Four Guys In Her Hair di RubyChubb (/viewuser.php?uid=11150)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Pregnant Man ***
Capitolo 2: *** Met This Girl ***
Capitolo 3: *** HELP! ***
Capitolo 4: *** Little Joanna ***
Capitolo 5: *** Down by the
Capitolo 6: *** Room on the 3rd floor ***
Capitolo 7: *** Not Alone ***
Capitolo 8: *** Born to.... RUN!!! ***
Capitolo 9: *** Crazy Little Thing Called... What??? ***
Capitolo 10: *** Too Close to Comfort ***
Capitolo 11: *** Don't Know Why... ***
Capitolo 12: *** Unsaid Things ***
Capitolo 13: *** She Falls Asleep - Part One ***
Capitolo 14: *** The Guy Who Turned Her Down ***
Capitolo 15: *** Silence is a Scary Sound ***
Capitolo 16: *** You've Got a Friend... ***
Capitolo 17: *** All About You ***
Capitolo 18: *** Sorry's Not Good Enough... But Sometimes It Is ***
Capitolo 19: *** Obviously ***
Capitolo 20: *** She Falls Asleep - Part Two ***
Capitolo 21: *** I Can't Stop Diggin' The Way You Make Me Feel ***
Capitolo 1 *** A Pregnant Man ***
Rieccomi
qua!
Come avevo detto, torno con una fanfiction su un gruppo
appartentemente quasi sconosciuto in questa sezione. I McFly!
Conoscete? A
parte qualcuna di voi, sicuramente la stragrande
maggioranza non li avrà nemmeno mai sentiti nominare.
Piccola bio: sono
inglesi, età 23-21 anni, simpatici e
deficienti. Per chi è fan come me, sono semplicemente i
McFly.
Stile musicale:
avete presente i Tokio Hotel? Tutt'altra cosa XD (ed
anche meglio... ma questa è un'altra storia XD)
Voglio presentarveli! Questi sono i Mcfly!
E' la mia foto preferita che ho di loro (pochissime) ma ne ho anche una
in versione... più seria...
XD
Adesso ve li presento uno ad uno:
Tom
Fletcher: cantante e chitarrista, se sentite una
loro canzone è quello con la vocetta nasale e un po'
stridula! Ma è tanto dolce, con quella sua bazzetta
prominente XD
Danny
Jones: altro cantante e altro chitarrista.... non
fatevi ingannare dal suo bel faccino, è quello con la voce
dura, da rocker... già mi viene caldo a pensarci... tra i
quattro, è il mio preferito, indubbiamente, anche se nulla
tolgo agli altri!
Dougie
Poynter: il piciulo del gruppo! Bassista, stupidino,
tanto dolce a vederlo!
Harry
Judd: batterista, begli occhi XD secondo me ha la
faccia da stronzetto...
Tanto per farvi capire che i McFly non sono i Tokio Hotel su cui ho
scritto tanto (ci corre un abisso immenso), vi linko alcuni video,
sperando che vi appassionino perchè son veramente ganzi!
(che termine antiquato...)
I
video deficienti
(perchè son davvero deficienti questi qua):
Fatta questa dovuta premessa, passo alla prossima.
Questa storia è un esperimento, una prova, mi sono detta
"Voglio provare a spaziare oltre i Tokio Hotel" e visto che questi
quattro dementi mi stanno anche più simpatici dei crucchi,
mi sono buttata. Non li conosco bene caratterialmente, quindi ho dato
una mia interpretazione al loro modo di essere. Se ci fosse qualcuno
che li conosce meglio di me e storce il naso, chiedo venia!
E chiedo pardon anche per la banalità delle evoluzioni
future della trama... ancora non sono arrivata alla fase: incastriamo
la vita di uno di loro con un libro di fantasia che mi ha segnato la
vita XD ad ogni modo, spero che vi interesserà. E se
farà schifo ditemelo, perchè tanto ne son
già sicura!
Ah! Altra cosa! I dialoghi tra " e " riportati in corsivo sono in
italiano. Scusate, ma piuttosto che ripetere ogni volta in quale lingua
si parlano i personaggi, sono arrivata a questa squallida e
banalissima conclusione. (ve l'ho detto, è un esperimento
nato male)
Ecco, fine delle ramanzine, adesso si passa ai fatti!!!
1. A
Pregnant
Man
Uscì,
sbattendo involontariamente contro un signore in un cappotto verde
oliva e
cappello del medesimo colore.
“Fai attenzione!”,
sbottò l’uomo, “Dove
guardi quando cammini?”
Dal
tono di voce che quell’uomo aveva usato capì che,
oltre che essere molto incazzato,
sicuramente gli aveva posto una domanda…
Ma
lui era inglese al cento per cento, d’origine purosangue,
stallone di paese
monarchico… e non conosceva la lingua dell’altro.
Non parlava nessuna lingua
tranne l’inglese. Ah!, voulez vous
coucher avec moi era sufficiente per poter dire di conoscere
anche il
francese. Quindi, anche se sicuramente quella era stata una domanda
retorica,
non seppe cosa rispondere.
“Ops…
uhm… mi scusi…”, borbottò
poi, lasciandolo perdere.
Camminò,
coprendosi la gola con una spessa sciarpa nera, senza una meta precisa.
Aveva
solo fame, doveva riempirsi lo stomaco con qualche cosa, qualsiasi
cosa commestibile,
ed era quindi in cerca di
un luogo dove poter fare colazione.
Si
era alzato prestissimo per i suoi solito orari, ma non aveva molto
tempo da
perdere. Gli altri tre erano rimasti in hotel, nelle loro camere, forse
avrebbero dormito fino alle quattro del pomeriggio ma lui, anche se
aveva dei
solchi giganteschi sotto gli occhi, arati alla perfezione dai continui
spostamenti, si era costretto a svegliarsi.
Non
ne aveva mai parlato veramente, ma aveva una certa passione per quel
posto, per
quella città. Per gli altri, era solo una delle tante altre
in cui dovevano
suonare… e ad essere sincero anche per lui. Non era
interessato tanto alla
storia, ai quadri, alle statue o al panorama, ma al fatto che, da
piccolo,
c’era già stato in vacanza e voleva vedere se
tutto era ancora come se lo
ricordava.
Quando
gli avevano chiesto perché voleva anticipare
l’arrivo in quella città ad una
settimana prima il giorno del concerto, costringendo tutta il quartetto
a
piantarsi in quell’hotel, aveva detto: perché
sono famoso e me lo posso permettere! Aveva poi tirato fuori
un sorriso
sornione ed avevano capito che la sua non era una pretesa da star della
musica,
ma solo una richiesta per lui speciale.
E
poi gli altri erano voluti rimanere per forza bloccati per altrettanto
tempo a
Parigi, solo per visitare a fondo il quartiere del Mouline
Rouge, quindi glielo concessero senza troppe storie. Lui,
che non aveva potuto godere a fondo
di quella vacanza francese, aveva chiesto la sua rivincita.
Erano
verso la fine del tour promozionale del loro nuovo quarto album, durato
sei
mesi, che li aveva portati a suonare in quegli ultimi giorni anche in
posti
dove non erano mai stati. Non che avessero l’intenzione, con
quegli shows, di
allargare la loro platea. Più che altro quelle date erano
state fissate, così
come era successo per l’esibizione che ci sarebbe stata di
lì a pochi giorni, grazie
ai fans sparsi qua e là in tutta Europa, che si erano uniti
grazie a petizioni
per internet.
Non
era necessario che si nascondesse molto, lì non era come in
Inghilterra, dove
tutti avevano memorizzato nella loro mente ogni singolo tratto del suo
viso. Potevano
dirsi ancora del tutto sconosciuti. Oltretutto, i loro video non
giravano sulle
loro televisioni nazionali, quindi si sentiva abbastanza tranquillo.
Prese
i Rayban che teneva nella tasca del suo piumino verdognolo e li
indossò, per
paura di spaventare qualche fanciulla autoctona con il suo viso stanco.
Si
passò una mano tra i capelli biondastri spettinati e si
intrufolò in una
mandria di tedeschi, cercando di farsi strada tra di loro.
Voleva
trovare un localino di suo gusto, ma non sapeva dove cercarlo. Ma
soprattutto
non sapeva nemmeno se esistesse veramente qualcosa che lo
soddisfacesse. Voleva
qualcosa di piccolo, di informale, dove una simpatica cameriera
indigena gli
avrebbe potuto servire…
Fish
and Chips!
Sì,
aveva deciso, voleva rovinarsi il fegato con una porzione di fish and
chips di
prima mattina, alle nove. Solo che era scettico sulla
possibilità di trovare un
posto che glieli cucinasse a modo.
In
Italia…
A
Firenze…
All’ombra
del Duomo, si trovò a pensare: ma
dove
cazzo li vado a cercare i fish and chips in Italia?
Si
sentiva come una donna incinta. Doveva mangiarli, altrimenti suo figlio
sarebbe
nato con una voglia di fish and chips sulla faccia. Già lo
impensieriva il
fatto che avrebbe sicuramente ereditato la fastidiosa zeppola che lo
tormentava
da sempre equesto era un ‘handicap’ che includeva
prese per il culo per tutta
la vita.
Afferrò
per un braccio un ragazzo che gli passò vicino.
“Scusami,
parli inglese?”, gli domandò.
Quello
lo guardò.
“Sì.”,
disse, con aria titubante.
“Sai
dove posso mangiare i fish and chips?”, gli chiese.
Questo
si strinse nelle spalle e si allontanò.
Era
ovvio.
Lo
chiese ad altre cinquanta persone, sembrava uno psicopatico, tanto che
dovette
desistere: spesso
aveva trovato un
poliziotto a guardarlo con aria sospetta…
Doveva
ricordarselo: mai farsi venire la voglia
di fish and chips in Italia.
Non
gli interessavano le bontà culinarie che la città
poteva offrirgli perché, come
un bambino viziato, si era fissato con quel piatto tipico inglese. E voleva mangiarlo.
Tornò
sui suoi passi, affranto e incazzato come poche altre volte.
Voleva
mangiare fish and chips!
Camminava
a testa bassa, imbronciato, tornava verso l’hotel. Ripercorse
la stessa strada
che aveva fatto all’infruttuosa andata ma, dopo poco, si
trovò a chiedersi dove
fosse. Si stava trovando in mezzo a bancarelle e turisti con i
portafogli in
mano, certamente da tutt’altra parte della città
rispetto all’ubicazione del
suo hotel…
Ma
cacchio!
Non
era capace nemmeno di ricordarsi le strade! Era il caso di domandare
informazioni,
ma intorno a sé tutti erano turisti come lui…
forse, però, se si aggirava fuori
da quel concentrato di spendaccioni e venditori, avrebbe trovato
qualche
indigeno del luogo…
Sbucato
in un vicolo, vide un’insegna. E nella sua mente
ripiombò il ricordo dei fish
and chips.
“Bingo!”,
esclamò ad alta voce, impaurendo una vecchiettina che, nelle
sue vicinanze,
stava portando fuori il cane a fare i suoi bisogni.
Con
occhi luccicanti, ringraziò il culo sfacciato che nella sua
vita lo aveva
sempre riempito di buone opportunità come quella.
Guardò
l’insegna del locale. ‘Strictly
English’
E
cosa potevano dargli da mangiare in un posto come quello, se non fish
and chips,
pudding e compagnia bella?
Entrò
dentro, rincuorato dal dolce calore emanato dal riscaldamento e si
guardò
intorno. A dispetto di ciò che recitava l’insegna,
quello pareva una tavola
calda americana degli anni cinquanta sessanta. Era stato catapultato in
un Happy Days italo-inglese per
caso?
Poi,
gli venne da pensare ai suoi musi
ispiratori, i Beach Boys: ce li vedeva bene a passare il loro tempo in
un
locale del genere e si mise l’anima dubbiosa in pace.
Non
era molto affollato, ma comunque diverse persone occupavano i tavoli
rettangolari, contornati da poltroncine gialle a forma di cavallo, che
occupavano almeno tre quarti delle pareti del locale. Aretha Franklin
gorgheggiava la sua celeberrima Think
e notò sorridendo una donna sulla quarantina, bionda e molto
giovanile, al di
là del lungo bancone lucido, che stava preparando un
espresso canticchiando le
parole del ritornello. Poi
vide un
ragazzo sbucare dalla finestrella sul muro vicino a lei: si scambiarono
quattro
parole e lei si allontanò, sostituita dopo qualche secondo
da quello stesso
ragazzo… più che un ragazzo era una montagna di
muscoli. Aveva due spalle che
erano almeno il doppio delle proprie…
Era
meglio spostare la sua attenzione altrove, piuttosto che innervosirlo
con il
suo sguardo incuriosito.
Il
menu stava inerte sul tavolo su cu si era seduto e lo prese, mettendosi
a
spulciare la lista. A parte qualche incursione della cucina italiana,
era tutta
roba tipicamente inglese: dal pudding al thè, dai muffins
alla crema di
piselli, ma non si soffermò molto su queste voci. Con occhio
di lince individuò
presto i fish and chips tanto desiderati.
“Pronti per ordinare?”,
gli domandò una
squillante voce italiana.
“Ehm…
inglese?”, le chiese, quasi con ovvietà.
“Oh,
sì, certamente!”, fece la ragazza, dandosi una
pacca sulla fronte, “Allora,
cosa vuoi ordinare?”
Eccolo,
il momento più bello della sua giornata.
“Fish
and chips!”, disse, con orgoglio, “E the alla
pesca.”
La
ragazza lo guardò perplessa, poi si annotò tutto
sul suo taccuino.
“In
prospettiva di ulcera forante, eh?”, ironizzò poi,
stringendo il blocco note al
petto.
“Sai,
in Inghilterra quando nasciamo ci regalano un posto in lista per i
trapianti di
fegato.”, le rispose, sulla stessa scia.
“Tra
dieci minuti sarà tutto pronto!”, rispose lei,
dopo che la sua risata si fu
esaurita.
E
si allontanò, con la sua preziosa ordinazione.
Lanciò
qualche occhiata in giro. Vecchi vinili al muro, fotografie di moto
d’epoca,
una vecchia radio sopra un tavolinetto, colori pastello ovunque. Nel
pieno
degli anni sessanta!
Poi,
l’occhio cadde su un juke box. A vederlo, quello doveva
essere proprio un reperto
di antiquariato, non si sarebbe stupito se dentro ci avesse trovato dei
vecchi
45 giri! Si frugò nelle tasche, in cerca di qualche euro e
lo trovò tra un paio
di sterline e un pence. Si avvicinò alla macchina e si mise
in cerca di una
canzone di suo piacimento.
…
no, non era possibile…
Non ci poteva credere…
E dire che pensava che nei juke box ci potessero
essere solo i dischi di Johnny Cash o di Barry White! Adesso
lì, in mezzo a
tanti altri, c’era proprio Motion
in the
Ocean, il loro terzo album! Wow, anche i McFly erano entrati
a far parte
degli artisti da juke box.
Ora potevano anche ritirarsi, andare in pensione.
Inserì cinquanta centesimi di euro nella
macchinetta e, dopo aver capito come quel coso funzionasse, premette
alcuni
pulsanti e la canzone da lui scelta ‘Little
Joanna’, suonò a basso volume nel
locale.
Sì, da quel momento in poi sarebbe stata proprio
una bella giornata: era in Italia, a Firenze, una città
bellissima. Stava per
mangiare fish and chips, nel juke box c’era un loro cd e
nell’aria ascoltava la
canzone che aveva scritto per la sua ragazza di sempre, Giovanna. Nome
per
altro italiano! Beh, poteva essere più fortunato di
così?
Tornò al suo tavolo e, nel giro di pochi minuti,
gli fu servito il suo the e il suo piatto.
“Grazie!”, disse con entusiasmo alla ragazza che
aveva preso l’ordine e che lo stava servendo in quel momento.
“Hai scelto una bella canzone!”, gli disse poi lei,
“Mi piacciono molto i McFly!”
Rise sornione.
Sì, la sua vita stava nettamente migliorando! Aveva
davanti a sé una loro fan, che stava sicuramente per
chiedergli un autografo e…
“Piacciono anche
a te vero? Sono dei grandi!”, gli chiese lei,
sorridendogli.
No…
La sua vita stava lentamente peggiorando.
Lei non lo stava riconoscendo… Forse doveva
togliersi gli occhiali da sole, lei lo avrebbe capito che si stava
trovando
davanti Tom Fletcher, chirattista-pianista-voce dei McFly.
Li prese per l’asta destra e li levò dagli occhi.
“Sai che suoneranno in città? Sicuramente
sarò in
prima fila a cantare a squarciagola.”, disse lei, senza
degnarlo di uno
sguardo.
Altra correzione, la sua vita stava velocemente
peggiorando.
Mica voleva per forza che lei si stendesse ai suoi
piedi implorandolo per una prestazione sessuale fugace
–richiesta che per altro
non avrebbe acconsentito di soddisfare, era un ragazzo deficiente ma
fedele- però…
Insomma! Un po’ d’amor proprio ce l’aveva
anche lui! Poteva capire che in
Italia erano tutto sommato sconosciuti ma questa ragazza si stava
dimostrando
essere una loro fan!
Meglio lasciar perdere, non voleva farsi venire il
malumore e odiava comportarsi da diva.
“Sai che anche io mi chiamo Joanna come la
canzone?”, disse poi la ragazza, annuendo.
“Davvero?”, le fece, lievemente disinteressato,
mentre
mangiava il primo boccone di fish, “Ma tu non sei
italiana?”
“Sì, italianissima.”, disse lei,
annuendo, “A mia
madre piaceva il nome
Giovanna, a mio
padre la versione in inglese… e per fortuna ha vinto
lui!”
“Jo! C’è
un’ordinazione pronta per
te!”, si
sentì chiamare la ragazza.
“Un momento!”,
fece lei, che poi tornò a lui, “Beh, è
stato un piacere conoscerti!”
“Tom.”, le disse, porgendole la mano.
Ma lei niente. Proprio doveva essere cieca come
Mister Magoo per non riconoscerlo.
Pazienza, disse a malincuore.
Poi un pensiero gli stuzzicò la testa… un tipico McFly-pensiero: idiota, stupido, il
solito scherzo da prete. La riprese prima che si voltasse per tornare
al suo
lavoro.
“Questi fish and chips sono fantastici! Non appena
i miei amici si sveglieranno, li porterò a mangiare
qui!”, le disse, con la
bocca impastata tra una patata fritta e un pezzo di pesce.
Era poco elegante parlare con la bocca piena, ma
lui era inglese e queste cose si perdonavano sempre ai britannici come
lui.
“Beh, allora vi aspetto, ci conto!”, disse la
ragazza, sorridendo felice.
Chissà che faccia avrebbe fatto trovandoseli in piena
formazione davanti agli occhi! Che simpatica ragazza, pensò
Tom, concentrandosi
poi sulla sua colazione. Un po’ scema, ma simpatica.
Quei fish and chips erano davvero fenomenali,
sembravano importati direttamente dall’Inghilterra, da quel
locale vicino a
casa sua, appena svoltato l’angolo. Sicuramente, il
proprietario di questo ‘Strictly
English’ era inglese, non
c’era dubbio, solo i suoi connazionali sapevano fare il fish
and chips così
buoni.
Per sua stessa volontà, il piatto finì prima che
lui fosse sazio e ne rimase alquanto deluso. Solo allora si
dedicò al suo the
alla pesca e, dopo il primo sorso, si pentì amaramente di
quella scelta. Ma che
idiota che era stato!
Come si poteva mangiare fish and chips e metterci
dietro il the alla pesca?
Era una scelta tipica di Tom
Fletcher.
E lui chi era?
Tom Fletcher!
Annodò
i capelli biondi su se stessi e li fermò
come sempre con una grossa pinza color lilla.
“E’ pronto il tavolo sette?”, chiese
Joanna,
affacciandosi alla finestrella della cucina, dalla quale passavano le
ordinazioni
ed i piatti pronti.
“Momento!”, disse una voce maschile.
“Andiamo! Sei in ritardo!”, esortò il
ragazzo in
camice bianco, che stava preparando quello che gli era stato richiesto.
“Palle di sorella…”, borbottò
il cosiddetto cuoco.
“E non ti puoi nemmeno liberare di me!”,
esclamò
lei sorridendogli sfacciatamente, con la lingua fuori dalle labbra.
Il ragazzo sbuffò, asciugandosi il lieve sudore con
il polso, preparando un altro sano hamburger con insalata e patate
fritte. Dette
un’occhiata al piatto: era tutto regolare, niente fuori posto.
“Tieni! Sanguisuga!”, disse alla sorella cameriera,
che prese il piatto e lo portò al tavolo. Aveva trenta
secondi liberi, prima di
dover tornare su una nuova ordinazione.
Appoggiò i gomiti sulla soglia di marmo della finestrella
e, a pungi serrati, vi mise la testa sopra, guardando la sua piccola
sorella
prendere un’ordinazione, sorridente.
Lui lavorava lì da tempo ormai, stimava un paio di
anni, forse anche tre. Lei solo da pochi mesi, ma si era adattata bene.
Erano
molto diversi, sia nell’aspetto fisico che nel comportamento:
lui era un tipo
molto sportivo ed atletico; Jo era goffa e impacciata. Lei imparava le
cose al
volo, lui aveva bisogno di pratica. Lui cucinava, lei bruciava le
pentole. Lei
gli rifaceva il letto, lui puliva il bagno. Lui era spesso impulsivo,
lei era
tutto sommato docile. Lui sapeva giocare di squadra, lei era piuttosto
una
giocatrice solitaria.
Vivevano insieme e la convivenza non era per niente
facile, ma piuttosto che starsene ancora dai loro genitori, avrebbero
preferito
vivere sotto un ponte… Entrambi, avevano avuto dei validi
motivi per fare le
valige ed andarsene e nessuno dei due aveva mai criticato
l’altro per questo.
Dal suo canto, aveva lasciato gli studi dopo il
diploma: non era mai stato interessato diventare tanto acculturato, era
un tipo
pratico che voleva dedicarsi semplicemente a tre cose nella sua vita:
lavoro,
sport e amici… E donne, uno dei pilastri portanti della sua
voglia di
indipendenza. Ma era meglio non riflettere molto su questo
argomento…
Si era diplomato in una scuola che suonava come
liceo scientifico, ma non ne era molto sicuro. Forse aveva passato gli
anni
perché fisicamente faceva paura ai professori… E
poi un giorno, mentre
camminava per Firenze, aveva trovato appeso alla porta dello Strictly English il cartello ‘Cercasi cuoco’.
Aveva pensato:
Perché no? La pasta in bianco e la frittata le so fare
abbastanza bene.
Ed era stato assunto. Il cuoco che lo aveva
preceduto gli aveva insegnato i trucchi del mestiere e si era
appassionato. Così,
era riuscito a trovare un lavoro che lo soddisfaceva, che sapeva fare
con cura
e costanza, che lo pagava sommariamente molto bene e che lo liberava
dalle cinque
di sera in poi, quando poteva dedicarsi al…
Un piatto posato poco gentilmente sulla soglia lo
distolse dai suoi pensieri.
“Miki! Due muffins al cioccolato!”,
strombettò
Joanna, sventolandogli un’ordinazione sul naso.
“Palle di sorella…”, le
ripetè, prendendola ed
accartocciandola.
Lui, tra quelle quattro mura e quei sei fornelli,
era il padrone.
Lei, al di fuori della cucina, era la padrona della
sala.
Entrambi, a casa, padroni dell’appartamento. E giù
a prendersi sempre a cornate! Erano fratelli e questo era quello che si
supponeva che i fratelli facessero sempre: litigare. Ma
nessuno di loro si era mai lamentato di
questo, soprattutto perché dopo cinque minuti di male parole
si chiedevano
sempre scusa.
Sì, i fratelli erano fatti per litigare, ma anche
per volersi bene…
E poi avevano i loro bei grattacapi quotidiani per
potersi prendere troppo sul serio quando tornavano a casa!
Più che discussioni
furibonde, i loro erano semplici pretesti per sfogarsi…
Ecco, anche i muffin al cioccolato erano pronti.
Spruzzò sul piatto, per smorzare un po’ lo scuro
del dolce con il bianco
pallido della porcellana, un filo di sciroppo al cioccolato, creando
dei
cerchietti simpatici. Prontamente, non appena appoggiò i due
piatti sul ripiano
di marmo le mani veloci di Jo li presero e li portarono a destinazione.
Altri minti di pausa.
“Arianna, ti dispiace se da oggi in poi anticipo la
fine della giornata un quarto d’ora prima? Domani parto per
la partita…”, le
chiese, trovandola come sempre vicino alla macchinetta del
caffè a mangiarsi le
unghie per la voglia di fumare, “Se faccio sempre tardi agli
allenamenti mi
cacciano dalla squadra… magari inizio prima alla
mattina...”
“Sì, Michele, va bene.”, rispose lei,
frettolosamente.
Arianna era la proprietaria dello Strictly
English.
Era una simpatica donna sulla sua quarantina, un po’ troppo
bionda e forse anche
un po’ troppo giovanile, ma era una brava donna con le palle.
Una che sa che
cosa vuol dire lavorare, pensava Michele, e che era anche capace di far
girare
le scatole ai propri dipendenti.
“Dai, vai
a
fumare, prendo io il tuo posto.”, le disse, sorridendole.
La donna si illuminò a festa. Bastava però molto
poco per farla contenta. Soprattutto, era sufficiente poterle
permettere di
allontanarsi dalla sua solita postazione, dietro al bancone del bar,
per farla
fumare. Malediceva sempre quel ministro della salute che aveva vietato
il fumo
nei luoghi pubblici!
“L’ho sempre saputo che dietro ai tuoi muscoli
c’è
un cuore d’oro!”, gli fece, scomparendo in una
nuvola, appunto, di fumo.
Michele uscì dalla cucina togliendosi il camice
bianco sporco e si mise dietro al bancone a guardare i clienti. Era
febbraio,
il locale era praticamente quasi vuoto, ma comunque lì
dentro sembrava di
essere in tutt’altra nazione. Non era un genio nelle lingue,
ma sapeva che
quella parlata dalle quattro bionde al tavolo cinque erano sicuramente
svedesi.
“Stai sbavando.”, lo riprese Jo, dandogli un
piccolo colpo con i fianchi, “E poi sono tutte lesbiche,
secondo me.”
“Meglio!”, esclamò Miki, strusciandosi
le mani.
“Fratello pervertito.”, borbottò Jo,
“Placati gli
ormoni con questa ordinazione.”
Miki sbuffò, prendendo il foglietto. Lesse e
strabuzzò gli occhi.
“Fish and chips alle nove di mattina?!?”,
esclamò,
“Addirittura con the alla pesca! Ma chi è
l’imbecille che si mangia queste
cose?”
Jo sorrise complice e glielo indicò con un cenno
della testa.
Era un ragazzo con i capelli innaturalmente biondi,
tenuti su a mò di cresta, che se ne stava pacificamente al
suo tavolo, alla
sinistra del locale. Picchiettava le dita sul tavolo e pareva
fischiettare a
tempo di musica.
‘Little Joanna’
dei McFly, un gruppo inglese che piaceva molto a Jo, stava infatti
risuonando
nell’aria calda del locale.
“Per caso ti ha chiesto come ti chiami e, per
provarci, ti ha messo questa canzone sdolcinata?”, le fece,
perplesso.
“Zitto scemo!”, lo riprese Jo,
“L’ha messa prima di
saperlo!”
“Mh…”, fece, rigirandosi il foglietto
tra le mani.
“E non essere sempre geloso del fatto che i McFly abbiano
scritto una canzone per me!”, continuò Joanna,
“Mentre ai Michele come te non
dedicano mai niente!”
“Ma per piacere…”, le rispose, tornando
verso la
cucina, “Stai al bancone, Arianna è fuori a
fumare.”
Lanciò una nuova occhiata al ragazzo, in tralice.
Tipo strano, si disse, con quei capelli alla
candeggina.
Eppure…
Lo fissò intensamente, come se quel gesto potesse
dare una risposta alla domanda che aveva in testa. Lo aveva
già visto prima?
No, si disse, era solo una cazzata.
Era un turista come tutti gli altri.
Eccoci
qua! Fine
del primo capitolo, introduzione dei miei due personaggi, Joanna e il
fratellone Miki, e di Tom Fletcher, il mento del gruppo (più
che la mente).
Ringrazio tutti quelli che leggeranno questa storia, sia quelle che mi
hanno promesso di farlo (so chi siete... XD) sia quelle che saranno
semplicemente attirate da una novità. Credo infatti di
essere la vera prima a pubblicare qua su di loro! E se non lo sono...
piaceroni comunque!
Cosa
importantissima che stavo dimenticando!!! Ecco qualche foto della
Joanna che ho in mente: Joanna1 e Joanna2
Questa ragazza
è realmente esistente, si chiama Joanna Newsom ed
è una musicista. Spero non sia un reato usare la sua faccia
per uno dei miei personaggi! Altrimenti, rimuovo ogni fotografia. La
sua immagine non è usata a scopo di lucro e Joanna Newsom
non mi appartiene.
Il
titolo della storia è ispirato alla loro primissima canzone:
Five colours in her hair... no scopo di lucro!
That
wierdo
with four guys in her hair...
|
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Capitolo 2 *** Met This Girl ***
Per
facilitarvi, ricordatevi i cognomi perchè, da
quanto ho capito, ai ragazzi piace chiamarsi per i cognomi...
Tom Fletcher
Danny Jones
Dougie Poynter
Harry Judd
Son
facili! Tom è il figlio segreto della signora
in giallo, Danny è il fratello nascosto Indiana Jones;
Dougie ha un cognome
idiota come lui e Harry... vabbè, è il quarto ed
è quello che viene da sè dopo
il terzo.
Se cliccate sul titolo, troverete un link che vi porta diretti alla canzone dei Mc, appunto, che da il titolo al capitolo.
No
scopo di
lucro.
2. Met This Girl
“Ma
dove cazzo è Tom?”, borbottò una testa
dai
capelli lievemente mossi, castani.
“Boh.”,
rispose semplicemente un altro capo, con i
capelli scarmigliati, venati di qualche ciocca chiara.
“Secondo
me è in giro.”, incluse l’ultimo dei tre
crani, con una strana pettinatura naturalmente spettinata e biondastra.
“E
si sarà perso.”
“Starà
chiamando ai nostri cellulari…”
“E
li troverà spenti.”
“E
si dispererà.”
“Perchè
senza di noi si perde anche per casa sua.”
“E
il navigatore satellitare che gli abbiamo
regalato?”
“Credo
che lo abbia perso.”
“Secondo
me sta ancora cercando parcheggio per il
suo cervello.”
“Come
si può non trovare parcheggio per un cervello
a forma di Mini Cooper?”
“Speriamo
abbia messo i sensori ai lati della
macchina, sennò la sbatterà ovunque.”
“Che
cosa hanno messo in questo caffè?”
“Il
caffè forse?”
“E’
troppo forte!”
“Demente,
è un espresso! E tu lo hai allungato con
l’acqua del the!”
“Espresso,
mi dispiace dirtelo ma fai schifo!
Voglio un the.”
“Passami
il burro.”
“Burro?
Cosa essere burro?”
“Dai
imbecille, passami il burro!”
Era
questa la scena che si trovò davanti agli occhi
Tom, appena tornato da una passeggiata lunga per il centro della
città.
“Cosa?!?!”,
esclamò, cogliendoli di sorpresa, “State
facendo colazione adesso? Alle tre del pomeriggio?”
Li
guardava con occhi spalancati, esterrefatto. I
suoi tre compagni di musica, di viaggio, di avventure idiote e di vita
se ne
stavano tranquilli intorno ad un tavolo rotondo, con le tazze alla
bocca o le
posate in mano. Pronti a fare colazione nella sala da pranzo
dell’hotel.
“Beh…”,
disse il tipo riccioluto, “Quando Dio mi ha
messo al mondo mi ha programmato per fare quel che cavolo mi
pare…”
“Mi
associo!”, aggiunsero gli altri due.
Tom
sbuffò, scosse la testa, prese una sedia e la
girò, sedendosi vicino a loro a cavalcioni.
“Dove
sei stato, Fletcher?”, gli chiese il
riccioluto, dandogli delle piccole gomitate, con le sopracciglia che
sbalzavano
maliziosamente in alto.
“Ti
sei perso, vero?”, insinuò lo spettinato,
imitando l’amico nei gesti.
“E
quando hai parcheggiato hai fregato contro la
macchina di un altro!”, si allineò il terzo del
gruppetto, facendo scoppiare a
ridere tutti gli altri.
Tranne
Tom, che non aveva capito niente di quello a
cui si stavano riferendo. Ma succedeva sempre così, quando
uno di loro rimaneva
fuori dalla discussione per un po’, e vi si ritrovava
successivamente in mezzo,
non capiva mai niente di dove gli altri erano andati a parare. Li
lasciò
perdere, tanto era impossibile capirli. E comunque, il più
delle volte era
impossibile parlare in gruppo. Ogni cosa faceva deviare la
conversazione verso
tutt’altri lidi.
“Sono
stato in giro.”, disse poi, alzando le
spalle.
“E
cosa hai fatto di bello?”, gli domandò Danny, il
riccioluto del gruppo.
Danny
Alan David Jones era l’altra voce e chitarra
dei McFly. Era incredibile quanto potesse trarre in inganno il suo
aspetto esteriore, comparato alla potenza graffiante della sua voce bassa da
rocker,
quando cantava.
“Ho
visto la città.”, disse Tom, “Ho
camminato un
bel po’.”
“Ecco
perchè sento puzza di suole di scarpe
bruciate.”, ironizzò Harry, il castano spettinato.
Harry
Mark Christopher Judd, semplicemente Harry,
ogni tanto usciva fuori con quelle battute tristi che bisognava
bastonarlo con
le bacchette della sua batteria per farlo rinsavire.
“Io
sento puzza di scoreggia… sei stato tu Danny,
vero?”, fece poi Dougie con voce nasale, essendosi tappato il
naso.
Douglas
Lee Poynter, il più piccolo del gruppo nel
senso di nascita, non sapeva mai se scegliere di essere fine come una
prostituta di Amsterdam, oppure garbato come sergente Hartman di Full Metal Jacket. Di solito,
però, data
la sua indole abbastanza pacifista, optava per il linguaggio
estremamente
delicato delle signorine in vetrina.
“Sapete in
cosa mi sono imbattuto?”, fece Tom, ristabilendo la calma,
dopo che Danny ebbe
risposto alla provocazione di Dougie con una serie di pedate sotto al
tavolo.
“In
cosa? Il proprietario della macchina che hai
sfasciato?”, gli disse Harry.
“E
dai!”, protestò Tom,
“Cos’è questa storia della
macchina! Ancora dobbiamo noleggiarla!”
Erano
arrivati in aereo, solo loro quattro, senza
staff, manager o tecnici appioppati al culo. Era come una piccola
vacanza che
si erano concessi, perché dopo la breve tappa italiana si
sarebbero spostati di
nuovo a nord, nei Paesi Bassi e poi ancora in Inghilterra, per
l’ultima data.
“Boh, non mi
ricordo nemmeno chi l’ha tirata fuori…”,
rispose Harry, stringendosi nelle
spalle.
“Dicevo…”,
disse Tom, ridendo rassegnato, “Mi sono
imbattuto in un locale per cui vale la pena tornarci tra trenta secondi
per
mangiare fish and chips!”
Gli
altri lo guardarono, mentre affondavano con
gusto le labbra dentro alle tazze di caffè o di the.
“Aspetta
un secondo, fammi capire.”, disse Danny,
assumendo un tono falsamente serio, “Siamo in Italia, giusto?
Sei voluto venire
tu con una settimana di anticipo sulla data del concerto che faremo
qua, o no?”
“Sì.”,
rispose Tom, con aria ingenua.
“E
cosa fanno di buono, in Italia?”, gli chiese
Danny.
Tom ci
pensò un attimo.
“Il
calcio!”, esclamò, annuendo per la correttezza
della sua risposta.
“Imbecille!”,
esclamò Danny, dandogli una manata
sulla testa da farlo sbalzare in avanti, “Fanno il cibo
buono! E tu vuoi
mangiare fish and chips!”
“Beh…”,
disse Tom, massaggiandosi la testa, “Se li
fanno buoni…”
E si
beccò un’altra pacca.
“Deficiente!
Io voglio mangiare italiano!”, gli
disse Danny, tornando sul suo caffè.
“Lo
so…”, disse Tom.
Ma
aveva un’ultima carta da giocare. Con faccia
disinteressata, appoggiò il mento sul bordo della spalliera
della sedia. Li
conosceva fin troppo bene i suoi tre pollastri.
“Ci
sono delle cameriere…”, avanzando la pulce
nell’orecchio.
“Ok,
chi ha voglia di fish and chips?”, esclamò
Dougie scalpitante, alzando la mano.
Seguivano
Tom con scarso interesse. Se non fosse
stato per quell’insinuazione sulle cameriere del posto, se ne
sarebbero
sbattuti altamente le scatole.
Erano
lì in vacanza? Ce li aveva portati lui per
riprendersi della settimana a luci rosse nel quartiere del Moulin
Rouge? E
allora che li lasciasse dormire in pace in hotel e si mangiasse tutti i
fish
and chips che voleva senza rompere le scatole!
Quello
che volevano fare era, in ordine di
importanza: dormire, mangiare.
Ah! E
anche accoppiarsi, se ci fosse stata
l’occasione. Quindi, quel locale poteva essere funzionale
solo alla conoscenza
di ragazze carine con cui provarci, dato che avevano fatto colazione
meno di
un’ora fa.
“Tom,
sono stanco.”, disse Harry, appoggiandosi al
muro di uno dei tanti alti palazzi che costeggiavano a destra e a
sinistra il
lungo viale che li conduceva verso il centro.
“Andiamo!
Hai fatto cento metri e ti senti
stanco!”, protestò vivamente Tom, “Sei
la discarica di una discarica!”
Harry
gli mostrò con una smorfia il dito medio e
poi tornò a camminare, prendendo il posto di Dougie come
ultima carrozza del treno.
“Quanto
manca…”, si lamentò Danny.
“Ecco,
basta svoltare qua.”, disse Tom, prendendo
la prima strada sulla sua destra.
Quando
furono tutti davanti al locale, Tom lasciò
loro riprendere fiato.
“Siete
diventati dei criceti.”, fece loro.
“Dei
cosa?”, esclamò Dougie, tastandosi il basso
ventre per il dolorino che sentiva alla milza.
“Dei
criceti!”, ripetè Tom, “Annaspate nella
vostra
ruota finchè non vi catapulta fuori!”
Danny
lo guardò con aria stranita.
“Che
esempio del cazzo, Fletcher…”, fece, afferrando
la maniglia dello Strictly English
senza nemmeno dargli un’occhiata.
“Sì,
ha ragione Jones.”, disse Harry, riferendosi a
Danny, “Oggi non sei capace di essere sarcastico.”
Gli
passò davanti, gli dette una pacca cinica sulla
spalla ed entrò, seguito da Dougie, strinto rassegnato tra
le sue spalle. Per
ultimo, Tom si posizionò al tavolo che era stato scelto dai
suoi tre amici, che
già stavano con gli occhi iperattivi alla ricerca delle
cameriere da lui
nominate.
“Cosa
prendete?”, chiese retoricamente Tom, guardandosi
il menù.
“Una
bionda e una mora.”, disse Harry, sempre il
più goloso.
“Ci
sarà una rossa?”, si
domandò Danny.
“Speriamo
di sì…”, sospirò Dougie.
“Intendevo,”,
si specificò Tom, “Che cosa prendete da mangiare!”
Erano
terribili quando si mettevano a fare
comunella.
Danny
gli sfilò rapidamente il menù di mano e,
fatti avvicinare gli altri due a sè, si misero a guardare
che cosa poteva
esserci di gradevole. Confabulando tra di loro, si isolarono per
dedicarsi alla
scelta.
Tom si
guardò intorno sconsolato e incrociò lo
sguardo della quarantenne dietro alla macchinetta del caffè
che, vedendolo,
richiamò dalla cucina un nome a lui conosciuto.
Bene!
esclamò dentro di sé Tom. O li riconosceva, o era
veramente scema.
Dopo
qualche attimo, infatti, vide Joanna
avvicinarsi. Portava tra le mani una cesta, apparentemente pesante,
piena di
pacchi e pacchetti di cibo. Quando lei lo vide, gli sorrise
compiaciuta.
Approfittando del momento, Tom dette una pedata al mucchio di piedi vicino al suo.
“Ecco
la cameriera…”, disse Tom, guardando
soddisfatto i suoi amici.
Danny
abbassò il menù e tre paia di occhi si
puntarono su di lei.
La
ragazza ricambiò i loro sguardi, osservandoli
mentre camminava con il cesto tra le mani.
Poterono
notare ogni cambiamento della sua espressione:
da gentilmente sorridente, a interrogativamente strana, per poi finire
sul
consapevolmente inaudito.
Oh
sì… fece
Tom con se stesso, con grande soddisfazione.
Ma se
ne pentì in quello stesso istante.
Joanna
inciampò in avanti, forse sui suoi stessi
piedi, e finì a pancia a terra, mentre il contenuto del suo
cesto si sparse sul
pavimento, in un baccano infernale che fece ammutolire tutti i clienti
del
locale.
“Oh
cavolo!”, esclamò, mentre
i clienti nelle sue vicinanze si
precipitarono da Joanna per soccorrerla.
La
ragazza si rialzò, ferita nell’orgoglio
più che
nel corpo.
“Sto bene!
Sto bene!”, prese a dire, allontanando con garbo
tutte le mani che la
volevano aiutare.
La
quarantenne bionda accorse verso di lei e la
prese sotto la sua ala protettiva, chiamando un’altra
cameriera a ripristinare
la situazione del pavimento. Nel mentre che si allontanava, Joanna
lanciò un
occhio verso Tom, e verso poi il suo tavolo.
“Jo!”,
la chiamò Arianna, “C’è un
tavolo!”
“Arrivo
subito!”, esclamò, scendendo dalle spalle
del fratello, su cui era salita per prendere un barattolo di pesche
sciroppate
poste in altissimo, su uno dei ripiano della cucina.
“Sei
ingrassata vero?”, si azzardò a dirle Michele,
mentre la riponeva a terra.
Lei
gli rispose con un pizzicotto sull’avambraccio,
ma c’era poco spazio per la ciccia morbida e suo fratello non
sentì niente.
“E
tu hai troppi muscoli!”, lo rimproverò lei,
“Sei
buono solo a placcare gli avversari!”
Fece
la linguaccia più lunga che potè e
uscì dalla
cucina, prendendo tra le mani la cesta di barattoli che doveva portare
in
magazzino.
“Faccio
io!”, le fece Michele.
“E
dai!”, esclamò lei, allontanando la cesta dalle
sue manone, “Ce la faccio! E poi devo andare in sala, tu devi
tenerti pronto
per le ordinazioni!”
Uscì
dalla cucina spingendo contro le due porte
molleggiate. Suo fratello era un omone di zucchero, lo aveva sempre
pensato e
sempre lo avrebbe fatto. Non era poi così tanto grosso, era
semplicemente un
po’ più alto della media… e un
po’ più forte. Era stato lui a convincere
Arianna ad assumerla, qualche mese prima, poco dopo essersi tolta dalla
casa in
cui era nata e vissuta… Accantonò subito
qualsiasi pensiero connesso a quei
giorni, così come faceva ogni volta che le veniva da posarci
la mente.
Miki,
che oltre al suo lavoro aveva anche una
passione sportiva abbastanza fuori dal comune per un italiano,
l’aveva accolta
a braccia e a tasche aperte. Perché i patti erano stati
chiari: se voleva
abitare da lui, le spese erano da condividere.
E lei
era stata contenta di questo. Di certo non
voleva che vitto e alloggio fossero gratis e, piuttosto che andare a
vivere con
degli sconosciuti oppure tornare dai genitori, aveva depositato le sue
valige
nella camera libera.
Appena
mise piede nell’appartamento storse il naso:
era visibilissima ancora la presenza femminile che aveva arredato
quella
stanza, così come tutta la casa. Avrebbe voluto
rivoluzionare tutto, ma sapeva
che Miki non sarebbe stato molto d’accordo con le sue
decisioni. Non
tanto perché non gli piacessero i suoi
gusti in fatto di arredamento… così aveva
lasciato tutto come aveva trovato,
accontentandosi di allontanare dalla stanza in cui dormiva qualche
‘scomoda’
fotografia.
Lei
vent’anni, Miki venticinque. Non erano proprio
uguali, a guardarli bene non sembravano nemmeno tanto fratelli. Miki
era moro,
portava i capelli lisci a mezza lunghezza fermati sulla testa da un
cerchietto
nero. Era uno sportivo nato... ed un cuoco diventato. Lei, Joanna, era
bionda e
mossa, goffa e non sapeva cucinare. Non ne era proprio capace, a meno
che non
si trattasse di uova sbattute in padella o di cibi precotti in forno.
Quando
cucinava lei, c’era da stare pronti con il telefono per
chiamare i pompieri.
Fare
la cameriera non era l’aspirazione massima
della sua vita, questo lo sapeva benissimo. Ma aveva bisogno di
lavorare,
voleva mettere da parte qualcosa per un futuro ancora nebbioso davanti
a sé. Non
molti italiani frequentavano quel locale, forse spaventati dal nome
scritto
sull’insegna. O forse impauriti dal tipo di cucina che veniva
offerta. Jo la
adorava, ma non era facile spiegarla ai pastasciuttai e ai pizzettari
italiani.
Era una che andava a nozze con le schifezze di ogni genere!
E poi
si trovava meglio con gli stranieri che con i
suoi connazionali: almeno erano gentili, davano sempre ottime mance e
non la
trattavano come la serva di turno.
Con
una certa goffaggine, cercò di non sembrare
molto affaticata nel trasporto eccezionale che stava effettuando.
Mentre
camminava, notò una testa ossigenata che riconobbe subito.
Qualche
attimo dopo, il ragazzo inglese si voltò e
la vide, le sorrise. Lei ricambiò, sperando che nella testa
di lui non passasse
la frase: ma guarda quella, non sa
nemmeno reggere tre chili di peso! Si era già
pentita di non aver lasciato fare
a Miki.
Lanciò
di nuovo un’occhiata all’inglese. Si doveva
chiamare Tom, se non ricordava male. Aveva anche detto, quella stessa
mattina,
che avrebbe portato dei suoi amici e, a quanto pareva dalle teste
nascoste
dietro al menù, era stato di parola.
Bene,
era contenta, più mance!
Si
voltò di nuovo verso di loro, non appena vide il
menù abbassarsi e tre facce spuntare al di là. Li
osservò in un lampo e
sorrise, come faceva a tutti i clienti, anche se la voglia di farlo era
schiacciata sotto cumuli di brutte sensazioni.
Ci fu
qualcosa però che le si incastrò tra le
pieghe della sua materia grigia.
Qualcosa
che aveva visto sulla faccia di uno dei
tre.
Al che
il suo sorriso si trasformò velocemente in
una espressione interrogativa.
Quella
bocca l’aveva già
vista…
Ed
anche i capelli strani del tipo accanto a lui,
candeggiati come quelli di Tom, spettinati, sistemati malamente sulla
faccia e
sulle orecchie…
Li
aveva già visti…
Li
aveva già visti tutti e quattro…
Erano
appesi alla porta
della sua camera da letto!
I
piedi si incrociarono tra loro e la sua faccia,
che da interrogativa si era trasformata in terrorizzata, si
trovò spiaccicata
contro il pavimento. La cesta si riversò a terra, spargendo
i barattoli e le
scatole ovunque.
Merdamerdamerdamerdamerdamerdamerda
“Signorina!
Sta bene?”, le chiese subito uno dei
clienti, accorso da lei in suo aiuto.
Andava
tutto bene!
A
parte il fatto che aveva perso i denti sulle
piastrelle bianche e nere.
E che
a tre metri da lei c’erano i McFly, di cui
per l’appunto aveva già incontrato un componente
quella stessa mattina, facendo
una figura pessima...
La
consapevolezza di non aver riconosciuto Tom Fletcher
e di avergli parlato come se fosse stato uno sconosciuto la faceva
ancora
tremare il pensiero.
Non
che fosse una fan sfegatatissima: al confronto
delle loro seguaci inglesi, lei passava per una che, senza pretese di
sorta, si
ascoltava le loro canzoni e basta. Però le piacevano
moltissimo: li aveva
conosciuti durante un piccolo viaggio a Londra, li aveva visti in tv e,
una
volta tornata a casa, aveva cliccato il loro nome su internet e si era
lentamente appassionata alla loro musica.
Si era
fatto spedire un loro poster tramite
internet, era arrivato pochissimi giorni prima… Era andato a
decorare la porta
della sua camera, così come diversi altri poster dei suoi
gruppi preferiti,
attaccati ovunque. In fondo, anche se aveva venti anni ed era un
po’ troppo
vecchia per i poster, erano state le pareti bianche, squallide e
monotone, a
convincerla ad abbellirle con volti famosi.
Le
coincidenze della vita…
Si
alzò, rifiutando le mani che le porgevano,
umiliata dalla sua stessa goffaggine. Da lei accorse subito Arianna che
la
sostenne, notando il suo equilibrio precario.
“Tutto
a posto?”, le domandò, preoccupata.
“Sì…
sì, credo di sì…”, rispose,
ancora frastornata.
“Maria!
Vieni a pulire!”, esclamò Arianna,
chiamando l’altra cameriera a riassettare il danno.
Prontamente,
la ragazza si affrettò, mentre le due
si allontanavano.
Jo
lanciò un’altra occhiata ai McFly.
Se la
ridevano di brutto…
Oh mio
dio!
Arianna
la portò in cucina e la fece sedere su uno
dei ripiani liberi.
“Che
cosa è successo?”, domandò Miki,
intento a
girare in un pentolino del latte in fase di cottura.
“E’
caduta…”, disse Arianna, quasi con
rassegnazione.
“Dio,
Jo!”, esclamò Miki, “Hai bisogno di
ripetizioni anche per camminare?”
Non
gli rispose, non aveva voglia di parlare a
nessuno, solo nascondersi al più presto, piuttosto che
uscire di nuovo in sala
e far fronte alla sua brutta figura.
Era
paonazza, totalmente rossa, muta.
“Hey…”,
le fece Arianna, vedendola stravolta.
Allora
anche Miki, alzando gli occhi dal pentolino
del latte, si accorse dello stato semi catatonico della sorella.
“Jo…”,
fece, lasciando il suo lavoro, “Che ti è
successo?”
Lei lo
guardò con occhi sbarrati.
“Parla,
cavolo!”, esclamò, innervosendosi.
“Miki…
fuori ci sono i McFly…”, disse lei, fuggendo
lo sguardo altrove, imbarazzata.
“I
chi?”, fece lui, dopo qualche attimo di
smarrimento.
“I
McFly, Miki! Quelli di Little Joanna,
quelli che ho appeso alla porta due giorni fa!”, gli
spiegò lei.
Lui la
guardò un attimo. Poi i suoi occhi
diventarono grandi e colmi di stupore.
“Ecco
perché quel ragazzo di stamattina mi sembrava
di averlo già visto!”, esclamò, dandosi
una pacca sulla testa, “E’ quel cretino
con il mento lungo!”
“Si
chiama Tom…”, gli ricordò Joanna,
guardandolo
male.
“Sì,
sì, Tom come ti pare…”, le rispose.
Poi
assunse la sua tipica faccia pensierosa e
Joanna potette vedere che ogni attimo che passava questa diventava
sempre più
sorpresa.
“Aspetta
un attimo! Fammi capire.”, fece dopo
qualche secondo, “Quello è venuto oggi a mangiare
qua… tu non lo hai
riconosciuto… e ora che si è portato dietro tutta
la sua combriccola di
strimpellatori… ti è preso un
accidente!!!”
Scoppiò
in una risata così fragorosa che dovette
appoggiarsi alla cucina per non cadere in terra. Come gli succedeva
ogni volta
che era attaccato da ridarella acuta, gli occhi presero a lacrimare
copiosamente e, non appena riusciva a calmarsi, lo sguardo incattivito
della
sorella lo faceva piombare di nuovo nell’abisso
dell’ilarità.
“Che
fratello imbecille che ho…”, mormorò
Joanna.
Nel
frattempo Arianna si era affacciata alla
finestrella della cucina.
“Sì,
sono proprio loro!”, esclamò, esterrefatta,
portandosi una mano al petto, “Vado subito a sentire cosa
vogliono!”
E, con
le gambe in spalla, sparì dalla cucina,
lasciando Joanna con la voglia latente di prendere il coltello
più vicino a lei
e mettersi a punzecchiare il fratello dove gli faceva più
male.
“Sei…
sei una scema, Jo!”, fece Miki, asciugandosi
le lacrime, “Sei andata a sbattere per terra proprio davanti
a loro!”
“Non
davanti davanti…”, si spiegò lei,
sprofondando
ancora nella vergogna.
La
goffaggine la colpiva sempre nei momenti meno
opportuni. Come quando era scivolata, durante un giorno di neve, su una
pozzanghera ghiacciata. Solo che, prima di toccare terra, aveva
gesticolato per
almeno una decina di secondi, sgambettando allegramente in cerca di un
appiglio, attirando l’attenzione dei passanti che, quando il
suo fondoschiena
si fu spalmato a terra, invece di aiutarla si misero a sghignazzare
alle sue
spalle.
O come
quando, impensierita, si era trovata in
mezzo ad un folto gruppo di turisti indignati, accorgendosi che stava
calpestando un’opera d’arte in gessi colorati fatta
da un’artista di strada.
Oppure
come quando era inciampata in un grande
magazzino, cadendo dentro alla grande cesta delle offerte ‘tutto a tre euro’…
ed un ragazzo aveva ironizzato: “Di lei ne
voglio due!”, mentre stava cercando di tirarsi fuori
dall’ammasso di vestiti
scontati.
“Sei
troppo scema.”, gli fece Miki, una volta
ristabilita la sua serietà, “Scommetto che ti sei
messa a guardarli con due
occhi spalancati… poi ovviamente le gambe sono partite per i
fatti loro…”
E
scoppiò di nuovo a ridere.
“Deficiente!
Ti sentiranno tutti!”, lo rimproverò
Jo, dandogli un calcio su una gamba.
“Tanto
sono inglesi, non capiscono una mazza!”,
rincarò lui, riprendendo il posto dietro ai fornelli, dove
il latte aveva
iniziato a bollire, facendo bolle e spargendo il suo forte odore per la
cucina,
“Ecco! Mi hanno anche fatto impazzire il latte!”
La
porta a molle si mosse e Arianna entrò dentro la
cucina, guardandola e sghignazzando.
“Che
c’è…”, fece Jo, sconsolata.
“Oltre
che ad essere rimasta letteralmente impressa
sul pavimento…”, annunciò Arianna,
“Hai colpito molto anche quei quattro,
vogliono che prendi tu il loro ordine.”
Jo si
nascose la faccia nelle mani.
“Ci
sarà fine alla mia disgrazia quotidiana?”,
borbottò poi.
“Andiamo!
Vai a terminare la tua figura di merda.”,
la esortò Miki, sventolando un cucchiaio di legno.
Jo
guardò Arianna con due occhi tristi e pieni di
rammarico, come per dirle che non poteva farle questo. La donna, invece
di
sostenerla, poggiò una mano sulla porta a molle e la spinse,
accennando con la
testa che doveva fare il suo lavoro.
A
testa bassa, si frugò nelle tasche del piccolo
grembiule verde annodato in bassa vita e prese il block notes, insieme
alla
fedele penna accompagnatrice.
Sospirò
mestamente e si avvicinò a loro.
Stavano
ridendo allegramente, sicuramente la prendevano
in giro…
Oh mio dio! Quante recensioni per il primo capitolo! La mafia è utile certe volte eh!! XD Bene bene, passiamo ai rigraziamenti!
CowgirlSara: Ovvio, è il
primo capitolo non si può giudicare, ma incrocio le dita e spero
che non cambierai idea su di me con questa storia! Ancora siamo
all'introduzione di tutti i personaggi, mi sono serviti diversi
capitoli per farlo, non volevo spiattellare tutto nel giro di poche
pagine... diciamo che li introduco poco per volta in ogni capitolo. Mi
dispiace che non abbiano fatto presa su di te... cavolo! XDDD Sappi che
ufficialmente sei bannata dalla mia macchina e che le ferrovie dello
stato si sono alleate dalla mia parte. Quindi RASSEGNATI! XDDD
Zizzy94: lo sapevo che qualcuna
in ascolto c'era, lo sapevo!! XD vabbè che sono sconosciuti in
Italia, ma qualcuna ci oltre a me loro fan che frequenta il sito ci
deve pure essere! Beh, grazie per i complimenti sul mio modo di
scrivere, ne sono molto contenta! Anche io sarei nella più
completa e miserabile ignoranza se non fosse stato per una mia amica,
che me li ha fatti conoscere! Ora sono completamente drogata! Come per
te, loro per me non sono proprio il mio stile, ma ci si avvicinano
molto! E li apprezzo anche molto (moltissimo) di più dei Tokio
Hotel, su cui ho scritto valanghe di storie, come puoi vedere dal mio
profilo. Sono più spontanei, li adoro. Sul serio! Alla prossima!
E falla leggere anche alla tua amica, dimmi cosa ne pensa! XD Ciao!!
Ciribiricoccola: Eheheh, Joanna
non è proprio una trottolina amorosa dudu dada da... se mi vuoi
picchiare per questo fallo ora... per adesso sembra quasi quella che
non ho voluto che fosse! Capirai cosa intendo! Grazie per la recensione
e anche per la stupenda chiacchierata di ieri sera su msn, l'ho
apprezzata molto e mi scuso per non averti rigranziato prima! Ci
sentiamo presto pazza!
Picchia: Mentos Man XDDD
è propio un soprannome da Tom! Povero piciulo, col mentone ed
anche la zeppola alla Bill... Ma è tanto carino! Beh, che fosse
il mio stile e che fosse riconoscibile a chilometri di distanza...
è il minimo che potessi dire... cioè, ma hai presente chi
sono? Sono RubyChubb, mica Frizzina Belvedere. -Fine modalità
Silvia che se la tira- Non ti ho ancora chiesto un parere sulla loro
musica, lo farò appena ci troviamo su msn, anche se so che
sicuramente non sarà un parere positivo, dato la metallare che
sei XD Deficienti? Ma li hai visti poi i video che ho linkato nel primo
capitolo?!? E non è nulla!
_Princess_: da buona Harryana
quale so che tu sei, sappi che in questa storia Harry avrà la
rilevante parte dello stronzo. E te lo avevo anche già detto! XD
Secondo me ce l'ha la faccia dello stronzo... poi non lo so, ancora non
li ho capiti questi ragazzi! Figurati, non me ne importa
per la cortezza della recensione, basta che ci sia! E come MS
giustiziera, ti chiedo: come la risolvi la caciarata che è
appena scoppiata? Tu sai di cosa parlo
(ed anche la Saruccia).... >.< tengo la mia spadona della
giustizia infoderata, sai quanto potrei parlare! Beh, appena ti
becco su msn facciamo uno scambio di opinioni moschetteriane. Ci
sentiamo!!!
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Capitolo 3 *** HELP! ***
3. HELP!
Videro la tipa bionda avvicinarsi a loro, con
sorriso smagliante e passo leggero.
“Buongiorno ragazzi!”, esclamò, con un
distintissimo accento londinese, “E’ un piacere totalmente inaspettato avermi
nel mio locale!”
“Buongiorno!”, le risposero con entusiasmo.
“Non si è mica fatta male la ragazza?”, le domandò colui
che era convinta si chiamasse Dougie, o qualcosa di simile.
Sapeva perfettamente chi fossero, aveva i loro
album, ma non si era mai interessata più di tanto a ‘conoscerli’. Lei, che era un’inglese trapiantata nel corpo di
un’italiana, si teneva sempre ben aggiornata sulle novità musicali del Regno
Unito e le sue preferite finivano dritte nel juke box del suo locale, aperto
dieci anni prima dopo un lungo periodo di residenza a Londra.
“Oh no, è solo gravemente ferita nell’autostima.”,
rispose Arianna, ponendosi una mano sbarazzina sul fianco, “Allora, volete
ordinare qualcosa?”
“Non è che…”, azzardò uno dei due vocalist, forse
Tom, “Può venire la ragazza? Così magari mi faccio perdonare per lo scherzo che
le ho fatto…”
Arianna rimase un po’ di stucco, sinceramente
avrebbe preferito occuparsi lei stessa di quei quattro… poteva essere la loro
madre. Ma il cliente era sempre il cliente, soprattutto se era
famoso tanto quanto i Beatles nella sua terra madre.
“Oh… sì, va bene, ve la chiamo subito.”, disse la
donna, allontanandosi.
“Io mi
prendo lei.”, disse Harry, quando fu abbastanza lontana, aprendo le braccia e
stendendole sul bordo del divanetto, allungando lo sguardo sulle sue lunghe
gambe, “Possibilmente senza troppi vestiti.”
“Ha l’età di tua madre!”, lo riprese Tom, “E non
tirare fuori il detto delle vecchie galline!”
“E se ce la prendessimo insieme?”, propose Danny,
con occhio sornione, “Ho sempre sognato di farlo con mia madre.”
“Jones!”, sbottò Dougie, “Fai schifo. E mi hai
fatto anche passare la fame!”
“Far passare la fame a te è come far smettere Harry
di pensare ad infilarlo nel primo buco disponibile.”, sottolineò Tom,
“Praticamente impossibile. Sei una tenia.”
“Wooo!”, esclamò Danny, vedendo la cameriera
traballante in avvicinamento, “Sta
arrivando!”
“Prepariamoci a riprenderla al volo!”, sbuffò
Dougie, mettendosi a giocherellare con il menù.
A testa bassa e guance rosse, la cameriera si fermò
davanti a loro. Con le mani tremanti e gli occhi fissi sul suo blocchetto,
balbettò loro qualcosa.
“Cosa… cosa prendete…”, disse, affondando
nell’imbarazzo.
I quattro si guardarono, trattenendosi le risate
tra le labbra, diventate del tutto paonazze per via dei morsi che si stavano
dando, piuttosto che scoppiare.
“Ciao Joanna!”, esclamò Tom, salutandola.
“Joanna! Ti chiami Joanna come la nostra canzone?”,
sbottò Danny, con uno schiocco delle mani.
“Beh… sì…”, fece lei.
“Sapete ragazzi?”, li informò poi Tom, “Lei è una
nostra fan! Me lo ha detto stamattina e verrà anche al nostro concerto!”
Gli altri tre sembrarono illuminarsi.
“Oh davvero?”, fece Harry, “Ecco perché sei
trasfigurata prima di volare per terra!”
La ragazza, che aveva staccato per un attimo gli
occhi dal suo taccuino per starlo a sentire, piombò di nuovo nel disagio.
“Scemo!”, fece Tom, “Non lo vedi che sembra una
flebo di sangue da quanto è rossa!”
“E dai!”, si giustificò l’altro, “Stavo solo
scherzando!”
“Scusami Joanna…”, lo lasciò perdere Tom, “So che
stamattina non mi hai riconosciuto e… insomma, pensavo di farti piacere a
portare anche gli altri a fare la tua conoscenza ma… visto quello che ti ho
fatto combinare…”
“Oh no… non importa.”, disse, stringendosi tra le
spalle.
“Allora… cara Little
Joanna…”,
disse Danny, prendendo il menò dalle mani di Dougie, "Porteresti
a me e al qui presente Poynter del buon gelato italiano? I gusti puoi
sceglierli tu.”
“Ehm… sì…”, disse lei.
“Per me invece un muffin ai mirtilli.”, disse
Harry, grattandosi la testa.
“E per me i vostri magnifici fish and chips!”,
disse Tom.
“Ok… allora due gelati, un fish and chips e un
muffin.”, fece Joanna, annotandoseli con mano tremante sul blocco.
“E ci piacerebbe che ne mangiassi un po’ con noi…
ovviamente se il lavoro te lo permette!”, le disse Tom, sorridendole, “Offro
io!”
“Grazie Fletcher!”, esclamarono gli altri tre in
coro quasi istantaneo.
Joanna sorrise lievemente all’improvvisazione
scroccona dei ragazzi e si allontanò.
“Beh…”, fece Danny, “Dove sono allora le cameriere
di cui dicevi, Fletcher?”
“Deficiente!”, gli rispose Tom, “Non lo hai ancora
capito che vi ho portato qui per mangiare e non per rimorchiare?”
I tre si ribellarono con lo sguardo, indignati.
“Sei perfido, Tom.”, gli fece Harry.
“Sei infido, Tom.”, seguì Dougie.
“Sei un bastardo.”, concluse Danny.
“Però Joanna è simpatica.”, tentò di risollevarsi
Tom, “Ed è anche carina.”
“Sei fidanzato.”, gli ricordò Dougie.
“Non c’è niente di male ad esprimere un parere
disinteressato su una ragazza che, per colpa mia, stava per fratturarsi a
terra!”, si difese abilmente Tom.
Si mise i ciuffi ribelli, usciti dalla stretta
dell’elastico nero, dietro le orecchie, appoggiando entrambe le mani sul bordo
di uno dei tanti ripiani della piccola cucina. Doveva farcela.
Prese due coppette di vetro, dalla forma allungata,
e le appoggiò davanti a sé. Erano per i gelati.
Doveva scegliere tre gusti, come da menù. A suo
gradimento, come le era stato detto da Danny Jones, affibbiandole poi un sorriso a
trentamila denti che lei si era rifiutata di vedere, piuttosto che stramazzare
a terra, in preda alle convulsioni. E anche Dougie le aveva sorriso, ma lei era
stata molto più occupata nel vedere con quanta simmetrica geometricità si
intersecavano le linee parallele e perpendicolari del suo block notes.
Tre palline di gelato. Ok, ce la poteva fare.
Andò verso il banco frigo e, dopo aver sollevato la
calotta di plastica, afferrò i contenitori del gelato. Panna, cioccolata e
fragola per Danny. Limone, mandarino e pistacchio per Dougie. Incrociò le dita
e ne mise le rispettive porzioni nelle vaschette, incrociando le dita nella
speranza che fossero di loro gradimento. Poi prese due cucchiaini dal manico
lungo e decorò il tutto con dei patetici cappellini di carta.
“Vuoi una mano?”, le chiese Miki, al momento
disoccupato.
“Oh no… grazie, faccio da sola.”, disse Jo,
cercando di rimanere calma, “Ah! Prepara un fish and chips!”
“Mento lungo vero?”, le fece, con occhi ammiccanti.
“Sì… Tom, per cortesia…”, gli rispose, seccata.
Poi era il turno del muffin ai mirtilli. Il suo
preferito.
Glielo aveva chiesto Harry. Ne prese uno dal forno,
era lì che di solito Miki teneva quelli freschi, per mantenerli meglio. Era
ancora caldo… prese un piatto e ce lo appoggiò sopra, contornandolo con dei
fili di sciroppo al cioccolato, come faceva sempre Miki. Ignorò l’adorabile
sfacciataggine con cui Harry le aveva detto: ‘Ecco perché sei trasfigurata prima di volare per terra!’,
altrimenti sarebbe di nuovo avvampata.
Ecco, per adesso gelato e muffin erano pronti, ma
per il fish and chips di Tom c’era da aspettare ancora qualche attimo. Prese di
nuovo un bel respiro e uscì, appoggiando le ordinazioni su un vassoio di finto
legno.
Pregò tutte le religioni del mondo che le stringhe
delle sue scarpe non si annodassero, che i piedi non si appiccicassero alle
gambe dei tavoli, che non ci fossero macchie di unto per terra… insomma, pregò
per non inciampare di nuovo e versare tutto addosso ai McFly. O si sarebbe
affogata nell’Arno. Anzi, con tutto lo sporco che c’era in quel fiume,
sicuramente sarebbe morta prima per radiazioni.
“Oh! Eccola che arriva!”, esclamò Harry,
strusciando contento le sue mani.
Appoggiò il vassoio sul tavolo e distribuì loro i
gelati e i muffin, tranquillizzando Tom che i suoi fish and chips sarebbero
arrivati subito.
“Oh sì, certo, con comodo.”, rispose lui, gentile
come sempre.
Non appena mosse un passo per tornare in cucina a
nascondersi tra le pentole, la ripresero.
“Dove vai?”, le fece Dougie, “Devi rimanere con
noi!”
“Beh… devo lavorare…”, disse Jo, stringendosi il
vassoio al petto.
“Rimani pure!”,
esclamò Arianna, da dietro il bancone, “Fai
pubbliche relazioni! Magari tornano a casa e ci fanno buona pubblicità!”
“Ehm… cosa ti ha detto?”, le domandò Danny.
“Che puoi rimanere giusto?”, le fece Tom,
preparandosi a farle posto accanto a lui.
“Sì, dal tono che ha usato sicuramente sì!”,
continuò Harry, accomodandosi più vicino a Danny, che si strinse a sua volta a
Dougie, costringendolo a sedersi vicino al bordo del divanetto.
“Prima
l’ordinazione però!”, la riprese Arianna, secondi prima che si sedesse.
“Solo un momento…”, fece Jo, accorrendo per
prendere i fish and chips di Tom.
Una volta servito anche l’ultimo dei quattro, si
sedette, cercando di non far notare troppo il suo livello di sudorazione
ascellare eccessiva, la mancanza di saliva e di parola. Loro stavano già
allegramente intaccando le loro ordinazioni.
Si era sempre detta: dai, se un giorno incontrerai qualcuno di famoso che ti piace, dovrai
essere te stessa, calma e rilassata.
Ovvio che sì... Ovvio che si sbagliava.
“Allora, Joanna…”, fece Dougie, davanti a lei, “Sei
davvero una nostra fan?”
Lei annuì, stringendosi in un sorrisetto.
“E come ci hai conosciuto?”, le domandò Danny,
prima di mettere in bocca un po’ di cioccolato.
“Beh… sono stata un weekend a Londra e… vi ho visto
in tv.”, disse lei, con un filo di voce.
“Quanti anni hai?”, le fece Tom.
“Venti.”
“Sembri più piccola.”, notò Harry, “Te ne davo
diciassette.”
“Beh… grazie…”, rispose Jo.
“Per te è un complimento?”, strabuzzò gli occhi il
ragazzo, “Lo avessi detto a mia sorella mi avrebbe preso a calci.”
“Harry!”, lo riprese Tom.
“Sì, scusa…”, si calmò, “Allora prego!”
Joanna non potè non sorridere. Aveva visto su youtube moltissimi i filmati che li
riguardavano e la prima cosa
che aveva notato era la loro spontanea demenza. Forse era anche per questo che
le piacevano, perché erano ragazzi semplici, di un anno o due più grandi di
lei, che non si limitavano di certo nelle loro proverbiali ‘uscite’. Sembravano così raggiungibili...
Le veniva da ridere se pensava a quando Dougie
disse, in diretta televisiva, che avrebbe voluto recitare in un porno e venne
messo in castigo dalla bionda e sorridente conduttrice. Oppure di quando
avevano svegliato Danny, una mattina, riuscendo a montare nella sua camera una
batteria e un paio di amplificatori per basso e chitarra, sfondandogli i
timpani nel sonno.
“Studi?”, le chiese Danny.
“Sei lesbica?”, sbottò Harry.
“Judd!”, esclamò per la seconda volta Tom, dandogli
un calcio sotto il tavolo.
Joanna sbuffò in una risata.
“Visto! La volevo far ridere e ci sono riuscito!”,
si giustificò Harry, “Sembrava seduta sugli spilli!”
“Hai ragione… perdonatemi...”, si scusò Joanna.
“Sì, colpa nostra.”, ammise Danny, “Siamo troppo
belli, la tua vista non riesce a sopportarci.”
“Cerchiamo di essere seri.”, ripristinò Tom, “Vivi
con i tuoi, Joanna?”
“Jo, per favore.”, fece lei, “E comunque no, vivo
da sola.”
“Ma gli italiani non sono tutti mammoni?”, fece
Dougie, alzando le spalle perplesso.
“Beh… evidentemente non io.”, rispose lei,
sorridendogli.
“Ma studi?”, continuò lui, come le aveva chiesto
poco prima Danny.
“No… Avevo iniziato con l’università… ma ho
lasciato.”, disse lei.
“E come mai?”, le domandò Harry.
“Per un paio di motivi.”, rimase lei sul vago.
“E quali?”, insistette Danny.
“Beh…”, fece Joanna.
“Non lo hai capito che sono fatti suoi?”, esclamò
Tom, “Jo, se non ci fossi io questi ti mangerebbero viva.”
“E’ fidanzato.”, le disse Dougie, sottolineando
volontariamente questa sua breve affermazione.
“Oh sì, lo so benissimo.”, le rispose lei.
“E tu ce l’hai la fidanzata?”, le chiese Harry,
sorridendole malizioso.
“Beh….”
“Allora sei lesbica!”, ribattè lui.
“Dio mio, Harry!”, si infervorò Tom, “La smetti di
torturarla?”
“E dai! Quanto sei palloso oggi Fletcher!”, si
ribellò Harry, “Nemmeno la stessi punzecchiando con un bastone! Finiscila un
po’!”
Joanna non riusciva a trattenere le risate. Era
come vedere uno sketch televisivo, solo che era lei la protagonista.
“Lasciali fare.”, le disse Dougie, sottovoce, con
una mano sulla bocca per pararsi “Sono deficienti.”
“Non ne avevo dubbi.”, rispose lei, nello stesso
tono.
“Se non la smetti penserà che sei un maniaco!”,
continuava Tom.
“E allora? Lo sono!”, gli rispose Harry, battendosi
orgogliosamente una mano sul petto.
Joanna scosse la testa sorridendo. Se quella stessa
mattina, quando sul bus sentiva distrattamente l’oroscopo diffuso dalle cuffie
del suo i-pod con radio, le avessero detto che stava per incontrare i McFly e
trovarsi in mezzo ad una loro commedia dell’arte, non ci avrebbe creduto.
Nemmeno se a dirglielo era uno speaker radiofonico con la voce più sensuale del
mondo.
“Jo, perdonali.”, le fece Danny, con tono vagamente
rassegnato, “Non sanno quello che fanno.”
“Oh no, figuratevi. Continuate pure.”, disse lei,
appoggiando un braccio sul tavolo per godersi lo spettacolo.
“Judd, sei un coglione!”, concluse la breve
litigata Tom.
“Sì, lo sapevo.”, rispose l’altro, ugualmente
fiero.
Joanna fece cadere gli occhi sull’orologio che Tom
portava al polso. Mancava poco meno di un quarto d’ora alle cinque, il locale
stava per chiudere. Si alzò.
“Dove vai?”, le fece Tom.
“Beh… mi dispiace dirvelo ragazzi, ma alle cinque
chiudiamo.”, disse lei, toccandosi il polso con la punta dell’indice.
“Di già?!?”, esclamò Danny, “Allora finisco il gelato!”
Un boccone dietro l’altro, divorò velocemente gli
ultimi rimasugli della sua coppetta.
“Tranquilli, fate con calma.”, disse lei, “Adesso
devo andare… è stato un piacere conoscervi!”
“Beh… piacere tutto nostro!”, esclamò Harry,
alzando le braccia al cielo per stiracchiarsi e sbadigliare.
“Ciao Joanna!”, dissero gli altri tre, quasi in
coro, salutandola con la mano.
Sorrise loro e tornò in cucina.
Che giornata…
Tom pagò il conto, come si era involontariamente
impegnato a fare, e raggiunse gli altri fuori, che stavano ridendo.
“Che c’è da ridere?”, chiese loro.
“Oh no, niente.”, chiuse frettolosamente Dougie,
incamminandosi.
“Stavate ridendo di me, ok, l’ho capito!”, sbuffò
Tom, “E non voglio saperne il motivo!”
“Veramente stavamo ridendo della tua Little Joanna!”, esclamò Harry, “Se la tua fidanzata sapesse che stavi flirtando con lei…”
“Piantala Judd!”, gridò Tom, “Non stavo flirtando
con lei!”
Non era facile farlo incazzare, ma Harry ci
riusciva sempre meglio degli altri.
“E dai!”, si riprese l’altro, “Stavo scherzando!”
“Lo sai che non mi piace quando lo fai su certi
argomenti!”, gli ripetè Tom, come aveva fatto migliaia di altre volte, “Stavo
solo evitando che voi la spaventaste!”
“Non siamo mica dei mostri!”, disse Danny,
“Volevamo solo fare la sua conoscenza.”
Si incamminarono verso l’hotel.
“Sì ma… a volte siete esagerati.”, disse Tom.
“Siamo
esagerati.”, precisò Dougie, “Includiti nella lista.”
“Ok, siamo esagerati.”, si corresse Tom, “Mi
dispiaceva lasciarle un brutto ricordo di noi. In fondo è la prima fan del
posto che conosciamo!”
“Eh già… lo è veramente. Nemmeno a farlo apposta,
si chiama anche come una nostra canzone!”, disse Harry, “Ed avevi ragione,
Fletcher.”
“Su cosa?”, gli chiese lui, con tono scocciato,
preparandosi alla sua prossima battutaccia.
“Beh, avevi ragione sul fatto che sia carina. Da
uno a dieci, le do un sei e mezzo.”, fece lui, mettendogli un braccio sulle
spalle per suggellare la pace.
“Io sette.”, disse Dougie, a qualche metro da loro,
alzando la mano.
“Concordo!”, disse Danny.
“Vada per il sette.”, sottoscrisse Harry, “Speriamo
che le ragazze di qua siano anche meglio di lei.”
Tom gli lanciò a vuoto la solita occhiataccia.
“Non parlava molto ma era simpatica.”, disse
Dougie, “Stava allo scherzo.”
“Perché ci conosceva, sapeva come eravamo fatti.”,
disse Harry, “Altrimenti se ne sarebbe andata via indignata.”
“Secondo me no.”, la difese Danny, “Secondo me è
una sa giocare.”
“Dici?”, gli fece retoricamente Harry.
“Anche secondo me.”, confermò Tom, “E non sembrava
nemmeno tanto oca come la maggior parte delle ragazze che frequentate.”
“Concordo anche su questo.”, disse Danny,
ricordandosi dell’ultima ragazza con cui era uscito. Meglio tenerle la bocca
occupata con qualcosa, qualsiasi cosa,
piuttosto che lasciarla parlare.
“Dite che la nostra breve vacanza qua sia iniziata
bene?”, domandò Dougie.
“Richiedimelo stasera, verso mezzanotte, quando
sarò ubriaco marcio di Chianti!”, disse Harry, dando una spazzolata con la mano
ai capelli di Tom.
Pace fatta!
Sentì le chiavi infilarsi nel portone di casa, era
quasi mezzanotte e si stava per appisolare sul divano, nel mentre lo schermo
della tv la illuminava con le ultime immagini di Dirty Dancing, il suo film preferito da sempre, di cui conosceva a
memoria il copione. Alla frase ‘Nessuno
può mettere Baby in un angolo’ scoppiava sempre a piangere per l’emozione.
Non ci poteva fare niente, era goffa e sentimentale. E poi aveva sempre pensato
che fosse la più bella dichiarazione d’amore del mondo, altro che serenate al
chiaro di luna e cioccolatini con dentro gli anelli di fidanzamento. Ma quella volta non vide Patrick Swayze
prendere per mano Jennifer Gray e portarla sul palco a ballare I’ve had the time of my life, perché era
a metà strada tra il sonno e, appunto, il sonno.
“Che ci fai ancora in piedi?”, gli chiese Miki,
entrando in casa e posando il pesante borsone, appena tornato dagli giornalieri allenamenti.
“Ti stavo aspettando…”, rispose Jo, tra uno
sbadiglio e uno stiracchiamento.
“Dovresti andare a letto presto, alla sera.”, le
ricordò suo fratello.
“E tu dovresti sapere che ho vent’anni… e non
dieci.”, le rispose lei, alzandosi in un brivido di freddo, “Come sono andati
gli allenamenti?”
“Bene.”, rispose lui, andando a prendersi una
bottiglietta d’acqua, “Mi sono slogato una spalla.”
“Cosa?!?”, sbottò Jo.
“Sì ma… tranquilla, lo sai che ci ho fatto
l’abitudine.”, le fece lui.
“Dovresti smetterla, Miki, è uno sport troppo
violento.”, disse sua sorella, spegnendo la tv.
“Beh… è uno sport nobile!”, si difese lui, “E mi
piace da quando avevo dieci anni!”
“Sì… va beh, ci rinuncio!”, disse Jo, lasciandolo
perdere, “Buonanotte!”
“Buonanotte!”, le sbottò dietro Miki, innervosito.
Tutte le volte le solite storie.
Diceva Oscar Wilde: ‘Il calcio è uno sport da gentiluomini fatto da bestie, mentre
il rugby è uno sport da bestie fatto da gentiluomini.’ E lui, che era un
giocatore di rugby dall’età di quindici anni, era più che un gentiluomo. Aveva
sempre vissuto la sua vita in funzione di questo sport, della squadra e delle
vittorie. Odiava il calcio e tutti i calciatori, compresi anche quei poveri
ignoti che strabuzzavano gli occhi quando venivano a sapere che lui, con quel
fisico piazzatissimo, non era un pugile ma un giocatore di rugby.
Toglierglielo
era come levargli l’aria e molte persone a lui vicine ne avevano imparato le
conseguenze… lanciò distrattamente un’occhiata ad una fotografia lasciata ad
impolverirsi sulla libreria, vicino alla televisione.
Meglio
andarsene a letto.
Era
stata una giornata abbastanza pesante, così come quasi tutte le altre. Lavoro e
allenamenti, in vista della partita di domenica, che ormai era diventato il
giorno dopo quello che attualmente stava vivendo, dato che era entrato nella
mezzanotte del sabato. Sarebbe dovuto partire di buon ora per la Calabria, dove
la sua squadra amatoriale avrebbe giocato una partita valida per il campionato
in cui era riuscita ad iscriversi, grazie ad una colletta fatta tra tutti i
quindici giocatori.
Niente
lavoro quindi, oltretutto il sabato e la domenica il locale stava chiuso; era
inspiegabile come l’afflusso dei clienti si azzerava durante il week end. Non
era mai riuscito a capirne il motivo; poco dopo la sua assunzione qualche anno
fa, Arianna aveva deciso di allungare la chiusura anche al sabato, non solo
alla domenica. Meglio, aveva pensato, così aveva meno problemi per le partite.
Si fece schioccare le ossa del collo e dopo un
ultimo stretching ai polpacci, si mise a guardare un po’ di tv. Jo se n’era già
andata in camera sua, sarebbe rimasto solo cinque minuti a rilassarsi davanti
alla tv.
Lanciò una rapida occhiata intorno: cucina e
salotto erano inglobati in un’unica grande stanza, separati in parte solo da un
basso muretto in cartongesso, su cui stavano alcuni ninnoli. Poi le loro due
camere, un bagno e uno sgabuzzino. Talmente –ino
da essere quasi un interstizio tra due pareti vicine.
Quel trilocale si era riempito da quando era
arrivata lei. Non ci aveva vissuto da solo per molto, circa sei mesi, ma erano
stati i peggiori della sua vita. Fortunatamente, ed anche sfortunatamente, era
arrivata Jo. Così si sentiva meno divorziato di quanto non fosse...
“Vai a letto o ti addormenterai sul divano come
ieri!”, tuonò Jo, sbucandogli all’improvviso davanti.
“Ok… sei una palla, Jo.”, borbottò sfinito,
alzandosi e spostandosi verso la sua stanza.
Era davvero l’ora di andare a letto.
Era una rompipalle. Ma era la sua Little Joanna.
“Le hai preparate le valige per domani?”, gli
chiese sua sorella.
“Sì, già fatto.”, le fece, “Mi raccomando, in
questo fine settimana senza di me non distruggere casa.”
“L’ho mai fatto?”, sbottò lei.
“Intendevo dire che non devi dare fuoco alla
cucina.”, si spiegò meglio Miki.
“E anche questo l’ho mai fatto?”, ripetè lei.
Miki sbuffò.
“Ci siamo capiti!”, fece.
Davanti alle porte delle loro stanze, messe l’una
di fronte all’altra, si salutarono con il solito dito medio.
Allora!
Eccomi al terzo capitolo della storiella! Intanto specifico che il
titolo 'Help' dei Beatles, no scopo di lucro. Poi, come sempre, passo
ai ringraziamenti per le vostre recensioni!
Non in questo terzo sia successo molto, è giusto il continuo e la conclusione dei
due precedenti, mi è servito principalmente per presentare i miei tre
personaggi (Joanna, il fratello Miki e la proprietaria Arianna) oltre
che a far conoscere i 4 boys. Dal prossimo si apre la storia vera!
E
come dicevo per Another Neverending Story, tenete gli occhi aperti ai
particolari. E non fidatevi mai di quello che leggete! XDDD scherzo,
cosa volete che succeda! Ma comunque, come dice il Commissario Winchester, stateve accuorte!
Kit2007:
Bene! Mi fa piacere che anche tu sia tornata per leggermi! Della serie,
RubyChubb, un nome una garanzia! XDD Ti aspetto, alla prossima!
Picchia:
Puoi stare tranquilla per quanto riguarda le lavstori. Non ne ho
progettate per questa storia, anche se potrebbe sembrare il contrario,
andando avanti con i capitoli. L'amore lo lascio a Tommac e ai loro
accoppiamenti selvaggi XDDD Ci saranno momenti di cazzeggio e momenti
di riflessione, come sempre, e spero di essere all'altezza per poter
scrivere una storia comica... cioè spero di farvi ridere! Non
tanto, basta anche un sorrisetto sulla bocca. Ci conto!
