è stato a farti questo?- chiese Bill in tono duro.

 

-Mia... Angelika- rispose Sibylla, evitando di proposito di pronunciare la parola “sorella”.

 

Bill non replicò, ma le sollevò leggermente i capelli dalla fronte. Sfiorò il segno violaceo che la ragazza aveva sulla tempia.

 

-Anche questo te l’ha fatto Angelika?-

 

Lei scostò la mano di Bill, lasciando che i capelli ricadessero a nascondere il livido. Non rispose.

 

-Sibylla?- insistè Bill in tono serio.

 

-No, quello non me lo ha fatto Angelika- cedette Sibylla.

 

Bill le prese il viso tra mani ferme, e lo esaminò. Sibylla arrossì sotto il suo sguardo.

 

-E questo?- chiese, sfiorandole il labbro spaccato... la cicatrice era ancora ben visibile.

 

-No- ammise lei.

 

-E questo?- chiese Bill, sollevandole il braccio: una macchia violacea le segnava il gomito e parte dell’avambraccio.

 

-No- concesse Sibylla a denti stretti. -Smettila, Bill. Se mi guardi attentamente ne troverai degli altri, quindi tanto vale che te lo dica subito: è stato tuo fratello-

 

-Mio fratello?-

 

-Proprio lui-

 

-Aspetta... ma parli di Tom?-

 

Sibylla alzò gli occhi al cielo.

 

-Quanti fratelli hai?-

 

-Tom ti ha picchiata?-

 

Sibylla annuì.

 

-Ci siamo incontrati qualche tempo fa... aveva minacciato di farlo se io... e poi...-

 

-Oddio... ma... ma... ma Tom non ti conosce!-

 

-Non sei stato tu a dirgli che avevo scoperto chi eri, vero?-

 

-No! Certo che no!-

 

Sibylla sospirò.

 

-Allora è come pensavo: dev’essere stata Johanna-

 

-E ora, di grazia, chi è Johanna?-

 

-Una mia... non so se definirla amica... sapeva anche lei di te-

 

-Ma sei andata a raccontarlo a tutti?- si informò Bill in tono acido.

 

Lei arrossì.

 

-Mi dispiace...- sussurrò mortificata.

 

-Vorrei poterti dire che non fa niente, lo sai?-

 

-Ma?-

 

Bill sospirò profondamente e le prese una mano. I suoi occhi erano tristi e bellissimi.

 

-Ma non è così. Mi hai fatto del male... non farlo mai più- la sua voce, bassa e gentile, non rimproverava, ma constatava soltanto.

 

Sibylla gemette, ma non distolse gli occhi dai suoi.

 

-Mai più- giurò prima di scoppiare in lacrime.

 

Bill le sostenne mentre singhiozzava disperatamente, piegata in due, una mano tra le sue e l’altra posata sulla sua schiena. Sibylla pianse tutte le sue lacrime, fino a quando non ne ebbe più. Tirò su un pò con il naso, si asciugò gli occhi, poi alzò lo sguardo a cercare quello di lui.

 

-E’ finita?- chiese Bill premuroso.

 

-E’ finita- confermò lei, e riuscì persino ad abbozzare un sorriso.

 

-Mi dispiace di avertelo dovuto dire. E mi dispiace per Tom. Sono così triste... non avrei mai pensato che sarebbe arrivato a tanto-

 

-Bè, almeno lui l’ha fatto perchè ti vuole bene: mia... Angelika non ha esitato a servirsi di me... credo che mi abbia anche fatta pedinare dai giornalisti-

 

Bill le cinse le spalle con un braccio.

 

-Abbiamo sofferto abbastanza tutti e due: ora non pensiamo più a questo. Piuttosto... c’è qualcosa che devo fare e che ancora non ho fatto, questa mattina-

 

E sorridendo, la baciò appassionatamente. Sibylla rispose immediatamente al bacio, avvinghiandosi a lui. Finirono di nuovo sdraiati sul tappeto, le mani affondate nei capelli l’uno dell’altra.

 

-Ti amo, lo sai, vero?- chiese lei, quando si furono separati, senza fiato.

 

-Si. E tu... tu lo sai che ti amo, vero?-

 

-Non potrei vivere senza saperlo-

 

Questa volta fu lei a baciarlo dolcemente.

 

     

 

Restarono abbracciati e in silenzio per qualche minuto, ad ascoltare il canto degli uccelli e a godersi il sole, l’aria fresca e la vicinanza l’uno dell’altra.

 

Le loro posizioni si erano invertite: Sibylla aveva posato il capo sul petto di Bill, il quale giocherellava pigramente con una ciocca dei suoi capelli

 

Poi Sibylla parlò.

 

-Sai, tutto questo è poco professionale. Per me, intendo-

 

Bill ridacchiò.

 

-Professionale? Che significa questa parola?-

 

Sibylla lo colpì leggermente sulla mano.

 

-Stupido. Dai, era l’inizio di un discorso serio!-

 

-Sentiamo, allora- sorrise Bill.

 

-Dicevo: è da parecchio che abbiamo iniziato la terapia... forse più di un mese. E anche se tutto questo non è certo contemplato nell’etica di una psicologa, ci terrei a darti il mio... verdetto finale-

 

-Sa di condanna, detto così-

 

Sibylla rise: ogni volta che Bill faceva una battuta scherzosa si sentiva il cuore pieno di felicità.

 

-Bè, chiamalo come vuoi tu. Ti farei sapere cosa penso del tuo caso, come ritengo che tu debba procedere per “guarire”, vuoi?-

 

-Voglio. Ma ricordati che tu mi hai già guarito da ogni male-

 

Lei sorrise, orgogliosa, e leggermente preoccupata per la rezione che Bill avrebbe avuto alle sue parole.

 

-Allora... per come la vedo io, per “guarire” completamente, tu devi fare due cose. La prima è incontrare tuo fratello-

 

Bill sospirò.

 

-Lo sai, vero, che sono tre anni che non ci vediamo?-

 

-Devi farlo, Bill. Tu lo desideri... così tanto che nemmeno te ne rendi conto. E lui ti vuole bene... così bene che ha ritenuto necessario dimostrarlo sulla mia pelle-

 

-Non ricordarmelo, ti prego. Già per il fatto che ti abbia... vorrei ammazzarlo con le mie mani!-

 

Sibylla si alzò di scatto, indignata. Il dolore e la paura provocate dalla “visita” di Tom erano spariti. Ora la cosa che le premeva era non spezzare definitivamente il legame tra i due gemelli.

 

-Ah, no! Se devo essere motivo di dissidio tra voi, stia tranquillo che non mi rivedrà più, Herr Wilhelm-

 

Bill strabuzzò gli occhi, e scoppiò a ridere: Sibylla era talmente comica, poco vestita e con i capelli spettinati, ma tutta impettita a dargli del lei in tono formale, come se indossasse il taillur e avesse tra le mani il suo blocchetto per gli appunti.

 

-Torni qui, dottoressa Darenbaum- sorrise, facendole cenno di risdraiarsi al suo fianco. -Ritiro quello che ho detto. Va bene... le prometto che incontrerò mio fratello-

 

Lei si sdraiò, obbediente, e posò la testa sulla sua spalla, iniziando a disegnare linee immaginarie con dita delicate sul suo petto.

 

-Bene. Allora passiamo al punto numero due. Bill, tu devi tornare a cantare-

 

Fu un fulmine a ciel sereno.

 

     

 

-Come hai detto, scusa?-

 

-Bill, tu devi tornare a cantare-

 

-Oh no, Sibylla. No, no, no. Assolutamente no-

 

-Si, invece-

 

-No, invece-

 

-Non fare il bambino! Devi farlo... tu... tu... tu...-

 

-Sembri un telefono occupato-

 

-Deficiente. Tu hai la voce più bella che io abbia mai sentito, il tuo gruppo era fantastico!-

 

-Ah, hai anche sentito le nostre canzoni?-

 

-Si. E le adoro, Bill, le amo, sono... meravigliose è riduttivo, sono uniche!-

 

-Appartengono al passato-

 

-Giusto! E’ il momento di crearne di nuove: e per farlo dovrai incontrare il resto della band. E quindi anche tuo fratello: due piccioni con una fava, non è perfetto?-

 

Bill glissò platealmente il discorso.

 

-A proposito di resto della band: ho un piccolo dubbio-

 

-Dimmi, ma non credere che non ritornerò sull’argomento-

 

Bill fece segno di resa.

 

-Com’è possibile che Georg e Gustav si siano ritrovati sotto casa mia, proprio nel momento in cui i fotografi mi hanno assalito? Una coincidenza del genere era matematicamente impossibile, in pratica...-

 

-Non era una coincidenza- confessò Sibylla, arrossendo. -Ce li ho mandati io-

 

-Allora sapevi che ci sarebbero stati i fotografi!-

 

-NO!- esclamò lei, indignata dal suo tono colpevolizzante. -Cosa credi, che fossi d’accordo con Angelika?-

 

Bill la rabbonì con un bacio sui capelli.

 

-Va avanti. Perchè erano qui?-

 

-Li avevo incontrati quella mattina... ero riuscita a convincerli a venire alla villa, per parlarti dell’album-

 

-Quale album?-

 

-Il vostro! Il nuovo album dei Tokio Hotel!-

 

-Mi sono perso qualche passaggio... tu ti eri messa d’accordo con Georg e Gustav?-

 

-Già. Il piano era parlarti dell’album, farti saltellare dalla gioia e accettare di registrarlo, e poi portarti dritto dritto da Tom e in sala di incisione-

 

-Non è andata esattamente così...-

 

-No, ma questo è il motivo per il quale i ragazzi si sono trovati lì. Non immagini quanto ho dovuto faticare a convincerli! Erano fermamente convinti di farti un torto, piombando a casa tua e obbligandoti a incontrare Tom... sembrava che li stessi convincendo a fare chissà cosa!-

 

-Perciò mi trovo nuovamente costretto a ringraziare la tua chiacchiera e la tua poca professionalità: se non avessi parlato con loro, se non li avessi fatti venire... rabbrividisco solo a pensarci-

 

Sibylla si strinse un pò di più a lui.

