Four Guys In Her Hair

di RubyChubb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Pregnant Man ***
Capitolo 2: *** Met This Girl ***
Capitolo 3: *** HELP! ***
Capitolo 4: *** Little Joanna ***
Capitolo 5: *** Down by the
Capitolo 6: *** Room on the 3rd floor ***
Capitolo 7: *** Not Alone ***
Capitolo 8: *** Born to.... RUN!!! ***
Capitolo 9: *** Crazy Little Thing Called... What??? ***
Capitolo 10: *** Too Close to Comfort ***
Capitolo 11: *** Don't Know Why... ***
Capitolo 12: *** Unsaid Things ***
Capitolo 13: *** She Falls Asleep - Part One ***
Capitolo 14: *** The Guy Who Turned Her Down ***
Capitolo 15: *** Silence is a Scary Sound ***
Capitolo 16: *** You've Got a Friend... ***
Capitolo 17: *** All About You ***
Capitolo 18: *** Sorry's Not Good Enough... But Sometimes It Is ***
Capitolo 19: *** Obviously ***
Capitolo 20: *** She Falls Asleep - Part Two ***
Capitolo 21: *** I Can't Stop Diggin' The Way You Make Me Feel ***



Capitolo 1
*** A Pregnant Man ***


Rieccomi qua! Come avevo detto, torno con una fanfiction su un gruppo appartentemente quasi sconosciuto in questa sezione. I McFly!
Conoscete? A parte qualcuna di voi, sicuramente la stragrande maggioranza non li avrà nemmeno mai sentiti nominare.
Piccola bio: sono inglesi, età 23-21 anni, simpatici e deficienti. Per chi è fan come me, sono semplicemente i McFly.
Stile musicale: avete presente i Tokio Hotel? Tutt'altra cosa XD (ed anche meglio... ma questa è un'altra storia XD)

Voglio presentarveli! Questi sono i Mcfly! E' la mia foto preferita che ho di loro (pochissime) ma ne ho anche una in versione... più seria... XD
Adesso ve li presento uno ad uno:
Tom Fletcher: cantante e chitarrista, se sentite una loro canzone è quello con la vocetta nasale e un po' stridula! Ma è tanto dolce, con quella sua bazzetta prominente XD
Danny Jones: altro cantante e altro chitarrista.... non fatevi ingannare dal suo bel faccino, è quello con la voce dura, da rocker... già mi viene caldo a pensarci... tra i quattro, è il mio preferito, indubbiamente, anche se nulla tolgo agli altri!
Dougie Poynter: il piciulo del gruppo! Bassista, stupidino, tanto dolce a vederlo!
Harry Judd: batterista, begli occhi XD secondo me ha la faccia da stronzetto...

Tanto per farvi capire che i McFly non sono i Tokio Hotel su cui ho scritto tanto (ci corre un abisso immenso), vi linko alcuni video, sperando che vi appassionino perchè son veramente ganzi! (che termine antiquato...)

I video deficienti (perchè son davvero deficienti questi qua):
 
Fatta questa dovuta premessa, passo alla prossima.
Questa storia è un esperimento, una prova, mi sono detta "Voglio provare a spaziare oltre i Tokio Hotel" e visto che questi quattro dementi mi stanno anche più simpatici dei crucchi, mi sono buttata. Non li conosco bene caratterialmente, quindi ho dato una mia interpretazione al loro modo di essere. Se ci fosse qualcuno che li conosce meglio di me e storce il naso, chiedo venia!
E chiedo pardon anche per la banalità delle evoluzioni future della trama... ancora non sono arrivata alla fase: incastriamo la vita di uno di loro con un libro di fantasia che mi ha segnato la vita XD ad ogni modo, spero che vi interesserà. E se farà schifo ditemelo, perchè tanto ne son già sicura!
Ah! Altra cosa! I dialoghi tra " e " riportati in corsivo sono in italiano. Scusate, ma piuttosto che ripetere ogni volta in quale lingua si parlano i personaggi, sono arrivata  a questa squallida e banalissima conclusione. (ve l'ho detto, è un esperimento nato male)
Ecco, fine delle ramanzine, adesso si passa ai fatti!!!


1. A Pregnant Man

 

Uscì, sbattendo involontariamente contro un signore in un cappotto verde oliva e cappello del medesimo colore.
Fai attenzione!”, sbottò l’uomo, “Dove guardi quando cammini?
Dal tono di voce che quell’uomo aveva usato capì che, oltre che essere molto incazzato, sicuramente gli aveva posto una domanda…
Ma lui era inglese al cento per cento, d’origine purosangue, stallone di paese monarchico… e non conosceva la lingua dell’altro. Non parlava nessuna lingua tranne l’inglese. Ah!, voulez vous coucher avec moi era sufficiente per poter dire di conoscere anche il francese. Quindi, anche se sicuramente quella era stata una domanda retorica, non seppe cosa rispondere.
“Ops… uhm… mi scusi…”, borbottò poi, lasciandolo perdere.
Camminò, coprendosi la gola con una spessa sciarpa nera, senza una meta precisa. Aveva solo fame, doveva riempirsi lo stomaco con qualche cosa, qualsiasi cosa commestibile, ed era quindi in cerca di un luogo dove poter fare colazione.
Si era alzato prestissimo per i suoi solito orari, ma non aveva molto tempo da perdere. Gli altri tre erano rimasti in hotel, nelle loro camere, forse avrebbero dormito fino alle quattro del pomeriggio ma lui, anche se aveva dei solchi giganteschi sotto gli occhi, arati alla perfezione dai continui spostamenti, si era costretto a svegliarsi.
Non ne aveva mai parlato veramente, ma aveva una certa passione per quel posto, per quella città. Per gli altri, era solo una delle tante altre in cui dovevano suonare… e ad essere sincero anche per lui. Non era interessato tanto alla storia, ai quadri, alle statue o al panorama, ma al fatto che, da piccolo, c’era già stato in vacanza e voleva vedere se tutto era ancora come se lo ricordava.
Quando gli avevano chiesto perché voleva anticipare l’arrivo in quella città ad una settimana prima il giorno del concerto, costringendo tutta il quartetto a piantarsi in quell’hotel, aveva detto: perché sono famoso e me lo posso permettere! Aveva poi tirato fuori un sorriso sornione ed avevano capito che la sua non era una pretesa da star della musica, ma solo una richiesta per lui speciale.
E poi gli altri erano voluti rimanere per forza bloccati per altrettanto tempo a Parigi, solo per visitare a fondo il quartiere del Mouline Rouge, quindi glielo concessero senza troppe storie. Lui, che non aveva potuto godere a fondo di quella vacanza francese, aveva chiesto la sua rivincita.
Erano verso la fine del tour promozionale del loro nuovo quarto album, durato sei mesi, che li aveva portati a suonare in quegli ultimi giorni anche in posti dove non erano mai stati. Non che avessero l’intenzione, con quegli shows, di allargare la loro platea. Più che altro quelle date erano state fissate, così come era successo per l’esibizione che ci sarebbe stata di lì a pochi giorni, grazie ai fans sparsi qua e là in tutta Europa, che si erano uniti grazie a petizioni per internet.
Non era necessario che si nascondesse molto, lì non era come in Inghilterra, dove tutti avevano memorizzato nella loro mente ogni singolo tratto del suo viso. Potevano dirsi ancora del tutto sconosciuti. Oltretutto, i loro video non giravano sulle loro televisioni nazionali, quindi si sentiva abbastanza tranquillo.
Prese i Rayban che teneva nella tasca del suo piumino verdognolo e li indossò, per paura di spaventare qualche fanciulla autoctona con il suo viso stanco. Si passò una mano tra i capelli biondastri spettinati e si intrufolò in una mandria di tedeschi, cercando di farsi strada tra di loro.
Voleva trovare un localino di suo gusto, ma non sapeva dove cercarlo. Ma soprattutto non sapeva nemmeno se esistesse veramente qualcosa che lo soddisfacesse. Voleva qualcosa di piccolo, di informale, dove una simpatica cameriera indigena gli avrebbe potuto servire…

Fish and Chips!
Sì, aveva deciso, voleva rovinarsi il fegato con una porzione di fish and chips di prima mattina, alle nove. Solo che era scettico sulla possibilità di trovare un posto che glieli cucinasse a modo.
In Italia…
A Firenze…
All’ombra del Duomo, si trovò a pensare: ma dove cazzo li vado a cercare i fish and chips in Italia?
Si sentiva come una donna incinta. Doveva mangiarli, altrimenti suo figlio sarebbe nato con una voglia di fish and chips sulla faccia. Già lo impensieriva il fatto che avrebbe sicuramente ereditato la fastidiosa zeppola che lo tormentava da sempre equesto era un ‘handicap’ che includeva prese per il culo per tutta la vita.
Afferrò per un braccio un ragazzo che gli passò vicino.
“Scusami, parli inglese?”, gli domandò.
Quello lo guardò.
“Sì.”, disse, con aria titubante.
“Sai dove posso mangiare i fish and chips?”, gli chiese.
Questo si strinse nelle spalle e si allontanò.
Era ovvio.
Lo chiese ad altre cinquanta persone, sembrava uno psicopatico, tanto che dovette desistere:  spesso aveva trovato un poliziotto a guardarlo con aria sospetta…
Doveva ricordarselo: mai farsi venire la voglia di fish and chips in Italia.
Non gli interessavano le bontà culinarie che la città poteva offrirgli perché, come un bambino viziato, si era fissato con quel piatto tipico inglese. E voleva mangiarlo.
Tornò sui suoi passi, affranto e incazzato come poche altre volte.
Voleva mangiare fish and chips!
Camminava a testa bassa, imbronciato, tornava verso l’hotel. Ripercorse la stessa strada che aveva fatto all’infruttuosa andata ma, dopo poco, si trovò a chiedersi dove fosse. Si stava trovando in mezzo a bancarelle e turisti con i portafogli in mano, certamente da tutt’altra parte della città rispetto all’ubicazione del suo hotel…
Ma cacchio!
Non era capace nemmeno di ricordarsi le strade! Era il caso di domandare informazioni, ma intorno a sé tutti erano turisti come lui… forse, però, se si aggirava fuori da quel concentrato di spendaccioni e venditori, avrebbe trovato qualche indigeno del luogo…
Sbucato in un vicolo, vide un’insegna. E nella sua mente ripiombò il ricordo dei fish and chips.
“Bingo!”, esclamò ad alta voce, impaurendo una vecchiettina che, nelle sue vicinanze, stava portando fuori il cane a fare i suoi bisogni.
Con occhi luccicanti, ringraziò il culo sfacciato che nella sua vita lo aveva sempre riempito di buone opportunità come quella.
Guardò l’insegna del locale. ‘Strictly English
E cosa potevano dargli da mangiare in un posto come quello, se non fish and chips, pudding e compagnia bella?
Entrò dentro, rincuorato dal dolce calore emanato dal riscaldamento e si guardò intorno. A dispetto di ciò che recitava l’insegna, quello pareva una tavola calda americana degli anni cinquanta sessanta. Era stato catapultato in un Happy Days italo-inglese per caso?
Poi, gli venne da pensare ai suoi musi ispiratori, i Beach Boys: ce li vedeva bene a passare il loro tempo in un locale del genere e si mise l’anima dubbiosa in pace.
Non era molto affollato, ma comunque diverse persone occupavano i tavoli rettangolari, contornati da poltroncine gialle a forma di cavallo, che occupavano almeno tre quarti delle pareti del locale. Aretha Franklin gorgheggiava la sua celeberrima Think e notò sorridendo una donna sulla quarantina, bionda e molto giovanile, al di là del lungo bancone lucido, che stava preparando un espresso canticchiando le parole del ritornello.  Poi vide un ragazzo sbucare dalla finestrella sul muro vicino a lei: si scambiarono quattro parole e lei si allontanò, sostituita dopo qualche secondo da quello stesso ragazzo… più che un ragazzo era una montagna di muscoli. Aveva due spalle che erano almeno il doppio delle proprie…
Era meglio spostare la sua attenzione altrove, piuttosto che innervosirlo con il suo sguardo incuriosito.
Il menu stava inerte sul tavolo su cu si era seduto e lo prese, mettendosi a spulciare la lista. A parte qualche incursione della cucina italiana, era tutta roba tipicamente inglese: dal pudding al thè, dai muffins alla crema di piselli, ma non si soffermò molto su queste voci. Con occhio di lince individuò presto i fish and chips tanto desiderati.
Pronti per ordinare?”, gli domandò una squillante voce italiana.
“Ehm… inglese?”, le chiese, quasi con ovvietà.
“Oh, sì, certamente!”, fece la ragazza, dandosi una pacca sulla fronte, “Allora, cosa vuoi ordinare?”
Eccolo, il momento più bello della sua giornata.
“Fish and chips!”, disse, con orgoglio, “E the alla pesca.”
La ragazza lo guardò perplessa, poi si annotò tutto sul suo taccuino.
“In prospettiva di ulcera forante, eh?”, ironizzò poi, stringendo il blocco note al petto.
“Sai, in Inghilterra quando nasciamo ci regalano un posto in lista per i trapianti di fegato.”, le rispose, sulla stessa scia.
“Tra dieci minuti sarà tutto pronto!”, rispose lei, dopo che la sua risata si fu esaurita.
E si allontanò, con la sua preziosa ordinazione.
Lanciò qualche occhiata in giro. Vecchi vinili al muro, fotografie di moto d’epoca, una vecchia radio sopra un tavolinetto, colori pastello ovunque. Nel pieno degli anni sessanta!
Poi, l’occhio cadde su un juke box. A vederlo, quello doveva essere proprio un reperto di antiquariato, non si sarebbe stupito se dentro ci avesse trovato dei vecchi 45 giri! Si frugò nelle tasche, in cerca di qualche euro e lo trovò tra un paio di sterline e un pence. Si avvicinò alla macchina e si mise in cerca di una canzone di suo piacimento.

… no, non era possibile…
Non ci poteva credere…
E dire che pensava che nei juke box ci potessero essere solo i dischi di Johnny Cash o di Barry White! Adesso lì, in mezzo a tanti altri, c’era proprio Motion in the Ocean, il loro terzo album! Wow, anche i McFly erano entrati a far parte degli artisti da juke box.
Ora potevano anche ritirarsi, andare in pensione.
Inserì cinquanta centesimi di euro nella macchinetta e, dopo aver capito come quel coso funzionasse, premette alcuni pulsanti e la canzone da lui scelta ‘Little Joanna’, suonò a basso volume nel locale.
Sì, da quel momento in poi sarebbe stata proprio una bella giornata: era in Italia, a Firenze, una città bellissima. Stava per mangiare fish and chips, nel juke box c’era un loro cd e nell’aria ascoltava la canzone che aveva scritto per la sua ragazza di sempre, Giovanna. Nome per altro italiano! Beh, poteva essere più fortunato di così?
Tornò al suo tavolo e, nel giro di pochi minuti, gli fu servito il suo the e il suo piatto.
“Grazie!”, disse con entusiasmo alla ragazza che aveva preso l’ordine e che lo stava servendo in quel momento.
“Hai scelto una bella canzone!”, gli disse poi lei, “Mi piacciono molto i McFly!”
Rise sornione.
Sì, la sua vita stava nettamente migliorando! Aveva davanti a sé una loro fan, che stava sicuramente per chiedergli un autografo e…
“Piacciono anche  a te vero? Sono dei grandi!”, gli chiese lei, sorridendogli.
No…
La sua vita stava lentamente peggiorando.
Lei non lo stava riconoscendo… Forse doveva togliersi gli occhiali da sole, lei lo avrebbe capito che si stava trovando davanti Tom Fletcher, chirattista-pianista-voce dei McFly.
Li prese per l’asta destra e li levò dagli occhi.
“Sai che suoneranno in città? Sicuramente sarò in prima fila a cantare a squarciagola.”, disse lei, senza degnarlo di uno sguardo.
Altra correzione, la sua vita stava velocemente peggiorando.
Mica voleva per forza che lei si stendesse ai suoi piedi implorandolo per una prestazione sessuale fugace –richiesta che per altro non avrebbe acconsentito di soddisfare, era un ragazzo deficiente ma fedele- però… Insomma! Un po’ d’amor proprio ce l’aveva anche lui! Poteva capire che in Italia erano tutto sommato sconosciuti ma questa ragazza si stava dimostrando essere una loro fan!
Meglio lasciar perdere, non voleva farsi venire il malumore e odiava comportarsi da diva.
“Sai che anche io mi chiamo Joanna come la canzone?”, disse poi la ragazza, annuendo.
“Davvero?”, le fece, lievemente disinteressato, mentre mangiava il primo boccone di fish, “Ma tu non sei italiana?”
“Sì, italianissima.”, disse lei, annuendo, “A mia madre piaceva il  nome Giovanna, a mio padre la versione in inglese… e per fortuna ha vinto lui!”
Jo! C’è un’ordinazione pronta  per te!”, si sentì chiamare la ragazza.
Un momento!”, fece lei, che poi tornò a lui, “Beh, è stato un piacere conoscerti!”
“Tom.”, le disse, porgendole la mano.
Ma lei niente. Proprio doveva essere cieca come Mister Magoo per non riconoscerlo.
Pazienza, disse a malincuore.
Poi un pensiero gli stuzzicò la testa… un tipico McFly-pensiero: idiota, stupido, il solito scherzo da prete. La riprese prima che si voltasse per tornare al suo lavoro.
“Questi fish and chips sono fantastici! Non appena i miei amici si sveglieranno, li porterò a mangiare qui!”, le disse, con la bocca impastata tra una patata fritta e un pezzo di pesce.
Era poco elegante parlare con la bocca piena, ma lui era inglese e queste cose si perdonavano sempre ai britannici come lui.
“Beh, allora vi aspetto, ci conto!”, disse la ragazza, sorridendo felice.
Chissà che faccia avrebbe fatto trovandoseli in piena formazione davanti agli occhi! Che simpatica ragazza, pensò Tom, concentrandosi poi sulla sua colazione. Un po’ scema, ma simpatica.
Quei fish and chips erano davvero fenomenali, sembravano importati direttamente dall’Inghilterra, da quel locale vicino a casa sua, appena svoltato l’angolo. Sicuramente, il proprietario di questo ‘Strictly English’ era inglese, non c’era dubbio, solo i suoi connazionali sapevano fare il fish and chips così buoni.
Per sua stessa volontà, il piatto finì prima che lui fosse sazio e ne rimase alquanto deluso. Solo allora si dedicò al suo the alla pesca e, dopo il primo sorso, si pentì amaramente di quella scelta. Ma che idiota che era stato!
Come si poteva mangiare fish and chips e metterci dietro il the alla pesca?
Era una scelta tipica di  Tom Fletcher.
E lui chi era?
Tom Fletcher!


 

Annodò i capelli biondi su se stessi e li fermò come sempre con una grossa pinza color lilla.
“E’ pronto il tavolo sette?”, chiese Joanna, affacciandosi alla finestrella della cucina, dalla quale passavano le ordinazioni ed i piatti pronti.
“Momento!”, disse una voce maschile.
“Andiamo! Sei in ritardo!”, esortò il ragazzo in camice bianco, che stava preparando quello che gli era stato richiesto.
“Palle di sorella…”, borbottò il cosiddetto cuoco.
“E non ti puoi nemmeno liberare di me!”, esclamò lei sorridendogli sfacciatamente, con la lingua fuori dalle labbra.
Il ragazzo sbuffò, asciugandosi il lieve sudore con il polso, preparando un altro sano hamburger con insalata e patate fritte. Dette un’occhiata al piatto: era tutto regolare, niente fuori posto.
“Tieni! Sanguisuga!”, disse alla sorella cameriera, che prese il piatto e lo portò al tavolo. Aveva trenta secondi liberi, prima di dover tornare su una nuova ordinazione.
Appoggiò i gomiti sulla soglia di marmo della finestrella e, a pungi serrati, vi mise la testa sopra, guardando la sua piccola sorella prendere un’ordinazione, sorridente.
Lui lavorava lì da tempo ormai, stimava un paio di anni, forse anche tre. Lei solo da pochi mesi, ma si era adattata bene. Erano molto diversi, sia nell’aspetto fisico che nel comportamento: lui era un tipo molto sportivo ed atletico; Jo era goffa e impacciata. Lei imparava le cose al volo, lui aveva bisogno di pratica. Lui cucinava, lei bruciava le pentole. Lei gli rifaceva il letto, lui puliva il bagno. Lui era spesso impulsivo, lei era tutto sommato docile. Lui sapeva giocare di squadra, lei era piuttosto una giocatrice solitaria.
Vivevano insieme e la convivenza non era per niente facile, ma piuttosto che starsene ancora dai loro genitori, avrebbero preferito vivere sotto un ponte… Entrambi, avevano avuto dei validi motivi per fare le valige ed andarsene e nessuno dei due aveva mai criticato l’altro per questo.
Dal suo canto, aveva lasciato gli studi dopo il diploma: non era mai stato interessato diventare tanto acculturato, era un tipo pratico che voleva dedicarsi semplicemente a tre cose nella sua vita: lavoro, sport e amici… E donne, uno dei pilastri portanti della sua voglia di indipendenza. Ma era meglio non riflettere molto su questo argomento…
Si era diplomato in una scuola che suonava come liceo scientifico, ma non ne era molto sicuro. Forse aveva passato gli anni perché fisicamente faceva paura ai professori… E poi un giorno, mentre camminava per Firenze, aveva trovato appeso alla porta dello Strictly English il cartello ‘Cercasi cuoco’.
Aveva pensato: Perché no? La pasta in bianco e la frittata le so fare abbastanza bene.
Ed era stato assunto. Il cuoco che lo aveva preceduto gli aveva insegnato i trucchi del mestiere e si era appassionato. Così, era riuscito a trovare un lavoro che lo soddisfaceva, che sapeva fare con cura e costanza, che lo pagava sommariamente molto bene e che lo liberava dalle cinque di sera in poi, quando poteva dedicarsi al…
Un piatto posato poco gentilmente sulla soglia lo distolse dai suoi pensieri.
“Miki! Due muffins al cioccolato!”, strombettò Joanna, sventolandogli un’ordinazione sul naso.
“Palle di sorella…”, le ripetè, prendendola ed accartocciandola.
Lui, tra quelle quattro mura e quei sei fornelli, era il padrone.
Lei, al di fuori della cucina, era la padrona della sala.
Entrambi, a casa, padroni dell’appartamento. E giù a prendersi sempre a cornate! Erano fratelli e questo era quello che si supponeva che i fratelli facessero sempre: litigare.  Ma nessuno di loro si era mai lamentato di questo, soprattutto perché dopo cinque minuti di male parole si chiedevano sempre scusa.
Sì, i fratelli erano fatti per litigare, ma anche per volersi bene…
E poi avevano i loro bei grattacapi quotidiani per potersi prendere troppo sul serio quando tornavano a casa! Più che discussioni furibonde, i loro erano semplici pretesti per sfogarsi…
Ecco, anche i muffin al cioccolato erano pronti. Spruzzò sul piatto, per smorzare un po’ lo scuro del dolce con il bianco pallido della porcellana, un filo di sciroppo al cioccolato, creando dei cerchietti simpatici. Prontamente, non appena appoggiò i due piatti sul ripiano di marmo le mani veloci di Jo li presero e li portarono a destinazione.
Altri minti di pausa.
“Arianna, ti dispiace se da oggi in poi anticipo la fine della giornata un quarto d’ora prima? Domani parto per la partita…”, le chiese, trovandola come sempre vicino alla macchinetta del caffè a mangiarsi le unghie per la voglia di fumare, “Se faccio sempre tardi agli allenamenti mi cacciano dalla squadra… magari inizio prima alla mattina...”
“Sì, Michele, va bene.”, rispose lei, frettolosamente.
Arianna era la proprietaria dello Strictly English. Era una simpatica donna sulla sua quarantina, un po’ troppo bionda e forse anche un po’ troppo giovanile, ma era una brava donna con le palle. Una che sa che cosa vuol dire lavorare, pensava Michele, e che era anche capace di far girare le scatole ai propri dipendenti.
 “Dai, vai a fumare, prendo io il tuo posto.”, le disse, sorridendole.
La donna si illuminò a festa. Bastava però molto poco per farla contenta. Soprattutto, era sufficiente poterle permettere di allontanarsi dalla sua solita postazione, dietro al bancone del bar, per farla fumare. Malediceva sempre quel ministro della salute che aveva vietato il fumo nei luoghi pubblici!
“L’ho sempre saputo che dietro ai tuoi muscoli c’è un cuore d’oro!”, gli fece, scomparendo in una nuvola, appunto, di fumo.
Michele uscì dalla cucina togliendosi il camice bianco sporco e si mise dietro al bancone a guardare i clienti. Era febbraio, il locale era praticamente quasi vuoto, ma comunque lì dentro sembrava di essere in tutt’altra nazione. Non era un genio nelle lingue, ma sapeva che quella parlata dalle quattro bionde al tavolo cinque erano sicuramente svedesi.
“Stai sbavando.”, lo riprese Jo, dandogli un piccolo colpo con i fianchi, “E poi sono tutte lesbiche, secondo me.”
“Meglio!”, esclamò Miki, strusciandosi le mani.
“Fratello pervertito.”, borbottò Jo, “Placati gli ormoni con questa ordinazione.”
Miki sbuffò, prendendo il foglietto. Lesse e strabuzzò gli occhi.
“Fish and chips alle nove di mattina?!?”, esclamò, “Addirittura con the alla pesca! Ma chi è l’imbecille che si mangia queste cose?”
Jo sorrise complice e glielo indicò con un cenno della testa.
Era un ragazzo con i capelli innaturalmente biondi, tenuti su a mò di cresta, che se ne stava pacificamente al suo tavolo, alla sinistra del locale. Picchiettava le dita sul tavolo e pareva fischiettare a tempo di musica.
Little Joanna’ dei McFly, un gruppo inglese che piaceva molto a Jo, stava infatti risuonando nell’aria calda del locale.
“Per caso ti ha chiesto come ti chiami e, per provarci, ti ha messo questa canzone sdolcinata?”, le fece, perplesso.
“Zitto scemo!”, lo riprese Jo, “L’ha messa prima di saperlo!”
“Mh…”, fece, rigirandosi il foglietto tra le mani.
“E non essere sempre geloso del fatto che i McFly abbiano scritto una canzone per me!”, continuò Joanna, “Mentre ai Michele come te non dedicano mai niente!”
“Ma per piacere…”, le rispose, tornando verso la cucina, “Stai al bancone, Arianna è fuori a fumare.”
Lanciò una nuova occhiata al ragazzo, in tralice.
Tipo strano, si disse, con quei capelli alla candeggina.
Eppure…
Lo fissò intensamente, come se quel gesto potesse dare una risposta alla domanda che aveva in testa. Lo aveva già visto prima?
No, si disse, era solo una cazzata. 
Era un turista come tutti gli altri.



Eccoci qua! Fine del primo capitolo, introduzione dei miei due personaggi, Joanna e il fratellone Miki, e di Tom Fletcher, il mento del gruppo (più che la mente).
Ringrazio tutti quelli che leggeranno questa storia, sia quelle che mi hanno promesso di farlo (so chi siete... XD) sia quelle che saranno semplicemente attirate da una novità. Credo infatti di essere la vera prima a pubblicare qua su di loro! E se non lo sono... piaceroni comunque!


Cosa importantissima che stavo dimenticando!!! Ecco qualche foto della Joanna che ho in mente: Joanna1 e Joanna2
Questa ragazza è realmente esistente, si chiama Joanna Newsom ed è una musicista. Spero non sia un reato usare la sua faccia per uno dei miei personaggi! Altrimenti, rimuovo ogni fotografia. La sua immagine non è usata a scopo di lucro e Joanna Newsom non mi appartiene.

Il titolo della storia è ispirato alla loro primissima canzone: Five colours in her hair... no scopo di lucro!

That wierdo with four guys in her hair...

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Capitolo 2
*** Met This Girl ***


Per facilitarvi, ricordatevi i cognomi perchè, da quanto ho capito, ai ragazzi piace chiamarsi per i cognomi...
Tom Fletcher
Danny Jones
Dougie Poynter
Harry Judd 

Son facili! Tom è il figlio segreto della signora in giallo, Danny è il fratello nascosto Indiana Jones; Dougie ha un cognome idiota come lui e Harry... vabbè, è il quarto ed è quello che viene da sè dopo il terzo.

Se cliccate sul titolo, troverete un link che vi porta diretti alla canzone dei Mc, appunto, che da il titolo al capitolo. 
No scopo di lucro.

 

 

2. Met This Girl

 

 “Ma dove cazzo è Tom?”, borbottò una testa dai capelli lievemente mossi, castani.
“Boh.”, rispose semplicemente un altro capo, con i capelli scarmigliati, venati di qualche ciocca chiara.
“Secondo me è in giro.”, incluse l’ultimo dei tre crani, con una strana pettinatura naturalmente spettinata e biondastra.
“E si sarà perso.”
“Starà chiamando ai nostri cellulari…”
“E li troverà spenti.”
“E si dispererà.”
“Perchè senza di noi si perde anche per casa sua.”
“E il navigatore satellitare che gli abbiamo regalato?”
“Credo che lo abbia perso.”
“Secondo me sta ancora cercando parcheggio per il suo cervello.”
“Come si può non trovare parcheggio per un cervello a forma di Mini Cooper?”
“Speriamo abbia messo i sensori ai lati della macchina, sennò la sbatterà ovunque.”
“Che cosa hanno messo in questo caffè?”
“Il caffè forse?”
“E’ troppo forte!”
“Demente, è un espresso! E tu lo hai allungato con l’acqua del the!”
“Espresso, mi dispiace dirtelo ma fai schifo! Voglio un the.”
“Passami il burro.”
“Burro? Cosa essere burro?”
“Dai imbecille, passami il burro!”
Era questa la scena che si trovò davanti agli occhi Tom, appena tornato da una passeggiata lunga per il centro della città.
“Cosa?!?!”, esclamò, cogliendoli di sorpresa, “State facendo colazione adesso? Alle tre del pomeriggio?”
Li guardava con occhi spalancati, esterrefatto. I suoi tre compagni di musica, di viaggio, di avventure idiote e di vita se ne stavano tranquilli intorno ad un tavolo rotondo, con le tazze alla bocca o le posate in mano. Pronti a fare colazione nella sala da pranzo dell’hotel.
“Beh…”, disse il tipo riccioluto, “Quando Dio mi ha messo al mondo mi ha programmato per fare quel che cavolo mi pare…”
“Mi associo!”, aggiunsero gli altri due.
Tom sbuffò, scosse la testa, prese una sedia e la girò, sedendosi vicino a loro a cavalcioni.
“Dove sei stato, Fletcher?”, gli chiese il riccioluto, dandogli delle piccole gomitate, con le sopracciglia che sbalzavano maliziosamente in alto.
“Ti sei perso, vero?”, insinuò lo spettinato, imitando l’amico nei gesti.
“E quando hai parcheggiato hai fregato contro la macchina di un altro!”, si allineò il terzo del gruppetto, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
Tranne Tom, che non aveva capito niente di quello a cui si stavano riferendo. Ma succedeva sempre così, quando uno di loro rimaneva fuori dalla discussione per un po’, e vi si ritrovava successivamente in mezzo, non capiva mai niente di dove gli altri erano andati a parare. Li lasciò perdere, tanto era impossibile capirli. E comunque, il più delle volte era impossibile parlare in gruppo. Ogni cosa faceva deviare la conversazione verso tutt’altri lidi.
“Sono stato in giro.”, disse poi, alzando le spalle.
“E cosa hai fatto di bello?”, gli domandò Danny, il riccioluto del gruppo.
Danny Alan David Jones era l’altra voce e chitarra dei McFly. Era incredibile quanto potesse trarre in inganno il suo aspetto esteriore, comparato alla potenza graffiante della sua voce bassa da rocker, quando cantava.
“Ho visto la città.”, disse Tom, “Ho camminato un bel po’.”
“Ecco perchè sento puzza di suole di scarpe bruciate.”, ironizzò Harry, il castano spettinato.
Harry Mark Christopher Judd, semplicemente Harry, ogni tanto usciva fuori con quelle battute tristi che bisognava bastonarlo con le bacchette della sua batteria per farlo rinsavire.
“Io sento puzza di scoreggia… sei stato tu Danny, vero?”, fece poi Dougie con voce nasale, essendosi tappato il naso.
Douglas Lee Poynter, il più piccolo del gruppo nel senso di nascita, non sapeva mai se scegliere di essere fine come una prostituta di Amsterdam, oppure garbato come sergente Hartman di Full Metal Jacket. Di solito, però, data la sua indole abbastanza pacifista, optava per il linguaggio estremamente delicato delle signorine in vetrina.
 “Sapete in cosa mi sono imbattuto?”, fece Tom, ristabilendo la calma, dopo che Danny ebbe risposto alla provocazione di Dougie con una serie di pedate sotto al tavolo.
“In cosa? Il proprietario della macchina che hai sfasciato?”, gli disse Harry.
“E dai!”, protestò Tom, “Cos’è questa storia della macchina! Ancora dobbiamo noleggiarla!”
Erano arrivati in aereo, solo loro quattro, senza staff, manager o tecnici appioppati al culo. Era come una piccola vacanza che si erano concessi, perché dopo la breve tappa italiana si sarebbero spostati di nuovo a nord, nei Paesi Bassi e poi ancora in Inghilterra, per l’ultima data.
“Boh, non mi ricordo nemmeno chi l’ha tirata fuori…”, rispose Harry, stringendosi nelle spalle.
“Dicevo…”, disse Tom, ridendo rassegnato, “Mi sono imbattuto in un locale per cui vale la pena tornarci tra trenta secondi per mangiare fish and chips!”
Gli altri lo guardarono, mentre affondavano con gusto le labbra dentro alle tazze di caffè o di the.
“Aspetta un secondo, fammi capire.”, disse Danny, assumendo un tono falsamente serio, “Siamo in Italia, giusto? Sei voluto venire tu con una settimana di anticipo sulla data del concerto che faremo qua, o no?”
“Sì.”, rispose Tom, con aria ingenua.
“E cosa fanno di buono, in Italia?”, gli chiese Danny.
Tom ci pensò un attimo.
“Il calcio!”, esclamò, annuendo per la correttezza della sua risposta.
“Imbecille!”, esclamò Danny, dandogli una manata sulla testa da farlo sbalzare in avanti, “Fanno il cibo buono! E tu vuoi mangiare fish and chips!”
“Beh…”, disse Tom, massaggiandosi la testa, “Se li fanno buoni…”
E si beccò un’altra pacca.
“Deficiente! Io voglio mangiare italiano!”, gli disse Danny, tornando sul suo caffè.
“Lo so…”, disse Tom.
Ma aveva un’ultima carta da giocare. Con faccia disinteressata, appoggiò il mento sul bordo della spalliera della sedia. Li conosceva fin troppo bene i suoi tre pollastri.
“Ci sono delle cameriere…”, avanzando la pulce nell’orecchio.
“Ok, chi ha voglia di fish and chips?”, esclamò Dougie scalpitante, alzando la mano.


 

Seguivano Tom con scarso interesse. Se non fosse stato per quell’insinuazione sulle cameriere del posto, se ne sarebbero sbattuti altamente le scatole.
Erano lì in vacanza? Ce li aveva portati lui per riprendersi della settimana a luci rosse nel quartiere del Moulin Rouge? E allora che li lasciasse dormire in pace in hotel e si mangiasse tutti i fish and chips che voleva senza rompere le scatole!
Quello che volevano fare era, in ordine di importanza: dormire, mangiare.
Ah! E anche accoppiarsi, se ci fosse stata l’occasione. Quindi, quel locale poteva essere funzionale solo alla conoscenza di ragazze carine con cui provarci, dato che avevano fatto colazione meno di un’ora fa.
“Tom, sono stanco.”, disse Harry, appoggiandosi al muro di uno dei tanti alti palazzi che costeggiavano a destra e a sinistra il lungo viale che li conduceva verso il centro.
“Andiamo! Hai fatto cento metri e ti senti stanco!”, protestò vivamente Tom, “Sei la discarica di una discarica!”
Harry gli mostrò con una smorfia il dito medio e poi tornò a camminare, prendendo il posto di Dougie come ultima carrozza del treno.
“Quanto manca…”, si lamentò Danny.
“Ecco, basta svoltare qua.”, disse Tom, prendendo la prima strada sulla sua destra.
Quando furono tutti davanti al locale, Tom lasciò loro riprendere fiato.
“Siete diventati dei criceti.”, fece loro.
“Dei cosa?”, esclamò Dougie, tastandosi il basso ventre per il dolorino che sentiva alla milza.
“Dei criceti!”, ripetè Tom, “Annaspate nella vostra ruota finchè non vi catapulta fuori!”
Danny lo guardò con aria stranita.
“Che esempio del cazzo, Fletcher…”, fece, afferrando la maniglia dello Strictly English senza nemmeno dargli un’occhiata.
“Sì, ha ragione Jones.”, disse Harry, riferendosi a Danny, “Oggi non sei capace di essere sarcastico.”
Gli passò davanti, gli dette una pacca cinica sulla spalla ed entrò, seguito da Dougie, strinto rassegnato tra le sue spalle. Per ultimo, Tom si posizionò al tavolo che era stato scelto dai suoi tre amici, che già stavano con gli occhi iperattivi alla ricerca delle cameriere da lui nominate.
“Cosa prendete?”, chiese retoricamente Tom, guardandosi il menù.
“Una bionda e una mora.”, disse Harry, sempre il più goloso.
“Ci sarà una rossa?”,  si domandò Danny.
“Speriamo di sì…”, sospirò Dougie.
“Intendevo,”, si specificò Tom, “Che cosa prendete da mangiare!” 
Erano terribili quando si mettevano a fare comunella.
Danny gli sfilò rapidamente il menù di mano e, fatti avvicinare gli altri due a sè, si misero a guardare che cosa poteva esserci di gradevole. Confabulando tra di loro, si isolarono per dedicarsi alla scelta.
Tom si guardò intorno sconsolato e incrociò lo sguardo della quarantenne dietro alla macchinetta del caffè che, vedendolo, richiamò dalla cucina un nome a lui conosciuto.

Bene!
esclamò dentro di sé Tom. O li riconosceva, o era veramente scema.
Dopo qualche attimo, infatti, vide Joanna avvicinarsi. Portava tra le mani una cesta, apparentemente pesante, piena di pacchi e pacchetti di cibo. Quando lei lo vide, gli sorrise compiaciuta. Approfittando del momento, Tom dette una pedata al mucchio di  piedi vicino al suo.
“Ecco la cameriera…”, disse Tom, guardando soddisfatto i suoi amici.
Danny abbassò il menù e tre paia di occhi si puntarono su di lei.
La ragazza ricambiò i loro sguardi, osservandoli mentre camminava con il cesto tra le mani.
Poterono notare ogni cambiamento della sua espressione: da gentilmente sorridente, a interrogativamente strana, per poi finire sul consapevolmente inaudito.

Oh sì…
fece Tom con se stesso, con grande soddisfazione.
Ma se ne pentì in quello stesso istante.
Joanna inciampò in avanti, forse sui suoi stessi piedi, e finì a pancia a terra, mentre il contenuto del suo cesto si sparse sul pavimento, in un baccano infernale che fece ammutolire tutti i clienti del locale.
“Oh cavolo!”, esclamò,  mentre i clienti nelle sue vicinanze si precipitarono da Joanna per soccorrerla.
La ragazza si rialzò, ferita nell’orgoglio più che nel corpo.
Sto bene! Sto bene!”, prese a dire, allontanando con garbo tutte le mani che la volevano aiutare.
La quarantenne bionda accorse verso di lei e la prese sotto la sua ala protettiva, chiamando un’altra cameriera a ripristinare la situazione del pavimento. Nel mentre che si allontanava, Joanna lanciò un occhio verso Tom, e verso poi il suo tavolo.  
 

“Jo!”, la chiamò Arianna, “C’è un tavolo!”
“Arrivo subito!”, esclamò, scendendo dalle spalle del fratello, su cui era salita per prendere un barattolo di pesche sciroppate poste in altissimo, su uno dei ripiano della cucina.
“Sei ingrassata vero?”, si azzardò a dirle Michele, mentre la riponeva a terra.
Lei gli rispose con un pizzicotto sull’avambraccio, ma c’era poco spazio per la ciccia morbida e suo fratello non sentì niente.
“E tu hai troppi muscoli!”, lo rimproverò lei, “Sei buono solo a placcare gli avversari!”
Fece la linguaccia più lunga che potè e uscì dalla cucina, prendendo tra le mani la cesta di barattoli che doveva portare in magazzino.
“Faccio io!”, le fece Michele.
“E dai!”, esclamò lei, allontanando la cesta dalle sue manone, “Ce la faccio! E poi devo andare in sala, tu devi tenerti pronto per le ordinazioni!”
Uscì dalla cucina spingendo contro le due porte molleggiate. Suo fratello era un omone di zucchero, lo aveva sempre pensato e sempre lo avrebbe fatto. Non era poi così tanto grosso, era semplicemente un po’ più alto della media… e un po’ più forte. Era stato lui a convincere Arianna ad assumerla, qualche mese prima, poco dopo essersi tolta dalla casa in cui era nata e vissuta… Accantonò subito qualsiasi pensiero connesso a quei giorni, così come faceva ogni volta che le veniva da posarci la mente.
Miki, che oltre al suo lavoro aveva anche una passione sportiva abbastanza fuori dal comune per un italiano, l’aveva accolta a braccia e a tasche aperte. Perché i patti erano stati chiari: se voleva abitare da lui, le spese erano da condividere.
E lei era stata contenta di questo. Di certo non voleva che vitto e alloggio fossero gratis e, piuttosto che andare a vivere con degli sconosciuti oppure tornare dai genitori, aveva depositato le sue valige nella camera libera.
Appena mise piede nell’appartamento storse il naso: era visibilissima ancora la presenza femminile che aveva arredato quella stanza, così come tutta la casa. Avrebbe voluto rivoluzionare tutto, ma sapeva che Miki non sarebbe stato molto d’accordo con le sue decisioni.  Non tanto perché non gli piacessero i suoi gusti in fatto di arredamento… così aveva lasciato tutto come aveva trovato, accontentandosi di allontanare dalla stanza in cui dormiva qualche ‘scomoda’ fotografia.
Lei vent’anni, Miki venticinque. Non erano proprio uguali, a guardarli bene non sembravano nemmeno tanto fratelli. Miki era moro, portava i capelli lisci a mezza lunghezza fermati sulla testa da un cerchietto nero. Era uno sportivo nato... ed un cuoco diventato. Lei, Joanna, era bionda e mossa, goffa e non sapeva cucinare. Non ne era proprio capace, a meno che non si trattasse di uova sbattute in padella o di cibi precotti in forno. Quando cucinava lei, c’era da stare pronti con il telefono per chiamare i pompieri.
Fare la cameriera non era l’aspirazione massima della sua vita, questo lo sapeva benissimo. Ma aveva bisogno di lavorare, voleva mettere da parte qualcosa per un futuro ancora nebbioso davanti a sé. Non molti italiani frequentavano quel locale, forse spaventati dal nome scritto sull’insegna. O forse impauriti dal tipo di cucina che veniva offerta. Jo la adorava, ma non era facile spiegarla ai pastasciuttai e ai pizzettari italiani. Era una che andava a nozze con le schifezze di ogni genere!
E poi si trovava meglio con gli stranieri che con i suoi connazionali: almeno erano gentili, davano sempre ottime mance e non la trattavano come la serva di turno.
Con una certa goffaggine, cercò di non sembrare molto affaticata nel trasporto eccezionale che stava effettuando. Mentre camminava, notò una testa ossigenata che riconobbe subito.
Qualche attimo dopo, il ragazzo inglese si voltò e la vide, le sorrise. Lei ricambiò, sperando che nella testa di lui non passasse la frase: ma guarda quella, non sa nemmeno reggere tre chili di peso! Si era già pentita di non aver lasciato fare a Miki.
Lanciò di nuovo un’occhiata all’inglese. Si doveva chiamare Tom, se non ricordava male. Aveva anche detto, quella stessa mattina, che avrebbe portato dei suoi amici e, a quanto pareva dalle teste nascoste dietro al menù, era stato di parola.
Bene, era contenta, più mance!
Si voltò di nuovo verso di loro, non appena vide il menù abbassarsi e tre facce spuntare al di là. Li osservò in un lampo e sorrise, come faceva a tutti i clienti, anche se la voglia di farlo era schiacciata sotto cumuli di brutte sensazioni.
Ci fu qualcosa però che le si incastrò tra le pieghe della sua materia grigia.
Qualcosa che aveva visto sulla faccia di uno dei tre.
Al che il suo sorriso si trasformò velocemente in una espressione interrogativa.

Quella bocca l’aveva già vista…
Ed anche i capelli strani del tipo accanto a lui, candeggiati come quelli di Tom, spettinati, sistemati malamente sulla faccia e sulle orecchie…
Li aveva già visti…
Li aveva già visti tutti e quattro…

Erano appesi alla porta della sua camera da letto!
I piedi si incrociarono tra loro e la sua faccia, che da interrogativa si era trasformata in terrorizzata, si trovò spiaccicata contro il pavimento. La cesta si riversò a terra, spargendo i barattoli e le scatole ovunque.
Merdamerdamerdamerdamerdamerdamerda
“Signorina! Sta bene?”, le chiese subito uno dei clienti, accorso da lei in suo aiuto.
Andava tutto bene!
A parte il fatto che aveva perso i denti sulle piastrelle bianche e nere.
E che a tre metri da lei c’erano i McFly, di cui per l’appunto aveva già incontrato un componente quella stessa mattina, facendo una figura pessima...
La consapevolezza di non aver riconosciuto Tom Fletcher e di avergli parlato come se fosse stato uno sconosciuto la faceva ancora tremare il pensiero.
Non che fosse una fan sfegatatissima: al confronto delle loro seguaci inglesi, lei passava per una che, senza pretese di sorta, si ascoltava le loro canzoni e basta. Però le piacevano moltissimo: li aveva conosciuti durante un piccolo viaggio a Londra, li aveva visti in tv e, una volta tornata a casa, aveva cliccato il loro nome su internet e si era lentamente appassionata alla loro musica.
Si era fatto spedire un loro poster tramite internet, era arrivato pochissimi giorni prima… Era andato a decorare la porta della sua camera, così come diversi altri poster dei suoi gruppi preferiti, attaccati ovunque. In fondo, anche se aveva venti anni ed era un po’ troppo vecchia per i poster, erano state le pareti bianche, squallide e monotone, a convincerla ad abbellirle con volti famosi.

Le coincidenze della vita

Si alzò, rifiutando le mani che le porgevano, umiliata dalla sua stessa goffaggine. Da lei accorse subito Arianna che la sostenne, notando il suo equilibrio precario.
“Tutto a posto?”, le domandò, preoccupata.
“Sì… sì, credo di sì…”, rispose, ancora frastornata.
“Maria! Vieni a pulire!”, esclamò Arianna, chiamando l’altra cameriera a riassettare il danno.
Prontamente, la ragazza si affrettò, mentre le due si allontanavano.
Jo lanciò un’altra occhiata ai McFly.
Se la ridevano di brutto…

Oh mio dio!
Arianna la portò in cucina e la fece sedere su uno dei ripiani liberi.
“Che cosa è successo?”, domandò Miki, intento a girare in un pentolino del latte in fase di cottura.
“E’ caduta…”, disse Arianna, quasi con rassegnazione.
“Dio, Jo!”, esclamò Miki, “Hai bisogno di ripetizioni anche per camminare?”
Non gli rispose, non aveva voglia di parlare a nessuno, solo nascondersi al più presto, piuttosto che uscire di nuovo in sala e far fronte alla sua brutta figura.
Era paonazza, totalmente rossa, muta.
“Hey…”, le fece Arianna, vedendola stravolta.
Allora anche Miki, alzando gli occhi dal pentolino del latte, si accorse dello stato semi catatonico della sorella.
“Jo…”, fece, lasciando il suo lavoro, “Che ti è successo?”
Lei lo guardò con occhi sbarrati.
“Parla, cavolo!”, esclamò, innervosendosi.
“Miki… fuori ci sono i McFly…”, disse lei, fuggendo lo sguardo altrove, imbarazzata.
“I chi?”, fece lui, dopo qualche attimo di smarrimento.
“I McFly, Miki! Quelli di Little Joanna, quelli che ho appeso alla porta due giorni fa!”, gli spiegò lei.
Lui la guardò un attimo. Poi i suoi occhi diventarono grandi e colmi di stupore.
“Ecco perché quel ragazzo di stamattina mi sembrava di averlo già visto!”, esclamò, dandosi una pacca sulla testa, “E’ quel cretino con il mento lungo!”
“Si chiama Tom…”, gli ricordò Joanna, guardandolo male.
“Sì, sì, Tom come ti pare…”, le rispose.
Poi assunse la sua tipica faccia pensierosa e Joanna potette vedere che ogni attimo che passava questa diventava sempre più sorpresa.
“Aspetta un attimo! Fammi capire.”, fece dopo qualche secondo, “Quello è venuto oggi a mangiare qua… tu non lo hai riconosciuto… e ora che si è portato dietro tutta la sua combriccola di strimpellatori… ti è preso un accidente!!!”
Scoppiò in una risata così fragorosa che dovette appoggiarsi alla cucina per non cadere in terra. Come gli succedeva ogni volta che era attaccato da ridarella acuta, gli occhi presero a lacrimare copiosamente e, non appena riusciva a calmarsi, lo sguardo incattivito della sorella lo faceva piombare di nuovo nell’abisso dell’ilarità.
“Che fratello imbecille che ho…”, mormorò Joanna.
Nel frattempo Arianna si era affacciata alla finestrella della cucina.
“Sì, sono proprio loro!”, esclamò, esterrefatta, portandosi una mano al petto, “Vado subito a sentire cosa vogliono!”
E, con le gambe in spalla, sparì dalla cucina, lasciando Joanna con la voglia latente di prendere il coltello più vicino a lei e mettersi a punzecchiare il fratello dove gli faceva più male.
“Sei… sei una scema, Jo!”, fece Miki, asciugandosi le lacrime, “Sei andata a sbattere per terra proprio davanti a loro!”
“Non davanti davanti…”, si spiegò lei, sprofondando ancora nella vergogna.
La goffaggine la colpiva sempre nei momenti meno opportuni. Come quando era scivolata, durante un giorno di neve, su una pozzanghera ghiacciata. Solo che, prima di toccare terra, aveva gesticolato per almeno una decina di secondi, sgambettando allegramente in cerca di un appiglio, attirando l’attenzione dei passanti che, quando il suo fondoschiena si fu spalmato a terra, invece di aiutarla si misero a sghignazzare alle sue spalle.
O come quando, impensierita, si era trovata in mezzo ad un folto gruppo di turisti indignati, accorgendosi che stava calpestando un’opera d’arte in gessi colorati fatta da un’artista di strada.
Oppure come quando era inciampata in un grande magazzino, cadendo dentro alla grande cesta delle offerte ‘tutto a tre euro’… ed un ragazzo aveva ironizzato: “Di lei ne voglio due!”, mentre stava cercando di tirarsi fuori dall’ammasso di vestiti scontati.
“Sei troppo scema.”, gli fece Miki, una volta ristabilita la sua serietà, “Scommetto che ti sei messa a guardarli con due occhi spalancati… poi ovviamente le gambe sono partite per i fatti loro…”
E scoppiò di nuovo a ridere.
“Deficiente! Ti sentiranno tutti!”, lo rimproverò Jo, dandogli un calcio su una gamba.
“Tanto sono inglesi, non capiscono una mazza!”, rincarò lui, riprendendo il posto dietro ai fornelli, dove il latte aveva iniziato a bollire, facendo bolle e spargendo il suo forte odore per la cucina, “Ecco! Mi hanno anche fatto impazzire il latte!”
La porta a molle si mosse e Arianna entrò dentro la cucina, guardandola e sghignazzando.
“Che c’è…”, fece Jo, sconsolata.
“Oltre che ad essere rimasta letteralmente impressa sul pavimento…”, annunciò Arianna, “Hai colpito molto anche quei quattro, vogliono che prendi tu il loro ordine.”
Jo si nascose la faccia nelle mani.
“Ci sarà fine alla mia disgrazia quotidiana?”, borbottò poi.
“Andiamo! Vai a terminare la tua figura di merda.”, la esortò Miki, sventolando un cucchiaio di legno.
Jo guardò Arianna con due occhi tristi e pieni di rammarico, come per dirle che non poteva farle questo. La donna, invece di sostenerla, poggiò una mano sulla porta a molle e la spinse, accennando con la testa che doveva fare il suo lavoro.
A testa bassa, si frugò nelle tasche del piccolo grembiule verde annodato in bassa vita e prese il block notes, insieme alla fedele penna accompagnatrice.
Sospirò mestamente e si avvicinò a loro.
Stavano ridendo allegramente, sicuramente la prendevano in giro…



Oh mio dio! Quante recensioni per il primo capitolo! La mafia è utile certe volte eh!! XD Bene bene, passiamo ai rigraziamenti!

CowgirlSara: Ovvio, è il primo capitolo non si può giudicare, ma incrocio le dita e spero che non cambierai idea su di me con questa storia! Ancora siamo all'introduzione di tutti i personaggi, mi sono serviti diversi capitoli per farlo, non volevo spiattellare tutto nel giro di poche pagine... diciamo che li introduco poco per volta in ogni capitolo. Mi dispiace che non abbiano fatto presa su di te... cavolo! XDDD Sappi che ufficialmente sei bannata dalla mia macchina e che le ferrovie dello stato si sono alleate dalla mia parte. Quindi RASSEGNATI! XDDD

Zizzy94: lo sapevo che qualcuna in ascolto c'era, lo sapevo!! XD vabbè che sono sconosciuti in Italia, ma qualcuna ci oltre a me loro fan che frequenta il sito ci deve pure essere! Beh, grazie per i complimenti sul mio modo di scrivere, ne sono molto contenta! Anche io sarei nella più completa e miserabile ignoranza se non fosse stato per una mia amica, che me li ha fatti conoscere! Ora sono completamente drogata! Come per te, loro per me non sono proprio il mio stile, ma ci si avvicinano molto! E li apprezzo anche molto (moltissimo) di più dei Tokio Hotel, su cui ho scritto valanghe di storie, come puoi vedere dal mio profilo. Sono più spontanei, li adoro. Sul serio! Alla prossima! E falla leggere anche alla tua amica, dimmi cosa ne pensa! XD Ciao!!

Ciribiricoccola: Eheheh, Joanna non è proprio una trottolina amorosa dudu dada da... se mi vuoi picchiare per questo fallo ora... per adesso sembra quasi quella che non ho voluto che fosse! Capirai cosa intendo! Grazie per la recensione e anche per la stupenda chiacchierata di ieri sera su msn, l'ho apprezzata molto e mi scuso per non averti rigranziato prima! Ci sentiamo presto pazza!

Picchia:  Mentos Man XDDD è propio un soprannome da Tom! Povero piciulo, col mentone ed anche la zeppola alla Bill... Ma è tanto carino! Beh, che fosse il mio stile e che fosse riconoscibile a chilometri di distanza... è il minimo che potessi dire... cioè, ma hai presente chi sono? Sono RubyChubb, mica Frizzina Belvedere. -Fine modalità Silvia che se la tira- Non ti ho ancora chiesto un parere sulla loro musica, lo farò appena ci troviamo su msn, anche se so che sicuramente non sarà un parere positivo, dato la metallare che sei XD Deficienti? Ma li hai visti poi i video che ho linkato nel primo capitolo?!? E non è nulla!

_Princess_: da buona Harryana quale so che tu sei, sappi che in questa storia Harry avrà la rilevante parte dello stronzo. E te lo avevo anche già detto! XD Secondo me ce l'ha la faccia dello stronzo... poi non lo so, ancora non li ho capiti questi ragazzi! Figurati,
non me ne importa per la cortezza della recensione, basta che ci sia! E come MS giustiziera, ti chiedo: come la risolvi la caciarata che è appena scoppiata? Tu sai di cosa parlo (ed anche la Saruccia).... >.< tengo la mia spadona della giustizia infoderata, sai quanto potrei parlare!  Beh, appena ti becco su msn facciamo uno scambio di opinioni moschetteriane. Ci sentiamo!!!

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Capitolo 3
*** HELP! ***


3.  HELP!

 

Videro la tipa bionda avvicinarsi a loro, con sorriso smagliante e passo leggero.
“Buongiorno ragazzi!”, esclamò, con un distintissimo accento londinese, “E’ un piacere totalmente inaspettato avermi nel mio locale!”
“Buongiorno!”, le risposero con entusiasmo.
“Non si è mica fatta male la ragazza?”, le domandò colui che era convinta si chiamasse Dougie, o qualcosa di simile.
Sapeva perfettamente chi fossero, aveva i loro album, ma non si era mai interessata più di tanto a ‘conoscerli’. Lei, che era un’inglese trapiantata nel corpo di un’italiana, si teneva sempre ben aggiornata sulle novità musicali del Regno Unito e le sue preferite finivano dritte nel juke box del suo locale, aperto dieci anni prima dopo un lungo periodo di residenza a Londra.
“Oh no, è solo gravemente ferita nell’autostima.”, rispose Arianna, ponendosi una mano sbarazzina sul fianco, “Allora, volete ordinare qualcosa?”
“Non è che…”, azzardò uno dei due vocalist, forse Tom, “Può venire la ragazza? Così magari mi faccio perdonare per lo scherzo che le ho fatto…”
Arianna rimase un po’ di stucco, sinceramente avrebbe preferito occuparsi lei stessa di quei quattro… poteva essere la loro madre. Ma il cliente era sempre il cliente, soprattutto se era famoso tanto quanto i Beatles nella sua terra madre.
“Oh… sì, va bene, ve la chiamo subito.”, disse la donna, allontanandosi.
“Io mi prendo lei.”, disse Harry, quando fu abbastanza lontana, aprendo le braccia e stendendole sul bordo del divanetto, allungando lo sguardo sulle sue lunghe gambe, “Possibilmente senza troppi vestiti.”
“Ha l’età di tua madre!”, lo riprese Tom, “E non tirare fuori il detto delle vecchie galline!”
“E se ce la prendessimo insieme?”, propose Danny, con occhio sornione, “Ho sempre sognato di farlo con mia madre.”
“Jones!”, sbottò Dougie, “Fai schifo. E mi hai fatto anche passare la fame!”
“Far passare la fame a te è come far smettere Harry di pensare ad infilarlo nel primo buco disponibile.”, sottolineò Tom, “Praticamente impossibile. Sei una tenia.”
“Wooo!”, esclamò Danny, vedendo la cameriera traballante in avvicinamento,  “Sta arrivando!”
“Prepariamoci a riprenderla al volo!”, sbuffò Dougie, mettendosi a giocherellare con il menù.
A testa bassa e guance rosse, la cameriera si fermò davanti a loro. Con le mani tremanti e gli occhi fissi sul suo blocchetto, balbettò loro qualcosa.
“Cosa… cosa prendete…”, disse, affondando nell’imbarazzo.
I quattro si guardarono, trattenendosi le risate tra le labbra, diventate del tutto paonazze per via dei morsi che si stavano dando, piuttosto che scoppiare.
“Ciao Joanna!”, esclamò Tom, salutandola.
“Joanna! Ti chiami Joanna come la nostra canzone?”, sbottò Danny, con uno schiocco delle mani.
“Beh… sì…”, fece lei.
“Sapete ragazzi?”, li informò poi Tom, “Lei è una nostra fan! Me lo ha detto stamattina e verrà anche al nostro concerto!”
Gli altri tre sembrarono illuminarsi.
“Oh davvero?”, fece Harry, “Ecco perché sei trasfigurata prima di volare per terra!”
La ragazza, che aveva staccato per un attimo gli occhi dal suo taccuino per starlo a sentire, piombò di nuovo nel disagio.
“Scemo!”, fece Tom, “Non lo vedi che sembra una flebo di sangue da quanto è rossa!”
“E dai!”, si giustificò l’altro, “Stavo solo scherzando!”
“Scusami Joanna…”, lo lasciò perdere Tom, “So che stamattina non mi hai riconosciuto e… insomma, pensavo di farti piacere a portare anche gli altri a fare la tua conoscenza ma… visto quello che ti ho fatto combinare…”
“Oh no… non importa.”, disse, stringendosi tra le spalle.
“Allora… cara Little Joanna…”, disse Danny, prendendo il menò dalle mani di Dougie, "Porteresti a me e al qui presente Poynter del buon gelato italiano? I gusti puoi sceglierli tu.”
“Ehm… sì…”, disse lei.
“Per me invece un muffin ai mirtilli.”, disse Harry, grattandosi la testa.
“E per me i vostri magnifici fish and chips!”, disse Tom.
“Ok… allora due gelati, un fish and chips e un muffin.”, fece Joanna, annotandoseli con mano tremante sul blocco.
“E ci piacerebbe che ne mangiassi un po’ con noi… ovviamente se il lavoro te lo permette!”, le disse Tom, sorridendole, “Offro io!”
“Grazie Fletcher!”, esclamarono gli altri tre in coro quasi istantaneo.
Joanna sorrise lievemente all’improvvisazione scroccona dei ragazzi e si allontanò.
“Beh…”, fece Danny, “Dove sono allora le cameriere di cui dicevi, Fletcher?”
“Deficiente!”, gli rispose Tom, “Non lo hai ancora capito che vi ho portato qui per mangiare e non per rimorchiare?”
I tre si ribellarono con lo sguardo, indignati.
“Sei perfido, Tom.”, gli fece Harry.
“Sei infido, Tom.”, seguì Dougie.
“Sei un bastardo.”, concluse Danny.
“Però Joanna è simpatica.”, tentò di risollevarsi Tom, “Ed è anche carina.”
“Sei fidanzato.”, gli ricordò Dougie.
“Non c’è niente di male ad esprimere un parere disinteressato su una ragazza che, per colpa mia, stava per fratturarsi a terra!”, si difese abilmente Tom. 
 

Si mise i ciuffi ribelli, usciti dalla stretta dell’elastico nero, dietro le orecchie, appoggiando entrambe le mani sul bordo di uno dei tanti ripiani della piccola cucina. Doveva farcela.
Prese due coppette di vetro, dalla forma allungata, e le appoggiò davanti a sé. Erano per i gelati.
Doveva scegliere tre gusti, come da menù. A suo gradimento, come le era stato detto da Danny Jones, affibbiandole poi un sorriso a trentamila denti che lei si era rifiutata di vedere, piuttosto che stramazzare a terra, in preda alle convulsioni. E anche Dougie le aveva sorriso, ma lei era stata molto più occupata nel vedere con quanta simmetrica geometricità si intersecavano le linee parallele e perpendicolari del suo block notes.
Tre palline di gelato. Ok, ce la poteva fare.
Andò verso il banco frigo e, dopo aver sollevato la calotta di plastica, afferrò i contenitori del gelato. Panna, cioccolata e fragola per Danny. Limone, mandarino e pistacchio per Dougie. Incrociò le dita e ne mise le rispettive porzioni nelle vaschette, incrociando le dita nella speranza che fossero di loro gradimento. Poi prese due cucchiaini dal manico lungo e decorò il tutto con dei patetici cappellini di carta.
“Vuoi una mano?”, le chiese Miki, al momento disoccupato.
“Oh no… grazie, faccio da sola.”, disse Jo, cercando di rimanere calma, “Ah! Prepara un fish and chips!”
“Mento lungo vero?”, le fece, con occhi ammiccanti.
“Sì… Tom, per cortesia…”, gli rispose, seccata.
Poi era il turno del muffin ai mirtilli. Il suo preferito.
Glielo aveva chiesto Harry. Ne prese uno dal forno, era lì che di solito Miki teneva quelli freschi, per mantenerli meglio. Era ancora caldo… prese un piatto e ce lo appoggiò sopra, contornandolo con dei fili di sciroppo al cioccolato, come faceva sempre Miki. Ignorò l’adorabile sfacciataggine con cui Harry le aveva detto: ‘Ecco perché sei trasfigurata prima di volare per terra!’, altrimenti sarebbe di nuovo avvampata.
Ecco, per adesso gelato e muffin erano pronti, ma per il fish and chips di Tom c’era da aspettare ancora qualche attimo. Prese di nuovo un bel respiro e uscì, appoggiando le ordinazioni su un vassoio di finto legno.
Pregò tutte le religioni del mondo che le stringhe delle sue scarpe non si annodassero, che i piedi non si appiccicassero alle gambe dei tavoli, che non ci fossero macchie di unto per terra… insomma, pregò per non inciampare di nuovo e versare tutto addosso ai McFly. O si sarebbe affogata nell’Arno. Anzi, con tutto lo sporco che c’era in quel fiume, sicuramente sarebbe morta prima per radiazioni.
“Oh! Eccola che arriva!”, esclamò Harry, strusciando contento le sue mani.
Appoggiò il vassoio sul tavolo e distribuì loro i gelati e i muffin, tranquillizzando Tom che i suoi fish and chips sarebbero arrivati subito.
“Oh sì, certo, con comodo.”, rispose lui, gentile come sempre.
Non appena mosse un passo per tornare in cucina a nascondersi tra le pentole, la ripresero.
“Dove vai?”, le fece Dougie, “Devi rimanere con noi!”
“Beh… devo lavorare…”, disse Jo, stringendosi il vassoio al petto.
Rimani pure!”, esclamò Arianna, da dietro il bancone, “Fai pubbliche relazioni! Magari tornano a casa e ci fanno buona pubblicità!”
“Ehm… cosa ti ha detto?”, le domandò Danny.
“Che puoi rimanere giusto?”, le fece Tom, preparandosi a farle posto accanto a lui.
“Sì, dal tono che ha usato sicuramente sì!”, continuò Harry, accomodandosi più vicino a Danny, che si strinse a sua volta a Dougie, costringendolo a sedersi vicino al bordo del divanetto.
Prima l’ordinazione però!”, la riprese Arianna, secondi prima che si sedesse.
“Solo un momento…”, fece Jo, accorrendo per prendere i fish and chips di Tom.
Una volta servito anche l’ultimo dei quattro, si sedette, cercando di non far notare troppo il suo livello di sudorazione ascellare eccessiva, la mancanza di saliva e di parola. Loro stavano già allegramente intaccando le loro ordinazioni.
Si era sempre detta: dai, se un giorno incontrerai qualcuno di famoso che ti piace, dovrai essere te stessa, calma e rilassata.
Ovvio che sì... Ovvio che si sbagliava.
“Allora, Joanna…”, fece Dougie, davanti a lei, “Sei davvero una nostra fan?”
Lei annuì, stringendosi in un sorrisetto.
“E come ci hai conosciuto?”, le domandò Danny, prima di mettere in bocca un po’ di cioccolato.
“Beh… sono stata un weekend a Londra e… vi ho visto in tv.”, disse lei, con un filo di voce.
“Quanti anni hai?”, le fece Tom.
“Venti.”
“Sembri più piccola.”, notò Harry, “Te ne davo diciassette.”
“Beh… grazie…”, rispose Jo.
“Per te è un complimento?”, strabuzzò gli occhi il ragazzo, “Lo avessi detto a mia sorella mi avrebbe preso a calci.”
“Harry!”, lo riprese Tom.
“Sì, scusa…”, si calmò, “Allora prego!”
Joanna non potè non sorridere. Aveva visto su youtube moltissimi i filmati che li riguardavano e la prima cosa che aveva notato era la loro spontanea demenza. Forse era anche per questo che le piacevano, perché erano ragazzi semplici, di un anno o due più grandi di lei, che non si limitavano di certo nelle loro proverbiali ‘uscite’. Sembravano così raggiungibili...
Le veniva da ridere se pensava a quando Dougie disse, in diretta televisiva, che avrebbe voluto recitare in un porno e venne messo in castigo dalla bionda e sorridente conduttrice. Oppure di quando avevano svegliato Danny, una mattina, riuscendo a montare nella sua camera una batteria e un paio di amplificatori per basso e chitarra, sfondandogli i timpani nel sonno.
“Studi?”, le chiese Danny.
“Sei lesbica?”, sbottò Harry.
“Judd!”, esclamò per la seconda volta Tom, dandogli un calcio sotto il tavolo.
Joanna sbuffò in una risata.
“Visto! La volevo far ridere e ci sono riuscito!”, si giustificò Harry, “Sembrava seduta sugli spilli!”
“Hai ragione… perdonatemi...”, si scusò Joanna.
“Sì, colpa nostra.”, ammise Danny, “Siamo troppo belli, la tua vista non riesce a sopportarci.”
“Cerchiamo di essere seri.”, ripristinò Tom, “Vivi con i tuoi, Joanna?”
“Jo, per favore.”, fece lei, “E comunque no, vivo da sola.”
“Ma gli italiani non sono tutti mammoni?”, fece Dougie, alzando le spalle perplesso.
“Beh… evidentemente non io.”, rispose lei, sorridendogli.
“Ma studi?”, continuò lui, come le aveva chiesto poco prima Danny.
“No… Avevo iniziato con l’università… ma ho lasciato.”, disse lei.
“E come mai?”, le domandò Harry.
“Per un paio di motivi.”, rimase lei sul vago.
“E quali?”, insistette Danny.
“Beh…”, fece Joanna.
“Non lo hai capito che sono fatti suoi?”, esclamò Tom, “Jo, se non ci fossi io questi ti mangerebbero viva.”
“E’ fidanzato.”, le disse Dougie, sottolineando volontariamente questa sua breve affermazione.
“Oh sì, lo so benissimo.”, le rispose lei.
“E tu ce l’hai la fidanzata?”, le chiese Harry, sorridendole malizioso.
“Beh….”
“Allora sei lesbica!”, ribattè lui.
“Dio mio, Harry!”, si infervorò Tom, “La smetti di torturarla?”
“E dai! Quanto sei palloso oggi Fletcher!”, si ribellò Harry, “Nemmeno la stessi punzecchiando con un bastone! Finiscila un po’!”
Joanna non riusciva a trattenere le risate. Era come vedere uno sketch televisivo, solo che era lei la protagonista.
“Lasciali fare.”, le disse Dougie, sottovoce, con una mano sulla bocca per pararsi “Sono deficienti.”
“Non ne avevo dubbi.”, rispose lei, nello stesso tono.
“Se non la smetti penserà che sei un maniaco!”, continuava Tom.
“E allora? Lo sono!”, gli rispose Harry, battendosi orgogliosamente una mano sul petto.
Joanna scosse la testa sorridendo. Se quella stessa mattina, quando sul bus sentiva distrattamente l’oroscopo diffuso dalle cuffie del suo i-pod con radio, le avessero detto che stava per incontrare i McFly e trovarsi in mezzo ad una loro commedia dell’arte, non ci avrebbe creduto. Nemmeno se a dirglielo era uno speaker radiofonico con la voce più sensuale del mondo.
“Jo, perdonali.”, le fece Danny, con tono vagamente rassegnato, “Non sanno quello che fanno.”
“Oh no, figuratevi. Continuate pure.”, disse lei, appoggiando un braccio sul tavolo per godersi lo spettacolo.
“Judd, sei un coglione!”, concluse la breve litigata Tom.
“Sì, lo sapevo.”, rispose l’altro, ugualmente fiero.
Joanna fece cadere gli occhi sull’orologio che Tom portava al polso. Mancava poco meno di un quarto d’ora alle cinque, il locale stava per chiudere. Si alzò.
“Dove vai?”, le fece Tom.
“Beh… mi dispiace dirvelo ragazzi, ma alle cinque chiudiamo.”, disse lei, toccandosi il polso con la punta dell’indice.
“Di già?!?”, esclamò Danny, “Allora finisco il gelato!”
Un boccone dietro l’altro, divorò velocemente gli ultimi rimasugli della sua coppetta.
“Tranquilli, fate con calma.”, disse lei, “Adesso devo andare… è stato un piacere conoscervi!”
“Beh… piacere tutto nostro!”, esclamò Harry, alzando le braccia al cielo per stiracchiarsi e sbadigliare.
“Ciao Joanna!”, dissero gli altri tre, quasi in coro, salutandola con la mano.
Sorrise loro e tornò in cucina.

Che giornata… 
 

Tom pagò il conto, come si era involontariamente impegnato a fare, e raggiunse gli altri fuori, che stavano ridendo.
“Che c’è da ridere?”, chiese loro.
“Oh no, niente.”, chiuse frettolosamente Dougie, incamminandosi.
“Stavate ridendo di me, ok, l’ho capito!”, sbuffò Tom, “E non voglio saperne il motivo!”
“Veramente stavamo ridendo della tua Little Joanna!”, esclamò Harry, “Se la tua fidanzata sapesse che stavi flirtando con lei…”
“Piantala Judd!”, gridò Tom, “Non stavo flirtando con lei!”
Non era facile farlo incazzare, ma Harry ci riusciva sempre meglio degli altri.
“E dai!”, si riprese l’altro, “Stavo scherzando!”
“Lo sai che non mi piace quando lo fai su certi argomenti!”, gli ripetè Tom, come aveva fatto migliaia di altre volte, “Stavo solo evitando che voi la spaventaste!”
“Non siamo mica dei mostri!”, disse Danny, “Volevamo solo fare la sua conoscenza.”
Si incamminarono verso l’hotel.
“Sì ma… a volte siete esagerati.”, disse Tom.
Siamo esagerati.”, precisò Dougie, “Includiti nella lista.”
“Ok, siamo esagerati.”, si corresse Tom, “Mi dispiaceva lasciarle un brutto ricordo di noi. In fondo è la prima fan del posto che conosciamo!”
“Eh già… lo è veramente. Nemmeno a farlo apposta, si chiama anche come una nostra canzone!”, disse Harry, “Ed avevi ragione, Fletcher.”
“Su cosa?”, gli chiese lui, con tono scocciato, preparandosi alla sua prossima battutaccia.
“Beh, avevi ragione sul fatto che sia carina. Da uno a dieci, le do un sei e mezzo.”, fece lui, mettendogli un braccio sulle spalle per suggellare la pace.
“Io sette.”, disse Dougie, a qualche metro da loro, alzando la mano.
“Concordo!”, disse Danny.
“Vada per il sette.”, sottoscrisse Harry, “Speriamo che le ragazze di qua siano anche meglio di lei.”
Tom gli lanciò a vuoto la solita occhiataccia.
“Non parlava molto ma era simpatica.”, disse Dougie, “Stava allo scherzo.”
“Perché ci conosceva, sapeva come eravamo fatti.”, disse Harry, “Altrimenti se ne sarebbe andata via indignata.”
“Secondo me no.”, la difese Danny, “Secondo me è una sa giocare.”
“Dici?”, gli fece retoricamente Harry.
“Anche secondo me.”, confermò Tom, “E non sembrava nemmeno tanto oca come la maggior parte delle ragazze che frequentate.”
“Concordo anche su questo.”, disse Danny, ricordandosi dell’ultima ragazza con cui era uscito. Meglio tenerle la bocca occupata con qualcosa, qualsiasi cosa, piuttosto che lasciarla parlare.
“Dite che la nostra breve vacanza qua sia iniziata bene?”, domandò Dougie.
“Richiedimelo stasera, verso mezzanotte, quando sarò ubriaco marcio di Chianti!”, disse Harry, dando una spazzolata con la mano ai capelli di Tom.

Pace fatta!

 

 Sentì le chiavi infilarsi nel portone di casa, era quasi mezzanotte e si stava per appisolare sul divano, nel mentre lo schermo della tv la illuminava con le ultime immagini di Dirty Dancing, il suo film preferito da sempre, di cui conosceva a memoria il copione. Alla frase ‘Nessuno può mettere Baby in un angolo’ scoppiava sempre a piangere per l’emozione. Non ci poteva fare niente, era goffa e sentimentale. E poi aveva sempre pensato che fosse la più bella dichiarazione d’amore del mondo, altro che serenate al chiaro di luna e cioccolatini con dentro gli anelli di fidanzamento.  Ma quella volta non vide Patrick Swayze prendere per mano Jennifer Gray e portarla sul palco a ballare I’ve had the time of my life, perché era a metà strada tra il sonno e, appunto, il sonno.
“Che ci fai ancora in piedi?”, gli chiese Miki, entrando in casa e posando il pesante borsone, appena tornato dagli giornalieri allenamenti.
“Ti stavo aspettando…”, rispose Jo, tra uno sbadiglio e uno stiracchiamento.
“Dovresti andare a letto presto, alla sera.”, le ricordò suo fratello.
“E tu dovresti sapere che ho vent’anni… e non dieci.”, le rispose lei, alzandosi in un brivido di freddo, “Come sono andati gli allenamenti?”
“Bene.”, rispose lui, andando a prendersi una bottiglietta d’acqua, “Mi sono slogato una spalla.”
“Cosa?!?”, sbottò Jo.
“Sì ma… tranquilla, lo sai che ci ho fatto l’abitudine.”, le fece lui.
“Dovresti smetterla, Miki, è uno sport troppo violento.”, disse sua sorella, spegnendo la tv.
“Beh… è uno sport nobile!”, si difese lui, “E mi piace da quando avevo dieci anni!”
“Sì… va beh, ci rinuncio!”, disse Jo, lasciandolo perdere, “Buonanotte!”
“Buonanotte!”, le sbottò dietro Miki, innervosito.
Tutte le volte le solite storie.
Diceva Oscar Wilde: ‘
Il calcio è uno sport da gentiluomini fatto da bestie, mentre il rugby è uno sport da bestie fatto da gentiluomini.’ E lui, che era un giocatore di rugby dall’età di quindici anni, era più che un gentiluomo. Aveva sempre vissuto la sua vita in funzione di questo sport, della squadra e delle vittorie. Odiava il calcio e tutti i calciatori, compresi anche quei poveri ignoti che strabuzzavano gli occhi quando venivano a sapere che lui, con quel fisico piazzatissimo, non era un pugile ma un giocatore di rugby.
Toglierglielo era come levargli l’aria e molte persone a lui vicine ne avevano imparato le conseguenze… lanciò distrattamente un’occhiata ad una fotografia lasciata ad impolverirsi sulla libreria, vicino alla televisione.
Meglio andarsene a letto.
Era stata una giornata abbastanza pesante, così come quasi tutte le altre. Lavoro e allenamenti, in vista della partita di domenica, che ormai era diventato il giorno dopo quello che attualmente stava vivendo, dato che era entrato nella mezzanotte del sabato. Sarebbe dovuto partire di buon ora per la Calabria, dove la sua squadra amatoriale avrebbe giocato una partita valida per il campionato in cui era riuscita ad iscriversi, grazie ad una colletta fatta tra tutti i quindici giocatori.
Niente lavoro quindi, oltretutto il sabato e la domenica il locale stava chiuso; era inspiegabile come l’afflusso dei clienti si azzerava durante il week end. Non era mai riuscito a capirne il motivo; poco dopo la sua assunzione qualche anno fa, Arianna aveva deciso di allungare la chiusura anche al sabato, non solo alla domenica. Meglio, aveva pensato, così aveva meno problemi per le partite.

Si fece schioccare le ossa del collo e dopo un ultimo stretching ai polpacci, si mise a guardare un po’ di tv. Jo se n’era già andata in camera sua, sarebbe rimasto solo cinque minuti a rilassarsi davanti alla tv.
Lanciò una rapida occhiata intorno: cucina e salotto erano inglobati in un’unica grande stanza, separati in parte solo da un basso muretto in cartongesso, su cui stavano alcuni ninnoli. Poi le loro due camere, un bagno e uno sgabuzzino. Talmente –ino da essere quasi un interstizio tra due pareti vicine.
Quel trilocale si era riempito da quando era arrivata lei. Non ci aveva vissuto da solo per molto, circa sei mesi, ma erano stati i peggiori della sua vita. Fortunatamente, ed anche sfortunatamente, era arrivata Jo. Così si sentiva meno divorziato di quanto non fosse...
“Vai a letto o ti addormenterai sul divano come ieri!”, tuonò Jo, sbucandogli all’improvviso davanti.
“Ok… sei una palla, Jo.”, borbottò sfinito, alzandosi e spostandosi verso la sua stanza.
Era davvero l’ora di andare a letto.
Era una rompipalle. Ma era la sua Little Joanna.
“Le hai preparate le valige per domani?”, gli chiese sua sorella.
“Sì, già fatto.”, le fece, “Mi raccomando, in questo fine settimana senza di me non distruggere casa.”
“L’ho mai fatto?”, sbottò lei.
“Intendevo dire che non devi dare fuoco alla cucina.”, si spiegò meglio Miki.
“E anche questo l’ho mai fatto?”, ripetè lei.
Miki sbuffò.
“Ci siamo capiti!”, fece.
Davanti alle porte delle loro stanze, messe l’una di fronte all’altra, si salutarono con il solito dito medio.


Allora! Eccomi al terzo capitolo della storiella! Intanto specifico che il titolo 'Help' dei Beatles, no scopo di lucro. Poi, come sempre, passo ai ringraziamenti per le vostre recensioni!

Non in questo terzo sia successo molto, è giusto il continuo e la conclusione dei due precedenti, mi è servito principalmente per presentare i miei tre personaggi (Joanna, il fratello Miki e la proprietaria Arianna) oltre che a far conoscere i 4 boys. Dal prossimo si apre la storia vera! 

E come dicevo per Another Neverending Story, tenete gli occhi aperti ai particolari. E non fidatevi mai di quello che leggete! XDDD scherzo, cosa volete che succeda! Ma comunque, come dice il Commissario Winchester, stateve accuorte!

Kit2007: Bene! Mi fa piacere che anche tu sia tornata per leggermi! Della serie, RubyChubb, un nome una garanzia! XDD Ti aspetto, alla prossima!

Picchia: Puoi stare tranquilla per quanto riguarda le lavstori. Non ne ho progettate per questa storia, anche se potrebbe sembrare il contrario, andando avanti con i capitoli. L'amore lo lascio a Tommac e ai loro accoppiamenti selvaggi XDDD Ci saranno momenti di cazzeggio e momenti di riflessione, come sempre, e spero di essere all'altezza per poter scrivere una storia comica... cioè spero di farvi ridere! Non tanto, basta anche un sorrisetto sulla bocca. Ci conto!

Kiki91:Essì, ci voleva proprio qualcuno che scrivesse su di loro! Sono contenta che per adesso ti stia piacendo! Ci sentiamo! Ciao!

Ciribiricoccola: Dato che la Mcflyite ti sta contagiando alla grande, ti dico solo che quanto verrò a Pisa, appena torno, ci mettiamo in Piazza dei Miracoli a cantare Don't Stop Me Now... e lo sai che sono capace di farlo... Così, appena il primo argentino figone viene a chiederci una foto, sarà automatico che vorrà farla a noi!!!!! XDDD ci ripenso sempre a quella scena XDDD Scusate, posso fare una foto??? ... *.* A noi???? XDDDD  

CowgirlSara: Tranquilla, ti porto anche se non ti piacciono. Anche perchè, sappilo, in macchina sentiremo solo quelli. Ormai anche Nico si è rassegnato, quindi statte con l'anima in pace, anda e rianda con i Mc a tutta palla e io che canto. Rimpiangerai di essere venuta... XDD bene, mi fa moltissimo piacere sapere che Joanna, per adesso, ti sta simpatica! Speriamo che la sua goffaggine e la sua timidezza non saranno, soprattutto nei prossimi capitoli, troppo accentuate da farla risultare MarySue. Lo sai che questa cazzo di MarySue mi sta sulle palle, sempre a farmi venire i dubbi sui miei personaggi... Vaff...

_Princess_: Non è che ti dispiace se facciamo un contratto per la spartizione settimanale dei Mc? Tipo la rotazione che facciamo con i Tokio tra noi MS... XDD mi fa piacere che tu abbia messo questa storia nei preferiti! E mi allieta molto anche il fatto che questa storia ti stia prendendo! *.* Sono contentissima!!! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! 

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Capitolo 4
*** Little Joanna ***


Ehm... premetto che sono nell'umore più nero per una serie di concatenazioni sfortunate, in cui i Tokio Hotel hanno una parte predominante (ma non ci sono solo loro). Posto questo capitolo con un po' di amarezza, censurando il flusso perenne di parolacce/bestemmie/illazioni che scorre perpetuo nella mia mente da almeno due settimane a questa parte (Kitt2007, sai perfettamente di cosa parlo! XD Mannaggia, mi son sfogata con te... solo che ora tutte le parolacce riservate a Bill e alla sua incoscienza sono tramutate in minacce di morte al regime di sfruttamento da terzo mondo a cui sono sottoposti i TH per colpa di una casa discografica che è peggio della Nike e dell'Adidas messe insieme.
Speriamo che il nostro Billastro guarisca presto e che non ci siano ripercussioni permanenti per la sua salute, dato che dalla laringite si è passati ad una ciste che è molto più grave ed insidiosa del mal di gola. Prego anche che i loro 'aguzzini' capiranno che, dietro a tutto questo, la colpa dell'accaduto non è solo di Bill che non si è vestito tanto per l'inverno, o che fuma troppo... 

E comunque torno a dire: Billastro, non stare sempre col culo al vento ad aspettare che qualcosa ci atterri in mezzo. E soprattutto, non fumare! Che la lezione non sia solo per management e casa discografica, ma un po' anche per lui. (anche se, ora come ora, lui c'entra poco).

Detta questa breve introduzione, posto il quarto capitolo di questa storiella sui McFly... meno male che ci son loro che mi fanno ridere e cantare! Mi hanno tenuto compagnia per 3/4 del viaggio di ritorno da Torino!
Scusate se non metto i classici ringraziamenti in fondo, ma non sono dell'umore adatto... Velocemente: Kit2007 (per la tua pazienza ieri!), CowgirlSara (anche se non hai recensito: la sfiga la sfiga la sfiga la sfiga la sfiga e potrei continuare così per sempre... arg!), Ciribiricoccola (Silviuccia! Dai che il tuo Bill tornerà in forma, so che ti stai disperando... ho visto che hai aggiornato! Attendo un cambiamento di umore per leggerle e commentarle), Picchia (beate voi che la data di Roma già ce l'avete fissata! In un modo o nell'altro li rivedrete comunque... incorciamo le dita in attesa di nuove notizie anche per Torino e Bologna!), _Princess_ (eheheh, spero di averti fatto ridere altrettanto con questo capitolo! E ribadisco: non tutto è come sembra... perchè alla fine spunterà Mondenkind! Che rivelazione beautifulliana! eheheh!), Kiki91 (Grazie per la partecipazione!)