Kiki91:Essì,
ci voleva proprio qualcuno che scrivesse su di loro! Sono contenta che
per adesso ti stia piacendo! Ci sentiamo! Ciao!
Ciribiricoccola:
Dato che la Mcflyite ti sta contagiando alla grande, ti dico solo che
quanto verrò a Pisa, appena torno, ci mettiamo in Piazza dei
Miracoli a cantare Don't Stop Me Now... e lo sai che sono capace di
farlo... Così, appena il primo argentino figone viene a
chiederci una foto, sarà automatico che vorrà farla a
noi!!!!! XDDD ci ripenso sempre a quella scena XDDD Scusate, posso fare
una foto??? ... *.* A noi???? XDDDD
CowgirlSara:
Tranquilla, ti porto anche se non ti piacciono. Anche perchè,
sappilo, in macchina sentiremo solo quelli. Ormai anche Nico si
è rassegnato, quindi statte con l'anima in pace, anda e rianda
con i Mc a tutta palla e io che canto. Rimpiangerai di essere venuta...
XDD bene, mi fa moltissimo piacere sapere che Joanna, per adesso, ti
sta simpatica! Speriamo che la sua goffaggine e la sua timidezza non
saranno, soprattutto nei prossimi capitoli, troppo accentuate da farla
risultare MarySue. Lo sai che questa cazzo di MarySue mi sta sulle
palle, sempre a farmi venire i dubbi sui miei personaggi... Vaff...
_Princess_:
Non è che ti dispiace se facciamo un contratto per la
spartizione settimanale dei Mc? Tipo la rotazione che facciamo con i
Tokio tra noi MS... XDD mi fa piacere che tu abbia messo questa storia
nei preferiti! E mi allieta molto anche il fatto che questa storia ti
stia prendendo! *.* Sono contentissima!!! Spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto!
|
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Capitolo 4 *** Little Joanna ***
Ehm...
premetto che sono nell'umore più nero per una serie di
concatenazioni sfortunate, in cui i Tokio Hotel hanno una parte
predominante (ma non ci sono solo loro). Posto questo capitolo con un
po' di amarezza, censurando il flusso perenne di
parolacce/bestemmie/illazioni che scorre perpetuo nella mia mente da
almeno due settimane a questa parte (Kitt2007, sai perfettamente di
cosa parlo! XD Mannaggia, mi son sfogata con te... solo che ora tutte
le parolacce riservate a Bill e alla sua incoscienza sono tramutate in
minacce di morte al regime di sfruttamento da terzo mondo a cui sono
sottoposti i TH per colpa di una casa discografica che è
peggio della Nike e dell'Adidas messe insieme.
Speriamo che il nostro Billastro guarisca presto e che non ci siano
ripercussioni permanenti per la sua salute, dato che dalla laringite si
è passati ad una ciste che è molto più
grave ed insidiosa del mal di gola. Prego anche che i loro 'aguzzini'
capiranno che, dietro a tutto questo, la colpa dell'accaduto non
è solo di Bill che non si è vestito tanto per
l'inverno, o che fuma troppo...
E comunque torno a dire: Billastro, non stare sempre col culo al vento
ad aspettare che qualcosa ci atterri in mezzo. E soprattutto, non
fumare! Che la lezione non sia solo per management e casa discografica,
ma un po' anche per lui. (anche se, ora come ora, lui c'entra poco).
Detta questa breve introduzione, posto il quarto capitolo di questa
storiella sui McFly... meno male che ci son loro che mi fanno ridere e
cantare! Mi hanno tenuto compagnia per 3/4 del viaggio di ritorno da
Torino!
Scusate se non metto i classici ringraziamenti in fondo, ma non sono
dell'umore adatto... Velocemente: Kit2007
(per la tua pazienza ieri!), CowgirlSara
(anche se non hai recensito: la sfiga la sfiga la sfiga la sfiga la
sfiga e potrei continuare così per sempre... arg!), Ciribiricoccola
(Silviuccia! Dai che il tuo Bill tornerà in forma, so che ti
stai disperando... ho visto che hai aggiornato! Attendo un cambiamento
di umore per leggerle e commentarle), Picchia (beate voi
che la data di Roma già ce l'avete fissata! In un modo o
nell'altro li rivedrete comunque... incorciamo le dita in attesa di
nuove notizie anche per Torino e Bologna!), _Princess_ (eheheh,
spero di averti fatto ridere altrettanto con questo capitolo! E
ribadisco: non tutto è come sembra... perchè alla
fine spunterà Mondenkind! Che rivelazione beautifulliana!
eheheh!), Kiki91
(Grazie per la partecipazione!)
Come
nell'altro capitolo, se cliccate sul titolo del capitolo, vi rimando
alla canzone 'Little Joanna'....
4. Little Joanna
Lasciò
che il sole lo svegliasse completamente. Con
calma, si era introdotto tra le sue palpebre, gli aveva fatto il
solletico, per
poi piantarsi amorevolmente sulla sua tempia e riscaldarla fino ad
ebollizione
raggiunta.
“Fottuto sole, ti odio…”,
borbottò, masticando
involontariamente un lembo della federa bianca, che sputò
via poco
garbatamente, sbuffando.
Aprì di qualche millimetro la corazza costruita
intorno alla sua testa dal cuscino piegato in due e guardò
l’ora sul suo orologio, depositato per la notte sul comodino.
“Palle…”, fece, notando che erano solo
le nove e
mezza.
Alle nove e mezza il sole lo aveva svegliato,
perché la sera prima era stato talmente ubriaco da scordarsi
di chiudere le
pesanti tende nere che oscuravano la finestra della sua stanza
d’albergo. Non
si ricordava chi ce lo aveva portato dentro, forse Harry o Tom, non ne
era
sicuro. Sentiva la bocca impastata, priva di ogni forma di
salivazione, e la testa che veniva suonata come un bongo africano
dall’emicrania in corso.
Dio,
che giornata…
E
tutto per una decina di bicchieri di vino. Fosse stata birra
l’avrebbe retta con la punta di
un dito, ma quel vino… no, quel vino era troppo peso anche
per il suo fegato,
che in quel momento stava indolenzito tra il suo polmone e…
qualsiasi altra
cosa delle schifezze che teneva sotto la pelle, vicino al fegato
stesso. Si alzò barcollando, cercando di trattenersi dalla
voglia di svenire e vomitare, ed andò verso il bagno. Era
l’ora di riempirsi di
aspirine e di caffè, altrimenti sarebbe stato nervoso per
tutto il giorno.
Dopo una lunga doccia calda, che fece attenuare la
morsa alla testa, si preparò per la classica operazione di
deforestazione
facciale. Accese un po’ di tv per farsi compagnia, indeciso
su quale dei canali
preferiva perdersi in comprensioni inutili della lingua italiana.
Lasciò lo
schermo su Mtv, l’unico canale che conosceva, e si mise
davanti allo specchio.
“Avanti, ce la puoi fare.”, disse, sorridendosi.
Dopo una decina di minuti, il suo viso era un
tappeto di taglietti.
“Merda!”, esclamò, resistendo poco
stoicamente al
bruciore del dopobarba.
Non ci riusciva mai, lui era sempre destinato ad affettarsi la
faccia. Uscì dal bagno imprecando sonoramente, se sua madre
fosse stata lì lo avrebbe riempito di schiaffi sulla bocca.
Inciampò su un paio di pantaloni messi a terra e
cadde sul letto. Fece per alzarsi e rotolò col culo per
terra. Si sedette e sbattè la mano contro
qualcosa…
non
sapeva cosa.
Dio,
che giornata…
Cercò
di mettersi in piedi senza finire col
tumefarsi contro qualche spigolo vagante e ci riuscì
abbastanza bene. Aveva una
voglia matta di caffè nero, di una lunga brodaglia scura, di
concentrato di
caffeina, di steroidi neri naturali che lo svegliassero…
anche se doveva
ammettere che i ruzzoloni appena terminati erano serviti già
per quello scopo.
Si strusciò gli occhi e, dopo aver grufolato come
un maiale nella sua ciotola, nella valigia trovò qualcosa da
mettersi.
Impiegò qualche
secondo nel trovare il modo giusto per infilare i bottoni della camicia
nelle
giuste asole ma alla fine il risultato fu… pessimo. Un paio
di bottoni vagavano
senza posto tra due appena infilati e il bavero sinistro pendeva
più corto di
quello destro. Niente camicia per quel giorno.
Prese una maglietta a maniche lunghe e una t-shirt.
Perfetto, tranne che aveva indossato entrambi i capi al contrario.
Dio,
che giornata…
Almeno
riuscì ad
indossare i pantaloni
nel modo
giusto al primo colpo. Tornò il momento delle magliette
e, una volta
infilate le braccia nelle maniche, poteva dirsi tutto sommato
soddisfatto. A
parte i tre taglietti che adornavano la sua faccia pulita…
dannazione!
Ricapitolando: i pantaloni ce li aveva, la
maglietta anche.
Mancavano calzini e scarpe. Non badò ai colori,
infilò i primi calzini che parevano uguali. Uno
nero e uno marrone,
ma tanto nessuno lo avrebbe notato. Anche le scarpe finirono ai suoi
piedi. In previsione di non tornare più in camera,
prese
anche il cappotto nero, il cappellino, la sciarpa e i guanti. Ah! La
chiave
della camera.
Caffècaffècaffècaffècaffècaffè.
Era
un pensiero fisso che lo tormentò per tutta la
discesa dell’ascensore, fino alla sala della colazione. Un
lungo bancone colmo
di cibarie varie lo accolse, investendolo con uno tsunami di odori
diversissimi.
Dio,
che giornata…
Niente
colazione. Solo caffè.
Si avvicinò alla macchinetta self service e
posizionò una grossa tazza sotto al beccuccio dispenser.
Cercò tra i nomi
italiani qualcosa che somigliasse al black
coffee che tanto desiderava. Non trovò niente,
solo semplicemente caffè,
oppure cappuccino, moccaccino, capciock, ciopciap, flipflap e
Mickey
Mouse.
“Fottuto Donald Duck.”, borbottò,
attirando lo
sguardo indispettito di un signore di passaggio.
Non era sempre ragionevole di prima mattina.
Premette su caffè
ed attese, guardandosi intorno. Il rumore della macchinetta
durò,
inaspettatamente, pochi attimi e la sua tazza era riempita solo per
mezzo dito.
“Ehm… di più.”, disse, come
se la macchina potesse
starlo a sentire.
Provò con una leggera botta, assestata sul fianco
quando nessuno girovagava con lo sguardo dalle sue parti. Ma niente,
sembrava
aver finito, doveva soffrire di eiaculazione precoce. Era
ufficiale, odiava quella macchina per caffè.
Era come quelle odiose ragazze che gliela facevano annusare ma poi si
ritiravano all’ultimo momento.
Dio,
che giornata…
“Mi
scusi”, cercò di attirare l’attenzione
di un
ragazzo in gilet rosso, “Questa cosa non
funziona.”, gli disse.
Il ragazzo lo guardò con aria strana. Forse il suo
lungo cappotto nero e gli occhiali da sole sulla faccia lo facevano
sembrare un
teppista. Il cameriere appena fermato si mise a controllare la macchina
del caffè.
“Funziona.”, gli disse, allontanandosi in un
sorriso stretto.
E allora perché gli dava sempre il solito
striminzito espresso! Lui voleva un caffè nero e lungo!
Dio,
che giornata…
Ok,
aveva capito, doveva andarsi a cercare il caffé
al di fuori di lì. Lasciò tutto come aveva
trovato, riposando la tazza sul
tavolo, e se ne uscì dall’hotel.
L’aria era abbastanza freddina, dopo tutto erano a
febbraio, e dovette chiudersi nel suo cappotto di stoffa nero,
custodendo le
mani dentro le tasche, dato che i guanti gli erano pressoché
in utili. Eppure
il cielo era veramente limpido, come se fossero stati in piena estate.
Solo una
piccola nuvola annoiata, che si nascondeva dietro al tetto degli alti
edifici
che costeggiavano il viale in cui stava camminando.
Si vedeva che era sabato, le strade erano piene di
gente. I negozi
esponevano gli ultimi
cartelli dei saldi, tutto era scontatissimo e, anche se era presto,
già
qualcuno camminava con delle buste in mano. Ebbe la tentazione di
entrare in un
paio di locali, vedendo la gente chiusa al loro interno a mangiare
cornetti,
accompagnati da tazze con schiuma fumante di latte. Ma non lo fece,
perché gli
era improvvisamente tornato a mente il locale del giorno prima.
Se servivano piatti inglesi, allora anche il caffè
era all’inglese!
Il problema era ricordarsi dove si trovasse questo
locale, di cui non si ricordava nemmeno il nome. Forse iniziava con la
lettera
g…
Dio,
che giornata…
Si
grattò la testa, passando con poca grazia sotto
al capellino nero di lana che indossava e che fece presto a calarsi
sulle
orecchie gelide. Tornò a camminare, magari se seguiva la
massa poteva trovare
qualche posto che faceva per lui.
Fu fermato da un paio di turisti che gli chiesero
spiegazioni in un inglese stentato e dovette ripetergli più
volte che non era
del posto e che non conosceva niente di Firenze, se non che si trovava
in mezzo
all’Italia, o giù di lì.
Mentre la nebbiolina usciva fuori dalle narici, fu
attratto dall’osservare la vetrina di un parrucchiere, dove
una ragazza bionda
stava facendo svogliatamente la messa in piega ad una signora di una
certa età,
masticando vistosamente una chewing gum. Ci mancava solo che la
prendesse e
gliela spiaccicasse sulla testa, pensò.
Inorridì al sentire la voce stridula di un bambino,
che gli penetrò nelle orecchie e rinvigorì la sua
emicrania, fino quel momento
miracolosamente sparita e poi ricomparsa improvvisamente. Ma che belli
i
bambini… quelli silenziosi!
Camminò per altri cinque minuti, infiltrandosi tra
turisti e gruppi di ragazzini che avevano marinato la scuola, oppure
erano in
gita nella città. Fu costretto poi, suo malgrado, a fermarsi
nei pressi di una
fermata dell’autobus abbastanza affollata. Una mandria di
persone, sbucate da
un’apertura nel terreno, lo avevano investito in pieno, per
precipitarsi poi su
un frettoloso bus che si era fermato giusto in tempo per vederli
arrivare. Quel
buco per terra doveva essere un sottopassaggio, magari c’era
la metro, ma non
vide nessun cartello con la M
impressa sopra.
Non appena l’investimento terminò, si
suggerì di
tornare sui suoi passi.
Di profilo, un simpatico naso e un ciuffo di
capelli biondastri, spuntato da sotto un cappellino di lana verde, lo
bloccarono in mezzo al marciapiede.
“Little Joanna!”, esclamò, aspettandosi
che la
cameriera di quel locale si voltasse dalla sua parte, ma lei non lo
fece.
Le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla,
facendola sussultare.
“Little Joanna!”, la chiamò ancora,
vedendola
abbastanza spaesata, “Sono io! Danny!”
L’espressione tesa della ragazza parve rilassarsi,
per concedergli un sorriso striminzito, imbarazzato.
“Ciao…”, mormorò lei.
“Che ci fai qua!”, esclamò ancora Danny,
“Stai da
queste parti?”
“Beh… veramente sto aspettando il
bus…”, disse lei,
indicando la strada.
La sua faccia raffreddata era simpatica. Le dette
una rapida occhiata. Aveva un cappotto di taglio simile al suo, dello
stesso
verde scuro del cappello, legato in vita da una cintura. Sotto di esso
spuntavano un paio di semplici pantaloni di jeans e, a tracolla,
portava una
borsetta di cuoio, tenuta per sicurezza dall’altra mano sulla
sua apertura. Una
spessa sciarpa bianca stava legata intorno al collo, coprendola fino al
mento.
“E dove ti porterà di bello il bus?”, le
fece.
“Beh…”, disse lei, abbassando lo
sguardo, “A… fare
la spesa…”
Ah, quindi da nessuna parte dove facessero caffè,
cioè non stava andando al lavoro, al locale.
“Ma che coincidenza!”, le fece , “Anche
io vado a
fare la spesa!”
Lei lo guardò divertita.
“No, dai scherzo.”, si corresse, “Volevo
solo
chiederti che strada devo fare per andare al locale dove lavori, per
prendere
un caffè… magari te ne potevo offrire uno, ma
dato che vai a fare la spesa…”
“Beh, volentieri.”, rispose lei, sorridendogli,
“Ma
è chiuso.”
Chiuso?
Come chiuso… perché
chiuso?
“E’
sabato.”, si spiegò poi lei, leggendogli sul
viso le domande che si poneva, “E chiudiamo al fine
settimana.”
“Ah…”, fece Danny, deluso, “E
non sai dirmi…
qualche posto dove la piantino di rifilarmi caffè compressi
per darmi quei
lunghi beveroni neri che mi piacciono tanto?”
Joanna sbuffò in una risata, coprendosi la bocca
con la mano per non risultare troppo offensiva. Ma a lui non dispiaceva
affatto
che ridesse, era abituato a fare il comico.
“Devi chiedere un caffè americano.”, gli
spiegò
lei, “Perché se chiedi semplicemente un
caffè, ti daranno un espresso.”
“Ah!”, esclamò lui, “Ecco dove
stava il trucco!”
Lei rise di nuovo, poi con un cenno della testa gli
fece capire che il bus che stava arrivando era quello che stava
aspettando.
“E’ stato un piacere incontrarti di
nuovo… Danny…”,
disse lei, abbassando gli occhi, mentre saliva sul bus, dopo che tutti
quelli
vicini a lei avevano ormai salito il gradino di entrata del mezzo.
Lui non fece storie e, impulsivamente, salì sul
bus.
“Vengo con te, Little Joanna!”, fece, giustificando
la sua pazzia davanti allo sguardo stupito di Joanna,
“Così vedo anche come
fate la spesa voi italiani!”
“Ma tu non hai il biglietto!”, esclamò
lei,
ridendo, esterrefatta.
“E allora?”, sbottò lui, “Sai
quante volte l’ho
fatto in Inghilterra?”
Da buona ragazza quale sicuramente era, lo guardò
con rimprovero. Poi frugò nella borsetta e tirò
fuori un tagliando rosaceo, che
inserì in una macchinetta gialla.
“Ecco.”, gli fece, porgendogli il suo biglietto
timbrato, “Così evitiamo noie.”
Prese il cartellino dalle punta delle sue dita e lo
osservò.
“Perché tu non fai altrettanto con il tuo
biglietto, Little Joanna?”, le chiese, con sorriso beffardo.
“Perché io ho
l’abbonamento…”, disse lei, con tono
ovvio, e poi sbuffò, “Perché mi chiami
Little Joanna? Come ho detto a Tom, io
sono solo Jo!”
“Appunto!”, esclamò lui, “Lo
hai detto a Tom. Non a
me, quindi ti chiamo come mi pare!”
“E come mi chiameresti allora, Danny Jones?”, fece
lei, incrociando le braccia intorno ad uno dei pali rossi
dell’autobus, che nel frattempo era ripartito.
“Little Joanna. Sempre.”, le fece, scoppiando a
ridere.
Lei era tutt’altro che divertita, pareva abbastanza
perplessa.
“E che Little Joanna sia!”, disse poi, sospirando.
Era
tempo di razionalizzare. Momento di tirare
fuori le palle per affrontarsi.
Cercando di lasciare da parte l’emotività,
caratteristica fondamentale del suo carattere ingarbugliato, in quel
momento,
si stava trovando su un bus. Esattamente il numero 127, che la portava
ad un discount
lontano dal centro cittadino dove, per effetto di questa distanza,
tutto
costava meno che altrove. Nella tasca del suo cappotto verde
c’era una corta
lista della spesa: prodotti per la casa e per l’igiene. Non
molto, erano le
uniche cose che mancavano.
Avrebbe dovuto anche passare al videonoleggio a
prendere qualche film, comprarsi un paio di reggiseno e due di mutande.
Poi
avrebbe preso il bus in senso inverso, sarebbe tornata a casa e, dopo
un veloce
pranzo, si sarebbe messa una tuta e un paio di comode sneakers per
andare un
po’ a correre al parco.
Una volta terminata la sessione settimanale di
allenamento contro la ciccia sui fianchi, sarebbe tornata a casa e,
dopo una
doccia, avrebbe passato la sera a riempirsi di pop corn e coca cola,
davanti allo
schermo della tv che riproduceva qualche film. Visto che Miki era
partito per
la partita e non tornava fino a domenica notte inoltrata, non sarebbe
uscita
come di solito con lui e quegli scemi dei suoi compagni di squadra.
Erano un
gruppo abbastanza folto di ragazzi e ragazze, si divertiva abbastanza
con loro.
Ecco, queste sarebbero state le tappe fondamentali
della sua giornata.
E tutto sarebbe andato come previsto, se non fosse
stato per un particolare.
Il nome di questo particolare era Danny Jones che,
in quel momento, si trovava esattamente aggrappato ad un palo rosso
dell’autobus 127. Cioè accanto a lei.
Se non fosse stato che quel particolare Danny Jones
era anche lo stesso Danny Jones raffigurato con la bocca aperta in una
strana
espressione sul pezzo di carta appeso alla porta di camera sua, in
piedi sul
sedile posteriore di una Mini rossa
decappottabile,
non ci avrebbe fatto molto caso. Forse lo avrebbe addirittura ignorato,
pensando che fosse un semplice turista di passaggio.
Ma si dava il caso che le due personalità
coincidessero.
E c’era anche da aggiungere che Danny Jones era su
quel bus perché la stava accompagnando a fare la spesa.
A fare la spesa!!!
Danny Jones la stava accompagnando a fare la spesa!
Era incredibile.
E quello stesso Danny Jones aveva detto che
l’avrebbe chiamata sempre Little Joanna. Sempre.
Quanto poteva durare quel sempre?
Fosse stato per lei, anche tutta la vita. Ma quello era un pensiero da
fan, non
da Joanna Bellini, cioè da lei stessa.
Era una sentimentale, una emotiva, ma quello era
Danny Jones dei McFly, lo stesso che la guardava insieme agli altri
quattro,
appeso con lo scotch alla porta di camera sua. Quindi quel sempre sarebbe durato finchè
non si sarebbero salutati, scesi dal
bus, al ritorno dagli acquisti.
Sì, sentimentale
emotiva goffa Joanna, ma non stupida.
Non si fece pensieri, non si fece filmini mentali,
anche perché non aveva la lucidità mentale per
farlo. Non era perché Danny
fosse dannatamente un bel ragazzo, con gli occhi blu, i capelli mossi
che
spuntavano impertinenti sulla fronte da sotto il berretto e il sorriso
contagioso. Era la sua persona in totalità a scombussolarla.
Era il fatto che
fosse Danny Jones dei McFly a farla star male, c’entrava poco
la sua avvenenza.
Ci fosse stato Harry, o Dougie, perfino Tom,
sarebbe stato lo stesso. Adorava i McFly, le loro canzoni, i testi
spesso disimpegnati,
le melodie orecchiabili quasi da spiaggia… E poi erano
così deficienti!
Ovviamente c’erano molti altri gruppi che preferiva
nettamente a loro, sia
nelle melodie che nei significati dei loro testi.
Ma i McFly erano i McFly e, per quanto ci fosse
qualcuno sempre meglio di loro, avevano un posto di tutta riserva nelle
sue
preferenze musicali.
Quasi invidiava la loro disinvoltura…
“Little Joanna, a cosa stai pensando?”, le fece
Danny, distogliendola dai suoi pensieri.
“Ehm… a niente.”, disse lei, abbozzando
un sorriso
e tornando con lo sguardo fuori dal finestrino.
“Sei silenziosa.”, disse lui, appoggiando la testa
alla sbarra verticale rossa, tenuta stretta da entrambe le mani,
“Sei sempre
così?”
“A volte sì.”, gli rispose, facendo
spallucce.
“Tra quanto arriviamo?”, le chiese, guardando anche
lui al di fuori, “Mi sembra di capire che stiamo uscendo
fuori dalla città.”
“Sì, hai ragione. Mancano solo un paio di
fermate.”
Erano nel bel mezzo di una delle zone industriali e
commerciali più grandi di tutta la Toscana.
“Sei… mai stato in Italia prima di
ora?”, gli
chiese, cercando un appiglio per conversare con lui, senza fare di
nuovo la
figura del pesce muto.
“No, mai stato prima.”, rispose lui,
“Però l’ho sempre
voluto fare. Siamo arrivati ieri in città, colpa di
Fletcher, ci ha trascinato
qua con una settimana di anticipo perché si voleva vendicare
del tempo
trascorso a Parigi.”
“Ah sì?”, gli fece.
Meno male che lui non si tratteneva a parlare.
“Sì, siamo stati una settimana a
Parigi… a
divertirci.”, disse lui, con tono vago.
“E’ una città bellissima…
cosa avete visto di
bello? Il Louvre? Versailles? Monmartre?”
“Beh…”, fece lui, imbronciando la bocca
in
espressione pensierosa, “Avrei voluto.”
Lo guardò perplessa.
“Siete stati a Parigi e non avete visto niente di
tutto questo?”, gli fece.
“Forse Fletcher ha visto tutta quella roba che hai
detto tu.”, rispose lui, con sorriso beffardo, “Ma
noi liberi da catene ci
siamo buttati tra le braccia delle ragazze del Moulin
Rouge…”
Esterrefatta. Totalmente, cercava di nascondersi
dietro ad uno sguardo fisso su di lui. Poi lo spostò fuori,
sulla strada.
“Siamo arrivati.”, disse, avvicinandosi
all’uscita
del mezzo.
Scesero dal bus di fronte ad un grande
supermercato, dovettero solo attraversare un viale ad alta
densità di traffico,
pregando che nessuna delle macchine li investisse.
“Che cosa devi comprare di bello, Little Joanna?”,
le domandò Danny, mentre entravano nella grande bocca del
supermercato.
“Un po’ di cose.”, rispose lei, tirando
fuori la
lista dalla tasca.
“Fammi vedere!”, esclamò lui,
strappandogliela di
mano e mettendosi a leggerla, “Ma non ci capisco
niente!”
“Secondo te mi metto a scrivere la lista della
spesa in inglese?”, sbottò Joanna, ridendo.
“Beh… visto che lo parli così bene, mi
viene quasi
da pensare di sì.”, rispose lui, restituendogliela
deluso, “Sei mezza inglese?”
“Assolutamente no.”, rispose lei, entrando
all’interno della zona del mercato, lasciando perdere tutte
le attraenti
vetrine dei negozi della galleria commerciale.
Afferrò un cesto verde dal manico nero ripiegato e
dette un’occhiata alla lista.
“Allora te lo devono aver insegnato davvero per
bene a scuola!”, continuò Danny, seguendola,
togliendosi sciarpa e guanti per
il caldo dell’aria.
“Sì... diciamo di sì...”, gli
rispose.
La spesa era una cosa che odiava fare con tutto il
cuore, a era suo compito. Visto che lui era stato così tanto
gentile da
prestargli la sua compagnia, decise di sfruttarlo.
“Senti,
non
è che ti dispiace tenermi questo?”, gli fece,
passandogli il cesto verde.
“Oh no! Figurati!”, disse lui, prendendolo.
Sapeva cosa comprare e dove trovarlo, quindi si
diresse automaticamente verso le zone interessate.
“Da quanto tempo lavori al locale?”, le chiese lui,
mentre andavano verso gli scaffali dei prodotti per la casa.
“Da circa sei mesi.”, rispose lei.
“E vivi anche da sola, se non ricordo male.”
“Sì.”
Poteva anche essere Danny Jones dei McFly, ma la
sua vita privata rimaneva tale. Non le piaceva parlarne. Prese i
flaconi della candeggina e dei detersivi per i panni e
accomodò dentro alla cesta, spostando
i guanti e la sciarpa che Danny vi aveva messo.
“Allora devi essere una tipa veramente in gamba!”,
esclamò, ma non ricevette risposta.
Enigmatica.
Di sicuro era la persona più enigmatica che aveva
avuto il piacere di conoscere. Era anche carina: bocca disegnata, occhi
grigiastri e capelli biondi, sul mosso. Decisamente non il suo tipo,
era troppo
acqua e sapone, ma era a suo modo molto carina. Semplice e timida,
sicuramente
spaventata dalla sua esuberanza.
Fu per questo che decise di oscurarsi un po’, sentiva
che lei era a disagio. Era salito su quel bus perché non
aveva niente da fare,
gli era passato il mal di testa ed anche la voglia di caffè.
Non voleva
tornarsene in hotel, gli altri sarebbero rimasti a dormire per via
della sonora
sbornia raccolta la sera prima.
Preso dalla sua solita impulsività, aveva messo
piede nel bus, senza biglietto né una motivazione valida.
Lei, che non pareva
essere il tipo di ragazza carpe diem,
c’era rimasta un po’ così
così. E si stava sforzando per sopportarlo, diciamo.
La lasciava camminare tra i carrelli abbandonati da
massaie in cerca del prodotto dimenticato, seguendola fedelmente. Le
porgeva il
cestino quando lei aveva scelto quale tra i due shampoo fosse quello
migliore e
stava zitto. Sicuramente adesso lo stava preferendo nettamente al Danny Bocca Larga.
Doveva essere una ragazza simpatica, una volta che
si trovava a suo agio con le persone. Non molto spigliata ed
estroversa, ma simpatica.
Almeno lo era stata quando l’aveva conosciuta al locale, il
giorno precedente.
Aveva sopportato le insinuazioni di Harry e solo per questo doveva
essere
premiata.
La vide rileggere la lista e controllare di nuovo i
prodotti dentro alla cesta.
“Preso tutto?”, le chiese, rompendo il silenzio.
“Beh... penso di sì...”, disse lei,
ancora
soprappensiero, “Ma sento che sto dimenticando qualcosa che
non ho scritto
sulla lista.”
Si picchiettò la punta dell’indice sulle labbra.
Poi il dito si fermò.
“Trovata vero?”, le fece, sorridendole.
“Sì...”, disse lei, con aria imbarazzata.
Si rimise in cammino e si intrufolò tra due file di
scaffali.
Ah, ecco che cosa le mancava, pensò Danny, con un
sorriso beffardo abilmente nascosto da un’espressione del
tutto asettica. La
vide prendere una confezione plastificata rosa di assorbenti e tornare
da lui a
testa bassa, con guance rosse. La mise dentro la cesta ed
alzò gli occhi.
“Danny Jones, non ridere! Sono una ragazza e ne ho
bisogno!”, gli fece, con sorrisetto complice.
“Little Joannas crescono!”, le rispose, con un
finto
sospiro commosso.
Pagarono ed uscirono dal supermercato, per tornare
alla fermata del bus. Da gentiluomo, le concesse di portare la busta
della
spesa mentre lei in cambio gli cedeva un altro biglietto.
C’era una notevole
quantità di persone ad attendere un pubblico trasporto e
sperò che non avessero
tutte bisogno di salire sul suo stesso mezzo.
“E’ stato bello fare la spesa?”, gli
chiese Joanna.
“Oh sì, che esperienza fantastica!”, le
fece, “E’
stato un fiume di emozioni: stavo per mettermi a piangere davanti al
reparto
della carne.”
Lei rise, scuotendo la testa.
“Mi immaginavi già così scemo,
vero?”, le chiese.
“Beh... diciamo di sì.”, rispose Joanna,
“Ma penso
che il vero Danny Jones lo sia anche di più.”
“Oh, certo che sì! Dovevi vedermi ieri sera, mi
sono ubriacato così tanto che non mi ricordo
niente!”, le disse ridendo.
Lei scosse di nuovo la testa.
“A proposito, cosa fai stasera?”, le
domandò.
Magari un po’ di vino scioglieva anche lei.
Joanna parve immobilizzarsi.
“Beh...”, disse, togliendo un ciuffo di capelli che
le era entrato nella piega della bocca.
“Tranquilla, ci saranno anche gli altri!”, le
disse, “E poi abbiamo bisogno di qualcuno che ci illustri le
meraviglie di
questa bellissima città!”
“Grazie...”, rispose Joanna, “Ma ho da
fare...”
Era diventata rossa come la sciarpa di una delle
signore intorno a loro.
“Beh... ovviamente te l’ho chiesto così,
senza
pensare che magari hai un ragazzo...”, le disse,
“Comunque, davvero, non l’ho fatto
con malizia. Semplicemente perchè mi sei simpatica e sei
carina, staremmo tutti
bene con la tua compagnia.”
Lei spostò lo sguardo altrove.
“Sì, hai ragione, scusami.”, disse,
scuotendo la
testa, “E’ che... semplicemente ho un altro
impegno.”
“Certo, incasserò il tuo rifiuto con un elegante
sorriso.”, le disse e le rise, “E di domenica? Sei
impegnata anche domani?”
La risposta aveva paura ad arrivare.
“Non ti preoccupare.”, le disse, “Domani
ti aspetto
insieme agli altri alle dieci e mezza, davanti all’hotel
Venice, dove
alloggiamo . Se ti vedremo arrivare, significa che hai accettato
l’invito.”
“Beh... ok.”, disse lei, con un filo di voce,
“Ecco
il bus.”
Fecero fatica a salire, un’alta marea di persone li
travolse e, senza che se ne accorgessero, si trovarono aggrappati ad
uno dei
pali verticali, pressati tra la gente, l’uno contro
l’altro.
Per tutto il viaggio, non una sola parola uscì
dalla bocca di Joanna. Silenziosa e statica, immobile guardava altrove,
voltando la testa di lato per non premerla contro il suo petto.
Quella situazione era del tutto imbarazzante anche
per lui, non poteva negarlo. Aveva paura di respirare, di muoversi e
dire
qualsiasi cosa. Stava per scoppiare a ridere come un deficiente per il
disagio.
Non era mai stato facile metterlo in situazioni del genere: aveva
suonato
interamente nudo per aver perso una scommessa, ormai niente gli faceva
più
effetto.
Il viaggio, che all’andata era durato un quarto
d’ora scarso, parve sembrare tanto lungo quanto la
circumnavigazione dell’intero globo. Fu un sollievo quando
Joanna gli disse che erano arrivati.
Odiava sentirsi imbranato e impacciato.
Insieme a loro, scese anche tutta la fiumana di
gente che li aveva compressi.
Evidentemente imbarazzati, non sapevano come
salutarsi.
“Beh... allora, a domani!”, le disse, scuotendo una
mano.
Lei fece un cenno rapido con la testa, un sorriso
abbozzato e se ne andò, con la sua busta della spesa.
I suoi capelli profumavano di vaniglia.
Gambe
incrociate. Seduta davanti alla tv con la
ciotola dei pop corn tra le gambe.
Stupidastupidastupidastupidastupidastupidastupida!
Era di nuovo l’ora di razionalizzare, prima di
cadere in pensieri inutili. Era l’ora di esaminare
dettagliatamente ogni parola
che era uscita dalla bocca di lui.
‘A
proposito, cosa fai
stasera?’,
le aveva domandato. Quindi c’era stata una
richiesta semplice. Lui aveva voluto sapere se aveva impegni o no. Una
domanda
che poteva anche essere del tutto innocua, in fin dei conti. Poteva
anche
averglielo chiesto semplicemente per far conversazione, o no?
No, perché poi aveva continuato. Lei aveva esitato
a rispondere e lui aveva rimediato.
‘Tranquilla,
ci saranno
anche gli altri! E poi abbiamo bisogno di qualcuno che ci illustri le
meraviglie di questa bellissima città!’
Ecco!
Ecco qual era il vero scopo di quella
domanda. Avevano bisogno di un
cicerone. Attenzione, avevano bisogno, non aveva bisogno, verbo al
plurale.
Quindi questa era una necessità collettiva del suo gruppo.
Non sua,
strettamente personale.
E lei cosa aveva risposto? Che aveva da fare. Avrebbe
voluto infilare la testa tra i popcorn e annegare nelle esalazioni del
sale.
‘Beh...
ovviamente te l’ho
chiesto così, senza pensare che magari hai un
ragazzo...’,
le
aveva detto, ‘Comunque, davvero,
non l’ho
fatto con malizia. Semplicemente perché mi sei simpatica e
sei carina, staremmo
tutti bene con la tua compagnia.’
Ed ecco la svolta.
Danny Jones, sue testuali parole, aveva detto che
la trovava carina e simpatica.
Carina e simpatica.
Dalle sue parti, se qualcuno dava del simpatico ad
una ragazza, voleva dire che era brutta da non potersi guardare. Ma
Danny aveva
incluso anche l’aggettivo carina e ciò poteva
essere interpretato come un buon
segno.
Però… c’era un però!
Staremmo
tutti bene con la
tua compagnia…
Danny
Jones aveva detto che tutti loro sarebbero
stati bene in sua compagnia, tutti loro dei McFly. Questo loro
includeva anche
Harry, Dougie e Tom, non solo lui. Quindi lui l’aveva
invitata per stare in gruppo
con loro, non sola con lui, oltre ad aver parlato in principio della
necessità
di una guida turistica.
Per la serie: Sì,
sei carina, ma portami nei locali. E mica si offendeva per
quello!
Si era negata un’altra volta. Il suo stupidissimo
impegno era un signore panzuto con la gotta e l’alito pesante
dal nome Alfred,
col suo cazzoso film visto e rivisto!
‘Certo,
incasserò il tuo
rifiuto con un elegante sorriso. E di domenica? Sei impegnata anche
domani?’
Due
implicazioni. Il sorriso di Danny e un nuovo
invito. Per quanto riguardava il primo, doveva ammetterlo: aveva un
po’ i
dentoni da cavallo ma… cavolo, se gli sorrideva
un’altra volta in quel modo
l’avrebbe stesa ko. Altro che Tyson o Carrera! Danny Jones
versus Joanna
Bellini, ko per la ragazza al primo round. Dovevano andare a
riprenderla col
cucchiaino.
Per quanto riguardava invece il nuovo invito… beh,
allora il destino voleva davvero metterla sulla strada dei McFly. Non
c’erano
dubbi, sarebbe andata al loro hotel alle dieci e mezza, voleva vedere
di che
cosa erano davvero capaci quegli scemi messi insieme.
‘Non
ti preoccupare. Domani
ti aspetto insieme agli altri alle dieci e mezza, davanti
all’hotel Venice,
dove alloggiamo . Se ti vedremo arrivare, significa che hai accettato
l’invito.’
Aveva
potuto anche dirglielo subito che accettava.
Ma era ancora scombussolata.
Durante tutto il tragitto gli era stata
praticamente appiccicata addosso.
Non sapeva quale profumo usava Danny Jones, ma era
sicuramente molto buono.
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Capitolo 5 *** Down by the
5.
Down by the Lake
Sea
Stranamente l’aria era calda, primaverile, le
faceva quasi caldo. In piedi, davanti alla porta dell’Hotel
Venice, aspettava
che arrivassero le dieci e mezza. Mancava ancora un quarto
d’ora
all’appuntamento, ma era sua inclinazione naturale essere
sempre in anticipo
per paura di ritardare.
L’hotel, dall’esterno, doveva essere costoso. Non
troppo, ma abbastanza. Un grande tappeto col nome della struttura
impresso
sulle fibre accoglieva i clienti in arrivo ed in partenza, scortati
all’interno
da una grande porta girevole in continuo movimento.
Un signore nel doppio petto della sua divisa le si avvicinò.
“Scusi signorina, sta aspettando qualcuno
dell’albergo?”, le domandò con garbo.
“Beh… sì.”, disse, sentendosi
un po’ stupida.
“Vuole entrare?”, le fece,
“Può attendere nella
hall.”
“Se non sono di troppo disturbo…”, disse.
“Ma no, prego.”, disse l’uomo, facendole gesto di andare,
“Può anche
chiedere alla reception di poter annunciare all’ospite il suo
arrivo.”
“Grazie.”, rispose.
Aveva appena fatto la figura della provinciale… Si
avvicinò alla reception e parlò ad una sorridente
ragazza.
“Beh… vorrei dire al signor Jones che sono
arrivata.”, disse a voce così bassa che dovette
ripeterlo.
“Quale stanza?”, le fece lei.
"Non lo so…”, rispose,
alzando lievemente le
spalle.
“Un momento, controllo.”, disse l’altra,
controllando sul pc, “Ah, ecco, glielo chiamo subito. Di chi
devo riferire?”
“Joanna.”, rispose lei.
“Perfetto, può accomodarsi.”
Si allontanò e si sedette su una delle tante
poltroncine.
Il
trillo improvviso del telefono lo fece
sussultare e rimbalzare un paio di volte sul materasso. Aveva richiesto
per
caso la sveglia alla reception? No! E lo avrebbe sonoramente
specificato. Prese
la cornetta con rabbia.
“E’ il signor
Jones?”, chiese la voce suadente della receptionist.
“Sì… e stavo dormendo!”,
sottolineò.
“Capisco
signore, ma qua c’è una persona che la sta
aspettando.”, disse l’altra,
senza scomporsi.
“Persona? Quale persona?”, chiese, perplesso.
“La signorina
Joanna.”
….
Oh cazzo!
“La devo far
allontanare?”, domandò la receptionist,
percependo che forse l’arrivata non
era del tutto attesa.
“Oh no! Le dica solo che scenderemo al più presto
possibile!”, agganciò il telefono.
Cazzo, non si era dimenticato affatto di Joanna, solo che era
sicuro al cento per cento che lei non avrebbe mai accettato
l’invito. Lo aveva
detto agli altri ed insieme avevano convenuto che la mattina seguente
si
sarebbero alzati giusto in tempo per il pranzo.
“Conoscendoti,”, gli aveva detto Tom, “ci
hai
provato talmente tanto che Jo pensava di fulminarti con il
teaser!”
“Ma no, non è vero!”, si era difeso,
“Non ci ho
provato, non è il mio tipo… e bastava che aprissi
la bocca per farla
impaurire!”
“Sì, ormai ti conosciamo.”, aveva
ribattuto Tom,
“Quale frase a effetto hai tirato fuori?”
“Nessuna!”, aveva risposto, alzando le mani
innocentemente.
Ma ora lei era giù alla reception. E lui era in
mutande, gli altri forse senza.
Si attaccò al telefono e fece trillare il cellulare
di Tom.
“Sto
mangiando!”, protestò il ragazzo.
“C’è Little Joanna!”, gli
disse.
“Jo? C’è
Jo?!?”, esclamò l’altro.
“Sì… e sicuramente gli altri stanno
ancora
dormendo!”
Venne il turno di Dougie.
“Che
c’è…”,
aveva risposto.
“Little Joanna è venuta! E’
giù alla reception!”,
esclamò.
I rumori prodotti dall’essere antropomorfo al di
là
della cornetta erano tutt’altro che rassicuranti.
“Dougie, fai schifo.”, gli aveva detto,
“Tra un
quarto d’ora ti busso alla porta, oppure la sfondo.”
Riattaccò e compose il numero di Harry. Tardò a
rispondere ma lo fece.
“Cazzo vuoi?
Mi sto radendo!”, disse.
“Ah, bene...”, si confortò,
“Little Joanna è alla
reception.”
“E’ venuta?”,
fece Harry, perplesso.
“Sì.”
“Allora non
mentivi, non ci hai provato con lei.”,
controbattè l’altro, chiudendo la
chiamata.
Come se il fatto che lui ci provasse con una
ragazza comportasse automaticamente che lei poi sparisse dalla
faccia
della Terra!
“Signorina
Joanna!”, la chiamò la receptionist.
Abbandonò la rivista di moda che aveva trovato sul divanetto
su cui era seduta
e andò da lei.
“Stanno per scendere.”, la informò.
“Beh… grazie mille!”, le disse, per poi
tornare a
riprendere il suo posto e la sua rivista.
Riprese lo sfoglio annoiato, soffermandosi
sull’immagine della solita silfide modella. Era
immortalata durante una
sfilata, sul catwalk, con un giaccone color prugna. Carino,
pensò, ma le
piaceva di più il suo classico verde scuro, che indossava in
quel momento, il
taglio era anche simile. Sotto aveva un maglioncino giallo, con un collo
enorme,
che sbalzava fuori dal cappotto. Di nuovo, meglio il suo, che non aveva
niente
a che vedere con quello indossato dalla modella e che era nero a collo
alto.
Non condivideva la mini-minigonna di jeans, né le calze
rosa, né lo
stivaletto penzolante alla caviglia e neppure i grandi occhialoni,
né il
quintale di accessori che aveva al collo. Meglio jeans, converse e
sciarpa.
Proseguì oltre e, quando fu arrivata all’ultima
delle duecentocinquantasette pagine di quella rivista,
guardò l’orologio. Erano
le undici e venti… ancora nessuno si era presentato. Le venne il sospetto. O non l’avevano aspettata,
nel senso che non pensavano che sarebbe arrivata... Oppure Danny
l’aveva presa
in giro. Sì, decisamente la seconda opzione. Sicuramente
stavano ritardando
così tanto per farla spazientire e farla andare via.
Era ovvio.
Profondamente delusa, non tanto da loro, ma da se
stessa, indossò il cappotto ed il cappello. Era
l’ora di togliere le tende e
tornare a passare la domenica come aveva progettato di fare: sdraiata
sul
divano a sonnecchiare come un gatto.
“Little Joanna!”, sentì esclamare dalla
voce
altisonante di Danny.
Meglio tardi che mai, pensò.
“Hey...”, fece lei, abbozzando un sorriso.
Di nuovo, ecco l’agitazione che saliva.
Dietro di lui, Harry e Tom.
“Buongiorno Jo!”, la salutò Tom.
“Giorno...”, abbozzò un assonnato Harry.
“Te ne stavi andando per caso?”, la colse alla
sprovvista Danny. Infatti, lei sperava che non si fosse accorto del suo
tentativo di fuga.
“Beh... diciamo di no.”, disse, nascondendosi
dietro ad un sorriso.
“Scusaci ma... non pensavamo davvero che saresti
venuta.”, si scusò Tom, “Pensavamo che
Danny ti avesse spaventato.”
“Provandoci spietatamente con te.”, aggiunse Harry.
“Non è vero ragazzi!”, si difese
nuovamente Danny,
“Little Joanna, diglielo pure tu che non ci ho
provato!”
In effetti, a parte battute idiote, Danny non aveva
mosso contro di lei nè un dito nè una parola. Ed
infatti, scosse la testa
allargando le mani desolata.
“E quindi si spiega perfettamente il perchè sei
venuta.”, fece Harry, dando una pacca sulla spalla di Danny,
così forte che il
ragazzo cadde quasi in avanti.
“Dougie sta arrivando.”, la informò Tom,
con la sua
solita gentilezza, “A parte me, loro devono ancora fare
colazione.”
“Io non ho fame.”, disse Danny, riprendendosi dalla
botta alla spalla, “Mi basta solo un
caffè.”
“Io mangerei una mucca.”, disse Harry,
massaggiandosi la pancia.
“Allora andate a fare colazione.”, disse Joanna,
“Vi
aspetto qui.”
Harry, seguito da Danny, si allontanò da loro per
andare nella sala da pranzo, dove un allettante profumo di cornetti
freschi
stava solleticando il suo palato. Tom rimase con lei, sedendosi sul
divanetto
di fronte al suo.
“Allora, come stai?”, le fece.
“Tutto ok. Tu?”, rispose, con semplicità.
“Benissimo!”, le disse, sorridendole,
“Non lavori
mai nel fine settimana?”
“Beh... no, il locale chiude.”, si
spiegò.
Tom annuì.
Sembrava impensierito da qualcosa.
“Sentì, sarò onesto.”, le
disse, “Ha fatto qualcosa
di male ieri Danny?”
Le venne quasi di scoppiare a ridere, ma si
trattenne.
“No, posso assicurartelo, si è comportato
bene.”,
gli disse, “Ma perchè tutte queste
preoccupazioni?”
“Beh...”, disse lui, esitando,
“E’ che a volte ci
va giù un po’ peso... Bene!”, fece,
rincuoratosi, “Dove ci porti di bello
oggi?”
Già, dove li avrebbe portati di bello?
“Non saprei...”, gli disse, alzando le spalle,
“Cosa
volete vedere? Perchè se stiamo in città possiamo
anche fare tutto a piedi. Altrimenti...”
“Ecco, hai detto le parole nefaste!”,
esclamò Tom,
coprendosi la faccia con le mani.
Rimase perplessa qualche attimo, in attesa di una
sua delucidazione.
“Chiedere di camminare a quelli là è
come
chiedere... che so... a un cammello di starsene al polo nord.
Praticamente
impossibile!”, disse Tom, “Quando sentono la parola
vacanza, staccano la spina
da tutte le fatiche!”
“Ah! Addirittura!”, fece Joanna, sorpresa,
“Non
pensavo fossero così pigri! Eppure Harry ha anche corso per una maratona, se non ricordo male...”
“Sì, ricordi perfettamente bene....”, continuò
lui, “Un
programma alternativo?”
“Beh... io non ho la macchina, mi dispiace.”,
disse.
Era vero, aveva la patente ma la macchina era off
limits. Quella di Miki l’aveva guidata solo un paio di
volte... e poi in città
c’erano così tanti bus che non ne aveva mai avuto
bisogno.
“Ne abbiamo noleggiata una ieri!”,
esclamò Tom,
contento, “Solo che... sai, voi guidate in maniera opposta
alla nostra e...
insomma, c’è mancato poco che sbattessimo contro
un bus!”
Joanna rise insieme a lui, chiedendosi come
avessero fatto a districarsi nel traffico cittadino. Lei ne era quasi
totalmente
incapace!
“Quindi... se ti va di guidare, puoi portarci dove
vuoi!”, le propose Tom.
In quel frangente, videro Dougie apparire tra le
porte in apertura dell’ascensore ed uscirne insieme ad uno
sbadiglio faraonico.
“Poynter!”, lo chiamò Tom, sbracciando
con le mani.
L’altro si avvicinò con passo barcollante.
“Dove vuoi andare oggi, Doug?”, gli
domandò Tom.
L’altro ci riflettè un po’ sopra, sotto
lo sguardo
divertito di Joanna. Sicuramente Dougie lo sapeva di avere ancora
indosso i
pantaloni a strisce bianche e nere del suo pigiama, ma altrettanto
certamente
non gliene fregava nulla. Si grattò la testa, si
schiarì la voce e disse:
“Caldo, acqua.”
Poi si voltò sui tacchi delle sue etnies slacciate e
raggiunse gli altri nella sala colazione.
Tom si voltò verso Joanna, guardando con
soddisfazione la sua espressione divertita.
“Sai interpretare il messaggio
dell’oracolo?”, le
fece.
“Penso di sì.”, disse Joanna.
Riuscirono
a mettere in moto la macchina noleggiata
che era mezzogiorno passato. Gli unici due già pronti,
Joanna e Tom, erano
quasi esasperati dal tira e molla degli altri tre. Una volta usciti dalla colazione, dovettero tornare
in camera a lavarsi i denti. Poi, una volta scesi, Harry fu costretto a
rifarsi
i piani perchè si era scordato il cellulare.
Successivamente, anche Dougie
aveva ripercorso la stessa strada per la netta sensazione di aver
dimenticato
qualcosa. Scese con un pallone sotto il braccio.
“Allora,
siamo pronti per partire?”,
chiese retoricamente Tom, porgendo le chiavi a Joanna.
“Non vorrai mica far guidare una donna?”,
sbottò subito Harry, vedendolo compiere quel gesto.
“Ti ricordo”, gli fece Dougie, “che ieri,
quando abbiamo ritirato la macchina dal noleggio, eri tu a guidare. E
sei
subito entrato in strada contromano!”
“E allora?”, si riparò Harry,
“Ti ho fatto
vedere la morte in faccia, così la prossima volta che la
incontrerai la
riconoscerai e la saluterai con educazione!”
“Ma sei sicura di avere la patente, Little
Joanna?”, le fece Danny, con aria sfottente.
“Ma
Danny!”, rispose prontamente Joanna, “Guarda che ho
vent’anni!”
“Sarà...”,
continuò lui, “Ci fidiamo di lei
ragazzi?”
“Senti
questa! Senti questa!”, esclamò
Harry, premendo alcuni pulsanti dello stereo.
Era stato lui a sedersi al posto
dell’accompagnatore, mentre gli altri si erano sistemati
dietro. Fortunatamente
quella macchina aveva una buona stabilità in strada,
perchè con tutto il casino
e i movimenti inconsulti che facevano, come spenzolarsi fuori dal
finestrino,
sarebbero finiti fuori corsia. Joanna aveva cercato in ogni modo di
rimanere
concentrata sulla guida, ma con quei quattro era stato del tutto impossibile.
“Che dice questa canzone? Cosa dice?”, le
domandò Danny, aggrappandosi al suo poggiatesta.
“Dice che ora mi avete stancato.”, fece
Joanna, spegnendo lo stereo.
Un coro di proteste si levò dal gruppo di
scimmie urlanti e presto la musica fu riattivata.
"Cercate di fare meno casino...
sto guidando!”, disse Joanna, guardandoli dallo specchietto
retrovisore. Ma
tanto sapeva che era del tutto inutile, loro sarebbero tornati a fare
confusione
di lì a poco.
“Tra quanto arriviamo?”, chiese Dougie.
“Tra poco, ormai ci siamo.”, lo informò
Joanna, sospirando. Quella stessa domanda gliel’aveva fatto
trenta volte.
“Devo fare pipì.”, disse il ragazzo,
picchiettando nervosamente sul bracciolo della portiera posteriore.
“Ma Poynter! L’hai fatta un quarto d’ora
fa!”, sbottò prontamente Tom.
E lì partì l’ennesima tifoseria: Dougie è un piscione, Dougie
è un piscione...
E Joanna stringeva le mani intorno al
volante. Lei, che era una ragazza di solito molto paziente, veniva
continuamente
messa alla prova, ma si rincuorò di lì a poco: aveva
appena imboccato l’ultimo tratto di strada ed erano
praticamente sul mare.
“Woah...”, esclamò Harry, appiccicando
naso e mani al finestrino, “Guardate laggiù
ragazzi!”
Una decina di metri sotto di loro,
infatti, la scogliera veniva bagnata dal mare cristallino e calmo.
Già qualche
persona si era calata fino in fondo, seguendo sentieri ripidi e
rocciosi, e si
godevano il sole caldo d’inverno seduta a pochi passi
dall’acqua pulita.
“Fermiamoci! Fermiamoci!”, presero a
chiedere contemporaneamente Danny e Tom, picchiettando sul sedile di
Joanna per convincerla.
“Ok... fatemi trovare un posto per l'auto...”, disse
lei, rallentando in cerca di un parcheggio lungo la strada.
Una volta scesi, li liberò come i cani
portati al passeggio e, correndo uno dietro l’altro, i ragazzi
ripercorsero tutto il
guard rail in cerca di un sentiero per scendere giù, verso
la spiaggia. Harry,
che teneva il pallone tra le mani sopra la testa, era il primo della
fila.
“Di qua ragazzi!”, esclamò il ragazzo,
richiamando la loro attenzione.
Peggio dei bambini piccoli... Li seguì, cercando di rimanere al loro
passo, ma li vide bloccarsi in fila indiana, a guardare verso la
scogliera
piatta, in basso.
“Che c’è ragazzi?”, chiese
loro.
“Beh... ma non si può giocare a pallone
qua...”, disse Danny, incrociando le braccia.
“Sono tutte rocce... non c’è la
spiaggia.”,
disse Tom, indicando in basso, “Non si può
giocare.”
“E poi dobbiamo fare una fatica immensa
per scendere laggiù.”, concluse Dougie.
“Ho capito...”, disse Joanna, rassegnata.
“Tu,
vai in porta!”, comandò Harry a
Joanna, con il pallone fermo sotto il suo piede.
“Ma io non voglio giocare!”, protestò
lei.
“Andiamo, non fare la bambina!”, la
esortò
lui, “Mettiti tra quei due alberi, sono perfetti!”
“Ma perchè devo farlo io il portiere? Non
può
farlo Tom?”, chiese lei. Sapeva che la sua goffaggine non risparmiava
divertimenti come quello, quindi non voleva giocare con loro. Voleva
solo
prendersi un gelato e starsene seduta sulla balaustra sul mare, sotto
la pineta
terrazzata su cui stavano per mettersi a giocare a calcio.
“Ok, Little Joanna non vuole giocare...
facciamo senza di lei!”, disse Danny, trovando presto la
soluzione.
“Ci sto.”, disse Harry, come se la non
presenza della ragazza nel gioco avesse fatto poca differenza.
“Ok...”, disse lei, un po’ delusa,
“Vado a
farmi un giro.”
Non che si aspettasse di fare parte del
gruppo. Però magari non voleva proprio sentirsi come una
semplice autista. E
comunque se l’era voluta lei, negandosi nel gioco del calcio.
Con le mani in tasca e la borsa che le
picchiettava sul didietro ad ogni passo, Joanna ripercorse il vialetto
che la
portava verso il vicino complesso turistico, dove un gelataio serviva i
primi
clienti della domenica. Prese una coppetta stracolma di cioccolatoyogurtpistacchio
e tornò verso
la pineta ma, invece di andare verso i ragazzi, prese un viottolo fatto
di
lunghi scalini, che la portò al di sotto della terrazza
alberata, dove c’era
praticamente il mare. Seduta su un scoglio rettangolare, che
sembrava quasi tagliato dall’uomo, o forse lo era veramente,
si mise a gustarsi
il gelato. Conoscendosi, era talmente lenta che alla fine i tre gusti
si
sarebbero fusi in un’unica brodaglia marroncina. Incrociò le gambe e stette a godersi il
solicello.
Se non ci fosse stato l’imprevisto McFly,
non avrebbe fatto niente di emozionante. Probabilmente sarebbe uscita
in centro
a guardarsi un po’ di vetrine, oppure avrebbe placidamente
dormicchiato sul
divano. Se ci fosse stato Miki, sarebbe sicuramente andata con lui in
trasferta
per la partita. Non che le interessasse il rugby, anzi, piuttosto che
vedere i
giocatori ammucchiarsi uno sopra l’altro, andava a farsi un
giro nella città in
cui giocavano. Il fine settimana passato era stata a Milano, quello
prima
ancora a Perugia... insomma, da quando stava in casa con lui girava
parecchio
per tutta l’Italia. Non riusciva a vedere molto, aveva giusto
il tempo libero
che intercorreva tra l’inizio del riscaldamento pre-partita e
l’uscita dagli
spogliatoi dei giocatori. Poi le due squadre si trovavano a mangiare
insieme in
un ristorante del luogo, indipendentemente dal risultato del match. E
si
tornava a casa.
Conosceva abbastanza bene tutti i compagni
di gioco di Miki ed alcuni le stavano anche molto simpatici. Più
o meno erano le stesse persone con cui usciva al venerdì e
al
sabato sera e, oltre a loro, si aggregavano anche ragazze ed altre persone miste, soprattutto
amici
vari, fratelli o sorelle. Gli altri
le rimanevano indifferenti, soprattutto perchè erano intorno
ai trent’anni,
quindi troppo grandi per lei. All’inizio di ogni serata, si
trovavano nella
piazzetta vicino a casa sua e la consuetudine era semplice: chi voleva
aggregarsi, raggiungeva il punto di incontro entro una certa ora.
Quindi, più
che un gruppo stabile di persone, era un continuo andirivieni di amici
e ogni
sera non sapevano mai, fino al momento della partenza, chi si sarebbe
aggiunto.
Quando uscivano, la facevano sentire un po’
la mascotte del gruppo e questo suo status le si
addiceva quasi perfettamente: veniva quasi esclusa dal divertimento e
ciò non
le creava tanti disturbi, nè ripensamenti. Da una parte, non
si sentiva sempre
a suo agio con tutta quella marmaglia di gente, di cui spesso conosceva
solo
pochi individui. Dall’altra non sempre capitava che gli
standard di
divertimento degli altri coincidessero con i suoi.
Ma c’erano anche un paio di motivi che la
rendevano diversa dagli altri. E
uno
di questi era proprio il fatto di essere la sorella di Miki. Era come intoccabile... i ragazzi la ‘evitavano’, nel senso che
tenevano alla
larga ogni tentativo di approccio che andasse oltre una semplice
conversazione
innocente. Con le ragazze andava un po’ meglio, almeno loro
non avrebbero mai
avuto particolari intenzioni nei
suoi
confronti.
Era meglio accettare quella regola
implicita.
Altri amici non ne aveva più da diverso
tempo a quella parte…
Ecco, come previsto il gelato si era tutto
sciolto e rimaneva solo una specie di frappé liquido nella
vaschetta di
plastica a righe. Una cucchiaiata per volta, si mise di buona lena per
finirlo
tutto.
Di sopra, sentiva gli altri gridare,
esultare e offendersi allegramente a vicenda. Dio, quanto erano
rumorosi.
Distingueva nettamente la voce di Tom che si accaniva contro Dougie per
un
passaggio andato a vuoto.
“Bu!”, sentì esclamare alle sue spalle,
tanto che ci mancò poco che il gelato non le cadesse in
acqua.
“Harry!”, lo brontolò Joanna, non appena
si
fu accertata di non essersi sporcata.
“Che ci fai tutta sola?”, le fece,
sedendosi accanto a lei.
Era sudato e polveroso, aveva il fiatone e
la maglietta bagnata sotto le braccia. Uno splendore... Lui
sembrò accorgersi
del suo sguardo lievemente disgustato e dette una rapida annusata alle
sue
ascelle.
“Sei fortunata, non puzzo.”, disse poi,
con naturalezza, “Allora, cosa ci fai qui? Perché
non stai su a guardarci
giocare?”
“Non mi piace il calcio.”, rispose lei,
“Ed è più bello il mare.”
Lui lanciò un’occhiata disinteressata al
paesaggio intorno a sé, poi alzò le spalle.
“Non mi piacciono gli scogli, preferisco
la sabbia.”, disse poi.
“Sì, e le ragazze in tanga.”, aggiunse
Joanna, sorridendo.
“Sei una chiromante per caso?”, le chiese
lui, con aria fintamente stupita.
“No, sei tu che sei un ragazzo.”, rispose
lei, prontamente.
“Oh, su questo non ci sono dubbi!”
“Finita la partita?”, gli domandò.
“Fine primo tempo, tra poco torno su. Per
adesso Poynter e Fletcher sono in vantaggio di un gol, vedremo di
rimontare ma
Danny non è un granché alla porta.”,
spiegò lui, “Ho cercato di marcare
stretto, ma Fletcher è veloce, mi prendeva sempre in
contropiede.”
Joanna stette con pazienza a sentire tutto
il resoconto dettagliato della partita di calcio di cui si era appena
concluso
il primo tempo. Non ne capiva niente ma stava comunque a sentirlo. A modo loro, ognuno di quei quattro era
particolare e la affascinava in maniera totalmente diversa. Harry era,
insieme
a Tom, il più vecchio dei quattro… vecchio, aveva
solo ventitré anni e gli
altri erano dell’ordine di un anno –Danny- o due
anni –Dougie- più piccoli di
loro. Per questo fatto forse si sentiva un po’ il leader,
anche se non c’era
poi una vera e propria personalità che spiccava sugli altri
del gruppo. Mentre
parlava, si passava ritmicamente una mano sulla testa: come per un tic
nervoso,
si dava un paio di strusciate ai capelli e tornava a gesticolare con
intensità. E lei semplicemente annuiva e rideva delle
sue battute. Ma non avrebbe voluto che terminasse di parlare. Poteva
anche
sparare frasi senza senso, bastava parlasse.
Ovvio che le piaceva, così come le era
piaciuto Danny il giorno precedente.
Ma lei non si trovava nel classico
programma italiano pomeridiano in cui il bello o la bella di turno
sceglievano
la persona con cui avrebbe voluto passare tutta la vita insieme. Non
doveva
compiere assolutamente nessuna scelta tra i quattro, nessuno la stava
ponendo
in quella spiacevole posizione. Ma se ci si fosse trovata, non avrebbe
saputo
chi preferire, anche se non aveva ancora instaurato un vero e proprio
collegamento con Tom e Dougie.
Il problema non si poneva e Joanna scartò
presto quei pensieri inutili.
“E alla fine Danny ha segnato un autogol…
quello sfigato.”, disse Harry, buttando un sassolino con cui
aveva giocato per
un po’ nell’acqua quasi immobile.
“Già…”, disse Joanna,
perdendo lo sguardo
altrove.
“Com’è che hai accettato di farci da
guida
oggi?”, le domandò, cambiando così
velocemente discorso che Joanna si trovò
spiazzata.
“Ah… beh, non avevo niente di particolare
da fare quindi…”
“Nessuno fidanzatino allora eh?”, le fece,
dandole dei colpetti maliziosi con il gomito.
Prima che Joanna potesse rispondergli, un
fischio richiamò l’attenzione di Harry.
“Andiamo Judd! C’è il secondo
tempo!”, lo
aveva richiamato Dougie, affacciatosi alla terrazza.
Lo
sapeva che non lo stava ascoltando, ma
non gli interessava. Ogni tanto veniva colto dalla parlite
acuta - non
capitava molto spesso ma succedeva- e si metteva a sproloquiare
all’infinito,
per poi cambiare totalmente tema del discorso quando non aveva
più niente da
dire. Non gli dispiaceva la compagnia di Joanna,
anche se la trovava un po’ troppo silenziosa e timida. Notava la
sua introversione, il
suo disagio e si chiedeva il perché di tutto quello. Non
avrebbe dovuto
sentirsi così: pensava che chiunque dei loro fans avesse
avuto l’occasione di
incontrarli e passare insieme a loro tutto quel tempo sarebbe stato
felice e
pieno di eccitazione. Forse peccava di presunzione, ma Joanna si stava
dimostrando tutt’altro che entusiasta.
Era forse colpa loro? Non sapeva dirlo, era indubbio che fossero dei tipi
simpatici. Che cosa c’era allora che non andava?
“Andiamo Judd! C’è il secondo
tempo!”, gli
fece Dougie, dalla terrazza sopra di loro.
“Arrivo subito!”, esclamò,
“Torno alla
partita, Jojo!”
Lei lo guardò stupida.
“Jojo?!?”, disse, ma poi continuò,
“Io mi
chiamo Jo!”
“Hai detto a Tom di chiamarti in quel
modo. E io ti chiamo come voglio!”
Le sorrise e scese dallo scoglio, correndo
velocemente per tornare alla partita.
Ripreso il proprio posto nell’improvvisato
campetto di calcio, diede due battiti di mani come per suggellare
l’inizio del
secondo tempo.
“Che ti diceva Joanna?”, gli domandò
Dougie, davanti a lui per il calcio di inizio.
“Niente, non parla molto quella ragazza.”,
rispose, alzando le spalle, “Sembra quasi che non si diverta
con noi.”
“Non credo.”, continuò
l’altro, il
bassista del gruppo, “Secondo me si diverte in altri
modi.”
“Dici?”, gli fece, “Penso quasi che sia
una mummia.”
“Secondo
me non è una mummia.”, riprese
Dougie, “E’ solo che si diverte in altri
modi.”
“Judd! Poynter!”, li richiamò Tom,
“Quando
avete finito di confessarvi abbiamo una partita da concludere…”
“E stai calmo un attimo!”, lo rimbeccò
Harry, che poi tornò a Dougie, “Ok, allora visto
che hai imparato tutto di lei,
pensa a come si potrebbe divertire, così invece di
rintanarsi su uno scoglio si
unisce un po’ al gruppo.”, gli fece.
“Sei proprio uno stronzo a volte.”, disse
Dougie.
Ripresero a giocare ma dopo pochi minuti,
un continuo crampo al polpaccio che attanagliava la gamba di Harry li
costrinse
a desistere, mettendo a segno una vittoria per la coppia Tom-Dougie.
Quando ripresero fiato, guardarono l’ora.
“Sono le quattro e mezza… cosa
facciamo?”,
chiese Danny.
“Intanto direi di andare a recuperare
Joanna che, molto gentilmente, abbiamo dimenticato su uno
scoglio.”, disse Tom,
avviandosi verso la straducola che li portava da lei.
Di nuovo
qua... Giornate di congiunzioni astrali altamente nefaste per me: lo
detta il fatto che, in questo sabato, avrei dovuto calpestare suolo teutonico, esattamente dovevo starmene a Colonia dove, a vedere dalle previsioni del tempo, sarebbe stata una bellissima giornata di tepore primaverile, tale e quale a quella che sto vivendo oggi... solo che sono a casa mia davanti al pc -.- ma vabbè, sè la vì
e mi accontento di ciò che mi è rimasto (più tempo
per preparare l'ultimo esame, magrissima consolazione, ma più
possibilità di passarlo).
Ciancio alle bande, vai con il solito fox trot dei ringraziamenti:
Kit2007:
eheheh, subito a farti filmini mentali su chi si sbaciucchierà
con Joanna! Ma brava gattina maliziosa! XD cmq ti dico una cosa sola:
la risposta è più facile di quello che pensi, ma
l'evoluzione della cosa non sarà per niente scontata... Via,
voglio metterti un po' di confusione in materia grigia, sennò
non c'è soddisfazione, eh! XD Se leggerai prima della partenza:
Buona gita, ti invidio tanto!!!! - Se leggerai al ritorno: Com'è
andata? Avete dormito?? - In ogni caso: Stammi bene!!!
CowgirlSara:
C'avrà da razionalizzare un bel po' la nostra cara Joannina! Le
ho dato pane per i denti della sua mente razionalizzatrice... Dannino,
che caro, voglio andarci anche io a fare la spesa con lui,
chissà se nascerà un amore eterno tra gli scaffali dei
pacchi della pasta... chi lo sa?
_Princess_: te sei troppo buona, te sei troppo buona, te sei troppo buona! (noti la ripetizione costante del magnifico TE
toscano? XD) Mi sembra quasi di essere presa per il culo... ma sto
scherzando, ven'via, te 'un tu mi crederai mica davvero? (ho deciso che
voglio farti proprio innervosire con i te....) Eh no, qua siamo nel
fandom McFly, quindi quando entri qua devi fare come Dante quando entra
nell'Inferno: qua è un modo a parte, tutto ciò che sei e
che ami rimane fuori. Quindi non mi tirare fuori Gustavi e Georgi vari
perchè non è proprio il caso XDDDD Al massimo, potevi
pensare che la G fosse riferita a quel Gran Guaglione Gnoccoloso di
Danny. O di Dougie, fai un po' tu, a me piacciono entrambi! E torno a
dirti: nelle recensioni fatti cogliere dalla prolissite di cui io sono
affetta da sempre, più lunghe sono, più mi ci diverto!
Giuly Wesley: Grazie per essere tornata a recensire, mi ha fatto molto piacere! Torna anche per il prossimo, mi raccomando XD
Picchia:
Te l'ho detto, girovagavano dentro alla Coop! XD ma siccome non ho
specificato, poteva anche essere la Lidl, oppure la Conad... ma visto
che la storia si svolge in Toscana, patria della mitica e amorosa Coop
(quanto le voglio bene), e dato anche che non volevo fare
pubblicità occulta (La Coooop sei tuuuuu), ho omesso il nome del
centro commerciale. Cooooop.
Ciribiricoccola:
se becco il cazzone che si diverte a romperci le palle, ho in mente una
bella punizione da riservargli. Giuro che lo farò. Eheheh,
sì è vero, c'è una certa somiglianza con la tua
Tiziana, solo che Joanna è moooooolto meno spigliata di lei. E
lo vedrai meglio da questo capitolo in poi, si farà sempre
più timida e un motivo c'è. Lo spiegherò meglio in
seguito. Stammi bene, mi raccomando!
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Capitolo 6 *** Room on the 3rd floor ***
6. Room On
the 3rd
Floor
Passarono
il resto del pomeriggio a
raccontare aneddoti stupidi sulla loro vita. Si sedettero in un piccolo
lembo
di spiaccia sassosa e parlarono.
Parlarono…
Parlavano, lei rideva e basta,
lasciando che fossero loro a raccontarsi. Lei non aveva molte cose
divertenti
di cui parlare, mentre loro sembravano una miniera di cazzate. Spesso
nemmeno
li capiva: parlavano così speditamente e usavano forme
dialettali che non
riusciva a cogliere, oppure strozzavano la voce nelle risate e finivano
per non
terminare la frase, perché già sapevano di cosa
stavano parlando.
Buttò
lo sguardo verso il sole. Stava
calando vertiginosamente.
“Forse
è meglio andare.”, disse Joanna,
vedendo sul suo orologio che erano le sei in punto, “Sta
anche iniziando a fare
freddo.”
“Un’altro
po’!”, disse Dougie, seduto
vicino a lei a gambe incrociate, “Hai qualcuno che ti aspetta
a casa?”
“A
dire il vero no però…”
“Allora
restiamo.”, le fece lui, dandole
una pacca amichevole sulle ginocchia, “Piuttosto, tu non ci
racconti niente di
divertente?”
“Sì,
sentiamo cosa fa di buffo la nostra
Little Joanna!”, esclamò Danny, che era seduto
sempre vicino a lei, ma
dall’altra parte.
“Beh…
niente di che.”, rispose, alzando le
spalle, “A parte cadere a terra nei modi più
impossibili…”
“Questo
lo sappiamo!”, disse Harry, “Ti
abbiamo visto farlo in diretta quando ti abbiamo conosciuto!”
E
scoppiarono a ridere.
“Una
volta mi è successo di cadere per le
scale mobili.”, disse, grattandosi la testa, “Stavo
per scendere e sono
caduta.”
“Beh,
non è un buon modo per raccontare la
tua storia.”, le fece notare Danny, “Era
divertente, ma non abbiamo riso.”
“Allora…”,
si mise a riflettere.
E
sciogliti, Jo!
“Una
volta ero in un ristorante con un
gruppo di amici.”, prese a raccontare, giocherellando con la
sabbia, “Stavo
tranquillamente seduta sulla mia sedia e… mi sporsi un
po’ per richiamare il
cameriere, solo che quel po’ si rivelò essere
troppo e la sedia cadde indietro…
ed io con lei, a gambe all’aria.”
I
quattro la fissavano con facce
interrogative, in attesa dell’evoluzione comica della
storiella.
“E’
finita…”, disse loro, deludendosi.
“Di
già?”, le fece Harry.
“Beh…
sì.”, rispose Joanna. Sospirò,
leggendo nelle loro facce una
certa espressione annoiata. “Lo
so che non sono capace di raccontare
storie buffe, anche se me ne capitano di tutti i colori.”,
disse poi, “E so di
non essere di compagnia. Me lo dicono in tanti, ma sono fatta
così. Non è colpa
vostra, è solo mia. Siete stati sfortunati, avete incontrato
la vostra prima
fan italiana e questa è un pesce lesso. Purtroppo Joanna non
sa farvi divertire
molto.”
Avrebbe
voluto mettersi in bocca un badile
di sabbia piuttosto che dire quelle parole, ma le aveva dette e basta,
non
poteva farci niente. In quel momento avrebbe voluto fuggire via e si
dava della
stupida.
Cazzo!
C’erano i Mcfly con lei! E tutto
quello che era riuscita a fare era: snobbarli nel calcio e fare la
muta. Il
giorno precedente era stata con Danny e cosa aveva fatto? In pratica
le stesse
cose solo che, invece di sdegnare il calcio, aveva ignorato lui
perché doveva
fare la spesa. Doveva fare la spesa! Ma chi cavolo se ne fregava della
spesa!
Aveva avuto cinque minuti con Harry e, piuttosto che conoscerlo meglio, era
stata passivamente a sentire tutto il suo discorso sul calcio, che probabilmente lui
aveva
tirato avanti per le lunghe perché la vedeva totalmente
assente.
“Possiamo
fare qualcosa per farci
perdonare?”, le fece Dougie.
“Perdonare?
Voi?”, disse, esterrefatta,
“Sono io che devo scusarmi! Io e il mio stupido
carattere!”
Ecco,
di nuovo voleva mangiare la sabbia. Ma
cosa importava a loro dei suoi
conflitti interiori? Un bel niente, quindi perché stare
tanto a confessarsi?
“Beh,
invece di metterci a giocare a
calcio,”,
disse Danny,
“potevamo fare qualcosa che piaceva anche a te. Dopotutto, hai guidato fino a qua solo per farci un
piacere.”
“E
ci hai sopportato durante tutto il
viaggio.”, incluse Tom, “Ti abbiamo invitato a
stare con noi, quando poi ti
abbiamo fatto fare semplicemente la guida turistica.”
“Ma
non era per questo che l’abbiamo
invitata?”, sbottò Harry.
“Judd!”,
esclamarono gli altri, quasi
all’unisono.
Joanna
sbuffò in una piccola risata.
“Scherzavo…”,
si riprese Harry.
“Facciamo
fifty-fifty.”, disse Dougie,
“Noi promettiamo di essere meno…
meno…”, fece, in cerca di un aggettivo giusto,
“Meno McFly.”
“E
io mi impegnerò ad essere di compagnia!”, gli fece
Joanna, facendolo sorridere.
“Perfetto!”,
esclamò Danny, allungando una
mano verso il centro del cerchio umano. Uno dopo l’altro, gli
altri posero le
proprie mani sulla sua e suggellarono quell’accordo.
Aveva
appena imboccato la strada a doppia
corsia, stavano viaggiando da circa un quarto d’ora.
Lanciò uno sguardo sullo
specchietto retrovisore. In
sequenza, rispecchiati da destra a
sinistra, stavano Danny, Harry e Tom, quest’ultimo in parte
oscurato dal
poggiatesta dietro la sua nuca. E
stavano tutti e tre dormendo.
“Il
reparto nursery è al completo.”, disse
Dougie, dopo un’occhiata sul retro.
“Eh
sì.”, rispose Joanna, “I bambini hanno
giocato, si sono divertiti e ora sono stanchi.”
Dougie
sorrise e, con un dito, accese lo
stereo, tenendolo a volume molto basso.
“Chi
l’ha vinta poi la partita?”, chiese
Joanna, parlando sottovoce.
“Bah...
non me lo ricordo nemmeno più.”,
disse l’altro, accomodandosi sul sedile.
“Doveva
essere molto interessante
allora...”, continuò lei.
“Oh
sì, interessantissima.... Tu che cosa
hai fatto mentre giocavamo?”
“Me
ne stavo su uno scoglio a mangiare il
gelato.”, gli disse.
“Era
buono?”
“Abbastanza.”
“Peccato,
avrei voluto mangiarlo anche io.
Che gusti hai preso?”, le domandò, voltandosi
verso di lei.
“Cioccolato,
yogurt e pistacchio.”, disse.
Ovunque andasse, il gelato di Joanna era sempre composto da quei tre
gusti.
“Pistacchio?
Piace moltissimo anche a
me!”, le rispose. Mise i
piedi sulla poltroncina,
guardandola con la coda dell’occhio. “Chissà
che cosa passerà sempre nella
testa di Jonny...”, fece poi Dougie.
“Jonny?
Chi è Jonny?”, gli chiese lei, ma
poi comprese, “Ah sì... la solita storia del
nome... Ognuno di voi mi deve per
forza chiamare in un modo diverso. Ma siete tutti
sincronizzati?”
“Forse
è un comportamento McFly che ti da
fastidio?”, le domandò.
“Oh
no... figurati! E’ solo che mi sento
sempre chiamare Jo, al massimo Joanna...”, disse lei,
arrossendo un po’.
“Jo,
Jonny, Jojo e Little Joanna.”, disse,
elencando tutti i soprannomi con cui veniva correntemente chiamata da
loro
quattro, “Così riconoscerai sempre chi di noi ti
chiama.”
“Che
onore!”, disse lei, mettendosi una
mano sul petto con sarcasmo riconoscente, “Mi sento
più speciale delle altre
fan!”
“Beh...
lo sei.”, disse lui, guardando
fuori dal finestrino.
Ci fu
un attimo di silenzio.
“Sei
speciale... nel senso che...”,
balbettò Dougie, imbarazzato, “Insomma, non capita...
tutti i giorni di passare
del tempo con noi... per le nostre fans. Speciale... in questo
senso...”
“Eh
sì... ovviamente!”, rispose Joanna, con il
disagio nascosto da un sorriso.
Altro
silenzio.
Dougie
fissò lo sguardo fuori dal finestrino,
fintamente interessato ai capannoni industriali ed ai palazzi alti che
sfrecciavano, facendogli incrociare
gli
occhi per lo sforzo. Joanna,
dal canto suo, piuttosto che
lambiccarsi il cervello come solita fare, preferì
tornare sulla guida; magari si sarebbe concentrata sulla musica in
sottofondo,
cantata da una radio nazionale qualsiasi.
“Non
ci sono colline da queste parti?”,
fece poi Dougie, dopo un silenzio assordante durato almeno una decina
di
minuti, se non di più.
“Beh...
non ancora, ma non ne troveremo
molte per la strada.”, gli spiegò.
“Peccato,
volevo vedere se erano così
dolci come dicono nei cartelloni pubblicitari.”, disse, con
aria lievemente
delusa.
“Mi
dispiace, ma non posso nemmeno fare
deviazioni per fartele vedere. Sta iniziando a fare buio e devo tornare a casa.”
“Fa’
niente... andremo in giro un’altra
volta. Verrai vero?”, le domandò, tornando con lo
sguardo su di lei.
La
trovava carina, molto carina. Ma era un
carino particolare, non usuale. Non aveva tratti comuni, che si
potevano
trovare nei visi di tantissime altre ragazze. Occhi grandi e verdi;
bocca
carnosa, sembrava fatta quasi a forma di cuore. I capelli biondi
spuntavano da
sotto quel berretto verde e si muovevano sulle spalle. Una manciata di
piccoli
nei le contornavano la bocca e il collo. Non era molto alta ed era
tutto
sommato snella, anche se si notava nel suo complesso totale la
goffaggine di
cui lei si era vergognata. E
questo suo essere un po’ criptica lo affascinava
abbastanza.
“Non
credo che potrò, domani è lunedì e
inizia di nuovo il lavoro.”, disse lei, lanciandogli
un’occhiata di sfuggita.
Si era
sentita osservata, lo aveva capito.
“Già,
è vero...”, disse lui, “Allora
verremo a trovarti al locale!”
“Beh...
molto volentieri!”, rispose lei.
“E
ti inviteremo ad uscire con noi!”
Lei
rimase titubante.
“Oh...
sì...”, disse poi.
In
quel momento, Joanna dette voce ad un
pensiero spesso taciuto. Si riassumeva in poche parole.
Perchè
era uscita con loro, in quella
domenica? Semplice, perchè Miki non c’era.
Miki
non ne sarebbe stato assolutamente contento...
Il
fatto che lui fosse a diverse centinaia
di chilometri di distanza era stato uno dei motivi principali che
l’aveva
convinta a presentarsi alle dieci e mezza all’hotel Venice.
Altrimenti non ci
sarebbe mai andata, anche perchè l’avrebbe seguito
nelle sue trasferte. E
comunque, anche in quel caso, non avrebbe nemmeno potuto dirgli che
sarebbe voluta rimanere a casa per uscire con i McFly... con dei ragazzi.
“Jonny?”,
la chiamò Dougie.
“Mh?”,
gli fece lei.
“Sembravi
stessi pensando ad una cosa
bruttissima.”, disse lui, mordicchiandosi un pollice.
“Ah...
niente, stavo solo pensando a cosa
cucinare per me stasera.”, gli rispose, “Sono una frana! Brucio le
padelle!”
“Non
lo avrei mai sospettato!”, esclamò
lui, fintamente stupito, “E comunque, se ti va, possiamo
farti rimanere a cena
da noi, all’hotel.”
“Beh...
è un pensiero carino, ma è meglio
che io torni a casa.”, gli rispose.
“Allora
siamo noi che veniamo da te!”, si
auto invitò Dougie, “Prendiamo una pizza e la
mangiamo, così non devi nemmeno incendiare la
casa!”
Era
un’ottima idea, pensava Dougie. Era
anche però un’idea un po' maleducata, perchè
non era buona abitudine invitarsi
autonomamente in casa degli altri... ma se la perdonò
subito. Sarebbe anche
stato un buon modo per conoscerla meglio, dato che lei non parlava mai
di sè. Non
sapeva spiegare se quella ritrosia nel
raccontare i suoi fatti personali era semplicemente
un’eccessiva timidezza...
“Dai!
Jonny, ci divertiremo!”, provò a
convincerla.
“Ma...
devo pulire, non aspettavo ospiti
ed è tutto un casino...”, cercò di
ritirarsi lei.
“Chi
se ne frega, vedessi casa mia! Prendi il tetano a guardarla!”, le fece,
“E poi siamo inglesi,
siamo abituati alla sporcizia nelle case.”
A
quella battuta la sentì ridere ed aveva
anche una bel modo di farlo.
Pacato, quasi silenzioso, cristallino. Non sguaiato e isterico come
Danny.
“Allora
ci stai?”, le disse.
“E
sia...”, fece lei, rassegnandosi.
Felice,
Dougie si voltò e iniziò a dare
delle grandi pacche sulle gambe dei suoi amici.
“Stasera
pizza a casa di Jonny!”, disse,
gridandolo.
“Fanculo
Poynter!”, gli fu risposto dai
tre dormienti, quasi in coro, che ripristinarono subito la loro
attività
sonnifera.
Uscirono
dalla pizzeria una ventina di
minuti dopo esservi entrati per ordinare. Prepararono le loro pizze da
asporto
quasi istantaneamente e, con i cartoni tra le mani, si avviarono verso
l’appartamento di Joanna, che distava pochi metri da
lì.