 

-Non ci pensare, allora. Seriamente, però: lo hai detto tu che conosco le persone. Credimi quando ti dico che tu desideri tornare a cantare-

 

-Che cosa te lo fa pensare?-

 

-Forse, ma tanto per fare un esempio, una stanza nascosta appena fuori da questa qui, con dentro strumenti, spartiti e cabina di registrazione?-

 

-Quella l’ho trovata arredata così quando ho comprato la casa- mentì Bill a denti stretti.

 

-Oh, certo. Immagino che il foglio pentagrammato con le note e le parole di una canzone sul leggio del pianoforte aperto faccia parte dell’arredamento dei precedenti proprietari-

 

-Immagini bene. Erano persone di classe, sapevano che sono i dettagli a fare la differenza-

 

Sibylla rise.

 

-Ma quanto sei scemo?-

 

-Ma quanto ti amo?- le fece il verso Bill, tenero e scherzoso. Poi tornò serio. -Sibylla... io non posso tornare a cantare con questo viso. Capisco che tu mi possa amare lo stesso, ma il pubblico?-

 

-Tu sottuvaluti quelli che una volta erano i tuoi fans. Cosa credi, che ti seguissero solo per la tua faccia? Di belli e inutili ce ne sono a migliaia, non avrebbero avuto che da scegliere. Ma in voi... c’era qualcosa di più-

 

-Ah si?- chiese lui, ironico.

 

-Si. C’era la musica. C’erano le parole, le poesie che scrivevi. Le vostre canzoni. I fans vi amavano per quelle. Molte persone non riuscivano a crederci e non trovavano di meglio che deridervi, voi e i fans, ma loro continuavano ad amarvi. E non penso che sia stato giusto deludere questo amore-

 

Bill non disse niente, e lei continuò a parlare: doveva battere il ferro finchè era caldo.

 

-L’unico difetto che ho trovato nel vostro gruppo è che era troppo legato all’immagine: una volta distrutta quello è andato in pezzi. Ma voi vi sottovalutavate: eravate veramente bravi. Se ora faceste un altro album, se vi riuniste cambiando questa caratteristica così commerciale... niente e nessuno vi potrebbe più fermare-

 

Bill tacque per alcuni, lunghi istanti, durante i quali Sibylla pregò.

 

-E’ pazzesco, lo sai questo, vero?- disse lui, infine.

 

-Si, lo so- confermò lei, guardandolo negli occhi. -Ma è così che dev’essere-

 

Bill annuì, poi la baciò.

 

-Mi hai ridato la forza di vivere...- sussurrò poi.

 

-L’hai sempre avuta in te. E’ la musica, la tua forza-

 

-Vorrei averti conosciuta prima dell’incidente-

 

-Non mi avresti guardata-

 

-Magari si-

 

-Non mi avresti vista. Eravamo troppo distanti, troppo diversi-

 

Lui la strinse a se.

 

-Allora sono felice di averlo fatto, quell’incidente-

 

E per non sentire le sue repliche si alzò in piedi e la prese tra le braccia.

 

-EHI!- protestò lei.

 

-Andiamo... Voglio farti sentire le canzoni che ho scritto. Voglio suonare per te. Voglio cantare per te-

 

-Rischierai di farmi svenire dall’emozione, lo sai, vero?-

 

-Non chiedo di meglio-

 

 

 

 

HELLO!

Rieccomi con un nuovo capitolo, molto più “cerebrale” dell’altro... spero di non avervi annoiato con tanti dialoghi, ma soprattutto spero di avervi chiarito ogni dubbio sulla storia.

Dalle vostre recensioni ho capito che avete notato quanto sia personale la mia scrittura: c’è davvero molto di me in ogni capitolo. Specialmente in quello precedente, ho “messo in parole” tutto l’amore e, oserei, la venerazione che nutro nei confronti di Bill Kaulitz... per me è davvero la persona più bella del mondo, e non mi riferisco solo ai suoi connotati fisici.

Dopo avervi reso partecipi dei miei deliri mentali, ringrazio le persone che hanno recensito, quelle che hanno inserito la fic in preferiti (78!), e vi saluto!

 

 

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Capitolo 20
*** Apocalisse ***


 

 

 

 

Cap. 20: Apocalisse

 

Bill taceva.

 

-Dai... tranquillo- cercò di rassicurarlo lei a voce bassa. -Non ti mangiano mica-

 

Lui annuì, con le labbra serrate. Sibylla faceva fatica a sentire i suoi respiri, tanto erano distanziati.

 

Erano seduti su uno dei divani di pelle nera del salone principale della villa. Quando una cameriera aveva appena annunciato che “Herr Listing” (e quindi, automaticamente, anche “Herr Schäfer” ed “Herr Kaulitz”) fuori dal cancello, Bill era diventato di un tratto molto silenzioso. Sibylla era certa che fosse diventato anche molto pallido, ma non poteva vederlo: il ragazzo aveva insistito per indossare la maschera.

 

Non un suono proveniva da lui. Solo le sue dita si contraevano leggermente nella stretta della ragazza.

 

-Calma...- mormorò la ragazza, più per tranquillizzare se stessa che altri.

 

Sibylla era molto agitata. Mancavano pochi minuti all’incontro che avrebbe rischiato di distruggere i suoi nervi per sempre. Non era esattamente piacevole, l’idea di rivedere la persona che l’aveva letteralmente picchiata a sangue... e peggio.

 

Era stato Tom a farle credere che Bill gli avesse detto quanto lei sapeva sul suo conto... Tom l’aveva indotta a credere che Bill l’avesse “tradita”. Era stato un tentativo vano e dettarto dall’amore fraterno, ma aveva cercato di separarla dal ragazzo che amava.

 

Aveva riflettuto a lungo se convincere Bill a incontrare il fratello e sapeva di non poteva mandare tutto all’aria: ma non avrebbe chiesto di meglio di spezzargli tutte le ossa del corpo. Il suo spirito di femminista, il suo orgoglio, gridavano vendetta.

 

Non voleva certo finire come Angelika, che accettava tutte le violenze fisiche e morali di Mark con il sorriso sulle labbra! Lei non voleva essere come Angelika...

 

Eppure tacque: Bill non poteva restare un giorno di più senza almeno vedere Tom.

 

E ormai queste cose non avevano più importanza...

 

     

 

 

Un bussare discreto li fece sobbalzare.

 

-Herr Kaulitz?- la cameriera fece capolino dalla porta socchiusa.

 

-Si, Irma?-

 

-Herr Listing ed Herr Schäfer sono arrivati-

 

Bill sbarrò gli occhi, stupito.

 

-Ma come...-

 

-Non c’è nessun altro, con loro?- prese la situazione in mano Sibylla.

 

-No, Fräulein-

 

La ragazza stirò le labbra in un sorriso forzato e annuì.

 

-Devo farli entrare?- domandò la cameriera, perplessa dalla reazione che le sue parole avevano causato a Herr Kaulitz.

 

-Bill?- disse Sibylla in tono interrogativo.

 

Ma il ragazzo non rispose. Si era accasciato allo schienale del divano, totalmente inerte. La cameriera attendeva, così parlò di nuovo Sibylla:

 

-Irma, le dispiace farli aspettare fuori per un minuto?-

 

-Certamente, Fräulein-

 

La donna si chiuse la porta dietro le spalle. Sibylla si voltò verso Bill, impacciata.

 

-Oh, Bill... mi dispiace!- esclamò addolorata.

 

Quelle parole banali caddero nel vuoto del silenzio. Bill fissava il vuoto con occhi vitrei: con orrore Sibylla si rese conto che il suo sguardo era lo stesso che aveva quando lei lo aveva conosciuto.

 

Morto.

 

Sibylla balzò in piedi, agitata e spaventata, poi si inginocchiò davanti al divano, in modo di avere il viso di Bill davanti al suo.

 

-Sei una persona forte, Bill- gli disse in tono vibrante. - Hai affrontato lo shock di un incidente. Hai affrontato la perdita del successo. Hai affrontato quattro anni di solitudine. Hai affrontato un’orda di avvoltoi armati di macchine fotografiche. Non lasciare che questo ti distrugga-

 

Non ci fu risposta.

 

-Bill!- esclamò lei, cercando almeno di attirare la sua attenzione.

 

Ci riuscì.

 

-Avevi detto che sarebbe venuto- disse Bill.

 

-Mi dispiace...- ripetè lei, stavolta mormorando. -Vuoi mandarli via?-

 

-No. Hai ragione, non mi devo far distruggere da questo. Ho teso a Tom la mano, ma lui l’ha respinta. Non fa più parte della mia vita-

 

-Ma...-

 

-Per favore, falli entrare-

 

Nonostante il tono cortese, sembrò più un ordine che una richiesta. Perciò Sibylla deglutì e annuì.

 

-Come preferisci-

 

Si alzò e aprì la porta. Georg stava appoggiato al muro, con le braccia incrociate al petto, e fissava il pavimento con aria preoccupata. Gustav osservava con interesse una statuina di marmo bianco in stile ellenistico posata su un piedistallo slanciato, tentando di dissimulare così l’ansia che contraeva i suoi lineamenti.