Come nell'altro capitolo, se cliccate sul titolo del capitolo, vi rimando alla canzone 'Little Joanna'....


4. Little Joanna



 Lasciò che il sole lo svegliasse completamente. Con calma, si era introdotto tra le sue palpebre, gli aveva fatto il solletico, per poi piantarsi amorevolmente sulla sua tempia e riscaldarla fino ad ebollizione raggiunta.
“Fottuto sole, ti odio…”, borbottò, masticando involontariamente un lembo della federa bianca, che sputò via poco garbatamente, sbuffando.
Aprì di qualche millimetro la corazza costruita intorno alla sua testa dal cuscino piegato in due e guardò l’ora sul suo orologio, depositato per la notte sul comodino.
“Palle…”, fece, notando che erano solo le nove e mezza.
Alle nove e mezza il sole lo aveva svegliato, perché la sera prima era stato talmente ubriaco da scordarsi di chiudere le pesanti tende nere che oscuravano la finestra della sua stanza d’albergo. Non si ricordava chi ce lo aveva portato dentro, forse Harry o Tom, non ne era sicuro. Sentiva la bocca impastata, priva di ogni forma di salivazione, e la testa che veniva suonata come un bongo africano dall’emicrania in corso.

Dio, che giornata…
E tutto per una decina di bicchieri di vino. Fosse stata birra l’avrebbe retta con la punta di un dito, ma quel vino… no, quel vino era troppo peso anche per il suo fegato, che in quel momento stava indolenzito tra il suo polmone e… qualsiasi altra cosa delle schifezze che teneva sotto la pelle, vicino al fegato stesso. Si alzò barcollando, cercando di trattenersi dalla voglia di svenire e vomitare, ed andò verso il bagno. Era l’ora di riempirsi di aspirine e di caffè, altrimenti sarebbe stato nervoso per tutto il giorno.
Dopo una lunga doccia calda, che fece attenuare la morsa alla testa, si preparò per la classica operazione di deforestazione facciale. Accese un po’ di tv per farsi compagnia, indeciso su quale dei canali preferiva perdersi in comprensioni inutili della lingua italiana. Lasciò lo schermo su Mtv, l’unico canale che conosceva, e si mise davanti allo specchio.
“Avanti, ce la puoi fare.”, disse, sorridendosi.
Dopo una decina di minuti, il suo viso era un tappeto di taglietti.
“Merda!”, esclamò, resistendo poco stoicamente al bruciore del dopobarba.
Non ci riusciva mai, lui era sempre destinato ad affettarsi la faccia. Uscì dal bagno imprecando sonoramente, se sua madre fosse stata lì lo avrebbe riempito di schiaffi sulla bocca.
Inciampò su un paio di pantaloni messi a terra e cadde sul letto. Fece per alzarsi e rotolò col culo per terra. Si sedette e sbattè la mano contro qualcosa… non sapeva cosa.

Dio, che giornata…
Cercò di mettersi in piedi senza finire col tumefarsi contro qualche spigolo vagante e ci riuscì abbastanza bene. Aveva una voglia matta di caffè nero, di una lunga brodaglia scura, di concentrato di caffeina, di steroidi neri naturali che lo svegliassero… anche se doveva ammettere che i ruzzoloni appena terminati erano serviti già per quello scopo.
Si strusciò gli occhi e, dopo aver grufolato come un maiale nella sua ciotola, nella valigia trovò qualcosa da mettersi. Impiegò qualche secondo nel trovare il modo giusto per infilare i bottoni della camicia nelle giuste asole ma alla fine il risultato fu… pessimo. Un paio di bottoni vagavano senza posto tra due appena infilati e il bavero sinistro pendeva più corto di quello destro. Niente camicia per quel giorno.
Prese una maglietta a maniche lunghe e una t-shirt. Perfetto, tranne che aveva indossato entrambi i capi al contrario.

Dio, che giornata…
Almeno
riuscì ad indossare i pantaloni nel modo giusto al primo colpo. Tornò il momento delle magliette e, una volta infilate le braccia nelle maniche, poteva dirsi tutto sommato soddisfatto. A parte i tre taglietti che adornavano la sua faccia pulita… dannazione!
Ricapitolando: i pantaloni ce li aveva, la maglietta anche.
Mancavano calzini e scarpe. Non badò ai colori, infilò i primi calzini che parevano uguali. Uno nero e uno marrone, ma tanto nessuno lo avrebbe notato. Anche le scarpe finirono ai suoi piedi. In previsione di non tornare più in camera, prese anche il cappotto nero, il cappellino, la sciarpa e i guanti. Ah! La chiave della camera.

Caffècaffècaffècaffècaffècaffè.
Era un pensiero fisso che lo tormentò per tutta la discesa dell’ascensore, fino alla sala della colazione. Un lungo bancone colmo di cibarie varie lo accolse, investendolo con uno tsunami di odori diversissimi.
Dio, che giornata…
Niente colazione. Solo caffè.
Si avvicinò alla macchinetta self service e posizionò una grossa tazza sotto al beccuccio dispenser. Cercò tra i nomi italiani qualcosa che somigliasse al black coffee che tanto desiderava. Non trovò niente, solo semplicemente caffè, oppure cappuccino, moccaccino, capciock, ciopciap, flipflap e Mickey Mouse.
“Fottuto Donald Duck.”, borbottò, attirando lo sguardo indispettito di un signore di passaggio. 
Non era sempre ragionevole di prima mattina.
Premette su caffè ed attese, guardandosi intorno. Il rumore della macchinetta durò, inaspettatamente, pochi attimi e la sua tazza era riempita solo per mezzo dito. 
“Ehm… di più.”, disse, come se la macchina potesse starlo a sentire.
Provò con una leggera botta, assestata sul fianco quando nessuno girovagava con lo sguardo dalle sue parti. Ma niente, sembrava aver finito, doveva soffrire di eiaculazione precoce. Era ufficiale, odiava quella macchina per caffè. Era come quelle odiose ragazze che gliela facevano annusare ma poi si ritiravano all’ultimo momento.

Dio, che giornata…
“Mi scusi”, cercò di attirare l’attenzione di un ragazzo in gilet rosso, “Questa cosa non funziona.”, gli disse.
Il ragazzo lo guardò con aria strana. Forse il suo lungo cappotto nero e gli occhiali da sole sulla faccia lo facevano sembrare un teppista. Il cameriere appena fermato si mise a controllare la macchina del caffè.
“Funziona.”, gli disse, allontanandosi in un sorriso stretto.
E allora perché gli dava sempre il solito striminzito espresso! Lui voleva un caffè nero e lungo!

Dio, che giornata…
Ok, aveva capito, doveva andarsi a cercare il caffé al di fuori di lì. Lasciò tutto come aveva trovato, riposando la tazza sul tavolo, e se ne uscì dall’hotel.
L’aria era abbastanza freddina, dopo tutto erano a febbraio, e dovette chiudersi nel suo cappotto di stoffa nero, custodendo le mani dentro le tasche, dato che i guanti gli erano pressoché in utili. Eppure il cielo era veramente limpido, come se fossero stati in piena estate. Solo una piccola nuvola annoiata, che si nascondeva dietro al tetto degli alti edifici che costeggiavano il viale in cui stava camminando.
Si vedeva che era sabato, le strade erano piene di gente.  I negozi esponevano gli ultimi cartelli dei saldi, tutto era scontatissimo e, anche se era presto, già qualcuno camminava con delle buste in mano. Ebbe la tentazione di entrare in un paio di locali, vedendo la gente chiusa al loro interno a mangiare cornetti, accompagnati da tazze con schiuma fumante di latte. Ma non lo fece, perché gli era improvvisamente tornato a mente il locale del giorno prima.
Se servivano piatti inglesi, allora anche il caffè era all’inglese!
Il problema era ricordarsi dove si trovasse questo locale, di cui non si ricordava nemmeno il nome. Forse iniziava con la lettera g…

Dio, che giornata…
Si grattò la testa, passando con poca grazia sotto al capellino nero di lana che indossava e che fece presto a calarsi sulle orecchie gelide. Tornò a camminare, magari se seguiva la massa poteva trovare qualche posto che faceva per lui.
Fu fermato da un paio di turisti che gli chiesero spiegazioni in un inglese stentato e dovette ripetergli più volte che non era del posto e che non conosceva niente di Firenze, se non che si trovava in mezzo all’Italia, o giù di lì.
Mentre la nebbiolina usciva fuori dalle narici, fu attratto dall’osservare la vetrina di un parrucchiere, dove una ragazza bionda stava facendo svogliatamente la messa in piega ad una signora di una certa età, masticando vistosamente una chewing gum. Ci mancava solo che la prendesse e gliela spiaccicasse sulla testa, pensò.
Inorridì al sentire la voce stridula di un bambino, che gli penetrò nelle orecchie e rinvigorì la sua emicrania, fino quel momento miracolosamente sparita e poi ricomparsa improvvisamente. Ma che belli i bambini… quelli silenziosi!
Camminò per altri cinque minuti, infiltrandosi tra turisti e gruppi di ragazzini che avevano marinato la scuola, oppure erano in gita nella città. Fu costretto poi, suo malgrado, a fermarsi nei pressi di una fermata dell’autobus abbastanza affollata. Una mandria di persone, sbucate da un’apertura nel terreno, lo avevano investito in pieno, per precipitarsi poi su un frettoloso bus che si era fermato giusto in tempo per vederli arrivare. Quel buco per terra doveva essere un sottopassaggio, magari c’era la metro, ma non vide nessun cartello con la M impressa sopra.
Non appena l’investimento terminò, si suggerì di tornare sui suoi passi.
Di profilo, un simpatico naso e un ciuffo di capelli biondastri, spuntato da sotto un cappellino di lana verde, lo bloccarono in mezzo al marciapiede.
“Little Joanna!”, esclamò, aspettandosi che la cameriera di quel locale si voltasse dalla sua parte, ma lei non lo fece.
Le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla, facendola sussultare.
“Little Joanna!”, la chiamò ancora, vedendola abbastanza spaesata, “Sono io! Danny!”
L’espressione tesa della ragazza parve rilassarsi, per concedergli un sorriso striminzito, imbarazzato.
“Ciao…”, mormorò lei.
“Che ci fai qua!”, esclamò ancora Danny, “Stai da queste parti?”
“Beh… veramente sto aspettando il bus…”, disse lei, indicando la strada.
La sua faccia raffreddata era simpatica. Le dette una rapida occhiata. Aveva un cappotto di taglio simile al suo, dello stesso verde scuro del cappello, legato in vita da una cintura. Sotto di esso spuntavano un paio di semplici pantaloni di jeans e, a tracolla, portava una borsetta di cuoio, tenuta per sicurezza dall’altra mano sulla sua apertura. Una spessa sciarpa bianca stava legata intorno al collo, coprendola fino al mento.
“E dove ti porterà di bello il bus?”, le fece.
“Beh…”, disse lei, abbassando lo sguardo, “A… fare la spesa…”
Ah, quindi da nessuna parte dove facessero caffè, cioè non stava andando al lavoro, al locale.
“Ma che coincidenza!”, le fece , “Anche io vado a fare la spesa!”
Lei lo guardò divertita.
“No, dai scherzo.”, si corresse, “Volevo solo chiederti che strada devo fare per andare al locale dove lavori, per prendere un caffè… magari te ne potevo offrire uno, ma dato che vai a fare la spesa…”
“Beh, volentieri.”, rispose lei, sorridendogli, “Ma è chiuso.”

Chiuso? Come chiuso… perché chiuso?
“E’ sabato.”, si spiegò poi lei, leggendogli sul viso le domande che si poneva, “E chiudiamo al fine settimana.”
“Ah…”, fece Danny, deluso, “E non sai dirmi… qualche posto dove la piantino di rifilarmi caffè compressi per darmi quei lunghi beveroni neri che mi piacciono tanto?”
Joanna sbuffò in una risata, coprendosi la bocca con la mano per non risultare troppo offensiva. Ma a lui non dispiaceva affatto che ridesse, era abituato a fare il comico.
“Devi chiedere un caffè americano.”, gli spiegò lei, “Perché se chiedi semplicemente un caffè, ti daranno un espresso.”
“Ah!”, esclamò lui, “Ecco dove stava il trucco!”
Lei rise di nuovo, poi con un cenno della testa gli fece capire che il bus che stava arrivando era quello che stava aspettando.
“E’ stato un piacere incontrarti di nuovo… Danny…”, disse lei, abbassando gli occhi, mentre saliva sul bus, dopo che tutti quelli vicini a lei avevano ormai salito il gradino di entrata del mezzo.
Lui non fece storie e, impulsivamente, salì sul bus.
“Vengo con te, Little Joanna!”, fece, giustificando la sua pazzia davanti allo sguardo stupito di Joanna, “Così vedo anche come fate la spesa voi italiani!”
“Ma tu non hai il biglietto!”, esclamò lei, ridendo, esterrefatta.
“E allora?”, sbottò lui, “Sai quante volte l’ho fatto in Inghilterra?”
Da buona ragazza quale sicuramente era, lo guardò con rimprovero. Poi frugò nella borsetta e tirò fuori un tagliando rosaceo, che inserì in una macchinetta gialla.
“Ecco.”, gli fece, porgendogli il suo biglietto timbrato, “Così evitiamo noie.”
Prese il cartellino dalle punta delle sue dita e lo osservò.
“Perché tu non fai altrettanto con il tuo biglietto, Little Joanna?”, le chiese, con sorriso beffardo.
“Perché io ho l’abbonamento…”, disse lei, con tono ovvio, e poi sbuffò, “Perché mi chiami Little Joanna? Come ho detto a Tom, io sono solo Jo!”
“Appunto!”, esclamò lui, “Lo hai detto a Tom. Non a me, quindi ti chiamo come mi pare!”
“E come mi chiameresti allora, Danny Jones?”, fece lei, incrociando le braccia intorno ad uno dei pali rossi dell’autobus, che nel frattempo era ripartito.
“Little Joanna. Sempre.”, le fece, scoppiando a ridere.
Lei era tutt’altro che divertita, pareva abbastanza perplessa.
“E che Little Joanna sia!”, disse poi, sospirando.

 

 

Era tempo di razionalizzare. Momento di tirare fuori le palle per affrontarsi.
Cercando di lasciare da parte l’emotività, caratteristica fondamentale del suo carattere ingarbugliato, in quel momento, si stava trovando su un bus. Esattamente il numero 127, che la portava ad un discount lontano dal centro cittadino dove, per effetto di questa distanza, tutto costava meno che altrove. Nella tasca del suo cappotto verde c’era una corta lista della spesa: prodotti per la casa e per l’igiene. Non molto, erano le uniche cose che mancavano.
Avrebbe dovuto anche passare al videonoleggio a prendere qualche film, comprarsi un paio di reggiseno e due di mutande. Poi avrebbe preso il bus in senso inverso, sarebbe tornata a casa e, dopo un veloce pranzo, si sarebbe messa una tuta e un paio di comode sneakers per andare un po’ a correre al parco.
Una volta terminata la sessione settimanale di allenamento contro la ciccia sui fianchi, sarebbe tornata a casa e, dopo una doccia, avrebbe passato la sera a riempirsi di pop corn e coca cola, davanti allo schermo della tv che riproduceva qualche film. Visto che Miki era partito per la partita e non tornava fino a domenica notte inoltrata, non sarebbe uscita come di solito con lui e quegli scemi dei suoi compagni di squadra. Erano un gruppo abbastanza folto di ragazzi e ragazze, si divertiva abbastanza con loro.
Ecco, queste sarebbero state le tappe fondamentali della sua giornata.
E tutto sarebbe andato come previsto, se non fosse stato per un particolare.
Il nome di questo particolare era Danny Jones che, in quel momento, si trovava esattamente aggrappato ad un palo rosso dell’autobus 127. Cioè accanto a lei.
Se non fosse stato che quel particolare Danny Jones era anche lo stesso Danny Jones raffigurato con la bocca aperta in una strana espressione sul pezzo di carta appeso alla porta di camera sua, in piedi sul sedile posteriore di una Mini  rossa decappottabile, non ci avrebbe fatto molto caso. Forse lo avrebbe addirittura ignorato, pensando che fosse un semplice turista di passaggio.
Ma si dava il caso che le due personalità coincidessero.
E c’era anche da aggiungere che Danny Jones era su quel bus perché la stava accompagnando a fare la spesa.
A fare la spesa!!!
Danny Jones la stava accompagnando a fare la spesa!
Era incredibile.
E quello stesso Danny Jones aveva detto che l’avrebbe chiamata sempre Little Joanna. Sempre. Quanto poteva durare quel sempre? Fosse stato per lei, anche tutta la vita. Ma quello era un pensiero da fan, non da Joanna Bellini, cioè da lei stessa.
Era una sentimentale, una emotiva, ma quello era Danny Jones dei McFly, lo stesso che la guardava insieme agli altri quattro, appeso con lo scotch alla porta di camera sua. Quindi quel sempre sarebbe durato finchè non si sarebbero salutati, scesi dal bus, al ritorno dagli acquisti.
Sì, sentimentale emotiva goffa Joanna, ma non stupida.
Non si fece pensieri, non si fece filmini mentali, anche perché non aveva la lucidità mentale per farlo. Non era perché Danny fosse dannatamente un bel ragazzo, con gli occhi blu, i capelli mossi che spuntavano impertinenti sulla fronte da sotto il berretto e il sorriso contagioso. Era la sua persona in totalità a scombussolarla. Era il fatto che fosse Danny Jones dei McFly a farla star male, c’entrava poco la sua avvenenza.
Ci fosse stato Harry, o Dougie, perfino Tom, sarebbe stato lo stesso. Adorava i McFly, le loro canzoni, i testi spesso disimpegnati, le melodie orecchiabili quasi da spiaggia… E poi erano così deficienti! Ovviamente c’erano molti altri gruppi che preferiva nettamente a loro, sia nelle melodie che nei significati dei loro testi.
Ma i McFly erano i McFly e, per quanto ci fosse qualcuno sempre meglio di loro, avevano un posto di tutta riserva nelle sue preferenze musicali.
Quasi invidiava la loro disinvoltura…
“Little Joanna, a cosa stai pensando?”, le fece Danny, distogliendola dai suoi pensieri.
“Ehm… a niente.”, disse lei, abbozzando un sorriso e tornando con lo sguardo fuori dal finestrino.
“Sei silenziosa.”, disse lui, appoggiando la testa alla sbarra verticale rossa, tenuta stretta da entrambe le mani, “Sei sempre così?”
“A volte sì.”, gli rispose, facendo spallucce.
“Tra quanto arriviamo?”, le chiese, guardando anche lui al di fuori, “Mi sembra di capire che stiamo uscendo fuori dalla città.”
“Sì, hai ragione. Mancano solo un paio di fermate.”
Erano nel bel mezzo di una delle zone industriali e commerciali più grandi di tutta la Toscana.
“Sei… mai stato in Italia prima di ora?”, gli chiese, cercando un appiglio per conversare con lui, senza fare di nuovo la figura del pesce muto.
“No, mai stato prima.”, rispose lui, “Però l’ho sempre voluto fare. Siamo arrivati ieri in città, colpa di Fletcher, ci ha trascinato qua con una settimana di anticipo perché si voleva vendicare del tempo trascorso a Parigi.”
“Ah sì?”, gli fece.
Meno male che lui non si tratteneva a parlare.
“Sì, siamo stati una settimana a Parigi… a divertirci.”, disse lui, con tono vago.
“E’ una città bellissima… cosa avete visto di bello? Il Louvre? Versailles? Monmartre?”
“Beh…”, fece lui, imbronciando la bocca in espressione pensierosa, “Avrei voluto.”
Lo guardò perplessa.
“Siete stati a Parigi e non avete visto niente di tutto questo?”, gli fece.
“Forse Fletcher ha visto tutta quella roba che hai detto tu.”, rispose lui, con sorriso beffardo, “Ma noi liberi da catene ci siamo buttati tra le braccia delle ragazze del Moulin Rouge…”
Esterrefatta. Totalmente, cercava di nascondersi dietro ad uno sguardo fisso su di lui. Poi lo spostò fuori, sulla strada.
“Siamo arrivati.”, disse, avvicinandosi all’uscita del mezzo.
Scesero dal bus di fronte ad un grande supermercato, dovettero solo attraversare un viale ad alta densità di traffico, pregando che nessuna delle macchine li investisse.
“Che cosa devi comprare di bello, Little Joanna?”, le domandò Danny, mentre entravano nella grande bocca del supermercato.
“Un po’ di cose.”, rispose lei, tirando fuori la lista dalla tasca.
“Fammi vedere!”, esclamò lui, strappandogliela di mano e mettendosi a leggerla, “Ma non ci capisco niente!”
“Secondo te mi metto a scrivere la lista della spesa in inglese?”, sbottò Joanna, ridendo.
“Beh… visto che lo parli così bene, mi viene quasi da pensare di sì.”, rispose lui, restituendogliela deluso, “Sei mezza inglese?”
“Assolutamente no.”, rispose lei, entrando all’interno della zona del mercato, lasciando perdere tutte le attraenti vetrine dei negozi della galleria commerciale.
Afferrò un cesto verde dal manico nero ripiegato e dette un’occhiata alla lista.
“Allora te lo devono aver insegnato davvero per bene a scuola!”, continuò Danny, seguendola, togliendosi sciarpa e guanti per il caldo dell’aria.
“Sì... diciamo di sì...”, gli rispose.
La spesa era una cosa che odiava fare con tutto il cuore, a era suo compito. Visto che lui era stato così tanto gentile da prestargli la sua compagnia, decise di sfruttarlo.
 “Senti, non è che ti dispiace tenermi questo?”, gli fece, passandogli il cesto verde.
“Oh no! Figurati!”, disse lui, prendendolo.
Sapeva cosa comprare e dove trovarlo, quindi si diresse automaticamente verso le zone interessate.
“Da quanto tempo lavori al locale?”, le chiese lui, mentre andavano verso gli scaffali dei prodotti per la casa.
“Da circa sei mesi.”, rispose lei.
“E vivi anche da sola, se non ricordo male.”
“Sì.”
Poteva anche essere Danny Jones dei McFly, ma la sua vita privata rimaneva tale. Non le piaceva parlarne. Prese i flaconi della candeggina e dei detersivi per i panni e accomodò dentro alla cesta, spostando i guanti e la sciarpa che Danny vi aveva messo.
“Allora devi essere una tipa veramente in gamba!”, esclamò, ma non ricevette risposta.

 

 

Enigmatica.
Di sicuro era la persona più enigmatica che aveva avuto il piacere di conoscere. Era anche carina: bocca disegnata, occhi grigiastri e capelli biondi, sul mosso. Decisamente non il suo tipo, era troppo acqua e sapone, ma era a suo modo molto carina. Semplice e timida, sicuramente spaventata dalla sua esuberanza.
Fu per questo che decise di oscurarsi un po’, sentiva che lei era a disagio. Era salito su quel bus perché non aveva niente da fare, gli era passato il mal di testa ed anche la voglia di caffè. Non voleva tornarsene in hotel, gli altri sarebbero rimasti a dormire per via della sonora sbornia raccolta la sera prima.
Preso dalla sua solita impulsività, aveva messo piede nel bus, senza biglietto né una motivazione valida. Lei, che non pareva essere il tipo di ragazza carpe diem, c’era rimasta un po’ così così. E si stava sforzando per sopportarlo, diciamo.
La lasciava camminare tra i carrelli abbandonati da massaie in cerca del prodotto dimenticato, seguendola fedelmente. Le porgeva il cestino quando lei aveva scelto quale tra i due shampoo fosse quello migliore e stava zitto. Sicuramente adesso lo stava preferendo nettamente al Danny Bocca Larga.
Doveva essere una ragazza simpatica, una volta che si trovava a suo agio con le persone. Non molto spigliata ed estroversa, ma simpatica. Almeno lo era stata quando l’aveva conosciuta al locale, il giorno precedente. Aveva sopportato le insinuazioni di Harry e solo per questo doveva essere premiata.
La vide rileggere la lista e controllare di nuovo i prodotti dentro alla cesta.
“Preso tutto?”, le chiese, rompendo il silenzio.
“Beh... penso di sì...”, disse lei, ancora soprappensiero, “Ma sento che sto dimenticando qualcosa che non ho scritto sulla lista.”
Si picchiettò la punta dell’indice sulle labbra. Poi il dito si fermò.
“Trovata vero?”, le fece, sorridendole.
“Sì...”, disse lei, con aria imbarazzata.
Si rimise in cammino e si intrufolò tra due file di scaffali.
Ah, ecco che cosa le mancava, pensò Danny, con un sorriso beffardo abilmente nascosto da un’espressione del tutto asettica. La vide prendere una confezione plastificata rosa di assorbenti e tornare da lui a testa bassa, con guance rosse. La mise dentro la cesta ed alzò gli occhi.
“Danny Jones, non ridere! Sono una ragazza e ne ho bisogno!”, gli fece, con sorrisetto complice.
“Little Joannas crescono!”, le rispose, con un finto sospiro commosso.
Pagarono ed uscirono dal supermercato, per tornare alla fermata del bus. Da gentiluomo, le concesse di portare la busta della spesa mentre lei in cambio gli cedeva un altro biglietto. C’era una notevole quantità di persone ad attendere un pubblico trasporto e sperò che non avessero tutte bisogno di salire sul suo stesso mezzo.
“E’ stato bello fare la spesa?”, gli chiese Joanna.
“Oh sì, che esperienza fantastica!”, le fece, “E’ stato un fiume di emozioni: stavo per mettermi a piangere davanti al reparto della carne.”
Lei rise, scuotendo la testa.
“Mi immaginavi già così scemo, vero?”, le chiese.
“Beh... diciamo di sì.”, rispose Joanna, “Ma penso che il vero Danny Jones lo sia anche di più.”
“Oh, certo che sì! Dovevi vedermi ieri sera, mi sono ubriacato così tanto che non mi ricordo niente!”, le disse ridendo.
Lei scosse di nuovo la testa.
“A proposito, cosa fai stasera?”, le domandò. Magari un po’ di vino scioglieva anche lei.
Joanna parve immobilizzarsi.
“Beh...”, disse, togliendo un ciuffo di capelli che le era entrato nella piega della bocca.
“Tranquilla, ci saranno anche gli altri!”, le disse, “E poi abbiamo bisogno di qualcuno che ci illustri le meraviglie di questa bellissima città!”
“Grazie...”, rispose Joanna, “Ma ho da fare...”
Era diventata rossa come la sciarpa di una delle signore intorno a loro.
“Beh... ovviamente te l’ho chiesto così, senza pensare che magari hai un ragazzo...”, le disse, “Comunque, davvero, non l’ho fatto con malizia. Semplicemente perchè mi sei simpatica e sei carina, staremmo tutti bene con la tua compagnia.”
Lei spostò lo sguardo altrove.
“Sì, hai ragione, scusami.”, disse, scuotendo la testa, “E’ che... semplicemente ho un altro impegno.”
“Certo, incasserò il tuo rifiuto con un elegante sorriso.”, le disse e le rise, “E di domenica? Sei impegnata anche domani?”
La risposta aveva paura ad arrivare.
“Non ti preoccupare.”, le disse, “Domani ti aspetto insieme agli altri alle dieci e mezza, davanti all’hotel Venice, dove alloggiamo . Se ti vedremo arrivare, significa che hai accettato l’invito.”
“Beh... ok.”, disse lei, con un filo di voce, “Ecco il bus.”
Fecero fatica a salire, un’alta marea di persone li travolse e, senza che se ne accorgessero, si trovarono aggrappati ad uno dei pali verticali, pressati tra la gente, l’uno contro l’altro.
Per tutto il viaggio, non una sola parola uscì dalla bocca di Joanna. Silenziosa e statica, immobile guardava altrove, voltando la testa di lato per non premerla contro il suo petto.
Quella situazione era del tutto imbarazzante anche per lui, non poteva negarlo. Aveva paura di respirare, di muoversi e dire qualsiasi cosa. Stava per scoppiare a ridere come un deficiente per il disagio. Non era mai stato facile metterlo in situazioni del genere: aveva suonato interamente nudo per aver perso una scommessa, ormai niente gli faceva più effetto.
Il viaggio, che all’andata era durato un quarto d’ora scarso, parve sembrare tanto lungo quanto la circumnavigazione dell’intero globo. Fu un sollievo quando Joanna gli disse che erano arrivati. Odiava sentirsi imbranato e impacciato.
Insieme a loro, scese anche tutta la fiumana di gente che li aveva compressi.
Evidentemente imbarazzati, non sapevano come salutarsi.
“Beh... allora, a domani!”, le disse, scuotendo una mano.
Lei fece un cenno rapido con la testa, un sorriso abbozzato e se ne andò, con la sua busta della spesa.
I suoi capelli profumavano di vaniglia.

 
 

Gambe incrociate. Seduta davanti alla tv con la ciotola dei pop corn tra le gambe.
Stupidastupidastupidastupidastupidastupidastupida!
Era di nuovo l’ora di razionalizzare, prima di cadere in pensieri inutili. Era l’ora di esaminare dettagliatamente ogni parola che era uscita dalla bocca di lui.

‘A proposito, cosa fai stasera?
’, le aveva domandato. Quindi c’era stata una richiesta semplice. Lui aveva voluto sapere se aveva impegni o no. Una domanda che poteva anche essere del tutto innocua, in fin dei conti. Poteva anche averglielo chiesto semplicemente per far conversazione, o no?
No, perché poi aveva continuato. Lei aveva esitato a rispondere e lui aveva rimediato.

‘Tranquilla, ci saranno anche gli altri! E poi abbiamo bisogno di qualcuno che ci illustri le meraviglie di questa bellissima città!’
Ecco! Ecco qual era il vero scopo di quella domanda. Avevano bisogno di un cicerone. Attenzione, avevano bisogno, non aveva bisogno, verbo al plurale. Quindi questa era una necessità collettiva del suo gruppo. Non sua, strettamente personale.
E lei cosa aveva risposto? Che aveva da fare. Avrebbe voluto infilare la testa tra i popcorn e annegare nelle esalazioni del sale.

‘Beh... ovviamente te l’ho chiesto così, senza pensare che magari hai un ragazzo...’,
le aveva detto, ‘Comunque, davvero, non l’ho fatto con malizia. Semplicemente perché mi sei simpatica e sei carina, staremmo tutti bene con la tua compagnia.
Ed ecco la svolta.
Danny Jones, sue testuali parole, aveva detto che la trovava carina e simpatica.
Carina e simpatica.
Dalle sue parti, se qualcuno dava del simpatico ad una ragazza, voleva dire che era brutta da non potersi guardare. Ma Danny aveva incluso anche l’aggettivo carina e ciò poteva essere interpretato come un buon segno.
Però… c’era un però!

Staremmo tutti bene con la tua compagnia…
Danny Jones aveva detto che tutti loro sarebbero stati bene in sua compagnia, tutti loro dei McFly. Questo loro includeva anche Harry, Dougie e Tom, non solo lui. Quindi lui l’aveva invitata per stare in gruppo con loro, non sola con lui, oltre ad aver parlato in principio della necessità di una guida turistica.
Per la serie: Sì, sei carina, ma portami nei locali. E mica si offendeva per quello!
Si era negata un’altra volta. Il suo stupidissimo impegno era un signore panzuto con la gotta e l’alito pesante dal nome Alfred, col suo cazzoso film visto e rivisto!

‘Certo, incasserò il tuo rifiuto con un elegante sorriso. E di domenica? Sei impegnata anche domani?’
Due implicazioni. Il sorriso di Danny e un nuovo invito. Per quanto riguardava il primo, doveva ammetterlo: aveva un po’ i dentoni da cavallo ma… cavolo, se gli sorrideva un’altra volta in quel modo l’avrebbe stesa ko. Altro che Tyson o Carrera! Danny Jones versus Joanna Bellini, ko per la ragazza al primo round. Dovevano andare a riprenderla col cucchiaino.
Per quanto riguardava invece il nuovo invito… beh, allora il destino voleva davvero metterla sulla strada dei McFly. Non c’erano dubbi, sarebbe andata al loro hotel alle dieci e mezza, voleva vedere di che cosa erano davvero capaci quegli scemi messi insieme.

‘Non ti preoccupare. Domani ti aspetto insieme agli altri alle dieci e mezza, davanti all’hotel Venice, dove alloggiamo . Se ti vedremo arrivare, significa che hai accettato l’invito.’
Aveva potuto anche dirglielo subito che accettava. Ma era ancora scombussolata.
Durante tutto il tragitto gli era stata praticamente appiccicata addosso.
Non sapeva quale profumo usava Danny Jones, ma era sicuramente molto buono.

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Capitolo 5
*** Down by the


5. Down by the Lake Sea

Stranamente l’aria era calda, primaverile, le faceva quasi caldo. In piedi, davanti alla porta dell’Hotel Venice, aspettava che arrivassero le dieci e mezza. Mancava ancora un quarto d’ora all’appuntamento, ma era sua inclinazione naturale essere sempre in anticipo per paura di ritardare.
L’hotel, dall’esterno, doveva essere costoso. Non troppo, ma abbastanza. Un grande tappeto col nome della struttura impresso sulle fibre accoglieva i clienti in arrivo ed in partenza, scortati all’interno da una grande porta girevole in continuo movimento.
Un signore nel doppio petto della sua divisa le si avvicinò.
“Scusi signorina, sta aspettando qualcuno dell’albergo?”, le domandò con garbo.
“Beh… sì.”, disse, sentendosi un po’ stupida.
“Vuole entrare?”, le fece, “Può attendere nella hall.”
“Se non sono di troppo disturbo…”, disse.
“Ma no, prego.”, disse l’uomo,  facendole gesto di andare, “Può anche chiedere alla reception di poter annunciare all’ospite il suo arrivo.”
“Grazie.”, rispose.
Aveva appena fatto la figura della provinciale… Si avvicinò alla reception e parlò ad una sorridente ragazza.
“Beh… vorrei dire al signor Jones che sono arrivata.”, disse a voce così bassa che dovette ripeterlo.
“Quale stanza?”, le fece lei.
"Non lo so…”, rispose, alzando lievemente le spalle.
“Un momento, controllo.”, disse l’altra, controllando sul pc, “Ah, ecco, glielo chiamo subito. Di chi devo riferire?”
“Joanna.”, rispose lei.
“Perfetto, può accomodarsi.”
Si allontanò e si sedette su una delle tante poltroncine.

 

Il trillo improvviso del telefono lo fece sussultare e rimbalzare un paio di volte sul materasso. Aveva richiesto per caso la sveglia alla reception? No! E lo avrebbe sonoramente specificato. Prese la cornetta con rabbia.
E’ il signor Jones?”, chiese la voce suadente della receptionist.
“Sì… e stavo dormendo!”, sottolineò.
Capisco signore, ma qua c’è una persona che la sta aspettando.”, disse l’altra, senza scomporsi.
“Persona? Quale persona?”, chiese, perplesso.
La signorina Joanna.”
….
Oh cazzo!
La devo far allontanare?”, domandò la receptionist, percependo che forse l’arrivata non era del tutto attesa.
“Oh no! Le dica solo che scenderemo al più presto possibile!”, agganciò il telefono.
Cazzo, non si era dimenticato affatto di Joanna, solo che era sicuro al cento per cento che lei non avrebbe mai accettato l’invito. Lo aveva detto agli altri ed insieme avevano convenuto che la mattina seguente si sarebbero alzati giusto in tempo per il pranzo.
“Conoscendoti,”, gli aveva detto Tom, “ci hai provato talmente tanto che Jo pensava di fulminarti con il teaser!”
“Ma no, non è vero!”, si era difeso, “Non ci ho provato, non è il mio tipo… e bastava che aprissi la bocca per farla impaurire!”
“Sì, ormai ti conosciamo.”, aveva ribattuto Tom, “Quale frase a effetto hai tirato fuori?”
“Nessuna!”, aveva risposto, alzando le mani innocentemente.
Ma ora lei era giù alla reception. E lui era in mutande, gli altri forse senza.
Si attaccò al telefono e fece trillare il cellulare di Tom.
Sto mangiando!”, protestò il ragazzo.
“C’è Little Joanna!”, gli disse.
Jo? C’è Jo?!?”, esclamò l’altro.
“Sì… e sicuramente gli altri stanno ancora dormendo!”
Venne il turno di Dougie.
Che c’è…”, aveva risposto.
“Little Joanna è venuta! E’ giù alla reception!”, esclamò.
I rumori prodotti dall’essere antropomorfo al di là della cornetta erano tutt’altro che rassicuranti.
“Dougie, fai schifo.”, gli aveva detto, “Tra un quarto d’ora ti busso alla porta, oppure la sfondo.”
Riattaccò e compose il numero di Harry. Tardò a rispondere ma lo fece.
Cazzo vuoi? Mi sto radendo!”, disse.
“Ah, bene...”, si confortò, “Little Joanna è alla reception.”
E’ venuta?”, fece Harry, perplesso.
“Sì.”
Allora non mentivi, non ci hai provato con lei.”, controbattè l’altro, chiudendo la chiamata.
Come se il fatto che lui ci provasse con una ragazza comportasse automaticamente che lei poi sparisse dalla faccia della Terra!

 

“Signorina Joanna!”, la chiamò la receptionist. Abbandonò la rivista di moda che aveva trovato sul divanetto su cui era seduta e andò da lei.
“Stanno per scendere.”, la informò.
“Beh… grazie mille!”, le disse, per poi tornare a riprendere il suo posto e la sua rivista.
Riprese lo sfoglio annoiato, soffermandosi sull’immagine della solita silfide modella. Era immortalata durante una sfilata, sul catwalk, con un giaccone color prugna. Carino, pensò, ma le piaceva di più il suo classico verde scuro, che indossava in quel momento, il taglio era anche simile. Sotto aveva un maglioncino giallo, con un collo enorme, che sbalzava fuori dal cappotto. Di nuovo, meglio il suo, che non aveva niente a che vedere con quello indossato dalla modella e che era nero a collo alto. Non condivideva la mini-minigonna di jeans, né le calze rosa, né lo stivaletto penzolante alla caviglia e neppure i grandi occhialoni, né il quintale di accessori che aveva al collo. Meglio jeans, converse e sciarpa.
Proseguì oltre e, quando fu arrivata all’ultima delle duecentocinquantasette pagine di quella rivista, guardò l’orologio. Erano le undici e venti… ancora nessuno si era presentato. Le venne il sospetto. O non l’avevano aspettata, nel senso che non pensavano che sarebbe arrivata... Oppure Danny l’aveva presa in giro. Sì, decisamente la seconda opzione. Sicuramente stavano ritardando così tanto per farla spazientire e farla andare via.
Era ovvio.
Profondamente delusa, non tanto da loro, ma da se stessa, indossò il cappotto ed il cappello. Era l’ora di togliere le tende e tornare a passare la domenica come aveva progettato di fare: sdraiata sul divano a sonnecchiare come un gatto.
“Little Joanna!”, sentì esclamare dalla voce altisonante di Danny.
Meglio tardi che mai, pensò.
“Hey...”, fece lei, abbozzando un sorriso.
Di nuovo, ecco l’agitazione che saliva.
Dietro di lui, Harry e Tom.
“Buongiorno Jo!”, la salutò Tom.
“Giorno...”, abbozzò un assonnato Harry.
“Te ne stavi andando per caso?”, la colse alla sprovvista Danny. Infatti, lei sperava che non si fosse accorto del suo tentativo di fuga.
“Beh... diciamo di no.”, disse, nascondendosi dietro ad un sorriso.
“Scusaci ma... non pensavamo davvero che saresti venuta.”, si scusò Tom, “Pensavamo che Danny ti avesse spaventato.”
“Provandoci spietatamente con te.”, aggiunse Harry.
“Non è vero ragazzi!”, si difese nuovamente Danny, “Little Joanna, diglielo pure tu che non ci ho provato!”
In effetti, a parte battute idiote, Danny non aveva mosso contro di lei nè un dito nè una parola. Ed infatti, scosse la testa allargando le mani desolata.
“E quindi si spiega perfettamente il perchè sei venuta.”, fece Harry, dando una pacca sulla spalla di Danny, così forte che il ragazzo cadde quasi in avanti.
“Dougie sta arrivando.”, la informò Tom, con la sua solita gentilezza, “A parte me, loro devono ancora fare colazione.”
“Io non ho fame.”, disse Danny, riprendendosi dalla botta alla spalla, “Mi basta solo un caffè.”
“Io mangerei una mucca.”, disse Harry, massaggiandosi la pancia.
“Allora andate a fare colazione.”, disse Joanna, “Vi aspetto qui.”
Harry, seguito da Danny, si allontanò da loro per andare nella sala da pranzo, dove un allettante profumo di cornetti freschi stava solleticando il suo palato. Tom rimase con lei, sedendosi sul divanetto di fronte al suo.
“Allora, come stai?”, le fece.
“Tutto ok. Tu?”, rispose, con semplicità.
“Benissimo!”, le disse, sorridendole, “Non lavori mai nel fine settimana?”
“Beh... no, il locale chiude.”, si spiegò.
Tom annuì.
Sembrava impensierito da qualcosa.
“Sentì, sarò onesto.”, le disse, “Ha fatto qualcosa di male ieri Danny?”
Le venne quasi di scoppiare a ridere, ma si trattenne.
“No, posso assicurartelo, si è comportato bene.”, gli disse, “Ma perchè tutte queste preoccupazioni?”
“Beh...”, disse lui, esitando, “E’ che a volte ci va giù un po’ peso... Bene!”, fece, rincuoratosi, “Dove ci porti di bello oggi?”
Già, dove li avrebbe portati di bello?
“Non saprei...”, gli disse, alzando le spalle, “Cosa volete vedere? Perchè se stiamo in città possiamo anche fare tutto a piedi. Altrimenti...”
“Ecco, hai detto le parole nefaste!”, esclamò Tom, coprendosi la faccia con le mani.
Rimase perplessa qualche attimo, in attesa di una sua delucidazione.
“Chiedere di camminare a quelli là è come chiedere... che so... a un cammello di starsene al polo nord. Praticamente impossibile!”, disse Tom, “Quando sentono la parola vacanza, staccano la spina da tutte le fatiche!”
“Ah! Addirittura!”, fece Joanna, sorpresa, “Non pensavo fossero così pigri! Eppure Harry ha anche corso per una maratona, se non ricordo male...”
“Sì, ricordi perfettamente bene....”, continuò lui, “Un programma alternativo?”
“Beh... io non ho la macchina, mi dispiace.”, disse.
Era vero, aveva la patente ma la macchina era off limits. Quella di Miki l’aveva guidata solo un paio di volte... e poi in città c’erano così tanti bus che non ne aveva mai avuto bisogno.
“Ne abbiamo noleggiata una ieri!”, esclamò Tom, contento, “Solo che... sai, voi guidate in maniera opposta alla nostra e... insomma, c’è mancato poco che sbattessimo contro un bus!”
Joanna rise insieme a lui, chiedendosi come avessero fatto a districarsi nel traffico cittadino. Lei ne era quasi totalmente incapace!
“Quindi... se ti va di guidare, puoi portarci dove vuoi!”, le propose Tom.
In quel frangente, videro Dougie apparire tra le porte in apertura dell’ascensore ed uscirne insieme ad uno sbadiglio faraonico.
“Poynter!”, lo chiamò Tom, sbracciando con le mani.
L’altro si avvicinò con passo barcollante.
“Dove vuoi andare oggi, Doug?”, gli domandò Tom.
L’altro ci riflettè un po’ sopra, sotto lo sguardo divertito di Joanna. Sicuramente Dougie lo sapeva di avere ancora indosso i pantaloni a strisce bianche e nere del suo pigiama, ma altrettanto certamente non gliene fregava nulla. Si grattò la testa, si schiarì la voce e disse: “Caldo, acqua.”
Poi si voltò sui tacchi delle sue etnies slacciate e raggiunse gli altri nella sala colazione.
Tom si voltò verso Joanna, guardando con soddisfazione la sua espressione divertita.
“Sai interpretare il messaggio dell’oracolo?”, le fece.
“Penso di sì.”, disse Joanna.

Riuscirono a mettere in moto la macchina noleggiata che era mezzogiorno passato. Gli unici due già pronti, Joanna e Tom, erano quasi esasperati dal tira e molla degli altri tre. Una volta usciti dalla colazione, dovettero tornare in camera a lavarsi i denti. Poi, una volta scesi, Harry fu costretto a rifarsi i piani perchè si era scordato il cellulare. Successivamente, anche Dougie aveva ripercorso la stessa strada per la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa. Scese con un pallone sotto il braccio.
“Allora, siamo pronti per partire?”, chiese retoricamente Tom, porgendo le chiavi a Joanna.
“Non vorrai mica far guidare una donna?”, sbottò subito Harry, vedendolo compiere quel gesto.
“Ti ricordo”, gli fece Dougie, “che ieri, quando abbiamo ritirato la macchina dal noleggio, eri tu a guidare. E sei subito entrato in strada contromano!”
“E allora?”, si riparò Harry, “Ti ho fatto vedere la morte in faccia, così la prossima volta che la incontrerai la riconoscerai e la saluterai con educazione!”
“Ma sei sicura di avere la patente, Little Joanna?”, le fece Danny, con aria sfottente.

“Ma Danny!”, rispose prontamente Joanna, “Guarda che ho vent’anni!”
“Sarà...”, continuò lui, “Ci fidiamo di lei ragazzi?”

 

“Senti questa! Senti questa!”, esclamò Harry, premendo alcuni pulsanti dello stereo.
Era stato lui a sedersi al posto dell’accompagnatore, mentre gli altri si erano sistemati dietro. Fortunatamente quella macchina aveva una buona stabilità in strada, perchè con tutto il casino e i movimenti inconsulti che facevano, come spenzolarsi fuori dal finestrino, sarebbero finiti fuori corsia. Joanna aveva cercato in ogni modo di rimanere concentrata sulla guida, ma con quei quattro era stato del tutto impossibile.
“Che dice questa canzone? Cosa dice?”, le domandò Danny, aggrappandosi al suo poggiatesta.
“Dice che ora mi avete stancato.”, fece Joanna, spegnendo lo stereo.
Un coro di proteste si levò dal gruppo di scimmie urlanti e presto la musica fu riattivata.
"Cercate di fare meno casino... sto guidando!”, disse Joanna, guardandoli dallo specchietto retrovisore. Ma tanto sapeva che era del tutto inutile, loro sarebbero tornati a fare confusione di lì a poco.
“Tra quanto arriviamo?”, chiese Dougie.
“Tra poco, ormai ci siamo.”, lo informò Joanna, sospirando. Quella stessa domanda gliel’aveva fatto trenta volte.
“Devo fare pipì.”, disse il ragazzo, picchiettando nervosamente sul bracciolo della portiera posteriore.
“Ma Poynter! L’hai fatta un quarto d’ora fa!”, sbottò prontamente Tom.
E lì partì l’ennesima tifoseria: Dougie è un piscione, Dougie è un piscione...
E Joanna stringeva le mani intorno al volante. Lei, che era una ragazza di solito molto paziente, veniva continuamente messa alla prova, ma si rincuorò di lì a poco: aveva appena imboccato l’ultimo tratto di strada ed erano praticamente sul mare.
“Woah...”, esclamò Harry, appiccicando naso e mani al finestrino, “Guardate laggiù ragazzi!”
Una decina di metri sotto di loro, infatti, la scogliera veniva bagnata dal mare cristallino e calmo. Già qualche persona si era calata fino in fondo, seguendo sentieri ripidi e rocciosi, e si godevano il sole caldo d’inverno seduta a pochi passi dall’acqua pulita.
“Fermiamoci! Fermiamoci!”, presero a chiedere contemporaneamente Danny e Tom, picchiettando sul sedile di Joanna per convincerla.
“Ok... fatemi trovare un posto per l'auto...”, disse lei, rallentando in cerca di un parcheggio lungo la strada.
Una volta scesi, li liberò come i cani portati al passeggio e, correndo uno dietro l’altro, i ragazzi ripercorsero tutto il guard rail in cerca di un sentiero per scendere giù, verso la spiaggia. Harry, che teneva il pallone tra le mani sopra la testa, era il primo della fila.
“Di qua ragazzi!”, esclamò il ragazzo, richiamando la loro attenzione.
Peggio dei bambini piccoli... Li seguì, cercando di rimanere al loro passo, ma li vide bloccarsi in fila indiana, a guardare verso la scogliera piatta, in basso.
“Che c’è ragazzi?”, chiese loro.
“Beh... ma non si può giocare a pallone qua...”, disse Danny, incrociando le braccia.
“Sono tutte rocce... non c’è la spiaggia.”, disse Tom, indicando in basso, “Non si può giocare.”
“E poi dobbiamo fare una fatica immensa per scendere laggiù.”, concluse Dougie.
“Ho capito...”, disse Joanna, rassegnata.

 

“Tu, vai in porta!”, comandò Harry a Joanna, con il pallone fermo sotto il suo piede.
“Ma io non voglio giocare!”, protestò lei.
“Andiamo, non fare la bambina!”, la esortò lui, “Mettiti tra quei due alberi, sono perfetti!”
“Ma perchè devo farlo io il portiere? Non può farlo Tom?”, chiese lei. Sapeva che la sua goffaggine non risparmiava divertimenti come quello, quindi non voleva giocare con loro. Voleva solo prendersi un gelato e starsene seduta sulla balaustra sul mare, sotto la pineta terrazzata su cui stavano per mettersi a giocare a calcio.
“Ok, Little Joanna non vuole giocare... facciamo senza di lei!”, disse Danny, trovando presto la soluzione.
“Ci sto.”, disse Harry, come se la non presenza della ragazza nel gioco avesse fatto poca differenza.
“Ok...”, disse lei, un po’ delusa, “Vado a farmi un giro.”
Non che si aspettasse di fare parte del gruppo. Però magari non voleva proprio sentirsi come una semplice autista. E comunque se l’era voluta lei, negandosi nel gioco del calcio.
Con le mani in tasca e la borsa che le picchiettava sul didietro ad ogni passo, Joanna ripercorse il vialetto che la portava verso il vicino complesso turistico, dove un gelataio serviva i primi clienti della domenica. Prese una coppetta stracolma di cioccolatoyogurtpistacchio e tornò verso la pineta ma, invece di andare verso i ragazzi, prese un viottolo fatto di lunghi scalini, che la portò al di sotto della terrazza alberata, dove c’era praticamente il mare. Seduta su un scoglio rettangolare, che sembrava quasi tagliato dall’uomo, o forse lo era veramente, si mise a gustarsi il gelato. Conoscendosi, era talmente lenta che alla fine i tre gusti si sarebbero fusi in un’unica brodaglia marroncina. Incrociò le gambe e stette a godersi il solicello.
Se non ci fosse stato l’imprevisto McFly, non avrebbe fatto niente di emozionante. Probabilmente sarebbe uscita in centro a guardarsi un po’ di vetrine, oppure avrebbe placidamente dormicchiato sul divano. Se ci fosse stato Miki, sarebbe sicuramente andata con lui in trasferta per la partita. Non che le interessasse il rugby, anzi, piuttosto che vedere i giocatori ammucchiarsi uno sopra l’altro, andava a farsi un giro nella città in cui giocavano. Il fine settimana passato era stata a Milano, quello prima ancora a Perugia... insomma, da quando stava in casa con lui girava parecchio per tutta l’Italia. Non riusciva a vedere molto, aveva giusto il tempo libero che intercorreva tra l’inizio del riscaldamento pre-partita e l’uscita dagli spogliatoi dei giocatori. Poi le due squadre si trovavano a mangiare insieme in un ristorante del luogo, indipendentemente dal risultato del match. E si tornava a casa.
Conosceva abbastanza bene tutti i compagni di gioco di Miki ed alcuni le stavano anche molto simpatici. Più o meno erano le stesse persone con cui usciva al venerdì e al sabato sera e,
oltre a loro, si aggregavano anche ragazze ed altre persone miste, soprattutto amici vari, fratelli o sorelle. Gli altri le rimanevano indifferenti, soprattutto perchè erano intorno ai trent’anni, quindi troppo grandi per lei. All’inizio di ogni serata, si trovavano nella piazzetta vicino a casa sua e la consuetudine era semplice: chi voleva aggregarsi, raggiungeva il punto di incontro entro una certa ora. Quindi, più che un gruppo stabile di persone, era un continuo andirivieni di amici e ogni sera non sapevano mai, fino al momento della partenza, chi si sarebbe aggiunto.
Quando uscivano, la facevano sentire un po’ la mascotte del gruppo e questo suo status le si addiceva quasi perfettamente: veniva quasi esclusa dal divertimento e ciò non le creava tanti disturbi, nè ripensamenti. Da una parte, non si sentiva sempre a suo agio con tutta quella marmaglia di gente, di cui spesso conosceva solo pochi individui. Dall’altra non sempre capitava che gli standard di divertimento degli altri coincidessero con i suoi.
Ma c’erano anche un paio di motivi che la rendevano diversa dagli altri. E uno di questi era proprio il fatto di essere la sorella di Miki. Era come intoccabile... i ragazzi la ‘evitavano’, nel senso che tenevano alla larga ogni tentativo di approccio che andasse oltre una semplice conversazione innocente. Con le ragazze andava un po’ meglio, almeno loro non avrebbero mai avuto particolari intenzioni nei suoi confronti.
Era meglio accettare quella regola implicita.
Altri amici non ne aveva più da diverso tempo a quella parte…
Ecco, come previsto il gelato si era tutto sciolto e rimaneva solo una specie di frappé liquido nella vaschetta di plastica a righe. Una cucchiaiata per volta, si mise di buona lena per finirlo tutto.
Di sopra, sentiva gli altri gridare, esultare e offendersi allegramente a vicenda. Dio, quanto erano rumorosi. Distingueva nettamente la voce di Tom che si accaniva contro Dougie per un passaggio andato a vuoto.
“Bu!”, sentì esclamare alle sue spalle, tanto che ci mancò poco che il gelato non le cadesse in acqua.
“Harry!”, lo brontolò Joanna, non appena si fu accertata di non essersi sporcata.
“Che ci fai tutta sola?”, le fece, sedendosi accanto a lei.
Era sudato e polveroso, aveva il fiatone e la maglietta bagnata sotto le braccia. Uno splendore... Lui sembrò accorgersi del suo sguardo lievemente disgustato e dette una rapida annusata alle sue ascelle.
“Sei fortunata, non puzzo.”, disse poi, con naturalezza, “Allora, cosa ci fai qui? Perché non stai su a guardarci giocare?”
“Non mi piace il calcio.”, rispose lei, “Ed è più bello il mare.”
Lui lanciò un’occhiata disinteressata al paesaggio intorno a sé, poi alzò le spalle.
“Non mi piacciono gli scogli, preferisco la sabbia.”, disse poi.
“Sì, e le ragazze in tanga.”, aggiunse Joanna, sorridendo.
“Sei una chiromante per caso?”, le chiese lui, con aria fintamente stupita.
“No, sei tu che sei un ragazzo.”, rispose lei, prontamente.
“Oh, su questo non ci sono dubbi!” 
“Finita la partita?”, gli domandò.
“Fine primo tempo, tra poco torno su. Per adesso Poynter e Fletcher sono in vantaggio di un gol, vedremo di rimontare ma Danny non è un granché alla porta.”, spiegò lui, “Ho cercato di marcare stretto, ma Fletcher è veloce, mi prendeva sempre in contropiede.”
Joanna stette con pazienza a sentire tutto il resoconto dettagliato della partita di calcio di cui si era appena concluso il primo tempo. Non ne capiva niente ma stava comunque a sentirlo. A modo loro, ognuno di quei quattro era particolare e la affascinava in maniera totalmente diversa. Harry era, insieme a Tom, il più vecchio dei quattro… vecchio, aveva solo ventitré anni e gli altri erano dell’ordine di un anno –Danny- o due anni –Dougie- più piccoli di loro. Per questo fatto forse si sentiva un po’ il leader, anche se non c’era poi una vera e propria personalità che spiccava sugli altri del gruppo. Mentre parlava, si passava ritmicamente una mano sulla testa: come per un tic nervoso, si dava un paio di strusciate ai capelli e tornava a gesticolare con intensità. E lei semplicemente annuiva e rideva delle sue battute. Ma non avrebbe voluto che terminasse di parlare. Poteva anche sparare frasi senza senso, bastava parlasse.
Ovvio che le piaceva, così come le era piaciuto Danny il giorno precedente.
Ma lei non si trovava nel classico programma italiano pomeridiano in cui il bello o la bella di turno sceglievano la persona con cui avrebbe voluto passare tutta la vita insieme. Non doveva compiere assolutamente nessuna scelta tra i quattro, nessuno la stava ponendo in quella spiacevole posizione. Ma se ci si fosse trovata, non avrebbe saputo chi preferire, anche se non aveva ancora instaurato un vero e proprio collegamento con Tom e Dougie.
Il problema non si poneva e Joanna scartò presto quei pensieri inutili.
“E alla fine Danny ha segnato un autogol… quello sfigato.”, disse Harry, buttando un sassolino con cui aveva giocato per un po’ nell’acqua quasi immobile.
“Già…”, disse Joanna, perdendo lo sguardo altrove.
“Com’è che hai accettato di farci da guida oggi?”, le domandò, cambiando così velocemente discorso che Joanna si trovò spiazzata.
“Ah… beh, non avevo niente di particolare da fare quindi…”
“Nessuno fidanzatino allora eh?”, le fece, dandole dei colpetti maliziosi con il gomito.
Prima che Joanna potesse rispondergli, un fischio richiamò l’attenzione di Harry.
“Andiamo Judd! C’è il secondo tempo!”, lo aveva richiamato Dougie, affacciatosi alla terrazza.

 

Lo sapeva che non lo stava ascoltando, ma non gli interessava. Ogni tanto veniva colto dalla parlite acuta - non capitava molto spesso ma succedeva- e si metteva a sproloquiare all’infinito, per poi cambiare totalmente tema del discorso quando non aveva più niente da dire. Non gli dispiaceva la compagnia di Joanna, anche se la trovava un po’ troppo silenziosa e timida. Notava la sua introversione, il suo disagio e si chiedeva il perché di tutto quello. Non avrebbe dovuto sentirsi così: pensava che chiunque dei loro fans avesse avuto l’occasione di incontrarli e passare insieme a loro tutto quel tempo sarebbe stato felice e pieno di eccitazione. Forse peccava di presunzione, ma Joanna si stava dimostrando tutt’altro che entusiasta.
Era forse colpa loro? Non sapeva dirlo, era indubbio che fossero dei tipi simpatici. Che cosa c’era allora che non andava?
“Andiamo Judd! C’è il secondo tempo!”, gli fece Dougie, dalla terrazza sopra di loro.
“Arrivo subito!”, esclamò, “Torno alla partita, Jojo!”
Lei lo guardò stupida.
“Jojo?!?”, disse, ma poi continuò, “Io mi chiamo Jo!”
“Hai detto a Tom di chiamarti in quel modo. E io ti chiamo come voglio!”
Le sorrise e scese dallo scoglio, correndo velocemente per tornare alla partita.
Ripreso il proprio posto nell’improvvisato campetto di calcio, diede due battiti di mani come per suggellare l’inizio del secondo tempo.
“Che ti diceva Joanna?”, gli domandò Dougie, davanti a lui per il calcio di inizio.
“Niente, non parla molto quella ragazza.”, rispose, alzando le spalle, “Sembra quasi che non si diverta con noi.”
“Non credo.”, continuò l’altro, il bassista del gruppo, “Secondo me si diverte in altri modi.”
“Dici?”, gli fece, “Penso quasi che sia una mummia.”
 “Secondo me non è una mummia.”, riprese Dougie, “E’ solo che si diverte in altri modi.”
“Judd! Poynter!”, li richiamò Tom, “Quando avete finito di confessarvi abbiamo una partita da concludere…”
“E stai calmo un attimo!”, lo rimbeccò Harry, che poi tornò a Dougie, “Ok, allora visto che hai imparato tutto di lei, pensa a come si potrebbe divertire, così invece di rintanarsi su uno scoglio si unisce un po’ al gruppo.”, gli fece.
“Sei proprio uno stronzo a volte.”, disse Dougie.
Ripresero a giocare ma dopo pochi minuti, un continuo crampo al polpaccio che attanagliava la gamba di Harry li costrinse a desistere, mettendo a segno una vittoria per la coppia Tom-Dougie.
Quando ripresero fiato, guardarono l’ora.
“Sono le quattro e mezza… cosa facciamo?”, chiese Danny.
“Intanto direi di andare a recuperare Joanna che, molto gentilmente, abbiamo dimenticato su uno scoglio.”, disse Tom, avviandosi verso la straducola che li portava da lei.

 


Di nuovo qua... Giornate di congiunzioni astrali altamente nefaste per me: lo detta il fatto che, in questo sabato, avrei dovuto calpestare suolo teutonico, esattamente dovevo starmene a Colonia dove, a vedere dalle previsioni del tempo, sarebbe stata una bellissima giornata di tepore primaverile, tale e quale a quella che sto vivendo oggi... solo che sono a casa mia davanti al pc -.- ma vabbè, sè la vì e mi accontento di ciò che mi è rimasto (più tempo per preparare l'ultimo esame, magrissima consolazione, ma più possibilità di passarlo).

Ciancio alle bande, vai con il solito fox trot dei ringraziamenti:

Kit2007: eheheh, subito a farti filmini mentali su chi si sbaciucchierà con Joanna! Ma brava gattina maliziosa! XD cmq ti dico una cosa sola: la risposta è più facile di quello che pensi, ma l'evoluzione della cosa non sarà per niente scontata... Via, voglio metterti un po' di confusione in materia grigia, sennò non c'è soddisfazione, eh! XD Se leggerai prima della partenza: Buona gita, ti invidio tanto!!!! - Se leggerai al ritorno: Com'è andata? Avete dormito?? - In ogni caso: Stammi bene!!!

CowgirlSara: C'avrà da razionalizzare un bel po' la nostra cara Joannina! Le ho dato pane per i denti della sua mente razionalizzatrice... Dannino, che caro, voglio andarci anche io a fare la spesa con lui, chissà se nascerà un amore eterno tra gli scaffali dei pacchi della pasta... chi lo sa?

_Princess_: te sei troppo buona, te sei troppo buona, te sei troppo buona! (noti la ripetizione costante del magnifico TE toscano? XD) Mi sembra quasi di essere presa per il culo... ma sto scherzando, ven'via, te 'un tu mi crederai mica davvero? (ho deciso che voglio farti proprio innervosire con i te....) Eh no, qua siamo nel fandom McFly, quindi quando entri qua devi fare come Dante quando entra nell'Inferno: qua è un modo a parte, tutto ciò che sei e che ami rimane fuori. Quindi non mi tirare fuori Gustavi e Georgi vari perchè non è proprio il caso XDDDD Al massimo, potevi pensare che la G fosse riferita a quel Gran Guaglione Gnoccoloso di Danny. O di Dougie, fai un po' tu, a me piacciono entrambi! E torno a dirti: nelle recensioni fatti cogliere dalla prolissite di cui io sono affetta da sempre, più lunghe sono, più mi ci diverto!

Giuly Wesley: Grazie per essere tornata a recensire, mi ha fatto molto piacere! Torna anche per il prossimo, mi raccomando XD

Picchia: Te l'ho detto, girovagavano dentro alla Coop! XD ma siccome non ho specificato, poteva anche essere la Lidl, oppure la Conad... ma visto che la storia si svolge in Toscana, patria della mitica e amorosa Coop (quanto le voglio bene), e dato anche che non volevo fare pubblicità occulta (La Coooop sei tuuuuu), ho omesso il nome del centro commerciale. Cooooop. 

Ciribiricoccola: se becco il cazzone che si diverte a romperci le palle, ho in mente una bella punizione da riservargli. Giuro che lo farò. Eheheh, sì è vero, c'è una certa somiglianza con la tua Tiziana, solo che Joanna è moooooolto meno spigliata di lei. E lo vedrai meglio da questo capitolo in poi, si farà sempre più timida e un motivo c'è. Lo spiegherò meglio in seguito. Stammi bene, mi raccomando!

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Capitolo 6
*** Room on the 3rd floor ***


6. Room On the 3rd Floor

 

 

Passarono il resto del pomeriggio a raccontare aneddoti stupidi sulla loro vita. Si sedettero in un piccolo lembo di spiaccia sassosa e parlarono.
Parlarono… 
Parlavano, lei rideva e basta, lasciando che fossero loro a raccontarsi. Lei non aveva molte cose divertenti di cui parlare, mentre loro sembravano una miniera di cazzate. Spesso nemmeno li capiva: parlavano così speditamente e usavano forme dialettali che non riusciva a cogliere, oppure strozzavano la voce nelle risate e finivano per non terminare la frase, perché già sapevano di cosa stavano parlando.
Buttò lo sguardo verso il sole. Stava calando vertiginosamente.
“Forse è meglio andare.”, disse Joanna, vedendo sul suo orologio che erano le sei in punto, “Sta anche iniziando a fare freddo.”
“Un’altro po’!”, disse Dougie, seduto vicino a lei a gambe incrociate, “Hai qualcuno che ti aspetta a casa?”
“A dire il vero no però…”
“Allora restiamo.”, le fece lui, dandole una pacca amichevole sulle ginocchia, “Piuttosto, tu non ci racconti niente di divertente?”
“Sì, sentiamo cosa fa di buffo la nostra Little Joanna!”, esclamò Danny, che era seduto sempre vicino a lei, ma dall’altra parte.
“Beh… niente di che.”, rispose, alzando le spalle, “A parte cadere a terra nei modi più impossibili…”
“Questo lo sappiamo!”, disse Harry, “Ti abbiamo visto farlo in diretta quando ti abbiamo conosciuto!”
E scoppiarono a ridere.
“Una volta mi è successo di cadere per le scale mobili.”, disse, grattandosi la testa, “Stavo per scendere e sono caduta.”
“Beh, non è un buon modo per raccontare la tua storia.”, le fece notare Danny, “Era divertente, ma non abbiamo riso.” “Allora…”, si mise a riflettere.

E sciogliti, Jo!
“Una volta ero in un ristorante con un gruppo di amici.”, prese a raccontare, giocherellando con la sabbia, “Stavo tranquillamente seduta sulla mia sedia e… mi sporsi un po’ per richiamare il cameriere, solo che quel po’ si rivelò essere troppo e la sedia cadde indietro… ed io con lei, a gambe all’aria.”
I quattro la fissavano con facce interrogative, in attesa dell’evoluzione comica della storiella.
“E’ finita…”, disse loro, deludendosi.
“Di già?”, le fece Harry.
“Beh… sì.”, rispose Joanna. Sospirò, leggendo nelle loro facce una certa espressione annoiata. “Lo so che non sono capace di raccontare storie buffe, anche se me ne capitano di tutti i colori.”, disse poi, “E so di non essere di compagnia. Me lo dicono in tanti, ma sono fatta così. Non è colpa vostra, è solo mia. Siete stati sfortunati, avete incontrato la vostra prima fan italiana e questa è un pesce lesso. Purtroppo Joanna non sa farvi divertire molto.”
Avrebbe voluto mettersi in bocca un badile di sabbia piuttosto che dire quelle parole, ma le aveva dette e basta, non poteva farci niente. In quel momento avrebbe voluto fuggire via e si dava della stupida.
Cazzo! C’erano i Mcfly con lei! E tutto quello che era riuscita a fare era: snobbarli nel calcio e fare la muta. Il giorno precedente era stata con Danny e cosa aveva fatto? In pratica le stesse cose solo che, invece di sdegnare il calcio, aveva ignorato lui perché doveva fare la spesa. Doveva fare la spesa! Ma chi cavolo se ne fregava della spesa! Aveva avuto cinque minuti con Harry e, piuttosto che conoscerlo meglio, era stata passivamente a sentire tutto il suo discorso sul calcio, che probabilmente lui aveva tirato avanti per le lunghe perché la vedeva totalmente assente.
“Possiamo fare qualcosa per farci perdonare?”, le fece Dougie.
“Perdonare? Voi?”, disse, esterrefatta, “Sono io che devo scusarmi! Io e il mio stupido carattere!”
Ecco, di nuovo voleva mangiare la sabbia. Ma cosa importava a loro dei suoi conflitti interiori? Un bel niente, quindi perché stare tanto a confessarsi?
“Beh, invece di metterci a giocare a calcio,
”, disse Danny, “potevamo fare qualcosa che piaceva anche a te. Dopotutto, hai guidato fino a qua solo per farci un piacere.”
“E ci hai sopportato durante tutto il viaggio.”, incluse Tom, “Ti abbiamo invitato a stare con noi, quando poi ti abbiamo fatto fare semplicemente la guida turistica.”
“Ma non era per questo che l’abbiamo invitata?”, sbottò Harry.
“Judd!”, esclamarono gli altri, quasi all’unisono.
Joanna sbuffò in una piccola risata.
“Scherzavo…”, si riprese Harry.
“Facciamo fifty-fifty.”, disse Dougie, “Noi promettiamo di essere meno… meno…”, fece, in cerca di un aggettivo giusto, “Meno McFly.”
 “E io mi impegnerò ad essere di compagnia!”, gli fece Joanna, facendolo sorridere.
“Perfetto!”, esclamò Danny, allungando una mano verso il centro del cerchio umano. Uno dopo l’altro, gli altri posero le proprie mani sulla sua e suggellarono quell’accordo.

 

Aveva appena imboccato la strada a doppia corsia, stavano viaggiando da circa un quarto d’ora. 
Lanciò uno sguardo sullo specchietto retrovisore.  In sequenza, rispecchiati da destra a sinistra, stavano Danny, Harry e Tom, quest’ultimo in parte oscurato dal poggiatesta dietro la sua nuca. E stavano tutti e tre dormendo.
“Il reparto nursery è al completo.”, disse Dougie, dopo un’occhiata sul retro.
“Eh sì.”, rispose Joanna, “I bambini hanno giocato, si sono divertiti e ora sono stanchi.”
Dougie sorrise e, con un dito, accese lo stereo, tenendolo a volume molto basso.
“Chi l’ha vinta poi la partita?”, chiese Joanna, parlando sottovoce.
“Bah... non me lo ricordo nemmeno più.”, disse l’altro, accomodandosi sul sedile.
“Doveva essere molto interessante allora...”, continuò lei.
“Oh sì, interessantissima.... Tu che cosa hai fatto mentre giocavamo?”
“Me ne stavo su uno scoglio a mangiare il gelato.”, gli disse.
“Era buono?”
“Abbastanza.”
“Peccato, avrei voluto mangiarlo anche io. Che gusti hai preso?”, le domandò, voltandosi verso di lei.
“Cioccolato, yogurt e pistacchio.”, disse. Ovunque andasse, il gelato di Joanna era sempre composto da quei tre gusti.
“Pistacchio? Piace moltissimo anche a me!”, le rispose. Mise i piedi sulla poltroncina, guardandola con la coda dell’occhio. “Chissà che cosa passerà sempre nella testa di Jonny...”, fece poi Dougie.
“Jonny? Chi è Jonny?”, gli chiese lei, ma poi comprese, “Ah sì... la solita storia del nome... Ognuno di voi mi deve per forza chiamare in un modo diverso. Ma siete tutti sincronizzati?”
“Forse è un comportamento McFly che ti da fastidio?”, le domandò.
“Oh no... figurati! E’ solo che mi sento sempre chiamare Jo, al massimo Joanna...”, disse lei, arrossendo un po’.
“Jo, Jonny, Jojo e Little Joanna.”, disse, elencando tutti i soprannomi con cui veniva correntemente chiamata da loro quattro, “Così riconoscerai sempre chi di noi ti chiama.”
“Che onore!”, disse lei, mettendosi una mano sul petto con sarcasmo riconoscente, “Mi sento più speciale delle altre fan!”
“Beh... lo sei.”, disse lui, guardando fuori dal finestrino.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Sei speciale... nel senso che...”, balbettò Dougie, imbarazzato, “Insomma, non capita... tutti i giorni di passare del tempo con noi... per le nostre fans. Speciale... in questo senso...”
“Eh sì... ovviamente!”, rispose Joanna, con il disagio nascosto da un sorriso.
Altro silenzio.
Dougie fissò lo sguardo fuori dal finestrino, fintamente interessato ai capannoni industriali ed ai palazzi alti che sfrecciavano, facendogli  incrociare gli occhi per lo sforzo. Joanna, dal canto suo, piuttosto che lambiccarsi il cervello come  solita fare, preferì tornare sulla guida; magari si sarebbe concentrata sulla musica in sottofondo, cantata da una radio nazionale qualsiasi.
“Non ci sono colline da queste parti?”, fece poi Dougie, dopo un silenzio assordante durato almeno una decina di minuti, se non di più.
“Beh... non ancora, ma non ne troveremo molte per la strada.”, gli spiegò.
“Peccato, volevo vedere se erano così dolci come dicono nei cartelloni pubblicitari.”, disse, con aria lievemente delusa.
“Mi dispiace, ma non posso nemmeno fare deviazioni per fartele vedere. Sta iniziando a fare buio e devo tornare a casa.”
“Fa’ niente... andremo in giro un’altra volta. Verrai vero?”, le domandò, tornando con lo sguardo su di lei.
La trovava carina, molto carina. Ma era un carino particolare, non usuale. Non aveva tratti comuni, che si potevano trovare nei visi di tantissime altre ragazze. Occhi grandi e verdi; bocca carnosa, sembrava fatta quasi a forma di cuore. I capelli biondi spuntavano da sotto quel berretto verde e si muovevano sulle spalle. Una manciata di piccoli nei le contornavano la bocca e il collo. Non era molto alta ed era tutto sommato snella, anche se si notava nel suo complesso totale la goffaggine di cui lei si era vergognata. E questo suo essere un po’ criptica lo affascinava abbastanza.
“Non credo che potrò, domani è lunedì e inizia di nuovo il lavoro.”, disse lei, lanciandogli un’occhiata di sfuggita.
Si era sentita osservata, lo aveva capito.
“Già, è vero...”, disse lui, “Allora verremo a trovarti al locale!”
“Beh... molto volentieri!”, rispose lei.
“E ti inviteremo ad uscire con noi!”
Lei rimase titubante.
“Oh... sì...”, disse poi.
In quel momento, Joanna dette voce ad un pensiero spesso taciuto. Si riassumeva in poche parole.
Perchè era uscita con loro, in quella domenica? Semplice, perchè Miki non c’era.

Miki non ne sarebbe stato assolutamente contento...
Il fatto che lui fosse a diverse centinaia di chilometri di distanza era stato uno dei motivi principali che l’aveva convinta a presentarsi alle dieci e mezza all’hotel Venice. Altrimenti non ci sarebbe mai andata, anche perchè l’avrebbe seguito nelle sue trasferte. E comunque, anche in quel caso, non avrebbe nemmeno potuto dirgli che sarebbe voluta rimanere a casa per uscire con i McFly... con dei ragazzi
“Jonny?”, la chiamò Dougie.
“Mh?”, gli fece lei.
“Sembravi stessi pensando ad una cosa bruttissima.”, disse lui, mordicchiandosi un pollice.
“Ah... niente, stavo solo pensando a cosa cucinare per me stasera.”, gli rispose, “Sono una frana! Brucio le padelle!”
“Non lo avrei mai sospettato!”, esclamò lui, fintamente stupito, “E comunque, se ti va, possiamo farti rimanere a cena da noi, all’hotel.”
“Beh... è un pensiero carino, ma è meglio che io torni a casa.”, gli rispose.
“Allora siamo noi che veniamo da te!”, si auto invitò Dougie, “Prendiamo una pizza e la mangiamo, così non devi nemmeno incendiare la casa!”
Era un’ottima idea, pensava Dougie. Era anche però un’idea un po' maleducata, perchè non era buona abitudine invitarsi autonomamente in casa degli altri... ma se la perdonò subito. Sarebbe anche stato un buon modo per conoscerla meglio, dato che lei non parlava mai di sè. Non sapeva spiegare se quella ritrosia nel raccontare i suoi fatti personali era semplicemente un’eccessiva timidezza...
“Dai! Jonny, ci divertiremo!”, provò a convincerla.
“Ma... devo pulire, non aspettavo ospiti ed è tutto un casino...”, cercò di ritirarsi lei.
“Chi se ne frega, vedessi casa mia! Prendi il tetano a guardarla!”, le fece, “E poi siamo inglesi, siamo abituati alla sporcizia nelle case.”
A quella battuta la sentì ridere ed aveva anche una bel modo di farlo. Pacato, quasi silenzioso, cristallino. Non sguaiato e isterico come Danny.
“Allora ci stai?”, le disse.
“E sia...”, fece lei, rassegnandosi.
Felice, Dougie si voltò e iniziò a dare delle grandi pacche sulle gambe dei suoi amici.
“Stasera pizza a casa di Jonny!”, disse, gridandolo.
“Fanculo Poynter!”, gli fu risposto dai tre dormienti, quasi in coro, che ripristinarono subito la loro attività sonnifera.

 

Uscirono dalla pizzeria una ventina di minuti dopo esservi entrati per ordinare. Prepararono le loro pizze da asporto quasi istantaneamente e, con i cartoni tra le mani, si avviarono verso l’appartamento di Joanna, che distava pochi metri da lì.
“Ecco, siamo arrivati.”, disse lei, indicando un grande portone di legno, con due anelli di ottone pendenti. Aprì la sua borsetta e prese le chiavi, mentre i quattro resistevano faticosamente alla fame.
Entrarono e si avviarono per le scale.
“A che piano stai?”, le domandò Danny.
“Casualmente al terzo!”, rispose lei ridendo.
“No... non è possibile!”, fece Tom, “Vivi al terzo piano!”
“Sei una coincidenza vivente.”, continuò Dougie, “Ti chiami Joanna, come una delle nostre canzoni. E vivi al terzo piano, come il titolo del nostro primo album... è incredibile, sei la fan perfetta!”
“A dire il vero,”, specificò Harry, “il nostro album si intitolava Room on the 3rd Floor e non Flat on the 3rd floor...”
Gli altri lo guardarono con ovvietà, come per dirgli che quella infelice precisazione era stata del tutto fuori luogo. In fila indiana, con le loro pizze in mano, salirono i tre piani di scale che li separavano dall’appartamento di Joanna e, quando lei aprì loro la porta, si catapultarono subito sul tavolo della cucina.
“Beh...”, fece lei, rimasta ancora sulla soglia mentre loro avevano già addentato il primo spicchio di pizza, “E’ permesso?”
“Oh sì, puoi entrare!”, gli fece Danny, invitandola a farlo.
“Sì, fai pure come se fossi a casa tua!”, continuò Harry.
Joanna appoggiò il cartone sul tavolo e, prima di sedersi a mangiare, si tolse il cappotto verde e lo appoggiò sul divano. Nell’istante successivo, un giaccone volante si posò sopra il suo e, prima che potesse accorgersene, anche gli altri cappotti dei ragazzi volarono sul divano.
“No! L’ho mancata!”, esclamò Harry, portandosi sconfitto le mani tra i capelli.
“Pensavo che ti bastasse usarmi come bersaglio delle tue frecciatine verbali.”, rispose Joanna, mettendosi le mani sui fianchi con aria quasi da rimprovero, ma con un grosso sorriso sulla faccia.
Harry rimase interdetto.
“Joanna versus Judd, uno a zero per lei.”, disse Tom, applaudendo e seguito anche dai fischi di approvazione degli altri.
Dopo aver dato loro coca e birra da bere si sedette, fiera del suo colpo andato a segno, ed aprì il cartone della sua pizza margherita. Gli altri, avevano fatto mettere di tutto e di più sulle loro: patatine fritte, wurstel, ketchup, fontina... erano proprio inglesi.
Con calma e pazienza, Joanna fu l’ultima finire. Gli altri si erano trangugiati tutto in pochi secondi e sicuramente era stata la stessa presenza della ragazza a fare da deterrente all’emissione di rumori poco gradevoli. Nel mentre lei si occupava del suo ultimo spicchio, i ragazzi dettero un’occhiata al posto in cui si trovavano.
“Quindi... tu vivi qui.”, disse Danny, stiracchiandosi sulla sua sedia.
Da educata qual era, rispose annuendo con la testa.
“Carino come appartamento.”, disse Tom, “Nè piccolo nè grande.”
La stanza più grande era infatti quella in cui si trovavano: la cucina era divisa dal salotto grazie ad un muretto alto poco più di un metro e sessanta, che superava di poco il tavolo su cui erano seduti. Al di là di esso, un lungo divano di pelle marrone stava davanti ad un televisore , posizionato nello scompartimento centrale di una libreria abbastanza rifornita di libri e cd. L’arredamento era sul moderno, come se quella casa avesse pochi anni di vita. Anche la stessa cucina, in legno scuro e ripiani chiari, non doveva risalire a molti anni addietro.  Le mura, tinteggiate di  bianco, erano abbellite con qualche quadro contemporaneo dell’artista Keith Haring.
Dougie, interessato, si alzò e si spostò verso la libreria.
“Se hai bisogno del bagno, è la porta al centro del muro, alla tua sinistra.”, gli disse Joanna, dopo aver inghiottito il suo boccone.
“Buono a sapersi.”, disse Harry, approfittando dell’informazione ed alzandosi.
Dougie girovagava con gli occhi in cerca di gusti musicali simili ai suoi, anche se pensava che una ragazza come Joanna ascoltasse poco del punk rock che a lui piaceva tantissimo. Ad adornare i ripiani della libreria, però, non c’erano solo libri e cd, c’erano anche delle fotografie.
Una, in particolare, ritraeva Joanna insieme ad un ragazzo molto più alto di lei. A confronto, sembravano un gigante ed una bambina, notò Dougie. Entrambi sorridevano all’obiettivo, sullo sfondo di un giardino tutto colorato di fiori rossi e gialli. Lui le teneva il braccio sulla spalla; lei una mano sulla pancia muscolosa di lui, che si intravedeva sotto alla t-shirt che indossava. Più che un uomo, quello era un muscolo vivente.  Gli venne quasi da alzare la sua maglietta per vedere se i suoi addominali avevano la benchè minima consistenza di quelli del ragazzo della fotografia.
Poi ne vide un’altra, a poca distanza da quella, dove lo stesso ragazzo stava abbracciando un’altra donna. Di tutt’altro tipo rispetto a Joanna: mora, con un sorriso bellissimo. Solo che il loro abbraccio era più... da fidanzati. Quello che aveva visto prima si addiceva più a due fratelli.
“Mio fratello e la sua ex moglie.”, disse Joanna, spuntandogli alle spalle, silenziosa.
“Capisco...”, fece lui, riponendo la fotografia.
Lei gli sorrise e gli fece cenno di accomodarsi sul divano, come gli altri avevano già fatto nel mentre lui si trovava totalmente assorto nel guardare quelle due fotografie. Con un sorriso malizioso, Dougie si sedette tra Danny e Tom.
“E’ normale che Harry stia così tanto in bagno?”, chiese Joanna, guardando interrogativamente la porta della toilette.
“Non ti devi preoccupare del tempo che passa lì dentro.”, le disse Tom, “Più che altro di cosa esce dal suo culo.”
“Ah!”, disse Joanna, facendosi ancora più preoccupata.
“Harry!”, lo chiamò a gran voce Danny, “Abbi almeno la decenza di aprire la finestra! Moriremo asfissiati!”
Il rumore dello sciacquone, attutito dalla porta, coprì la risposta di Harry, che uscì poco dopo dal bagno come se niente fosse.
“Cosa facciamo adesso?”, chiese, fregandosi le mani l’una contro l’altra.
“Beh... non lo so.”, gli rispose Joanna.
“Usciamo? Andiamo da qualche parte?”, propose Tom, “Anche se devo dire che non ne ho molta voglia... mi sento abbastanza stanco.”
Ed aggiunse uno sbadiglio.
“Forse sì, meglio rimanere qua.”, disse Danny, “Ci guardiamo un film?”
Joanna non era molto favorevole a quella proposta, ma fece un rapido calcolo: Miki sicuramente non sarebbe tornato prima di notte fonda, per via della partita ed aveva già detto ad Arianna che non si sarebbe presentato al lavoro per la mattina del giorno seguente. Potevano quindi rimanere tranquillamente.
“Guardo cosa ho...”, disse, avvicinandosi verso gli scompartimenti della libreria dove teneva qualche dvd, “Non ho molti film di vostro gradimento, forse...”
“E quali?”, le chiese Dougie.
“Beh...”, disse, voltandosi imbarazzata.
“Ti aiuto a scegliere.”, disse Danny, avvicinandosi a lei, “Vediamo un po’.”
Il solito profumo che aveva sentito sul bus, quando suo malgrado si trovava praticamente addosso a lui, le entrò dentro le narici. Di nuovo, si sentì immobilizzare.
“Che ne dite di... ehm...”, fece, cercando di leggere il titolo italiano di quel dvd, “Little Joanna, è o non è Intervista col vampiro? Dalla copertina lo sembra.”
“Sì... è quello.”, rispose, uscendo dall’aria di mutismo che l’aveva travolta.
“Va bene ragazzi?”, chiese al gruppo.
Gli altri annuirono, fidandosi della sua scelta.
Con mano lievemente scossa, Joanna prese il dvd e lo infilò silenziosamente nel lettore, accucciandosi in basso, sotto il televisore, ed attendendo che la riproduzione partisse. Si voltò e quattro facce sorridenti la attendevano.
“Ti ho tenuto il posto!”, esclamò Danny, scansandosi da Dougie e picchiettando sui centimetri di stoffa che aveva appena liberato.
Si strinse in un sorriso di disagio e si sedette, cercando di rilassarsi e di non pensare.
“Spengiamo la luce?”, chiese Tom.
“Faccio io.”, disse immediatamente Joanna, alzandosi per prendere respiro.
Premette l’interruttore e la stanza fu illuminata solo dalle immagini del film. Titubante, riprese il suo posto, tra le facce sorridenti di Dougie e di Danny.
Avrebbe voluto avere qualcosa da sgranocchiare in casa, così avrebbe avuto un’altra scusa per alzarsi... ma non c’era niente.
Non seguì molto il film, già lo aveva visto un sacco di volte da saperlo quasi a memoria. I due accanto a lei non perdevano però mai occasione per fare commenti sulla sceneggiatura, prendendo ampiamente in giro i due protagonisti, Tom Cruise e Brad Pitt. Con le mani giunte nel delle gambe, tenute strette, sorrideva alle loro battutacce. Si accorse, dopo poco, che Tom stava sbavando dormiente sulla spalla di Harry, che ad ogni occasione cercava di scrollarselo inutilmente di dosso.
“Jonny, non è che c’è qualcosa da mangiucchiare?”, le chiese Dougie, stringendosi in un’espressione speranzosa.
Lei si voltò.
Rimase qualche secondo a fissarlo negli occhi, come se avesse avuto da cercare una risposta, che però già sapeva negativa. Non erano chiari come quelli di Danny, ma erano senz’altro più vispi... i ciuffi biondastri dei capelli, in parte ossigenati, in parte del suo castano naturale, scendevano sulla sua fronte, coprendola in parte. Lui le sorrise e il pearcing che aveva sul labbro inferiore si mosse.
“Little Joanna?”, la richiamò Danny.
Si interruppe, voltando la testa dalla sua parte.
“Se guardi Dougie in quel modo penserà che ti sei innamorata di lui...”, le disse, aggiungendo una linguaccia scherzosa.
Joanna pensò che il colore rosso che avvampò sulle sue guance fosse di un tipo così particolare che dovesse essere per forza ribattezzato come rosso Joanna. In quel momento, era stato inventato un nuovo colore per le facce imbarazzate. Non si sentì per niente orgogliosa di questa sua invenzione, piuttosto avrebbe voluto scomparire in quell’istante, ma qualcosa la bloccò.
Sentì un coro di voci avvicinarsi, camminare lungo i piani sotto al suo. Ad ogni passo, il terrore prese a salire. Le voci adesso erano davanti alla sua porta, le riconosceva tutte, dalla prima all’ultima. Anche gli altri spostarono gli sguardi nella sua direzione, pronti ad accogliere gli arrivati con educazione.
La porta si aprì ed un ragazzone entrò nell’appartamento ridendo di gusto, ma si bloccò sulla soglia non appena si accorse di loro. Accese la luce.
“Joanna...”, le fece suo fratello, vedendola alzarsi dal divano, come in preda alla paura.
Entrò in casa, seguito da quattro dei suoi compagni di squadra, che continuarono a ridere finchè non ammutolirono davanti alla situazione.
“Chi sono loro?”, le chiese, indicandoli.
“Sono... quei McFly. Quelli che stanno… sulla porta di camera mia… E che erano al locale... Ti ricordi?”, rispose lei.
La ragazza lanciò loro un’occhiata. Le loro facce erano perplesse, non sapevano cosa fare, guardavano interrogativamente lei e suo fratello, non comprendendo la loro lingua madre.
“Che cosa ci fanno?”, le domandò.
“Miki, non stavamo facendo niente di male...”, fece lei, sentendo la sua voce in tono di supplica che non voleva mai avergli dato.
“C’è qualche problema, Jonny? Dobbiamo andare?”, le chiese Dougie, ma lei lo zittì con una secca scossa negativa del capo.
Li vedeva abbastanza spaventati, ma sicuramente non per la stazza dei cinque. O forse sì... Doveva riprendere il controllo.
“Stavamo solo guardando un film.”, disse, cercando di essere risoluta.
Miki lasciò cadere l’enorme borsone a terra e si toccò stancamente le tempie.
“Jo, lo sai che è meglio evitare certe cose.”, le disse poi.
“Non stavamo facendo niente di male!”, esclamò lei, “Perchè non ti fidi mai di me!”
“Io mi fido di te, lo sai.”, le rispose, “E’ di loro che non mi fido!”
Joanna sbuffò, cercando di reprimere la valanga di urli che le erano saliti in gola. Anche se discussioni animate tra lei e suo fratello erano all’ordine del giorno, non erano però mai uscite da quelle quattro mura. Il fatto che ci fossero troppi spettatori non le permetteva di esprimersi come voleva. A grandi passi, camminò verso camera del fratello, seguita da lui, che chiuse prontamente la porta.
Anche se le loro voci arrivavano attutite, tutti i presenti sentivano benissimo che la litigata era abbastanza furiosa.  Per problemi linguistici, i quattro non capirono quale fosse veramente il fuoco della questione, ma non erano così stupidi da non pensare che fossero proprio loro la causa di quell’eccesso di ira.
“Cosa facciamo... ce ne andiamo?”, disse Tom, risvegliato dalle esclamazioni di Joanna.
Harry lanciò un’occhiata ai quattro fusti vicino alla porta. Anche se fosse stato cieco, avrebbe subito capito che quegli sguardi pessimi erano per loro.
“Non appena il passo sarà libero.”, disse, “Non voglio pagare con un occhio nero o un braccio fratturato.”
“Ma non possiamo rimanere qui!”, disse Danny.
“E cosa vuoi fare? Fuggire via?”, gli fece Dougie, incrociando le braccia.