“Ecco,
siamo arrivati.”, disse lei,
indicando un grande portone di legno, con due anelli di ottone
pendenti. Aprì
la sua borsetta e prese le chiavi, mentre i quattro resistevano
faticosamente
alla fame.
Entrarono
e si avviarono per le scale.
“A
che piano stai?”, le domandò Danny.
“Casualmente
al terzo!”, rispose lei
ridendo.
“No...
non è possibile!”, fece Tom, “Vivi
al terzo piano!”
“Sei
una coincidenza vivente.”, continuò Dougie,
“Ti chiami Joanna, come una delle nostre canzoni. E vivi al
terzo piano, come
il titolo del nostro primo album... è incredibile, sei la
fan perfetta!”
“A
dire il vero,”, specificò Harry, “il
nostro album si intitolava Room on the
3rd Floor e non Flat on the 3rd
floor...”
Gli
altri lo guardarono con ovvietà, come
per dirgli che quella infelice precisazione era stata del tutto fuori
luogo. In
fila indiana, con le loro pizze in mano, salirono i tre piani di scale
che li
separavano dall’appartamento di Joanna e, quando lei
aprì loro la porta, si
catapultarono subito sul tavolo della cucina.
“Beh...”,
fece lei, rimasta ancora sulla
soglia mentre loro avevano già addentato il primo spicchio
di pizza, “E’
permesso?”
“Oh
sì, puoi entrare!”, gli fece Danny, invitandola
a farlo.
“Sì,
fai pure come se fossi a casa tua!”,
continuò Harry.
Joanna
appoggiò il cartone sul tavolo e,
prima di sedersi a mangiare, si tolse il cappotto verde e lo
appoggiò sul
divano. Nell’istante successivo, un giaccone volante si
posò sopra il suo e,
prima che potesse accorgersene, anche gli altri cappotti dei ragazzi
volarono
sul divano.
“No!
L’ho mancata!”, esclamò Harry,
portandosi sconfitto le mani tra i capelli.
“Pensavo
che ti bastasse usarmi come
bersaglio delle tue frecciatine verbali.”, rispose Joanna,
mettendosi le mani
sui fianchi con aria quasi da rimprovero, ma con un grosso sorriso
sulla
faccia.
Harry
rimase interdetto.
“Joanna
versus Judd, uno a zero per lei.”,
disse Tom, applaudendo e seguito anche dai fischi di approvazione degli
altri.
Dopo
aver dato loro coca e birra da bere
si sedette, fiera del suo colpo andato a segno, ed aprì il
cartone della sua
pizza margherita. Gli altri, avevano fatto mettere di tutto e di
più sulle
loro: patatine fritte, wurstel, ketchup, fontina... erano proprio
inglesi.
Con
calma e pazienza, Joanna fu l’ultima
finire. Gli altri si erano trangugiati tutto in pochi secondi e
sicuramente era
stata la stessa presenza della ragazza a fare da deterrente
all’emissione di
rumori poco gradevoli. Nel mentre lei si occupava del suo ultimo
spicchio, i
ragazzi dettero un’occhiata al posto in cui si trovavano.
“Quindi...
tu vivi qui.”, disse Danny,
stiracchiandosi sulla sua sedia.
Da
educata qual era, rispose annuendo con
la testa.
“Carino
come appartamento.”, disse Tom,
“Nè piccolo nè grande.”
La
stanza più grande era infatti quella in
cui si trovavano: la cucina era divisa dal salotto grazie ad un muretto
alto poco
più di un metro e sessanta, che superava di poco il tavolo
su cui erano seduti.
Al di là di esso, un lungo divano di pelle marrone stava
davanti ad un
televisore , posizionato nello scompartimento
centrale di una
libreria abbastanza rifornita di libri e cd. L’arredamento
era sul
moderno, come se quella casa avesse pochi anni di vita. Anche la stessa
cucina,
in legno scuro e ripiani chiari, non doveva risalire a molti anni
addietro. Le mura,
tinteggiate di bianco,
erano abbellite con qualche quadro
contemporaneo dell’artista Keith Haring.
Dougie,
interessato, si alzò e si spostò
verso la libreria.
“Se
hai bisogno del bagno, è la porta al
centro del muro, alla tua sinistra.”, gli disse Joanna, dopo
aver inghiottito
il suo boccone.
“Buono
a sapersi.”, disse Harry,
approfittando dell’informazione ed alzandosi.
Dougie
girovagava con gli occhi in cerca
di gusti musicali simili ai suoi, anche se pensava che una ragazza come
Joanna
ascoltasse poco del punk rock che a lui piaceva tantissimo. Ad adornare
i
ripiani della libreria, però, non c’erano solo
libri e cd, c’erano anche delle
fotografie.
Una,
in particolare, ritraeva Joanna
insieme ad un ragazzo molto più alto di lei. A confronto,
sembravano un gigante
ed una bambina, notò Dougie. Entrambi sorridevano
all’obiettivo, sullo sfondo
di un giardino tutto colorato di fiori rossi e gialli. Lui le teneva il
braccio
sulla spalla; lei una mano sulla pancia muscolosa di lui, che si
intravedeva
sotto alla t-shirt che indossava. Più che un uomo, quello
era un muscolo
vivente. Gli venne
quasi da alzare la
sua maglietta per vedere se i suoi addominali avevano la
benchè minima
consistenza di quelli del ragazzo della fotografia.
Poi ne
vide un’altra, a poca distanza da
quella, dove lo stesso ragazzo stava abbracciando un’altra
donna. Di tutt’altro
tipo rispetto a Joanna: mora, con un sorriso bellissimo. Solo che il
loro
abbraccio era più... da fidanzati. Quello che aveva visto
prima si addiceva più
a due fratelli.
“Mio
fratello e la sua ex moglie.”, disse
Joanna, spuntandogli alle spalle, silenziosa.
“Capisco...”,
fece lui, riponendo la
fotografia.
Lei
gli sorrise e gli fece cenno di
accomodarsi sul divano, come gli altri avevano già fatto nel
mentre lui si
trovava totalmente assorto nel guardare quelle due fotografie. Con un
sorriso malizioso, Dougie si
sedette tra Danny e Tom.
“E’
normale che Harry stia così tanto in
bagno?”, chiese Joanna, guardando interrogativamente la porta
della toilette.
“Non
ti devi preoccupare del tempo che
passa lì dentro.”, le disse Tom,
“Più che altro di cosa esce dal suo
culo.”
“Ah!”,
disse Joanna, facendosi ancora più
preoccupata.
“Harry!”,
lo chiamò a gran voce Danny,
“Abbi almeno la decenza di aprire la finestra! Moriremo
asfissiati!”
Il
rumore dello sciacquone, attutito dalla
porta, coprì la risposta di Harry, che uscì poco
dopo dal bagno come se niente fosse.
“Cosa
facciamo adesso?”, chiese,
fregandosi le mani l’una contro l’altra.
“Beh...
non lo so.”, gli rispose Joanna.
“Usciamo?
Andiamo da qualche parte?”,
propose Tom, “Anche se devo dire che non ne ho molta
voglia... mi sento
abbastanza stanco.”
Ed
aggiunse uno sbadiglio.
“Forse
sì, meglio rimanere qua.”, disse
Danny, “Ci guardiamo un film?”
Joanna
non era molto favorevole a quella
proposta, ma fece un rapido calcolo: Miki sicuramente non sarebbe
tornato prima
di notte fonda, per via della partita ed aveva già detto ad
Arianna che non si
sarebbe presentato al lavoro per la mattina del giorno seguente.
Potevano
quindi rimanere tranquillamente.
“Guardo
cosa ho...”, disse, avvicinandosi
verso gli scompartimenti della libreria dove teneva qualche dvd,
“Non ho molti
film di vostro gradimento, forse...”
“E
quali?”, le chiese Dougie.
“Beh...”,
disse, voltandosi imbarazzata.
“Ti
aiuto a scegliere.”, disse Danny,
avvicinandosi a lei, “Vediamo un po’.”
Il
solito profumo che aveva sentito sul
bus, quando suo malgrado si trovava praticamente addosso a lui, le
entrò dentro
le narici. Di nuovo, si sentì immobilizzare.
“Che
ne dite di... ehm...”, fece, cercando
di leggere il titolo italiano di quel dvd, “Little Joanna,
è o non è Intervista
col vampiro? Dalla copertina
lo sembra.”
“Sì...
è quello.”, rispose, uscendo
dall’aria di mutismo che l’aveva travolta.
“Va
bene ragazzi?”, chiese al gruppo.
Gli
altri annuirono, fidandosi della sua
scelta.
Con
mano lievemente scossa, Joanna prese
il dvd e lo infilò silenziosamente nel lettore,
accucciandosi in basso, sotto
il televisore, ed attendendo che la riproduzione partisse. Si
voltò e quattro
facce sorridenti la attendevano.
“Ti
ho tenuto il posto!”, esclamò Danny,
scansandosi da Dougie e picchiettando sui centimetri di stoffa che
aveva appena
liberato.
Si
strinse in un sorriso di disagio e si
sedette, cercando di rilassarsi e di non pensare.
“Spengiamo
la luce?”, chiese Tom.
“Faccio
io.”, disse immediatamente Joanna,
alzandosi per prendere respiro.
Premette
l’interruttore e la stanza fu
illuminata solo dalle immagini del film. Titubante, riprese il suo
posto, tra
le facce sorridenti di Dougie e di Danny.
Avrebbe
voluto avere qualcosa da
sgranocchiare in casa, così avrebbe avuto un’altra
scusa per alzarsi... ma non
c’era niente.
Non
seguì molto il film, già lo aveva
visto un sacco di volte da saperlo quasi a memoria. I due accanto a lei
non
perdevano però mai occasione per fare commenti sulla
sceneggiatura, prendendo
ampiamente in giro i due protagonisti, Tom Cruise e Brad Pitt. Con
le
mani giunte nel delle gambe, tenute
strette, sorrideva alle loro battutacce. Si accorse, dopo poco, che Tom
stava
sbavando dormiente sulla spalla di Harry, che ad ogni occasione cercava
di
scrollarselo inutilmente di dosso.
“Jonny,
non è che c’è qualcosa da
mangiucchiare?”, le chiese Dougie, stringendosi in
un’espressione speranzosa.
Lei si voltò.
Rimase
qualche secondo a fissarlo negli
occhi, come se avesse avuto da cercare una risposta, che
però già sapeva
negativa. Non erano chiari come quelli di Danny, ma erano
senz’altro più
vispi... i ciuffi biondastri dei capelli, in parte ossigenati, in parte
del suo
castano naturale, scendevano sulla sua fronte, coprendola in parte. Lui
le
sorrise e il pearcing che aveva sul labbro inferiore si mosse.
“Little
Joanna?”, la richiamò Danny.
Si
interruppe, voltando la testa dalla sua
parte.
“Se
guardi Dougie in quel modo penserà che
ti sei innamorata di lui...”, le disse, aggiungendo una
linguaccia scherzosa.
Joanna
pensò che il colore rosso che
avvampò sulle sue guance fosse di un tipo così
particolare che dovesse essere
per forza ribattezzato come rosso Joanna.
In quel momento, era stato inventato un nuovo colore per le facce
imbarazzate. Non
si sentì per niente orgogliosa di questa sua invenzione,
piuttosto avrebbe
voluto scomparire in quell’istante, ma qualcosa la
bloccò.
Sentì
un coro di voci avvicinarsi, camminare
lungo i piani sotto al suo. Ad ogni passo, il terrore prese a salire.
Le voci
adesso erano davanti alla sua porta, le riconosceva tutte, dalla prima
all’ultima. Anche
gli altri spostarono gli sguardi nella sua direzione, pronti ad
accogliere gli
arrivati con educazione.
La
porta si aprì ed un ragazzone entrò nell’appartamento
ridendo di gusto, ma si bloccò sulla soglia non appena si
accorse di loro.
Accese la luce.
“Joanna...”,
le fece suo fratello,
vedendola alzarsi dal divano, come in preda alla paura.
Entrò
in casa, seguito da quattro dei suoi
compagni di squadra, che continuarono a ridere finchè non
ammutolirono davanti
alla situazione.
“Chi
sono loro?”, le chiese, indicandoli.
“Sono...
quei McFly. Quelli che stanno… sulla
porta di camera mia… E che erano al locale... Ti ricordi?”, rispose lei.
La
ragazza lanciò loro un’occhiata. Le
loro facce erano perplesse, non sapevano cosa fare, guardavano
interrogativamente lei e suo fratello, non comprendendo la loro lingua
madre.
“Che
cosa ci fanno?”, le domandò.
“Miki,
non stavamo facendo niente di
male...”, fece lei, sentendo la sua voce in tono di supplica
che non voleva mai
avergli dato.
“C’è
qualche problema, Jonny? Dobbiamo
andare?”, le chiese Dougie, ma lei lo zittì con
una secca scossa negativa del
capo.
Li
vedeva abbastanza spaventati, ma
sicuramente non per la stazza dei cinque. O forse sì...
Doveva riprendere il
controllo.
“Stavamo
solo guardando un film.”, disse,
cercando di essere risoluta.
Miki
lasciò cadere l’enorme borsone a
terra e si toccò stancamente le tempie.
“Jo,
lo sai che è meglio evitare certe
cose.”, le disse poi.
“Non
stavamo facendo niente di male!”,
esclamò lei, “Perchè non ti fidi mai di
me!”
“Io
mi fido di te, lo sai.”, le rispose,
“E’ di loro che non mi fido!”
Joanna
sbuffò, cercando di reprimere la
valanga di urli che le erano saliti in gola. Anche se discussioni
animate tra
lei e suo fratello erano all’ordine del giorno, non erano
però mai uscite da
quelle quattro mura. Il fatto che ci fossero troppi spettatori non le
permetteva di esprimersi come voleva. A grandi passi,
camminò verso camera del
fratello, seguita da lui, che chiuse prontamente la porta.
Anche se le
loro
voci arrivavano attutite, tutti i presenti sentivano benissimo che la
litigata era
abbastanza furiosa. Per
problemi
linguistici, i quattro non capirono quale fosse veramente il fuoco
della
questione, ma non erano così stupidi da non pensare che
fossero proprio loro la
causa di quell’eccesso di ira.
“Cosa
facciamo... ce ne andiamo?”, disse
Tom, risvegliato dalle esclamazioni di Joanna.
Harry
lanciò un’occhiata ai quattro fusti
vicino alla porta. Anche se fosse stato cieco, avrebbe subito capito
che quegli
sguardi pessimi erano per loro.
“Non
appena il passo sarà libero.”, disse,
“Non voglio pagare con un occhio nero o un braccio
fratturato.”
“Ma
non possiamo rimanere qui!”, disse
Danny.
“E
cosa vuoi fare? Fuggire via?”, gli fece
Dougie, incrociando le braccia.
“C’era
il bisogno di farli entrare in casa?”,
sentirono
dire al fratello, compresero il tono relativamente pacato.
“Loro
sono dei bravi ragazzi, Miki.”, rispose Joanna.
“Non
mi interessa, Jo, lo sai come la penso su certe cose.”
“Adesso
spiegami perchè ti stai comportando come se tu fossi il
padrone della mia
vita.”
“Non
sempre gli altri hanno buone intenzioni nei tuoi confronti.”
“Cosa?Pensi
che io non sia in grado di capire dove stiano il bene e il
male?”
“Secondo
te è un bene trovarsi insieme a quattro
sconosciuti?”
“Io
faccio quello che voglio della mia vita!”, esplose
la voce di Joanna, “Non sono
più una bambina ormai! Forse non lo
sono mai stata!”
“Non
alzare così tanto la voce!”
“Urlo
quanto voglio!”
I due
sembrarono zittirsi.
“Secondo
voi cosa si stanno dicendo?”,
fece Danny, preoccupato, guardando verso la porta della camera in cui
si erano
chiusi.
“Non
ne ho la più pallida idea.”, disse
Tom, “E spero che quei quattro là si tengano a
debita distanza.”
“Non
lo avevo capito che lei vivesse qui
dentro con lui.”, disse Dougie.
“Ci
credo, non ha mai parlato di sè.”,
sbottò Harry, “Se lo avesse fatto avremmo potuto
evitare questa cosa!”
“Non
puoi essere geloso! E’ questo il tuo problema, Miki, sei
asfissiante, mi togli
l’aria!”
“Non
avrei mai pensato la vera Jojo fosse
capace di urlare così tanto.”, disse Danny.
“Voglio
solo proteggerti! Tu non sai quanto questo mondo sia
pericoloso!”
“Vivere
a casa nostra era molto peggio che trovarsi in pieno centro di notte...
e tu lo
sai benissimo!”
“Ed
è per questo che sei qua da me! Non sai quanto mi preoccupi
perchè tu stia bene!”
“No!
Tu vuoi rovinarmi la vita! Sei come papà! Siete uguali!”
“Io
non sono come papà!”
“Certo
che lo sei!”
“BASTA!”
E poi
il silenzio. Glaciale.
“Hanno
finito...”, disse Dougie, trattenendo
il respiro.
La
maniglia della porta si abbassò, ne uscì
una Joanna a testa bassa.
“Ehm...
sarà meglio che andiamo.”, disse
prontamente Dougie alzandosi, seguito subito dai suoi compagni.
“E’...
stato un piacere conoscervi...”,
sussurrò Joanna, con la voce rotta.
“Possiamo
fare qualcosa per te?”, le
domandò Danny, ma sapeva che non avrebbe avuto risposta.
Infatti
Joanna non disse niente, incrociò
solo le braccia e si chiuse in camera sua.
Uscirono,
passando a testa bassa e mani in
tasca davanti ai quattro gaurdinghi.
Keith
Haring:
murales fatto a Pisa, visto con i miei
occhi, è molto carino (ma la foto non è mia).
http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:TuttomondoPisa.JPG
Mi
perdonerete se oggi i ringraziamenti saranno cortissimi, ma ho un sacco
di cose da fare :) ho trovato giusto il tempo per postare il nuovo
capitolo prima di preparare pranzo XD
Quindi, velocementissimo, ringazio: Princess (sei troppo buona), Cowgirlsara, Picchia (baciamo le mani) , Ciribiricoccola(dont stop me noooooow), Kit2007, Zizzy94 e Lady Vibeke (in anticipo!).
|
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Capitolo 7 *** Not Alone ***
Prima
di iniziare con la
stesura del capitolo, voglio ringraziare in modo particolarissimo _Princess_,
che da questo capitolo in po mi ha dato una mano fondamentale
nell'evoluzione
della storia, soprattutto per quanto riguarda la vita privata della
nostra
protagonista, la Piccola Joanna.
Mi
sei stata veramente di grandissimo aiuto, lo sai, perchè
sarà anche vero il
motto I Tokio Hotel per tutte, ma prima di
questo ci sono le MS
per le MS.
Grazie!
7. Not
Alone
Salirono
in macchina in silenzio e l’unico
argomento che venne affrontato durante tutto il tragitto riguardava le
strade
da percorrere, dato che non sapevano in quale direzione si trovasse
l’hotel.
Fermarono un paio di tipi abbastanza loschi, ma si rivelarono molto
più utili
di quanto pensassero: indicarono loro la strada e, dopo un decina di
minuti, si
trovarono nella hall.
“Ci prendiamo qualcosa da bere?”, propose
Harry, andando verso la zona bar.
Gli altri annuirono.
Davanti ad una birra in bottiglia, trovarono
il tempo di rilassarsi.
“Cosa... cosa abbiamo combinato?”, chiese
Tom, scrutando fintamente le lettere impresse sulla bottiglia.
“Non lo so.”, rispose Harry, “Ma
evidentemente qualcosa di grave.”
“Quello era il suo fidanzato?”, chiese
Danny.
“Era suo fratello, idiota!”, esclamò
Dougie, scuotendo la testa rassegnato.
“Scusami!”, si difese, “Io non parlo
italiano!”
“E’ stata lei a dirlo... quando l’ho
visto
nella fotografia. Non ti ricordi?”, si spiegò
Dougie.
“Ed ero io a guardarla quella fotografia?”,
continuò Danny, irritato.
“Hey, ragazzi,”, li richiamò Tom,
“Cerchiamo, almeno noi, di non litigare.”
“Come ho detto prima,”, disse Harry, “se
lei ci avesse parlato di sé e di suo fratello, tutto questo
non sarebbe
successo.”
“Dai, Harry, non essere così stronzo!”,
gli fece Dougie, “Magari è così
riservata su se stessa per dei precisi motivi!”
“Sì, lo capisco perfettamente, Dougie.”,
rispose Harry, “Ma non si devono nascondere dei motivi alti
un metro e ottanta,
con cento chili di muscoli!”
Dougie sbuffò, a volte Harry era così
ottuso che non andava mai oltre quello che vedeva in superficie.
“Obiettivamente, Harry ha ragione.”, disse
Tom, “Poteva dire che viveva con suo fratello e che lui non
gradiva avere
estranei in casa, però magari potrebbe anche essere che
Joanna non si aspettasse una
reazione del genere da parte sua.”
“Vivi con qualcuno e non sai delle sue
possibili reazioni?”, continuò Harry.
“Non sto cercando di giustificare nessuno.”,
precisò Tom, “Sto solo provando a razionalizzare
quello che è successo!”
“E’ successo sicuramente che Joanna non si
aspettava di vedere tornare suo fratello a casa.”, disse
Danny, attirando
l’attenzione su di sé.
“E come fai a saperlo?”, gli chiese
Dougie, “Per caso la conosci meglio di noi?”
“No, non la conosco meglio di voi.”,
esclamò, spazientito, “Però ho visto
che faccia aveva mentre sentiva quei tipi
avvicinarsi alla porta dell’appartamento.”
“E che faccia era?”, domandò Tom.
Danny ci riflettè qualche secondo, aveva
bisogno di un esempio efficace e incontrovertibile.
“Quella di una che veniva colta dal marito
con l’amante.”, disse poi, annullando il sorrisetto
fuori luogo che gli era
salito in viso.
Ed infatti gli altri compresero.
“Non lo so quale sia il rapporto con suo
fratello,”, riprese Danny, sottolineando ogni sua parola con
il picchiettare
dell’indice sul bordo del tavolo intorno al quale stavano
seduti, “né che cosa
possa essere successo tra i due. Ma di sicuro, lei non si aspettava che
lui
tornasse a casa. Era per quello che eravamo lì, altrimenti
non ci avrebbe mai
fatto entrare, viste le reazioni a cui sarebbe andata incontro. E
adesso
capisco anche tutta la sua ritrosia nell’accettare i nostri
inviti.”
Gli altri annuirono in silenzio. Dougie,
che aveva incrociato le braccia sul tavolo, vi nascose la faccia. Harry
si
passò una mano sulla testa, Tom sbuffò guardando
altrove.
“E rimane comunque il fatto che avrebbe
dovuto dirci questa cosa.”, rimbeccò Harry.
“Ma perché avrebbe dovuto farlo?”, la
difese Dougie, “Perché avrebbe dovuto raccontarci
ogni aspetto della sua vita
privata? Per caso siamo i suoi migliori amici? No, anche se siamo i
McFly, per
lei siamo solo quattro sconosciuti... magari appesi alle pareti della
sua camera.”
L’altro alzò le spalle.
“Per caso ti sei mai interessato”,
continuò Dougie, “a capire come mai Jonny si
comporti in questo modo? No, pensi
subito che sia una mummia incapace di divertirsi.”
Harry sbuffò, incrociando le braccia.
“Comunque, non abbiamo nemmeno il diritto
di continuare questa conversazione.”, disse il batterista,
interrompendo le
intenzioni di Dougie di sfogarsi contro la sua eccessiva
superficialità.
“E perché?”, gli chiese Danny.
“Perchè concordo con una delle cose che ha
detto Dougie. Non siamo suoi amici, non siamo nessuno, solo i McFly.
Degli
sconosciuti che si trovano in questa città e si sono
aggrappati ad una loro fan
per non perdersi tra i vicoli…. Dio!”
Gli altri lo guardarono stupiti.
“Danny, non fare quella faccia da santo!”,
esclamò Harry, “Perchè l’hai
invitata a passare questa giornata con noi? Lo hai
detto tu stesso ieri!”
Lui cercò il sostegno negli sguardi dei
suoi amici, ma non ne trovò.
“Perchè sapevi che avremmo passato
l’intera domenica a zonzo senza fare niente.”,
continuò Harry, “E non volevi
annoiarti!”
Abbassarono gli occhi.
“Volevamo stare con lei perchè è del
posto, conosce la città e tutto intorno.”, si
rinvigorì Harry, “Per il resto
sono sempre stato scettico nei suoi confronti.”
“Non sei scettico, sei acido...”,
bofonchiò Dougie.
“Acido, scettico, come vuoi! Realista!”,
riprese Harry, “Di certo non volevo che lei pensasse che
stessimo diventando
tutti suoi amiconi.”
“Harry... abbiamo capito cosa intendi
ma...”, ritentò Danny, ma fu interrotto.
“No, Jones. E’ meglio chiudere qui questa
cosa. L’abbiamo sfruttata e adesso, viste le conseguenze,
è meglio lasciar
perdere.”, controbattè Harry, “E non
provare a dire che non ho ragione. ”
Era vero, aveva ragione.
“Me ne vado a letto.”, disse Danny,
alzando le mani e sparendo dalla saletta. Tom lo seguì
silenziosamente con le
mani in tasca.
Dougie alzò la testa dall’incrocio delle
sue braccia ed appoggiò il mento su di esse.
“Non l’abbiamo sfruttata.”, disse poi.
“Poynter…”, lo riprese Harry, con tono
ovvio.
Se ne
stava sdraiata sul letto, con la schiena
appoggiata ad un cuscino che ammorbidiva la durezza della testata di
legno. Le
mani incrociate sulla pancia, i piedi intrecciati tra loro. Sopra il
suo capo,
una faccia conosciuta e contornata di lunghi capelli castani e mossi se
ne
stava seduta su uno sgabello, con i suoi vestiti neri e
l’atmosfera rossa alle
sue spalle. Appesa al muro, Alanis Morissette era immortalata durante
la sua
esibizione unplugged per Mtv, davanti al suo microfono.
La porta si aprì prepotentemente, senza
nessun bussare di anticipazione.
“Vattene Miki, per favore.”, disse Joanna,
voltandosi di lato per dargli le spalle.
“Stammi a sentire solo per due minuti,
Jo...”, fece lui, con tono deciso ma dolce.
“No, lasciami in pace!”, esclamò Joanna.
“Se avessi avuto con te il tuo cellulare
tutto questo non sarebbe successo!”, le ripetè
Miki, come le aveva già detto
migliaia di volte non appena tutti gli scocciatori, compresi i suoi
compagni di
squadra che erano saliti solo per bere qualcosa, ebbero lasciato il
loro
appartamento, “Avresti saputo che saremmo tornati a casa
senza aver giocato! E
non sai nemmeno quanto mi sono preoccupato, non rispondevi, pensavo ti
fosse...”,
le fece.
“Non posso vivere con il telefono
appiccicato al culo, Miki!”, rispose prontamente Joanna.
“Ma se ti fosse successo qualcosa...”, le
fece lui.
“Non mi succede niente, mettitelo in
testa!”, lo interruppe Joanna.
“Te ne sei andata via l’intera giornata,
da sola! Avresti dovuto portarlo con te!”
“Non ero da sola, ero con Danny e gli
altri.”, precisò Joanna, sedendosi sul bordo del
letto per il nervosismo, ma
senza togliere le spalle al fratello.
“Danny e gli altri...”, sbuffò Miki,
“Non
lo capisci che ti hanno solo sfruttata per farsi scarrozzare in
giro?”, le
disse Miki, “Pensi davvero di essere diventata loro
amica?”
“Credi che io sia così scema?”,
sbuffò
Joanna, “Mi pensi così ingenua?”
“Lo sei più di quanto tu creda!”
Joanna lo guardò, cercando di scavare
nella montagna di insulti che le era cresciuta in testa.
“Devi piantarla con questa gelosia.”,
disse Joanna, “Non lo capisci che stai facendo fuggire tutte
le persone che ti
stanno intorno?”
Miki prese un profondo respiro e si
strusciò gli occhi, per ripristinare la sua calma e non
scoppiare di nuovo in
un eccesso di ira.
“Te lo sei mai chiesto perchè tua moglie
Rita se ne sia andata così
all’improvviso?”, gli fece Joanna.
Da quando aveva messo piede in quella
casa, l’argomento Rita era stato tirato fuori pochissime
volte, solo nelle
peggiori litigate tra loro due. E sempre aveva portato entrambi ad
offendersi
così tanto da non riuscire a parlarsi per diversi giorni.
Ma quella precisa domanda non gliela aveva
mai posta.
Suo fratello, forse per trovare un
pretesto per lasciare casa, ma soprattutto perchè amava
davvero quella ragazza,
a dispetto della stragrande maggioranza dei suoi coetanei aveva deciso
di farsi
una vita propria insieme a Rita, sposandosi che entrambi avevano
ventitre anni. Per quello che Joanna aveva potuto capire
dal primo momento in cui si erano messi insieme, potevano essere
destinati a
mettere su una bellissima famiglia: fare sei o sette figli e
festeggiare le
nozze di platino. Sembravano volersi veramente bene... Lei era una
bella
ragazza, mora e molto alta, intelligente e simpatica. Si erano sposati
poco
dopo la laurea di lei in lingue straniere e Joanna si poteva quasi dire
responsabile di tutto quello: infatti al liceo, bisognosa di una mano
in
francese aveva preso il numero di una ragazza che era disponibile a
dare
ripetizioni in quella materia, strappandolo un avviso affisso ad una
fermata
del bus. Ed era appunto questa Rita. Di certo, però, non se
ne era mai fatta
una colpa, nè Miki le aveva fatto pesare tutto questo,
sarebbe stato veramente
meschino ed ingiusto da parte sua.
E poi, un giorno, fine dell’idillio. O
meglio, fine di ciò che pareva un idillio.
Ad ogni modo, all’improvviso Rita se n’era
andata. Miki non aveva mai dato una precisa spiegazione a quello, anche
se a
Joanna era parsa da subito abbastanza palese, ma anche troppo
semplicistica. Per
lui, lo sport era stupidamente sempre prima di tutto, anche della
moglie... Ma
fu dopo essersi trasferita da lui che riuscì a comprendere
anche l’altro motivo.
Una gelosia che toglieva il fiato.
Come si vedeva fare nei film, nel giro di
due giorni Rita se n’era andata di casa. Grazie al servizio
postale e a
incontri davanti ai rispettivi avvocati, avevano firmato le carte
necessarie
per divorziare. Joanna si era sempre stupita di come i due non si
fossero mai
affrontati apertamente.
“Ti stai comportando con me proprio come
hai fatto con lei... mi stai asfissiando, Miki!”,
esclamò Joanna.
“Tienila fuori dalla questione.”, sibilò
Miki.
“E tu togliti la fede dalla collana che
porti al collo, prima di venire a giudicare me.”,
contraccambiò Joanna,
“Risolvi prima i tuoi problemi, poi ti darò il
diritto di mettere il naso nei
miei...”, sospirò, “Basta.”,
disse poi, “Esci dalla mia camera.”
Indicò, a braccio totalmente teso, la
porta.
“No, non me ne vado.”, continuò Miki,
“Voglio
che tu capisca perchè mi sono arrabbiato
stasera.”, ringhiò e andò verso la
porta, dando un pugno su di essa. Esattamente sulla faccia di Dougie.
“Questi qua non sono persone con cui puoi
fare amicizia!”, disse poi.
Joanna non si tratteneva più. Per troppo
tempo aveva sopportato tutto quello. Le avrebbe fatto un male
cane, ma voleva
parlare, mossa dalla rabbia e dalla voglia di sfogarsi, di prendersela
con lui
per quello che le stava facendo.
“Loro
sono solo la punta dell’iceberg!”,
esclamò lei, serrando le mani in una stretta
fortissima, “Sotto ci stanno tutti i tuo amici... Hai voluto
che iniziassi ad
uscire insieme a voi perchè non sopportavi vedermi passare i
fine settimana in
casa. Ma poi, da quando ho preso a farlo, hanno preso ad evitarmi
costantemente.
Cosa hai detto loro?”
“Niente, Jo!”, le rispose Miki.
“Allora perchè non riesco a parlare per
più
di mezzora con ognuno di loro senza che si sentano a disagio e mi
mollino con
una scusa idiota? Eh? Spiegamelo!”
Miki non le rispose.
“Sai benissimo che ho sempre avuto
difficoltà a farmi degli amici! Perchè mi vuoi
rendere tutto ancora più
impossibile di quanto lo sia per me?”
Scena muta. Miki la fissava, voleva
parlare ma si stava trattenendo. Joanna gli andò incontro
rabbiosa e lo prese a
schiaffi.
“Dimmelo! Dimmelo!”, gli gridava
piangendo, “Perchè mi evitano!”
Miki le fermò le mani con una presa forte
ma calma. Si infrangevano sul suo petto senza procurargli molto dolore
fisico,
ma facevano un male cane al suo cuore.
“Loro non devono stare con te.”, fece
poi, strappandosi le parole dalla bocca.
“E perchè?”, disse Joanna, come fosse
stato un lamento straziante.
“Ho detto loro che avrei ucciso chiunque
abbia il coraggio di posare un dito su di te.”, disse Miki,
“Non scherzo,
sappiamo entrambi che cosa non voglio che accada.”
“Io non sono un’idiota... mi so
difendere!”,
disse Joanna, accasciandosi a terra, stremata.
Lo sapeva che si sapeva difendere, lo
sapeva benissimo, altrimenti non avrebbe avuto la forza per
ribellarsi ai loro genitori e venire da lui. Ma non sapeva
cosa altro fare... Doveva
proteggerla, era quello che i fratelli maggiori dovevano fare con le
sorelline.
Era quello il suo compito. Lo stava svolgendo bene?
“Jo...”, le disse, “Non voglio che ti
trovi a vivere per sempre accanto ad uno come
papà.”,
Aprì la porta e se ne andò.
Era tardi, era stanco, doveva dormire. Il
giorno dopo doveva lavorare.
I
hear you talk about your
family life
I wish I knew just what that means
Mamma,
papà, Michele e Joanna. Un piccolo nucleo familiare, felice,
spensierato, quasi
da tipica pubblicità delle merendine in tv, dove tutti
sorridono mentre
addentano con gusto la pastina farcita di cioccolato e crema.
Semplicemente
deliziosa!
I
loro genitori erano entrambi di buona famiglia e professori di inglese
in due
dei tanti licei che fornivano correttamente istruzione ai giovani
fiorentini.
La loro casa si trovava fuori città, nelle colline a nord,
ed era proprio
un bel posto in cui
nascere, vivere ed
educare i propri figli.
I
mean the best with what I say
Sì,
sembravano davvero una famiglia felice. Joanna non pensava questo con
tono
sarcastico, assolutamente no, era del tutto sincera.
It
doesn't always sound that
way
Perchè
lo sembravano, ma non lo erano veramente.
Le
più belle cose sembravano tali, se viste superficialmente
dall’esterno; solo un
osservatore abile, scrupoloso, attento ai dettagli ma soprattutto alla
forma
interna, avrebbe potuto capire in un unico colpo d’occhio che
i sorrisi,
stampati sulla fotografia della loro famiglia appesa in bella vista
appesa al
muro poco distante dalla porta d’ingresso, avevano poco della
serenità che
sembravano infondere nei cuori di chi li guardava.
I
guess my mother never loved
my dad
And now I wear it on my sleeve
Ne
era più che sicura.
I
suoi non si erano mai amati, soprattutto mamma non aveva mai amato
papà. Non
gli aveva mai voluto bene, ma era sempre stata abilissima nel
nasconderlo. Era
stata una bugiarda per natura, o forse per necessità? Non
lo sapeva per certo, ma sicuramente aveva imparato ad esserlo nel tempo.
La
patina dorata che caratterizzava la loro famiglia le si era appiccicata
addosso, costringendola a vivere una vita di apparenza e di
mistificazione. L’artefice
di tutto questo era una sola persona, lei ne era diventata complice.
I
try to breath, memories overtaking me
I try to face them but
the thought is too much to conceive
Quando
era stata piccola, tante cose avevano avuto una
giustificazione che per lei era
sembrata corretta e plausibile.
Perchè
mamma si arrabbiava? Perchè Joanna aveva combinato qualche
guaio e, per quello,
le andava fatto capire che cosa aveva sbagliato. Allora mamma alzava un
po’ la
voce, magari le dava qualche sculaccione, la metteva in punizione per
un giorno
o due e la lezione veniva prontamente imparata. Fine.
Perchè
papà si arrabbiava?
Quello
era più difficile da razionalizzare.
Did
Daddy not love you?
Era
indubbio che le volesse bene e gliene aveva dato dimostrazione in
moltissimi
modi.
Or
did he love you just too
much?
A
partire dal fatto di considerarla la sua preferita.
Per
tanti motivi: era la piccola dei due figli, Miki non dava ottime
soddisfazioni
a scuola, odiava l’inglese e pensava solo allo sport. Lei,
invece, si era
sempre impegnata al massimo in tutto quello che faceva, era felice nel
far
contenti i suoi genitori. Forse perchè aveva sempre saputo
che quello era
l’unico modo per vedere i loro genitori sorridenti insieme.
Non era che litigassero, che urlassero tirandosi
dietro piatti... semplicemente non c’era sentimento tra loro
due. Erano come
due stranieri entro le solite quattro mura. Non si
parlavano, a meno che non fosse strettamente necessario, e quello che
si dicevano spesso moriva dopo qualche parola.
Eppure da fuori sembravano così felici...
Did
he control you?
Did he live through you at your cost?
Did he leave no questions for you to answer on your own?
Suo
padre si schierava in aperta battaglia per la figlia: combatteva per
lei, per
farla felice, per darle la possibilità di avere successo...
E tutto questo non
era encomiabile per un padre che adorava la figlia? Certo che lo era,
ogni
genitore voleva vedere il proprio figlio condurre una vita migliore
della propria.
Ma
c’era sempre il risvolto della medaglia.
Ogni
singolo tassello della vita di Joanna aveva avuto una precisa forma e
si era
incastrato perfettamente con tutti gli altri, in un puzzle vivente che
suo
padre era riuscito a tessere abilmente fin dal primo momento in cui era
nata. Suo
padre era il regista di un film che aveva come titolo, appunto, il nome
di
Joanna. Lei stesse ne era protagonista, marionetta nelle mani del suo
abile
giocoliere.
So please!
Don't keep telling
that it's ok
I don't buy all the shit that you say
And
quite honestly I'm fucking sick of it.
Più
che amore, quello che suo padre aveva da sempre provato per lei era
ossessione.
Sì,
ossessione.
Joanna
non se ne era mai resa conto fino a che non iniziò a pensare
di essere in grado
di poter scegliere cosa voler fare nella propria vita. Vissuta tra due
professori di inglese, le sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza
della
lingua iscrivendosi ad un liceo linguistico.
No,
non era quello che era stato pensato appositamente per lei.
Stranamente, suo padre non voleva che lei ripercorresse i suoi passi:
era una strada troppo lunga, quella del diventare professore, e la sua
categoria era ampiamente sottopagata per il lavoro difficile che
faceva. Quello che aveva progettato per lei era una migliore carriera,
magari nell'ambito medico o forense.
Finchè
Joanna, volente o nolente, aveva seguito la volontà del
padre tutto era andato
per il verso giusto: lui ne era contento ed orgoglioso, fiero di
lei. Altrimenti, se si
voltava la medaglia, la faccia impressa su di essa si trasformava in
una
pesante croce. Una
croce che faceva male.
Tanto
male, perchè
era a quel punto che papà si arrabbiava.
So
where were you
When all this I was going through
You never took the time to ask me
Just what you could do
Forse
era per quello che i suoi non si erano mai amati. Sicuramente, mamma
odiava
papà proprio per questa sua ossessione.
Era
riuscita a sottrarre da quello stesso gioco vizioso Miki, aiutata anche
dal
fatto che suo fratello era sempre stato un bambino abbastanza
irrequieto, una
testa calda che si era calmata solo crescendo.
Chissà
per quale motivo non era stata capace di fare altrettanto con lei...
Non aveva nemmeno mai avuto la forza, o forse la volontà, di
opporsi a suo marito. Aveva accettato
passivamente decisioni e
conseguenze, sottomessa.
Well fuck
them
And fuck her
And fuck him
For not having the strength in your heart to pull through
E
allora che si fottessero tutti e due.
Era
lei a portare le cicatrici di quello che aveva passato. Sul cuore... ma
soprattutto sulla pelle.
The
thoughts from my mind
Command my lips say I hate you
Non
avrebbe mai pensato, da piccola, che un giorno
si sarebbe trovata ad odiare i suoi stessi genitori. Da brava cattolica
quale
era stata, aveva ritenuto che la famiglia fosse il pilastro
fondamentale di
qualsiasi persona, che senza di essa l’individuo non fosse
nessuno.
Cazzate.
Credeva ormai solo in se stessa e nella possibilità
di andare avanti da sola.
The
thoughts from my mind have
one question...
When will this ever end?
La
dolce e cara Joanna, dall’aspetto così gentile,
minuto e pacifico, serbava così
tanto rancore che a volte lo stomaco si rivoltava contro lei stessa,
distruggendole la giornata dal dolore che sentiva.
I
sit here locked inside my
head
Nessuno
aveva mai saputo quello che aveva passato, perchè la sua
vita
era rimasta
chiusa all’interno di quattro mura. Non aveva mai avuto
voglia di
parlarne, nè
di dare una giustificazione ai marchi visibili della sua esistenza;
aveva
sempre una scusa pronta: Joanna era goffa. Non le riusciva nemmeno
tanto difficile farsi credere, perchè era veramente incapace
di
farsi male cadendo.
Era
per quello che non aveva mai avuto amici. Perchè quando una
persona stringeva
legami forti con altre, prima o poi arrivava sempre il momento in cui
certe
cose venivano a galla.
I'm
empty
Addicted
Pissed off
And still afraid of what you
Have left me to live in
This mess you've made
I feel
useless...Jaded...
Nameless
Le
ci erano voluti degli anni per riuscire a racimolare abbastanza forza
d’animo
per ribellarsi, per scacciare via la paura di vedere la faccia di
papà incrinarsi
in una smorfia di rabbia e di violenza. E
quando aveva deciso di lasciare l’università,
pochissimi mesi dopo aver passato il test di selezione
all’entrata ed
essersi
inscritta alla facoltà di medicina,
aveva fronteggiato suo padre.
My
head hurts, this shit isn't
getting me high
My chest is so tight I think I am going to die
My stomach's in knots and the room starts to spin
Stava
perdendo la forza di ricordare, la testa si
faceva sempre più leggera e tantissimi punti neri stavano
offuscando la sua
vista. Prese un grande respiro e, repimendo un attacco forte di nausea,
ritrovò
la forza di controllare il proprio corpo, che si distruggeva sempre nel
ricordo.
And
then I'll find you here
Through your eyes everything's clear
And I'm home inside your arms
Aveva
fatto le valige e se n’era andata, prima che suo padre se ne
accorgesse. E
comunque troppo tardi per sfuggirgli ancora. Se n’era andata
da Miki. Sapeva
il motivo per cui lui l’aveva accolta in casa, il
vero motivo. Non
era semplicemente perchè aveva bisogno di una compagnia
fisica ed anche
economica. Nemmeno perchè voleva bene alla sorella.
Era
perchè si sentiva in colpa per aver chiuso gli occhi ed aver
lasciato casa
quando lei ne aveva avuto più bisogno. Miki si era scontrato
più volte con il
padre per lei, l’aveva difesa in tanti modi, ma nemmeno il
suo fisico da
sportivo era stato sufficiente. E quando ne aveva avuto abbastanza, se
n’era
andato.
Ma
non gliene aveva mai fatta una colpa, anzi, Joanna aveva sempre pensato
che suo
fratello avesse preso la decisione giusta.
Aveva
ritrovato forza quando lui l’aveva accolta a braccia aperte e
quando lui aveva
sbarrato la porta di casa al padre, impedendogli di rientrare riprendersi la figlia,
aveva capito che la
sua vera famiglia era lui.
Aveva
ripreso a vivere, lasciandosi alle spalle tante paure. Si era sforzata
di
vivere una vita normale. Una vita che potesse chiamarsi tale, che non
fosse semplicemente
una sceneggiatura da seguire dettagliatamente.
But
I'm alone for now
E
si trovava esattamente al punto di prima.
Anche
Miki si sentiva in dovere di dirle cosa fare, cosa pensare. Era tornata
ad
essere di proprietà di un altro che non era lei stessa.
And I lie here
in bed, all alone, I can't mend
But I feel tomorrow will be okay
Sì,
se lo
sentiva, prima o poi sarebbe andato tutto bene.
Prima o poi.
Stette
diverso tempo a rimuginare, a pensare. Quello
che era successo, da tre giorni a quella parte, poteva dirsi del tutto
surreale. Avevano messo piede in un paese straniero, uno come
gli altri, dove avrebbero suonato per poi togliere di nuovo le tende ed
andarsene
da un’altra parte, suonare di nuovo e così via.
Semplice no?
Poi, era capitato un imprevisto. Si erano detti: ma
che cazzo ci facciamo qua?
Si erano guardati intorno per un giorno intero,
avevano visto le statue, le chiese, il fiume ed i ponti. Le visuali
panoramiche,
le gallerie d’arte. Insomma, avevano spulciato in superficie
le bellezze della
città di Firenze;
non interessava loro
andare molto più a fondo di quel modo, avevano fatto il
giusto per contentare
Tom, voleva vedere se era come se la ricordava. E, una volta
esaurite le memorie da verificare, si
erano guardati nelle palle degli occhi.
“Noleggiamo una macchina!”, aveva proposto Harry,
“E
andiamo in giro!”
“Deficiente!”, gli aveva risposto lui,
“Ci avevamo
già pensato e domani andiamo a prenderla!”
Al tempo, il domani sarebbe stato sabato,
attualmente ieri, perchè finchè l'orologio non
scoccava
la mezzanotte, ancora stava vivendo nella domenica. Avevano ritirato la
macchina e, dopo aver davvero rischiato di finire
spiaccicati contro un bus, guidando nella direzione sbagliata, si erano
detti
di nuovo: ma che cazzo di facciamo qua?
Erano soli, senza autista, senza manager, senza
staff, senza nessuno. Almeno a Parigi avevano portato qualcuno dei
tecnici,
quei tre deficienti del suono, con i quali si erano spaccati le
mascelle dalle
risate. Ma lì erano come dei pesci fuor
d’acqua.
E dire che
pensavano di sapersela cavare in tutte le situazioni. Non
sapevano dove battere la
testa: non che Firenze fosse una metropoli infinita, ma agli italiani
non
piaceva imparare l’inglese e non sapevano come comunicare con
loro per chiedere
informazioni vitali, tipo: Dove posso
trovare un posto dove c’è aria di darla via
facilmente?
Poi, al sabato sera, dopo le peripezie con l’auto, chiusi in
un noioso locale, a
Danny era venuta l’illuminazione.
“Ragazzi!”, aveva detto, “Mi sono
scordato di dirvi
una cosa importantissima!”
“Jones, se il tuo cervello gareggiasse insieme a
quello di un moscerino, i giudici di gara darebbero la vittoria al tuo
sfidante
per mancata presentazione dell’avversario.”, gli
aveva risposto lui.
“Oh, grazie per il sostegno morale Dougie.”, gli
aveva risposto Danny, dandogli una pacca sulla testa,
“Comunque, il fatto è che
non abbiamo molto da preoccuparci.”
“E perchè?”, aveva chiesto Harry.
“Stamattina ho incontrato Joanna.”, aveva detto
Danny.
“Oh, ma che informazione di vitale importanza.”,
aveva ironizzato Harry.
Finalmente una buona notizia, pensò Dougie.
“Ci vuoi stare zitto un attimo, Harry!”, lo aveva
rimbeccato Danny, “Comunque, le ho chiesto di uscire stasera.
E ha detto di
no.”
“Ovvio.”, aveva detto Tom.
“Guarda che l’ho invitata a stare con noi, non
esclusivamente
con me!”, aveva precisato Danny, “E comunque, se
avesse detto di sì, non mi
sarebbe dispiaciuto per niente rimanere da solo con lei...”
“Ma lei ti ha detto di no, il problema non si
pone.”, lo aveva zittito Dougie.
Era rimasto lievemente deluso. Stava bene in
compagnia di Joanna, quella ragazza lo incuriosiva molto.
“Ad ogni modo...”, gli aveva detto con decisione
Danny,
guardandolo seriamente negli occhi, “L’ho invitata
a passare la domenica con
noi. Penso che sia una buona idea stare in sua compagnia. Se
verrà, potremmo
farla guidare e farci portare da qualche parte per
divertirci.”
“Specificati meglio, Danny.”, aveva fatto Harry,
“Cosa vorresti che facesse lei? La nostra giuda
turistica?”
“Beh...”, aveva fatto Jones, “Direi di
sì, anche se
in questo modo sembra una cosa meschina e cinica. Ma il fatto
è che noi non
sappiamo come muoverci in giro se non a piedi... e lei è di
qua. E poi, anche
se non è proprio la mia ragazza ideale, è
dannatamente carina e finora è stata
l’unica disponibile.”
Harry lo aveva guardato di sbieco, con la sua solita
smorfia di poco velata disapprovazione. Tom aveva scosso la testa,
facendo
schioccare la lingua e guardando rassegnato verso l’alto.
“Perchè no?”, aveva detto Dougie,
“Io non la vedo
proprio come una guida turistica.”
“Ah no?”, aveva fatto Harry, “Almeno
spero che
questa ragazza sia così tanto ingenua da non
comprenderlo.”
“Se la metti così è davvero una
bastardata.”, si era
difeso Danny.
“E’ una bastardata.”,aveva sottolineato
Tom, “Ma
cosa cazzo ci facciamo qua?”
“Ti ricordiamo che sei stato tu a volere che
venissimo qua con una settimana di anticipo.”, gli aveva
ricordato Dougie.
“Sì, ma pensavo che ce la saremmo cavata
bene!”,
aveva risposto Tom, “Mi dispiace!”
“Meno male che c’è Little
Joanna.”, aveva detto
Danny, con aria contenta.
“Dai, in fondo passeremo una bella giornata con
lei.”, li aveva riconciliati. Lui, Dougie Poynter era
un’ottimista di natura, non
poteva dire altro.
Ammetteva che durante la gita al mare si erano comportati male nei
confronti di
Jonny, che l’avevano ‘sfruttata’
per
i loro comodi. Ma in fondo aveva passato una bella domenica in sua
compagnia,
almeno per quel poco che avevano parlato, in macchina al ritorno...
perchè per
tutta la giornata avevano perseverato nell’ignorarla quasi
completamente,
giocando a calcio.
Oltretutto, quello che poi era successo alla sera,
quando era rientrato suo fratello, l’aveva lasciato del tutto
sbalordito. Era
necessario scusarsi con lei, chiederle perdono per averle causato
così tanti
problemi, anche se del tutto involontariamente.
Era stata tutta colpa sua: lui aveva autoinvitato
tutta la combriccola in casa di Jonny. E doveva trovare un modo per
farsi
perdonare.
I
versi in inglese corsivo
sono ritagli di canzoni degli Staind,
gruppo che ho nel cuore. Sono utilizzate senza scopo di lucro ed
esattamente sono: ME
– SAFE PLACE - FADE – WASTE – PLEASE
– FOUR WALLS –
FOR YOU – NAMELESS - PRESSURE, presi dai loro
vari album, dopo un'attenta rilettura dei loro testi.
Chi mi conosce bene sa
quanto siano di
ispirazione per me.
Passiamo ai commenti, d'obbligo questa volta data l'ultima, in cui sono stati molto frettolosi:
Lady Vibeke:
Visto il video del capitolo? *-* VoceSesso al meglio... Yeah *me sbava
fantozziana* Eh, la nostra Joanna si concentra sui detersivi per
piatti, più che sugli occhi di Danny e ha tutte le ragioni per
farlo. Dio santo, quegli occhi bruciano, sono peggio del napalm. Hai
indovinato su un paio di cose: Harry senza peli sulla lingua, in questo
capitolo ne hai una bella dimostrazione e darà il meglio
più avanti. L'altra cosa è l'indizio nascosto, la pietra
miliare in incognito come l'hai chiamata tu... eheheh, non ti si
può nascondere niente! Altrimenti, che MS saresti! Ci sentiamo!!
Princess:
Se violenti Harry, per cortesia, rimandalo intatto? Non ne ho molto
bisogno ma, sai, il gruppo rimarebbe senza di lui. Non ti bastano i
ringraziamenti in cima, lassù? Dio! Sei proprio narcisa!
Picchia:
Baciamo le mani. *sparo un colpo a salve con la lupara* A me piace
tanto Haring, appena trovo un suo quadro lo compro e me lo metto in
camera, ho anche lo sfondo sul cellulare ispirato a lui! Ehehe, Harry
fa l'acidello anche in questo capitolo, ma tra un po' lui
spiegherà anche perchè è così... acido! Ma
gli stronzi fanno sempre effetto sulle donne, anche su di me...
CowgirlSara: TI APPOGGIO!!!! E non dico altro.
Kit2007:
Weeeeee bentornata cara! Com'è andata la gita? Sicuramente bene!
Eheheh anche a te non si può proprio nascondere niente, quando
dici di capire gli inghippi che nascondo nella storia tu ci arrivi
sempre! Ma brava *applausi e cori da stadio per Martina* ci becchiamo
su msn! Ciao!
GiulyWesley:
Bentornata anche a te! Grazie per i complimenti, sono sempre incerta di
aver dato il giusto carattere ad ognuno dei Mecchi, spero di non
sbagliarmi! Alla prossima! Ciaooo
|
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Capitolo 8 *** Born to.... RUN!!! ***
Decisero
di non farne parola con Harry,
dato che aveva espresso molto chiaramente il suo punto di vista sulla
questione. Lo lasciarono dormire nella sua camera, non avrebbe sentito
la loro
mancanza. Era mezzogiorno inoltrato, il sole della domenica si stava
allungando
anche a quel lunedì, ma una gelida arietta ghiacciava i loro
nasi, facendoli
arrossire.
Davanti
alla porta del locale si chiesero
se stessero facendo la cosa giusta.
“E
se non ci volesse più vedere?”, chiese
Tom, “Dopotutto, siamo stati noi la causa della sua litigata
con il fratello.”
“Ma
sappiamo veramente che cosa è successo
ieri?”, disse Dougie, il promotore dell’idea,
“In fondo litigavano senza
sottotitoli.”
“Tu
lo hai visto come ci guardava
quell’armadio di suo fratello?”, fece Danny,
“E i suoi amici? Ho davvero
pensato che stessero per pestarmi!”
“Già...”,
disse Dougie, toccandosi il
mento in riflessione, “Io direi di entrare e basta. O la va o
la spacca!”
“Ok.”,
disse Tom, avvicinandosi alla
porta. Un attimo prima di aprirla, però, i suoi occhi
andarono al di là del
vetro. Quello che vide lo sconfortò notevolmente.
“Che
c’è!”, sbottò Dougie,
“Entra!”
Tom
scosse la testa, al che il bassista
Poynter si avvicinò alla porta e guardò.
“Cazzo!”,
esclamò, allontanandosi
velocemente, “Ma quello la segue dappertutto!”
“Chi?”,
fece Danny, che non aveva capito.
“C’è
suo fratello nel locale.”, disse Tom,
rassegnandosi, “Se ci vede entrare ci ammazza.”
“Io
me la squaglio.”, disse Danny.
“No,
tu non vai da nessuna parte!”, lo
riprese Dougie prima che potesse muoversi di un passo,
“Adesso entriamo e non
ci facciamo prendere dalla paura! In fondo anche noi siamo belli
alti.”
“E
belli magri.”, aggiunse ironicamente
Tom, “No, non entriamo, non vorrei che scatenassimo una
reazione a catena che
comporterebbe il licenziamento di Jo.”
“E
perchè dovrebbero licenziarla?”, chiese
Dougie.
“Metti
che suo fratello, vedendoci, le fa
una scenata...”, chiarificò Danny, comprendendo
dove volesse arrivare Tom.
Solo
allora Dougie parve comprendere.
“Aspettiamo
che suo fratello esca?”, fece,
incrociando le braccia, deluso, “Potremmo anche andare a quel
bar, quello là, e
metterci ad attendere.”, disse, indicando un altro locale
nelle vicinanze, con
tavolini all’aperto sotto ad un gazebo bianco.
Tom
guardò di nuovo dentro.
“Non
credo che lo farà prima delle cinque
di pomeriggio.”, disse poi, “A vederlo da come
è vestito, sembrerebbe che
lavori nella cucina. Ha quella classica divisa bianca da
cuochi.”
“Porta
il cappellone?”, fece Danny,
avvicinandosi a lui.
“No,
ma sono sicuro di quello che dico.”,
disse Tom, “Cosa facciamo? Torniamo alle cinque?”
Danny
guardò Dougie, in cerca di una
risposta.
Il
ragazzo, invece di parlare, si avvicinò
alle grandi vetrate che occupavano tutta la facciata del locale,
coperte da
tendine fisse a quadretti che oscuravano la vista
dall’esterno. Iniziò a
saltellare, cercando di vedere oltre la loro lunghezza.
“Poynter...
che stai cercando di fare...”,
gli fece Danny.
“Voglio
attirare l’attenzione di Joanna.”,
rispose lui, riprendendo poi a saltare.
“Mezza
calza.”, borbottò Danny.
Era
più alto di Poynter, aveva più
opportunità di lui di essere visto.
“Prendimi
sulle spalle.”, gli fece poi Dougie.
“Ma
sei scemo?”, sbottò subito Danny.
“Dai
Jones!”, fece Tom, “Aiutiamolo.”
Lo
fecero sedere sulle loro spalle e, in
quel trono di fortuna, un traballante Dougie prese a guardare dentro al
locale.
“Poyter...”,
borbottò un Danny sotto
sforzo, “Hai mangiato una balena...”
“Stabilizzatemi!”,
ordinò il ragazzo, “Non
vedo un cazzo!”
“Guarda
che non sei una piuma!”, protestò
anche Tom.
“Eccola!
Eccola!”, esclamò poi Dougie, e
prese a sbracciarsi.
“Piano,
Doug, piano...”, sbuffò Danny.
Joanna
si stava avvicinando proprio al
tavolo vicino a loro. Con il suo solito sorriso dolce iniziò
a prendere l’ordinazione.
Dougie prese a bussare sul vetro, sperando che lei si accorgesse di lui.
“Poynter...
non ce la faccio più...”, fece
Tom, con la voce strozzata dallo sforzo.
“Jonny!”,
esclamò Dougie.
La
vide alzare gli occhi distrattamente
verso di lui, posarli poi sul suo taccuino per rialzarli sbalorditi. La
salutò,
ridendo della sua bocca spalancata.
“Ci
ha visto! Ci ha visto!”, si sporse
Dougie per dire quelle parole.
“Merda!”,
esclamò Danny, lasciando la
presa.
Dougie
si senti mancare il sostegno sotto
alla sua chiappa destra e cadde a terra, sbattendo lievemente la testa
sull’asfalto e atterrando in parte su Tom.
“Jones!
Imbecille di un Jones!”, protestò Dougie,
massaggiandosi la nuca.
“Dougie,
togliti dal mio cazzo...”,
bofonciò finemente Tom, approfittando poi
dell’alleggerimento dal peso del
bassista per lamentarsi in disparte del dolore che sentiva.
La
porta del locale si aprì di uno
spiraglio e ne sbucò la testa di Joanna.
“Ragazzi,
andatevene per piacere...”,
disse, con aria preoccupata.
“L’idea
è stata di Poynter!”, scaricò
subito la colpa Danny.
Joanna
parve esitare.
“Solo
un momento...”, disse poi. Sparì di
nuovo dentro al locale e ne uscì dopo qualche breve istante,
“Che cosa ci fate
qui?”
Non
sembrava affatto contenta di vederli.
“Beh...
ci volevamo scusare per ieri
sera.”, disse prontamente Dougie, alzatosi da terra,
“E’ colpa mia se è
successo, non mi dovevo invitare a casa tua.”
“Non
importa, Dougie, davvero. Lasciamo
perdere.”, disse lei, abbassando lo sguardo, a braccia
incrociate, “Devo
rientrare, il locale è pieno e se Miki se ne
accorgesse...”
“Tuo
fratello?”, le chiese Danny.
“Sì...”,
disse lei, sospirando.
“Spero
che non sia successo niente di
irreparabile.”, disse Tom.
“No,
tranquilli...”, fece Joanna,
abbozzando un sorriso che cercava di essere confortante,
“E’ stata colpa mia.
Non sapevo che sarebbe tornato prima del previsto, a lui non piacciono
intrusi
in casa.”
“Visto
che avevo indovinato?”, sbuffò
Danny ai suoi amici, “Io lo avevo detto che era andata
così!”
Joanna
rise lievemente.
“Ad
ogni modo, non pensate che non
abbia... passato una buona giornata con voi.”, disse la
ragazza, alzando le
spalle imbarazzata.
“Beh...
anche noi siamo stati bene con
te.”, le fece Dougie, stringendo le mani nelle tasche dei
suoi pantaloni
quadrettati.
“Ma
come mai tuo fratello è così geloso di
te?”, le domandò Danny.
Entrambi
i suoi amici lo fulminarono con
un’occhiataccia, dopo aver visto la reazione ancora
più imbarazzata di Joanna.
“Adesso
devo rientrare.”, disse lei.
“Sì...”,
fece Tom, grattandosi la testa.
Joanna
li guardò un attimo.
“Dov’è
Harry?”, chiese poi, non vedendolo.
“Beh...
è rimasto in albergo.”, spiegò
velocemente Danny, “Aveva sonno, ma ti porta anche lui le sue
scuse.”
La
ragazza gli sorrise, poi tornò alla
porta e li salutò con un cenno di mano.
“Un’ultima
domanda, Jonny.”, le fece
Dougie, “Sai se c’è un ristorante greco
da queste parti?”
La
ragazza lo guardò perplessa.
“A
lui piace il cibo greco.”, specificò
Danny.
“Sì,
ce ne sono un paio.”, disse lei.
“E
dove sono?”, le chiese ancora Dougie.
“Beh...
non credo che capiresti anche se
te lo spiegassi nel migliore dei modi. Mi dispiace.”, fece
Joanna.
Dougie
tentò l’ultima carta.
“Ci
accompagni ad uno dei due domani
sera?”, le chiese.
Sia
Danny che Tom lo guardarono sorpresi e
sospettosi.
“Non
credo che sia una buona idea,
Poynter.”, disse Tom, “Le causeremo altri
problemi.”
“Beh,
saremmo comunque felici di averti
con noi, Little Joanna.”, disse Danny, sorridendole.
Lei
sembrò esitare.
“Il
migliore è il Zeus.
Chiedetelo alla reception dell’hotel. Buona
serata.”, disse
poi, salutandoli di nuovo e sparendo dentro al locale.
I
ragazzi rimasero qualche secondo lì,
come in attesa.
“Grazie
per il tentativo, Poytner.”, gli
disse Danny, dandogli una pacca riconoscente sulla spalla,
“L’ho apprezzato
molto.”
“Beh...
prego.”, rispose Dougie.
Come
se lo avesse fatto per lui.
Tornò
a casa senza che avesse staccato
minimamente il pensiero da loro. Ci riflettè tutta la notte
e gran parte della
mattina seguente.
Erano
tornati per chiederle scusa. Per
chiedere scusa a lei.
Doveva
essere lei a scusarsi per quello a
cui avevano assistito, quella patetica litigata. Ancora Miki non le
aveva
rivolto la parola, le uniche frasi che si erano scambiati erano
strettamente legate
al lavoro. O lui le chiedeva scusa, o niente.
Ad
ogni modo, si era come stampata tutte
le parole dette da Dougie in testa e sentiva la voglia irresistibile di
accontentarlo.
Ma
come poteva farlo? Se avesse detto a
Miki che andava fuori con degli amici, sarebbero subito iniziate le
domande... Chi sono? Dove andate? Cosa fate?
E alla
fine le avrebbe strappato dalla bocca la loro identità e non
le avrebbe
permesso di vederli. Inoltre, le uscite durante la settimana non erano
abituali
per lei, quindi ci sarebbe stato altro sospetto da parte di suo
fratello. Non
voleva farlo di nascosto, ma era l’unica via che poteva
intraprendere.
Poi
pensò: ma cosa c’entra
Miki con la mia vita?
“Jo,
dove ce l’hai la testa!”, tuonò
Arianna.
“Oh
merda!”, esclamò la ragazza, vedendo
l’acqua traboccare dalla brocca di vetro che stava
riempiendo. Chiuse il
rubinetto della macchina per la purificazione dell’acqua e
appoggiò la brocca
grondante sul lavello lì vicino, dietro al bancone del bar.
“Jo...”,
le fece Arianna, con
tono scherzoso,“O deponete le armi oppure
mi vedo costretta a licenziarvi.”
“Non
è una buona minaccia.”, le fece la
ragazza, toccandosi gli occhi stanchi.
“Perchè
non fate pace?”, le domandò
Arianna, “Dopo tutto avete fatto discussioni peggiori e sono
quasi due giorni
senza che vi diciate una parola.”
“Perchè
stavolta sono stufa... lo sai.”,
disse Joanna, evitando di tornare a parlare della stessa cosa per due
volte.
“Povera
Jo...”, le fece la donna,
passandole un braccio sulle spalle.
“Vabbè,
lasciamo perdere.”, tagliò corto
la ragazza.
“Però
sono stati carini a venirsi a
scusare.”, insistette Arianna, ridacchiando sotto i baffi,
“Hanno rischiato che
Miki li vedesse e li linciasse, però lo hanno fatto lo
stesso. Sono da lodare.”
Joanna
si morse il labbro inferiore.
“Non
ti ho detto che mi hanno chiesto di
uscire di nuovo con loro... stasera...”, disse, sottovoce,
per paura di farsi
sentire da Miki, che spadellava in cucina.
La
bocca di Arianna si spalancò in un
sorriso soddisfatto.
“Dici
davvero?!?”, disse, mantenendo la
voce bassa, “Chi di loro te lo ha chiesto?”, le
domandò Arianna.
“Dougie.”
“E
come te lo ha chiesto?”
“Arianna...”,
sospirò Joanna, “Piantala.”
“Ci
andrai vero?”, disse la donna, tutta
eccitata, “Oggi è anche martedì grasso,
ci sarà da travestirsi!”
Martedì
grasso?
“Ecco
perchè prima sono entrati quei
ragazzi con le maschere in faccia!”, sbuffò
Joanna, rendendosi conto del giorno
in cui viveva.
“Ci
andrai allora? Vero?”, continuò
Arianna.
“Ma
come faccio...”, sbuffò Joanna, “Mi
sembra di essere Cenerentola! Solo che ho matrigna e sorellastre unite
in una
sola persona!”
“Non
dirmi che chiamerai quella grassona
della strega per farti fare il vestito.”, aggiunse Arianna.
“Come
faccio ad andarci!”, fece Joanna,
“Se dico a Miki che esco con loro sbarrerà la
porta di casa!”
“Tranquilla,
ti copro io.”, disse la
donna, e si affacciò nella cucina, “Hey
Miki!”
“Che
c’è?”, sentì dire Joanna.
“Stasera
tua sorella è a casa mia.”, disse
Arianna, lanciandole un occhiolino di intesa.
“Perchè?”,
chiese prontamente Miki.
“Calmati,
puoi fidarti, Jo è con me.”,
sentenziò Arianna, minacciandolo con il suo potente indice
inquisitore, “E se
fai un’altra domanda, ti licenzio.”
“Ci
sarà altra gente a casa tua?”, domandò
di nuovo Miki.
Ecco,
domanda scontata ed attesa.
“Adesso
sei licenziato!”, disse Arianna, “E per
informazione, siamo solo noi due.”
“Oh
sì certo.”, sbottò Miki,
“Piuttosto,
chiama Jo che c’è da portare questa roba al tavolo
sette.”
“Ok.”,
disse Arianna, “Per stavolta la
passi liscia...”
Joanna
si sentiva il petto scoppiare dalla
felicità. Mentre Arianna le si avvicinava, non
potè fare a meno di saltarle al
collo per ringraziarla.
“Adesso
porta quella roba al tavolo.”, le
disse Arianna, “Poi cerca di metterti in
contatto con quei quattro idioti.”
“Agli
ordini!”, scattò sugli attenti
Joanna che in meno di due secondi aveva servito i tavoli e raccolto un
altro
paio di ordinazioni.
Mentre
Arianna teneva occupato suo
fratello in una conversazione sviante, Joanna prese un elenco del
telefono e
cercò il numero dell’hotel Venice. Lo compose sul
suo cellulare ed attese.
“Vorrei
parlare al signor Poynter, se è
possibile.”, disse al receptionist, dopo che le ebbe
cordialmente risposto.
“Non
c’è. Vuole lasciare un messaggio?”,
disse l’uomo all’altro capo della
linea.
“Beh...
sa mica quando tornerà?”
“Non
glielo so dire. Mi dispiace.”
“Ah...
ok, lascio questo messaggio.”
“Prego.”
“Sono
Joanna, se siete disponibili...
stasera lo sono anche io. Lo scriva in inglese, per cortesia.”
“Altro?”
“Beh...
gli dica anche di richiamarmi.”,
fece Joanna.
“A
quale numero?”
Glielo
dettò, ripetendolo un paio di
volte.
“Appena
tornerà glielo consegnerò. Arrivederci!”,
e la chiamata venne chiusa.
Incrociò
le dita e mise il cellulare nella
tasca dei suoi pantaloni.
“Ehm...
come si fa?”, chiese Danny ad
Harry.
“Boh,
non lo so.”, rispose l’altro.
“Ragazzi!”,
esclamò Dougie, dopo
un’attenta osservazione dei marmocchi che, intorno a loro,
giravano vestiti da
principesse, spider man, corsari e moltissime altre maschere,
“E’ martedì
grasso!”
“Oh
mio dio, questo tuo entusiasmo mi sta
uccidendo.”, borbottò Tom.
“Dovremmo
mascherarci!”, insistette
Dougie, “Lo abbiamo sempre fatto!”
La sua
proposta non incontrò sguardi
favorevoli.
“Poynter,
vedi di capire come si usa
questa cazzo di macchinetta!”, sbottò Danny, che
da mezz’ora cercava di comprendere
il complicato funzionamento di quella carcassa biancastra che si
supponeva essere
capace di vendere i biglietti. Piuttosto che fare la fila chilometrica
alla
biglietteria, avevano deciso di incaponirsi nella tecnologia.
Quell’aggeggio,
però, sembrava del tutto ostile nei loro confronti e alle
loro spalle qualche
turista scocciato attendeva con poca pazienza che si sbrigassero.
“Abbiamo
noleggiato una macchina e tu vuoi
andare in giro in treno?”, domandò retoricamente
Dougie.
“E
non siamo capaci guidare a sinistra,” si
giustificò Danny, “quindi non vedo
altro modo per andare a vedere quella fottuta torre pendente!”
“Chi
se ne frega!”, sbotto Dougie,
tornando a girellare per la stazione centrale ed affollatissima della
città.
“Fate
provare me.”, disse Tom.
“No!
Per cortesia!”, lo allontanò
speditamente Harry, “La tua presenza manda in tilt anche i
tostapane.”
“Fate
come vi pare, ma sappiate che il
prossimo treno parte tra cinque minuti.”, gli
ricordò il ragazzo.
“Ce
ne saranno altri!”, sbuffò Danny.
Tom si
mise a spulciare il tabellone
cartaceo. Tra la valanga di nomi di località sconosciute che
leggeva, il primo
treno diretto che trovò per Pisa ci sarebbe stato solo
nell’ora successiva.
Vide Dougie camminare senza meta tra i turisti, lentamente, in attesa
di essere
chiamato. Lo raggiunse.
“Io
non ho per niente voglia di andare a
vedere quella torre. Non vorrei che capitasse che Bin Laden torni
all’attacco...”, gli disse Tom.
“Eh
già.”, fece l’altro, incrociando le
braccia, “Ma non sappiamo più che cavolo fare qua
in giro...”
“Forse
non è stata una buona idea venire
qua con così tanto anticipo... senza troupe.”,
disse Tom, grattandosi la testa.
“Dai,
non fartene una colpa.”, gli disse
Dougie, “Alla fine ci siamo anche divertiti.”
“Sì...
per quel poco che c’è stato da
divertirsi.”, disse Tom, con aria pessimista.
“Stasera
non ci saranno storie. Non
abbiamo più tempo per farci i vestiti di carnevale, ma ci
metteremo comunque in
giro per le strade a fare i cretini.”, disse Dougie, con aria
risoluta, “E il
primo locale che troviamo, è nostro!”
“Io
ci sto!”, disse Tom, esclamò Tom,
stringendogli la mano per suggellare il patto.
“Ok,
andiamo a dirlo a Judd e a Jones.”,
fece Dougie, mettendosi nella direzione giusta.
Dopo
pochissimi passi, all’improvviso, si
sentì prendere con forza per un braccio.
“Poynter...”,
gli sussurrò Tom in un
orecchio, “Facciamo dietro front. Adesso.”
“E
perchè?”, gli fece lui, stupito.
“Adesso.”,
disse Tom, improvvisamente
messosi a testa bassa, con lo sguardo fisso per terra.
“Ma
cos’hai Fletcher?”, sbottò Dougie.
Una
coppia di occhi puntati su di lo
distrassero. Una ragazza lo stava fissando, con aria perplessa e lui,
educatamente, le fece un cenno con la testa nella speranza che
spostasse il suo
sguardo altrove.
“Dougie!
Dougie! C’è Dougie dei McFly!”,
gridò improvvisamente quella.
Una
valanga di occhi femminili si
spostarono su di lui, che continuava a sentirsi strattonare il braccio
da Tom.
Pietrificato, davanti a sè c’era quella che
sembrava una nutrita folla di sue
connazionali.
“E’
lui!”
“C’è
anche Tom!”
“Oh
mio dio! Dov’è Danny!”
“E
Harry?”
Non
riusciva a contarle tutte, ma dovevano
essere una cinquantina.
“Poynter!”,
gli gridò Tom in un orecchio,
“Muoviti!”
Prima
che una quantità di gridi selvaggi
gli entrasse nelle orecchie, un’ultima strattonata lo fece
cadere a terra ma fu
molto efficace per farlo risvegliare.
Tom
già stava camminando velocemente verso
Danny e Harry, ancora fissati con quella macchinetta infernale. Dougie
cercava
di tenere il passo, guardandosi alle spalle... già il gruppo
di ragazze stava
macinando terreno.
Erano
riconoscenti alle fans ma... quelle
erano cinquanta! Ed erano impossibili da gestire, soprattutto senza uno
straccio di sicurezza che le allontanasse.
Tom
prese i due componenti rimasti in
disparte per un lembo dei loro cappotti.
“Cazzo
fai, Fletcher!”, protestò Danny.
“Muovetevi!”,
fece loro Dougie.
“Ma
che sta succedendo!”, esclamò Harry ed
allungò lo sguardo, “Oh merda!”
“Forza!”,
gridò Tom, innescando la quinta
marcia.
Alle
loro spalle, le ragazze li
inseguivano a distanza sempre più ravvicinata, gridando i
loro nomi a
squarciagola.
“Ci
stanno raggiungendo!”, disse Dougie,
l’ultimo della fila.
Intanto,
intorno a loro la gente si
chiedeva che cosa stesse succedendo. Perchè quei quattro
erano inseguiti da
tutte quelle ragazze vocianti? Stavano fuggendo dalla polizia?
“Quel
treno sta partendo!”, gridò Danny, indicandone uno
nei binari di fronte a loro,
“Saliamoci!”
“Ma
siamo senza biglietto!”, gli rispose
Tom, che teneva con lui la testa della prima fila.
“Cosa
te ne fotte del biglietto,
imbecille!”, urlò Danny, svoltando per il binario
del treno in partenza.
Misero
piede su quella bestia verde dalle
porte automatiche, esortando i due rimasti indietro di muoversi. Era
difficile
scartare abilmente tutti quelli che incontravano e Harry
rovinò addosso ad un
mucchio di valige, cadendo a terra, ma fu abile a rialzarsi presto,
ignorando
gli insulti che gli furono rivolti in lingua sconosciuta.
“Poynter!
Muoviti cazzo!”, gli urlò Harry,
una volta salito.
Non
appena anche l’ultimo pezzo di Dougie
fu sul treno, le porte si chiusero. Videro le fans impazzite fermarsi
deluse e
protestare. Stanchi, ansimanti, sudati, si appoggiarono contro le porte
del
treno.
“Ce
l’abbiamo fatta...”, disse Danny, in
preda ad un attacco di asma.
“Merda...
pensavo che qua non mi sarei
trovato... in queste situazioni...”, fece Harry,
sventolandosi col cappellino
che indossava.
Dougie,
con la lingua penzolante, non
aveva la forza per dire niente. Guardava solo gli occhi curiosi che gli
occupanti di quel treno rivolgevano loro, borbottando tra di loro ed
indicandoli.
“Jones...
dove va questo... queste
treno...”, ansimò Tom, asciugandosi con una mano
la fronte imperlata di sudore.
“E
che ne so...”, disse Danny,
spaparanzato a terra.
Sentirono
il rischiararsi di una voce
italiana.
“Biglietti
per cortesia.”, chiese
loro un signore baffuto. La
divisa verde copriva una grossa
pancia,
estremamente strizzata da tre bottoni verticali.
“Ehm...
parla inglese per caso?”, domandò
Harry, impaurito.
“Danny
Jones...”, disse Tom, toccandosi il
naso nervosamente, “La prossima volta che decidi di salire su
un treno... un
qualsiasi treno...”
“Per
favore, Tom...”, lo pregò Danny,
invano.
“EVITA
DI PRENDERE UN DIRETTO PER IL NULLA!!!!”,
gridò Tom con tutto il fiato che aveva nei suoi polmoni.
Si
trovavano in una stazioncina piccolissima,
intorno a loro solo la campagna, un paio di capannoni industriali e, se
non
erravano, a qualche centinaio di metri c’era un signore con
il suo cane ed un
fucile sotto il braccio. Nel trambusto inesistente di quella fermata, i
quattro
ragazzi sembravano trovarsi nel 1700. Le uniche cose che li riportavano
alla
realtà erano i fili elettrici e il cemento sui cui posavano
i loro piedi
“E
dai, Fletcher! Non lo ha fatto apposta!”, irruppe Harry,
“Ci ha salvato dalle
barbare...”
“Ci
ha salvato un cazzo!”, fece Tom, con
un diavolo tra i capelli spettinati ed ossigenati, “Il
capotreno ci ha buttato
fuori!”
“Ma
sulle targhette nei treni non c’è
scritto: vietato gettare oggetti dal finestrino?”,
sbuffò Dougie.
“Ti
sembra questo il momento di fare
cabaret, Poynter?”, lo rimproverò Tom,
“Ci ha anche fatto una multa ed adesso
dobbiamo pure trovare il modo di tornare a Firenze!”
“Che
sarà mai una multa!”, disse Danny, stringendosi
tra le spalle, “Non ci mancano
i soldi per pagarla!”
“Vaffanculo
Jones! Non sappiamo dove
siamo!”, sbraitò Tom.
“Fletcher,
calmati.”, gli fece Harry,
allontanando le mani del cantante dalla traiettoria del collo di Danny,
“Adesso
vediamo di capire come fare per tornare indietro.”
“Usciamo dalla
stazione e chiediamo
informazioni!”, propose Dougie.
“Senti,
c’è un tizio col fucile laggiù...
Se vuoi andare, non ti trattengo.”, disse Danny, guardando
quel signore in
vestiti verde oliva che camminava lungo la campagna.
“Gli
chiederò se me lo vende così ti
uccido, Jones! E sono disposto a pagarlo a peso
d’oro!”, esclamò Tom, che ormai
ce l’aveva a morte col suo collega chitarrista.
Harry,
piuttosto che lasciare Danny nelle
mani dell’isterico Tom, prese la vittima per un braccio e,
scavalcando i due
binari, andarono all’altro capo della stazione.
“Cerchiamo
il prossimo treno che passa di
qui.”, disse, mettendosi a scrutare il tabellone cartaceo.
“Non
capisco perchè Fletcher ce l’abbia
tanto con me.”, disse Danny.
“Perchè
forse se non ti mettevi a
blaterare con il capotreno, che per altro non capiva un cazzo di
inglese, quello
non ci buttava fuori.”, disse Harry, cercando il tono meno
accusatorio
possibile che trovava.
Infatti
Danny, invece di starsene zitto
come tutti loro, si era messo a sproloquiare con l’uomo
panzuto, cercando di
spiegargli che loro non stavano fuggendo dalla polizia come poteva
essere
sembrato, ma che stavano scappando da delle ragazze che altro non erano
loro fans,
perchè nel Regno Unito, paese da dove loro provenivano,
erano una band famosa,
anche se lì in Italia non erano in molti a conoscerli...
L’uomo
in verde, che in inglese sapeva
altro che dire ‘Dovete comprare il
biglietto e timbrarlo alla macchinetta gialla’, per
un po’ era stato a
sentirlo, poi si era fatto dare tutti i loro documenti ed aveva
stilato, con
molta calma e pazienza benedettina, quattro multe a tre cifre.
Successivamente,
li aveva fatti scendere alla prima stazione in cui il treno si era
fermato.
“Non
ci capisco niente.”, disse Harry,
dopo aver cercato di interpretare le scritte sulla carta giallastra.
“Maledetta!”,
esclamò Danny, scomparso dal
suo fianco, che era entrato all’interno del
casottino-stazione.
“Che
c’è?”, gli chiese Harry.
“Un’altra
schifosissima macchinetta per i
biglietti!”, sbraitò Danny, davanti a
quell’attrezzo incomprensibile con il
quale avevano già perso la pazienza prima di imbarcarsi sul
primo treno in fuga
dalle fans.
Dall’altra
parte, Tom si era seduto sul
bordo del binario, mentre Dougie si aggirava intorno a lui,
ignorandolo.
All’improvviso, un suono familiare in lontananza.
“Sta
arrivando un treno!”, gridò Tom,
felice come una pasqua.
Harry,
seguito da Danny, saltò i binari
per raggiungere gli altri due ma il treno, invece di fermarsi,
procedette
spedito davanti ai loro occhi, lasciandoli sbalorditi.
“Jones!
Ti uccido!!!”, riprese a gridare
Tom, mettendosi ad inseguirlo, dato che l’altro aveva
iniziato a fuggire dalle sue
mani assassine.
“Che
ore sono?”, chiese indifferentemente
Dougie ad Harry.
“Le
tre e mezza...”, sospirò l’altro.
“Vediamo
se riusciamo a combinare
qualcosa.”, disse Dougie.
Joanna
continuava a guardare nervosamente
il suo cellulare. Ma niente. Erano quasi le cinque, non aveva ricevuto
nessuna
chiamata. Poi si disse che sicuramente erano usciti, se
n’erano andati da
qualche parte e non sarebbero tornati prima dell’ora di
cena... Sì, sicuramente
era per quello che non avevano ancora chiamato.
Ma
poteva anche essere che... non fossero
più interessati alla sua presenza. Magari ci avevano
ripensato Beh, poteva
essere. Anzi, le sembrava una scusa ancora più plausibile
dell’altra.
“Perchè
continui a guardare il telefono
come se stessi aspettando una chiamata?”, le fece Miki,
spuntandole alle
spalle.
“Ah...
no... è che... il mio orologio si è
fermato e volevo vedere che ore fossero.”, si riprese Joanna,
riponendo
velocemente il cellulare in tasca.
Così
aveva deciso di parlarle, oppure era
solo un modo per avere una conferma indiretta alla domanda che lui
stesso le
aveva posto. Si allontanò da lui, tornando verso la cucina.
“Ti
hanno richiamato?”, le chiese Arianna,
che si stava mangiando un gelato, seduta su uno dei ripiani della
cucina del
suo locale.
“No.”,
le rispose.
“Dai,
tranquilla, chiameranno.”, le fece
Arianna, “Piuttosto, invece di andartene a casa, vieni
direttamente da me.”
“Ma
devo farmi la doccia, preparami.”,
disse Joanna.
“Lo
farai da me, ti do qualcosa di mio,
tanto più o meno abbiamo la stessa taglia.”, fece
la donna.
“C’è
solo un piccolo inconveniente... a me
mancano queste!”, disse l’altra, ingrandendosi con
le mani il seno quasi
inesistente.
“Provvederemo
anche a quello!”, disse
Arianna, ridendo, “E appena ti chiamano ti porterò
da loro.”
“Se
chiameranno...”, fece la ragazza,
sospirando.
Quello
era il quarto treno che passava
davanti ai loro occhi senza fermarsi, ormai ci avevano fatto il callo.
Erano
addirittura riusciti a farsi quattro biglietti, uno a testa, dopo aver
compreso
che quella macchinetta riusciva anche ad esprimersi in inglese.
Erano
già le sei e mezza del pomeriggio,
stava iniziando a fare freddino e non sapevano più cosa fare.
“Andiamo
a piedi a quei capannoni,
cerchiamo qualcuno e ci facciamo dire come fare a tornare a Firenze.”,
propose Tom.
“Non
ci sarà più nessuno ormai.”, disse
Danny, “Tutte le macchine parcheggiate intorno se ne sono
andate mezz’ora fa.”
“Io
sono abbastanza ottimista.”, disse Dougie.