 

Entrambi alzarono lo sguardo verso di lei, quando sentirono la porta aprirsi, ma non le rivolsero nè un saluto nè uno sguardo amichevole.

 

-Entrate pure- disse Sibylla.

 

La seguirono nel salone. Bill li aspettava in piedi. Alto e snello, vestito di nero e mascherato, era la quintessenza dell’Enigma.

 

The show must go on” si disse Sibylla, guardando con ammirazione, nonostante tutto, il contegno da teatrante di Bill. Era riuscito a nascondere perfettamente ogni delusione, ogni sofferenza causata dalla mancanza di Tom.

 

Quando parlò, la sua voce era alta e chiara.

 

-Georg. Gustav. E’ un piacere rivedervi- si inchinò, lasciando a bocca aperta tutti i presenti.

 

Esagera” comprese Sibylla.

 

Colse, per l’ennesima volta, la somiglianza tra Bill e il personaggio del Fantasma dell’Opera: entrambi sfigurati, entrambi bellissimi, entrambi geni... entrambi mascheranti il dolore con la recitazione.

 

Intanto Bill continuava con la sua messa in scena.

 

-Sedetevi, amici miei. Sedetevi e svelerò tutti gli arcani. Sedevi e saprete ogni cosa-

 

Con un gesto esagerato, da vaudeville, indicò loro il divano. I due ragazzi e Sibylla obbedirono al suo cerimonioso invito e si accomodarono.

 

Bill cominciò a parlare.

 

     

 

Mentre Sibylla lo ascoltava, rabbrividiva: Bill era un attore nato, ma per lei, nonostante potesse solo intuire vagamente quale sofferenza si celava dietro la commedia che il ragazzo stava allestendo a beneficio del suo scarso pubblico, era orribile sentirlo parlare come se avesse inghiottito l’indice degli aforismi di Oscar Wilde.

 

Sibylla non poteva vederlo, ma era certa che dietro la maschera della voce canzonatoria e del gran gesticolare affettato ci fossero quegli occhi vuoti che tanto l’avevano spaventata.

 

Bill espose il progetto del nuovo album a Gustav e Georg con frasi ironiche e argute: era impossibile definire quando stesse scherzando o no.

 

Sibylla arrivò quasi a temere che i ragazzi, frustrati dall’atteggiamento dileggiante di Bill se ne andassero, ma fortunatamente non fu così: restarono a fissarlo, a bocca aperta, mentre si destreggiava in mille giochi di parole e mille svolazzamenti di mani.

 

-Allora?- chiese, trionfante, una volta terminata la recita e l’esposizione dell’idea.

 

-Bill...- mormorò debolmente Gustav.

 

-Ti ha drogato?- chiese Georg, fissando Sibylla con sguardo di accusa.

 

-Chi? Sibylla?- chiese Bill in tono fortemente indignato.

 

Si diresse verso di lei con una falcata veloce e aggraziata: parve quasi danzare. Le offrì una mano che lei prese, esitante. Che altra diavoleria si era inventato? Si lasciò portare al centro della stanza ed esibire davanti a Gustav e Georg.

 

-Miei carissimi... sono entusiasta di annunciarvi il mio fidanzamento con questa bellissima donna!-

 

Mentre Bill pronunciava queste parole con tono affettato e artificiale, Sibylla chiuse gli occhi, trafitta nel cuore da una spina ghiacciata di dolore.

 

Ti odio, Tom Kaulitz” pensò Sibylla. “Ma vorrei solo che tu fossi qui

 

In quel momento la porta si aprì.

 

-Scusate il ritardo- disse una voce profonda.

 

     

 

Quattro paia di occhi fissarono attoniti la figura incorniciata dal vano della porta aperta. Lunghi rasta biondi, vestiti oversize neri, capello, nero anch’esso, che ombreggiava un volto pallido, tanto perfetto da sembrare dipinto in punta di pennello. Due occhi scontrosi, di una splendida sfumatura di nocciola.

 

A coppie di due, Sibylla e Bill mano nella mano e al centro della stanza, Georg e Gustav seduti sul divano, i presenti lo fissavano a bocca aperta.

 

-E’ qui la festa?- chiese dopo un pò il ragazzo.

 

Nessuno rispose. Tom restò fermo sulla porta, con una mano ancora sulla maniglia. Sembrava imbarazzato. Quando intercettò con gli occhi il volto mascherato di Bill distolse lo sguardo e lo fissò a terra.

 

-Ci... ci siete proprio tutti, eh?- disse, senza guardare in realtà nessuno.

 

-Accomodati, Tom-

 

La voce di Sibylla echeggiò chiara e serena nella grande stanza.

 

La ragazza non aveva lasciato la mano di Bill, ma guardava Tom, che sussultò quando lei gli rivolse la parola. Mugugnò qualcosa in risposta, le passò accanto senza guardarla e si sedette sul divano, accanto a Gustav, a braccia incrociate.

 

-Bill ha appena finito di esporre il suo progetto, ma sono certa che te lo riassumerà volentieri-

 

La ragazza parlava tranquillamente. La rabbia accecante l’aveva del tutto abbandonata: Tom le sembrava solo un ragazzo che nascondeva il suo imbarazzato e il suo pentimento per l’aggressione ai suoi danni dietro l’atteggiamento scontroso e aggressivo.

 

Improvvisamente aveva capito di non essere più legata ad Angelika. Per amore di Bill poteva perdonare Tom, senza la paura di ripetere gli errori della sorella. Era arrivato il momento di vivere la sua vita senza le paure legate alla triste storia di Angelika.

 

Perciò, quando Tom le chiese chiarimenti sul progetto di cui parlava, rispose serena:

 

-Il vostro reunion album-

 

-COSA?-

 

-Il reunion album dei Tokio Hotel. Ma lascio l’onore di parlartene a Bill. Bill?- lo chiamò.

 

Ma Bill si era trasfigurato: aveva perso ogni sicurezza e ogni ironia, le spalle gli si erano afflosciate... neanche il suo portamento non era lo stesso di pochi secondi prima. Era leggermente curvo su se stesso, come a volersi proteggere. Stringeva convulsamente la mano di Sibylla. Non guardava Tom, e taceva.

 

Aveva smesso di recitare, ma la ragazza aveva sperato di vederlo rianimarsi all’entrata del gemello, ma evidentemente non era così semplice.

 

-Potreste... potreste lasciarsi un secondo, per favore?- chiese agli altri tre ragazzi.

 

-Questa è casa di mio fratello!- scattò subito Tom. -Non osare darci ordini!-

 

-Ve l’ho chiesto per favore. Bill vorrebbe rimanere per un minuto da solo. Poi ti spiegherà tutto-

 

-Chi ti credi di essere per parlare a nome di mio fratello?-

 

-Nessuno. Ma per favore, uscite-

 

Tom la fulminò con lo sguardo, facendola rabbrividire, ma uscì, seguito da Gustav e Georg.

 

     

 

-Non posso farlo. Davvero, Sibylla, non posso farlo...-

 

Lei sospirò si voltò verso di lui:

 

-Certo che puoi farlo-

 

-Tu non capisci. Tre anni... tre anni che non lo vedo. Non puoi chiedermi di fare una cosa del genere-

 

-Ma eri d’accordo con me! Avevi detto di si!-

 

-Ho cambiato idea. Io... davvero, non credo di poterlo fare-

 

Sibylla alzò gli occhi al cielo.

 

-Senti, facciamo così: analizziamo razionalmente la situazione-

 

-Come?-

 

- Tom è tuo fratello gemello. Ti vuole bene... per quello garantisco io. E tu... tu gli vuoi bene?-

 

-Sibylla...-

 

La ragazza lo zittì: aveva un’espressione molto seria in volto.

 

-Te lo sto chiedendo sul serio-

 

-Ma certo che gli voglio bene!-

 

-No, Bill: non è una domanda fatta tanto per fare. Gli vuoi bene o no?-

 

Il ragazzo tacque per un pò.

 

-Ok, ma ricordati che me lo hai chiesto tu. Non posso dire di volergli bene: è troppo riduttivo. Lui è la persona più importante che esista al mondo, per me-

 

Lei annuì, sollevata nonostante la piccola e inevitabile fitta di gelosia al cuore. Bill la guardò mestamente, con aria di scusa.

 

-Mi spiace averlo dovuto dire-

 

-Non ti preoccupare... è la verità e io sono contenta che tu me l’abbia detta. Vedi? Dici che lui è la persona più importante, per te. E allora perchè hai paura di incontrarlo?-

 

Bill sospirò.

 

-La verità è che non so come presentarmi davanti a lui... mettendomi la maschera mi sembrerebbe di non dargli fiducia, no? E invece, non mettendomela... potrei morire, se lui mi guardasse con orrore-

 

Lei cercò la mano di Bill e la strinse.

 

-Ti fidi di me?-

 

-Si-

 

-Non lo farà. Te lo prometto-

 

-Sibylla... resta con me- la interruppe Bill in tono implorante.

 

Lei scosse la testa.

 

-Hai affrontato tutto questo da solo. Non hai bisogno di me per incontrare la persona che ami maggiormente al mondo-

 

Gli afferrò le mani, gliele strinse forte, gliele baciò.

 

-Tu sei forte- ribadì. -Puoi farcela-

 

Bill chiuse gli occhi, e si lasciò abbracciare. Sibylla lo strinse brevemente a se (il cuore le piangeva, sapendo ciò che avrebbe poi dovuto fare), gli tolse delicatamente la maschera e si alzò.

 

-Lasciami solo per un minuto... prima di farlo entrare- la pregò lui.