“C’era il bisogno di farli entrare in casa?”, sentirono dire al fratello, compresero il tono relativamente pacato.
Loro sono dei bravi ragazzi, Miki.”, rispose Joanna.
“Non mi interessa, Jo, lo sai come la penso su certe cose.”
“Adesso spiegami perchè ti stai comportando come se tu fossi il padrone della mia vita.”
“Non sempre gli altri hanno buone intenzioni nei tuoi confronti.”
“Cosa?Pensi che io non sia in grado di capire dove stiano il bene e il male?”

“Secondo te è un bene trovarsi insieme a quattro sconosciuti?”
Io faccio quello che voglio della mia vita!”, esplose la voce di Joanna, “Non sono più una bambina ormai! Forse non lo sono mai stata!
“Non alzare così tanto la voce!”
“Urlo quanto voglio!”

I due sembrarono zittirsi.
“Secondo voi cosa si stanno dicendo?”, fece Danny, preoccupato, guardando verso la porta della camera in cui si erano chiusi.
“Non ne ho la più pallida idea.”, disse Tom, “E spero che quei quattro là si tengano a debita distanza.”
“Non lo avevo capito che lei vivesse qui dentro con lui.”, disse Dougie.
“Ci credo, non ha mai parlato di sè.”, sbottò Harry, “Se lo avesse fatto avremmo potuto evitare questa cosa!”
Non puoi essere geloso! E’ questo il tuo problema, Miki, sei asfissiante, mi togli l’aria!”
“Non avrei mai pensato la vera Jojo fosse capace di urlare così tanto.”, disse  Danny.
“Voglio solo proteggerti! Tu non sai quanto questo mondo sia pericoloso!”

“Vivere a casa nostra era molto peggio che trovarsi in pieno centro di notte... e tu lo sai benissimo!”
“Ed è per questo che sei qua da me! Non sai quanto mi preoccupi perchè tu stia bene!”

No! Tu vuoi rovinarmi la vita! Sei come papà! Siete uguali!
“Io non sono come papà!”
“Certo che lo sei!”
“BASTA!”

E poi il silenzio. Glaciale.
“Hanno finito...”, disse Dougie, trattenendo il respiro.
La maniglia della porta si abbassò, ne uscì una Joanna a testa bassa.
“Ehm... sarà meglio che andiamo.”, disse prontamente Dougie alzandosi, seguito subito dai suoi compagni.
“E’... stato un piacere conoscervi...”, sussurrò Joanna, con la voce rotta.
“Possiamo fare qualcosa per te?”, le domandò Danny, ma sapeva che non avrebbe avuto risposta.
Infatti Joanna non disse niente, incrociò solo le braccia e si chiuse in camera sua.
Uscirono, passando a testa bassa e mani in tasca davanti ai quattro gaurdinghi.

 

 


Keith Haring: murales fatto a Pisa, visto con i miei occhi, è molto carino (ma la foto non è mia).
http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:TuttomondoPisa.JPG

Mi perdonerete se oggi i ringraziamenti saranno cortissimi, ma ho un sacco di cose da fare :) ho trovato giusto il tempo per postare il nuovo capitolo prima di preparare pranzo XD

Quindi, velocementissimo, ringazio:  Princess (sei troppo buona), Cowgirlsara,  Picchia (baciamo le mani) , Ciribiricoccola(dont stop me noooooow), Kit2007, Zizzy94 e Lady Vibeke (in anticipo!). 

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Capitolo 7
*** Not Alone ***


Prima di iniziare con la stesura del capitolo, voglio ringraziare in modo particolarissimo _Princess_, che da questo capitolo in po mi ha dato una mano fondamentale nell'evoluzione della storia, soprattutto per quanto riguarda la vita privata della nostra protagonista, la Piccola Joanna

Mi sei stata veramente di grandissimo aiuto, lo sai, perchè sarà anche vero il motto I Tokio Hotel per tutte, ma prima di questo ci sono le MS per le MS.
Grazie!


7. Not Alone

 


Salirono in macchina in silenzio e l’unico argomento che venne affrontato durante tutto il tragitto riguardava le strade da percorrere, dato che non sapevano in quale direzione si trovasse l’hotel. Fermarono un paio di tipi abbastanza loschi, ma si rivelarono molto più utili di quanto pensassero: indicarono loro la strada e, dopo un decina di minuti, si trovarono nella hall.
“Ci prendiamo qualcosa da bere?”, propose Harry, andando verso la zona bar.
Gli altri annuirono.
Davanti ad una birra in bottiglia, trovarono il tempo di rilassarsi.
“Cosa... cosa abbiamo combinato?”, chiese Tom, scrutando fintamente le lettere impresse sulla bottiglia.
“Non lo so.”, rispose Harry, “Ma evidentemente qualcosa di grave.”
“Quello era il suo fidanzato?”, chiese Danny.
“Era suo fratello, idiota!”, esclamò Dougie, scuotendo la testa rassegnato.
“Scusami!”, si difese, “Io non parlo italiano!”
“E’ stata lei a dirlo... quando l’ho visto nella fotografia. Non ti ricordi?”, si spiegò Dougie.
“Ed ero io a guardarla quella fotografia?”, continuò Danny, irritato.
“Hey, ragazzi,”, li richiamò Tom, “Cerchiamo, almeno noi, di non litigare.”
“Come ho detto prima,”, disse Harry, “se lei ci avesse parlato di sé e di suo fratello, tutto questo non sarebbe successo.”
“Dai, Harry, non essere così stronzo!”, gli fece Dougie, “Magari è così riservata su se stessa per dei precisi motivi!”
“Sì, lo capisco perfettamente, Dougie.”, rispose Harry, “Ma non si devono nascondere dei motivi alti un metro e ottanta, con cento chili di muscoli!”
Dougie sbuffò, a volte Harry era così ottuso che non andava mai oltre quello che vedeva in superficie.
“Obiettivamente, Harry ha ragione.”, disse Tom, “Poteva dire che viveva con suo fratello e che lui non gradiva avere estranei in casa, però magari potrebbe anche essere che Joanna non si aspettasse una reazione del genere da parte sua.”
“Vivi con qualcuno e non sai delle sue possibili reazioni?”, continuò Harry.
“Non sto cercando di giustificare nessuno.”, precisò Tom, “Sto solo provando a razionalizzare quello che è successo!”
“E’ successo sicuramente che Joanna non si aspettava di vedere tornare suo fratello a casa.”, disse Danny, attirando l’attenzione su di sé.
“E come fai a saperlo?”, gli chiese Dougie, “Per caso la conosci meglio di noi?”
“No, non la conosco meglio di voi.”, esclamò, spazientito, “Però ho visto che faccia aveva mentre sentiva quei tipi avvicinarsi alla porta dell’appartamento.”
“E che faccia era?”, domandò Tom.
Danny ci riflettè qualche secondo, aveva bisogno di un esempio efficace e incontrovertibile.
“Quella di una che veniva colta dal marito con l’amante.”, disse poi, annullando il sorrisetto fuori luogo che gli era salito in viso.
Ed infatti gli altri compresero.
“Non lo so quale sia il rapporto con suo fratello,”, riprese Danny, sottolineando ogni sua parola con il picchiettare dell’indice sul bordo del tavolo intorno al quale stavano seduti, “né che cosa possa essere successo tra i due. Ma di sicuro, lei non si aspettava che lui tornasse a casa. Era per quello che eravamo lì, altrimenti non ci avrebbe mai fatto entrare, viste le reazioni a cui sarebbe andata incontro. E adesso capisco anche tutta la sua ritrosia nell’accettare i nostri inviti.”
Gli altri annuirono in silenzio. Dougie, che aveva incrociato le braccia sul tavolo, vi nascose la faccia. Harry si passò una mano sulla testa, Tom sbuffò guardando altrove.
“E rimane comunque il fatto che avrebbe dovuto dirci questa cosa.”, rimbeccò Harry.
“Ma perché avrebbe dovuto farlo?”, la difese Dougie, “Perché avrebbe dovuto raccontarci ogni aspetto della sua vita privata? Per caso siamo i suoi migliori amici? No, anche se siamo i McFly, per lei siamo solo quattro sconosciuti... magari appesi alle pareti della sua camera.”
L’altro alzò le spalle.
“Per caso ti sei mai interessato”, continuò Dougie, “a capire come mai Jonny si comporti in questo modo? No, pensi subito che sia una mummia incapace di divertirsi.”
Harry sbuffò, incrociando le braccia.
“Comunque, non abbiamo nemmeno il diritto di continuare questa conversazione.”, disse il batterista, interrompendo le intenzioni di Dougie di sfogarsi contro la sua eccessiva superficialità.
“E perché?”, gli chiese Danny.
“Perchè concordo con una delle cose che ha detto Dougie. Non siamo suoi amici, non siamo nessuno, solo i McFly. Degli sconosciuti che si trovano in questa città e si sono aggrappati ad una loro fan per non perdersi tra i vicoli…. Dio!”
Gli altri lo guardarono stupiti.
“Danny, non fare quella faccia da santo!”, esclamò Harry, “Perchè l’hai invitata a passare questa giornata con noi? Lo hai detto tu stesso ieri!”
Lui cercò il sostegno negli sguardi dei suoi amici, ma non ne trovò.
“Perchè sapevi che avremmo passato l’intera domenica a zonzo senza fare niente.”, continuò Harry, “E non volevi annoiarti!”
Abbassarono gli occhi.
“Volevamo stare con lei perchè è del posto, conosce la città e tutto intorno.”, si rinvigorì Harry, “Per il resto sono sempre stato scettico nei suoi confronti.”
“Non sei scettico, sei acido...”, bofonchiò Dougie.
“Acido, scettico, come vuoi! Realista!”, riprese Harry, “Di certo non volevo che lei pensasse che stessimo diventando tutti suoi amiconi.”
“Harry... abbiamo capito cosa intendi ma...”, ritentò Danny, ma fu interrotto.
“No, Jones. E’ meglio chiudere qui questa cosa. L’abbiamo sfruttata e adesso, viste le conseguenze, è meglio lasciar perdere.”, controbattè Harry, “E non provare a dire che non ho ragione. ”
Era vero, aveva ragione.
“Me ne vado a letto.”, disse Danny, alzando le mani e sparendo dalla saletta. Tom lo seguì silenziosamente con le mani in tasca.
Dougie alzò la testa dall’incrocio delle sue braccia ed appoggiò il mento su di esse.
“Non l’abbiamo sfruttata.”, disse poi.
“Poynter…”, lo riprese Harry, con tono ovvio. 

 

Se ne stava sdraiata sul letto, con la schiena appoggiata ad un cuscino che ammorbidiva la durezza della testata di legno. Le mani incrociate sulla pancia, i piedi intrecciati tra loro. Sopra il suo capo, una faccia conosciuta e contornata di lunghi capelli castani e mossi se ne stava seduta su uno sgabello, con i suoi vestiti neri e l’atmosfera rossa alle sue spalle. Appesa al muro, Alanis Morissette era immortalata durante la sua esibizione unplugged per Mtv, davanti al suo microfono.
La porta si aprì prepotentemente, senza nessun bussare di anticipazione.
“Vattene Miki, per favore.”, disse Joanna, voltandosi di lato per dargli le spalle.
“Stammi a sentire solo per due minuti, Jo...”, fece lui, con tono deciso ma dolce.
“No, lasciami in pace!”, esclamò Joanna.
“Se avessi avuto con te il tuo cellulare tutto questo non sarebbe successo!”, le ripetè Miki, come le aveva già detto migliaia di volte non appena tutti gli scocciatori, compresi i suoi compagni di squadra che erano saliti solo per bere qualcosa, ebbero lasciato il loro appartamento, “Avresti saputo che saremmo tornati a casa senza aver giocato! E non sai nemmeno quanto mi sono preoccupato, non rispondevi, pensavo ti fosse...”, le fece.
“Non posso vivere con il telefono appiccicato al culo, Miki!”, rispose prontamente Joanna.
“Ma se ti fosse successo qualcosa...”, le fece lui.
“Non mi succede niente, mettitelo in testa!”, lo interruppe Joanna.
“Te ne sei andata via l’intera giornata, da sola! Avresti dovuto portarlo con te!”
“Non ero da sola, ero con Danny e gli altri.”, precisò Joanna, sedendosi sul bordo del letto per il nervosismo, ma senza togliere le spalle al fratello.
“Danny e gli altri...”, sbuffò Miki, “Non lo capisci che ti hanno solo sfruttata per farsi scarrozzare in giro?”, le disse Miki, “Pensi davvero di essere diventata loro amica?”
“Credi che io sia così scema?”, sbuffò Joanna, “Mi pensi così ingenua?”
“Lo sei più di quanto tu creda!”
Joanna lo guardò, cercando di scavare nella montagna di insulti che le era cresciuta in testa.
“Devi piantarla con questa gelosia.”, disse Joanna, “Non lo capisci che stai facendo fuggire tutte le persone che ti stanno intorno?”
Miki prese un profondo respiro e si strusciò gli occhi, per ripristinare la sua calma e non scoppiare di nuovo in un eccesso di ira.
“Te lo sei mai chiesto perchè tua moglie Rita se ne sia andata così all’improvviso?”, gli fece Joanna.
Da quando aveva messo piede in quella casa, l’argomento Rita era stato tirato fuori pochissime volte, solo nelle peggiori litigate tra loro due. E sempre aveva portato entrambi ad offendersi così tanto da non riuscire a parlarsi per diversi giorni.
Ma quella precisa domanda non gliela aveva mai posta.
Suo fratello, forse per trovare un pretesto per lasciare casa, ma soprattutto perchè amava davvero quella ragazza, a dispetto della stragrande maggioranza dei suoi coetanei aveva deciso di farsi una vita propria insieme a Rita, sposandosi che entrambi avevano ventitre anni.  Per quello che Joanna aveva potuto capire dal primo momento in cui si erano messi insieme, potevano essere destinati a mettere su una bellissima famiglia: fare sei o sette figli e festeggiare le nozze di platino. Sembravano volersi veramente bene... Lei era una bella ragazza, mora e molto alta, intelligente e simpatica. Si erano sposati poco dopo la laurea di lei in lingue straniere e Joanna si poteva quasi dire responsabile di tutto quello: infatti al liceo, bisognosa di una mano in francese aveva preso il numero di una ragazza che era disponibile a dare ripetizioni in quella materia, strappandolo un avviso affisso ad una fermata del bus. Ed era appunto questa Rita. Di certo, però, non se ne era mai fatta una colpa, nè Miki le aveva fatto pesare tutto questo, sarebbe stato veramente meschino ed ingiusto da parte sua.
E poi, un giorno, fine dell’idillio. O meglio, fine di ciò che pareva un idillio.
Ad ogni modo, all’improvviso Rita se n’era andata. Miki non aveva mai dato una precisa spiegazione a quello, anche se a Joanna era parsa da subito abbastanza palese, ma anche troppo semplicistica. Per lui, lo sport era stupidamente sempre prima di tutto, anche della moglie... Ma fu dopo essersi trasferita da lui che riuscì a comprendere anche l’altro motivo.
Una gelosia che toglieva il fiato.
Come si vedeva fare nei film, nel giro di due giorni Rita se n’era andata di casa. Grazie al servizio postale e a incontri davanti ai rispettivi avvocati, avevano firmato le carte necessarie per divorziare. Joanna si era sempre stupita di come i due non si fossero mai affrontati apertamente.
“Ti stai comportando con me proprio come hai fatto con lei... mi stai asfissiando, Miki!”, esclamò Joanna.
“Tienila fuori dalla questione.”, sibilò Miki.
“E tu togliti la fede dalla collana che porti al collo, prima di venire a giudicare me.”, contraccambiò Joanna, “Risolvi prima i tuoi problemi, poi ti darò il diritto di mettere il naso nei miei...”, sospirò, “Basta.”, disse poi, “Esci dalla mia camera.”
Indicò, a braccio totalmente teso, la porta.
“No, non me ne vado.”, continuò Miki, “Voglio che tu capisca perchè mi sono arrabbiato stasera.”, ringhiò e andò verso la porta, dando un pugno su di essa. Esattamente sulla faccia di Dougie. “Questi qua non sono persone con cui puoi fare amicizia!”, disse poi.
Joanna non si tratteneva più. Per troppo tempo aveva sopportato tutto quello. Le avrebbe fatto un male cane, ma voleva parlare, mossa dalla rabbia e dalla voglia di sfogarsi, di prendersela con lui per quello che le stava facendo.
“Loro sono solo la punta dell’iceberg!”, esclamò lei, serrando le mani in una stretta fortissima, “Sotto ci stanno tutti i tuo amici... Hai voluto che iniziassi ad uscire insieme a voi perchè non sopportavi vedermi passare i fine settimana in casa. Ma poi, da quando ho preso a farlo, hanno preso ad evitarmi costantemente. Cosa hai detto loro?”
“Niente, Jo!”, le rispose Miki.
“Allora perchè non riesco a parlare per più di mezzora con ognuno di loro senza che si sentano a disagio e mi mollino con una scusa idiota? Eh? Spiegamelo!”
Miki non le rispose.
“Sai benissimo che ho sempre avuto difficoltà a farmi degli amici! Perchè mi vuoi rendere tutto ancora più impossibile di quanto lo sia per me?”
Scena muta. Miki la fissava, voleva parlare ma si stava trattenendo. Joanna gli andò incontro rabbiosa e lo prese a schiaffi.
“Dimmelo! Dimmelo!”, gli gridava piangendo, “Perchè mi evitano!”
Miki le fermò le mani con una presa forte ma calma. Si infrangevano sul suo petto senza procurargli molto dolore fisico, ma facevano un male cane al suo cuore.
“Loro non devono stare con te.”, fece poi, strappandosi le parole dalla bocca.
“E perchè?”, disse Joanna, come fosse stato un lamento straziante.
“Ho detto loro che avrei ucciso chiunque abbia il coraggio di posare un dito su di te.”, disse Miki, “Non scherzo, sappiamo entrambi che cosa non voglio che accada.”
“Io non sono un’idiota... mi so difendere!”, disse Joanna, accasciandosi a terra, stremata.
Lo sapeva che si sapeva difendere, lo sapeva benissimo, altrimenti non avrebbe avuto la forza per ribellarsi ai loro genitori e venire da lui. Ma non sapeva cosa altro fare... Doveva proteggerla, era quello che i fratelli maggiori dovevano fare con le sorelline. Era quello il suo compito. Lo stava svolgendo bene?
“Jo...”, le disse, “Non voglio che ti trovi a vivere per sempre accanto ad uno come papà.”,
Aprì la porta e se ne andò.
Era tardi, era stanco, doveva dormire. Il giorno dopo doveva lavorare.

 

 

I hear you talk about your family life
I wish I knew just what that means

Mamma, papà, Michele e Joanna. Un piccolo nucleo familiare, felice, spensierato, quasi da tipica pubblicità delle merendine in tv, dove tutti sorridono mentre addentano con gusto la pastina farcita di cioccolato e crema. Semplicemente deliziosa!
I loro genitori erano entrambi di buona famiglia e professori di inglese in due dei tanti licei che fornivano correttamente istruzione ai giovani fiorentini. La loro casa si trovava fuori città, nelle colline a nord, ed era proprio un  bel posto in cui nascere, vivere ed educare i propri figli.  

I mean the best with what I say

Sì, sembravano davvero una famiglia felice. Joanna non pensava questo con tono sarcastico, assolutamente no, era del tutto sincera.

 It doesn't always sound that way

Perchè lo sembravano, ma non lo erano veramente.
Le più belle cose sembravano tali, se viste superficialmente dall’esterno; solo un osservatore abile, scrupoloso, attento ai dettagli ma soprattutto alla forma interna, avrebbe potuto capire in un unico colpo d’occhio che i sorrisi, stampati sulla fotografia della loro famiglia appesa in bella vista appesa al muro poco distante dalla porta d’ingresso, avevano poco della serenità che sembravano infondere nei cuori di chi li guardava.

 I guess my mother never loved my dad
And now I wear it on my sleeve
 

Ne era più che sicura.
I suoi non si erano mai amati, soprattutto mamma non aveva mai amato papà. Non gli aveva mai voluto bene, ma era sempre stata abilissima nel nasconderlo. Era stata una bugiarda per natura, o forse per necessità? Non lo sapeva per certo, ma sicuramente aveva imparato ad esserlo nel tempo.
La patina dorata che caratterizzava la loro famiglia le si era appiccicata addosso, costringendola a vivere una vita di apparenza e di mistificazione. L’artefice di tutto questo era una sola persona, lei ne era diventata complice.

 I try to breath, memories overtaking me
I try to face them but
the thought is too much to conceive

Quando era  stata piccola, tante cose avevano avuto una giustificazione che per lei era sembrata corretta e plausibile.
Perchè mamma si arrabbiava? Perchè Joanna aveva combinato qualche guaio e, per quello, le andava fatto capire che cosa aveva sbagliato. Allora mamma alzava un po’ la voce, magari le dava qualche sculaccione, la metteva in punizione per un giorno o due e la lezione veniva prontamente imparata. Fine.
Perchè papà si arrabbiava?
Quello era più difficile da razionalizzare.

 Did Daddy not love you?

Era indubbio che le volesse bene e gliene aveva dato dimostrazione in moltissimi modi. 

Or did he love you just too much?

A partire dal fatto di considerarla la sua preferita.
Per tanti motivi: era la piccola dei due figli, Miki non dava ottime soddisfazioni a scuola, odiava l’inglese e pensava solo allo sport. Lei, invece, si era sempre impegnata al massimo in tutto quello che faceva, era felice nel far contenti i suoi genitori. Forse perchè aveva sempre saputo che quello era l’unico modo per vedere i loro genitori sorridenti insieme.
Non era che litigassero, che urlassero tirandosi dietro piatti... semplicemente non c’era sentimento tra loro due. Erano come due stranieri entro le solite quattro mura. Non si parlavano, a meno che non fosse strettamente necessario, e quello che si dicevano spesso moriva dopo qualche parola.
Eppure da fuori sembravano così felici...

Did he control you?
Did he live through you at your cost?
Did he leave no questions for you to answer on your own?

 Suo padre si schierava in aperta battaglia per la figlia: combatteva per lei, per farla felice, per darle la possibilità di avere successo... E tutto questo non era encomiabile per un padre che adorava la figlia? Certo che lo era, ogni genitore voleva vedere il proprio figlio condurre una vita migliore della propria.
Ma c’era sempre il risvolto della medaglia.
Ogni singolo tassello della vita di Joanna aveva avuto una precisa forma e si era incastrato perfettamente con tutti gli altri, in un puzzle vivente che suo padre era riuscito a tessere abilmente fin dal primo momento in cui era nata. Suo padre era il regista di un film che aveva come titolo, appunto, il nome di Joanna. Lei stesse ne era protagonista, marionetta nelle mani del suo abile giocoliere. 

So please!
Don't keep
telling that it's ok
I don't buy all the shit that you say
And quite honestly I'm fucking sick of it. 

Più che amore, quello che suo padre aveva da sempre provato per lei era ossessione.
Sì, ossessione.
Joanna non se ne era mai resa conto fino a che non iniziò a pensare di essere in grado di poter scegliere cosa voler fare nella propria vita. Vissuta tra due professori di inglese, le sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza della lingua iscrivendosi ad un liceo linguistico.
No, non era quello che era stato pensato appositamente per lei. Stranamente, suo padre non voleva che lei ripercorresse i suoi passi: era una strada troppo lunga, quella del diventare professore, e la sua categoria era ampiamente sottopagata per il lavoro difficile che faceva. Quello che aveva progettato per lei era una migliore carriera, magari nell'ambito medico o forense.
Finchè Joanna, volente o nolente, aveva seguito la volontà del padre tutto era andato per il verso giusto: lui ne era contento ed orgoglioso, fiero di lei.  Altrimenti, se si voltava la medaglia, la faccia impressa su di essa si trasformava in una pesante croce. Una croce che faceva male.
Tanto male, perchè era a quel punto che papà si arrabbiava. 

So where were you
When all this I was going through
You never took the time to ask me
Just what you could do

Forse era per quello che i suoi non si erano mai amati. Sicuramente, mamma odiava papà proprio per questa sua ossessione.
Era riuscita a sottrarre da quello stesso gioco vizioso Miki, aiutata anche dal fatto che suo fratello era sempre stato un bambino abbastanza irrequieto, una testa calda che si era calmata solo crescendo.
Chissà per quale motivo non era stata capace di fare altrettanto con lei... Non aveva nemmeno mai avuto la forza, o forse la volontà, di opporsi a suo marito.
Aveva accettato passivamente decisioni e conseguenze, sottomessa. 

Well fuck them
And fuck her
And fuck him
For not having the strength in your heart to pull through

E allora che si fottessero tutti e due.
Era lei a portare le cicatrici di quello che aveva passato. Sul cuore... ma soprattutto sulla pelle. 

The thoughts from my mind
Command my lips say I hate you

Non avrebbe mai pensato, da piccola, che un giorno si sarebbe trovata ad odiare i suoi stessi genitori. Da brava cattolica quale era stata, aveva ritenuto che la famiglia fosse il pilastro fondamentale di qualsiasi persona, che senza di essa l’individuo non fosse nessuno.
Cazzate.
Credeva ormai solo in se stessa e nella possibilità di andare avanti da sola. 

The thoughts from my mind have one question...
When will this ever end?

La dolce e cara Joanna, dall’aspetto così gentile, minuto e pacifico, serbava così tanto rancore che a volte lo stomaco si rivoltava contro lei stessa, distruggendole la giornata dal dolore che sentiva. 

I sit here locked inside my head 

Nessuno aveva mai saputo quello che aveva passato, perchè la sua vita era rimasta chiusa all’interno di quattro mura. Non aveva mai avuto voglia di parlarne, nè di dare una giustificazione ai marchi visibili della sua esistenza; aveva sempre una scusa pronta: Joanna era goffa. Non le riusciva nemmeno tanto difficile farsi credere, perchè era veramente incapace di farsi male cadendo.
Era per quello che non aveva mai avuto amici. Perchè quando una persona stringeva legami forti con altre, prima o poi arrivava sempre il momento in cui certe cose venivano a galla. 

 I'm empty
Addicted
Pissed off
And still afraid of what you
Have left me to live in
This mess you've made
I fee
l useless...Jaded... Nameless

Le ci erano voluti degli anni per riuscire a racimolare abbastanza forza d’animo per ribellarsi, per scacciare via la paura di vedere la faccia di papà incrinarsi in una smorfia di rabbia e di violenza. E quando aveva deciso di lasciare l’università, pochissimi mesi dopo aver passato il test di selezione all’entrata ed essersi inscritta alla facoltà di medicina, aveva fronteggiato suo padre.

 My head hurts, this shit isn't getting me high
My chest is so tight I think I am going to die
My stomach's in knots and the room starts to spin

Stava perdendo la forza di ricordare, la testa si faceva sempre più leggera e tantissimi punti neri stavano offuscando la sua vista. Prese un grande respiro e, repimendo un attacco forte di nausea, ritrovò la forza di controllare il proprio corpo, che si distruggeva sempre nel ricordo. 

And then I'll find you here
Through your eyes everything's clear
And I'm home inside your arms

Aveva fatto le valige e se n’era andata, prima che suo padre se ne accorgesse. E comunque troppo tardi per sfuggirgli ancora. Se n’era andata da Miki. Sapeva il motivo per cui lui l’aveva accolta in casa, il vero motivo. Non era semplicemente perchè aveva bisogno di una compagnia fisica ed anche economica. Nemmeno perchè voleva bene alla sorella.
Era perchè si sentiva in colpa per aver chiuso gli occhi ed aver lasciato casa quando lei ne aveva avuto più bisogno. Miki si era scontrato più volte con il padre per lei, l’aveva difesa in tanti modi, ma nemmeno il suo fisico da sportivo era stato sufficiente. E quando ne aveva avuto abbastanza, se n’era andato.
Ma non gliene aveva mai fatta una colpa, anzi, Joanna aveva sempre pensato che suo fratello avesse preso la decisione giusta.
Aveva ritrovato forza quando lui l’aveva accolta a braccia aperte e quando lui aveva sbarrato la porta di casa al padre, impedendogli di rientrare  riprendersi la figlia, aveva capito che la sua vera famiglia era lui.
Aveva ripreso a vivere, lasciandosi alle spalle tante paure. Si era sforzata di vivere una vita normale. Una vita che potesse chiamarsi tale, che non fosse semplicemente una sceneggiatura da seguire dettagliatamente. 

But I'm alone for now

E si trovava esattamente al punto di prima.
Anche Miki si sentiva in dovere di dirle cosa fare, cosa pensare. Era tornata ad essere di proprietà di un altro che non era lei stessa. 

And I lie here in bed, all alone, I can't mend
But I feel tomorrow will be okay

 Sì, se lo sentiva, prima o poi sarebbe andato tutto bene.
Prima o poi.

 

Stette diverso tempo a rimuginare, a pensare. Quello che era successo, da tre giorni a quella parte, poteva dirsi del tutto surreale. Avevano messo piede in un paese straniero, uno come gli altri, dove avrebbero suonato per poi togliere di nuovo le tende ed andarsene da un’altra parte, suonare di nuovo e così via. Semplice no?
Poi, era capitato un imprevisto. Si erano detti: ma che cazzo ci facciamo qua?
Si erano guardati intorno per un giorno intero, avevano visto le statue, le chiese, il fiume ed i ponti. Le visuali panoramiche, le gallerie d’arte. Insomma, avevano spulciato in superficie le bellezze della città di  Firenze; non interessava loro andare molto più a fondo di quel modo, avevano fatto il giusto per contentare Tom, voleva vedere se era come se la ricordava. E, una volta esaurite le memorie da verificare, si erano guardati nelle palle degli occhi.
“Noleggiamo una macchina!”, aveva proposto Harry, “E andiamo in giro!”
“Deficiente!”, gli aveva risposto lui, “Ci avevamo già pensato e domani andiamo a prenderla!”
Al tempo, il domani sarebbe stato sabato, attualmente ieri, perchè finchè l'orologio non scoccava la mezzanotte, ancora stava vivendo nella domenica. Avevano ritirato la macchina e, dopo aver davvero rischiato di finire spiaccicati contro un bus, guidando nella direzione sbagliata, si erano detti di nuovo: ma che cazzo di facciamo qua?
Erano soli, senza autista, senza manager, senza staff, senza nessuno. Almeno a Parigi avevano portato qualcuno dei tecnici, quei tre deficienti del suono, con i quali si erano spaccati le mascelle dalle risate. Ma lì erano come dei pesci fuor d’acqua. 
E dire che pensavano di sapersela cavare in tutte le situazioni. Non sapevano dove battere la testa: non che Firenze fosse una metropoli infinita, ma agli italiani non piaceva imparare l’inglese e non sapevano come comunicare con loro per chiedere informazioni vitali, tipo: Dove posso trovare un posto dove c’è aria di darla via facilmente?
Poi, al sabato sera, dopo le peripezie con l’auto, chiusi in un noioso locale, a Danny era venuta l’illuminazione.
“Ragazzi!”, aveva detto, “Mi sono scordato di dirvi una cosa importantissima!”
“Jones, se il tuo cervello gareggiasse insieme a quello di un moscerino, i giudici di gara darebbero la vittoria al tuo sfidante per mancata presentazione dell’avversario.”, gli aveva risposto lui.
“Oh, grazie per il sostegno morale Dougie.”, gli aveva risposto Danny, dandogli una pacca sulla testa, “Comunque, il fatto è che non abbiamo molto da preoccuparci.”
“E perchè?”, aveva chiesto Harry.
“Stamattina ho incontrato Joanna.”, aveva detto Danny.
“Oh, ma che informazione di vitale importanza.”, aveva ironizzato Harry.
Finalmente una buona notizia, pensò Dougie.
“Ci vuoi stare zitto un attimo, Harry!”, lo aveva rimbeccato Danny, “Comunque, le ho chiesto di uscire stasera. E ha detto di no.”
“Ovvio.”, aveva detto Tom.
“Guarda che l’ho invitata a stare con noi, non esclusivamente con me!”, aveva precisato Danny, “E comunque, se avesse detto di sì, non mi sarebbe dispiaciuto per niente rimanere da solo con lei...”
“Ma lei ti ha detto di no, il problema non si pone.”, lo aveva zittito Dougie.
Era rimasto lievemente deluso. Stava bene in compagnia di Joanna, quella ragazza lo incuriosiva molto.
“Ad ogni modo...”, gli aveva detto con decisione Danny, guardandolo seriamente negli occhi, “L’ho invitata a passare la domenica con noi. Penso che sia una buona idea stare in sua compagnia. Se verrà, potremmo farla guidare e farci portare da qualche parte per divertirci.”
“Specificati meglio, Danny.”, aveva fatto Harry, “Cosa vorresti che facesse lei? La nostra giuda turistica?”
“Beh...”, aveva fatto Jones, “Direi di sì, anche se in questo modo sembra una cosa meschina e cinica. Ma il fatto è che noi non sappiamo come muoverci in giro se non a piedi... e lei è di qua. E poi, anche se non è proprio la mia ragazza ideale, è dannatamente carina e finora è stata l’unica disponibile.”
Harry lo aveva guardato di sbieco, con la sua solita smorfia di poco velata disapprovazione. Tom aveva scosso la testa, facendo schioccare la lingua e guardando rassegnato verso l’alto.
“Perchè no?”, aveva detto Dougie, “Io non la vedo proprio come una guida turistica.”
“Ah no?”, aveva fatto Harry, “Almeno spero che questa ragazza sia così tanto ingenua da non comprenderlo.”
“Se la metti così è davvero una bastardata.”, si era difeso Danny.
“E’ una bastardata.”,aveva sottolineato Tom, “Ma cosa cazzo ci facciamo qua?”
“Ti ricordiamo che sei stato tu a volere che venissimo qua con una settimana di anticipo.”, gli aveva ricordato Dougie.
“Sì, ma pensavo che ce la saremmo cavata bene!”, aveva risposto Tom, “Mi dispiace!”
“Meno male che c’è Little Joanna.”, aveva detto Danny, con aria contenta.
“Dai, in fondo passeremo una bella giornata con lei.”, li aveva riconciliati. Lui, Dougie Poynter era un’ottimista di natura, non poteva dire altro. 
Ammetteva che durante la gita al mare si erano comportati male nei confronti di Jonny, che l’avevano ‘sfruttata’ per i loro comodi. Ma in fondo aveva passato una bella domenica in sua compagnia, almeno per quel poco che avevano parlato, in macchina al ritorno... perchè per tutta la giornata avevano perseverato nell’ignorarla quasi completamente, giocando a calcio.
Oltretutto, quello che poi era successo alla sera, quando era rientrato suo fratello, l’aveva lasciato del tutto sbalordito. Era necessario scusarsi con lei, chiederle perdono per averle causato così tanti problemi, anche se del tutto involontariamente.
Era stata tutta colpa sua: lui aveva autoinvitato tutta la combriccola in casa di Jonny. E doveva trovare un modo per farsi perdonare.

 


 I versi in inglese corsivo sono ritagli di canzoni degli Staind, gruppo che ho nel cuore. Sono utilizzate senza scopo di lucro ed esattamente sono: ME – SAFE PLACE - FADE – WASTE – PLEASE – FOUR WALLS – FOR YOU – NAMELESS - PRESSURE, presi dai loro vari album, dopo un'attenta rilettura dei loro testi. 

Chi mi conosce bene sa quanto siano di ispirazione per me.

Passiamo ai commenti, d'obbligo questa volta data l'ultima, in cui sono stati molto frettolosi:

Lady Vibeke: Visto il video del capitolo? *-* VoceSesso al meglio... Yeah *me sbava fantozziana* Eh, la nostra Joanna si concentra sui detersivi per piatti, più che sugli occhi di Danny e ha tutte le ragioni per farlo. Dio santo, quegli occhi bruciano, sono peggio del napalm. Hai indovinato su un paio di cose: Harry senza peli sulla lingua, in questo capitolo ne hai una bella dimostrazione e darà il meglio più avanti. L'altra cosa è l'indizio nascosto, la pietra miliare in incognito come l'hai chiamata tu... eheheh, non ti si può nascondere niente! Altrimenti, che MS saresti! Ci sentiamo!!

Princess: Se violenti Harry, per cortesia, rimandalo intatto? Non ne ho molto bisogno ma, sai, il gruppo rimarebbe senza di lui. Non ti bastano i ringraziamenti in cima, lassù? Dio! Sei proprio narcisa!

Picchia: Baciamo le mani. *sparo un colpo a salve con la lupara* A me piace tanto Haring, appena trovo un suo quadro lo compro e me lo metto in camera, ho anche lo sfondo sul cellulare ispirato a lui! Ehehe, Harry fa l'acidello anche in questo capitolo, ma tra un po' lui spiegherà anche perchè è così... acido! Ma gli stronzi fanno sempre effetto sulle donne, anche su di me...

CowgirlSara: TI APPOGGIO!!!! E non dico altro.

Kit2007: Weeeeee bentornata cara! Com'è andata la gita? Sicuramente bene! Eheheh anche a te non si può proprio nascondere niente, quando dici di capire gli inghippi che nascondo nella storia tu ci arrivi sempre! Ma brava *applausi e cori da stadio per Martina* ci becchiamo su msn! Ciao!

GiulyWesley: Bentornata anche a te! Grazie per i complimenti, sono sempre incerta di aver dato il giusto carattere ad ognuno dei Mecchi, spero di non sbagliarmi! Alla prossima! Ciaooo

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Capitolo 8
*** Born to.... RUN!!! ***


 

 

Decisero di non farne parola con Harry, dato che aveva espresso molto chiaramente il suo punto di vista sulla questione. Lo lasciarono dormire nella sua camera, non avrebbe sentito la loro mancanza. Era mezzogiorno inoltrato, il sole della domenica si stava allungando anche a quel lunedì, ma una gelida arietta ghiacciava i loro nasi, facendoli arrossire.
Davanti alla porta del locale si chiesero se stessero facendo la cosa giusta.
“E se non ci volesse più vedere?”, chiese Tom, “Dopotutto, siamo stati noi la causa della sua litigata con il fratello.”
“Ma sappiamo veramente che cosa è successo ieri?”, disse Dougie, il promotore dell’idea, “In fondo litigavano senza sottotitoli.”
“Tu lo hai visto come ci guardava quell’armadio di suo fratello?”, fece Danny, “E i suoi amici? Ho davvero pensato che stessero per pestarmi!”
“Già...”, disse Dougie, toccandosi il mento in riflessione, “Io direi di entrare e basta. O la va o la spacca!”
“Ok.”, disse Tom, avvicinandosi alla porta. Un attimo prima di aprirla, però, i suoi occhi andarono al di là del vetro. Quello che vide lo sconfortò notevolmente.
“Che c’è!”, sbottò Dougie, “Entra!”
Tom scosse la testa, al che il bassista Poynter si avvicinò alla porta e guardò.
“Cazzo!”, esclamò, allontanandosi velocemente, “Ma quello la segue dappertutto!”
“Chi?”, fece Danny, che non aveva capito.
“C’è suo fratello nel locale.”, disse Tom, rassegnandosi, “Se ci vede entrare ci ammazza.”
“Io me la squaglio.”, disse Danny.
“No, tu non vai da nessuna parte!”, lo riprese Dougie prima che potesse muoversi di un passo, “Adesso entriamo e non ci facciamo prendere dalla paura! In fondo anche noi siamo belli alti.”
“E belli magri.”, aggiunse ironicamente Tom, “No, non entriamo, non vorrei che scatenassimo una reazione a catena che comporterebbe il licenziamento di Jo.”
“E perchè dovrebbero licenziarla?”, chiese Dougie.
“Metti che suo fratello, vedendoci, le fa una scenata...”, chiarificò Danny, comprendendo dove volesse arrivare Tom.
Solo allora Dougie parve comprendere.
“Aspettiamo che suo fratello esca?”, fece, incrociando le braccia, deluso, “Potremmo anche andare a quel bar, quello là, e metterci ad attendere.”, disse, indicando un altro locale nelle vicinanze, con tavolini all’aperto sotto ad un gazebo bianco.
Tom guardò di nuovo dentro.
“Non credo che lo farà prima delle cinque di pomeriggio.”, disse poi, “A vederlo da come è vestito, sembrerebbe che lavori nella cucina. Ha quella classica divisa bianca da cuochi.”
“Porta il cappellone?”, fece Danny, avvicinandosi a lui.
“No, ma sono sicuro di quello che dico.”, disse Tom, “Cosa facciamo? Torniamo alle cinque?”
Danny guardò Dougie, in cerca di una risposta.
Il ragazzo, invece di parlare, si avvicinò alle grandi vetrate che occupavano tutta la facciata del locale, coperte da tendine fisse a quadretti che oscuravano la vista dall’esterno. Iniziò a saltellare, cercando di vedere oltre la loro lunghezza.
“Poynter... che stai cercando di fare...”, gli fece Danny.
“Voglio attirare l’attenzione di Joanna.”, rispose lui, riprendendo poi a saltare.
“Mezza calza.”, borbottò Danny.
Era più alto di Poynter, aveva più opportunità di lui di essere visto.
“Prendimi sulle spalle.”, gli fece poi Dougie.
“Ma sei scemo?”, sbottò subito Danny.
“Dai Jones!”, fece Tom, “Aiutiamolo.”
Lo fecero sedere sulle loro spalle e, in quel trono di fortuna, un traballante Dougie prese a guardare dentro al locale.
“Poyter...”, borbottò un Danny sotto sforzo, “Hai mangiato una balena...”
“Stabilizzatemi!”, ordinò il ragazzo, “Non vedo un cazzo!”
“Guarda che non sei una piuma!”, protestò anche Tom.
“Eccola! Eccola!”, esclamò poi Dougie, e prese a sbracciarsi.
“Piano, Doug, piano...”, sbuffò Danny.
Joanna si stava avvicinando proprio al tavolo vicino a loro. Con il suo solito sorriso dolce iniziò a prendere l’ordinazione. Dougie prese a bussare sul vetro, sperando che lei si accorgesse di lui.
“Poynter... non ce la faccio più...”, fece Tom, con la voce strozzata dallo sforzo.
“Jonny!”, esclamò Dougie.
La vide alzare gli occhi distrattamente verso di lui, posarli poi sul suo taccuino per rialzarli sbalorditi. La salutò, ridendo della sua bocca spalancata.
“Ci ha visto! Ci ha visto!”, si sporse Dougie per dire quelle parole.
“Merda!”, esclamò Danny, lasciando la presa.
Dougie si senti mancare il sostegno sotto alla sua chiappa destra e cadde a terra, sbattendo lievemente la testa sull’asfalto e atterrando in parte su Tom.
“Jones! Imbecille di un Jones!”, protestò Dougie, massaggiandosi la nuca.
“Dougie, togliti dal mio cazzo...”, bofonciò finemente Tom, approfittando poi dell’alleggerimento dal peso del bassista per lamentarsi in disparte del dolore che sentiva.
La porta del locale si aprì di uno spiraglio e ne sbucò la testa di Joanna.
“Ragazzi, andatevene per piacere...”, disse, con aria preoccupata.
“L’idea è stata di Poynter!”, scaricò subito la colpa Danny.
Joanna parve esitare.
“Solo un momento...”, disse poi. Sparì di nuovo dentro al locale e ne uscì dopo qualche breve istante, “Che cosa ci fate qui?”
Non sembrava affatto contenta di vederli.
“Beh... ci volevamo scusare per ieri sera.”, disse prontamente Dougie, alzatosi da terra, “E’ colpa mia se è successo, non mi dovevo invitare a casa tua.”
“Non importa, Dougie, davvero. Lasciamo perdere.”, disse lei, abbassando lo sguardo, a braccia incrociate, “Devo rientrare, il locale è pieno e se Miki se ne accorgesse...”
“Tuo fratello?”, le chiese Danny.
“Sì...”, disse lei, sospirando.
“Spero che non sia successo niente di irreparabile.”, disse Tom.
“No, tranquilli...”, fece Joanna, abbozzando un sorriso che cercava di essere confortante, “E’ stata colpa mia. Non sapevo che sarebbe tornato prima del previsto, a lui non piacciono intrusi in casa.”
“Visto che avevo indovinato?”, sbuffò Danny ai suoi amici, “Io lo avevo detto che era andata così!”
Joanna rise lievemente.
“Ad ogni modo, non pensate che non abbia... passato una buona giornata con voi.”, disse la ragazza, alzando le spalle imbarazzata.
“Beh... anche noi siamo stati bene con te.”, le fece Dougie, stringendo le mani nelle tasche dei suoi pantaloni quadrettati.
“Ma come mai tuo fratello è così geloso di te?”, le domandò Danny.
Entrambi i suoi amici lo fulminarono con un’occhiataccia, dopo aver visto la reazione ancora più imbarazzata di Joanna.
“Adesso devo rientrare.”, disse lei.
“Sì...”, fece Tom, grattandosi la testa.
Joanna li guardò un attimo.
“Dov’è Harry?”, chiese poi, non vedendolo.
“Beh... è rimasto in albergo.”, spiegò velocemente Danny, “Aveva sonno, ma ti porta anche lui le sue scuse.”
La ragazza gli sorrise, poi tornò alla porta e li salutò con un cenno di mano.
“Un’ultima domanda, Jonny.”, le fece Dougie, “Sai se c’è un ristorante greco da queste parti?”
La ragazza lo guardò perplessa.
“A lui piace il cibo greco.”, specificò Danny.
“Sì, ce ne sono un paio.”, disse lei.
“E dove sono?”, le chiese ancora Dougie.
“Beh... non credo che capiresti anche se te lo spiegassi nel migliore dei modi. Mi dispiace.”, fece Joanna.
Dougie tentò l’ultima carta.
“Ci accompagni ad uno dei due domani sera?”, le chiese.
Sia Danny che Tom lo guardarono sorpresi e sospettosi.
“Non credo che sia una buona idea, Poynter.”, disse Tom, “Le causeremo altri problemi.”
“Beh, saremmo comunque felici di averti con noi, Little Joanna.”, disse Danny, sorridendole.
Lei sembrò esitare.
“Il migliore è il Zeus. Chiedetelo alla reception dell’hotel. Buona serata.”, disse poi, salutandoli di nuovo e sparendo dentro al locale.
I ragazzi rimasero qualche secondo lì, come in attesa.
“Grazie per il tentativo, Poytner.”, gli disse Danny, dandogli una pacca riconoscente sulla spalla, “L’ho apprezzato molto.”
“Beh... prego.”, rispose Dougie.
Come se lo avesse fatto per lui.

 

 
Tornò a casa senza che avesse staccato minimamente il pensiero da loro. Ci riflettè tutta la notte e gran parte della mattina seguente.
Erano tornati per chiederle scusa. Per chiedere scusa a lei.
Doveva essere lei a scusarsi per quello a cui avevano assistito, quella patetica litigata. Ancora Miki non le aveva rivolto la parola, le uniche frasi che si erano scambiati erano strettamente legate al lavoro. O lui le chiedeva scusa, o niente.
Ad ogni modo, si era come stampata tutte le parole dette da Dougie in testa e sentiva la voglia irresistibile di accontentarlo.
Ma come poteva farlo? Se avesse detto a Miki che andava fuori con degli amici, sarebbero subito iniziate le domande... Chi sono? Dove andate? Cosa fate? E alla fine le avrebbe strappato dalla bocca la loro identità e non le avrebbe permesso di vederli. Inoltre, le uscite durante la settimana non erano abituali per lei, quindi ci sarebbe stato altro sospetto da parte di suo fratello. Non voleva farlo di nascosto, ma era l’unica via che poteva intraprendere.
Poi pensò: ma cosa c’entra Miki con la mia vita?
“Jo, dove ce l’hai la testa!”, tuonò Arianna.
“Oh merda!”, esclamò la ragazza, vedendo l’acqua traboccare dalla brocca di vetro che stava riempiendo. Chiuse il rubinetto della macchina per la purificazione dell’acqua e appoggiò la brocca grondante sul lavello lì vicino, dietro al bancone del bar.
“Jo...”, le fece Arianna,  con tono scherzoso,“O deponete le armi oppure mi vedo costretta a licenziarvi.”
“Non è una buona minaccia.”, le fece la ragazza, toccandosi gli occhi stanchi.
“Perchè non fate pace?”, le domandò Arianna, “Dopo tutto avete fatto discussioni peggiori e sono quasi due giorni senza che vi diciate una parola.”
“Perchè stavolta sono stufa... lo sai.”, disse Joanna, evitando di tornare a parlare della stessa cosa per due volte.
“Povera Jo...”, le fece la donna, passandole un braccio sulle spalle.
“Vabbè, lasciamo perdere.”, tagliò corto la ragazza.
“Però sono stati carini a venirsi a scusare.”, insistette Arianna, ridacchiando sotto i baffi, “Hanno rischiato che Miki li vedesse e li linciasse, però lo hanno fatto lo stesso. Sono da lodare.”
Joanna si morse il labbro inferiore.
“Non ti ho detto che mi hanno chiesto di uscire di nuovo con loro... stasera...”, disse, sottovoce, per paura di farsi sentire da Miki, che spadellava in cucina.
La bocca di Arianna si spalancò in un sorriso soddisfatto.
“Dici davvero?!?”, disse, mantenendo la voce bassa, “Chi di loro te lo ha chiesto?”, le domandò Arianna.
“Dougie.”
“E come te lo ha chiesto?”
“Arianna...”, sospirò Joanna, “Piantala.”
“Ci andrai vero?”, disse la donna, tutta eccitata, “Oggi è anche martedì grasso, ci sarà da travestirsi!”
Martedì grasso?
“Ecco perchè prima sono entrati quei ragazzi con le maschere in faccia!”, sbuffò Joanna, rendendosi conto del giorno in cui viveva.
“Ci andrai allora? Vero?”, continuò Arianna.
“Ma come faccio...”, sbuffò Joanna, “Mi sembra di essere Cenerentola! Solo che ho matrigna e sorellastre unite in una sola persona!”
“Non dirmi che chiamerai quella grassona della strega per farti fare il vestito.”, aggiunse Arianna.
“Come faccio ad andarci!”, fece Joanna, “Se dico a Miki che esco con loro sbarrerà la porta di casa!”
“Tranquilla, ti copro io.”, disse la donna, e si affacciò nella cucina, “Hey Miki!”
“Che c’è?”, sentì dire Joanna.
“Stasera tua sorella è a casa mia.”, disse Arianna, lanciandole un occhiolino di intesa.
“Perchè?”, chiese prontamente Miki.
“Calmati, puoi fidarti, Jo è con me.”, sentenziò Arianna, minacciandolo con il suo potente indice inquisitore, “E se fai un’altra domanda, ti licenzio.”
“Ci sarà altra gente a casa tua?”, domandò di nuovo Miki.
Ecco, domanda scontata ed attesa.
 “Adesso sei licenziato!”, disse Arianna, “E per informazione, siamo solo noi due.”
“Oh sì certo.”, sbottò Miki, “Piuttosto, chiama Jo che c’è da portare questa roba al tavolo sette.”
“Ok.”, disse Arianna, “Per stavolta la passi liscia...”
Joanna si sentiva il petto scoppiare dalla felicità. Mentre Arianna le si avvicinava, non potè fare a meno di saltarle al collo per ringraziarla.
“Adesso porta quella roba al tavolo.”,  le disse Arianna, “Poi cerca di metterti in contatto con quei quattro idioti.”
“Agli ordini!”, scattò sugli attenti Joanna che in meno di due secondi aveva servito i tavoli e raccolto un altro paio di ordinazioni.
Mentre Arianna teneva occupato suo fratello in una conversazione sviante, Joanna prese un elenco del telefono e cercò il numero dell’hotel Venice. Lo compose sul suo cellulare ed attese.
“Vorrei parlare al signor Poynter, se è possibile.”, disse al receptionist, dopo che le ebbe cordialmente risposto.
Non c’è. Vuole lasciare un messaggio?”, disse l’uomo all’altro capo della linea.
“Beh... sa mica quando tornerà?”
Non glielo so dire. Mi dispiace.
“Ah... ok, lascio questo messaggio.”
Prego.”
“Sono Joanna, se siete disponibili... stasera lo sono anche io. Lo scriva in inglese, per cortesia.”
Altro?
“Beh... gli dica anche di richiamarmi.”, fece Joanna.
A quale numero?
Glielo dettò, ripetendolo un paio di volte.
Appena tornerà glielo consegnerò. Arrivederci!”, e la chiamata venne chiusa.
Incrociò le dita e mise il cellulare nella tasca dei suoi pantaloni.

 

 

“Ehm... come si fa?”, chiese Danny ad Harry.
“Boh, non lo so.”, rispose l’altro.
“Ragazzi!”, esclamò Dougie, dopo un’attenta osservazione dei marmocchi che, intorno a loro, giravano vestiti da principesse, spider man, corsari e moltissime altre maschere, “E’ martedì grasso!”
“Oh mio dio, questo tuo entusiasmo mi sta uccidendo.”, borbottò Tom.
“Dovremmo mascherarci!”, insistette Dougie, “Lo abbiamo sempre fatto!”
La sua proposta non incontrò sguardi favorevoli.
“Poynter, vedi di capire come si usa questa cazzo di macchinetta!”, sbottò Danny, che da mezz’ora cercava di comprendere il complicato funzionamento di quella carcassa biancastra che si supponeva essere capace di vendere i biglietti. Piuttosto che fare la fila chilometrica alla biglietteria, avevano deciso di incaponirsi nella tecnologia. Quell’aggeggio, però, sembrava del tutto ostile nei loro confronti e alle loro spalle qualche turista scocciato attendeva con poca pazienza che si sbrigassero.
“Abbiamo noleggiato una macchina e tu vuoi andare in giro in treno?”, domandò retoricamente Dougie.
 “E non siamo capaci guidare a sinistra,” si giustificò Danny, “quindi non vedo altro modo per andare a vedere quella fottuta torre pendente!”
“Chi se ne frega!”, sbotto Dougie, tornando a girellare per la stazione centrale ed affollatissima della città.
“Fate provare me.”, disse Tom.
“No! Per cortesia!”, lo allontanò speditamente Harry, “La tua presenza manda in tilt anche i tostapane.”
“Fate come vi pare, ma sappiate che il prossimo treno parte tra cinque minuti.”, gli ricordò il ragazzo.
“Ce ne saranno altri!”, sbuffò Danny.
Tom si mise a spulciare il tabellone cartaceo. Tra la valanga di nomi di località sconosciute che leggeva, il primo treno diretto che trovò per Pisa ci sarebbe stato solo nell’ora successiva. Vide Dougie camminare senza meta tra i turisti, lentamente, in attesa di essere chiamato. Lo raggiunse.
“Io non ho per niente voglia di andare a vedere quella torre. Non vorrei che capitasse che Bin Laden torni all’attacco...”, gli disse Tom.
“Eh già.”, fece l’altro, incrociando le braccia, “Ma non sappiamo più che cavolo fare qua in giro...”
“Forse non è stata una buona idea venire qua con così tanto anticipo... senza troupe.”, disse Tom, grattandosi la testa.
“Dai, non fartene una colpa.”, gli disse Dougie, “Alla fine ci siamo anche divertiti.”
“Sì... per quel poco che c’è stato da divertirsi.”, disse Tom, con aria pessimista.
“Stasera non ci saranno storie. Non abbiamo più tempo per farci i vestiti di carnevale, ma ci metteremo comunque in giro per le strade a fare i cretini.”, disse Dougie, con aria risoluta, “E il primo locale che troviamo, è nostro!”
“Io ci sto!”, disse Tom, esclamò Tom, stringendogli la mano per suggellare il patto.
“Ok, andiamo a dirlo a Judd e a Jones.”, fece Dougie, mettendosi nella direzione giusta.
Dopo pochissimi passi, all’improvviso, si sentì prendere con forza per un braccio.
“Poynter...”, gli sussurrò Tom in un orecchio, “Facciamo dietro front. Adesso.”
“E perchè?”, gli fece lui, stupito.
“Adesso.”, disse Tom, improvvisamente messosi a testa bassa, con lo sguardo fisso per terra.
“Ma cos’hai Fletcher?”, sbottò Dougie.
Una coppia di occhi puntati su di lo distrassero. Una ragazza lo stava fissando, con aria perplessa e lui, educatamente, le fece un cenno con la testa nella speranza che spostasse il suo sguardo altrove.
“Dougie! Dougie! C’è Dougie dei McFly!”, gridò improvvisamente quella.
Una valanga di occhi femminili si spostarono su di lui, che continuava a sentirsi strattonare il braccio da Tom. Pietrificato, davanti a sè c’era quella che sembrava una nutrita folla di sue connazionali.
“E’ lui!”
“C’è anche Tom!”
“Oh mio dio! Dov’è Danny!”
“E Harry?”
Non riusciva a contarle tutte, ma dovevano essere una cinquantina.
“Poynter!”, gli gridò Tom in un orecchio, “Muoviti!”
Prima che una quantità di gridi selvaggi gli entrasse nelle orecchie, un’ultima strattonata lo fece cadere a terra ma fu molto efficace per farlo risvegliare.
Tom già stava camminando velocemente verso Danny e Harry, ancora fissati con quella macchinetta infernale. Dougie cercava di tenere il passo, guardandosi alle spalle... già il gruppo di ragazze stava macinando terreno.
Erano riconoscenti alle fans ma... quelle erano cinquanta! Ed erano impossibili da gestire, soprattutto senza uno straccio di sicurezza che le allontanasse.
Tom prese i due componenti rimasti in disparte per un lembo dei loro cappotti.
“Cazzo fai, Fletcher!”, protestò Danny.
“Muovetevi!”, fece loro Dougie.
“Ma che sta succedendo!”, esclamò Harry ed allungò lo sguardo, “Oh merda!”
“Forza!”, gridò Tom, innescando la quinta marcia.
Alle loro spalle, le ragazze li inseguivano a distanza sempre più ravvicinata, gridando i loro nomi a squarciagola.
“Ci stanno raggiungendo!”, disse Dougie, l’ultimo della fila.
Intanto, intorno a loro la gente si chiedeva che cosa stesse succedendo. Perchè quei quattro erano inseguiti da tutte quelle ragazze vocianti? Stavano fuggendo dalla polizia?
 “Quel treno sta partendo!”, gridò Danny, indicandone uno nei binari di fronte a loro, “Saliamoci!”
“Ma siamo senza biglietto!”, gli rispose Tom, che teneva con lui la testa della prima fila.
“Cosa te ne fotte del biglietto, imbecille!”, urlò Danny, svoltando per il binario del treno in partenza.
Misero piede su quella bestia verde dalle porte automatiche, esortando i due rimasti indietro di muoversi. Era difficile scartare abilmente tutti quelli che incontravano e Harry rovinò addosso ad un mucchio di valige, cadendo a terra, ma fu abile a rialzarsi presto, ignorando gli insulti che gli furono rivolti in lingua sconosciuta.
“Poynter! Muoviti cazzo!”, gli urlò Harry, una volta salito.
Non appena anche l’ultimo pezzo di Dougie fu sul treno, le porte si chiusero. Videro le fans impazzite fermarsi deluse e protestare. Stanchi, ansimanti, sudati, si appoggiarono contro le porte del treno.
“Ce l’abbiamo fatta...”, disse Danny, in preda ad un attacco di asma.
“Merda... pensavo che qua non mi sarei trovato... in queste situazioni...”, fece Harry, sventolandosi col cappellino che indossava.
Dougie, con la lingua penzolante, non aveva la forza per dire niente. Guardava solo gli occhi curiosi che gli occupanti di quel treno rivolgevano loro, borbottando tra di loro ed indicandoli.
“Jones... dove va questo... queste treno...”, ansimò Tom, asciugandosi con una mano la fronte imperlata di sudore.
“E che ne so...”, disse Danny, spaparanzato a terra.
Sentirono il rischiararsi di una voce italiana.
“Biglietti per cortesia.”, chiese loro un signore baffuto. La divisa verde copriva una  grossa pancia, estremamente strizzata da tre bottoni verticali.
“Ehm... parla inglese per caso?”, domandò Harry, impaurito.

 

 

 “Danny Jones...”, disse Tom, toccandosi il naso nervosamente, “La prossima volta che decidi di salire su un treno... un qualsiasi treno...”
“Per favore, Tom...”, lo pregò Danny, invano.
“EVITA DI PRENDERE UN DIRETTO PER IL NULLA!!!!”, gridò Tom con tutto il fiato che aveva nei suoi polmoni.
Si trovavano in una stazioncina piccolissima, intorno a loro solo la campagna, un paio di capannoni industriali e, se non erravano, a qualche centinaio di metri c’era un signore con il suo cane ed un fucile sotto il braccio. Nel trambusto inesistente di quella fermata, i quattro ragazzi sembravano trovarsi nel 1700. Le uniche cose che li riportavano alla realtà erano i fili elettrici e il cemento sui cui posavano i loro piedi
 “E dai, Fletcher! Non lo ha fatto apposta!”, irruppe Harry, “Ci ha salvato dalle barbare...”
“Ci ha salvato un cazzo!”, fece Tom, con un diavolo tra i capelli spettinati ed ossigenati, “Il capotreno ci ha buttato fuori!”
“Ma sulle targhette nei treni non c’è scritto: vietato gettare oggetti dal finestrino?”, sbuffò Dougie.
“Ti sembra questo il momento di fare cabaret, Poynter?”, lo rimproverò Tom, “Ci ha anche fatto una multa ed adesso dobbiamo pure trovare il modo di tornare a Firenze!”
 “Che sarà mai una multa!”, disse Danny, stringendosi tra le spalle, “Non ci mancano i soldi per pagarla!”
“Vaffanculo Jones! Non sappiamo dove siamo!”, sbraitò Tom.
“Fletcher, calmati.”, gli fece Harry, allontanando le mani del cantante dalla traiettoria del collo di Danny, “Adesso vediamo di capire come fare per tornare indietro.”
 “Usciamo dalla stazione e chiediamo informazioni!”, propose Dougie.
“Senti, c’è un tizio col fucile laggiù... Se vuoi andare, non ti trattengo.”, disse Danny, guardando quel signore in vestiti verde oliva che camminava lungo la campagna.
“Gli chiederò se me lo vende così ti uccido, Jones! E sono disposto a pagarlo a peso d’oro!”, esclamò Tom, che ormai ce l’aveva a morte col suo collega chitarrista.
Harry, piuttosto che lasciare Danny nelle mani dell’isterico Tom, prese la vittima per un braccio e, scavalcando i due binari, andarono all’altro capo della stazione.
“Cerchiamo il prossimo treno che passa di qui.”, disse, mettendosi a scrutare il tabellone cartaceo.
“Non capisco perchè Fletcher ce l’abbia tanto con me.”, disse Danny.
“Perchè forse se non ti mettevi a blaterare con il capotreno, che per altro non capiva un cazzo di inglese, quello non ci buttava fuori.”, disse Harry, cercando il tono meno accusatorio possibile che trovava.
Infatti Danny, invece di starsene zitto come tutti loro, si era messo a sproloquiare con l’uomo panzuto, cercando di spiegargli che loro non stavano fuggendo dalla polizia come poteva essere sembrato, ma che stavano scappando da delle ragazze che altro non erano loro fans, perchè nel Regno Unito, paese da dove loro provenivano, erano una band famosa, anche se lì in Italia non erano in molti a conoscerli...
L’uomo in verde, che in inglese sapeva altro che dire ‘Dovete comprare il biglietto e timbrarlo alla macchinetta gialla’, per un po’ era stato a sentirlo, poi si era fatto dare tutti i loro documenti ed aveva stilato, con molta calma e pazienza benedettina, quattro multe a tre cifre. Successivamente, li aveva fatti scendere alla prima stazione in cui il treno si era fermato.
“Non ci capisco niente.”, disse Harry, dopo aver cercato di interpretare le scritte sulla carta giallastra.
“Maledetta!”, esclamò Danny, scomparso dal suo fianco, che era entrato all’interno del casottino-stazione.
“Che c’è?”, gli chiese Harry.
“Un’altra schifosissima macchinetta per i biglietti!”, sbraitò Danny, davanti a quell’attrezzo incomprensibile con il quale avevano già perso la pazienza prima di imbarcarsi sul primo treno in fuga dalle fans.
Dall’altra parte, Tom si era seduto sul bordo del binario, mentre Dougie si aggirava intorno a lui, ignorandolo. All’improvviso, un suono familiare in lontananza.
“Sta arrivando un treno!”, gridò Tom, felice come una pasqua.
Harry, seguito da Danny, saltò i binari per raggiungere gli altri due ma il treno, invece di fermarsi, procedette spedito davanti ai loro occhi, lasciandoli sbalorditi.
“Jones! Ti uccido!!!”, riprese a gridare Tom, mettendosi ad inseguirlo, dato che l’altro aveva iniziato a fuggire dalle sue mani assassine.
“Che ore sono?”, chiese indifferentemente Dougie ad Harry.
“Le tre e mezza...”, sospirò l’altro.
“Vediamo se riusciamo a combinare qualcosa.”, disse Dougie.

 

Joanna continuava a guardare nervosamente il suo cellulare. Ma niente. Erano quasi le cinque, non aveva ricevuto nessuna chiamata. Poi si disse che sicuramente erano usciti, se n’erano andati da qualche parte e non sarebbero tornati prima dell’ora di cena... Sì, sicuramente era per quello che non avevano ancora chiamato.
Ma poteva anche essere che... non fossero più interessati alla sua presenza. Magari ci avevano ripensato Beh, poteva essere. Anzi, le sembrava una scusa ancora più plausibile dell’altra.
“Perchè continui a guardare il telefono come se stessi aspettando una chiamata?”, le fece Miki, spuntandole alle spalle.
“Ah... no... è che... il mio orologio si è fermato e volevo vedere che ore fossero.”, si riprese Joanna, riponendo velocemente il cellulare in tasca.
Così aveva deciso di parlarle, oppure era solo un modo per avere una conferma indiretta alla domanda che lui stesso le aveva posto. Si allontanò da lui, tornando verso la cucina.
“Ti hanno richiamato?”, le chiese Arianna, che si stava mangiando un gelato, seduta su uno dei ripiani della cucina del suo locale.
“No.”, le rispose.
“Dai, tranquilla, chiameranno.”, le fece Arianna, “Piuttosto, invece di andartene a casa, vieni direttamente da me.”
“Ma devo farmi la doccia, preparami.”, disse Joanna.
“Lo farai da me, ti do qualcosa di mio, tanto più o meno abbiamo la stessa taglia.”, fece la donna.
“C’è solo un piccolo inconveniente... a me mancano queste!”, disse l’altra, ingrandendosi con le mani il seno quasi inesistente.
“Provvederemo anche a quello!”, disse Arianna, ridendo, “E appena ti chiamano ti porterò da loro.”
“Se chiameranno...”, fece la ragazza, sospirando.

 

Quello era il quarto treno che passava davanti ai loro occhi senza fermarsi, ormai ci avevano fatto il callo. Erano addirittura riusciti a farsi quattro biglietti, uno a testa, dopo aver compreso che quella macchinetta riusciva anche ad esprimersi in inglese.
Erano già le sei e mezza del pomeriggio, stava iniziando a fare freddino e non sapevano più cosa fare.
“Andiamo a piedi a quei capannoni, cerchiamo qualcuno e ci facciamo dire come fare a tornare a  Firenze.”, propose Tom.
“Non ci sarà più nessuno ormai.”, disse Danny, “Tutte le macchine parcheggiate intorno se ne sono andate mezz’ora fa.”
“Io sono abbastanza ottimista.”, disse Dougie.
“Si vede che stai per morire.”, sibilò Harry, “Tutti quelli in punto di morte sono ottimisti.”
“Vaffanculo.”, gli rispose Dougie, dandogli un calcio, “A costo di buttarmi sui binari, il prossimo treno si fermerà!”
“Oh sì...”, fece Danny, “Se siamo fortunati, tra quattromila anni troveranno le nostre mummie congelate.”
“Per favore, Jones, non ti mettere a frignare.”, gli fece Tom.
Di nuovo, in distanza un rumore familiare ma portatore di false speranze.
“Sta arrivando un altro treno.”, disse Harry, con tono afono.
“Non si fermerà.”, sentenziò Danny, “E ho una fame cane.”
Osservarono la lunga macchina elettrica arrivare da lontano, con i due grossi fari sul davanti che illuminavano il tratto dei binari davanti a sè. Pareva rallentare. Iniziarono a sentire il rumore stridulo dei freni sulle ruote metalliche e, con calma esasperante, il treno si fermò in quella stazione dimenticata dal servizio ferroviario italiano, più che da Dio, lasciandoli a bocca aperta.
“Si è fermato...”, sussurrò Tom, stupito.
“Muovetevi!”, fece Danny, esortandoli a salire sull’unico mezzo che aveva dato loro l’opportunità di ricollegarsi al mondo civilizzato.
Le porte si chiusero e, lentamente, il bestione si mise in moto.
“Mi scusi.”, fece Harry ad una ragazza, nascosta dietro ad un libro, seduta su una poltroncina, “Questo treno va a Firenze vero?”
Lei gli annuì sorridendo.
“Oddio, grazie! Ci hai salvato la vita!”, sbottò subito Tom, ricevendo uno sguardo straniato e un sorriso che stavano a volergli dire: Tu sei tutto scemo.
Infreddoliti, si sedettero su quattro poltroncine vuote sorridendo tra di loro, felici di essere stati recuperati dal dimenticatoio.
“Tra quanto saremo a Firenze?”, si domandò Dougie.
“Boh, vedremo. Ma non credo che manchi tanto.”, fece Tom, “Forse dieci minuti.”
“Meno male che abbiamo i biglietti.”, disse Danny, indicando ai suoi compagni con un gesto della testa un nuovo dipendente in verde che chiedeva ai passeggeri di mostrare loro i biglietti. Li tirarono fuori dalle loro tasche ed attesero che l’uomo si avvicinasse.
Glieli mostrarono.
“Ma questi biglietti non sono stati timbrati. Dovevate farlo nell’apposita macchinetta gialla.”, notò il capotreno, parlando nella loro lingua.
I ragazzi si guardarono, con la voglia di prendersi amorevolmente a testate.


TITOLO: Born to run è una canzone di Bruce Springsteen, rifatta dai McFly, guardare il video al link per credere XD. No scopo di lucro.

Passiamo ai ringraziamenti!

Picchia: Baciamo le mani come sempre. Che dire, nella recensione precedente sei riuscita a cogliere qualche spunto sulla prossima evoluzione della storia... jaja, c'è sempre sotto qualcosa nelle mie storie, non si deve mai dare niente per scontato, lo sai benissimo no? eheh! E per quanto riguarda la frase, io ce li vedo proprio lì a fare i peggio gesti per farsi capire XD

Kit2007: Se l'Harry di questo capitolo ha mangiato limone, quello dei prossimi sarà una specie di bottiglia d'acido muriatico vivente. Comunque comunicherò il tuo messaggio a lui, poi ti saprò dire cosa mi risponde, ok? ahaha! E per quanto riguarda Joannina... che dire, nel capitolo è già stato detto tutto, qualche particolare in più lo svelerò nei prossimi, tanto per chiarificare la sua storia perchè ho tenuto degli elementi nascosti, o comunque li ho messi in modo tale che non sempre forse si sono capiti. Ma l'ho voluto io!

CowgirlSara: TI APPOGGIO! Il grande consiglio delle MS ha deciso... cosa ha deciso? Boh, non lo so. Fatto sta che non so mai che dirti nei ringraziamnti, tanto poi se ne parla sempre su msn... sicchè! Sono trepidante di voglia di fare una hit pareid per il tuo prossimo capitolo, sbrigatiiiiii

Ciribiricoccola: Weeeeee dopo la giornata di Pisa, mi ghe son morta dalla fatiga.  Manca poco mi addormento in treno! Come ho già detto, Harrino è un tubetto di cacca e lo sarà anche di più... ma avrà i suoi motivi, che per ora tengo debitamente nascosti. Dughino... eeeeeehhhhh Dughino che tu non sopporti! Argh! Vai, non dico altro, ho già detto troppo!

_Princess_:  Quando hai letto, corri a recensire! Of course! Di corsa!

Giuly Wesley: A me brillano ancora gli occhi nel sapere che stai postando anche tu... dai, uniamo le forze e con le nostre storie mettiamo in piedi una sezione per i McFly tra i cantanti, dato che ho già chiesto di farla mettere tra i nomi ma ancora non mi hanno dato considerazione.... -.- Quindi, rimbocchiamoci le mani! Mille di questi McFly!


Un saluto va anche a Silvia, la prima verissima fan che ho conosciuto sul forum dei McFly, dove in contemporanea sto pubblicando questa storia.  Quando è che mi fai tornare a piangere con la tua storia? Ma soprattutto, quando è che rendi tutte le lettrici che ho ringraziato qua sopra partecipi di questo tuo piccolo capolavoro? Spero presto! Ci sentiamo su msn! Un bacione!

E poi, in fondo alla lista... Lady Vibekina... ma dove sei finitaaaaa???? XD
Anche se non c'entra niente con questo fandom:   Tutte per le MS, le MS per tutte!

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Capitolo 9
*** Crazy Little Thing Called... What??? ***



 

9.Crazy Little Thing Called... What???

 

Erano le sette e mezza, nessuna chiamata, niente.
Joanna lasciò passivamente il cellulare tra le pieghe del divano, delusa. Era solo colpa sua se era successo tutto quello. Se avesse detto subito di sì, a quell’ora sarebbe stata in loro compagnia, intorno ad un tavolo, a ridere davanti ad un piatto di Mousakàs o di Baklavas.
“Magari alla reception si sono scordati di dare il tuo messaggio.”, le fece Arianna, vedendola giù di morale.
“No, è stato un modo per dire implicitamente che non desiderano più la mia compagnia.”, bofonchiò Joanna.
“Sei sempre maledettamente pessimista, Jo.”, disse Arianna.
“Lo so... dai, adesso riportami a casa, dirò a Miki che mi sono sentita poco bene e me ne andrò a letto.”, fece Joanna, alzandosi e raccogliendo gli abiti che stavano appoggiati sul bracciolo del divano. Erano quelli con cui aveva lavorato ed odoravano di cibo: quelli che indossava, direttamente dall’armadio di Arianna, sapevano di vaniglia ed erano certamente poco consoni al suo stile. Maglietta nera con lo scollo lievemente ampio su un petto praticamente piatto, pantaloni di jeans un po’ troppo attillati... abbigliamento tipico di Arianna, sempre un po’ troppo appariscente, lei invece preferiva tonalità classiche e abiti comodi.
Si era addirittura fatta truccare, ma solo un po’, il giusto colore per dare vitalità agli occhi lievemente stanchi per la giornata di lavoro.
“Non ci pensare nemmeno!”, sentenziò Arianna, “Stasera stai con me, oppure con quei quattro deficienti se si faranno vivi. Forza, prendiamo i cappotti ed andiamo in cerca di un posto dove mangiare e poi andiamo a ballare!”
“Oh sì, certo!”, fece Joanna, “Vuoi vedermi continuamente sdraiata per terra mentre ballo? Lo sai quanto sono imbranata!”
“Lo sanno bene le stoviglie del locale...”, disse la donna, ridendo, “Forza, non fare storie!" 

 

“Meno male che ci avremmo messo dieci minuti per tornare in città.”, disse Harry, guardando di sbieco Tom, colui che aveva ritenuto così minima la distanza tra il deserto dei tartari e la stazione centrale di Firenze.
Erano quasi le sette quando i loro piedi si posarono sul binario tre della stazione centrale della città.
“Andiamo in hotel...”, fece Danny, “La prossima volta che Fletcher vorrà anticipare l’arrivo in un luogo sulla data del concerto: legatelo, imbavagliatelo e buttatelo dalle scogliere di Dover. Possibilmente con una pietra da una tonnellata legata al collo, così se siamo fortunati morirà strozzato in annegamento.”
“Mi associo.”, disse automaticamente Harry.
“Dai... cerchiamo un taxi che ci porti in hotel.”, fece Dougie, avviandosi verso l’uscita.
Dopo pochi minuti in auto entrarono nella hall dell’albergo, trascinando i piedi dietro di sè.
“Signor Poynter, per cortesia!”, chiamò il receptionist.
“Sì?”, fece Dougie.
“C’è un messaggio per lei.”, fece il giovane dipendente al di là del bancone, porgendogli un foglietto di carta intestata dell’hotel.
“Uhm...”, borbottò il ragazzo, prendendolo.
Sono Joanna. Se siete disponibili, stasera lo sono anche io.’, sotto di esso un numero di una decina di cifre.
“C’è qualche problema?”, attirò la sua attenzione il receptionist, vedendolo impalato con quel foglietto in mano, mentre i suoi amici erano già saliti sull’ascensore.
“Poynter!!!”, lo chiamò a gran voce Danny, “A meno che non sia un annuncio mortuario, muoviti!”
Velocemente, nascose il foglietto in tasca ed entrò nell’abitacolo.
“Di chi era il messaggio?”, gli domandò Tom.
“Boh non so, secondo me hanno sbagliato.”, rispose indifferentemente Dougie, grattandosi il naso.
“Hanno sbagliato...”, disse Harry, con tono perplesso.
“Beh... capita!”, giustificò Dougie.
Sentì il pezzetto di carta scivolare via lentamente dalla tasca in cui lo aveva riposto ma non fu abbastanza veloce per fermarlo: Danny lo sottrasse abilmente dal nascondiglio e lo lesse ad alta voce.
“E’ di Joanna! Stasera sarà con noi!”, esclamò il ragazzo leggendolo.
“Ah sì?”, fece Tom, “Davvero?”
“Sì, leggi pure.”, Danny glielo porse per permettergli di leggerlo.
Harry lanciò un’occhiata di sbieco a Dougie, che si strinse nelle spalle.
“La chiamo!”, fece prontamente Danny, prendendo il suo cellulare.

 

“Dammi quel telefono!”, ripetè Arianna, sentendolo squillare chiuso tra le mani di Joanna, “Tuo fratello deve smetterla di starti addosso come una cozza allo scoglio!”
Vista la riluttanza della ragazza ad accontentarla, combattuta tra il senso del dovere che le imponeva di rispondere per tranquillizzare l’apprensivo fratello e la volontà di spegnerlo per non sentirlo più trillare, Arianna glielo strappò di mano e rispose.
“Non rompere le scatole!”, esclamò ed attaccò, riconsegnandolo alla legittima proprietaria con un sorriso soddisfatto.
Intanto, gli antipasti erano già stati serviti.
“Se non fosse che stai ancora aspettando che gli inglesini ti chiamino, te lo farei spegnere!”, aggiunse poi Arianna, mentre addentava il suo involtino di bresaola e rucola.

 

Premette invio ed attese che la chiamata venisse accettata da Joanna. Tutti e quattro, nel corridorio, vicini alle loro camere aspettavano insieme a Danny.
“Ma quanto ci mette!”, esclamò il ragazzo, sentendo quel prolungato tu-tu.
“Dalle un attimo!”, gli fece Tom.
“Ssshh!”, sussurrò poi Danny, mettendosi una mano davanti alla bocca.
Poi, uno stridio di parole italiane gli entrò dritto nei timpani, peggiore degli urli che Tom gli aveva riservato quello stesso pomeriggio durante l’avventura ferroviaria, e la chiamata venne chiusa.
Rimase sbigottito.
“Che c’è?”, gli chiese Dougie, vedendolo perplesso.
“Beh… non lo so…”, disse Danny, “Quella che mi ha risposto non era sicuramente Joanna… e forse mi ha mandato anche a fanculo senza che io ne sia certo…”
“Hai sbagliato, riprova. Ti detto il numero.”, fece Tom. 
 