“Si
vede che stai per morire.”, sibilò
Harry, “Tutti quelli in punto di morte sono
ottimisti.”
“Vaffanculo.”,
gli rispose Dougie,
dandogli un calcio, “A costo di buttarmi sui binari, il
prossimo treno si
fermerà!”
“Oh
sì...”, fece Danny, “Se siamo
fortunati, tra quattromila anni troveranno le nostre mummie
congelate.”
“Per
favore, Jones, non ti mettere a
frignare.”, gli fece Tom.
Di
nuovo, in distanza un rumore familiare
ma portatore di false speranze.
“Sta
arrivando un altro treno.”, disse
Harry, con tono afono.
“Non
si fermerà.”, sentenziò Danny,
“E ho
una fame cane.”
Osservarono
la lunga macchina elettrica
arrivare da lontano, con i due grossi fari sul davanti che illuminavano
il
tratto dei binari davanti a sè. Pareva rallentare.
Iniziarono a sentire il
rumore stridulo dei freni sulle ruote metalliche e, con calma
esasperante, il
treno si fermò in quella stazione dimenticata dal servizio
ferroviario
italiano, più che da Dio, lasciandoli a bocca aperta.
“Si
è fermato...”, sussurrò Tom, stupito.
“Muovetevi!”,
fece Danny, esortandoli a
salire sull’unico mezzo che aveva dato loro
l’opportunità di ricollegarsi al
mondo civilizzato.
Le
porte si chiusero e, lentamente, il
bestione si mise in moto.
“Mi
scusi.”, fece Harry ad una ragazza,
nascosta dietro ad un libro, seduta su una poltroncina,
“Questo treno va a
Firenze vero?”
Lei
gli annuì sorridendo.
“Oddio,
grazie! Ci hai salvato la vita!”,
sbottò subito Tom, ricevendo uno sguardo straniato e un
sorriso che stavano a
volergli dire: Tu sei tutto scemo.
Infreddoliti,
si sedettero su quattro
poltroncine vuote sorridendo tra di loro, felici di essere stati
recuperati dal
dimenticatoio.
“Tra
quanto saremo a Firenze?”, si domandò
Dougie.
“Boh,
vedremo. Ma non credo che manchi
tanto.”, fece Tom, “Forse dieci minuti.”
“Meno
male che abbiamo i biglietti.”,
disse Danny, indicando ai suoi compagni con un gesto della testa un
nuovo
dipendente in verde che chiedeva ai passeggeri di mostrare loro i
biglietti. Li
tirarono fuori dalle loro tasche ed attesero che l’uomo si
avvicinasse.
Glieli
mostrarono.
“Ma
questi biglietti non sono stati
timbrati. Dovevate farlo nell’apposita macchinetta
gialla.”, notò il capotreno,
parlando nella loro lingua.
I
ragazzi si guardarono, con la voglia di
prendersi amorevolmente a testate.
TITOLO: Born to run è una canzone di Bruce Springsteen, rifatta dai McFly, guardare il video al link per credere XD. No scopo di lucro.
Passiamo ai ringraziamenti!
Picchia: Baciamo le mani come
sempre. Che dire, nella recensione precedente sei riuscita a cogliere
qualche spunto sulla prossima evoluzione della storia... jaja,
c'è sempre sotto qualcosa nelle mie storie, non si deve mai dare
niente per scontato, lo sai benissimo no? eheh! E per quanto riguarda
la frase, io ce li vedo proprio lì a fare i peggio gesti per
farsi capire XD
Kit2007: Se l'Harry di questo
capitolo ha mangiato limone, quello dei prossimi sarà una specie
di bottiglia d'acido muriatico vivente. Comunque comunicherò il
tuo messaggio a lui, poi ti saprò dire cosa mi risponde, ok?
ahaha! E per quanto riguarda Joannina... che dire, nel capitolo
è già stato detto tutto, qualche particolare in
più lo svelerò nei prossimi, tanto per chiarificare la
sua storia perchè ho tenuto degli elementi nascosti, o comunque
li ho messi in modo tale che non sempre forse si sono capiti. Ma l'ho
voluto io!
CowgirlSara: TI APPOGGIO! Il
grande consiglio delle MS ha deciso... cosa ha deciso? Boh, non lo so.
Fatto sta che non so mai che dirti nei ringraziamnti, tanto poi se ne
parla sempre su msn... sicchè! Sono trepidante di voglia di fare
una hit pareid per il tuo prossimo capitolo, sbrigatiiiiii
Ciribiricoccola: Weeeeee dopo
la giornata di Pisa, mi ghe son morta dalla fatiga. Manca poco mi
addormento in treno! Come ho già detto, Harrino è un
tubetto di cacca e lo sarà anche di più... ma avrà
i suoi motivi, che per ora tengo debitamente nascosti. Dughino...
eeeeeehhhhh Dughino che tu non sopporti! Argh! Vai, non dico altro, ho
già detto troppo!
_Princess_: Quando hai letto, corri a recensire! Of course! Di corsa!
Giuly Wesley: A me brillano
ancora gli occhi nel sapere che stai postando anche tu... dai, uniamo
le forze e con le nostre storie mettiamo in piedi una sezione per i
McFly tra i cantanti, dato che ho già chiesto di farla mettere
tra i nomi ma ancora non mi hanno dato considerazione.... -.- Quindi,
rimbocchiamoci le mani! Mille di questi McFly!
Un saluto va anche a Silvia, la
prima verissima fan che ho conosciuto sul forum dei McFly, dove in
contemporanea sto pubblicando questa storia. Quando è che
mi fai tornare a piangere con la tua storia? Ma soprattutto, quando
è che rendi tutte le lettrici che ho ringraziato qua sopra
partecipi di questo tuo piccolo capolavoro? Spero presto! Ci sentiamo
su msn! Un bacione!
E poi, in fondo alla lista... Lady Vibekina... ma dove sei finitaaaaa???? XD
Anche se non c'entra niente con questo fandom: Tutte per le MS, le MS per tutte!
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Capitolo 9 *** Crazy Little Thing Called... What??? ***
9.Crazy
Little
Thing Called... What???
Erano
le sette e mezza, nessuna chiamata,
niente.
Joanna
lasciò passivamente il cellulare
tra le pieghe del divano, delusa. Era solo colpa sua se era successo
tutto
quello. Se avesse detto subito di sì, a quell’ora
sarebbe stata in loro
compagnia, intorno ad un tavolo, a ridere davanti ad un piatto di
Mousakàs o di
Baklavas.
“Magari
alla reception si sono scordati di
dare il tuo messaggio.”, le fece Arianna, vedendola
giù di morale.
“No,
è stato un modo per dire
implicitamente che non desiderano più la mia
compagnia.”,
bofonchiò Joanna.
“Sei
sempre maledettamente pessimista,
Jo.”, disse Arianna.
“Lo
so... dai, adesso riportami a casa,
dirò a Miki che mi sono sentita poco bene e me ne
andrò a letto.”, fece Joanna,
alzandosi e raccogliendo gli abiti che stavano appoggiati sul bracciolo
del
divano. Erano quelli con cui aveva lavorato ed odoravano di cibo:
quelli che
indossava, direttamente dall’armadio di Arianna, sapevano di
vaniglia ed erano
certamente poco consoni al suo stile. Maglietta nera con lo scollo
lievemente ampio
su un petto praticamente piatto, pantaloni di jeans un po’
troppo attillati...
abbigliamento tipico di Arianna, sempre un po’ troppo
appariscente, lei invece
preferiva tonalità classiche e abiti comodi. Si
era addirittura fatta truccare, ma solo un po’,
il giusto colore per dare vitalità agli occhi lievemente
stanchi per la
giornata di lavoro.
“Non
ci pensare nemmeno!”, sentenziò
Arianna, “Stasera stai con me, oppure con quei quattro
deficienti se si faranno
vivi. Forza, prendiamo i cappotti ed andiamo in cerca di un posto dove
mangiare
e poi andiamo a ballare!”
“Oh
sì, certo!”, fece Joanna, “Vuoi vedermi
continuamente sdraiata per terra mentre ballo? Lo sai quanto sono
imbranata!”
“Lo
sanno bene le stoviglie del
locale...”, disse la donna, ridendo, “Forza, non
fare storie!"
“Meno
male che ci avremmo messo dieci
minuti per tornare in città.”, disse Harry,
guardando di sbieco Tom, colui che
aveva ritenuto così minima la distanza tra il deserto dei
tartari e la stazione
centrale di Firenze.
Erano
quasi le sette quando i loro piedi
si posarono sul binario tre della stazione centrale della
città.
“Andiamo
in hotel...”, fece Danny, “La
prossima volta che Fletcher vorrà anticipare
l’arrivo in un luogo sulla data
del concerto: legatelo, imbavagliatelo e buttatelo dalle scogliere di
Dover.
Possibilmente con una pietra da una tonnellata legata al collo,
così se siamo
fortunati morirà strozzato in annegamento.”
“Mi
associo.”, disse automaticamente
Harry.
“Dai...
cerchiamo un taxi che ci porti in
hotel.”, fece Dougie, avviandosi verso l’uscita.
Dopo
pochi minuti in auto entrarono nella
hall dell’albergo, trascinando i piedi dietro di
sè.
“Signor
Poynter, per cortesia!”, chiamò il
receptionist.
“Sì?”,
fece Dougie.
“C’è
un messaggio per lei.”, fece il
giovane dipendente al di là del bancone, porgendogli un
foglietto di carta
intestata dell’hotel.
“Uhm...”,
borbottò il ragazzo,
prendendolo.
‘Sono
Joanna. Se siete disponibili, stasera lo sono anche io.’,
sotto di esso un
numero di una decina di cifre.
“C’è
qualche problema?”, attirò la sua
attenzione il receptionist, vedendolo impalato con quel foglietto in
mano, mentre
i suoi amici erano già saliti sull’ascensore.
“Poynter!!!”,
lo chiamò a gran voce Danny,
“A meno che non sia un annuncio mortuario, muoviti!”
Velocemente,
nascose il foglietto in tasca
ed entrò nell’abitacolo.
“Di
chi era il messaggio?”, gli domandò
Tom.
“Boh
non so, secondo me hanno sbagliato.”,
rispose indifferentemente Dougie, grattandosi il naso.
“Hanno
sbagliato...”, disse Harry, con
tono perplesso.
“Beh...
capita!”, giustificò Dougie.
Sentì
il pezzetto di carta scivolare via
lentamente dalla tasca in cui lo aveva riposto ma non fu abbastanza
veloce per
fermarlo: Danny lo sottrasse abilmente dal nascondiglio e lo lesse ad
alta
voce.
“E’
di Joanna! Stasera sarà con noi!”,
esclamò il ragazzo leggendolo.
“Ah
sì?”, fece Tom, “Davvero?”
“Sì,
leggi pure.”, Danny glielo porse per
permettergli di leggerlo.
Harry
lanciò un’occhiata di sbieco a
Dougie, che si strinse nelle spalle.
“La
chiamo!”, fece prontamente Danny,
prendendo il suo cellulare.
“Dammi quel
telefono!”, ripetè Arianna,
sentendolo squillare chiuso tra le mani di Joanna, “Tuo
fratello deve smetterla
di starti addosso come una cozza allo scoglio!”
Vista
la riluttanza della ragazza ad accontentarla, combattuta tra il senso
del
dovere che le imponeva di rispondere per tranquillizzare
l’apprensivo fratello
e la volontà di spegnerlo per non sentirlo più
trillare, Arianna glielo strappò
di mano e rispose.
“Non
rompere le scatole!”, esclamò ed
attaccò, riconsegnandolo alla legittima
proprietaria con un sorriso soddisfatto.
Intanto,
gli antipasti erano già stati serviti.
“Se
non fosse che stai ancora aspettando che gli inglesini ti chiamino, te
lo farei
spegnere!”, aggiunse poi Arianna, mentre addentava il suo
involtino di bresaola
e rucola.
Premette
invio ed attese che la chiamata venisse accettata da Joanna. Tutti e
quattro,
nel corridorio, vicini alle loro camere aspettavano insieme a Danny.
“Ma
quanto ci mette!”, esclamò il ragazzo, sentendo
quel prolungato tu-tu.
“Dalle
un attimo!”, gli fece Tom.
“Ssshh!”,
sussurrò poi Danny, mettendosi una mano davanti alla bocca.
Poi,
uno stridio di parole italiane gli entrò dritto nei timpani,
peggiore degli
urli che Tom gli aveva riservato quello stesso pomeriggio durante
l’avventura
ferroviaria, e la chiamata venne chiusa.
Rimase
sbigottito.
“Che
c’è?”, gli chiese Dougie, vedendolo
perplesso.
“Beh…
non lo so…”, disse Danny, “Quella che mi
ha risposto non era sicuramente
Joanna… e forse mi ha mandato anche a fanculo senza che io
ne sia certo…”
“Hai
sbagliato, riprova. Ti detto il numero.”, fece Tom.
“Ancora!!!”,
esclamò inviperita Arianna, vedendo il telefono di Joanna
illuminarsi, posato
sul tavolo vicino al suo bicchiere, “Lo licenzio! Ti giuro
che lo licenzio!”
“Andiamo,
fammi rispondere, così non rompe più.”,
fece la ragazza scocciata.
Osservò
il numero che compariva ad intermittenza sullo schermo del suo
cellulare. Era
una strana sequenza di cifre che non conosceva, né
appartenevano ad un comune
numero di telefonia fissa o mobile.
“Che
c’è? Pensi a come fare per mandarlo a quel
paese?”, fece Arianna.
“Arianna…”,
le fece, passandole il telefono, “Che numero pensi che
sia?”
Nella
mente di Joanna era rinata una piccola speranza repressa già
da tempo.
La
donna lo guardò. Dato tutto il tempo che aveva passato in
Inghilterra, se era
un numero di quel paese lei lo doveva pur riconoscere.
“Rispondi,
sono loro!”, le disse, tutta eccitata.
E
ora cosa avrebbe detto? Improvvisamente, la lingua le si
attaccò al palato e la
mente implose su se stessa in un tonfo disperato e miserabile. Aveva
atteso da
quel pomeriggio quella chiamata ed ora che era arrivata non sapeva da
che parte
iniziare.
“Pro…
pronto?”, fece Joanna, aggrappata al pessimismo che le
continuava a dire che
quel numero impossibile era di una truffa telefonica che le avrebbe
prosciugato
il credito per le chiamate.
“Little Joanna!”,
esclamò Danny, con
entusiasmo, “Sei tu vero?”
“Ehm…
sì, sono io…”, disse, prendendo ad
agitarsi.
“Allora, sei disponibile come
c’è scritto su
questo foglietto?”, fece lui.
“Uhm…
come?”, chiese lei, già fusa.
“Dove sei? A casa tua?”,
le
domandò
Danny.
“No!”,
esclamò prontamente Joanna, “Non sono a
casa!”
“Ah! Meno male, non volevo vedere di
nuovo
quel gran simpaticone di tuo fratello.”, disse
Danny, ridendo.
In
sottofondo, si sentivano anche le risate degli altri, che sembravano
parlottare
tra di loro ma Joanna non li comprese bene.
“Che facciamo stasera? Ci porti in
questo
ristorante greco?”, riprese Danny.
“Beh…
a dire il vero io…”, balbettò Joanna,
“Non ricevendo nessuna chiamata ho deciso
di passare la serata insieme ad un’amica.”
“Ah…”,
fece
l’altro, “Quindi alla fine
non sei più disponibile…”
Prima
che Joanna potesse dire altro, Arianna le prese il cellulare dalla mano.
“Con
chi ho il piacere di parlare?”, chiese lei, sfoderando la sua
voce calda,
quella che Joanna le aveva sentito usare più volte nelle
rare occasioni in cui
era uscita assieme a lei.
“Beh… mi chiamo Danny
Jones… e
tu chi sei?”,
fece lui, aggraziandosi nel sentirla.
“Sono
l’amica di Joanna. E sono contenta di lasciarla tutta per
voi!”
“Beh… grandioso!”,
esclamò il ragazzo, “Se
vuoi puoi unirti anche tu a noi!”
“Grazie,
ma sono un po’ troppo grande per voi. E comunque è
Joanna quella che volete, o
sbaglio?”
“Sì!”,
rispose
l’altro.
Arianna
lanciò un occhiolino alla ragazza, che stava sprofondando
nei suoi crostini per
l’imbarazzo.
“Perfetto.
Posso consigliarvi dove passare la serata?”, disse Arianna.
Arianna
le ripassò con l’abilità di una make up
artist la matita intorno agli occhi.
Poi le dette un’altra sbuffata di colore sulle guance e un
pizzico sul braccio.
“Sei
pronta!”, le fece, “E non agitarti troppo! Sei
già stata con loro una giornata
intera, non iperventilare per una serata di fine carnevale!”
“Lo
so… ma non ci riesco!”, piagnucolò
Joanna.
“E
con Danny… c’è qualcosa che mi puzza di
bruciato. Ti piace vero?”, le chiese la
donna, con occhi maliziosi.
“Beh…
sì… ma anche gli altri sono altrettanto carini ed
adorabili.”, fece Joanna,
sentendosi le guance avvampare, “A parte Harry…
credo che ce l’abbia con me, ma
non so perché. E’ sempre stato un po’
sarcastico nei miei confronti.”
“A
me piace Dougie.”, disse Arianna.
“Ma
hai vent’anni più di lui!”,
sbuffò Joanna, dandole una pacca sulla spalla.
“E
che vuol dire!”, protestò l’altra.
“Potrebbe
essere tuo figlio…”
“Parli
come mia madre!”, la riprese Arianna, “Avanti,
scendi e fai bella figura!”
Joanna
prese un profondo respiro e scese dalla macchina, facendo attenzione
che nessun
lembo cappotto lungo e nero che Arianna le aveva prestato rimanesse
impigliato
nella chiusura dello sportello.
La
piazza panoramica sulla città, meglio conosciuta come
Piazzale Michelangelo,
era gremita di persone che cantavano e ballavano, indossando maschere e
tracannando birra e vino. Passò accanto a due tipi
già estremamente alticci per
essere solamente le dieci di sera e ci mancò poco che uno di
loro le cadesse
addosso, sporgendosi per attirare la sua attenzione. Ma lei
accelerò il passo
e, nascondendosi nel colletto del cappotto, scansò a testa
bassa tutti i
presenti, fermandosi solo quando incontrò la balaustra che
contornava la
terrazza.
Davanti
a lei, tutta la città illuminata dai lampioni e dalle varie
luci che
costellavano i monumenti più importanti. La serata era
fresca, non
eccessivamente gelata. La luna continuava a fare capolino tra fini nubi
di
passaggio, rischiarando la notte intorno a lei.
Arianna
aveva consigliato loro di passare la serata lassù: aveva
sentito che un gruppo
di scansafatiche aveva organizzato una festa in maschera proprio nel
piazzale e
che ci sarebbe stato da divertirsi. A guardare dalle persone intorno a
lei, però,
ci poteva essere solo da ubriacarsi e farsi di qualche sostanza
stupefacente. Per
il momento, però, la
musica era carina, ballabile per chi ne era capace, ovviamente non per
lei.
Si
domandò dove fossero gli altri quattro e provò a
cercarli con gli occhi.
Furono
loro a trovarla, spuntando improvvisamente alla sua destra.
“Little
Joanna!”, esclamò Danny, abbracciandola con
l’accortezza di allontanare dalla
sua traiettoria la birra che aveva in mano.
“Salve…”,
fece lei, cercando di non irrigidirsi troppo come al suo solito.
“Buonasera
Jo! Come va?”, le chiese Tom, riservandole una formale ma
amichevole stretta di
mano.
“Tutto
a posto. Tu?”, domandò lei a sua volta, ricevendo
come risposta un’alzata di
spalle ed una bevuta alla bottiglia di birra.
“Jonny…”,
fece Dougie, con fare simpatico.
Harry
si limitò ad un cenno di mano.
“Ti
offriamo subito da bere!”, si animò Danny,
prendendola per braccetto insieme a
Tom.
“A
dire il vero sono a posto.”, fece Joanna, “Sono
uscita ora dal ristorante.”
I
due ragazzi non fecero storie: alti più di lei di una
quindicina di centimetri,
la sollevarono di peso prendendola per i gomiti e la portarono davanti
al bar
mobile che distribuiva alcolici a tutti.
“Scegli
pure, offre Jones.”, le fece Tom.
Costretta
alla scelta, optò per un succo di frutta alla pesca.
“Succo
di frutta?!?”, esclamò Danny, “Non vuoi
una birra?”
“Niente
alcol per me, grazie.”, rispose lei.
“E
che succo alla pesca sia!”, fece, alzando il braccio per
richiamare
l’attenzione di qualcuno che li servisse.
Ritornati
alla balaustra, trovarono solo Dougie. Harry se n’era andato
in cerca di
qualcuno con cui divertirsi e Joanna lo comprese perfettamente, in quel
modo
aveva dichiarato apertamente la scarsa simpatia nei suoi confronti, ma
non lo
biasimò affatto.. Si sedette sul piano orizzontale del
parapetto, seguita a
ruota da Danny, mentre Tom si limitò ad appoggiarvisi con un
fianco e Dougie
rimase in piedi, davanti a lei, con le mani nelle tasche dei suoi
pantaloni
strappati.
“Cosa
hai fatto di bello oggi, Jo?”, le domandò Tom.
“Beh…
ho lavorato.”, rispose lei, sforzandosi di non fare la solita
figura del pesce
muto.
“E
poi?”, continuò Danny.
“Fino
a poco fa ero con la mia amica, quella con cui hai parlato al telefono,
in un
ristorante.”, aggiunse Joanna, non trovando niente di
interessante nella sua
misera giornata, “Voi cosa avete fatto?”
“L’odissea.”,
disse Dougie, guardando Danny di sottecchi.
“Stavamo
provando a prendere un treno per Pisa”, iniziò a
raccontare Tom, “quando
Poynter ed io ci siamo trovati davanti ad un gruppo di nostre
connazionali.”
“E
nostre fans.”, si inserì Danny, “Che ci
hanno costretto a scappare e a salire
sul primo treno in partenza.”
Joanna
li guardava sbigottiti.
“Ma
non potevate semplicemente fermarvi e fare foto ed
autografi?”, chiese poi,
pensando che fosse la cosa più giusta per loro da fare.
“Erano
tante…”, disse Dougie, quasi sottovoce come se si
dovesse scusare.
“Già…
una valanga!”, specificò meglio Tom, “Ed
eravamo senza qualcuno che le
ammaestrasse.”
Joanna
li guardò scettica.
“Avete
avuto paura…”, fece, sorridendo, “Avete
avuto paura!”
I
tre prontamente accamparono una serie di scuse infinite per
giustificare il
loro gesto, oltre a quella di essere senza qualche gorilla che li
proteggesse
da un fronte di ragazze urlanti.
“Ho
capito! Ho capito!”, fece Joanna, sedando
l’esplosione di giustificazionismo,
“E siete saliti su un treno…”, li
esortò a continuare la storiella.
Chissà
cosa avevano combinato.
“Sì
e appena arriva il capotreno, quello ci fa scendere alla prima
stazioncina
sperduta. Insieme a questa!”, disse Danny, tirando fuori
dalla tasca del suo
cappotto un foglietto.
“Ha
fatto la multa a tutti e quattro. E ci ha scaricato in mezzo al
niente.”, disse
Dougie, “Abbiamo aspettato tre ore prima che uno dei treni
che passava di là si
fermasse per farci salire.”
“Ma
a quel punto avevamo già acquistato il
biglietto.”, continuò Tom.
“Ed
abbiamo rischiato di prendere un’altra multa
perché non li avevamo timbrati!”,
concluse Danny, “Però alla fine siamo arrivati
sani e salvi!”
Joanna
si mise a ridere.
“Siete
anche peggio di me.”, fece poi, “Salire sul primo
treno in partenza per
sfuggire a tre o quattro ragazzine che vi chiedevano un
autografo!”
“Erano
in cinquanta!”, ripetè Dougie.
“E
se il treno fosse stato un diretto per Roma?”,
azzardò a dire Joanna, “O per
un’altra città?”
“Beh…
tornavamo indietro come abbiamo fatto oggi!”, disse con
semplicità Tom, “Ne
abbiamo combinate di peggiori, Jo, credimi, questa avventura di oggi
non ci ha
spaventato affatto.”
“Non
è vero.”, lo corresse Dougie, “Quello
che se la faceva sotto era Danny, pensava
che lo avresti gettato sotto il primo treno di passaggio!”
“Addirittura!”,
esclamò Joanna.
Si
sentiva già molto più a suo agio e rideva di
gusto con loro. Le tremavano molto
meno anche le mani, segno che era in via di tranquillità.
“E
alla fine siamo arrivati quassù.”, disse Tom, che
aveva concluso il racconto
della loro giornata, “C’è una vista
bellissima.”
“Sì,
concordo pienamente.”, disse Dougie, avvicinandosi al
parapetto, “Quella chiesa
là così grande che
cos’è?”
“E’
il duomo.”, gli spiegò Joanna, “Tutti
gli altri edifici accanto
impallidiscono.”
“E’
sproporzionato!”, disse Danny, “Non lo potevano
fare più piccolo? Anche quella
cosa che ha davanti…”
“Il
battistero…”, lo corresse Joanna.
“Sì,
quello lì… è troppo grande! Non
è armonico!”, proseguì nella sua
critica.
“Jones,
ti intendi solo di armonie musicali.”, lo zittì
Tom, “Lascia fare quelle
architettoniche a chi di competenza.”
“Sarà…
ma a me non piace.”, disse Danny.
“Ok,
lo abbiamo capito.”, fece Joanna, ridendo.
La
musica intorno a loro si alzò di volume e un coro di grida
festose accompagnò
il cambio del ritmo, che dal pop radiofonico si trasformò in
pezzi di punk rock
che esaltarono le orecchie di Dougie, grande patito del genere. Gli
altri partecipanti
alla festa all’aperto si radunarono sotto al piccolo palco
del dj, che metteva
su un disco dopo l’altro.
“Andiamo
anche noi!”, li esortò Dougie, “Andiamo
nel mezzo!”
Tom
lasciò il parapetto guardando i due seduti.
“Avanti!”,
fece loro.
“Beh…”,
disse Joanna, “Andate pure, io rimango qua.”
“Anche
io.”, disse automaticamente Danny.
“E
dai Joanna!”, li esortò Dougie.
“Puoi
andare se vuoi, Danny.”, fece Joanna, già
allarmata dalla imminente possibilità
di rimanere lì sola con lui, “Sai quanto sia in
perenne bilico.”
“Divertitevi
ragazzi!”, esclamò Danny, salutando i due con la
mano.
Al
che, mani in tasca, Tom e Dougie si intromisero nella folla saltellante
e mezza
intontita dall’alcol e dalla musica.
“Allora,
Little Joanna…”, disse Danny, non appena i due
scomparvero dalla sua visuale.
“Ti
stancherai mai di chiamarmi in quel modo?”, fece la ragazza,
sorridendogli.
“Beh…
credo proprio di no.”, rispose lui, incrociando le braccia
con fare pensieroso,
“Ti stai divertendo?”
“Sì…
abbastanza.”, fece lei, bevendo l’ultimo sorso del
suo succo ed appoggiando il
bicchiere di plastica sulla balaustra.
“Abbastanza
vuol dire che potresti divertirti di più?”, fece
Danny.
“Mi
correggo: sì, mi sto divertendo!”, disse Joanna,
dopo qualche attimo di
riflessione, spiazzata dalla strana domanda di Danny.
“Perché
altrimenti potremmo anche andare da un’altra
parte… se preferisci.”, disse lui,
approfittando dei propri occhi blu per cercare di convincerla. Ma lei
abbassò
la testa imbarazzata e guardò altrove.
Difficile,
pensava Danny, molto difficile entrare in contatto con lei. Non appena
si
liberava per qualche secondo della sua timidezza e lui approfittava per
avvicinarsi a lei, Joanna prontamente si richiudeva. Quel gioco era
molto
stimolante...
Ma
non era nemmeno sicuro di piacerle. Joanna non aveva mai dato
l’impressione di
preferire di più la sua compagnia piuttosto che quella di
Dougie o di Harry.
Aveva escluso automaticamente Tom per il suo stato di eternamente
fidanzato ed
innamorato. Però poteva addirittura eliminare con sicurezza
Harry: Joanna non
era una stupida, aveva sicuramente capito che non andava molto a genio
al suo
batterista. Non tanto per mancata affinità in amicizia,
più che altro per i
motivi che aveva ampiamente spiegato la domenica appena passata, e che
aveva
ribadito ovviamente prima che la incontrassero di nuovo
lassù.
Rimaneva
Dougie.
No,
pensò Danny, Joanna non era un tipo da Dougie. Troppo timida
per l’uragano
Poynter, anche se sapeva che quella caratteristica era comune ad
entrambi. Dougie
aveva imparato col tempo ad essere più spigliato, ma si ricordava ancora di
quando, ai tempi del
loro primo singolo ‘Five Colours in
Her
Hair’, al pubblico la sua voce era la
più sconosciuta dei quattro.
“Ti
piace questa musica, Joanna?”, le domandò,
cercando di recuperare la
conversazione.
“Beh…
sì, mi piace molto.”, rispose lei, mantenendo lo
sguardo lontano dal suo viso,
benché si spostasse velocemente nelle sue vicinanze.
“E
allora perché non sei voluta andare con Dougie?”,
le chiese.
“Perché…
sono molto più sicura qui, su questa balaustra, piuttosto
che in piedi,
muovendomi.”, disse lei, “Così non
rischio di finire per terra!”
“Già!
Saggia decisione!”, fece l’altro, ridendo,
“Quale altra musica ascolti, oltre a
noi?”
Joanna
riflettè qualche secondo, prima di rispondere.
“Mi
piace molto Avril Lavigne…”, fece poi.
“Ah
sì?”, esclamò l’altro,
“Se lo dici a Dougie ti salterà addosso!”
La
battuta, che per lui poteva sembrare accettabile da essere ricambiata
con una
risata, non ne ricevette alcuna, tranne che uno sguardo imbarazzato.
“Ma
se mi dici che ascolti anche Bruce Springsteen, allora sarò
io quello pronto a
saltarti addosso.”, aggiunse, sperando di farla ridere.
Lei
lo guardò stranita.
“Non
mi piace molto Bruce Spingsteen.”, disse Joanna.
“Ah…”,
disse il ragazzo, incrociando le braccia, “Lasciando perdere
la musica, cosa mi
racconti di te?”
Da
normalmente seduto , si accavallò sulla balaustra, facendo
penzolare le sue
lunghe gambe.
Calma,
respirare: inspirare, espirare, inspirare espirare.
Danny
era sempre più vicino: seduto a cavalcioni sulla balaustra,
con le mani
appoggiati su di essa, si sporgeva verso di lei in attesa di una
risposta.
Si
sentiva come una liceale... e si odiava a morte. Voleva mangiarsi la
lingua, ma
questo avrebbe comportato il mutismo totale, che già stava
avvenendo a lingua
presente e virtualmente efficiente.
E se
mi dici che ascolti
anche Bruce Springsteen sono pronto a saltarti io addosso...
Annullò
l’immagine del suo sorriso sornione a trentadue denti e gli
occhi accesi e
scintillanti.
“Beh...”,
riuscì a dire. Cosa poteva raccontargli di sè...
Mannaggia, le si era seccata
la gola ed aveva finito il succo.
“Che
c’è che non va, Little Joanna?”, le fece
Danny, sporgendosi per attirare il suo
sguardo basso.
“Niente,
è che...”, e si fermava. Diceva tre parole, poi si
fermava!
“Ti
sto dando fastidio?”, le chiese.
Lui
le prese la ciocca di capelli che cadeva sulla sua spalla e gliela
spostò
indietro. Joanna incrociò il suo sguardo lievemente
preoccupato.
“Se
non gradisci la mia compagnia, puoi dirmelo schiettamente.”,
le disse, ritraendosi,
“Ti capisco perfettamente.”
Le
serviva una padella.
Una
grande padella.
Una
enorme e gigantesca padella, come una di quelle che usava Miki quando
il locale
era pieno di clienti. Una bella e solida padella di acciaio, con il
manico
lungo. Da prendere e da fracassarla contro la testa finchè
fosse rimasta in
vita.
Ma
non avrebbe potuto farlo perchè era troppo incollata ai suoi
occhi per essere
in grado di muovere qualsiasi muscolo.
“My
Little Joanna’s got big green eyes...”,
cantò a bassa voce Danny la primissima
strofa della canzone che portava il suo nome, cambiandone il colore
degli occhi
da blue a green.
Lei
sorrise, toccandosi il naso per scacciare un piccolo prurito che
sentiva.
“Chissà
perchè sei sempre così timida...”,
disse Danny, “Ormai non credo più che siamo
noi a metterti in soggezione.”
Joanna
si strinse nelle spalle.
“Basta
pochissimo per farti arrossire.”, continuò lui,
“E’ una cosa veramente
piacevole e deliziosa.”
Ovviamente
Joanna avvampò.
“Mi
sembra di giocare sempre a nascondino quando sono con te.”,
disse Danny, “Ogni
volta che mi avvicino o ti dico qualcosa ti nascondi... e mi tocca
cercarti.”
“Beh...
prometto che cercherò di non nascondermi
più.”, disse Joanna, ridendo.
“Oh
no, nasconditi pure, io gioco molto volentieri!”,
esclamò Danny, avvicinandosi
ulteriormente a lei.
Era
così vicino...
Cercò
con gli occhi un appiglio, una persona, un conoscente, un cristiano o
un musulmano
qualunque da salutare, con cui parlare... E le venne un’altra
volta la voglia
di prendersi a padellate in testa.
Danny
Jones era lì, a pochi centimetri da lei che invece voleva
fuggire.
Guardò
verso il gruppo di persone sotto il palco e trovò, tra le
tante, la testa
ossigenata di Tom, che veniva shackerata dal suo proprietario a tempo
di
musica. Certamente lui si stava divertendo... Anche lei stava passando
una
piacevole serata, anche se per il momento la maggior parte delle sue
energie
stavano andando sprecate nel cercare di calmarsi e di non scomporsi
troppo.
Cercò
con gli occhi anche Dougie, doveva essere nei pressi di lui ma non vide
nessuna
testolina spettinata. Chissà dove se n’era
andato... Poi lo vide, vicino ad un
gruppetto di ragazzi, appoggiato ad una colonnina di ferro, con la sua
birra in
mano e le gambe incrociate. Aveva il naso per aria, sembrava stesse
guardando
il cielo. Poi la sua visuale scese, verso la sua direzione.
Era
lontano, ma vide benissimo che le sorrise, accennando ad un gesto di
saluto con
il collo della bottiglia. Fece anche lei per salutarlo con un cenno, ma
la mano
di Danny le si posò sulla guancia e le fece voltare il viso.
La
vicinanza tra le loro labbra si annullò.
...
Stai
baciando Danny
Jones...
...
Stai
baciando Danny Jones?
...
Sto
baciando Danny Jones!
Anzi,
lui sta baciando me, perchè
praticamente ho ancora le labbra appiccicate!!!
Cercò
di dischiuderle, di coordinarsi, di fare una qualsiasi
attività che potesse non
far pensare a Danny che non sapesse baciare...
Voleva
sprofondare.
Non
che fosse proprio totalmente inesperta...
Cazzo
cazzo cazzo!
In
petto non aveva un cuore, c’era un’intera
autostrada di men at work che stavano
lavorando con i loro martelli pneumatici. Lui le accarezzò
la guancia, prima
che le sue dita scivolassero sul collo, tenendolo con delicatezza.
Approfondendo
quel bacio, Danny le si avvicinò ancora di più,
eliminando anche quella poca
differenza che stava tra i loro corpi.
Dei
pochi ma fondamentali baci che aveva dato, quello non era sicuramente
il più
voluto e il più sentimentalmente impegnativo... ma poteva
elevare Danny quasi
al secondo posto nella sua personale classifica, che contava rari
contendenti. La
prima posizione spettava ancora di pieno diritto ad un bacio sulla
guancia ricevuto
insieme ad un autografo da Elio Germano, uno dei suoi attori italiani
preferiti,
incontrato per caso a Roma durante una domenica passata a zonzo mentre
il
fratello giocava la sua partita.
E
intanto continuavano a baciarsi.
TITOLO: E'
ripreso da Crazy Little Thing Called Love dei The Queen... ovviamente
perchè è rifatta dai McFly! XD ormai sono
irrecuperabile!
Per quanto
riguarda la locheschion, metto un po' di fotografie che scattai qualche
tempo fa da lassù, appunto. Non sono di ottima
qualità ma, soprattutto, non sono state scattate di notte
-.- sono abbastanza bruttine... Ne so fare decisamente di migliori ;)
Cliccate sul nome e ci sarà la foto!
Scusate se per questa volta i rigraziamenti saranno molto esigui e
stupidi ma, come molte di voi sanno già, oggi ho dato il mio
ultimo e finale esame, dopo una passione fisica e mentale che se mi
avesse conosciuto Mel Gibson c'avrebbe fatto un filmino sopra e avrebbe
vinto l'Oscar come miglior stronzata del secolo.
_Princess_
Jaja, Danny ist mit mir und Harry mit dir, genau? Jawohl!... si scrive
così? Sai che non mi ricordo! Mazza che bella fine, cinque anni
di tedesco nel cesso.
Picchia: Baciamo le mani aahhh...
Giuly Weasley: tra gli odiatori delle ferrovie dello stato ci sono pure io -.- maledetti treni...
K94: sempre contenta di
ricevere recensioni da qualche altro fan dei McFly! Siamo sperduti in
tutta Italia... ma un giorno anche loro saranno famosi qua e noi
potremmo vantarci di essere stati tra i primi a conoscerli!
CowgirlSara: a te i mascelloni,
i dentoni e i nasoni non ti piacciono... ma quello che avevi in avatar
ieri c'ha una mascella che pare Ridge! ahahah
Ciribiricoccola: la zingarata la faremo molto presto! Contaci, ci filmeremo e poi divulgheremo al prossimo il vangelo!
x_blossom_X: la bella Cenerentolina, che aspetta il suoDannino... XD
Lady Vibeke: Io sono come
l'ocio di bue che illumina la fan angelica in prima fila e fa perdere
la testa ai pezzi sul palco. E io sto facendo perdere la testa a voi,
mie care lettrici.... Viva la modestia, ma soprattutto, viva le MS!!!!!
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Capitolo 10 *** Too Close to Comfort ***
10.
Too Close to Comfort
“Sei
un deficiente, Poynter!”, gli fece Tom, una volta che si
furono scaldati nei
salti tra la folla a tempo di musica.
“Cos’è
questa violenza gratuita, Fletcher?”, chiese il bassista.
“Idiota
di un Poynter che non sei altro.”, ripetè Tom,
dandogli una pacca sulla testa.
“Hey!”,
protestò l’altro.
“Se
ti piace Jo, perché non dici semplicemente a Danny di
levarsi dalle palle?”
E
quella uscita?,
penso
Dougie, totalmente
preso dalla musica ma straniato dall’amico.
“Ma
sei scemo per caso?”, sbottò poi.
“Hai
servito a Jones una possibilità su un piatto
d’argento!”, rincarò la dose Tom,
“Di
che cazzo parli, Fletcher?”
“Sì...
valla a raccontare a quel tipo verde lassù.”,
rispose l’altro, indicando la
statua in mezzo alla piazza, fiera sul suo piedistallo marmoreo.
“Ma
vaffanculo.”, sentenziò Dougie.
In
compagnia della birra che si era comprato qualche minuto prima, si
allontanò
velocemente da lui e da tutta la gente.
Dio
che palle!
....
Ok,
giustificava l’aver tentato di nascondere il suo messaggio
con il semplice
fatto che... L’avrebbero chiamata più tardi con più
calma, o
magari anche il giorno dopo perchè erano tutti stanchi per
quella giornata fuori
dal normale...
Va
bene, non c’era giustificazione valida, l’aveva
nascosto e basta. Stop.
Lo ammetteva, era
interessato a quella ragazza così particolare, ma di certo
non così tanto come
pensava Fletcher! Era una loro fan, anche se fino a quel momento ne
aveva
dato
tutt’altra dimostrazione. Non era saltata al collo di nessuno
dei quattro, non
aveva chiesto autografi, nè fotografie o ciocche di capelli
da rivendere su
E-Bay. Niente di tutto questo... a parte rovinare per terra quando li
aveva
visti comparire al di là del menù, nel locale
dove lavorava.
La
cosa che più lo affascinava di lei, oltre a questo, era la
sua riservatezza.
Come se fosse stata gelosa di se stessa e della sua vita. Che cosa
sapevano di
lei? Età, nome, fratello geloso con cui viveva. Fine. Lei
non andava oltre, non
si spiegava.
Perchè
Joanna si ritraeva ogni volta che qualcuno le si avvicinava?
Perchè
sembrava essere sempre intimidita dalla loro presenza? Ormai non
pensava che
fosse più per il fatto che loro fossero i McFly. Era una
spiegazione troppo
semplice e superficiale. Ci doveva essere qualcosa di più.
Fragile
Joanna...
Con
le braccia incrociate e appoggiate sulla balaustra che contornava il
piazzale,
prese l’ultimo sorso della sua birra. Lanciò di
nuovo un’occhiata verso i
due... Era
contento per lei, sicuramente si stava sciogliendo per quel bacio.
Chissà
quante volte aveva sognato una cosa del genere.
Ma
quando lasciò divagare lo sguardo nelle loro vicinanze,
quello che vide lo fece
pietrificare. Se l’era stampata bene in mente quella faccia,
di solito non
accadeva che si ricordasse così bene di un viso visto per
una sola volta. Suo
fratello, di cui non ricordava il nome, li stava osservando a debita
distanza,
così come stava facendo lui. Dalle sue espressioni pareva
abbastanza sorpreso
nel vedere sua sorella... ed altrettanto lo sarebbe stata Joanna, ne
era certo.
Stava
accadendo esattamente come nella domenica passata e se quel bestione si
era
incazzato semplicemente per averli trovati in casa, chissà
cosa sarebbe
successo adesso che Danny la stava baciando.
Gli
venne da avvicinarsi a Danny ed a Joanna ma non sapeva che cosa stava
per
succedere. Non sapeva cosa fare. E lui, in ogni caso, non si sentiva
mica tanto
sicuro che sarebbe riuscito a combinare qualcosa contro
quell’armadio. Ma
cos’era? Un pugile? Un semplice culturista? Football
americano?
E
lui era solo un bassista! Magari avrebbe potuto minacciarlo con il
basso... ma
non aveva niente con sè che avesse avuto quella forma.
Lo
vide avvicinarsi ai due e scattò sull’attenti.
Stava
continuando a baciarla con gusto. Gli stava piacendo proprio quel
bacio, si
stava appassionando ed aveva notato perfettamente l’impaccio
di lei, per quello
aveva cercato di essere il più delicato possibile. Il
profumo di Joanna era
veramente piacevole, una dolce vaniglia che lo aveva stuzzicato
già dal primo
momento in cui lo aveva sentito. Era molto carina quella sera, anche se
il nero
la spegneva un po’.
Forse
era affascinato dalla sua aura di ingenuità e di
semplicità. Non si metteva in
mostra, non si adoperava mai per attirare l’attenzione. Se ne
stava
semplicemente in disparte, come per lasciare agli altri la scena.
Dolce
Joanna...
Se
avesse avuto il tempo di conoscerla meglio, lei sicuramente si sarebbe
aperta e
si sarebbe rivelata. Ma tra pochi giorni sarebbero ripartiti e tutto
questo non
sarebbe stato ovviamente possibile. Sperò che lei non
contasse troppo su quel
bacio, che non la prendesse come una dichiarazione di amore
incontrastato e
infinito. Anche se Joanna poteva sembrare ingenua, non dava
l’impressione di
essere una stupida. Lo avrebbe capito.
Sentì
lei muoversi ed interruppe il bacio. Si guardarono per qualche attimo:
lei
pareva stupita, come se non stesse credendo a cosa le stava succedendo.
Le
sorrise, chiedendosi come potesse il suo viso riuscire a trasmettere
con
naturalezza e chiarezza tutti i pensieri che le passavano per la testa.
Lei
rispose al suo sorriso, abbassando gli occhi. Le posò un
dito sotto al mento e
le fece alzare di nuovo li viso.
“Ti
stai nascondendo ancora...”, le disse.
Lei
alzò le spalle.
Prima
di poterla baciare di nuovo, stette qualche secondo a sorriderle. Le
sue guance
arrossirono, gli occhi volarono altrove... e si bloccarono in un punto
alle sue
spalle.
“Che
c’è?”, le venne da chiederle.
Le
lasciò il viso e si voltò.
Non
era possibile... Di nuovo lui.
Si
lasciò innervosire dallo sguardo arrabbiato di suo fratello,
che se ne stava
nelle loro vicinanze a braccia incrociate, come un genitore di vecchio
stampo.
Ma
qual era il suo problema?
“Ehm....
ciao.”, riuscì a dirgli, dopo la decisa stretta di
mano di Joanna, cercando di
non dare troppo a vedere la sua scocciatura.
Lui
non gli rispose, si avvicinò e prese prepotentemente Joanna
per una mano.
Appena
lo vide sentì sgretolarsi tutto sotto i suoi piedi.
Non
sapeva che anche lui si trovasse lì in quel momento... anzi
addirittura si
chiese che cosa ci faceva! Sentì una rabbia impossibile da
gestire, non poteva
esplodere. Non davanti a Danny, non in mezzo a tutta quella gente.
Non
l’aveva seguita, ne era certa, si erano semplicemente trovati
insieme nel
solito posto, entrambi per i fatti propri e con i propri amici. E lui
si era
sentito ovviamente in obbligo di distruggerle la serata.
Strinse
la mano di Danny, provando a fargli capire di non fare niente di
avventato. Lui
sembrò capire e si limitò ad un asettico ciao.
Miki non disse niente, si
avvicinò a lei e le prese la mano.
“Andiamo.”,
le disse.
Si
impose di stare calma.
“No.
Lasciami andare.”, gli rispose.
Guardò
Danny: non avrebbe compreso una sola parola di quello che si sarebbero
detti.
Meglio così.
“Non
mi sembra il caso di continuare.”, riprese Miki,
“Forza.”
“Lasciami
andare.”, ripetè Joanna, liberandosi della sua
mano, che però la riagguantò
ancora più decisa di prima,
“Lasciami stare.”
“Lo
sapevo che sarebbe successo questo, Jo.”, fece Miki,
“Lo sapevo ma speravo di
contare sul tuo buon senso!”
“Ti
ho detto... di lasciarmi stare!”, esclamò con
forza la ragazza, attirando
alcuni sguardi degli sconosciuti intorno a loro che, prevedendo un
peggioramento della situazione, si allontanarono con indifferenza.
“C’è
qualche problema?”, spunto Dougie, con le sue solite mani
nelle tasche dei
pantaloni. Nemmeno Danny l’aveva visto avvicinarsi, tutti
erano rimasti
abbastanza stupiti nel vederlo intromettersi.
“E
questo chi è?”, chiese Miki alla sorella che,
invece di rispondergli, scese
dalla balaustra con l’intenzione di allontanarsi da tutti
loro, ma fu
prontamente bloccata.
“Dove
pensi di andare, Jo!”, le fece Miki.
“Dove
mi pare!”, rispose lei con rabbia, “Lasciami
passare!”
“Non
gridare...”, le disse Miki, “Non è il
caso di dare spettacolo.”
Scansò
suo fratello ed aumentò la velocità del passo,
non voleva litigare ancora con
lui di fronte a loro. Miki la seguì e dopo solo un paio di
metri la afferrò per
entrambe le braccia, bloccandola di nuovo.
“Ne
avevamo già parlato, Jo, che cosa credi di fare?”,
le domandò, guardandola
dritta negli occhi.
“Tu!
Cosa vuoi da me?”, esclamò lei, cercando di
divincolarsi, “Lasciami!”
“Andiamo
a casa!”, le disse di nuovo.
“No!”,
gridò lei, dandogli uno schiaffo in pieno viso per farsi
lasciare.
Vide
i due ragazzi avvicinarsi a loro, per soccorrerla.
“Jonny!”,
la chiamò Dougie.
“Per
favore, andate…”, disse loro, ma i due esitarono,
“Per favore…”, ripetè.
“Ma
non possiamo lasciarti stare!”, protestò Danny.
“Mandali
via, Jo.”, disse Miki.
“Che
cosa ha detto?”, le fece Danny.
“Per
favore Danny, andatevene, per favore.”, li
supplicò Joanna, che non sapeva più
come fare per riuscire a ristabilire la situazione, completamente
sfuggita
dalle sue mani.
“No!”,
si impuntò Danny, “Voglio sapere che cosa ha
detto!”
“Jones,
per cortesia…”, lo richiamò Dougie,
“Facciamo come vuole Jonny.”
La
ragazza lo ringraziò con gli occhi, vista
l’ostinazione del tutto inutile di
Danny. Non sarebbe servito a niente.
“Eh
no!”, perseverò Danny, che poi si rivolse al
fratello, “Adesso amico, spiegami
qual è il tuo problema con Joanna!”
Si
parò davanti all’uomo, braccia incrociate.
“Cosa
vuole il tuo amico…”, fece Miki, spazientendosi.
Prima
che potesse succedere qualsiasi cosa, che una qualunque altra parola
volasse e
la situazione precipitasse rapidamente, Joanna si interpose tra i due,
cercando
di allontanarli l’uno da l’altro premendo contro i
loro petti.
“Danny,
te l’ho già chiesto.”, gli fece,
“Lascia stare.”
“Non
posso sapere perché ti tratta come se fossi un oggetto di
sua proprietà?”, le
chiese il ragazzo.
“Jones,
calmati.”, disse Dougie, prendendolo per un braccio,
“Lo sai che non puoi
permetterti di fare cazzate. Sarai anche alto quanto lui, ma quello ti
ammazza
se ti da un pugno in faccia.”
“Io
non voglio fare a botte!”, protestò Danny,
“Voglio solo parlare civilmente.”
“Non
è il caso!”, esclamò Joanna.
“Andiamo…”,
lo esortò di nuovo Dougie.
“Non
insistere!”, sbottò Danny, incaponendosi,
“Joanna, non possiamo lasciarti così!”
“E
chi sei tu per poterti permettere di fare una cosa del genere!
”, gli gridò
contro Joanna, “Chi ti credi di essere? Solo
perché mi hai dato un bacio pensi
che io debba stare alle tue regole?”
La
risolutezza che vide negli occhi di Joanna lo lasciarono del tutto
sbigottito,
senza parole. Forse la pensava troppo piccola e indifesa e subito si
ricordò
del suo tono di voce sentito domenica… Era lo stesso che
aveva usato contro di
lui in quel momento.
Totalmente
spiazzato dalla rabbia della ragazza, riversatasi su di lui che la
voleva solo
difendere, desistette. Incassò il colpo e si
allontanò.
Rimase
solo Dougie. Sembrava voler fare o dire qualcosa, guardava Joanna in
cerca di
un buon motivo per restare ad aiutarla. Ma lei lo implorò di
andare, con lo
sguardo… E la accontentò.
“Andiamo.”,
disse Miki, aspettando che la sorella si mettesse in cammino per
seguirla.
Dougie
raggiunse l’amico Jones nella speranza di poterlo far
ragionare, ma sapeva che
non ci sarebbero state parole adatte a quello scopo.
“Io
non capisco che cos’abbia quella bestia!”, disse
Danny.
“Dan,
avrà i suoi buoni motivi per comportarsi in questo
modo.”, gli rispose Dougie.
“Buoni
motivi un cazzo!”, sbottò Danny, “Non ha
il diritto di trattarla così, non
stavamo facendo niente di male.”
“Lo
so ma…”
“Io
cercavo di proteggerla, Poynter!”, si difese Danny.
“Lei
non ti ha mai chiesto di farlo.”, rispose con naturalezza
Dougie, “E’ stata
chiara fin dal principio, voleva che ce ne andassimo.”
“Oh
sì, certo! Perché non voleva che suo fratello mi
pestasse!”
“Non
credo che…”, gli fece Dougie.
“Quell’armadio
era pronto a picchiarmi!”, protestò Danny,
“E forse a picchiare anche te... e
lei!”
Il
bassista sbuffò, cercando di capire come mai Danny
si fosse completamente fissato in quella
situazione.
“Te
lo ha detto Joanna stessa.”, disse Dougie, “Solo
perché l’hai baciata non puoi
permetterti di imporre le tue decisioni su di lei.”
“Cosa?!”,
esclamò Danny, “Guarda che io volevo solo darle
una mano come avrei dato a
qualsiasi altro mio amico!”
Dougie
lo guardò perplesso.
“Amico?”,
gli fece, “E tu baci gli amici sulla bocca?!”
Danny
lo guardò scuotendo la testa.
“Ascoltami,
Poynter.”, gli disse, “Ho capito che Joanna ti
piace.”
“Danny,
non sparare cazzate...”, si animò Dougie, che con
una semplice frase aveva
perso completamente la pazienza.
“Te
la lascio, ok?”, disse poi Danny, “Visto che ti
ritieni in grado di capire ogni
suo problema e di avere tutte le risposte alle sue
difficoltà, te la lascio.”
“Jones,
non essere così stronzo!”
Danny
alzò le mani e si allontanò.
“E’
tutta tua, Doug. Tutta tua.”, fece, scomparendo tra la folla.
Salirono
nell’auto in silenzio, senza dire una sola parola. Fu Joanna
a rompere il
ghiaccio formatosi tra i due.
“Perché
ti sei sentito in dovere di farmi questo?”, gli chiese. Non
c’era ombra di un
tremore nella sua voce, né di lacrime nei suoi occhi. Era
troppo arrabbiata.
“E
tu? Cosa pensavi di trarne di buono?”, gli chiese Miki, con
tono calmo ma velato
di impazienza.
“Niente.
Era solo un bacio!”, protestò Joanna,
“Non era nient’altro.”
“Certamente.”,
disse Miki, scuotendo la testa.
“Ti
fidi o non ti fidi di me?”, gli chiese retoricamente Joanna,
“Pensavi che fossi
così stupida da pensare che questo fottuto bacio fosse una
proposta di
matrimonio?”
Miki
non rispose.
“Mi
fa piacere sapere che mio fratello pensi che sia
un’imbecille!”, esclamò
Joanna, ridendo acidamente, “Conforta la mia
autostima!”
“Jo,
per favore, piantala con questi toni.”, sentenziò
Miki, “Lo so che non sei un imbecille!”
“Ma
mi tratti come se lo fossi!”
“Non
voglio vederti perdere dietro a queste persone.”
“Ed
infatti io non mi sto perdendo dietro a nessuno!”, gli
urlò lei, piena di
rancore.
“Perdonami
se cerco di proteggerti!”, gli rispose Miki, provando a
sovrastarla.
“Tu
non mi stai proteggendo, Miki. Mi stai torturando!”
“Poynter!
Poynter!”, lo chiamò Tom, “Finalmente,
pensavo ti fossi volatilizzato!”
“Uhm…”,
fece lui, scendendo dall’angolo della balaustra su cui stava
seduto, insieme
alla sua seconda birra.
“Che
serata magnifica!”, esclamò, “Quelli sul
palco sono stati fantastici e poi
c’erano un sacco di pazzi in mezzo alla gente! Non capivo un
cazzo di quello
che mi dicevano, ma dovevano essere molto simpatici!”
Dougie
gli abbozzò un sorriso.
“Ho
visto anche Harry, stava flirtando come suo solito con una
ragazza.”, disse
Tom. Poi gli venne da mordersi la lingua per aver parlato troppo.
“Che…
che ci fai qua da solo?”, domandò al suo amico
bassista, cercando di sviare. Ma
si rese conto che anche quella domanda non era molto consona alla
situazione.
Infatti, Dougie non fu molto gentile nel rispondergli.
“I
cazzi miei.”, tagliò corto.
“Ah…”,
fece Tom, accettando la garbata risposta.
Si
guardò intorno, in cerca di Danny o di Joanna. Nessuno dei
due in vista, forse
si erano… appartati? Rimase scettico di fronte al suo stesso
pensiero.
“Non
chiedermi dov’è Jones.”, disse Dougie,
risoluto, “Non ne ho idea.”
“Ok.”,
fece Tom, risoluto, “Ora mi spieghi cosa è
successo.”
Dougie
scosse la testa.
“Niente.”,
disse poi, scendendo dalla balaustra ed allontanandosi.
Qualcosa
di grave tra lui e Danny. E c’entrava Joanna, che se
n’era sicuramente andata
per colpa loro. Chiaro, più cristallino di così
non poteva essere.
Sbuffò,
toccandosi le gambe stanche. Fosse stato per lui, la serata poteva
anche
concludersi in quello stesso momento ma era rimasto di nuovo solo:
Danny e
Dougie erano incazzati per i fatti loro. Harry, molto probabilmente, se
ne
stava con una ragazza.
Anzi,
si ricredette. Lo vide avvicinarsi con le mani in tasca, sguardo strano.
“Non
dirmi che girano le palle anche a te...”, gli fece quando gli
si sedette
accanto.
“Oh
no... serata magra, ma non sono incazzato...”, disse, alzando
le spalle.
“Allora
che cos’hai?”, gli chiese Tom, vedendolo comunque
scocciato.
“Ho
assistito alla patetica scenetta tra Danny e il corpulento fratello di
Joanna.”, disse Harry, risvegliando l’interesse di
Tom, prima insoddisfatto da
Dougie.
Vedendolo
bisognoso di parole, Harry lo accontentò, spiegandogli che
in lontananza aveva
visto il quasi annientamento di Danny, che era sembrato intenzionato a
fare a
botte col fratello di Joanna, spuntato dal nulla esattamente come la
domenica
precedente. Poi, non stanco, se l’era rifatta con Dougie che
aveva cercato di farlo
ragionare.
“Hai
visto dov’è andato Danny?”, gli
domandò.
“Sì,
ha preso un taxi ed è tornato in albergo...
credo.”, disse Harry.
“E
Dougie?”
“Appollaiato
sotto la statua verdastra.”, riferì Harry,
indicando la figura del David di
Michelangelo, riprodotta in bronzo scolorito, su un alto piedistallo al
centro
del piazzale.
“Riprendiamolo
ed andiamocene.”, disse Tom, scendendo dalla balaustra e
trovando il parere
favorevole del batterista.
Chiusa
in camera sua pensava e pensava, sdraiata sotto lo sguardo vigile e, se
avessero avuto vita, preoccupato dei suoi poster.
Ho
baciato Danny Jones...
Cio...
lui ha baciato me,
poi ho solo preso il solito treno.
Volle
perdersi solo pochi attimi in stupidi pensieri da quindicenne, non era
una
sognatrice, non lo era mai stata molto. Aveva sempre tenuto i piedi a
terra,
inchiodati, saldati, con le pietre legate alle caviglie, senza mai
accontentarsi della superficie che vedeva davanti a sè.
Vissuta nell’apparenza della
felicità più totale, sapeva cosa si poteva
nascondere dietro ad essa.
Ok,
si erano baciati.
Lui
le aveva fatto un paio di complimenti, le aveva fatto gli occhioni
dolci, i suoi occhioni dolci, e
l’aveva
baciata. Era innamorata di lui... Cosa?!? Stava scherzando.
Ovvio
che non lo era, non si poteva amare uno come lui, impresso sulla porta
di
camera sua. Prima di tutto perchè sarebbe stato un errore. E
poi perchè non ne
era semplicemente innamorata: gli piaceva... Era Danny Jones, cazzo! Un
paio di
occhi blu che sorridevano ancora prima delle sue belle labbra, le
lentiggini e
i capelli riccioli simpatici almeno quanto lui! Ma c’era un
passo abissale tra
il piacere fisico e quello... sentimentale, ecco.
Però
quel bacio le era piaciuto tanto. Davvero.
Forse
perchè non ne aveva dati molti altri. O forse
perchè era lui. Sicuramente.
Ma
la disquisizione non era sull’essere innamorata oppure no di Danny... era invece su
ciò che era successo dopo quel bacio,
era ancora più importante.
Non
avrebbe mai voluto trattarlo in quel modo ma non aveva potuto fare
altro, lui
aveva insistito nel rimanere. Le aveva scaldato il cuore vederlo
preoccuparsi
per lei, soprattutto perchè non se lo sarebbe mai aspettato.
Insomma, cos’erano
loro, se non un musicista ed una sua fan?
In
quel momento le venne in mente la strofa di una loro canzone, Too close to comfort, che a lei piaceva
molto.
Was I invading in on your secrets
Was I too close for comfort
You're pushing me out
When I'm wanting in
Non
voleva che Danny, compreso anche Dougie che era intervenuto per far
cambiare
idea all’amico, si ponesse troppe domande su come mai suo
fratello fosse così
iperpotettivo nei suoi confronti. Anche se sicuramente questo stava
già
accadendo...
Rabbrividì.
Prima però preciso una cosa: questo capitolo (e forse anche
un po' il prossimo) non mi soddisfa molto perchè
è solo di transizione verso un nuovo risvolto della storia.
So che non succede praticamente niente, che ho dato solamente ampio
spazio a riflessioni varie... -.- ma ne avevo bisogno, altrimenti non
avrei potuto aprire la fanfiction ad altri fatti successivi.
Ah! I versi in inglese appartengono alla canzone che dà il
titolo al capitolo: Too
close to comfort, una tra le migliori canzoni dei McFly,
una tra le mie preferite... E' un po' tristarella, per me doppiamente
autobiografica -.-
XD via, vado dritta dritta ai ringraziamenti, non ho tempo da perdere :p
_Princess_:
diciamo che McCute stavolta fa un po' la figura dell'US nella tua
storia -.- che dire, hai già sottolineato le parti salienti
della storia con i tuoi quotes... cosa mi rimane? Solo il solito
grazie, soprattutto per i commenti finali... XD basta basta,
sennò mi monto la testa!!!
Picchia:
eeeeeeeeeehhhhhhhhhhhhh la mascotte Joannina ha fatto come Mac. Si
è trasformata in un personaggio dotato di vita propria e io,
nonostante le abbia dato i natali, non so più come gestirla.
Già te l'ho detto, fa come je pare, mi risponde male, prende
iniziative private.... e non mi riesce tenerle testa... baciamo le
mani, alla prossima mazzetta.
Ciribiricoccola:
stavolta niente attacchi di ansia, purtroppo... Forse c'è
solamente un attacco omicida verso il fratello della cara Joannina XD
Ti dispiace per Dougie??? Ma sei sicura??? Non ci credo... Mi sto
commuovendo! Crudele, lo so che stai mentendo!
Kit2007:
Eheheh, ti ho tratto una bella trappola e tu ci sei cascata in pieno!!!
Hai capito a cosa mi riferivo ieri sera? A quali erano gli indizi
nascosti??? Eeehhh, sicuramente ci sei arrivata... via, non ti dico
altro come sempre! Me muuuta!!
Giuly Weasley:
Quello che mi hai scritto sulla passata recensione poteva anche essere
solamente una tua opinione... Ma credimi, hai azzeccato le previsioni
in ogni singola cosa che hai scritto :P ho già detto troppo,
basta, io che non rivelo quasi niente degli avvenimenti futuri!
Muuuutaaaa! :P grazie per i complimenti, davvero, mi hanno fatto molto
piacere! Ciaooo
CowgirlSara:
Allora Sarina, d'ora in avanti in poi (come dice mia mamma) tutte le
volte che te metterai Colinpasta Farrello inizierò a
prenderlo per il culo, lamentandomi dell'odore delle sue ascelle
puzzose. Va bene??? Così la smetti di dare del dentone a
Danny!!!!! XDDD Rettificato questo, passiamo ai ringraziamenti....
Embè? Pensi che ti ringrazi? GIAMMAI!!!! :P
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Capitolo 11 *** Don't Know Why... ***
11. Don’t Know
Why...
Arrivò al locale insieme a Miki. Per colpa di un paio di
pile scariche la sua fidata sveglia non era suonata e si era trovata a
prepararsi in fretta. Lei, che era aveva i suoi tempi per ogni cosa, di solito
si alzava con un’ora di anticipo per essere pronta per il lavoro ma, quella
mattina, oltre alla stanchezza di una notte insonne c’era stata anche la beffa
della sveglia scarica.
Insieme ma senza dire una parola all’altro,
i due raggiunsero a piedi il locale. Rimasero stupiti nel trovarlo chiuso. Alle
sette, orario in cui i due iniziavano la loro giornata lavorativa, Arianna ci
doveva essere già da un pezzo.
Era lei, infatti, che lo
apriva.
“Le sarà successo qualcosa?”, si chiese Miki,
preoccupandosi.
“Beh, spero che anche per lei sia una sveglia non
funzionante.”, disse Joanna.
Attesero il suo arrivo per mezz’ora
e, dopo un paio di chiamate andate a vuoto, la videro spuntare dall’angolo della
strada, correva trafelata. Già diversi clienti se n’erano andati per via del suo
ritardo.
“Dio mio!”, esclamò la donna, fermandosi davanti a loro
con il fiatone.
“Arianna! Che ti è successo!”, esclamò prontamente
Joanna.
“Mi hanno svaligiato la casa...”, disse
lei.
“Come? Cosa?”, fece Miki.
“Ladri.”, spiegò
prontamente Arianna.
“E quando sono entrati?”, le chiese
Joanna.
“Beh... prima dei pettegolezzi, c’è un locale da aprire!”,
protestò Arianna, sottraendosi alle loro domande.
I due fratelli
si guardarono stupiti. Nervosamente, Arianna tirò fuori l’enorme mazzo di
chiavi, necessario per aprire la grande quantità di lucchetti che serravano a
modo le chiusure del suo Strictly English. La seguirono in silenzio e
decisero che le avrebbero parlato solo dopo che lei si fosse presa i tre caffè e
fumata le due sigarette, necessari per farla svegliare del
tutto.
“Ma come hanno fatto ad entrarti in casa?”, le domandò
Miki.
“Un momento...”, lo chetò Arianna per l’ennesima
volta.
Non appena vide Joanna liberarsi di un tavolo e consegnare
l’ordinazione a suo fratello, la donna la prese in
disparte.
“Allora, com’è andata ieri!”, le chiese sottovoce,
lontano da orecchie indiscrete.
“Dmmi prima come sia stato
possibile che i ladri entrassero in casa!”, rispose Joanna.
“Eh
no, prima le belle cose!”, disse Arianna, facendole il classico occhiolino
complice.
Joanna la guardò stancamente.
“Indovina
chi ho incontrato nel piazzale?”, le fece retoricamente.
Arianna
la guardò stupita.
“Ma che cazzo!”, esclamò a gran voce, tanto da
far voltare i clienti nella loro direzione.
Joanna alzò le
spalle.
“E cosa ha rovinato?”, le chiese
Arianna.
Sulla bocca di Joanna spuntò un sorrisetto
malizioso.
“Danny mi ha baciata...”, le confidò, facendo apparire
sul volto del suo capo un’espressione sbalordita e felice allo stesso
tempo.
“Wow!”, esclamò Arianna, “E... scommetto cento euro che
Miki è arrivato proprio in quel momento.”
“Subito prima che
potessimo farlo ancora.”, precisò Joanna, incrociando le
braccia.
“Insomma, ho già capito cosa possa essere successo senza
che tu dica altro.”, disse la donna, scocciandosi, “Ma dimmi, com’è
stato?”
Sembrava un’adolescente tutta eccitata per la sua migliore
amica che aveva baciato il bello del gruppo.
“Beh... è stato un
bacio...”, disse Joanna, abbassando la testa e giocherellando con la punta del
piede contro il pavimento.
“Solo un bacio?”, fece l’altra
perplessa.
Joanna le sorrise.
“Ok, ti sto mettendo
in imbarazzo.”, disse Arianna, “Non dire altro, lascerò che la mia immaginazione
voli felice al posto della tua.”
“Ecco, ci siamo capite!”, le fece
Joanna, alla quale non andava molto di condividere l’esperienza, “Piuttosto, mi
spieghi dei ladri o devo leggere il referto della polizia scientifica di
Miami?”
“Sono entrati mentre eravamo al ristorante.”, disse
Arianna, sbuffando.
“E cosa hanno portato via?”, le chiese
Joanna.
“Beh, soldi e gioielli.”, le fece Arianna, “Niente di che,
le cose più preziose le tenevo in cassaforte ma non sono riusciti ad aprirla. La
cosa strana è che sapevano dove cercare. E non hanno forzato nessuna
serratura.”
Joanna comprese ciò che voleva dire Arianna. Le passò
una mano sulla spalla per confortarla, la vedeva infatti più nervosa del
solito.
“Ho già licenziato la domestica.”, disse lei, “E ho detto
tutto alla polizia, è per questo che ho fatto tardi, mi hanno trattenuta quasi
tutta la notte in centrale per fare le deposizioni.”
“Mi dispiace,
Arianna.”, le fece la ragazza.
“Volevo quasi chiederti se potevi
venire un paio di giorni da me, tanto per farmi passare la paura.”, disse la
donna, “Ma credo che, dopo ieri sera, Miki non acconsentirà di certo. Glielo
abbiamo proprio messo in quel posto!”
“Già, e con molta
soddisfazione!”, aggiunse Joanna sogghignando.
“Peccato che anche
lui si trovasse nel piazzale.”, disse l’altra.
“Non potevamo
saperlo.”, la tranquillizzò Joanna, “Comunque vengo
volentieri.”
“Dici sul serio?”, le chiese la
donna.
“Ultimamente siamo troppo nervosi per abitare tra le solite
quattro mura. Piuttosto che scoppiare a gridargli in faccia un’altra volta,
vengo da te e ci rimango per sempre!”, disse Joanna, ridendo, “E poi sono grande
abbastanza per decidere della mia vita.”
“E
Miki?”
“Chi se ne frega.”, fece Joanna,
prontamente.
Si avvicinò alla finestrella della
cucina.
“Un’altra ordinazione?”, le chiese
Miki.
“No, volevo solo dirti che vado a stare un paio di giorni da
Arianna.”, disse Joanna, sicura ed inflessibile.
“E perchè?”,
domandò subito Miki.
“Perchè ha paura a stare sola.”, aggiunse
Joanna, incrociando le braccia, segno della sua
irremovibilità.
“No, non mi fido.”, disse suo fratello, tornando
al suo bacon.
“Non me ne importa niente.”, gli rispose
Joanna.
“Mi hai trattato come un imbecille ieri.”, si giustificò
Miki, “Non mi faccio prendere per il culo due volte. Se vuoi trovare una scusa
per rivedere quell’idiota...”
“Miki, non ci sarà nessun idiota in
giro. Vado solo da Arianna a farle compagnia.”, disse Joanna, “E che ti piaccia
o no ci andrò.”
Miki lasciò perdere il bacon sfrigolante ed andò
alla finestrella.
“Ti do l’ultima possibilità.”, le
disse.
“Ultima possibilità?!?”, sbottò Joanna, stupita, “Me ne hai
mai data una?”
“Hai tradito la mia fiducia
ieri.”
“Ho fatto solo quello che qualsiasi ragazza di venti anni
farebbe.”, sibilò Joanna.
Si trovarono quasi contemporaneamente nella sala colazione,
intorno alle undici della mattina, agli sgoccioli dell’orario apposito per il
pranzo mattiniero. C’era rimasto poco per loro ma si accontentarono volentieri
dei cornetti, delle marmellate e dei succhi rimasti. L’ultimo ad unirsi fu
Danny.
“Giorno.”, gli dissero i tre, che già addentavano con gusto
le loro colazioni.
C’era una sorta di imbarazzo, come se
aspettassero che fosse qualcun altro ad iniziare a parlare e l’attesa si stava
protraendo ad oltranza. Danny, seduto accanto a Tom e nascosto dietro ad un paio
di occhiali da sole, si mise in silenzio a mangiarsi un cornetto
vuoto.
Harry lanciò un’occhiata a Tom, che rispose con una
lievissima alzata di spalle.
‘Digli qualcosa!’, gli aveva
voluto dare ad intendere il batterista.
‘E cosa?’, sembrava
avergli risposto Tom.
‘Quello che ti pare! Sblocchiamo questa
situazione!’
Tom posò il suo cornetto, inghiottì il boccone e
si schiarì la voce.
“Ehm... vuoi un po’... di succo d’arancia?”,
chiese a Danny.
“No, grazie.”, rispose
lui.
“Caffè?”, ritentò Tom.
“No.”, gli venne
detto.
“Tiri su il muro a secco?”, ironizzò
Harry.
Nessuna risposta.
Di nuovo Harry esortò con
lo sguardo Tom, che spostò gli occhi su Dougie. Sembrava fosse tranquillo, come
se non fosse successo niente.
“Ehm... Danny, sai quando arrivano
i ragazzi della troupe?”, gli chiese Tom.
“Domani mattina.”,
rispose lui, senza scomporsi di una virgola.
Se ne stava seduto
con comodità, con la sedia lontana dal tavolo e le gambe malamente accavallate.
Tentennava il piede sospeso, tamburellava sulla gamba con la mano destra, era
nervoso.
“E... quando facciamo le prove?”
“Nel
pomeriggio.”
Harry intensificò il suo sguardo, ma Tom non sapeva
come entrare nel discorso senza far irritare Danny.
“Mi dispiace,
Jones.”, esordì Dougie, cogliendoli di sorpresa, “Non volevo farti
arrabbiare.”
Gli occhi presero a rimbalzare tra i due
contendenti.
“Lascia stare, Dougie.”, disse Danny,
“Facciamo conto che non sia successo niente.”
Dougie
accettò con un cenno di testa.
“E’ stata una cazzata.”, si riprese
Danny, “Una stupida cazzata.”
“Concordo.”, disse Harry, beccandosi
l’occhiataccia di Tom.
‘Ho fatto qualcosa di male?’, gli
domandò il batterista col pensiero.
‘Sì, i cazzi loro.’,
rispose Tom.
Danny sospirò, gettando il cornetto mangiucchiato sul
tavolo. Era intenzionato a dire qualcosa, ma parve
desistere.
“Ehm...”, fece comunque.
“Si?”, gli fece
Tom, speranzoso di sentire qualcosa di più.
“Non importa.”, disse
Danny, alzandosi, “Ho un mal di testa atroce, torno a letto.”
E
dette quelle parole si allontanò, lasciandoli a guardarsi e a sospirare
sconfitti.
Dougie unì le mani, appoggiando i gomiti sul
tavolo.
“Non starete mica litigando per la stessa ragazza?”,
chiese Harry, retoricamente.
“No, certo che no!”, disse
Dougie.
“E allora qual è il motivo?”, sbottò Tom, “Ti sembra
normale fare cazzate del genere, Doug?”
“Guarda che per me Joanna
se la può anche sposare!”, esclamò il ragazzo, infervorandosi, “Può fare quello
che gli pare con lei! A me non interessa!”
“E allora qual è il
punto, Poynter!”, disse Harry.
“Non lo so!”, sbuffò Dougie,
“Chiedeteglielo voi!”
“Che cosa è successo ieri sera,
spiegacelo.”, pretese Tom.
Dougie scosse la
testa.
“La montagna umana è entrato nel mezzo a lui e a Joanna.”,
raccontò, “Danny si è incazzato ed io mi sono solo intromesso per
evitare che facesse idiozie. Joanna gli ha chiesto di andarsene ma lui
insisteva... e io ero d’accordo con lei. La questione era che Danny voleva ad
ogni costo fare di testa sua, come sempre.”
“Quindi?”, insistette
Harry.
“Quindi ha desistito solo quando Joanna lo ha mandato a
quel paese. E poi se l’è rifatta con me perchè ero dalla parte di lei. Fine
della storia!”, disse Dougie, alzando le spalle.
I due lo
guardarono.
“Tutto qui?”, chiese Tom,
incredulo.
Dougie annuì.
Harry si grattò la
testa.
“Non capisco.”, fece poi Tom, “La sta facendo troppo
lunga... ancora gli rode il fatto di essere stato messo da
parte.”
“Vado a parlarci a quattr’occhi.”, disse Harry,
alzandosi.
“Buona fortuna...”, gli sussurrò
Dougie.
Si rigirava da diverso tempo sul letto, ma si bloccò in quella posizione:
mani incrociate dietro la nuca, gambe distese ed aperte. Faceva un caldo
terribile, aveva addirittura spento il riscaldamento. Se ne stava sopra le
coperte, con i lenzuoli tutti stropicciati contro la pelle. Non aveva sonno, gli
scoppiava la testa, ma era comunque stanco e sentiva il bisogno di dormire.
Sentì bussare alla porta e non rispose, voleva starsene solo.
Aveva anche messo il cartello ‘Do not disturb, please’, non era
chiaro?
“Andiamo, Jones, lo so che sei sveglio.”, disse Harry,
bussando di nuovo.
Sbuffò e si alzò con calma; andò ad aprirgli.
Con un cenno lo invitò dentro, prima di ributtarsi sul letto. Harry si sedette
sul bordo del materasso ed appoggiò i gomiti su di esso,
stendendosi.
“Per quanto pensi di continuarla?”, chiese, subito,
direttamente, a modo suo.
Danny non gli
rispose.
“Spiegami cos’è che ti ha fatto incazzare.”, ribattè
Harry, “Avanti, spiegamelo.”
“Niente.”, sbottò l’altro, contro al
suo cuscino.
“Guarda che ieri ho visto tutta la scena. Da lontano,
ma l’ho vista.”
“E allora cos’è che non hai capito?”, gli fece
Danny retoricamente.
“Perchè la stai tirando avanti come se
fossimo una soap opera brasiliana?”, sbottò Harry, “Dico, ti rendi conto di
quanto tutto questo sia patetico?”
“Judd, per favore, se sei
venuto a fare polemica puoi anche andartene.”
“No, Dan, voglio
solo capire.”, controbattè Harry, “Perchè sei incazzato?”
Danny
bofonchiò ancora.
“Perchè non pensavo di commettere un sacrilegio
cercando di aiutare un’amica!”, disse poi.
“Non sempre le persone
vogliono essere aiutate, Jones, sappilo.”, gli fece Harry.
“Ma suo
fratello...”
“Suo fratello non c’entra, Danny.”, lo interruppe il
batterista, “Devi capire che se Joanna voleva che tu te ne andassi era perchè
forse non voleva che ti intromettessi nelle sue questioni
personali.”
“Io non volevo fare l’impiccione!”, si difese
Danny.
“Sì che lo stavi facendo.”, affermò con sicurezza Harry,
“Ricordati che noi non siamo qua per diventare i suoi migliori amici... nè i
suoi fidanzati.”
Sottolineò quelle ultime parole guardandolo
dritto negli occhi, che invece divagarono.
“Io l’ho
baciata e basta perchè mi piaceva!”, si specificò Danny.
“Ad ogni
modo,”, recuperò Harry, “lei è una nostra fan e noi siamo un gruppo che molto
probabilmente ha appeso insieme a tanti altri nella sua camera. Tra noi deve
esserci un rapporto ben definito. E questa tipologia di relazione non comprende
comportarsi come i suoi personali paladini della giustizia.”
Danny
non gli rispose.
“Certo, la compagnia di Joanna è stata gradevole,
”, continuò Harry, “ci siamo divertiti, ci ha portato al mare bla bla bla. Ma
come ho già detto diverse volte, Joanna è Joanna. E noi siamo noi. Lei ha la sua
vita e noi abbiamo la nostra.”
“Non capisco tutto questo odio che
hai nei suoi confronti.”, gli fece Danny.
“Io non la odio, Jones,
non fraintendere quello che ho cercato di dire in mille modi senza che nessuno
mi ascoltasse.”, lo bloccò Harry, “Quello che voglio farti capire è che questa
città è uguale a tutte le altre. Soniamo e ce ne andiamo. Fine.
Non dobbiamo entrare nel mezzo delle questioni private delle
persone che nel frattempo conosciamo, perchè non siamo gli psicologi di
nessuno.”
Danny scosse la testa.
Quello che aveva
avuto intenzione di fare la sera precedente era semplicemente capire perchè il
fratello di Joanna si fosse comportato in quel modo. O meglio, perchè quel
bestione si fosse così tanto incazzato con lui: poteva capire che magari gli
avesse dato fastidio avere degli sconosciuti in casa... ma che sua sorella non
potesse nemmeno baciare un ragazzo! Joanna aveva il diritto di vivere la sua
vita come voleva!
“E soprattutto, non dobbiamo far fantasticare
troppo le ragazze.”, concluse Harry.
“Joanna non è una stupida e
sa che...”, provò a dire Danny.
“E’ una nostra fan. E tu l’hai
baciata.”, lo interruppe di nuovo il batterista, “Molto probabilmente sta
costruendo castelli in aria... Non importa che tu me lo dica, lo so che lei ti
piace ma che non provi nient’altro. Sei però sicuro di poter affermare lo stesso
al posto suo?”
Danny si bloccò.
“Non ci avevi
pensato...”, disse Harry, scuotendo la testa.
“Non ti facevo così
riflessivo, Judd.”, disse Danny, quasi con disprezzo, “Di solito tu sei il primo
a fare quello che ho fatto io.”
“Però mi accerto sempre di non
trattare con qualcuno che si possa fare delle fantasie.”, specificò
Harry.
“Mi fido di lei e del suo buon senso.”, disse Danny, dopo
qualche attimo di incertezza.
“Ti stai comportando come un emerito
pezzo di merda e ti giustifichi chiamando in causa il buon senso di Joanna.”,
disse Harry, prima di alzarsi ed andarsene.
Fine della
discussione.
Danny si stufò.
Adesso doveva anche
sentirsi in colpa per aver dato un semplice bacio ad una
ragazza...
Tom lo aveva lasciato ad attendere che Harry scendesse per riferire di
Danny, incrociando le dita nella speranza che non volassero troppe brutte
parole.
“Dove vai?”, gli aveva chiesto
Dougie.
“Ehm... vado a farmi una nuotata nella piscina.”, aveva
risposto Tom.
“Piscina?! C’è una piscina in questo albergo?”,
aveva sbuffato Dougie, stupito.
“Beh... sei sul pianeta Terra e
gli alberghi a quattro stelle hanno sempre una piscina!”, aveva detto Tom,
ridendo, “Magari a Poynterlandia dove vivi tu accade il
contrario!”
Si era alzato e lo aveva lasciato lì nella
hall.
Prese a picchiettare nervosamente l’indice della mano,
appoggiato sulla guancia.
Non si sentiva più di tanto in colpa
con Danny ma sapeva che fare il testone con lui non avrebbe portato a niente.
Prima o poi lui avrebbe capito il suo sbaglio ed abbassato la cresta; a quel
punto lui non avrebbe avuto problemi a scusarlo per le brutte parole con cui gli
si era rivolto.
Quello che lo aveva disgustato abbastanza era
stato il modo in cui aveva trattato Joanna. Un oggetto. E’ tutta tua, Doug.
Tutta tua. Come se sul retro di Joanna ci fosse stato scritto ‘Proprieta
di’, in attesa che lo spazio mancante venisse riempito. Di certo non era il
caso di litigare per una ragazza, era ovvio e lampante, così come cristallino
era il fatto di ritenere che il vero punto della questione non era il
contendersela. Non c’erano nemmeno i presupposti per arrivare a
cotanta stupida controversia: non era da loro, ma soprattutto non era
interessato a Joanna in quel modo. Beh, solo un po’, ma non così
tanto...
Danny era il primo a porgere le mani per aiutare gli
altri, si era spesso fatto in quattro anche per lui. Era questo quello che gli
rodeva dentro, essersi offerto per risolvere un problema e venire brutalmente
messo da parte. Lo capiva, su questo punto aveva tutta la sua comprensione, ma
se Joanna lo aveva allontanato non era stato per cattiveria. Di
nuovo, la sua curiosità pulsava. Perchè?
Harry apparve dalle porte
dell’ascensore.
“Com’è andata?”, gli chiese, dopo che si fu seduto
davanti a lui.
“Sono sicuro che Danny sappia di aver fatto una
cazzata, sia con Joanna che con te.”, riferì il batterista, “Ma non vuole
chiedere scusa per aver cercato di aiutarla.”
“Bingo!”, esclamò
Dougie, senza troppo entusiasmo.
“Ormai lo conosciamo bene il
nostro Jones.”, fece l’altro, passandosi la mano tra i
capelli.
“Sì...”, fece Dougie, sospirando, “Ma qualcuno dovrà pure
chiederle scusa.”
Harry alzì gli occhi perplessi contro i
suoi.
“Poynter, è l’ora di tagliarla questa storia.”,
fece.
Dougie si stupì, Harry scosse la
testa.
“Poynter, andiamo.”, disse poi il batterista, “Che cos’ha
questa ragazza di così tanto speciale da farvi sbavare in questo
modo?”
Dougie strinse in denti e scosse la
testa.
“Hai ragione tu, Judd.”, disse al batterista, “E’ meglio
lasciar perdere tutto.”
Si alzò e lasciò Harry da solo. Se ne andò
in camera e si prese il suo basso, almeno lui era sempre volenteroso di fargli
compagnia, senza troppe storie.
Lanciò un’occhiata al
cellulare.
Alle cinque l’avrebbe comunque chiamata, con o senza il
supporto degli altri.
Anzi, era meglio starne
senza.
Come da ormai tre giorni a quella parte, i due fratelli non si
rivolsero parola. Arianna li osservava chiedendosi come mai Miki riversasse tutte quelle
preoccupazioni sulla sorella, che dava ormai segno di non poterle più sopportare
ancora.
Non era vero che aveva paura a starsene da sola in casa.