 

Lei annuì e si diresse verso la porta, ma fece in tempo a scorgere Bill rimettersi la maschera che lei aveva poggiato su un tavolino. Girò sui tacchi e lo guardò con aria di rimprovero.

 

-Bill Kaulitz... vuoi davvero fare un torto del genere a tuo fratello?-

 

Bill si umettò le labbra, sorrise con aria di scusa, poi si tolse la maschera dal volto, e gliela consegnò.

 

-Sibylla!- la fermò la sua voce, mentre lei aveva già le dita sulla maniglia della porta.

 

-Si?-

 

-Grazie-

 

     

 

Sibylla attendeva che trascorresse il tempo chiesto da Bill. Tom, appoggiato al muro del corridoio, non la guardava, ma la ragazza era sicura di aver visto il suo sguardo posarsi per un secondo, senza una parola, sulla maschera che lei stringeva tra le mani.

 

Georg e Gustav stavano leggermente in disparte, e parlavano a voce bassa del progetto di Bill. Il mormorio delle loro voci non riusciva a spezzare la tensione.

 

Sibylla, poco dopo, si avvicinò al ragazzo. Ormai i loro scontri non avevano più importanza.

 

-Tom- lo chiamò. -Bill ti aspetta- disse semplicemente.

 

Lui annuì. Mentre le passava accanto alzò lo sguardo e la fissò negli occhi.

 

Con stupore, Sibylla capì che l’aveva capita.

 

     

 

Attendevano fuori dalla porta, nel corridoio.

 

I gemelli erano dentro da almeno dieci minuti... e nessuno dei tre aveva il coraggio di bussare alla porta.

 

-Questa situazione mi logora i nervi- esplose Gustav a bassa voce.

 

-Ssshh!- lo zittì Sibylla, che origliava alla porta.

 

-Bè, se tra cinque minuti non escono, io vado a vedere che succede- dichiarò Georg.

 

-Non ti permettere- sibilò la ragazza. -Lasciagli un pò di intimità, e che cavolo!-

 

-Parla quella con l’orecchio incollato alla porta!-

 

-SSSHH!-

 

-Che dicono?- chiese Gustav, ansioso.

 

-Non sento niente!- bisbigliò lei.

 

Gustav accostò l’occhio al buco della serratura.

 

-Che succede?- chiese Georg.

 

-Stanno parlando- rispose il biondo.

 

-Non sento niente, zitti!- esclamò la ragazza.

 

-Fammi vedere- disse Georg

 

-No, dai... Georg, non spingere-

 

-Volete fare silenzio?- disse Sibylla a voce stentorea.

 

Erano tutti e tre attaccati alla porta, Georg e Gustav in lotta silenziosa per guardare attraverso il buco della serratura, Sibylla che origliava, incollata al legno per sentire meglio. Così, quando la porta si aprì di scatto, rotolarono tutti e tre ai piedi di Bill e Tom.

 

Sibylla li guardò dal basso in alto, e intuì che tutto doveva essere andato per il meglio.

 

-Non stavate spiando, vero?- chiese Bill.

 

-Solo loro due- confessò candidamente Sibylla. -Io origliavo-

 

Bill rise, e l’aiutò a rialzarsi. Era a volto scoperto, e non battè ciglio agli sguardi di Georg e Gustav.

Tom era un passo dietro di lui. E sorrideva.

 

-Ragazzi- Bill richiamò l’attenzione dei presenti. -Ho l’onore di farvi un annuncio molto importante-

 

-Brutto o bello?- chiese ironicamente Gustav.

 

-Speciale. Se siete d’accordo, e a meno che non mi sbagli di grosso, i Tokio Hotel stanno per tornare in vetta alle classifiche-

 

Calò il silenzio.

 

-Oddio, Bill! Dici sul serio? Hai deciso di farlo!- domandò Gustav, per primo.

 

-Si- assentì lui. -Lo desidero con tutto me stesso. Ragazzi... siete con me?-

 

Georg e Gustav annuirono.

 

-Siamo con te, Bill-

 

-Lo siamo sempre stati-

 

Lui annuì, felice.

 

-Grazie. E ora... perchè non tornate dentro? Così possiamo parlare sul serio del nuovo album... e magari poi vi faccio sentire le canzoni che ho scritto in questi anni-

 

-Hai scritto delle canzoni?-

 

-Musica e parole, miei cari-

 

-Cioè hai imparato a suonare uno strumento?-

 

-Il pianoforte. E comunque lo sapevo suonare anche prima!-

 

-Si, caro. Nei tuoi sogni-

 

-Ehi!- esclamò Bill, offeso.

 

I ragazzi risero, e rientrarono nel salone. Tom li seguì, non prima di aver cercato la mano di Sibylla e di averla stretta per un secondo, lanciandole uno sguardo intenso. Bill gli sorrise (un sorriso speciale, il sorriso di una persona che ha ritrovato la sua perfetta metà), interpretando erroneamente quel cenno di solidarietà come l’inizio di un rapporto di amicizia tra i due, poi gli chiuse la porta alle spalle.

 

     

 

Sibylla era rimasta in disparte, mentre i ragazzi parlavano. Il suo viso era in ombra, quando Bill lo cercò con lo sguardo.

 

-Amore!- esclamò lui. -Hai visto? Ce l’ho fatta! Tornerò a cantare!-

 

-E’ meraviglioso, Bill- rispose lei in tono gentile ma distaccato.

 

Era appoggiata al muro, immobile. Bill le andò vicino, stupito dalla sua reazione così fredda.

 

-Non sei contenta?-

 

-Tanto-

 

-Ah. Bè... non sembra...-

 

-Sono contenta- la sua voce era leggermente forzata, come se stesse trattenendo le lacrime.

 

Bill l’attirò a se, fuori dalla zona d’ombra nella quale la ragazza stava. Una lama di luce le colpì il viso, che le si contrasse in una smorfia.

 

-Che succede?- chiese il ragazzo, preoccupato.

 

A un tratto lei gli gettò le braccia al collo. Lacrime bollenti cominciarono a rigarle le guance. Lui la strinse a se automaticamente, spaventato.

 

-Oddio... Sibylla, che succede?- ripetè con voce piena di angoscia.

 

-E’ ora che io vada- gli sussurrò lei all’orecchio, in risposta

 

-Ma come...-

 

-Non posso restare con te-

 

-Ma... non mi ami più?-

 

-Ti amo da morire. E’ per questo che devo andarmene-

 

-COSA?-

 

-Me ne devo andare- ripetè lei. Nonostante le lacrime, la sua voce era ferma e piena di una pacatezza innaturale per lei.

 

-Ma perchè?-

 

-Perchè tu hai un solo amore. E non sono io-

 

-Ma di che parli? Io ti amo!-

 

-Sono certa che tu lo pensi. Ma in realtà tu... tu ami solo la musica. Ho visto come ti si sono illuminati gli occhi, mentre parlavi delle tue canzoni. Ti ho visto suonarle e cantarle-

 

-Ma sei gelosa? Della mia musica?-

 

-Io... non posso farcela. Credimi, quando ti dico che non amerai mai nient’altro al mondo così intensamente-

 

-Sibylla... secondo questo ragionamento io dovrei rimanere solo per sempre-

 

-No... un giorno troverai qualcuno. Ma non sarò io. Io... io ti amo troppo. E sono troppo egoista per dividerti con nessuno... e con niente-

 

-Mi stai lasciando? Mi stai lasciando sul serio?-

 

-Scusami-

 

-Avevi detto che saresti rimasta con me per sempre!-

 

-Scusami-

 

-L’altra notte non significava niente per te, allora?-

 

-Ha significato moltissimo. E’ stata la notte più bella della mia vita. E io... io la ricorderò sempre. Ma sono troppo stupida, troppo egoista, troppo gelosa... non posso restare con te-

 

-Sibylla- Bill disse solo il suo nome.

 

-Per favore, non rendermi questo ancora più difficile-

 

-Sibylla- ripetè lui.

 

-Lasciami andare... per favore. Sai anche tu che è giusto così-

 

-Sibylla- disse il suo nome per la terza volta, con intensità dolorosa.

 

Lei si staccò da lui, rabbiosamente.

 

-Ti prego, riflettici un attimo. I vostri fans sono cambiati, voi siete cambiati. E’ ovvio che nessuno vi seguirà più per le vostre belle faccette. Voi dovete dare il meglio, il meglio dal punto di vista delle canzoni... e per farlo tu devi dedicarti totalmente alla musica. Credevi che il successo sarebbe tornato così, gratutitamente, facilmente? E’ questo il prezzo da pagare per ritornare sulla cresta dell’onda. Ti prego... chiediti cosa intendi dire quando dici “ti amo”. Chiediti se non è solo un impulso dettato dalla gratitudine nei miei confronti. E poi domandati cosa ti ha sempre dato felicità. Domandati qual’è il tuo unico amore. Domandati che cosa scegliere. E risponditi con sincerità-

 

Dopo questa infuocata orazione restò a guardarlo, silenziosa, a un passo da lui.

 

Stranamente, Bill non rispose subito.

 

Sibylla non avrebbe mai creduto di poter conoscere una sensazione simile: straziante serenità. Qualcosa, nel suo cuore, moriva in perfetto silenzio.

 

Passarono alcuni, lunghi minuti.

 

Quando Bill l’abbracciò, accarezzandole i capelli, attraverso la delicatezza spassionata di quel tocco, Sibylla capì di aver vinto la sua battaglia. Chiuse gli occhi e si strinse a lui un pò di più, poggiandogli la guancia sulla spalla.

 

-Mi mancherai- gli sussurrò all’orecchio.