“Ancora!!!”, esclamò inviperita Arianna, vedendo il telefono di Joanna illuminarsi, posato sul tavolo vicino al suo bicchiere, “Lo licenzio! Ti giuro che lo licenzio!”
“Andiamo, fammi rispondere, così non rompe più.”, fece la ragazza scocciata.
Osservò il numero che compariva ad intermittenza sullo schermo del suo cellulare. Era una strana sequenza di cifre che non conosceva, né appartenevano ad un comune numero di telefonia fissa o mobile.
“Che c’è? Pensi a come fare per mandarlo a quel paese?”, fece Arianna.
“Arianna…”, le fece, passandole il telefono, “Che numero pensi che sia?”
Nella mente di Joanna era rinata una piccola speranza repressa già da tempo.
La donna lo guardò. Dato tutto il tempo che aveva passato in Inghilterra, se era un numero di quel paese lei lo doveva pur riconoscere.
“Rispondi, sono loro!”, le disse, tutta eccitata.
E ora cosa avrebbe detto? Improvvisamente, la lingua le si attaccò al palato e la mente implose su se stessa in un tonfo disperato e miserabile. Aveva atteso da quel pomeriggio quella chiamata ed ora che era arrivata non sapeva da che parte iniziare.
“Pro… pronto?”, fece Joanna, aggrappata al pessimismo che le continuava a dire che quel numero impossibile era di una truffa telefonica che le avrebbe prosciugato il credito per le chiamate.
Little Joanna!”, esclamò Danny, con entusiasmo, “Sei tu vero?
“Ehm… sì, sono io…”, disse, prendendo ad agitarsi.
Allora, sei disponibile come c’è scritto su questo foglietto?”, fece lui.
“Uhm… come?”, chiese lei, già fusa.
Dove sei? A casa tua?”, le domandò Danny.
“No!”, esclamò prontamente Joanna, “Non sono a casa!”
Ah! Meno male, non volevo vedere di nuovo quel gran simpaticone di tuo fratello.”, disse Danny, ridendo.
In sottofondo, si sentivano anche le risate degli altri, che sembravano parlottare tra di loro ma Joanna non li comprese bene.
Che facciamo stasera? Ci porti in questo ristorante greco?”, riprese Danny.
“Beh… a dire il vero io…”, balbettò Joanna, “Non ricevendo nessuna chiamata ho deciso di passare la serata insieme ad un’amica.”
Ah…”, fece l’altro, “Quindi alla fine non sei più disponibile…
Prima che Joanna potesse dire altro, Arianna le prese il cellulare dalla mano.
“Con chi ho il piacere di parlare?”, chiese lei, sfoderando la sua voce calda, quella che Joanna le aveva sentito usare più volte nelle rare occasioni in cui era uscita assieme a lei.
Beh… mi chiamo Danny Jones… e tu chi sei?”, fece lui, aggraziandosi nel sentirla.
“Sono l’amica di Joanna. E sono contenta di lasciarla tutta per voi!”
Beh… grandioso!”, esclamò il ragazzo, “Se vuoi puoi unirti anche tu a noi!
“Grazie, ma sono un po’ troppo grande per voi. E comunque è Joanna quella che volete, o sbaglio?”
Sì!”, rispose l’altro.
Arianna lanciò un occhiolino alla ragazza, che stava sprofondando nei suoi crostini per l’imbarazzo.
“Perfetto. Posso consigliarvi dove passare la serata?”, disse Arianna.


 

Arianna le ripassò con l’abilità di una make up artist la matita intorno agli occhi. Poi le dette un’altra sbuffata di colore sulle guance e un pizzico sul braccio.
“Sei pronta!”, le fece, “E non agitarti troppo! Sei già stata con loro una giornata intera, non iperventilare per una serata di fine carnevale!”
“Lo so… ma non ci riesco!”, piagnucolò Joanna.
“E con Danny… c’è qualcosa che mi puzza di bruciato. Ti piace vero?”, le chiese la donna, con occhi maliziosi.
“Beh… sì… ma anche gli altri sono altrettanto carini ed adorabili.”, fece Joanna, sentendosi le guance avvampare, “A parte Harry… credo che ce l’abbia con me, ma non so perché. E’ sempre stato un po’ sarcastico nei miei confronti.”
“A me piace Dougie.”, disse Arianna.
“Ma hai vent’anni più di lui!”, sbuffò Joanna, dandole una pacca sulla spalla.
“E che vuol dire!”, protestò l’altra.
“Potrebbe essere tuo figlio…”
“Parli come mia madre!”, la riprese Arianna, “Avanti, scendi e fai bella figura!”
Joanna prese un profondo respiro e scese dalla macchina, facendo attenzione che nessun lembo cappotto lungo e nero che Arianna le aveva prestato rimanesse impigliato nella chiusura dello sportello.
La piazza panoramica sulla città, meglio conosciuta come Piazzale Michelangelo, era gremita di persone che cantavano e ballavano, indossando maschere e tracannando birra e vino. Passò accanto a due tipi già estremamente alticci per essere solamente le dieci di sera e ci mancò poco che uno di loro le cadesse addosso, sporgendosi per attirare la sua attenzione. Ma lei accelerò il passo e, nascondendosi nel colletto del cappotto, scansò a testa bassa tutti i presenti, fermandosi solo quando incontrò la balaustra che contornava la terrazza.
Davanti a lei, tutta la città illuminata dai lampioni e dalle varie luci che costellavano i monumenti più importanti. La serata era fresca, non eccessivamente gelata. La luna continuava a fare capolino tra fini nubi di passaggio, rischiarando la notte intorno a lei.
Arianna aveva consigliato loro di passare la serata lassù: aveva sentito che un gruppo di scansafatiche aveva organizzato una festa in maschera proprio nel piazzale e che ci sarebbe stato da divertirsi. A guardare dalle persone intorno a lei, però, ci poteva essere solo da ubriacarsi e farsi di qualche sostanza stupefacente.  Per il momento, però, la musica era carina, ballabile per chi ne era capace, ovviamente non per lei.
Si domandò dove fossero gli altri quattro e provò a cercarli con gli occhi.
Furono loro a trovarla, spuntando improvvisamente alla sua destra.
“Little Joanna!”, esclamò Danny, abbracciandola con l’accortezza di allontanare dalla sua traiettoria la birra che aveva in mano.
“Salve…”, fece lei, cercando di non irrigidirsi troppo come al suo solito.
“Buonasera Jo! Come va?”, le chiese Tom, riservandole una formale ma amichevole stretta di mano.
“Tutto a posto. Tu?”, domandò lei a sua volta, ricevendo come risposta un’alzata di spalle ed una bevuta alla bottiglia di birra.
“Jonny…”, fece Dougie, con fare simpatico.
Harry si limitò ad un cenno di mano.
“Ti offriamo subito da bere!”, si animò Danny, prendendola per braccetto insieme a Tom.
“A dire il vero sono a posto.”, fece Joanna, “Sono uscita ora dal ristorante.”
I due ragazzi non fecero storie: alti più di lei di una quindicina di centimetri, la sollevarono di peso prendendola per i gomiti e la portarono davanti al bar mobile che distribuiva alcolici a tutti.
“Scegli pure, offre Jones.”, le fece Tom.
Costretta alla scelta, optò per un succo di frutta alla pesca.
“Succo di frutta?!?”, esclamò Danny, “Non vuoi una birra?”
“Niente alcol per me, grazie.”, rispose lei.
“E che succo alla pesca sia!”, fece, alzando il braccio per richiamare l’attenzione di qualcuno che li servisse.
Ritornati alla balaustra, trovarono solo Dougie. Harry se n’era andato in cerca di qualcuno con cui divertirsi e Joanna lo comprese perfettamente, in quel modo aveva dichiarato apertamente la scarsa simpatia nei suoi confronti, ma non lo biasimò affatto.. Si sedette sul piano orizzontale del parapetto, seguita a ruota da Danny, mentre Tom si limitò ad appoggiarvisi con un fianco e Dougie rimase in piedi, davanti a lei, con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni strappati.
“Cosa hai fatto di bello oggi, Jo?”, le domandò Tom.
“Beh… ho lavorato.”, rispose lei, sforzandosi di non fare la solita figura del pesce muto.
“E poi?”, continuò Danny.
“Fino a poco fa ero con la mia amica, quella con cui hai parlato al telefono, in un ristorante.”, aggiunse Joanna, non trovando niente di interessante nella sua misera giornata, “Voi cosa avete fatto?”
“L’odissea.”, disse Dougie, guardando Danny di sottecchi.
“Stavamo provando a prendere un treno per Pisa”, iniziò a raccontare Tom, “quando Poynter ed io ci siamo trovati davanti ad un gruppo di nostre connazionali.”
“E nostre fans.”, si inserì Danny, “Che ci hanno costretto a scappare e a salire sul primo treno in partenza.”
Joanna li guardava sbigottiti.
“Ma non potevate semplicemente fermarvi e fare foto ed autografi?”, chiese poi, pensando che fosse la cosa più giusta per loro da fare.
“Erano tante…”, disse Dougie, quasi sottovoce come se si dovesse scusare.
“Già… una valanga!”, specificò meglio Tom, “Ed eravamo senza qualcuno che le ammaestrasse.”
Joanna li guardò scettica.
“Avete avuto paura…”, fece, sorridendo, “Avete avuto paura!”
I tre prontamente accamparono una serie di scuse infinite per giustificare il loro gesto, oltre a quella di essere senza qualche gorilla che li proteggesse da un fronte di ragazze urlanti.
“Ho capito! Ho capito!”, fece Joanna, sedando l’esplosione di giustificazionismo, “E siete saliti su un treno…”, li esortò a continuare la storiella.
Chissà cosa avevano combinato.
“Sì e appena arriva il capotreno, quello ci fa scendere alla prima stazioncina sperduta. Insieme a questa!”, disse Danny, tirando fuori dalla tasca del suo cappotto un foglietto.
“Ha fatto la multa a tutti e quattro. E ci ha scaricato in mezzo al niente.”, disse Dougie, “Abbiamo aspettato tre ore prima che uno dei treni che passava di là si fermasse per farci salire.”
“Ma a quel punto avevamo già acquistato il biglietto.”, continuò Tom.
“Ed abbiamo rischiato di prendere un’altra multa perché non li avevamo timbrati!”, concluse Danny, “Però alla fine siamo arrivati sani e salvi!”
Joanna si mise a ridere.
“Siete anche peggio di me.”, fece poi, “Salire sul primo treno in partenza per sfuggire a tre o quattro ragazzine che vi chiedevano un autografo!”
“Erano in cinquanta!”, ripetè Dougie.
“E se il treno fosse stato un diretto per Roma?”, azzardò a dire Joanna, “O per un’altra città?”
“Beh… tornavamo indietro come abbiamo fatto oggi!”, disse con semplicità Tom, “Ne abbiamo combinate di peggiori, Jo, credimi, questa avventura di oggi non ci ha spaventato affatto.”
“Non è vero.”, lo corresse Dougie, “Quello che se la faceva sotto era Danny, pensava che lo avresti gettato sotto il primo treno di passaggio!”
“Addirittura!”, esclamò Joanna.
Si sentiva già molto più a suo agio e rideva di gusto con loro. Le tremavano molto meno anche le mani, segno che era in via di tranquillità.
“E alla fine siamo arrivati quassù.”, disse Tom, che aveva concluso il racconto della loro giornata, “C’è una vista bellissima.”
“Sì, concordo pienamente.”, disse Dougie, avvicinandosi al parapetto, “Quella chiesa là così grande che cos’è?”
“E’ il duomo.”, gli spiegò Joanna, “Tutti gli altri edifici accanto impallidiscono.”
“E’ sproporzionato!”, disse Danny, “Non lo potevano fare più piccolo? Anche quella cosa che ha davanti…”
“Il battistero…”, lo corresse Joanna.
“Sì, quello lì… è troppo grande! Non è armonico!”, proseguì nella sua critica.
“Jones, ti intendi solo di armonie musicali.”, lo zittì Tom, “Lascia fare quelle architettoniche a chi di competenza.”
“Sarà… ma a me non piace.”, disse Danny.
“Ok, lo abbiamo capito.”, fece Joanna, ridendo.
La musica intorno a loro si alzò di volume e un coro di grida festose accompagnò il cambio del ritmo, che dal pop radiofonico si trasformò in pezzi di punk rock che esaltarono le orecchie di Dougie, grande patito del genere. Gli altri partecipanti alla festa all’aperto si radunarono sotto al piccolo palco del dj, che metteva su un disco dopo l’altro.
“Andiamo anche noi!”, li esortò Dougie, “Andiamo nel mezzo!”
Tom lasciò il parapetto guardando i due seduti.
“Avanti!”, fece loro.
“Beh…”, disse Joanna, “Andate pure, io rimango qua.”
“Anche io.”, disse automaticamente Danny.
“E dai Joanna!”, li esortò Dougie.
“Puoi andare se vuoi, Danny.”, fece Joanna, già allarmata dalla imminente possibilità di rimanere lì sola con lui, “Sai quanto sia in perenne bilico.”
“Divertitevi ragazzi!”, esclamò Danny, salutando i due con la mano.
Al che, mani in tasca, Tom e Dougie si intromisero nella folla saltellante e mezza intontita dall’alcol e dalla musica.
“Allora, Little Joanna…”, disse Danny, non appena i due scomparvero dalla sua visuale.
“Ti stancherai mai di chiamarmi in quel modo?”, fece la ragazza, sorridendogli.
“Beh… credo proprio di no.”, rispose lui, incrociando le braccia con fare pensieroso, “Ti stai divertendo?”
“Sì… abbastanza.”, fece lei, bevendo l’ultimo sorso del suo succo ed appoggiando il bicchiere di plastica sulla balaustra.
“Abbastanza vuol dire che potresti divertirti di più?”, fece Danny.
“Mi correggo: sì, mi sto divertendo!”, disse Joanna, dopo qualche attimo di riflessione, spiazzata dalla strana domanda di Danny.
“Perché altrimenti potremmo anche andare da un’altra parte… se preferisci.”, disse lui, approfittando dei propri occhi blu per cercare di convincerla. Ma lei abbassò la testa imbarazzata e guardò altrove.

 

Difficile, pensava Danny, molto difficile entrare in contatto con lei. Non appena si liberava per qualche secondo della sua timidezza e lui approfittava per avvicinarsi a lei, Joanna prontamente si richiudeva. Quel gioco era molto stimolante...
Ma non era nemmeno sicuro di piacerle. Joanna non aveva mai dato l’impressione di preferire di più la sua compagnia piuttosto che quella di Dougie o di Harry. Aveva escluso automaticamente Tom per il suo stato di eternamente fidanzato ed innamorato. Però poteva addirittura eliminare con sicurezza Harry: Joanna non era una stupida, aveva sicuramente capito che non andava molto a genio al suo batterista. Non tanto per mancata affinità in amicizia, più che altro per i motivi che aveva ampiamente spiegato la domenica appena passata, e che aveva ribadito ovviamente prima che la incontrassero di nuovo lassù.
Rimaneva Dougie.
No, pensò Danny, Joanna non era un tipo da Dougie. Troppo timida per l’uragano Poynter, anche se sapeva che quella caratteristica era comune ad entrambi. Dougie aveva imparato col tempo ad essere più spigliato,  ma si ricordava ancora di quando, ai tempi del loro primo singolo ‘Five Colours in Her Hair’, al pubblico la sua voce era la più sconosciuta dei quattro.
“Ti piace questa musica, Joanna?”, le domandò, cercando di recuperare la conversazione.
“Beh… sì, mi piace molto.”, rispose lei, mantenendo lo sguardo lontano dal suo viso, benché si spostasse velocemente nelle sue vicinanze.
“E allora perché non sei voluta andare con Dougie?”, le chiese.
“Perché… sono molto più sicura qui, su questa balaustra, piuttosto che in piedi, muovendomi.”, disse lei, “Così non rischio di finire per terra!”
“Già! Saggia decisione!”, fece l’altro, ridendo, “Quale altra musica ascolti, oltre a noi?”
Joanna riflettè qualche secondo, prima di rispondere.
“Mi piace molto Avril Lavigne…”, fece poi.
“Ah sì?”, esclamò l’altro, “Se lo dici a Dougie ti salterà addosso!”
La battuta, che per lui poteva sembrare accettabile da essere ricambiata con una risata, non ne ricevette alcuna, tranne che uno sguardo imbarazzato.
“Ma se mi dici che ascolti anche Bruce Springsteen, allora sarò io quello pronto a saltarti addosso.”, aggiunse, sperando di farla ridere.
Lei lo guardò stranita.
“Non mi piace molto Bruce Spingsteen.”, disse Joanna.
“Ah…”, disse il ragazzo, incrociando le braccia, “Lasciando perdere la musica, cosa mi racconti di te?”
Da normalmente seduto , si accavallò sulla balaustra, facendo penzolare le sue lunghe gambe.

 

Calma, respirare: inspirare, espirare, inspirare espirare.
Danny era sempre più vicino: seduto a cavalcioni sulla balaustra, con le mani appoggiati su di essa, si sporgeva verso di lei in attesa di una risposta.
Si sentiva come una liceale... e si odiava a morte. Voleva mangiarsi la lingua, ma questo avrebbe comportato il mutismo totale, che già stava avvenendo a lingua presente e virtualmente efficiente.

E se mi dici che ascolti anche Bruce Springsteen sono pronto a saltarti io addosso...
Annullò l’immagine del suo sorriso sornione a trentadue denti e gli occhi accesi e scintillanti.
“Beh...”, riuscì a dire. Cosa poteva raccontargli di sè... Mannaggia, le si era seccata la gola ed aveva finito il succo.
“Che c’è che non va, Little Joanna?”, le fece Danny, sporgendosi per attirare il suo sguardo basso.
“Niente, è che...”, e si fermava. Diceva tre parole, poi si fermava!
“Ti sto dando fastidio?”, le chiese.
Lui le prese la ciocca di capelli che cadeva sulla sua spalla e gliela spostò indietro. Joanna incrociò il suo sguardo lievemente preoccupato.
“Se non gradisci la mia compagnia, puoi dirmelo schiettamente.”, le disse, ritraendosi, “Ti capisco perfettamente.”
Le serviva una padella.
Una grande padella.
Una enorme e gigantesca padella, come una di quelle che usava Miki quando il locale era pieno di clienti. Una bella e solida padella di acciaio, con il manico lungo. Da prendere e da fracassarla contro la testa finchè fosse rimasta in vita.
Ma non avrebbe potuto farlo perchè era troppo incollata ai suoi occhi per essere in grado di muovere qualsiasi muscolo.
“My Little Joanna’s got big green eyes...”, cantò a bassa voce Danny la primissima strofa della canzone che portava il suo nome, cambiandone il colore degli occhi da blue a green.
Lei sorrise, toccandosi il naso per scacciare un piccolo prurito che sentiva.
“Chissà perchè sei sempre così timida...”, disse Danny, “Ormai non credo più che siamo noi a metterti in soggezione.”
Joanna si strinse nelle spalle.
“Basta pochissimo per farti arrossire.”, continuò lui, “E’ una cosa veramente piacevole e deliziosa.”
Ovviamente Joanna avvampò.
“Mi sembra di giocare sempre a nascondino quando sono con te.”, disse Danny, “Ogni volta che mi avvicino o ti dico qualcosa ti nascondi... e mi tocca cercarti.”
“Beh... prometto che cercherò di non nascondermi più.”, disse Joanna, ridendo.
“Oh no, nasconditi pure, io gioco molto volentieri!”, esclamò Danny, avvicinandosi ulteriormente a lei.
Era così vicino...
Cercò con gli occhi un appiglio, una persona, un conoscente, un cristiano o un musulmano qualunque da salutare, con cui parlare... E le venne un’altra volta la voglia di prendersi a padellate in testa.
Danny Jones era lì, a pochi centimetri da lei che invece voleva fuggire.
Guardò verso il gruppo di persone sotto il palco e trovò, tra le tante, la testa ossigenata di Tom, che veniva shackerata dal suo proprietario a tempo di musica. Certamente lui si stava divertendo... Anche lei stava passando una piacevole serata, anche se per il momento la maggior parte delle sue energie stavano andando sprecate nel cercare di calmarsi e di non scomporsi troppo.
Cercò con gli occhi anche Dougie, doveva essere nei pressi di lui ma non vide nessuna testolina spettinata. Chissà dove se n’era andato... Poi lo vide, vicino ad un gruppetto di ragazzi, appoggiato ad una colonnina di ferro, con la sua birra in mano e le gambe incrociate. Aveva il naso per aria, sembrava stesse guardando il cielo. Poi la sua visuale scese, verso la sua direzione.
Era lontano, ma vide benissimo che le sorrise, accennando ad un gesto di saluto con il collo della bottiglia. Fece anche lei per salutarlo con un cenno, ma la mano di Danny le si posò sulla guancia e le fece voltare il viso.
La vicinanza tra le loro labbra si annullò.

...
Stai baciando Danny Jones...
...
Stai baciando Danny Jones?
...
Sto baciando Danny Jones!
Anzi, lui sta baciando me, perchè praticamente ho ancora le labbra appiccicate!!!

Cercò di dischiuderle, di coordinarsi, di fare una qualsiasi attività che potesse non far pensare a Danny che non sapesse baciare...
Voleva sprofondare.
Non che fosse proprio totalmente inesperta...

Cazzo cazzo cazzo!
In petto non aveva un cuore, c’era un’intera autostrada di men at work che stavano lavorando con i loro martelli pneumatici. Lui le accarezzò la guancia, prima che le sue dita scivolassero sul collo, tenendolo con delicatezza. Approfondendo quel bacio, Danny le si avvicinò ancora di più, eliminando anche quella poca differenza che stava tra i loro corpi.
Dei pochi ma fondamentali baci che aveva dato, quello non era sicuramente il più voluto e il più sentimentalmente impegnativo... ma poteva elevare Danny quasi al secondo posto nella sua personale classifica, che contava rari contendenti. La prima posizione spettava ancora di pieno diritto ad un bacio sulla guancia ricevuto insieme ad un autografo da Elio Germano, uno dei suoi attori italiani preferiti, incontrato per caso a Roma durante una domenica passata a zonzo mentre il fratello giocava la sua partita.
E intanto continuavano a baciarsi.



TITOLO: E' ripreso da Crazy Little Thing Called Love dei The Queen... ovviamente perchè è rifatta dai McFly! XD ormai sono irrecuperabile!
Per quanto riguarda la locheschion, metto un po' di fotografie che scattai qualche tempo fa da lassù, appunto. Non sono di ottima qualità ma, soprattutto, non sono state scattate di notte -.- sono abbastanza bruttine... Ne so fare decisamente di migliori ;) Cliccate sul nome e ci sarà la foto!

Il Duomo
Il David di Michelangelo
(Per me è l'uomo più bello del mondo... Datemi della scema, ma quella statua è perfetta. Anche se qua fa schifo... La foto è pure storta XD)
Vista panoramica
Ponte Vecio (Vecchio)


Scusate se per questa volta i rigraziamenti saranno molto esigui e stupidi ma, come molte di voi sanno già, oggi ho dato il mio ultimo e finale esame, dopo una passione fisica e mentale che se mi avesse conosciuto Mel Gibson c'avrebbe fatto un filmino sopra e avrebbe vinto l'Oscar come miglior stronzata del secolo.
_Princess_ Jaja, Danny ist mit mir und Harry mit dir, genau? Jawohl!... si scrive così? Sai che non mi ricordo! Mazza che bella fine, cinque anni di tedesco nel cesso.
Picchia: Baciamo le mani aahhh...
Giuly Weasley: tra gli odiatori delle ferrovie dello stato ci sono pure io -.- maledetti treni...
K94: sempre contenta di ricevere recensioni da qualche altro fan dei McFly! Siamo sperduti in tutta Italia... ma un giorno anche loro saranno famosi qua e noi potremmo vantarci di essere stati tra i primi a conoscerli!
CowgirlSara: a te i mascelloni, i dentoni e i nasoni non ti piacciono... ma quello che avevi in avatar ieri c'ha una mascella che pare Ridge! ahahah
Ciribiricoccola: la zingarata la faremo molto presto! Contaci, ci filmeremo e poi divulgheremo al prossimo il vangelo!
x_blossom_X: la bella Cenerentolina, che aspetta il suoDannino... XD
Lady Vibeke: Io sono come l'ocio di bue che illumina la fan angelica in prima fila e fa perdere la testa ai pezzi sul palco. E io sto facendo perdere la testa a voi, mie care lettrici.... Viva la modestia, ma soprattutto, viva le MS!!!!!

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Capitolo 10
*** Too Close to Comfort ***



10. Too Close to Comfort

 

 

“Sei un deficiente, Poynter!”, gli fece Tom, una volta che si furono scaldati nei salti tra la folla a tempo di musica.
“Cos’è questa violenza gratuita, Fletcher?”, chiese il bassista.
“Idiota di un Poynter che non sei altro.”, ripetè Tom, dandogli una pacca sulla testa.
“Hey!”, protestò l’altro.
“Se ti piace Jo, perché non dici semplicemente a Danny di levarsi dalle palle?”

E quella uscita?, penso Dougie, totalmente preso dalla musica ma straniato dall’amico.
“Ma sei scemo per caso?”, sbottò poi.
“Hai servito a Jones una possibilità su un piatto d’argento!”, rincarò la dose Tom,
“Di che cazzo parli, Fletcher?”
“Sì... valla a raccontare a quel tipo verde lassù.”, rispose l’altro, indicando la statua in mezzo alla piazza, fiera sul suo piedistallo marmoreo.
“Ma vaffanculo.”, sentenziò Dougie.
In compagnia della birra che si era comprato qualche minuto prima, si allontanò velocemente da lui e da tutta la gente.

Dio che palle!
....
Ok, giustificava l’aver tentato di nascondere il suo messaggio con il semplice fatto che... L’avrebbero chiamata più tardi
con più calma, o magari anche il giorno dopo perchè erano tutti stanchi per quella giornata fuori dal normale... 
Va bene, non c’era giustificazione valida, l’aveva nascosto e basta. Stop.
Lo ammetteva, era interessato a quella ragazza così particolare, ma di certo non così tanto come pensava Fletcher! Era una loro fan, anche se fino a quel momento ne aveva dato tutt’altra dimostrazione. Non era saltata al collo di nessuno dei quattro, non aveva chiesto autografi, nè fotografie o ciocche di capelli da rivendere su E-Bay. Niente di tutto questo... a parte rovinare per terra quando li aveva visti comparire al di là del menù, nel locale dove lavorava.

La cosa che più lo affascinava di lei, oltre a questo, era la sua riservatezza. Come se fosse stata gelosa di se stessa e della sua vita. Che cosa sapevano di lei? Età, nome, fratello geloso con cui viveva. Fine. Lei non andava oltre, non si spiegava.
Perchè Joanna si ritraeva ogni volta che qualcuno le si avvicinava? Perchè sembrava essere sempre intimidita dalla loro presenza? Ormai non pensava che fosse più per il fatto che loro fossero i McFly. Era una spiegazione troppo semplice e superficiale. Ci doveva essere qualcosa di più.

Fragile Joanna...
Con le braccia incrociate e appoggiate sulla balaustra che contornava il piazzale, prese l’ultimo sorso della sua birra. Lanciò di nuovo un’occhiata verso i due... Era contento per lei, sicuramente si stava sciogliendo per quel bacio. Chissà quante volte aveva sognato una cosa del genere.
Ma quando lasciò divagare lo sguardo nelle loro vicinanze, quello che vide lo fece pietrificare. Se l’era stampata bene in mente quella faccia, di solito non accadeva che si ricordasse così bene di un viso visto per una sola volta. Suo fratello, di cui non ricordava il nome, li stava osservando a debita distanza, così come stava facendo lui. Dalle sue espressioni pareva abbastanza sorpreso nel vedere sua sorella... ed altrettanto lo sarebbe stata Joanna, ne era certo.
Stava accadendo esattamente come nella domenica passata e se quel bestione si era incazzato semplicemente per averli trovati in casa, chissà cosa sarebbe successo adesso che Danny la stava baciando.
Gli venne da avvicinarsi a Danny ed a Joanna ma non sapeva che cosa stava per succedere. Non sapeva cosa fare. E lui, in ogni caso, non si sentiva mica tanto sicuro che sarebbe riuscito a combinare qualcosa contro quell’armadio. Ma cos’era? Un pugile? Un semplice culturista? Football americano?
E lui era solo un bassista! Magari avrebbe potuto minacciarlo con il basso... ma non aveva niente con sè che avesse avuto quella forma.
Lo vide avvicinarsi ai due e scattò sull’attenti.

 

Stava continuando a baciarla con gusto. Gli stava piacendo proprio quel bacio, si stava appassionando ed aveva notato perfettamente l’impaccio di lei, per quello aveva cercato di essere il più delicato possibile. Il profumo di Joanna era veramente piacevole, una dolce vaniglia che lo aveva stuzzicato già dal primo momento in cui lo aveva sentito. Era molto carina quella sera, anche se il nero la spegneva un po’.
Forse era affascinato dalla sua aura di ingenuità e di semplicità. Non si metteva in mostra, non si adoperava mai per attirare l’attenzione. Se ne stava semplicemente in disparte, come per lasciare agli altri la scena.

Dolce Joanna...
Se avesse avuto il tempo di conoscerla meglio, lei sicuramente si sarebbe aperta e si sarebbe rivelata. Ma tra pochi giorni sarebbero ripartiti e tutto questo non sarebbe stato ovviamente possibile. Sperò che lei non contasse troppo su quel bacio, che non la prendesse come una dichiarazione di amore incontrastato e infinito. Anche se Joanna poteva sembrare ingenua, non dava l’impressione di essere una stupida. Lo avrebbe capito.
Sentì lei muoversi ed interruppe il bacio. Si guardarono per qualche attimo: lei pareva stupita, come se non stesse credendo a cosa le stava succedendo. Le sorrise, chiedendosi come potesse il suo viso riuscire a trasmettere con naturalezza e chiarezza tutti i pensieri che le passavano per la testa.
Lei rispose al suo sorriso, abbassando gli occhi. Le posò un dito sotto al mento e le fece alzare di nuovo li viso.
“Ti stai nascondendo ancora...”, le disse.
Lei alzò le spalle.
Prima di poterla baciare di nuovo, stette qualche secondo a sorriderle. Le sue guance arrossirono, gli occhi volarono altrove... e si bloccarono in un punto alle sue spalle.
“Che c’è?”, le venne da chiederle.
Le lasciò il viso e si voltò.
Non era possibile... Di nuovo lui.
Si lasciò innervosire dallo sguardo arrabbiato di suo fratello, che se ne stava nelle loro vicinanze a braccia incrociate, come un genitore di vecchio stampo.
Ma qual era il suo problema?
“Ehm.... ciao.”, riuscì a dirgli, dopo la decisa stretta di mano di Joanna, cercando di non dare troppo a vedere la sua scocciatura.
Lui non gli rispose, si avvicinò e prese prepotentemente Joanna per una mano.

 

Appena lo vide sentì sgretolarsi tutto sotto i suoi piedi.
Non sapeva che anche lui si trovasse lì in quel momento... anzi addirittura si chiese che cosa ci faceva! Sentì una rabbia impossibile da gestire, non poteva esplodere. Non davanti a Danny, non in mezzo a tutta quella gente.
Non l’aveva seguita, ne era certa, si erano semplicemente trovati insieme nel solito posto, entrambi per i fatti propri e con i propri amici. E lui si era sentito ovviamente in obbligo di distruggerle la serata.
Strinse la mano di Danny, provando a fargli capire di non fare niente di avventato. Lui sembrò capire e si limitò ad un asettico ciao. Miki non disse niente, si avvicinò a lei e le prese la mano.
“Andiamo.”, le disse.
Si impose di stare calma.
“No. Lasciami andare.”, gli rispose.
Guardò Danny: non avrebbe compreso una sola parola di quello che si sarebbero detti. Meglio così.
“Non mi sembra il caso di continuare.”, riprese Miki, “Forza.”
“Lasciami andare.”, ripetè Joanna, liberandosi della sua mano, che però la  riagguantò ancora più decisa di prima, “Lasciami stare.”
“Lo sapevo che sarebbe successo questo, Jo.”, fece Miki, “Lo sapevo ma speravo di contare sul tuo buon senso!”
“Ti ho detto... di lasciarmi stare!”, esclamò con forza la ragazza, attirando alcuni sguardi degli sconosciuti intorno a loro che, prevedendo un peggioramento della situazione, si allontanarono con indifferenza.
“C’è qualche problema?”, spunto Dougie, con le sue solite mani nelle tasche dei pantaloni. Nemmeno Danny l’aveva visto avvicinarsi, tutti erano rimasti abbastanza stupiti nel vederlo intromettersi.
“E questo chi è?”, chiese Miki alla sorella che, invece di rispondergli, scese dalla balaustra con l’intenzione di allontanarsi da tutti loro, ma fu prontamente bloccata.
“Dove pensi di andare, Jo!”, le fece Miki.
“Dove mi pare!”, rispose lei con rabbia, “Lasciami passare!”
“Non gridare...”, le disse Miki, “Non è il caso di dare spettacolo.”
Scansò suo fratello ed aumentò la velocità del passo, non voleva litigare ancora con lui di fronte a loro. Miki la seguì e dopo solo un paio di metri la afferrò per entrambe le braccia, bloccandola di nuovo.
“Ne avevamo già parlato, Jo, che cosa credi di fare?”, le domandò, guardandola dritta negli occhi.
“Tu! Cosa vuoi da me?”, esclamò lei, cercando di divincolarsi, “Lasciami!”
“Andiamo a casa!”, le disse di nuovo.
“No!”, gridò lei, dandogli uno schiaffo in pieno viso per farsi lasciare.
Vide i due ragazzi avvicinarsi a loro, per soccorrerla.
“Jonny!”, la chiamò Dougie.
“Per favore, andate…”, disse loro, ma i due esitarono, “Per favore…”, ripetè.
“Ma non possiamo lasciarti stare!”, protestò Danny.
“Mandali via, Jo.”, disse Miki.
“Che cosa ha detto?”, le fece Danny.
“Per favore Danny, andatevene, per favore.”, li supplicò Joanna, che non sapeva più come fare per riuscire a ristabilire la situazione, completamente sfuggita dalle sue mani.
“No!”, si impuntò Danny, “Voglio sapere che cosa ha detto!”
“Jones, per cortesia…”, lo richiamò Dougie, “Facciamo come vuole Jonny.”
La ragazza lo ringraziò con gli occhi, vista l’ostinazione del tutto inutile di Danny. Non sarebbe servito a niente.
“Eh no!”, perseverò Danny, che poi si rivolse al fratello, “Adesso amico, spiegami qual è il tuo problema con Joanna!”
Si parò davanti all’uomo, braccia incrociate.
“Cosa vuole il tuo amico…”, fece Miki, spazientendosi.
Prima che potesse succedere qualsiasi cosa, che una qualunque altra parola volasse e la situazione precipitasse rapidamente, Joanna si interpose tra i due, cercando di allontanarli l’uno da l’altro premendo contro i loro petti.
“Danny, te l’ho già chiesto.”, gli fece, “Lascia stare.”
“Non posso sapere perché ti tratta come se fossi un oggetto di sua proprietà?”, le chiese il ragazzo.
“Jones, calmati.”, disse Dougie, prendendolo per un braccio, “Lo sai che non puoi permetterti di fare cazzate. Sarai anche alto quanto lui, ma quello ti ammazza se ti da un pugno in faccia.”
“Io non voglio fare a botte!”, protestò Danny, “Voglio solo parlare civilmente.”
“Non è il caso!”, esclamò Joanna.
“Andiamo…”, lo esortò di nuovo Dougie.
“Non insistere!”, sbottò Danny, incaponendosi, “Joanna, non possiamo lasciarti così!”
“E chi sei tu per poterti permettere di fare una cosa del genere! ”, gli gridò contro Joanna, “Chi ti credi di essere? Solo perché mi hai dato un bacio pensi che io debba stare alle tue regole?”
La risolutezza che vide negli occhi di Joanna lo lasciarono del tutto sbigottito, senza parole. Forse la pensava troppo piccola e indifesa e subito si ricordò del suo tono di voce sentito domenica… Era lo stesso che aveva usato contro di lui in quel momento.
Totalmente spiazzato dalla rabbia della ragazza, riversatasi su di lui che la voleva solo difendere, desistette. Incassò il colpo e si allontanò.
Rimase solo Dougie. Sembrava voler fare o dire qualcosa, guardava Joanna in cerca di un buon motivo per restare ad aiutarla. Ma lei lo implorò di andare, con lo sguardo… E la accontentò.
“Andiamo.”, disse Miki, aspettando che la sorella si mettesse in cammino per seguirla.

 

Dougie raggiunse l’amico Jones nella speranza di poterlo far ragionare, ma sapeva che non ci sarebbero state parole adatte a quello scopo.
“Io non capisco che cos’abbia quella bestia!”, disse Danny.
“Dan, avrà i suoi buoni motivi per comportarsi in questo modo.”, gli rispose Dougie.
“Buoni motivi un cazzo!”, sbottò Danny, “Non ha il diritto di trattarla così, non stavamo facendo niente di male.”
“Lo so ma…”
“Io cercavo di proteggerla, Poynter!”, si difese Danny.
“Lei non ti ha mai chiesto di farlo.”, rispose con naturalezza Dougie, “E’ stata chiara fin dal principio, voleva che ce ne andassimo.”
“Oh sì, certo! Perché non voleva che suo fratello mi pestasse!”
“Non credo che…”, gli fece Dougie.
“Quell’armadio era pronto a picchiarmi!”, protestò Danny, “E forse a picchiare anche te... e lei!”
Il bassista sbuffò, cercando di capire come mai Danny si fosse completamente fissato in quella situazione.
“Te lo ha detto Joanna stessa.”, disse Dougie, “Solo perché l’hai baciata non puoi permetterti di imporre le tue decisioni su di lei.”
“Cosa?!”, esclamò Danny, “Guarda che io volevo solo darle una mano come avrei dato a qualsiasi altro mio amico!”
Dougie lo guardò perplesso.
“Amico?”, gli fece, “E tu baci gli amici sulla bocca?!”
Danny lo guardò scuotendo la testa.
“Ascoltami, Poynter.”, gli disse, “Ho capito che Joanna ti piace.”
“Danny, non sparare cazzate...”, si animò Dougie, che con una semplice frase aveva perso completamente la pazienza.
“Te la lascio, ok?”, disse poi Danny, “Visto che ti ritieni in grado di capire ogni suo problema e di avere tutte le risposte alle sue difficoltà, te la lascio.”
“Jones, non essere così stronzo!”
Danny alzò le mani e si allontanò.
“E’ tutta tua, Doug. Tutta tua.”, fece, scomparendo tra la folla.

 

Salirono nell’auto in silenzio, senza dire una sola parola. Fu Joanna a rompere il ghiaccio formatosi tra i due.
“Perché ti sei sentito in dovere di farmi questo?”, gli chiese. Non c’era ombra di un tremore nella sua voce, né di lacrime nei suoi occhi. Era troppo arrabbiata.
“E tu? Cosa pensavi di trarne di buono?”, gli chiese Miki, con tono calmo ma velato di impazienza.
“Niente. Era solo un bacio!”, protestò Joanna, “Non era nient’altro.”
“Certamente.”, disse Miki, scuotendo la testa.
“Ti fidi o non ti fidi di me?”, gli chiese retoricamente Joanna, “Pensavi che fossi così stupida da pensare che questo fottuto bacio fosse una proposta di matrimonio?”
Miki non rispose.
“Mi fa piacere sapere che mio fratello pensi che sia un’imbecille!”, esclamò Joanna, ridendo acidamente, “Conforta la mia autostima!”
“Jo, per favore, piantala con questi toni.”, sentenziò Miki, “Lo so che non sei un imbecille!”
“Ma mi tratti come se lo fossi!”
“Non voglio vederti perdere dietro a queste persone.”
“Ed infatti io non mi sto perdendo dietro a nessuno!”, gli urlò lei, piena di rancore.
“Perdonami se cerco di proteggerti!”, gli rispose Miki, provando a sovrastarla.
“Tu non mi stai proteggendo, Miki. Mi stai torturando!”

 

 

“Poynter! Poynter!”, lo chiamò Tom, “Finalmente, pensavo ti fossi volatilizzato!”
“Uhm…”, fece lui, scendendo dall’angolo della balaustra su cui stava seduto, insieme alla sua seconda birra.
“Che serata magnifica!”, esclamò, “Quelli sul palco sono stati fantastici e poi c’erano un sacco di pazzi in mezzo alla gente! Non capivo un cazzo di quello che mi dicevano, ma dovevano essere molto simpatici!”
Dougie gli abbozzò un sorriso.
“Ho visto anche Harry, stava flirtando come suo solito con una ragazza.”, disse Tom. Poi gli venne da mordersi la lingua per aver parlato troppo.
“Che… che ci fai qua da solo?”, domandò al suo amico bassista, cercando di sviare. Ma si rese conto che anche quella domanda non era molto consona alla situazione. Infatti, Dougie non fu molto gentile nel rispondergli.
“I cazzi miei.”, tagliò corto.
“Ah…”, fece Tom, accettando la garbata risposta.
Si guardò intorno, in cerca di Danny o di Joanna. Nessuno dei due in vista, forse si erano… appartati? Rimase scettico di fronte al suo stesso pensiero.
“Non chiedermi dov’è Jones.”, disse Dougie, risoluto, “Non ne ho idea.”
“Ok.”, fece Tom, risoluto, “Ora mi spieghi cosa è successo.”
Dougie scosse la testa.
“Niente.”, disse poi, scendendo dalla balaustra ed allontanandosi.
Qualcosa di grave tra lui e Danny. E c’entrava Joanna, che se n’era sicuramente andata per colpa loro. Chiaro, più cristallino di così non poteva essere.
Sbuffò, toccandosi le gambe stanche. Fosse stato per lui, la serata poteva anche concludersi in quello stesso momento ma era rimasto di nuovo solo: Danny e Dougie erano incazzati per i fatti loro. Harry, molto probabilmente, se ne stava con una ragazza.
Anzi, si ricredette. Lo vide avvicinarsi con le mani in tasca, sguardo strano.
“Non dirmi che girano le palle anche a te...”, gli fece quando gli si sedette accanto.
“Oh no... serata magra, ma non sono incazzato...”, disse, alzando le spalle.
“Allora che cos’hai?”, gli chiese Tom, vedendolo comunque scocciato.
“Ho assistito alla patetica scenetta tra Danny e il corpulento fratello di Joanna.”, disse Harry, risvegliando l’interesse di Tom, prima insoddisfatto da Dougie.
Vedendolo bisognoso di parole, Harry lo accontentò, spiegandogli che in lontananza aveva visto il quasi annientamento di Danny, che era sembrato intenzionato a fare a botte col fratello di Joanna, spuntato dal nulla esattamente come la domenica precedente. Poi, non stanco, se l’era rifatta con Dougie che aveva cercato di farlo ragionare.
“Hai visto dov’è andato Danny?”, gli domandò.
“Sì, ha preso un taxi ed è tornato in albergo... credo.”, disse Harry.
“E Dougie?”
“Appollaiato sotto la statua verdastra.”, riferì Harry, indicando la figura del David di Michelangelo, riprodotta in bronzo scolorito, su un alto piedistallo al centro del piazzale.
“Riprendiamolo ed andiamocene.”, disse Tom, scendendo dalla balaustra e trovando il parere favorevole del batterista.

 

Chiusa in camera sua pensava e pensava, sdraiata sotto lo sguardo vigile e, se avessero avuto vita, preoccupato dei suoi poster.
Ho baciato Danny Jones...
Cio... lui ha baciato me, poi ho solo preso il solito treno.

Volle perdersi solo pochi attimi in stupidi pensieri da quindicenne, non era una sognatrice, non lo era mai stata molto. Aveva sempre tenuto i piedi a terra, inchiodati, saldati, con le pietre legate alle caviglie, senza mai accontentarsi della superficie che vedeva davanti a sè. Vissuta nell’apparenza della felicità più totale, sapeva cosa si poteva nascondere dietro ad essa.
Ok, si erano baciati.
Lui le aveva fatto un paio di complimenti, le aveva fatto gli occhioni dolci, i suoi occhioni dolci, e l’aveva baciata. Era innamorata di lui... Cosa?!? Stava scherzando.
Ovvio che non lo era, non si poteva amare uno come lui, impresso sulla porta di camera sua. Prima di tutto perchè sarebbe stato un errore. E poi perchè non ne era semplicemente innamorata: gli piaceva... Era Danny Jones, cazzo! Un paio di occhi blu che sorridevano ancora prima delle sue belle labbra, le lentiggini e i capelli riccioli simpatici almeno quanto lui! Ma c’era un passo abissale tra il piacere fisico e quello... sentimentale, ecco.
Però quel bacio le era piaciuto tanto. Davvero.
Forse perchè non ne aveva dati molti altri. O forse perchè era lui. Sicuramente.
Ma la disquisizione non era sull’essere innamorata oppure no di Danny... era invece su ciò che era successo dopo quel bacio, era ancora più importante.
Non avrebbe mai voluto trattarlo in quel modo ma non aveva potuto fare altro, lui aveva insistito nel rimanere. Le aveva scaldato il cuore vederlo preoccuparsi per lei, soprattutto perchè non se lo sarebbe mai aspettato. Insomma, cos’erano loro, se non un musicista ed una sua fan?
In quel momento le venne in mente la strofa di una loro canzone, Too close to comfort, che a lei piaceva molto.

 Was I invading in on your secrets
Was I too close for comfort
You're pushing me out
When I'm wanting in

 Non voleva che Danny, compreso anche Dougie che era intervenuto per far cambiare idea all’amico, si ponesse troppe domande su come mai suo fratello fosse così iperpotettivo nei suoi confronti. Anche se sicuramente questo stava già accadendo...
Rabbrividì.



Prima però preciso una cosa: questo capitolo (e forse anche un po' il prossimo) non mi soddisfa molto perchè è solo di transizione verso un nuovo risvolto della storia. So che non succede praticamente niente, che ho dato solamente ampio spazio a riflessioni varie... -.- ma ne avevo bisogno, altrimenti non avrei potuto aprire la fanfiction ad altri fatti successivi.

Ah! I versi in inglese appartengono alla canzone che dà il titolo al capitolo: Too close to comfort, una tra le migliori canzoni dei McFly, una tra le mie preferite... E' un po' tristarella, per me doppiamente autobiografica -.-

XD via, vado dritta dritta ai ringraziamenti, non ho tempo da perdere :p


_Princess_: diciamo che McCute stavolta fa un po' la figura dell'US nella tua storia -.- che dire, hai già sottolineato le parti salienti della storia con i tuoi quotes... cosa mi rimane? Solo il solito grazie, soprattutto per i commenti finali... XD basta basta, sennò mi monto la testa!!!

Picchia: eeeeeeeeeehhhhhhhhhhhhh la mascotte Joannina ha fatto come Mac. Si è trasformata in un personaggio dotato di vita propria e io, nonostante le abbia dato i natali, non so più come gestirla. Già te l'ho detto, fa come je pare, mi risponde male, prende iniziative private.... e non mi riesce tenerle testa... baciamo le mani, alla prossima mazzetta.

Ciribiricoccola: stavolta niente attacchi di ansia, purtroppo... Forse c'è solamente un attacco omicida verso il fratello della cara Joannina XD Ti dispiace per Dougie??? Ma sei sicura??? Non ci credo... Mi sto commuovendo! Crudele, lo so che stai mentendo!

Kit2007: Eheheh, ti ho tratto una bella trappola e tu ci sei cascata in pieno!!! Hai capito a cosa mi riferivo ieri sera? A quali erano gli indizi nascosti??? Eeehhh, sicuramente ci sei arrivata... via, non ti dico altro come sempre! Me muuuta!!

Giuly Weasley: Quello che mi hai scritto sulla passata recensione poteva anche essere solamente una tua opinione... Ma credimi, hai azzeccato le previsioni in ogni singola cosa che hai scritto :P ho già detto troppo, basta, io che non rivelo quasi niente degli avvenimenti futuri! Muuuutaaaa! :P grazie per i complimenti, davvero, mi hanno fatto molto piacere! Ciaooo

CowgirlSara: Allora Sarina, d'ora in avanti in poi (come dice mia mamma) tutte le volte che te metterai Colinpasta Farrello inizierò a prenderlo per il culo, lamentandomi dell'odore delle sue ascelle puzzose. Va bene??? Così la smetti di dare del dentone a Danny!!!!! XDDD Rettificato questo, passiamo ai ringraziamenti.... Embè? Pensi che ti ringrazi? GIAMMAI!!!! :P

 

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Capitolo 11
*** Don't Know Why... ***


11.  Don’t Know Why...

 

 
Arrivò al locale insieme a Miki. Per colpa di un paio di pile scariche la sua fidata sveglia non era suonata e si era trovata a prepararsi in fretta. Lei, che era aveva i suoi tempi per ogni cosa, di solito si alzava con un’ora di anticipo per essere pronta per il lavoro ma, quella mattina, oltre alla stanchezza di una notte insonne c’era stata anche la beffa della sveglia scarica.
Insieme ma senza dire una parola all’altro, i due raggiunsero a piedi il locale. Rimasero stupiti nel trovarlo chiuso. Alle sette, orario in cui i due iniziavano la loro giornata lavorativa, Arianna ci doveva essere già da un pezzo.
Era lei, infatti, che lo apriva.
“Le sarà successo qualcosa?”, si chiese Miki, preoccupandosi.
“Beh, spero che anche per lei sia una sveglia non funzionante.”, disse Joanna.
Attesero il suo arrivo per mezz’ora e, dopo un paio di chiamate andate a vuoto, la videro spuntare dall’angolo della strada, correva trafelata. Già diversi clienti se n’erano andati per via del suo ritardo.
“Dio mio!”, esclamò la donna, fermandosi davanti a loro con il fiatone.
“Arianna! Che ti è successo!”, esclamò prontamente Joanna.
“Mi hanno svaligiato la casa...”, disse lei.
“Come? Cosa?”, fece Miki.
“Ladri.”, spiegò prontamente Arianna.
“E quando sono entrati?”, le chiese Joanna.
“Beh... prima dei pettegolezzi, c’è un locale da aprire!”, protestò Arianna, sottraendosi alle loro domande.
I due fratelli si guardarono stupiti. Nervosamente, Arianna tirò fuori l’enorme mazzo di chiavi, necessario per aprire la grande quantità di lucchetti che serravano a modo le chiusure del suo Strictly English. La seguirono in silenzio e decisero che le avrebbero parlato solo dopo che lei si fosse presa i tre caffè e fumata le due sigarette, necessari per farla svegliare del tutto.
“Ma come hanno fatto ad entrarti in casa?”, le domandò Miki.
“Un momento...”, lo chetò Arianna per l’ennesima volta.
Non appena vide Joanna liberarsi di un tavolo e consegnare l’ordinazione a suo fratello, la donna la prese in disparte.
“Allora, com’è andata ieri!”, le chiese sottovoce, lontano da orecchie indiscrete.
“Dmmi prima come sia stato possibile che i ladri entrassero in casa!”, rispose Joanna.
“Eh no, prima le belle cose!”, disse Arianna, facendole il classico occhiolino complice.
Joanna la guardò stancamente.
“Indovina chi ho incontrato nel piazzale?”, le fece retoricamente.
Arianna la guardò stupita.
“Ma che cazzo!”, esclamò a gran voce, tanto da far voltare i clienti nella loro direzione.
Joanna alzò le spalle.
“E cosa ha rovinato?”, le chiese Arianna.
Sulla bocca di Joanna spuntò un sorrisetto malizioso.
“Danny mi ha baciata...”, le confidò, facendo apparire sul volto del suo capo un’espressione sbalordita e felice allo stesso tempo.
“Wow!”, esclamò Arianna, “E... scommetto cento euro che Miki è arrivato proprio in quel momento.”
“Subito prima che potessimo farlo ancora.”, precisò Joanna, incrociando le braccia.
“Insomma, ho già capito cosa possa essere successo senza che tu dica altro.”, disse la donna, scocciandosi, “Ma dimmi, com’è stato?”
Sembrava un’adolescente tutta eccitata per la sua migliore amica che aveva baciato il bello del gruppo.
“Beh... è stato un bacio...”, disse Joanna, abbassando la testa e giocherellando con la punta del piede contro il pavimento.
“Solo un bacio?”, fece l’altra perplessa.
Joanna le sorrise.
“Ok, ti sto mettendo in imbarazzo.”, disse Arianna, “Non dire altro, lascerò che la mia immaginazione voli felice al posto della tua.”
“Ecco, ci siamo capite!”, le fece Joanna, alla quale non andava molto di condividere l’esperienza, “Piuttosto, mi spieghi dei ladri o devo leggere il referto della polizia scientifica di Miami?”
“Sono entrati mentre eravamo al ristorante.”, disse Arianna, sbuffando.
“E cosa hanno portato via?”, le chiese Joanna.
“Beh, soldi e gioielli.”, le fece Arianna, “Niente di che, le cose più preziose le tenevo in cassaforte ma non sono riusciti ad aprirla. La cosa strana è che sapevano dove cercare. E non hanno forzato nessuna serratura.”
Joanna comprese ciò che voleva dire Arianna. Le passò una mano sulla spalla per confortarla, la vedeva infatti più nervosa del solito.
“Ho già licenziato la domestica.”, disse lei, “E ho detto tutto alla polizia, è per questo che ho fatto tardi, mi hanno trattenuta quasi tutta la notte in centrale per fare le deposizioni.”
“Mi dispiace, Arianna.”, le fece la ragazza.
“Volevo quasi chiederti se potevi venire un paio di giorni da me, tanto per farmi passare la paura.”, disse la donna, “Ma credo che, dopo ieri sera, Miki non acconsentirà di certo. Glielo abbiamo proprio messo in quel posto!”
“Già, e con molta soddisfazione!”, aggiunse Joanna sogghignando.
“Peccato che anche lui si trovasse nel piazzale.”, disse l’altra.
“Non potevamo saperlo.”, la tranquillizzò Joanna, “Comunque vengo volentieri.”
“Dici sul serio?”, le chiese la donna.
“Ultimamente siamo troppo nervosi per abitare tra le solite quattro mura. Piuttosto che scoppiare a gridargli in faccia un’altra volta, vengo da te e ci rimango per sempre!”, disse Joanna, ridendo, “E poi sono grande abbastanza per decidere della mia vita.”
“E Miki?”
“Chi se ne frega.”, fece Joanna, prontamente.
Si avvicinò alla finestrella della cucina.
“Un’altra ordinazione?”, le chiese Miki.
“No, volevo solo dirti che vado a stare un paio di giorni da Arianna.”, disse Joanna, sicura ed inflessibile.
“E perchè?”, domandò subito Miki.
“Perchè ha paura a stare sola.”, aggiunse Joanna, incrociando le braccia, segno della sua irremovibilità.
“No, non mi fido.”, disse suo fratello, tornando al suo bacon.
“Non me ne importa niente.”, gli rispose Joanna.
“Mi hai trattato come un imbecille ieri.”, si giustificò Miki, “Non mi faccio prendere per il culo due volte. Se vuoi trovare una scusa per rivedere quell’idiota...”
“Miki, non ci sarà nessun idiota in giro. Vado solo da Arianna a farle compagnia.”, disse Joanna, “E che ti piaccia o no ci andrò.”
Miki lasciò perdere il bacon sfrigolante ed andò alla finestrella.
“Ti do l’ultima possibilità.”, le disse.
“Ultima possibilità?!?”, sbottò Joanna, stupita, “Me ne hai mai data una?”
“Hai tradito la mia fiducia ieri.”
“Ho fatto solo quello che qualsiasi ragazza di venti anni farebbe.”, sibilò Joanna.
 

 
Si trovarono quasi contemporaneamente nella sala colazione, intorno alle undici della mattina, agli sgoccioli dell’orario apposito per il pranzo mattiniero. C’era rimasto poco per loro ma si accontentarono volentieri dei cornetti, delle marmellate e dei succhi rimasti. L’ultimo ad unirsi fu Danny.
“Giorno.”, gli dissero i tre, che già addentavano con gusto le loro colazioni.
C’era una sorta di imbarazzo, come se aspettassero che fosse qualcun altro ad iniziare a parlare e l’attesa si stava protraendo ad oltranza. Danny, seduto accanto a Tom e nascosto dietro ad un paio di occhiali da sole, si mise in silenzio a mangiarsi un cornetto vuoto.
Harry lanciò un’occhiata a Tom, che rispose con una lievissima alzata di spalle.
Digli qualcosa!’, gli aveva voluto dare ad intendere il batterista.
E cosa?’, sembrava avergli risposto Tom.
Quello che ti pare! Sblocchiamo questa situazione!
Tom posò il suo cornetto, inghiottì il boccone e si schiarì la voce.
“Ehm... vuoi un po’... di succo d’arancia?”, chiese a Danny.
“No, grazie.”, rispose lui.
“Caffè?”, ritentò Tom.
“No.”, gli venne detto.
“Tiri su il muro a secco?”, ironizzò Harry.
Nessuna risposta.
Di nuovo Harry esortò con lo sguardo Tom, che spostò gli occhi su Dougie. Sembrava fosse tranquillo, come se non fosse successo niente.
“Ehm... Danny, sai quando arrivano i ragazzi della troupe?”, gli chiese Tom.
“Domani mattina.”, rispose lui, senza scomporsi di una virgola.
Se ne stava seduto con comodità, con la sedia lontana dal tavolo e le gambe malamente accavallate. Tentennava il piede sospeso, tamburellava sulla gamba con la mano destra, era nervoso.
“E... quando facciamo le prove?”
“Nel pomeriggio.”
Harry intensificò il suo sguardo, ma Tom non sapeva come entrare nel discorso senza far irritare Danny.
“Mi dispiace, Jones.”, esordì Dougie, cogliendoli di sorpresa, “Non volevo farti arrabbiare.”
Gli occhi presero a rimbalzare tra i due contendenti.
“Lascia stare, Dougie.”, disse Danny,  “Facciamo conto che non sia successo niente.”
Dougie accettò con un cenno di testa.
“E’ stata una cazzata.”, si riprese Danny, “Una stupida cazzata.”
“Concordo.”, disse Harry, beccandosi l’occhiataccia di Tom.
Ho fatto qualcosa di male?’, gli domandò il batterista col pensiero.
Sì, i cazzi loro.’, rispose Tom.
Danny sospirò, gettando il cornetto mangiucchiato sul tavolo. Era intenzionato a dire qualcosa, ma parve desistere.
“Ehm...”, fece comunque.
“Si?”, gli fece Tom, speranzoso di sentire qualcosa di più.
“Non importa.”, disse Danny, alzandosi, “Ho un mal di testa atroce, torno a letto.”
E dette quelle parole si allontanò, lasciandoli a guardarsi e a sospirare sconfitti.
Dougie unì le mani, appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Non starete mica litigando per la stessa ragazza?”, chiese Harry, retoricamente.
“No, certo che no!”, disse Dougie.
“E allora qual è il motivo?”, sbottò Tom, “Ti sembra normale fare cazzate del genere, Doug?”
“Guarda che per me Joanna se la può anche sposare!”, esclamò il ragazzo, infervorandosi, “Può fare quello che gli pare con lei! A me non interessa!”
“E allora qual è il punto, Poynter!”, disse Harry.
“Non lo so!”, sbuffò Dougie, “Chiedeteglielo voi!”
“Che cosa è successo ieri sera, spiegacelo.”, pretese Tom.
Dougie scosse la testa.
“La montagna umana è entrato nel mezzo a lui e a Joanna.”, raccontò, “Danny si è incazzato ed io mi  sono solo intromesso per evitare che facesse idiozie. Joanna gli ha chiesto di andarsene ma lui insisteva... e io ero d’accordo con lei. La questione era che Danny voleva ad ogni costo fare di testa sua, come sempre.”
“Quindi?”, insistette Harry.
“Quindi ha desistito solo quando Joanna lo ha mandato a quel paese. E poi se l’è rifatta con me perchè ero dalla parte di lei. Fine della storia!”, disse Dougie, alzando le spalle.
I due lo guardarono.
“Tutto qui?”, chiese Tom, incredulo.
Dougie annuì.
Harry si grattò la testa.
“Non capisco.”, fece poi Tom, “La sta facendo troppo lunga... ancora gli rode il fatto di essere stato messo da parte.”
“Vado a parlarci a quattr’occhi.”, disse Harry, alzandosi.
“Buona fortuna...”, gli sussurrò Dougie.

 

Si rigirava da diverso tempo sul letto, ma si bloccò in quella posizione: mani incrociate dietro la nuca, gambe distese ed aperte. Faceva un caldo terribile, aveva addirittura spento il riscaldamento. Se ne stava sopra le coperte, con i lenzuoli tutti stropicciati contro la pelle. Non aveva sonno, gli scoppiava la testa, ma era comunque stanco e sentiva il bisogno di dormire.
Sentì bussare alla porta e non rispose, voleva starsene solo. Aveva anche messo il cartello ‘Do not disturb, please’, non era chiaro?
“Andiamo, Jones, lo so che sei sveglio.”, disse Harry, bussando di nuovo.
Sbuffò e si alzò con calma; andò ad aprirgli. Con un cenno lo invitò dentro, prima di ributtarsi sul letto. Harry si sedette sul bordo del materasso ed appoggiò i gomiti su di esso, stendendosi.
“Per quanto pensi di continuarla?”, chiese, subito, direttamente, a modo suo.
Danny non gli rispose.
“Spiegami cos’è che ti ha fatto incazzare.”, ribattè Harry, “Avanti, spiegamelo.”
“Niente.”, sbottò l’altro, contro al suo cuscino.
“Guarda che ieri ho visto tutta la scena. Da lontano, ma l’ho vista.”
“E allora cos’è che non hai capito?”, gli fece Danny retoricamente.
“Perchè la stai tirando avanti come se fossimo una soap opera brasiliana?”, sbottò Harry, “Dico, ti rendi conto di quanto tutto questo sia patetico?”
“Judd, per favore, se sei venuto a fare polemica puoi anche andartene.”
“No, Dan, voglio solo capire.”, controbattè Harry, “Perchè sei incazzato?”
Danny bofonchiò ancora.
“Perchè non pensavo di commettere un sacrilegio cercando di aiutare un’amica!”, disse poi.
“Non sempre le persone vogliono essere aiutate, Jones, sappilo.”, gli fece Harry.
“Ma suo fratello...”
“Suo fratello non c’entra, Danny.”, lo interruppe il batterista, “Devi capire che se Joanna voleva che tu te ne andassi era perchè forse non voleva che ti intromettessi nelle sue questioni personali.”
“Io non volevo fare l’impiccione!”, si difese Danny.
“Sì che lo stavi facendo.”, affermò con sicurezza Harry, “Ricordati che noi non siamo qua per diventare i suoi migliori amici... nè i suoi fidanzati.”
Sottolineò quelle ultime parole guardandolo dritto negli occhi, che invece  divagarono.
“Io l’ho baciata e basta perchè mi piaceva!”, si specificò Danny.
“Ad ogni modo,”, recuperò Harry, “lei è una nostra fan e noi siamo un gruppo che molto probabilmente ha appeso insieme a tanti altri nella sua camera. Tra noi deve esserci un rapporto ben definito. E questa tipologia di relazione non comprende comportarsi come i suoi personali paladini della giustizia.”
Danny non gli rispose.
“Certo, la compagnia di Joanna è stata gradevole, ”, continuò Harry, “ci siamo divertiti, ci ha portato al mare bla bla bla. Ma come ho già detto diverse volte, Joanna è Joanna. E noi siamo noi. Lei ha la sua vita e noi abbiamo la nostra.”
“Non capisco tutto questo odio che hai nei suoi confronti.”, gli fece Danny.
“Io non la odio, Jones, non fraintendere quello che ho cercato di dire in mille modi senza che nessuno mi ascoltasse.”, lo bloccò Harry, “Quello che voglio farti capire è che questa città è uguale a tutte le altre.  Soniamo e ce ne andiamo. Fine.  Non dobbiamo entrare nel mezzo delle questioni private delle persone che nel frattempo conosciamo, perchè non siamo gli psicologi di nessuno.”
Danny scosse la testa.
Quello che aveva avuto intenzione di fare la sera precedente era semplicemente capire perchè il fratello di Joanna si fosse comportato in quel modo. O meglio, perchè quel bestione si fosse così tanto incazzato con lui: poteva capire che magari gli avesse dato fastidio avere degli sconosciuti in casa... ma che sua sorella non potesse nemmeno baciare un ragazzo! Joanna aveva il diritto di vivere la sua vita come voleva!
“E soprattutto, non dobbiamo far fantasticare troppo le ragazze.”, concluse Harry.
“Joanna non è una stupida e sa che...”, provò a dire Danny.
“E’ una nostra fan. E tu l’hai baciata.”, lo interruppe di nuovo il batterista, “Molto probabilmente sta costruendo castelli in aria... Non importa che tu me lo dica, lo so che lei ti piace ma che non provi nient’altro. Sei però sicuro di poter affermare lo stesso al posto suo?”
Danny si bloccò.
“Non ci avevi pensato...”, disse Harry, scuotendo la testa.
“Non ti facevo così riflessivo, Judd.”, disse Danny, quasi con disprezzo, “Di solito tu sei il primo a fare quello che ho fatto io.”
“Però mi accerto sempre di non trattare con qualcuno che si possa fare delle fantasie.”, specificò Harry.
“Mi fido di lei e del suo buon senso.”, disse Danny, dopo qualche attimo di incertezza.
“Ti stai comportando come un emerito pezzo di merda e ti giustifichi chiamando in causa il buon senso di Joanna.”, disse Harry, prima di alzarsi ed andarsene.
Fine della discussione.
Danny si stufò.
Adesso doveva anche sentirsi in colpa per aver dato un semplice bacio ad una ragazza..

 

Tom lo aveva lasciato ad attendere che Harry scendesse per riferire di Danny, incrociando le dita nella speranza che non volassero troppe brutte parole.
“Dove vai?”, gli aveva chiesto Dougie.
“Ehm... vado a farmi una nuotata nella piscina.”, aveva risposto Tom.
“Piscina?! C’è una piscina in questo albergo?”, aveva sbuffato Dougie, stupito.
“Beh... sei sul pianeta Terra e gli alberghi a quattro stelle hanno sempre una piscina!”, aveva detto Tom, ridendo, “Magari a Poynterlandia dove vivi tu accade il contrario!”
Si era alzato e lo aveva lasciato lì nella hall.
Prese a picchiettare nervosamente l’indice della mano, appoggiato sulla guancia.
Non si sentiva più di tanto in colpa con Danny ma sapeva che fare il testone con lui non avrebbe portato a niente. Prima o poi lui avrebbe capito il suo sbaglio ed abbassato la cresta; a quel punto lui non avrebbe avuto problemi a scusarlo per le brutte parole con cui gli si era rivolto.
Quello che lo aveva disgustato abbastanza era stato il modo in cui aveva trattato Joanna. Un oggetto. E’ tutta tua, Doug. Tutta tua. Come se sul retro di Joanna ci fosse stato scritto ‘Proprieta di’, in attesa che lo spazio mancante venisse riempito. Di certo non era il caso di litigare per una ragazza, era ovvio e lampante, così come cristallino era il fatto di ritenere che il vero punto della questione non era il  contendersela. Non c’erano nemmeno i presupposti per arrivare a cotanta stupida controversia: non era da loro, ma soprattutto non era interessato a Joanna in quel modo. Beh, solo un po’, ma non così tanto...
Danny era il primo a porgere le mani per aiutare gli altri, si era spesso fatto in quattro anche per lui. Era questo quello che gli rodeva dentro, essersi offerto per risolvere un problema e venire brutalmente messo da parte. Lo capiva, su questo punto aveva tutta la sua comprensione, ma se Joanna lo aveva allontanato non era stato per cattiveria.  Di nuovo, la sua curiosità pulsava. Perchè?
Harry apparve dalle porte dell’ascensore.
“Com’è andata?”, gli chiese, dopo che si fu seduto davanti a lui.
“Sono sicuro che Danny sappia di aver fatto una cazzata, sia con Joanna che con te.”, riferì il batterista, “Ma non vuole chiedere scusa per aver cercato di aiutarla.”
“Bingo!”, esclamò Dougie, senza troppo entusiasmo.
“Ormai lo conosciamo bene il nostro Jones.”, fece l’altro, passandosi la mano tra i capelli.
“Sì...”, fece Dougie, sospirando, “Ma qualcuno dovrà pure chiederle scusa.”
Harry alzì gli occhi perplessi contro i suoi.
“Poynter, è l’ora di tagliarla questa storia.”, fece.
Dougie si stupì, Harry scosse la testa.
“Poynter, andiamo.”, disse poi il batterista, “Che cos’ha questa ragazza di così tanto speciale da farvi sbavare in questo modo?”
Dougie strinse in denti e scosse la testa.
“Hai ragione tu, Judd.”, disse al batterista, “E’ meglio lasciar perdere tutto.”
Si alzò e lasciò Harry da solo. Se ne andò in camera e si prese il suo basso, almeno lui era sempre volenteroso di fargli compagnia, senza troppe storie.
Lanciò un’occhiata al cellulare.
Alle cinque l’avrebbe comunque chiamata, con o senza il supporto degli altri.
Anzi, era meglio starne senza.

 

Come da ormai tre giorni a quella parte, i due fratelli non si rivolsero parola. Arianna li osservava chiedendosi come mai Miki riversasse tutte quelle preoccupazioni sulla sorella, che dava ormai segno di non poterle più sopportare ancora.
Non era vero che aveva paura a starsene da sola in casa. Non era la prima volta che qualche topastro d’appartamento la derubava, ormai ci aveva fatto il callo. La verità era che voleva che i due si dessero pace, si dicessero scusa. Forse stare qualche giorno lontani poteva essere d’aiuto.
Sapeva poco di loro, solo che vivevano insieme da un anno a quella parte, entrambi non amavano molto parlare di sé. Joanna era facilmente interpretabile, le sue espressioni, i suoi sentimenti affioravano sul suo viso senza sforzo, come se fossero incontrollabili. Miki era invece totalmente indecifrabile. A guardarlo, tutto per lui andava nel modo giusto, sembrava un ragazzo senza problemi. Solo da quando Joanna era stata assunta aveva iniziato a capire un paio di cose su di lui... Innanzitutto, che era una palla al piede per colpa della sua dannata gelosia.
Stavano per chiudere, Miki si occupava ancora delle ultime mansioni in cucina.
“Vai a prendere qualcosa per queste notti, Joanna.”, le disse la donna.
“Ma dobbiamo finire di pulire il locale.”, obiettò la ragazza.
“Fallo, prima che tuo fratello non ti permetta di uscire di casa. So che ne è capace!”, le fece Arianna.
Sì, ne era perfettamente capace. Non era mai arrivato a fare tanto, ma se lo sarebbe aspettato. Joanna prese la sua borsa, il cappotto e lasciò il locale. In questi due giorni avrebbe respirato un po’, si sarebbe presa una vacanza da suo fratello e sperava che tutto il risentimento che aveva accumulato contro di lui fluisse via. Gli voleva bene come non ne aveva mai voluto ad altre persone al mondo, era tutta la sua famiglia... Ma non era quella la vita che voleva fare: segregata in casa, ai suoi ordini.
Se Miki lo avesse capito, sarebbe andato tutto liscio.
Camminava con fretta, voleva arrivare al più presto a casa. Distava solo dieci minuti a piedi dal locale, ma doveva passare attraverso una delle vie più affollate del centro e c’era spesso da fare a gomitate con i turisti.
Sentì vagamente il suo cellulare squillare e lo prese dalla borsa solo perchè voleva avere la soddisfazione di chiudere la chiamata in faccia al fratello. Sicuramente era lui a chiamarla in quel momento.
Vide il numero che compariva sullo schermo e si arrestò come se avesse tirato il freno a mano, tanto che venne investita da un paio di tizi in giacca e cravatta. Non rispose ai loro gentili ‘mi scusi’, rimase attonita a guardare il telefono.
Fino a tre secondi prima, era stata sicura che nessuno di loro si sarebbe più ripresentato da lei. Ne era più certa del fatto stesso che si chiamasse Joanna. Dopo la scenata della sera precedente... chi avrebbe più voluto avere a che fare con lei? Ma soprattutto, con suo fratello?
“Pronto?”, rispose, con voce titubante.
Jonny... sei tu vero?”, le chiese Dougie, dall’altra parte del telefono.
“Sì... sono io. Perchè stai chiamando?”, fece, in automatico.
Beh... spero di non disturbati, davvero.”, rispose lui.
“No no!”, si affrettò Joanna, “Non disturbi affatto!”
Puoi parlare?”, le chiese lui.
“Sicuramente sì, sono in mezzo ad una strada affollata... da sola!”, aggiunse, tappandosi l’altro orecchio per riuscire a sentirlo chiaramente.
Ok, perfetto...”, rispose l’altro, includendo una risata, “Ehm... volevo chiederti una cosa.
“Dimmi pure.”
Joanna sperò che dall’altro capo Dougie non si sentisse il suo cuore fare a ripetizione tuffi da trampolini di trenta metri.
Senti Jonny... Ehm... Posso parlarti davanti ad una birra?
“Mi piacerebbe molto Dougie ma... non credo che sia una buona idea.”, rispose Joanna, “Dopo quello che è successo...”
Oh sì, chiaro, certamente, senza dubbio.”, rispose prontamente il ragazzo, “Allora come non detto...
Merda.
 “Conosco un posto tranquillo, senza occhi superflui.... e con la birra, se c’è.”, propose invece Joanna. Data l’opportunità, doveva scusarsi. In ogni modo.
Dougie rimase qualche attimo in silenzio.
Perchè no?”, esclamò poi,  Mi fido di te, Jonny.”
Se avesse sentito quelle parole uscire dalla bocca di suo fratello, senza che venissero automaticamente accompagnate da ‘ma non mi fido degli altri’, sarebbe stato molto meglio.
Dove allora?
“Ti mando un messaggio con scritto la via.”, gli disse Joanna.
Perfetto, così il tassista mi capirà.”, disse l’altro ridendo.
“Appunto!”, fece Joanna. Aveva pensato proprio a quello.
Quando posso venire?
“Nove e mezza?”
Ci sarò! A dopo!”, disse lui, chiudendo la chiamata.
Corse ancora più in fretta, si doveva sbrigare. Aveva un impulso in più per starsene da Arianna.



Perdonatemi ancora... Per la seconda volta consecutiva, sfrutto la solita scusa del capitolo di transizione >.<
Chiedo venia, non torturatemi...

CowgirlSara: Ecco, hai capito perfettamente i due tipacci. Da una parte Danny, che ha un grosso ascendente su Joanna. E dall'altra Dougie, che la capisce (e c'è un motivo per il quale la capisce, ma si capirà -aridaje con questi capire- nel prossimo capitolo). Chi tifa per Danny è: una sbavatrice di professione come me, oppure lo fa perchè si son baciati... ma Dougino? Ti prometto che si farà amare ma, subito dopo, odiare... *faccina con pugno alzato*

Picchia: rituale del baciamano, ormai diventato istituzione tra me e te. Beh, grazie per i complimenti e ripeto: spero che capirai, soprattutto nei due capitoli successivi a questo, il motivo per il quale Joanna si è incazzatiellata con Dannino il cavaliere XD Ci sentiamoooo

Ciribiricoccola: Eggià, povera questa bestiolina di Dougino di mamma sua... Ma scommetto che, soprattutto con il capiolo successivo al prossimo (cioè tra due capitoli), inizierai a odiarlo... Jaja, ne sono proprio sicura, conoscendoti salirai sulla schiacciasassi e, con occhi spiritati, passerai cento volte sopra il mio bestiolino (ora lo chiamo così, grazie a te!). E povero anche Miki... ora uscirà un po' di scena, ma come ho detto tante altre volte, si redimerà. Ci sentiamo passoide! XD Ps: ho visto la tua nuova storia, prometto che leggerò e commenterò!

Kit2007: Ora che la situazione si sta chiarificando, e diventerà ancora più cristallina in futuro, spero che non avrai altri dubbi sulle rispettive posizioni di Danny e di Dougie. E per la martellata a Miki: dagliela pure!!

Lady Vibeke: per il solito Dio Denaro io perdo interi pomeriggi sui treni, solo per lavorare un'ora e mezza davanti ad un pc... Ma cosa ci si può fare??? Spero che le tue ripetizioni siano più facili di quelle che do alla mia cugina, che non sa tradurre il verbo to do e fa la terza superiore di un tecnico a indirizzo linguistico. Perdonata la recensione indecente e tu perdona di nuovo il capitolazzo di transizione. Lo farai vero? *occhioni lucidi*

Princess: come ti dissi in una qualche conversazione passata, per questa storia (soprattutto per i diversi rapporti che si instaurano tra Jo e i diversi Mecchi) mi sono un po' ispirata alla tua Lullaby. In comune hanno questa specie di triangolo, ma con nette differenze, come hai tu stessa notato. I tuoi Bill/Georg sono molto più consapevoli dei sentimenti che provano verso Nicole, qua invece regna la confusione più totale: Joanna, che per natura è confusionaria di suo, inconsciamente si troverà a combattere tra i due (molto più in avanti). Danny e Dougie si rapportano con lei in maniera totalmente diversa e lo capirai soprattutto con i prossimi due capitoli. Per suggerirti, succede come ha detto la Sara nella sua recensione: Danny ha fascino su Joanna. Dougie la capisce.... Cosa succederà??? Boooooh!

Giuly Weasley: penso che con i prossimi due capitoli mi troverò
lunghissime recensioni da parte tua XD Quel video di Too Close to Comfort mi ha fatto morire quando l'ho visto... morire dalla voglia di vederli live! E mi ha anche commosso, la canzone è semplicemente magnifica, la mia preferita dopo Don't Wake Me Up... ha una carica di emozioni visibilissima, la si sente a fior di pelle e per me, che l'ho vissuta in entrambi i significati (se volessi, la canterei e me la dedicherebbero, capito cosa intendo? XD) , è una canzone speciale. Ma passiamo alla storia: Hai capito perfettamente il ruolo di Dougie in questa storia. Tra tutte, sei stata quella che più ha afferrato il suo ruolo, aiutata anche dal fatto che sai già qualcosa di lui... ehm ehm... ci siamo intese! Hai ragione, si è comportato da amico, ha lasciato il passo a Danny ma... ne siamo proprio sicure? Avrai già capito che la risposta a questa domanda è: no, non ne siamo proprio sicure (purtroppo). Danny ti preoccupa? Allora Dougie ti preoccuperà ancora di più XD Diciamo che Danny si può scusare solo col fatto che si era incazzato, come leggi in questo capitolo, per essere stato messo da parte quando aveva offerto il suo aiuto a Joanna. Harry lo farà ragionare in merito? Sarà vero come dici tu che, alla fine, sarà lui a cadere in amore con Jo? XD La risposta ai prossimi capitoli!

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Capitolo 12
*** Unsaid Things ***


12. Unsaid Things

 

 

Sentì bussare alla sua porta tre volte. Rispose con un mugolio.
“Poynter!”, lo chiamò Harry, “Cosa stai facendo?”
“Mi sento poco bene.”, rispose lui, “Uscite, penso che starò male tutta la notte.”
“Te l’avevo detto che tre piatti di lasagne ti avrebbero fatto male, idiota!”, tuonò Tom, “Lo sappiamo che il tuo stomaco è capace di digerire anche le ruote delle automobili, ma c’è un limite a tutto!”
“Ho capito, Fletcher. Ciao.”, gli rispose Dougie.
“Che fa? Non viene?”, sentì dire poi a Danny, in tono più ovattato.
“No, se ne rimane in camera.”, gli spiegò Harry.
E poi si allontanarono.
Perchè aveva mentito sul suo stato di salute, inventandosi la scusa di stare male per andare indisturbato da Joanna? 
Per due ovvi motivi.
Uno: il solito palloso e non richiesto punto di vista bastardo di Harry.
Due: il non essersi ancora chiarito perfettamente con Danny.
Non voleva far scoppiare un altro casino, già ne aveva accesi involontariamente troppi. Era meglio fare tutto a loro insaputa e parlargliene magari dopo, a cose fatte. Non voleva che pensassero che l’avesse chiamata con la semplice scusa di vederla.
Beh, non avrebbero avuto tutti i torti, ma quello che più voleva fare era parlarle, chiederle scusa. E, se fosse stato il caso, anche perchè.
Attese almeno mezzora prima di alzarsi dal letto in cui se n’era stato sdraiato con le mani dietro la testa, a fingere di avere mal di pancia. Aveva passato tutto il pomeriggio in camera a suonare, ascoltare musica e guardare le belle ragazze con le tette ed il culo al vento che popolavano i quiz preserali italiani. Era sceso giusto per la cena e si era trovato a mangiare solo con Tom. Danny si era fatto portare la cena in camera e Harry aveva finito un attimo prima che lui arrivasse.
La situazione era palesemente tesa, anche se in via di sicura guarigione, ma per il momento era meglio lasciare che ognuno sbollisse per conto proprio, prima di trovarsi di nuovo ad affrontarsi infuocati.
Scese dal letto ed andò in bagno a lavarsi i denti; si dette anche una veloce sistemata la ciuffo spettinato sulla faccia ed un’annusata alle ascelle. Era pronto per andare. Prese le sue cose ed uscì dalla stanza con tranquillità. Alla reception chiese al ragazzo al di là del bancone di chiamargli un taxi e, dopo una decina di minuti, mostrò all’autista il suo cellulare, su cui era impresso ancora il messaggio di Joanna, con il luogo in cui doveva portarlo. Chissà dove si sarebbero incontrati.
L’auto viaggiò per le vie del centro districandosi tra le altre vetture, scooters e autobus ancora in corsa. Era già notte da un pezzo ormai, benchè le giornate stessero iniziando ad allungarsi. Era febbraio, tra poco sarebbe stata di nuovo primavera e sarebbe tornato il caldo, l’estate, il mare, le vacanze tropicali, le ragazze...
Erano questi i pensieri ottimisti che vennero interrotti dal suo stess sguardo, buttato fuori dal finestrino: non c’erano più le luci della città, i fari delle macchine, i rumori dei clacson. Ma dove era finito?
“Mi scusi, dove siamo?”, chiese all’autista.
Quello prese a balbettare, guardandolo di riflesso sul suo specchietto retrovisore, e in un inglese stentatissimo gli disse che erano vicini alla destinazione.
“Ma siamo in mezzo al niente!”, protestò Dougie.
L’uomo si strinse nelle spalle ed accostò.
“E adesso?”, fece Dougie, “Dovrei scendere?”
Il tassista lo esortò a farlo, senza capirlo. Non gli rimase altro che prendere il suo cellulare, cercare di nuovo il messaggio di Joanna e, mettendo lo schermetto sotto al naso dell’uomo, indicarglielo ancora.
“Mi dovevi portare qui! Qui!”, gli ripeteva.
L’uomo prese ad annuire, scese dall’abitacolo e, velocemente, aprì la sua portiera, mentre lui ancora si rifiutava a gran voce di liberare il suo mezzo. Il tassista si spazientì, si grattò la testa ed a grandi passi si avvicinò alla colonna laterale di un cancello. Poi, con l’indice teso, prese a leggere il nome della via ed il numero civico impressi sulla targhetta da lui indicata.
 
Era davvero arrivato a destinazione...