Non era la prima volta che qualche topastro d’appartamento la derubava, ormai ci
aveva fatto il callo. La verità era che voleva che i due si dessero pace, si
dicessero scusa. Forse stare qualche giorno lontani poteva essere d’aiuto.
Sapeva poco di loro, solo che vivevano insieme da un anno a
quella parte, entrambi non amavano molto parlare di sé. Joanna era facilmente
interpretabile, le sue espressioni, i suoi sentimenti affioravano sul suo viso
senza sforzo, come se fossero incontrollabili. Miki era invece totalmente
indecifrabile. A guardarlo, tutto per lui andava nel modo giusto, sembrava un
ragazzo senza problemi. Solo da quando Joanna era stata assunta aveva iniziato a
capire un paio di cose su di lui... Innanzitutto, che era una palla al piede per
colpa della sua dannata gelosia.
Stavano per chiudere, Miki si
occupava ancora delle ultime mansioni in cucina.
“Vai a prendere
qualcosa per queste notti, Joanna.”, le disse la donna.
“Ma
dobbiamo finire di pulire il locale.”, obiettò la ragazza.
“Fallo,
prima che tuo fratello non ti permetta di uscire di casa. So che ne è capace!”,
le fece Arianna.
Sì, ne era perfettamente capace. Non era mai
arrivato a fare tanto, ma se lo sarebbe aspettato. Joanna prese la sua borsa, il
cappotto e lasciò il locale. In questi due giorni avrebbe respirato un po’, si
sarebbe presa una vacanza da suo fratello e sperava che tutto il risentimento
che aveva accumulato contro di lui fluisse via. Gli voleva bene come non ne
aveva mai voluto ad altre persone al mondo, era tutta la sua famiglia... Ma non
era quella la vita che voleva fare: segregata in casa, ai suoi
ordini.
Se Miki lo avesse capito, sarebbe andato tutto
liscio.
Camminava con fretta, voleva arrivare al più presto a
casa. Distava solo dieci minuti a piedi dal locale, ma doveva passare attraverso
una delle vie più affollate del centro e c’era spesso da fare a gomitate con i
turisti.
Sentì vagamente il suo cellulare squillare e lo prese
dalla borsa solo perchè voleva avere la soddisfazione di chiudere la chiamata in
faccia al fratello. Sicuramente era lui a chiamarla in quel
momento.
Vide il numero che compariva sullo schermo e si arrestò
come se avesse tirato il freno a mano, tanto che venne investita da un paio di
tizi in giacca e cravatta. Non rispose ai loro gentili ‘mi scusi’, rimase
attonita a guardare il telefono.
Fino a tre secondi prima, era
stata sicura che nessuno di loro si sarebbe più ripresentato da lei. Ne era più
certa del fatto stesso che si chiamasse Joanna. Dopo la scenata della sera
precedente... chi avrebbe più voluto avere a che fare con lei? Ma soprattutto,
con suo fratello?
“Pronto?”, rispose, con voce
titubante.
“Jonny... sei tu vero?”, le chiese Dougie,
dall’altra parte del telefono.
“Sì... sono io. Perchè stai
chiamando?”, fece, in automatico.
“Beh... spero di non
disturbati, davvero.”, rispose lui.
“No no!”, si affrettò
Joanna, “Non disturbi affatto!”
“Puoi parlare?”, le chiese
lui.
“Sicuramente sì, sono in mezzo ad una strada affollata... da
sola!”, aggiunse, tappandosi l’altro orecchio per riuscire a sentirlo
chiaramente.
“Ok, perfetto...”, rispose l’altro, includendo
una risata, “Ehm... volevo chiederti una cosa.”
“Dimmi
pure.”
Joanna sperò che dall’altro capo Dougie non si sentisse il
suo cuore fare a ripetizione tuffi da trampolini di trenta
metri.
“Senti Jonny... Ehm... Posso parlarti davanti ad una
birra?”
“Mi piacerebbe molto Dougie ma... non
credo che sia una buona idea.”, rispose Joanna, “Dopo quello che è
successo...”
“Oh sì, chiaro, certamente, senza dubbio.”,
rispose prontamente il ragazzo, “Allora come non
detto...”
Merda.
“Conosco un posto
tranquillo, senza occhi superflui.... e con la birra, se c’è.”, propose invece
Joanna. Data l’opportunità, doveva scusarsi. In ogni modo.
Dougie
rimase qualche attimo in silenzio.
“Perchè no?”, esclamò
poi, “Mi fido di te, Jonny.”
Se avesse
sentito quelle parole uscire dalla bocca di suo fratello, senza che venissero
automaticamente accompagnate da ‘ma non mi fido degli altri’, sarebbe stato
molto meglio.
“Dove allora?”
“Ti mando un
messaggio con scritto la via.”, gli disse Joanna.
“Perfetto,
così il tassista mi capirà.”, disse l’altro
ridendo.
“Appunto!”, fece Joanna. Aveva pensato proprio a
quello.
“Quando posso venire?”
“Nove e
mezza?”
“Ci sarò! A dopo!”, disse lui, chiudendo la
chiamata.
Corse ancora più in fretta, si doveva sbrigare. Aveva un
impulso in più per starsene da Arianna.
Perdonatemi ancora... Per la seconda
volta consecutiva, sfrutto la solita scusa del capitolo di transizione
>.<
Chiedo venia, non torturatemi...
CowgirlSara: Ecco, hai capito perfettamente i
due tipacci. Da una parte Danny, che ha un grosso ascendente su Joanna. E
dall'altra Dougie, che la capisce (e c'è un motivo per il quale la capisce, ma
si capirà -aridaje con questi capire- nel prossimo capitolo). Chi tifa per Danny
è: una sbavatrice di professione come me, oppure lo fa perchè si son baciati...
ma Dougino? Ti prometto che si farà amare ma, subito dopo, odiare... *faccina
con pugno alzato*
Picchia: rituale
del baciamano, ormai diventato istituzione tra me e te. Beh, grazie per i
complimenti e ripeto: spero che capirai, soprattutto nei due capitoli successivi
a questo, il motivo per il quale Joanna si è incazzatiellata con Dannino il
cavaliere XD Ci sentiamoooo
Ciribiricoccola: Eggià, povera questa
bestiolina di Dougino di mamma sua... Ma scommetto che, soprattutto con il
capiolo successivo al prossimo (cioè tra due capitoli), inizierai a odiarlo...
Jaja, ne sono proprio sicura, conoscendoti salirai sulla schiacciasassi e, con
occhi spiritati, passerai cento volte sopra il mio bestiolino (ora lo chiamo
così, grazie a te!). E povero anche Miki... ora uscirà un po' di scena, ma come
ho detto tante altre volte, si redimerà. Ci sentiamo passoide! XD Ps: ho visto
la tua nuova storia, prometto che leggerò e commenterò!
Kit2007: Ora che la situazione si sta
chiarificando, e diventerà ancora più cristallina in futuro, spero che non avrai
altri dubbi sulle rispettive posizioni di Danny e di Dougie. E per la martellata
a Miki: dagliela pure!!
Lady
Vibeke: per il solito Dio Denaro io perdo interi pomeriggi sui treni,
solo per lavorare un'ora e mezza davanti ad un pc... Ma cosa ci si può fare???
Spero che le tue ripetizioni siano più facili di quelle che do alla mia cugina,
che non sa tradurre il verbo to do e fa la terza superiore di un tecnico a
indirizzo linguistico. Perdonata la recensione indecente e tu perdona di nuovo
il capitolazzo di transizione. Lo farai vero? *occhioni lucidi*
Princess: come ti dissi in una qualche
conversazione passata, per questa storia (soprattutto per i diversi rapporti che
si instaurano tra Jo e i diversi Mecchi) mi sono un po' ispirata alla tua
Lullaby. In comune hanno questa specie di triangolo, ma con nette differenze,
come hai tu stessa notato. I tuoi Bill/Georg sono molto più consapevoli dei
sentimenti che provano verso Nicole, qua invece regna la confusione più totale:
Joanna, che per natura è confusionaria di suo, inconsciamente si troverà a
combattere tra i due (molto più in avanti). Danny e Dougie si rapportano con lei
in maniera totalmente diversa e lo capirai soprattutto con i prossimi due
capitoli. Per suggerirti, succede come ha detto la Sara nella sua recensione:
Danny ha fascino su Joanna. Dougie la capisce.... Cosa succederà???
Boooooh!
Giuly Weasley: penso che
con i prossimi due capitoli mi troverò lunghissime recensioni da parte tua XD Quel video di Too
Close to Comfort mi ha fatto morire quando l'ho visto... morire dalla voglia di
vederli live! E mi ha anche commosso, la canzone è semplicemente magnifica, la
mia preferita dopo Don't Wake Me Up... ha una carica di emozioni visibilissima,
la si sente a fior di pelle e per me, che l'ho vissuta in entrambi i significati
(se volessi, la canterei e me la dedicherebbero, capito cosa intendo? XD) , è
una canzone speciale. Ma passiamo alla storia: Hai capito perfettamente il ruolo
di Dougie in questa storia. Tra tutte, sei stata quella che più ha afferrato il
suo ruolo, aiutata anche dal fatto che sai già qualcosa di lui... ehm ehm... ci
siamo intese! Hai ragione, si è comportato da amico, ha lasciato il passo a
Danny ma... ne siamo proprio sicure? Avrai già capito che la risposta a questa
domanda è: no, non ne siamo proprio sicure (purtroppo). Danny ti preoccupa?
Allora Dougie ti preoccuperà ancora di più XD Diciamo che Danny si può scusare
solo col fatto che si era incazzato, come leggi in questo capitolo, per essere
stato messo da parte quando aveva offerto il suo aiuto a Joanna. Harry lo farà
ragionare in merito? Sarà vero come dici tu che, alla fine, sarà lui a cadere in
amore con Jo? XD La risposta ai
prossimi capitoli!
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Capitolo 12 *** Unsaid Things ***
12. Unsaid
Things
Sentì
bussare alla sua porta tre volte. Rispose con un mugolio.
“Poynter!”,
lo chiamò Harry, “Cosa stai facendo?”
“Mi
sento poco bene.”, rispose lui, “Uscite, penso che
starò male tutta la notte.”
“Te
l’avevo detto che tre piatti di lasagne ti avrebbero fatto
male, idiota!”,
tuonò Tom, “Lo sappiamo che il tuo stomaco
è capace di digerire anche le ruote
delle automobili, ma c’è un limite a
tutto!”
“Ho
capito, Fletcher. Ciao.”, gli rispose Dougie.
“Che
fa? Non viene?”, sentì dire poi a Danny, in tono
più ovattato.
“No,
se ne rimane in camera.”, gli spiegò Harry.
E
poi si allontanarono.
Perchè
aveva mentito sul suo stato di salute, inventandosi la scusa di stare
male per andare
indisturbato da Joanna?
Per due ovvi motivi.
Uno:
il solito palloso e non richiesto punto di vista bastardo di Harry.
Due:
il non essersi ancora chiarito perfettamente con Danny.
Non
voleva far scoppiare un altro casino, già ne aveva accesi
involontariamente troppi. Era
meglio fare tutto a loro insaputa e parlargliene magari dopo, a cose
fatte. Non
voleva che pensassero che l’avesse chiamata con la semplice
scusa di vederla.
Beh,
non avrebbero avuto tutti i torti, ma quello che più voleva
fare era parlarle,
chiederle scusa. E, se fosse stato il caso, anche perchè.
Attese
almeno mezzora prima di alzarsi dal letto in cui se n’era
stato sdraiato con le
mani dietro la testa, a fingere di avere mal di pancia. Aveva passato
tutto il
pomeriggio in camera a suonare, ascoltare musica e guardare le belle
ragazze
con le tette ed il culo al vento che popolavano i quiz preserali
italiani. Era
sceso giusto per la cena e si era trovato a mangiare solo con Tom.
Danny si era
fatto portare la cena in camera e Harry aveva finito un attimo prima
che lui
arrivasse.
La
situazione era palesemente tesa, anche se in via di sicura guarigione,
ma per
il momento era meglio lasciare che ognuno sbollisse per conto proprio,
prima di
trovarsi di nuovo ad affrontarsi infuocati.
Scese
dal letto ed andò in bagno a lavarsi i denti; si dette anche
una veloce
sistemata la ciuffo spettinato sulla faccia ed un’annusata
alle ascelle. Era
pronto per andare. Prese le sue cose ed uscì dalla stanza
con tranquillità. Alla
reception chiese al ragazzo al di là del bancone di
chiamargli un taxi e, dopo
una decina di minuti, mostrò all’autista il suo
cellulare, su cui era impresso
ancora il messaggio di Joanna, con il luogo in cui doveva portarlo.
Chissà dove si sarebbero incontrati.
L’auto
viaggiò per le vie del centro districandosi tra le altre
vetture, scooters e
autobus ancora in corsa. Era già notte da un pezzo ormai,
benchè le giornate
stessero iniziando ad allungarsi. Era febbraio, tra poco sarebbe stata
di nuovo
primavera e sarebbe tornato il caldo, l’estate, il mare, le
vacanze tropicali,
le ragazze...
Erano
questi i pensieri ottimisti che vennero interrotti dal suo stess sguardo,
buttato
fuori dal finestrino: non c’erano più le luci
della città, i fari delle
macchine, i rumori dei clacson. Ma dove era finito?
“Mi
scusi, dove siamo?”, chiese all’autista.
Quello
prese a balbettare, guardandolo di riflesso sul suo specchietto
retrovisore, e
in un inglese stentatissimo gli disse che erano vicini alla
destinazione.
“Ma
siamo in mezzo al niente!”, protestò Dougie.
L’uomo
si strinse nelle spalle ed accostò.
“E
adesso?”, fece Dougie, “Dovrei scendere?”
Il
tassista lo esortò a farlo, senza capirlo. Non gli rimase altro che prendere il suo
cellulare, cercare di nuovo il messaggio di Joanna e,
mettendo lo schermetto
sotto al naso dell’uomo, indicarglielo ancora.
“Mi
dovevi portare qui! Qui!”, gli ripeteva.
L’uomo
prese ad annuire, scese dall’abitacolo e, velocemente,
aprì la sua portiera, mentre lui ancora si rifiutava a gran voce di liberare il suo
mezzo. Il tassista si spazientì, si grattò la testa ed a grandi
passi si avvicinò alla colonna
laterale di un cancello. Poi, con l’indice teso, prese a leggere
il nome della via ed il numero civico impressi sulla targhetta da lui
indicata.
Era
davvero arrivato a destinazione...
Dougie
scese dal taxi e si guardò intorno. Prontamente,
l’uomo si rimpossessò del suo
‘luogo di lavoro’ e partì, lasciandolo
solo. Quello che poteva fare era solo controllare
che il nome impresso sulla colonna del cancello corrispondesse a quello
scritto
sul suo cellulare.
Forse
Joanna doveva aver sbagliato qualcosa nel nome della via. Aveva
pensato che si
dovessero trovare in un locale e quella casa al di là del
cancello non era
affatto un pub, nè una birreria come si era aspettato. Non
sapeva che fare.
“Dougie!”,
si sentì poi chiamare. Scattò
sull’attenti, quasi spaventato, e si avvicinò
alle sbarre di ferro verticali. Nell’oscurità, illuminata solo da un paio di
lampioni affissi sopra il portone di legno, vide Joanna, in una
semplice tuta
nera e due trecce ai lati del viso.
“Hey!”,
le fece, rincuoratosi, “Pensavo di trovarmi in
mezzo al niente!”
Il
cancello automatico si aprì, Joanna gli venne incontro
infreddolita.
“Sì,
colpa mia, non ti ho detto che ti avrei fatto venire a casa di
Arianna.”, si
giustificò lei.
“Arianna
chi?”, le domandò.
“La
proprietaria del locale. Dormo qualche giorno da lei.”,
spiegò Joanna.
Le
annuì.
“E
non le dispiace se...”
“Oh
no, tranquillo!”, esclamò prontamente la ragazza,
“Sapeva che stavi per
arrivare, le ho detto tutto.”
“E
non è che magari tuo...”
“Miki
non sa niente.”, aggiunse Joanna, facendo volare via gli
occhi da lui.
Gli
era dispiaciuto essere così impiccione su questo fatto, ma
era meglio prevenire un occhio nero
che curarlo .
“Ti
ho fatto venire qua perchè così non avremmo avuto
nessun problema del genere.”,
continuò Joanna, mentre entravano nella villetta. Non era
riuscito a vederla
molto bene dall’esterno, la luna non era molto luminosa
quella sera e sembrava
che tutte le luci della casa fossero state volutamente spente. Comunque
doveva
essere un bel posticino, in una zona residenziale e collinare della
città. Dentro
l’atmosfera era molto calda e l’arredamento del
tutto moderno e geometrico.
“Da
questa parte.”, disse Joanna, accompagnandolo in una delle
stanze.
Era
un grande salotto, molto ben ammobiliato. Le pareti, decorate per
metà a pietra
viva e per l’altra metà con lunghe liste di legno
scuro, davano l’impressione
di essere entrati in un moderno chalet di montagna. La stanza era in
penombra,
illuminata solo una lampadina alta sul suo piedistallo di ferro
battuto,
distribuiva una tiepida luce soffusa. Un caminetto acceso, un grande
tappeto di
un rosso scuro, divani in morbido tessuto...
“Molto
piacere, io sono Arianna.”, esclamò una donna,
spuntata alle sue spalle.
“Dougie.”,
si presentò, un po’ spaventato, porgendole la
mano. Lei gliela strinse con
vigore.
“Porto
qualcosa da bere?”, chiese poi lei, mentre con le mani gli
domandava
implicitamente di darle il cappotto e la sciarpa.
“Due
birre?”, propose Joanna, cercando da lui
l’approvazione che poi ebbe.
“Perfetto,
due birre in arrivo!”, esclamò l’altra,
che lasciò rapidamente la stanza.
“Simpatica!”,
disse Dougie, sedendosi insieme a lei ai capi opposti del piccolo
divano.
“Beh
sì, lo è molto.”, fece la ragazza.
Rimasero
per qualche secondo in silenzio. L’unico rumore era lo
scoppiettio incessante
del fuoco, ravvivato appena prima dell’arrivo di Dougie. La
fiamma era molto
viva ed alta ed illuminava le grandi pietre grigie che la contornavano,
sovrastate da un architrave di marmo scuro.
“Ecco
a voi!”, esclamò Arianna, porgendo le loro birre,
“Adesso vi lascio comodi, vado
a farmi una sonora dormita.”
“Buonanotte!”,
le disse educatamente Dougie.
“Per
qualsiasi problema, non mi cercate. Le tue cose, Dougie, sono nella
stanza qua
accanto.”, fece l’altra, prima di assentarsi.
“Buonanotte...”,
fece in tempo a dirle anche Joanna, dopo un’occhiata
d’intesa con Dougie.
Era
il momento di parlare e di chiedere scusa ma si sentiva abbastanza a
disagio.
Non per l’ambiente, che era veramente comodo e familiare...
era colpa della sua
naturale timidezza. Anche se con il tempo era nettamente migliorato, il Dougie privato
non era sempre
molto buono con le parole e lasciava spesso che fossero gli altri
parlare, a
meno che non venisse direttamente interrogato. Tamburellava le dita
sulla sua
birra e spostava freneticamente gli occhi davanti a sè.
“Ehm...
senti...”, fece poi, in un momento di coraggio.
“Mi
dispiace.”, disse Joanna, aggiungendo un lungo sospiro e
cogliendolo di
sorpresa.
Era
lui quello che si doveva scusare, non lei, era stata tutta colpa sua.
“Veramente
sono io quello che chiede perdono. Sono stato io a domandarti di uscire
un’altra
volta.”, le disse.
“Sì...
ma sono stata io ad accettare. Se avessi detto di no...”,
ribattè Joanna.
Anche
lei si stava sentendo sicuramente a disagio, lo notava
dall’incessante ticchettio
del piede.
“Ad
ogni modo, se non fosse stato per me non ti saresti mai trovata in
questa
situazione.”, disse Dougie.
Joanna
si fece perplessa.
“Quale
situazione?”, chiese lei.
“Voglio
dire... è
colpa mia se ora ti trovi a
dormire qua... e non a casa tua. Mi dispiace tanto.”
Era
palese il motivo per cui lei stava da Arianna. Molto probabilmente
aveva
litigato così tanto con suo fratello che aveva preferito
allontanarsi da
casa...
“Mi sento
responsabile del fatto che tu stia
qui, e non a casa tua con tuo fratello.”, si
spiegò meglio.
Joanna
gli sorrise.
“Arianna
ha avuto a che fare con dei topi di appartamento... le faccio solo
compagnia.”,
disse la ragazza, sorridendo.
“Ah...”,
fece Dougie, colto in fallo. Quella
sgambettata proprio non ci voleva. Incrociò mentalmente le
dita, sperando che Joanna
non si fosse infastidita per le sue parole.
“Lo
avrei pensato anche io, se fossi stata al tuo posto.”, lo
tranquillizzò Joanna,
dandogli una pacca amichevole sulla gamba, “Anche se... in
effetti, tutti i
torti non li hai.”
Dougie
si rilassò e ricambiò il sorriso.
“Quindi...
ehm...”, fece poi.
“Ci
scusiamo a vicenda.”, concluse Joanna al posto suo.
“Sì!”,
esclamò Dougie con troppo entusiasmo, che fece scoppiare a
ridere la ragazza.
Rise
insieme a lei, era proprio piacevole farlo.
“E...”,
fece lei, una volta calmatasi, “Gli altri?”
Gli
altri... argomento spinoso. Domanda plurale camuffata al singolare.
“Beh...
Danny sta bene.”, le rispose.
Joanna
arrossì ed annuì, abbassando lo sguardo.
“Mi
devo scusare soprattutto con lui.”, disse Joanna,
“Non l’ho trattato per niente
bene, stava solo cercando di aiutarmi...”
“Lo
ha capito.”, le disse. Era la verità.
“Credimi, non è davvero arrabbiato con
te.”
“Se
lo fosse, ne avrebbe pienamente diritto.”, fece la ragazza.
“E’
che è abituato a dare sempre una mano e quando hai rifiutato il suo aiuto... insomma,
se l’è presa.”,
spiegò Dougie.
Ad
essere sincero, non gliene fregava niente di parlare di Danny. Ma
doveva farlo.
“Però
sta bene... prima o poi verrà anche lui a chiederti
scusa.”, le disse.
“E
spero che accetterà le mie.”,
sottolineò Joanna.
“Sì...
ma, insomma, siamo sempre a chiederci perdono!”, disse,
ridacchiando.
“Già...”,
disse lei, “Adesso diciamo tre padre nostro per redimere la
nostra anima dai
peccati.”
Dougie
sorrise e bevve un po’ della sua birra. Joanna, invece,
continuava a ciondolare
con la sua in mano, come se non le piacesse.
“C’è
una domanda che mi sono sempre posto, Jonny.”, le fece, per
attirare la sua
attenzione, fissatasi già da tempo sullo scoppiettio del
camino, “Parli così
bene la mia lingua, per caso sei metà inglese?”
“Oh
no, sono italianissima.”, disse lei.
“E
dove lo hai imparato?”, le domandò. Era un buono
spunto per iniziare a
conoscerla meglio.
“Beh...
a scuola.”, rispose lei, tornando a trastullarsi con la bottiglia.
“Davvero?
Non ci credo!”, esclamò l’altro,
“A scuola non si imparano le lingue, ma solo
le parolacce!”
Joanna
sbuffò in una risata.
“E’
vero!”, ribadì Dougie.
“Ok,
hai ragione.”, confermò Joanna, asciugandosi gli
occhi.
“Dai,
dimmi come hai fatto ad impararlo così bene.”,
riprese Dougie.
Attese
la risposta di lei, che invece evadeva gli occhi e le parole. Aveva
forse detto
qualcosa che non andava? Ripercorse mentalmente le sue parole...
decisamente
no, non gli pareva di essere stato inopportuno.
Il
lembo della maglietta di Joanna divenne il martire del suo nervosismo.
Dougie
si morse la lingua, cercando di capire dove avesse sbagliato.
“Ho
per caso toccato un tasto dolente?”, le chiese.
“No,
tranquillo...”, disse Joanna, scuotendo la testa.
“Sembra
proprio il contrario.”, insistette.
“Davvero,
è tutto a posto. Ho imparato così bene la tua lingua
perchè i miei genitori sono professori di inglese... Tutto
qui...”, ribattè Joanna,
“E’ solo che...”
Ecco,
non volendo aveva creato da solo il pretesto per cercare di saziare le
sue
curiosità. C’era un metodo sempre utile per
riuscire ad estirpare dalle bocche
altrui i fatti personali... era raccontare le proprie disgrazie.
“Beh,
anche io ho delle cose di cui non amo parlare.”, disse
Dougie, buttando l’amo.
“Allora
non ti chiederò quali siano.”, rispose Joanna,
sorridendo sotto i baffi.
Brava,
si complimentò Dougie, era proprio una pesciolina
intelligente, una di quelle
che si mangiavano l’esca e risputavano l’amo
indietro al mittente.
“A
parte tutto...”, disse Dougie, “Penso di essere un
buon caso umano.”
Joanna
lo guardò con un mezzo sorriso ed incrociò le
braccia.
“Dici?”,
disse lei, con tono quasi scherzoso. Sicuramente stava cercando di
capire dove
volesse andare a parare.
“Beh...”,
fece Dougie, “Pensa che non so nemmeno dove sia mio padre in
questo momento.”
Dougie
annuì per sottolineare meglio la veridicità di
quello che le aveva appena
confessato. A dire il vero questa informazione poteva trovarsi ovunque
su internet,
ma era sempre parte di lui, e solo lui conosceva i risvolti
più privati.
“Sul
serio?”, volle accertarsene Joanna. Sembrava incredula.
“Sì,
è così...”, continuò Dougie,
“Mio... mio padre si è praticamente volatilizzato
poco dopo che sono entrato a far parte dei McFly... Ho avuto modo di
sapere
dove si trovasse solo un paio di volte ma...
nient’altro.”
“E
perchè se n’è... andato?”,
chiese Joanna. Si era accomodata sul divano,
abbracciando le gambe al petto, voltata verso di lui, con il mento
vicino alle
ginocchia.
Dougie
alzò le spalle. Non l’aveva mai saputo con
certezza.
“Beh...
mi dispiace...”, disse lei, “Non lo
sapevo.”
Evidentemente
non l’aveva letta su internet.
“Di
sicuro non sono cose che si augurano, nemmeno ai peggiori
nemici.”, disse
Dougie, fissando le sue dita, nervosamente occupate a spulciare le
pellicine
che contornavano le sue unghie, “Ecco perchè mi
definisco un caso umano...
magari tra qualche anno, quando si saranno dimenticati dei McFly,
farò la guest
star nei talk shows per parlare di lui!”
Joanna
sbuffò in una piccola risata.
“Qua
in Italia saresti richiestissimo!”, disse poi.
“Già...
E tu? Anche tu sei un caso umano Jonny?”, le
domandò ridendo, quasi provocatoriamente.
Lei
deviò per l’ennesima volta il suo sguardo poi,
dietro ad un sorriso, nascose un
sì.
“Davvero?”,
le fece, “Oh, allora mettiamoci nel museo dei
disgraziati.”
“Avrei
un posto d’onore.”, disse lei, roteando gli occhi.
“In
quale sezione?”, disse Dougie.
“Beh,
una qualsiasi.”, gli rispose, prendendo un sorso della sua birra.
Davanti
a lei Dougie, seduto comodamente, appoggiato al bracciolo del divano,
lievemente
voltato verso di lei. Non era venuto semplicemente per scusarsi, lo
aveva capito
non appena lui aveva cercato di entrare in tema. Era lì
perchè voleva anche sapere.
Le
andava di parlarne? Ovvio che no, perchè doveva farlo? Lui
non era nessuno,
solo uno sconosciuto. In quel momento non era nemmeno Dougie Poynter
dei McFly,
era semplicemente un ragazzo normale. Uno come gli altri, di un anno
più grande
di lei, con i capelli un po’ spettinati, una camicia
quadrettata stropicciata e
i pantaloni larghi. Un tipo qualunque, nient’altro, quindi
lei non si sentiva
in dovere di dargli spiegazione.
Quali
motivi avrebbero dovuto spingerla a fare una cosa del genere?
Al
momento, le sovveniva solo il fatto che qualsiasi persona normale, dopo
l’essersi trovata nelle situazioni in cui loro involontariamente si erano
trascinati dentro, avrebbe avuto tutto il diritto di porsi delle
domande su
come mai quel bestione di suo fratello fosse così geloso
della piccola Joanna.
E comunque questo non le pareva sufficiente, o almeno
liquidabile con una scusa qualsiasi.
Danny
aveva rischiato di prendersi qualche ceffone da Miki? Beh, non era
successo,
quindi anche quella motivazione era nulla.
E
allora perchè doveva parlargliene?
Perchè
anche lui aveva avuto uno stronzo al posto di un padre.
Esattamente
come lei.
Ma
non voleva dirgli niente! Lei non voleva parlarne!
O forse
sì...
“Non
pensare di dovermene parlare ad ogni costo.”, la
rassicurò Dougie, “Anche se...
sarò sincero.”, sospirò,
“Vorrei saperlo, così da capire come mai tuo
fratello
sia così geloso di te. Perchè, personalmente, non
penso che sia solo perchè ti
vuole troppo bene.”
No,
Poynter, questo non glielo doveva fare. Non doveva permettersi di
comprendere
esattamente dove si trovasse il punto della questione, in modo da
spianarle la
strada per confessargli tutto. Non poteva essere così
intelligente da capire
tutto da solo...
“Hai
ragione.”, disse Joanna, abbassando la testa sconfitta,
“Tu dovresti saperlo...
ma...”
“No,
io non voglio vantare nessun diritto su di te e sulle cose della tua
vita.”,
rispose lui, prontamente.
Musica
per le orecchie di Joanna...
Si
passò le dita tra i capelli, cercando di trovare un modo per
iniziare a
raccontare. Quella sarebbe stata la prima vera volta che confessava
tutto ad un
orecchio estraneo.
“Sai
che...”, disse poi, “Abbiamo alcune cose in
comune... io e te?”
Dougie
rimase spiazzato, non aveva afferrato... ma presto sì.
“Del
tipo?”, le fece.
Joanna
prese un profondo respiro ed alzò gli occhi verso di lui.
“I
nostri padri.”, disse, quasi tutto d’un fiato.
“E... perchè?”,
le domandò, “Anche il tuo se
n’è andato di casa?”
Aveva
trovato il coraggio di parlare, non poteva perderlo dopo poche parole.
Doveva
farlo.
Attese
che Joanna riprendesse il discorso interrotto, la sua espressione era
tutt’altro che confortante. La sua curiosità
iniziò a fremere.
Joanna
posò la sua birra per terra, vicino alla gamba del divano.
Dimenava lo sguardo
ovunque, piuttosto che posarlo su di lui. Sicuramente avrebbe preferito
trovarsi in un isola deserta... senza scocciatori come lui.
La
osservò farsi coraggio e prendere l’ennesimo
profondo respiro.
A
schiena lievemente ricurva, imbarazzata, si mise una mano alla cerniera
della
tuta, agganciata alta fino al collo, e la tirò
giù.
...
Dougie
deglutì.
Cosa...
Che...
Perchè?
Dal
sotto spuntarono una canottiera bianca e il corpicino esile di Joanna.
Calmati.
La
pelle era illuminata dal caminetto, che le dava un po’ di
colore, creando
giochi di ombre e luci che mettevano in evidenza ogni sua lieve forma.
Non dava
l’impressione
di essere così magrolina quando era vestita.
Calmati...
Joanna
se ne stava a sguardo basso e lucido, come se stesse per fare qualcosa
che andava
contro la sua volontà. Dal cotone della maglietta che
indossava traspariva
lievemente il nero della sua biancheria.
Passò
le dita sulla spallina della canottiera e la spostò,
facendola cadere sulla
spalla.
Calmati, Dougie, cazzo!
“Cosa
stai...”, balbettò Dougie, sentendosi seduto su
degli enormi spilli acuminati.
Lei
parve non sentirlo e drizzò la schiena.
Una
lunga cicatrice le percorreva il petto, dalla punta della spalla destra
fino
alla linea del seno, perdendosi poi sotto la canottiera. I suoi
pensieri
maschili evaporarono in un battito di ciglia.
“Oh cazzo...”, uscì incontrollato dalla sua bocca.
Non aveva mai visto il segno di
una ferita così grande.
Prontamente,
Joanna indossò di nuovo la giacca nera, chiudendo la zip e
nascondendosi.
“Come
te lo sei fatto?”, le chiese, spontaneamente.
“Sono...
caduta.”, rispose Joanna.
“Caduta?”,
sbuffò, incredulo. Non poteva essere così
semplice.
“Su
un tavolo di vetro.”, si specificò meglio lei.
Ma,
dal suo sguardo sfuggente, sembrava esserci molto di più.
“A
dire il vero... non sono proprio caduta.”, fece, mordendosi
il labbro
inferiore.
“E chi
è stato?”, le domandò.
“Mio
padre.”, rispose lei.
Dougie
si sentì pietrificare. Non aveva parole, non sapeva nemmeno
cosa pensare.
“Quando
è... successo?”, le fece. Aveva paura di farle
domande.
“Circa...
un anno fa.”, rispose Joanna.
“Perchè
lo avrebbe fatto?”
Era
inconcepibile: come si poteva fare una cosa del genere...
“Perchè...
mi sono ritirata dall’università.”,
spiegò Joanna.
Impallidì.
Che motivazione del cazzo era quella lì?
Si
impose di calmarsi...
“Ma
perchè?”, insistette, “Perchè
lo ha fatto! Non è possibile che...”
“Lo
ha fatto eccome.”, lo bloccò Joanna, quasi con
rabbia, “Vuoi che ti faccia
vedere la mia schiena?”
“No...”,
fece Dougie, “E’ solo che... voglio dire, che padre
è uno che spinge la propria
figlia contro un tavolo di vetro?”
“E’
mio padre.”, disse Joanna, con disprezzo.
“Dio
mio...”, sospirò Dougie, “Era sempre
così violento?”
“Soprattutto
quando facevo qualcosa che andava contro i piani che aveva prestabilito
per
me.”, gli rivelò Joanna, “Oppure quando
parlavo troppo.”
“Mi dispiace da
morire Joanna.”
“Fa’
niente.”, disse lei, alzando le spalle, “Poi sono
andata a vivere da Miki.”
“Come
scusa?”, le fece.
“Quando
mi sono ripresa... sono andata da Miki, mio fratello.”,
ripetè lei, con voce
sempre più tremante, “E da quel giorno sono stata
io a non volerlo più
vedere... né lui, né mia madre.”
“Beh...
capisco.”, le fece.
“Non
credo.”, rispose lei, seccamente.
Sì,
aveva ragione. Che ne sapeva lui di padri violenti? Niente, il suo
aveva solo
tolto baracca e burattini, sparendo dalla circolazione. Ma in un modo o
nell’altro le loro storie erano simili.
“Hai
ragione, scusami.”, le disse, “E’ solo
che... mi sembra incredibile quello che
mi hai detto, anche se non lo è affatto.”
Joanna
annuì, stringendo le braccia intorno alle gambe.
Appoggiò il mento sulle
ginocchia, la stessa posizione che aveva assunto quando era stato lui a
parlarle della propria vita.
“Miki
è così geloso di me perchè ha paura
che... possa trovare qualcuno uguale a mio
padre.”, disse Joanna, “Lo fa per
proteggermi.”
Ecco...
“Ad
essere sincera, non l’ho mai visto comportarsi come ha fatto
con voi.”,
continuò lei, “Anche perchè, da quando
vivo con lui, esco con la sua ma comunque rimango
estranea
a tutti loro... che mi evitano.”
“Perchè
hanno paura di lui.”, disse Dougie, comprendendo.
“Non
sono mai stata brava a farmi degli amici, ma ho cercato di
migliorarmi.”, fece
Joanna, “Ho sempre avuto paura che, approfondendo i rapporti,
gli altri inizino
a pretendere di sapere troppe cose di me. E io non voglio
raccontarle. Gli altri non devono sapere, né fare domande...
è troppo doloroso anche solo ricordare per un solo attimo.”
Certo,
cose del genere non si raccontavano al primo che passava... E lui, se
non era
il primo cretino che camminava per la strada, poco ci mancava.
“E
perchè invece a me le hai dette?”, le chiese, di
rimando.
“Forse
perchè... insomma, mio padre, tuo padre...”,
giustificò lei.
Sentì
la sua voce iniziare ad infrangersi.
Cosa
doveva fare? Doveva avvicinarsi a lei e confortarla, oppure era meglio
rimanere
fermo, seduto al suo posto?
Anche
se aveva avuto le proprie storie, le sue ragazze alle quali dare
sempre senza
ripensamenti una spalla su cui piangere, non pensava di altrettanto
bravo a
consolare una persona che aveva subito così tanto dalla
vita. Semplicemente
perchè non gli era mai capitato.
E
se Joanna non avesse desiderato la sua compassione?
Inaspettatamente,
soprattutto verso se stesso, si avvicinò a lei e la
abbracciò, benchè
l’ostacolo delle gambe rannicchiate di
lei non glielo potesse permettere al meglio.
Joanna
le distese e aprì le sue braccia intorno a lui.
Era
così... piccola.
Joanna
piangeva in silenzio, confortata dalla presenza di qualcuno che aveva
capito il
suo stato d’animo.
Mal
comune, mezzo gaudio
Joanna.
Si
allontanò con delicatezza da lui, stava iniziando a sentirsi
di nuovo in
imbarazzo. Si odiava per questo. In fondo aveva pensato che, dopo
avergli
confessato quello che aveva vissuto, si sarebbe sentita meno a disagio.
Invece
no, continuava ad avere ‘paura’.
“Scusami.”,
gli disse.
“E
di cosa?”, fece Dougie, sorridendole.
“Beh...”,
borbottò Joanna, un po’ spiazzata, ma comunque
piacevolmente contenta.
“Non
cambiare mai, Jonny.”, continuò Dougie,
“Ci sono troppe poche persone come te,
a questo mondo.”
“Intendi
che siamo in pochi ad essere goffi, sbadati, distratti...”,
prese lei,
divertendosi ad elencare tutti i classici aggettivi con i quali si
identificava.
“Siete
in pochi ad essere semplicemente voi stessi.”, la corresse il
ragazzo, “Jonny,
basta guardarti in faccia per capire chi sei.”
Joanna
lo guardò.
Maledetto
Poynter.
Rieccoci qua! Come sempre, su questo canale! Rinnovo le mie scuse
anche per questo nuovo, che più che un capitolo sembra una
sceneggiatura... ma che palle, sto sempre a scusarmi per quello che
faccio! Beccatevi 'sto cacchio di capitolo e non rompete, va'! XDDD E
come vi tratto bene io, non lo fa nessuno... veeeeero?? XD
Cosa che non ho mai fatto in questa sede: Ringrazio vivamente tutte le ragazze del forum del McFly che leggono la mia storia e che, di là, commentano molto positivamente ^^ un bacio a tutte voi!
Basta con le cavolate, il turno dei ringraziamenti inizia... ora!
Princess: TI CAPISCO E TI
APPOGGIO!!!! -abbasso 3msc!- Ormai i parallelismi tra le storie sui
Tokio che abbiamo scritto e questa sui McFly si contano a migliaia...
Sarà che il tema di fondo è lo stesso, le somiglianze ci
sono e si riscontrano, ma ognuna di noi è troppo diversa
dall'altra e scrive in maniera totalmente differente per poter dire:
queste due storie sono ugali! Che dici? Io la penso proprio
così... e sicuramente anche tu e tutte le altre (lo spero XD)
Come ti ho già detto, hai capito perfettamente la distinzione
che ho fatto tra Danny e Dougie... ma soprattutto, hai centrato in
pieno Harry. E' il nostro Grillo Parlante, quello che cerca di fermare
Pinocchio a suon di parole e di avvertimenti ma... alla fine, lascia
che sia lui ad essere l'artefice del suo destino ed a sopportarne le
conseguenze. Che mi rimane da dire? Hai già afferrato tutto tu...
Kit2007: Eheheh, ormai non ti
sfugge più nulla! Hai capito perfettamente come ragiona il mio
cervelletto, non ti si puù nascondere niente ormai! Ormai
Arianna sta andando forte! Non mi sarei mai aspettata una cosa del
genere, cioè che questo pg secondario, perchè poi non è proprio secondario, diventasse così popolare ^^ che dire... alla prossima!!
Lady Vibeke: Ecco, tu hai colto
un aspetto finora passato in sordina... che i Mecchi riescano a far
sbocciare la nostra Joanna? Mmmm... che dire, rimando ai prossimi
capitoli! Di sicuro non faranno miracoli, ma quasi! Harry saggio???
Ahahah, fa ridere a sentirlo, ma ce lo vedo bene e non ce lo vedo
comunque (così come hai detto tu!)
Picchia: Baciamo le mani donna Laura...
CowgirlSara: Via, spero di
averti accontentato... anche se presumo di no... XD chissene, ma che ti
pare che io debba scrivere per far piacere a te! Ma quanto sarai
presuntuosa! Via, basta, non mi fa' di' nulla! :P
Ciribiricoccola: La nostra
amata Bestiolina sta qua, in questo capitolo, a sorbirsi le
disgrazie di Joannina nostra bbbbella de la zia... XD sta facendo la
parte del 'migliore amico'... e come diceva tanti anni fa il caro Max
Pezzali, a riguardo degli amici??? Mmmmm?? Ehhh??? Capita l'antifona???
Via, basta, non dico altro!!!
Giuly Weasley: penso che con
questo capitolo riceverò una recensione di mille pagine! Io non
so più cosa dire: con questo tuo commento hai sviscerato la
storia in un botto solo, comprendendo esattamente il ruolo di ogni
singolo personaggio, da quello più secondario alla protagonista
stessa. Una cosa così non mi era mai capitata, o meglio, alcune
delle mie più fedeli lettrici (tra cui le sopraringraziate
Pricess e Ciribiricoccola) si sono espresse esattamente come te dopo
ogni capitolo ma... tu, in un colpo solo, hai fatto lo strike che loro
invece hanno raggiunto con più recensioni. Non ho niente da
aggiungere o da spiegare ulteriormente! Se continui così, va a
finire che capirai la conclusione della storia già da ora! XD
GodFather: la tua recensione mi
ha colto totalmente spiazzata, a bocca aperta! Davvero, non me lo sarei
mai aspettato un commento da parte tua! Non che con questo voglia dire
che non mi ha fatto piacere oppure che non sei una che non recensisce
mai, altrochè! E' che ormai mi sono abituata a questa piccola
nicchia di lettrici per questa storia, drasticamente ridottasi rispetto
a quella che avevo per le storie sui TH, che ogni nuova recensione mi
fa piacerissimo! Beh, ti sei letta tutti questi capitoli insieme e hai
compreso perfettamente ogni singolo personaggio... ormai non ho
più segreti! Mi lasciano stupita i tuoi commenti sui personaggi
di mia creazione... ho sempre il timore di lasciarli senza spessore,
piatti, senza carattere... ma devo aver fatto un buon lavoro :) Beh,
spero di ritrovare di nuovo un commento da parte tua, prima o poi! Ci
sentiamo presto! Ciao!
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Capitolo 13 *** She Falls Asleep - Part One ***
13. She
Falls
Asleep – Part One
Avevano
iniziato a parlicchiare, lasciando lacrime ed imbarazzi, seduti ai lati
opposti
del piccolo divano. Joanna se ne stava a gambe incrociate e giocherellava
con un
filo che penzolava dall’orlo della tuta, mentre Dougie
preferiva invece sorreggere
la testa con la mano, mentre il braccio si appoggiava al bordo del
divano. L’altra
mano sostava sul ginocchio, piegato comodamente sulla seduta del sofa,
mentre
il piede ciondolava ritmicamente fuori da esso.
“L’altra
sera, quando eravamo a casa tua,”, disse Dougie,
“ho ficcanasato tra i nomi dei
cantanti che c’erano nella libreria, ma non ne conoscevo
nemmeno uno.”
“Sono
i cd di Miki.”, lo informò Joanna, senza
nascondere un sorriso divertito.
“Ah!”,
esclamò Dougie, “Ho rischiato la pena
capitale?”
Joanna
rise, dandogli dello scemo.
“Comunque,”,
disse poi lei, “a lui non piace tanto la musica straniera,
preferisce quella
italiana.”
“E
tu invece, cosa ascolti?”, le domandò.
Joanna
scosse la testa.
“Non soltanto voi
McFly siete sincronizzati nei nomignoli con cui chiamare
gli
altri, ma anche sulle domande da fare!”, disse, mettendosi
poi a ridere.
“E
perchè?”, fece Dougie, non comprendendola.
“Perchè
anche Danny, ieri, mi ha fatto la stessa domanda.”, disse
Joanna.
Non
seppe perchè, ma le venne da pentirsi di aver detto quella
cosa.
“Ah
sì?”, disse lui, “Lo facevo
più originale.”
“Posso
essere sincera? Anche io.”, disse Joanna, abbassando il tono
in maniera
ironica.
“E
tu cosa gli hai risposto?”
Joanna
riflettè.
“Beh,
la cosa interessante non è stata la mia risposta, quanto
quella di Danny.”
“Perchè?”,
chiese Dougie, incuriosito.
“Perchè
gli ho detto che mi piaceva abbastanza Avril Lavigne. E lui subito, di
rimando,”, e cercò di imitarne la voce bassa e
calda, “Se lo dicessi a Dougie
ti salterebbe addosso!”
Nel
mentre Joanna rideva nel ricordo dell’infelice battuta di
Danny, Dougie avrebbe
preferito sprofondare tra i tizzoni accesi del caminetto, limitandosi ad una
smorfia
abbozzata, un sorriso striminzito ed infastidito.
“Poi
ha continuato”, riprese Joanna, “dicendo che se
avessi apprezzato Bruce
Springsteen, allora sarebbe stato lui quello pronto a saltare addosso a
me.”
“E
a te piace? Intendo il Boss.”, le domandò.
“Sinceramente
no, ma conosco solo le canzoni più famose, non posso
giudicare.”, rispose lei,
con tranquillità.
Sembrava
quasi che la
Joanna
di qualche minuto prima, triste e spaventata, non fosse mai esistita.
Era
tornata quella che aveva conosciuto: solare, sorridente e simpatica.
“Cosa
pensi di Danny?”, le chiese Dougie, a bruciapelo.
Joanna
si prese qualche attimo per riflettere. Prima di quel momento, tutti i
pensieri
rivolti a lui erano rimasti, appunto, solo pensieri che non erano mai
diventati
parole parlate. Adesso si affollavano nella sua mente, senza che
riuscisse a trovare il bandolo della matassa.
“Che
dire...”, fece, bloccandosi, “E’...
simpatico, è dolce. E’ un bel ragazzo.”
“Ti
piace?”, continuò lui.
Joanna
deviò altrove lo sguardo, prima posato senza malizia su di
lui.
“Beh...
sì, mi piace...”, balbettò,
torturandosi le mani.
“Non
credi che sia stato un po’ cattivo, da parte sua, non farsi
sentire?”, riprese
prontamente Dougie.
Joanna
lo guardò stranita.
“Insomma,
poteva anche essere arrabbiato quanto voleva... ”,
perseverò il ragazzo, “Ma ti
ha pur sempre baciato, avrebbe dovuto richiamarti!”
E
Joanna continuava a fissarlo, con aria interrogativa.
“Beh...”,
fece lei poi, “Ha avuto i suoi buoni motivi per farlo, non lo
biasimo. E poi sicuramente
si è spaventato... Di certo non solo per il comportamento di
Miki.”
“In
che senso?”, le domandò Dougie.
Joanna
diventò lentamente paonazza e si fissò sui guizzi
delle fiamme.
“E
che...”, borbottò lei, “Non è
che...”
“Che
cosa?”, fece Dougie.
Joanna
sbuffò e roteò gli occhi , prese un cuscino e,
dopo averlo stropicciato tra le
mani, lo posò all’incrocio delle gambe, affondandovi il viso.
“Non
ho... molti... di lui.”, riuscì a capire Dougie
dalla voce impastata ed ovattata
di Joanna.
“Non
hai molti cosa?”, le domandò di nuovo lui.
“Non
ho baciato molti altri ragazzi prima di lui...”, disse
Joanna, alzando il viso
e facendosi finalmente capire.
Dougie
la guardò malizioso.
“Ecco,
ora che lo sai, ti dispiace premermi il cuscino sulla faccia? Non ce la
faccio a
soffocarmi da sola!”, disse Joanna, piagnucolando.
“Jonny!
Non ci credo!”, sbottò il ragazzo, mettendosi a
ridere e beccandosi una
cuscinata dritta nei denti.
“E’
vero!”, esclamò Joanna, troppo divertita per
essersi risentita dalle parole di
Dougie, “Uno mi ha baciato dopo essersi fumato una canna.
L’altro è un attore
italiano che poi mi ha firmato un autografo... e il terzo è
Danny.”
“Beh,
molte ragazze vorrebbero essere al tuo posto.”, le fece
Dougie, “Dovresti
ritenerti fortunata, Danny non bacia la prima che passa.”
Joanna
sorrise, si sistemò le trecce e soffocò uno
sbadiglio.
“Forse
hai ragione.”, gli fece, “Ma... non credo che la
mia unica fortuna sia stata...
insomma, baciare lui. In fondo, lui non è solo. E’
con i McFly al completo!
Questa è vera fortuna!”
Anche
Dougie sorrise, felice di sentire uno dei primi commenti da tipica fan
che
uscivano dalla bocca di Joanna.
“Fino
ad una settimana fa, tu eri appeso alla porta di camera mia con gli
altri
tre... e ora sei davanti a me! Se allungo un dito posso
toccarti!”
“Non
qua che soffro il solletico!”, disse lui, scherzando, mentre
si toccava la
pancia.
“Anch’io!”,
esclamò Joanna, mettendosi a ridere, “Tutti
insieme siete come un uragano, ma
con un potenziale distruttivo sicuramente superiore.”
“Dove
passiamo noi non ricresce più l’erba, come disse
Giulio Cesare.”, affermò
Dougie, con orgoglio.
"Veramente
era Attila...”, lo corresse lei, prima di mettersi a ridere.
“Cesare,
Attila, fa lo stesso.”, disse l’altro,
“Entrambi hanno combinato molti casini...”
Joanna
sbadigliò di nuovo, quella volta più sonoramente
dell’altra.
“Maledetto
sonno...”, disse poi, asciugandosi le lacrime.
“E’
vero, si è fatto un po’ troppo tardi,
sarà meglio che vada. Domani c’è lavoro per entrambi: tu sei al locale, noi sulla nostra musica.
Dobbiamo
metterci sotto a provare.”, disse Dougie, alzandosi.
“Già...
venerdì c’è il concerto!”,
fece l’altra, entusiasta, “Se riuscirò a
farmi
spazio, sarò in prima fila!”
“Oh
non ti preoccupare, per quello non ci saranno problemi. Ti facciamo
stare
direttamente sul palco.”
“A
fare cosa? L’allocco?”, sbuffò Joanna,
“No, meglio tra la folla, niente
favoritismi!”
“E
dai! Le persone speciali come te devono avere dei posti speciali ai
nostri
concerti!”, disse Dougie.
Joanna
rimase spiazzata. Le... persone speciali?
“Sì...”,
fece Dougie, con gli occhi ballerini, “Speciali come... gli
amici, ecco.”
Amici?
“Ho
detto... qualcosa di male?”, chiese il ragazzo, vedendola
sperduta.
“No.. no, no, no!”,
disse Joanna, tutto d’un fiato.
“Beh...
niente, come non detto!”, fece lui, grattandosi la fronte per
togliere via il
disagio.
Joanna
sembrava però attendere una spiegazione ma Dougie, invece di
accontentarla, si diresse
velocemente verso la stanza attigua alla loro, per prendere il suo
cappotto e
la sciarpa. Nel mentre che li indossava, lei trovò una
temporanea e diversiva
occupazione nel riattizzare il caminetto di Arianna.
Poi,
tra uno scoppiettio e un guizzo, tirò fuori le sue parole.
“Sai
qual è la cosa più incredibile di tutta questa
storia?”, chiese retoricamente a
Dougie.
“No...
qual è?”, fece lui.
“E’
che io... io, Joanna, abbia parlato di me... con te.”, disse,
con espressione a
lei stessa stupita.
“Perchè
sarebbe incredibile?”, fece il ragazzo, perplesso, quasi
deluso.
“Beh,
te l’ho detto...”, rispose Joanna, alzando le
spalle, “Non ho avuto amici a cui
parlarne e, comunque, anche se ne avessi avuti non lo avrei
fatto.”
“Lo
hai fatto perchè siamo compagni di disgrazie,
no?”, disse lui, sorridendole
comprensivo.
“La
verità è che...”, disse lei,
sforzandosi, “L’ho fatto perchè sento
che mi posso
fidare di te... cosa che tra l’altro penso di poter dire...
praticamente di
quasi nessun altro su questa Terra.”
Dougie
esitò, cercando di non dare a vedere la sua sorpresa
“Maledetto
Poynter,”, esclamò poi Joanna, tornando a ridere,
“Direi che sei sulla buona
strada per diventare un bravo ragazzo!”
Allungò
una mano e gli dette un piccolo pugno su una spalla.
“Se
gli altri fossero stati qui,”, fece lui, mente il lieve
rossore delle sue
guance si affievoliva, “avrebbero riso così tanto
che sarebbero morti come le
faine di Chi ha incastrato Roger Rabbit.”
“Giusto!”,
esclamò Joanna, ridendo, “Ti chiamo un taxi!”
“Grazie
mille, Jonny.”, disse lui, sorridendole e dandole un lieve
pizzico sulla spalla.
Joanna
si frugò nelle tasche della tuta e compose il numero del
servizio taxi della
città, prenotandogli una macchina.
“Saranno
qua a momenti.”, disse poi, una volta chiusa la chiamata,
“Vengo fuori a farti
compagnia.”
“Ma
no!”, esclamò Dougie, “Fuori fa freddo,
aspetterò da solo, cosa vuoi che sia.”
“Non
ti posso lasciare sulla porta come un ospite indesiderato!”,
affermò risoluta
Joanna.
“E
io non voglio che tu ti prenda un malanno, così sono sicuro
che verrai al
nostro concerto senza il raffreddore!”, le fece lui, ancora
più deciso,
sventolandole in faccia il classico indice comandante.
“Va
bene...”, si piegò Joanna, “Lasciami
almeno condurti alla porta.”
“Sì,
questo si può fare.”, fece Dougie, sorridendole.
L’uno
dietro all’altra si incamminarono verso l’uscita.
“Non
so se domani avremo il tempo di venire al locale.”, le disse
Dougie, prima che
Joanna aprisse la porta, “Arriverà tutta la
troupe, avremo un casino di cose da
fare.”
“Allora
non starò in pena nell’attesa, seduta su una sedia
solitaria, guardando fuori
dalle finestre del locale con espressione triste.”, fece
Joanna, con tono
fintamente malinconico.
“Cercherò
comunque di combinare qualcosa per la serata. Ti va bene?”,
le domandò.
“Certamente!”,
annuì lei, mentre apriva la porta, “Grazie per la
bella serata.”, gli disse.
“Beh,
grazie a te!”, le rispose Dougie.
Le
si avvicinò e le dette un bacio sulla fronte.
“E
ora a letto!”, esclamò lui, facendola ridere di
gusto, “Notte Jonny!”
“Buonanotte!”
E
chiuse la porta.
Attese
il taxi, appoggiato alla colonna del cancello, riparandosi al freddo
nel calore
della sua sciarpa. Con le mani nascoste dentro alle tasche del
cappotto, riuscì
a riassumere le due ore passate insieme a Joanna in un semplice gruppo di parole:
semplicemente
sorprendente.
E c’era
una piccolissima dose di positività in quelle parole,
solitamente usate per
descrivere un qualcosa di stupefacente.
Non
era facile togliersi dalla testa quella lunga cicatrice che segnava il
petto di
Joanna. Era... impressionante: sottile, non del tutto rettilinea, dai
contorni
sfumati. Quanti punti le avevano messo per chiudere quella ferita? Non
era giusto che fossero sempre le persone come Joanna a subire le
peggiori
prepotenze della vita. Era solo un luogo comune, ma quella cicatrice ne
era la
prova.
Era
felice che lei gliene avesse parlato. Anche se era venuto proprio con
quella intenzione, tra le altre, non aveva contato sul fatto che
accadesse
davvero. Era stato certo che Joanna avrebbe negato ogni parola al
riguardo,
dicendogli che non erano fatti suoi e che non era obbligata a parlarne.
L’avrebbe compresa senza dubbio, ne avrebbe avute tutte le
ragioni.
Ma
Joanna si era fidata di lui, era stata quella la cosa incredibile. Che
cosa
aveva detto o fatto per farglielo credere? Niente! Era sempre stato il
solito
Dougie Poynter... Forse era stato più il fatto di avere
qualcosa di spiacevole
in comune a spingerla a fidarsi di lui, anche perchè non
avrebbe saputo come
spiegarselo meglio.
Ma
era comunque contento, molto contento, e capiva anche tante cose.
La
sua timidezza.
La
sua riservatezza.
Il
suo costante ritrarsi, come un riccio spaventato.
La
pressante gelosia del fratello.
C’era
stato tutto un motivo per quello, non era una semplice questione di
carattere o
di mancato rispetto verso di loro, come invece aveva sempre sostenuto
Harry.
Le
persone speciali come te
devono avere dei posti speciali ai nostri concerti...
Le
guance tornarono ad arrossire.
“Doug!”,
si sentì chiamare, alle spalle.
Si
voltò ed alzò gli occhi: da una finestra
illuminata al secondo piano lo
salutava Joanna. Fortuna che in lontananza non si sarebbe mai accorta
del
rossore.
“Stai
attenta a non cadere di sotto, Giulietta!”, le disse.
“Hey,
Romeo! Le manie suicide lasciamole alla fine della farsa!”,
rispose lei,
mettendosi le mani intorno alla bocca per amplificare la sua voce.
“Già...”,
le fece, “Adesso però torna dentro o ti
ammalerai!”
“Ok!”,
disse Joanna, allungando di proposito la vocale
dell’affermazione, “Sta
arrivando il tuo taxi!”
“Buonanotte!”
“Notte! Fai buon ritorno!”
Le
fece un cenno di mano e si voltò, tornando ad appoggiarsi
alla colonna. Dopo
pochi secondi, un’auto bianca si fermò davanti a
lui e lo fece salire.
Cosa
pensi di Danny?
Che
dire... E’...
simpatico, è dolce. E’ un bel ragazzo.
Ti
piace?
Beh...
sì, mi piace...
Era
vero che, nella vita, non tutti i baci significavano il nascere di
qualcosa
in più. Quello che c’era stato tra Danny e Joanna
era certamente, senza ombra
di dubbio, uno di questi. Conosceva abbastanza bene Danny da poterlo
affermare
al posto suo.
Ma
Joanna? Era sicuro di poter dire altrettanto di lei? E se, in quel
momento, se
ne stava in camera sua a pensare a quello che avrebbe potuto esserci
tra lei e
Danny? Incrociò
le dita e sperò di no. Nessuna illusione per Joanna, non ne aveva bisogno.
Si
morse la lingua e, per una volta, si trovò
d’accordo con Harry.
La
volete finire di
prendere per il culo questa povera ragazza! Non se lo merita!
Ecco,
bravo Harry, aveva avuto ragione fin dall’inizio e lo aveva realizzato solo in quel
momento, quando ormai era diventato troppo tardi. Joanna non si meritava di essere presa in giro. Né
da Danny, che l’aveva baciata creandole forse
un’illusione... Né
da lui stesso. L’aveva definita una persona speciale, cioè quello
che lei era veramente: Joanna era una ragazza davvero
speciale, in tutti i sensi possibili di quella parola. E
quando lei si era dimostrata perplessa, aveva ripiegato sulla parola amici.
Di nuovo, le parole taglienti di
Harry gli rimbombarono in testa.
Non
siamo suoi amici, non
siamo nessuno, solo i McFly.
Non poteva offrirle la sua amicizia:
non tanto
perchè gli piaceva, perchè era attratto da lei, ma
soprattutto perchè Joanna
aveva davvero
bisogno qualcuno che fosse presente per lei, nei suoi momenti
più bui, e lui non poteva farlo, non poteva esserci per lei.
Anche se avrebbe voluto con tutto il suo cuore, non poteva essere suo
amico. Non voleva farle
del male,
lei aveva già sofferto abbastanza...
Dio, che cosa aveva combinato?
Appena
quella
domanda gli si formulò in testa, la stanchezza della giornata
gli cadde addosso in un momento. Mentre camminava verso
l’ascensore
dell’hotel, si stropicciò più volte gli
occhi e, una volta uscito dall’abitacolo,
al suo piano, si frugò stancamente nelle tasche in cerca
della chiave
magnetica.
Ma
dove cavolo era finita...
“Poynter?”
Dougie
fissò lo sguardo davanti a sè, sul legno
insonorizzato della porta della sua
camera.
Merda...
Chiuse
la finestra ma, invece di sedersi sulla comoda sedia a dondolo, che
dava un
tocco retrò a quella stanza in stile moderno come il resto
della casa, rimase
appollaiata sull’ampio davanzale, ad accumulare il calore che
emanava il
termosifone sotto di esso. Le mani penzolavano sulle ginocchia unite,
lo
sguardo cadeva sui suoi piedi, nascosti in due comode pantofole spumose
a forma
di befana foruncolosa.
Provava
una bellissima sensazione, totalmente sconosciuta. Non aveva mai saputo
come ci
si sentiva dopo aver confessato un fatto personale così
grande e difficile. Leggera,
molto leggera, come se avesse gettato dall’ultimo piano di un
grattacielo
altissimo un macigno più grosso di lei, sospinto con una
fatica immane. Anche
se tutto aveva iniziato ad affievolirsi lentamente, Joanna era comunque
felice.
Era orgogliosa di se stessa, aveva fatto una cosa che si era negata da
sempre,
imparando quanto fosse vero il detto mai
dire mai.
Semplicemente
stupefatta, Dougie era stato a sentirla con attenzione ed interesse.
Era venuto
per scusarsi, ma soprattutto per sapere, le aveva detto.
Incredibile.
Se
fosse stata in camera sua, sicuramente, avrebbe passato le ore a
fissare il
loro poster, chiedendosi se tutto quello era la vita reale. Certo che
lo era,
anche se continuava ancora a sembrare un filmetto americano prodotto
per
adolescenti con problemi di acne e l’apparecchio sui denti
storti.
Le
persone speciali come te
devono avere dei posti speciali ai nostri concerti!
Surreale.
Incomprensibile e fuori dal mondo.
Speciali
come.. gli miei
amici.
Amici...
“Amici...”,
ripetè, sottovoce, come se fosse stata una parola magica di
cui non si
conosceva l’incantesimo che evocava.
Vicino
a lei, nella parete di fronte, un lungo specchio fissato al muro che
rifletteva
la sua immagine stupita. Si fece la linguaccia, poi sorrise a se stessa.
La
gente era amica degli altri, non di lei.
Dougie
Poynter è tuo amico.
Quello
che per gli altri era una banalità assurda, per lei non lo
era affatto. Poteva
sembrare stupido, tutti al mondo aveva un amico su cui contare, con cui
uscire
e confidarsi. Ma non lei.
Era
così strano averne trovato uno.
Le
veniva da storcere il naso, ma era la realtà, Dougie Poynter
era suo amico. Lo
aveva detto lui stesso.
Era
ancora tutto troppo fresco per riuscire a razionalizzare, avrebbe fatto
meglio
ad andarsene a letto ed ascoltare i consigli della notte. Si sedette su
di
esso, si tolse le pantofole ed entrò sotto al morbido
piumone d’oca, che la
riscaldò in un attimo.
Era
lui.
“Doug?”,
chiese ancora una volta.
Dougie
sospirò e si voltò, a testa bassa.
“Che
fai?”, gli domandò.
“Beh...
io...”, balbettò Dougie, “Sono sceso a
prendere qualcosa da bere.”
Danny
annuì.
“Vestito
di tutto punto?”, fece, incredulo.
“Perchè
no?”, ribattè Dougie.
“Tu...
che sei sceso per tre mattine di fila a fare colazione in
pigiama?!?”, continuò
Danny, “Dove sei stato?”
Era
certamente uscito, non aveva avuto nessun mal di pancia e stava
tornando
proprio in quel momento. Aveva mentito, lui se n’era andato
per fatti suoi.
Perchè?
Ah
già...
“A
fare un giro per fatti miei, dopo che mi è passato il mal di
pancia.”, disse
Dougie, con risoluzione, “Avevo bisogno d’aria e
sono uscito.
Basta.”
Danny
si grattò la testa. Non era un stupido, aveva capito che era
stato da lei.
Ma
perchè farlo di nascosto?
“Andiamo
Doug, non dire cazzate.”, gli fece, mantenendo un tono basso
per l’ora tarda e
il rischio di svegliare qualche ospite.
Il
suo amico sbuffò e scosse la testa.
“Senti,
Danny, sono stanco, vorrei andare a letto.”, disse poi,
infilando la sua
tessera nella fessura della porta.
“Ok.”,
gli rispose.
Girò
sui tacchi e andò verso la sua stanza, a qualche metro da
lì. Erano tornati
circa dieci minuti prima, dopo un paio di birre in un locale squallido.
Com’era
possibile che in tutta quella città non ci fosse qualche
posto carino in cui
passare le serate? Forse erano loro che non erano stati capaci di
scovarli?
Decisamente sì, altrimenti sarebbe stato incredibile.
Se
Doug non si fosse sentito male, avrebbe colto l’occasione per
scusarsi con lui,
fare pace e buttarsi quella cazzata alle spalle. Ora, invece, se ne
stava
sdraiato sul letto a chiedersi perchè aveva mentito a tutti
loro. Era indubbio
che a Dougie piacesse Joanna e fosse andato da lei di nascosto, o non
avrebbe
mai fatto una cosa del genere. La cosa non lo disturbava, se non un
poco. Beh,
anche a lui piaceva quella ragazza, ma mai sarebbe arrivato a fingersi
malato
per vederla.
Si
tolse le scarpe, la camicia ed i pantaloni, rimanendo in boxer e
t-shirt, faceva sempre dannatamente caldo in quella stanza d’albergo.
Si buttò di nuovo
a peso morto sul materasso, rimbalzando, e si mise le mani dietro la
testa in
riflessione.
Era
fuori discussione, stavano dando troppa importanza ad una cosa che non
ne aveva
molta. Ok, avevano litigato ma era già successo moltissime
altre volte e tutto
si era sempre sistemato nel giro di poco tempo. Avrebbe voluto scendere
dal
letto ed andare e scusarsi in quel momento, in mutande, ma non lo
avrebbe
fatto. Perchè?
Perchè
lui se n’era andato da lei senza dirglielo, ecco
perchè! S’era nascosto come un
cane, quando avrebbe potuto benissimo chiedergli se poteva farsi da
parte
perchè a lui, Dougie Poynter, evidentemente, Joanna piaceva
molto di pìù
rispetto a lui stesso, Danny Jones.
Sentì
bussare alla porta, doveva essere Tom. Prima di entrare nelle loro
rispettive
stanze aveva farfugliato qualcosa ed capito solo ‘ci vediamo dopo.’
Si
alzò ed andò ad aprire.
“Ah...”,
fece, vedendo Doug a testa bassa, davanti a lui. E adesso cosa voleva da lui? Litigare a notte fonda?
“Senti...”,
disse l’altro, “Devo dirti una cosa...”
Danny
rimase per qualche secondo perplesso, ma si spostò
dall’entrata e lo fece
passare. L’amico si sedette a cavalcioni
sull’angolo del letto, Danny liberò
dai suoi vestiti la sedia che stava vicino allo specchio e si
accomodò di
fronte a lui.
“Cosa
vuoi dirmi?”, gli fece. Mantenne la calma, lasciò
i toni polemici al momento
appropriato.
“Beh...
uhm... dovresti chiamarla.”, disse Dougie, dopo una sonora
grattata di testa e
una certa incertezza.
Danny
si fece ancora più incredulo.
“Cosa?”,
esclamò.
Dougie
appoggiò le braccia sulle gambe e strusciò le
mani tra loro, annuendo.
“E...
per quale motivo mi dici di farlo?”, gli chiese.
“Perchè...
non se lo merita.”, rispose Dougie.
Non
ci stava capendo più niente.
“Doug,
non vedo il senso di tutto questo.”, gli disse.
“Non se lo merita.
Tutto qui.”, rispose
l’altro.
Silenzio.
“Dan,
non fare lo stronzo con lei.”, aggiunse ancora Dougie.
“Poynter,
ascoltami, non ci sto capendo un cazzo.”, protestò
Danny, “Lo so che a te
Joanna piace... e molto più di quanto piaccia a
me.”
“Non
è vero.”, negò ancora.
“Piantala.”,
lo seccò Danny, “Piantala di dire
stronzate.”
“Jones, prendi
quel cazzo di telefono e
chiamala.”, disse poi, indicando un punto imprecisato dietro
alle sue spalle,
per esortarlo.
“Perchè
hai mentito e sei andato da lei, senza dirci niente?”, gli
domandò
provocatoriamente
“Non è
questo quello che importa.”, disse lui,
“Tu chiamala e chiedile scusa per quello che hai fatto...
tutto quello che le hai
fatto.”
“No.”,
si oppose Danny, “Ora mi devi dire perchè sei
andato da lei di nascosto.”
Dougie
sbuffò.
“Chiamala.”,
ripetè.
Era
deciso, irremovibile.
Danny
lasciò la sua sedia, scuotendo la testa contrariato, e
frugò nelle tasche dei
suoi pantaloni. Prese il telefono e, raccogliendo dalle dita di Dougie
il solito
foglietto sul quale stava ancora scritto il messaggio di Joanna, compose
il suo
numero.
Nell’attesa,
passeggiò stancamente nella stanza finchè non si
sedette. La
chiamata si stabilitì quasi istantaneamente ma ancora Joanna non rispondeva. Era
mezzanotte e
mezza passata, sicuramente la stava trascinando via dal mondo dei sogni.
Il
rumore della porta che si chiudeva attirò la sua attenzione.
Dougie se n’era
andato.
Maledetto
Poynter.
“Miki... cosa vuoi...”, disse
un’italiana
impastata, dall’altro capo della linea.
“Joanna? Sei
tu?”, le domandò. Sì che era lei,
ma era tanto per accertarsene.
“Ma... chi è...”, perseverò lei nella sua lingua madre.
Era
nel pieno sonno.
“Ehm...
sono io, Danny...”, le disse, mordendosi il labbro inferiore.
“Danny...”, mormorò
Joanna, “Ma è tardi...”
“Sì,
lo so, mancano esattamente...”, allontanò il
cellulare dall’orecchio, “Dieci
minuti all’una.”
“Eh... stavo dormendo...”, e
sbadigliò.
“Scusami,
è che...”, si trattenne dal dare la colpa a Dougie.
“Non...”, sbadigliò,
“Un’altra volta?”
“Hai ragione, ma
non avremo molto tempo nei
prossimi due giorni... e sabato partiamo.”, le
spiegò.
“Uhm... ok...”, disse Joanna.
Che
cosa doveva dirle? Che si scusava per il bacio, oppure per aver
insistito nel
volerle dare una mano quando lei ne aveva avuto
bisogno? Perchè
si doveva far perdonare da lei? Non lo aveva ancora afferrato.
“Danny?”, lo chiamò
lei.
“Oh
sì, scusami.”, le disse, “E’
che... stavo pensando...”
Non
sapeva cosa dirle.
“Senti...”, lo
anticipò Joanna, “So che
ho sbagliato a trattarti in quel
modo... ma tu non mi hai dato scelta.”
“Joanna,
io volevo solo aiutarti!”
“Lo so!”, disse lei, “Lo so benissimo ma... non desideravo il tuo
aiuto...”
“Ah...”,
riuscì a dire, “E... perchè?”
“Perchè...”, disse
Joanna, “E’ troppo complicato... da spiegare. E non voglio farlo adesso. Come faccio a fartelo capire...”
“Beh... Non ti preoccupare, ti capisco...”
Allora
era davvero lui che doveva farsi perdonare. Non lei...
“Ti
chiedo scusa.”, le disse, “Pensavo che tu avessi avuto
bisogno di me.”
“Beh... io avevo bisogno di qualcuno, è vero... ma non di te...”, gli rispose
Joanna, “Credimi Danny,”,
sbadigliò ancora, “Ho
apprezzato che tu ti sia offerto... Davvero...”
“Mi
consolerò con questo.”, le disse, con tono
ironico. La sentì ridere piano.
“Ehm... Devo scusarmi anche per non averti richiamato, non
è stato carino da
parte mia..”
“Non ti... preoccupare.”,
rispose Joanna,
tra uno sospiro assonnato e l’altro.
“Non
vorrei che tu pensassi che io sia... uno stronzo, ecco.”
“Lascia stare...”
“Insomma,
non è da me comportarmi così.”,
continuò a dirle, visto che ormai era entrato
in argomento, “Forse penserai che sono il tipo che si diverte
con le ragazze
ma...”
Sì,
si divertiva eccome, ed anche tanto, ma non era tanto un tipo da... una
botta e
via. Non disdegnava assolutamente questo genere di relazioni, ma non
era il Don
Giovanni che si credeva... e che lui aveva fatto credere. Prima di
tutto, il
rispetto verso il prossimo, era questo quello che aveva imparato
davvero dalla
vita.
“Se
do un bacio, un motivo c’è sempre.”,
disse, infine.
Dall’altra
parte della chiamata, sentì un borbottio soffuso.
“Little
Joanna?”, la chiamò, “Ci sei
ancora?”
Niente,
solo il suo respiro leggero.
Danny
chiuse la chiamata sorridendo.
Si
è addormentata.
Ok, parto subito con le scuse
personali: rileggendolo, questo capitolo mi sa un po' di soap opera...
Sì, non ne sono affatto soddisfatta. Per niente, ma ormai
è venuto fuori così e, nonostante i taglia e cuci che ho
fatto durante la correzione, non ne sono comunque contenta. Beh, spero
che non mi ucciderete ^^
Date veramente un ascolto veloce alla canzone che dà il titolo a
questo capitolo, cliccando sul titolo stesso... Questa canzone, She
Falls Asleep, è realmente divisa in due parti: la prima, la
suddetta, è la parte strumentale, di introduzione alla
seconda... Ed infatti ci sarà un altro capitolo, molto
più in là, che si intitolerà She Falls Asleep Part
Two ^^ Coerenza fino in fondo!
Dicevo, date un ascolto... è veramente bella. Sarà che a
me piace il pianoforte in tutte le salse, non a caso la mia 'canzone'
preferita è la sonata al chiaro di luna di Beethoven. ^^
Ma presto con i ringraziamenti!
Kit2007: eheheh, spero che
matematica non ti abbia sotterrato per la sua difficoltà ^^ e
non ho chiamato la neuro stavolta, ma la prossima lo farò!
Vediamo cosa mi dici di questo capitolo... sono proprio curiosa!
CowgirlSara: ti sei ripresa
dalla storiaccia? Spero di sì, ho troppa voglia di fare una
classifica per il tuo capitolo ^^ Non ti chiederò mai per quale
coppia tifare perchè, come piace a me da sempre, fino alla fine
della storia non si saprà mai cosa succede tra Joannina e il
masculo di turno... Eheheh, vabbè che sto capitolo è un
po' troppo risolutivo per certi aspetti... ma non ti credere che la mia
mentaccia malefica non ribolla qualcosa... Ormai mi conosci!
Princess: Oh meine Liebe! Nella
furia dei preparativi del nostro matrimonio, ho trovato il tempo per
darti un nuovo capitolo! Spero non cambierai idea su di me, oh meine
Liebe XDDDD E come sempre hai colto i momenti fondamentali della
storia, non ne hai mancato nemmeno uno. Hai sottolineato tutto il
sottolineabile, o meglio, tutto quello che nel capitolo è stato
un indizio importante... E spero che il cambiamento di Dougie non sia
stato così incomprensibile... ma soprattutto ingiustificabile.
Prometto che la sua posizione si approfondità ulteriormente!
Ciribiricoccola: Altolà
Passoide! So cosa stai pensando di Dougie, lo so, lo so. Adesso
calmati, posa l'ascia di guerra e rifletti con me... Dougie è
tanto dolce e caro, Dougie è tanto dolce e caro...
Picchia: Baciamo... So già che sarai perplessa dopo questo capitolo... Avanti, esponimi tutti i tuo dubbi!
Lady Vibeke: MS! Hai capito
tante cose rimaste in sordina alle altre... come sempre, tu e l'altra
Paola mi stupite nelle vostre recensioni! Mi raccomando, non ti far
sotterrare dagli impegni, torna ogni tanto su msn! Ci manchi!!!
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Capitolo 14 *** The Guy Who Turned Her Down ***
14. The Guy Who Turned Her Down
Al
suono del telefono il suo corpo schizzò violentemente,
facendolo svegliare di
soprassalto. Subito, un ago invisibile gli penetrò la testa
da parte a parte e
lo costrinse a portarsi la mano sulle tempie per cercare di alleviare
il
dolore.
Guardò
l’ora sullo schermo del suo telefono. Le otto
e mezza.
Troppo
presto...
Intanto,
il telefono della stanza continuava a squillare. Alzò la
cornetta e, in un
attimo, la fece ricadere senza ascoltare il messaggio di cortesia con
cui la
reception lo aveva scaraventato giù dal mondo dei sogni. Con
riluttanza, allungò braccia e gambe, stirando i muscoli e
sbadigliando
vistosamente. Si mise in piedi con una notevole difficoltà
e, barcollando, con
gli occhi ancora chiusi, si infilò sotto la doccia.
Gli
ci volle mezzora prima di uscire dalla sua stanza, con il cappellino
calato
sugli occhi ancora rossi per la stanchezza. Sapeva che la t-shirt
verdastra che
indossava era stropicciata ed aveva bisogno di una bella stirata, ma
non gliene
fregava un emerito cazzo. A
mani in tasca e spalle alte, in cui nascondere la testa come una
tartaruga
scoglionata, andò in sala colazione. Gli altri tre stavano
ridendo davanti ai
loro caffè, i piatti che contenevano la loro colazione erano
già stati
spolverati, rimanevano solo poche briciole.
“Giorno
Doug!”, lo salutò Harry.
“Che
faccia che hai...”, sottolineò subito Tom.
“Beh,
si è sentito male ieri sera...”, aggiunse Danny.
Dougie
scrutò la faccia dell’amico chitarrista, cercando
il segno del sarcasmo che
aveva percepito nelle sue parole. Non ne trovò una minima
traccia.
“Non
è vero, Doug?”, insistette Danny, guardandolo in attesa.
“Beh...
sì, non ho dormito... tanto bene e mi faceva male la
pancia.”, disse lui,
sedendosi. Voltò il cappellino, incrociò le
braccia sul tavolo e vi appoggiò la
testa sopra.
“Ti
porto qualcosa?”, si propose Tom, “Che so... un
the?”
“No,
grazie.”, bofonchiò Dougie, “Non ho
fame.”
“Ti
conviene mangiare qualcosa.”, gli consigliò Harry,
“Tra poco arriveranno tutti
gli altri, dobbiamo metterci al lavoro e sicuramente ne avremo fino a
stasera.”
“Davvero...
sto bene così.”, ripetè, scocciato.
Gli
occhi, premuti contro le braccia incrociate, non erano capaci di vedere
i suoi
tre amici guardarsi in cerca di risposte nelle facce altrui, ma sapeva
benissimo che lo stavano facendo.
“Siamo
già in ritardo.”, disse Danny, “Dovremmo
andare...”
Era
una frase senza evidente soggetto, ma era certamente implicita ed indirizzata a lui.
“Ok.”,
fece, sollevando la testa ed annuendo, anche se il dolore alle tempie
non
gli avrebbe permesso di farlo.
Si
alzarono e, uno dietro l’altro, uscirono dalla sala da
pranzo. Usciti fuori
dall’ascensore, ognuno tornò nella propria camera
per raccogliere le cose
necessarie per la giornata. Avrebbero aspettato seduti nella hall, dove
alle
nove il loro manager e tutta la baracca avrebbe occupato
l’hotel.
Prima
che la carta magnetica, passata nella fessura, avesse aperto la
serratura
automatica della porta della sua stanza, Danny gli si
avvicinò, chiedendogli se
gli poteva parlare. Non ne aveva assolutamente voglia, aveva troppo mal
di
testa, ma acconsentì lo stesso.
“Beh,
grazie per ieri sera.”, esordì Danny, incrociate
le braccia ed appoggiatosi
all’angolo della stanza del bagno, “Ho capito un
paio di cose.”
“E
quali...”, gli fece stancamente, mentre Dougie si infilava nella
toilette per lavarsi
i denti.
“Quella
più importante è che mi dovevo scusare con
Joanna.”, disse Danny.
“Già.”,
disse, mentre spremeva con cura il dentifricio sullo spazzolino.
“E
l’altra è che... che ho capito di non aver capito
dove vuoi arrivare.”,
continuò Danny.
“Cosa?”,
farfugliò, mentre si spazzolava i denti.
“Doug,
te l’ho già detto ieri, piantala di continuare a
negare che Joanna non ti
piaccia.”, gli fece, “Vorrei che ti
chiarissi.”
La
risposta tardò ad arrivare, doveva finire
di sciacquarsi la bocca. Dette
un’ultima spazzolata e, dopo aver riposto tutto ed essersi
asciugato il viso,
si dedicò a lui.
“Cosa dovrei chiarire?”, gli domandò retoricamente.
Danny
sbuffò.
“Dimmi
che ti piace.”, insistette Danny.
Allora
non aveva proprio capito un cazzo. Non era una questione tra Poynter e
Jones,
non più.
“Senti
Dan...”, gli fece, “Smetti di fare
domande.”
Danny
era rimasto perplesso.
“E
questo cosa c’entra?”, chiese poi.
Dougie
scosse la testa ed andò a prendere il proprio cappotto,
uscì dalla stanza senza
rispondere ai suoi interrogativi.
Si
svegliò più o meno alla medesima ora di sempre ma
dovette sbrigarsi per essere
pronta ad uscire insieme ad Arianna. Si stupì della
vitalità del suo capo, che
immaginava appena sveglia in aspetto da zombie . Lei, al suo confronto,
era di
una lentezza mastodontica; Arianna, invece, sembrava
un’indemoniata, e si incipriava
il naso con la fetta biscottata tra i denti. Non ebbero tempo di
parlare,
soprattutto per via della velocità supersonica con cui la donna si
spostava da una
stanza all’altra, lasciando una scia di fumo e polvere ad
ogni suo passaggio.
Il momento arrivò una volta che le portiere della macchina
vennero chiuse.
“Cosa
è successo! Particolari, adesso.”, pretese
Arianna, mentre faceva avviare il
motore.
“Beh...”,
Joanna arrossì, “Abbiamo parlato
tanto.”
“E
basta?”, sbottò l’altra, “Era
l’ultima cosa che pensavo avreste fatto, è stato
per questo che sono andata a letto!”
“Arianna!”,
la richiamò la ragazza, “Siamo amici!”
Di
nuovo, si sentì strana nel pronunciare quella parola.
“Sì,
ovviamente...”, fece l’altra, sbuffando,
“Va bene, se ne siete convinti.”
“Certo
che lo siamo!”, protestò ridendo, “E
smettila di insinuare queste cose!”
“Come
vuoi... Piuttosto, cosa vi siete detti?”, le
domandò, “Se posso sapere...”,
aggiunse dopo aver intuito il suo sguardo imbarazzato.
“Tante
cose.”, rimase sul vago.
“Capito...
ti ha chiesto di uscire ancora?”
“Sì,
forse stasera.”
“Allora
gli piaci.”, aggiunse Arianna prontamente, “E piaci
anche a Danny, senti che
bel casino.”
“Arianna,
davvero, smettila...”, le fece, realmente infastidita,
“Non è vero.”
“Ok,
va bene.”, disse la donna, rispettando la sua
volontà, “Comunque... uscirai con
lui vero?”
“Loro...”,
precisò Joanna, “Comunque sì.”
“E
andrai anche al loro concerto?”
“Sì.”,
aggiunse Joanna, pregando che quella sarebbe stata l’ultima
domanda.
Le
era passata la voglia di parlare e si sentiva già di
malumore. Non era così
suscettibile, di solito, ma alla mattina non era sempre così
facile mantenere
il buonumore con cui si svegliava spesso.
Se
avesse potuto ficcare le bacchette nel culo di entrambi, lo avrebbe
fatto,
e con molto piacere, ma ci teneva alle sue cose e non lo avrebbe fatto.
Però,
avrebbe anche potuto prendere le teste di entrambi e sbatterle
violentemente
contro il muro. Sì, quella era una soluzione accettabile.
Erano
le quattro del pomeriggio ed avevano passato tutta la giornata dentro a
quel
palazzetto a provare le luci, i tempi della musica, gli stacchi...
insomma,
tutte quelle cose che, messe l’una accanto
all’altra, componevano un concerto
coi fiocchi e i controfiocchi. Tutto il loro grande circo era
lì, dentro a
quelle mura circolari, ed ognuno si stava occupando del proprio lavoro,
sistematicamente di fretta come sempre. Il luogo in cui si sarebbe
svolto il
concerto non era molto grande, anzi, gli sembrava uno dei
più piccoli in cui
avevano suonato da un bel periodo a quella parte, ma era più
che accettabile, lì in Italia i loro fans non erano
numerosi come altrove. Addirittura
non sapeva nemmeno di fronte a quante persone avrebbero suonato...