 

-Anche a me-

 

-Penserai a me, qualche volta?-

 

-Si-

 

Sibylla annuì: chiedere un “sempre”, come risposta, sarebbe stato inutile.

 

-Ora devo andare- mormorò.

 

-Grazie di tutto, Sibylla-

 

Lei annuì nuovamente. Si sciolse dal suo abbraccio.

 

-Comprerò tutti i vostri album- promise. -La vostra è la musica più bella che abbia mai sentito-

 

Sembrò sul punto di aggiungere qualcosa a commiato, ma il suo viso si contrasse di nuovo in una smorfia di dolore. Girò sui tacchi e si avviò nel corridoio, con la sensazione di essere invecchiata in dieci secondi di dieci anni.

 

Bill restò a guardarla: si era appena voltata, e già apparteneva al suo passato. Il cuore gli traboccava di riconoscenza nei confronti della ragazza per avergli consentito di rendersene conto.

 

Sibylla lo aveva salvato dall’oscurità e ora il senso di colpa lo tormentava: lei si era veramente innamorata di lui e lui l’amava... forse aveva cominciato ad amarla per gratitudine, ma l’amava. Non abbastanza per cambiare qualcosa, ma abbastanza per far soffrire entrambi.

 

Bill la osservò percorrere il corridoio. Si obbligò a gridare il suo nome.

 

-Sibylla!-

 

Lei si voltò. Il suo viso era una maschera di sofferenza.

 

-Che cosa c’è, Bill?- chiese dolcemente.

 

-Resta con me-

 

-Bill...-

 

-Resta con me-

 

-Ti prego...-

 

-Io ti amo. Per favore, resta con me-

 

Sibylla chiuse gli occhi e tacque a lungo. Poi li riaprì, ed erano pieni di gentilezza.

 

-No-

 

Il suo rifiuto gli fece più male di quanto si sarebbe mai aspettato.

 

-Va bene- mormorò lui.

 

Lei annuì leggermente. La voce di Bill la fermò, mentre si stava di nuovo voltando verso la porta.

 

-Vorresti... vorresti darmi un bacio?-

 

Sibylla abbozzò un sorriso.

 

-E’ meglio di no- disse in tono di scusa. -Buona fortuna-

 

Bill serrò le labbra e annuì, incassando il colpo.

 

-Allora solo un’ultima cosa. Se ti chiamerò... solo per una volta... verrai?-

 

A sorpresa, Sibylla riuscì a sorridere

 

-Verrò-

 

Si voltò e girò l’angolo del corridoio. Quando scomparve dalla sua vista, Bill iniziò a piangere in silenzio.

 

Ma fu un pianto di rinascita.

 

 

 

 

Mi presento a voi lettori con il capo cosparso di cenere per questo capitolo. Non è il capitolo finale, ce ne sarà un altro e un piccolo epilogo.

So che molti elementi della fic facevano pensare a un finale felice (Bill e Sibylla che vissero per sempre felici e contenti) e anche io pensavo di inserirlo.

Ora, perchè ho voluto così? Perchè sono perfettamente d’accordo con Sibylla. La fine della loro storia d’amore è il prezzo da pagare perchè Bill sia davvero felice, dal momento che la sua felicità è strettamente legata a due elementi: Tom e la musica.

E la presenza di Sibylla, in qualche modo, secondo me, esclude l’uno e l’altra: è ovvio che lei e Tom non potranno mai avere un rapporto normale e nessuna donna non potrà mai sostituire la musica nel cuore di Bill.

Mentre scrivevo questo capitolo mi sono improvvisamente resa conto che Sibylla era diventata un personaggio “scomodo”. Diciamo che aveva fatto il suo tempo.

Che nessuno pensi che io reputi Bill una persona superficiale, che dice una cosa ma ne pensa un’altra, perchè nella mia storia, lui è il primo a essere convinto di amare Sibylla.

Bè, che dire? Mi dispiace molto per aver dovuto scrivere questo capitolo. Vi chiedo scusa. Spero che non cancellerete “Schönheit” dai preferiti prima di leggere la fine della storia. E spero soprattutto che siate clementi nelle recensioni.

Saluti e al prossimo capitolo.

PS: un piccolo chiarimento sul titolo. “Apocalisse” in greco vuol dire rinascita. Fine di una cosa e inizio di un’altra. Sibylla appartiene al passato per Bill: lasciarla andare è stato il modo per ricominciare a vivere e ad amare.

Baci da Facy.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Monsoon girl ***


 

 

Cap. 21: Monsoon girl

 

 

Dicono che il tempo sia guaritore di ogni ferita. Ma è la musica a sanare le mie.

 

(31 luglio 2012, Rajahstan)

 

     

 

Il sedile era comodo e il rombo dell’aereo quasi impercettibile. L’abitacolo del velivolo era affollato.

 

Hostess che percorrevano i corridoi, agili sui loro tacchi e sorridenti nelle loro uniformi,  manager con gli auricolari e il portatile, famigliole chiassose con bambini piccoli, ragazzi e ragazze biondi, dall’aria tipicamente tedesca (calzoncini corti, sandali e calzini di lana... probabilmente avevano nel bagagliaio grossi zaini da campeggiatore), belle donne indiane in sahri accompagnate dai loro mariti sik...

 

Nessuno notò la ragazza bruna seduta in disparte vicino al finestrino: jeans e t-shirt azzurra, i capelli raccolti in una lunga treccia, con un paio di occhiali da studentessa dalla montatura sottile e un libricino rilegato in pelle nera tra le mani.

 

Sibylla rilesse quelle due frasi accompagnate dal luogo e dalla data in cui erano state scritte.

 

Quelle parole erano segnate in corsivo sulla sua agenda, alla pagina del giorno del suo compleanno. Aveva festeggiato i suoi ventitré anni da sola, seduta su una panchina in riva al lago Pichola, sull’isolotto lussureggiante dove sorge il Palazzo di Jag Mandir.

 

In India.

 

Aveva trascorso lì sei mesi della sua vita.

 

     

 

(Sei mesi prima)

 

Sibylla sussultò e si tirò a sedere di scatto. L’aveva destata il suono stridulo e imperioso del campanello.

 

Si alzò: aveva gli occhi pesti e le girava la testa. Uscì dalla camera da letto e guardò attraverso lo spioncino: non si fidava più a far entrare sconosciuti in casa sua.

 

Era il postino: la ragazza aprì.

 

-Fräulein Darenbaum?-

 

-S-s-s-ono io...- sbadigliò Sibylla.

 

-Un pacco per lei-

 

Sibylla firmò una ricevuta e ritirò un pesante pacchetto incartato nel celophane, con il marchio delle Poste Tedesche stampigliato sopra. Salutò il postino e andò in cucina: si versò un bicchiere di latte, si sedette al tavolo ed esaminò attentamente il pacco.

 

Non c’era mittente, nè un biglietto, nè un cartoncino di auguri: e comunque mancavano ancora diversi mesi al suo compleanno.

 

Sorseggiò un pò di latte e infine cedette alla curiosità e strappò cartone e celophane.

 

Davanti ai suoi occhi sbalorditi apparve l’argento del cofanetto marocchino di Angelika... quel cofanetto che lei aveva minacciato di gettare nel fuoco pochi giorni prima... sembrava fossero passati anni.

 

Posò delicatamente la mano sopra gli arabeschi finemente lavorati a sbalzo. Le sue dita indugiarono sul fermaglio che chiudeva lo scrigno... e infine lo aprirono.

 

Banconote di grosso taglio, ordinate in decine di grosse mazzette, avvolte dalla fascetta della banca. Una cifra incalcolabile, più di quanto Sibylla avesse mai visto o anche solo immaginato.

 

Il prezzo del tradimento. Il soldo di Giuda.

 

Sibylla ritrasse le dita e chiuse velocemente lo scrigno.

 

Lottò contro l’istinto di correre al telefono e di chiamare la sorella. Non c’era niente da chiarire: Angelika le aveva spedito il denaro che aveva ricevuto per aver venduto Bill alla stampa.

 

Il suo primo impulso fu quello di alzarsi, accendere il fornello e fare di quel denaro sporco un allegro falò. Oppure di rispedirlo a casa della sorella, o magari di mandarlo a Bill, come risarcimento della sua dolorosa esperienza.

 

Ma questo lo avrebbe fatto solo la vecchia Sibylla, la ragazzina impulsiva e chiacchierona, insicura di se e sempre ansiosa di compiacere gli altri: la nuova, saggia Sibylla rimase a guardare la scatola d’argento, riflettendo.

 

Anche lei aveva sofferto. Anzi, forse aveva sofferto più di tutti. Almeno a Bill restavano la musica, Tom, i suoi amici: ed era stata lei l’artefice di tutto questo.

 

Aveva lavorato tanto per la felicità degli altri, e si era ritrovata con un pugno di mosche in mano. Era arrivato il momento di un pò di sano egoismo: anche lei aveva diritto a un premio.

 

Ma non voleva spendere quei soldi per gioielli o vestiti. Avrebbe... avrebbe esaudito un suo desiderio. Si, avrebbe fatto così: quel denaro era stato il movente per causare tanta sofferenza e lei lo avrebbe utilizzato per un brandello di felicità che sentiva di meritare.

 

Perciò depose i sensi di colpa e, ridendo come una bambina, corse in camera: prese una sedia, salì sull’armadio e tirò giù un vecchissimo mappamondo impolverato.

 

Un viaggio... gli scrittori ottocenteschi insegnavano che non c’era migliore cura per le pene d’amore, e poi erano anni che non usciva dalla Germania. Per una volta in tutta la sua vita volle togliersi lo sfizio di far ruotare il mappamondo e puntare il dito a caso su uno stato qualsiasi, a occhi chiusi.