Dougie scese dal taxi e si guardò intorno. Prontamente, l’uomo si rimpossessò del suo ‘luogo di lavoro’ e partì, lasciandolo solo. Quello che poteva fare era solo controllare che il nome impresso sulla colonna del cancello corrispondesse a quello scritto sul suo cellulare.
Forse Joanna doveva aver sbagliato qualcosa nel nome della via. Aveva pensato che si dovessero trovare in un locale e quella casa al di là del cancello non era affatto un pub, nè una birreria come si era aspettato. Non sapeva che fare.
“Dougie!”, si sentì poi chiamare. Scattò sull’attenti, quasi spaventato, e si avvicinò alle sbarre di ferro verticali. Nell’oscurità, illuminata solo da un paio di lampioni affissi sopra il portone di legno, vide Joanna, in una semplice tuta nera e due trecce ai lati del viso.
“Hey!”, le fece, rincuoratosi, “Pensavo di trovarmi in  mezzo al niente!”
Il cancello automatico si aprì, Joanna gli venne incontro infreddolita.
“Sì, colpa mia, non ti ho detto che ti avrei fatto venire a casa di Arianna.”, si giustificò lei.
“Arianna chi?”, le domandò.
“La proprietaria del locale. Dormo qualche giorno da lei.”, spiegò Joanna.
Le annuì.
“E non le dispiace se...”
“Oh no, tranquillo!”, esclamò prontamente la ragazza, “Sapeva che stavi per arrivare, le ho detto tutto.”
“E non è che magari tuo...”
“Miki non sa niente.”, aggiunse Joanna, facendo volare via gli occhi da lui.
Gli era dispiaciuto essere così impiccione su questo fatto, ma era meglio prevenire
un occhio nero che curarlo .
“Ti ho fatto venire qua perchè così non avremmo avuto nessun problema del genere.”, continuò Joanna, mentre entravano nella villetta. Non era riuscito a vederla molto bene dall’esterno, la luna non era molto luminosa quella sera e sembrava che tutte le luci della casa fossero state volutamente spente. Comunque doveva essere un bel posticino, in una zona residenziale e collinare della città. Dentro l’atmosfera era molto calda e l’arredamento del tutto moderno e geometrico.
“Da questa parte.”, disse Joanna, accompagnandolo in una delle stanze.
Era un grande salotto, molto ben ammobiliato. Le pareti, decorate per metà a pietra viva e per l’altra metà con lunghe liste di legno scuro, davano l’impressione di essere entrati in un moderno chalet di montagna. La stanza era in penombra, illuminata solo una lampadina alta sul suo piedistallo di ferro battuto, distribuiva una tiepida luce soffusa. Un caminetto acceso, un grande tappeto di un rosso scuro, divani in morbido tessuto...
“Molto piacere, io sono Arianna.”, esclamò una donna, spuntata alle sue spalle.
“Dougie.”, si presentò, un po’ spaventato, porgendole la mano. Lei gliela strinse con vigore.
“Porto qualcosa da bere?”, chiese poi lei, mentre con le mani gli domandava implicitamente di darle il cappotto e la sciarpa.
“Due birre?”, propose Joanna, cercando da lui l’approvazione che poi ebbe.
“Perfetto, due birre in arrivo!”, esclamò l’altra, che lasciò rapidamente la stanza.
“Simpatica!”, disse Dougie, sedendosi insieme a lei ai capi opposti del piccolo divano.
“Beh sì, lo è molto.”, fece la ragazza.
Rimasero per qualche secondo in silenzio. L’unico rumore era lo scoppiettio incessante del fuoco, ravvivato appena prima dell’arrivo di Dougie. La fiamma era molto viva ed alta ed illuminava le grandi pietre grigie che la contornavano, sovrastate da un architrave di marmo scuro.
“Ecco a voi!”, esclamò Arianna, porgendo le loro birre, “Adesso vi lascio comodi, vado a farmi una sonora dormita.”
“Buonanotte!”, le disse educatamente Dougie.
“Per qualsiasi problema, non mi cercate. Le tue cose, Dougie, sono nella stanza qua accanto.”, fece l’altra, prima di assentarsi.
“Buonanotte...”, fece in tempo a dirle anche Joanna, dopo un’occhiata d’intesa con Dougie.
Era il momento di parlare e di chiedere scusa ma si sentiva abbastanza a disagio. Non per l’ambiente, che era veramente comodo e familiare... era colpa della sua naturale timidezza. Anche se con il tempo era nettamente migliorato, il Dougie privato non era sempre molto buono con le parole e lasciava spesso che fossero gli altri parlare, a meno che non venisse direttamente interrogato. Tamburellava le dita sulla sua birra e spostava freneticamente gli occhi davanti a sè.
“Ehm... senti...”, fece poi, in un momento di coraggio.
“Mi dispiace.”, disse Joanna, aggiungendo un lungo sospiro e cogliendolo di sorpresa.
Era lui quello che si doveva scusare, non lei, era stata tutta colpa sua.
“Veramente sono io quello che chiede perdono. Sono stato io a domandarti di uscire un’altra volta.”, le disse.
“Sì... ma sono stata io ad accettare. Se avessi detto di no...”, ribattè Joanna.
Anche lei si stava sentendo sicuramente a disagio, lo notava dall’incessante ticchettio del piede.
“Ad ogni modo, se non fosse stato per me non ti saresti mai trovata in questa situazione.”, disse Dougie.
Joanna si fece perplessa.
“Quale situazione?”, chiese lei.
“Voglio dire...  è colpa mia se ora ti trovi a dormire qua... e non a casa tua. Mi dispiace tanto.”
Era palese il motivo per cui lei stava da Arianna. Molto probabilmente aveva litigato così tanto con suo fratello che aveva preferito allontanarsi da casa...
 “Mi sento responsabile del fatto che tu stia qui, e non a casa tua con tuo fratello.”, si spiegò meglio.
Joanna gli sorrise.
“Arianna ha avuto a che fare con dei topi di appartamento... le faccio solo compagnia.”, disse la ragazza, sorridendo.
“Ah...”, fece Dougie, colto in fallo. Quella sgambettata proprio non ci voleva. Incrociò mentalmente le dita, sperando che Joanna non si fosse infastidita per le sue parole.
“Lo avrei pensato anche io, se fossi stata al tuo posto.”, lo tranquillizzò Joanna, dandogli una pacca amichevole sulla gamba, “Anche se... in effetti, tutti i torti non li hai.”
Dougie si rilassò e ricambiò il sorriso.
“Quindi... ehm...”, fece poi.
“Ci scusiamo a vicenda.”, concluse Joanna al posto suo.
“Sì!”, esclamò Dougie con troppo entusiasmo, che fece scoppiare a ridere la ragazza.
Rise insieme a lei, era proprio piacevole farlo.
“E...”, fece lei, una volta calmatasi, “Gli altri?”
Gli altri... argomento spinoso. Domanda plurale camuffata al singolare.
“Beh... Danny sta bene.”, le rispose.
Joanna arrossì ed annuì, abbassando lo sguardo.
“Mi devo scusare soprattutto con lui.”, disse Joanna, “Non l’ho trattato per niente bene, stava solo cercando di aiutarmi...”
“Lo ha capito.”, le disse. Era la verità. “Credimi, non è davvero arrabbiato con te.”
“Se lo fosse, ne avrebbe pienamente diritto.”, fece la ragazza.
“E’ che è abituato a dare sempre una mano e quando hai rifiutato  il suo aiuto... insomma, se l’è presa.”, spiegò Dougie.
Ad essere sincero, non gliene fregava niente di parlare di Danny. Ma doveva farlo.
“Però sta bene... prima o poi verrà anche lui a chiederti scusa.”, le disse.
“E spero che accetterà le mie.”, sottolineò Joanna.
“Sì... ma, insomma, siamo sempre a chiederci perdono!”, disse, ridacchiando.
“Già...”, disse lei, “Adesso diciamo tre padre nostro per redimere la nostra anima dai peccati.”
Dougie sorrise e bevve un po’ della sua birra. Joanna, invece, continuava a ciondolare con la sua in mano, come se non le piacesse.
“C’è una domanda che mi sono sempre posto, Jonny.”, le fece, per attirare la sua attenzione, fissatasi già da tempo sullo scoppiettio del camino, “Parli così bene la mia lingua, per caso sei metà inglese?”
“Oh no, sono italianissima.”, disse lei.
“E dove lo hai imparato?”, le domandò. Era un buono spunto per iniziare a conoscerla meglio.
“Beh... a scuola.”, rispose lei, tornando a trastullarsi con la  bottiglia.
“Davvero? Non ci credo!”, esclamò l’altro, “A scuola non si imparano le lingue, ma solo le parolacce!”
Joanna sbuffò in una risata.
“E’ vero!”, ribadì Dougie.
“Ok, hai ragione.”, confermò Joanna, asciugandosi gli occhi.
“Dai, dimmi come hai fatto ad impararlo così bene.”, riprese Dougie.
Attese la risposta di lei, che invece evadeva gli occhi e le parole. Aveva forse detto qualcosa che non andava? Ripercorse mentalmente le sue parole... decisamente no, non gli pareva di essere stato inopportuno.
Il lembo della maglietta di Joanna divenne il martire del suo nervosismo. Dougie si morse la lingua, cercando di capire dove avesse sbagliato.
“Ho per caso toccato un tasto dolente?”, le chiese.
“No, tranquillo...”, disse Joanna, scuotendo la testa.
“Sembra proprio il contrario.”, insistette.
“Davvero, è tutto a posto. Ho imparato così bene la tua lingua perchè i miei genitori sono professori di inglese... Tutto qui...”, ribattè Joanna, “E’ solo che...”
Ecco, non volendo aveva creato da solo il pretesto per cercare di saziare le sue curiosità. C’era un metodo sempre utile per riuscire ad estirpare dalle bocche altrui i fatti personali... era raccontare le proprie disgrazie.
“Beh, anche io ho delle cose di cui non amo parlare.”, disse Dougie, buttando l’amo.
“Allora non ti chiederò quali siano.”, rispose Joanna, sorridendo sotto i baffi.
Brava, si complimentò Dougie, era proprio una pesciolina intelligente, una di quelle che si mangiavano l’esca e risputavano l’amo indietro al mittente.
“A parte tutto...”, disse Dougie, “Penso di essere un buon caso umano.”
Joanna lo guardò con un mezzo sorriso ed incrociò le braccia.
“Dici?”, disse lei, con tono quasi scherzoso. Sicuramente stava cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Beh...”, fece Dougie, “Pensa che non so nemmeno dove sia mio padre in questo momento.”
Dougie annuì per sottolineare meglio la veridicità di quello che le aveva appena confessato. A dire il vero questa informazione poteva trovarsi ovunque su internet, ma era sempre parte di lui, e solo lui conosceva i risvolti più privati.
“Sul serio?”, volle accertarsene Joanna. Sembrava incredula.
“Sì, è così...”, continuò Dougie, “Mio... mio padre si è praticamente volatilizzato poco dopo che sono entrato a far parte dei McFly... Ho avuto modo di sapere dove si trovasse solo un paio di volte ma... nient’altro.”
“E perchè se n’è... andato?”, chiese Joanna. Si era accomodata sul divano, abbracciando le gambe al petto, voltata verso di lui, con il mento vicino alle ginocchia.
Dougie alzò le spalle. Non l’aveva mai saputo con certezza.
“Beh... mi dispiace...”, disse lei, “Non lo sapevo.”
Evidentemente non l’aveva letta su internet.
“Di sicuro non sono cose che si augurano, nemmeno ai peggiori nemici.”, disse Dougie, fissando le sue dita, nervosamente occupate a spulciare le pellicine che contornavano le sue unghie, “Ecco perchè mi definisco un caso umano... magari tra qualche anno, quando si saranno dimenticati dei McFly, farò la guest star nei talk shows per parlare di lui!”
Joanna sbuffò in una piccola risata.
“Qua in Italia saresti richiestissimo!”, disse poi.
“Già... E tu? Anche tu sei un caso umano Jonny?”, le domandò ridendo, quasi provocatoriamente.
Lei deviò per l’ennesima volta il suo sguardo poi, dietro ad un sorriso, nascose un sì.
“Davvero?”, le fece, “Oh, allora mettiamoci nel museo dei disgraziati.”
“Avrei un posto d’onore.”, disse lei, roteando gli occhi.
“In quale sezione?”, disse Dougie.

 

“Beh, una qualsiasi.”, gli rispose, prendendo un sorso della sua  birra.
Davanti a lei Dougie, seduto comodamente, appoggiato al bracciolo del divano, lievemente voltato verso di lei. Non era venuto semplicemente per scusarsi, lo aveva capito non appena lui aveva cercato di entrare in tema. Era lì perchè voleva anche sapere.
Le andava di parlarne? Ovvio che no, perchè doveva farlo? Lui non era nessuno, solo uno sconosciuto. In quel momento non era nemmeno Dougie Poynter dei McFly, era semplicemente un ragazzo normale. Uno come gli altri, di un anno più grande di lei, con i capelli un po’ spettinati, una camicia quadrettata stropicciata e i pantaloni larghi. Un tipo qualunque, nient’altro, quindi lei non si sentiva in dovere di dargli spiegazione.
Quali motivi avrebbero dovuto spingerla a fare una cosa del genere?
Al momento, le sovveniva solo il fatto che qualsiasi persona normale, dopo l’essersi trovata nelle situazioni in cui loro involontariamente si erano trascinati dentro, avrebbe avuto tutto il diritto di porsi delle domande su come mai quel bestione di suo fratello fosse così geloso della piccola Joanna. E comunque questo non le pareva sufficiente, o almeno  liquidabile con una scusa qualsiasi.
Danny aveva rischiato di prendersi qualche ceffone da Miki? Beh, non era successo, quindi anche quella motivazione era nulla.
E allora perchè doveva parlargliene?
Perchè anche lui aveva avuto uno stronzo al posto di un padre.

Esattamente come lei.
Ma non voleva dirgli niente! Lei non voleva parlarne! 
O forse sì...
“Non pensare di dovermene parlare ad ogni costo.”, la rassicurò Dougie, “Anche se... sarò sincero.”, sospirò, “Vorrei saperlo, così da capire come mai tuo fratello sia così geloso di te. Perchè, personalmente, non penso che sia solo perchè ti vuole troppo bene.”
No, Poynter, questo non glielo doveva fare. Non doveva permettersi di comprendere esattamente dove si trovasse il punto della questione, in modo da spianarle la strada per confessargli tutto. Non poteva essere così intelligente da capire tutto da solo...
“Hai ragione.”, disse Joanna, abbassando la testa sconfitta, “Tu dovresti saperlo... ma...”
“No, io non voglio vantare nessun diritto su di te e sulle cose della tua vita.”, rispose lui, prontamente.
Musica per le orecchie di Joanna...
Si passò le dita tra i capelli, cercando di trovare un modo per iniziare a raccontare. Quella sarebbe stata la prima vera volta che confessava tutto ad un orecchio estraneo.
“Sai che...”, disse poi, “Abbiamo alcune cose in comune... io e te?”
Dougie rimase spiazzato, non aveva afferrato... ma presto sì.
“Del tipo?”, le fece.
Joanna prese un profondo respiro ed alzò gli occhi verso di lui.
“I nostri padri.”, disse, quasi tutto d’un fiato.
“E...
perchè?”, le domandò, “Anche il tuo se n’è andato di casa?”
Aveva trovato il coraggio di parlare, non poteva perderlo dopo poche parole.
Doveva farlo.

 

Attese che Joanna riprendesse il discorso interrotto, la sua espressione era tutt’altro che confortante. La sua curiosità iniziò a fremere.
Joanna posò la sua birra per terra, vicino alla gamba del divano. Dimenava lo sguardo ovunque, piuttosto che posarlo su di lui. Sicuramente avrebbe preferito trovarsi in un isola deserta... senza scocciatori come lui.
La osservò farsi coraggio e prendere l’ennesimo profondo respiro.
A schiena lievemente ricurva, imbarazzata, si mise una mano alla cerniera della tuta, agganciata alta fino al collo, e la tirò giù.
...
Dougie deglutì.

Cosa...  Che... Perchè?
Dal sotto spuntarono una canottiera bianca e il corpicino esile di Joanna.
Calmati.
La pelle era illuminata dal caminetto, che le dava un po’ di colore, creando giochi di ombre e luci che mettevano in evidenza ogni sua lieve forma. Non dava l’impressione di essere così magrolina quando era vestita.
Calmati...
Joanna se ne stava a sguardo basso e lucido, come se stesse per fare qualcosa che andava contro la sua volontà. Dal cotone della maglietta che indossava traspariva lievemente il nero della sua biancheria.
Passò le dita sulla spallina della canottiera e la spostò, facendola cadere sulla spalla.
Calmati, Dougie, cazzo!

“Cosa stai...”, balbettò Dougie, sentendosi seduto su degli enormi spilli acuminati.
Lei parve non sentirlo e drizzò la schiena.
Una lunga cicatrice le percorreva il petto, dalla punta della spalla destra fino alla linea del seno, perdendosi poi sotto la canottiera. I suoi pensieri maschili evaporarono in un battito di ciglia.
“Oh cazzo...”, uscì incontrollato dalla sua bocca. Non aveva mai visto il segno di una ferita così grande.
Prontamente, Joanna indossò di nuovo la giacca nera, chiudendo la zip e nascondendosi.
“Come te lo sei fatto?”, le chiese, spontaneamente.
“Sono... caduta.”, rispose Joanna.
“Caduta?”, sbuffò, incredulo. Non poteva essere così semplice.
“Su un tavolo di vetro.”, si specificò meglio lei.
Ma, dal suo sguardo sfuggente, sembrava esserci molto di più.
“A dire il vero... non sono proprio caduta.”, fece, mordendosi il labbro inferiore.
 “E chi è stato?”, le domandò.
“Mio padre.”, rispose lei.
Dougie si sentì pietrificare. Non aveva parole, non sapeva nemmeno cosa pensare.
“Quando è... successo?”, le fece. Aveva paura di farle domande.
“Circa... un anno fa.”, rispose Joanna.
“Perchè lo avrebbe fatto?”
Era inconcepibile: come si poteva fare una cosa del genere...
“Perchè... mi sono ritirata dall’università.”, spiegò Joanna.
Impallidì. Che motivazione del cazzo era quella lì?
Si impose di calmarsi...
“Ma perchè?”, insistette, “Perchè lo ha fatto! Non è possibile che...”
“Lo ha fatto eccome.”, lo bloccò Joanna, quasi con rabbia, “Vuoi che ti faccia vedere la mia schiena?”
“No...”, fece Dougie, “E’ solo che... voglio dire, che padre è uno che spinge la  propria figlia contro un tavolo di vetro?”
“E’ mio padre.”, disse Joanna, con disprezzo.
“Dio mio...”, sospirò Dougie, “Era sempre così violento?”
“Soprattutto quando facevo qualcosa che andava contro i piani che aveva prestabilito per me.”, gli rivelò Joanna, “Oppure quando parlavo troppo.”
 “Mi dispiace da morire Joanna.”
“Fa’ niente.”, disse lei, alzando le spalle, “Poi sono andata a vivere da Miki.”
“Come scusa?”, le fece.
“Quando mi sono ripresa... sono andata da Miki, mio fratello.”, ripetè lei, con voce sempre più tremante, “E da quel giorno sono stata io a non volerlo più vedere... né lui, né mia madre.”
“Beh... capisco.”, le fece.
“Non credo.”, rispose lei, seccamente.
Sì, aveva ragione. Che ne sapeva lui di padri violenti? Niente, il suo aveva solo tolto baracca e burattini, sparendo dalla circolazione. Ma in un modo o nell’altro le loro storie erano simili.
“Hai ragione, scusami.”, le disse, “E’ solo che... mi sembra incredibile quello che mi hai detto, anche se non lo è affatto.”
Joanna annuì, stringendo le braccia intorno alle gambe. Appoggiò il mento sulle ginocchia, la stessa posizione che aveva assunto quando era stato lui a parlarle della propria vita.
“Miki è così geloso di me perchè ha paura che... possa trovare qualcuno uguale a mio padre.”, disse Joanna, “Lo fa per proteggermi.”
Ecco...
“Ad essere sincera, non l’ho mai visto comportarsi come ha fatto con voi.”, continuò lei, “Anche perchè, da quando vivo con lui, esco con la sua ma comunque rimango estranea a tutti loro... che mi evitano.”
“Perchè hanno paura di lui.”, disse Dougie, comprendendo.
“Non sono mai stata brava a farmi degli amici, ma ho cercato di migliorarmi.”, fece Joanna, “Ho sempre avuto paura che, approfondendo i rapporti, gli altri inizino a pretendere di sapere troppe cose di me. E io non voglio raccontarle. Gli altri non devono sapere, né fare domande... è troppo doloroso anche solo ricordare per un solo attimo.”
Certo, cose del genere non si raccontavano al primo che passava... E lui, se non era il primo cretino che camminava per la strada, poco ci mancava.
“E perchè invece a me le hai dette?”, le chiese, di rimando.
“Forse perchè... insomma, mio padre, tuo padre...”, giustificò lei.
Sentì la sua voce iniziare ad infrangersi.
Cosa doveva fare? Doveva avvicinarsi a lei e confortarla, oppure era meglio rimanere fermo, seduto al suo posto?
Anche se aveva avuto le proprie storie, le sue ragazze alle quali dare sempre senza ripensamenti una spalla su cui piangere, non pensava di altrettanto bravo a consolare una persona che aveva subito così tanto dalla vita. Semplicemente perchè non gli era mai capitato.
E se Joanna non avesse desiderato la sua compassione?
Inaspettatamente, soprattutto verso se stesso, si avvicinò a lei e la abbracciò, benchè l’ostacolo delle gambe rannicchiate  di lei non glielo potesse permettere al meglio.
Joanna le distese e aprì le sue braccia intorno a lui.
Era così... piccola.

 

Joanna piangeva in silenzio, confortata dalla presenza di qualcuno che aveva capito il suo stato d’animo.
Mal comune, mezzo gaudio Joanna.
Si allontanò con delicatezza da lui, stava iniziando a sentirsi di nuovo in imbarazzo. Si odiava per questo. In fondo aveva pensato che, dopo avergli confessato quello che aveva vissuto, si sarebbe sentita meno a disagio. Invece no, continuava ad avere ‘paura’.
“Scusami.”, gli disse.
“E di cosa?”, fece Dougie, sorridendole.
“Beh...”, borbottò Joanna, un po’ spiazzata, ma comunque piacevolmente contenta.
“Non cambiare mai, Jonny.”, continuò Dougie, “Ci sono troppe poche persone come te, a questo mondo.”
“Intendi che siamo in pochi ad essere goffi, sbadati, distratti...”, prese lei, divertendosi ad elencare tutti i classici aggettivi con i quali si identificava.
“Siete in pochi ad essere semplicemente voi stessi.”, la corresse il ragazzo, “Jonny, basta guardarti in faccia per capire chi sei.”
Joanna lo guardò.

Maledetto Poynter.



Rieccoci qua! Come sempre, su questo canale! Rinnovo le mie scuse anche per questo nuovo, che più che un capitolo sembra una sceneggiatura... ma che palle, sto sempre a scusarmi per quello che faccio! Beccatevi 'sto cacchio di capitolo e non rompete, va'! XDDD E come vi tratto bene io, non lo fa nessuno... veeeeero?? XD

Cosa che non ho mai fatto in questa sede: Ringrazio vivamente tutte le ragazze del forum del McFly che leggono la mia storia e che, di là, commentano molto positivamente ^^ un bacio a tutte voi!

Basta con le cavolate, il turno dei ringraziamenti inizia... ora!

Princess: TI CAPISCO E TI APPOGGIO!!!! -abbasso 3msc!- Ormai i parallelismi tra le storie sui Tokio che abbiamo scritto e questa sui McFly si contano a migliaia... Sarà che il tema di fondo è lo stesso, le somiglianze ci sono e si riscontrano, ma ognuna di noi è troppo diversa dall'altra e scrive in maniera totalmente differente per poter dire: queste due storie sono ugali! Che dici? Io la penso proprio così... e sicuramente anche tu e tutte le altre (lo spero XD) Come ti ho già detto, hai capito perfettamente la distinzione che ho fatto tra Danny e Dougie... ma soprattutto, hai centrato in pieno Harry. E' il nostro Grillo Parlante, quello che cerca di fermare Pinocchio a suon di parole e di avvertimenti ma... alla fine, lascia che sia lui ad essere l'artefice del suo destino ed a sopportarne le conseguenze. Che mi rimane da dire? Hai già afferrato tutto tu...

Kit2007: Eheheh, ormai non ti sfugge più nulla! Hai capito perfettamente come ragiona il mio cervelletto, non ti si puù nascondere niente ormai! Ormai Arianna sta andando forte! Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, cioè che questo pg secondario, perchè poi non è proprio secondario, diventasse così popolare ^^ che dire... alla prossima!!

Lady Vibeke: Ecco, tu hai colto un aspetto finora passato in sordina... che i Mecchi riescano a far sbocciare la nostra Joanna? Mmmm... che dire, rimando ai prossimi capitoli! Di sicuro non faranno miracoli, ma quasi! Harry saggio??? Ahahah, fa ridere a sentirlo, ma ce lo vedo bene e non ce lo vedo comunque (così come hai detto tu!)

Picchia: Baciamo le mani donna Laura...

CowgirlSara: Via, spero di averti accontentato... anche se presumo di no... XD chissene, ma che ti pare che io debba scrivere per far piacere a te! Ma quanto sarai presuntuosa! Via, basta, non mi fa' di' nulla! :P

Ciribiricoccola: La nostra amata Bestiolina sta qua, in questo capitolo, a sorbirsi le disgrazie di Joannina nostra bbbbella de la zia... XD sta facendo la parte del 'migliore amico'... e come diceva tanti anni fa il caro Max Pezzali, a riguardo degli amici??? Mmmmm?? Ehhh??? Capita l'antifona??? Via, basta, non dico altro!!!

Giuly Weasley: penso che con questo capitolo riceverò una recensione di mille pagine! Io non so più cosa dire: con questo tuo commento hai sviscerato la storia in un botto solo, comprendendo esattamente il ruolo di ogni singolo personaggio, da quello più secondario alla protagonista stessa. Una cosa così non mi era mai capitata, o meglio, alcune delle mie più fedeli lettrici (tra cui le sopraringraziate Pricess e Ciribiricoccola) si sono espresse esattamente come te dopo ogni capitolo ma... tu, in un colpo solo, hai fatto lo strike che loro invece hanno raggiunto con più recensioni. Non ho niente da aggiungere o da spiegare ulteriormente! Se continui così, va a finire che capirai la conclusione della storia già da ora! XD

GodFather: la tua recensione mi ha colto totalmente spiazzata, a bocca aperta! Davvero, non me lo sarei mai aspettato un commento da parte tua! Non che con questo voglia dire che non mi ha fatto piacere oppure che non sei una che non recensisce mai, altrochè! E' che ormai mi sono abituata a questa piccola nicchia di lettrici per questa storia, drasticamente ridottasi rispetto a quella che avevo per le storie sui TH, che ogni nuova recensione mi fa piacerissimo! Beh, ti sei letta tutti questi capitoli insieme e hai compreso perfettamente ogni singolo personaggio... ormai non ho più segreti! Mi lasciano stupita i tuoi commenti sui personaggi di mia creazione... ho sempre il timore di lasciarli senza spessore, piatti, senza carattere... ma devo aver fatto un buon lavoro :) Beh, spero di ritrovare di nuovo un commento da parte tua, prima o poi! Ci sentiamo presto! Ciao!

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Capitolo 13
*** She Falls Asleep - Part One ***


13. She Falls Asleep – Part One

  

Avevano iniziato a parlicchiare, lasciando lacrime ed imbarazzi, seduti ai lati opposti del piccolo divano. Joanna se ne stava a gambe incrociate e giocherellava con un filo che penzolava dall’orlo della tuta, mentre Dougie preferiva invece sorreggere la testa con la mano, mentre il braccio si appoggiava al bordo del divano. L’altra mano sostava sul ginocchio, piegato comodamente sulla seduta del sofa, mentre il piede ciondolava ritmicamente fuori da esso.
“L’altra sera, quando eravamo a casa tua,”, disse Dougie, “ho ficcanasato tra i nomi dei cantanti che c’erano nella libreria, ma non ne conoscevo nemmeno uno.”
“Sono i cd di Miki.”, lo informò Joanna, senza nascondere un sorriso divertito.
“Ah!”, esclamò Dougie, “Ho rischiato la pena capitale?”
Joanna rise, dandogli dello scemo.
“Comunque,”, disse poi lei, “a lui non piace tanto la musica straniera, preferisce quella italiana.”
“E tu invece, cosa ascolti?”, le domandò.
Joanna scosse la testa.
“Non soltanto voi McFly siete sincronizzati nei nomignoli con cui chiamare gli altri, ma anche sulle domande da fare!”, disse, mettendosi poi a ridere.
“E perchè?”, fece Dougie, non comprendendola.
“Perchè anche Danny, ieri, mi ha fatto la stessa domanda.”, disse Joanna.
Non seppe perchè, ma le venne da pentirsi di aver detto quella cosa.
“Ah sì?”, disse lui, “Lo facevo più originale.”
“Posso essere sincera? Anche io.”, disse Joanna, abbassando il tono in maniera ironica.
“E tu cosa gli hai risposto?”
Joanna riflettè.
“Beh, la cosa interessante non è stata la mia risposta, quanto quella di Danny.”
“Perchè?”, chiese Dougie, incuriosito.
“Perchè gli ho detto che mi piaceva abbastanza Avril Lavigne. E lui subito, di rimando,”, e cercò di imitarne la voce bassa e calda, “Se lo dicessi a Dougie ti salterebbe addosso!”
Nel mentre Joanna rideva nel ricordo dell’infelice battuta di Danny, Dougie avrebbe preferito sprofondare tra i tizzoni accesi del caminetto, limitandosi ad una smorfia abbozzata, un sorriso striminzito ed infastidito.  
“Poi ha continuato”, riprese Joanna, “dicendo che se avessi apprezzato Bruce Springsteen, allora sarebbe stato lui quello pronto a saltare addosso a me.”
“E a te piace? Intendo il Boss.”, le domandò.
“Sinceramente no, ma conosco solo le canzoni più famose, non posso giudicare.”, rispose lei, con tranquillità.
Sembrava quasi che la Joanna di qualche minuto prima, triste e spaventata, non fosse mai esistita. Era tornata quella che aveva conosciuto: solare, sorridente e simpatica.
“Cosa pensi di Danny?”, le chiese Dougie, a bruciapelo.
Joanna si prese qualche attimo per riflettere. Prima di quel momento, tutti i pensieri rivolti a lui erano rimasti, appunto, solo pensieri che non erano mai diventati parole parlate. Adesso si affollavano nella sua mente, senza che riuscisse a trovare il bandolo della matassa.
“Che dire...”, fece, bloccandosi, “E’... simpatico, è dolce. E’ un bel ragazzo.”
“Ti piace?”, continuò lui.
Joanna deviò altrove lo sguardo, prima posato senza malizia su di lui.
“Beh... sì, mi piace...”, balbettò, torturandosi le mani.
“Non credi che sia stato un po’ cattivo, da parte sua, non farsi sentire?”, riprese prontamente Dougie.
Joanna lo guardò stranita.
“Insomma, poteva anche essere arrabbiato quanto voleva... ”, perseverò il ragazzo, “Ma ti ha pur sempre baciato, avrebbe dovuto richiamarti!”
E Joanna continuava a fissarlo, con aria interrogativa.
“Beh...”, fece lei poi, “Ha avuto i suoi buoni motivi per farlo, non lo biasimo. E poi sicuramente si è spaventato... Di certo non solo per il comportamento di Miki.”
“In che senso?”, le domandò Dougie.
Joanna diventò lentamente paonazza e si fissò sui guizzi delle fiamme.
“E che...”, borbottò lei, “Non è che...”
“Che cosa?”, fece Dougie.
Joanna sbuffò e roteò gli occhi , prese un cuscino e, dopo averlo stropicciato tra le mani, lo posò all’incrocio delle gambe, affondandovi il viso.
“Non ho... molti... di lui.”, riuscì a capire Dougie dalla voce impastata ed ovattata di Joanna.
“Non hai molti cosa?”, le domandò di nuovo lui.
“Non ho baciato molti altri ragazzi prima di lui...”, disse Joanna, alzando il viso e facendosi finalmente capire.
Dougie la guardò malizioso.
“Ecco, ora che lo sai, ti dispiace premermi il cuscino sulla faccia? Non ce la faccio a soffocarmi da sola!”, disse Joanna, piagnucolando.
“Jonny! Non ci credo!”, sbottò il ragazzo, mettendosi a ridere e beccandosi una cuscinata dritta nei denti.
“E’ vero!”, esclamò Joanna, troppo divertita per essersi risentita dalle parole di Dougie, “Uno mi ha baciato dopo essersi fumato una canna. L’altro è un attore italiano che poi mi ha firmato un autografo... e il terzo è Danny.”
“Beh, molte ragazze vorrebbero essere al tuo posto.”, le fece Dougie, “Dovresti ritenerti fortunata, Danny non bacia la prima che passa.”
Joanna sorrise, si sistemò le trecce e soffocò uno sbadiglio.
“Forse hai ragione.”, gli fece, “Ma... non credo che la mia unica fortuna sia stata... insomma, baciare lui. In fondo, lui non è solo. E’ con i McFly al completo! Questa è vera fortuna!”
Anche Dougie sorrise, felice di sentire uno dei primi commenti da tipica fan che uscivano dalla bocca di Joanna.
“Fino ad una settimana fa, tu eri appeso alla porta di camera mia con gli altri tre... e ora sei davanti a me! Se allungo un dito posso toccarti!”
“Non qua che soffro il solletico!”, disse lui, scherzando, mentre si toccava la pancia.
“Anch’io!”, esclamò Joanna, mettendosi a ridere, “Tutti insieme siete come un uragano, ma con un potenziale distruttivo sicuramente superiore.”
“Dove passiamo noi non ricresce più l’erba, come disse Giulio Cesare.”, affermò Dougie, con orgoglio.
"Veramente era Attila...”, lo corresse lei, prima di mettersi a ridere.
“Cesare, Attila, fa lo stesso.”, disse l’altro, “Entrambi hanno combinato molti casini...”
Joanna sbadigliò di nuovo, quella volta più sonoramente dell’altra.
“Maledetto sonno...”, disse poi, asciugandosi le lacrime.
“E’ vero, si è fatto un po’ troppo tardi, sarà meglio che vada. Domani c’è lavoro per entrambi: tu sei al locale, noi sulla nostra musica. Dobbiamo metterci sotto a provare.”, disse Dougie, alzandosi.
“Già... venerdì c’è il concerto!”, fece l’altra, entusiasta, “Se riuscirò a farmi spazio, sarò in prima fila!”
“Oh non ti preoccupare, per quello non ci saranno problemi. Ti facciamo stare direttamente sul palco.”
“A fare cosa? L’allocco?”, sbuffò Joanna, “No, meglio tra la folla, niente favoritismi!”
“E dai! Le persone speciali come te devono avere dei posti speciali ai nostri concerti!”, disse Dougie.
Joanna rimase spiazzata. Le... persone speciali?
“Sì...”, fece Dougie, con gli occhi ballerini, “Speciali come... gli amici, ecco.”
Amici?
“Ho detto... qualcosa di male?”, chiese il ragazzo, vedendola sperduta.
“No.. no, no, no!”, disse Joanna, tutto d’un fiato.
“Beh... niente, come non detto!”, fece lui, grattandosi la fronte per togliere via il disagio.
Joanna sembrava però attendere una spiegazione ma Dougie, invece di accontentarla, si diresse velocemente verso la stanza attigua alla loro, per prendere il suo cappotto e la sciarpa. Nel mentre che li indossava, lei trovò una temporanea e diversiva occupazione nel riattizzare il caminetto di Arianna.
Poi, tra uno scoppiettio e un guizzo, tirò fuori le sue parole.
“Sai qual è la cosa più incredibile di tutta questa storia?”, chiese retoricamente a Dougie.
“No... qual è?”, fece lui.
“E’ che io... io, Joanna, abbia parlato di me... con te.”, disse, con espressione a lei stessa stupita.
“Perchè sarebbe incredibile?”, fece il ragazzo, perplesso, quasi deluso.
“Beh, te l’ho detto...”, rispose Joanna, alzando le spalle, “Non ho avuto amici a cui parlarne e, comunque, anche se ne avessi avuti non lo avrei fatto.”
“Lo hai fatto perchè siamo compagni di disgrazie, no?”, disse lui, sorridendole comprensivo.
“La verità è che...”, disse lei, sforzandosi, “L’ho fatto perchè sento che mi posso fidare di te... cosa che tra l’altro penso di poter dire... praticamente di quasi nessun altro su questa Terra.”
Dougie esitò, cercando di non dare a vedere la sua sorpresa
“Maledetto Poynter,”, esclamò poi Joanna, tornando a ridere, “Direi che sei sulla buona strada per diventare un bravo ragazzo!”
Allungò una mano e gli dette un piccolo pugno su una spalla.
“Se gli altri fossero stati qui,”, fece lui, mente il lieve rossore delle sue guance si affievoliva, “avrebbero riso così tanto che sarebbero morti come le faine di Chi ha incastrato Roger Rabbit.”
“Giusto!”, esclamò Joanna, ridendo, “Ti chiamo un taxi!”
“Grazie mille, Jonny.”, disse lui, sorridendole e dandole un lieve pizzico sulla spalla.
Joanna si frugò nelle tasche della tuta e compose il numero del servizio taxi della città, prenotandogli una macchina.
“Saranno qua a momenti.”, disse poi, una volta chiusa la chiamata, “Vengo fuori a farti compagnia.”
“Ma no!”, esclamò Dougie, “Fuori fa freddo, aspetterò da solo, cosa vuoi che sia.”
“Non ti posso lasciare sulla porta come un ospite indesiderato!”, affermò risoluta Joanna.
“E io non voglio che tu ti prenda un malanno, così sono sicuro che verrai al nostro concerto senza il raffreddore!”, le fece lui, ancora più deciso, sventolandole in faccia il classico indice comandante.
“Va bene...”, si piegò Joanna, “Lasciami almeno condurti alla porta.”
“Sì, questo si può fare.”, fece Dougie, sorridendole.
L’uno dietro all’altra si incamminarono verso l’uscita.
“Non so se domani avremo il tempo di venire al locale.”, le disse Dougie, prima che Joanna aprisse la porta, “Arriverà tutta la troupe, avremo un casino di cose da fare.”
“Allora non starò in pena nell’attesa, seduta su una sedia solitaria, guardando fuori dalle finestre del locale con espressione triste.”, fece Joanna, con tono fintamente malinconico.
“Cercherò comunque di combinare qualcosa per la serata. Ti va bene?”, le domandò.
“Certamente!”, annuì lei, mentre apriva la porta, “Grazie per la bella serata.”, gli disse.
“Beh, grazie a te!”, le rispose Dougie.
Le si avvicinò e le dette un bacio sulla fronte.
“E ora a letto!”, esclamò lui, facendola ridere di gusto, “Notte Jonny!”
“Buonanotte!”
E chiuse la porta.

 

Attese il taxi, appoggiato alla colonna del cancello, riparandosi al freddo nel calore della sua sciarpa. Con le mani nascoste dentro alle tasche del cappotto, riuscì a riassumere le due ore passate insieme a Joanna in un semplice gruppo di parole: semplicemente sorprendente. E c’era una piccolissima dose di positività in quelle parole, solitamente usate per descrivere un qualcosa di stupefacente.
Non era facile togliersi dalla testa quella lunga cicatrice che segnava il petto di Joanna. Era... impressionante: sottile, non del tutto rettilinea, dai contorni sfumati. Quanti punti le avevano messo per chiudere quella ferita? Non era giusto che fossero sempre le persone come Joanna a subire le peggiori prepotenze della vita. Era solo un luogo comune, ma quella cicatrice ne era la prova.
Era felice che lei gliene avesse parlato. Anche se era venuto proprio con quella intenzione, tra le altre, non aveva contato sul fatto che accadesse davvero. Era stato certo che Joanna avrebbe negato ogni parola al riguardo, dicendogli che non erano fatti suoi e che non era obbligata a parlarne. L’avrebbe compresa senza dubbio, ne avrebbe avute tutte le ragioni.
Ma Joanna si era fidata di lui, era stata quella la cosa incredibile. Che cosa aveva detto o fatto per farglielo credere? Niente! Era sempre stato il solito Dougie Poynter... Forse era stato più il fatto di avere qualcosa di spiacevole in comune a spingerla a fidarsi di lui, anche perchè non avrebbe saputo come spiegarselo meglio.
Ma era comunque contento, molto contento, e capiva anche tante cose.
La sua timidezza.
La sua riservatezza.
Il suo costante ritrarsi, come un riccio spaventato.
La pressante gelosia del fratello.
C’era stato tutto un motivo per quello, non era una semplice questione di carattere o di mancato rispetto verso di loro, come invece aveva sempre sostenuto Harry.

Le persone speciali come te devono avere dei posti speciali ai nostri concerti...
Le guance tornarono ad arrossire.
“Doug!”, si sentì chiamare, alle spalle.
Si voltò ed alzò gli occhi: da una finestra illuminata al secondo piano lo salutava Joanna. Fortuna che in lontananza non si sarebbe mai accorta del rossore.
“Stai attenta a non cadere di sotto, Giulietta!”, le disse.
“Hey, Romeo! Le manie suicide lasciamole alla fine della farsa!”, rispose lei, mettendosi le mani intorno alla bocca per amplificare la sua voce.
“Già...”, le fece, “Adesso però torna dentro o ti ammalerai!”
“Ok!”, disse Joanna, allungando di proposito la vocale dell’affermazione, “Sta arrivando il tuo taxi!”
“Buonanotte!”
“Notte! Fai buon ritorno!”
Le fece un cenno di mano e si voltò, tornando ad appoggiarsi alla colonna. Dopo pochi secondi, un’auto bianca si fermò davanti a lui e lo fece salire.

Cosa pensi di Danny?
Che dire... E’... simpatico, è dolce. E’ un bel ragazzo.
Ti piace?
Beh... sì, mi piace...

Era vero che, nella vita, non tutti i baci significavano il nascere di qualcosa in più. Quello che c’era stato tra Danny e Joanna era certamente, senza ombra di dubbio, uno di questi. Conosceva abbastanza bene Danny da poterlo affermare al posto suo.
Ma Joanna? Era sicuro di poter dire altrettanto di lei? E se, in quel momento, se ne stava in camera sua a pensare a quello che avrebbe potuto esserci tra lei e Danny? Incrociò le dita e sperò di no. Nessuna illusione per Joanna, non ne aveva bisogno.
Si morse la lingua e, per una volta, si trovò d’accordo con Harry.

La volete finire di prendere per il culo questa povera ragazza! Non se lo merita!
Ecco, bravo Harry, aveva avuto ragione fin dall’inizio e lo aveva realizzato solo in quel momento, quando ormai era diventato troppo tardi. Joanna non si meritava di essere presa in giro. Né da Danny, che l’aveva baciata creandole forse un’illusione... Né da lui stesso. L’aveva definita una persona speciale, cioè quello che lei era veramente: Joanna era una ragazza davvero speciale, in tutti i sensi possibili di quella parola. E quando lei si era dimostrata perplessa, aveva ripiegato sulla parola amici
Di nuovo, le parole taglienti di Harry gli rimbombarono in testa.

Non siamo suoi amici, non siamo nessuno, solo i McFly.
Non poteva offrirle la sua amicizia: non tanto perchè gli piaceva, perchè era attratto da lei, ma soprattutto perchè Joanna aveva davvero bisogno qualcuno che fosse presente per lei, nei suoi momenti più bui, e lui non poteva farlo, non poteva esserci per lei. Anche se avrebbe voluto con tutto il suo cuore, non poteva essere suo amico. Non voleva farle del male, lei aveva già sofferto abbastanza...
Dio, che cosa aveva combinato? 
Appena quella domanda gli si formulò in testa, la stanchezza della giornata gli cadde addosso in un momento. Mentre camminava verso l’ascensore dell’hotel, si stropicciò più volte gli occhi e, una volta uscito dall’abitacolo, al suo piano, si frugò stancamente nelle tasche in cerca della chiave magnetica.
Ma dove cavolo era finita...
“Poynter?”
Dougie fissò lo sguardo davanti a sè, sul legno insonorizzato della porta della sua camera.

Merda...

 

Chiuse la finestra ma, invece di sedersi sulla comoda sedia a dondolo, che dava un tocco retrò a quella stanza in stile moderno come il resto della casa, rimase appollaiata sull’ampio davanzale, ad accumulare il calore che emanava il termosifone sotto di esso. Le mani penzolavano sulle ginocchia unite, lo sguardo cadeva sui suoi piedi, nascosti in due comode pantofole spumose a forma di befana foruncolosa.
Provava una bellissima sensazione, totalmente sconosciuta. Non aveva mai saputo come ci si sentiva dopo aver confessato un fatto personale così grande e difficile. Leggera, molto leggera, come se avesse gettato dall’ultimo piano di un grattacielo altissimo un macigno più grosso di lei, sospinto con una fatica immane. Anche se tutto aveva iniziato ad affievolirsi lentamente, Joanna era comunque felice. Era orgogliosa di se stessa, aveva fatto una cosa che si era negata da sempre, imparando quanto fosse vero il detto mai dire mai.
Semplicemente stupefatta, Dougie era stato a sentirla con attenzione ed interesse. Era venuto per scusarsi, ma soprattutto per sapere, le aveva detto.
Incredibile.
Se fosse stata in camera sua, sicuramente, avrebbe passato le ore a fissare il loro poster, chiedendosi se tutto quello era la vita reale. Certo che lo era, anche se continuava ancora a sembrare un filmetto americano prodotto per adolescenti con problemi di acne e l’apparecchio sui denti storti.

Le persone speciali come te devono avere dei posti speciali ai nostri concerti!
Surreale. Incomprensibile e fuori dal mondo.
Speciali come.. gli  miei amici.
Amici...

“Amici...”, ripetè, sottovoce, come se fosse stata una parola magica di cui non si conosceva l’incantesimo che evocava.
Vicino a lei, nella parete di fronte, un lungo specchio fissato al muro che rifletteva la sua immagine stupita. Si fece la linguaccia, poi sorrise a se stessa.
La gente era amica degli altri, non di lei.

Dougie Poynter è tuo amico.
Quello che per gli altri era una banalità assurda, per lei non lo era affatto. Poteva sembrare stupido, tutti al mondo aveva un amico su cui contare, con cui uscire e confidarsi. Ma non lei.
Era così strano averne trovato uno. 
Le veniva da storcere il naso, ma era la realtà, Dougie Poynter era suo amico. Lo aveva detto lui stesso.
Era ancora tutto troppo fresco per riuscire a razionalizzare, avrebbe fatto meglio ad andarsene a letto ed ascoltare i consigli della notte. Si sedette su di esso, si tolse le pantofole ed entrò sotto al morbido piumone d’oca, che la riscaldò in un attimo.

 

 

Era lui.
“Doug?”, chiese ancora una volta.
Dougie sospirò e si voltò, a testa bassa.

 “Che fai?”, gli domandò.
“Beh... io...”, balbettò Dougie, “Sono sceso a prendere qualcosa da bere.”
Danny annuì.
“Vestito di tutto punto?”, fece, incredulo.
“Perchè no?”, ribattè Dougie.
“Tu... che sei sceso per tre mattine di fila a fare colazione in pigiama?!?”, continuò Danny, “Dove sei stato?”
Era certamente uscito, non aveva avuto nessun mal di pancia e stava tornando proprio in quel momento. Aveva mentito, lui se n’era andato per fatti suoi. Perchè?

Ah già...
“A fare un giro per fatti miei, dopo che mi è passato il mal di pancia.”, disse Dougie, con risoluzione, “Avevo bisogno d’aria e sono  uscito. Basta.”
Danny si grattò la testa. Non era un stupido, aveva capito che era stato da lei.
Ma perchè farlo di nascosto?
“Andiamo Doug, non dire cazzate.”, gli fece, mantenendo un tono basso per l’ora tarda e il rischio di svegliare qualche ospite.
Il suo amico sbuffò e scosse la testa.
“Senti, Danny, sono stanco, vorrei andare a letto.”, disse poi, infilando la sua tessera nella fessura della porta.
“Ok.”, gli rispose.
Girò sui tacchi e andò verso la sua stanza, a qualche metro da lì. Erano tornati circa dieci minuti prima, dopo un paio di birre in un locale squallido. Com’era possibile che in tutta quella città non ci fosse qualche posto carino in cui passare le serate? Forse erano loro che non erano stati capaci di scovarli? Decisamente sì, altrimenti sarebbe stato incredibile.
Se Doug non si fosse sentito male, avrebbe colto l’occasione per scusarsi con lui, fare pace e buttarsi quella cazzata alle spalle. Ora, invece, se ne stava sdraiato sul letto a chiedersi perchè aveva mentito a tutti loro. Era indubbio che a Dougie piacesse Joanna e fosse andato da lei di nascosto, o non avrebbe mai fatto una cosa del genere. La cosa non lo disturbava, se non un poco. Beh, anche a lui piaceva quella ragazza, ma mai sarebbe arrivato a fingersi malato per vederla.
Si tolse le scarpe, la camicia ed i pantaloni, rimanendo in boxer e t-shirt, faceva sempre dannatamente caldo in quella stanza d’albergo. Si buttò di nuovo a peso morto sul materasso, rimbalzando, e si mise le mani dietro la testa in riflessione.
Era fuori discussione, stavano dando troppa importanza ad una cosa che non ne aveva molta. Ok, avevano litigato ma era già successo moltissime altre volte e tutto si era sempre sistemato nel giro di poco tempo. Avrebbe voluto scendere dal letto ed andare e scusarsi in quel momento, in mutande, ma non lo avrebbe fatto. Perchè?
Perchè lui se n’era andato da lei senza dirglielo, ecco perchè! S’era nascosto come un cane, quando avrebbe potuto benissimo chiedergli se poteva farsi da parte perchè a lui, Dougie Poynter, evidentemente, Joanna piaceva molto di pìù rispetto a lui stesso, Danny Jones.
Sentì bussare alla porta, doveva essere Tom. Prima di entrare nelle loro rispettive stanze aveva farfugliato qualcosa ed capito solo ‘ci vediamo dopo.’
Si alzò ed andò ad aprire.
“Ah...”, fece, vedendo Doug a testa bassa, davanti a lui. E adesso cosa voleva da lui? Litigare a notte fonda?
“Senti...”, disse l’altro, “Devo dirti una cosa...”
Danny rimase per qualche secondo perplesso, ma si spostò dall’entrata e lo fece passare. L’amico si sedette a cavalcioni sull’angolo del letto, Danny liberò dai suoi vestiti la sedia che stava vicino allo specchio e si accomodò di fronte a lui.
“Cosa vuoi dirmi?”, gli fece. Mantenne la calma, lasciò i toni polemici al momento appropriato.
“Beh... uhm... dovresti chiamarla.”, disse Dougie, dopo una sonora grattata di testa e una certa incertezza.
Danny si fece ancora più incredulo.
“Cosa?”, esclamò.
Dougie appoggiò le braccia sulle gambe e strusciò le mani tra loro, annuendo.
“E... per quale motivo mi dici di farlo?”, gli chiese.
“Perchè... non se lo merita.”, rispose Dougie.
Non ci stava capendo più niente.
“Doug, non vedo il senso di tutto questo.”, gli disse.

 “Non se lo merita. Tutto qui.”, rispose l’altro.
Silenzio.
“Dan, non fare lo stronzo con lei.”, aggiunse ancora Dougie.
“Poynter, ascoltami, non ci sto capendo un cazzo.”, protestò Danny, “Lo so che a te Joanna piace... e molto più di quanto piaccia a me.”
“Non è vero.”, negò ancora.
“Piantala.”, lo seccò Danny, “Piantala di dire stronzate.”
“Jones, prendi quel cazzo di telefono e chiamala.”, disse poi, indicando un punto imprecisato dietro alle sue spalle, per esortarlo.
“Perchè hai mentito e sei andato da lei, senza dirci niente?”, gli domandò provocatoriamente

 “Non è questo quello che importa.”, disse lui, “Tu chiamala e chiedile scusa per quello che hai fatto... tutto quello che le hai fatto.”
“No.”, si oppose Danny, “Ora mi devi dire perchè sei andato da lei di nascosto.”
Dougie sbuffò.
“Chiamala.”, ripetè.
Era deciso, irremovibile.
Danny lasciò la sua sedia, scuotendo la testa contrariato, e frugò nelle tasche dei suoi pantaloni. Prese il telefono e, raccogliendo dalle dita di Dougie il solito foglietto sul quale stava ancora scritto il messaggio di Joanna, compose il suo numero.
Nell’attesa, passeggiò stancamente nella stanza finchè non si sedette. La chiamata si stabilitì quasi istantaneamente ma ancora Joanna non rispondeva. Era mezzanotte e mezza passata, sicuramente la stava trascinando via dal mondo dei sogni.
Il rumore della porta che si chiudeva attirò la sua attenzione. Dougie se n’era andato.
Maledetto Poynter.
Miki... cosa vuoi...”, disse un’italiana impastata, dall’altro capo della linea.

 “Joanna? Sei tu?”, le domandò. Sì che era lei, ma era tanto per accertarsene.
Ma... chi è...”, perseverò lei nella sua lingua madre.
Era nel pieno sonno.
“Ehm... sono io, Danny...”, le disse, mordendosi il labbro inferiore.

Danny...”, mormorò Joanna, “Ma è tardi...
“Sì, lo so, mancano esattamente...”, allontanò il cellulare dall’orecchio, “Dieci minuti all’una.”
Eh... stavo dormendo...”, e sbadigliò.
“Scusami, è che...”, si trattenne dal dare la colpa a Dougie.
Non...”, sbadigliò, “Un’altra volta?

 “Hai ragione, ma non avremo molto tempo nei prossimi due giorni... e sabato partiamo.”, le spiegò.
Uhm... ok...”, disse Joanna.
Che cosa doveva dirle? Che si scusava per il bacio, oppure per aver insistito nel volerle dare una mano quando lei ne aveva avuto bisogno? Perchè si doveva far perdonare da lei? Non lo aveva ancora afferrato.
Danny?”, lo chiamò lei.
“Oh sì, scusami.”, le disse, “E’ che... stavo pensando...”
Non sapeva cosa dirle.
Senti...”, lo anticipò Joanna, “So che ho sbagliato a trattarti in quel modo... ma tu non mi hai dato scelta.
“Joanna, io volevo solo aiutarti!”
Lo so!”, disse lei, “Lo so benissimo ma... non desideravo il tuo aiuto...
“Ah...”, riuscì a dire, “E... perchè?”
Perchè...”, disse Joanna, “E’ troppo complicato... da spiegare. E non voglio farlo adesso. Come faccio a fartelo capire...
“Beh... Non ti preoccupare, ti capisco...”
Allora era davvero lui che doveva farsi perdonare. Non lei...
“Ti chiedo scusa.”, le disse, “Pensavo che tu avessi avuto bisogno di me.”
Beh... io avevo bisogno di qualcuno, è vero... ma non di te...”, gli rispose Joanna, “Credimi Danny,”, sbadigliò ancora, “Ho apprezzato che tu ti sia offerto... Davvero...
“Mi consolerò con questo.”, le disse, con tono ironico. La sentì ridere piano. “Ehm... Devo scusarmi anche per non averti richiamato, non è stato carino da parte mia..”
Non ti... preoccupare.”, rispose Joanna, tra uno sospiro assonnato e l’altro.
“Non vorrei che tu pensassi che io sia... uno stronzo, ecco.”
Lascia stare...
“Insomma, non è da me comportarmi così.”, continuò a dirle, visto che ormai era entrato in argomento, “Forse penserai che sono il tipo che si diverte con le ragazze ma...”
Sì, si divertiva eccome, ed anche tanto, ma non era tanto un tipo da... una botta e via. Non disdegnava assolutamente questo genere di relazioni, ma non era il Don Giovanni che si credeva... e che lui aveva fatto credere. Prima di tutto, il rispetto verso il prossimo, era questo quello che aveva imparato davvero dalla vita.
“Se do un bacio, un motivo c’è sempre.”, disse, infine.
Dall’altra parte della chiamata, sentì un borbottio soffuso.
“Little Joanna?”, la chiamò, “Ci sei ancora?”
Niente, solo il suo respiro leggero.
Danny chiuse la chiamata sorridendo.

Si è addormentata.


Ok, parto subito con le scuse personali: rileggendolo, questo capitolo mi sa un po' di soap opera... Sì, non ne sono affatto soddisfatta. Per niente, ma ormai è venuto fuori così e, nonostante i taglia e cuci che ho fatto durante la correzione, non ne sono comunque contenta. Beh, spero che non mi ucciderete ^^

Date veramente un ascolto veloce alla canzone che dà il titolo a questo capitolo, cliccando sul titolo stesso... Questa canzone, She Falls Asleep, è realmente divisa in due parti: la prima, la suddetta, è la parte strumentale, di introduzione alla seconda... Ed infatti ci sarà un altro capitolo, molto più in là, che si intitolerà She Falls Asleep Part Two ^^ Coerenza fino in fondo!
Dicevo, date un ascolto... è veramente bella. Sarà che a me piace il pianoforte in tutte le salse, non a caso la mia 'canzone' preferita è la sonata al chiaro di luna di Beethoven. ^^
Ma presto con i ringraziamenti!


Kit2007: eheheh, spero che matematica non ti abbia sotterrato per la sua difficoltà ^^ e non ho chiamato la neuro stavolta, ma la prossima lo farò! Vediamo cosa mi dici di questo capitolo... sono proprio curiosa!

CowgirlSara: ti sei ripresa dalla storiaccia? Spero di sì, ho troppa voglia di fare una classifica per il tuo capitolo ^^ Non ti chiederò mai per quale coppia tifare perchè, come piace a me da sempre, fino alla fine della storia non si saprà mai cosa succede tra Joannina e il masculo di turno... Eheheh, vabbè che sto capitolo è un po' troppo risolutivo per certi aspetti... ma non ti credere che la mia mentaccia malefica non ribolla qualcosa... Ormai mi conosci!

Princess: Oh meine Liebe! Nella furia dei preparativi del nostro matrimonio, ho trovato il tempo per darti un nuovo capitolo! Spero non cambierai idea su di me, oh meine Liebe XDDDD E come sempre hai colto i momenti fondamentali della storia, non ne hai mancato nemmeno uno. Hai sottolineato tutto il sottolineabile, o meglio, tutto quello che nel capitolo è stato un indizio importante... E spero che il cambiamento di Dougie non sia stato così incomprensibile... ma soprattutto ingiustificabile. Prometto che la sua posizione si approfondità ulteriormente!

Ciribiricoccola: Altolà Passoide! So cosa stai pensando di Dougie, lo so, lo so. Adesso calmati, posa l'ascia di guerra e rifletti con me... Dougie è tanto dolce e caro, Dougie è tanto dolce e caro...

Picchia: Baciamo... So già che sarai perplessa dopo questo capitolo... Avanti, esponimi tutti i tuo dubbi!

Lady Vibeke: MS! Hai capito tante cose rimaste in sordina alle altre... come sempre, tu e l'altra Paola mi stupite nelle vostre recensioni! Mi raccomando, non ti far sotterrare dagli impegni, torna ogni tanto su msn! Ci manchi!!!

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Capitolo 14
*** The Guy Who Turned Her Down ***


14. The Guy Who Turned Her Down

 

 

Al suono del telefono il suo corpo schizzò violentemente, facendolo svegliare di soprassalto. Subito, un ago invisibile gli penetrò la testa da parte a parte e lo costrinse a portarsi la mano sulle tempie per cercare di alleviare il dolore.
Guardò l’ora sullo schermo del suo telefono. Le otto  e mezza.

Troppo presto...
Intanto, il telefono della stanza continuava a squillare. Alzò la cornetta e, in un attimo, la fece ricadere senza ascoltare il messaggio di cortesia con cui la reception lo aveva scaraventato giù dal mondo dei sogni. Con riluttanza, allungò braccia e gambe, stirando i muscoli e sbadigliando vistosamente. Si mise in piedi con una notevole difficoltà e, barcollando, con gli occhi ancora chiusi, si infilò sotto la doccia.
Gli ci volle mezzora prima di uscire dalla sua stanza, con il cappellino calato sugli occhi ancora rossi per la stanchezza. Sapeva che la t-shirt verdastra che indossava era stropicciata ed aveva bisogno di una bella stirata, ma non gliene fregava un emerito cazzo. A mani in tasca e spalle alte, in cui nascondere la testa come una tartaruga scoglionata, andò in sala colazione. Gli altri tre stavano ridendo davanti ai loro caffè, i piatti che contenevano la loro colazione erano già stati spolverati, rimanevano solo poche briciole.
“Giorno Doug!”, lo salutò Harry.
“Che faccia che hai...”, sottolineò subito Tom.
“Beh, si è sentito male ieri sera...”, aggiunse Danny.
Dougie scrutò la faccia dell’amico chitarrista, cercando il segno del sarcasmo che aveva percepito nelle sue parole. Non ne trovò una minima traccia.
“Non è vero, Doug?”, insistette Danny, guardandolo in attesa.
“Beh... sì, non ho dormito... tanto bene e mi faceva male la pancia.”, disse lui, sedendosi. Voltò il cappellino, incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la testa sopra.
“Ti porto qualcosa?”, si propose Tom, “Che so... un the?”
“No, grazie.”, bofonchiò Dougie, “Non ho fame.”
“Ti conviene mangiare qualcosa.”, gli consigliò Harry, “Tra poco arriveranno tutti gli altri, dobbiamo metterci al lavoro e sicuramente ne avremo fino a stasera.”
“Davvero... sto bene così.”, ripetè, scocciato.
Gli occhi, premuti contro le braccia incrociate, non erano capaci di vedere i suoi tre amici guardarsi in cerca di risposte nelle facce altrui, ma sapeva benissimo che lo stavano facendo.
“Siamo già in ritardo.”, disse Danny, “Dovremmo andare...”
Era una frase senza evidente soggetto, ma era certamente implicita ed indirizzata a lui.
“Ok.”, fece, sollevando la testa ed annuendo, anche se il dolore alle tempie non gli avrebbe permesso di farlo.
Si alzarono e, uno dietro l’altro, uscirono dalla sala da pranzo. Usciti fuori dall’ascensore, ognuno tornò nella propria camera per raccogliere le cose necessarie per la giornata. Avrebbero aspettato seduti nella hall, dove alle nove il loro manager e tutta la baracca avrebbe occupato l’hotel.
Prima che la carta magnetica, passata nella fessura, avesse aperto la serratura automatica della porta della sua stanza, Danny gli si avvicinò, chiedendogli se gli poteva parlare. Non ne aveva assolutamente voglia, aveva troppo mal di testa, ma acconsentì lo stesso.
“Beh, grazie per ieri sera.”, esordì Danny, incrociate le braccia ed appoggiatosi all’angolo della stanza del bagno, “Ho capito un paio di cose.”
“E quali...”, gli fece stancamente, mentre Dougie si infilava nella toilette per lavarsi i denti.
“Quella più importante è che mi dovevo scusare con Joanna.”, disse Danny.
“Già.”, disse, mentre spremeva con cura il dentifricio sullo spazzolino.
“E l’altra è che... che ho capito di non aver capito dove vuoi arrivare.”, continuò Danny.
“Cosa?”, farfugliò, mentre si spazzolava i denti.
“Doug, te l’ho già detto ieri, piantala di continuare a negare che Joanna non ti piaccia.”, gli fece, “Vorrei che ti chiarissi.”
La risposta tardò ad arrivare, doveva finire di sciacquarsi la bocca. Dette un’ultima spazzolata e, dopo aver riposto tutto ed essersi asciugato il viso, si dedicò a lui.
“Cosa dovrei chiarire?”, gli domandò retoricamente.
Danny sbuffò.
“Dimmi che ti piace.”, insistette Danny.
Allora non aveva proprio capito un cazzo. Non era una questione tra Poynter e Jones, non più.
“Senti Dan...”, gli fece, “Smetti di fare domande.”
Danny era rimasto perplesso.
“E questo cosa c’entra?”, chiese poi.
Dougie scosse la testa ed andò a prendere il proprio cappotto, uscì dalla stanza senza rispondere ai suoi interrogativi.
 

 

Si svegliò più o meno alla medesima ora di sempre ma dovette sbrigarsi per essere pronta ad uscire insieme ad Arianna. Si stupì della vitalità del suo capo, che immaginava appena sveglia in aspetto da zombie . Lei, al suo confronto, era di una lentezza mastodontica; Arianna, invece, sembrava un’indemoniata, e si incipriava il naso con la fetta biscottata tra i denti. Non ebbero tempo di parlare, soprattutto per via della velocità supersonica con cui la donna si spostava da una stanza all’altra, lasciando una scia di fumo e polvere ad ogni suo passaggio. Il momento arrivò una volta che le portiere della macchina vennero chiuse.
“Cosa è successo! Particolari, adesso.”, pretese Arianna, mentre faceva avviare il motore.
 “Beh...”, Joanna arrossì, “Abbiamo parlato tanto.”
“E basta?”, sbottò l’altra, “Era l’ultima cosa che pensavo avreste fatto, è stato per questo che sono andata a letto!”
“Arianna!”, la richiamò la ragazza, “Siamo amici!”
Di nuovo, si sentì strana nel pronunciare quella parola.
“Sì, ovviamente...”, fece l’altra, sbuffando, “Va bene, se ne siete convinti.”
“Certo che lo siamo!”, protestò ridendo, “E smettila di insinuare queste cose!”
“Come vuoi... Piuttosto, cosa vi siete detti?”, le domandò, “Se posso sapere...”, aggiunse dopo aver intuito il suo sguardo imbarazzato.
“Tante cose.”, rimase sul vago.
“Capito... ti ha chiesto di uscire ancora?”
“Sì, forse stasera.”
“Allora gli piaci.”, aggiunse Arianna prontamente, “E piaci anche a Danny, senti che bel casino.”
“Arianna, davvero, smettila...”, le fece, realmente infastidita, “Non è vero.”
“Ok, va bene.”, disse la donna, rispettando la sua volontà, “Comunque... uscirai con lui vero?”
“Loro...”, precisò Joanna, “Comunque sì.”
“E andrai anche al loro concerto?”
“Sì.”, aggiunse Joanna, pregando che quella sarebbe stata l’ultima domanda.
Le era passata la voglia di parlare e si sentiva già di malumore. Non era così suscettibile, di solito, ma alla mattina non era sempre così facile mantenere il buonumore con cui si svegliava spesso.
 

 

Se avesse potuto ficcare le  bacchette nel culo di entrambi, lo avrebbe fatto, e con molto piacere, ma ci teneva alle sue cose e non lo avrebbe fatto. Però, avrebbe anche potuto prendere le teste di entrambi e sbatterle violentemente contro il muro. Sì, quella era una soluzione accettabile.
Erano le quattro del pomeriggio ed avevano passato tutta la giornata dentro a quel palazzetto a provare le luci, i tempi della musica, gli stacchi... insomma, tutte quelle cose che, messe l’una accanto all’altra, componevano un concerto coi fiocchi e i controfiocchi. Tutto il loro grande circo era lì, dentro a quelle mura circolari, ed ognuno si stava occupando del proprio lavoro, sistematicamente di fretta come sempre. Il luogo in cui si sarebbe svolto il concerto non era molto grande, anzi, gli sembrava uno dei più piccoli in cui avevano suonato da un bel periodo a quella parte, ma era più che accettabile, lì in Italia i loro fans non erano numerosi come altrove. Addirittura non sapeva nemmeno di fronte a quante persone avrebbero suonato... Mille? Duemila? Nessuno? Eppure la petizione che era arrivata alla loro casa discografica era stata firmata da tantissime persone...
Beh, non era quello il massimo problema per quel momento. 
Di nuovo, le mani iniziarono a fremergli così tanto che prese a sfregarle, piuttosto che piantarle sulla faccia di quei due deficienti. Per esserne ancora più certo, se le infilò in tasca. La patetica situazione era palese agli occhi di tutti, ma le domande si limitarono a semplici richieste di spiegazione da parte del loro manager, che si accontentò di accettare la scusa del ‘si sono alzati male’, benché non fosse del tutto convincente. Era decisamente necessario che quei due capissero quanto fossero miserabili, ma da chi poteva iniziare? Da Danny o da Dougie?
Rovistò nelle tasche e tirò fuori una moneta gialla.
“Testa: Danny. Croce: Dougie.”, borbottò sottovoce.
La lanciò, la moneta roteò sopra la sua testa. Allungò la mano per riprenderla ma le sue dita, di solito abbastanza agili per giochetti del genere, si scontrarono sul metallo e i centesimi volarono dritti sul pavimento, iniziando a roteare su se stessi.
“Bel lancio, Judd!”, lo prese in giro Freddy, uno dei tecnici del suono con cui erano stati insieme a Parigi.
Gli sorrise e fermò la moneta con la punta del piede.
Testa.
“Danny!”, chiamò ad alta voce, "Jones!"
“Che c’è?”, sbottò l’altro da dietro le quinte del palco.
“Mi dedicheresti cinque minuti del tuo prezioso tempo?”, gli domandò. Qualsiasi fosse stata la risposta, lo avrebbe preso per un orecchio e trascinato altrove. L’amico gli si avvicinò.
“Di cosa hai bisogno?”, gli chiese.
“Vieni, ti devo far vedere una cosa.”
Danny lo seguì senza fare storie, meglio così. Camminarono dietro le quinte, scesero nella zona dei camerini. Aprì una porta che recitava nella loro lingua la parola ospiti e, dopo averlo fatto gentilmente passare, la richiuse dietro di sè.
“Cosa devi farmi vedere qua dentro?”, sbuffò Danny ridendo, “Per caso è qualcosa di sessualmente esplicito?”
“No.”, gli rispose, con aria seria che sembrò prenderlo in contropiede.
Si sedettero l’uno di fronte all’altro sui comodi divanetti.
“Ho capito.”, disse Danny, “Vuoi farmi ancora la predica? Perchè se è così me ne vado, non ho niente di cui giustificarmi.”
“No, adesso rimani, perchè sono io che devo capire.”, disse Harry.
Appoggiò i gomiti sulle gambe, protendendosi in avanti, mentre Danny sbuffava vistosamente, incrociando le braccia e scuotendo la testa.
“Cosa è successo con Dougie?”, gli domandò, “Vi sembra il caso di continuare oltre?”
“Dacci del tempo che sistemiamo la cosa, ok?”, rispose Danny, “Anche io non capisco cosa sia davvero successo.”
Harry alzò un sopracciglio.
 “Ieri sera... ”, disse l’altro, “Poco dopo il nostro ritorno è venuto da me. E mi ha costretto a chiamarla.”
Harry strabuzzò gli occhi.

Cosa, cosa, cosa?!?
“Cosa, cosa, cosa?!?”, esclamò, incredulo, “E perchè avrebbe dovuto farlo?”
“E che ne so!”, protestò Danny, “Fatto sta che l’ho chiamata... e ho colto l’occasione per scusarmi per l’altra sera.”
“Fatto bene.”, gli disse, rincuorato, “E lei?”
“Beh... era abbastanza tardi, e lei abbastanza addormentata... ma ha capito.”
“Le hai detto che è meglio finirla con tutta questa storia?”, chiese, per accertarsene.
Danny scosse la testa.
“Judd, tu la stai prendendo troppo sul serio.”, gli fece poi il chitarrista, “Non sta succedendo niente di male!”
Harry scosse la testa. Ma proprio non voleva capire? Era così ottuso da non arrivarci? Eppure gliene aveva già parlato, ma forse era stato troppo sul vago, doveva essere più diretto.
“Comunque, visto che ci tieni tanto, stasera le parlerò a quattro occhi.”, disse Danny, contrariato dalle sue stesse parole.
“Stasera?”, sbottò Harry.
“Sì... lo staff ha voluto organizzare una serata in un ristorante. Ho consigliato loro un posto ed hanno già prenotato; se Joanna vorrà, si unirà.”, gli spiegò Danny, “Altrimenti farò in altro modo.”

Meglio di niente.
“Va bene oppure tu hai una soluzione migliore?”, riprese Danny, provocatoriamente.
“No, figurati.”, disse Harry, alzando le spalle indifferentemente, “Anche se non sono molto d’accordo con il farla venire alla cena.”
“Perchè?”, chiese Danny, “Non la faremo sentire fuori luogo.”
“Va bene, come vuoi tu.”
“La confessione è finita?”, scherzò Danny, anche se il suo tono non era poi così tanto ironico.
“Oh sì, vai pure in pace figliolo.”, rispose.
“Vuoi che scovi Poynter?”
“Molto volentieri.”
Danny abbozzò un sorriso ed uscì.
Ora c’era bisogno della cosiddetta prova schiacciante. Si era fatto un’idea di che cosa fosse veramente accaduto nelle menti di entrambi i suoi amici, ma c’era ancora la necessità di una dimostrazione reale.
“Mi ha detto Danny che cercavi me.”, disse Dougie, affacciandosi dopo qualche minuto alla porta.
“Oh sì.”, gli fece, con un cenno di accomodarsi di fronte a lui
Ormai era lo psicologo di tutti.
“Che c’è?”, gli chiese Dougie, dopo che si fu seduto.
“Senti...”, iniziò, mordendosi il labbro e facendo ciondolare il piede accavallato sull’altra gamba, mentre il bracco sinistro era comodo sul bracciolo del divano. Quanto si sentiva professionale! “Ti ho visto un po’ strano...”
“Va bene.”, fece l’altro, alzandosi scocciato.
Prontamente lo imitò e, poggiando una ferma mano sulla sua spalla, lo volle invitare a sedersi di nuovo, aggiungendo anche uno sguardo convinto ma, in fondo, amichevole.
“Non ho niente da dire.”, affermò Dougie.
“Ti sto accusando?”, gli chiese retoricamente, “Mi sembra di no, voglio solo che tu mi faccia capire cosa è successo. Magari posso aiutarti a risolvere l’attrito che c’è con Danny.”
“Non c’è nessun attrito, come lo chiami tu.”, rispose Dougie, “Stamattina mi sono semplicemente svegliato col culo di traverso.”
“Va bene, ma ci sarà un motivo per questo?”
“No... non ti capita mai, Judd, di essere di malumore di prima mattina?”
Harry riflettè.
“Praticamente sempre.”, rispose, colto in fallo.
“Ecco.”, concluse Dougie.
Fece per andarsene, Harry lo riprese a parole.
“Danny mi ha detto della telefonata.”, gli disse.
Dougie abbassò gli occhi, fermandosi.

“Perchè?”, gli domandò, lasciando che lui commentasse il commentabile.
“Perchè era giusto che lo facesse.”, bofonchiò, contro voglia, “Si doveva scusare con lei... di tutto.”
“Di tutto cosa?”
“Della scenata... e anche del bacio.”

Un momento...
“Del bacio?”, gli chiese.
“Sì...”
“E perchè?”
“Ha senso prenderla in giro ancora?”, fece Dougie, “No, non ha senso, non è giusto. Lei ci starebbe male e basta.”
Stava per piangere dalla commozione. Avrebbe voluto stendersi a terra e pregare come i musulmani, ringraziando Dio con tutti quei gargarismi vocali tipici di quella religione. Ma cercò di trattenere la soddisfazione trovata nelle parole di Dougie. Aveva capito che non ne valeva la pena, o meglio che, come aveva detto lui stesso, non era giusto farla soffrire. Joanna doveva essere una ragazza decisamente sensibile e non era il caso di mettersi a fare stupidi giochetti con lei. Non era la classica fan ventenne oca giuliva che si prostrava ai loro piedi... Non era affatto una groupie.
Contava sul fatto che non si fosse fatta troppi viaggi mentali. Odiava deludere le persone, soprattutto quando aveva una stima nei loro confronti. Sì, perchè in fin dei conti la stimava. Non doveva essere facile vivere con un fratello come il suo, che la torturava in quel modo. Doveva avere un bel caratterino, sotto tutta quella montagna di timidezza, anche più forte di quanto dava a vedersi. Ancora era del tutto irritato dal fatto che lei avesse nascosto questo muscoloso dettaglio della sua vita, ma stava iniziando a sospettare che ci fosse qualcosa di più.
“Sono felice che tu lo abbia capito.”, disse a Dougie, sorridendogli soddisfatto.
“Vallo a mettere in testa a Danny.”, sbotto lui, stropicciandosi un occhio.
“Forse ci sta arrivando...”, gli riferì, “Ma fatto sta che la vuole invitare stasera a cena con tutti noi e la troupe.”
La faccia di Dougie fu eloquente.
“No, non può farlo.”, disse lui.
Harry annuì.
“Non vedo l’ora di tornarmene a casa.”, esclamò Dougie, alzandosi dal divano e sparendo dietro alla porta.
Di nuovo rimase sorpreso dal suo comportamento, ancora più di prima. Dougie era passato dal difenderla ad oltranza all’abbandonarla completamente.
Anche questo era strano.

Molto strano.

 

Il locale era vuoto già prima della fine della giornata. Joanna se ne stava seduta dietro ad uno dei tanti tavoli contornati dai divanetti rossi, mangiucchiando un muffin alla cioccolata insieme ad un succo fresco d’arancia. Leggeva una rivista dimenticata da qualche cliente sbadato e si era soffermata su un articolo qualsiasi, in cui si parlava della passata moda del colore verde. Peccato, pensava Joanna, alla quale quel colore piaceva molto.
“Jo!”, la chiamò Miki dalla cucina, “Sento il tuo telefono squillare!”
“Ok!”, gli rispose.
La guerriglia continuava a protrarsi nei giorni. Miki la ignorava e lei faceva altrettanto, occhio per occhio. Non le interessava la pacificazione, almeno finchè lui non le avesse chiesto scusa, ma sembrava troppo orgoglioso per farlo e lei continuava oltre nella sua vita. Sarebbe rimasta solo un altro paio di giorni da Arianna, dopo di che sarebbe tornata a casa, anche se non avrebbe voluto farlo. Era veramente stufa...
“Jo!”, la richiamò suo fratello.
“Sì...”, fece stancamente.
Lasciò la sua merenda ed andò nello spogliatoio, in cerca del cellulare nella borsa. Vide la stessa lunga serie di numeri sconosciti, appena un attimo prima che l’immagine sullo schermo del telefono si trasformasse in ‘chiamata senza risposta’.
Lo portò con sé nel locale. Arianna, che per tutto il giorno non era più entrata in argomento, le lesse negli occhi quello che doveva fare.
“Miki, mi daresti una mano in magazzino?”, gli chiese la donna, affacciandosi alla finestrella dietro al bancone, “Devo vedere cosa manca.”
“Un attimo solo.”, disse lui.
Una volta che entrambi furono spariti dentro alla dispensiera dello Strictly English, Joanna riavviò la chiamata ed attese. Dopo qualche squillo andato a vuoto, un grande frastuono di musica e risate anticipò la voce di Danny.
Little Joanna!”, esclamò, mentre il casino si attenuava, “Come stai? Ripresa dal sonno?
“Beh... direi di sì.”, fece, con tono perplesso.
Scusami ancora per la chiamata di stanotte, non volevo svegliarti! Ti sei addormentata mentre parlavi!”, gli ricordò Danny, dopo aver placato la risata.
“Figurati, perdona me che invece ho russato al telefono!”, disse lei, avvampando.
La chiamata notturna era stata come un colpo di pistola in mezzo alla folla. L’aveva colta totalmente di sorpresa e si ricordava ben poco di quello che si erano detti. Danny si era scusato con lei, che aveva poi ricambiato. Per il resto...
Nessun rumore del genere!”, esclamò Danny, tornando a ridere, “Volevo chiederti una cosa, disturbo per caso?
“Oh no, non ti preoccupare, parla pure.”, gli fece.
Dougie le aveva detto che volevano invitarla ad uscire anche quella sera stessa e,
molto probabilmente, se l’era presa Danny la briga di chiamarla.
Stasera non hai impegni vero?”, le domandò.
“No, sono libera.”
Libera da tutti?
“Sì.”, disse, allungando quel monosillabo ironicamente.
Perfetto! Ti ricordi il ristorante greco che ci avevi consigliato?
“Certamente.”
Ecco, stasera siamo tutti là a far casino!”, esclamò lui, “Ti unisci vero?
Joanna, in sottofondo, sentì un coro di fischi e di urla varie.
“Molto volentieri!”, esclamò lei, contenta, “A che ora devo venire?”
Verso le sette. Ti va bene? E’ troppo presto? Voi italiani mangiate così tardi!”, fece lui.
“Certo che va bene.”, gli disse, passandosi una mano dietro al collo lievemente dolorante.
Perfetto... allora ci vediamo lì stasera!
“A stasera!”, e chiuse la chiamata.
Se non errava, durante il venerdì sera al Zeus, il ristorante greco che aveva consigliato loro, facevano spettacolini musicali tipici di quella nazione, mentre la gente ballava contenta... O forse era il sabato?
Ripose il cellulare in tasca e andò verso il magazzino, dove suo fratello ed Arianna continuavano la fasulla lista della spesa.
“Lascia fare, Miki, le do una mano io.”, gli disse Joanna.
Lui lasciò la sua temporanea mansione.
“Chi era?”, domandò prontamente Arianna.
“Danny.”, le riferì, “Mi hanno invitata stasera a cena fuori con loro.”
“Interessante!”, esclamò la donna, “So già cosa farti indossare!”
“Certo.”, rispose Joanna, sorridendole.
“E su!”, le disse, “Un po’ di entusiasmo!”
Ovvio che era entusiasta, anche se il trovarsi di nuovo faccia  a faccia con Danny un po’ la metteva in imbarazzo. Aveva già accantonato la figuretta della telefonata notturna, che aveva completamente cancellato dalla memoria. Forse il suo cervello mezzo addormentato l’aveva interpretata come un sogno e lei, che non ne ricordava mai uno, l’aveva dimenticata.
Ma non era quello il ‘problema’... era che comunque ancora pensava a quel bacio e non sapeva come interpretarlo correttamente, anche se pensava di esserci arrivata molto vicina quando aveva cercato di razionalizzarlo, la sera stessa in cui era accaduto. Ne era quasi certa, non significava molto. 

 

Quel ristorante si trovava in pieno centro: le auto erano obbligate a rimanere al di fuori di esso, a meno che non fossero state autorizzate, ed Arianna non aveva nessuna concessione del genere. La salutò che non era nemmeno lontanamente vicina al ristorante, e dovette farsi un bel pezzo di strada sul cosiddetto motopiede per raggiungerlo. I vestiti che indossava erano sempre del suo capo, non aveva preso niente da casa che potesse essere accettabile per una serata in compagnia, e tutto sommato non erano tanto diversi da quelli portati il martedì passato. Da ragazza qual era, pregò che nessuno se ne accorgesse.
Dopo che ebbe svoltato in uno dei tanti vicoli, individuò il ristorante a una cinquantina di metri da lei. Fuori dalla sua porta, sostava Harry, con una sigaretta tra le dita. Lui la osservò arrivare.
“Ciao.”, le disse, quando fu abbastanza vicina da sentirlo.
“Ciao... Come va?”, gli chiese, insicura dell’atteggiamento lievemente annoiato del ragazzo.
“Piuttosto bene.”, le rispose, “Gli altri sono dentro.”
Ecco, lui non la sopportava, voleva altri indizi a proposito?
“Ok.”, gli rispose, avvicinandosi alla porta.
“E a te come va, Jojo?”, le domandò lui, un attimo prima che potesse aprirla.
“Beh... bene.”. rispose lei, voltandosi per studiarlo.
Lui le sorrise.
“Vai che ti aspettano.”, le fece. Ricambiò il sorriso.

Mah...
Entrò nel ristorante sentendosi investire da un vociare altissimo di voci straniere. Le venne quasi da chiudere gli occhi per la paura ma non lo fece, bloccandosi ad osservare un lungo tavolo, che curvava geometricamente a forma di elle, occupato da almeno una ventina di persone. Gli unici che conosceva componevano la metà più uno dei membri dei McFly, seduti sul ramo più corto della lunga lettera.
Joanna sbarrò gli occhi. E gli altri chi erano?
“Jo!”, esclamò Tom, alzandosi e sbracciando per invitarla ad andare verso di loro.
Cosa? Chi erano tutte quelle persone?

Oh mio Dio...
“Little Joanna! Andiamo!”, lo seguì Danny.
Ecco, ci mancava altro che stessero aspettando solo lei. Tutti gli occhi le si erano puntati addosso e la stavano studiando: c’erano pochissime donne, ne contò solo quattro, il resto erano solo uomini, giovani e un po’ più adulti.
Un passo dopo l’altro raggiunse il tavolo.
“Vieni!”, le fece Danny, “Siediti qua!”
Il silenzio parve calare su tutti loro, Joanna avrebbe preferito teletrasportarsi su Marte. Danny le stava tenendo la sedia: il suo posto, tra lui e Tom a capotavola, si trovava di fronte ad un altro vuoto –presumibilmente di Harry- nonchè a Dougie, alla destra del batterista, di fronte a Danny.
“Hey! Sapete chi è questa ragazza?”, esclamò Tom, dopo aver picchiettato sul suo bicchiere per zittire i borbottii levatisi, “E’ la nostra prima fan italiana... cioè, è la prima che abbiamo conosciuto!”
Applausi e fischi di approvazione conclusero la sua rivelazione. Era inutile dire quanto Joanna pregasse che la scienza, in quel brevissimo lasso di tempo, avesse scoperto la smaterializzazione della molecola umana.
“Si chiama Joanna, non è una coincidenza?”, continuò Danny.
Corali esclamazioni stupite.
“E vive in un appartamento al terzo piano.”, aggiunse Tom, facendoli scoppiare a ridere, “L’abbiamo conosciuta nel locale dove lavora.”
“Benvenuta Joanna!”; “Piacere!”; “Mille di questi McFly!”, furono le frasi che sentì dire dai presenti, prima che tutti tornassero alle conversazioni interrotte dal suo arrivo.
Joanna si sedette, delusa dal mancato balzo in avanti della contemporanea scienza molecolare.
“Ciao...”, disse ai tre, “Non pensavo che... ci fossero tutte queste persone.”
“Mi sono dimenticato di dirtelo.”, disse Danny, alla sua destra, ridendo sornione.
“A dire il vero lo ha tenuto deliberatamente nascosto perchè pensava che non saresti venuta, se lo avessi saputo.”, aggiunse Tom, alla sua sinistra.
“Beh, tutti i torti non ce l’ha...”, disse Joanna, mentre cercava di togliersi il cappotto, benché se ne stesse seduta su dieci centimetri di orlo, rendendo il tutto più difficile. Ma piuttosto che alzarsi e attirare di nuovo l’attenzione, era pronta a tenerlo indosso tutta la sera.
“Questi sono alcuni dei membri della nostra baracca ambulante.”, spiegò Danny, la cui mano si era delicatamente posata sulla spalliera della sedia di Joanna.
“Mancano diversi soggetti,”, continuò a spiegare Tom, “ma quelli migliori sono tutti qua.”
“Te li presenteremo con l’andare della serata.”, le disse Danny.
“Sì, tanto non mi ricorderò mai tutti i loro nomi, anche se sembrano dei tipi simpatici.”, rispose lei, accomodando i capelli dietro le orecchie, dopo che fu riuscita a spogliarsi della giacca.
Le venne da guardare l’ultimo McFly, che ancora non aveva salutato. Dougie se ne stava appoggiato sul bordo del tavolo e giocherellava con una forchetta.
“Poynter!”, esclamò Tom, “Maleducato!”
Lui alzò gli occhi, la guardò solo di striscio e  biascicò un ciao stanco.

Ma cosa...
“Scusate un attimo.”, disse lui, si alzò e si allontanò.
Joanna cercò una risposta negli occhi di Tom, che alzò le spalle, poi si spostò su quelli di Danny.
“Giornataccia.”, disse lui.
“Ah...”, fece Joanna.
Giornataccia?
Non era scema.


Non ho particolari cose da dire tranne...  i ringraziamenti! Stavolta saranno abbastanza corti... non so più cosa dirvi ragazzuole, dite sempre tutto voi, ormai avete capito quasi tutte la psicologia dei personaggi! Non mi rimane altro che fare affidamento su serrate battute e colpi di scena mozzafiato... Ma questo capitolo non è la sceneggiatura di 007, quindi... XDD

Kit2007: Eheheh, per quanto riguarda le teorie, non dico nulla! Pensa ciò che vuoi, da questo capitolo in poi tutto è messo in discussione, te lo dico io!!! Suvvia, non dico altro, se non grazie! Ci sentiamo su msn!!!

_Princess_: oh mugliera mia, maine libe. Non so cosa dirti, dici già tutto tu! O forse sono io che il cervello insaponato... Mmmmh... mumble mumble, fammi penzare... 