Mille?
Duemila? Nessuno? Eppure la petizione che era arrivata alla loro casa
discografica era stata firmata da tantissime persone...
Beh,
non era quello il massimo problema per quel momento.
Di nuovo, le mani
iniziarono a fremergli così tanto che prese a sfregarle,
piuttosto che
piantarle sulla faccia di quei due deficienti. Per esserne ancora
più certo, se
le infilò in tasca. La
patetica situazione era palese agli occhi di tutti, ma le domande si
limitarono
a semplici richieste di spiegazione da parte del loro manager, che si
accontentò di accettare la scusa del ‘si
sono alzati male’, benché non fosse del
tutto convincente. Era
decisamente necessario che quei due capissero quanto fossero
miserabili, ma da
chi poteva iniziare? Da Danny o da Dougie?
Rovistò nelle tasche e tirò fuori una moneta gialla.
“Testa:
Danny. Croce: Dougie.”, borbottò sottovoce.
La
lanciò, la moneta roteò sopra la sua testa.
Allungò la mano per riprenderla ma
le sue dita, di solito abbastanza agili per giochetti del genere, si
scontrarono sul metallo e i centesimi volarono dritti sul pavimento,
iniziando
a roteare su se stessi.
“Bel
lancio, Judd!”, lo prese in giro Freddy, uno dei tecnici del
suono con cui
erano stati insieme a Parigi.
Gli
sorrise e fermò la moneta con la punta del piede.
Testa.
“Danny!”,
chiamò ad alta voce, "Jones!"
“Che
c’è?”, sbottò
l’altro da dietro le quinte del palco.
“Mi
dedicheresti cinque minuti del tuo prezioso tempo?”, gli
domandò. Qualsiasi
fosse stata la risposta, lo avrebbe preso per un orecchio e trascinato altrove. L’amico
gli si avvicinò.
“Di
cosa hai bisogno?”, gli chiese.
“Vieni,
ti devo far vedere una cosa.”
Danny
lo seguì senza fare storie, meglio così.
Camminarono dietro le quinte, scesero
nella zona dei camerini. Aprì una porta che recitava nella
loro lingua la
parola ospiti e, dopo averlo fatto gentilmente passare, la richiuse
dietro di
sè.
“Cosa
devi farmi vedere qua dentro?”, sbuffò Danny
ridendo, “Per caso è qualcosa di
sessualmente esplicito?”
“No.”,
gli rispose, con aria seria che sembrò prenderlo in
contropiede.
Si
sedettero l’uno di fronte all’altro sui comodi
divanetti.
“Ho
capito.”, disse Danny, “Vuoi farmi ancora la
predica? Perchè se è così me ne
vado, non ho niente di cui giustificarmi.”
“No,
adesso rimani, perchè sono io che devo capire.”,
disse Harry.
Appoggiò
i gomiti sulle gambe, protendendosi in avanti, mentre Danny sbuffava
vistosamente,
incrociando le braccia e scuotendo la testa.
“Cosa
è successo con Dougie?”, gli domandò,
“Vi sembra il caso di continuare oltre?”
“Dacci
del tempo che sistemiamo la cosa, ok?”, rispose Danny,
“Anche io non
capisco cosa sia davvero successo.”
Harry
alzò un sopracciglio.
“Ieri
sera... ”, disse l’altro, “Poco dopo il
nostro ritorno è venuto da me. E mi ha costretto a
chiamarla.”
Harry
strabuzzò gli occhi.
Cosa,
cosa, cosa?!?
“Cosa,
cosa, cosa?!?”, esclamò, incredulo, “E
perchè avrebbe dovuto farlo?”
“E
che ne so!”, protestò Danny, “Fatto sta
che l’ho chiamata... e ho colto
l’occasione per scusarmi per l’altra
sera.”
“Fatto
bene.”, gli disse, rincuorato, “E lei?”
“Beh...
era abbastanza tardi, e lei abbastanza addormentata... ma ha
capito.”
“Le
hai detto che è meglio finirla con tutta questa
storia?”, chiese, per
accertarsene.
Danny
scosse la testa.
“Judd,
tu la stai prendendo troppo sul serio.”, gli fece poi il chitarrista,
“Non sta succedendo
niente di male!”
Harry
scosse la testa. Ma proprio non voleva capire? Era così
ottuso da non
arrivarci? Eppure gliene aveva già parlato, ma forse era
stato troppo sul vago,
doveva essere più diretto.
“Comunque,
visto che ci tieni tanto, stasera le parlerò a quattro
occhi.”, disse Danny,
contrariato dalle sue stesse parole.
“Stasera?”,
sbottò Harry.
“Sì...
lo staff ha voluto organizzare una serata in un ristorante. Ho
consigliato loro
un posto ed hanno già prenotato; se Joanna vorrà,
si unirà.”, gli spiegò Danny,
“Altrimenti farò in altro modo.”
Meglio
di niente.
“Va
bene oppure tu hai una soluzione migliore?”, riprese Danny,
provocatoriamente.
“No,
figurati.”, disse Harry, alzando le spalle indifferentemente,
“Anche se non
sono molto d’accordo con il farla venire alla cena.”
“Perchè?”,
chiese Danny, “Non la faremo sentire fuori luogo.”
“Va
bene, come vuoi tu.”
“La
confessione è finita?”, scherzò Danny,
anche se il suo tono non era poi così
tanto ironico.
“Oh
sì, vai pure in pace figliolo.”, rispose.
“Vuoi
che scovi Poynter?”
“Molto
volentieri.”
Danny
abbozzò un sorriso ed uscì.
Ora
c’era bisogno della cosiddetta prova schiacciante. Si era
fatto un’idea di che
cosa fosse veramente accaduto nelle menti di entrambi i suoi amici, ma
c’era
ancora la necessità di una dimostrazione reale.
“Mi
ha detto Danny che cercavi me.”, disse Dougie, affacciandosi
dopo qualche minuto alla porta.
“Oh
sì.”, gli fece, con un cenno di accomodarsi di
fronte a lui
Ormai
era lo psicologo di tutti.
“Che
c’è?”, gli chiese Dougie, dopo che si fu
seduto.
“Senti...”,
iniziò, mordendosi il labbro e facendo ciondolare il piede
accavallato
sull’altra gamba, mentre il bracco sinistro era comodo sul
bracciolo del
divano. Quanto si sentiva professionale! “Ti ho visto un
po’ strano...”
“Va
bene.”, fece l’altro, alzandosi scocciato.
Prontamente
lo imitò e, poggiando una ferma mano sulla sua spalla, lo
volle invitare a
sedersi di nuovo, aggiungendo anche uno sguardo convinto ma, in fondo,
amichevole.
“Non
ho niente da dire.”, affermò Dougie.
“Ti
sto accusando?”, gli chiese retoricamente, “Mi
sembra di no, voglio solo che tu
mi faccia capire cosa è successo. Magari posso aiutarti a
risolvere l’attrito
che c’è con Danny.”
“Non
c’è nessun attrito, come lo chiami tu.”,
rispose Dougie, “Stamattina mi sono
semplicemente svegliato col culo di traverso.”
“Va
bene, ma ci sarà un motivo per questo?”
“No...
non ti capita mai, Judd, di essere di malumore di prima
mattina?”
Harry
riflettè.
“Praticamente
sempre.”, rispose, colto in fallo.
“Ecco.”,
concluse Dougie.
Fece
per andarsene, Harry lo riprese a parole.
“Danny
mi ha detto della telefonata.”, gli disse.
Dougie
abbassò gli occhi, fermandosi.
“Perchè?”,
gli domandò, lasciando che lui commentasse il commentabile.
“Perchè
era giusto che lo facesse.”, bofonchiò, contro
voglia, “Si doveva scusare con
lei... di tutto.”
“Di
tutto cosa?”
“Della
scenata... e anche del bacio.”
Un
momento...
“Del
bacio?”, gli chiese.
“Sì...”
“E
perchè?”
“Ha
senso prenderla in giro ancora?”, fece Dougie, “No,
non ha senso, non è
giusto. Lei ci starebbe male e basta.”
Stava
per piangere dalla commozione. Avrebbe voluto stendersi a terra e pregare come i
musulmani,
ringraziando Dio con tutti quei gargarismi vocali tipici di quella
religione. Ma
cercò di trattenere la soddisfazione trovata nelle parole di
Dougie. Aveva capito
che non ne valeva la pena, o meglio che, come aveva detto lui stesso,
non era
giusto farla soffrire. Joanna doveva essere una ragazza decisamente
sensibile e
non era il caso di mettersi a fare stupidi giochetti con lei. Non era
la
classica fan ventenne oca giuliva che si prostrava ai loro piedi... Non
era
affatto una groupie.
Contava
sul fatto che non si fosse fatta troppi viaggi mentali. Odiava deludere
le
persone, soprattutto quando aveva una stima nei loro confronti.
Sì, perchè in
fin dei conti la stimava. Non doveva essere facile vivere con un
fratello come
il suo, che la torturava in quel modo. Doveva avere un bel caratterino,
sotto
tutta quella montagna di timidezza, anche più forte di
quanto dava a vedersi.
Ancora era del tutto irritato dal fatto che lei avesse nascosto questo muscoloso dettaglio della sua vita, ma
stava iniziando a sospettare che ci fosse qualcosa di più.
“Sono
felice che tu lo abbia capito.”, disse a Dougie,
sorridendogli soddisfatto.
“Vallo
a mettere in testa a Danny.”, sbotto lui, stropicciandosi un
occhio.
“Forse
ci sta arrivando...”, gli riferì, “Ma
fatto sta che la vuole invitare stasera a
cena con tutti noi e la troupe.”
La
faccia di Dougie fu eloquente.
“No,
non può farlo.”, disse lui.
Harry
annuì.
“Non
vedo l’ora di tornarmene a casa.”,
esclamò Dougie, alzandosi dal divano e
sparendo dietro alla porta.
Di
nuovo rimase sorpreso dal suo comportamento, ancora più di
prima. Dougie era
passato dal difenderla ad oltranza all’abbandonarla
completamente.
Anche
questo era strano.
Molto
strano.
Il
locale era vuoto già prima della fine della giornata. Joanna
se ne stava seduta
dietro ad uno dei tanti tavoli contornati dai divanetti rossi,
mangiucchiando
un muffin alla cioccolata insieme ad un succo fresco
d’arancia. Leggeva una
rivista dimenticata da qualche cliente sbadato e si era soffermata su
un
articolo qualsiasi, in cui si parlava della passata moda del colore
verde. Peccato,
pensava Joanna, alla quale quel colore piaceva molto.
“Jo!”,
la chiamò Miki dalla cucina, “Sento il tuo
telefono squillare!”
“Ok!”,
gli rispose.
La guerriglia continuava a protrarsi nei giorni. Miki la ignorava e lei faceva
altrettanto, occhio per occhio. Non le interessava la pacificazione,
almeno
finchè lui non le avesse chiesto scusa, ma sembrava troppo
orgoglioso per farlo
e lei continuava oltre nella sua vita. Sarebbe rimasta solo un altro
paio di
giorni da Arianna, dopo di che sarebbe tornata a casa, anche se non avrebbe
voluto
farlo. Era
veramente stufa...
“Jo!”,
la richiamò suo fratello.
“Sì...”,
fece stancamente.
Lasciò
la sua merenda ed andò nello spogliatoio, in cerca del
cellulare nella borsa. Vide
la stessa lunga serie di numeri sconosciti, appena un attimo prima che
l’immagine sullo schermo del telefono si trasformasse in
‘chiamata senza risposta’.
Lo
portò con sé nel locale. Arianna, che per tutto
il giorno non era più entrata
in argomento, le lesse negli occhi quello che doveva fare.
“Miki,
mi daresti una mano in magazzino?”, gli chiese la donna, affacciandosi
alla finestrella
dietro al bancone, “Devo vedere cosa manca.”
“Un
attimo solo.”, disse lui.
Una
volta che entrambi furono spariti dentro alla dispensiera dello Strictly
English,
Joanna riavviò la chiamata ed attese. Dopo qualche squillo
andato a vuoto, un
grande frastuono di musica e risate anticipò la voce di
Danny.
“Little Joanna!”,
esclamò, mentre il
casino si attenuava, “Come stai?
Ripresa
dal sonno?”
“Beh...
direi di sì.”, fece, con tono perplesso.
“Scusami ancora per la chiamata di
stanotte,
non volevo svegliarti! Ti sei addormentata mentre parlavi!”,
gli ricordò
Danny, dopo aver placato la risata.
“Figurati,
perdona me che invece ho russato al telefono!”, disse lei,
avvampando.
La
chiamata notturna era stata come un colpo di pistola in mezzo alla
folla.
L’aveva colta totalmente di sorpresa e si ricordava ben poco
di quello che si
erano detti. Danny si era scusato con lei, che aveva poi ricambiato.
Per il
resto...
“Nessun rumore del genere!”,
esclamò
Danny, tornando a ridere, “Volevo
chiederti una cosa, disturbo per caso?”
“Oh
no, non ti preoccupare, parla pure.”, gli fece.
Dougie le aveva detto
che volevano invitarla ad uscire anche quella sera stessa e, molto
probabilmente, se l’era presa Danny la briga di chiamarla.
“Stasera non hai impegni vero?”,
le
domandò.
“No,
sono libera.”
“Libera da tutti?”
“Sì.”,
disse, allungando quel monosillabo ironicamente.
“Perfetto! Ti ricordi il ristorante
greco che
ci avevi consigliato?”
“Certamente.”
“Ecco, stasera siamo tutti
là a far casino!”,
esclamò lui, “Ti unisci
vero?”
Joanna,
in sottofondo, sentì un coro di fischi e di urla varie.
“Molto
volentieri!”, esclamò lei, contenta, “A
che ora devo venire?”
“Verso le sette. Ti va bene?
E’ troppo
presto? Voi italiani mangiate così tardi!”,
fece lui.
“Certo
che va bene.”, gli disse, passandosi una mano dietro al collo
lievemente
dolorante.
“Perfetto... allora ci vediamo
lì stasera!”
“A
stasera!”, e chiuse la chiamata.
Se
non errava, durante il venerdì sera al Zeus, il ristorante
greco che aveva
consigliato loro, facevano spettacolini musicali tipici di quella
nazione, mentre la gente ballava contenta... O forse era il sabato?
Ripose
il cellulare in tasca e andò verso il magazzino, dove suo
fratello ed Arianna
continuavano la fasulla lista della spesa.
“Lascia
fare, Miki, le do una mano io.”, gli disse Joanna.
Lui
lasciò la sua temporanea mansione.
“Chi
era?”, domandò prontamente Arianna.
“Danny.”,
le riferì, “Mi hanno invitata stasera a cena fuori
con loro.”
“Interessante!”,
esclamò la donna, “So già cosa farti
indossare!”
“Certo.”,
rispose Joanna, sorridendole.
“E
su!”, le disse, “Un po’ di
entusiasmo!”
Ovvio
che era entusiasta, anche
se il trovarsi di nuovo faccia a
faccia
con Danny un po’ la metteva in imbarazzo. Aveva
già accantonato la figuretta
della telefonata notturna, che aveva completamente cancellato dalla
memoria.
Forse il suo cervello mezzo addormentato l’aveva interpretata
come un sogno e lei,
che non ne ricordava mai uno, l’aveva dimenticata.
Ma
non era quello il ‘problema’... era che comunque
ancora pensava a quel bacio e
non sapeva come interpretarlo correttamente, anche se pensava di
esserci arrivata
molto vicina quando aveva cercato di razionalizzarlo, la sera stessa in
cui era
accaduto. Ne era quasi certa, non significava molto.
Quel
ristorante si trovava in pieno centro: le auto erano obbligate a
rimanere al di
fuori di esso, a meno che non fossero state autorizzate, ed Arianna non
aveva
nessuna concessione del genere. La salutò che non era
nemmeno lontanamente
vicina al ristorante, e dovette farsi un bel pezzo di strada sul
cosiddetto motopiede per
raggiungerlo. I vestiti
che indossava erano sempre del suo capo, non aveva preso niente da casa
che potesse essere accettabile per una serata in compagnia, e tutto sommato
non
erano tanto diversi da quelli portati il martedì passato. Da
ragazza qual era,
pregò che nessuno se ne accorgesse.
Dopo
che ebbe svoltato in uno dei tanti vicoli, individuò il
ristorante a una
cinquantina di metri da lei. Fuori dalla sua porta, sostava Harry, con
una
sigaretta tra le dita. Lui la osservò arrivare.
“Ciao.”,
le disse, quando fu abbastanza vicina da sentirlo.
“Ciao...
Come va?”, gli chiese, insicura dell’atteggiamento
lievemente annoiato del
ragazzo.
“Piuttosto
bene.”, le rispose, “Gli altri sono
dentro.”
Ecco,
lui non la sopportava, voleva altri indizi a proposito?
“Ok.”,
gli rispose, avvicinandosi alla porta.
“E
a te come va, Jojo?”, le domandò lui, un attimo
prima che potesse aprirla.
“Beh...
bene.”. rispose lei, voltandosi per studiarlo.
Lui
le sorrise.
“Vai
che ti aspettano.”, le fece. Ricambiò
il sorriso.
Mah...
Entrò
nel ristorante sentendosi investire da un vociare altissimo di voci
straniere.
Le venne quasi da chiudere gli occhi per la paura ma non lo fece,
bloccandosi
ad osservare un lungo tavolo, che curvava geometricamente a forma di
elle,
occupato da almeno una ventina di persone. Gli unici che conosceva
componevano
la metà più uno dei membri dei McFly, seduti sul
ramo più corto della lunga
lettera.
Joanna
sbarrò gli occhi. E
gli altri chi erano?
“Jo!”,
esclamò Tom, alzandosi e sbracciando per invitarla ad andare
verso di loro.
Cosa?
Chi erano tutte quelle persone?
Oh mio
Dio...
“Little
Joanna! Andiamo!”, lo seguì Danny.
Ecco,
ci mancava altro che stessero aspettando solo lei. Tutti
gli occhi le si erano puntati addosso e la stavano studiando:
c’erano
pochissime donne, ne contò solo quattro, il resto erano
solo uomini, giovani
e un po’ più adulti.
Un
passo dopo l’altro raggiunse il tavolo.
“Vieni!”,
le fece Danny, “Siediti qua!”
Il
silenzio parve calare su tutti loro, Joanna avrebbe preferito
teletrasportarsi
su Marte. Danny le stava tenendo la sedia: il suo posto, tra lui e Tom
a
capotavola, si trovava di fronte ad un altro vuoto
–presumibilmente di Harry-
nonchè a Dougie, alla destra del batterista, di fronte a Danny.
“Hey!
Sapete chi è questa ragazza?”, esclamò
Tom, dopo aver picchiettato sul suo
bicchiere per zittire i borbottii levatisi, “E’ la
nostra prima fan italiana...
cioè, è la prima che abbiamo
conosciuto!”
Applausi
e fischi di approvazione conclusero la sua rivelazione. Era inutile
dire quanto
Joanna pregasse che la scienza, in quel brevissimo lasso di tempo,
avesse scoperto
la smaterializzazione della molecola umana.
“Si
chiama Joanna, non è una coincidenza?”,
continuò Danny.
Corali
esclamazioni stupite.
“E
vive in un appartamento al terzo piano.”, aggiunse Tom, facendoli scoppiare a
ridere, “L’abbiamo
conosciuta nel locale dove lavora.”
“Benvenuta
Joanna!”; “Piacere!”; “Mille
di questi McFly!”, furono le frasi che sentì dire
dai presenti, prima che tutti
tornassero alle conversazioni interrotte dal suo arrivo.
Joanna
si sedette, delusa dal mancato balzo in avanti della contemporanea
scienza
molecolare.
“Ciao...”,
disse ai tre, “Non pensavo che... ci fossero tutte queste
persone.”
“Mi
sono dimenticato di dirtelo.”, disse Danny, alla sua destra,
ridendo sornione.
“A
dire il vero lo ha tenuto deliberatamente nascosto perchè
pensava che non
saresti venuta, se lo avessi saputo.”, aggiunse Tom, alla sua
sinistra.
“Beh,
tutti i torti non ce l’ha...”, disse Joanna, mentre
cercava di togliersi il
cappotto, benché se ne stesse seduta su dieci centimetri di orlo, rendendo il tutto
più difficile. Ma piuttosto che alzarsi e attirare di nuovo
l’attenzione, era
pronta a tenerlo indosso tutta la sera.
“Questi
sono alcuni dei membri della nostra baracca ambulante.”,
spiegò Danny, la cui
mano si era delicatamente posata sulla spalliera della sedia di Joanna.
“Mancano
diversi soggetti,”, continuò a spiegare Tom,
“ma quelli migliori sono tutti
qua.”
“Te
li presenteremo con l’andare della serata.”, le
disse Danny.
“Sì,
tanto non mi ricorderò mai tutti i loro nomi, anche se
sembrano dei tipi
simpatici.”, rispose lei, accomodando i capelli dietro le
orecchie, dopo che fu
riuscita a spogliarsi della giacca.
Le
venne da guardare l’ultimo McFly, che ancora non aveva
salutato. Dougie se ne
stava appoggiato sul bordo del tavolo e giocherellava con una forchetta.
“Poynter!”,
esclamò Tom, “Maleducato!”
Lui
alzò gli occhi, la guardò solo di striscio e
biascicò un ciao stanco.
Ma
cosa...
“Scusate
un attimo.”, disse lui, si alzò e si
allontanò.
Joanna
cercò una risposta negli occhi di Tom, che alzò
le spalle, poi si spostò su
quelli di Danny.
“Giornataccia.”,
disse lui.
“Ah...”,
fece Joanna.
Giornataccia?
Non
era scema.
Non ho
particolari cose da dire tranne... i ringraziamenti! Stavolta
saranno abbastanza corti... non so più cosa dirvi ragazzuole,
dite sempre tutto voi, ormai avete capito quasi tutte la psicologia dei
personaggi! Non mi rimane altro che fare affidamento su serrate battute
e colpi di scena mozzafiato... Ma questo capitolo non è la
sceneggiatura di 007, quindi... XDD
Kit2007:
Eheheh, per quanto riguarda le teorie, non dico nulla! Pensa ciò
che vuoi, da questo capitolo in poi tutto è messo in
discussione, te lo dico io!!! Suvvia, non dico altro, se non grazie! Ci
sentiamo su msn!!!
_Princess_:
oh mugliera mia, maine libe. Non so cosa dirti, dici già tutto
tu! O forse sono io che il cervello insaponato... Mmmmh... mumble
mumble, fammi penzare...
CowgirlSara:
MS! La sagra delle seghe mentali? XD Via, ho già pronto lo
striscione da attaccare alla terrazza di casa mia, 1^ SAGRA DELLE SEGHE
MENTALI, ospiti speciali: tutti i segaioli di questa sezione XDD
GodFather:
Eheheh, la McFlyite è una malattia rara, non colpisce tutti, ha
forme più virulente ed altre più calme... io sono stata
stroncata in pieno, non mi salverò più.. tu? a che fase
stai? io ho perso la via di casa! XD
Giuly Weasley:
Mi inchino alle tue facoltà, al tuo intelletto ed alla bravura
con cui svisceri ogni capitolo comprendendo a fondo ogni risvolto
psicologico. Ormai dare una storia in mano a te è come dare un
sogno a Freud: lo smontante e lo rimontate tutto insieme, senza scampo,
e ci riuscite pure bene! Riesci sempre ad afferrare anche i significati
nascosti degli atteggiamenti, delle parole e degli sguardi...
Perchè non ti sei iscritta a psicologia! XDD Ci sentiamo bella!
Picchia:
Vossignoria, porgo a voi le mie più umili scuse, mi prostro ai
vostri piedi profumati e li bacio ripetutamente... smack smack smack...
Ma lavarli no, eh? XD
Ciribiricoccola: Passoide! Accident'a'ttè e a quel grullo di Pasquale! Via, 'un ti dico altro! XD
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Capitolo 15 *** Silence is a Scary Sound ***
Si
sentiva neutrale, come poche altre volte negli ultimi tempi. Aveva
assistito a
tutto con sguardo distaccato, senza giudicare, senza farsi
un’idea,
voleva arrivare al capitolo finale di quella farsa anglo-italiana che
aveva
vissuto da circa quattro giorni a quella parte. Aveva
analizzato i suoi attori, le varie sceneggiature e regie, cercando di
esaminarli
asetticamente, senza imperfezioni dovute alla storpiatura del filtro
mentale
con cui le studiava. Si era sempre –o quasi- astenuto da
commenti, prese di
posizione o sottolineature varie, lasciando il campo libero agli altri.
Agli
altri tre.
Lui,
il quarto, se n’era rimasto debitamente fuori a fare la parte
dello spettatore
esterno ed afono. Voleva vedere in che modo tutto quello sarebbe
evoluto e,
poco prima di un’eventuale catastrofe finale, sarebbe
intervenuto a
schiaffeggiare tutti. In
quel momento tutto quello che vedeva era: Joanna, seduta alla sua
destra, tranquilla,
sorridente e lievemente imbarazzata come sempre, come la sua natura.
Accanto a
lei Jones, che scherzava, sghignazzava, rideva grossolanamente e
sparava
cazzate come un’arma semi automatica. Dall’altra
parte, invece, alla sinistra
c’era Harry, un po’ scostante, quasi distratto,
sorrideva e chiacchierava ma il
suo atteggiamento era quasi forzato.
Infine,
la disgrazia umana. Doug. Avesse avuto un bastone di legno, lo avrebbe
fatto
stramazzare per terra. Anzi, gli sarebbe bastata semplicemente una
chitarra di seconda
mano, quella sì che faceva ancora più male.
Solitamente
il suo temperamento non era così aggressivo, ma
l’atteggiamento di Dougie era
veramente irritante, stupido, infantile, poco coerente, insensato e
odioso. Non
fosse stato Poynter, l’avrebbe preso a male parole, era anche
fortunato.
Lui,
Tom, non voleva ancora provare a gestire la situazione, che era di per
sè inconducibile
fin dal principio. Davanti
al piatto conclusivo della serata, un dolce greco chiamato non-so-che-cosa-sia-ma-è-buono-lo-mangio,
cercava di capire se
fosse stata veramente colpa sua oppure no. In fondo, era stato lui ad
entrare
nel locale e a portarci poi gli altri, accendendo una reazione a catena
che
aveva portato ad un Danny sovraeccitato, un Harry annoiato ed un
Dougie... prossimamente
vittima di un omicidio. Era
sicuro che la povera Joanna, in mezzo a tutti loro, non si trovasse
proprio a
suo agio. Sempre da lettore straniato di quella assurda storia,
l’aveva
adocchiata diverse volte a guardare Dougie con espressione preoccupata,
dispiaciuta, quasi colpevole. Non pareva interessarsi molto ad Harry,
forse
aveva capito che il loro batterista non l’aveva proprio in
netta simpatia. Per
quanto riguardava Danny, invece, sembrava sopportarlo egregiamente,
accogliendo
con buone parole i suoi tentativi di approccio. Non era stato troppo
pesante,
nè invadente, tutto sommato delicato, altrimenti lo avrebbe
chiamato a rapporto,
chiedendogli se poteva evitare di fare il marpione con lei davanti a
Dougie.
Non
sapeva interpretare con esattezza il motivo per cui Poynter fosse
così
attraente per i suoi le lame varie con cui farlo fuori. Era
troppo semplice dire che tutto quello era riconducibile al bacio che
c’era
stato tra Danny e Joanna, ma era l’unica spiegazione
plausibile per Tom. Almeno
per il momento.
“Doug,
mi passeresti l’acqua, per cortesia?”, gli
domandò, cogliendolo totalmente
fuori fase, mentre ascoltava passivamente una conversazione che si
teneva tra
Michael, Jim e Terry, tre dei quattro tecnici del suono con cui erano
stati a
Parigi.
Harry
anticipò il bassista, allungando una mano e porgendogliela
al posto suo.
“Grazie.”,
disse educatamente e si versò l’acqua, riposando
la bottiglia.
Bevve
un sorso, sistemò il bicchiere al suo posto ed
incrociò le mani, appoggiandovi
sopra il mento. Doveva fare assolutamente qualcosa per attirare
l’attenzione su
di lei, che per il momento era monopolizzata da Danny.
Approfittò di un attimo
in cui il caro Jones fu distratto dalla necessità di
dissetarsi.
“Jo,
perchè non ci racconti qualcosa di te?”, le disse,
posandole delicatamente una
mano sul sua braccio, per richiamarla.
“Già,
sappiamo pochissimo.”, colse subito al volo Harry.
Danny
si zittì, Poynter parve lentamente interessarsi.
“Beh...”,
disse lei, dopo un attimo di esitazione, “Molto volentieri.
Cosa volete
sapere?”
“Non
so... come mai vivi con tuo fratello?”, sparò
subito Tom. Poteva essere un
buono spunto di conversazione; le poche volte che erano entrati con lei
sul
personale non erano mai andati oltre le poche parole, ed effettivamente
potevano
dire di sapere pochissime su Joanna.
“Perchè...
volevo vivere da sola, ma la vita è un po’
proibitiva e così...”, disse lei,
giocherellando con il tovagliolo.
“Com’è
che si chiama tuo fratello?”, le domandò Harry.
“Michele,
ma per tutti è Miki.”, rispose Joanna,
tranquillamente.
“E
perchè non si trova una moglie?”,
sbottò subito il batterista, “Così
magari
lascia in pace la sorella!”
Risatine
in sottofondo, made in Tom e Danny.
“Prova
a chiederlo a lui.”, rispose Joanna sorridendo, schioccando
un’altra freccia a
suo favore, “Magari sarà più esaustivo
di me.”
Harry
alzò le mani, arrendendosi all’evidenza che
Joanna, inaspettatamente, sembrava
avere la lingua più lunga della sua.
“Ci
avevi detto che avevi smesso con
l’università.”, le fece Danny,
“Come mai?”
“Non
mi piaceva.”, rispose lei prontamente.
“Medicina,
se non sbaglio.”, aggiunse Tom.
Joanna
annuì.
“Non
volevi diventare medico da bambina?”, le chiese Danny,
ironicamente.
“No,
da piccola volevo fare l’astronauta.”, rispose
Joanna sorridendo, “Ne ero
convintissima.”
“Anche
Dougie voleva diventarlo.”, buttò l’amo
Tom, provando a fare il burattinaio
della situazione e lasciando carta bianca all’amico bassista.
“Davvero?”,
gli fece Joanna, spostandosi poi su Dougie.
Lui
rispose con un cenno di testa, deviando gli occhi altrove. Prima che la
conversazione morisse e che qualsiasi espressione apparisse sul volto
di Joanna,
Harry la recuperò.
“Perchè
non ti piace fare il medico?”, le chiese,
“E’ un onore salvare le vite altrui.”
“Beh...
non è quello che voglio fare.”, disse lei, alzando
le spalle, “Tutto qui.”
“E
cosa vorresti fare?”, le fece Danny.
Lei
scosse la testa.
“Non
lo so.”, rispose, “Per adesso mi basta
semplicemente il mio lavoro. Non sarà dei
migliori, forse potrei fare di meglio, ma mi accontento. Nel caso in
cui poi
volessi tornare a studiare, ho sempre tutta la vita davanti.”
“Beh
sì, non hai torto.”, annuì Harry,
“Ma ci sarà qualcosa che vorrai pur fare
nella tua vita.”
Joanna
esitò di nuovo nel parlare.
“Per
ora voglio solo vivere tranquillamente.”, fece, abbozzando un
sorriso stretto,
“E dovrei anche andare in bagno.”
Quando
si alzò la semplice maglietta nera, che prolungava di poco
lo scollo a punta
sul petto, si spostò, cadendo lievemente a lato della sua
spalla destra. Joanna
non si era accorta del microscopico lembo di tessuto che si era
incastrato tra
le maglie dell’orologio di Danny, chiuso intorno al polso che
aveva sostato
quasi per tutta la cena sulla spalliera della sua sedia. La pelle
rimasta
libera dalla stoffa mostrò una visibile cicatrice che lei si
affrettò a
coprire, imbarazzatissima.
“Che
cicatrice!”, esclamò Harry, “Come te la
sei fatta?”
“Un
incidente.”, tagliò corto Joanna, prima di
allontanarsi velocemente.
Fugaci
occhiate interrogative accompagnarono la sua uscita, prima di
concentrarsi su
Dougie, che divagò altrove come aveva sempre fatto dal
momento in cui lei era
entrata nel ristorante.
Si
districava tra i tavoli fitti, quando una mano la afferrò,
costringendola a
interrompere una catena appena avviata di lunghi pensieri. Joanna si
voltò.
“Jo...
sei proprio tu!”, esclamò una faccia femminile a
lei conosciuta.
“Oh
cavolo... Rita!”, riconobbe lei la ex moglie di suo fratello,
“Cosa ci fai in
città?”
Era
totalmente diversa da come l’aveva vista per
l’ultima volta, circa un anno e
mezzo prima: da mora, con i capelli lievemente mossi, era diventata di
un rosso
abbastanza vivo. Per il resto, era sempre la stessa bellissima ragazza
con il
sorriso contagioso. Per quello che aveva saputo da Miki doveva essere
tornata a
Bologna, la sua città di origine.
“Sono
di passaggio.”, spiegò lei, “Sono con
delle amiche, stiamo partendo, andremo
per Edimburgo per una vacanza e il nostro aereo parte dal
Vespucci.”, disse,
riferendosi all’aereoporto della città
“Deve
essere una bella città.”, fece Joanna.
Rita
ne approfittò per squadrarla da capo a piedi.
“Dio
quanto sei cresciuta...”, fece, con occhi felici,
“Ti ricordavo tutta timida e
impacciata... ora sembri un’altra persona!”
Joanna
arrossì.
“Ah!”,
sbuffò Rita, notandolo,
“Lo sei
tutt’ora!”
“Decisamente
sì...”, fece.
“Vuoi
sederti un attimo con noi?”, le domandò
cortesemente la donna, annunciandola alle
sue amiche.
“Molto
volentieri.”, rispose, “Ma solo per poco se non vi
dispiace, sono anche io con
degli amici.”
Conobbe
così altre quattro donne –Sara, due Paola e
Silvia- con le quali avrebbero
passato una settimana ad Amsterdam.
“Chi
sono i tuoi amici?”, chiese una delle due Paola,
“Facceli vedere!"
Joanna
si voltò verso i commensali inglesi.
“Sono
a quel tavolo laggiù, li vedete?.”, indicò la ragazza, "Quei quattro..."
Le quattro ragazze si concentrarono nell'esame: borbottavano tra di
loro, ridacchiando ed utilizzando qualche proverbiale aggettivo tipico
della loro zona di provenienza.
“Età?”,
chiese la ragazza mora, Silvia.
"Beh... intorno ai 25.", si spiegò Joanna.
"Sono troppo piccoli per noi.", scosse la testa Sara, sconsolata, "Potrebbero essere i figli di mia sorella!"
"Infatti sei figlia unica.", commentò una delle due Paola, la
bionda, "Io punto a quello con il pizzetto... come si chiama?"
"Harry.", le rivelò Joanna, "Ma non te lo consiglio, è un po'... stronzo."
"Perfetto per lei, allora.", esclamò l'altra Paola, la castana, "Quelli buoni non sono di suo gradimento!"
"Io mi prenoto per quello con i riccioli.", alzò la mano Silvia,
" Oppure per quello con i capelli ossigenati e spettinati."
"Volendo li prenderesti anche insieme...", sottolineò Sara, con aria indifferente.
“Smettetela!”,
esclamò Rita, “Siete diaboliche!”
Ormai, visto che l'argomento era quello, Joanna cercò di rendersi un po' più divertente.
"E il quarto? Tom?", disse loro, "Non lo vuole nessuno?... E' simpatico!"
Le ragazze squadrarono il fondatore del gruppo. Era lievemente
voltato di spalle, non lo si vedeva molto bene e loro non parvero molto
convinte.
"Quello simpatico lo diamo a Sara.", disse la Paola bionda.
"Via, portiamo tutto in discarica allora!", sbuffò lei, spontanea.
Scoppiarono in una bella risata fatta col cuore e trascinarono con loro anche Joanna.
“Cosa
racconti di bello?”, le chiese Rita, lasciando che le sue
amiche lasciassero
loro un attimo di confidenza.
“Beh...
vivo da un bel po’ con Miki.”, disse Joanna.
Rita
la guardò perplessa.
“E
perchè ti condanni così?”,
sbottò la donna.
“Ho
scelto il male minore, lo sai.”, le fece.
Rita
sapeva benissimo che cosa era successo dentro le mura della casa natale
dei due
fratelli, Miki gliene aveva sempre parlato. Le mise una mano sulla
spalla, guardandola
con compassione.
“Adesso
lavoro insieme a lui, al locale di Arianna.”,
continuò la ragazza, “Sto bene,
anche se non è facile sopportarlo.”
“Non
sai quanto lui ti voglia bene.”, le disse Rita, “E
non sai quanto si sia sempre
sentito in colpa per tutto quello che hai passato.”
Joanna
annuì, abbassando lo sguardo.
“Ultimamente
mi sta costringendo quasi ad odiarlo.”, le disse. Nonostante
il tempo che le
aveva separate, Joanna si sentiva comunque a suo agio con lei ed
avrebbe quasi
voluto parlarle di tutti gli strani avvenimenti che avevano stravolto
la sua
vita in quell’ultima settimana, in cerca di un consiglio, ma
non sarebbe stato
giusto abbandonare per troppo tempo i ragazzi senza passare per
maleducata.
Aveva sempre pensato a lei come ad una specie di sorella maggiore,
anche se
comunque non avevano avuto molte occasioni per approfondire il loro
rapporto.
“Ti
capisco.”, le disse Rita, “Miki sa essere una
persona più che amabile ma...”
“E’
troppo geloso.”, concluse Joanna, “Mi asfissia, non
riesco a farmi degli amici
per colpa sua.”
“Già...
questa storia non mi suona nuova.”, fece la donna, con ironia.
“E
tu? Cosa mi dici?”, le domandò Joanna, felice di
cambiare discorso, “Lavoro?”
Se
non ricordava male, una volta tornata a Bologna aveva aperto
un’agenzia di
viaggi con delle amiche, forse erano le stesse con le quali partiva per
la
vacanza.
“Oh,
non me ne parlare, è un casino!”,
esclamò Rita, “Cioè... tutto sta
andando
magnificamente, la mia agenzia di viaggi è diventata la
nostra agenzia di
viaggi.”, con un gesto ampio della mano incluse anche quattro
ragazze.
“E
di cosa ti lamenti allora!”, sbuffò Joanna ridendo.
“Sì,
hai ragione!”, disse l’altra, “Va tutto
bene...”
Un
frastuono di voci interruppe la loro conversazione, costringendole a
voltarsi
nella direzione della baraonda umana che rideva e urlava nel
divertimento.
“Ma
quanto sono casinisti i tuoi amici!”, esclamò Rita
ridendo, “Sembrano degli
hooligans!”
“Beh...
sono inglesi, ce l’hanno nel sangue”, le
spiegò Joanna.
Rita
la guardò stupefatta.
“E
dove li hai conosciuti tutti questi inglesi?”, le
domandò, con occhio
malizioso.
“Al
locale... ma è una storia lunghissima, ti
annoierei.”
Rita
le strizzò un occhio con complicità.
“Dai,
ti lascio tornare a loro.”, le disse, “E’
stato davvero piacevole ritrovarti,
la prossima volta che sarò nei dintorni ti prometto che
chiamerò per offrirti
una cena, così chiacchiereremo un po’. Ti
va?”
“Molto
volentieri!”, le rispose.
La
donna le si avvicinò per abbracciarla.
“Ci
sentiamo allora.”, le disse.
Sorridendo,
Joanna si alzò e la salutò con un gesto della
mano, congedandosi anche dalle
sue amiche, che la salutarono con altrettanto calore. Chissà
che faccia avrebbe
fatto Miki se avesse saputo che Rita era in città…
sotto sotto le venne quasi da
ridacchiare al solo pensiero di vedere suo fratello struggersi per
qualcosa che
aveva rovinato con le sue stesse mani, ma ripose quel cattivo pensiero,
Miki
non se lo meritava.
Lesse
la targhetta toilette ed entrò dentro ai bagni del locale,
dirigendosi poi
verso la zona femminile, che condivideva con quella maschile i tre
lavandini e
il lungo specchio orizzontale sopra di essi, comuni per entrambi i
sessi. Si
chiuse dentro una delle quattro porte riservate alle donne e, dopo aver
abbassato il coperchio, si sedette su di esso, appoggiando la schiena
contro il
muro piastrellato.
“Stupida…”,
mormorò sottovoce, dandosi una sonora pacca sulla fronte.
Le
sembrava di avercela fatta: non si era sentita così in
disagio quando, una
volta seduta, si era trovata faccia a faccia con un sorridente Danny e
con i
suoi occhi blu; si era addirittura stupita di se stessa per essere
riuscita più
volte a sopportare le sfarfallate di lui. Le era parso di stare
nettamente
migliorando il suo brutto carattere, così chiuso, insicuro e
traballante.
Però…
C’era sempre un però, maledizione!
Principalmente
non era fuggita da loro perché si era sentita un
po’ invasa dalle loro domande.
In fondo glielo doveva, non aveva quasi mai spiccicato parola su se
stessa dal
primo giorno in cui li aveva incontrati ed aveva risposto provando a
controllare la voce e le emozioni. Non era stato quello il problema,
nemmeno il
fatto che quella dannata maglietta si era incastrata contro qualcosa,
alle sue
spalle, scoprendole parte della cicatrice, subito notata dai ragazzi
nel giro di
pochi secondi.
Che
cosa aveva Dougie? Perché l’aveva evitata
costantemente tutta la sera?
Cosa
aveva fatto lei di male… aveva detto qualcosa che gli era
andata di traverso?
Non capiva.
La
sera prima le aveva detto di esserle amico, mentre il giorno dopo non
le aveva
rivolto parola, nemmeno per un ciao. Doveva essersi persa qualche
passaggio, ma
non riusciva a comprendere dove, né quando tutto questo era
successo. Aveva
cercato di rimanere impassibile al suo comportamento ma non era stato
facile
sopportarlo.
Le
venne quasi da piangere, si sentiva ferita, illusa. Non era
giusto… si era
confidata con lui, le aveva detto quello che le era sempre passato per
la
testa, e ora lui le voltava le spalle, come se la sua presenza lo
infastidisse.
Ti sta
bene!,
mugolò una nocetta
fastidiosa, Così impari a non
fidarti
degli sconosciuti!
Quell’odiosa
voce stridula aveva proprio ragione, che cosa le aveva fatto credere di
potersi
fidare di lui? Se avesse saputo che sarebbe stato così
stronzo mai gli avrebbe
parlato… e mai lo avrebbe fatto entrare in casa.
Bastardo…
Repressa
la rabbia, fu pronta ad uscire dal nascondiglio temporaneo in cui si
era rifugiata
per il suo solito momento di razionalizzazione. Aprì la
serratura e si accostò
al lavandino, dove prese a lavarsi le mani come buona educazione aveva
sempre
insegnato.
Certo
che una bella lavata
di bocca a quel ragazzo non gliel’avrebbe tolta nessuno,
pensò Joanna mentre si
insaponava le mani, Così
imparerebbe a
non prendere per il culo le persone.
Avesse
avuto il coraggio ma soprattutto il carattere per dirgliene quattro o
dieci, lo
avrebbe fatto di sicuro, non c’era da dubitare su questo.
L’unica tattica
infallibile che conosceva era ridare pan per focaccia. Cioè
comportarsi
esattamente come lui.
Immersa
nei suoi vendicativi pensieri, sussultò quando
sentì il click metallico
di una delle serrature dei bagni. Calmò il cuore in
petto e lanciò un’occhiata al riflesso in
movimento che aveva visto con la coda
degli occhi sullo specchio.
Ma
guarda un po’ chi c’è…
Erano
fermi gli occhi sulle mani, che ormai erano così pulite e
linde che potevano
operare chiunque a cuore aperto. Non gliel’avrebbe
più data la soddisfazione di
un semplice sguardo.
Dougie
sembrò esitare nel vederla lì, forse non si
aspettava di trovarcela. Andò verso
la porta ed uscì, mettendosi le mani in tasca. Joanna
sospirò, guardandosi
dritta negli occhi rispecchiati davanti a sé. Senza pensare,
accese
l’asciugatore, fisso al muro alla sua destra e
lasciò che tutta l’acqua sulle
sue mani evaporasse.
Joanna
si era assentata da un bel po’ quando Dougie prese la sua
stessa direzione.
“Speriamo
che non combini guai.”, disse Harry, mettendosi le mani
dietro alla testa e
stiracchiandosi, “Ne ha già creati
troppi.”
“Non
ci sto capendo più niente, ragazzi.”, disse Danny,
“Me la vuole far pagare?”
Era
quello che aveva pensato.
E
tutti gli anni di amicizia passati insieme? Tutte le cazzate fatte?
Tutto
quello che c’era stato, la profonda amicizia che era nata,
gli anni vissuti
dentro la medesima casa? Dougie voleva mandarlo tutto a puttane
così?
Era
incredibile, così tanto impossibile che Danny non voleva
assolutamente
spenderci un secondo di più.
“Non
credo.”, disse Tom.
“Nemmeno
io.”, continuò Harry.
“Perché
io sembro l’unico a non aver capito un cazzo di questa
storia?”, sbottò,
ammettendo che non era mai riuscito ad interpretare correttamente tutto
quello
che si era spiegato davanti ai suoi occhi.
“Forse
perché ti sei accontentato di ciò che hai visto,
senza andare al di là.”, gli
disse Tom.
“Cosa
ci sarebbe al di là? Svelami
l’invisibile!”, lo sfidò.
“Dougie
vuole proteggerla da noi.”, disse Harry, incontrando subito
il parere
favorevole di Tom.
Cosa?
“Spiegati
meglio, se non ti dispiace.”, gli fece Danny.
Harry
lasciò la sua posizione comoda per appoggiare i gomiti sul
tavolo.
“Deve
aver capito qualcosa di lei…”, disse il
batterista, “Qualcosa a cui noi non
siamo arrivati, che non sappiamo. E pensa sicuramente che noi le stiamo
facendo
del male.”
“Che
tu le stia facendo del male.”, lo corresse Tom.
“Io?”,
esclamò Danny, spiazzato, “Io le starei facendo
del male?”
“No,
Tom, non credo che sia solo per lui.”, gli disse Harry,
“Penso che Dougie si
comporti così riferendosi a tutti noi… lui
compreso.”
“Perché?”,
pretese di sapere Danny.
Harry
si strinse nelle spalle.
“Secondo
me,”, continuò Judd, “vuole che lei si
arrabbi… magari con lui per prima e poi
dopo con noi. Si sta comportando in quel modo proprio per
questo.”
Danny
sbuffò. Tutto quello sembrava plausibile, verosimile,
però non riusciva a
vederne il motivo. Si fermò a riflettere…
Era
l’unico dei tre a sapere che Doug era stato da lei la sera
prima. Avevano
certamente parlato e lui doveva aver scoperto cose di Joanna che a loro
erano
state tenute nascoste. Forse era questo ciò a cui si erano
riferiti Tom ed
Harry, in quelle cose stava la causa del cambio nel comportamento di
Dougie.
Perché Poynter allora non ne aveva parlato apertamente?
Sarebbe stato tutto
molto più facile; se si fosse chiarito subito, quelle
incomprensioni non
sarebbero mai nate.
Scosse
la testa. Non giustificava tutta quell’importanza data alle
situazioni createsi
tra loro quattro e Joanna. Non sentiva di aver sbagliato in niente e
pensava di
essere tuttora dalla parte del giusto. Non aveva fatto niente di male
nel
corteggiarla e nel baciarla e Joanna sembrava avere abbastanza sale in
zucca da
non illudersi. Allora perché tutto quello? Era il
presupposto di fondo ad
essere errato.
“Cosa
dobbiamo fare allora?”, domandò Tom, rivolgendosi
direttamente ad Harry.
Il
batterista non ebbe il tempo di rispondere perché Dougie,
nel frattempo, aveva
occupato di nuovo il suo posto.
Danny
lo squadrò, in cerca di un pretesto sul suo viso per fargli
un paio di domande.
“Che
c’è?”, gli fece Dougie, accortosi del
suo sguardo indagatore.
“Hai
incontrato Joanna in bagno?”, gli chiese.
“No.”,
rispose lui, alzando le spalle.
“E
allora dov’è in questo momento?"
“Non
lo so.”, rispose Dougie, “Questo è per
caso un terzo grado?”
La
risposta di Danny venne sommersa dal rumore di sedie che, in un chiasso
assordante, venivano spostate da coloro che fino a qualche minuto prima
vi
sedevano sopra. Autonomamente, la troupe aveva stabilito che era meglio
ritirarsi, data l’ora abbastanza tarda segnata
dall’orologio sui loro polsi e
la previsione di una levataccia mattutina per sistemare gli ultimi
affari per
il concerto della sera seguente.
L’attenzione
dei quattro si spostò sui loro fidati tecnici, che li
salutarono calorosamente,
dando loro la buonanotte e ricordando loro di comportarsi bene per il
resto
della serata.
Rimasero
solo loro quattro quando Joanna li raggiunse al tavolo.
Oh
no… dove cazzo sono
andati tutti gli altri?, fu il
primo pensiero che piombò nella mente di Joanna quando fu
abbastanza vicina alla lunga tavolata ormai spoglia di una folta
percentuale dei
suoi commensali.
Si
impose la calma e l’indifferenza più assoluta.
“Pensavamo
di venirti a cercare.”, disse Tom, “I bagni erano
un labirinto?”
“Ho
trovato una vecchia amica con cui parlare,
mi sono trattenuta per questo.”, si giustificò
Joanna, sorridendo, mentre riprendeva
il suo posto, “Dove sono andati gli altri?”
“Sono
tornati in hotel.”, le spiegò Danny,
“Per loro si era fatto tardi, hanno
preferito lasciarci.”
“E
noi? Cosa facciamo adesso?”, domandò Harry,
“E’ ancora presto…”
Tre
paia di occhi rivolsero la domanda a lei. L’altro paio rimase
con indifferenza
fisso sullo schermo del suo cellulare.
“Beh…
avete mai visto il fiume di notte?”
Joanna
camminava vicino a Tom. Dietro di loro Danny ed Harry, impegnati in
conversazioni riguardanti fatti e
particolari tecnici legati loro imminente concerto. In fondo alla lista
Dougie.
La
coppia locomotiva del gruppo passeggiava tranquilla, scambiandosi
qualche
parola di apprezzamento sulla città intorno a loro. Alla
loro sinistra,
infatti, il fiume scorreva lento, illuminato dalle luci della notte. A
un
centinaio di metri da loro il ponte più vecchio di tutta la
città, sommerso da
sempre dalle case che lo rendevano così caratteristico ed
unico al mondo.
“Pensa
che non lo ha distrutto nemmeno una gigantesca inondazione che ha quasi
sommerso tutta la città.”, disse Joanna,
indicandolo, “Penso che tra mille anni
sarà ancora lì, come è sempre
stato.”
“Sì,
mi sembra di aver sentito qualcosa a proposito di una
piena.”, disse Tom, “E’
una catastrofe in una città così piena di arte.
Quando è successa?”
“Nel
1966. Tanti anni fa, su alcuni edifici ci sono ancora rimasti i
segni.”, spiegò
lei, “Comunque siete già stati sul Ponte Vecchio,
vero?”
“Oh
sì.”, annuì Tom, “Pieno di
gioiellerie!”
“Già…”,
fece Joanna.
La
timida conversazione parve spegnersi lì.
“Verrai
domani al concerto, vero?”, le domandò poi Tom.
“Sì,
devo ancora prendere i biglietti, spero di trovarne.”
“Sicuramente
ce ne sono ancora, ma lascia stare.”, le fece lui, che si
frugò nelle tasche
del cappotto scuro e tirò fuori dei ticket plastificati,
“Tieni, sono due pass,
con questi puoi entrare gratis. Uno per te e uno per chi ti pare,
possibilmente
non tuo fratello.”
Joanna
bloccò i suoi passi, a bocca aperta, stupita.
“Prendili.”,
la esortò Tom, “Te li meriti.”
Lei
avvicinò insicura la mano.
“Non
ho fatto niente di particolare per meritarli.”, disse poi.
“Certo
che lo hai fatto.”, disse Tom, “Hai reso la nostra
settimana qua, diciamo…
inusuale.”
“Inusuale?”,
fece lei, riprendendo la camminata digestiva.
“Sì.”,
le disse, “L’hai riempita di imprevisti, senza i
quali non ci saremmo
assolutamente divertiti.”, annuendo a mento alto con fare
aristocratico.
Joanna
rise, la faccia di Tom era stata troppo comica per non farlo.
“Imprevisti
non sempre positivi...”, aggiunse lui poi, “Come
avrai potuto vedere.”
Il
sorriso di Joanna scomparve per far posto ad un’aria
preoccupata, dispiaciuta.
“Non
è colpa tua.”, le disse,
“Credimi.”.
“Avevo
capito che ad Harry non andavo molto a genio...”, disse lei,
incrociando le
braccia.
“Sì,
lui è un tipo che non si vergogna a dimostrare le sue
antipatie...”, le disse,
“Ma sono convinto che, in fondo, piaci anche a lui.”
Joanna
non parve molto convinta delle sue parole.
“Comunque
non mi riferivo ad Harry.”, continuò a dirle.
“Lo
so...”, disse Joanna, sbuffando, “Avrei voluto
uccidere Dougie, ma non sapevo
se avevate pronto un bassista di rimpiazzo.”
“Per
quello non c’è problema.”,
ironizzò Tom, “Avrei voluto farlo fuori anche io.
E
forse Danny e Harry mi avrebbero aiutato ad occultarne il
cadavere.”
“Non
capisco cosa abbia.”, fece lei, “E’ per
colpa mia?”
Tom
si strinse nelle spalle.
“Speravo
potessi dirmelo tu.”, disse il ragazzo.
Joanna
lo guardò con aria interrogativa.
“Io...”,
esitò lei, sembrava incerta nel parlare.
“Fletcher,
ci fermiamo per un gelato!”, esclamò Harry,
più indietro, alle loro spalle.
Tom
sbuffò vistosamente, innervosito per
l’interruzione.
“Little
Joanna!”, la chiamò Danny, che nel frattempo aveva
già raggiunto con gli altri
il chiosco della gelateria, dall’altra parte della strada,
“Vuoi un gelato?”
“Ho
almeno il permesso di sopprimere Jones?”, borbottò
scherzosamente Joanna.
“Quando
vuoi!”, esclamò Tom.
“Little
Joanna!!”, le ricordò Danny della domanda.
“Cioccolato,
pistacchio e yogurt!”, riferì lei, roteando
annoiata gli occhi.
Tom
le sorrise scuotendo la testa con fare simpatico poi la
lasciò, scendendo dal
marciapiede per raggiungere gli altri e prendere il suo gelato. Di
lì a poco fu
rimpiazzato da Danny, che arrivò saltellando acrobaticamente
e rischiando di decorare
il suo cappotto con il pistacchio di Joanna.
“C’è
mancato davvero poco...”, fece lei, scherzandoci sopra
Questo
capitolo è di gran lunga il mio preferito... E non c'è
bisogno di capire perchè!!! XD Ma mi spiego lo stesso: al tempo
in cui questo capitolo è stato scritto, quandi diverso tempo fa,
le MS erano solo quattro (ora siamo 5, Ladynotorius è con noi!
Ave Alice! XD)... e quelle quattro hanno fatto la loro comparsata in
questa mia storia! XD
Non l'ho fatta per egocentrismo, né per paraculismo...
Samplicemente avevo bisogno che Rita fosse con delle amiche e, dato che
al momento ero a corto di idee... Ho chiamato le MS a raccolta! XD
Comunicazione importante:
se qualcuno di voi ha recensito il precedente capitolo e non si trova i
ringraziamenti in questo, sappiate che non l'ho fatto perchè mi
state antipatiche (nuuuuuu!) ma perchè è successo in ben
due casi (quello di kit2007 e picchia) che la recensione fosse stata
scritta e pubblicata... ma non ne è rimasta traccia! In altre
parole, è capitato in due occasioni che il sito fagocitasse i
vostro commenti, senza che io li abbia visti. Indi per cui, se non vi
ho ringraziato, è perchè EFP è diventato bulimico.
Suvvia,
stasera passo direttamente ai ringraziamenti, senza dire troppe altre
parole inutili. Saranno brevi perchè: uno, non so più
cosa dirvi, già state capendo i meandri di questa storiella.
Due, sono stanca XD veramente... sono troppo stanca stasera ^^"
CowgirlSara:
Tra tutti e tre, Danny + Dougie + Harry, non se ne fa un cervello
normale. Se almeno si chiarissero, le cose sarebbero più facili,
no? E come hai detto te, bisogna spiegarsi meglio!
Ciribiricoccola:
Oh passoide! Visto che te l'avevo detto? Dougie ti ha deluso, ormai ti
conosco, so i tuoi punti deboli, ti posso psicanalizzare come Freud.
Via, basta con le cazzate.
Princess:
Mugliera! Chiedo perdono, ti ho fatto bionda solo perchè ho
dedotto dalle conversazioni msn che tu possa esserlo... magari sei
castana... XD Suvvia, sappi che per me il colore dei capelli non conta!
Kit2007: Preparati con la mazza, vedrai che l'unico modo per farli capire come ci si comporta è prenderli a mazzate!!!
Picchia: Baciamo le mani... e speriamo che stavolta la recensione non venga ingoiata da questo cavolo di sito!
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Capitolo 16 *** You've Got a Friend... ***
16. You’ve Got a Friend...
Si
erano appoggiati alla balaustra in vecchia pietra grigia del ponte. Tra
una
battuta e l’altra i gelati finirono presto ed entrambi i coni
scomparvero dalle loro
mani.
“Decisamente
ottimo!”, disse Danny, leccando gli ultimi rimasugli di
gelato ai lati delle
labbra, “Com’era il tuo?”
“Ne
ho mangiati di migliori.”, disse Joanna, divertendosi
nell’averlo contraddetto.
Danny
la guardò con complicità, le si
avvicinò e le passò un braccio sulle spalle,
dandole un bacio sulla testa che la fece arrossire, ma meno del suo
solito.
Ormai era abituata alla sua presenza, si sentiva sempre più
a suo agio con
loro, ed anche con lui. Riusciva a sentirlo, Joanna non si nascondeva più come era
stata solita fare,
nel suo modo tutto particolare e delizioso. Era una ragazza decisamente
diversa
da molte altre e si era rivelata essere, con il tempo e con la
conoscenza,
divertente e piena di humor. Durante la serata l’aveva
riempita di complimenti
e di apprezzamenti, provando a farla arrossire, ma lei non aveva dato
sempre la
soddisfazione che aveva cercato. Nella maggior parte dei casi, invece,
era
stata abile, ricambiando il complimento o ribattendo in qualche modo,
per
portare la conversazione altrove.
Peccato,
si disse, sarebbe stato davvero bene in sua compagnia. Se le cose
fossero
andate diversamente, in un altro luogo, in altri tempi e situazioni,
magari...
“Tom
ti ha dato i pass vero?”, le domandò.
“Sì.”,
disse lei, “Ma non dovevate, davvero...”
“Non
sai quanto mi siano costati questi pezzi di plastica!”, fece
lui del sarcasmo,
“Ho dovuto vendermi sessualmente al nostro manager!”
Joanna
scoppiò in una risata, mentre Danny continuava a parlare,
con voce falsamente
rotta.
“Non
sai che cosa mi ha chiesto di fargli...”, diceva,
“E’ stato orribile!”
“Ma
dai!”, esclamò Joanna, dandogli una pacca sul
petto, “Quante storie per aver piacevolmente
abbassato i pantaloni per farmi un regalo!”
“Ho
perso la mia verginità...”, frignò lui.
“Quella
non l’hai mai avuta.”, tirò esattamente
a segno Joanna, facendolo ridere di gusto.
“Ma
che lingua lunga che hai, Little Joanna!”, esclamò
poi Danny, una volta
placatosi, “Allora c’è davvero una piccola
stronza sotto tutta questa coltre di
timidezza!”
Joanna
gli lanciò un’occhiataccia divertita in tralice.
“Ok,
la ritiro.”, disse Danny, fulminato.
La
strinse un po’, appoggiando delicatamente il mento sulla sua
testa.
“Comunque,
domani sera ti voglio sul palco.”, le disse.
“Ci
sarò!”, esclamò lei, “Voglio
far crepare di invidia qualcuna delle vostre fans
più smorfiose!”
“Oh
sì, continua ancora così... E’ eccitante…”,
le disse,
con voce soddisfatta, beccandosi un’altra pacca.
Risero insieme, di cuore, riempiendo l'aria con il loro sghignazzare felice. E, quando quegli sbuffi isterici morirono, Danny si ricordò quello che si era imposto di fare.
Doveva
parlarle. L’aveva portata lì per questo, o no?
“Senti...
ti dovrei parlare di una cosa.”, le disse, rimanendo comunque
sullo scherzoso.
“Dimmi
pure.”
Esitò
in cerca del modo giusto con cui iniziare. Non voleva ferirla,
né illuderla.
Fosse stata una ragazza conosciuta cinque minuti prima, in un pub
qualsiasi
davanti ad una birra, avrebbe anche potuto farlo ma non con Little
Joanna, che
si era dimostrata essere una persona vera e genuina, non finta come la
maggior
parte di quelle con cui aveva a che fare ogni giorno.
Non
era per niente facile.
“Vuoi
comprare una vocale?”, scherzò lei, facendolo
ridere un po’.
“Mi
sarebbe d’aiuto.”, disse lui, ammettendo il lieve
imbarazzo in cui era caduto.
“Per
caso vuoi stringermi la mano e dirmi: meglio amici?”, disse
lei, sorridendogli.
Quella
non era una semplice vocale, era la frase che cercava lui. Rimase
qualche attimo perso, cercando di comprendere il tono della sua voce.
“Sì...”,
disse, sfumandosi in un sospiro, “Era questo che volevo
dirti.”
“Lo
sapevo.”, fece lei, con tranquillità,
“Puoi anche non crederci, ma non ho mai pensato
che ti saresti inginocchiato davanti a me per chiedermi di sposarti,
Danny
Jones.”
Le
rise, come si poteva non farlo?
La
guardò negli occhi, cercando nella sua espressione un
po’ della tristezza che
pensava lei stesse provando, ma non ne vide nemmeno un po'. Se ne
dispiacque, e non seppe giustificarselo: per caso era diventato
così sadico da godere nel rompere il cuore alle ragazze con cui
aveva flirtato? No, per niente.
Era solo che...
“Che
c’è?”, sbottò lei, ridendo
“Vuoi che mi metta ad urlare e a strapparmi i capelli per il
dolore?”
Sempre
la solita Little Joanna. O meglio, la nuova Little Joanna, quella nata
dalle ceneri
della precedente, troppo timida per non balbettare o inciampare sui
suoi stessi
piedi alla loro vista.
“Vedi...”,
le disse, “Tu mi piaci.”, ed era perfettamente vero, “Ti trovo adorabile e mi
piacerebbe davvero...”, si bloccò.
“Non
mi faccio certe illusioni.”, disse lei, “Non ne ho
mai fatte.”
“Mi
dispiace, Little Joanna.”, disse Danny, sospirando,
“Ma sorgerebbero troppe
complicazioni.”
Se lei gli avesse chiesto di enumerarle tutte, improvvisando,
sarebbe stato in grado di nominarne solo due: la lontananza, Dougie. Il
resto, perchè ce n'erano molte altre, era solo costituito da una
massa di pensieri confusi e sconnessi, che avevano bisogno di essere
sbrogliati come un grande guazzabuglio di fili intrecciati.
“Lo
capisco perfettamente.”, rispose la ragazza, con
tranquillità, “E non ti
biasimo per questo. D’altronde, come ti ho già
detto, io non mi sono mai persa
in sogni romantici che vedevano noi due come protagonisti e candidati
all’Oscar.”
“E
perchè? Non ti piace sognare?”, le
domandò, con un riso scherzoso.
“Beh...
ho imparato che la realtà è troppo disgustosa per
rimanere ancora delusa, una
volta tornata dalle fantasie.”, disse lei, nascondendosi
nelle spalle, con
cenni vaghi degli occhi.
Ne
rimase stupito, per l’ennesima volta. Avrebbe detto che fosse
una ragazza nata
per sognare, chiusa nella sua camera piena di poster e di musica.
“Che
cos’è che ti fa pensare questo?”, le
chiese, sapendo di essere invadente.
“Un
mucchio di cose di cui non voglio parlare.”, disse lei,
abbozzando un sorriso
strano.
Per
la prima volta diceva chiaramente che non voleva essere infastidita da
domande del
genere, senza tentativi di fuga.
“Mi
dispiace che tu la pensi così.”, le disse,
“C’è sempre qualcosa per cui vale la
pena sognare.”
“Non
essere retorico...”, rispose lei, seccandolo in meno di un
secondo.
Rimase
sconcertato dalla sottile scia di rabbia che aveva sentito nelle sue
parole.
“Scusami...”,
si affrettò a dire Joanna, cadendo nel
baratro del disagio come l’aveva vista fare
tantissime altre volte.
“Fa’
niente.”, le disse, comprensivo.
Se
Dougie sapeva qualcosa su quello che Joanna aveva vissuto in passato,
solo in
quel momento Danny cominciò a comprendere il motivo per
il quale lui si stesse
comportando in quel modo. Non ne giustificava il mutismo e la
maleducazione con
cui le si era rivolto, ma poteva rendersi conto del perchè
lo stesse facendo. Poynter doveva
pensare che i loro comportamenti, benchè sembrassero
innocenti e senza
conseguenze, dovevano comunque avere dei riflessi su di lei, di certo
non
positivi.
La
abbracciò, dandole un nuovo bacio sui capelli profumati.
“Puoi
dirmi che cosa usi per i tuoi capelli?”, le
domandò.
“Beh...
dei prodotti comuni del supermercato... perchè?”,
fece lei, stranita.
“Voglio
usarli anche io.”
Joanna
aggrottò la fronte.
“Hanno
un buon effetto su di me...”, le disse ridendo, “Mi
sento tutto...
scombussolato dentro!”
La
terza pacca atterrò direttamente sulla sua testa, un attimo
prima che sciogliesse
l’abbraccio per mettersi a ridacchiare insieme a lei.
“E
dai!”, sbottò Danny, “Magari con i miei
bellissimi ricci profumati riuscirò ad
accalappiare qualche ragazza!”
“Al
massimo accalappierai un cane.”, gli rispose.
“Ma
a me piacciono i cani!”
“Infatti
appartenete alla stessa razza.”, aggiunse Joanna, sempre
sulla stessa linea
comica inaugurata da Danny.
“Sei
terribile!”, la addomesticò lui, “Se
avessi conosciuto subito questo lato di te,
quando inciampasti al locale ti avrei lasciata sdraiata per terra, con
tutti i
barattoli che rotolavano sul pavimento.”
“E’
quello che hai fatto... Nessuno di voi ha avuto la decenza di aiutarmi
quel
giorno, siete rimasti a sghignazzare dietro al menù!”, lo rimpolpettò lei.
“Ok,
basta, mi arrendo!”, dichiarò Danny la sua
sconfitta, “Puoi finirmi trafiggendo
il mio cuore con la spada della tua malignità.”
Joanna
rise e scosse la testa.
“Andiamo.”,
disse poi, “Torniamo dagli altri.”
“Certamente.”,
acconsentì, prendendola a braccetto.
Prese
a fischiettare un motivetto celebre e ne canticchiò le
parole.
“It's a
jolly holiday with Jo! No wonder that it's Jo that we love!”
Joanna
la riconobbe di lì a poco.
“E’
per caso la canzoncina di Mary Poppins, quando vanno a finire tutti
insieme nel
disegno?”, gli domandò.
“Sì,
proprio quella!”, disse Danny, con entusiasmo.
“Mi
sono sempre chiesta perchè il temporale non li abbi colti
mentre erano là
dentro, cancellandoli definitivamente dalla faccia del mondo del cinema
ancor
prima della fine del film stesso.”
La
osservò a bocca spalancata.
“Dio!”,
esclamò poi lui, “Non ti facevo così
cinica!”
Cominciò
a temere per la vita di Dougie.
Raggiunsero
i tre, seduti intorno ad uno dei tavoli di fronte alla gelateria.
Sembravano
divertiti da qualcosa, ridevano e sghignazzavano senza riuscire a
trattenersi. Bene,
si disse Joanna, era l’ora che lui
si
facesse vedere ridere. Ma era pronta a scommettere che...
Non
terminò nemmeno
il pensiero che Dougie, dopo aver incrociato i suoi occhi, spense la
sua
risata, prima fragorosa e viva.
“Che
c’è di divertente?”, domandò
Danny, “Lo dite anche a noi?”
“Niente,
solo una barzelletta stupida.”, disse Tom, spostandosi di
lato per aprire un
po’ di spazio alle sedie che i due avevano racimolato dai
tavoli vicini.
Per
qualche attimo un certo silenzio regnò sul gruppo. Joanna
sentì perdere tutta
la carica che aveva accumulato durante quel battibecco divertente che
c’era
stato con Danny.
Stupida!
Si
morse il labbro inferiore, in cerca del coraggio sparito. Nel breve
tragitto di
ritorno si era decisa: doveva affrontarlo, prenderlo per il colletto
della sua
grossa felpa nera e scuoterlo forte, finché anche
l’ultimo centesimo delle sue
scuse idiote non fosse uscito dalla sua bocca. Era quello
ciò che avrebbe
voluto fare… fino a cinque secondi prima.
Maledetto
Poynter!
“Bellissima
città, anche di notte.”, disse Harry,
accomodandosi con le mani dietro la testa
e le lunge gambe distese, “Complimenti davvero.”
“Ne
avremo un bel ricordo e penso che…”,
iniziò a dire Tom, zittito poi dal suono
del suo telefono. Frugò nelle tasche e, dopo una veloce
occhiata, rispose alla
chiamata, “Amore!”, esclamò
allontanandosi da loro.
“Addio
Tom…”, scherzò sopra Danny,
“Gi chiama!”
“Chi
è Gi?”, domandò Joanna, che lo comprese
nello stesso attimo in cui pronunciò
quelle tre parole, “Giovanna, la sua ragazza.”
Gli
altri tre annuirono.
“E
come mai voi tre non ne avete una per voi?”,
domandò ai tre quarti dei McFly,
riuniti intorno al tavolo insieme a lei.
Harry
alzò le spalle, tacendo la risposta in quel modo; Danny
bofonchiò che gli impegni, la vita frenetica eccetera eccetera
erano sempre dei validi motivi per troncare le relazioni, anche quelle
più
stabili.
“Ah…”,
disse Joanna, “E come mai loro due stanno sempre
insieme?”, riferendosi a Tom e
alla sua Gi, “Vi danzano intorno forse troppe belle ragazze
per essere fedeli
alla stessa?”
“Dio,
Little Joanna!”, esclamò Danny ridendo,
“Stasera sei una serpe!”
Lei
si mise a ridere scuotendo la testa. Ormai aveva preso a
stuzzicarlo con
frecciatine varie, divertendosi a vedere la sua faccia stizzita e
stupita ogni
volta che gli diceva qualcosa di scherzoso. Lanciò
un paio di occhiate a Dougie, seduto discretamente comodo sulla sua
sedia di
plastica bianca, con le mani nella tasca della felpa.
“Niente
da bere?”, propose Harry.
“Qualcosa
di dolce per Joanna.”, disse Danny, “Per
ammorbidire la sua acidità.”
Ecco,
ora era il turno di lui a prenderla in giro.
“Sei
tu che stimoli la mia bile.”, gli rispose, rifilandogli la
quarta pacca sul
braccio.
Sulla faccia di Jones
comparve un
finto terrore , mentre si tocca
la parte dolorante
scomponendosi in lamenti struggenti, che fecero ridere contemporaneamente lei ed Harry.
“Dio
quanto siete rumorosi…”, sbuffò Dougie,
all’improvviso.
Si
alzò dalla sedia e, un passo dopo l’altro, sotto
gli occhi sorpresi dei suoi
amici si allontanò, andando ad appoggiarsi
all’alta balaustra che costeggiava
l’argine del fiume, voltando loro le spalle.
Harry
sbuffò, alzando le mani per poi farle ricadere velocemente
sui braccioli
plastificati della sedia ed imprecando sottovoce.
“Se
vado là lo ammazzo.”, disse poi il batterista,
“Jones, fermami che lo sopprimo!”
“Dai,
ti porto a prendere da bere.”, gli fece Danny, alzandosi ed
esortandolo a
seguirlo.
Joanna fece quasi per alzarsi e seguirli, ma sapeva
di dover
rimanere per cercare di chiarire quella perversa situazione nata con
Dougie, era quello che doveva fare, anche se il solo pensiero
la terrorizzava. Harry si stava già allontanando da
lì a passi veloci e, quando Danny
si voltò e le strizzò un occhio sorridendole, le dette un
po’ del coraggio di cui aveva bisogno.
Inspirò
e si disse che al tre si sarebbe alzata per andare da Dougie.
Uno…
Due…
Prima
che riuscisse a contare l'ultimo numero, le gambe si mossero autonomamente e le
imposero
di lasciare il tavolo, attraversarono la strada seguite dal resto del
suo corpo
e salirono il gradino del marciapiede appena dietro a lui. La sua mano
si
sollevò indipendente e gli picchiettò sulla
spalla.
Dougie
si voltò lentamente, con aria visibilmente scocciata.
“Che…
c’è?”, fece in tempo a dire, prima che una mano
aperta a cinque dita si scontrasse sulla sua
guancia, provocando un piccolo tonfo che attirò
l’attenzione dei passanti.
“Ahia!”, protestò lui, toccandosi la
guancia ferita.
“Sei
un…”, cercò di appellarlo Joanna,
stringendo i pugni.
Una
valanga di aggettivi particolari piombarono nella sua testa.
Cretino, imbecille, deficiente, idiota,
presuntuoso, stronzo, bastardo, codardo, infame…
Ma
quello che uscì dalla
sua bocca fu solo un grugnito acuto. Fece
per voltare sui tacchi e tornarsene al tavolo, ma una presa decisa e
stretta
sul braccio la trascinò altrove.
“Lasciami!”,
protestò, cercando di liberarsi dalla mano di Dougie, che la
stava conducendo
contro la sua volontà lontano dalla gelateria. Se quel
cretino si fosse degnato
di fermarsi gli avrebbe dato un calcio sulle palle e
l’avrebbe spedito alla
foce del fiume, insieme a tutti i pesci a quattrocchi che la popolavano.
“Dougie!
Ti ho detto di lasciarmi!”, gli ripetè inascoltata.
Si
rassegnò a seguirlo, prima o poi avrebbe avuto
l’occasione di colpirlo dove
meno si aspettava. Infatti, di lì a poco svoltò a
destra, in un vicolo stretto
coperto da una profonda e bassa arcata.
“Poynter!”,
strillò Joanna, incavolata come mai avrebbe pensato di poter essere con lui.
Il
ragazzo si toccò la radice del naso.
“Avanti,
rifallo.”, disse poi, “Dammi
un altro schiaffo.”, ripetè.
“Ma…”,
sbottò Joanna, diffidente.
“Colpiscimi
ancora, Jonny!”, esclamò lui.
Joanna prese un
profondo
respiro, provando a raccogliere tutti i buoni motivi per i quali non
avrebbe
dovuto farlo.
Non
glielo poteva chiedere, la tentazione era tanta. E poi perchè le stava domandando di picchiarlo? A che scopo
“Fallo!”,
urlò Dougie, serrando i pugni con rabbia.
Incerta
sul da farsi Joanna si guardò intorno, sperando che nessuno
stesse per
assistere a quella scena. Come prima, il corpo si dissociò
dalla sua mente,
permettendo così al suo piede di centrarlo direttamente nel
cavallo basso dei
pantaloni, il quale si trovò per la prima volta ad aderire
correttamente
all’unione delle sue gambe.
Te la sei cercata...
Dougie
lanciò un grido strozzato di dolore, si piegò in
due cadendo di lato a terra,
ritorto su se stesso.
“Te
lo sei meritato!”, esclamò, anche le sue corde
vocali avevano proclamato la
loro indipendenza, “Sei stato uno stronzo!”
Ma gli
hai fatto male! Un
male cane!, protestava dentro di lei una voce lontana, quasi impercettibile.
“E
non mi interessa se stai male come un cane!”,
sbuffò poi, incrociando le
braccia soddisfatta, “Avrei anche potuto colpirti
più forte!”
Sei
una stronza, Jo!, aumentò di poco il volume di quella vocetta.
“Sappi
che lo rifarei molto volentieri, se tu solo ti rialzassi!”
“No!”,
esclamò Dougie prontamente, rimettendosi in piedi ed
allontanandosi da lei,
“Bastava anche solo uno schiaffo…”
Sentiti
in colpa!, urlò quella voce dentro la sua testa.
“Non
mi sentirò in colpa per quello che ho fatto!”,
continuò Joanna, “Perché cavolo
mi tratti in questo modo?”, gli domandò.
Dougie
non rispose, continuava a starsene ad una certa distanza da lei, a
sguardo
basso, le mani appoggiate sulle ginocchia per assorbire gli ultimi
acuti di
dolore.
“Ma
che cavolo di persona sei se un giorno mi dici che siamo amici e quello
dopo mi
tratti come se fossi l’ultima persona che vuoi vedere a
questo mondo?”
Ancora
niente, nessuna reazione.
“Allora
sai cosa ti dico?”, gli fece,
“Vaffanculo!”
Ecco,
perfetta conclusione. Ora mancava solo che lui parlasse, dicesse
qualcosa: lei sarebbe stata
subito pronta a ribattere che non gliene fregava un cazzo delle sue
scuse, delle sue patetiche lagne
Ma
nulla.
“Non
provi nemmeno con una
giustificazione
banale?”, gli fece, “Aspetto che tu mi dica
qualcosa!”
Non
una parola, lui continuava a starsene nella medesima posizione ricurva.
E la voce dentro di lei echeggiava sempre più forte.
Gli
hai fatto veramente un
male cane… Hai
davvero esagerato… Sei
proprio una stronza…
Devi
sentirti in colpa!
“Oh
cavolo…”, fece Joanna, realizzandosi colpevole di
aver ecceduto nella forza del
suo calcio, “Ma ti ho fatto davvero un male cane!”
Si
avvicinò a lui, chinandosi per accertarsi del suo stato di
salute.
“Dio,
mi dispiace!”, gli disse, rammaricata.
Gli
appoggiò una mano sulla spalla ma inaspettatamente Dougie
sbuffò, togliendola
via ed allontanandosi ancora da lei. Joanna rimase interdetta, ma lo
comprese, aveva davvero passato la linea e lui aveva davvero sentito
del male.
“Scusami
Dougie… davvero, ho esagerato, mi sento in
colpa…”, piagnucolò.
“No!”,
esclamò Dougie, “Non devi dire questo, stavi
andando così bene!”
Joanna
aggrottò la fronte. Così come quando lui le aveva chiesto
di colpirlo, lei si trovò a chiedergli di ripetere ancora, senza riuscire a vedere il perchè della sua rinnovata reazione isterica.
“Cosa…
cosa hai detto scusa?”, gli fece, confusa.
“Devi
essere ancora arrabbiata... incazzata con me!”,
continuò Dougie, “Perché non lo
sei più?”
Joanna
lo fissava a bocca spalancata, completamente sconvolta dalle sue parole.
“Avresti
dovuto lasciarmi qua, andartene incavolata e dirmi che non ne volevi
più sapere
di me, né dei McFly!”, strepitò Dougie,
“Perché sei sempre qua? Avanti, vai!”
In
cosa aveva sbagliato? In
cosa? Cazzo!
Era
un idiota, un completo imbecille che non era stato nemmeno capace di
farla
incazzare. C’era voluta tutta una sera per arrivare a quel
momento, si era
dovuto impegnare a fondo per fare lo stronzo con lei. Poi,
inaspettatamente,
Joanna gli aveva servito su un piatto d’argento
un’occasione d’oro: farsi
prendere a schiaffi dalla rabbia. Al riparo da sguardi indiscreti le
aveva
imposto di rifarlo, non gli interessava esibirsi davanti a sconosciuti
guardoni.
Non
aveva chiesto, anzi, non aveva voluto un calcio nelle palle ma solo un
ceffone
a cinque dita sul viso, come il primo che aveva ricevuto.
Però, in fondo, se
l’era proprio meritato.
Decisamente.
E
si era meritato anche tutte le brutte parole con cui lei lo aveva
trattato, aveva avuto pienamente ragione. Doveva farla stare male?
Farle
pensare che
lui ci sarebbe stato per lei, come un amico doveva fare, quando invece
non era
vero? Lei
aveva bisogno di amici, amici veri,
non
di lui. Persone che la facessero sorridere ogni giorno, che la
sostenessero nei
momenti difficili e che fossero presenti per lei. Lui tutto questo non
poteva
darglielo, sarebbero sempre stati lontani. E scavando
bene il fondo del barile, non voleva essere suo amico anche per un
altro
motivo, che andava ben al di là di tutto questo...
Joanna
era ancora lì, che lo fissava con i tratti incerti di chi
non aveva
assolutamente capito nulla di quello che gli era stato detto.
“Vai,
per favore.”, le disse, stavolta la stava pregando.
“Ma...
perchè?”, chiese lei, “Che cosa ho fatto
di male?”
Avanti!
Diglielo! Dille che l'unica cosa che ha fatto di male è essere se stessa!
Si
trattenne, non era il caso di dire niente.
“Se
almeno mi dicessi il motivo di tutto questo, io mi sforzerei di
capirti.”,
disse Joanna, “Ma per il momento proprio non ci
riesco.”
“Non
devi capirmi, devi semplicemente dire che non ne vuoi più
sapere...”, le fece, sempre più deciso e fermo.
“Io...”,
balbettò Joanna, “Perchè?”,
insistette di nuovo.
Sospirò,
come glielo doveva far capire?
“Perchè...”,
e traballò ancora, “Non voglio essere tuo
amico.”
“Che
cosa è cambiato da ieri sera?”,
contrattaccò subito Joanna, decisa a non mollare.
Cosa
è cambiato?
Praticamente tutto...
L’aveva
lasciata convinto che tra loro due ci sarebbe stata una buona amicizia, e
due secondi dopo si era trovato a ritrattare tutto.
Complimenti
per la coerenza
Dougie, complimenti davvero!
“Jonny,
ti prego...”, le fece ancora.
“Non
me ne andrò finché non mi darai una valida
spiegazione.”, disse lei.
Joanna non
voleva desistere: non
l’avrebbe mai pensata così testarda, irriducibile. Gli
stava rendendo volontariamente tutto più complicato e Dougie si
spazientì ancora di più.
“E
non te ne andrai nemmeno tu.”, aggiunse ancora lei, prendendolo per la
mano e stringendola
forte, “Io
non lascio mai gli amici senza un motivo.”, gli occhi suoi erano lucidi
e la voce spezzata.
Quell'ultimo
fendente di quella lotta tra spade, quale era la loro conversazione,
entrò dritto nella petto, affondando con una facilità
impensabile e più dolorosa dell'aspettato.
“Non
puoi farmi questo, Dougie.”
Prima
di parlare, Dougie prese un profondo respiro.
“Non
ti voglio fare del male” , le disse, “e so che, se
continuerò ad esserti amico,
te ne farò... molto. E’ per questo che non ti
voglio qui.”, doveva essere più
deciso di quel modo, “E comunque non si può essere
amici solo perchè due
persone dicono insieme di volerlo essere.”
Lei rimase per qualche secondo incerta.
“Ah...
allora è così che la pensi veramente.”,
disse poi Joanna.
“Sì.”
Lo
schiaffo arrivò in quel momento, colpendolo per la seconda
volta in pieno volto
con una carica notevole di odio e rancore.
“Sei
un bastardo.”, gli sibilò, prima di correre via.
Sì,
lo era davvero.
Le
ci volle uno sforzo immane per individuare il numero di Arianna nella
lista della
rubrica del suo cellulare, tanto i suoi occhi erano offuscati dalle
lacrime che
si rifiutava di piangere. Aveva smesso di stare male per coloro che non
meritavano il suo affetto, quindi perchè farlo per Dougie?
Chi era lui per
permettersi di farla piangere? Nessuno, solo un altro degli stronzi
che
avevano popolato la sua vita, fin da quando era nata, e che lei aveva
imparato
a cacciare via.
“Già vuoi tornare a casa?”,
rispose
Arianna alla sua chiamata, saltando direttamente il tradizionale pronto.
“Sì.”,
le rispose.
“Dove sei?”, le
domandò.
“Beh...
ci troviamo al solito posto dove mi hai lasciato prima.”
“Ok, tra un quarto d’ora sono
lì... è tutto a
posto?”
“Sì,
certamente.”, le disse, con ipocrisia.
“Fatti accompagnare dagli inglesini, mi
raccomando!”
“A
dopo...”, e chiuse la chiamata.
Se
fosse stata capace di farlo avrebbe camminato per tutto il centro, a piedi,
fino al
punto di ritrovo con Arianna, ma non era proprio il caso.