 

La stranezza dei casi della vita volle farle scegliere la terra dei monsoni.

 

     

 

Attenzione, prego: avviso ai signori passeggeri: ultima chiamata per il volo Lufthansa

Hannover-New Dehli delle 9.30. Ultima chiamata per il volo Lufthansa Hannover-New Dehli delle 9.30. Presentarsi immediatamente al Terminal 8. Presentarsi immediatamente al Terminal 8.

 

     

 

La voce metallica, distorta dagli altoparlanti, riecheggiò in tutto l’aeroporto.

 

Sibylla sospirò e si staccò malvolentieri dalla vetrina del Duty Free. Si calcò il basco di velluto a coste nero sullo chignon basso con il quale aveva morbidamente raccolto i capelli, si aggiustò la lunga sciarpa rossa di lana traforata e  afferrò la maniglia del suo enorme trolley.

 

Giunta al Terminal frugò nelle tasche del soprabito nero e consegnò il biglietto e il passaporto alla hostess: le fu permesso di attraversare la barriera.

 

Altri passeggeri la seguirono, l’oltrepassavano, avviandosi lungo il corridoio rivestito di mouquette grigioverde che portava alla pista di atterraggio: Sibylla si era voltata, e guardava oltre l’entrata del Terminal, immobile.

 

Si era ripromessa di non farlo: non avrebbe nutrito vane aspettative. Eppure in quel momento guardò la gente oltre la barriera, scandagliò la folla, scrutò ogni viso, nella speranza di incrociare con lo sguardo una figura snella, una maschera, dei capelli corvini, degli occhi nocciola...

 

Doveva venire... doveva sentire quanto lei lo desiderasse... in qualche modo doveva riuscire a capirlo... era stato un errore lasciarlo... lei lo amava ancora, oh se lo amava!... doveva venire...

 

-AHI!-

 

Un uomo abbastanza giovane, ventiquattr’ore e completo gessato grigio scuro a righine bianche, l’aveva urtata, facendola barcollare e strillare di dolore. Si voltò, mostrando un viso dalla mascella molto pronunciata, si scusò a mezza voce senza neanche guardarla e se ne andò.

 

Sibylla rimase a massaggiarsi la spalla, fissandolo con odio. Nell’urto si era appoggiata al trolley per non cadere e quello era rovinato a terra. Si chinò, l’afferrò per la maniglia e lo rimise dritto.

 

Lanciò un ultimo sguardo alla folla, senza vera convinzione. Restò a bocca aperta dallo stupore.

 

Una donna robusta sui trentacinque, i capelli tinti di un biondo volgare con la ricrescita scura, la guardava da oltre la barriera.

 

Era una donna non bella, di aspetto dozzinale. Indossava abiti di grandi magazzini: una gonna arancione con le cuciture tirate sui fianchi massicci e una camicia color panna di un tessuto lucido e sintetico. Stringeva una borsa di finta pelle marrone. I lineamenti regolari erano distorti da una radicale depilazione alle sopracciglia e da un trucco pesante. Solo gli occhi erano bellissimi, grandi, scuri, orlati di ciglia lunghe e folte.

 

Sostennero senza timore lo sguardo di quelli di Sibylla, identici.

 

Sibylla restò a guardarla, il nodo che le stringeva la gola in contrasto con la strana serenità che la pervadeva. La barriera di plexiglass che divideva le due sorelle divenne il simbolo del muro che si era innalzato tra di loro nell’ultima settimana. Un muro che entrambe non avevano più la forza nè la voglia di abbattere.

 

-Fräulein... prego...-

 

Una giovane donna in uniforme blu, dal viso punteggiato di lentiggini, i capelli rosso fiamma annodati strettamente sotto il berretto della divisa della compagnia aerea, l’aveva toccata leggermente sulla spalla, invitandola a proseguire lungo il corridoio. Il Terminal era stato appena chiuso... il volo era in partenza.

 

-Scusi...- mormorò Sibylla, confusa. -Si... vengo subito-

 

Lanciò un ultima occhiata alla sorella, lontana oltre il plexiglass. Con istinto di preveggenza che onorava il suo nome, Sibylla capì che quella era l’ultima volta che vedeva Angelika.

 

Le salirono le lacrime agli occhi. Il suo volto fu attraversato da un sorriso che era anche una smorfia di dolore: l’ultimo saluto per una sorella amata. Angelika non dette alcun cenno di risposta: si limitò a guardarla con quegli occhi bellissimi, l’ultima parte di lei che non era stata distrutta dalla violenza e dalla meschineria di una vita troppo crudele per una donna troppo fragile.

 

- Fräulein-

 

La giovane hostess dai capelli rossi la chiamò nuovamente, in tono gentile ma fermo.

 

-Arrivo- rispose Sibylla, con voce altrettanto cortese.

 

Un ultimo sguardo, poi si voltò e camminò lungo il corridoio dalle pareti bianche. Salì sul pulmino che attraversava la pista di atterraggio, si imbarcò con gli altri passeggeri sull’aereo. Due mesi dopo le sarebbe arrivata la notizia del suicidio della sorella. Angelika era riuscita a sfuggire a se stessa e all’uomo miserabile che amava, nell’unico modo che le era ancora possibile.

 

     

 

La città di Udaipur è detta “la perla del Rajahstan”. I suoi confini sono segnati da tre laghi che, come una cintura di lapislazzuli alla vita di una bellissima indiana, la circondano: isolotti lussureggianti di vegetazione emergono dalle profondità cristalline delle acque calme del lago Pichola, il più bello dei tre.

 

Sibylla alloggiava in un albergo, piccolo ma lussuoso, che sorgeva su uno di questi, quando, tre mesi dopo, una lettera a lei indirizzata arrivò in India.

 

-Miss! Miss Darenbaum!-

 

La ragazza, che era appena entrata nella hall dell’albergo, si voltò. Chiuse l’ombrello gocciolante e lo ripose nel portaombrelli: fuori infuriava il monsone. Il portiere l’aveva appena chiamata e le faceva segno di avvicinarsi a lui. Sibylla andò alla reception, e fu accolta da un radioso sorriso dell’uomo.

 

-Buongiorno...- lo salutò Sibylla, guardandolo interrogativamente.

 

-Ci sono una lettera e un pacchetto per lei dalla Germania-

 

-Oh...- mormorò Sibylla.

 

-Pensavo volesse leggerla subito, così l’ho tenuta da parte senza darla al boy per la consegna della posta in camera-

 

L’uomo era evidentemente molto orgoglioso di se, e le porse la lettera con un altro dei suoi candidi sorrisi che gli illuminavano il viso bruno dai lineamenti ben disegnati. Sibylla non ricambiò il sorriso, e prese il pacchetto e la lettera senza guardarlo: l’ultima missiva dalla Germania le aveva portato la notizia della morte di Angelika.

 

Con un leggero tremito nelle mani voltò la lettera per leggere il mittente. Impallidì così vistosamente che il portiere le chiese, preoccupato:

 

-Non cattive notizie, vero?-

 

-Oh... n-no- balbettò Sibylla -No, no!- esclamò poi, mentre un sorriso enorme le si disegnava in volto. -Oh, mio dio...- invocò, con gli occhi rivolti al cielo.

 

Girò sui tacchi, e corse in giardino, stringendosi il pacchetto e la lettera ancora sigillata al petto, per proteggerla dalla pioggia. Si insinuò tra le piante rigogliose, dalle foglie lucide di acqua, si abbassò per passare sotto le fronde verdissime dei salici piangenti, che sfioravano l’erba tagliata all’inglese, si ferì per oltrepassare cespugli lussureggianti di fiori variopinti e spine acute, e finalmente trovò quello che cercava.

 

Una magnolia dai fiori candidi, il tronco avviluppato dai rampicanti gettava un ombra umida e profumata su una panchina in riva al lago. La superficie dell’acqua, solitamente calma, era battuta dalla pioggia, che gocciolava anche dalle fronde dell’albero: sotto la magnolia invece non ne arrivava una goccia. Sibylla si sedette.

 

Il respiro ansimante, i vestiti e i capelli fradici, la giovane posò il pacchetto accanto a lei e abbassò nuovamente lo sguardo sul mittente della lettera. Lo rilesse, ridendo di gioia.

 

Herr Wilhelm Kaulitz

5 Fluss-Straße

Ricklingen (Hannover, DE)

 

Bill le aveva scritto... Bill l’amava ancora!

 

     

 

Quando aprì la lettera cominciò a piangere dalla delusione: il foglio all’interno della busta era piegato in quattro e quando Sibylla lisciò la prima piegatura le apparve un piccolo paragrafo vergato in una scrittura sconosciuta, appuntita, irregolare, dalle lettere alte e strette... non certo quella di Bill.

 

Ciao, Sibylla!

Spero che tu ti stia divertendo in India... noi ci siamo ammazzati di lavoro tutti i santi giorni, Bill è diventato ancora più perfezionista (leggi: “sfiancante e pignolo”), ma ha scritto delle canzoni bellissime, durante questi quattro anni, quindi lo abbiamo perdonato volentieri. Volevo solamente ringraziarti per tutto quello che hai fatto per il gruppo e per Bill, e augurarti tanta, tanta felicità.

Un bacio da Georg.

PS: non metterti a leggere questa lettera piangendo su una panchina in riva a un lago, al riparo di un albero, mentre piove, eh! Ciao!

 

Sibylla alzò gli occhi dalla lettera, allibita. Pioveva, lei stava al riparo di un albero, su una panchina in riva al lago... e piangeva. Forse Georg aveva doti di preveggenza?