CowgirlSara: MS! La sagra delle seghe mentali? XD Via, ho già pronto lo striscione da attaccare alla terrazza di casa mia, 1^ SAGRA DELLE SEGHE MENTALI, ospiti speciali: tutti i segaioli di questa sezione XDD

GodFather: Eheheh, la McFlyite è una malattia rara, non colpisce tutti, ha forme più virulente ed altre più calme... io sono stata stroncata in pieno, non mi salverò più.. tu? a che fase stai? io ho perso la via di casa! XD

Giuly Weasley: Mi inchino alle tue facoltà, al tuo intelletto ed alla bravura con cui svisceri ogni capitolo comprendendo a fondo ogni risvolto psicologico. Ormai dare una storia in mano a te è come dare un sogno a Freud: lo smontante e lo rimontate tutto insieme, senza scampo, e ci riuscite pure bene! Riesci sempre ad afferrare anche i significati nascosti degli atteggiamenti, delle parole e degli sguardi... Perchè non ti sei iscritta a psicologia! XDD Ci sentiamo bella!

Picchia: Vossignoria, porgo a voi le mie più umili scuse, mi prostro ai vostri piedi profumati e li bacio ripetutamente... smack smack smack... Ma lavarli no, eh? XD

Ciribiricoccola: Passoide! Accident'a'ttè e a quel grullo di Pasquale! Via, 'un ti dico altro! XD

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Capitolo 15
*** Silence is a Scary Sound ***


 

Si sentiva neutrale, come poche altre volte negli ultimi tempi. Aveva assistito a tutto con sguardo distaccato, senza giudicare, senza farsi un’idea, voleva arrivare al capitolo finale di quella farsa anglo-italiana che aveva vissuto da circa quattro giorni a quella parte. Aveva analizzato i suoi attori, le varie sceneggiature e regie, cercando di esaminarli asetticamente, senza imperfezioni dovute alla storpiatura del filtro mentale con cui le studiava. Si era sempre –o quasi- astenuto da commenti, prese di posizione o sottolineature varie, lasciando il campo libero agli altri.
Agli altri tre.
Lui, il quarto, se n’era rimasto debitamente fuori a fare la parte dello spettatore esterno ed afono. Voleva vedere in che modo tutto quello sarebbe evoluto e, poco prima di un’eventuale catastrofe finale, sarebbe intervenuto a schiaffeggiare tutti. In quel momento tutto quello che vedeva era: Joanna, seduta alla sua destra, tranquilla, sorridente e lievemente imbarazzata come sempre, come la sua natura. Accanto a lei Jones, che scherzava, sghignazzava, rideva grossolanamente e sparava cazzate come un’arma semi automatica. Dall’altra parte, invece, alla sinistra c’era Harry, un po’ scostante, quasi distratto, sorrideva e chiacchierava ma il suo atteggiamento era quasi forzato. 
Infine, la disgrazia umana. Doug. Avesse avuto un bastone di legno, lo avrebbe fatto stramazzare per terra. Anzi, gli sarebbe bastata semplicemente una chitarra di seconda mano, quella sì che faceva ancora più male. Solitamente il suo temperamento non era così aggressivo, ma l’atteggiamento di Dougie era veramente irritante, stupido, infantile, poco coerente, insensato e odioso. Non fosse stato Poynter, l’avrebbe preso a male parole, era anche fortunato. 
Lui, Tom, non voleva ancora provare a gestire la situazione, che era di per sè inconducibile fin dal principio. Davanti al piatto conclusivo della serata, un dolce greco chiamato non-so-che-cosa-sia-ma-è-buono-lo-mangio, cercava di capire se fosse stata veramente colpa sua oppure no. In fondo, era stato lui ad entrare nel locale e a portarci poi gli altri, accendendo una reazione a catena che aveva portato ad un Danny sovraeccitato, un Harry annoiato ed un Dougie... prossimamente vittima di un omicidio. Era sicuro che la povera Joanna, in mezzo a tutti loro, non si trovasse proprio a suo agio. Sempre da lettore straniato di quella assurda storia, l’aveva adocchiata diverse volte a guardare Dougie con espressione preoccupata, dispiaciuta, quasi colpevole. Non pareva interessarsi molto ad Harry, forse aveva capito che il loro batterista non l’aveva proprio in netta simpatia. Per quanto riguardava Danny, invece, sembrava sopportarlo egregiamente, accogliendo con buone parole i suoi tentativi di approccio. Non era stato troppo pesante, nè invadente, tutto sommato delicato, altrimenti lo avrebbe chiamato a rapporto, chiedendogli se poteva evitare di fare il marpione con lei davanti a Dougie.
Non sapeva interpretare con esattezza il motivo per cui Poynter fosse così attraente per i suoi le lame varie con cui farlo fuori. Era troppo semplice dire che tutto quello era riconducibile al bacio che c’era stato tra Danny e Joanna, ma era l’unica spiegazione plausibile per Tom. Almeno per il momento.
“Doug, mi passeresti l’acqua, per cortesia?”, gli domandò, cogliendolo totalmente fuori fase, mentre ascoltava passivamente una conversazione che si teneva tra Michael, Jim e Terry, tre dei quattro tecnici del suono con cui erano stati a Parigi.
Harry anticipò il bassista, allungando una mano e porgendogliela al posto suo.
“Grazie.”, disse educatamente e si versò l’acqua, riposando la bottiglia.
Bevve un sorso, sistemò il bicchiere al suo posto ed incrociò le mani, appoggiandovi sopra il mento. Doveva fare assolutamente qualcosa per attirare l’attenzione su di lei, che per il momento era monopolizzata da Danny. Approfittò di un attimo in cui il caro Jones fu distratto dalla necessità di dissetarsi.
“Jo, perchè non ci racconti qualcosa di te?”, le disse, posandole delicatamente una mano sul sua braccio, per richiamarla.
“Già, sappiamo pochissimo.”, colse subito al volo Harry.
Danny si zittì, Poynter parve lentamente interessarsi.
“Beh...”, disse lei, dopo un attimo di esitazione, “Molto volentieri. Cosa volete sapere?”
“Non so... come mai vivi con tuo fratello?”, sparò subito Tom. Poteva essere un buono spunto di conversazione; le poche volte che erano entrati con lei sul personale non erano mai andati oltre le poche parole, ed effettivamente potevano dire di sapere pochissime su Joanna.
“Perchè... volevo vivere da sola, ma la vita è un po’ proibitiva e così...”, disse lei, giocherellando con il tovagliolo.
“Com’è che si chiama tuo fratello?”, le domandò Harry.
“Michele, ma per tutti è Miki.”, rispose Joanna, tranquillamente.
“E perchè non si trova una moglie?”, sbottò subito il batterista, “Così magari lascia in pace la sorella!”
Risatine in sottofondo, made in Tom e Danny.
“Prova a chiederlo a lui.”, rispose Joanna sorridendo, schioccando un’altra freccia a suo favore, “Magari sarà più esaustivo di me.”
Harry alzò le mani, arrendendosi all’evidenza che Joanna, inaspettatamente, sembrava avere la lingua più lunga della sua.
“Ci avevi detto che avevi smesso con l’università.”, le fece Danny, “Come mai?”
“Non mi piaceva.”, rispose lei prontamente.
“Medicina, se non sbaglio.”, aggiunse Tom.
Joanna annuì.
“Non volevi diventare medico da bambina?”, le chiese Danny, ironicamente.
“No, da piccola volevo fare l’astronauta.”, rispose Joanna sorridendo, “Ne ero convintissima.”
“Anche Dougie voleva diventarlo.”, buttò l’amo Tom, provando a fare il burattinaio della situazione e lasciando carta bianca all’amico bassista.
“Davvero?”, gli fece Joanna, spostandosi poi su Dougie.
Lui rispose con un cenno di testa, deviando gli occhi altrove. Prima che la conversazione morisse e che qualsiasi espressione apparisse sul volto di Joanna, Harry la recuperò.
“Perchè non ti piace fare il medico?”, le chiese, “E’ un onore salvare le vite altrui.”
“Beh... non è quello che voglio fare.”, disse lei, alzando le spalle, “Tutto qui.”
“E cosa vorresti fare?”, le fece Danny.
Lei scosse la testa.
“Non lo so.”, rispose, “Per adesso mi basta semplicemente il mio lavoro. Non sarà dei migliori, forse potrei fare di meglio, ma mi accontento. Nel caso in cui poi volessi tornare a studiare, ho sempre tutta la vita davanti.”
“Beh sì, non hai torto.”, annuì Harry, “Ma ci sarà qualcosa che vorrai pur fare nella tua vita.”
Joanna esitò di nuovo nel parlare.
“Per ora voglio solo vivere tranquillamente.”, fece, abbozzando un sorriso stretto, “E dovrei anche andare in bagno.”
Quando si alzò la semplice maglietta nera, che prolungava di poco lo scollo a punta sul petto, si spostò, cadendo lievemente a lato della sua spalla destra. Joanna non si era accorta del microscopico lembo di tessuto che si era incastrato tra le maglie dell’orologio di Danny, chiuso intorno al polso che aveva sostato quasi per tutta la cena sulla spalliera della sua sedia. La pelle rimasta libera dalla stoffa mostrò una visibile cicatrice che lei si affrettò a coprire, imbarazzatissima.
“Che cicatrice!”, esclamò Harry, “Come te la sei fatta?”
“Un incidente.”, tagliò corto Joanna, prima di allontanarsi velocemente.
Fugaci occhiate interrogative accompagnarono la sua uscita, prima di concentrarsi su Dougie, che divagò altrove come aveva sempre fatto dal momento in cui lei era entrata nel ristorante. 

 

Si districava tra i tavoli fitti, quando una mano la afferrò, costringendola a interrompere una catena appena avviata di lunghi pensieri. Joanna si voltò.
“Jo... sei proprio tu!”, esclamò una faccia femminile a lei conosciuta.
“Oh cavolo... Rita!”, riconobbe lei la ex moglie di suo fratello, “Cosa ci fai in città?”
Era totalmente diversa da come l’aveva vista per l’ultima volta, circa un anno e mezzo prima: da mora, con i capelli lievemente mossi, era diventata di un rosso abbastanza vivo. Per il resto, era sempre la stessa bellissima ragazza con il sorriso contagioso. Per quello che aveva saputo da Miki doveva essere tornata a Bologna, la sua città di origine.
“Sono di passaggio.”, spiegò lei, “Sono con delle amiche, stiamo partendo, andremo per Edimburgo per una vacanza e il nostro aereo parte dal Vespucci.”, disse, riferendosi all’aereoporto della città
“Deve essere una bella città.”, fece Joanna.
Rita ne approfittò per squadrarla da capo a piedi.
“Dio quanto sei cresciuta...”, fece, con occhi felici, “Ti ricordavo tutta timida e impacciata... ora sembri un’altra persona!”
Joanna arrossì.
“Ah!”, sbuffò Rita, notandolo,  “Lo sei tutt’ora!”
“Decisamente sì...”, fece.
“Vuoi sederti un attimo con noi?”, le domandò cortesemente la donna, annunciandola alle sue amiche.
“Molto volentieri.”, rispose, “Ma solo per poco se non vi dispiace, sono anche io con degli amici.”
Conobbe così altre quattro donne –Sara, due Paola e Silvia- con le quali avrebbero passato una settimana ad Amsterdam.
“Chi sono i tuoi amici?”, chiese una delle due Paola, “Facceli vedere!"
Joanna si voltò verso i commensali inglesi.
“Sono a quel tavolo laggiù, li vedete?.”, indicò la ragazza, "Quei quattro..."
Le quattro ragazze si concentrarono nell'esame: borbottavano tra di loro, ridacchiando ed utilizzando qualche proverbiale aggettivo tipico della loro zona di provenienza. 
“Età?”, chiese la ragazza mora, Silvia.
"Beh... intorno ai 25.", si spiegò Joanna.
"Sono troppo piccoli per noi.", scosse la testa Sara, sconsolata, "Potrebbero essere i figli di mia sorella!"
"Infatti sei figlia unica.", commentò una delle due Paola, la bionda, "Io punto a quello con il pizzetto... come si chiama?"
"Harry.", le rivelò Joanna, "Ma non te lo consiglio, è un po'... stronzo."
"Perfetto per lei, allora.", esclamò l'altra Paola, la castana, "Quelli buoni non sono di suo gradimento!"
"Io mi prenoto per quello con i riccioli.", alzò la mano Silvia, " Oppure per quello con i capelli ossigenati e spettinati."
"Volendo li prenderesti anche insieme...", sottolineò Sara, con aria indifferente.
“Smettetela!”, esclamò Rita, “Siete diaboliche!”
Ormai, visto che l'argomento era quello, Joanna cercò di rendersi un po' più divertente.
"E il quarto? Tom?", disse loro, "Non lo vuole nessuno?... E' simpatico!"
Le  ragazze squadrarono il fondatore del gruppo. Era lievemente voltato di spalle, non lo si vedeva molto bene e loro non parvero molto convinte.
"Quello simpatico lo diamo a Sara.", disse la Paola bionda.
"Via, portiamo tutto in discarica allora!", sbuffò lei, spontanea.
Scoppiarono in una bella risata fatta col cuore e trascinarono con loro anche Joanna.
“Cosa racconti di bello?”, le chiese Rita, lasciando che le sue amiche lasciassero loro un attimo di confidenza.
“Beh... vivo da un bel po’ con Miki.”, disse Joanna.
Rita la guardò perplessa.
“E perchè ti condanni così?”, sbottò la donna.
“Ho scelto il male minore, lo sai.”, le fece.
Rita sapeva benissimo che cosa era successo dentro le mura della casa natale dei due fratelli, Miki gliene aveva sempre parlato. Le mise una mano sulla spalla, guardandola con compassione.
“Adesso lavoro insieme a lui, al locale di Arianna.”, continuò la ragazza, “Sto bene, anche se non è facile sopportarlo.”
“Non sai quanto lui ti voglia bene.”, le disse Rita, “E non sai quanto si sia sempre sentito in colpa per tutto quello che hai passato.”
Joanna annuì, abbassando lo sguardo.
“Ultimamente mi sta costringendo quasi ad odiarlo.”, le disse. Nonostante il tempo che le aveva separate, Joanna si sentiva comunque a suo agio con lei ed avrebbe quasi voluto parlarle di tutti gli strani avvenimenti che avevano stravolto la sua vita in quell’ultima settimana, in cerca di un consiglio, ma non sarebbe stato giusto abbandonare per troppo tempo i ragazzi senza passare per maleducata. Aveva sempre pensato a lei come ad una specie di sorella maggiore, anche se comunque non avevano avuto molte occasioni per approfondire il loro rapporto.
“Ti capisco.”, le disse Rita, “Miki sa essere una persona più che amabile ma...”
“E’ troppo geloso.”, concluse Joanna, “Mi asfissia, non riesco a farmi degli amici per colpa sua.”
“Già... questa storia non mi suona nuova.”, fece la donna, con ironia.
“E tu? Cosa mi dici?”, le domandò Joanna, felice di cambiare discorso, “Lavoro?”
Se non ricordava male, una volta tornata a Bologna aveva aperto un’agenzia di viaggi con delle amiche, forse erano le stesse con le quali partiva per la vacanza.
“Oh, non me ne parlare, è un casino!”, esclamò Rita, “Cioè... tutto sta andando magnificamente, la mia agenzia di viaggi è diventata la nostra agenzia di viaggi.”, con un gesto ampio della mano incluse anche quattro ragazze.
“E di cosa ti lamenti allora!”, sbuffò Joanna ridendo.
“Sì, hai ragione!”, disse l’altra, “Va tutto bene...”
Un frastuono di voci interruppe la loro conversazione, costringendole a voltarsi nella direzione della baraonda umana che rideva e urlava nel divertimento.
“Ma quanto sono casinisti i tuoi amici!”, esclamò Rita ridendo, “Sembrano degli hooligans!”
“Beh... sono inglesi, ce l’hanno nel sangue”, le spiegò Joanna.
Rita la guardò stupefatta.
“E dove li hai conosciuti tutti questi inglesi?”, le domandò, con occhio malizioso.
“Al locale... ma è una storia lunghissima, ti annoierei.”
Rita le strizzò un occhio con complicità.
“Dai, ti lascio tornare a loro.”, le disse, “E’ stato davvero piacevole ritrovarti, la prossima volta che sarò nei dintorni ti prometto che chiamerò per offrirti una cena, così chiacchiereremo un po’. Ti va?”
“Molto volentieri!”, le rispose.
La donna le si avvicinò per abbracciarla.
“Ci sentiamo allora.”, le disse.
Sorridendo, Joanna si alzò e la salutò con un gesto della mano, congedandosi anche dalle sue amiche, che la salutarono con altrettanto calore. Chissà che faccia avrebbe fatto Miki se avesse saputo che Rita era in città… sotto sotto le venne quasi da ridacchiare al solo pensiero di vedere suo fratello struggersi per qualcosa che aveva rovinato con le sue stesse mani, ma ripose quel cattivo pensiero, Miki non se lo meritava.
Lesse la targhetta toilette ed entrò dentro ai bagni del locale, dirigendosi poi verso la zona femminile, che condivideva con quella maschile i tre lavandini e il lungo specchio orizzontale sopra di essi, comuni per entrambi i sessi. Si chiuse dentro una delle quattro porte riservate alle donne e, dopo aver abbassato il coperchio, si sedette su di esso, appoggiando la schiena contro il muro piastrellato.
“Stupida…”, mormorò sottovoce, dandosi una sonora pacca sulla fronte.
Le sembrava di avercela fatta: non si era sentita così in disagio quando, una volta seduta, si era trovata faccia a faccia con un sorridente Danny e con i suoi occhi blu; si era addirittura stupita di se stessa per essere riuscita più volte a sopportare le sfarfallate di lui. Le era parso di stare nettamente migliorando il suo brutto carattere, così chiuso, insicuro e traballante.
Però… C’era sempre un però, maledizione!
Principalmente non era fuggita da loro perché si era sentita un po’ invasa dalle loro domande. In fondo glielo doveva, non aveva quasi mai spiccicato parola su se stessa dal primo giorno in cui li aveva incontrati ed aveva risposto provando a controllare la voce e le emozioni. Non era stato quello il problema, nemmeno il fatto che quella dannata maglietta si era incastrata contro qualcosa, alle sue spalle, scoprendole parte della cicatrice, subito notata dai ragazzi nel giro di pochi secondi.
Che cosa aveva Dougie? Perché l’aveva evitata costantemente tutta la sera?
Cosa aveva fatto lei di male… aveva detto qualcosa che gli era andata di traverso? Non capiva.
La sera prima le aveva detto di esserle amico, mentre il giorno dopo non le aveva rivolto parola, nemmeno per un ciao. Doveva essersi persa qualche passaggio, ma non riusciva a comprendere dove, né quando tutto questo era successo. Aveva cercato di rimanere impassibile al suo comportamento ma non era stato facile sopportarlo.
Le venne quasi da piangere, si sentiva ferita, illusa. Non era giusto… si era confidata con lui, le aveva detto quello che le era sempre passato per la testa, e ora lui le voltava le spalle, come se la sua presenza lo infastidisse.

Ti sta bene!, mugolò una nocetta fastidiosa, Così impari a non fidarti degli sconosciuti!
Quell’odiosa voce stridula aveva proprio ragione, che cosa le aveva fatto credere di potersi fidare di lui? Se avesse saputo che sarebbe stato così stronzo mai gli avrebbe parlato… e mai lo avrebbe fatto entrare in casa.

Bastardo…
Repressa la rabbia, fu pronta ad uscire dal nascondiglio temporaneo in cui si era rifugiata per il suo solito momento di razionalizzazione. Aprì la serratura e si accostò al lavandino, dove prese a lavarsi le mani come buona educazione aveva sempre insegnato.
Certo che una bella lavata di bocca a quel ragazzo non gliel’avrebbe tolta nessuno, pensò Joanna mentre si insaponava le mani, Così imparerebbe a non prendere per il culo le persone.
Avesse avuto il coraggio ma soprattutto il carattere per dirgliene quattro o dieci, lo avrebbe fatto di sicuro, non c’era da dubitare su questo. L’unica tattica infallibile che conosceva era ridare pan per focaccia. Cioè comportarsi esattamente come lui.
Immersa nei suoi vendicativi pensieri, sussultò quando sentì il click metallico di una delle serrature dei bagni. Calmò il cuore in petto e lanciò un’occhiata al riflesso in movimento che aveva visto con la coda degli occhi sullo specchio.

Ma guarda un po’ chi c’è…
Erano fermi gli occhi sulle mani, che ormai erano così pulite e linde che potevano operare chiunque a cuore aperto. Non gliel’avrebbe più data la soddisfazione di un semplice sguardo.
Dougie sembrò esitare nel vederla lì, forse non si aspettava di trovarcela. Andò verso la porta ed uscì, mettendosi le mani in tasca. Joanna sospirò, guardandosi dritta negli occhi rispecchiati davanti a sé. Senza pensare, accese l’asciugatore, fisso al muro alla sua destra e lasciò che tutta l’acqua sulle sue mani evaporasse.

 

 Joanna si era assentata da un bel po’ quando Dougie prese la sua stessa direzione.
“Speriamo che non combini guai.”, disse Harry, mettendosi le mani dietro alla testa e stiracchiandosi, “Ne ha già creati troppi.”
“Non ci sto capendo più niente, ragazzi.”, disse Danny, “Me la vuole far pagare?”
Era quello che aveva pensato.
E tutti gli anni di amicizia passati insieme? Tutte le cazzate fatte? Tutto quello che c’era stato, la profonda amicizia che era nata, gli anni vissuti dentro la medesima casa? Dougie voleva mandarlo tutto a puttane così?
Era incredibile, così tanto impossibile che Danny non voleva assolutamente spenderci un secondo di più.
“Non credo.”, disse Tom.
“Nemmeno io.”, continuò Harry.
“Perché io sembro l’unico a non aver capito un cazzo di questa storia?”, sbottò, ammettendo che non era mai riuscito ad interpretare correttamente tutto quello che si era spiegato davanti ai suoi occhi.
“Forse perché ti sei accontentato di ciò che hai visto, senza andare al di là.”, gli disse Tom.
“Cosa ci sarebbe al di là? Svelami l’invisibile!”, lo sfidò.
“Dougie vuole proteggerla da noi.”, disse Harry, incontrando subito il parere favorevole di Tom.
Cosa?
“Spiegati meglio, se non ti dispiace.”, gli fece Danny.
Harry lasciò la sua posizione comoda per appoggiare i gomiti sul tavolo.
“Deve aver capito qualcosa di lei…”, disse il batterista, “Qualcosa a cui noi non siamo arrivati, che non sappiamo. E pensa sicuramente che noi le stiamo facendo del male.”
“Che tu le stia facendo del male.”, lo corresse Tom.
“Io?”, esclamò Danny, spiazzato, “Io le starei facendo del male?”
“No, Tom, non credo che sia solo per lui.”, gli disse Harry, “Penso che Dougie si comporti così riferendosi a tutti noi… lui compreso.”
“Perché?”, pretese di sapere Danny.
Harry si strinse nelle spalle.
“Secondo me,”, continuò Judd, “vuole che lei si arrabbi… magari con lui per prima e poi dopo con noi. Si sta comportando in quel modo proprio per questo.”
Danny sbuffò. Tutto quello sembrava plausibile, verosimile, però non riusciva a vederne il motivo. Si fermò a riflettere…
Era l’unico dei tre a sapere che Doug era stato da lei la sera prima. Avevano certamente parlato e lui doveva aver scoperto cose di Joanna che a loro erano state tenute nascoste. Forse era questo ciò a cui si erano riferiti Tom ed Harry, in quelle cose stava la causa del cambio nel comportamento di Dougie. Perché Poynter allora non ne aveva parlato apertamente? Sarebbe stato tutto molto più facile; se si fosse chiarito subito, quelle incomprensioni non sarebbero mai nate.
Scosse la testa. Non giustificava tutta quell’importanza data alle situazioni createsi tra loro quattro e Joanna. Non sentiva di aver sbagliato in niente e pensava di essere tuttora dalla parte del giusto. Non aveva fatto niente di male nel corteggiarla e nel baciarla e Joanna sembrava avere abbastanza sale in zucca da non illudersi. Allora perché tutto quello? Era il presupposto di fondo ad essere errato.
“Cosa dobbiamo fare allora?”, domandò Tom, rivolgendosi direttamente ad Harry.
Il batterista non ebbe il tempo di rispondere perché Dougie, nel frattempo, aveva occupato di nuovo il suo posto.
Danny lo squadrò, in cerca di un pretesto sul suo viso per fargli un paio di domande.
“Che c’è?”, gli fece Dougie, accortosi del suo sguardo indagatore.
“Hai incontrato Joanna in bagno?”, gli chiese.
“No.”, rispose lui, alzando le spalle.
“E allora dov’è in questo momento?"
“Non lo so.”, rispose Dougie, “Questo è per caso un terzo grado?”
La risposta di Danny venne sommersa dal rumore di sedie che, in un chiasso assordante, venivano spostate da coloro che fino a qualche minuto prima vi sedevano sopra. Autonomamente, la troupe aveva stabilito che era meglio ritirarsi, data l’ora abbastanza tarda segnata dall’orologio sui loro polsi e la previsione di una levataccia mattutina per sistemare gli ultimi affari per il concerto della sera seguente.
L’attenzione dei quattro si spostò sui loro fidati tecnici, che li salutarono calorosamente, dando loro la buonanotte e ricordando loro di comportarsi bene per il resto della serata.
Rimasero solo loro quattro quando Joanna li raggiunse al tavolo.

 

Oh no… dove cazzo sono andati tutti gli altri?, fu il primo pensiero che piombò nella mente di Joanna quando fu abbastanza vicina alla lunga tavolata ormai spoglia di una folta percentuale dei suoi commensali.
Si impose la calma e l’indifferenza più assoluta.
“Pensavamo di venirti a cercare.”, disse Tom, “I bagni erano un labirinto?”
 “Ho trovato una vecchia amica con cui parlare, mi sono trattenuta per questo.”, si giustificò Joanna, sorridendo, mentre riprendeva il suo posto, “Dove sono andati gli altri?”
“Sono tornati in hotel.”, le spiegò Danny, “Per loro si era fatto tardi, hanno preferito lasciarci.”
“E noi? Cosa facciamo adesso?”, domandò Harry, “E’ ancora presto…”
Tre paia di occhi rivolsero la domanda a lei. L’altro paio rimase con indifferenza fisso sullo schermo del suo cellulare.
“Beh… avete mai visto il fiume di notte?”

 

Joanna camminava vicino a Tom. Dietro di loro Danny ed Harry, impegnati in conversazioni riguardanti fatti  e particolari tecnici legati loro imminente concerto. In fondo alla lista Dougie.
La coppia locomotiva del gruppo passeggiava tranquilla, scambiandosi qualche parola di apprezzamento sulla città intorno a loro. Alla loro sinistra, infatti, il fiume scorreva lento, illuminato dalle luci della notte. A un centinaio di metri da loro il ponte più vecchio di tutta la città, sommerso da sempre dalle case che lo rendevano così caratteristico ed unico al mondo.
“Pensa che non lo ha distrutto nemmeno una gigantesca inondazione che ha quasi sommerso tutta la città.”, disse Joanna, indicandolo, “Penso che tra mille anni sarà ancora lì, come è sempre stato.”
“Sì, mi sembra di aver sentito qualcosa a proposito di una piena.”, disse Tom, “E’ una catastrofe in una città così piena di arte. Quando è successa?”
“Nel 1966. Tanti anni fa, su alcuni edifici ci sono ancora rimasti i segni.”, spiegò lei, “Comunque siete già stati sul Ponte Vecchio, vero?”
“Oh sì.”, annuì Tom, “Pieno di gioiellerie!”
“Già…”, fece Joanna.
La timida conversazione parve spegnersi lì.
“Verrai domani al concerto, vero?”, le domandò poi Tom.
“Sì, devo ancora prendere i biglietti, spero di trovarne.”
“Sicuramente ce ne sono ancora, ma lascia stare.”, le fece lui, che si frugò nelle tasche del cappotto scuro e tirò fuori dei ticket plastificati, “Tieni, sono due pass, con questi puoi entrare gratis. Uno per te e uno per chi ti pare, possibilmente non tuo fratello.”
Joanna bloccò i suoi passi, a bocca aperta, stupita.
“Prendili.”, la esortò Tom, “Te li meriti.”
Lei avvicinò insicura la mano.
“Non ho fatto niente di particolare per meritarli.”, disse poi.
“Certo che lo hai fatto.”, disse Tom, “Hai reso la nostra settimana qua, diciamo… inusuale.”
“Inusuale?”, fece lei, riprendendo la camminata digestiva.
“Sì.”, le disse, “L’hai riempita di imprevisti, senza i quali non ci saremmo assolutamente divertiti.”, annuendo a mento alto con fare aristocratico.
Joanna rise, la faccia di Tom era stata troppo comica per non farlo.
“Imprevisti non sempre positivi...”, aggiunse lui poi, “Come avrai potuto vedere.”
Il sorriso di Joanna scomparve per far posto ad un’aria preoccupata, dispiaciuta.
“Non è colpa tua.”, le disse, “Credimi.”.
“Avevo capito che ad Harry non andavo molto a genio...”, disse lei, incrociando le braccia.
“Sì, lui è un tipo che non si vergogna a dimostrare le sue antipatie...”, le disse, “Ma sono convinto che, in fondo, piaci anche a lui.”
Joanna non parve molto convinta delle sue parole.
“Comunque non mi riferivo ad Harry.”, continuò a dirle.
“Lo so...”, disse Joanna, sbuffando, “Avrei voluto uccidere Dougie, ma non sapevo se avevate pronto un bassista di rimpiazzo.”
“Per quello non c’è problema.”, ironizzò Tom, “Avrei voluto farlo fuori anche io. E forse Danny e Harry mi avrebbero aiutato ad occultarne il cadavere.”
“Non capisco cosa abbia.”, fece lei, “E’ per colpa mia?”
Tom si strinse nelle spalle.
“Speravo potessi dirmelo tu.”, disse il ragazzo.
Joanna lo guardò con aria interrogativa.
“Io...”, esitò lei, sembrava incerta nel parlare.
“Fletcher, ci fermiamo per un gelato!”, esclamò Harry, più indietro, alle loro spalle.
Tom sbuffò vistosamente, innervosito per l’interruzione.
“Little Joanna!”, la chiamò Danny, che nel frattempo aveva già raggiunto con gli altri il chiosco della gelateria, dall’altra parte della strada, “Vuoi un gelato?”
“Ho almeno il permesso di sopprimere Jones?”, borbottò scherzosamente Joanna.
“Quando vuoi!”, esclamò Tom.
“Little Joanna!!”, le ricordò Danny della domanda.
“Cioccolato, pistacchio e yogurt!”, riferì lei, roteando annoiata gli occhi.
Tom le sorrise scuotendo la testa con fare simpatico poi la lasciò, scendendo dal marciapiede per raggiungere gli altri e prendere il suo gelato. Di lì a poco fu rimpiazzato da Danny, che arrivò saltellando acrobaticamente e rischiando di decorare il suo cappotto con il pistacchio di Joanna.
“C’è mancato davvero poco...”, fece lei, scherzandoci sopra




Questo capitolo è di gran lunga il mio preferito... E non c'è bisogno di capire perchè!!! XD Ma mi spiego lo stesso: al tempo in cui questo capitolo è stato scritto, quandi diverso tempo fa, le MS erano solo quattro (ora siamo 5, Ladynotorius è con noi! Ave Alice! XD)... e quelle quattro hanno fatto la loro comparsata in questa mia storia! XD
Non l'ho fatta per egocentrismo, né per paraculismo... Samplicemente avevo bisogno che Rita fosse con delle amiche e, dato che al momento ero a corto di idee... Ho chiamato le MS a raccolta! XD

Comunicazione importante: se qualcuno di voi ha recensito il precedente capitolo e non si trova i ringraziamenti in questo, sappiate che non l'ho fatto perchè mi state antipatiche (nuuuuuu!) ma perchè è successo in ben due casi (quello di kit2007 e picchia) che la recensione fosse stata scritta e pubblicata... ma non ne è rimasta traccia! In altre parole, è capitato in due occasioni che il sito fagocitasse i vostro commenti, senza che io li abbia visti. Indi per cui, se non vi ho ringraziato, è perchè EFP è diventato bulimico.

Suvvia, stasera passo direttamente ai ringraziamenti, senza dire troppe altre parole inutili. Saranno brevi perchè: uno, non so più cosa dirvi, già state capendo i meandri di questa storiella. Due, sono stanca XD veramente... sono troppo stanca stasera ^^"

CowgirlSara: Tra tutti e tre, Danny + Dougie + Harry, non se ne fa un cervello normale. Se almeno si chiarissero, le cose sarebbero più facili, no? E come hai detto te, bisogna spiegarsi meglio!

Ciribiricoccola: Oh passoide! Visto che te l'avevo detto? Dougie ti ha deluso, ormai ti conosco, so i tuoi punti deboli, ti posso psicanalizzare come Freud. Via, basta con le cazzate.

Princess: Mugliera! Chiedo perdono, ti ho fatto bionda solo perchè ho dedotto dalle conversazioni msn che tu possa esserlo... magari sei castana... XD Suvvia, sappi che per me il colore dei capelli non conta!

Kit2007: Preparati con la mazza, vedrai che l'unico modo per farli capire come ci si comporta è prenderli a mazzate!!!

Picchia: Baciamo le mani... e speriamo che stavolta la recensione non venga ingoiata da questo cavolo di sito!

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Capitolo 16
*** You've Got a Friend... ***


 16. You’ve Got a Friend...

 

Si erano appoggiati alla balaustra in vecchia pietra grigia del ponte. Tra una battuta e l’altra i gelati finirono presto ed entrambi i coni scomparvero dalle loro mani.
“Decisamente ottimo!”, disse Danny, leccando gli ultimi rimasugli di gelato ai lati delle labbra, “Com’era il tuo?”
“Ne ho mangiati di migliori.”, disse Joanna, divertendosi nell’averlo contraddetto.
Danny la guardò con complicità, le si avvicinò e le passò un braccio sulle spalle, dandole un bacio sulla testa che la fece arrossire, ma meno del suo solito. Ormai era abituata alla sua presenza, si sentiva sempre più a suo agio con loro, ed anche con lui. Riusciva a sentirlo, Joanna non si nascondeva più come era stata solita fare, nel suo modo tutto particolare e delizioso. Era una ragazza decisamente diversa da molte altre e si era rivelata essere, con il tempo e con la conoscenza, divertente e piena di humor. Durante la serata l’aveva riempita di complimenti e di apprezzamenti, provando a farla arrossire, ma lei non aveva dato sempre la soddisfazione che aveva cercato. Nella maggior parte dei casi, invece, era stata abile, ricambiando il complimento o ribattendo in qualche modo, per portare la conversazione altrove.
Peccato, si disse, sarebbe stato davvero bene in sua compagnia. Se le cose fossero andate diversamente, in un altro luogo, in altri tempi e situazioni, magari...
“Tom ti ha dato i pass vero?”, le domandò.
“Sì.”, disse lei, “Ma non dovevate, davvero...”
“Non sai quanto mi siano costati questi pezzi di plastica!”, fece lui del sarcasmo, “Ho dovuto vendermi sessualmente al nostro manager!”
Joanna scoppiò in una risata, mentre Danny continuava a parlare, con voce falsamente rotta.
“Non sai che cosa mi ha chiesto di fargli...”, diceva, “E’ stato orribile!”
“Ma dai!”, esclamò Joanna, dandogli una pacca sul petto, “Quante storie per aver piacevolmente abbassato i pantaloni per farmi un regalo!”
“Ho perso la mia verginità...”, frignò lui.
“Quella non l’hai mai avuta.”, tirò esattamente a segno Joanna, facendolo ridere di gusto.
“Ma che lingua lunga che hai, Little Joanna!”, esclamò poi Danny, una volta placatosi, “Allora c’è davvero una piccola stronza sotto tutta questa coltre di timidezza!”
Joanna gli lanciò un’occhiataccia divertita in tralice.
“Ok, la ritiro.”, disse Danny, fulminato.
La strinse un po’, appoggiando delicatamente il mento sulla sua testa.
“Comunque, domani sera ti voglio sul palco.”, le disse.
“Ci sarò!”, esclamò lei, “Voglio far crepare di invidia qualcuna delle vostre fans più smorfiose!”
“Oh sì, continua ancora così... E’ eccitante…”, le disse, con voce soddisfatta, beccandosi un’altra pacca. 
Risero insieme, di cuore, riempiendo l'aria con il loro sghignazzare felice. E, quando quegli sbuffi isterici morirono, Danny si ricordò quello che si era imposto di fare.
Doveva parlarle. L’aveva portata lì per questo, o no?
“Senti... ti dovrei parlare di una cosa.”, le disse, rimanendo comunque sullo scherzoso.
“Dimmi pure.”
Esitò in cerca del modo giusto con cui iniziare. Non voleva ferirla, né illuderla. Fosse stata una ragazza conosciuta cinque minuti prima, in un pub qualsiasi davanti ad una birra, avrebbe anche potuto farlo ma non con Little Joanna, che si era dimostrata essere una persona vera e genuina, non finta come la maggior parte di quelle con cui aveva a che fare ogni giorno.
Non era per niente facile.
“Vuoi comprare una vocale?”, scherzò lei, facendolo ridere un po’.
“Mi sarebbe d’aiuto.”, disse lui, ammettendo il lieve imbarazzo in cui era caduto.
“Per caso vuoi stringermi la mano e dirmi: meglio amici?”, disse lei, sorridendogli.
Quella non era una semplice vocale, era la frase che cercava lui. Rimase qualche attimo perso, cercando di comprendere il tono della sua voce.
“Sì...”, disse, sfumandosi in un sospiro, “Era questo che volevo dirti.”
“Lo sapevo.”, fece lei, con tranquillità, “Puoi anche non crederci, ma non ho mai pensato che ti saresti inginocchiato davanti a me per chiedermi di sposarti, Danny Jones.”
Le rise, come si poteva non farlo?
La guardò negli occhi, cercando nella sua espressione un po’ della tristezza che pensava lei stesse provando, ma non ne vide nemmeno un po'. Se ne dispiacque, e non seppe giustificarselo: per caso era diventato così sadico da godere nel rompere il cuore alle ragazze con cui aveva flirtato? No, per niente.
Era solo che...
“Che c’è?”, sbottò lei, ridendo “Vuoi che mi metta ad urlare e a strapparmi i capelli per il dolore?”
Sempre la solita Little Joanna. O meglio, la nuova Little Joanna, quella nata dalle ceneri della precedente, troppo timida per non balbettare o inciampare sui suoi stessi piedi alla loro vista.
“Vedi...”, le disse, “Tu mi piaci.”, ed era perfettamente vero, “Ti trovo adorabile e mi piacerebbe davvero...”, si bloccò.
“Non mi faccio certe illusioni.”, disse lei, “Non ne ho mai fatte.”
“Mi dispiace, Little Joanna.”, disse Danny, sospirando, “Ma sorgerebbero troppe complicazioni.”
Se lei gli avesse chiesto di enumerarle tutte, improvvisando, sarebbe stato in grado di nominarne solo due: la lontananza, Dougie. Il resto, perchè ce n'erano molte altre, era solo costituito da una massa di pensieri confusi e sconnessi, che avevano bisogno di essere sbrogliati come un grande guazzabuglio di fili intrecciati.
“Lo capisco perfettamente.”, rispose la ragazza, con tranquillità, “E non ti biasimo per questo. D’altronde, come ti ho già detto, io non mi sono mai persa in sogni romantici che vedevano noi due come protagonisti e candidati all’Oscar.”
“E perchè? Non ti piace sognare?”, le domandò, con un riso scherzoso.
“Beh... ho imparato che la realtà è troppo disgustosa per rimanere ancora delusa, una volta tornata dalle fantasie.”, disse lei, nascondendosi nelle spalle, con cenni vaghi degli occhi.
Ne rimase stupito, per l’ennesima volta. Avrebbe detto che fosse una ragazza nata per sognare, chiusa nella sua camera piena di poster e di musica.
“Che cos’è che ti fa pensare questo?”, le chiese, sapendo di essere invadente.
“Un mucchio di cose di cui non voglio parlare.”, disse lei, abbozzando un sorriso strano.
Per la prima volta diceva chiaramente che non voleva essere infastidita da domande del genere, senza tentativi di fuga.
“Mi dispiace che tu la pensi così.”, le disse, “C’è sempre qualcosa per cui vale la pena sognare.”
“Non essere retorico...”, rispose lei, seccandolo in meno di un secondo.
Rimase sconcertato dalla sottile scia di rabbia che aveva sentito nelle sue parole.
“Scusami...”, si affrettò a dire Joanna, cadendo nel  baratro del disagio come l’aveva vista fare tantissime altre volte.
“Fa’ niente.”, le disse, comprensivo.
Se Dougie sapeva qualcosa su quello che Joanna aveva vissuto in passato, solo in quel momento Danny cominciò a comprendere il motivo per il quale lui si stesse comportando in quel modo. Non ne giustificava il mutismo e la maleducazione con cui le si era rivolto, ma poteva rendersi conto del perchè lo stesse facendo. Poynter doveva pensare che i loro comportamenti, benchè sembrassero innocenti e senza conseguenze, dovevano comunque avere dei riflessi su di lei, di certo non positivi.
La abbracciò, dandole un nuovo bacio sui capelli profumati.
“Puoi dirmi che cosa usi per i tuoi capelli?”, le domandò.
“Beh... dei prodotti comuni del supermercato... perchè?”, fece lei, stranita.
“Voglio usarli anche io.”
Joanna aggrottò la fronte.
“Hanno un buon effetto su di me...”, le disse ridendo, “Mi sento tutto... scombussolato dentro!”
La terza pacca atterrò direttamente sulla sua testa, un attimo prima che sciogliesse l’abbraccio per mettersi a ridacchiare insieme a lei.
“E dai!”, sbottò Danny, “Magari con i miei bellissimi ricci profumati riuscirò ad accalappiare qualche  ragazza!”
“Al massimo accalappierai un cane.”, gli rispose.
“Ma a me piacciono i cani!”
“Infatti appartenete alla stessa razza.”, aggiunse Joanna, sempre sulla stessa linea comica inaugurata da Danny.
“Sei terribile!”, la addomesticò lui, “Se avessi conosciuto subito questo lato di te, quando inciampasti al locale ti avrei lasciata sdraiata per terra, con tutti i barattoli che rotolavano sul pavimento.”
“E’ quello che hai fatto... Nessuno di voi ha avuto la decenza di aiutarmi quel giorno, siete rimasti a sghignazzare dietro al menù!”, lo rimpolpettò lei.
“Ok, basta, mi arrendo!”, dichiarò Danny la sua sconfitta, “Puoi finirmi trafiggendo il mio cuore con la spada della tua malignità.”
Joanna rise e scosse la testa.
“Andiamo.”, disse poi, “Torniamo dagli altri.”
“Certamente.”, acconsentì, prendendola a braccetto.
Prese a fischiettare un motivetto celebre e ne canticchiò le parole.
It's a jolly holiday with Jo! No wonder that it's Jo that we love!
Joanna la riconobbe di lì a poco.
“E’ per caso la canzoncina di Mary Poppins, quando vanno a finire tutti insieme nel disegno?”, gli domandò.
“Sì, proprio quella!”, disse Danny, con entusiasmo.
“Mi sono sempre chiesta perchè il temporale non li abbi colti mentre erano là dentro, cancellandoli definitivamente dalla faccia del mondo del cinema ancor prima della fine del film stesso.”
La osservò a bocca spalancata.
“Dio!”, esclamò poi lui, “Non ti facevo così cinica!”
Cominciò a temere per la vita di Dougie.

  

Raggiunsero i tre, seduti intorno ad uno dei tavoli di fronte alla gelateria. Sembravano divertiti da qualcosa, ridevano e sghignazzavano senza riuscire a trattenersi. Bene, si disse Joanna, era l’ora che lui si facesse vedere ridere. Ma era pronta a scommettere che...
Non terminò nemmeno il pensiero che Dougie, dopo aver incrociato i suoi occhi, spense la sua risata, prima fragorosa e viva.
“Che c’è di divertente?”, domandò Danny, “Lo dite anche a noi?”
“Niente, solo una barzelletta stupida.”, disse Tom, spostandosi di lato per aprire un po’ di spazio alle sedie che i due avevano racimolato dai tavoli vicini.
Per qualche attimo un certo silenzio regnò sul gruppo. Joanna sentì perdere tutta la carica che aveva accumulato durante quel battibecco divertente che c’era stato con Danny.

Stupida!
Si morse il labbro inferiore, in cerca del coraggio sparito. Nel breve tragitto di ritorno si era decisa: doveva affrontarlo, prenderlo per il colletto della sua grossa felpa nera e scuoterlo forte, finché anche l’ultimo centesimo delle sue scuse idiote non fosse uscito dalla sua bocca. Era quello ciò che avrebbe voluto fare… fino a cinque secondi prima.
Maledetto Poynter!
“Bellissima città, anche di notte.”, disse Harry, accomodandosi con le mani dietro la testa e le lunge gambe distese, “Complimenti davvero.”
“Ne avremo un bel ricordo e penso che…”, iniziò a dire Tom, zittito poi dal suono del suo telefono. Frugò nelle tasche e, dopo una veloce occhiata, rispose alla chiamata, “Amore!”, esclamò allontanandosi da loro.
“Addio Tom…”, scherzò sopra Danny, “Gi chiama!”
“Chi è Gi?”, domandò Joanna, che lo comprese nello stesso attimo in cui pronunciò quelle tre parole, “Giovanna, la sua ragazza.”
Gli altri tre annuirono.
“E come mai voi tre non ne avete una per voi?”, domandò ai tre quarti dei McFly, riuniti intorno al tavolo insieme a lei.
Harry alzò le spalle, tacendo la risposta in quel modo; Danny bofonchiò che gli impegni, la vita frenetica eccetera eccetera erano sempre dei validi motivi per troncare le relazioni, anche quelle più stabili.
“Ah…”, disse Joanna, “E come mai loro due stanno sempre insieme?”, riferendosi a Tom e alla sua Gi, “Vi danzano intorno forse troppe belle ragazze per essere fedeli alla stessa?”
“Dio, Little Joanna!”, esclamò Danny ridendo, “Stasera sei una serpe!”
Lei si mise a ridere scuotendo la testa. Ormai aveva preso a stuzzicarlo con frecciatine varie, divertendosi a vedere la sua faccia stizzita e stupita ogni volta che gli diceva qualcosa di scherzoso. Lanciò un paio di occhiate a Dougie, seduto discretamente comodo sulla sua sedia di plastica bianca, con le mani nella tasca della felpa.
“Niente da bere?”, propose Harry.
“Qualcosa di dolce per Joanna.”, disse Danny, “Per ammorbidire la sua acidità.”
Ecco, ora era il turno di lui a prenderla in giro.
“Sei tu che stimoli la mia bile.”, gli rispose, rifilandogli la quarta pacca sul braccio.
Sulla faccia di Jones
comparve un finto terrore , mentre si tocca la parte dolorante scomponendosi in lamenti struggenti, che fecero ridere contemporaneamente lei ed Harry.
“Dio quanto siete rumorosi…”, sbuffò Dougie, all’improvviso.
Si alzò dalla sedia e, un passo dopo l’altro, sotto gli occhi sorpresi dei suoi amici si allontanò, andando ad appoggiarsi all’alta balaustra che costeggiava l’argine del fiume, voltando loro le spalle.
Harry sbuffò, alzando le mani per poi farle ricadere velocemente sui braccioli plastificati della sedia ed imprecando sottovoce.
“Se vado là lo ammazzo.”, disse poi il batterista, “Jones, fermami che lo sopprimo!”
“Dai, ti porto a prendere da bere.”, gli fece Danny, alzandosi ed esortandolo a seguirlo.
Joanna
fece quasi per alzarsi e seguirli, ma sapeva di dover rimanere per cercare di chiarire quella perversa situazione nata con Dougie, era quello che doveva fare, anche se il solo pensiero la terrorizzava.  Harry si stava già allontanando da lì a passi veloci e, quando Danny si voltò e le strizzò un occhio sorridendole, le dette un po’ del coraggio di cui aveva bisogno.
Inspirò e si disse che al tre si sarebbe alzata per andare da Dougie.

Uno…
Due…

Prima che riuscisse a contare l'ultimo numero, le gambe si mossero autonomamente e le imposero di lasciare il tavolo, attraversarono la strada seguite dal resto del suo corpo e salirono il gradino del marciapiede appena dietro a lui. La sua mano si sollevò indipendente e gli picchiettò sulla spalla.
Dougie si voltò lentamente, con aria visibilmente scocciata. 
“Che… c’è?”, fece in tempo a dire, prima che una mano aperta a cinque dita si scontrasse sulla sua guancia, provocando un piccolo tonfo che attirò l’attenzione dei passanti. “Ahia!”, protestò lui, toccandosi la guancia ferita.
“Sei un…”, cercò di appellarlo Joanna, stringendo i pugni.
Una valanga di aggettivi particolari piombarono nella sua testa.
Cretino, imbecille, deficiente, idiota, presuntuoso, stronzo, bastardo, codardo, infame…
Ma quello che uscì dalla sua bocca fu solo un grugnito acuto. Fece per voltare sui tacchi e tornarsene al tavolo, ma una presa decisa e stretta sul braccio la trascinò altrove.
“Lasciami!”, protestò, cercando di liberarsi dalla mano di Dougie, che la stava conducendo contro la sua volontà lontano dalla gelateria. Se quel cretino si fosse degnato di fermarsi gli avrebbe dato un calcio sulle palle e l’avrebbe spedito alla foce del fiume, insieme a tutti i pesci a quattrocchi che la popolavano.
“Dougie! Ti ho detto di lasciarmi!”, gli ripetè inascoltata.
Si rassegnò a seguirlo, prima o poi avrebbe avuto l’occasione di colpirlo dove meno si aspettava. Infatti, di lì a poco svoltò a destra, in un vicolo stretto coperto da una profonda e bassa arcata.
“Poynter!”, strillò Joanna, incavolata come mai avrebbe pensato di poter essere con lui.
Il ragazzo si toccò la radice del naso.
“Avanti, rifallo.”, disse poi,
“Dammi un altro schiaffo.”, ripetè.
“Ma…”, sbottò Joanna, diffidente.
“Colpiscimi ancora, Jonny!”, esclamò lui.
Joanna prese un profondo respiro, provando a raccogliere tutti i buoni motivi per i quali non avrebbe dovuto farlo.
Non glielo poteva chiedere, la tentazione era tanta. E poi perchè le stava domandando di picchiarlo? A che scopo
“Fallo!”, urlò Dougie, serrando i pugni con rabbia.

Incerta sul da farsi Joanna si guardò intorno, sperando che nessuno stesse per assistere a quella scena. Come prima, il corpo si dissociò dalla sua mente, permettendo così al suo piede di centrarlo direttamente nel cavallo basso dei pantaloni, il quale si trovò per la prima volta ad aderire correttamente all’unione delle sue gambe.
Te la sei cercata...
Dougie lanciò un grido strozzato di dolore, si piegò in due cadendo di lato a terra, ritorto su se stesso.

“Te lo sei meritato!”, esclamò, anche le sue corde vocali avevano proclamato la loro indipendenza, “Sei stato uno stronzo!”
Ma gli hai fatto male! Un male cane!, protestava dentro di lei una voce lontana, quasi impercettibile.
“E non mi interessa se stai male come un cane!”, sbuffò poi, incrociando le braccia soddisfatta, “Avrei anche potuto colpirti più forte!”
Sei una stronza, Jo!, aumentò di poco il volume di quella vocetta.
“Sappi che lo rifarei molto volentieri, se tu solo ti rialzassi!”
“No!”, esclamò Dougie prontamente, rimettendosi in piedi ed allontanandosi da lei, “Bastava anche solo uno schiaffo…”

Sentiti in colpa!, urlò quella voce dentro la sua testa.
“Non mi sentirò in colpa per quello che ho fatto!”, continuò Joanna, “Perché cavolo mi tratti in questo modo?”, gli domandò.
Dougie non rispose, continuava a starsene ad una certa distanza da lei, a sguardo basso, le mani appoggiate sulle ginocchia per assorbire gli ultimi acuti di dolore.
“Ma che cavolo di persona sei se un giorno mi dici che siamo amici e quello dopo mi tratti come se fossi l’ultima persona che vuoi vedere a questo mondo?”
Ancora niente, nessuna reazione.
“Allora sai cosa ti dico?”, gli fece, “Vaffanculo!”
Ecco, perfetta conclusione. Ora mancava solo che lui parlasse, dicesse qualcosa: lei sarebbe stata subito pronta a ribattere che non gliene fregava un cazzo delle sue scuse, delle sue patetiche lagne
Ma nulla.
“Non provi nemmeno con  una giustificazione banale?”, gli fece, “Aspetto che tu mi dica qualcosa!”
Non una parola, lui continuava a starsene nella medesima posizione ricurva. E la voce dentro di lei echeggiava sempre più forte.

Gli hai fatto veramente un male cane… Hai davvero esagerato… Sei proprio una stronza…
Devi sentirti in colpa!

“Oh cavolo…”, fece Joanna, realizzandosi colpevole di aver ecceduto nella forza del suo calcio, “Ma ti ho fatto davvero un male cane!”
Si avvicinò a lui, chinandosi per accertarsi del suo stato di salute.
“Dio, mi dispiace!”, gli disse, rammaricata.
Gli appoggiò una mano sulla spalla ma inaspettatamente Dougie sbuffò, togliendola via ed allontanandosi ancora da lei. Joanna rimase interdetta, ma lo comprese, aveva davvero passato la linea e lui aveva davvero sentito del male.
“Scusami Dougie… davvero, ho esagerato, mi sento in colpa…”, piagnucolò.
“No!”, esclamò Dougie, “Non devi dire questo, stavi andando così bene!”

Joanna aggrottò la fronte. Così come quando lui le aveva chiesto di colpirlo, lei si trovò  a chiedergli di ripetere ancora, senza riuscire a vedere il perchè della sua rinnovata reazione isterica.
“Cosa… cosa hai detto scusa?”, gli fece, confusa.
“Devi essere ancora arrabbiata... incazzata con me!”, continuò Dougie, “Perché non lo sei più?”
Joanna lo fissava a bocca spalancata, completamente sconvolta dalle sue parole.
“Avresti dovuto lasciarmi qua, andartene incavolata e dirmi che non ne volevi più sapere di me, né dei McFly!”, strepitò Dougie, “Perché sei sempre qua? Avanti, vai!”

  

In cosa aveva sbagliato? In cosa? Cazzo!
Era un idiota, un completo imbecille che non era stato nemmeno capace di farla incazzare. C’era voluta tutta una sera per arrivare a quel momento, si era dovuto impegnare a fondo per fare lo stronzo con lei. Poi, inaspettatamente, Joanna gli aveva servito su un piatto d’argento un’occasione d’oro: farsi prendere a schiaffi dalla rabbia. Al riparo da sguardi indiscreti le aveva imposto di rifarlo, non gli interessava esibirsi davanti a sconosciuti guardoni.
Non aveva chiesto, anzi, non aveva voluto un calcio nelle palle ma solo un ceffone a cinque dita sul viso, come il primo che aveva ricevuto. Però, in fondo, se l’era proprio meritato.
Decisamente.

E si era meritato anche tutte le brutte parole con cui lei lo aveva trattato, aveva avuto pienamente ragione. Doveva farla stare male? Farle pensare che lui ci sarebbe stato per lei, come un amico doveva fare, quando invece non era vero? Lei aveva bisogno di amici, amici veri, non di lui. Persone che la facessero sorridere ogni giorno, che la sostenessero nei momenti difficili e che fossero presenti per lei. Lui tutto questo non poteva darglielo, sarebbero sempre stati lontani. E scavando bene il fondo del barile, non voleva essere suo amico anche per un altro motivo, che andava ben al di là di tutto questo...
Joanna era ancora lì, che lo fissava con i tratti incerti di chi non aveva assolutamente capito nulla di quello che gli era stato detto.
“Vai, per favore.”, le disse, stavolta la stava pregando.
“Ma... perchè?”, chiese lei, “Che cosa ho fatto di male?”

Avanti! Diglielo! Dille che l'unica cosa che ha fatto di male è essere se stessa!
Si trattenne, non era il caso di dire niente.
“Se almeno mi dicessi il motivo di tutto questo, io mi sforzerei di capirti.”, disse Joanna, “Ma per il momento proprio non ci riesco.”
“Non devi capirmi, devi semplicemente dire che non ne vuoi più sapere...”, le fece, sempre più deciso e fermo.
“Io...”, balbettò Joanna, “Perchè?”, insistette di nuovo.
Sospirò, come glielo doveva far capire?
“Perchè...”, e traballò ancora, “Non voglio essere tuo amico.”
“Che cosa è cambiato da ieri sera?”, contrattaccò subito Joanna, decisa a non mollare.

Cosa è cambiato? Praticamente tutto...
L’aveva lasciata convinto che tra loro due ci sarebbe stata una buona amicizia, e due secondi dopo si era trovato a ritrattare tutto.
Complimenti per la coerenza Dougie, complimenti davvero!
“Jonny, ti prego...”, le fece ancora.
“Non me ne andrò finché non mi darai una valida spiegazione.”, disse lei.
Joanna non voleva desistere: non l’avrebbe mai pensata così testarda, irriducibile. Gli stava rendendo volontariamente tutto più complicato e Dougie si spazientì ancora di più.
“E non te ne andrai nemmeno tu.”, aggiunse ancora lei, prendendolo per la mano e stringendola forte,
“Io non lascio mai gli amici senza un motivo.”, gli occhi suoi erano lucidi e la voce spezzata.
Quell'ultimo fendente di quella lotta tra spade, quale era la loro conversazione, entrò dritto nella petto, affondando con una facilità impensabile e più dolorosa dell'aspettato.
“Non puoi farmi questo, Dougie.”
Prima di parlare, Dougie prese un profondo respiro.
“Non ti voglio fare del male” , le disse, “e so che, se continuerò ad esserti amico, te ne farò... molto. E’ per questo che non ti voglio qui.”, doveva essere più deciso di quel modo, “E comunque non si può essere amici solo perchè due persone dicono insieme di volerlo essere.”
Lei rimase per qualche secondo incerta.
“Ah... allora è così che la pensi veramente.”, disse poi Joanna.
“Sì.”
 
Lo schiaffo arrivò in quel momento, colpendolo per la seconda volta in pieno volto con una carica notevole di odio e rancore.
“Sei un bastardo.”, gli sibilò, prima di correre via.
 
Sì, lo era davvero.

 

Le ci volle uno sforzo immane per individuare il numero di Arianna nella lista della rubrica del suo cellulare, tanto i suoi occhi erano offuscati dalle lacrime che si rifiutava di piangere. Aveva smesso di stare male per coloro che non meritavano il suo affetto, quindi perchè farlo per Dougie? Chi era lui per permettersi di farla piangere? Nessuno, solo un altro degli stronzi che avevano popolato la sua vita, fin da quando era nata, e che lei aveva imparato a cacciare via.
Già vuoi tornare a casa?”, rispose Arianna alla sua chiamata, saltando direttamente il tradizionale pronto.
“Sì.”, le rispose.
Dove sei?”, le domandò.
“Beh... ci troviamo al solito posto dove mi hai lasciato prima.”
Ok, tra un quarto d’ora sono lì... è tutto a posto?
“Sì, certamente.”, le disse, con ipocrisia.
Fatti accompagnare dagli inglesini, mi raccomando!
“A dopo...”, e chiuse la chiamata.
Se fosse stata capace di farlo avrebbe camminato per tutto il centro, a piedi, fino al punto di ritrovo con Arianna, ma non era proprio il caso. Guardò l’orologio, era l’una passata della notte, sarebbe stato troppo pericoloso.
“Jojo!”, si sentì chiamare alle spalle.
Con un gesto fugace scacciò via l’unica lacrima che aveva avuto il coraggio di violarle la guancia.
“Stai bene?”, le domandò Harry, che sembrava preoccupato per lei.
“Sì, tutto a posto.”, rispose, affibbiandogli un sorriso riparatore.
Lui lo accettò annuendo, poco convinto.
“Noi... pensavamo di tornare in hotel.”, le disse, “Ti dobbiamo portare da qualche parte?”
“Beh... mi dispiace chiedervelo, ma non mi fido a camminare di notte da sola.”, disse, con tono apatico, "Quindi... mi potreste accompagnare fin dove mi troverò con Arianna?"
Lui le sorrise con comprensione, e le passò scherzosamente un braccio intorno alla spalla. Quel gesto la infastidiva, non ne vedeva l’utilità e non lo accettò, scrollando le spalle ed allontanandosi da lui.
“Ti sto antipatica vero?”, gli domandò, “Allora perchè ora fai il carino con me? Non ne ho bisogno.”
“Diciamo che...”, disse lui, incassando il colpo ma permettendosi di controbattere, “Avevo già capito da un pezzo quello che Dougie ha afferrato in meno di un giorno.”

Allora è proprio vero il detto ‘Dio li fa e poi li accoppia’, pensò Joanna.
“Ed ho cercato più volte di far comprendere a quei due che, con l’andare del tempo, le cose sarebbero precipitate.”, continuò lui.
Nonostante non avesse la minima intenzione di starlo a sentire.,
almeno Harry sembrava voler essere chiaro e lo lasciò parlare.
“Non ho mai pensato che tu sia una cattiva persona, anzi...”, disse lui, “Però sapevo che qualcuno si sarebbe affezionato a te, in un modo o nell’altro. Li conosco troppo bene i miei due polli!”, fece, sbuffando affettuosamente, “E sapevo anche che ti avrebbero fatto stare male.”
“E allora perchè non sei stato chiaro fin dal principio?”, domandò lei, come era giusto e scontato che facesse, “Potevi dirmelo subito: cara Joanna, portaci a spasso per la Toscana, ma non pensare che diventeremo tuoi amici! Sei solo la nostra guida turistica, rimani al tuo posto e stai zitta!”
Harry si strinse nelle spalle.
“Sinceramente non lo so perchè mi sia comportato così.”, disse poi lui, “Forse perchè volevo godermi questa vacanza, forse perchè non volevo fare il papà padrone delle loro vite. Ho cercato di aprire loro gli occhi, ma sembravano troppo concentrati su di te.”

No, Jo, non piangere adesso, si impose, cercando tutto il suo self control, misteriosamente scomparso nei meandri reconditi della sua testa.
“Dougie non è il bastardo che tu pensi.”, le disse, “E’ che... insomma, non ti vuole fare del male.”
“Ma me lo sta facendo tuttora!”, protestò Joanna.

Non piangere!
“Perchè ormai è troppo tardi per tornare indietro.”, le spiegò Harry, “Non so cosa sia successo tra di voi e non lo voglio sapere, sono fatti vostri, non di mia competenza. Ma Dougie vuole proteggerti.”, disse lui, “E pensa che questo sia il miglior modo per farlo.”
Non devi piangere, stupida!
“Pensavo che nelle amicizie il modo migliore per proteggersi fosse sostenersi a vicenda...”, disse Joanna, “E non chiedere all’altro di andarsene come se niente fosse successo.”
“Te lo ripeto, Jojo.”, disse Harry, “E’ tardi per tornare indietro.”

Non metterti a frignare!
Harry annuì e le sorrise
“Torniamo dagli altri allora?”, le domandò
Solo l’idea di ritrovarsi di nuovo con Dougie la disgustava, ma lui ebbe il buon senso di tenersi a debita distanza da lei e gli altri, che invece camminavano insieme con tranquillità, ridendo dei vivaci scambi di battute tra Tom e Harry, due comici improvvisati. Un passo dopo l’altro arrivarono al punto esatto in cui Joanna doveva aspettare il suo capo e, infatti, di lì a poco, una macchina bianca si accostò al marciapiede, dove il gruppetto sostava in attesa.
“Allora ci vediamo domani sera.”, le disse Danny, mentre le apriva lo sportello dell’auto.
“Beh... non lo so.”, gli rispose.
Nonostante per tutto il tempo avesse recitato con loro la parte della finta tonta, aveva rimuginato bene sul da farsi. Alla fine del lungo processo di razionalizzazione silenziosa che c’era stato dentro di lei, era arrivata a pensare che non era più nemmeno il caso di tenere i pass del concerto. Non voleva nemmeno più andare a vederli, ne aveva avuto abbastanza.
“Come?”, fece Tom, spaesato, “Devi venire per forza!”
Harry lanciò al suo amico un'occhiata allusiva,
e si assicurò che avesse capito dandogli una gomitata.
“Ah...”, disse Fletcher, che poi abbassò il tono, “Vieni lo stesso, non ti preoccupare di lui.”

“Vedremo, ora devo andare.”, concluse Joanna, salendo nella macchina e tirando a sé lo sportello. Salutò i tre con un gesto sbrigativo e si allacciò la cintura.
"Vai.", disse ad Arianna.
“Ma cosa...”, cercò di capire la donna.
“Ti ho detto di andare.”, la esortò, “Vai!”
E l’auto ripartì, lasciando i ragazzi con un palmo di naso. Joanna appoggiò il gomito sul bordo della portiera, e fece cadere la la mano sulla fronte.
“Cosa è successo?”, le domandò Arianna, preoccupata.
“Mi porteresti a casa mia per piacere?”, le fece, senza rispondere alla sua domanda.
“Beh... sì, ma dimmi almeno perchè piangi!”, protestò Arianna.
“Non sto piangendo.”, la liquidò lei.
“Ok.”, accettò la risposta Arianna.
Non le domandò altro, rispettando di nuovo la sua volontà di stare in silenzio senza condividere con lei i suoi problemi.
“Senti…”, le fece, mentre si fermava davanti alla porta di casa sua, “Rimettiti, non venire domani al lavoro.”
“Dai, Arianna, sto bene…”, rispose Joanna, infastidita.
“E’ stata una settimana pesante. Prenditi un lungo week end, mi arrangerò. E poi c’è anche Maria al locale, le darò io una mano a servire i tavoli.”, la convinse, sorridendole.

Trovò Miki completamente addormentato davanti alla tv accesa, con la testa reclinata all’indietro e la bocca aperta in un leggero russare. Quando si sedette accanto a lui, sobbalzò improvvisamente, colto di sorpresa.
“Jo... ma che ci fai qua...”, le disse, dopo averla riconosciuta.
Nello stesso attimo si buttò al suo collo, iniziando a piangere tutte le lacrime che era a stento riuscita a trattenere. Miki non le disse niente, la strinse semplicemente a sé, accarezzandole la testa nel tentativo vano di farla calmare.
Forse suo fratello non la sentiva piangere in quel modo dai primi giorni in cui si era trasferita da lui.

 

 

Non l’aveva più sentita piangere così forte da così tanto tempo...
In quei due giorni senza di lei aveva avuto modo di riflettere, di rivalutare alcuni comportamenti che teneva nei confronti della sua sorellina. Doveva proteggerla, farsi scudo per lei con il suo stesso corpo... Oppure no? Forse Joanna era diventata abbastanza grande da potersi difendere definitivamente da sola? Evidentemente no, altrimenti non sarebbe tornata tra le sue braccia a singhiozzare senza tregua. Ma tutto quello stava a significare una sola cosa: Joanna aveva bisogno di vivere, di sbagliare, di piangere, di imparare e, se lui continuava a farle da scudo, tutto questo non poteva succedere.
Poteva immaginarsi che cosa era accaduto, c’entravano ovviamente quei quattro stupidi inglesi, era iniziato tutto con loro. Erano arrivati, tutti belli infiocchettati nel loro pacchetto dorato di sorrisi, fama e canzoni, l’avevano abbindolata e poi, al momento opportuno, scaricata.

Se li avesse rivisti...
Però, in fondo, se non fossero mai arrivati, lui avrebbe ancora continuato a rinchiudere Joanna in una cappa di vetro come una bella statuina, facendola soffocare se non addirittura fuggire. Doveva ringraziarli per questo? Forse sì, avevano anche dato a Joanna l’opportunità di capire quali persone doveva tenere lontane dalla sua vita. Persone come loro.
Era l’ora di provare a cambiare qualcosa nel loro rapporto, anche se non sarebbe stato facilissimo. Sì, Joanna aveva bisogno di più libertà... e lui non voleva essere come loro padre. Mai. Forse era proprio quello che lo spingeva a migliorarsi. Non voleva trovarsi di nuovo di fronte ad una Joanna in lacrime, che urlava ‘ti odio’ con tutta l’aria che aveva nei polmoni; non voleva vederla ancora in quel modo, come quando loro padre era venuto a riprendersela quando, insieme alle sue cose, si era trasferita da lui. Non voleva esasperarla ancora, le ci era voluto così tanto per tornare ad essere la Joanna di sempre, quella timida fuori, ma combattiva dentro.
“Non piangere.”, le disse, “Dai... vuoi dirmi cosa è successo?”
Joanna sembrava voler parlare, ma la sua voce era infranta continuamente da singhiozzi travolgenti.
“Eri con loro stasera, vero?”, domandò.
Non si sarebbe arrabbiato con lei.
“Puoi dirlo, tranquilla.”, la esortò. Lei annuì. “E cosa è successo?”
Più forte di prima, Joanna tornò a piangere.
“Ok, me lo dirai domani.”, le disse, “Adesso andiamo a letto.”



Titolo: Canzone strappalacrime... C'è pure il mio tessssoro che piange *sigh*... Non è dei McFly, è una cover ma fatta comunque da loro. Non ho controllato di chi sia veramente, sono troppo stanca, troppo lavoro durante il giorno, troppo caldo, troppo immaginare Danny nudo XDDD

Non mi perderò molto nei ringraziamenti, anche se dovrei farlo, ma i soliti motivi di stanchezza citati sopra mi tolgono le speranze di potermi distendere a terra e baciarvi i piedi :P
 Un bacio quindi a: CowgirlSara, Godfather, Princess, Lady Vibeke, Ciribiricoccola, Kit2007 e Giuly Weasley... Lo so, è troppo poco... ma sono tanto stancaaaaa *piango* E ringrazio anche tutte le ragazze del foro, che mi leggono e commentano di là (voi sapete dove :P)

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Capitolo 17
*** All About You ***


17. All about you

 

 
La medesima situazione della mattina precedente si ripropose nuovamente davanti agli occhi di Harry, Tom e Danny. 
Dougie arrivò in ritardo alla colazione, si sedette, incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la fronte sopra, con i capelli spettinati coperti da un cappellino indossato al contrario. Harry roteò gli occhi, preferendo spostarli altrove. Danny, invece, li piantò incessanti su Tom, chiedendogli silenziosamente di fare qualcosa.
Tocca sempre a me, protestò mentalmente Fletcher, che  posò la sua fetta di toast imburrata, sfregò le dita per cercare di togliere le minuscole briciole e si concentrò sul da farsi.
“Non dire niente, Fletcher.”, lo liquidò subito Dougie, con la voce ovattata dal suo nascondiglio fatto di braccia.
Tom alzò le mani al cielo, in un gesto di serena rassegnazione. Erano davvero arrivati alla frutta?
“E nemmeno tu Harry.”, lo sorprese Dougie, ancora
prima che al batterista balzasse in testa anche solo l’intenzione di fare qualsiasi cosa.
Era rimasto solo Danny.
“E io?”, fece lui infatti, “Ho l’autorizzazione di parlarti oppure no?”
Dougie non rispose.
“Lo sappiamo che cosa hai voluto fare con Little Joanna.”, gli disse Harry, “Lo abbiamo capito.”
“Perché non ce ne hai voluto parlare subito?”, gli domandò Danny, “Tante cose non sarebbero successe se tu solo lo avessi fatto.”
Ancora silenzio, non  una parola di giustificazione.  Piuttosto che prenderlo a schiaffi, 
Danny si mise le mani in tasca, sbuffando paurosamente. Era il più visibilmente incazzato, mentre dopo di lui si trovava direttamente Harry, che cercava di limitarsi anche se in maniera del tutto inefficace. Infine Tom, sempre il più calmo e ragionevole del gruppo.
“Doug”, gli fece infatti lui, in tono più pacato, “hai voluto proteggere Jo, giusto?”
“Sì.”, rispose lui.
“Pensavi che le potessimo fare del male, non è così?”, insistette ancora.
Conosceva abbastanza bene Dougie da sapere come prenderlo, in quei momenti. Delle semplici domande a risposta netta, sì e no, erano molto più efficaci di migliaia di richieste di lunghe spiegazioni.

“Sì.”, annuì quindi Dougie, di nuovo.
“Potresti anche ampliare le tue risposte!”, si animò Danny, sempre impaziente.
“Jones, per favore.”, lo placò immediatamente Harry, che aveva capito il gioco di Tom.
“Per caso”, riprese poi lui, “quando siete rimasti soli, ieri sera dopo il ristorante, lei si è arrabbiata con te?”
“Sì.”
“E si è arrabbiata perchè eri tu a volerla fare arrabbiare, giusto?”
“Sì.”
“E ti sei comportato per tutta la sera come uno stronzo proprio per quello, non è così Doug?”
La risposta si fece attendere.
“… Sì.”, disse Dougie, con un filo di voce.
“Tu volevi che lei avesse il pretesto per non volerci più vedere.”, disse, senza alcuna inclinazione da domanda.
“Sì.”
Tom abbandonò la schiena sulla sedia, soddisfatto per essere riuscito a spillare la verità da un reticente Dougie.
“E ci sei riuscito, stupido!”, esclamò Danny, prima di beccarsi un calcio sotto al tavolo da Harry.  Era meglio che Jones mettesse a bada il suo temperamento focoso, altrimenti Dougie sarebbe saltato in aria, arrabbiandosi a morte, e Tom non sarebbe più riuscito a sapere altro.  Ci voleva tanta pazienza con un Poynter così a terra e lui, tra tutti e quattro, era l'unico ad averne abbastanza.
“Grazie Judd.”, gli fece Fletcher, riferendosi alla pedata sanatoria che il bassista aveva dato al suo collega chitarrista, “Insomma Dougie…", tornò su di lui, "sei sicuro che tu abbia fatto tutto questo a causa nostra?”
La risposta tardò ad arrivare. Erano arrivati al punto cruciale, Dougie non poteva abbandonarli proprio in quel momento.
“No.”, disse poi.
“No cosa?”, sbuffò di nuovo Danny, “Parla! Esprimiti!”
“NO!”, esclamò Dougie, sottraendosi alla sua posizione nascosta e guardandolo con rabbia, “Non ci arrivi, Jones?”
Danny si paralizzò, la reazione convulsiva di Dougie lo aveva spiazzato.
“Io non l’ho fatto per noi!”, continuò il bassista, attirando l’attenzione di alcuni degli altri ospiti della sala, “L’ho fatto per lei!”
“Lo abbiamo capito.”, cercò subito di calmarlo Tom, mettendogli una mano sul braccio, “Però…”
“Però un bel cazzo!”, si liberò l’altro, “Danny!”, e si rivolse a lui, “Lo sapevi che prima di te Joanna non aveva praticamente baciato nessuno?”
Jones non seppe cosa dire, era pietrificato.
“Non ti è mai passato per l’anticamera del cervello che forse potevi piacerle veramente?”, continuò a provocarlo Dougie.
“Poynter, ci siamo chiariti.”, lo informò lui, innervosito, “Anzi, se vuoi proprio saperlo, è stata lei a dire che era meglio rimanere amici.”
“Amici?!”, sbottò Dougie, “Ma quali amici! Non avete ancora capito che Jonny  non ha nessun altro amico sulla faccia della terra?”
I tre lo guardarono, stupefatti, inceneriti dalle sue parole. Dougie scosse la testa, ridendo amaramente. Ancora prima di scendere a far colazione, sapeva già che quella mattinata sarebbe sfumata in una litigata. Aveva previsto un Tom in atteggiamento paziente e tranquillo, un Harry frenetico ed un Danny pronto all'attacco. Si era aspettato le loro domande, aveva già preparato le risposte e, nonostante l'umore pessimo, aveva cercato di essere il più cristallino possibile. Aveva preventivato il prendersela con uno di loro, e fino all'ultimo era rimasto insicuro su chi tra Danny ed Harry, ma ne aveva di belle per entrambi, se gli avessero dato la possibilità di 'spiegarsi'.
“No, non ve lo sareste mai aspettato, non è vero?”, si riprese, riferendosi ancora con astio al suo amico Jones.
“E’ impossibile non avere amici.”, disse lui, “Tutti hanno qualcuno…”
“Tutti chi?”, sbuffò Dougie, “Non ti ricordi quando andavi a scuola e ti prendevano così tanto per il culo che preferivi stare solo piuttosto che con il resto del mondo? Ci hai pure scritto una canzone sopra! E se non ricordo male si chiama Not alone, o sbaglio?”
“E perché Joanna non avrebbe nessuno?”, domandò Tom, sempre conciliante, cercando di recuperare la conversazione per riportarla sul piano del gruppo, e non su un  battibecco personale tra i due.
“Questi non sono affari tuoi.”, lo seccò Dougie.
“Come mai non volevi che diventassimo suoi amici?”, insistette Danny, “Perchè volevi che lei ci lasciasse perdere?”
“Perché Jonny…”, cercò di dire, prima che le parole gli morissero in gola, ritrovandole solo dopo un profondo respiro, “Non ha bisogno di noi, di quattro ragazzi appesi al muro di camera sua che, dopo aver lasciato questa città, non si ricorderanno nemmeno più di lei.”
Solo allora i tre parvero afferrare il concetto, Dougie si sentì prendere dallo sconforto più totale. A volte, tra loro erano capaci di leggersi nel pensiero, di parlarsi senza muovere le labbra, di comunicare con sguardi e microscopici gesti della testa. Altre, come quella, non riuscivano ad afferrare il concetto neanche urladosi addosso con dei megafoni giganti.
“Non c’eravate arrivati?”, fece loro, “Cadete dalle nuvole solo adesso?”
Dougie sbuffò.
“Jonny non ha avuto una vita facile.”, concluse, “E noi non dobbiamo complicargliela.”
“Eppure tu lo hai fatto più di quanto avremmo potuto fare noi tre messi insieme.”, si inserì Harry, fino a quel momento relativamente silenzioso, ma non meno incavolato, “Ti è  balzato in testa che forse Jojo abbia potuto essersi sentita presa in giro da te? Forse non hai afferrato che hai agito quando era troppo tardi ed ormai lei si era già affezionata a noi... e a te?”
Dougie e la sua ferrea posizione sembrarono traballare, ma fu solo un piccolo sisma sotto i suoi piedi Era ancora fermamente convinto di tutto quello che aveva detto.
“Io non mi sono affezionato a lei!”, controbattè subito.
“Andiamo, Poynter.”, sbuffò Judd, con una risata sarcastica, “Io invece sono gay e lo metto in culo da Danny!”
“Hey!”, sbottò Jones, sentendosi offeso nella sua virilità.
“Doug”, continuò Harry, ignorandolo, “in un modo o nell’altro, tutti ci teniamo a lei. E’ praticamente impossibile non farlo. Chi più e chi meno, come me, tutti noi alla fine le... vogliamo bene, sì, perchè non dirlo?”
Harry guardò gli altri tre in cerca di consenso e ne trovò, le teste di Jones e di Fletcher che annuivano in suo sostegno.
“Ma che parolona... volerle bene!”, ripetè ironicamente Dougie.
“Già”, disse Danny, “Little Joanna è una ragazza adorabile, non si può non volerle bene. E’ dolce, è simpatica, è carina.”
“Stai zitto, tu che l’hai presa per il culo!”, esclamò Dougie.
Danny si alzò, sbattendo la sedia contro il tavolo, furioso.
“Io me ne vado, non parlo con uno che vuole vedere solo ciò che gli interessa.”, disse poi, allontanandosi a grandi passi.
“Doug, ti prego, rifletti!”, lo riprese Harry, dimenticandosi della scenata del chitarrista, “Smettila di negare ancora di non esserne rimasto coinvolto... più di tutti noi messi insieme, sei quello a cui Jojo sta più a cuore.”
Lui scosse la testa, negò ancora.
“Altrimenti non avresti fatto tutto questo casino.”, dette il colpo finale Harry, sicuro delle sue parole, e notando invece l’incertezza del suo amico, “Mi rifiuto di pensare che tu ti sia comportato così... per niente!”
“Non ti sembra di aver esagerato con Jo?”, gli domandò allora Tom, “Non ti bastava semplicemente fare come Danny, mettere tutto in chiaro a quattrocchi?”
Quella semplicissima domanda tagliò via la sottile fune su cui Dougie aveva traballato per tutto il tempo. Il ragazzo appoggiò stancamente la schiena contro la spalliera della sedia, con gli occhi fissi nel vuoto. Di tutti i modi, di tutte le vie, di tutte le possibilità, aveva scelto quella più stupida, quella pessima, la più cretina di tutte. Il risultato era stato sarcasticamente ottimo, alla fine Joanna si era veramente imbestialita, gli aveva dato del bastardo e non lo avrebbe voluto vedere mai più...
Ma a quale prezzo?
Non sempre il fine giustificava i mezzi, solo adesso lo comprendeva, e per arrivare a quel punto avrebbe potuto davvero fare come Danny: semplicemente parlarle, spiegarle la situazione. Joanna avrebbe capito perfettamente e tutto si sarebbe concluso con un bell'abbraccio. 
“Non è una stupida.”, si accodò Harry allo stesso principio avviato da Tom, “Sarebbe stato sufficiente dirle che...”
“Non sarebbe stato affatto sufficiente, è chiaro?”, lo interruppe Dougie, con un gesto secco ma breve della mano.
Come si poteva dire ad una persona di volerle esserle amica ed il giorno dopo cambiare totalmente idea? Come avrebbe potuto spiegarle la sua mancata coerenza, senza che lei si potesse sentire ferita? Era quello il motivo per cui aveva agito in quel modo, quella da lui imboccata era stata la via giusta, quella più corretta per come i fatti si erano concatenati.
“Doug”, disse Tom, “spiegami cosa è successo davvero tra di voi.”
Era fermo e risoluto, poche volte lo si vedeva in quel modo. Harry, infatti, gli lasciò il campo libero, e Dougie stesso ebbe un momento di paura, perchè ormai conoscevano Fletcher come le loro stesse tasche: uando imponeva a buone parole di fare una determinata cosa, quella andava fatta. Perchè, anche se sembrava calmo e tranquillo, al minimo cenno di opposizione avrebbe rivoltato il suo avversario come un calzino. Significava che ne aveva avuto abbastanza, e che era ora di fare a modo suo.
“Non è successo niente...”, disse con fiacchezza.
“Doug!”, pretese Tom, fissandolo con sicurezza negli occhi, “Dimmelo.”
“No, non posso.”, rispose.
Non poteva accontentarlo, era fuori discussione. Era destinato a sorbirsi la faccia contratta di Tom, la sua voce alta ed incazzata. Ma non avrebbe parlato.
“Perchè non puoi?”, insistette lui.
“Non posso e basta.”, disse Dougie, accennando ad alzarsi, ma la presa stretta del chitarrista gli bloccò sia il braccio che l’intenzione di farlo.
“Ci devi delle spiegazioni Poynter.”, riprovò ancora Tom, approfondendo la serietà delle sue parole, “Dobbiamo sapere cosa è successo. Non saranno cazzi miei, nè di Harry o di Danny, ma visto che ci siamo
dentro tutti e quattro, noi abbiamo il diritto sapere.”
“L’hai per caso vista senza che ci fossimo anche noi?”, avanzò Harry una proposta di soluzione.

Lasciò che la sua risposta apparisse a chiare lettere sul suo viso. Harry sbuffò, toccandosi gli occhi in cerca di calma. Tom non disse nè fece niente, fu come se avesse trovato conferma a qualcosa che già pulsava nella sua testa.
“Quando?”, domandò il chitarrista.
Dougie fece attendere la sua voce.
“Ieri sera.”, disse.
Tom aggrottò la fronte: stava realizzando l'incongruenza dei fatti che, fino a qualche attimo prima, avevano combaciato senza ombra di dubbio. Dougie si trovò a pregare che né lui né Harry si infuriassero per l'enorme bugia che aveva raccontato.
“Hai finto di stare male per andare da lei, non è così?”, chiese poi Tom.
“Sì.”, disse, flebilmente.
Il bassista si trovò ad attendere una scenata d'isteria, quasi gli venne da chiudere gli occhi per la paura. Ma questa non arrivò mai: i due, infatti, lo guardavano silenziosamente, con gli occhi ponevano le loro domande.
“Abbiamo parlato.”, li accontentò Dougie, “E lei mi ha detto delle cose... su quello che le è successo in passato. Ma non è successo niente tra noi, lo giuro!”
Harry, che tra alti e bassi era riuscito a trattenersi abbastanza egregiamente, al sentire quella banale ma apparentemente incredibile verità, sbuffò vistosamente, fece del suo tovagliolo una palla informe e la buttò sul tavolo.
“Stronzate...”, disse, e se ne andò, scuotendo la testa.
Dougie osservò il batterista lasciare la sala ed alzò le spalle, appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Tutto qui.”, fece a Tom, che sembrava meno incredulo, “Abbiamo parlato.”
“E cosa è successo a Joanna?", volle sapere, "Anche se so già che non me ne vuoi parlare...”
“Mi dispiace.”, disse Dougie.
Tom parve accontentarsi, accettando quella scusa senza controbattere ancora. Non avrebbe avuto ulteriori spiegazioni, lui non gliele avrebbe fornite nemmeno sotto tortura, era meglio che lasciasse perdere.
“Cosa è stato che ti ha fatto cambiare idea su di lei?”, gli domandò, deviando ma rimanendo comunque in tema, “E’ successo in conseguenza a ciò che hai saputo di lei... vero?”
Ma come faceva
quell'amorevole bastardo di Tom a leggergli sempre nel pensiero? Forse sotto il suo mento c’era una striscia di lucette rosse che si illuminavano in parole, rivelando tutto?
“Le ho detto che... che era una persona speciale per me.”
Fletcher annuì, un’increspatura lievissima della sua bocca svelò un sorriso di sottecchi.
“Nel senso... speciale come amica.”, si affrettò a specificare Dougie, “E lei ne era rimasta contenta... ma poi ho capito che non potevo esserle amico.”
“Non puoi proprio.”, disse Tom, approfondendo il suo sorriso.
Dougie sentì le guance avvampare per l'imbarazzo.
“L’ho fatto per i motivi che ho detto prima, cioè che non posso starle vicino, così come non possiamo farlo tutti insieme... non per quello che pensi tu.”
“Sì, ti credo.”, fece Tom, dandogli una pacca sulla spalla. Stava mentendo, ma Dougie non volle tornare sulla questione., “Beh, le tue intenzioni non hanno fallito, Jo non verrà al concerto.”, gli disse ancora Fletcher.
“Sì, ho sentito.”
“Non so cosa dire.”, continuò poi Tom, “Capisco perchè lo hai fatto Dougie, non hai torto, noi non possiamo essere gli amici che vorrebbe. Non abbiamo il tempo per diventarlo, c’è una notevole distanza che ci separa e... in fin dei conti lei è sempre una fan. A nostro modo, come ha detto Harry, le vogliamo bene perchè...”, rimase dubbioso, “Sinceramente non lo so come mai ci siamo affezionati così velocemente a Jo... mi suona molto strano, ma è successo davvero...”.
“Già...”, disse Dougie, “Forse perchè è semplicemente Jonny. E’ lei al naturale.”
Entrambi sorrisero all’altro. Tutto quello era
infatti molto strano, nella loro vita non era facile conoscere persone così semplici, che non si nascondevano dietro ad una maschera per farsi piacere: Joanna era sempre stata se stessa e, nonostante si vergognasse di esserlo perchè troppo timida ed impacciata, non aveva mai messo da parte se stessa per essere qualcun altro; con il tempo era riuscita a schiudersi, liberando una simpatica farfalla, intelligente e spontanea, la vera Joanna.
“Però ha di nuovo ragione Harry.”, disse Tom, “Tu hai agito quando  era
ormai troppo tardi. Non volevi farla soffrire... ma lo hai fatto lo stesso.”
“Meglio adesso che dopo.”, disse Dougie, difendendosi per l'ultima volta.
“Forse sì... ma è una magra consolazione.”
Incrociò le braccia e le appoggiò sul tavolo.
“Cosa dovrei fare adesso?”, chiese poi il bassista.
Già... cosa avrebbe potuto fare? Lasciare tutto così o cercare di farsi perdonare per il terzo e definitivo casino che aveva combinato?