Guardò l’orologio,
era l’una passata della notte, sarebbe stato troppo
pericoloso.
“Jojo!”,
si sentì chiamare alle spalle.
Con
un gesto fugace scacciò via l’unica lacrima che
aveva avuto il coraggio di
violarle la guancia.
“Stai
bene?”, le domandò Harry, che sembrava preoccupato per
lei.
“Sì,
tutto a posto.”, rispose, affibbiandogli un sorriso
riparatore.
Lui
lo accettò annuendo, poco convinto.
“Noi...
pensavamo di tornare in hotel.”, le disse, “Ti
dobbiamo portare da qualche
parte?”
“Beh...
mi dispiace chiedervelo, ma non mi fido a camminare di notte da
sola.”, disse, con tono apatico, "Quindi... mi potreste accompagnare fin dove mi troverò con Arianna?"
Lui
le sorrise con comprensione, e le passò scherzosamente un braccio
intorno alla
spalla. Quel gesto la infastidiva, non ne vedeva
l’utilità e non lo accettò, scrollando le spalle ed allontanandosi da lui.
“Ti
sto antipatica vero?”, gli domandò,
“Allora perchè ora fai il carino con me?
Non ne ho bisogno.”
“Diciamo
che...”, disse lui, incassando il colpo ma permettendosi di
controbattere,
“Avevo già capito da un pezzo quello che Dougie ha
afferrato in meno di un
giorno.”
Allora
è proprio vero il
detto ‘Dio li fa e poi li accoppia’,
pensò Joanna.
“Ed
ho cercato più volte di far comprendere a quei due che, con
l’andare del tempo,
le cose sarebbero precipitate.”, continuò lui.
Nonostante non avesse la
minima intenzione di starlo a sentire., almeno
Harry sembrava voler essere chiaro e lo lasciò parlare.
“Non
ho mai pensato che tu sia una cattiva persona, anzi...”, disse
lui, “Però
sapevo che qualcuno si sarebbe affezionato
a te, in un modo o nell’altro. Li conosco troppo bene i miei due polli!”, fece,
sbuffando affettuosamente, “E sapevo anche che ti avrebbero
fatto stare male.”
“E
allora perchè non sei stato chiaro fin dal
principio?”, domandò lei, come era
giusto e scontato che facesse, “Potevi dirmelo subito: cara
Joanna, portaci a
spasso per la
Toscana,
ma non pensare che diventeremo tuoi amici! Sei solo la nostra guida
turistica,
rimani al tuo posto e stai zitta!”
Harry
si strinse nelle spalle.
“Sinceramente
non lo so perchè mi sia comportato
così.”, disse poi lui, “Forse
perchè volevo
godermi questa vacanza, forse perchè non volevo fare il
papà padrone delle loro
vite. Ho cercato di aprire loro gli occhi, ma sembravano troppo
concentrati su
di te.”
No,
Jo, non piangere
adesso, si impose, cercando tutto il suo self control, misteriosamente scomparso nei meandri reconditi della sua testa.
“Dougie
non è il bastardo che tu pensi.”, le disse,
“E’ che... insomma, non ti vuole
fare del male.”
“Ma
me lo sta facendo tuttora!”, protestò Joanna.
Non
piangere!
“Perchè
ormai è troppo tardi per tornare indietro.”, le
spiegò Harry, “Non so cosa sia
successo tra di voi e non lo voglio sapere, sono fatti vostri, non di
mia
competenza. Ma Dougie vuole proteggerti.”, disse lui,
“E pensa che questo sia
il miglior modo per farlo.”
Non
devi piangere, stupida!
“Pensavo
che nelle amicizie il modo migliore per proteggersi fosse sostenersi a
vicenda...”, disse Joanna, “E non chiedere
all’altro di andarsene come se niente
fosse successo.”
“Te
lo ripeto, Jojo.”, disse Harry, “E’ tardi
per tornare indietro.”
Non
metterti a frignare!
Harry
annuì e le sorrise
“Torniamo
dagli altri allora?”, le domandò
Solo
l’idea di ritrovarsi di nuovo con Dougie la disgustava, ma lui
ebbe il buon senso di tenersi a debita distanza da lei e gli altri, che
invece
camminavano insieme con tranquillità, ridendo dei vivaci scambi
di
battute tra Tom e
Harry, due comici improvvisati. Un
passo dopo l’altro arrivarono al punto esatto in cui Joanna
doveva aspettare il
suo capo e, infatti, di lì a poco, una macchina bianca si
accostò al
marciapiede, dove il gruppetto sostava in attesa.
“Allora
ci vediamo domani sera.”, le disse Danny, mentre le apriva lo
sportello
dell’auto.
“Beh...
non lo so.”, gli rispose.
Nonostante
per tutto il tempo avesse recitato con loro la parte della finta tonta, aveva
rimuginato
bene sul da farsi. Alla fine del lungo processo di razionalizzazione
silenziosa
che c’era stato dentro di lei, era arrivata a pensare che non
era più nemmeno il
caso di tenere i pass del concerto. Non voleva nemmeno più andare a vederli, ne aveva avuto abbastanza.
“Come?”, fece Tom, spaesato, “Devi venire per
forza!”
Harry
lanciò al suo amico un'occhiata allusiva, e si assicurò che avesse capito dandogli una gomitata.
“Ah...”,
disse Fletcher, che poi abbassò il tono,
“Vieni lo stesso, non ti
preoccupare di lui.”
“Vedremo,
ora devo andare.”, concluse Joanna, salendo nella macchina e
tirando a sé lo
sportello. Salutò i tre con un gesto sbrigativo e si allacciò la cintura.
"Vai.", disse ad Arianna.
“Ma cosa...”, cercò di capire la donna.
“Ti ho detto di andare.”,
la esortò, “Vai!”
E l’auto
ripartì, lasciando i ragazzi con un palmo di naso. Joanna appoggiò il gomito sul bordo
della portiera, e fece cadere la la mano sulla fronte.
“Cosa
è successo?”, le domandò Arianna,
preoccupata.
“Mi
porteresti a casa mia per piacere?”, le fece, senza rispondere alla sua domanda.
“Beh...
sì, ma dimmi almeno perchè piangi!”,
protestò Arianna.
“Non
sto piangendo.”, la liquidò lei.
“Ok.”,
accettò la risposta Arianna.
Non
le domandò altro, rispettando di nuovo la sua
volontà di stare in silenzio
senza condividere con lei i suoi problemi.
“Senti…”,
le fece, mentre si fermava davanti alla porta di casa sua,
“Rimettiti, non
venire domani al lavoro.”
“Dai,
Arianna, sto bene…”, rispose Joanna, infastidita.
“E’
stata una settimana pesante. Prenditi un lungo week end, mi
arrangerò. E poi
c’è anche Maria al locale, le darò io
una mano a servire i tavoli.”, la convinse, sorridendole.
Trovò
Miki completamente addormentato davanti alla tv accesa, con la testa
reclinata
all’indietro e la bocca aperta in un leggero russare. Quando
si sedette accanto
a lui, sobbalzò improvvisamente, colto di sorpresa.
“Jo...
ma che ci fai qua...”, le disse, dopo averla riconosciuta.
Nello
stesso attimo si buttò al suo collo, iniziando a piangere
tutte le lacrime che
era a stento riuscita a trattenere. Miki non le disse niente, la
strinse
semplicemente a sé, accarezzandole la testa nel tentativo
vano di farla
calmare.
Forse
suo fratello non la sentiva piangere in quel modo dai primi giorni in cui si era
trasferita da lui.
Non
l’aveva più sentita piangere così forte
da così tanto tempo...
In
quei due giorni senza di lei aveva avuto modo di riflettere, di
rivalutare
alcuni comportamenti che teneva nei confronti della sua sorellina.
Doveva
proteggerla, farsi scudo per lei con il suo stesso corpo... Oppure no?
Forse Joanna
era diventata abbastanza grande da potersi difendere definitivamente da
sola?
Evidentemente no, altrimenti non sarebbe tornata tra le sue braccia a
singhiozzare
senza tregua. Ma
tutto quello stava a significare una sola cosa: Joanna aveva bisogno di
vivere,
di sbagliare, di piangere, di imparare e, se lui continuava a farle da
scudo,
tutto questo non poteva succedere.
Poteva
immaginarsi che cosa era accaduto, c’entravano ovviamente
quei quattro stupidi
inglesi, era iniziato tutto con loro. Erano arrivati, tutti belli
infiocchettati nel loro pacchetto dorato di sorrisi, fama e canzoni,
l’avevano
abbindolata e poi, al momento opportuno, scaricata.
Se li
avesse rivisti...
Però,
in fondo, se non fossero mai arrivati, lui avrebbe ancora continuato a
rinchiudere Joanna in una cappa di vetro come una bella statuina,
facendola
soffocare se non addirittura fuggire. Doveva ringraziarli per questo?
Forse sì,
avevano anche dato a Joanna l’opportunità di
capire quali persone doveva tenere
lontane dalla sua vita. Persone come loro.
Era
l’ora di provare a cambiare qualcosa nel loro rapporto, anche
se non sarebbe
stato facilissimo. Sì, Joanna aveva bisogno di
più libertà... e lui non voleva
essere come loro padre. Mai. Forse
era proprio quello che lo spingeva a migliorarsi. Non voleva trovarsi
di nuovo
di fronte ad una Joanna in lacrime, che urlava ‘ti
odio’ con tutta l’aria che aveva nei
polmoni; non voleva vederla
ancora in quel modo, come quando loro padre era venuto a riprendersela quando, insieme alle sue cose, si era trasferita da lui.
Non
voleva esasperarla ancora, le ci era voluto così tanto per
tornare ad essere la Joanna di sempre, quella
timida fuori, ma combattiva dentro.
“Non
piangere.”, le disse, “Dai... vuoi dirmi cosa
è successo?”
Joanna
sembrava voler parlare, ma la sua voce era infranta continuamente da
singhiozzi
travolgenti.
“Eri
con loro stasera, vero?”, domandò.
Non
si sarebbe arrabbiato con lei.
“Puoi
dirlo, tranquilla.”, la esortò. Lei
annuì. “E cosa è successo?”
Più
forte di prima, Joanna tornò a piangere.
“Ok,
me lo dirai domani.”, le disse, “Adesso andiamo a
letto.”
Titolo: Canzone strappalacrime... C'è pure il mio tessssoro che
piange *sigh*... Non è dei McFly, è una cover ma fatta
comunque da loro. Non ho controllato di chi sia veramente, sono troppo
stanca, troppo lavoro durante il giorno, troppo caldo, troppo
immaginare Danny nudo XDDD
Non mi perderò molto nei ringraziamenti, anche se dovrei farlo,
ma i soliti motivi di stanchezza citati sopra mi tolgono le speranze di
potermi distendere a terra e baciarvi i piedi :P
Un bacio quindi a: CowgirlSara, Godfather, Princess, Lady Vibeke, Ciribiricoccola, Kit2007 e Giuly Weasley... Lo so, è troppo poco... ma sono tanto stancaaaaa *piango* E ringrazio anche tutte le ragazze del foro, che mi leggono e commentano di là (voi sapete dove :P)
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Capitolo 17 *** All About You ***
17.
All about
you
La
medesima situazione della mattina precedente si ripropose nuovamente davanti agli
occhi di
Harry, Tom e Danny.
Dougie arrivò in ritardo alla colazione,
si sedette,
incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la
fronte sopra, con i capelli spettinati
coperti da un cappellino indossato al contrario. Harry
roteò gli occhi, preferendo spostarli altrove. Danny, invece, li
piantò incessanti su
Tom, chiedendogli silenziosamente di fare qualcosa. Tocca
sempre a me,
protestò mentalmente
Fletcher, che posò la sua fetta di toast imburrata,
sfregò le dita per cercare di
togliere le minuscole briciole e si concentrò sul da farsi.
“Non
dire niente, Fletcher.”, lo liquidò subito Dougie, con la
voce ovattata dal suo
nascondiglio fatto di braccia.
Tom
alzò le mani al cielo, in un gesto di serena rassegnazione. Erano davvero arrivati alla frutta?
“E
nemmeno tu Harry.”, lo sorprese Dougie, ancora prima che al
batterista balzasse in
testa anche solo l’intenzione di fare qualsiasi cosa.
Era
rimasto solo Danny.
“E
io?”, fece lui infatti, “Ho
l’autorizzazione di parlarti oppure no?”
Dougie
non rispose.
“Lo
sappiamo che cosa hai voluto fare con Little Joanna.”, gli
disse Harry, “Lo
abbiamo capito.”
“Perché
non ce ne hai voluto parlare subito?”, gli domandò
Danny, “Tante cose non
sarebbero successe se tu solo lo avessi fatto.”
Ancora silenzio, non una parola di giustificazione. Piuttosto che prenderlo a schiaffi, Danny
si mise le mani in tasca, sbuffando paurosamente. Era
il più visibilmente incazzato, mentre dopo di lui si trovava
direttamente Harry, che cercava di limitarsi anche se in maniera del
tutto inefficace. Infine Tom, sempre il più calmo e ragionevole
del gruppo.
“Doug”,
gli fece infatti lui, in tono più pacato, “hai voluto proteggere
Jo, giusto?”
“Sì.”,
rispose lui.
“Pensavi che le potessimo fare del male, non è
così?”, insistette ancora.
Conosceva abbastanza bene Dougie da sapere come prenderlo, in quei
momenti. Delle semplici domande a risposta netta, sì e no, erano
molto più efficaci di migliaia di richieste di lunghe
spiegazioni.
“Sì.”,
annuì quindi Dougie, di nuovo.
“Potresti
anche ampliare le tue risposte!”, si animò Danny, sempre impaziente.
“Jones,
per favore.”, lo placò immediatamente Harry, che aveva capito il gioco di Tom.
“Per
caso”, riprese poi lui, “quando siete rimasti soli, ieri sera dopo il ristorante, lei
si è arrabbiata con te?”
“Sì.”
“E si è arrabbiata perchè eri tu a volerla fare arrabbiare, giusto?”
“Sì.”
“E
ti sei comportato per tutta la sera come uno stronzo proprio per
quello, non è
così Doug?”
La risposta si fece attendere.
“…
Sì.”, disse Dougie, con un filo di voce.
“Tu volevi che lei avesse il pretesto per non volerci più
vedere.”, disse, senza alcuna inclinazione da domanda.
“Sì.”
Tom abbandonò la schiena sulla sedia, soddisfatto per
essere riuscito a spillare la verità da un reticente Dougie.
“E
ci sei riuscito, stupido!”, esclamò Danny, prima
di beccarsi un calcio sotto al
tavolo da Harry. Era meglio che Jones mettesse a bada il suo
temperamento focoso, altrimenti Dougie sarebbe saltato in aria,
arrabbiandosi a morte, e Tom non sarebbe più riuscito a
sapere altro. Ci voleva tanta pazienza con un Poynter
così a terra e lui, tra tutti e quattro, era l'unico ad averne
abbastanza.
“Grazie
Judd.”, gli fece Fletcher, riferendosi alla pedata sanatoria che
il bassista aveva dato al suo collega chitarrista, “Insomma
Dougie…", tornò su di lui, "sei sicuro che tu abbia fatto
tutto questo a causa nostra?”
La
risposta tardò ad arrivare. Erano arrivati al punto cruciale, Dougie non poteva abbandonarli proprio in quel momento.
“No.”,
disse poi.
“No
cosa?”, sbuffò di nuovo Danny, “Parla!
Esprimiti!”
“NO!”,
esclamò Dougie, sottraendosi alla sua posizione nascosta e guardandolo con rabbia,
“Non ci arrivi, Jones?”
Danny
si paralizzò, la reazione convulsiva di Dougie lo aveva
spiazzato.
“Io
non l’ho fatto per noi!”, continuò il bassista, attirando l’attenzione di alcuni degli altri ospiti
della sala, “L’ho fatto per lei!”
“Lo
abbiamo capito.”, cercò subito di calmarlo Tom,
mettendogli una mano sul braccio,
“Però…”
“Però
un bel cazzo!”, si liberò l’altro,
“Danny!”, e si rivolse a lui, “Lo sapevi
che
prima di te Joanna non aveva praticamente baciato nessuno?”
Jones
non seppe cosa dire, era pietrificato.
“Non
ti è mai passato per l’anticamera del cervello che
forse potevi piacerle
veramente?”, continuò a provocarlo Dougie.
“Poynter,
ci siamo chiariti.”, lo informò lui, innervosito,
“Anzi, se vuoi proprio saperlo, è
stata lei a dire che era meglio rimanere amici.”
“Amici?!”,
sbottò Dougie, “Ma quali amici! Non avete ancora
capito che Jonny non
ha nessun altro amico sulla faccia della
terra?”
I
tre lo guardarono, stupefatti, inceneriti dalle sue parole. Dougie
scosse la testa, ridendo amaramente. Ancora prima di scendere a far
colazione, sapeva già che quella mattinata sarebbe sfumata in
una litigata. Aveva previsto un Tom in atteggiamento paziente e
tranquillo, un Harry frenetico ed un Danny pronto all'attacco. Si era
aspettato le loro domande, aveva già preparato le risposte e,
nonostante l'umore pessimo, aveva cercato di essere il più
cristallino possibile. Aveva
preventivato il prendersela con uno di loro, e fino all'ultimo era
rimasto insicuro su chi tra Danny ed Harry, ma ne aveva di belle per
entrambi, se gli avessero dato la possibilità di 'spiegarsi'.
“No,
non ve lo sareste mai aspettato, non è vero?”,
si riprese, riferendosi ancora con astio al suo amico Jones.
“E’
impossibile non avere amici.”, disse lui, “Tutti
hanno qualcuno…”
“Tutti
chi?”, sbuffò Dougie, “Non ti ricordi
quando andavi a scuola e ti prendevano
così tanto per il culo che preferivi stare solo piuttosto
che con il resto del
mondo? Ci hai pure scritto una canzone sopra! E se non ricordo male si chiama Not alone, o sbaglio?”
“E
perché Joanna non avrebbe nessuno?”,
domandò Tom, sempre conciliante, cercando di recuperare la
conversazione per riportarla sul piano del gruppo, e non su un
battibecco personale tra i due.
“Questi
non sono affari tuoi.”, lo seccò Dougie.
“Come
mai non volevi che diventassimo suoi amici?”, insistette Danny,
“Perchè volevi che
lei ci lasciasse perdere?”
“Perché
Jonny…”, cercò di dire, prima che le
parole gli morissero in gola, ritrovandole
solo dopo un profondo respiro, “Non ha bisogno
di noi, di quattro
ragazzi appesi al muro di camera sua che, dopo aver lasciato
questa
città, non si ricorderanno nemmeno più di
lei.”
Solo
allora i tre parvero afferrare il concetto, Dougie si sentì
prendere dallo sconforto più totale. A volte, tra loro erano
capaci di leggersi nel pensiero, di parlarsi senza muovere le labbra,
di comunicare con sguardi e microscopici gesti della testa. Altre, come
quella, non riuscivano ad afferrare il concetto neanche urladosi
addosso con dei megafoni giganti.
“Non
c’eravate arrivati?”, fece loro, “Cadete dalle nuvole solo
adesso?”
Dougie
sbuffò.
“Jonny
non ha avuto una vita facile.”, concluse, “E noi
non dobbiamo complicargliela.”
“Eppure
tu lo hai fatto più di quanto avremmo potuto fare noi tre
messi insieme.”, si
inserì Harry, fino a quel momento relativamente silenzioso, ma non meno incavolato,
“Ti è balzato
in testa che forse Jojo abbia potuto essersi sentita presa in giro da te? Forse non
hai
afferrato che hai agito quando era troppo tardi ed ormai lei si era
già
affezionata a noi... e a te?”
Dougie
e la sua ferrea posizione sembrarono traballare, ma fu solo un piccolo
sisma
sotto i suoi piedi Era ancora fermamente convinto di tutto quello che
aveva
detto.
“Io
non mi sono affezionato a lei!”, controbattè subito.
“Andiamo,
Poynter.”, sbuffò Judd, con una risata sarcastica,
“Io invece sono gay e lo
metto in culo da Danny!”
“Hey!”,
sbottò Jones, sentendosi offeso nella sua virilità.
“Doug”,
continuò Harry, ignorandolo, “in un modo o
nell’altro, tutti ci teniamo a lei. E’ praticamente impossibile non
farlo. Chi più e chi
meno, come me, tutti noi alla fine le... vogliamo bene,
sì, perchè non
dirlo?”
Harry guardò
gli altri tre in cerca di consenso e ne trovò, le teste di Jones e di Fletcher che annuivano in suo sostegno.
“Ma
che parolona... volerle bene!”, ripetè
ironicamente Dougie.
“Già”,
disse Danny, “Little Joanna è una ragazza
adorabile, non si può non volerle
bene. E’ dolce, è simpatica, è
carina.”
“Stai
zitto, tu che l’hai presa per il culo!”,
esclamò Dougie.
Danny si alzò, sbattendo la sedia contro il tavolo, furioso.
“Io
me ne vado, non parlo con uno che vuole vedere solo ciò che
gli interessa.”,
disse poi, allontanandosi a grandi passi.
“Doug,
ti prego, rifletti!”, lo riprese Harry, dimenticandosi della scenata del chitarrista, “Smettila
di negare ancora di non esserne
rimasto coinvolto... più di tutti noi messi insieme, sei
quello a cui Jojo sta
più a cuore.”
Lui
scosse la testa, negò ancora.
“Altrimenti
non avresti fatto tutto questo casino.”, dette il colpo
finale Harry, sicuro
delle sue parole, e notando invece l’incertezza del suo amico,
“Mi rifiuto di pensare
che tu ti sia comportato così... per niente!”
“Non
ti sembra di aver esagerato con Jo?”, gli domandò allora
Tom, “Non ti bastava
semplicemente fare come Danny, mettere tutto in chiaro a
quattrocchi?”
Quella
semplicissima domanda tagliò via la sottile fune su cui Dougie
aveva traballato per tutto il tempo.
Il ragazzo appoggiò stancamente la schiena contro la spalliera
della
sedia, con gli occhi
fissi nel vuoto. Di tutti i modi, di tutte le vie, di tutte le
possibilità, aveva scelto quella più stupida, quella
pessima, la più cretina di tutte. Il risultato era stato
sarcasticamente ottimo, alla fine Joanna si era veramente imbestialita,
gli aveva dato del bastardo e non lo avrebbe voluto vedere mai
più...
Ma a quale prezzo?
Non sempre il fine giustificava i mezzi, solo adesso lo comprendeva, e
per arrivare a quel punto avrebbe potuto davvero fare come Danny:
semplicemente parlarle, spiegarle la situazione. Joanna avrebbe capito
perfettamente e tutto si sarebbe concluso con un bell'abbraccio.
“Non è una stupida.”,
si accodò Harry allo stesso
principio avviato da Tom, “Sarebbe stato sufficiente dirle
che...”
“Non
sarebbe stato affatto sufficiente, è chiaro?”, lo
interruppe Dougie, con un
gesto secco ma breve della mano.
Come
si poteva dire ad una persona di volerle esserle amica ed il giorno
dopo
cambiare totalmente idea? Come avrebbe potuto spiegarle la sua mancata
coerenza, senza che lei si potesse sentire ferita? Era quello il motivo
per cui aveva agito in quel modo, quella da lui imboccata era stata la
via giusta, quella più corretta per come i fatti si erano
concatenati.
“Doug”,
disse Tom, “spiegami cosa è successo davvero tra
di voi.”
Era
fermo e risoluto, poche volte lo si vedeva in quel modo. Harry,
infatti, gli
lasciò il campo libero, e Dougie stesso ebbe un momento di
paura, perchè ormai conoscevano Fletcher come le loro stesse
tasche: uando imponeva a buone parole di fare una determinata cosa,
quella andava fatta. Perchè, anche se sembrava calmo e
tranquillo, al minimo cenno di opposizione avrebbe rivoltato il suo
avversario come un calzino. Significava che ne aveva avuto abbastanza, e che era ora di fare a modo suo.
“Non
è successo niente...”, disse con fiacchezza.
“Doug!”,
pretese Tom, fissandolo con sicurezza negli occhi,
“Dimmelo.”
“No,
non posso.”, rispose.
Non poteva accontentarlo, era fuori discussione. Era destinato a
sorbirsi la faccia contratta di Tom, la sua voce alta ed incazzata. Ma
non avrebbe parlato.
“Perchè
non puoi?”, insistette lui.
“Non
posso e basta.”, disse Dougie, accennando ad
alzarsi, ma la presa stretta del
chitarrista gli bloccò sia il braccio che
l’intenzione di farlo.
“Ci
devi delle spiegazioni Poynter.”, riprovò ancora
Tom, approfondendo la serietà
delle sue parole, “Dobbiamo sapere cosa è
successo. Non saranno cazzi miei, nè di
Harry o di Danny, ma visto che ci siamo dentro tutti e quattro, noi abbiamo il diritto
sapere.”
“L’hai
per caso vista senza che ci fossimo anche noi?”,
avanzò Harry una proposta di
soluzione.
Lasciò che la sua risposta apparisse a chiare lettere sul suo viso. Harry sbuffò,
toccandosi gli occhi in
cerca di calma. Tom non disse nè fece niente, fu come se
avesse trovato
conferma a qualcosa che già pulsava nella sua testa.
“Quando?”,
domandò il chitarrista.
Dougie
fece attendere la sua voce.
“Ieri
sera.”, disse.
Tom aggrottò la fronte: stava realizzando l'incongruenza dei
fatti che, fino a qualche attimo prima, avevano combaciato senza ombra
di dubbio. Dougie si trovò a pregare che né lui né
Harry si infuriassero per l'enorme bugia che aveva raccontato.
“Hai
finto di stare male per andare da lei, non è
così?”, chiese poi Tom.
“Sì.”, disse, flebilmente.
Il bassista si trovò ad attendere una scenata d'isteria, quasi
gli venne da chiudere gli occhi per la paura. Ma questa non
arrivò mai: i due, infatti,
lo guardavano silenziosamente, con gli occhi ponevano le loro domande.
“Abbiamo
parlato.”, li accontentò Dougie, “E lei
mi ha detto delle cose... su quello che
le è successo in passato. Ma non è successo niente tra noi,
lo giuro!”
Harry, che tra alti e bassi era riuscito a trattenersi abbastanza
egregiamente, al sentire quella banale ma apparentemente incredibile
verità, sbuffò vistosamente, fece del suo tovagliolo una
palla informe e la buttò sul tavolo.
“Stronzate...”, disse,
e se ne andò, scuotendo la testa.
Dougie osservò il batterista lasciare la sala ed alzò le spalle, appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Tutto
qui.”, fece a Tom, che sembrava meno incredulo, “Abbiamo parlato.”
“E
cosa è successo a Joanna?", volle sapere, "Anche se so già che non
me ne vuoi parlare...”
“Mi
dispiace.”, disse Dougie.
Tom parve accontentarsi, accettando quella scusa senza controbattere
ancora. Non avrebbe avuto ulteriori spiegazioni, lui non gliele avrebbe
fornite nemmeno sotto tortura, era meglio che lasciasse perdere.
“Cosa
è stato che ti ha fatto cambiare idea su di lei?”,
gli domandò, deviando ma rimanendo comunque in tema, “E’
successo in conseguenza a ciò che hai saputo di lei...
vero?”
Ma
come faceva quell'amorevole bastardo di Tom a leggergli sempre nel pensiero? Forse sotto il suo mento
c’era una
striscia di lucette rosse che si illuminavano in parole, rivelando
tutto?
“Le
ho detto che... che era una persona speciale per me.”
Fletcher
annuì, un’increspatura lievissima della sua bocca
svelò un sorriso di
sottecchi.
“Nel
senso... speciale come amica.”, si affrettò a
specificare Dougie, “E lei ne era
rimasta contenta... ma poi ho capito che non potevo esserle
amico.”
“Non
puoi proprio.”, disse Tom, approfondendo il suo sorriso.
Dougie sentì le guance avvampare per l'imbarazzo.
“L’ho
fatto per i motivi che ho detto prima, cioè che non posso
starle vicino, così
come non possiamo farlo tutti insieme... non per quello che pensi tu.”
“Sì,
ti credo.”, fece Tom, dandogli una pacca sulla spalla. Stava
mentendo, ma Dougie non volle tornare sulla questione., “Beh,
le tue intenzioni non hanno fallito, Jo non verrà al
concerto.”, gli disse ancora Fletcher.
“Sì,
ho sentito.”
“Non
so cosa dire.”, continuò poi Tom,
“Capisco perchè lo hai fatto Dougie, non hai
torto, noi non possiamo essere gli amici che vorrebbe. Non abbiamo il
tempo per
diventarlo, c’è una notevole distanza che ci
separa e... in fin dei conti lei è
sempre una fan. A nostro modo, come ha detto Harry, le vogliamo bene
perchè...”, rimase dubbioso,
“Sinceramente non lo so come mai ci siamo
affezionati così velocemente a Jo... mi suona molto
strano, ma è successo davvero...”.
“Già...”,
disse Dougie, “Forse perchè è
semplicemente Jonny. E’ lei al naturale.”
Entrambi
sorrisero all’altro. Tutto quello era infatti molto strano,
nella loro vita non
era facile conoscere persone così semplici, che non si nascondevano
dietro ad
una maschera per farsi piacere: Joanna era sempre stata se stessa e,
nonostante
si vergognasse di esserlo perchè troppo timida ed
impacciata, non aveva mai messo da parte se stessa per essere qualcun altro; con il tempo era riuscita a schiudersi, liberando
una
simpatica farfalla, intelligente e spontanea, la vera Joanna.
“Però
ha di nuovo ragione Harry.”, disse Tom, “Tu hai
agito quando era ormai troppo
tardi. Non volevi farla soffrire... ma lo hai fatto lo
stesso.”
“Meglio
adesso che dopo.”, disse Dougie, difendendosi per l'ultima volta.
“Forse
sì... ma è una magra consolazione.”
Incrociò
le braccia e le appoggiò sul tavolo.
“Cosa
dovrei fare adesso?”, chiese poi il bassista.
Già...
cosa avrebbe potuto fare? Lasciare tutto così o cercare di
farsi perdonare per
il terzo e definitivo casino che aveva combinato?
Sei un
deficiente, si
disse, con che coraggio tornerai da lei?
Il
problema non si pone, si
rispose in automatico, per quale motivo lei dovrebbe starti
a
sentire?
Forse
c’è ancora una
possibilità per recuperare...
Oh sì, certamente, lei sta
ancora ad aspettare te, imbecille.
“Non
credo che esista una seconda possibilità per te,
Poynter.”, disse Tom, con
calma, confermando i suoi pensieri, “Però Jo starà a sentire
me... forse.”
Come
diceva una famosa canzone, that’s
what
friends are for.
Che fossero nella merda, da soli o tutti insieme, loro erano erano
i McFly, spalla a spalla, l'uno per l'altro. Se non fosse stato troppo
da gay, e già da tempo c'era chi speculava su questo,
avrebbe pensato a loro quattro come dei Moschettieri del nuovo
millennio.
Ma le calzamaglia gli avevano sempre fatto venire il prurito alle chiappe.
“Grazie
Fletcher per non esserti incazzato con me.”, gli disse, sorridendogli.
“Ti
sbagli, un po’ sono davvero arrabbiato con te
Doug.”, rispose l'altro, “Avresti dovuto dirci tutto già da
tempo, ma so come sei fatto.
Se non vuoi parlare, non lo fai nemmeno sotto tortura.”
“E
tu finora cosa pensi di aver fatto? La tua non era una sottile tortura machiavellica?”, sbuffò
Dougie.
“Beh...
io non sono la Santa Inquisizione.”,
disse Tom, “E dove hai imparato quella parola?.”
Gli
dette una pacca amichevole sulla spalla.
“Dai,
andiamo.”, fece poi all’amico bassista,
“Siamo già in ritardo.”
Si
svegliò lentamente, il torpore chimico del sonnifero che
aveva preso iniziò ad
evaporare solo quando il suo cervello fu in grado di
connettersi con la realtà. Stropicciò gli occhi
in cerca di luce, ma la
penombra della camera era così fitta che non glielo permise.
Ma
dove cavolo era...
Si
rese conto di non essere nella sua cameretta, bensì nella
stanza di Miki. Lui
non c’era e, a vedere dai piccoli raggi del sole che
sbucavano dalle fessure
delle tapparelle, era già mattina inoltrata. Il sonnifero le
aveva
scombussolato l’organismo, la testa ed i pensieri, le ci
volle diverso tempo
prima di trovare la forza di riflettere, distesa sul letto sotto le
coperte.
‘Non
ti voglio fare del
male e so che, se continuerò ad esserti amico, te ne
farò... molto.’
Perchè?
In che modo le avrebbe potuto fare male? A
parole? A gesti? Come?
Per
un attimo, solo un attimo, si era illusa dicendosi che sarebbe stata
una bella
amicizia, che su di lui avrebbe potuto contare... E si era disillusa subito, era
praticamente
impossibile: Dougie non era una persona comune, non era un ragazzo
come tutti
gli altri. Faceva parte di un gruppo famoso, viaggiava, conosceva
sempre
persone nuove e non avrebbe mai avuto il tempo per lei.
Dopo
i primi attimi di euforia aveva capito tutto questo e, nonostante la piccola
delusione, aveva comunque accettato il compromesso. Sarebbe stata
un’amicizia
lontana, si sarebbero sentiti una volta ogni paio di mesi o
giù di lì. Poi,
magari per noia, tutto sarebbe taciuto, fine della questione. Lei
non aveva mai sperato, tranne che per un breve momento, in qualcosa di
più di
questo. Così come non si era illusa nel credere che anche
gli altri sarebbero
stati suoi amici.
‘E
comunque non si può
essere amici solo perchè due persone dicono insieme di
volerlo essere.’
Aveva
decisamente ragione. Un’amicizia nasceva col tempo, con la
conoscenza
reciproca... non dopo una semplice serata insieme a confessarsi davanti
ad un
caminetto.
Eppure
faceva male, tanto male.
Si
alzò dal letto, faticando ad ogni passo. Le sembrava di
avere i piedi
incastrati in due enormi blocchi di cemento, non riusciva nemmeno a
coordinarsi. Aveva preso quel sonnifero perchè, nelle poche
volte in cui era andata
a letto in quelle condizioni, non era mai riuscita a dormire per le lacrime
ed i
brutti pensieri. Così
si era calata qualche goccia e, dopo giusto il tempo di mettersi il
pigiama, si
era addormentata come un sasso. Non sapeva come mai, invece di
svegliarsi nel
suo letto, si era trovata in quello di Miki.
Guardò
l’ora: mezzogiorno e mezza. Nausea e mal di testa la
diffidarono dal mettersi a
mangiare qualcosa, piuttosto si sdraiò sul divano ed accese
la tv per consolare
la mente con qualche stupido programma. Stava quasi per piombare di
nuovo nel
sonno, quando il telefono di casa la tolse dal torpore.
“Come stai?”, le
chiese subito Miki, con
tono preoccupato.
“Mi
sembra di vivere dentro ad una palla da bowling...”,
biascicò Joanna, con la
lingua impastata contro il palato.
“Vuoi che venga a casa? Che ti
chiami il
dottore?”
“No,
Miki, sto bene.”, gli disse.
“Cosa facevi?”,
insistette lui, sempre
apprensivo.
“Ero
alla tv, stavo quasi per addormentarmi ancora.”,
sbadigliò, “Mi sono svegliata
circa mezzora fa.”
“Ok... se ti servisse qualcosa
chiama pure...,", le disse lui,"Ti devo lasciare, stasera non mi
aspettare,
vado agli allenamenti subito dopo il lavoro. Tornerò tardi
come sempre.”, e
la salutò.
“Ok...
A stasera.”, rispose, distratta.
Dall’altra
stanza, il suono del suo cellulare la fece sussultare. Agganciò
la cornetta sull’apparecchio, rimanendo ad ascoltare il
trillo lontano del telefono. Sentì
ribollire in sé la stessa
rabbia che l’aveva colta la sera prima. Un
passo dopo l’altro, veloce, entrò nella sua stanza
e frugò nelle tasche del
cappotto dove era riposto. Si era aspettata il classico numero
impossibile, ma
quello che vide era solo una comune serie di cifre appartenenti ad una
linea
della sua stessa città.
Non
rispondere!
Ma
la tentazione era tanta.
Il
dito si avvicinò al pulsante rosso e lo premette. Spense
il telefono e lo gettò sul letto, lasciandolo rimbalzare sul
materasso e, non
contenta, lo coprì con il cappotto.
Posò
la cornetta, chiuse la chiamata. Sapeva bene che, in
quei casi, i primi tentativi andavano sempre a
vuoto,
quindi non gli rimaneva fare altro che provare di nuovo e
riprovare ancora, se ce ne fosse stato il bisogno. E
ritentò la seconda volta, una terza e una quarta, ma la solita
voce
fastidiosissima ed
italiana rispose al posto di Joanna, dicendogli che il cellulare
chiamato poteva essere irraggiungibile.
Tampinava
il telefono che si trovava nel loro camerino, provavano un paio di
canzoni poi
tornava a chiamarla, sotto lo sguardo vigile e sconsolato di Dougie.
Gli altri
due, invece, non chiesero niente sulle sue brevi ma continue assenze,
molto
probabilmente si immaginavano da soli cosa avesse promesso di fare per Dougie. La
situazione tra loro era sempre tesa, il nervosismo era alto, ma ognuno
di loro
si sforzava nel cercare di far finta che nessuna discussione fosse
passata tra loro.
‘Ti
ha risposto?’ gli
chiedeva il bassista ogni volta
con gli occhi e lui gli rispondeva nel medesimo modo.
'No...'
Erano
le tre del pomeriggio quando decisero di stendere con i preparativi del concerto. Tom
provò per l’ultima e forse ventesima volta: come
tutte le altre la chiamata
andò a vuoto. Dougie,
seduto comodamente nelle sue vicinanze, si grattò i capelli
con espressione
delusa.
“Non
mi aspettavo nient’altro che questo.”, gli disse
Tom, alzando le spalle.
“Anche
io.”, disse l'altro, sospirando.
“Ma
almeno ci abbiamo provato.”, gli sorrise alzandosi e
lasciandolo lì, nel
camerino.
Ormai
cosa era rimasto da poter fare per Dougie? Andare da Jo, al lavoro?
Magari non aveva mai
risposto alle
sue chiamate proprio per quello... Sì, ecco trovato il vero
motivo: Jo stava lavorando, aveva il cellulare da qualche parte e non
poteva quindi rispondere. Si
voltò indietro, guardando la porta del camerino che aveva
appena lasciato.
E’
il caso di andarla a
trovare al lavoro?
Si
mordicchiò le labbra in cerca di una risposta che tardava ad
arrivare.
Non
hai tempo per farlo...
e non puoi lasciare il palazzetto.
Però
poteva inventarsi una scusa banalissima per farsi accompagnare
all’hotel e poi
prendere un po’ di tempo per andare da lei.
Non
è una buona idea,
Fletcher.
Ma
lo fece lo stesso ed afferrò per un braccio James, il loro
corpulento ed usuale autista, e gli
chiese se potesse portarlo all’hotel, doveva aveva dimenticato
di prendere...
“...
le vitamine.”, gli spiegò, con faccia naturalmente
contorta in un espressione molto preoccupata. Doveva essere
convincente, ad ogni costo, e le sue bugie erano le peggiori del mondo.
“Le
vitamine?”, fece l’altro, difatti altamente perplesso.
“Sì...
quelle che prendo prima... di ogni concerto. Capiscimi”, gli
spiegò, maneggiando le dita con fare sospetto.
L’altro
lo squadrò.
“Ora
si chiamano vitamine...”, sbuffò, prima di
acconsentire. Andarono silenziosamente verso l'auto, posteggiata fuori
dal palazzetto insieme a tutti gli altri veicoli della troupe, e
partirono alla volta dell'hotel.
A
metà strada, Tom fu colto dal dubbio lancinante.
“Perchè?
Prima come si chiamavano?”, gli domandò, seduto
accanto a lui nel posto
dell’accompagnatore.
“Cosa?”,
domandò l’autista, colto in un momento di
distrazione.
“Le
vitamine.”, si specificò Fletcher.
“Ah,
quelle...”, fece, con sorriso complice, “Ai miei
tempi si chiamavano droghe!”
Tom
spalancò gli occhi, stupefatto.
“Erano
gli anni settanta.”, si giustificò prontamente
James.
Il
ragazzo annuì.
“Comunque
io non mi drogo.”, aggiunse Tom.
“Sì,
ovvio.”, rispose l’altro, alzando le spalle e ridendo sotto
i baffi. Poteva vederlo trattenersi a fatica, anche con la coda
dell'occhio, e la cosa non gli fece molto piacere. Se c'era una cosa
che odiava al mondo, insieme a tante altre, erano le droghe e tutte le
cazzate di quel genere...
Ci
volle un bel po’ prima di arrivare all’hotel e, una
volta davanti all’edificio,
Tom gli chiese se potesse attenderlo lì, senza fare alcune
domande.
“Come
vuoi amico.”, rispose James, accendendo lo stereo
dell’auto nera ed ascoltando dell'improbabile musica italiana.
Percorse
quasi correndo la strada verso lo Strictly English, ormai l'aveva
imparata più a memoria delle tasche dei suoi pantaloni nuovi.
Come
prima, appena fuori dal camerino,
davanti alla porta del locale fu colto dall’incertezza.
Era la cosa giusta da fare? Joanna sarebbe stata a sentirlo? Invece di
stare a porsi ultariori
domande, entrò nel locale. Le risposte sarebbero arrivate nel
giro di pochi minuti e, qualsiasi cosa stava per essere detta, lui
l'avrebbe accettata. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Come
ogni cliente anonimo, si sedette al tavolo e
prese a
guardare il menù, tenendo comunque sotto controllo lo spazio
intorno a lui.
Di
Joanna nemmeno una traccia. Al posto suo, gli si avvicinò una cameriera
con dei foltissimi
riccioli: la riconobbe quasi subito, fu la ragazza che soccorse Joanna quando cadde
a
terra, andando a liberare il pavimento dai barattoli caduti dalla cesta
che lei
portava. Sorrise
al pensiero.
“Vuoi
già ordinare?”, gli domandò in un
inglese molto più italianizzato di quello di
Joanna.
“Sì...
un the semplice.”, le rispose, con traquillità.
“Perfetto.”,
disse lei, sorridendogli.
“Senti...”,
la riprese, prima che lei si allontanasse,
“C’è Joanna per caso?”
La ragazza ponderò la risposta, facendosi attendere.
"Sono un suo amico.", aggiunse, per invogliarla a parlare.
“No,
oggi no.”, gli disse, comunque non convinta.
“Ah...
quindi è a casa?”
La
ragazza lo guardò di traverso, e si allontanò.
Mica poteva biasimarla per l'atteggiamento scontroso, sicuramente
l'aveva preso per un maniaco, che chiedeva informazioni sulle cameriere
dei locali, come se fosse una domanda sul contenuto di uno dei sandwich
nel menù.
All’improvviso, un fulmine attraversò in due la materia grigia di Tom, che si ricordò
del fratello di Joanna.
Lui lavorava lì dentro!
Visto,
cretino di un
Fletcher che non sei altro? Ora esce fuori e ti prende a padellate!
Quello
non scherzava, quello poteva fargli davvero del male. Doveva darsela a gambe, sparire senza lasciare tracce, altrimenti sarebbe potuto succedere il finimondo.E
poi comunque aveva appurato che Joanna non era lì dentro e, dato
che non aveva molto tempo da perdere, era anche il caso di togliersi di
torno senza attendere che l'ordinazione fosse pronta.
Tom si
guardò intorno,
alla ricerca di uno sguardo che fosse puntato su di lui. Non
uno solo. Con
finta tranquillità, si alzò e si diresse verso la
porta. Prese un respiro
profondo, afferrò la maniglia e la tirò verso di
sé, facendo aprire la porta. Il suo corpo magro passò per
la fessura tra il legno e lo stipite e, non appena l'ultimo centimetro
di Fletcher oltrepassò la soglia, Tom si mise a correre come un
pazzo. Forse non aveva mai
corso così
veloce in tutta la sua vita, escludendo la fuga alla stazione di
qualche
giorno prima.
In
un attimo fu alla macchina dove James, vedendoselo piombare contro a
tutta
velocità temette il peggio. Uscì dalla macchina preoccupato.
“Cazzo,
cos’è successo!”, esclamò,
con la voce attutita dal rumore forte della portiera
che sbatteva.
“Niente...”,
si calmò Tom, chino su se stesso per riprendere fiato, e si sentiva il cuore scoppiare in petto.
“Stai
fuggendo da qualcuno?”, domandò James, allungando
lo sguardo al di là del ragazzo.
“Forse
sì, non lo so...”, tagliò corto Tom,
guardandosi indietro, ma non vide nessuno, “Adesso però dovresti portarmi in un
posto... anche se non so di preciso
dov’è...”
Sdegnata
dalla qualità della televisione pomeridiana italiana, Joanna
si alzò dal comodo
giaciglio del divano, sui cui aveva dormicchiato per tutto il
pomeriggio, sotto
una calda coperta di lana con fantasie scozzesi. Ce l’aveva
da quando era
piccola, con quella aveva dormito sulle piccole brande
dell’asilo; c’era ancora
scritto il suo nome sopra, su una piccola etichetta bianca, in
pennarello
sbiadito e lettere un po’ contorte. Era un po’ come
la coperta di Linus: poteva essere sdrucita, legata intorno a una croce di legno per
farci un
aquilone ma era sempre un ricordo indelebile d’infanzia.
Lasciò
la coperta raggomitolata sulla seduta del divano e, stropicciandosi la
faccia
stanca, si spostò nella cucina. Un certo languore le
stuzzicava la bocca dello
stomaco, che non aveva accolto la benché minima
quantità di cibo da molte ore.
Spulciò il contenuto della credenza, in cerca di biscotti ma
soprattutto di un
bel pezzo di cioccolata al latte. Ne aveva proprio bisogno, voleva
sfogarsi e
farsi venire la faccia colma di brufoli, così nessuno
l’avrebbe più guardata
per l’orrore... e non avrebbe iniziato a parlarle di amicizie
e tutte queste
cavolate qua.
Munita
del cartone di latte, di un pacco appena aperto di biscotti e di
cioccolata tornò
sul divano. Stufata della tv andò alla ricerca di un film
interessante nella
videoteca casalinga e, indecisa tra una nuova visita al
‘Dottor Stranamore’ di
Kubrick oppure all’ispettore Clouseau in ‘La
pantera rosa colpisce ancora’, tirò
una monetina mentale che atterrò mostrando la faccia della
croce.
“Clouseau.”,
disse, afferrandolo con due dita.
Inserì
il dischetto e attese che il film partisse, sgranocchiando un
biscotto ammorbito con un po’ di latte. Nel frattempo i
titoli di coda passarono,
accompagnati dalla celeberrima colonna sonora composta dal mitico Henry
Mancini, ed il campanello di casa suonò.
“Le
chiavi di casa...”, borbottò tra sé e sé Joanna, immaginandosi
che il fratello le avesse
dimenticate da qualche parte.
Lasciò
le cibarie sul divano e si avvicinò alla porta, dove sostava
appeso al muro la
cornetta del citofono.
“Dimenticato
le chiavi, eh, tontolone?”, sbuffò ridacchiando.
Dall’altra
parte non sentì alcuna risposta, solo il rumore delle auto che passavano.
Ragazzini
idioti, suonate i
campanelli e poi fuggite...
Non ebbe nemmenoil tempo di agganciare la cornetta, il drin metallico
dell’apparecchio si
fece di nuovo sentire.
“Ma
chi è?”, domandò, scocciata.
“Ehm... Jo?”
Aggrottò
la fronte, poi percepì uno strano parlottio in lontananza,
amplificato
malamente dalla scarsa qualità del suo citofono.
“James! Fammi provare ancora, mi sa
che ho
sbagliato!”
Ma... quello era Tom. Che diavolo...
“Tom,
vattene per favore.”, gli disse, seria.
“Jo, sono da solo, voglio solo
parlarti...”
Non
lo fece terminare, appese la cornetta e si allontanò dalla
porta, sbuffando
ira. Il campanello trillò ancora un paio di volte, ma lei lo
lasciò perdere,
concentrandosi nervosamente sullo sgranocchiare costante dei biscotti
nella sua
bocca e sulle prime scene del film di Blake Edwards.
Ma
come cazzo aveva fatto a trovare casa sua? C’era stato una
volta, che memoria
di ferro! Tutte le strade che la circondavano erano uguali...
cos’era lui? Un
elefante? O solo uno con un culo grosso come un mappamondo?
Scusate, termino il capitolo
così, a metà discorso, dopo aver lasciato la storia in
sospeso per due settimane -.- ma ch di voi parla con me ogni santa
sera, sa quanto il mio tempo sia risicato, da tre settimane a questa
parte ^^"
Sarò pure breve con i ringraziamenti: detto questo, un grazie mille ed un bacio sulla bocca (:P) alla mia Mugliera, alla MS-Zietta, alla Pazza, a GodFather,alla Martina2007 e alla Giulietta XD
Alla prossima ragazze! (E perdonatemi ancora... Ennesimo capitolo di transizione, ma da ora in poi succede di tutto, preparatevi ^^")
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Capitolo 18 *** Sorry's Not Good Enough... But Sometimes It Is ***
18. Sorry’s Not Good Enough... But
Sometimes It Is
Prima di leggere:
Guardate
il video, cliccando sul titolo. E capirete
perchè amo questi quattro.
Si
appoggiò al portone, in cerca di una soluzione per riuscire
ad
oltrepassarlo ed
andare da lei. Ora che era arrivato lì non poteva andarsenee
via
a mani vuote, gli ci era voluta mezzora prima di trovare la
giusta
entrata: avevano girato per
tutti i dintorni del locale, pecorrendo instancabilmente quelle
stradine tutte uguali, tutte simmetriche, tutte perfettamente simili
tra di loro. Molto
vagamente, Tom
si era ricordato che la casa di Joanna non distava
che solo pochi minuti da esso.
E ora che era lì, doveva dirlo, oltre che avere avuto una
buona
memoria, tanto da ricordarsi alcune delle insegne dei negozi che
circondavano la casa
della ragazza, aveva avuto anche culo. Tanto culo.
Una valanga di culo.
“Tom,
sono le cinque e mezza, dovremmo tornare al palazzetto.”, gli
disse James,
seduto sul cofano della macchina.
“Solo cinque minuti.”, rispose, “Magari
tra un po’ viene ad aprirmi.”
“Gi
lo verrà a sapere... Prima o poi.”,
azzardò l’autista, guardandosi distrattamente
le unghie, con fare noncurante.
Aveva sentito qualcosa che somigliasse al nomignolo proverbiale della
sua fidanzata? Gli era parso proprio di sì. Per quanto
riguardava il resto della frase, erano solo cazzate.
“Guarda
che lo sto facendo per Dougie.”, gli ricordò Tom,
sbuffando.
“E
perchè lui non può farlo da solo?”,
domandò
l’altro, com'era giusto che facesse. Non si era
perso in
spiegazioni con lui. Non perchè non lo reputasse adatto per
stare a sentire vita, morte e miracoli di quello che avevano vissuto in
quella breve ma intensa settimana, ma semplicemente perchè a
James non gliene doveva fregare niente.
“Te
l’avevo detto James, niente domande.”, gli
ripetè.
Perchè James era peggio di uno scolapasta, faceva acqua da
tutte le parti.
L’uomo
alzò le mani al cielo sconfitto.
Tom tornò a riflettere: doveva
trovare il modo di entrare nel palazzo, perchè una volta
arrivato davanti alla porta del suo
appartamento, Joanna non avrebbe potuto dirgli di no, non avrebbe
potuto lasciarlo fuori, sullo zerbino. Avrebbe potuto, invece, chiamare
la polizia,
ma in quel caso si sarebbe volatilizzato in un attimo, come il fumo di
una sigaretta portato via da un alito di vento improvviso.
Non
sapeva spiegarsi esattamente perchè stava facendo tutto
quello, tranne per una semplice constatazione di fatto: Dougie
meritava una seconda possibilità. Non succedeva molto spesso
che lui prendesse
tanto a cuore una persona e doveva fare qualcosa per lui. Joanna
l’aveva
particolarmente colpito e, se lo conosceva bene, non era solo una
questione
di sentimenti fisici,
di attrazione vera e propria. Non se lo sapeva
spiegare a parole, nè a pensieri, si era preso solo la briga
di provare a
ricucire uno strappo fatto da Poynter che, purtroppo era
impossibilitato a prendere ago e
filo ed aggiustare da solo.
Nel
bel mezzo di questa sua riflessione, un gridolino inaspettato di gioia
lo
distrasse. Davanti a lui c’era una simpatica vecchietta,
chiusa
nella sua
giacca grigia e nascosta dietro ad un paio di grandi occhiali da vista
dalla montantura quasi barocca. Le sue iridi parevano luccicare nel
guardarlo, le mani giunte sotto al mento erano in
una posizione di speranzosa felicità.
E ora
cosa vorrà da me?
L’anziana
signora, munita di uno sorriso luminoso, prese a parlargli con una
cantilena taliana così confidenziale, che sembrava lo
conoscesse da una vita, come se fosse stato il nipote prediletto, il
figlio della figlia preferita. Solo che lui, a parte qualche parolina,
non era capace
assolutamente di giostrarsi in una conversazione in italiano. Nel
frattempo James,
a tre passi da loro, nascondeva il suo sorriso da iena tra le mani,
sghignazzando ferocemente.
“Ehm...
signora...”, cercò di spiegarle,
ma quella
sembrò non sentirlo, continuava a chiacchierare come un
treno in
corsa. La donnetta infilò
le chiavi nel portone, senza zittirsi un attimo e, con un gesto della
mano, gli
fece gesto di entrare.
Tom esitò...
Ma
che sta succedendo?
La vecchietta gli stava facendo gesto di entrare, la sua bocca ancora
produceva parole a lui totalmente sconosciute e prive di senso
compiuto. Ma non lo aveva ancora capito che non era nessuno dei suoi
nipoti, né un lontano parente o amico di famiglia che la
stava
attendendo sul portone di casa, per salutarla e prendere con lei il the
con i biscotti?
“Entra
deficiente!”, lo esortò James.
Già,
entra deficiente!
E
dette retta all’amico autista e alla sua coscienza
impicciona. La vecchia
signora gli fece comprendere di avere bisogno di aiuto nel salire le
scale e
lui, da gentile qual era sempre stato, gli porse le proprie braccia
sulle quali
lei potesse farsi forza. Passarono
la prima e la seconda porta e, con una lentezza mastodontica, si
fermarono
davanti alla terza, dove lei si preoccupò di infilare la
seconda delle due
chiavi del suo mazzo.
Al
nuovo gesto di seguirla nel suo appartamento, lui non seppe
più cosa fare.
“Io...
veramente sto cercando Joanna...”, le disse. Non
gli rimaneva altro che farsi capire da una signora che era
più vecchia di sua
nonna e che sicuramente l’unica parola che sapeva di inglese
era toilette.
Se la
dici in quel modo è
francese, cretino...
La
signora rimase in piedi sulla soglia di casa sua, a guardarlo,
nell’attesa che
lui la seguisse ancora.
“Joanna?
Conosce Joanna?”, le fece, scandendo lentamente ogni parola,
“Joanna... Jo...
Joanna...”
“Joanna!”,
esclamò la vecchietta.
Tom
tirò un sospiro di sollievo, ma quella fresca sensazione
durò un istante: quella riprese a parlare a vanvera, una
parola dietro l’altra non stop.
Aiuta
le vecchiette...
possibilmente che parlano la tua stessa lingua.
Poi,
senza che lui se ne accorgesse veramente, la porta si chiuse e la
vecchietta
scomparve nel suo appartamento.
Scappa
idiota...
Conclusa
la questione ‘nonna
italiana logorroica’ percorse l’ultimo
piano di scale che
lo separava da Joanna. Davanti all’uscio raccolse il suo
coraggio, tutte le
buone parole che aveva in serbo per Dougie e bussò.
“Jo...
sono io, Tom!”, le disse, “Vorrei solo parlarti,
solo cinque minuti.”
Bussò
ancora.
“Jo,
ti prego”, insistette, “poi non ti daremo
più fastidio... per favore...”
Sentì
un rumore di passi venire verso la porta.
“Come...
come hai fatto a entrare?”, domandò Joanna, con
voce malferma, senza aprirla.
“Devo
spiegartelo davvero? Non lo so, solo che ho aiutato la vecchina che
abita sotto
di te a salire le scale...”, le fece.
“Maledetta
signora Gelli...”, borbottò la ragazza, facendogli
scappare uno sbuffo di
risata, “Comunque vattene, non voglio parlarti.”
“Jo,
ti rubo solo cinque minuti.”, continuò ad
insistere, “Non so nemmeno come ho
fatto a trovarti, non lasciarmi andare via senza che ti abbia
parlato.”
Di
là dalla porta la risposta tardò ad arrivare.
“Te
lo giuro...”, azzardò a dire ancora. Avrebbe fatto
di
tutto: si sarebbe sdraiato per terra su chiodi arrugginiti, si sarebbe
fatto rasare a zero, avrebbe dato fuoco ai peli del culo... Tutto per
poterle parlare e dare un'altra chance a quel cretino di Poynter.
La
serratura scattò e la porta si aprì.
Finalmente...
“Cinque
minuti.”, disse Joanna, permettendogli di entrare nel suo
appartamento.
Le sorrise di gratitudine, gli venne quasi la voglia di abbracciarla e
ringraziarla, ma non sarebbe stata una delle decisioni più
sagge
del mondo. Semplicemente, entrò per la seconda volta nel suo
appartamento. Lanciò
uno sguardo intorno a sé: sul divano una coperta
spiegazzata,
biscotti e
cioccolata; alla tv un individuo in impermeabile grigio e cappello che
riconobbe subito.
“Ti
piace Peter Sellers?”, le chiese, tanto per rompere il
ghiaccio, “A me fa
morire quando fa l’ispettore Clouseau.”
“Già...”,
tagliò corto Joanna, spegnendo la tv.
Velocemente
liberò il suo sofà e gli fece cenno di
accomodarsi accanto a lei. Era arrivato
il momento di parlare, era per quello che si trovava lì...
no?
Allora
forza e coraggio,
Fletcher, ce la puoi fare.
“Senti
Jo...”, esordì, “Non sono venuto qua per
dirti una cosa per un’altra... voglio
solo cercare di spiegarti quello che non sai.”
Lei,
a braccia incrociate e sguardo fisso sulle pieghe del divano, sembrava
non
volerlo stare ad ascoltare. Ne aveva tutte le ragioni.
“Voglio
arrivare dritto al punto.”, disse, accomodandosi. Si
voltò lievemente verso di
lei, come per attirare il suo sguardo, che però rimase
altrove. “Non sapevamo
che Dougie fosse venuto da te, l’altra sera... ha fatto tutto
di nascosto, non ci
ha detto niente. Anzi, si è addirittura finto
malato.”
Solo
in quel momento Joanna alzò gli occhi per guardarlo.
“Cosa...
cosa ha fatto?”, fece, incredula.
“Sì...
non ne conosco il motivo, ma quella sera ci disse che aveva mal di
pancia e che non
voleva uscire. Ed è venuto da te.”
“Ma...
perchè?”, domandò Joanna,
“Perchè vi ha mentito? Non ha senso!”
“Molte
cose non hanno avuto senso fino a stamattina, credimi quando te lo
dico.”, le
fece, “Forse lo ha fatto... forse per Danny...”
Joanna
spalancò gli occhi.
“Danny?
Cosa c’entra lui in tutto questo?”, fece poi.
Ecco,
se lo doveva aspettare. Lei non aveva afferrato niente di tutto quello
che era
successo tra loro, intesi come McFly, al di là di lei. La
situazione si stava
complicando... Cosa doveva fare? Spiegarle tutto per filo e per segno?
Oppure
omettere certi particolari, tra i quali il più importante:
‘Dougie non ti vuole come amica
perchè... a
lui piaci, ed anche molto’?
Tom cercò
la concentrazione e la calma
necessaria per parlare con tatto.
“Vedi,
Jo...”, le disse, “Quello che... tu non hai
capito...”
Sospirò.
“Ognuno
di noi ha avuto un modo diverso di rapportarsi a te.”,
iniziò, “Ognuno di noi
ti ha visto in un modo diverso. Per me sei, ad esempio, sei la nostra
fan
ideale: una che non grida, che non ci perseguita e che sa rispettare le
nostre
persone. Sei una ragazza simpatica e carina, una con cui si sta bene
insieme.
Stessa cosa per Harry.”
“Harry?”,
fece lei, “Harry mi odia. Ed è anche un
po’ falso, secondo me.”
Le
sorrise con comprensione.
“Non
ti odia, credimi.”, le disse, “E’ che lui
capito fin dall’inizio che ci
sarebbero state delle complicazioni ed ha cercato di... salvare il
salvabile.”
Joanna
sembrava sempre più confusa e non aveva tutti i torti, le
stava parlando per
sciarade. Decise però di continuare sulla stessa linea.
“Danny...
beh, a Danny sei sempre piaciuta e te lo ha anche dimostrato, ma sapeva
che non
sarebbe stato niente di importante.”
“L’ho
sempre saputo anche io”,
si
spiegò Joanna, “e non
ho mai preteso più di quello che c’è
stato. Anche a me lui piace, ma niente di più.”
Bene,
la situazione iniziava già a districarsi.
“E
alla fine arriviamo alla nota dolente... Dougie.”, disse Tom,
sospirando e
grattandosi la testa.
“Sì...”,
disse lei, allontanando lo sguardo sulla tv.
“Anche
per me il suo comportamento di ieri è sembrato del tutto
irrazionale... ma poi
ho riflettuto, ho capito ed ho avuto modo di chiarirmi con
lui.”, le disse.
Si
prese una pausa per studiare il viso di Joanna, alla ricerca di qualche
particolare che rivelasse cosa provasse in quel momento.
Rabbia.
“Ancora
devi spiegarmi”, disse Joanna “cosa
c’entra Danny con il fatto che Dougie sia
venuto a casa mia di nascosto..."
“Jo...
forse non dovrei essere io a dirtelo.”, le fece.
“Visto
che sei qua, però, dovresti farlo.”, insistette
lei.
E ora?
Prese
un profondo respiro.
Schietto...
sii schietto.
“Sei
sicura di volerlo sapere?”, le chiese, pura
formalità.
“Sì.”,
disse lei, con tono sicuro.
“Dougie
non vuole essere tuo amico, questo te lo ha detto
chiaramente.”, disse.
Lei
annuì.
“Non
vuole esserlo perchè... semplicemente perchè gli
piaci.”, uscì automaticamente
dalla sua bocca, nonostante avesse cercato di trattenerlo
più al lungo
possibile, “Gli piaci, Jo.”
Lei
parve pietrificarsi.
“A
Doug piaci... piaci molto.”, le ripetè,
“Per questo c’è stato un po’
d’attrito
con Danny... penso che sia venuto di nascosto da te proprio per questo.
Ma non
prenderlo per certo perchè non ho ancora chiarito con lui
questa parte della
storia.”
Lei
sembrava non ascoltarlo.
“E
non vuole essere tuo amico per un altro motivo, forse ancora
più importante di
questo.”, continuò comunque, “Come ti ha
già detto, forse in maniera un po’
troppo brusca, non ti vuole far soffrire. Sa che non potrà
esserti sempre
vicino come vorrebbe... Jo?”
“Eh?”,
fece lei, risvegliata dal suo torpore.
“Jo,
mi stai ascoltando?”, le fece.
“Sì...
sì, Tom, scusami.”, disse la ragazza, abbozzando
un sorriso dolce, “Continua
pure.”
“Non
lo avevi capito che... a Doug piacevi, vero?”, le chiese.
Joanna
scosse la testa.
“Ecco
perchè non volevo dirtelo... avrebbe dovuto farlo
lui.”, le disse, “Anche se
non vuole ammetterlo nemmeno a se stesso, secondo me.”
Le
sorrise.
Povera Jo, le stavano creando tanti di quei casini che aveva tutto
il diritto di non volerli più vedere. Era un peccato, ce ne
fossero state
persone come lei in ogni città che avevano visitato,
sarebbero sempre stati in
tour, anche per il solo gusto di ritrovarle.
“Capito
adesso perchè è successo tutto
questo?”, le chiese.
“Penso
di sì.”, disse lei, con un piccolo sorriso,
“Comunque devo prendermi un po’ di
tempo per una sana e corretta razionalizzazione.”
“Razionalizzazione?”,
le fece.
“Sì”,
disse lei, ridendo per nascondere la sua confusione d'animo,
“è il mio modo per chiamare una lunga serie di
pensieri
contorti e sconclusionati tipicamente femminili.”
“Capito
perfettamente!”, esclamò. Per esperienza
personale, quei piccoli momenti erano
così fondamentali per le donne che era meglio togliere le
tende e lasciarla da
sola. “Beh Jo...”, le disse, “Ho fatto il
piccione viaggiatore... ora ti lascio
alla tua razionalizzazione.”, e si alzò.
“Ok.”,
rispose lei, “Scusa la mia maleducazione, non ti ho nemmeno
offerto qualcosa.”
Era
imbarazzata, se ne stava in piedi con le mani in mano, rossa in volto
come
quando l’aveva conosciuta. A Tom venne di guardare la barra
di cioccolata che
stava solitaria sul tavolo della cucina, dove l’aveva riposta
lei prima di
farlo accomodare.
“Per
farti perdonare”, le disse scherzosanemente, “mi
prendo un po’ di cioccolata!”
“Fai
pure!”, disse lei, contenta.
La
afferrò, ne staccò una coppia di quadrati e, con
gusto, l’addentò.
“Adesso
sarà meglio che vada.”, le fece,
“Altrimenti mi daranno per spacciato.”
Sì,
si era fatto decisamente tardi e non voleva sapere quali brutte parole
gli
stavano riservando i ragazzi, infuriati.
“Certamente.”,
disse la ragazza, abbuiandosi, “In bocca al lupo per
stasera!”
“Ah!
Non dire così!”, esclamò lui,
“Si deve dire: rompiti una gamba!”
Joanna
lo guardò stupita.
“Rompiti
una gamba?”, fece.
Le
annuì.
“Allora
rompetevi tutti una gamba e sappiate che il numero delle emergenze
mediche è il
118!”
“Lo
terrò a mente!”, le fece.
Poi
le si avvicinò. Sarebbe stata l’ultima volta che
l’avrebbe vista, voleva
salutarla. La abbracciò.
“E’stato
davvero un piacere conoscerti, credimi.”, le disse.
“Farò
fede sulla tua parola.”, rispose lei, “Il piacere
è stato tutto mio.”
“Se
mai capitassi in Italia, tornerò a trovarti di
sicuro!”
Si
sorrisero. Era un peccato che finisse in quel modo. Joanna sarebbe
dovuta venire al
concerto, usare i pass per entrare nel backstage e salutarli uno per
uno. Sarebbe dovuta
venire soprattutto per Dougie, ma non poteva obbligarla né
gli sembrava il caso
di forzarla.
“Ci
vediamo allora, Jo.”
“Ci
vediamo Tom.”
Ed
uscì.
Nervosamente,
camminava nella sua stanza come l’ispettore di polizia
intento a rivelare ai
sospettati seduti sul di vano chi tra di loro fosse
l’assassino del padrone di
casa ricco sfondato. Girava intorno al letto, percorrendo quei pochi
passi
avanti ed indietro, con le braccia incrociate sul petto ed il mento
retto dalla
sua mano.
Ogni
tanto, lanciava un’occhiata a quel maledetto poster.
Ognuno
di noi ti ha visto
in un modo diverso. Per me sei, ad esempio, sei la nostra fan ideale:
una che
non grida, che non ci perseguita e che sa rispettare le nostre persone.
Non
gridava: non aveva abbastanza aria nei polmoni e ugola
d’acciaio per farlo, a
meno che il destinatario delle sue urla fosse suo fratello Miki. Ma
anche in
quel caso la sua voce risultava stridula e odiosa perfino a lei stessa.
Non
li perseguitava: era per caso psicopatica? Per quello che lei sapeva,
no...
Sapeva
rispettare le persone: aveva imparato a trattare gli altri come voleva
che lei
stessa fosse trattata, come aveva sentito dire una volta a Danny
durante
un’intervista. Era forse l’unico di tutti i
comandamenti in cui ancora credeva.
Sei
una ragazza simpatica e
carina, una con cui si sta bene insieme.
Dubitava
di quella frase: se ripensava alla domenica al mare e alle varie scene
di
mutismo quasi assoluto, non pensava di essere assolutamente una persona
gradevole. Piuttosto una mummia egiziana rediviva. Riconosceva di
essere
riuscita ad aprirsi con loro, con il tempo, ma comunque troppo tardi...
Stessa
cosa la pensa Harry.
Harry
Judd? Quello che prima l’aveva tartassata chiedendole se
fosse lesbica, che poi
aveva ironizzato sul suo status di guida turistica mentre
chiacchieravano sulla
spiaggia... quello che si era incavolato perchè
l’aveva mancata col suo
cappotto volante, quello che l’aveva snobbata quando erano in
Piazzale
Michelangelo...
Non ti
odia, credimi.
Assolutamente
no...
E’
che lui capito fin
dall’inizio che ci sarebbero state delle complicazioni ed ha
cercato di...
salvare il salvabile.
E
se lo aveva capito prima di tutti... perchè era stato zitto?
Perchè non aveva
parlato? Se avesse detto qualcosa, tutto quello non sarebbe successo!
Lei lo
aveva sempre sostenuto: nella vita bisognava essere schietti, parlare,
dire le
cose come stavano, altrimenti tutto si sarebbe complicato, sarebbe
diventato
troppo confuso per essere poi capito e razionalizzato. Proprio come in
quel
momento.
Danny...
beh, a Danny sei
sempre piaciuta e te lo ha anche dimostrato, ma sapeva che non sarebbe
stato
niente di importante.
Non
c’era nient’altro da aggiungere su
di lui, tutto quello che c’era stato tra loro era chiarito.
Fine della
questione.
E alla
fine arriviamo alla
nota dolente... Dougie.
Una
nota dolente alta dieci centimetri più di lei, con i capelli
per metà
ossigenati e spettinati.
Una
nota dolente della quale si era fidata.
Una
nota dolente che l’aveva illusa.
Una
nota dolente che non voleva più suonare.
Guardò
la sua faccia buffa sul poster.
Anche
per me il suo
comportamento di ieri è sembrato del tutto irrazionale... ma
poi ho riflettuto,
ho capito ed ho avuto modo di chiarirmi con lui.
Beato
lui, allora, che lo aveva capito perchè lei ancora doveva
arrivarci. Non c’era
da discutere sull’irrazionalità di Dougie ma,
soprattutto, sulla sua
incoerenza. Ormai aveva concluso questo capitolo, ne aveva tratto una
conclusione che le sarebbe stata utile in futuro.
Sei
sicura di volerlo
sapere?
Col
senno di poi, avrebbe detto ‘no grazie, meglio ignorante che
scioccata’.
Non
vuole esserlo perchè...
semplicemente perchè gli piaci.
E
uno...
Gli
piaci, Jo.
E
due...
A Doug
piaci...
E
tre...
Piaci
molto.
L’aveva
capito, non era mica una scema! Aveva compreso fin troppo bene,
purtroppo. Non
sapeva cosa pensare... Dougie? Non aveva fatto niente per dimostrarle
una cosa
del genere, non se lo sarebbe mai aspettato.
Non lo
avevi capito che...
a Doug piacevi, vero?
Appunto.
Per
questo c’è stato un po’
d’attrito con Danny...
Nemmeno
quello aveva capito... lo stava facendo in quel momento, ora
le era
tutto chiarissimo. Aveva pensato, durante la cena al ristorante, che
Dougie si
fosse comportato in quel modo per via di lei, per via del fatto che non
voleva
esserle più amico. Invece c’era anche Danny...
Dio,
che vita!
All’inizio, quando li aveva conosciuti,
si era posta la seguente domanda, accantonata dopo pochi attimi: chi le
piaceva
di più tra loro? Adesso era cambiata in: a chi di loro lei
piaceva di più? Tutto
quello era tremendamente squallido, come poteva lei essere la causa
dell’attrito
tra i membri di una band così unita? Non voleva crederci,
non era possibile,
lei non meritava tutta quella importanza. Lei, che non era
nessuno per loro, solo
una fan come le altre...
Penso
che sia venuto di
nascosto da te proprio per questo.
Di
nascosto... perchè Danny non lo doveva sapere... Ma
che storia patetica era quella? Che film insulso stava guardando?
Dov’era il
telecomando per fermare tutto e cambiare canale? Lei
non voleva vivere tutto quello, non voleva ritenersi responsabile di
fatti e
situazioni che erano sfuggiti al suo controllo. Guardò di
nuovo la sua immagine
sul poster, avvicinandosi alla porta, come se potesse darle le rispose
di cui
aveva bisogno.
You
understand my pain
From this I gather strength
In that we are the same
Lanciò
un’occhiata al poster degli Staind dal quale Aaron Lewis, il
cantante ombroso
ma paffuto, gli aveva suggerito quelle maledette parole della loro
‘Reply’.
Dougie
non doveva permettersi di riuscire a comprendere il suo dolore. E
lei non doveva guadagnarne alcuna forza.
Loro
non erano uguali. Lei era Joanna, lui Dougie.
“Capito?”,
esclamò allo statico Poynter, tappandosi poi la bocca
sentendosi stupida.
Quella
immagine non poteva assolutamente parlarle... ma forse quella in carne
ed ossa
sì.
Corse
in cucina ed afferrò il telefono. Nel frattempo, su un
foglietto adesivo
scrisse il suo messaggio per Miki.
Si
scusò milioni di volte per il tempo perso in albergo, in
cerca di qualcosa che
non seppe spiegare ma che aveva miracolosamente ritrovato nelle tasche
dei suoi pantaloni. Li
aveva liquidati in quel modo e, non appena la situazione si fu calmata,
ne
approfittò per prenderlo in disparte.
“Che
cosa ti ha detto?”, gli domandò Dougie, impaziente.
“Sinceramente?
Niente.”, risposte Tom sospirando, “Le ho
parlato... ma lei non si è espressa
molto a riguardo.”
“Cosa
vuol dire che non si è espressa molto al
riguardo?”, sbuffò Dougie,
“Avrà pur
detto qualcosa!”
“No,
Poynter...”, gli ripetè, “Credimi se ti
dico che non mi ha detto molto.”
“E’
sempre stata zitta?”, esclamò di nuovo
l’altro, “Hai parlato con un muro?”
Tom
si spazientì della sua insistenza.
“Ascoltami
Doug”, gli fece, “le ho detto quello che doveva
sapere e l’ho lasciata a
riflettere. Non ha detto niente perchè è rimasta
sorpresa.”
“Sorpresa?
C’era da festeggiare?”, ironizzò Dougie.
“Volevo
dire che non si aspettava che le dicessi determinate cose.”,
si spiegò meglio
Tom, guardandolo dritto negli occhi.
“Determinate
cose? Quali cose?”
Tom lo lasciò definitivamente, liberandosi di lui con un
cenno di testa sconsolato.
Che
cosa aveva detto a Joanna? Perchè lei doveva rimanere
sorpresa di quello che
aveva saputo?
“Fletcher!”,
lo richiamò, ma Danny gli si parò davanti insieme
a Harry, bloccandogli ogni via di fuga.
Il
trio si guardò: tra di loro, chi pretendeva spiegazioni, chi
cercava sostegno negli occhi
degli altri.
“Vi
spostate o no?”, chiese permesso Dougie.
“Senti...”,
disse Danny, trovando conforto nel grattarsi la testa, “Io
voglio finirla con
questa storia.”
“Già.”,
aggiunse Harry, “Non ha senso.”
“Non
voglio fare la figura del perbenista”, disse Danny,
“o di quello che porta
rancore per cose inutili.”
“Tutto
questo è stato creato da stupide incomprensioni.”,
disse Harry, “Ma non te ne
do la colpa, so che hai avuto i tuoi motivi per comportarti
così e li
rispetto.”
“E
poi ognuno di noi ha avuto le sue magagne, ora come in
passato.”, riprese
Danny, “Ci siamo spesso tirati dentro alle situazioni
personali degli altri,
creando casini ben peggiori.”
“Oh
sì...”, disse Harry, annuendo con convinzione.
“Non
mi sembra il caso di essere ancora incazzati.”, disse Danny,
“Voglio dire, mi
dispiace per quello che ci siamo detti... ma eravamo come ciechi,
ognuno dentro
alle proprie scarpe... senza mettersi nei panni
dell’altro.”
“Molte
cose ancora non sono state chiarite”, prese di nuovo il
comando Harry, “ma non
chiediamoci di sedere davanti ad una tavola rotonda per spiegare tutti
i
piccoli particolari di questa storia.”
“Ormai
non hanno più importanza.”, aggiunse Danny.
“Infatti...
Domandiamoci semplicemente scusa, forse questa vacanza ci ha distratto
un po’
troppo.”, concluse Harry.
Dougie,
che per tutta quella conversazione aveva fatto la scena muta
perchè troppo interessato
a cosa avevano da dire i suoi compagni, non ebbe nulla da ridere in
proposito.
“Scusatemi.”,
disse semplicemente, “Ho fatto il coglione come
sempre.”
Danny
gli sorrise.
“Altrimenti
che Poynter saresti?”, disse Jones, dandogli una pacca sulla
spalla, “Sappiamo
tutti che le donne ci danno alla testa e che diventiamo completamente
scemi per
loro.”
Era
vero, erano note a tutti loro le stupidaggini che avevano fatto per le
donne e
quella semplice frase bastò ai quattro per riappacificarsi.
“Decisamente.”,
sottolineò Harry, “E anche noi non ci siamo poi
comportati meglio di te.”
Forse
furono scuse frettolose, forse furono troppo poco approfondite per
mettere
definitivamente la parole fine a quello che era successo. Ma
in fondo... che cosa era successo? Lui e Danny si erano invaghiti della
stessa
ragazza, ognuno di loro a modo proprio. Lui si era lasciato prendere
dalla gelosia,
aveva agito di nascosto –mosso da una serie di motivazioni
fasulle, sotto le
quali stava appunto la sua gelosia- e, alla fine, aveva voltato le
spalle a
quella stessa ragazza perchè aveva compreso che, comunque,
niente avrebbe
potuto esserci tra loro. Lui aveva combinato tutto quello, lui vi aveva
posto
una fine. Un perfetto esempio di trama circolare, appartenente a un
film di
scarsa qualità che i critici cinematografici avrebbero
ampiamente stroncato. Un po' come il film a cui avevano partecipato, Just my luck,
pensò con ironia.
Al
di là , alle loro spalle c’era
un’amicizia profonda, cementata nel tempo, che
veniva solo scalfita da momenti come quello. Qualsiasi cosa sarebbe
successa, aveva fatto il suo tempo.
Allora,
eccoci qua, ragazzuole! Lo so, lo so, sto capitolo è d'un
piattume esagerato, altre seghe mentali, niente fatti concreti, solo
tante parole vane. Sapete (certo che lo sapete), io amo i
capitoli in cui c'è una lunga ed estenuante riflessione da
parte di uno dei protagonisti. E so anche che a molte di voi
ciò non piace, ma non posso (o meglio, non riesco) ad essere
più sbrigativa, meno riflessiva, meno contorta. Mi
piace approfondire psicologicamente tutti i personaggi, valutare le
loro posizioni, farli riflettere... Sarà anche che, tra i
miei scrittori preferiti, ci sono Ken Follet e Umberto Eco e, per chi
di voi ha letto qualcosa di loro, capirete sicuramente a cosa mi ispiro
quando si parla della prolissia, malattia che mi colpisce nelle viscere
XD
Lo so, lo
so... e allora perchè non movimento tutto???
Perchè questo succederà
dal prossimo capitolo in poi che, come molte di voi giustamente hanno
afferrato, parlerà del concerto, così come di
quelli a venire.
TITOLO: Sorry's not good enough... il resto l'ho aggiunto io ^^"... capito perchè amo questi quattro??? Capito? E' ovvio!
Ringraziamenti: frettolosi -.-
Kit2007:
Tom è stata la rivelazione del capitolo passato e di questo...
insomma, io amo chi sta in disparte, perchè di solito se ne esce
sempre fuori con le migliori parole... E nella realtà, lui non
ci sta mai XD no, non per questo lo odio, lo amo alla follia, mi
riferivo solo al fatto che, nella mia storia, la sua voce è
sempre rimasta fuori campo, lasciando lo spazio agli altri tre. E' il
vice-grillo parlante, il posto ufficiale è di Harry, lui
interviene solo quando anche il mio caro e sbavoso batterista ha finito
le sue risorse XD
Princess: Mugliera!
Ciribiricoccola:
Ma certo, tu sei la Pazza numero uno! E ultimanente, strano ma vero,
Michael Jackson mi perseguita! Alla radio, alla tv... alla fine mi
converto! XD Ecco qua che ho dedicato un terzo del capitolo ancora a
Tom, che, poverello, ha dovuto combattere contro fiere e draghi per
parlare con Joanna!
Giuly Weasley:
nella banda, c'è sempre quello che attacca prima di tutti,
mentre gli altri gli vanno dietro come formiche... Alias, Dougie. E il
resto dietro a lui. Ho reso l'idea? Sicuramente, perchè tu l'hai
afferrata abbastanza bene!
Picchia:
baciamo le mani... e grazie, ormai il ritardo cronico è una
sindrome che infesta i pezzi meglio della sezione XD ma figurati, ho
tante di quelle cose da scusarmi io! XD
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Capitolo 19 *** Obviously ***
19. Obviously
Si
mangiava le unghie nervosamente, guardando fuori dal finestrino
dell’auto. Era
totalmente incerta sul da farsi, e si rigirava i pass tra le dita della
mano, l'unca delle due libera
dalla tortura dei suoi denti. Stava tribolando, era una
macina di
pensieri, ed era involontariamente buffa. Andare. Non andare. Andare,
non andare. La risposta poteva sembrare semplice -andare, adesso- ma
Joanna continuava ad avere ripensamenti, incertezze, dubbi.
“Se resteremo qua tutta la sera...”, le disse
Arianna, lasciando di proposito la frase
incompleta.
“Aspettiamo
altri cinque minuti.”, ripetè Joanna, come altre
decine di volte prima.
“Me
lo hai proposto per ben dieci volte, ed è
già passata già un’ora.”, le
fece, sospirando.
“Aspettiamo
che finisca di piovere.”, avanzò lei.
“Non
smetterà prima di notte fonda.”,
incalzò Arianna.
“Aspettiamo...
che esca qualcuno.”
“Vuoi
entrare dopo la fine del concerto?”, sbuffò la
donna, stancatasi, “Non te lo permetteranno.”
“Ma io
ho
i pass.”
“Sarà
lo stesso, non gliene fregherà niente.”, le disse,
scuotendo la testa, “Non
troverai il coraggio che ti serve finchè non scenderai da
questa macchina.”
“Non
mi manca il coraggio!”, protestò la ragazza, con
forza.
“E
allora cosa fai ancora qua?”
Joanna
bofonchiò qualcosa e, in un batter d’occhio, fu
fuori
dall’auto, sotto lo sguardo stupefatto di Arianna. I suoi
passi
erano veloci, dritti, pieni di un coraggio che fino a qualche secondo
prima sembrava solo un'utopia lontana.
“Oh cristo!",
esclamò Arianna,
"Fermati!”, e scese dall’auto, per correrle dietro.
Ma Joanna procedeva svelta, con decisione, e si bloccò solo
per
non essere investita da un’auto di passaggio; per Arianna fu
abbastanza difficile raggiungerla prima che lei arrivasse alle porte
del palazzetto.
La plastica protesse i tesserini dalla pioggia e, una volta mostrati
agli addetti
all’entrata, questi le lasciarono passare senza problemi,
indicando loro la
persona a cui avrebbero dovuto rivolgersi per poter entrare nel
backstage, come loro concesso.
La musica dei
McFly, sul palco in piena sessione davanti a
fan urlanti e vocianti, rimbalzava contro le pareti circolari del
palazzetto: tutti, tranne gli addetti ai lavori, cantavano a memoria le
note di ‘Please please’.
Tom gridava al microfono, Danny gli stava vicino con la sua Gibson.
Joanna
stette a guardarli solo per qualche attimo, stupefatta, con il cuore
martellante in petto per l'emozione; ma poi, con lo stesso imperterrito
passo,
si diresse verso la persona indicatale dall’addetto
all’entrata.
“Jo!”,
esclamò Arianna, prendendola per
un braccio, e cercando di sovrastare la musica, “Ma che pensi
di fare?”
La
scosse. Era sempre stata abituata a vederla in
tutt’altri panni: quelli della timida ed impacciata Joanna, e
le faceva
paura vederla comportarsi in quel modo,
“Stanno
suonando! Sei uscita di senno?”, le ricordò
Arianna, “Non ti faranno mai salire
sul palco!”
“Ma certo che lo faranno, me lo hanno
promesso!”, urlò la ragazza, “E poi...
Glielo tolgo
di
mano e...”
“Calmati!”,
le fece Arianna, prima di darle un piccolo schiaffo in viso che la
rinsavì.
“Sì...
hai ragione.”, disse Joanna, con una guancia rossa per il
ceffone e l’altra
viola per la rabbia.