 

Abbassò lo sguardo e aprì la seconda piegatura del foglio: una scrittura regolare e dritta.

 

Cara Sibylla

come va? Noi stiamo tutti bene, anche se affaticati: in questi mesi abbiamo lavorato  parecchio alle nuove canzoni e ci siamo divisi tra la sala di incisione e la cucina della villa di Bill. L’album è  finito e dovrebbe uscire tra un mese: abbiamo deciso di non investire cifre enormi in trovate pubblicitarie, questa volta la gente dovrà apprezzarci solo per la nostra musica. Ti siamo tutti molto grati, buona fortuna per il futuro

tuo Gustav.

PS: non dare retta alle stupidaggini che ha scritto Georg: una volta ha visto un dramma di Bollywood e la protagonista non faceva che singhiozzare sulle panchine, leggendo lettere d’amore. Quel film deve avergli bloccato la crescita. Ti abbraccio!

 

Sibylla sorrise tra le lacrime, leggermente risollevata. Spiegò la terza parte del foglio e cominciò a leggere il paragrafo di scrittura ordinata e pulita.

 

Sibylla

so di averti fatto molto male, e non solo dal punto di vista fisico. Mesi fa non ho avuto l’occasione per dirti quanto mi dispiace e quanto ti sono grato per non avermi portato rancore. Sei una persona bellissima, e hai fatto del bene a mio fratello quando io non ho potuto. Ho spedito una lettera allo studio in cui lavori, elogiando il tuo impegno e i tuoi meriti nel caso di Bill: spero che basti per farti riottenere il lavoro. Grazie di cuore. Sii felice.

Tom.

 

Sibylla annuì leggermente, sorridendo a un immaginario interlocutore. Si era completamente dimenticata del fatto di essere disoccupata... aveva anche completamente scordato quel progetto di mesi prima di chiedere del denaro a Bill, in cambio del suggerimento del nuovo album... quel progetto che l’aveva fatta sentire così spregevole...

 

Guardò la lettera: mancava un’ultima parte di foglio, piegata e nascosta. La ragazza serrò le labbra, ricacciando indietro le lacrime e spiegò la quarta parte.

 

Era completamente bianca. Bill non le aveva scritto nemmeno una parola.

 

     

 

La pioggia si era calmata e tamburellava quietamente sulle foglie della magnolia. Sibylla restò ad ascoltarla, immobile. La musicalità delle gocce di pioggia era stata la colonna sonora dell’unica notte che lei e Bill avevano condiviso. Non voleva altro che quello... solo sentire il suono della pioggia, guardare i grandi fiori di loto rosati che galleggiavano sulla superfice del lago, inspirare l’odore umido della natura, sentire sotto le dita la freschezza dell’erba, la morbidezza dei petali dei fiori... desiderava solo che il monsone continuasse per sempre, costringendola a restare in eterno lì, immobile, senza affrontare il dolore e la paura...

 

Sibylla si portò una mano al volto in fiamme, e chiuse gli occhi. Improvvisamente si sentiva molto stanca. Volle adagiarsi sulla panchina per riposare, ma urtò contro qualcosa di duro e aprì gli occhi di scatto. Le sue dita cercarono frenetiche, strapparono, aprirono, afferrarono: dentro il pacchetto arrivato, avvolto nella carta gialla delle Poste, insieme alla lettera, c’era un piccolo I-pod argentato con gli auricolari arrotolati intorno.

 

Indossò le cuffiette e accese il lettore musicale: c’era un unico album in memoria.

 

“Araberin Phönix” (Tokio Hotel)

 

     

 

Durante l’ora successiva, Sibylla arrivò a credere di essere stata rapita da un angelo e di star volando verso il paradiso.

 

Un ventaglio di emozioni mai conosciute le si apriva davanti e le bastava una battuta nella musica, un’inflessione nel cantato, per esserne pervasa. Il suo cuore batteva con un ritmo regolare e solenne, intenso.

 

Aveva chiuso gli occhi per non percepire altro che musica. Non esisteva altro che musica

 

Se i primi lavori dei Tokio Hotel erano stati bellissimi, questo nuovo album rappresentava qualcosa di straordinario... Sibylla non aveva mai sentito niente di simile. Quattordici canzoni, tutte in tedesco. Quattordici canzoni che le asciugarono le lacrime dalle guance, che gliene fecero versare di nuove, che le disegnarono sul volto una risata, una smorfia di dolore, un sorriso. Quattordici canzoni indescrivibili.

 

Quando Sibylla giunse alla quattordicesima traccia dell’album, nelle sue orecchie fiorì delicatamente una melodia suonata al pianoforte. Un preludio, pieno di passione e dolcezza. Una pausa e la voce di Bill, solista in quell’ultima canzone, cominciò a cantare, dolce e bassa, in un calmo suono d’amore. Un crescendo di accordi, una scala ascendente al pianoforte e la disperazione rubò il posto alla serenità: spontanei singhiozzi e dolore nella voce del cantante, vorticante terrore nella melodia... la voce di Bill crebbe nel cambio di tonalità, e discese in una cascata armoniosa e terribile, che ricordava la caduta di Lucifero all’inferno... un lamento straziante d’amor perduto e poi un diminuendo, la rassegnazione, la quiete dopo la tempesta... infine, le ultime note, le ultime parole cantate in un accento di dolce speranza.

 

E poi, il silenzio.

 

Sibylla aprì gli occhi: la musica era finita, ma l’incantesimo non si era spezzato... qualcosa rimaneva, qualcosa che la spinse ad abbassare gli occhi, cercando il nome dell’ultima canzone. Quando lo lesse, capì che la lettera di Bill era stata quella canzone: ogni cosa che lui le voleva dire gliel’aveva appena cantata all’orecchio.

 

La canzone si chiamava “Sibylla”.

 

     

 

(Tre mesi dopo)

 

Le ruote dell’aereo toccarono terra con un rumore sordo. L’intero velivolo ondeggiò leggermente nell’impatto e, dopo la corsa lungo la pista di atterraggio, si fermò, con grande sollievo dei passeggeri.

 

L’eterogenea folla che aveva occupato l’abitacolo dell’aereo sciamò giù dalla scaletta, senza disdegnare le strette di mano del capitano e del secondo pilota e i saluti delle hostess. La ragazza bruna, con il volto da occidentale e la lunga treccia da indiana, recuperò lo zaino dal bagagliaio sopra i sedili e scese per ultima, salutando con un sorriso silenzioso l’equipaggio.

 

Una volta recuperato il trolley, Sibylla girovagò un pochino per i negozi del grande aeroporto: non aveva molta voglia di uscire... in qualche modo le sembrava di non essere ancora pronta per valicare la linea di confine della zona neutra del viaggio in India. Fuori l’attendeva il mondo, la vita vera, e lei non era ancora pronta.

 

Fece il conto dei soldi che le erano rimasti. Aveva utilizzato il denaro che le aveva inviato Angelika per il viaggio e il soggiorno in India: aveva speso quanto rimaneva in regali per amici e familiari, qualche cosuccia per se stessa, e le varie mance ed elemosine. Restavano solamente qualche centinaio di euro, e voleva spenderli tutti.

 

Entrò in un negozio di alta moda e comprò un tailleur attillato di seta, d’un bel punto di verde scuro, che donava ai suoi capelli sfumature color rame, e che ben si modellava sulle sue curve assottigliate dalla dissenteria che l’aveva colpita in India. Ci abbinò un paio di decolletè nere con il tacco e, in un momento di ispirazione, un paio di orecchini d’argento piuttosto grandi, ornati di pietre dure verdi.

 

Si osservò nello specchio della boutique con i nuovi vestiti indosso. Una ragazza elegante, bella... con qualcosa di incongruo, però. Sibylla si prese tra le dita la treccia bruna e la esaminò: da sciolti, i capelli le sfioravano la piega del gomito e, insieme ai suoi occhi innocenti, continuavano a farla sembrare una bambina con addosso i vestiti della mamma.

 

Uscì dal negozio e diresse con decisione verso un altro, che aveva notato in precedenza: spinse la porta a vetri, ed entrò.

 

Quando uscì, una corrente d’aria arrivata da chissà dove le scompigliò un caschetto alla Audrey Hepburn che le metteva in risalto il collo sottile, gli zigomi alti e gli occhi grandi... quando si guardò di sfuggita, riflessa in una vetrina, per la prima volta in tutta la sua vita, non vide nè la ragazzina impulsiva e innamorata dei mesi passati, nè la malinconica ragazza dei monsoni.

 

Per la prima volta, vide una donna.

 

     

 

Un trillo proveniente dalla sua borsa la fece sobbalzare. Tirò la cerniera e afferrò il cellulare.

 

You have a new message” si disse, leggermente scocciata. Stava chiudendo un capitolo della sua vita, il mondo non poteva avere un attimo di pazienza, prima di reclamarla di nuovo?

 

Lo sportellino dell’infernale macchinetta si aprì con un piccolo scatto. Sibylla premette il tasto che consentiva di visualizzare il testo del nuovo sms. Era molto breve.

 

Domani, alle 10, davanti alla villa.

Verrai?

 

Non ebbe bisogno di leggere il mittente del messaggio. Non aveva dimenticato la promessa fatta a Bill, sei mesi prima. Le sue dita premettero automaticamente i tasti giusti, e rispose con un sms altrettanto conciso:

 

Verrò.

 

 

 

 

 

CIAO A TUTTI! Eccomi con un nuovo capitolo, scusate ma non ho tempo per i ringraziamenti, un bacio generale e alla prossima!

 

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


 

 

 

Nota dell’autrice: questo capitolo è narrato in prima persona da Sibylla. Buona lettura!