Sei un deficiente, si disse, con che coraggio tornerai da lei?
Il problema non si pone, si rispose in automatico, per quale motivo lei dovrebbe starti a sentire?
Forse c’è ancora una possibilità per recuperare...
Oh sì, certamente, lei sta ancora ad aspettare te, imbecille.

“Non credo che esista una seconda possibilità per te, Poynter.”, disse Tom, con calma, confermando i suoi pensieri, “Però Jo starà a sentire me... forse.”
Come diceva una famosa canzone, that’s what friends are for. Che fossero nella merda, da soli o tutti insieme, loro erano erano i McFly, spalla a spalla, l'uno per l'altro. Se non fosse stato troppo da gay, e già da tempo c'era chi speculava su questo, avrebbe pensato a loro quattro come dei Moschettieri del nuovo millennio. 
Ma le calzamaglia gli avevano sempre fatto venire il prurito alle chiappe.
“Grazie Fletcher per non esserti incazzato con me.”, gli disse, sorridendogli.
“Ti sbagli, un po’ sono davvero arrabbiato con te Doug.”, rispose l'altro, “Avresti dovuto dirci tutto già da tempo, ma so come sei fatto. Se non vuoi parlare, non lo fai nemmeno sotto tortura.”
“E tu finora cosa pensi di aver fatto? La tua non era una sottile tortura machiavellica?”, sbuffò Dougie.
“Beh... io non sono la Santa Inquisizione.”, disse Tom, “E dove hai imparato quella parola?.”
Gli dette una pacca amichevole sulla spalla.
“Dai, andiamo.”, fece poi all’amico bassista, “Siamo già in ritardo.”

 

 

Si svegliò lentamente, il torpore chimico del sonnifero che aveva preso iniziò ad evaporare solo quando il suo cervello fu in grado di connettersi con la realtà. Stropicciò gli occhi in cerca di luce, ma la penombra della camera era così fitta che non glielo permise.
Ma dove cavolo era...
Si rese conto di non essere nella sua cameretta, bensì nella stanza di Miki. Lui non c’era e, a vedere dai piccoli raggi del sole che sbucavano dalle fessure delle tapparelle, era già mattina inoltrata. Il sonnifero le aveva scombussolato l’organismo, la testa ed i pensieri, le ci volle diverso tempo prima di trovare la forza di riflettere, distesa sul letto sotto le coperte.

‘Non ti voglio fare del male e so che, se continuerò ad esserti amico, te ne farò... molto.’
Perchè? In che modo le avrebbe potuto fare male? A parole? A gesti? Come?
Per un attimo, solo un attimo, si era illusa dicendosi che sarebbe stata una bella amicizia, che su di lui avrebbe potuto contare... E si era disillusa subito, era praticamente impossibile: Dougie non era una persona comune, non era un ragazzo come tutti gli altri. Faceva parte di un gruppo famoso, viaggiava, conosceva sempre persone nuove e non avrebbe mai avuto il tempo per lei.
Dopo i primi attimi di euforia aveva capito tutto questo e, nonostante la piccola delusione, aveva comunque accettato il compromesso. Sarebbe stata un’amicizia lontana, si sarebbero sentiti una volta ogni paio di mesi o giù di lì. Poi, magari per noia, tutto sarebbe taciuto, fine della questione. Lei non aveva mai sperato, tranne che per un breve momento, in qualcosa di più di questo. Così come non si era illusa nel credere che anche gli altri sarebbero stati suoi amici.

‘E comunque non si può essere amici solo perchè due persone dicono insieme di volerlo essere.’
Aveva decisamente ragione. Un’amicizia nasceva col tempo, con la conoscenza reciproca... non dopo una semplice serata insieme a confessarsi davanti ad un caminetto.
Eppure faceva male, tanto male.
Si alzò dal letto, faticando ad ogni passo. Le sembrava di avere i piedi incastrati in due enormi blocchi di cemento, non riusciva nemmeno a coordinarsi. Aveva preso quel sonnifero perchè, nelle poche volte in cui era andata a letto in quelle condizioni, non era mai riuscita a dormire per le lacrime ed i brutti pensieri.  Così si era calata qualche goccia e, dopo giusto il tempo di mettersi il pigiama, si era addormentata come un sasso. Non sapeva come mai, invece di svegliarsi nel suo letto, si era trovata in quello di Miki.
Guardò l’ora: mezzogiorno e mezza. Nausea e mal di testa la diffidarono dal mettersi a mangiare qualcosa, piuttosto si sdraiò sul divano ed accese la tv per consolare la mente con qualche stupido programma. Stava quasi per piombare di nuovo nel sonno, quando il telefono di casa la tolse dal torpore.
Come stai?”, le chiese subito Miki, con tono preoccupato.
“Mi sembra di vivere dentro ad una palla da bowling...”, biascicò Joanna, con la lingua impastata contro il palato.
Vuoi che venga a casa? Che ti chiami il dottore?
“No, Miki, sto bene.”, gli disse.
Cosa facevi?”, insistette lui, sempre apprensivo.
“Ero alla tv, stavo quasi per addormentarmi ancora.”, sbadigliò, “Mi sono svegliata circa mezzora fa.”
Ok... se ti servisse qualcosa chiama pure...,", le disse lui,"Ti devo lasciare, stasera non mi aspettare, vado agli allenamenti subito dopo il lavoro. Tornerò tardi come sempre.”, e la salutò.
“Ok... A stasera.”, rispose, distratta.
Dall’altra stanza, il suono del suo cellulare la fece sussultare.
Agganciò la cornetta sull’apparecchio, rimanendo ad ascoltare il trillo lontano del telefono. Sentì ribollire in sé la stessa rabbia che l’aveva colta la sera prima. Un passo dopo l’altro, veloce, entrò nella sua stanza e frugò nelle tasche del cappotto dove era riposto. Si era aspettata il classico numero impossibile, ma quello che vide era solo una comune serie di cifre appartenenti ad una linea della sua stessa città. 
Non rispondere!
Ma la tentazione era tanta.
Il dito si avvicinò al pulsante rosso e lo premette.
Spense il telefono e lo gettò sul letto, lasciandolo rimbalzare sul materasso e, non contenta, lo coprì con il cappotto.

 

 

Posò la cornetta, chiuse la chiamata. Sapeva bene che, in quei casi, i primi tentativi andavano sempre a vuoto, quindi non gli rimaneva fare altro che provare di nuovo e riprovare ancora, se ce ne fosse stato il bisogno.  E ritentò la seconda volta, una terza e una quarta, ma la solita voce fastidiosissima ed italiana rispose al posto di Joanna, dicendogli che il cellulare chiamato poteva essere irraggiungibile.
Tampinava il telefono che si trovava nel loro camerino, provavano un paio di canzoni poi tornava a chiamarla, sotto lo sguardo vigile e sconsolato di Dougie. Gli altri due, invece, non chiesero niente sulle sue brevi ma continue assenze, molto probabilmente si immaginavano da soli cosa avesse promesso di fare per Dougie.
La situazione tra loro era sempre tesa, il nervosismo era alto, ma ognuno di loro si sforzava nel cercare di far finta che nessuna discussione fosse passata tra  loro.
‘Ti ha risposto?’ gli chiedeva il bassista ogni volta con gli occhi e lui gli rispondeva nel medesimo modo.
'No...'
Erano le tre del pomeriggio quando decisero di stendere con i preparativi del concerto. Tom provò per l’ultima e forse ventesima volta: come tutte le altre la chiamata andò a vuoto. Dougie, seduto comodamente nelle sue vicinanze, si grattò i capelli con espressione delusa.
“Non mi aspettavo nient’altro che questo.”, gli disse Tom, alzando le spalle.
“Anche io.”, disse l'altro, sospirando.
“Ma almeno ci abbiamo provato.”, gli sorrise alzandosi e lasciandolo lì, nel camerino.
Ormai cosa era rimasto da poter fare per Dougie? Andare da Jo, al lavoro? 
Magari non aveva mai risposto alle sue chiamate proprio per quello... Sì, ecco trovato il vero motivo: Jo stava lavorando, aveva il cellulare da qualche parte e non poteva quindi rispondere. Si voltò indietro, guardando la porta del camerino che aveva appena lasciato.

E’ il caso di andarla a trovare al lavoro?
Si mordicchiò le labbra in cerca di una risposta che tardava ad arrivare.
Non hai tempo per farlo... e non puoi lasciare il palazzetto.
Però poteva inventarsi una scusa banalissima per farsi accompagnare all’hotel e poi prendere un po’ di tempo per andare da lei.
Non è una buona idea, Fletcher.
Ma lo fece lo stesso ed afferrò per un braccio James, il loro corpulento ed usuale autista, e gli chiese se potesse portarlo all’hotel, doveva aveva dimenticato di prendere...
“... le vitamine.”, gli spiegò, con faccia naturalmente contorta in un espressione molto preoccupata. Doveva essere convincente, ad ogni costo, e le sue bugie erano le peggiori del mondo.
“Le vitamine?”, fece l’altro, difatti altamente perplesso. 
“Sì... quelle che prendo prima... di ogni concerto. Capiscimi”, gli spiegò, maneggiando le dita con fare sospetto.
L’altro lo squadrò.
“Ora si chiamano vitamine...”, sbuffò, prima di acconsentire. Andarono silenziosamente verso l'auto, posteggiata fuori dal palazzetto insieme a tutti gli altri veicoli della troupe, e partirono alla volta dell'hotel.
A metà strada, Tom fu colto dal dubbio lancinante.
“Perchè? Prima come si chiamavano?”, gli domandò, seduto accanto a lui nel posto dell’accompagnatore.
“Cosa?”, domandò l’autista, colto in un momento di distrazione.
“Le vitamine.”, si specificò Fletcher.
“Ah, quelle...”, fece, con sorriso complice, “Ai miei tempi si chiamavano droghe!”
Tom spalancò gli occhi, stupefatto.
“Erano gli anni settanta.”, si giustificò prontamente James.
Il ragazzo annuì.
“Comunque io non mi drogo.”, aggiunse Tom.
“Sì, ovvio.”, rispose l’altro, alzando le spalle e ridendo sotto i baffi. Poteva vederlo trattenersi a fatica, anche con la coda dell'occhio, e la cosa non gli fece molto piacere. Se c'era una cosa che odiava al mondo, insieme a tante altre, erano le droghe e tutte le cazzate di quel genere...
Ci volle un bel po’ prima di arrivare all’hotel e, una volta davanti all’edificio, Tom gli chiese se potesse attenderlo lì, senza fare alcune domande.
“Come vuoi amico.”, rispose James, accendendo lo stereo dell’auto nera ed ascoltando dell'improbabile musica italiana.
Percorse quasi correndo la strada verso lo Strictly English, ormai l'aveva imparata più a memoria delle tasche dei suoi pantaloni nuovi. Come prima, appena fuori dal camerino, davanti alla porta del locale fu colto dall’incertezza.
Era la cosa giusta da fare? Joanna sarebbe stata a sentirlo? Invece di stare a porsi ultariori domande, entrò nel locale. Le risposte sarebbero arrivate nel giro di pochi minuti e, qualsiasi cosa stava per essere detta, lui l'avrebbe accettata. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Come ogni cliente anonimo, si sedette al tavolo e prese a guardare il menù, tenendo comunque sotto controllo lo spazio intorno a lui.
Di Joanna nemmeno una traccia. Al posto suo, gli si avvicinò una cameriera con dei foltissimi riccioli: la riconobbe quasi subito, fu la ragazza che soccorse Joanna quando cadde a terra, andando a liberare il pavimento dai barattoli caduti dalla cesta che lei portava.  Sorrise al pensiero.
“Vuoi già ordinare?”, gli domandò in un inglese molto più italianizzato di quello di Joanna.
“Sì... un the semplice.”, le rispose, con traquillità.
“Perfetto.”, disse lei, sorridendogli.
“Senti...”, la riprese, prima che lei si allontanasse, “C’è Joanna per caso?”
La ragazza ponderò la risposta, facendosi attendere.
"Sono un suo amico.", aggiunse, per invogliarla a parlare.

“No, oggi no.”, gli disse, comunque non convinta.
“Ah... quindi è a casa?”
La ragazza lo guardò di traverso, e si allontanò. Mica poteva biasimarla per l'atteggiamento scontroso, sicuramente l'aveva preso per un maniaco, che chiedeva informazioni sulle cameriere dei locali, come se fosse una domanda sul contenuto di uno dei sandwich nel menù.
All’improvviso, un fulmine attraversò in due la materia grigia di Tom, che si ricordò del fratello di Joanna.
Lui lavorava lì dentro!

Visto, cretino di un Fletcher che non sei altro? Ora esce fuori e ti prende a padellate!
Quello non scherzava, quello poteva fargli davvero del male. Doveva darsela a gambe, sparire senza lasciare tracce, altrimenti sarebbe potuto succedere il finimondo.E poi comunque aveva appurato che Joanna non era lì dentro e, dato che non aveva molto tempo da perdere, era anche il caso di togliersi di torno senza attendere che l'ordinazione fosse pronta.
Tom si guardò intorno, alla ricerca di uno sguardo che fosse puntato su di lui. Non uno solo. Con finta tranquillità, si alzò e si diresse verso la porta. Prese un respiro profondo, afferrò la maniglia e la tirò verso di sé, facendo aprire la porta. Il suo corpo magro passò per la fessura tra il legno e lo stipite e, non appena l'ultimo centimetro di Fletcher oltrepassò la soglia, Tom si mise a correre come un pazzo. Forse non aveva mai corso così veloce in tutta la sua vita, escludendo la fuga alla stazione di qualche giorno prima.
In un attimo fu alla macchina dove James, vedendoselo piombare contro a tutta velocità temette il peggio. Uscì dalla macchina preoccupato.
“Cazzo, cos’è successo!”, esclamò, con la voce attutita dal rumore forte della portiera che sbatteva.
“Niente...”, si calmò Tom, chino su se stesso per riprendere fiato, e si sentiva il cuore scoppiare in petto.
“Stai fuggendo da qualcuno?”, domandò James, allungando lo sguardo al di là del ragazzo.
“Forse sì, non lo so...”, tagliò corto Tom, guardandosi indietro, ma non vide nessuno, “Adesso però dovresti portarmi in un posto... anche se non so di preciso dov’è...”

 

 

Sdegnata dalla qualità della televisione pomeridiana italiana, Joanna si alzò dal comodo giaciglio del divano, sui cui aveva dormicchiato per tutto il pomeriggio, sotto una calda coperta di lana con fantasie scozzesi. Ce l’aveva da quando era piccola, con quella aveva dormito sulle piccole brande dell’asilo; c’era ancora scritto il suo nome sopra, su una piccola etichetta bianca, in pennarello sbiadito e lettere un po’ contorte. Era un po’ come la coperta di Linus: poteva essere sdrucita, legata intorno a una croce di legno per farci un aquilone ma era sempre un ricordo indelebile d’infanzia.
Lasciò la coperta raggomitolata sulla seduta del divano e, stropicciandosi la faccia stanca, si spostò nella cucina. Un certo languore le stuzzicava la bocca dello stomaco, che non aveva accolto la benché minima quantità di cibo da molte ore. Spulciò il contenuto della credenza, in cerca di biscotti ma soprattutto di un bel pezzo di cioccolata al latte. Ne aveva proprio bisogno, voleva sfogarsi e farsi venire la faccia colma di brufoli, così nessuno l’avrebbe più guardata per l’orrore... e non avrebbe iniziato a parlarle di amicizie e tutte queste cavolate qua.
Munita del cartone di latte, di un pacco appena aperto di biscotti e di cioccolata tornò sul divano. Stufata della tv andò alla ricerca di un film interessante nella videoteca casalinga e, indecisa tra una nuova visita al ‘Dottor Stranamore’ di Kubrick oppure all’ispettore Clouseau in ‘La pantera rosa colpisce ancora’, tirò una monetina mentale che atterrò mostrando la faccia della croce.
“Clouseau.”, disse, afferrandolo con due dita.
Inserì il dischetto e attese che il film partisse, sgranocchiando un biscotto ammorbito con un po’ di latte. Nel frattempo i titoli di coda passarono, accompagnati dalla celeberrima colonna sonora composta dal mitico Henry Mancini, ed il campanello di casa suonò.
“Le chiavi di casa...”, borbottò tra sé e sé Joanna, immaginandosi che il fratello le avesse dimenticate da qualche parte.
Lasciò le cibarie sul divano e si avvicinò alla porta, dove sostava appeso al muro la cornetta del citofono.
“Dimenticato le chiavi, eh, tontolone?”, sbuffò ridacchiando.
Dall’altra parte non sentì alcuna risposta, solo il rumore delle auto che passavano.

Ragazzini idioti, suonate i campanelli e poi fuggite...
Non ebbe  nemmenoil tempo di agganciare la cornetta, il drin metallico dell’apparecchio si fece di nuovo sentire.
“Ma chi è?”, domandò, scocciata.
Ehm... Jo?
Aggrottò la fronte, poi percepì uno strano parlottio in lontananza, amplificato malamente dalla scarsa qualità del suo citofono.
James! Fammi provare ancora, mi sa che ho sbagliato!
Ma... quello era Tom. Che diavolo...
“Tom, vattene per favore.”, gli disse, seria.
Jo, sono da solo, voglio solo parlarti...
Non lo fece terminare, appese la cornetta e si allontanò dalla porta, sbuffando ira. Il campanello trillò ancora un paio di volte, ma lei lo lasciò perdere, concentrandosi nervosamente sullo sgranocchiare costante dei biscotti nella sua bocca e sulle prime scene del film di Blake Edwards.
Ma come cazzo aveva fatto a trovare casa sua? C’era stato una volta, che memoria di ferro! Tutte le strade che la circondavano erano uguali... cos’era lui? Un elefante? O solo uno con un culo grosso come un mappamondo?



Scusate, termino il capitolo così, a metà discorso, dopo aver lasciato la storia in sospeso per due settimane -.- ma ch di voi parla con me ogni santa sera, sa quanto il mio tempo sia risicato, da tre settimane a questa parte ^^"

Sarò pure breve con i ringraziamenti: detto questo, un grazie mille ed un bacio sulla bocca (:P) alla mia Mugliera, alla MS-Zietta, alla Pazza, a GodFather,alla Martina2007 e alla Giulietta XD

Alla prossima ragazze! (E perdonatemi ancora... Ennesimo capitolo di transizione, ma da ora in poi succede di tutto, preparatevi ^^")

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Capitolo 18
*** Sorry's Not Good Enough... But Sometimes It Is ***


18. Sorry’s Not Good Enough... But Sometimes It Is

 Prima di leggere: 
Guardate il video, cliccando sul titolo. E capirete perchè amo questi quattro.

Si appoggiò al portone, in cerca di una soluzione per riuscire ad oltrepassarlo ed andare da lei. Ora che era arrivato lì non poteva andarsenee via a mani vuote, gli ci era voluta mezzora prima di trovare la giusta entrata: avevano girato per tutti i dintorni del locale, pecorrendo instancabilmente quelle stradine tutte uguali, tutte simmetriche, tutte perfettamente simili tra di loro. Molto vagamente, Tom si era ricordato che la casa di Joanna non distava che solo pochi minuti da esso.
E ora che era lì, doveva dirlo, oltre che avere avuto una buona memoria, tanto da ricordarsi alcune delle insegne dei negozi che circondavano la casa della ragazza, aveva avuto anche culo. Tanto culo.
Una valanga di culo.
“Tom, sono le cinque e mezza, dovremmo tornare al palazzetto.”, gli disse James, seduto sul cofano della macchina.
“Solo cinque minuti.”, rispose, “Magari tra un po’ viene ad aprirmi.”
“Gi lo verrà a sapere... Prima o poi.”, azzardò l’autista, guardandosi distrattamente le unghie, con fare noncurante.
Aveva sentito qualcosa che somigliasse al nomignolo proverbiale della sua fidanzata? Gli era parso proprio di sì. Per quanto riguardava il resto della frase, erano solo cazzate.
“Guarda che lo sto facendo per Dougie.”, gli ricordò Tom, sbuffando.
“E perchè lui non può farlo da solo?”, domandò l’altro, com'era giusto che facesse.  Non si era perso in spiegazioni con lui. Non perchè non lo reputasse adatto per stare a sentire vita, morte e miracoli di quello che avevano vissuto in quella breve ma intensa settimana, ma semplicemente perchè a James non gliene doveva fregare niente.
“Te l’avevo detto James, niente domande.”, gli ripetè.
Perchè James era peggio di uno scolapasta, faceva acqua da tutte le parti.
L’uomo alzò le mani al cielo sconfitto.
Tom tornò a riflettere: doveva trovare il modo di entrare nel palazzo, perchè una volta arrivato davanti alla porta del suo appartamento, Joanna non avrebbe potuto dirgli di no, non avrebbe potuto lasciarlo fuori, sullo zerbino. Avrebbe potuto, invece, chiamare la polizia, ma in quel caso si sarebbe volatilizzato in un attimo, come il fumo di una sigaretta portato via da un alito di vento improvviso. 
Non sapeva spiegarsi esattamente perchè stava facendo tutto quello, tranne per una semplice constatazione di fatto: Dougie meritava una seconda possibilità. Non succedeva molto spesso che lui prendesse tanto a cuore una persona e doveva fare qualcosa per lui. Joanna l’aveva particolarmente colpito e, se lo conosceva bene, non era solo una questione di sentimenti fisici, di attrazione vera e propria. Non se lo sapeva spiegare a parole, nè a pensieri, si era preso solo la briga di provare a ricucire uno strappo fatto da Poynter che, purtroppo era impossibilitato a prendere ago e filo ed aggiustare da solo.
Nel bel mezzo di questa sua riflessione, un gridolino inaspettato di gioia lo distrasse. Davanti a lui c’era una simpatica vecchietta, chiusa nella sua giacca grigia e nascosta dietro ad un paio di grandi occhiali da vista dalla montantura quasi barocca. Le sue iridi parevano luccicare nel guardarlo, le mani giunte sotto al mento erano in una posizione di speranzosa felicità.

E ora cosa vorrà da me?
L’anziana signora, munita di uno sorriso luminoso, prese a parlargli con una cantilena taliana così confidenziale, che sembrava lo conoscesse da una vita, come se fosse stato il nipote prediletto, il figlio della figlia preferita. Solo che lui, a parte qualche parolina, non era capace assolutamente di giostrarsi in una conversazione in italiano. Nel frattempo James, a tre passi da loro, nascondeva il suo sorriso da iena tra le mani, sghignazzando ferocemente.
“Ehm... signora...”, cercò di spiegarle, ma quella sembrò non sentirlo, continuava a chiacchierare come un treno in corsa. La donnetta infilò le chiavi nel portone, senza zittirsi un attimo e, con un gesto della mano, gli fece gesto di entrare.
Tom esitò...
Ma che sta succedendo?
La vecchietta gli stava facendo gesto di entrare, la sua bocca ancora produceva parole a lui totalmente sconosciute e prive di senso compiuto. Ma non lo aveva ancora capito che non era nessuno dei suoi nipoti, né un lontano parente o amico di famiglia che la stava attendendo sul portone di casa, per salutarla e prendere con lei il the con i biscotti?
“Entra deficiente!”, lo esortò James.
Già, entra deficiente!
E dette retta all’amico autista e alla sua coscienza impicciona. La vecchia signora gli fece comprendere di avere bisogno di aiuto nel salire le scale e lui, da gentile qual era sempre stato, gli porse le proprie braccia sulle quali lei potesse farsi forza. Passarono la prima e la seconda porta e, con una lentezza mastodontica, si fermarono davanti alla terza, dove lei si preoccupò di infilare la seconda delle due chiavi del suo mazzo.
Al nuovo gesto di seguirla nel suo appartamento, lui non seppe più cosa fare.
“Io... veramente sto cercando Joanna...”, le disse. Non gli rimaneva altro che farsi capire da una signora che era più vecchia di sua nonna e che sicuramente l’unica parola che sapeva di inglese era toilette.

Se la dici in quel modo è francese, cretino...
La signora rimase in piedi sulla soglia di casa sua, a guardarlo, nell’attesa che lui la seguisse ancora.
“Joanna? Conosce Joanna?”, le fece, scandendo lentamente ogni parola, “Joanna... Jo... Joanna...”
“Joanna!”, esclamò la vecchietta.
Tom tirò un sospiro di sollievo, ma quella fresca sensazione durò un istante: quella riprese a parlare a vanvera, una parola dietro l’altra non stop.

Aiuta le vecchiette... possibilmente che parlano la tua stessa lingua.
Poi, senza che lui se ne accorgesse veramente, la porta si chiuse e la vecchietta scomparve nel suo appartamento.
Scappa idiota...
Conclusa la questione ‘nonna italiana logorroica’ percorse l’ultimo piano di scale che lo separava da Joanna. Davanti all’uscio raccolse il suo coraggio, tutte le buone parole che aveva in serbo per Dougie e bussò.
“Jo... sono io, Tom!”, le disse, “Vorrei solo parlarti, solo cinque minuti.”
Bussò ancora.
“Jo, ti prego”, insistette, “poi non ti daremo più fastidio... per favore...”
Sentì un rumore di passi venire verso la porta.
“Come... come hai fatto a entrare?”, domandò Joanna, con voce malferma, senza aprirla.
“Devo spiegartelo davvero? Non lo so, solo che ho aiutato la vecchina che abita sotto di te a salire le scale...”, le fece.
“Maledetta signora Gelli...”, borbottò la ragazza, facendogli scappare uno sbuffo di risata, “Comunque vattene, non voglio parlarti.”
“Jo, ti rubo solo cinque minuti.”, continuò ad insistere, “Non so nemmeno come ho fatto a trovarti, non lasciarmi andare via senza che ti abbia parlato.”
Di là dalla porta la risposta tardò ad arrivare.
“Te lo giuro...”, azzardò a dire ancora. Avrebbe fatto di tutto: si sarebbe sdraiato per terra su chiodi arrugginiti, si sarebbe fatto rasare a zero, avrebbe dato fuoco ai peli del culo... Tutto per poterle parlare e dare un'altra chance a quel cretino di Poynter.
La serratura scattò e la porta si aprì.
Finalmente...
“Cinque minuti.”, disse Joanna, permettendogli di entrare nel suo appartamento.
Le sorrise di gratitudine, gli venne quasi la voglia di abbracciarla e ringraziarla, ma non sarebbe stata una delle decisioni più sagge del mondo. Semplicemente, entrò per la seconda volta nel suo appartamento. Lanciò uno sguardo intorno a sé: sul divano una coperta spiegazzata, biscotti e cioccolata; alla tv un individuo in impermeabile grigio e cappello che riconobbe subito.
“Ti piace Peter Sellers?”, le chiese, tanto per rompere il ghiaccio, “A me fa morire quando fa l’ispettore Clouseau.”
“Già...”, tagliò corto Joanna, spegnendo la tv.
Velocemente liberò il suo sofà e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei. Era arrivato il momento di parlare, era per quello che si trovava lì... no?

Allora forza e coraggio, Fletcher, ce la puoi fare.
“Senti Jo...”, esordì, “Non sono venuto qua per dirti una cosa per un’altra... voglio solo cercare di spiegarti quello che non sai.”
Lei, a braccia incrociate e sguardo fisso sulle pieghe del divano, sembrava non volerlo stare ad ascoltare. Ne aveva tutte le ragioni.
“Voglio arrivare dritto al punto.”, disse, accomodandosi. Si voltò lievemente verso di lei, come per attirare il suo sguardo, che però rimase altrove. “Non sapevamo che Dougie fosse venuto da te, l’altra sera... ha fatto tutto di nascosto, non ci ha detto niente. Anzi, si è addirittura finto malato.”
Solo in quel momento Joanna alzò gli occhi per guardarlo.
“Cosa... cosa ha fatto?”, fece, incredula.
“Sì... non ne conosco il motivo, ma quella sera ci disse che aveva mal di pancia e che non voleva uscire. Ed è venuto da te.”
“Ma... perchè?”, domandò Joanna, “Perchè vi ha mentito? Non ha senso!”
“Molte cose non hanno avuto senso fino a stamattina, credimi quando te lo dico.”, le fece, “Forse lo ha fatto... forse per Danny...”
Joanna spalancò gli occhi.
“Danny? Cosa c’entra lui in tutto questo?”, fece poi.
Ecco, se lo doveva aspettare. Lei non aveva afferrato niente di tutto quello che era successo tra loro, intesi come McFly, al di là di lei. La situazione si stava complicando... Cosa doveva fare? Spiegarle tutto per filo e per segno? Oppure omettere certi particolari, tra i quali il più importante: ‘Dougie non ti vuole come amica perchè... a lui piaci, ed anche molto’?
 Tom cercò la concentrazione e la calma necessaria per parlare con tatto.
“Vedi, Jo...”, le disse, “Quello che... tu non hai capito...”
Sospirò.
“Ognuno di noi ha avuto un modo diverso di rapportarsi a te.”, iniziò, “Ognuno di noi ti ha visto in un modo diverso. Per me sei, ad esempio, sei la nostra fan ideale: una che non grida, che non ci perseguita e che sa rispettare le nostre persone. Sei una ragazza simpatica e carina, una con cui si sta bene insieme. Stessa cosa per Harry.”
“Harry?”, fece lei, “Harry mi odia. Ed è anche un po’ falso, secondo me.”
Le sorrise con comprensione.
“Non ti odia, credimi.”, le disse, “E’ che lui capito fin dall’inizio che ci sarebbero state delle complicazioni ed ha cercato di... salvare il salvabile.”
Joanna sembrava sempre più confusa e non aveva tutti i torti, le stava parlando per sciarade. Decise però di continuare sulla stessa linea.
“Danny... beh, a Danny sei sempre piaciuta e te lo ha anche dimostrato, ma sapeva che non sarebbe stato niente di importante.”
“L’ho sempre saputo anche io
”, si spiegò Joanna, “e non ho mai preteso più di quello che c’è stato. Anche a me lui piace, ma niente di più.”
Bene, la situazione iniziava già a districarsi.
“E alla fine arriviamo alla nota dolente... Dougie.”, disse Tom, sospirando e grattandosi la testa.
“Sì...”, disse lei, allontanando lo sguardo sulla tv.
“Anche per me il suo comportamento di ieri è sembrato del tutto irrazionale... ma poi ho riflettuto, ho capito ed ho avuto modo di chiarirmi con lui.”, le disse.
Si prese una pausa per studiare il viso di Joanna, alla ricerca di qualche particolare che rivelasse cosa provasse in quel momento.
Rabbia.
“Ancora devi spiegarmi”, disse Joanna “cosa c’entra Danny con il fatto che Dougie sia venuto a casa mia di nascosto..."
“Jo... forse non dovrei essere io a dirtelo.”, le fece.
“Visto che sei qua, però, dovresti farlo.”, insistette lei.

E ora?
Prese un profondo respiro.
Schietto... sii schietto.
“Sei sicura di volerlo sapere?”, le chiese, pura formalità.
“Sì.”, disse lei, con tono sicuro.
“Dougie non vuole essere tuo amico, questo te lo ha detto chiaramente.”, disse.
Lei annuì.
“Non vuole esserlo perchè... semplicemente perchè gli piaci.”, uscì automaticamente dalla sua bocca, nonostante avesse cercato di trattenerlo più al lungo possibile, “Gli piaci, Jo.”
Lei parve pietrificarsi.
“A Doug piaci... piaci molto.”, le ripetè, “Per questo c’è stato un po’ d’attrito con Danny... penso che sia venuto di nascosto da te proprio per questo. Ma non prenderlo per certo perchè non ho ancora chiarito con lui questa parte della storia.”
Lei sembrava non ascoltarlo.
“E non vuole essere tuo amico per un altro motivo, forse ancora più importante di questo.”, continuò comunque, “Come ti ha già detto, forse in maniera un po’ troppo brusca, non ti vuole far soffrire. Sa che non potrà esserti sempre vicino come vorrebbe... Jo?”
“Eh?”, fece lei, risvegliata dal suo torpore.
“Jo, mi stai ascoltando?”, le fece.
“Sì... sì, Tom, scusami.”, disse la ragazza, abbozzando un sorriso dolce, “Continua pure.”
“Non lo avevi capito che... a Doug piacevi, vero?”, le chiese.
Joanna scosse la testa.
“Ecco perchè non volevo dirtelo... avrebbe dovuto farlo lui.”, le disse, “Anche se non vuole ammetterlo nemmeno a se stesso, secondo me.”
Le sorrise.
Povera Jo, le stavano creando tanti di quei casini che aveva tutto il diritto di non volerli più vedere. Era un peccato, ce ne fossero state persone come lei in ogni città che avevano visitato, sarebbero sempre stati in tour, anche per il solo gusto di ritrovarle.
“Capito adesso perchè è successo tutto questo?”, le chiese.
“Penso di sì.”, disse lei, con un piccolo sorriso, “Comunque devo prendermi un po’ di tempo per una sana e corretta razionalizzazione.”
“Razionalizzazione?”, le fece.
“Sì”, disse lei, ridendo per nascondere la sua confusione d'animo, “è il mio modo per chiamare una lunga serie di pensieri contorti e sconclusionati tipicamente femminili.”
“Capito perfettamente!”, esclamò. Per esperienza personale, quei piccoli momenti erano così fondamentali per le donne che era meglio togliere le tende e lasciarla da sola. “Beh Jo...”, le disse, “Ho fatto il piccione viaggiatore... ora ti lascio alla tua razionalizzazione.”, e si alzò.
“Ok.”, rispose lei, “Scusa la mia maleducazione, non ti ho nemmeno offerto qualcosa.”
Era imbarazzata, se ne stava in piedi con le mani in mano, rossa in volto come quando l’aveva conosciuta. A Tom venne di guardare la barra di cioccolata che stava solitaria sul tavolo della cucina, dove l’aveva riposta lei prima di farlo accomodare.
“Per farti perdonare”, le disse scherzosanemente, “mi prendo un po’ di cioccolata!”
“Fai pure!”, disse lei, contenta.
La afferrò, ne staccò una coppia di quadrati e, con gusto, l’addentò.
“Adesso sarà meglio che vada.”, le fece, “Altrimenti mi daranno per spacciato.”
Sì, si era fatto decisamente tardi e non voleva sapere quali brutte parole gli stavano riservando i ragazzi, infuriati.
“Certamente.”, disse la ragazza, abbuiandosi, “In bocca al lupo per stasera!”
“Ah! Non dire così!”, esclamò lui, “Si deve dire: rompiti una gamba!”
Joanna lo guardò stupita.
“Rompiti una gamba?”, fece.
Le annuì.
“Allora rompetevi tutti una gamba e sappiate che il numero delle emergenze mediche è il 118!”
“Lo terrò a mente!”, le fece.
Poi le si avvicinò. Sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista, voleva salutarla. La abbracciò.
“E’stato davvero un piacere conoscerti, credimi.”, le disse.
“Farò fede sulla tua parola.”, rispose lei, “Il piacere è stato tutto mio.”
“Se mai capitassi in Italia, tornerò a trovarti di sicuro!”
Si sorrisero. Era un peccato che finisse in quel modo. Joanna sarebbe dovuta venire al concerto, usare i pass per entrare nel backstage e salutarli uno per uno. Sarebbe dovuta venire soprattutto per Dougie, ma non poteva obbligarla né gli sembrava il caso di forzarla.
“Ci vediamo allora, Jo.”
“Ci vediamo Tom.”
Ed uscì.

 

 

Nervosamente, camminava nella sua stanza come l’ispettore di polizia intento a rivelare ai sospettati seduti sul di vano chi tra di loro fosse l’assassino del padrone di casa ricco sfondato. Girava intorno al letto, percorrendo quei pochi passi avanti ed indietro, con le braccia incrociate sul petto ed il mento retto dalla sua mano.
Ogni tanto, lanciava un’occhiata a quel maledetto poster.

Ognuno di noi ti ha visto in un modo diverso. Per me sei, ad esempio, sei la nostra fan ideale: una che non grida, che non ci perseguita e che sa rispettare le nostre persone.
Non gridava: non aveva abbastanza aria nei polmoni e ugola d’acciaio per farlo, a meno che il destinatario delle sue urla fosse suo fratello Miki. Ma anche in quel caso la sua voce risultava stridula e odiosa perfino a lei stessa.
Non li perseguitava: era per caso psicopatica? Per quello che lei sapeva, no...
Sapeva rispettare le persone: aveva imparato a trattare gli altri come voleva che lei stessa fosse trattata, come aveva sentito dire una volta a Danny durante un’intervista. Era forse l’unico di tutti i comandamenti in cui ancora credeva.

Sei una ragazza simpatica e carina, una con cui si sta bene insieme.
Dubitava di quella frase: se ripensava alla domenica al mare e alle varie scene di mutismo quasi assoluto, non pensava di essere assolutamente una persona gradevole. Piuttosto una mummia egiziana rediviva. Riconosceva di essere riuscita ad aprirsi con loro, con il tempo, ma comunque troppo tardi...
Stessa cosa la pensa Harry.
Harry Judd? Quello che prima l’aveva tartassata chiedendole se fosse lesbica, che poi aveva ironizzato sul suo status di guida turistica mentre chiacchieravano sulla spiaggia... quello che si era incavolato perchè l’aveva mancata col suo cappotto volante, quello che l’aveva snobbata quando erano in Piazzale Michelangelo...
Non ti odia, credimi.
Assolutamente no...
E’ che lui capito fin dall’inizio che ci sarebbero state delle complicazioni ed ha cercato di... salvare il salvabile.
E se lo aveva capito prima di tutti... perchè era stato zitto? Perchè non aveva parlato? Se avesse detto qualcosa, tutto quello non sarebbe successo! Lei lo aveva sempre sostenuto: nella vita bisognava essere schietti, parlare, dire le cose come stavano, altrimenti tutto si sarebbe complicato, sarebbe diventato troppo confuso per essere poi capito e razionalizzato. Proprio come in quel momento.
Danny... beh, a Danny sei sempre piaciuta e te lo ha anche dimostrato, ma sapeva che non sarebbe stato niente di importante.
Non c’era nient’altro da aggiungere su di lui, tutto quello che c’era stato tra loro era chiarito. Fine della questione.
E alla fine arriviamo alla nota dolente... Dougie.
Una nota dolente alta dieci centimetri più di lei, con i capelli per metà ossigenati e spettinati.
Una nota dolente della quale si era fidata.
Una nota dolente che l’aveva illusa.
Una nota dolente che non voleva più suonare.
Guardò la sua faccia buffa sul poster.

Anche per me il suo comportamento di ieri è sembrato del tutto irrazionale... ma poi ho riflettuto, ho capito ed ho avuto modo di chiarirmi con lui.
Beato lui, allora, che lo aveva capito perchè lei ancora doveva arrivarci. Non c’era da discutere sull’irrazionalità di Dougie ma, soprattutto, sulla sua incoerenza. Ormai aveva concluso questo capitolo, ne aveva tratto una conclusione che le sarebbe stata utile in futuro.
Sei sicura di volerlo sapere?
Col senno di poi, avrebbe detto ‘no grazie, meglio ignorante che scioccata’.
Non vuole esserlo perchè... semplicemente perchè gli piaci.
E uno...
Gli piaci, Jo.
E due...
A Doug piaci...
E tre...
Piaci molto.
L’aveva capito, non era mica una scema! Aveva compreso fin troppo bene, purtroppo. Non sapeva cosa pensare... Dougie? Non aveva fatto niente per dimostrarle una cosa del genere, non se lo sarebbe mai aspettato.
Non lo avevi capito che... a Doug piacevi, vero?
Appunto.
Per questo c’è stato un po’ d’attrito con Danny...
Nemmeno quello aveva capito...  lo stava facendo in quel momento, ora le era tutto chiarissimo. Aveva pensato, durante la cena al ristorante, che Dougie si fosse comportato in quel modo per via di lei, per via del fatto che non voleva esserle più amico. Invece c’era anche Danny...
Dio, che vita!
All’inizio, quando li aveva conosciuti, si era posta la seguente domanda, accantonata dopo pochi attimi: chi le piaceva di più tra loro? Adesso era cambiata in: a chi di loro lei piaceva di più? Tutto quello era tremendamente squallido, come poteva lei essere la causa dell’attrito tra i membri di una band così unita? Non voleva crederci, non era possibile, lei non meritava tutta quella importanza. Lei, che non era nessuno per loro, solo una fan come le altre...

Penso che sia venuto di nascosto da te proprio per questo.
Di nascosto... perchè Danny non lo doveva sapere... Ma che storia patetica era quella? Che film insulso stava guardando? Dov’era il telecomando per fermare tutto e cambiare canale? Lei non voleva vivere tutto quello, non voleva ritenersi responsabile di fatti e situazioni che erano sfuggiti al suo controllo. Guardò di nuovo la sua immagine sul poster, avvicinandosi alla porta, come se potesse darle le rispose di cui aveva bisogno. 

You understand my pain
From this I gather strength
In that we are the same

Lanciò un’occhiata al poster degli Staind dal quale Aaron Lewis, il cantante ombroso ma paffuto, gli aveva suggerito quelle maledette parole della loro ‘Reply’.
Dougie non doveva permettersi di riuscire a comprendere il suo dolore. E lei non doveva guadagnarne alcuna forza.
Loro non erano uguali. Lei era Joanna, lui Dougie.
“Capito?”, esclamò allo statico Poynter, tappandosi poi la bocca sentendosi stupida.
Quella immagine non poteva assolutamente parlarle... ma forse quella in carne ed ossa sì.
Corse in cucina ed afferrò il telefono. Nel frattempo, su un foglietto adesivo scrisse il suo messaggio per Miki.

  

Si scusò milioni di volte per il tempo perso in albergo, in cerca di qualcosa che non seppe spiegare ma che aveva miracolosamente ritrovato nelle tasche dei suoi pantaloni. Li aveva liquidati in quel modo e, non appena la situazione si fu calmata, ne approfittò per prenderlo in disparte.
“Che cosa ti ha detto?”, gli domandò Dougie, impaziente.
“Sinceramente? Niente.”, risposte Tom sospirando, “Le ho parlato... ma lei non si è espressa molto a riguardo.”
“Cosa vuol dire che non si è espressa molto al riguardo?”, sbuffò Dougie, “Avrà pur detto qualcosa!”
“No, Poynter...”, gli ripetè, “Credimi se ti dico che non mi ha detto molto.”
“E’ sempre stata zitta?”, esclamò di nuovo l’altro, “Hai parlato con un muro?”
Tom si spazientì della sua insistenza.
“Ascoltami Doug”, gli fece, “le ho detto quello che doveva sapere e l’ho lasciata a riflettere. Non ha detto niente perchè è rimasta sorpresa.”
“Sorpresa? C’era da festeggiare?”, ironizzò Dougie.
“Volevo dire che non si aspettava che le dicessi determinate cose.”, si spiegò meglio Tom, guardandolo dritto negli occhi.
“Determinate cose? Quali cose?”
Tom lo lasciò definitivamente, liberandosi di lui con un cenno di testa sconsolato.
Che cosa aveva detto a Joanna? Perchè lei doveva rimanere sorpresa di quello che aveva saputo?
“Fletcher!”, lo richiamò, ma Danny gli si parò davanti insieme a Harry, bloccandogli ogni via di fuga.
Il trio si guardò: tra di loro, chi pretendeva spiegazioni, chi cercava sostegno negli occhi degli altri.
“Vi spostate o no?”, chiese permesso Dougie.
“Senti...”, disse Danny, trovando conforto nel grattarsi la testa, “Io voglio finirla con questa storia.”
“Già.”, aggiunse Harry, “Non ha senso.”
“Non voglio fare la figura del perbenista”, disse Danny, “o di quello che porta rancore per cose inutili.”
“Tutto questo è stato creato da stupide incomprensioni.”, disse Harry, “Ma non te ne do la colpa, so che hai avuto i tuoi motivi per comportarti così e li rispetto.”
“E poi ognuno di noi ha avuto le sue magagne, ora come in passato.”, riprese Danny, “Ci siamo spesso tirati dentro alle situazioni personali degli altri, creando casini ben peggiori.”
“Oh sì...”, disse Harry, annuendo con convinzione.
“Non mi sembra il caso di essere ancora incazzati.”, disse Danny, “Voglio dire, mi dispiace per quello che ci siamo detti... ma eravamo come ciechi, ognuno dentro alle proprie scarpe... senza mettersi nei panni dell’altro.”
“Molte cose ancora non sono state chiarite”, prese di nuovo il comando Harry, “ma non chiediamoci di sedere davanti ad una tavola rotonda per spiegare tutti i piccoli particolari di questa storia.”
“Ormai non hanno più importanza.”, aggiunse Danny.
“Infatti... Domandiamoci semplicemente scusa, forse questa vacanza ci ha distratto un po’ troppo.”, concluse Harry.
Dougie, che per tutta quella conversazione aveva fatto la scena muta perchè troppo interessato a cosa avevano da dire i suoi compagni, non ebbe nulla da ridere in proposito.
“Scusatemi.”, disse semplicemente, “Ho fatto il coglione come sempre.”
Danny gli sorrise.
“Altrimenti che Poynter saresti?”, disse Jones, dandogli una pacca sulla spalla, “Sappiamo tutti che le donne ci danno alla testa e che diventiamo completamente scemi per loro.”
Era vero, erano note a tutti loro le stupidaggini che avevano fatto per le donne e quella semplice frase bastò ai quattro per riappacificarsi.
“Decisamente.”, sottolineò Harry, “E anche noi non ci siamo poi comportati meglio di te.”
Forse furono scuse frettolose, forse furono troppo poco approfondite per mettere definitivamente la parole fine a quello che era successo. Ma in fondo... che cosa era successo? Lui e Danny si erano invaghiti della stessa ragazza, ognuno di loro a modo proprio. Lui si era lasciato prendere dalla gelosia, aveva agito di nascosto –mosso da una serie di motivazioni fasulle, sotto le quali stava appunto la sua gelosia- e, alla fine, aveva voltato le spalle a quella stessa ragazza perchè aveva compreso che, comunque, niente avrebbe potuto esserci tra loro. Lui aveva combinato tutto quello, lui vi aveva posto una fine. Un perfetto esempio di trama circolare, appartenente a un film di scarsa qualità che i critici cinematografici avrebbero ampiamente stroncato. Un po' come il film a cui avevano partecipato, Just my luck, pensò con ironia.
Al di là , alle loro spalle c’era un’amicizia profonda, cementata nel tempo, che veniva solo scalfita da momenti come quello. Qualsiasi cosa sarebbe successa, aveva fatto il suo tempo.


 Allora, eccoci qua, ragazzuole! Lo so, lo so, sto capitolo è d'un piattume esagerato, altre seghe mentali, niente fatti concreti, solo tante parole vane.  Sapete (certo che lo sapete), io amo i capitoli in cui c'è una lunga ed estenuante riflessione da parte di uno dei protagonisti. E so anche che a molte di voi ciò non piace, ma non posso (o meglio, non riesco) ad essere più sbrigativa, meno riflessiva, meno  contorta. Mi piace approfondire psicologicamente tutti i personaggi, valutare le loro posizioni, farli riflettere... Sarà anche che, tra i miei scrittori preferiti, ci sono Ken Follet e Umberto Eco e, per chi di voi ha letto qualcosa di loro, capirete sicuramente a cosa mi ispiro quando si parla della prolissia, malattia che mi colpisce nelle viscere XD
Lo so, lo so... e allora perchè non movimento tutto??? Perchè questo succederà dal prossimo capitolo in poi che, come molte di voi giustamente hanno afferrato, parlerà del concerto, così come di quelli a venire.

TITOLO: Sorry's not good enough... il resto l'ho aggiunto io ^^"... capito perchè amo questi quattro??? Capito? E' ovvio!

Ringraziamenti: frettolosi -.-

Kit2007: Tom è stata la rivelazione del capitolo passato e di questo... insomma, io amo chi sta in disparte, perchè di solito se ne esce sempre fuori con le migliori parole... E nella realtà, lui non ci sta mai XD no, non per questo lo odio, lo amo alla follia, mi riferivo solo al fatto che, nella mia storia, la sua voce è sempre rimasta fuori campo, lasciando lo spazio agli altri tre. E' il vice-grillo parlante, il posto ufficiale è di Harry, lui interviene solo quando anche il mio caro e sbavoso batterista ha finito le sue risorse XD

Princess: Mugliera! 

Ciribiricoccola: Ma certo, tu sei la Pazza numero uno! E ultimanente, strano ma vero, Michael Jackson mi perseguita! Alla radio, alla tv... alla fine mi converto! XD Ecco qua che ho dedicato un terzo del capitolo ancora a Tom, che, poverello, ha dovuto combattere contro fiere e draghi per parlare con Joanna! 

Giuly Weasley: nella banda, c'è sempre quello che attacca prima di tutti, mentre gli altri gli vanno dietro come formiche... Alias, Dougie. E il resto dietro a lui. Ho reso l'idea? Sicuramente, perchè tu l'hai afferrata abbastanza bene! 

Picchia: baciamo le mani... e grazie, ormai il ritardo cronico è una sindrome che infesta i pezzi meglio della sezione XD ma figurati, ho tante di quelle cose da scusarmi io! XD

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Capitolo 19
*** Obviously ***


19. Obviously

 Si mangiava le unghie nervosamente, guardando fuori dal finestrino dell’auto. Era totalmente incerta sul da farsi, e si rigirava i pass tra le dita della mano, l'unca delle due libera dalla tortura dei suoi denti.  Stava tribolando, era una macina di pensieri, ed era involontariamente buffa. Andare. Non andare. Andare, non andare. La risposta poteva sembrare semplice -andare, adesso- ma Joanna continuava ad avere ripensamenti, incertezze, dubbi.
“Se resteremo qua tutta la sera...”, le disse Arianna, lasciando di proposito la frase incompleta.
“Aspettiamo altri cinque minuti.”, ripetè Joanna, come altre decine di volte prima.
“Me lo hai proposto per  ben dieci volte, ed è già passata già un’ora.”, le fece, sospirando.
“Aspettiamo che finisca di piovere.”, avanzò lei.
“Non smetterà prima di notte fonda.”, incalzò Arianna.
“Aspettiamo... che esca qualcuno.”
“Vuoi entrare dopo la fine del concerto?”, sbuffò la donna, stancatasi, “Non te lo permetteranno.”
“Ma io ho i pass.”
“Sarà lo stesso, non gliene fregherà niente.”, le disse, scuotendo la testa, “Non troverai il coraggio che ti serve finchè non scenderai da questa macchina.”
“Non mi manca il coraggio!”, protestò la ragazza, con forza.
“E allora cosa fai ancora qua?”
Joanna bofonchiò qualcosa e, in un batter d’occhio, fu fuori dall’auto, sotto lo sguardo stupefatto di Arianna. I suoi passi erano veloci, dritti, pieni di un coraggio che fino a qualche secondo prima sembrava solo un'utopia lontana.
“Oh cristo!"
, esclamò Arianna, "Fermati!”, e scese dall’auto, per correrle dietro.
Ma Joanna procedeva svelta, con decisione, e si bloccò solo per non essere investita da un’auto di passaggio; per Arianna fu abbastanza difficile raggiungerla prima che lei arrivasse alle porte del palazzetto. La plastica protesse i tesserini dalla pioggia e, una volta mostrati agli addetti all’entrata, questi le lasciarono passare senza problemi, indicando loro la persona a cui avrebbero dovuto rivolgersi per poter entrare nel backstage, come loro concesso. 
La musica dei McFly, sul palco in piena sessione davanti a fan urlanti e vocianti, rimbalzava contro le pareti circolari del palazzetto: tutti, tranne gli addetti ai lavori, cantavano a memoria le note di ‘Please please’. Tom gridava al microfono, Danny gli stava vicino con la sua Gibson. Joanna stette a guardarli solo per qualche attimo, stupefatta, con il cuore martellante in petto per l'emozione; ma poi, con lo stesso imperterrito passo, si diresse verso la persona indicatale dall’addetto all’entrata.
“Jo!”, esclamò Arianna, prendendola per un braccio, e cercando di sovrastare la musica, “Ma che pensi di fare?”
La scosse. Era sempre stata abituata a vederla in tutt’altri panni: quelli della timida ed impacciata Joanna, e le f
aceva paura vederla comportarsi in quel modo,
“Stanno suonando! Sei uscita di senno?”, le ricordò Arianna, “Non ti faranno mai salire sul palco!”
“Ma certo che lo faranno, me lo hanno promesso!”, urlò la ragazza, “E poi... Glielo tolgo di mano e...
“Calmati!”, le fece Arianna, prima di darle un piccolo schiaffo in viso che la rinsavì.
“Sì... hai ragione.”, disse Joanna, con una guancia rossa per il ceffone e l’altra viola per la rabbia.
“Ok...”, fece la donna, prendendola per mano, “Ora andiamo in bagno.”
"Ma non ho bisogno di fare pipì!”, protestò Joanna, sempre più imbufalita.
“Ti devo sistemare.”, le impose Arianna, afferrandola con forza e trascinandola nelle toilette vuote.
Lì dentro, una volta chiuse le porte, il rumore assordante del concerto era lievemente attutito, ma comunque era difficile riuscire a combattere contro la musica, che riempiva le orecchie con le chitarre e i ritmi veloci delle canzoni.
“Jo, mio dio, i capelli... si sono tutti increspati.”, le disse, dopo una rapida occhiata alla capigliatura della ragazza.
Doveva riuscire ad ammorbidire 
quel suo aspetto indemoniato –e pienamente giustificabile- e ad addolcire gli occhi arrabbiati. Nell’attesa in auto, le aveva raccontato tutto quello che era accaduto, dalla prima all’ultima parola e, data l’innata solidarietà femminile, non poteva fare altro che appoggiare la sua decisione di parlare apertamente con Dougie, anche se non riteneva  fossero propriamente necessarie determinate misure drastiche contro quel povero ragazzo indeciso. 
Mentre la ragazza sbuffava, guardandosi nel riflesso dello specchio con cattiveria, ne approfittò per pettinarle i capelli e dividerli in due ciocche. Queste poi diventarono due trecce, abili nel distrarre l’occhio altrui dalla sua espressione imbestialita.
“Fammi dare un po’ di colorito alle guance.”, le fece, costringendola a voltarsi.
Dopo qualche sbuffata di rosa e un lievissimo tocco di matita nera, Joanna fu deliziosamente presentabile.
“E piega questa bocca storta in un sorriso!”, le fece, dandole una pacca sulla spalla.
“Andiamo, voglio proprio vedere che faccia farà!”, esclamò lei, scomparendo in un battito di ciglia dal bagno.
Una volta presi sotto braccio i loro cappotti e le borse,
Arianna cercò di stare ancora al suo passo, e la afferrò che era quasi di fronte al burbero uomo in nero.
“Deficiente!”, le urlò, “Dobbiamo portare queste cose al guardaroba!”
“Fallo tu!”, protestò lei, liberandosi e infilandole tra i denti il suo pass, “Qualsiasi cosa succeda, non perdere la calma. Io ne uscirò illesa.”
Arianna borbottò qualcosa.
“E verso le undici e mezza chiama Miki.", la avvertì la ragazza, "Digli che... che dormirò da te, così non romperà le scatole!”

 

 Lasciò che la pentola a pressione, bollente dentro di sé, venisse camuffata da un sorriso gentile e smorfioso. Mostrò all’omone il suo pass, lui lo esaminò con cura e glielo restituì, consigliandole vivamente di portarlo appeso al collo.
“Ma io non ho niente per appenderlo.”, gli disse.
Al che l’uomo, senza mai tradire la sua espressione seria, si frugò in tasca e le porse una piccola clip, con la quale potè agganciare il tesserino allo scollo della maglietta nera.
“Grazie, molto gentile.”, gli disse.
La condusse verso una piccola porta bianca, su cui troneggiava il classico e poco accattivante cartello 'Staff Only'. Al di là di essa, Joanna si trovò accompagnata all’interno del backstage del palazzetto
, con il pass in bella vista sul petto. Un altro signore la accolse, meno burbero di quello precedente ma sempre altissimo, e le chiese cortesemente da chi lo avesse avuto.
“Da Tom.”, rispose lei.
“Ah, allora  sei quella ragazza italiana di cui hanno tanto parlato.”, fece lui, riconoscendola e sorridendole con cordialità,  "Vuoi vedere il backstage?”
“Si può andare sul palco?”, chiese lei, diretta.
Si stupì di se stessa: non si era mai sentita così lucidamente arrabbiata con qualcuno. Era calma, fredda e razionale: voleva prendere quel ragazzo ed imporgli una sonora lezione. Dougie le aveva fatto del male e lei, ovviamente, ne avrebbe fatto a lui, ma in modo abbastanza particolare.
Il suo paese, infatti, era conosciuto in tutto il mondo per quella particolare organizzazione criminale ramificata e capillare, che portava universalmente il nome di mafia. E cosa facevano i mafiosi?, si era chiesta. Le vendetta trasversali, si era risposta, ed allora lei, da buona italiana, ne avrebbe compiuta una.
L’uomo esitò nel risponderle.
“Certo, però devi rimanere in disparte, dietro le quinte.”, le disse, “Al momento giusto, informeremo i ragazzi della tua presenza, ma prima di quel momento non devi assolutamente precipitarti da loro. Ci siamo intesi?”
“E chi vuole farlo?”, esclamò ridendo.

Io lo voglio fare. Io!
“Perfetto!”, fece l’uomo, contento che lei avesse capito al volo quelle basilari regole senza obiettare, “Seguimi.”
Il loro percorso si snodò in mezzo a corridoi simili tra loro, brulicanti di persone in piena attività, che sembravano conoscere quel posto come le loro tasche. L'uomo la portò verso una scalinata e, sentendo la musica salire esponenzialmente, Joanna comprese che quella era la strada verso il palco. Infatti, già dall'ultimo gradino potè vedere Harry che percuoteva con forza la sua batteria, segnando il tempo di Transilvania.
Il signore, di cui ancora non aveva saputo il nome, le indicò una immaginaria linea rossa, oltre alla quale lei non poteva andare, e rimase al suo fianco per tutto il tempo, pronto a scattare nel caso in cui lei fosse sfuggita dal suo vigile controllo.

 People marching to the drums,
Everybody's having fun to the sound of love

Era il refrain della canzone, lo stesso Dougie aveva ne scritto le parole ed era sempre lui a cantarne il ritornello. Sarebbe stato bello interrompere tutto, presentandosi tra di loro nel bel mezzo dell'esibizione, ma non aveva intenzione di creare così tanto scalpore. Almeno, non così presto, e Joanna se ne rimase lì, a godersi il concerto e le canzoni che vennero dopo di quella, tra cui Five colours in her hair, il loro primo successo; Too close to comfort, la canzone che la faceva piangere ogni volta che ne vedeva il video del live su internet; Bubble wrap, una tra le sue preferite in assoluto, e così via per un'altra ora. Si divertì, canticchiando e cercando di non muoversi troppo per non dare nell'occhio, e  non potè fare altro che appassionarsi ancora di più a quel gruppo, a quei tre ragazzi fantastici.
“Tra poco ti annunciamo.”, le disse il signore urlandole in un orecchio, “Non abbiamo voluto farlo prima perchè, i ragazzi non ci avrebero sentito, gli auricolari trasmettono la musica che loro stessi suonano. Ma soprattutto, li avremmo distratti, e loro non amano molto che li si disturbi durante lo show.”
“Ne hanno tutti i diritti.”, rispose Joanna, con tranquillità, “E poi non c’è fretta.”

No, non c’era assolutamente fretta.
E tornò a cantare le parole dell'ennesima canzone, That girl, cercando di contenersi il più possibile: fosse stata in camera sua, tra le sue quattro mura familiari, tutti avrebbero potuto osservare una Joanna inedita, quella che ballava, scuoteva la testa e il sedere, senza troppe preoccupazioni.
Di lì a poco la canzone venne conclusa, dopo un lungo gioco tra le loro voci che coinvolse anche il pubblico, rendendo il tutto divertente e piuttosto spettacolare. Lo show era stato veramente di ottima qualità, luci e suoni, fumo e musica erano stati sistemati nel migliore dei modi possibili. L'unica pecca era il pubblico, non molto folto. Quante persone ci potevano essere là fuori? Duemila? Erano un manciata di formiche in confronto a pienone dell’arena di Wembley, di solito completamente sold out...
“Ti abbiamo annunciato.”, le disse l’uomo.
Evvai! 
Joanna si voltò verso il palco, dove vide Harry sbracciare verso la sua direzione e, una frazione di secondo dopo, si distrasse al suono della voce di Danny, amplificata dalle casse. Poteva vedere solo il batterista, seduto davanti al suo strumento, perchè gli altri erano fuori dal suo campo visivo. Non che il palco fosse stato grande quanto un continente, ma Joanna si vedeva quasi costretta dietro al grande pannello nero, che costituiva il muro laterale sinistro del palcoscenico, e per tutto il concerto aveva faticato a vedere i tre in pole position. Quel signore accanto a lei non le permetteva ancora di spostarsi più di tanto, tenendola sempre sott'occhio. 
“Non sapete chi c’è qui con noi in questo momento!”, disse Danny al pubblico, che esplose in un boato di grida. 
“Una persona speciale!”, disse Tom, “L’abbiamo conosciuta quando siamo arrivati qua.”
Nei secondi successivi, scanditi dal silenzio dei ragazzi, il pubblico iniziò a quietarsi: chissà se, là sotto, stessero comprendendo quello che dicevano. Gli italiani non erano mai stati noti per le loro abilità linguistiche, molte di quelle persone sicuramente conoscevano a fatica il significato delle loro canzoni.
"Sono ben sei giorni che siamo in città, a fare i turisti.”, riprese Tom, causando un altro boato,
"Che dici, Jones, la facciamo entrare?"
“Little  Joanna!”, la chiamò Danny.
Solo in quel momento, il signore accanto a lei si spostò, dandole implicitamente il via libera. Ma i suoi piedi si pietrificarono.
Cazzo! Cammina, cretina che non sei altro!
Le gambe erano diventate dei pezzi di marmo, saldamente ancorati al pavimento, e la sua volontà, prima ferrea e imperturbabile, si era affievolita come un palloncino sgonfiato.
“Puoi andare adesso.”, la invitò l’uomo, vedendola in difficoltà.
“Joanna!”, la chiamò ancora Danny, “Vieni qua!”

E muoviti, cogliona!
La paura l’aveva completamente bloccata, ogni rabbia era improvvisamente sbollita. Fissava Harry con occhi sbarrati, che rideva e scuoteva la testa. 
Non voleva più andarci su quel palco, non voleva più vedere la faccia stupita di Dougie, non voleva più niente, ma solo scomparire dalla faccia della terra. Involontariamente, si trovò ad indietreggiare intimidita, sotto lo sguardo stupefatto del signore che l’aveva portata lassù. Fu Danny a bloccare il suo tentativo di fuga, apparendole davanti. I suoi auricolari pendevano sulle spalle, ed era senza chitarra.
“Hey!”, le fece, “Eravamo sicurissimi che non saresti più venuta!”
Con una certa difficoltà, Joanna si schiarì la gola.
“Beh... ho cambiato idea.”, rispose.
Gli occhi di  Danny brillavano. I suoi erano pietrificati dallo spavento.
“Dai, fatti conoscere.”, le disse, prendendola per mano.
“Ma quelle mi insulteranno per sempre!”, frignò lei.
Lui la guardò stupefatto.
“E la piccola stronza che c’è in te? 
Dov’è quella che vuole far crepare di invidia le nostre fan?”, le fece, “”Dov’è la mia amata Bitchy Joanna?"
“Forse si è persa...”, mormorò.
Bitchy Joanna? Dove sei? E’ morta! 
“La ritrovo io!”, esclamò.
In un gesto rapido, le passò una mano sotto le ginocchia e l’altra lungo la schiena, sollevandola senza alcuno sforzo da terra. Si fece conoscere così, tra le braccia di Danny, e chiedendosi cosa stessero pensando di lei tutte quelle ragazze, sotto al palco.

Se potessi avere un euro per ogni parolaccia che sta balenando nelle loro menti, diventerei ricca come Donald Trump... però senza il ciuffo di  riporto sulla testa.
Ma il pensiero dei loro possibili insulti venne presto oscurato perchè, finalmente, potè vedere la faccia di Dougie. La fissò per gran parte del tragitto, cullata dal passo di Danny, e non fu in grado di interpretarla. Era confuso? Era arrabbiato? Era stupito? Se ne stava lì, con quel suo cavolo di  basso verde, a non esprimere nessuna emozione. Niente.
Anche il pubblico pareva indeciso sul da farsi: tirarle contro qualche insulto oppure qualche scarpa?
Danny la posò vicino al suo microfono.
“Ah, quanto pesi Joanna!”, sbuffò, e l’audience reagì ridendo.

Ma guardate, stasera tutti gli italiani anglofoni si sono riuniti qua!
Nemmeno la sua Bitchy Joanna, nata e  battezzata da Danny esattamente quella sera , riuscì ad impedirle di avvampare.
“Scusatela”, disse Danny,  “è molto timida, la state mettendo in imbarazzo.”
“No, tu la stai mettendo in imbarazzo.”, intervenne Tom, che le si era avvicinato. Aveva in mano due microfoni, trovati chissà dove, magari glieli aveva dati qualcuno da dietro le quinte.
“E’ un vero piacere per noi averti qua, Joanna.”, disse il ragazzo, porgendogliene uno.
Lo prese tra le dita tremanti, e lo strinse con entrambe le mani.
“Vuoi dire qualcosa al pubblico?”, le fece Tom, interrompe.
Joanna guardò le facce là sotto, immerse per gran parte nel buio, mentre i flash delle macchine fotografiche e le luci della regia illuminavano l'atmosfera qua e là, in un ritmo sincopato che toglieva il fiato. Tutta quella gente, poca o tanta che fosse, era venuta lì per loro, lì per dimostrare ai McFly che anche l'Italia era un paese da ricordare, e in cui tornare a suonare, magari nel prossimo tour.
Ma, per adesso, erano tutti in attesa di Joanna: aspettavano lei, la sua voce... Che ovviamente non voleva saperne di uscire dalla bocca.

“Magari entro la fine dell’anno!”, esclamò Danny, mettendosi a ridere.
“Dio, quanto sei noioso!”, sbottò Joanna, in un'inaspettata esplosione di sincerità.

Hai un microfono in mano, sotto di te centinaia di fans di Danny, e tu lo insulti... Ti hanno lobotomizzato senza che lo sapessi?
Il pubblico non riuscì a trattenersi. Nel palazzetto, quell’esclamazione suonò amplificata ed italianissima, scatenando una reazione a catena di insulti misti a risate, e ci volle tempo prima che tutti si calmassero, compresi gli stessi McFly, ai quali aveva poi fatto una pronta traduzione delle sue parole.
Harry, nel frattempo, aveva lasciato la sua batteria e si era unito a loro.

“Dicevamo", Tom riprese in mano la situazione, una volta ripristinata, "Joanna è la prima fan italiana che abbiamo conosciuto qua, dal vivo.”
“Sì, ci ha sopportato per tutti questi giorni, riempiendoci di attenzioni.”, continuò Harry, con tono molto ironico.
“E di pungi sulle braccia.”, ironizzò Danny.
Spaventata dalla credibile riottosità delle ragazze del pubblico, Joanna cercò di minimizzare.
“Non è vero!”, protestò.
“Me ne ha dati quattro.”, precisò Danny, peggiorando la sua posizione, “Ne porto ancora i segni.”
Joanna aveva già progettato un suo possibile piano di decesso: avrebbe voluto morire di vecchiaia, magari in un giorno di autunno, circondata dall'affetto dei parenti e degli amici. Non era stata nemmeno prevista la possibilità di farlo nel bel mezzo di una carica selvaggia, sostenuta da fans imbizzarrite e con gli occhi schizzati di sangue.
“E dire che quando ti abbiamo conosciuta eri così... simpatica!”, infierì di nuovo Danny.
La sua fine era già stata stabilita: Joanna
non si trattenne, e gli rifilò la quinta pacca.
“Visto?”, fece al pubblico, dal quale si levò un coro di proteste.
“Buone... buone...”, disse Harry, “O vi diamo Dougie in pasto.”
Le voci cattive si trasformarono
subito in cori e grida eccitate, mentre Dougie cercava a sua volta di negarsi da quella fine, in pasto ai leoni ed alle leonesse. Joanna ne approfittò per adocchiarlo un po’: era sempre lì con quel suo maledetto strumento e i suoi sorrisi idioti, le occhiate che parevano indifferenti, come se niente fosse mai successo. La rabbia tornò a ribollire dentro di lei, a borbottare come il caffè, salito lungo il tubicino di acciaio dentro alla moka e pronto per essere versato dentro alle bianche tazzine.
Poteva un basso scatenare tutte quelle pulsioni inconscie? Evidentemente sì.
“Posso farvi una richiesta ragazzi?”, disse Joanna, recuperate le sue facoltà.
“Ti dobbiamo dedicare una canzone?”, domandò Danny.
“No, troppo scontato.”, gli rispose, “Voi non sapete che so suonare uno strumento."
I ragazzi, infatti, furono del tutto stupiti. Le avrebbero mai creduto? Certo che no, ovviamente.
“E quale strumento è?”, chiese subito Tom.
Uno... due... tre!
“Il basso!”, esclamò.
Dopo qualche istante di comprensibile smarrimento, i ragazzi iniziarono a chiederle conferme, a dire che non era vero, che se lo stava inventando, ma alla fine riuscì a convincerli. Lei sapeva suonare il basso... Soprattutto quello di Dougie.
"E perchè non ce lo hai mai detto?", le domandò Harry.
"Eh... voi non me lo avete mai chiesto.", rispose classicamente Joanna, alzando le spalle, "Ma l'ho studiato per pochissimo tempo, un paio di anni fa, quindi non so se mi ricordo tutto."
“Forte!”, esclamò Tom.
“Sai qualche nostra canzone?”, fece Danny, “Potremmo suonarla insieme!”
“Certamente!”, disse lei con entusiasmo.
I ragazzi tornarono ai loro posti, e a Joanna non rimase altro da fare che avvicinarsi a Dougie. Gli andò incontro con calma ed aspetto amichevole, osservando i lineamenti del suo viso... Le stava forse sorridendo? No, sfortunatamente era solo un’impressione, un’illusione ottica tipica della Monna Lisa, che sembrava sorridesse, ma invece era semplicemente a bocca mezza storta.
Lui si tolse lo strumento di dosso e glielo passò, occupandosi dell’asta del microfono. Doveva abbassarla al suo livello.
Sai dove te lo metterei quel microfono?
“Che canzone sai suonare?”, le chiese Danny, a qualche metro da lei.
Ne scelse una a caso.
“Obviously.”, rispose mentre cercava di indossare quel basso.
La tracolla è troppo lunga.
Dougie, in piedi accanto al microfono, sembrava avere l’intenzione di aiutarla a restringerla.
Via quelle manacce da me.
“E’ a posto così.”, gli disse, con un sorriso abbozzato.
“Ma è troppo...”, si oppose Dougie.
“Tranquillo, ci arrivo.”, rispose lei.
In effetti, le pendeva fin quasi alle ginocchia ma non era importante. Poco convito, Dougie si allontanò per sedersi sul bordo del palco: una gamba penzolava nel vuoto sotto di lui, l’altra stava piegata sul margine e su di essa sostavano le sue mani congiunte.

“Sei pronta Joanna?”, le disse Danny.
“Sì, partite pure!”, rispose, trattenendo ogni risata.
Gli accordi di chitarra partirono, aprendo una delle loro canzoni più famose. Lei doveva solo aspettare qualche accordo, prima di iniziare a suonare.
E, quando la voce di Tom aggiunse le parole alla melodia, il pubblico si affrettò a seguirlo.
Ora!
Prese un profondo respiro, e raccolse tutte le energie che riuscì a trovare in quell’attimo dentro di sé. Le dita scesero lungo lo strumento, percorrendo il bordo verde laccato della cassa, ed afferrarono il jack che lo collegava agli amplificatori, staccandolo. Le parve quasi di sentire il tintinnio metallico della presa elettrica del  basso cadere a terra. Poi, in un gesto veloce si liberò della tracolla.
Strinse il lungo manico dello strumento.
Lo alzò in aria.
E lo fracassò per terra.
Lo fece schiantare più volte contro il pavimento, sotto gli sguardi esterrefatti del pubblico e degli altri tre.
Ma soprattutto davanti alla bocca spalancata di Dougie.
Spero che fosse stato il tuo preferito!
Non contenta, vi saltellò sopra con tutto il suo misero peso, cercando di ridurlo in pezzetti così fini da non poter essere raccolti, tranne che con un potente aspirapolvere industriale. Si fermò solo quando non ne ebbe più, ansimante e sudata per lo sforzo.
Il mondo intorno a lei si era fermato, bloccato dalla sua lucida pazzia. Traballante, ma ancora forte, Joanna si avvicinò al microfono.
“Ehm...”, disse, rivolgendosi a Dougie.
Cercò sostegno nella lingua affilata della Bitchy Joanna, che aveva vissuto fino a quegli attimi dentro la sua testa. Sembrava volatilizzata, sparita nel nulla, l’aveva lasciata nel momento di maggiore bisogno.
“Che hai da guardare!”, gli fece, improvvisamente senza stimoli, “Te la sei voluta!”
Lui non rispose, se ne rimase lì, ipnotizzato come tutti gli altri. Presa da un magone impossibile da gestire, Joanna girò sui tacchi e, a passi veloci, uscì fuori dalle quinte. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, tutti, compresi quelli di coloro che lavoravano per quello spettacolo. Scese velocemente la scalinata, e lungo il corridoio una mano la afferrò per un braccio con prepotenza, costringendola a voltarsi.
“Ma sei pazza!”, tuonò dal suo metro e ottanta il solito signore che l’aveva scortata fino al palco, "Cosa credevi di fare!"
“Sapessi quello che mi hanno fatto passare quei quattro lassù!”, gli rispose, divincolandosi.
“Lo sai quanto costano quegli strumenti?”, continuò l’uomo.
“Lo sai quanto costa la mia dignità?”, lo zittì.
Bastò per non farlo contrattaccare di nuovo. Liberatasi finalmente della sua prese e della sua presenza, Joanna tornò a correre, sforzandosi di trattenere tutte le lacrime che volevano caderle ad ogni costo dagli occhi. Chiunque ebbe la sfortuna di trovarla sul suo cammino si affrettò a scansarsi presto, perchè il suo passo veloce, a testa bassa e braccia incrociate, era molto eloquente.
Ma un’altra mano la fermò.
“Cosa vuoi ancora?”, ringhiò, prima di girarsi.
Era stato Dougie a fermarla, e non l'altro uomo, come aveva pensato. Dietro a lui Danny, poi Tom, ed anche Harry: erano tutti in vivida apprensione.
“E comunque che c’è? Non ti è bastato che abbia rotto il tuo basso per terra?”
Lui abbassò gli occhi e si mise le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, nella sua solita posizione vittimista.

“Io ti ho raccontato cose che non ho mai detto a nessuno... mai!”, gli disse, guardandolo con disprezzo, “E tu cosa fai? Mi volti le spalle?”
Attese che lui facesse o dicesse anche una sola parola. Doveva reagire, doveva permetterle di continuare a gridargli contro qualcosa.
“Capisci quanto mi sia costato parlartene?”, gli fece ancora, “Riesci ad immaginartelo?”
Lui scosse la testa, dicendole di no.

“Ah, ecco, almeno questo sei in grado di riconoscerlo!", esclamò ancora Joanna, "Finora tutto quello che mi hai detto sono state solo un mucchio di cazzate!”
“Non è vero Jonny...”, disse lui, e venne prontamente interrotto.
“Non è vero?!?”, sbuffò Joanna, ancora più arrabbiata.

“Io ti ho sempre detto la verità!”, obiettò ancora Dougie, “E’ che mi ci è voluto del tempo per capire alcune cose.”
"E allora, visto che hai bisogno di tempo per arrivare a comprenderle, fai come me.”, gli consigliò Joanna, “Invece di parlare senza sapere che cosa dici, stai zitto e rifletti. Torna solo quando sei sicuro di ciò che pensi e di ciò che provi.”

Prima di voltarsi,  asciugò le prime due gocce amare sulle sue guance, e corse via. Lasciò perdere gli sguardi della gente, non le interessavano, voleva solo uscire da quel dannato posto.
Non si ricordava esattamente quante volte aveva girato l’angolo, non era mai stata una buona navigatrice e passò davanti a mille corridoi, uno uguale all’altro, senza rendersi conto di dove fosse. Con il passo veloce e gli occhi annebbiati, le parve di scorgere un cartello che le indicava l’uscita e lo seguì. 
Girò a sinistra, così come il segnale le aveva suggerito di fare, e  si scontrò con una macchia bianca davanti a lei, i cui contorni erano stati cancellati dalle lacrime nei suoi occhi. Non ebbe il tempo di rendersene conto che due braccia la circondarono. 
“Little Joanna.”, le sussurrò Danny, “Finalmente ti ho preso.”
Una persona amica, almeno una tra tante.
“Dimmi dov'è l'uscita.”, gli disse, “Non riesco a trovarla...."
“Devi calmarti prima.”
“Voglio andarmene!”, protestò Joanna.
“No, stai tremando…”, le fece, prendendole una mano e mostrandogliela.
Quello non era un tremito, era come una malattia, sembrava impossibile da fermare.
“Fammi andare a casa, ti prego.”, lo implorò.
“Solo qualche minuto.”, insistette lui, “Quando ti sarai calmata.”
“Ma non riuscirò a farlo qua dentro!”
“Ti porto nel mio camerino, vedrai che non ti disturberà nessuno.”, le assicurò, “Nessuno.”
Le sue sicurezze traballarono, incerte sotto lo sguardo convincente di Danny. Lui se ne accorse e, con la stessa semplicità, la sollevò da terra, per lui doveva essere leggera come un palloncino. Come se fosse stata una marionetta appena privata della mano del suo animatore, Joanna si sentì improvvisamente senza forze, stanca e fiacca.
Le sua testa cadde sulla spalla di Danny, che le sorrise scherzoso.
"Sei
più leggera di una piuma, mi devi spiegare dove nascondi tutta quella forza…”, le disse, sdrammatizzando, “Spero di non farti mai arrabbiare così tanto....”, e concluse con una piccola risata delle sue.
Non ebbe la volontà di ribattere, e sorrise solo un po', stancamente, sicura tra le sue braccia.
Camminarono pochi metri, il camerino sembrò trovarsi proprio nelle loro vicinanze, e dopo essere entrati la fece scendere, per permetterle di sedersi sul divano. Era una piccola stanzetta, essenziale ma
scarna: uno specchio, un tavolo, un guardaroba ed un divano, nient'altro. Tutto era perfettamente in ordine, come se nessuno non vi fosse mai entrato prima di quel momento. C’era solo un borsone al lato del sofà, ancora chiuso.
“Dovrebbe esserci… un po’ d’acqua, da qualche parte.”, fece lui, studiando un mobiletto della sua stessa altezza: aprì uno degli sportelli, ma trovò solo il vuoto.
L'impressione era proprio quella: lui non vi aveva mai messo piede, ed a Joanna venne da chiedersi se quello fosse stato davvero il suo camerino e quello vicino al divano il suo borsone.
“Tranquillo, sono a posto.”, gli disse lei, tranquillizzandolo, “Avrei solo bisogno di… di un bagno.”
“Sì.”, disse lui, indicandole una porta alle sue spalle, “Il bagno dovrebbe essere quello.”
“Grazie.”, gli fece, prendendo posto dentro alla stanzetta.
Non volle nemmeno guardarsi allo specchio: quello che fece fu semplicemente lavarsi la faccia, per togliere via tutti i segni del poco trucco, ormai terribile e colato sulle sue giance, ed asciugarsi rapidamente. L'acqua fresca sciacquò via parte della pesantezza accumulata, dello stress che ancora premeva sulle sue spalle, dandole un po' di vita.
Quando ne uscì, trovò Danny in attesa, che tamburellava nervosamente le dita sulla morbida tappezzeria del divano.
Non sapeva cosa dirgli, come giustificarsi, quali spiegazioni razionali dare al suo comportamento. Si guardarono qualche attimo, poi lui si alzò, facendosi scoprire altrettanto imbarazzato ed a disagio.
“Uhm…”, esordì Danny, “Io… dovrei tornare dagli altri. A concludere il concerto...”
“Oh sì, certo.”, disse Joanna, "Adesso sto meglio, trovo l’uscita da sola.”
Le dispiacque un po', avrebbe voluto calmarsi fino in fondo, ma era necessario andarsene, tornarsene a casa. E dimenticare tutto.
“No, aspettami qui.", insistette Danny, "Un altro paio di canzoni e poi torno.”
“Ho già creato troppi casini.”, scosse la testa.
“Noi non abbiamo fatto altrettanto?”, controbattè lui in automatico, e sorridendole, “Siediti qua e aspettami.”
“Ok…”, disse Joanna, incrociando le braccia ed abbozzando un sorriso imbarazzato.
“Perfetto.”, disse Danny alzandosi, “Ti ritroverò, vero?”
Gli annuì.

 

Averla vista, più che altro sentita, apparire dietro alle quinte lo aveva fatto sperare nel suo perdono verso Dougie o, molto più realisticamente, nell’aver messo una pietra sopra sopra l'intera faccenda, ma evidentemente si era sbagliato di grosso.  
Osservando come lo aveva imbracciato, aveva subito dubitato del fatto che Joanna avesse saputo suonare il basso, e sicuramente anche Dougie aveva avuto questo sospetto, soprattutto dopo che lei gli aveva negato il permesso di darle una mano per aggiustare la tracolla. Eppure aveva voluto vedere dove volesse arrivare... Magari sarebbe stata
veramente capace di suonarlo in quel modo.
Ma poi,
con la coda dell’occhio, aveva visto lo strumento alzarsi in aria e frantumarsi in terra, ed essere brutalmente finito sotto i suoi piedi. Era totalmente allibito, scioccato, confuso, e le facce degli altri, prima tra tutti quella di Dougie, avevano espresso gli stessi stati d’animo.
Era comunque finito il tempo delle domande e delle spiegazioni, lui ormai non aveva più niente a che fare con la situazione creatasi tra lei e Dougie, era affar loro, erano le loro vite. Era stato lui stesso l’unico a baciarla e, nonostante ciò, il suo rapporto con Joanna era molto migliore di quello con Dougie. 

Io ti ho raccontato cose che non ho mai detto a nessuno... mai! Capisci quanto mi sia costato parlartene? Riesci ad immaginartelo?
Poche parole che davano senso a tante cose. Le giustificavano.
Era incredibile quanta rabbia potesse contenere quello scricciolo. Ogni volta che si era fatto un’idea su di lei, questa veniva prontamente smentita. Aveva pensato che fosse stata una ragazza fragile: beh, lo era, ma riusciva a tenere testa al fratello oppressivo. Timida, ma era stata in grado più di una volta a prenderlo e rigirarlo come un calzino con una battuta netta e tagliente. Apparententene tranquilla, ma scossa da qualcosa dentro che pareva impossibile da gestire, benchè perfettamente nascosto.

Ma chi sei allora Little Joanna?
Aveva iniziato a domandarselo dalla serata precedente, quando non era più stato capace di farla arrossire con un complimento.
“Little Joanna, tra le nostre canzoni qual è quella che preferisci di più?”, le chiese, prima di uscire.
Doveva tornare fuori con gli altri per almeno un altro paio di canzoni, ne avrebbe suonata una per lei. Non si azzardò a fare un pronostico sulla sua scelta, ormai aveva imparato che niente in Joanna era quello che sembrava in superficie.
“Sicuramente Don’t wake me up...”, rispose lei sorridendogli.
Sbuffò in una risata e incrociò le braccia. E dire che, sebbene non avesse voluto pensare niente in proposito, la faceva un tipo da Bubble wrap.
Le volle fare una domanda impertinente.
“Anche tu sei così innamorata da non volerti più svegliare dal sogno?”
Joanna alzò le spalle.
L’amore? Non so nemmeno che cosa sia.”, disse poi.
Abbozzò un sorriso e giocherellò con le dita a sguardo basso.
Come faceva quella piccoletta davanti a lui a trattenere dentro di sè tutta quella rabbia e quella furia contro il mondo e chi l’aveva ferita... per poi tornare ad essere il solito pulcino, con due trecce bionde ai lati del viso triste?
“A volte vorrei davvero non svegliarmi più.”, continuò Joanna, "So che basta solo un attimo per tramutare un bellissimo paradiso in un inferno senza luce. Quindi preferisco alzarmi dal letto ogni mattina e dimenticare quello che ho vissuto durante la notte.”
Non voleva credere ad una Joanna che si costringeva a starsene
con i piedi incollati per terra. 
“Un giorno mi spiegherai cosa ti ha spinto ad essere così realista.”, le disse, “Non so quando accadrà, ma so che prima o poi lo saprò.”
“Non credo che commetterò lo stesso errore due volte.”, gli rispose lei, “Imparo presto dai miei sbagli.”
Sembrò sull’orlo di piangere un’altra volta, stava cercando di trattenersi più che poteva. Senza pensarci due volte la abbracciò.

Si ricordò di cosa gli aveva detto Dougie.
Lo sapevi che prima di te Joanna non ha praticamente baciato nessuno?
Come gli era già capitato di fare, le accarezzò la testa.
My Little Joanna’s got big green eyes...”, le canticchiò, così come aveva fatto qualche sera prima, seduti sulla balaustra di quel piazzale panoramico.
Lei alzò la testa per sorridergli.

Non fare questa cazzata Jones.
Le colse il secondo bacio.



Terzultimo (si scrive così? XD) capitolo di questa storia... Siamo davvero alla fine *sigh*...
Il concerto è arrivato, Joanna ha concluso la sua vendetta trasversale XD Ma alla fine ha guadagnato un bel bacio! Ammazza, voglio farle anche io 'ste vendette!
Ho impiegato tipo due settimane per rendere questo capitolo presentabile, spero che nessuno si lamenti! XD

Via, visto che è domenica, passo ai ringraziamenti e cercherò di essere più logorroica del solito!

Picchia: Certo che Jonny è corsa verso Dougie, ma l'obiettivo non era proprio lui. Spero che la sua mossa non sia stata troppo plateale, ma conosco persone come lei... che hanno fatto moooooooooooolto di peggio. Molto. Baciamo le mani!

Ciribiricoccola: Pazza! *pugno alzato* Nessuna delle previsioni si è avverata, mi dispiace, Joanna ha solamente fracassato il basso di Dougie XD Via, cantiamo solo in studio, non nelle recensioniiii perchèèè perchèèèè le recensioni così fanno schifo pure a meeeee XDDDDD

Kit2007: Jaja, hai colto in pieno uno degli aspetti che adoro nelle storie (non solo nelle mie XD), cioè la crescita dei personaggi. Si parte in un modo, e si finisce in un altro! Joanna è un cresciuta, infatti, ed anche grazie a loro XD brava, sono fiera di te!

CowgirlSara: Volevi l'azione, eccotela! Violenza gratuita su strumenti innocenti, vendette trasversali che colpiscono i cari, familiari o meno. Accontentata??? XDDDD Spero di sì, sennò, nini mia! Sei incontentabile! XDDD scherzo ovviamente, eh! Ci si sente!

Giuly Weasley:  Ehehe, oddio, spero di non aver frantumato i tuoi sogni con questo capitolo XD Che dirti, non credo che, per il momento, ci siano possibilità per Dougie. Nana, non credo proprio XD Ma posso anticiparti che ce ne saranno, in un possibile ma reale futuro... Non ti dico che tipo di possibilità... Ma ci saranno!

Princess: Mugliera! E ho detto tutto.

 

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Capitolo 20
*** She Falls Asleep - Part Two ***


20. She Falls Asleep – Part Two

 

Un rumore di passi veloci si avvicinò al camerino.
“Dan? Sei lì dentro?”, domandò la voce di Harry, al di là della porta, “Salta fuori. Dobbiamo fare altri due pezzi.”
Il batterista continuava a sbuffare, lo sentivano aggirarsi nervosamente per il corridoio ma, indipendentemente da quella chiamata dalla realtà, non riuscivano a distogliersi l’uno dall’altra.
Le loro menti, andate in black out per un breve ed infinito lasso di tempo, dovettero tornare comunque ad attivarsi in modalità Pianeta Terra.
“Daniel Alan David Jones?”, chiamò ancora il batterista “Se sei lì dentro batti un colpo!”
Joanna non potè fare a meno di sorridere; Danny, che le teneva il viso con entrambe le mani, alzò un dito e lo posò sulle sue labbra.
“Sshh...”, le fece .
Una sonora imprecazione di Harry seguì il suono dei suoi passi in allontanamento.
“Se trovate quella testa di cazzo di Jones.... Portatemelo, e gli infilo una bacchetta su per il culo!”
Joanna trattenne  a fatica
una risata, Danny contrasse la bocca in una smorfia.
“Dovresti tornare sul palco.”, gli suggerì, allontanando il viso dalle sue mani, "Harry sembrava abbastanza inviperito."
“Tra un due minuti...”, le rispose Danny.
“E’ l’unico vostro concerto italiano, non puoi fare aspettare i vostri fan.”, continuò lei, “Chissà quando tornerete.”
“Quando vogliamo.”, disse lui.
“No, Danny, vai sul palco e finisci lo spettacolo.”, insistette Joanna, “Non è giusto nei confronti di chi ha pagato il biglietto.”
"Odio quando fai la bacchettona!", disse lui, scherzosamente.
Nonostante avesse davvero voluto farlo rimanere, non glielo avrebbe mai permesso: doveva concludere lo show insieme agli altri, senza far aspettare nessuno. Punto e basta.
“Non ti chiedo di venire a sentirci, so che non mi accontenterai.”, le disse poi Danny, "Però canterò comunque la tua canzone preferita."
“Grazie...”, disse lei, arrossendo di nuovo fino alla punta dei piedi.
“Mi aspetterai qui?”, le domandò e lei gli annuì.
Si avvicinò e la baciò ancora.
“A dopo.”, le disse.

  


Si buttò seduta a peso morto sul divano, che sbuffò aria dalle cuciture.
Lasciò libere le mani sulle imbottiture e, dopo qualche attimo, vi si stese sopra in cerca di relax. Così come era successo quando Danny l’aveva presa in braccio, prima di portarla lì dentro, si stava sentendo di nuovo svuotata delle forze.
Quelle che aveva nello stomaco erano migliaia di farfalle che svolazzavano, oppure era il suo apparato digerente che si ribellava per non essere stato sfamato a dovere?
E’ tutto incredibile...

Inimmaginabile e surreale. Forse il primo bacio era accaduto in un momento decisamente troppo delicato e confuso per potersi permettere di gongolare nel ricordo, con il cuore che batteva veloce e lo stomaco sottosopra. Ma il secondo era stato decisamente, totalmente... 
Non lo sapeva descrivere.  Non trovava parole, e sarebbe comunque stato inutile continuare a dargli una forma verbale. Ricordava ogni singolo fotogramma di quel bacio, di quello che era successo prima e dopo, tutto scorreva fluidamente davanti a lei come un film ogni volta inedito. 
Quando lui l’aveva abbracciata, e le aveva cantato di nuovo quel piccolo verso della canzone che portava il suo nome, aveva sentito qualcosa borbottare alla bocca dello stomaco. Era stato un dolce fastidio, di quelli che facevano un delizioso solletico, e si era subito sentì calma. 
Non aveva mai provato quelle cose, erano sensazioni del tutto nuove, addirittura difficili da razionalizzare.

Ma sentiva un brusio di fondo nella sua testa, incessante e fastidioso.

Non sognare, Jo, non sognare. Lo hai già fatto una volta e sei stata tradita.
Avrebbe voluto che per un attimo, un solo istante, un secondo quella voce si zittisse.  Almeno una volta nella sua vita, avrebbe voluto provare a dondolarsi su un’altalena fatta di aria e di nuvole, dove avrebbe potuto sentire un profumo sconosciuto ma che sapeva di buono, ascoltare una  dolce canzone di cui non aveva mai sentito il ritornello e vedere intorno a lei tutte le cose dipinte delle sfumature di un colore che non esisteva. Voleva sognare.
Provava ad impegnarsi con tutte le sue forze ma non ne era capace.
Domani tutto quello sarebbe finito.
Domani tutto quello sarebbe salito su un aereo diretto chissà dove in Europa.
Domani tutto quello avrebbe avuto una conclusione e lei, scaraventata con forza giù dalla sua altalena di nuvola e d’aria, sarebbe tornata di nuovo a soffrire.
E poi c’era Dougie...

Maledetto Poynter!
Si era sentita soddisfatta della sua piccola personale vendetta, aveva gioito nel distruggere il suo basso ed provato un senso di liberazione che non era riuscita a contenere. Ma... 
Le aveva fatto male dirgli quelle cose. Un male che non si era aspettata di provare. Aveva pensato che non ci sarebbe stato niente di difficile nel rendegli pan per focaccia, arrabbiandosi con lui nel più furioso e teatrale dei modi possibili. Non le ci era voluta molta fatica nel fracassare il suo basso davanti due migliaia di persone, sotto lo sguardo atterrito di tutti.
Le complicazioni erano sorte dopo l’aver visto la sua faccia. Era stupefatta, sbigottita, ma glielo aveva letto negli occhi: quel momento se lo era aspettato. C’era rimasta male, aveva sbuffato contro di lui e se n’era andata via. Gli aveva vomitato sopra la sua rabbia, costringendolo a partecipare ad un dibattito senza diritto di replica.
Non voleva sentire le sue scuse, sarebbero state tutte banali e stupide. 

 

 

“Jones!”, tuonò alle sue spalle Harry.
Danny si mise a correre più forte che poteva: Harry era una persona troppo di parola per non fargli ciò aveva promesso, e personalmente non desiderava aver alcun tipo di oggetto in entrata nelle cavità più recondite del suo corpo. Aveva imparato a memoria tutti quei corridoi e, ben prima che lui avesse potuto acciuffarlo, si era trovato sul palco dove una valanga di urla di gioia lo colsero in pieno.
“Ehm... scusate il ritardo.”, disse al microfono, “Ma si era rotta una lampadina e i tecnici hanno avuto bisogno di me.”
Battuta pessima e scadente.
“Ragazzi, venite sul palco o mi fate fare la scimmia solitaria?”, fece, richiamando all’ordine i suoi compagni, ancora dietro le quinte.
Uno per volta arrivarono tutti, accolti da applausi, flash e fischi. Osservò per un attimo la faccia di Dougie: come da sempre, quando si trovava in pubblico non trasmetteva niente di quello che gli passava davvero per la testa. Il ricordo improvviso del bacio dato a Joanna tornò a pulsargli in testa, scacciato via durante la fuga da un alterato Harry. Il cuore subì una lieve accelerazione.

Era stato giusto farlo Jones?
Quel bacio l’aveva voluto, non era stato come l’altro. Non era stato causato da un mix tra serata effervescente, bel panorama e festa nell’aria. Era nato perchè era giunto il suo momento di venire alla luce.
E Dougie?
Già... Dougie. Anche sotto tortura sarebbe sempre stato fedele all’amicizia e al gruppo. Sempre, comunque, fino in fondo, anche a costo di se stesso. Gli aveva già chiesto scusa per le incomprensioni sorte e non era il caso di farne nascere altre. Eppure, dopo l’aver conosciuto una Joanna così fragile, così dura, così impaurita, così forte, le convinzioni dentro di lui avevano traballato sonoramente.
L’aveva voluta baciare e lo aveva fatto. L’unica cosa certa era stato l’aver sentito il bisogno di posare le proprie labbra sulle sue, come se fosse stata la cosa più naturale e spontanea del mondo... Come se non si fossero mai parlati su quel ponte, dopo il gelato, promettendosi amicizia senza complicazioni;  come se non ci fosse stato nessuno tra i suoi migliori amici che provava qualcosa per lei. 

Era nella confusione più totale.

 

Quando Joanna era corsa via, dopo il suo sfogo nei corridoi del backstage, non aveva trovato il coraggio di correrle dietro, ed aveva lasciato che Danny lo facesse al posto suo, avrebbe pensato lui al suo benessere. Si sentiva ormai completamente tagliato fuori dalla scena, scacciato via, come era giusto che fosse accaduto. Si era meravigliato del gesto del basso, non avrebbe mai pensato che la ritorsione di Joanna sarebbe stata così spettacolare, ma se lo era aspettato e meritato: era quello che aveva voluto, che aveva desiderato e in cui ancora credeva. 
Si sentiva una merda per quello che le aveva fatto, per averla fatta soffrire in quel modo ma soprattutto per averla fatta piangere, e nonostante tutto era stata la cosa giusta da fare, non se ne sarebbe mai pentito. La faccenda era da dimenticare, da riporre in un cassetto della memoria. Domani sarebbero ripartiti, tutto quello stava per finire. 
Sarebbe tornato tutto come prima.
“Che cosa c’è in scaletta?”, domandò a Danny, cercando di sovrastare le urla della folla e la voglia di sapere dove fosse Joanna, se stesse bene, se fosse riuscita a trovare l’uscita prima che il suo amico chitarrista l'acciuffasse, in quel dedalo di corrodi tutti simili tra loro. Molto probabilmente sì.
“Uhm...”, disse lui, incerto, “Don’t wake me up.”
“Ma l’abbiamo già fatta.”, gli disse, "Qualcos'altro?"
"No, quella.", disse Danny, che distolse rapidamente sguardo ed interesse da lui, imbracciando la sua chitarra e andando verso il suo microfono. Era sfuggente.
Non gli dette importanza: non era del tutto fuori dal comune, per loro, fare il bis di un pezzo già suonato, ed a lui non faceva nessuna differenza suonare quella canzone piuttosto che un'altra. Con un altro basso tra le mani, era pronto per esibirsi ancora: sotto di lui, il pubblico sembrava ancora scosso dal fatto, e prima di tornare in azione cercarono di sdrammatizzare, scambiandosi qualche battuta per tagliare la tensione.
Sicuramente, la voce tra le fan si sarebbe sparsa velocemente, quante storie sarebbero nate per dare una spiegazione a tutto?
Comunque,
non l’avrebbe dimenticata con molta facilità: Joanna era una di quelle persone che lasciavano una scia tutto sommato non molto delebile nelle vite degli altri. E, molto probabilmente, non solo nella sua. Dougie allungò lo sguardo oltre il pubblico, in cerca di un paio di trecce bionde. Non ne vide nessuna, la luce puntata sul palco era troppo forte per andare oltre la decima fila del pubblico. 
Gli venne un dubbio: Joanna se ne era veramente andata? 

 

Era riuscita ad intrufolarsi tra il pubblico, sgomitando con forza e beccandosi qualche tirata di capelli... ma ce l’aveva fatta. Era arrivata alla prima fila sudando una ventina di camice, perdendo altrettante vite da gatta e infangando il buon nome di qualche santo decomposto da millenni.
Aveva visto tutta la scena, dal primo attimo in cui Joanna era entrata sotto le luci della ribalta, tra le braccia di Danny, allo sfacelo del basso e alla fuga della ragazza. Aveva sentito i commenti scandire quei rapidi minuti, resistendo alla voglia di voltarsi verso quelle adolescenti galline senza cervello per zittirle con una rispottaccia a tono, e le ci era voluta tutta la sua forza d’animo...
Non era rimasta nella bolgia, appena aveva visto Joanna nascondersi dietro le quinte si era precipitata verso la montagna umana che controllava l’ingresso al backstage. L’uomo, nonostante il pass in bella vista, non le aveva premesso di andare in suo soccorso, trattenendola per diversi minuti finchè il gruppo non fu tornato sul palco. 
Una volta dentro, cercò di comprendere dove si potesse trovare Joanna. La descriveva a chiunque incontrasse per la sua strada ed il novantanove percento dei tecnici, dopo aver sentito i tratti somatici più caratteritici della ragazza, la riconosceva subito come ‘la distruggi-bassi' cosa che la fece andare lievemente sulle furie. Nessuno di loro, comunque, l’aveva più notata dopo la sonora strigliata che aveva fatto a Dougie, e la volevano convincere a cercarla tra la folla. Fosse stata il capo di quella combriccola di inglesi squinternati, li avrebbe licenziati tutti: come era possibile per loro perdere di vista qualcuno, nonostante fossero pagati migliaia di sterline per tenere tutto sotto controllo? 
Fuori sul palco, i ragazzi avevano appena concluso una delle canzoni che Joanna preferiva, Don’t wake me up, e sembravano in procinto di farne un’altra. Li avrebbe attesi, sicuramente sapevano qualcosa di più degli stipendiati inutili che lavoravano per loro. Con il pass in bella vista, attaccato alla maglia con una delle spille da balia che teneva sempre in borsa per le emergenze sartoriali, prese a passeggiare con una certa apprensione per quelle corsie, fermandosi davanti alla porta di una stanza su cui, come se fossero stati in mezzo ad Hollywood, stava appesa una stella dorata con il nome ‘Harry Judd’. Sembrava fatta da un bambino dell’asilo, e c’era una chewingum secca appiccicata sopra la y; notò anche che nessuna delle altre porte esibiva un segno del genere.

Alla faccia del super ego.
Oltretutto era storta e, data la sua femminilità, si preoccupò subito di aggiustarla. La stella, però, cadde inanimata a terra.
“Ecco... Le mani in quel posto, eh?”, disse a se stessa.
Con tono indifferente si accucciò e la raccolse, preoccupandosi di appiccicarla di nuovo sul legno. Nonostante i suoi ripetuti sforzi, quella continuava a cadere imperterrita.
“Milioni di euro nei conti in banca e appiccica il suo nome sul camerino con lo scotch del discount...”, borbottava nervosamente.
Stancatasi, afferrò la stella e la sbattè con decisione sul legno.
"Cavolo!”, esclamò qualcuno dietro di lei, facendola trasalire, “Ho sentito male per la porta.”
Si voltò.
Mani sui fianchi, lo sguardo altrui era divertito ma perplesso allo stesso momento.

Dio, per favore, fa’ che non sia il proprietario della stella... Se mi accontenti verrò tutte le domeniche in chiesa, lo prometto...
Le vide il pass sulla maglia e lo indicò con un rapido gesto della mano.
“Sei venuta con Jojo, vero?”, le domandò.
“Sì... e mi stavo chiedendo dove fosse.”, rispose.
“Non lo so nemmeno io.”, rispose il ragazzo, incrociando le braccia.
“Ok... allora aspetterò.”, gli disse.
“Comunque io sono Harry.”, le fece il ragazzo, porgendole la mano con cortesia.
Harry come Harry Judd, proprietario e sicuramente artigiano di quella schifezza dorata, con la chewing gum per decorazione.

Dio, ti sei giocato una pia fedele.
“Ma non ci siamo già visti?”, le domandò, appena un attimo prima che lei potesse smaterializzarsi.
“Sono il capo di Joanna, la proprietaria del locale. Magari mi hai visto lì.”, gli spiegò imbarazzata.
“Ah sì!”, fece lui, “Ora ricordo... Meno male che sei venuta tu, e non suo fratello!”
L’improvvisa illuminazione la fece trasalire.

Dovevi chiamare Miki!
Guardò l’orologio: erano le undici e mezza passate, doveva assolutamente telefonare a quel rompipalle oppure sarebbero sorti casini incommensurabili.
“Ehm... vuoi scusarmi?”, fece al ragazzo, “Devo fare una chiamata!”
“Uhm... sì, certo!”, rispose lui, “Fai pure!”
Lo salutò frettolosamente e si allontanò di qualche metro, frugando nell’enorme borsa in cerca del suo telefono. Compose il numero, ed incrociò le dita nell’attesa della risposta di Miki: era pronta a subirsi tutti le sue urla e le prediche, ma se fosse stato necessario gli avrebbe addirittura chiuso la chiamata in faccia.
Dimmi che Joanna è con te.”, disse con aria spenta la voce bassa di Miki. 
“Sì... è qua, siamo al... concerto.”, disse, titubante.
Sì, mi ha lasciato un biglietto informativo.”, disse l’altro, “State bene? 
“Beh... sì...”, rispose.
Sapevo che non sarebbe rimasta a casa, che sarebbe venuta al concerto.”, disse lui, con tono abbastanza quieto, Speriamo che sia stato bello, almeno quello.
Arianna rimase perplessa. Stava capendo bene?
Stava parlando con Miki o con la sua versione drogata? Dove erano le urla, le grida, la furia del torturatore di professione che conosceva...
“E non sei incazzato?”, gli fece, in automatico.
Certo che lo sono. E molto!”, lo sentì sbuffare. “Ma l’errore è suo.
Arianna controllò il cellulare. Doveva esserci un disturbo nella linea, non poteva aver sentito quelle parole da lui.
“Miki... sei tu vero?”, gli chiese, tanto per essere sicura, “Non vuoi che riporti tua sorella a casa?”
Mi basta solo sapere che non combinerà guai..”, disse lui. Era riluttante, ma comunque fermo nelle sue parole, “Se vuole rimanere a dormire a casa tua... che faccia pure... così non mi disturbate...
“Ok...”
E lo salutò. Meglio chiudere la telefonata prima che cambiasse idea.
Arianna guardò nel vuoto perplessa.
Che Miki avesse imparato qualcosa da tutta quella storia? Aveva per caso compreso che Joanna era una persona reale, in carne ed ossa, non solo una cara bambolina alle sue dipendenze? In quegli otto giorni era stato capace di afferrare tutto quello? Oppure era solo una rassegnazione stanca al fatto che non poteva più tenere sua sorella al guinzaglio, pensando che fosse un docile cagnolino da compagnia...

Fate subito santi i McFly!
Ora doveva solo trovare quella scema.

 

Dopo aver fatto finta di andarsene per tre volte e tornare poi sul palco saltellando, concluse lo show schioccando un bacio sulla guancia di Tom e palpando le chiappe di Dougie, per la felicità dalle fans più fantasiose. Tra i corridoi del backstage ebbero modo di ripassare tutti i momenti del concerto.
“E comunque bello spettacolo, Jones!”, esclamò Tom, dandogli una sonora pacca sullo spalle.
“Complimenti davvero!”, gli rispose, “Il pubblico era piccolo ma... cavolo!”
“Sembrava di essere tornati agli inizi, quando non veniva nemmeno un cane ai nostri concerti!”, disse Dougie, “Ve lo ricordate?”
“Pochi ma buoni!”, esclamò Danny, aumentando discretamente il suo passo e anche la distanza dai suoi amici
“Cos’hai Jones?”, gli chiese Tom, “Perdi il treno?”
“Rischio di trovarlo nei miei pantaloni!”, rispose, ridendo.
Abbandonò i due  dietro di sé: speditamente, passò davanti alle tre porte consecutive dei camerini a loro destinati e raggiunse la quarta, appena svoltato l’angolo, che altro non era che la propria, dove aveva lasciato Joanna in attesa. Incrociò le dita, sperò che lei non avesse approfittato di quel quarto d’ora in solitudine per andarsene.
Controllò che nessuno fosse in ascolto, o in vista, e bussò piano.
“Sei sempre lì?”, fece.
Nessuna risposta.

Cosa ti aspettavi che facesse, che rimanesse in attesa?
Abbassò la maniglia ed entrò nella stanzetta, fermandosi non appena vide il divano.
Di fianco, rannicchiata contro la superficie del sofà, dormiva con le mani giunte sotto la testa. La bocca lievemente aperta, il respiro regolare ed impercettibile, una treccia traballava sulla sua guancia. Chiuse la porta, si accucciò su di lei e tolse il codino da lì, lasciando che le si posasse sulla schiena.
Quel piccolo cambiamento sembrò infastidirla: borbottò qualcosa, o forse approfondì solo il respiro, e si voltò supina. Per qualche attimo le mani sostarono lungo i suoi fianchi, poi le raccolse sul petto lasciando la testa cadere di lato, appoggiata sul bracciolo del divano. Doveva svegliarla.
Prima, però, ne approfittò per darsi una sistemata: cercando di fare meno rumore possibile, aprì la cerniera del suo borsone e ne tirò fuori una t-shirt pulita, qualcosa per togliersi di dosso lo sgradevole odore del lavoro e un cappellino, per nascondere i capelli arruffati. La breve sosta in bagno non l’aveva minimamente svegliata, benchè fosse stata scandita dalla caduta per terra del deodorante e dal fracasso che ne era conseguito.

Questo sì che è un dolce dormire...
Si sedette sul bordo del divano.
“Little Joanna...”, la chiamò piano.
Posò una mano sulle sue.
“Svegliati ghiretto...”, le fece ancora.
Vide le palpebre muoversi e, con uno sforzo abissale, aprirsi con difficoltà. La luce bianca della stanza, infatti, era abbastanza forte, doveva darle molto fastidio.
Mugolò qualcosa e imbronciò le labbra.
“Oh, povera Little Joanna!”, le fece, “Ma quanto sonno che hai!”
Solo in quel momento lei parve realizzare di non essere proprio in camera sua, come si aspettava.
“Danny...”, disse lei.
“Sì...”, le fece sorridendole, “Sono proprio io.”
Sbadigliò vistosamente, cercando di coprirsi con una mano, e le lacrimarono gli occhi.
“Ti sei calmata ora, spero.”
Annuì con un gesto della testa, sebbene sembrasse comunque pensierosa, o forse era la sua espressione ad essere
solo sonnolenta.
“Dove sono gli altri?”, chiese, con voce flebile.
“Sono tutti nel camerino di Harry, ci scommetterei un plettro.”, rispose, sorridendole.
Lei alzò gli occhi al soffitto, fissandolo.
“Cos’hai?”, le chiese.
“Niente.”, rispose lei, con un sospiro.
“Sei sicura?”, provò ad insistere. 
“Beh...”, esitò Joanna, “Dovrei andarmene.”
Eh sì, sicuramente era l’ora per lei di tornarsene a casa. Sperò che non fosse venuta lì da sola, e comunque senza suo fratello, non aveva molta voglia di trovarselo di nuovo davanti.
“C’è Arianna con me.”, fece Joanna, anticipando una sua domanda al riguardo.
“Perfetto.”, le disse, “Sai dove sia?”
“No...”, fece lei, sospirando, “Ma spero che non si sia preoccupata troppo per me.”
“Sei in buone mani.”, la assicurò, “Può stare tranquilla.”
“Lo so...”, rispose la ragazza, “E prego anche che abbia chiamato Miki per dirgli...”, si appoggiò sui gomiti per sedersi, “Che avrei dormito da lei.”
“Non ci rimane altro che trovarla.”
Doveva tornare a casa, e allo stesso non voleva lasciarla. Oltretutto, data la delicata situazione, era meglio che nessuno si accorgesse della sua presenza: 
piuttosto che gettare benzina su un pontenziale incendio, era il caso agire con cautela. Era certo che tutti l’avessero data per fuggita.
Danny si alzò e le tese una mano per aiutarla, gesto che Joanna accettò volentieri. Un improvviso bussare lieve alla porta li distrasse. 
“C’è per caso Joanna lì dentro?”, disse una voce femminile, “Sono Arianna, una sua amica.”
“Eccola.”, disse la ragazza, abbozzando un sorriso di sollievo.
Fece per muoversi ma lui la bloccò.
“Vado io.”, le disse, “Gli altri non sanno che sei qui dentro. Non mi hanno visto mentre ti portavo qui.”
Joanna rimase a guardarlo perplessa, ma accettò comunque di lasciargli in mano la situazione. Prima di aprire uno spiraglio di porta ed affacciarsi, Danny le fece segno di togliersi dalla visuale altrui. 
Con una rapida occhiata vide la donna, alle sue spalle Tom... e Dougie.

Per un lungo attimo, non fu capace di distogliere lo sguardo dal bassista: stava cercando in lui un segno, una risposta, o anche solo uno stupido battere di ciglia che gli volesse far capire ‘Ok Jones, no problem’. Ma era forse già avvenuto? Quando Joanna era corsa via non aveva forse voluto cedergli il passo, esitando nel seguirla per permettergli di farlo al posto suo? Oppure Dougie non aveva semplicemente avuto il coraggio di agire... Qual era la risposta giusta?
Davanti alle occhiate dubbiose dei tre uscì dal camerino, chiudendo la porta dietro di sè.
“Poynter, ti devo parlare. In privato.”, gli fece, con tono sicuro.
La risposta corretta a tutto quello la poteva trovare solo in una semplice domanda: Posso? Non sapeva quali reazioni aspettarsi da lui, certamente non buone, ma doveva farlo. Se lui avesse risposto con un secco no alla sua domanda, fine della questione.
Dipendeva tutto da Poynter.
“Perchè?”, domandò Dougie, sembrava imbarazzato.
Tom agganciò Arianna per un braccio.
“Andiamo a cercarla di qua. Molto probabilmente è tornata fuori.”, le fece. Si allontanarono insieme.

Ora siamo soli.
“Poynter...”, esordì, cercando forza e concentrazione.
“Ho già capito.”, disse subito lui, incrociando le braccia.
Rimase spiazzato.

“Jones, non ho speranze e non ne voglio avere.”, disse Dougie, “La mia decisione è quella e rimarrà tale.”
Per l’ennesima volta sono io a non capirti.
“Dougie...”, gli disse, “Non puoi farla così semplice.”
“Puoi stare tranquillo.”, disse l’altro, sorridendogli, “Sono io che ho causato tutto questo, quindi non posso lamentarmene. Hai tutto il mio appoggio.”, continuò “Non vedo perchè non dovrei dartelo.”
Danny scrutò a fondo il suo viso in cerca di una piccola piega, di una rughetta, di un segno tangibile della maschera che stava indossando. Si sarebbe accorto subito se gli stava vendendo fumo. E invece...
Era vero. Era convinto di ciò che gli diceva.
“Ho perso il mio treno ancora prima di fare il biglietto.”, ironizzò il bassista, “E forse non avrei mai avuto le palle di salirci sopra, neanche se lo avessi avuto.”
Danny gli sorrise, abbassò la testa.
“Ti chiedo solo una semplice cosa.”, fece ancora Poynter.
“E cioè?”
Dougie sospirò.
“Non ha bisogno di altre persone che la confondano, ne ha avute già troppe nella sua vita.”
Danny si sentì in dovere di mettere
le cose ancor di più in chiaro.
“Non so cosa succederà.”, disse, “Forse niente. Anzi, quasi sicuramente...”
“Beh...”, fece l’altro alzando le spalle, “Questo non è più di mia competenza...”
Dougie gli porse la mano.
“Dai, stringila.”, lo invitò.

 

Accostò l’orecchio alla porta. Non era una deficiente, sapeva benissimo cosa stava succedendo là fuori, benchè non stesse afferrando una sola delle parole che i due si stavano dicendo.
Si sedette sul divano in riflessione.
Danny, Dougie.
  Si era trovata, senza il suo consenso, in mezzo a due fuochi.
Da una parte Danny: l’aveva corteggiata, poi baciata. Con lui aveva scherzato e, dopo aver accantonato saggiamente ogni complicazione, si era divertita ad essere sua amica . E si erano di nuovo baciati. Dall’altra Dougie: dal nulla al tutto. Dal non avere alcun tipo di rapporto con lui a fidarsi quasi ciecamente, raccontandogli come non aveva mai fatto prima quello che le aveva segnato l’esistenza nel profondo. E porre fine a tutto quello nel modo più squallido possibile.
Se pensava a Danny, la sua bocca si piegava in un lieve sorriso e un formicolio le solleticava la nuca. Se pensava a Dougie, le labbra si storcevano in una smorfia di rabbia e il formicolio si presentava ad infastidirle le mani.

Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e unì le mani sotto al mento.
E dire che non ti ha mai filato nessuno.
Entrambi i ragazzi si erano interessati a lei, che non voleva sentirsi assolutamente responsabile di aver creato problemi tra loro.  Forse era meglio togliere le tende da lì, chiudere ogni rapporto prima che fosse troppo tardi.
E' già troppo tardi...
Nascose la faccia nelle mani, in cerca di conforto.
“Little Joanna!”, sentì esclamare da Danny, preoccupato, “Che cos’hai?”
Non lo aveva nemmeno sentito tornare lì dentro.
“Oh no, niente.”, gli fece, “Stavo solo pensando.”
“A cosa?”, chiese lui, sedendosi accanto a lei.
“Uhm...”, esitò Joanna, in cerca delle giuste parole, “Quanti casini ho creato?”
Danny la guardò incuriosito ma perplesso.
“In che senso?”, le domandò, accomodandosi sul divano.
“Beh...”, si grattò la testa, “Non è che vi ho fatto litigare... vero?”
Danny abbozzò un sorriso, passò velocemente una mano sul naso.
“Non è che abbiamo litigato.”, disse poi, “Abbiamo avuto modo di scontrarci, ma non devi sentirti in colpa per questo. Eravamo noi a discutere, tu non c’entravi niente.”
“Ma lo facevate per causa mia!”, ribattè.
Fuggire, voleva solo fuggire via

Scappa allora, corri via come una scema.
“Little Joanna.”, le fece Danny, con tono rassicurante. Le passò una mano intorno alla vita e, abbracciandola in quel modo, la costrinse ad avvicinarsi a lui.“Ti impedisco di farti dei sensi di colpa su cose a te estranee.”
Non sei convincente.
“Quello che è successo è stato solo frutto di mancata comunicazione.”, continuò lui, “Se ci fossimo parlati di più, addirittura forse non saremmo qui adesso.”
Sei quasi convincente.
“Danny...”, gli disse, “Dovrei anche parlarti di un’altra cosa.”
“Dimmi pure.”, fece lui, con calma.
Prese un profondo respiro. Era giusto che gli spiegasse quali paletti era il caso di fissare.
“Non voglio prenderti sul serio.”, iniziò, “Domani te ne andrai, fine.”
Breve, concisa, diretta. E Danny non aveva colto una sola parola.
“Domani tu tornerai ad essere Danny dei McFly", si spiegò, "terminerai con il gruppo gli ultimi concerti che avete in programma e poi ti rilasserai forse in qualche meta esotica tra mille altre ragazze. Domani io tornerò ad essere Joanna, che vive con il fratello giocatore di rugby, con un mucchio di problemi, in una stanza piena di poster dei suoi musicisti preferiti.”
Solo a quel punto lui sembrò comprendere. A dire il vero aveva contato sul fatto che Danny stesse già pensando quelle medesime cose.
“Beh... non hai torto, Joanna.”, disse, facendosi serio, “Quello che hai detto è la pura verità.”
“Per questo non vedo il motivo di rimanere ancora qui.”, fece lei, allontanandosi da lui.
“La ragione è semplice.”, disse Danny.

Essergli così tanto vicino ed oscurare il continuo sfarfallare dello stomaco che si accendeva ad ogni sua lievissima mossa, le stava costando uno sforzo altissimo in concentrazione.
“Siamo certi che fino a domani non me ne andrò.”, continuò lui, “Quindi perchè pensare a domani quando ancora non è nemmeno arrivato?”

Non essere troppo convincente, ti prego.
“Vuoi stare con me, stanotte?”, le chiese.
...
Black out.
Out of order.
Corto circuito.
Purtroppo la fuga dei cervelli era un problema dell’Italia contemporanea e lei, per motivi del tutto estranei a quelli che cagionavano questa deficienza intellettuale peninsulare, non era stata da meno.


 

Finalmente ce l'ho fatta, ho corretto questo capitolo tremila volte... due palle!!! E sono comunque tristarella, questo è il penultimo capitolo -.- 

Per prima cosa, voglio dare una spiegazione semplice: so che il gesto di Joanna è fin troppo teatrale e irreale, e so che stona perfettamente con il resto della storia, soprattutto con il suo personaggio. Yep, lo sapevo anche prima di scriverlo. E allora perchè l'ho scritto? 
Aspettate, chiedo informazioni al mio cervello... Ora sta elaborando dati e variabili... Risposta: Perchè mi sono divertita XD 

Suvvia, dato che è il penultimo capitolo, lascio i ringraziamenti in grande stile al prossimo XD Cooomunque, in breve, abbraccio tutte voi! Dalla prima all'ultima, chi legge e recensisce, ch legge e basta, chi mi mette tra i preferiti... Insomma, chiunque dia un'occhiata alla storia XD

Alla prossima!

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Capitolo 21
*** I Can't Stop Diggin' The Way You Make Me Feel ***


21. I Can’t Stop Diggin’ The Way You Make Me Feel

 

 Joanna riconobbe la voce agitata e acuta di una Arianna in piena crisi isterica. La trovarono in un corridoio insieme a Tom che, data la sua innata pazienza, stava cercando di calmarla dicendole che l’avrebbero ritrovata presto e che Miki non l’avrebbe spedita in Giamaica a suon di calci, sebbene lei fosse il suo capo e staccasse ogni mese il suo assegno.
Le si avvicinò e le chiese se potevano parlarle tranquillamente -in altre parole, in italiano- e, distanziate le orecchie altrui, venne il loro momento.
Tom, approfittando della benedetta liberazione da quella donna paranoica, non fece altro che allontanarsi lentamente, senza fare gesti inconsulti che avrebbero potuto riaccendere di nuovo la frenesia di Arianna.
“Arianna, sto bene, ero con Danny.”, le spiegò poi.
“Ed io ero con un piede nella fossa!”, sbuffò subito la donna, “Grazie per aver fatto aumentare in modo esponenziale la mia spesa in creme contro le rughe!”
Danny, in disparte a braccia incrociate ed appoggiato al muro, stava trattenendo le risate, cercando di sorvolare sullo stato ansioso della donna.
“Senti...”, fece Joanna,iniziando a trastullarsi le dita, “Non è che... insomma... potrei...”
“Rimanere con Danny stanotte?”, la anticipò lei, “Dio, Joanna, mi venisse un colpo se ti dicessi di no! Morissi all’istante se non te lo permettessi, mi prendessi una malattia venerea se non te lo lasciassi fare...”
“Ok, ho capito.”, la bloccò Joanna ridendo.
Arianna la abbracciò, accarezzandole la testa.
“E pensare che quando ti ho assunta avrei voluto licenziarti dopo il ventitreesimo bicchiere fracassato.”, le fece la donna, “Adesso, invece, mi sembra quasi di aver allargato la mia misera famiglia a te.”
Joanna arrossì per quella concessione d’affetto inaspettata.
“Da quando sono arrivati quei McFly”, continuò Arianna, “sono cambiate così tante cose.”
“E quali?”, le domandò, incuriosita.
Sciolse l’abbraccio e la squadrò da capo a piedi.
“Sei la solita di una settimana fa.”, le disse Arianna, “Non sei dimagrita, nè ingrassata, nè ti sono cresciute le tette.”
“Oh, grazie.”, sbuffò Joanna, incrociando le braccia sul petto.
“Sei cambiata qui dentro.”, continuò la donna, toccandole la fronte con la punta dell’indice, “Adesso sei veramente Joanna, non semplicemente la sorella di Michele. Hai preso il controllo di te stessa, hai iniziato a vivere la tua vita e a prendere le tue decisioni, giuste o sbagliate che siano. E Miki lo ha capito.”
Joanna si fece perplessa.

“Ho chiamato Miki e mi ha a dir poco stupito.”, fece Arianna, ristabilita la calma, “E’ incazzato a morte con te per essere venuta al concerto... ma l’ha presa bene.”
“L’ha presa bene? Cosa vuol dire?”, esclamò Joanna, “Che mi proibirà  per sempre di mettere la testa fuori di casa? Che comprerà un guinzaglio per la sorella troppo libertina?”
“Diciamo che ti costringerà ad indossarne uno a corda molto lunga.", e ridacchiarono insieme.
Arianna sospirò e si toccò la testa, pensierosa.
“Devo andare in San Pietro ad esporre lo striscione ‘McFly santi subito’... altro che papi morti e beatificati tre giorni dopo.”,  borbottò in modo decisamente anticlericale, “Ma penso che andrò semplicemente a letto...”, concluse.
Le accarezzò con dolcezza una guancia rossa.
“Mi raccomando, fate sesso sicuro.”
“Arianna!”, esclamò Joanna, avvampando fino all’ultimo centimetro della sua pelle.
“Scusa, mi sono davvero sentita in obbligo di dirtelo!”, sbuffò Arianna ridendo.

 

  

“Non ci riuscirò mai!”, continuava a dirgli da un pezzo.
“Almeno provaci!”, insistette lui.
“Non lo faccio, non ne sono capace!”, ribadì lei, stringendo i pugni e battendoli contro il materasso.
“Non ci sono cose impossibili da fare, finchè non si prova a farle.”, tornò a ripeterle, seduto a gambe incrociate di fronte a lei, che era nella medesima posizione.
Lei sbuffò vistosamente, incrociando le braccia come una bambina viziata.
“Eh no, Little Joanna, adesso lo fai.”, le fece Danny, sventolandole un dito sotto il naso, “Adesso ti alzi, ti metti in piedi sopra il mio cuscino e fai una capriola.”
“Ma se cado giù dal letto e sbatto la testa?”, si oppose lei, “E se muoio?”
“L’ho già fatto mille volte, e sono sempre vivo e vegeto.”, ribattè Danny, dandosi un pizzico sul braccio per dimostrarglielo, “Ora lo fai tu.”
“No!”
“E cosa sarà mai!”, esclamò l’altro.
Danny si alzò e, in un attimo, rotolò sul letto.
“Facile, no?”
Joanna roteò gli occhi e stronfiò di nuovo.
“Va bene!”
La ragazza si alzò e, insicura, si posizionò alla testa del letto.
“Ora ti accucci e ti butti in avanti.”, la consigliò Danny.
Joanna fletté le ginocchia e allungò le mani davanti a sè.
“Così sembri una rana con un bastone in culo.”, la prese in giro Danny.
“Ok, non lo faccio più!”, esclamò Joanna, offesa, distraendosi dalla sua posizione.
“No, per carità!”, si riprese subito lui, “Posso almeno fare il giudice di gara?”
“Fai ciò che vuoi, ma stai zitto!”
“Sono pronto.”, le fece, invitandola a partire con la sua esibizione ginnica.
“Se mi rompo il collo, mi avrai sempre sulla coscienza.”, borbottò Joanna.
“Con molto piacere.”, scherzò Danny, che si mise le mani davanti alla bocca per amplificare la sua voce, “E sul trampolino di lancio, la spettacolare atleta Little Joanna, che cercherà di eseguire un triplo salto mortale. Rullo di tamburi.”
“Stai zitto un secondo? Mi deconcentri!”, lo brontolò la ragazza, già pronta per partire.
Cavolo, da piccola non aveva fatto altro che fare capriole: alcune consapevoli, altre meno, causate dalla sua goffa presenza fisica. Doveva essere semplice farle ancora, bastava solo buttarsi, mandare il sedere in aria e poi le gambe sarebbero atterrate automaticamente da sole, facendola cadere seduta. Facile, no?
Prese un profondo respiro e piegò ancora le gambe.
“Sto per morire di vecchiaia.”, fece Danny, sbadigliando.
“Zitto!”, gli ripetè Joanna.
Ci doveva solo provare.
Lasciò il suo peso cadere in avanti e, piegandosi su se stessa, sentì le gambe passarle sopra la testa e allungarsi sul letto. Ce l’aveva fatta... Ma le molle del materasso le restituirono lo slancio e, premendole contro il sedere, la sbalzarono fuori dal letto. Atterrò sulla moquette rossastra.
“Joanna!”, esclamò Danny, affacciandosi sul bordo del letto, “Va tutto bene? Ti sei fatta male?”
“Secondo te?”, borbottò Joanna, cercando di voltarsi e tirarsi su.
Danny scese dal letto e l’aiutò ad alzarsi, continuando a ridere così tanto che gli occhi lacrimavano copiosamente. Joanna ignorò il dolorino al ginocchio e il pulsare alla tempia: le proprie mani nelle sue aveva fatto aumentare esponenzialmente lo sfarfallio allo stomaco.
“Comunque... ti sei fatta male davvero?”, le fece, osservandole la tempia, una volta tolti via gli ultimi ciuffi dei suoi capelli biondi.
“Solo un po’...”, rispose Joanna, alzando le spalle.
Lui le sorrise e le dette un piccolo bacio sul bernoccolo, che le stava già nascendo sulla testa. La abbracciò.
“Credo che sia meglio”, disse Danny, “smettere di fare questi giochi idioti. Non voglio restituirti tutta piena di lividi.”

Che vuoi che sia... pensò Joanna in un triste flash, causato da un’incontrollata tempesta di pensieri legata a quella parola. In quegli istanti passati a rivivere le grosse macchie violacee, poi giallastre, che avevano segnato le sue braccia, le sue gambe ma soprattutto la schiena, Danny si era seduto sul letto, allungando le sue già telescopiche gambe sul materasso ed attendendo che lei facesse altrettanto.
Eppure Joanna esitò.
“Little Joanna... cosa c’è?”, le domandò lui, notando la sua incertezza.
“Oh no... niente.”, negò subito lei, avvicinandosi a lui con pochi movimenti.


Prima di salire si erano presi qualcosa da bere al bar dell’hotel e, una volta finite le loro bibite, avevano preso posto nella stanza. Erano già un paio d’ore che se ne stavano lì dentro a divertirsi, a parlare del concerto e delle scenette stupide a cui lei non aveva assistito. Joanna gli era sembrata abbastanza a suo agio, benchè titubante ogni volta che le si era avvicinato un po’ troppo. Non si stupiva di questo, in fondo era sempre Little Joanna. Nonostante i baci, l’essere rimasti ripetutamente soli, all’aperto o dentro alle quattro mura di una stanza, lei era sempre un buffo esserino fragile e timido, che nascondeva però qualcosa di molto più profondo e complicato da districare.
Avevano preso un taxi, lasciando che gli altri membri della band si fermassero per una birra in un locale, assieme a parte della truppa. Anche se stava accadendo tutto con il benestare di Dougie, era comunque il caso di agire con discrezione e senza platealismi. Non aveva alcuna intenzione nei confronti di lei, avrebbe accettato quello che sarebbe venuto, né di più, né di meno. 
Se avesse veramente voluto qualcuno da portarsi a letto, sarebbe bastato semplicemente affacciarsi sul pubblico del concerto e scegliere...
“Sicura che non ci sia niente che non vada?”, le domandò ancora.
Era certo che fosse stata sempre lì con lui, ma per un attimo la sua mente era volata da tutt’altra parte.
“Sì.”, disse lei, con tono poco convincente.
Era più o meno la terza volta che la coglieva in momenti come quello e che lei negava. Le passò un braccio sopra le spalle, facendola avvicinare a sè più che poteva. Le sorrise e lei ricambiò, accomodandosi accanto a lui.
“Guardiamo un po’ di tv?”, le domandò, allungando la mano verso il comodino per prendere il telecomando.
“Perchè no?”, rispose lei.

Si impose di rimanere calma, di non iperventilare. In fondo si erano già baciati, non voleva altro che ripetere di nuovo mille altre volte ancora quella bellissima esperienza. L’unica cosa a bloccarla era il posto in cui si stavano trovando.
Stanza da letto. Letto. Materasso. Lenzuola. Cuscini. E cosa si faceva su un letto? A dire il vero si poteva farlo anche in qualsiasi altra superficie orizzontale e verticale del mondo.
Arrossì fino a scoppiare.
“Ti fa caldo?”, le domandò Danny, “In questa stanza ci deve essere il riscaldamento bloccato su duemila gradi Fahreneit.”
La lasciò ed andò a controllare la rotella del termostato, grattandosi la testa, pensieroso.
E se lui l’avesse voluta portare in camera solo per... In fondo tutti i ragazzi del mondo volevano una sola cosa dalle ragazze. Doveva solo rimanere calma, tranquilla. 
Ti sembra facile!
Respirò profondamente per l’ennesima volta, in cerca del suo karma fuggito alle Bahamas con il malloppo.
“Eppure sembra vada bene.”, fece Danny, dopo qualche tempo in osservazione, “Sembra funzioni.”
“Hai... controllato tutto?”, gli domandò, con voce tremante.
“Penso di sì, non ci capisco un cavolo ma dovrebbe funzionare.”, disse lui, alzando le spalle.  
“Chiamiamo quelli dell’albergo.”, insistette Joanna, “Forse c’è davvero un guasto.”
“All’una di notte?”, obiettò lui, “Sveglieremo il portiere addormentato!”
Danny si sedette di nuovo sul letto e lei, come una molla, schizzò via con la scusa di controllare la valvola del termosifone.
“Ah, guarda!”, esclamò poi, “E’ rotta! Si è bloccata sul massimo della temperatura, chiamiamo la reception.”
Doveva trovare un diversivo, uno qualsiasi, piuttosto che trovarsi nel mezzo di una situazione che non era pronta a vivere. Non che avesse mai pensato molto a quel momento e, a dirla tutta, spesso si era convinta che sarebbe rimasta vergine per tutta la vita.
“Little Joanna”, la chiamò lui, sospirando, “ho capito che ti stai sentendo a disagio, non importa che inventi altre scuse.”
Colta in pieno fallo, non potè altro che sedersi sul bordo del materasso, sconfitta.
“Vuoi dirmi che cosa c’è che non va?”, le fece, con tono calmo, “Guarda che puoi fidarti di me.”
Sospirò.
“Non è che non mi fido di te, Danny.”, disse lei, “E’ che...”
“Scommetto che stai pensando che io ti abbia portata qui solo per fare sesso, non è così?”, le domandò lui, diretto.
Un movimento convulso delle sue gambe, forse un tremito, le scombussolò la posizione: il fondoschiena scivolò sulla coperta liscia e si trovò a sedere per terra. Sconfitta, rannicchiò le gambe al petto e le abbracciò, appoggiandovi il mento sopra.
Era capace di mettersi in ridicolo anche nei momenti più seri. Qual era la sua utilità nel mondo?
“Scusami.”, spuntò dopo qualche attimo la voce di Danny, vicinissima al suo orecchio destro, che la face sussultare dallo spavento, “E scusami ancora.”, ridacchiò.
“Dai, smettila.”, protestò Joanna, “Non devi scherzare su questo.”
“Hai ragione.”, fece lui.
“Pensi che tutto questo sia facile per me?”, disse Joanna, “Non ho la più pallida idea di come... di come si faccia!”
“Come si faccia cosa?”, domandò Danny, ironico, sedendosi accanto a lei.
“Cosa... Cosa! Quello lì!”, fece lei, imbarazzatissima.
“Quello lì cosa?”
“Jones!”
“E dillo!”
“Il sesso!”, sputò Joanna.
“Finalmente! Hai vinto le duemila sterline in palio!”, si congratulò con lei. 
“Danny smettila, davvero.”, fece lei, con la voce che suonava come un mugolio stanco, “Non è facile per me parlarne... §E sicuramente avrai capito che tu... Che tu...”
Si bloccò. La vergogna che stava provando era così grande che si sarebbe voluta nascondere sotto al letto, insieme alla polvere e agli scarafaggi.
“Che io?”, la esortò Danny, con sorriso sornione.
Lo guardò per un attimo. Domanda: si sarebbe ricordata di lei come la stupida che non aveva baciato nessuno prima di lui? Certamente sì.
“Che tu...”, esitò ancora.
“Che io sono il primo ragazzo che tu abbia mai veramente baciato?”, concluse lui.


Era diventata come un libriccino di campioni di stoffe da tappezzerie: gradazioni del viola. L’aver capito come farla sprofondare di nuovo in quel dolce disagio lo riempiva di soddisfazione.
“Per me è una bella soddisfazione.”, continuò Danny, “E’ da quando avevo diciassette anni che non sento dirmi più una cosa del genere.”
“Ma per me è una tortura!”, esclamò Joanna, in pieno sfogo, “Ho vent’anni e non ho mai baciato nessuno! Ti rendi conto?”
“E cosa c’è di male?”, fece lui, “Ti senti per questo menomata? Ti assicuro che sei perfettamente normale, anzi, migliore della media delle ragazze della tua età.”
“Le ragazze della mia età sono già tutte fidanzate!”, continuò lei, “Oppure la danno via per niente!”
“Visto che allora sei meglio di loro?”, ribattè Danny, “Nel primo caso non ti avrei nemmeno filata, nel secondo già ci saremmo profondamente conosciuti su questo letto!”
“Danny!”, lo brontolò Joanna, dandogli una pacca vigorosa sul ginocchio.
“Mi sei mancata, Bitchy Joanna!”, le fece, abbracciandola.
Rimasero così per qualche tempo, seduti per terra, l’uno accanto all’altro.
“Stai tranquilla.”, le disse poi Danny, “Non voglio fare niente del genere.”
Joanna deglutì il boccone e tornò a respirare con regolarità.
“Voglio solo che ci divertiamo.”, continuò lui.
“Non risulti retorico perfino a te stesso?”, gli fece lei.
“Abbastanza!”, esclamò Danny, “Ma ho detto la verità.”
Non poteva portarle via una cosa così preziosa, sapendo che poi non avrebbe avuto il tempo per poter far nascere qualcosa di bello. E comunque non voleva farlo, non era uno stupido, aveva abbastanza esperienza in campo per comprendere quando era o non era il caso... Quello non era il caso. Anche se, in fondo, gli sarebbe piaciuto molto.

 

 

La tv nazionale non trasmetteva niente di comprensibile per Danny, decisero così di buttarsi su quella a pagamento, dove davano almeno la possibilità di vedere film in lingua originale. Joanna era accanto a lui, racchiusa tra le sue braccia. La sua testolina bionda si appoggiava sulla spalla di Danny, il respiro di entrambi calmo e rilassato. La visione di ‘What Women Want’, celebre film con un Mel Gibson telepatico, era già iniziata da un pezzo.
“Posso chiamarti Little?”, proruppe Danny, disturbando inaspettatamente un’esilarante scena tra Gibson e Helen Hunt, la co-protagonista femminile.
“Come scusa?”, fece Joanna, colta impreparata.
“Dicevo... posso chiamarti Little?”, le ripetè, “E’ che il tuo nome è troppo lungo.”
Sulle labbra di Joanna affiorò un sorriso.
“Quel tuo Little Joanna mi ha sempre messo in soggezione.”, gli disse.
“Davvero?”, disse Danny, stupito.
“Sì... Sarà che è il titolo di una vostra canzone...”, si giustificò Joanna.
“Beh... ti piace essere chiamata Little?”, le domandò lui.
“Decisamente meglio.”
“Allora, da oggi sarai la mia Little.”, le disse, prima di darle un colpetto col suo indice sulla punta del naso.
“Almeno fino a domani.”, si sentì in dovere di aggiungere Joanna.
Sospirò: non ce la faceva proprio a lasciarsi andare. Era più forte di lei, non resisteva, non voleva volare via come un palloncino sospinto dal vento, perchè poi si sarebbe persa e non ci sarebbe stato nessuno per farla tornare a terra. Danny sembrò capire quello che le stava passando per la testa e non se la sentì di dirle ancora che avrebbero affrontato il domani nel momento in cui fosse arrivato. Il continuare a rimandare quel momento, come se fosse ancora lontano ed irraggiungibile, era un’ipocrisia bella e buona che avrebbe solo drasticamente peggiorato le cose.
“Ascoltami, Little...”, le disse.
 Si accomodò per poterla guardare negli occhi.
“Sappiamo entrambi quello che succederà domani. Tu mi piaci, ed anche molto, ma non credo che sia sufficiente e questo lo sai benissimo da sola.”
“Certo che lo so. Lo penso anche io.”, rispose lei.
“E mi piace passare il mio tempo con te.”, continuò lui, “Perchè con te mi sento libero da ogni pensiero, da ogni stereotipo che mi riguarda...”
Joanna abbassò gli occhi sorridendo.
“Sei talmente spontanea che anche io, alla fine, non posso fare altro che essere me stesso.”, le disse, “Però so come funzionano i miei rapporti, so cosa succede quando si sta con me...”
“E cosa succede?”, domandò Joanna.
“Troppe cose entrano in ballo...”, le fece. Lei avrebbe capito, ne aveva tutta l’intelligenza per farlo e aveva già certamente valutato quegli aspetti. “E non voglio farti entrare in questi giochetti stupidi...”
“Non lo voglio nemmeno io.”, disse lei, scuotendo piano la testa.
Stavolta era Danny a sospirare. Aveva agito troppo di impulso, senza riflettere... Non avrebbe dovuto baciarla ancora, non avrebbe dovuto farla venire nella sua stanza. Non se ne stava assolutamente pentendo, ma sarebbe stato molto meglio non aver fatto niente di tutto quello.
“Ascoltami, Danny”, disse Joanna, interrompendo quel breve silenzio nato tra loro due, “forse è meglio ripetere le stesse cose che ci siamo detti qualche sera fa, sul ponte.”

Per caso vuoi stringermi la mano e dirmi: meglio amici?
Non c’erano cose sbagliate o giuste da fare. C’erano decisioni da prendere, e conseguenze da sopportare.
“Sì, lo penso anche io.”, disse Danny, “Non me la sento di trascinarti dentro la mia vita. Ne soffriresti per niente.”
Joanna annuì.
“Però allo stesso tempo”, riprese Danny, “non voglio lasciarti perdere... Non voglio e basta.”
Non lo voleva affatto. C’erano troppe poche persone vere nella sua vita ed ogni perdita era inestimabile per lui.
"E cosa facciamo allora?”, domandò lecitamente Joanna.
“Voglio tenermi in contatto con te in ogni modo possibile.”, le disse lui, “E poi si vedrà.”

Gli pareva una soluzione accettabile.
Le pareva una soluzione accettabile.
Si sorrisero e si dissero che era una soluzione accettabile.
“Torniamo a guardare il film?”, propose allora Joanna, felice di aver raggiunto un qualche compromesso verosimile, piuttosto che rimanere appesa ad un filo in attesa di un qualcosa che la facesse cadere, o che la salvasse.
Prima di risponderle, Danny la strinse a sé, dandole un ultimo piccolo  bacio sulle labbra. Sarebbe stato l’ultimo tra di loro, seguito solo da piccoli schiocchi sulle guance, dati solo alla mattina successiva.

Si addormentarono insieme, davanti alla tv, e furono svegliati dal suono del telefono della stanza. Lievemente imbarazzati, ma tutto sommato felici, fecero colazione con quello che l’hotel portò loro in camera, prima di prepararsi per salutarsi. Non ci furono momenti tristi, né malinconici, li vollero lasciare al dopo e continuarono a scherzare ed a prendersi in giro come piaceva loro fare. Si guardarono un po’ di cartoni animati del sabato mattina: Joanna cercava di tradurre in tempo quello che i piccoli personaggi di fantasia dicevano, provando a trattenere le risate che scatenava ogni volta Danny ad ogni sua battuta.
Dettero il tempo l’uno all’altra di rinfrescarsi e di prepararsi per la partenza, continuando a parlare tra di loro, chiacchierando tranquillamente di ogni cosa passasse per la testa.
Come due amici.
Lo aiutò a portare nella hall tutti i suoi bagagli, decisamente pochi per qualcuno di famoso come lui, ed attesero insieme che gli altri li raggiungessero. Nel frattempo, tutta la troupe era già partita con un’ora di anticipo sul gruppo, come disse il ragazzo dietro al bancone. Erano rimasti solo loro e qualche altro membro dello staff, che avrebbe preso il loro stesso volo.
Il primo di tutti i McFly a comparire nella sala d’aspetto fu Tom il quale, con molto tatto, riuscì a strappare loro particolari su quello che era successo quella stessa notte, curioso come una ragazzina, ma rimase alquanto deluso nel sapere che la verità non corrispondeva al film nella sua mente.
Dopo di lui Harry, con la sua solita faccia seriosa ed impassibile, nascosta dietro ad un paio di occhiali scurissimi, che salutò i due con un breve cenno di testa, prima di sedersi accanto a Tom e appisolarsi quasi istantaneamente. Il chitarrista, una volta concluse le risate sotto i baffi, rivelò loro che si era preso una bella botta alcolica la serata precedente, alla festa del dopo concerto.
Dougie arrivò insieme al solito tipo che aveva scortato Joanna sul palco: chiacchieravano tra di loro, fermandosi sull’ultimo scalino della lunga rampa che collegava tutti i piani dell’albergo. I due si separarono dandosi appuntamento a più tardi e Dougie si incamminò verso di loro con tranquillità.

Mani in tasca, alzò lo sguardo e si bloccò.
Sapeva che l’avrebbe trovata lì, seduta accanto a Danny, con le gambe raccolte al petto e la faccia sorridente. E sapeva anche che, quando lei lo avrebbe visto di nuovo, si sarebbe scurita.
“Dobbiamo andare.”, disse, in tono apatico.
Aveva sempre odiato portare notizie sgradevoli. Tom dette una gomitata al suo batterista, che si svegliò annaspando.
“Bevessi meno...”, gli borbottò ridendo.
“Rompessi meno.”, rispose l’altro, prontamente.
Ecco il momento dell’addio, come nei film, arrivava sempre all’ultimo capitolo della storia.
“La vacanza è finita...”, disse Tom, giocherellando con le dita, “Dobbiamo tornare in carreggiata.”
“Attenti a non forare le gomme.”, scherzò sopra Joanna.
“E quindi... ti saluto, Jo.”, le fece Tom, abbracciandola, “Spero di sentirti presto. Mi sono veramente divertito con te, sia nel bello che nel cattivo tempo.”
“Anche io.”, rispose lei, “Fai buon viaggio e salutami Giovanna.”
E venne il turno di Harry.
I due si squadrarono, aspettando la mossa dell’altro.
“Prima tu o prima io?”, fece così Harry.
“Prima tu.”, scaricò subito Joanna.
“Eh no, prima tu!”, si oppose il ragazzo.
“Salutatevi e fatela finita!”, irruppe Danny, ridendo.
Un piccolo abbraccio sembrò loro sufficiente.
“Stammi bene, Jojo.”, le disse lui.
“Anche tu.”
“E non far dannare quello scemo di Jones, non ne ha bisogno.”, aggiunse, sempre nel suo stile da perfetta suocera.
“Ok.”, rispose lei, avvampando.
Lasciò il batterista e, ancora imbarazzata, si voltò verso di lui. Era lontano,  alzò una mano e la aprì, in un cenno di saluto. Sorrise, ma non era un sorriso semplice, e lei corrispose con altrettanta difficoltà.
"Vogliamo farci una foto tutti insieme?", propose Tom, mettendosi a frugare nel borsone che indossava a tracolla, "Non ne abbiamo mai fatte in quest giorni!"
"Buona idea!", la accolse trionfante Danny, davanti ad uno scocciato Harry.
"Perfetto!", riprese Tom, "Mettetevi lì e sorridete!"
Impartì quelle semplicissime istruzioni, ma fu alquanto difficile attuarle con coordinazione. Per evitare momenti tesi, preferì avvicinarsi con cautela. Joanna, tra Harry e Dougie, sembrava tenerlo sotto controllo con la coda dell'occhio. Si accostò a Danny, al quale riservò un sorriso a metà tra l'imbarazzato e il rassegnato, che lui recepì e ricambiò con una pacca sulla spalla. Era il loro modo per dire 'in fondo, siamo sempre Jones, Poynter, Judd e Fletcher' e, anche se faceva male, non avrebbe mai cambiato quel quartetto con nient'altro al mondo.
"Ce l'abbiamo fatta!", esclamò Tom, avvicinando la fotocamera al viso.
"Signore, posso scattare al posto suo, se lo desidera.", si propose con gentilezza il tizio della reception. 
Tom non se lo fece dire due volte e, in mezzo secondo, fu accanto ad Harry, dall'altra parte di Joanna.
"Sorridete!", esclamò il portiere.
Un paio di flash, e la camera venne riconsegnata al legittimo proprietario.
“Little.”, la chiamò Danny, togliendola dal disagio.
Non ci furono ulteriori parole e si abbracciarono sorridendo.
“Noi andiamo.”, disse Harry, prendendo per un braccio Fletcher che, da dolce qual era, se ne stava a fissare quei due imbambolato, con gli occhietti lucidi.
Al duetto si aggiunse anche lui,  dopo essersi sistemato sulla testa il suo solito cappello. 
Era contento per loro, qualunque cosa fosse successa. Era contento per Danny, per uno dei suoi migliori amici. Era contento per Joanna, una delle ragazze più deliziose che avesse mai conosciuto.
Ma non era contento per se stesso, perchè se non avesse seguito quel suo cervello troppo razionale, in quel momento avrebbe potuto essere lui ad abbracciare Joanna. Quello che era stato era stato e non si biasimava per più di quel poco.

“Ti scrivo come  puoi contattarmi senza dover passare tra mille altre bocche.”, le fece, lasciandola.
Andarono verso il bancone della reception e, con penna e foglio, scrisse quello che lei doveva sapere: il suo indirizzo, il suo numero privato ed anche la sua mail.
“Ora sta a te.”, le fece, porgendole l’annotazione.
Con mano tremante, Joanna scambiò le proprie informazioni con le sue.
“Perfetto!”, esclamò Danny, prima di abbracciarla ancora, “Ti chiamerò o ti scriverò appena posso.”
“Ok...”, disse Joanna, con tono non tanto convinto.
Lui se ne accorse e ridacchiò.
“Guarda che ieri dicevo sul serio.”, le disse, “E sono di parola.”
“Voglio fidarmi...”, rispose lei, lasciandosi andare ad un sorriso.
Si chinò su di lei e le dette un sonoro bacio sulla guancia, trattenendole il viso tra le mani lentigginose. Poi la guardò dritta negli occhi.
My Little Joanna’s got big green eyes...”, le canticchiò per l’ultima volta.
“Dai, avevi promesso che non mi avresti chiamato più in quel modo!”, disse lei, sorridendo ancora.
“Hai ragione...
My Little Little’s got big green eyes...”, la accontentò, ma rimase dubbioso “Così non suona bene!”
“E che Little Joanna sia, ma solo per quella canzone!”, disse lei, sventolando un dito con decisione sul viso dell’altro, che rise.
“Ci sentiamo presto, Little.”, le fece Danny.
“A presto.”, rispose lei, sentendosi sopraffare da tutta la tristezza che aveva scacciato via fino a quel momento.
Le si ruppe la voce.
“Non piangere.”, disse lui.
“E’ che mi mancherete...”, disse, “E non mi piacciono gli addii.”
“Mi mancherai anche tu.”, rispose Danny, abbracciandola ancora, “Adesso devo proprio andare.”
“Ok... fai buon viaggio, mi raccomando.”, disse Joanna, trattenendo a stento le lacrime.
“Aspetta un attimo...”, fece l’altro, frugandosi nelle tasche.
Joanna lo guardava perplessa, poi lo vide tirar fuori un fazzoletto bianco e mettersi a sventolarlo.
“A presto!”, si mise a dire, con voce stridula e occhi fintamente commossi, “Ora fai come me.”
Le prese con prepotenza una mano e le dette il fazzoletto.
“Piantala scemo!”, lo rimproverò lei ridendo.
“Scusami, ma odio anche io i saluti.”, si giustificò lui, “Dovevo solo sdrammatizzare.”
“Jones, andiamo!”, protestò un Harry altamente nervoso, spuntato sulla soglia dell’albergo, “Faremo tardi!”
“Promettimi che starai bene, che non ti drogherai e che non ti metterai a fumare.”, le disse Danny.
“Prometto.”, rispose lei, mettendosi una mano sul petto, con aria fintamente rassegnata.
Un ultimo bacio sulle guance, un’ultima stretta, e poi tornarono alla propria vita, consapevoli che, prima o poi, avrebbero trovato nella propria casella elettronica un messaggio lampeggiante per loro.
Solo per loro.

 

 

 I took a little time
Scripting all the things that I tell you.
I'll send them through the mail,
And if all goes well,
It'd be a day or two.
Although it might be wrong,
My light is always on...

 

-FINE-



E sono arrivata alla fine... Alla fine di nuovo... Li odio anche io gli addii, e molto! XD Spero che questa storia vi sia piaciuta davvero, almeno tanto quanto io mi sia divertita scrivendola, o anche un po' meno, fa' lo stesso. Per chi non lo sapesse, o per chi non volesse sentirlo, ho già pronti una valanga di capitoli del seguito di questa storia, perchè vi tartasserò la vita, sappiatelo XD Vi anticipo subito il titolo: 'And this is how I realize, You have me hynpnotized'.


Ma non credo che la pubblicherò dopo la stessa storia madre, sarebbe un controsenso, vorrei almeno postarne un'altra che si intitolerà: Would you be my superheroe? ed avrà sempre i soliti quattro deficienti come protagonisti... Beh, non proprio tutti, si concentra su uno di loro in particolare... E non è Danny XD Comunque non vi dico altro in merito, solo che questa storia era stata studiata con tutt'altri personaggi, cioè i Tokio Hotel, ed il primo capitolo l'ho buttato giù a novembre/dicembre dell'anno passato, o forse anche prima... Insomma, visto che posso affermare con assoluta certezza che ormai il quadrio tedesco è uscito fuori dalle mie grazie, ed appurato il fatto che l'idea mi era sempre particolarmente piaciuta, ho deciso di riadattarla e...
Decisamente meglio, soprattutto con un determinato personaggio al centro della questione! XD Chi sa di cosa io stia parlando, è pregato di tacere, pliz.
Spero di avere il tempo per concentrarmi davvero sulla sua stesura, dato che ormai sono al settimo capitolo ed ho in previsione di concluderla sul serio. Ma purtroppo il lavoro e la tesi in preparazione, il caldo e la stanchezza, mi fanno procedere a passo stentato, perchè mi dedico un po' al seguito di 4 guys e un po' a questa nuova creazione... Insomma, mi ci devo mette' di buzzo bono, come si direbbe qua a Firenze. Spero soprattutto di non dovermi ritrovare a ritrattare e mettere on line la nuova Joanna... Via, terrò duro e cercherò di fare del mio meglio XD
Ah, dovrei anche finire There are no genies inside Martini Bottles... -.-' con mio grande rammarico, vi dico che l'idea c'è in testa, ragazze... Ve l'assicuro, c'è... Ma mancano le giuste parole per scriverla, davvero, chi ne ha prodotta qualcuna del genere sa a cosa mi riferisco. Parlare di determinate cose è difficile, ma non nel senso del pregiudizio mentale, tutt'altro. E' che mi piacerebbe essere realistica e, a meno che non paghi due ragazzi per fare determinate cose... Insomma, avete capito XD


Finite le comunicazioni di servizio, le anticipazioni e la richiesta di continuare a seguirmi se potete e se volete perchè siete il cinquanta per cento delle cause di tutte queste mie storie, il resto riguarda la mia mente perversa, passo ai ringraziamenti, che saranno più lunghi del solito, per motivi personali che qualcuna di voi potrà comprendere.

Picchia: ogni tanto le tue recensioni, anche se brevi e concisissime, mi hanno fatto morire dal ridere. Davvero! XD Spero che presto metterai in linea il tuo nuovo lavoro, sono curiosa di leggerlo, dico sul serio perchè dalle anticipazioni sembra tutt'altro che scadente. Quindi ti ringrazio per esserti affezionata alle mie storie, per avere continuato a leggerle nonostante siano spesso state sconclusionate e ridondanti... Grazie ancora Laura!

CowgirlSara: Un pensiero che ho avuto l'altro giorno, e che non vuole essere assolutamente una critica, ma solo una semplice constatazione dei fatti. Abbiamo iniziato a pubblicare insieme Autumn Song e Another Neverending Story, ci corrono pochi giorni tra i primi capitoli. E ora, io ho finito anche 4 Guys e tu... Nada XD Tranquilla, non volevo dire nient'altro che questo: cavolo, il tempo passa veloce e di acqua sotto i ponti ne scorre! A gennaio il cervello era posizionato sulla modalità Georg. Ora è a intermittenza tra Danny e Dougie XD Che dire, per questa prima storia su un gruppo totalmente e radicalmente diverso dai Tokio non mi sembra di aver fatto un lavoraccio... Come mi hai anche detto tu è stata spesso lenta e ripetitiva, ma per dei motivi per me validi che non sto qua a ripetere. Via, ti ringrazio infinitamente per l'ennesima volta e prego che non ti stancherai con le evoluzioni future di questa e delle prossime storie! Prometto che mi sto impegnando per essere meno logorroica!!!! XD

Saracanfly: Ma ciao! Ti sei aggiunta da poco ma non posso ringraziarti meno delle altre, perchè le nuove lettrici fanno piacere sempre ed incondizionatamente. Non è stata una storia strappalacrime, affatto, perchè non è stata progettata per esserlo, fin dall'inizio. Addirittura, quando presi a scriverla avevo in mente tutt'altro svolgimento e conclusione ma, chi mi conosce da tempo può dirtelo, io so sempre come parto, ma non so mai se/dove/come/quando arrivo. Non avrei mai pensato di fare un seguito di 4 Guys ma, evidentemente, mi sbagliavo io stessa. C'è chi mi ha detto che mi innamoro troppo dei personaggi che creo, ma lo faccio sempre con molto piacere, soprattutto se ogni volta acquisto sempre nuove lettrici. Spero di leggerti tra le commentatrici dei miei prossimi lavori e, se non ti vedrò, sappi comunque che mi ha fatto molto piacere conoscerti ^^ Grazie ancora e ciao!!!

Kit2007:  Quando mi dite che vi immedesimate nella storia, mi fate uno tra i complimenti più belli che possa ricevere, davvero. Colpi di scena non ce ne sono stati, meglio così, già la scena del basso è stata eclatante di suo. Ci mancava solo che Dougie si vendicasse con una lupara sotto braccio, poi mi dicevate di andare a darmi all'ippica e festa fatta XD Quindi, il triangolo Dougie-Joanna-Danny si è [apparentemente] risolto... Lo metto tra parentesi quadra tanto per innestare nel tuo cervellino (ino non per grandezza, ma per dialettale modo di dire XD) il seme della discordia XD Eheheh, sennò che seguito era, eh! Grazie per le recensioni, grazie per le chiacchierate stupidissime su msn, spero (sono sicura) che ti troverò ancora in futuro! Grazie ancora Martina!!!

Giuly Weasley: Eccomi arrivata qua, alla Dario Argento delle recensitrici, a colei a cui piace letteralmente sviscerare trama e personaggi per carpirne i segreti più nascosti, i significati occulti, e la psicologia delle relazioni che si instaurano tra di loro. Se tutte avessero te, si sentirebbero realizzate, ma fortunatamente in sezione siamo in poche a godere delle tue opinioni. E quindi, io mi sento realizzata, sì, perchè come ti ho già detto infinite volte adoro leggere i tuoi commenti. Da quando hai iniziato a recensire, in ogni maledetto paragrafo le tue parole svelavano ogni particolare che io avevo volutamente lasciato occultato, per vedere se qualcuno lo cogliesse veramente. Ultimamente, il tuo parteggiare per Dougie (e so in che senso tifi per lui, non solo per Dougie Poynter, ma per il personaggio che ho fatto d lui) ti ha fatto cadere più volte in trappole da me tese, ma negli scambi di opinioni avuti su msn alla fine mi hai fatto capire che, per l'ennesima volta, non ti sbagliavi affatto XD Che avevi capito tutto, maledetta tu sia XD Voglio sperare che anche il seguito accoglierà i tuoi gusti, partendo dal presupposto che lo leggerai :P e se non lo farai, va bene lo stesso, ho già avuto il piacere di farti piacere (perdona la ripetizione) questa mia storia, è già più che sufficiente. Quindi, grazie veramente di tutto Giuly, anche del tempo passato insieme di persona e su msn! Ciao!


Lady Vibeke: Toh! Guarda chi si ripresenta! *.* Da quanto tempo Pao! Mamma mia, sembrano passati anni/secoli/ere geologiche! Ti sarai dinosaurata a forza di studiare, quando è che torni un po' su msn per raccontarci cosa ti succede di bello? Spero presto! Non ti preoccupare per l'assenza, so che è stata ampiamente giustificata da una serie di impegni molto più importanti, figurati se sto qua a battere cassa XD Spero che sarai meno impegnata però, in futuro, perchè io voglio sapere che fine hai fatto fare a Tari e a Gustav! Insomma, alla fine non è stato il matrimonio che non si è fatto, ma la storia stessa! XD No, sono ottimista, presuppongo che almeno ad agosto ti vedrò comparire qualche volta, anche per trenta secondi ^^ Se non ti fossero arrivati, ti rinnovo gli auguri per il tuo compleanno, anche se è già passato un mese! A presto Paola e grazie davvero di tutto!!!



Ora passo a tre persone abbastanza speciali per me, in un modo o in un altro. Spero di non fare torto a nessuno con questa particolare specificazione, e comunque non quello che segue non è un gesto di presunzione né di leccaculismo. Non ho dedicato un intero capitolo ai ringraziamenti, come ho visto fare da altre persone, trovandola una cosa abbastanza squallida. Spero che il mio gesto non venga frainteso da nessuno, lo sto facendo con sana e sincera intenzione. Tutte siete molto speciali per me, tutti i vostri pareri sono oro ai miei occhi. Ma, citando Orwell: Tutti gli animali sono uguali, ma c'è qualcuno più uguale dell'altro. Detta in tutt'altro contesto, questa frase è comunque efficace per capire il mio gesto.


La mia Pazza!
Silvietta, che dirti? Dopo averti passato la mcflyte (che ti ha colpito in maniera lieve, beata te XD) ed aver creato un nostro piccolo mondo fatto di idiozie, non posso fare a meno di ringraziarti, inginocchiarmi e chiederti di fare sesso con me XDDDD Viaaaaa... Modero i termini. Recupero le mie facoltà, annientate del caldo e dalla stanchezza, per ripeterti di nuovo grazie, all'infinito, perchè ho passato dei momenti spettacolarmente esilaranti con te, a partire dalle infamate reciproche su msn e per concludere con le cazzate in Piazza dei Miracoli (e ancora un tu m'hai visto in assetto da guerra, vedrai quando vengo da te... che robe). So per certo che seguirai anche il seguito, anche solo per vedere che cosa farò combinare al tuo odiato Dougie.
Grazie Pazza, lo sai che ti voglio bene anche se non te l'ho mai detto, e che spesso le tue parole sono state molto più confortanti di molte pacche sulle spalle e di molti 'non ti preoccupare, passerà'. Sei stata in  grado di stupirmi, come pochissime altre persone; mi hai lasciato a bocca aperta (sai di cosa parlo) e sono stata incapace di dire qualsiasi cosa di fronte alla tua pazzia, quel giorno... E lasciare senza parole me è un bell'affare! XD Ma sappi che il tuo pensierino è dove merita, nascosto da occhi indiscreti ma dove io so trovarlo quando mi sento un po' giù e sto male.
Perchè fa strano dirlo, però ho trovato molte più persone vere e intelligenti su questo sito che intorno a me. E tu sei una di quelle! La tua spontaneità mi ha veramente fatto scompisciare dalle risate, la tua pisanità è fautrice di tante di quelle battute che farebbero rimorire i morti.
Spero che il giorno della nostra Giornata di Ordinaria Follia si avvicini, perchè voglio vedere come si dispererà il tuo amico, di fronte a un'ugola come la mia! Magari se lui è bravo farà come fecero con Paris Hilton, mi farà sembrare brava! XD E poi, diciamocelo, una zingarata è una zingarata, e se venisse male, rimane comunque una cosa che ci ricorderemo.
E che non racconteremo tanto in giro XD
Via, non ho altro da aggiungere. Salutami tutta la combriccola, Michael J., Maicol, Brendonne e Lungarno Tom. Dimentico nessuno?


Princess.

E ho detto tutto.
 Ma, visto che sono qua a ringraziare davvero, non sarò così breve. Mugliera, Liebe, Pao.
Nel modo più teatrale e shakesperiano che possa conoscere, prendo un coltello e mi apro il petto in due per tirare fuori il cuore e darlo a te, mugliera mia. Noi due siamo troppo sfortunatamente simili per non capirci. Ancora voglio sperare di non dirlo con presunzione, ma per reale constatazione dei fatti. Le tue storie mi hanno insegnato tante cose, ci ho letto tanti particolari criptati ed importanti, che potevano riguardare te oppure i personaggi.
Parlare ore e ore senza dirsi niente di importante, oppure parlando di quello che avevamo dentro... E' una cosa che un po' mi manca XD Ma siamo donne impegnate, noi, non è che abbiamo da menare la fanfiction per l'aia e basta, c'abbiamo da fare tutt'altre cose! A proposito, non è che hai un po' di quelle pasticchine che mi passasti? Sai, Danny si trova un po' in difficoltà in questi giorni, il caldo lo spossa e non ce la fa. Come va con l'olio che ti detti? Buono eh? Ci si fa dei massaggi spettacolari. Via, fine dello spazio privato, ora possiamo tornare a me e a te *.* Se mai prenderai un treno o un bus e sbarcherai in terra toscana, voglio vedere cosa siamo capaci di combinare insieme XD Cacchiarola, faremo strage di cuori.
Non so cosa altro dirti, sinceramente, avrei milioni di parole ma non sono sempre troppo adatte per questa occasione. Prego il cielo che non te ne avrai a male, non sono breve perchè non ho niente da riferirti, ma perchè avrei troppe cose da scrivere XD E spero anche che non reputerai
inadatto questo mio gesto di ringraziare così per un'occasione del genere. Tu SAI benissimo quanto io tenga a questa storia, non solo perchè sono i Mcfly, non solo perchè è la prima che faccio su di loro, ma per una lunga serie di motivi personali, che ho riversato e nascosto nelle parole di questa 4 Guys e del suo seguito. Soprattutto nel seguito. Non voglio immaginarmi il fiume di parole di ringraziamento quando lo posertò XD
Quindi ti ringrazio davvero, Liebe, perchè voglio un po' di bene anche a te XD Non l'ho esaurito tutto tra Danny, Dougie, Desmond e tutte le altre D o G che popolano la nostra piccola grande famiglia. 


Silvia, questo spazio è per a te.
Questa persona non si è fatta molto presente, è qualcuno il cui nickname è passato inosservato, ma che io conosco benissimo. E non è ultima perchè è meno importante, tutt'altro.
A
ll'inizio, questa storia ti arrivava in pillole (capitoli) anticipati su msn in cambio di foto sbavose di Danny, ed anche di Dougie. Bel compromesso, non credi? Beh, non ara proprio un contratto stabilito alla luce del sole: passavamo ore a sbavare sulle foto che mi mandavi, ed io in automatico ti ringraziavo con uno o due capitoli di 4 Guys, ricordi? XD Quanti pensieracci, se riportassi una delle nostre conversazioni del tempo ci sarebbe da tapparsi le orecchie, e so che potresti fare di peggio XD
Poi, con il passare del tempo, il tuo parere è diventato per me fondamentale. Sebbene questa cosa te l'abbia già detta un paio di volte,
conoscendoti ti starai subito sottovalutando, e stai sicuremente pensando 'ma chi, il mio parere importante per te? ma dai, smettila di dire cazzate'. Spero di riuscire, anzi, so che hai capito  che non sto davvero scherzando quando ti dico questa cosa.
Il parere che mi dai è ogni volta sempre più importante, soprattutto quando vado a toccare argomenti particolari e difficili, perchè so che non mi menti.
Come ti ho già detto, gran parte del seguito è stato scritto in seguito al tuo riscontro positivo, altrimenti lo avrei lasciato perdere, purtroppo ^^ Non so quanto tu possa tenerci a questa storia, ma io tengo molto alle tue opinioni e dico sul serio. Sia per 4 Guys, che per Hypnotized, Superheroe e Martini Bottles, ogni volta che passavo qualcosa per l'emo-betaggio (voglio chiamarlo stupidamente così, dato che riguarda le emozioni che vorrei trasmettere) stavo con le dita incrociate, sperando che andasse tutto bene. E credimi se te lo dico, è proprio vero... Spesso pecco un po' di presunzione, ritenendo il mio lavoro migliore di molti quelli che leggo in merito, tranne che di pochissime e rare eccezioni, ma quando poi si tratta di arrivare dritta al punto, mi sento insicurissima e mi affido a te. Ti potrà sembrare strano, impossibile, pazzesco, ma è veramente così. Se un giorni mi dicessi 'sta storia non mi convince', credo che mi farei in mille per migliorarla, o per gettarla via e dedicarmi ad altro XD
E io spero vivamente che, un giorno, vorrai allietare la magra sezione mcflyana di EFP con la tua Cuppy Cake, storia che mi ha fatto piangere tanto e che adoro. Non dire che non te la senti, che è una fanfiction stupida e di cui non sei convinta
, lo so che lo pensi. Ne sono convinta io e, siccome sono abbastanza battagliera, la sosterrò a spada tratta finchè non morirò XD Merita davvero attenzione quello che hai scritto, sono sicura che ad un paio di persone piacerà almeno tanto quanto me, e saranno in grado di capire quello che in molti non hanno afferrato (e che io, modestia a parte, ho percepito sulla pelle fin dalla prima riga del primo capitolo).
Penso che questo sia il ringraziamento più lungo che abbia mai fatto, controlla pure nelle altre storie, di solito non sono [stranamente] così logorroica, ma ci tenevo a dirti thank you come si deve, ed a farlo anche qua, davanti a tutte le altre.
Perchè te lo meriti, Silvietta.

Infine, ringrazio anche le ragazze del forum McFly Italian Forum, in particolare McKaren, CinderNella, LelaJones, Mr.Brightside e Giuly B. (XD). Grazie davvero anche a voi, siete poche ma buone e mi accontento tranquillamente ^^ Spero continuerete a seguirmi tutte!
Aggiungo anche chi ha messo la storia tra i preferiti: alice94, alyssaS91, Anna94_17, CAMiL92, erda, gamba di legno, K94, kiki91, miychan, Schauder, vega e Zizzy94
.

Ps: le frasi finali sono prese dalla canzone che dà il titolo al capitolo... 'The way you make me feel', ovviamente dei McFly. Tutte le canzoni citate, adesso e prima, sono state usate senza scopo di lucro, ma solo di divertimento.


Alla prossima, ragazze *sigh*


-RubyChubb-

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