 

 

 

Cap. 22: Epilogo

 

Un soffio di vento spira dolcemente tra le fronde degli alberi, e fa tremare le foglie verdi. Mi scosto una ciocca di capelli dagli occhi... non sono ancora abituata alla sensazione che procura l’avere il collo nudo.

 

Attendo, appoggiata alla portiera chiusa della macchina, le braccia incrociate strette al petto: mi godo il calore tiepido di una tarda mattina soleggiata di inizio settembre, il profumo intenso di erba appena tagliata, che arriva dai campi vicini, quello dolce delle acacie che crescono lungo la strada sterrata.

 

Attendo davanti al cancello della villa. Il silenzio è rotto appena dal canto delle cicale.

 

Apparentemente calma, in realtà il mio cuore batte forte, troppo forte... l’idea di rincontrare Bill, dopo tutti questi mesi, è esageratamente folle e assurda per poterla accettare con tranquillità.

 

Chiudo gli occhi per resistere meglio alla tentazione di guardare l’orologio... le mie dita ne tormentano il cinturino... certamente le dieci di mattina sono passate... perchè Bill non arriva?

 

Non so esattamente cosa aspettarmi, ho solo qualche indeterminato sospetto del motivo per cui lui mi abbia voluta qui. Non vorrei crearmi aspettative per la paura di essere delusa... ma come negare alla mia mente la possibilità di vagheggiare un abbraccio, un bacio, un’impossibile parola d’amore da parte di Bill?

 

-Bill...- mormoro il suo nome.

 

Bill mi ha amata solo per gratitudine? Sei mesi fa ne ero più che convinta, ma dopo aver ascoltato la canzone che porta il mio nome, come posso esserne certa? Il dubbio di aver commesso uno sbaglio, lasciandolo, si è insinuato nel mio cuore.

 

Il lasso di tempo del viaggio in India è stato un momento di “irrealtà”... una concessione che mi ero fatta per non pensare a niente, per vivere la mia vita dall’esterno, per ritardare il momento in cui avrei pianto per Angelika, mi sarei preoccupata per i suoi figli, avrei pensato al mio lavoro e soprattutto avrei riflettuto su Bill.

 

Ma ora sono tornata. Ho pianto la morte di mia sorella. Ho ottenuto la custodia legale di Dominik e Katharina. Ho riottenuto il mio lavoro, grazie alla lettera di Tom.

 

Finalmente donna. Finalmente libera dalla vecchia me stessa. Eppure... manca ancora un tassello per completare il puzzle complesso della mia vita.

 

Bill è qui, a poche centinaia di metri da me. Sta per uscire dalla villa e io non so ancora come affrontarlo, cosa dirgli... non sono nemmeno più sicura di quello che provo per lui.

 

Come essere certi di un sentimento che ho cercato di frustrare in tutti i modi possibili e immaginabili? Come parlare d’amore, sapendo perfettamente di non avere alcuna possibilità, di non poter offrire niente, nessuna felicità paragonabile a quella che Bill trae dalla sua musica?

 

Improvvisamente, un suono familiare mi scuote dai miei pensieri: il noto cigolio del cancello corazzato che ruota sui cardini... qualcuno sta per uscire dalla villa.

 

Un vortice, una tempesta di sensazioni mi sommerge. Dubbi, paure... ansia... imbarazzo... il terrore di un altro addio... per contrasto, un’impossibile speranza... niente è certo, tutto ruota intorno a me, mi sento persa, sola... le vertigini mi assalgono, eppure rimango ferma, e guardo il cancello ruotare lentamente, a pochi metri da me.

 

La lastra di metallo rivela lentamente l’ombra creata dagli alberi all’interno del muro di cinta... nella penombra, una figura ancora più scura, alta e sottile. Una silhoutte nota e amata. Ma diversa. Sul nero non c’è più lo stacco cromatico della maschera bianca... nessuna chiazza di luce candida a nascondere il viso incorniciato dai capelli corvini.

 

La figura avanza e finalmente, in un lampo di comprensione accompagnato da un brivido, ricordo l’ultima volta che Bill è uscito dalla villa senza la maschera. E capisco.

 

Lui mi ha voluta qui nel momento più difficile... la prova, la sfida finale contro se stesso, le sue paure, il suo passato. Mi ha desiderata al suo fianco prima di affrontare il mondo intero e di tornare ad incantarlo con la sua voce. E io sono venuta.

 

Le note di quella canzone... della mia canzone... accompagnano nella mia mente i miei passi verso il cancello dal quale Bill sta uscendo.

 

Il sole brilla sui suoi capelli. Quando finalmente arriva ad illuminare il suo volto, sorrido, commossa.

 

E’ bellissimo.

 

 

FINE

 

 

 

 

Eccomi a voi con l’ultimo capitolo di Schönheit. Spero ardentemente che vi sia piaciuto. E spero che non me ne vogliate per una conclusione così enigmatica.

Ma in fin dei conti, vi starete chiedendo, Sibylla e Bill tornano insieme o no? Io penso di si. Penso che il loro amore abbia trionfato. Ma voi siete liberi di interpretare quest’ultimo capitolo come meglio credete.

Un’altra cosa, un’altra domanda che vi starà ronzando in testa... cosa significa l’ultima frase (“è bellissimo”)? Forse Bill è riuscito finalmente a trovare il modo di riavere un viso normale? Una miracolosa operazione di chirurgia plastica, un nuovo ritrovato della medicina? O è semplicemente l’amore sconfinato che Sibylla prova nei suoi confronti a farglielo apparire bellissimo?

Inutile dire che io propendo per la seconda ipotesi... del resto “la bellezza è negli occhi di chi guarda” e questa frase mi ha accompagnata per tutta la stesura di questa fanfiction.

Vorrei ringraziare specialmente gli autori delle 291 recensioni che sono state lasciate a questa fanfiction (siete grandi e vi adoro) e le 91 persone che l’hanno inserita nei preferiti:

 

1 - Aika_chan

2 - angie83

3 - Anna_Writer

4 - Artemisia89

5 - Arumi_chan

6 - ayame90

7 - BADMXRECORD

8 - buonanotte

9 - CAMiL92

10 - Colinde

11 - ElianaTitti

12 - elli_kaulitz

13 - ElyLaTeS

14 - Eowyn 21 10

15 - erda

16 - Fee17

17 - FrancescaKaulitz

18 - frau

19 - Freiheit

20 - GaaRa92

21 - Gaki

22 - hEiLig FuR ImMeR

23 - Helena89

24 - Hermyone

25 - I LoVe BiLl

26 - iaia2392

27 - Ichigo Shirogane

28 - ilenia91dorough

29 - INFINITY

30 - Ishtar

31 - kate35

32 - Kheth_el

33 - kikkadreamer

34 - kiku_san

35 - Kimiko Kaulitz

36 - Lally_the best

37 - Lauchan

38 - lepty

39 - Lidiuz93

40 - lilylemon

41 - linny93

42 - Lithia del Sud

43 - little devil

44 - LittleAngel

45 - Loribi

46 - lululu1993

47 - makistellina

48 - malatadidroga

49 - MalkContent

50 - Mandy Kaulitz

51 - MARINA KAULITZ

52 - Mecky88

53 - Meggyina

54 - Miss_Kaulitz

55 - mocci91

56 - Moony Magic

57 - Mustardgirl94

58 - natalia

59 - noirfabi

60 - Oo_cry_oO

61 - picchia

62 - Pikkola Tokietta

63 - PikkolaZoe95

64 - Pocia

65 - Principessa89

66 - Prinzesschen

67 - Purple Bullet

68 - Rogue17

69 - satanina

70 - simmyListing

71 - SiSi

72 - sole a mezzanotte

73 - SoRrOw PoEtEsS

74 - SpaceQueen13

75 - stefi

76 - susisango

77 - SusserCinderella

78 - tEiNa

79 - tokiohotellina95

80 - tokio_marti93

81 - tokitoki

82 - Torniquet

83 - Vitto_LF

84 - vivihotel

85 - vumeter313

86 - Whity

87 - _daydreamer_

88 - _Glossy_

89 - _IllusioN_

90 - _Marty94_

91 - _xXtokiettaXx_

 

 

 

 

Miei carissimi... mi è dispiaciuto dover scrivere la parola “fine”... le vostre recensioni mi hanno fatto sorridere, arrossire per i complimenti, riflettere sui miei errori... perciò, vedete di cliccare su “vuoi inserire una recensione?” e di scrivere le vostre opinioni (siate buoni) su quest’ultimo capitolo e su tutta la storia, anche se non avete mai recensito prima. Già che ci siete leggete anche le altre mie fic e commentatele.

Vi invio un bacio e vi saluto. Alla prossima fanfiction!

PS: quasi dimenticavo. Vorrei fare qualche altro ringraziamento:

 

-Mio amatissimo tigrottino, grazie per il tuo sostengo. Ti voglio un mondo di bene! La tua fanfiction è BELLISSIMA, continuala perchè ne vale seriamente la pena. Un bacio!

 

-David... tu, unica persona sulla faccia del pianeta ad aver avuto la possibilità di leggere i capitoli in antemprima... Senza di te questa fanfiction non sarebbe mai stata terminata e forse non sarebbe mai stata nemmeno inizata. Ci becchiamo, un bacio da Mick (^^)

 

-Tokio Hotel... ragazzi, ci si vede il 6 luglio! Grazie di tutto!

 

-Bill... non potrai mai leggere questa storia. Non saprai mai quanto ti amo. Ma sei la mia vita. Nient’altro da aggiungere.

 

 

CONTINUATE A LEBERE IL SEKUNDO, UN BACIO DA FACY!

 

 

 

 

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