“Ok...”,
fece la donna, prendendola per mano, “Ora andiamo in bagno.”
"Ma non ho bisogno di fare pipì!”,
protestò Joanna, sempre più imbufalita.
“Ti devo sistemare.”, le impose
Arianna, afferrandola con forza e trascinandola nelle toilette vuote.
Lì
dentro, una volta chiuse le porte, il rumore assordante del concerto
era lievemente attutito, ma comunque era difficile riuscire a
combattere contro la musica, che riempiva le orecchie con le chitarre e
i ritmi veloci delle canzoni.
“Jo,
mio dio, i capelli... si sono tutti increspati.”, le disse,
dopo una rapida occhiata alla
capigliatura della ragazza.
Doveva
riuscire ad ammorbidire quel
suo aspetto indemoniato –e
pienamente giustificabile- e ad
addolcire gli
occhi arrabbiati.
Nell’attesa in auto, le aveva raccontato
tutto quello che era accaduto, dalla prima all’ultima parola
e, data l’innata
solidarietà femminile, non poteva fare altro che appoggiare
la sua decisione di
parlare apertamente con Dougie, anche se non riteneva fossero
propriamente necessarie determinate misure drastiche
contro quel povero ragazzo indeciso.
Mentre
la ragazza sbuffava, guardandosi nel riflesso dello specchio con
cattiveria, ne
approfittò per pettinarle i capelli e dividerli in due
ciocche. Queste poi
diventarono due trecce, abili nel distrarre l’occhio altrui
dalla sua
espressione imbestialita.
“Fammi
dare un po’ di colorito alle guance.”, le fece,
costringendola a voltarsi.
Dopo
qualche sbuffata di rosa e un lievissimo tocco di matita nera, Joanna
fu
deliziosamente presentabile.
“E
piega questa bocca storta in un sorriso!”, le fece, dandole
una pacca sulla
spalla.
“Andiamo,
voglio proprio vedere che faccia farà!”,
esclamò lei, scomparendo in un battito
di ciglia dal bagno.
Una volta presi sotto braccio i loro cappotti e le borse,
Arianna cercò
di stare ancora al suo passo, e la afferrò
che era quasi di fronte al burbero uomo in nero.
“Deficiente!”,
le urlò, “Dobbiamo portare queste cose al
guardaroba!”
“Fallo
tu!”, protestò lei, liberandosi e infilandole tra
i denti il suo pass,
“Qualsiasi cosa succeda, non perdere la calma. Io ne
uscirò illesa.”
Arianna
borbottò qualcosa.
“E
verso le undici e mezza chiama Miki.", la avvertì la
ragazza,
"Digli che... che dormirò da te, così non
romperà
le scatole!”
Lasciò
che la pentola a pressione, bollente dentro di sé, venisse
camuffata da un
sorriso gentile e smorfioso. Mostrò all’omone il
suo pass, lui lo esaminò con
cura e glielo restituì, consigliandole vivamente di portarlo
appeso al collo.
“Ma
io non ho niente per appenderlo.”, gli disse.
Al
che l’uomo, senza mai tradire la sua espressione seria, si
frugò in tasca e le
porse una piccola clip, con la quale potè agganciare il
tesserino allo scollo
della maglietta nera.
“Grazie,
molto gentile.”, gli disse.
La
condusse verso una piccola porta bianca, su cui troneggiava il classico
e poco accattivante cartello 'Staff
Only'. Al di là di essa, Joanna si
trovò
accompagnata all’interno del backstage del palazzetto, con
il pass in bella vista sul petto. Un
altro signore la accolse,
meno burbero di quello precedente ma sempre altissimo, e le chiese
cortesemente da chi lo avesse avuto.
“Da
Tom.”, rispose lei.
“Ah,
allora sei quella ragazza italiana di cui hanno tanto
parlato.”, fece lui, riconoscendola e sorridendole con
cordialità, "Vuoi vedere il
backstage?”
“Si
può andare sul palco?”, chiese lei, diretta.
Si
stupì di se stessa: non si era mai sentita così
lucidamente arrabbiata con
qualcuno. Era calma, fredda e razionale: voleva prendere
quel ragazzo ed imporgli una sonora lezione. Dougie le aveva fatto del
male e lei, ovviamente, ne avrebbe fatto a lui, ma in modo abbastanza
particolare.
Il suo paese, infatti, era conosciuto in tutto il
mondo per
quella particolare organizzazione criminale ramificata e capillare, che
portava universalmente il nome di mafia.
E cosa facevano i mafiosi?, si era chiesta. Le vendetta trasversali, si
era risposta, ed allora lei, da buona italiana, ne avrebbe compiuta una.
L’uomo
esitò nel risponderle.
“Certo,
però devi rimanere in disparte, dietro le
quinte.”, le disse, “Al momento giusto, informeremo
i
ragazzi della tua presenza, ma prima di quel momento non devi
assolutamente precipitarti da loro. Ci siamo intesi?”
“E
chi vuole farlo?”, esclamò ridendo.
Io lo
voglio fare. Io!
“Perfetto!”,
fece l’uomo, contento che lei avesse capito al volo quelle
basilari regole senza obiettare,
“Seguimi.”
Il
loro percorso si snodò in mezzo a corridoi simili tra loro,
brulicanti di persone in piena attività, che sembravano
conoscere quel posto come le loro tasche. L'uomo la portò
verso
una scalinata e, sentendo la musica salire esponenzialmente,
Joanna
comprese che quella era la strada verso il palco. Infatti,
già
dall'ultimo gradino potè
vedere Harry che percuoteva con forza la sua batteria, segnando il
tempo di Transilvania.
Il
signore, di cui ancora non aveva saputo il nome, le indicò una immaginaria
linea rossa, oltre alla quale lei non poteva andare, e rimase al suo
fianco per tutto il tempo, pronto a scattare nel caso in
cui lei fosse sfuggita dal suo vigile controllo.
People marching to the drums,
Everybody's having fun to the sound of love
Era
il refrain della canzone, lo stesso Dougie aveva ne scritto le
parole ed era sempre lui a cantarne il ritornello. Sarebbe
stato
bello interrompere tutto, presentandosi tra di loro nel bel mezzo
dell'esibizione, ma non aveva intenzione di creare così
tanto
scalpore. Almeno, non così presto, e Joanna se ne rimase
lì, a godersi il concerto e le canzoni che vennero dopo di
quella, tra cui Five colours
in her hair, il loro primo successo; Too close to comfort, la
canzone che la faceva piangere ogni volta che ne vedeva il video del live su
internet; Bubble wrap, una tra le
sue preferite in assoluto, e così via per un'altra ora.
Si divertì, canticchiando e cercando di non muoversi troppo
per
non dare nell'occhio, e non potè fare altro che
appassionarsi ancora di più a quel gruppo, a quei tre ragazzi
fantastici.
“Tra
poco ti annunciamo.”, le disse il signore urlandole in un
orecchio, “Non abbiamo voluto farlo prima perchè, i ragazzi non ci
avrebero
sentito, gli auricolari trasmettono la musica che loro stessi suonano.
Ma soprattutto, li avremmo distratti, e loro non amano molto che li si
disturbi durante lo show.”
“Ne hanno tutti i diritti.”, rispose Joanna, con
tranquillità, “E poi non c’è
fretta.”
No,
non c’era assolutamente
fretta.
E
tornò a cantare le parole dell'ennesima canzone, That girl, cercando di contenersi il
più possibile: fosse stata in camera sua, tra le sue quattro
mura familiari,
tutti avrebbero potuto osservare una Joanna inedita, quella che
ballava,
scuoteva la testa e il sedere, senza troppe preoccupazioni.
Di
lì a poco la canzone venne conclusa, dopo un lungo gioco tra
le
loro voci che
coinvolse anche il pubblico, rendendo il tutto divertente e piuttosto
spettacolare. Lo
show era stato veramente di ottima qualità, luci e suoni,
fumo e
musica erano stati
sistemati nel migliore dei modi possibili. L'unica pecca era il
pubblico, non molto folto. Quante persone ci potevano essere
là
fuori? Duemila? Erano un manciata di formiche in
confronto a pienone dell’arena di Wembley, di solito
completamente sold out...
“Ti
abbiamo annunciato.”, le disse l’uomo.
Evvai!
Joanna
si voltò verso il palco, dove
vide Harry sbracciare verso la sua direzione e, una frazione di secondo
dopo, si distrasse al suono della voce di
Danny, amplificata dalle casse.
Poteva
vedere solo il batterista, seduto davanti al suo strumento,
perchè gli altri erano fuori dal suo
campo visivo. Non che il palco fosse stato grande quanto un continente,
ma Joanna si vedeva quasi costretta dietro al grande pannello nero, che
costituiva il muro laterale sinistro del palcoscenico, e per tutto il
concerto aveva faticato a vedere i tre in pole position.
Quel signore accanto a lei non le permetteva ancora di
spostarsi più di tanto, tenendola sempre
sott'occhio.
“Non
sapete chi c’è qui con noi in questo
momento!”, disse Danny al pubblico, che esplose
in un boato di grida.
“Una
persona speciale!”, disse Tom, “L’abbiamo
conosciuta quando siamo arrivati
qua.”
Nei secondi successivi, scanditi dal silenzio dei ragazzi, il
pubblico iniziò a quietarsi: chissà se,
là
sotto, stessero comprendendo quello che dicevano. Gli italiani
non erano mai stati noti per le loro abilità linguistiche,
molte di quelle
persone sicuramente conoscevano a fatica il significato delle loro
canzoni.
"Sono ben sei giorni che siamo in città, a fare i
turisti.”, riprese Tom, causando un altro
boato,
"Che
dici, Jones, la facciamo entrare?"
“Little Joanna!”,
la chiamò Danny.
Solo
in quel momento, il signore accanto a lei si spostò, dandole
implicitamente il via libera. Ma
i suoi piedi si pietrificarono.
Cazzo!
Cammina, cretina che
non sei altro!
Le
gambe erano diventate dei pezzi di marmo, saldamente ancorati al
pavimento, e la sua volontà, prima ferrea e imperturbabile,
si
era affievolita come un palloncino sgonfiato.
“Puoi
andare adesso.”, la invitò l’uomo,
vedendola in difficoltà.
“Joanna!”,
la chiamò ancora Danny, “Vieni qua!”
E
muoviti, cogliona!
La
paura l’aveva completamente bloccata, ogni rabbia era
improvvisamente sbollita.
Fissava Harry con occhi sbarrati, che rideva e scuoteva la
testa.
Non
voleva più andarci su quel palco, non voleva più
vedere la faccia stupita di Dougie,
non voleva più niente, ma solo scomparire dalla faccia
della terra. Involontariamente,
si trovò ad indietreggiare intimidita, sotto lo sguardo
stupefatto del signore
che l’aveva portata lassù. Fu Danny a bloccare il suo
tentativo di fuga, apparendole davanti. I suoi auricolari pendevano sulle spalle, ed era senza
chitarra.
“Hey!”,
le fece, “Eravamo sicurissimi che non saresti
più
venuta!”
Con una certa difficoltà, Joanna si schiarì la
gola.
“Beh...
ho cambiato idea.”, rispose.
Gli
occhi di Danny
brillavano. I
suoi erano pietrificati dallo spavento.
“Dai,
fatti conoscere.”, le disse, prendendola per mano.
“Ma
quelle mi insulteranno per sempre!”, frignò lei.
Lui
la guardò stupefatto.
“E
la piccola stronza che c’è in te? Dov’è
quella che vuole far crepare di invidia le nostre fan?”,
le fece,
“”Dov’è
la mia amata Bitchy
Joanna?"
“Forse
si è persa...”, mormorò.
Bitchy
Joanna? Dove sei? E’
morta!
“La
ritrovo io!”, esclamò.
In
un gesto rapido, le passò una mano sotto le ginocchia e
l’altra lungo la
schiena, sollevandola senza alcuno sforzo da terra. Si fece conoscere così, tra le braccia di
Danny, e chiedendosi cosa stessero pensando di lei tutte quelle
ragazze, sotto al palco.
Se
potessi avere un euro
per ogni parolaccia che sta balenando nelle loro menti, diventerei
ricca come Donald Trump... però senza il ciuffo di riporto
sulla testa.
Ma
il
pensiero dei loro possibili insulti venne presto oscurato
perchè, finalmente,
potè vedere la faccia di Dougie. La fissò per
gran parte
del tragitto, cullata dal passo di Danny, e non fu in
grado
di interpretarla. Era confuso? Era
arrabbiato? Era stupito? Se ne stava lì, con quel suo cavolo
di basso verde, a
non esprimere nessuna emozione. Niente.
Anche il
pubblico pareva indeciso sul da farsi: tirarle contro qualche insulto
oppure
qualche scarpa?
Danny
la posò vicino al suo microfono.
“Ah, quanto pesi Joanna!”, sbuffò, e
l’audience reagì ridendo.
Ma
guardate, stasera tutti gli italiani anglofoni si sono riuniti
qua!
Nemmeno
la sua Bitchy Joanna, nata e battezzata da Danny
esattamente quella sera ,
riuscì ad impedirle di avvampare.
“Scusatela”,
disse Danny, “è
molto timida, la state
mettendo in imbarazzo.”
“No,
tu la stai mettendo in imbarazzo.”, intervenne Tom, che le si
era
avvicinato. Aveva in mano due microfoni, trovati chissà
dove, magari glieli aveva dati qualcuno da dietro le quinte.
“E’
un vero piacere per noi averti qua, Joanna.”, disse il
ragazzo, porgendogliene uno.
Lo prese tra le dita tremanti, e lo strinse con entrambe le mani.
“Vuoi
dire qualcosa al pubblico?”, le fece Tom, interrompe.
Joanna
guardò le facce là sotto, immerse per gran parte
nel
buio, mentre i flash
delle macchine fotografiche e le luci della regia illuminavano
l'atmosfera qua e là, in un ritmo sincopato che toglieva il
fiato. Tutta quella gente, poca o tanta che fosse, era venuta
lì
per loro, lì per dimostrare ai McFly che anche l'Italia era
un
paese da ricordare, e in cui tornare a suonare, magari nel prossimo
tour.
Ma, per adesso, erano tutti in attesa di Joanna: aspettavano
lei,
la sua voce... Che ovviamente non voleva saperne di uscire dalla bocca.
“Magari
entro la fine dell’anno!”, esclamò
Danny, mettendosi a ridere.
“Dio,
quanto sei noioso!”, sbottò Joanna, in
un'inaspettata esplosione di sincerità.
Hai
un microfono in mano, sotto di te centinaia di fans di Danny, e tu lo
insulti... Ti hanno lobotomizzato senza che lo sapessi?
Il
pubblico non riuscì a trattenersi. Nel
palazzetto,
quell’esclamazione suonò
amplificata ed italianissima, scatenando una reazione a catena di
insulti misti a risate, e ci volle tempo prima che tutti si calmassero,
compresi gli stessi McFly, ai quali aveva poi fatto una pronta
traduzione delle sue parole.
Harry, nel frattempo, aveva lasciato la sua batteria e si era unito a
loro.
“Dicevamo", Tom riprese in mano la situazione, una volta
ripristinata, "Joanna è
la prima fan italiana che abbiamo conosciuto qua, dal vivo.”
“Sì,
ci ha sopportato per tutti questi giorni, riempiendoci di
attenzioni.”,
continuò Harry, con tono molto ironico.
“E
di pungi sulle braccia.”, ironizzò Danny.
Spaventata dalla credibile riottosità delle ragazze del
pubblico, Joanna cercò di minimizzare.
“Non
è vero!”, protestò.
“Me ne ha dati quattro.”,
precisò Danny, peggiorando la sua posizione, “Ne
porto ancora i segni.”
Joanna aveva già progettato un suo possibile piano di
decesso:
avrebbe voluto morire di vecchiaia, magari in un giorno di autunno,
circondata dall'affetto dei parenti e degli amici. Non era stata
nemmeno prevista la possibilità di farlo nel bel mezzo di
una
carica selvaggia, sostenuta da fans imbizzarrite e con gli occhi
schizzati di sangue.
“E
dire che quando ti abbiamo conosciuta eri così...
simpatica!”, infierì di nuovo
Danny.
La sua fine era già stata stabilita: Joanna non si
trattenne, e gli rifilò la quinta pacca.
“Visto?”,
fece al pubblico, dal quale si levò un coro di proteste.
“Buone...
buone...”, disse Harry, “O vi diamo Dougie in
pasto.”
Le
voci cattive si trasformarono subito in cori e grida eccitate, mentre
Dougie cercava a sua volta di negarsi da quella fine, in pasto ai leoni
ed alle leonesse. Joanna ne approfittò per
adocchiarlo un po’: era sempre lì con quel suo
maledetto strumento e i suoi sorrisi idioti, le occhiate che parevano
indifferenti, come se niente fosse mai successo. La rabbia
tornò a ribollire dentro di lei, a borbottare come il
caffè, salito lungo il tubicino di acciaio dentro alla moka
e pronto per essere versato dentro alle bianche tazzine.
Poteva
un basso scatenare tutte quelle pulsioni inconscie? Evidentemente
sì.
“Posso
farvi una richiesta ragazzi?”, disse Joanna, recuperate le
sue facoltà.
“Ti
dobbiamo dedicare una canzone?”, domandò Danny.
“No,
troppo scontato.”, gli rispose, “Voi non sapete che so suonare uno
strumento."
I
ragazzi, infatti, furono del tutto stupiti. Le avrebbero mai creduto?
Certo che no, ovviamente.
“E
quale strumento è?”, chiese subito Tom.
Uno...
due... tre!
“Il
basso!”, esclamò.
Dopo qualche istante di comprensibile smarrimento, i ragazzi iniziarono
a
chiederle conferme, a dire che non era vero, che se lo stava
inventando, ma alla fine riuscì a convincerli. Lei sapeva suonare
il basso... Soprattutto quello
di Dougie.
"E perchè non ce lo hai mai detto?", le domandò
Harry.
"Eh... voi non me lo avete mai chiesto.", rispose classicamente Joanna,
alzando le spalle, "Ma l'ho studiato per pochissimo tempo, un paio di
anni fa, quindi non so se mi ricordo tutto."
“Forte!”,
esclamò Tom.
“Sai
qualche nostra canzone?”, fece Danny, “Potremmo
suonarla insieme!”
“Certamente!”,
disse lei con entusiasmo.
I ragazzi tornarono ai loro posti, e a Joanna non rimase altro
da fare che avvicinarsi a Dougie. Gli andò incontro con
calma ed aspetto amichevole, osservando i lineamenti del suo
viso... Le stava forse sorridendo? No, sfortunatamente era solo
un’impressione, un’illusione ottica
tipica della Monna Lisa, che sembrava sorridesse, ma invece era
semplicemente a
bocca mezza storta.
Lui
si tolse lo strumento di dosso e glielo passò, occupandosi
dell’asta del
microfono. Doveva abbassarla al suo livello.
Sai
dove te lo metterei quel
microfono?
“Che
canzone sai suonare?”, le chiese Danny, a qualche metro da
lei.
Ne scelse una a caso.
“Obviously.”,
rispose mentre cercava di indossare quel basso.
La tracolla è
troppo lunga.
Dougie,
in piedi accanto al microfono, sembrava avere l’intenzione
di aiutarla a restringerla.
Via
quelle manacce da me.
“E’
a posto così.”, gli disse, con un sorriso
abbozzato.
“Ma
è troppo...”, si oppose Dougie.
“Tranquillo,
ci arrivo.”, rispose lei.
In
effetti, le pendeva fin quasi alle ginocchia ma non era importante.
Poco convito, Dougie
si allontanò per sedersi sul bordo del palco: una gamba
penzolava nel vuoto
sotto di lui, l’altra stava piegata sul margine e su di essa
sostavano le sue
mani congiunte.
“Sei
pronta Joanna?”, le disse Danny.
“Sì,
partite pure!”, rispose, trattenendo ogni risata.
Gli
accordi di chitarra partirono, aprendo una delle loro canzoni
più famose. Lei doveva solo aspettare qualche accordo, prima
di iniziare a suonare. E,
quando
la voce di Tom aggiunse le parole alla melodia, il pubblico si
affrettò a
seguirlo.
Ora!
Prese
un profondo respiro, e raccolse tutte le energie che riuscì
a trovare in
quell’attimo dentro di sé. Le dita scesero lungo
lo strumento, percorrendo il
bordo verde laccato della cassa, ed afferrarono il jack che lo
collegava agli
amplificatori, staccandolo. Le
parve quasi di sentire il tintinnio metallico della presa elettrica del basso cadere a terra. Poi,
in un gesto veloce
si liberò della tracolla.
Strinse
il lungo manico dello strumento.
Lo
alzò in aria.
E
lo fracassò per terra.
Lo fece schiantare più volte contro il pavimento, sotto
gli sguardi esterrefatti del pubblico e degli altri tre.
Ma
soprattutto davanti alla bocca spalancata di Dougie.
Spero
che fosse stato il tuo
preferito!
Non
contenta, vi saltellò sopra con tutto il suo misero peso,
cercando di ridurlo
in pezzetti così fini da non poter essere raccolti, tranne
che con un potente
aspirapolvere industriale. Si
fermò solo quando non ne ebbe più, ansimante e
sudata per lo sforzo.
Il
mondo intorno a lei si era fermato, bloccato dalla sua lucida pazzia.
Traballante, ma ancora forte, Joanna si
avvicinò al microfono.
“Ehm...”,
disse, rivolgendosi a Dougie.
Cercò
sostegno nella lingua affilata della Bitchy
Joanna, che aveva vissuto fino a quegli attimi dentro la sua
testa. Sembrava
volatilizzata, sparita nel nulla, l’aveva lasciata nel
momento di maggiore
bisogno.
“Che
hai da guardare!”, gli fece, improvvisamente senza stimoli,
“Te la sei voluta!”
Lui non rispose, se ne rimase lì, ipnotizzato come tutti gli
altri. Presa da un magone impossibile da gestire, Joanna
girò
sui tacchi e, a passi veloci, uscì fuori dalle quinte. Tutti
gli occhi erano
puntati su di lei, tutti,
compresi quelli di coloro che lavoravano per quello
spettacolo. Scese velocemente la scalinata, e lungo il corridoio una
mano la afferrò per un braccio con prepotenza,
costringendola a voltarsi.
“Ma
sei pazza!”, tuonò dal suo metro e ottanta il
solito signore che l’aveva
scortata fino al palco, "Cosa credevi di fare!"
“Sapessi
quello che mi hanno fatto passare quei quattro
lassù!”, gli rispose, divincolandosi.
“Lo
sai quanto costano quegli strumenti?”, continuò
l’uomo.
“Lo
sai quanto costa la mia dignità?”, lo
zittì.
Bastò
per non farlo contrattaccare di nuovo. Liberatasi finalmente della sua
prese e della sua presenza, Joanna tornò a correre,
sforzandosi di
trattenere tutte le lacrime che volevano caderle ad ogni costo dagli
occhi. Chiunque ebbe la sfortuna di trovarla sul
suo cammino si affrettò a scansarsi presto,
perchè il suo passo veloce, a testa bassa e
braccia incrociate, era molto eloquente.
Ma un’altra
mano la fermò.
“Cosa
vuoi ancora?”, ringhiò, prima di girarsi.
Era
stato Dougie a fermarla, e non l'altro uomo, come aveva pensato. Dietro
a lui Danny, poi Tom, ed anche Harry: erano tutti in vivida apprensione.
“E comunque che c’è? Non ti è
bastato
che abbia rotto il tuo basso per terra?”
Lui
abbassò gli occhi e si mise le mani nelle tasche dei suoi
pantaloni, nella sua solita posizione vittimista.
“Io
ti ho raccontato cose che non ho mai detto a nessuno...
mai!”, gli disse,
guardandolo con disprezzo, “E tu cosa fai? Mi volti le
spalle?”
Attese
che lui facesse o dicesse anche una sola parola. Doveva reagire, doveva permetterle
di continuare a gridargli contro qualcosa.
“Capisci
quanto mi sia costato parlartene?”, gli fece ancora,
“Riesci ad immaginartelo?”
Lui
scosse la testa, dicendole di no.
“Ah,
ecco, almeno questo sei in grado di riconoscerlo!", esclamò
ancora Joanna, "Finora tutto quello che mi hai detto sono state
solo un mucchio di cazzate!”
“Non
è vero Jonny...”, disse lui, e venne prontamente
interrotto.
“Non
è vero?!?”, sbuffò Joanna, ancora
più arrabbiata.
“Io
ti ho sempre detto la verità!”, obiettò
ancora Dougie, “E’ che mi ci è voluto
del tempo per capire alcune cose.”
"E allora, visto che hai bisogno di tempo per arrivare a comprenderle, fai come
me.”, gli consigliò Joanna, “Invece di parlare senza sapere che cosa dici,
stai zitto e
rifletti. Torna solo quando sei sicuro di ciò che pensi e di
ciò che provi.”
Prima
di voltarsi, asciugò le prime due
gocce amare sulle sue guance, e corse via. Lasciò perdere
gli sguardi della
gente, non le interessavano, voleva solo uscire da quel dannato posto.
Non
si ricordava esattamente quante volte aveva girato l’angolo,
non era mai stata
una buona navigatrice e passò davanti a mille corridoi, uno
uguale all’altro,
senza rendersi conto di dove fosse. Con il passo veloce e gli occhi
annebbiati,
le parve di scorgere un cartello che le indicava l’uscita e
lo seguì.
Girò a sinistra, così come il segnale le aveva suggerito di fare, e si scontrò con una macchia
bianca davanti a lei, i cui contorni erano stati cancellati dalle
lacrime nei suoi occhi. Non ebbe il
tempo di rendersene conto che due braccia la circondarono.
“Little
Joanna.”, le sussurrò Danny, “Finalmente
ti ho preso.”
Una persona amica, almeno una tra tante.
“Dimmi dov'è l'uscita.”, gli disse,
“Non riesco a trovarla...."
“Devi
calmarti prima.”
“Voglio
andarmene!”, protestò Joanna.
“No, stai
tremando…”, le fece, prendendole una mano e
mostrandogliela.
Quello
non era un tremito, era come una malattia, sembrava impossibile da
fermare.
“Fammi
andare a casa, ti prego.”, lo implorò.
“Solo
qualche minuto.”, insistette lui, “Quando ti sarai
calmata.”
“Ma
non riuscirò a farlo qua dentro!”
“Ti
porto nel mio camerino, vedrai che non ti disturberà
nessuno.”, le assicurò,
“Nessuno.”
Le sue sicurezze traballarono, incerte sotto lo sguardo convincente di
Danny. Lui
se ne accorse e, con
la stessa semplicità, la sollevò da terra, per
lui doveva essere leggera come un palloncino. Come se
fosse stata una marionetta appena privata della mano del suo animatore,
Joanna si
sentì improvvisamente senza forze, stanca e fiacca.
Le sua testa cadde sulla
spalla di Danny, che le sorrise scherzoso.
"Sei più
leggera di una piuma, mi devi spiegare dove nascondi tutta quella
forza…”, le disse, sdrammatizzando,
“Spero di non farti mai arrabbiare così
tanto....”, e concluse con una piccola risata delle sue.
Non ebbe la volontà di ribattere, e sorrise solo un po',
stancamente, sicura tra le sue braccia.
Camminarono
pochi metri, il camerino sembrò trovarsi proprio
nelle loro vicinanze, e dopo
essere entrati la fece scendere, per permetterle di sedersi sul divano.
Era
una piccola stanzetta, essenziale ma scarna: uno
specchio, un tavolo, un
guardaroba ed un divano, nient'altro. Tutto era perfettamente
in ordine, come
se nessuno
non vi fosse mai entrato prima di quel momento. C’era
solo un borsone al
lato del sofà, ancora chiuso.
“Dovrebbe
esserci… un po’ d’acqua, da qualche parte.”,
fece lui, studiando un mobiletto della sua stessa
altezza: aprì uno degli sportelli, ma trovò solo
il vuoto.
L'impressione era proprio quella: lui non vi aveva mai messo piede, ed
a Joanna venne da chiedersi se quello fosse stato davvero il suo
camerino e quello vicino al divano il suo borsone.
“Tranquillo,
sono a posto.”, gli disse lei, tranquillizzandolo,
“Avrei solo bisogno di… di un
bagno.”
“Sì.”,
disse lui, indicandole una porta alle sue spalle,
“Il bagno dovrebbe essere quello.”
“Grazie.”,
gli fece, prendendo posto dentro alla stanzetta.
Non
volle nemmeno guardarsi allo specchio: quello che fece fu semplicemente
lavarsi
la faccia, per togliere via tutti i segni del poco trucco, ormai
terribile e colato sulle sue giance, ed asciugarsi
rapidamente. L'acqua fresca sciacquò via parte della
pesantezza accumulata, dello stress che ancora premeva sulle sue
spalle, dandole un po' di vita.
Quando ne uscì, trovò Danny in attesa, che
tamburellava nervosamente le dita
sulla morbida tappezzeria del divano.
Non
sapeva cosa dirgli, come giustificarsi, quali spiegazioni razionali
dare al suo
comportamento. Si guardarono qualche attimo, poi lui si
alzò, facendosi scoprire altrettanto imbarazzato ed a
disagio.
“Uhm…”,
esordì Danny, “Io… dovrei tornare dagli
altri. A concludere il concerto...”
“Oh
sì, certo.”, disse Joanna, "Adesso sto
meglio, trovo l’uscita da sola.”
Le dispiacque un po', avrebbe voluto calmarsi fino in fondo, ma era
necessario andarsene, tornarsene a casa. E dimenticare tutto.
“No,
aspettami qui.", insistette Danny, "Un altro paio di canzoni e poi
torno.”
“Ho
già creato troppi casini.”, scosse la testa.
“Noi
non abbiamo fatto altrettanto?”, controbattè lui
in automatico, e sorridendole, “Siediti qua
e aspettami.”
“Ok…”,
disse Joanna, incrociando le braccia ed abbozzando un sorriso
imbarazzato.
“Perfetto.”,
disse Danny alzandosi, “Ti ritroverò,
vero?”
Gli
annuì.
Averla
vista, più che altro sentita, apparire dietro alle quinte lo
aveva fatto sperare nel
suo perdono
verso Dougie o, molto più realisticamente,
nell’aver messo una pietra
sopra sopra l'intera faccenda, ma evidentemente si era sbagliato di
grosso.
Osservando
come lo aveva imbracciato, aveva subito dubitato del fatto che Joanna
avesse saputo suonare
il basso, e sicuramente anche Dougie aveva avuto questo sospetto,
soprattutto
dopo che lei gli aveva negato il permesso di darle una mano per
aggiustare la
tracolla. Eppure aveva voluto vedere dove volesse arrivare...
Magari sarebbe stata
veramente
capace di suonarlo in quel modo.
Ma poi, con la
coda dell’occhio, aveva
visto lo strumento alzarsi in aria e frantumarsi in
terra, ed essere brutalmente finito sotto i suoi piedi. Era totalmente
allibito, scioccato, confuso, e le facce degli altri, prima tra
tutti quella di Dougie, avevano espresso gli stessi stati
d’animo.
Era
comunque finito il tempo delle domande e delle spiegazioni, lui ormai
non aveva
più niente a che fare con la situazione creatasi tra lei e
Dougie, era affar
loro, erano le loro vite. Era
stato lui stesso l’unico a baciarla e, nonostante
ciò, il suo rapporto con
Joanna era molto migliore di quello con Dougie.
Io ti
ho raccontato cose
che non ho mai detto a nessuno... mai! Capisci quanto mi sia costato
parlartene?
Riesci ad immaginartelo?
Poche
parole che davano senso a tante cose. Le giustificavano.
Era
incredibile quanta rabbia potesse contenere quello scricciolo. Ogni
volta che
si era fatto un’idea su di lei, questa veniva prontamente
smentita. Aveva
pensato che fosse stata una ragazza fragile:
beh, lo era, ma riusciva a tenere testa al fratello
oppressivo.
Timida, ma
era stata in grado più di una volta a prenderlo e rigirarlo come
un
calzino con una battuta netta e tagliente. Apparententene tranquilla, ma
scossa
da qualcosa dentro che pareva impossibile da gestire, benchè
perfettamente
nascosto.
Ma chi
sei allora Little
Joanna?
Aveva
iniziato a domandarselo dalla serata precedente, quando non era
più stato capace
di farla arrossire con un complimento.
“Little
Joanna, tra le nostre canzoni qual è quella che preferisci
di più?”, le chiese, prima di uscire.
Doveva
tornare fuori con gli altri per almeno un altro paio di canzoni, ne
avrebbe
suonata una per lei. Non si azzardò a fare un pronostico
sulla sua scelta,
ormai aveva imparato che niente in Joanna era quello che sembrava in
superficie.
“Sicuramente
Don’t wake me up...”,
rispose lei
sorridendogli.
Sbuffò
in una risata e incrociò le braccia. E dire che, sebbene non
avesse voluto pensare
niente in proposito, la faceva un tipo da Bubble
wrap.
Le
volle fare una domanda impertinente.
“Anche
tu sei così innamorata da non volerti più
svegliare dal sogno?”
Joanna alzò le spalle.
“L’amore? Non
so nemmeno che cosa sia.”, disse poi.
Abbozzò
un sorriso e giocherellò con le dita a sguardo basso.
Come
faceva quella piccoletta davanti a lui a trattenere dentro di
sè tutta quella
rabbia e quella furia contro il mondo e chi l’aveva ferita...
per poi tornare
ad essere il solito pulcino, con due trecce bionde ai lati del viso
triste?
“A
volte vorrei davvero non svegliarmi più.”,
continuò Joanna, "So che basta
solo un attimo per tramutare un bellissimo paradiso in un inferno senza
luce.
Quindi preferisco alzarmi dal letto ogni mattina e dimenticare quello
che ho
vissuto durante la notte.”
Non
voleva credere ad una Joanna che si costringeva a starsene con i piedi
incollati
per terra.
“Un
giorno mi spiegherai cosa ti ha spinto ad essere così
realista.”, le disse,
“Non so quando accadrà, ma so che prima o poi lo
saprò.”
“Non
credo che commetterò lo stesso errore due volte.”,
gli rispose lei, “Imparo
presto dai miei sbagli.”
Sembrò
sull’orlo di piangere un’altra volta, stava
cercando di trattenersi più che
poteva. Senza pensarci due volte la abbracciò.
Si
ricordò di cosa gli aveva detto Dougie.
Lo
sapevi che prima di te
Joanna non ha praticamente baciato nessuno?
Come
gli era già capitato di fare, le accarezzò la
testa.
“My
Little Joanna’s got big green eyes...”,
le canticchiò, così come aveva fatto
qualche sera prima, seduti sulla balaustra di quel piazzale panoramico.
Lei
alzò la testa per sorridergli.
Non
fare questa cazzata Jones.
Le
colse il secondo bacio.
Terzultimo
(si scrive così? XD) capitolo di questa storia... Siamo
davvero alla fine *sigh*...
Il concerto è arrivato, Joanna ha concluso la sua vendetta
trasversale XD Ma alla fine ha guadagnato un bel bacio! Ammazza, voglio
farle anche io 'ste vendette!
Ho impiegato tipo due settimane per rendere questo capitolo presentabile, spero che nessuno si lamenti! XD
Via, visto che è domenica, passo ai ringraziamenti e cercherò di essere più logorroica del solito!
Picchia: Certo che Jonny
è corsa verso Dougie, ma l'obiettivo non era proprio lui. Spero
che la sua mossa non sia stata troppo plateale, ma conosco persone come
lei... che hanno fatto moooooooooooolto di peggio. Molto. Baciamo le
mani!
Ciribiricoccola: Pazza! *pugno
alzato* Nessuna delle previsioni si è avverata, mi dispiace,
Joanna ha solamente fracassato il basso di Dougie XD Via, cantiamo solo
in studio, non nelle recensioniiii perchèèè
perchèèèè le recensioni così fanno
schifo pure a meeeee XDDDDD
Kit2007: Jaja, hai colto in
pieno uno degli aspetti che adoro nelle storie (non solo nelle mie XD),
cioè la crescita dei personaggi. Si parte in un modo, e si
finisce in un altro! Joanna è un cresciuta, infatti, ed anche
grazie a loro XD brava, sono fiera di te!
CowgirlSara: Volevi l'azione,
eccotela! Violenza gratuita su strumenti innocenti, vendette
trasversali che colpiscono i cari, familiari o meno. Accontentata???
XDDDD Spero di sì, sennò, nini mia! Sei incontentabile!
XDDD scherzo ovviamente, eh! Ci si sente!
Giuly Weasley: Ehehe,
oddio, spero di non aver frantumato i tuoi sogni con questo capitolo XD
Che dirti, non credo che, per il momento, ci siano possibilità
per Dougie. Nana, non credo proprio XD Ma posso anticiparti che ce ne
saranno, in un possibile ma reale futuro... Non ti dico che tipo di possibilità... Ma ci saranno!
Princess: Mugliera! E ho detto tutto.
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Capitolo 20 *** She Falls Asleep - Part Two ***
20. She Falls
Asleep – Part Two
Un
rumore di passi veloci si avvicinò al camerino.
“Dan?
Sei lì dentro?”, domandò la voce di Harry, al di là della porta, “Salta fuori. Dobbiamo fare
altri due pezzi.”
Il batterista continuava a sbuffare, lo sentivano aggirarsi
nervosamente per il corridoio ma, indipendentemente da quella chiamata
dalla realtà, non riuscivano a distogliersi l’uno
dall’altra.
Le
loro menti, andate in black out per un breve ed infinito lasso di tempo, dovettero tornare comunque
ad attivarsi in modalità Pianeta Terra.
“Daniel
Alan David Jones?”, chiamò ancora il batterista “Se sei lì dentro batti un colpo!”
Joanna
non potè fare a meno di sorridere; Danny, che le teneva il
viso con entrambe le mani, alzò un dito e lo posò sulle sue labbra.
“Sshh...”,
le fece .
Una
sonora imprecazione di Harry seguì il suono dei suoi passi in allontanamento.
“Se
trovate quella testa di cazzo di Jones.... Portatemelo, e gli infilo una bacchetta su per il
culo!”
Joanna
trattenne a fatica una risata, Danny contrasse la bocca in una smorfia.
“Dovresti
tornare sul palco.”, gli suggerì, allontanando il viso dalle sue mani, "Harry sembrava abbastanza inviperito."
“Tra un due minuti...”, le rispose Danny.
“E’
l’unico vostro concerto italiano, non puoi fare aspettare i vostri fan.”, continuò lei, “Chissà
quando tornerete.”
“Quando
vogliamo.”, disse lui.
“No,
Danny, vai sul palco e finisci lo spettacolo.”, insistette Joanna, “Non è
giusto nei confronti di chi ha pagato il biglietto.”
"Odio quando fai la bacchettona!", disse lui, scherzosamente.
Nonostante avesse davvero voluto farlo rimanere, non glielo avrebbe mai permesso: doveva concludere lo
show insieme agli altri, senza far aspettare nessuno. Punto e basta.
“Non
ti chiedo di venire a sentirci, so che non mi accontenterai.”, le
disse poi Danny, "Però canterò comunque la tua canzone
preferita."
“Grazie...”,
disse lei, arrossendo di nuovo fino alla punta dei piedi.
“Mi
aspetterai qui?”, le domandò e lei gli annuì.
Si
avvicinò e la baciò ancora.
“A
dopo.”, le disse.
Si
buttò seduta a peso morto sul divano, che sbuffò aria dalle
cuciture. Lasciò
libere le mani sulle imbottiture e, dopo qualche attimo, vi si stese
sopra in cerca di relax. Così come era successo quando Danny l’aveva presa in
braccio, prima di portarla lì dentro, si stava sentendo di nuovo svuotata delle forze.
Quelle che aveva nello stomaco erano migliaia di farfalle che
svolazzavano, oppure era il suo apparato digerente che si ribellava per
non
essere stato sfamato a dovere?
E’ tutto incredibile...
Inimmaginabile
e surreale. Forse
il primo bacio era accaduto in un momento decisamente troppo delicato e confuso
per potersi permettere di gongolare nel ricordo, con il cuore che batteva
veloce e lo stomaco sottosopra. Ma
il secondo era stato decisamente, totalmente...
Non lo sapeva descrivere. Non trovava parole, e sarebbe comunque stato inutile
continuare a dargli una forma verbale. Ricordava ogni singolo fotogramma di
quel bacio, di quello che era successo prima e dopo, tutto scorreva fluidamente
davanti a lei come un film ogni volta inedito.
Quando
lui l’aveva abbracciata, e le aveva cantato di nuovo quel piccolo verso della canzone che portava il suo nome,
aveva sentito qualcosa borbottare alla bocca dello stomaco. Era stato un dolce
fastidio, di quelli che facevano un delizioso solletico, e si era subito sentì calma.
Non aveva mai provato quelle cose, erano
sensazioni del tutto nuove, addirittura difficili da razionalizzare.
Ma sentiva un brusio di fondo nella sua testa, incessante e fastidioso.
Non sognare, Jo, non
sognare. Lo hai già fatto una volta e sei stata tradita.
Avrebbe
voluto che per un attimo, un solo istante, un secondo quella voce si
zittisse. Almeno una volta nella sua vita, avrebbe voluto provare a dondolarsi su un’altalena
fatta di aria e di nuvole, dove avrebbe potuto sentire un profumo sconosciuto
ma che sapeva di buono, ascoltare una
dolce canzone di cui non aveva mai sentito il ritornello e vedere
intorno a lei tutte le cose dipinte delle sfumature di un colore che non
esisteva. Voleva sognare.
Provava
ad impegnarsi con tutte le sue forze ma non ne era capace.
Domani
tutto quello sarebbe finito.
Domani
tutto quello sarebbe salito su un aereo diretto chissà dove in Europa.
Domani
tutto quello avrebbe avuto una conclusione e lei, scaraventata con forza giù
dalla sua altalena di nuvola e d’aria, sarebbe tornata di nuovo a soffrire.
E
poi c’era Dougie...
Maledetto Poynter!
Si
era sentita soddisfatta della sua piccola personale vendetta, aveva
gioito nel
distruggere il suo basso ed provato un senso di liberazione che
non era
riuscita a contenere. Ma...
Le
aveva fatto male dirgli quelle cose. Un male che non si era aspettata
di
provare. Aveva
pensato che non ci sarebbe stato niente di difficile nel rendegli pan
per
focaccia, arrabbiandosi con lui nel più furioso e teatrale dei
modi possibili. Non le ci era voluta molta fatica nel fracassare il suo
basso davanti due migliaia di persone, sotto lo sguardo atterrito
di tutti.
Le
complicazioni erano sorte dopo l’aver visto la sua faccia. Era
stupefatta, sbigottita, ma glielo aveva letto negli occhi: quel momento
se lo era aspettato. C’era rimasta male, aveva sbuffato contro di
lui e se n’era andata
via. Gli aveva vomitato sopra la sua rabbia, costringendolo a
partecipare ad un
dibattito senza diritto di replica.
Non
voleva sentire le sue scuse, sarebbero state tutte banali e stupide.
“Jones!”,
tuonò alle sue spalle Harry.
Danny si
mise a correre più forte che poteva: Harry era una persona troppo di parola per non fargli
ciò aveva promesso, e personalmente non desiderava aver alcun tipo di oggetto in entrata nelle
cavità più recondite del suo corpo. Aveva imparato a memoria tutti quei corridoi
e, ben prima che lui avesse potuto acciuffarlo, si era trovato sul palco dove
una valanga di urla di gioia lo colsero in pieno.
“Ehm...
scusate il ritardo.”, disse al microfono, “Ma si era rotta una lampadina e i
tecnici hanno avuto bisogno di me.”
Battuta
pessima e scadente.
“Ragazzi,
venite sul palco o mi fate fare la scimmia solitaria?”, fece, richiamando
all’ordine i suoi compagni, ancora dietro le quinte.
Uno
per volta arrivarono tutti, accolti da applausi, flash e fischi. Osservò per un
attimo la faccia di Dougie: come da sempre, quando si trovava in pubblico non
trasmetteva niente di quello che gli passava davvero per la testa. Il
ricordo improvviso del bacio dato a Joanna tornò a pulsargli in testa,
scacciato via durante la fuga da un alterato Harry. Il cuore subì una lieve
accelerazione.
Era stato giusto farlo
Jones?
Quel
bacio l’aveva voluto, non era stato come l’altro. Non era stato causato da un
mix tra serata effervescente, bel panorama e festa nell’aria. Era nato perchè
era giunto il suo momento di venire alla luce.
E Dougie?
Già...
Dougie. Anche
sotto tortura sarebbe sempre stato fedele all’amicizia e al gruppo. Sempre,
comunque, fino in fondo, anche a costo di se stesso. Gli aveva già chiesto
scusa per le incomprensioni sorte e non era il caso di farne nascere altre. Eppure,
dopo l’aver conosciuto una Joanna così fragile, così dura, così impaurita, così
forte, le convinzioni dentro di lui avevano traballato sonoramente.
L’aveva
voluta baciare e lo aveva fatto. L’unica cosa certa era stato
l’aver sentito il
bisogno di posare le proprie labbra sulle sue, come se fosse stata la
cosa più
naturale e spontanea del mondo... Come se non si fossero mai parlati su
quel
ponte, dopo il gelato, promettendosi amicizia senza complicazioni;
come se non ci fosse stato nessuno tra i suoi migliori amici che
provava qualcosa per lei.
Era
nella confusione più totale.
Quando
Joanna era corsa via, dopo il suo sfogo nei corridoi del backstage, non
aveva trovato il coraggio di correrle
dietro, ed aveva lasciato che Danny lo facesse al posto suo,
avrebbe pensato lui al suo benessere. Si
sentiva ormai completamente tagliato fuori dalla scena, scacciato via,
come era
giusto che fosse accaduto. Si era meravigliato del gesto del basso, non
avrebbe mai pensato che la ritorsione di Joanna sarebbe stata
così spettacolare, ma se lo era aspettato e meritato: era quello
che
aveva voluto, che aveva desiderato e in cui ancora credeva.
Si sentiva una
merda per quello che le aveva fatto, per averla fatta soffrire in quel modo ma
soprattutto per averla fatta piangere, e nonostante tutto era stata la cosa giusta da fare, non se ne sarebbe mai pentito. La
faccenda era da dimenticare, da riporre in un cassetto della memoria. Domani
sarebbero ripartiti, tutto quello stava per finire.
Sarebbe tornato tutto come
prima.
“Che
cosa c’è in scaletta?”, domandò a Danny,
cercando di sovrastare le urla della
folla e la voglia di sapere dove fosse Joanna, se stesse bene, se fosse
riuscita a trovare l’uscita prima che il suo amico chitarrista
l'acciuffasse, in quel dedalo di corrodi tutti simili tra
loro. Molto probabilmente sì.
“Uhm...”,
disse lui, incerto, “Don’t wake me up.”
“Ma
l’abbiamo già fatta.”, gli disse, "Qualcos'altro?"
"No, quella.", disse Danny, che
distolse rapidamente sguardo ed interesse da lui, imbracciando la sua chitarra e
andando verso il suo microfono. Era
sfuggente.
Non gli dette importanza: non era del tutto fuori dal comune, per loro,
fare il bis di un pezzo già suonato, ed a lui non faceva nessuna
differenza suonare quella canzone piuttosto che un'altra. Con un altro
basso tra le mani, era pronto per esibirsi ancora: sotto di lui, il
pubblico sembrava ancora scosso dal fatto, e prima di tornare in azione
cercarono di sdrammatizzare, scambiandosi qualche battuta per tagliare
la tensione.
Sicuramente, la voce tra le fan si sarebbe sparsa velocemente, quante storie sarebbero nate per dare una spiegazione a tutto?
Comunque, non
l’avrebbe dimenticata con molta facilità: Joanna era una di quelle persone che
lasciavano una scia tutto sommato non molto delebile nelle vite degli altri. E,
molto probabilmente, non solo nella sua. Dougie allungò
lo sguardo oltre il pubblico, in cerca di un paio di trecce bionde. Non ne vide
nessuna, la luce puntata sul palco era troppo forte per andare oltre la decima
fila del pubblico.
Gli
venne un dubbio: Joanna se ne era veramente andata?
Era
riuscita ad intrufolarsi tra il pubblico, sgomitando con forza e beccandosi
qualche tirata di capelli... ma ce l’aveva fatta. Era arrivata alla prima fila
sudando una ventina di camice, perdendo altrettante vite da gatta e infangando
il buon nome di qualche santo decomposto da millenni.
Aveva
visto tutta la scena, dal primo attimo in cui Joanna era entrata sotto le luci
della ribalta, tra le braccia di Danny, allo sfacelo del basso e alla fuga della
ragazza. Aveva sentito i commenti scandire quei rapidi minuti, resistendo alla
voglia di voltarsi verso quelle adolescenti galline senza cervello per zittirle
con una rispottaccia a tono, e le ci era voluta tutta la sua forza d’animo...
Non
era rimasta nella bolgia, appena aveva visto Joanna nascondersi dietro le
quinte si era precipitata verso la montagna umana che controllava l’ingresso al
backstage. L’uomo, nonostante il pass in bella vista, non le aveva premesso di
andare in suo soccorso, trattenendola per diversi minuti finchè il gruppo
non fu tornato sul palco.
Una
volta dentro, cercò di comprendere dove si potesse trovare
Joanna. La descriveva
a chiunque incontrasse per la sua strada ed il novantanove percento dei
tecnici, dopo aver sentito i tratti somatici più caratteritici
della ragazza, la riconosceva subito come ‘la distruggi-bassi'
cosa che la fece andare lievemente sulle furie. Nessuno
di loro, comunque, l’aveva più notata dopo la sonora
strigliata che aveva fatto a
Dougie, e la volevano convincere a cercarla tra la folla. Fosse
stata il capo di quella combriccola di inglesi squinternati, li avrebbe
licenziati tutti: come era possibile per loro perdere di vista
qualcuno, nonostante fossero pagati migliaia di sterline per tenere
tutto sotto controllo?
Fuori sul
palco, i ragazzi avevano appena concluso una delle canzoni che Joanna preferiva, Don’t wake me up, e sembravano in
procinto di farne un’altra. Li avrebbe attesi, sicuramente sapevano qualcosa di
più degli stipendiati inutili che lavoravano per loro. Con
il pass in bella vista, attaccato alla maglia con una delle spille da balia che
teneva sempre in borsa per le emergenze sartoriali, prese a passeggiare con una certa
apprensione per quelle corsie, fermandosi davanti alla porta di una stanza su cui,
come se fossero stati in mezzo ad Hollywood, stava appesa una stella dorata con
il nome ‘Harry Judd’. Sembrava fatta
da un bambino dell’asilo, e c’era una chewingum secca appiccicata sopra la y; notò anche che nessuna delle altre porte esibiva un segno del genere.
Alla faccia del super ego.
Oltretutto
era storta e, data la sua femminilità, si preoccupò
subito di aggiustarla. La stella, però, cadde inanimata a terra.
“Ecco... Le mani in quel posto, eh?”, disse a se stessa.
Con
tono indifferente si accucciò e la raccolse, preoccupandosi di appiccicarla di
nuovo sul legno. Nonostante i suoi ripetuti sforzi, quella continuava a cadere
imperterrita.
“Milioni
di euro nei conti in banca e appiccica il suo nome sul camerino con lo scotch del discount...”,
borbottava nervosamente.
Stancatasi,
afferrò la stella e la sbattè con decisione sul legno.
"Cavolo!”,
esclamò qualcuno dietro di lei, facendola trasalire, “Ho sentito male per la
porta.”
Si
voltò.
Mani
sui fianchi, lo sguardo altrui era divertito ma perplesso allo stesso momento.
Dio, per favore, fa’ che
non sia il proprietario della stella... Se mi accontenti verrò tutte le
domeniche in chiesa, lo prometto...
Le
vide il pass sulla maglia e lo indicò con un rapido gesto della mano.
“Sei
venuta con Jojo, vero?”, le domandò.
“Sì...
e mi stavo chiedendo dove fosse.”, rispose.
“Non
lo so nemmeno io.”, rispose il ragazzo, incrociando le braccia.
“Ok...
allora aspetterò.”, gli disse.
“Comunque
io sono Harry.”, le fece il ragazzo, porgendole la mano con cortesia.
Harry
come Harry Judd, proprietario e sicuramente artigiano di quella schifezza
dorata, con la chewing gum per decorazione.
Dio, ti sei giocato una pia
fedele.
“Ma
non ci siamo già visti?”, le domandò, appena un attimo prima che lei potesse smaterializzarsi.
“Sono
il capo di Joanna, la proprietaria del locale. Magari mi hai visto lì.”, gli
spiegò imbarazzata.
“Ah
sì!”, fece lui, “Ora ricordo... Meno male che sei venuta tu, e non suo
fratello!”
L’improvvisa
illuminazione la fece trasalire.
Dovevi chiamare Miki!
Guardò
l’orologio: erano le undici e mezza passate, doveva assolutamente telefonare a
quel rompipalle oppure sarebbero sorti casini incommensurabili.
“Ehm...
vuoi scusarmi?”, fece al ragazzo, “Devo fare una chiamata!”
“Uhm...
sì, certo!”, rispose lui, “Fai pure!”
Lo
salutò frettolosamente e si allontanò di qualche
metro, frugando nell’enorme borsa in cerca del suo telefono.
Compose il numero, ed incrociò le dita
nell’attesa della risposta di Miki: era pronta a subirsi tutti le
sue urla e le
prediche, ma se fosse stato necessario gli avrebbe addirittura chiuso
la
chiamata in faccia.
“Dimmi che Joanna è con te.”, disse con aria spenta la voce bassa di Miki.
“Sì...
è qua, siamo al... concerto.”, disse, titubante.
“Sì, mi ha lasciato un biglietto informativo.”, disse l’altro,
“State bene?”
“Beh... sì...”, rispose.
“Sapevo che non sarebbe rimasta a casa, che
sarebbe venuta al concerto.”, disse lui, con tono abbastanza quieto, “Speriamo che sia stato bello, almeno quello.”
Arianna
rimase perplessa. Stava capendo bene?
Stava
parlando con Miki o con la sua versione drogata? Dove erano le urla, le grida,
la furia del torturatore di professione che conosceva...
“E
non sei incazzato?”, gli fece, in automatico.
“Certo che lo sono. E molto!”, lo sentì
sbuffare. “Ma l’errore
è suo.”
Arianna
controllò il cellulare. Doveva esserci un disturbo nella linea, non poteva aver
sentito quelle parole da lui.
“Miki...
sei tu vero?”, gli chiese, tanto per essere sicura, “Non
vuoi che riporti tua sorella a casa?”
“Mi basta solo sapere che non
combinerà guai..”, disse lui. Era riluttante, ma comunque fermo nelle sue
parole, “Se vuole rimanere a dormire a
casa tua... che faccia pure... così non mi disturbate...”
“Ok...”
E
lo salutò. Meglio chiudere la telefonata prima che cambiasse idea.
Arianna
guardò nel vuoto perplessa.
Che
Miki avesse imparato qualcosa da tutta quella storia? Aveva per caso
compreso
che Joanna era una persona reale, in carne ed ossa, non solo una cara
bambolina
alle sue dipendenze? In quegli otto giorni era stato capace di
afferrare tutto
quello? Oppure era solo una rassegnazione stanca al fatto che non
poteva più tenere sua sorella al guinzaglio, pensando che fosse
un docile cagnolino da compagnia...
Fate subito santi i McFly!
Ora
doveva solo trovare quella scema.
Dopo
aver fatto finta di andarsene per tre volte e tornare poi sul palco
saltellando, concluse lo show schioccando un bacio sulla guancia di Tom e palpando
le chiappe di Dougie, per la felicità dalle fans più fantasiose. Tra
i corridoi del backstage ebbero modo di ripassare tutti i momenti del concerto.
“E
comunque bello spettacolo, Jones!”, esclamò Tom, dandogli una sonora pacca
sullo spalle.
“Complimenti
davvero!”, gli rispose, “Il pubblico era piccolo ma... cavolo!”
“Sembrava
di essere tornati agli inizi, quando non veniva nemmeno un cane ai nostri
concerti!”, disse Dougie, “Ve lo ricordate?”
“Pochi
ma buoni!”, esclamò Danny, aumentando discretamente il suo passo e anche la distanza dai suoi amici
“Cos’hai
Jones?”, gli chiese Tom, “Perdi il treno?”
“Rischio
di trovarlo nei miei pantaloni!”, rispose, ridendo.
Abbandonò
i due dietro di sé: speditamente, passò davanti alle tre porte consecutive
dei camerini a loro destinati e raggiunse la quarta, appena
svoltato l’angolo, che altro non era che la propria, dove aveva lasciato Joanna
in attesa. Incrociò le dita, sperò che lei non avesse approfittato di quel
quarto d’ora in solitudine per andarsene.
Controllò
che nessuno fosse in ascolto, o in vista, e bussò piano.
“Sei
sempre lì?”, fece.
Nessuna
risposta.
Cosa ti aspettavi che
facesse, che rimanesse in attesa?
Abbassò
la maniglia ed entrò nella stanzetta, fermandosi non appena vide il divano.
Di
fianco, rannicchiata contro la superficie del sofà, dormiva con le mani giunte
sotto la testa. La bocca lievemente aperta, il respiro regolare ed
impercettibile, una treccia traballava sulla sua guancia. Chiuse la porta, si
accucciò su di lei e tolse il codino da lì, lasciando che le si posasse sulla
schiena.
Quel
piccolo cambiamento sembrò infastidirla: borbottò qualcosa, o forse approfondì
solo il respiro, e si voltò supina. Per qualche attimo le mani sostarono lungo
i suoi fianchi, poi le raccolse sul petto lasciando la testa cadere di lato,
appoggiata sul bracciolo del divano. Doveva svegliarla.
Prima,
però, ne approfittò per darsi una sistemata: cercando di fare meno rumore
possibile, aprì la cerniera del suo borsone e ne tirò fuori una t-shirt pulita,
qualcosa per togliersi di dosso lo sgradevole odore del lavoro e un cappellino,
per nascondere i capelli arruffati. La breve sosta in bagno non l’aveva
minimamente svegliata, benchè fosse stata scandita dalla caduta per terra del
deodorante e dal fracasso che ne era conseguito.
Questo sì che è un dolce
dormire...
Si
sedette sul bordo del divano.
“Little
Joanna...”, la chiamò piano.
Posò
una mano sulle sue.
“Svegliati
ghiretto...”, le fece ancora.
Vide
le palpebre muoversi e, con uno sforzo abissale, aprirsi con difficoltà. La
luce bianca della stanza, infatti, era abbastanza forte, doveva darle molto fastidio.
Mugolò
qualcosa e imbronciò le labbra.
“Oh,
povera Little Joanna!”, le fece, “Ma quanto sonno che hai!”
Solo
in quel momento lei parve realizzare di non essere proprio in camera sua, come
si aspettava.
“Danny...”,
disse lei.
“Sì...”, le fece sorridendole, “Sono proprio io.”
Sbadigliò
vistosamente, cercando di coprirsi con una mano, e le lacrimarono gli occhi.
“Ti
sei calmata ora, spero.”
Annuì
con un gesto della testa, sebbene sembrasse comunque pensierosa, o forse era la sua espressione ad essere solo sonnolenta.
“Dove
sono gli altri?”, chiese, con voce flebile.
“Sono
tutti nel camerino di Harry, ci scommetterei un plettro.”, rispose,
sorridendole.
Lei
alzò gli occhi al soffitto, fissandolo.
“Cos’hai?”,
le chiese.
“Niente.”,
rispose lei, con un sospiro.
“Sei
sicura?”, provò ad insistere.
“Beh...”,
esitò Joanna, “Dovrei andarmene.”
Eh
sì, sicuramente era l’ora per lei di tornarsene a casa. Sperò che non fosse
venuta lì da sola, e comunque senza suo fratello, non aveva molta voglia di
trovarselo di nuovo davanti.
“C’è
Arianna con me.”, fece Joanna, anticipando una sua domanda al riguardo.
“Perfetto.”,
le disse, “Sai dove sia?”
“No...”,
fece lei, sospirando, “Ma spero che non si sia preoccupata troppo per me.”
“Sei
in buone mani.”, la assicurò, “Può stare tranquilla.”
“Lo
so...”, rispose la ragazza, “E prego anche che abbia
chiamato Miki per dirgli...”, si appoggiò sui gomiti per
sedersi, “Che avrei dormito da lei.”
“Non
ci rimane altro che trovarla.”
Doveva
tornare a casa, e allo stesso non voleva lasciarla. Oltretutto, data la delicata situazione, era
meglio che nessuno si accorgesse della sua presenza: piuttosto che gettare benzina su un pontenziale
incendio, era il caso agire con cautela. Era certo che tutti
l’avessero data per fuggita.
Danny
si alzò e le tese una mano per aiutarla, gesto che Joanna accettò
volentieri. Un improvviso bussare lieve alla porta li distrasse.
“C’è
per caso Joanna lì dentro?”, disse una voce femminile, “Sono Arianna, una sua
amica.”
“Eccola.”,
disse la ragazza, abbozzando un sorriso di sollievo.
Fece
per muoversi ma lui la bloccò.
“Vado
io.”, le disse, “Gli altri non sanno che sei qui dentro. Non mi hanno visto
mentre ti portavo qui.”
Joanna rimase a guardarlo perplessa, ma accettò comunque di
lasciargli in mano la situazione. Prima di aprire uno spiraglio di
porta ed affacciarsi, Danny le fece segno di
togliersi dalla visuale altrui.
Con una rapida occhiata vide la donna, alle sue
spalle Tom... e Dougie.
Per un lungo attimo, non fu capace di distogliere lo sguardo dal bassista: stava cercando in lui un segno, una
risposta, o anche solo uno stupido battere di ciglia che gli
volesse far capire
‘Ok Jones, no problem’. Ma era
forse già avvenuto? Quando Joanna era corsa via non aveva forse voluto cedergli
il passo, esitando nel seguirla per permettergli di farlo al posto suo? Oppure Dougie
non aveva semplicemente avuto il coraggio di agire... Qual
era la risposta giusta?
Davanti
alle occhiate dubbiose dei tre uscì dal camerino, chiudendo la porta dietro di
sè.
“Poynter,
ti devo parlare. In privato.”, gli fece, con tono sicuro.
La
risposta corretta a tutto quello la poteva trovare solo in una semplice domanda: Posso? Non
sapeva quali reazioni aspettarsi da lui, certamente non buone, ma doveva
farlo. Se lui avesse risposto con un secco no alla sua domanda, fine della
questione.
Dipendeva
tutto da Poynter.
“Perchè?”,
domandò Dougie, sembrava imbarazzato.
Tom
agganciò Arianna per un braccio.
“Andiamo
a cercarla di qua. Molto probabilmente è tornata fuori.”, le fece. Si
allontanarono insieme.
Ora siamo soli.
“Poynter...”,
esordì, cercando forza e concentrazione.
“Ho
già capito.”, disse subito lui, incrociando le braccia.
Rimase spiazzato.
“Jones,
non ho speranze e non ne voglio avere.”, disse Dougie, “La mia decisione è
quella e rimarrà tale.”
Per l’ennesima volta sono
io a non capirti.
“Dougie...”,
gli disse, “Non puoi farla così semplice.”
“Puoi
stare tranquillo.”, disse l’altro, sorridendogli, “Sono io che ho causato tutto
questo, quindi non posso lamentarmene. Hai
tutto il mio appoggio.”, continuò “Non vedo perchè non dovrei dartelo.”
Danny
scrutò a fondo il suo viso in cerca di una piccola piega, di una rughetta, di
un segno tangibile della maschera che stava indossando. Si sarebbe accorto
subito se gli stava vendendo fumo. E
invece...
Era
vero. Era convinto di ciò che gli diceva.
“Ho
perso il mio treno ancora prima di fare il biglietto.”, ironizzò il bassista,
“E forse non avrei mai avuto le palle di salirci sopra, neanche se lo avessi avuto.”
Danny
gli sorrise, abbassò la testa.
“Ti
chiedo solo una semplice cosa.”, fece ancora Poynter.
“E
cioè?”
Dougie
sospirò.
“Non ha bisogno di altre persone che la
confondano, ne ha avute già troppe nella sua vita.”
Danny
si sentì in dovere di mettere le cose ancor di più in chiaro.
“Non
so cosa succederà.”, disse, “Forse niente. Anzi, quasi
sicuramente...”
“Beh...”,
fece l’altro alzando le spalle, “Questo non è più di mia competenza...”
Dougie
gli porse la mano.
“Dai,
stringila.”, lo invitò.
Accostò
l’orecchio alla porta. Non era una deficiente, sapeva benissimo cosa stava
succedendo là fuori, benchè non stesse afferrando una sola delle parole che i
due si stavano dicendo.
Si
sedette sul divano in riflessione.
Danny,
Dougie. Si era
trovata, senza il suo consenso, in mezzo a due fuochi.
Da una parte Danny: l’aveva corteggiata, poi baciata. Con lui
aveva scherzato e, dopo aver accantonato saggiamente ogni
complicazione, si era
divertita ad essere sua amica . E si erano di nuovo baciati.
Dall’altra Dougie: dal nulla al tutto. Dal non avere alcun tipo
di
rapporto con lui a fidarsi quasi ciecamente, raccontandogli come non
aveva mai
fatto prima quello che le aveva segnato l’esistenza nel profondo.
E porre fine
a tutto quello nel modo più squallido possibile.
Se pensava a Danny, la sua bocca si
piegava in un lieve sorriso e un formicolio le solleticava la nuca. Se pensava
a Dougie, le labbra si storcevano in una smorfia di rabbia e il formicolio si
presentava ad infastidirle le mani.
Appoggiò
i gomiti sulle ginocchia e unì le mani sotto al mento.
E dire che non ti ha mai
filato nessuno.
Entrambi
i ragazzi si erano interessati a lei, che non
voleva sentirsi assolutamente responsabile di aver creato problemi tra loro. Forse
era meglio togliere le tende da lì, chiudere ogni rapporto prima che fosse troppo
tardi.
E' già troppo tardi...
Nascose
la faccia nelle mani, in cerca di conforto.
“Little
Joanna!”, sentì esclamare da Danny, preoccupato, “Che cos’hai?”
Non
lo aveva nemmeno sentito tornare lì dentro.
“Oh
no, niente.”, gli fece, “Stavo solo pensando.”
“A
cosa?”, chiese lui, sedendosi accanto a lei.
“Uhm...”,
esitò Joanna, in cerca delle giuste parole, “Quanti casini ho creato?”
Danny
la guardò incuriosito ma perplesso.
“In
che senso?”, le domandò, accomodandosi sul divano.
“Beh...”,
si grattò la testa, “Non è che vi ho fatto litigare... vero?”
Danny
abbozzò un sorriso, passò velocemente una mano sul naso.
“Non
è che abbiamo litigato.”, disse poi, “Abbiamo avuto modo di scontrarci, ma non
devi sentirti in colpa per questo. Eravamo noi a discutere, tu non c’entravi
niente.”
“Ma
lo facevate per causa mia!”, ribattè.
Fuggire, voleva solo fuggire via
Scappa allora, corri via
come una scema.
“Little
Joanna.”, le fece Danny, con tono rassicurante. Le passò una mano intorno alla
vita e, abbracciandola in quel modo, la costrinse ad avvicinarsi a lui.“Ti
impedisco di farti dei sensi di colpa su cose a te estranee.”
Non sei convincente.
“Quello
che è successo è stato solo frutto di mancata comunicazione.”, continuò lui, “Se
ci fossimo parlati di più, addirittura forse non saremmo qui adesso.”
Sei quasi convincente.
“Danny...”,
gli disse, “Dovrei anche parlarti di un’altra cosa.”
“Dimmi
pure.”, fece lui, con calma.
Prese
un profondo respiro. Era giusto che gli spiegasse quali paletti era il caso di
fissare.
“Non
voglio prenderti sul serio.”, iniziò, “Domani te ne andrai, fine.”
Breve,
concisa, diretta. E
Danny non aveva colto una sola parola.
“Domani
tu tornerai ad essere Danny dei McFly", si spiegò, "terminerai con il gruppo gli ultimi
concerti che avete in programma e poi ti rilasserai forse in qualche meta
esotica tra mille altre ragazze. Domani io tornerò ad essere Joanna, che vive
con il fratello giocatore di rugby, con un mucchio di problemi, in una stanza
piena di poster dei suoi musicisti preferiti.”
Solo
a quel punto lui sembrò comprendere. A dire il vero aveva contato sul fatto che
Danny stesse già pensando quelle medesime cose.
“Beh...
non hai torto, Joanna.”, disse, facendosi serio, “Quello che hai detto è la
pura verità.”
“Per
questo non vedo il motivo di rimanere ancora qui.”, fece lei, allontanandosi da
lui.
“La
ragione è semplice.”, disse Danny.
Essergli così tanto vicino ed oscurare il continuo sfarfallare dello stomaco che si
accendeva ad ogni sua lievissima mossa, le stava costando uno sforzo altissimo in
concentrazione.
“Siamo
certi che fino a domani non me ne andrò.”, continuò lui, “Quindi perchè pensare
a domani quando ancora non è nemmeno arrivato?”
Non essere troppo
convincente, ti prego.
“Vuoi
stare con me, stanotte?”, le chiese.
...
Black out.
Out of order.
Corto
circuito.
Purtroppo
la fuga dei cervelli era un problema dell’Italia contemporanea e lei, per
motivi del tutto estranei a quelli che cagionavano questa deficienza
intellettuale peninsulare, non era stata da meno.
Finalmente
ce l'ho fatta, ho corretto questo capitolo tremila volte... due
palle!!! E sono comunque tristarella, questo è il penultimo
capitolo -.-
Per prima
cosa, voglio dare una spiegazione semplice: so che il gesto di Joanna
è fin troppo teatrale e irreale, e so che stona perfettamente
con il resto della storia, soprattutto con il suo personaggio. Yep, lo
sapevo anche prima di scriverlo. E allora perchè l'ho
scritto?
Aspettate, chiedo informazioni al mio cervello... Ora sta elaborando
dati e variabili... Risposta: Perchè mi sono divertita XD
Suvvia,
dato che è il penultimo capitolo, lascio i ringraziamenti in
grande stile al prossimo XD Cooomunque, in breve, abbraccio tutte voi!
Dalla prima all'ultima, chi legge e recensisce, ch legge e basta, chi
mi mette tra i preferiti... Insomma, chiunque dia un'occhiata alla
storia XD
Alla prossima!
|
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Capitolo 21 *** I Can't Stop Diggin' The Way You Make Me Feel ***
21. I
Can’t Stop Diggin’
The Way You Make Me Feel
Joanna
riconobbe la voce agitata e acuta di una Arianna in piena crisi
isterica. La
trovarono in un corridoio insieme a Tom che, data la sua innata
pazienza, stava
cercando di calmarla dicendole che l’avrebbero ritrovata
presto e che Miki non
l’avrebbe spedita in Giamaica a suon di calci, sebbene lei
fosse il suo capo e
staccasse ogni mese il suo assegno.
Le
si avvicinò e le chiese se potevano parlarle tranquillamente
-in altre parole, in
italiano- e, distanziate le orecchie altrui, venne il loro momento. Tom,
approfittando della benedetta liberazione da quella donna paranoica,
non fece
altro che allontanarsi lentamente, senza fare gesti inconsulti che
avrebbero
potuto riaccendere di nuovo la frenesia di Arianna.
“Arianna,
sto bene, ero con Danny.”, le spiegò poi.
“Ed
io ero con un piede nella fossa!”, sbuffò subito
la donna, “Grazie per aver
fatto aumentare in modo esponenziale la mia spesa in creme contro le
rughe!”
Danny, in disparte a
braccia incrociate ed appoggiato al muro, stava trattenendo le risate,
cercando
di sorvolare sullo stato ansioso della donna.
“Senti...”,
fece Joanna,iniziando a trastullarsi le dita, “Non
è che... insomma...
potrei...”
“Rimanere
con Danny stanotte?”, la anticipò lei,
“Dio, Joanna, mi venisse un colpo se ti
dicessi di no! Morissi all’istante se non te lo permettessi,
mi prendessi una
malattia venerea se non te lo lasciassi fare...”
“Ok,
ho capito.”, la bloccò Joanna ridendo.
Arianna
la abbracciò, accarezzandole la testa.
“E
pensare che quando ti ho assunta avrei voluto licenziarti dopo il
ventitreesimo
bicchiere fracassato.”, le fece la donna, “Adesso,
invece, mi sembra quasi di
aver allargato la mia misera famiglia a te.”
Joanna
arrossì per quella concessione d’affetto
inaspettata.
“Da
quando sono arrivati quei McFly”, continuò
Arianna, “sono cambiate così tante
cose.”
“E
quali?”, le domandò, incuriosita.
Sciolse
l’abbraccio e la squadrò da capo a piedi.
“Sei
la solita di una settimana fa.”, le disse Arianna,
“Non sei dimagrita, nè
ingrassata, nè ti sono cresciute le tette.”
“Oh,
grazie.”, sbuffò Joanna, incrociando le braccia
sul petto.
“Sei
cambiata qui dentro.”, continuò la donna,
toccandole la fronte con la punta
dell’indice, “Adesso sei veramente Joanna, non
semplicemente la sorella di
Michele. Hai preso il controllo di te stessa, hai iniziato a vivere la
tua vita
e a prendere le tue decisioni, giuste o sbagliate che siano. E Miki lo
ha
capito.”
Joanna
si fece perplessa.
“Ho
chiamato Miki e mi ha a dir poco stupito.”, fece Arianna,
ristabilita la calma,
“E’ incazzato a morte con te per essere venuta al
concerto... ma l’ha presa
bene.”
“L’ha
presa bene? Cosa vuol dire?”, esclamò Joanna,
“Che mi proibirà
per sempre di mettere la testa fuori di casa?
Che comprerà un guinzaglio per la sorella troppo
libertina?”
“Diciamo
che ti costringerà ad indossarne uno a corda molto lunga.",
e ridacchiarono insieme.
Arianna
sospirò e si toccò la testa, pensierosa.
“Devo
andare in San Pietro ad esporre lo striscione ‘McFly
santi subito’... altro che papi morti e beatificati
tre
giorni dopo.”, borbottò
in modo
decisamente anticlericale, “Ma penso che andrò
semplicemente a letto...”,
concluse.
Le
accarezzò con dolcezza una guancia rossa.
“Mi
raccomando, fate sesso sicuro.”
“Arianna!”,
esclamò Joanna, avvampando fino all’ultimo
centimetro della sua pelle.
“Scusa,
mi sono davvero sentita in obbligo di dirtelo!”,
sbuffò Arianna ridendo.
“Non
ci riuscirò mai!”, continuava a dirgli da un pezzo.
“Almeno
provaci!”, insistette lui.
“Non
lo faccio, non ne sono capace!”, ribadì lei,
stringendo i pugni e
battendoli contro il materasso.
“Non
ci sono cose impossibili da fare, finchè non si prova a
farle.”, tornò a
ripeterle, seduto a gambe incrociate di fronte a lei, che era nella
medesima posizione.
Lei
sbuffò vistosamente, incrociando le braccia come una bambina
viziata.
“Eh
no, Little Joanna, adesso lo fai.”, le fece Danny,
sventolandole un dito sotto
il naso, “Adesso ti alzi, ti metti in piedi sopra il mio
cuscino e fai una
capriola.”
“Ma
se cado giù dal letto e sbatto la testa?”, si
oppose lei, “E se muoio?”
“L’ho
già fatto mille volte, e sono sempre vivo e
vegeto.”, ribattè Danny, dandosi un
pizzico sul braccio per dimostrarglielo, “Ora lo fai
tu.”
“No!”
“E
cosa sarà mai!”, esclamò
l’altro.
Danny
si alzò e, in un attimo, rotolò sul letto.
“Facile,
no?”
Joanna
roteò gli occhi e stronfiò di nuovo.
“Va
bene!”
La
ragazza si alzò e, insicura, si posizionò alla
testa del letto.
“Ora
ti accucci e ti butti in avanti.”, la consigliò
Danny.
Joanna
fletté le ginocchia e allungò le mani davanti a
sè.
“Così
sembri una rana con un bastone in culo.”, la prese in giro
Danny.
“Ok,
non lo faccio più!”, esclamò Joanna,
offesa, distraendosi dalla sua posizione.
“No,
per carità!”, si riprese subito lui,
“Posso almeno fare il giudice di gara?”
“Fai
ciò che vuoi, ma stai zitto!”
“Sono
pronto.”, le fece, invitandola a partire con la sua
esibizione ginnica.
“Se
mi rompo il collo, mi avrai sempre sulla coscienza.”,
borbottò Joanna.
“Con
molto piacere.”, scherzò Danny, che si mise le
mani davanti alla bocca per amplificare la sua voce, “E sul
trampolino di lancio, la spettacolare
atleta Little Joanna, che cercherà di eseguire un triplo
salto mortale. Rullo
di tamburi.”
“Stai
zitto un secondo? Mi deconcentri!”, lo brontolò la
ragazza, già pronta per
partire.
Cavolo,
da piccola non aveva fatto altro che fare capriole: alcune consapevoli,
altre meno,
causate dalla sua goffa presenza fisica. Doveva essere semplice farle
ancora, bastava
solo buttarsi, mandare il sedere in aria e poi le gambe sarebbero
atterrate
automaticamente da sole, facendola cadere seduta. Facile, no?
Prese
un profondo respiro e piegò ancora le gambe.
“Sto
per morire di vecchiaia.”, fece Danny, sbadigliando.
“Zitto!”,
gli ripetè Joanna.
Ci
doveva solo provare.
Lasciò
il suo peso cadere in avanti e, piegandosi su se stessa,
sentì le gambe
passarle sopra la testa e allungarsi sul letto. Ce l’aveva
fatta... Ma
le molle del materasso le restituirono lo slancio e, premendole contro
il
sedere, la sbalzarono fuori dal letto. Atterrò sulla
moquette rossastra.
“Joanna!”,
esclamò Danny, affacciandosi sul bordo del letto,
“Va tutto bene? Ti sei fatta
male?”
“Secondo
te?”, borbottò Joanna, cercando di voltarsi e
tirarsi su.
Danny scese
dal letto e l’aiutò ad alzarsi, continuando a
ridere così tanto che gli occhi
lacrimavano copiosamente. Joanna ignorò il dolorino al
ginocchio e il pulsare
alla tempia: le proprie mani nelle sue aveva fatto aumentare
esponenzialmente lo sfarfallio allo stomaco.
“Comunque...
ti sei fatta male davvero?”, le fece, osservandole la tempia,
una volta tolti
via gli ultimi ciuffi dei suoi capelli biondi.
“Solo
un po’...”, rispose Joanna, alzando le spalle.
Lui
le sorrise e le dette un piccolo bacio sul bernoccolo, che le stava
già
nascendo sulla testa. La abbracciò.
“Credo
che sia meglio”, disse Danny, “smettere di fare
questi giochi idioti. Non
voglio restituirti tutta piena di lividi.”
Che
vuoi che sia...
pensò Joanna in un triste
flash, causato da un’incontrollata tempesta di pensieri
legata a quella parola.
In quegli istanti passati a rivivere le grosse macchie
violacee,
poi giallastre, che avevano segnato le sue braccia, le sue gambe ma
soprattutto
la schiena, Danny si era seduto sul letto, allungando le sue
già telescopiche
gambe sul materasso ed attendendo che lei facesse altrettanto.
Eppure
Joanna esitò.
“Little
Joanna... cosa c’è?”, le
domandò lui, notando la sua incertezza.
“Oh
no... niente.”, negò subito lei, avvicinandosi a
lui con pochi movimenti.
Prima
di salire si erano presi qualcosa da bere al bar dell’hotel
e, una volta
finite le loro bibite, avevano preso posto nella stanza. Erano
già un paio d’ore che se ne stavano lì
dentro a divertirsi, a parlare del
concerto e delle scenette stupide a cui lei non aveva assistito. Joanna
gli era
sembrata abbastanza a suo agio, benchè titubante
ogni volta che le si era
avvicinato un po’ troppo. Non
si stupiva di questo, in fondo era sempre Little Joanna. Nonostante i
baci,
l’essere rimasti ripetutamente soli, all’aperto o
dentro alle quattro mura di
una stanza, lei era sempre un buffo esserino fragile e timido, che
nascondeva
però qualcosa di molto più profondo e complicato
da districare.
Avevano
preso un taxi, lasciando che gli altri membri della band si fermassero
per una
birra in un locale, assieme a parte della truppa. Anche se stava
accadendo
tutto con il benestare di Dougie, era comunque il caso di agire con
discrezione e senza platealismi. Non
aveva alcuna intenzione nei confronti di lei, avrebbe accettato quello
che
sarebbe venuto, né di più, né di
meno.
Se avesse veramente voluto qualcuno da portarsi a
letto, sarebbe bastato semplicemente affacciarsi sul pubblico del
concerto e
scegliere...
“Sicura
che non ci sia niente che non vada?”, le domandò
ancora.
Era
certo che fosse stata sempre lì con lui, ma per un attimo la
sua mente era volata
da tutt’altra parte.
“Sì.”,
disse lei, con tono poco convincente.
Era
più o meno la terza volta che la coglieva in momenti come
quello e che lei
negava. Le
passò un braccio sopra le spalle, facendola avvicinare a
sè più che poteva. Le
sorrise e lei ricambiò, accomodandosi accanto a lui.
“Guardiamo
un po’ di tv?”, le domandò, allungando
la mano verso il comodino per prendere
il telecomando.
“Perchè
no?”, rispose lei.
Si
impose di rimanere calma, di non iperventilare. In fondo si erano
già baciati,
non voleva altro che ripetere di nuovo mille altre volte ancora quella
bellissima
esperienza. L’unica cosa a bloccarla era il posto in cui si
stavano trovando.
Stanza
da letto. Letto. Materasso. Lenzuola. Cuscini. E
cosa si faceva su un letto? A dire il vero si poteva farlo anche in
qualsiasi altra
superficie orizzontale e verticale del mondo.
Arrossì
fino a scoppiare.
“Ti
fa caldo?”, le domandò Danny, “In questa
stanza ci deve essere il riscaldamento
bloccato su duemila gradi Fahreneit.”
La
lasciò ed andò a controllare la rotella del
termostato, grattandosi la testa, pensieroso.
E
se lui l’avesse voluta portare in camera solo
per... In fondo tutti
i ragazzi del mondo volevano una sola cosa dalle ragazze. Doveva solo
rimanere calma, tranquilla.
Ti sembra facile!
Respirò profondamente per
l’ennesima volta, in cerca del suo karma fuggito alle Bahamas
con il malloppo.
“Eppure
sembra vada bene.”, fece Danny, dopo qualche tempo in
osservazione, “Sembra
funzioni.”
“Hai...
controllato tutto?”, gli domandò, con voce
tremante.
“Penso
di sì, non ci capisco un cavolo ma dovrebbe
funzionare.”, disse lui, alzando le
spalle.
“Chiamiamo
quelli dell’albergo.”, insistette Joanna,
“Forse c’è davvero un guasto.”
“All’una
di notte?”, obiettò lui, “Sveglieremo il
portiere addormentato!”
Danny
si sedette di nuovo sul letto e lei, come una molla, schizzò
via con la scusa
di controllare la valvola del termosifone.
“Ah,
guarda!”, esclamò poi, “E’
rotta! Si è bloccata sul massimo della temperatura,
chiamiamo la reception.”
Doveva trovare un diversivo, uno qualsiasi, piuttosto che trovarsi nel
mezzo di una situazione che non era pronta a vivere. Non che avesse mai
pensato molto a quel
momento e, a dirla tutta, spesso si era convinta che sarebbe rimasta
vergine per tutta la vita.
“Little
Joanna”, la chiamò lui, sospirando, “ho
capito che ti stai sentendo a disagio,
non importa che inventi altre scuse.”
Colta
in pieno fallo, non potè altro che sedersi sul bordo del
materasso, sconfitta.
“Vuoi
dirmi che cosa c’è che non va?”, le
fece, con tono calmo, “Guarda che puoi
fidarti di me.”
Sospirò.
“Non
è che non mi fido di te, Danny.”, disse lei,
“E’ che...”
“Scommetto
che stai pensando che io ti abbia portata qui solo per fare sesso, non
è
così?”, le domandò lui, diretto.
Un
movimento convulso delle sue gambe, forse un tremito, le
scombussolò la
posizione: il fondoschiena scivolò sulla coperta liscia e si
trovò a sedere per
terra. Sconfitta, rannicchiò le gambe al petto e le
abbracciò, appoggiandovi il
mento sopra.
Era capace di mettersi in ridicolo anche nei momenti più
seri. Qual era la sua utilità nel mondo?
“Scusami.”,
spuntò dopo qualche attimo la voce di Danny, vicinissima al
suo orecchio
destro, che la face sussultare dallo spavento, “E scusami
ancora.”, ridacchiò.
“Dai,
smettila.”, protestò Joanna, “Non devi
scherzare su questo.”
“Hai
ragione.”, fece lui.
“Pensi
che tutto questo sia facile per me?”, disse Joanna,
“Non ho la più pallida idea
di come... di come si faccia!”
“Come
si faccia cosa?”, domandò Danny, ironico,
sedendosi accanto a lei.
“Cosa...
Cosa! Quello
lì!”, fece lei, imbarazzatissima.
“Quello
lì cosa?”
“Jones!”
“E
dillo!”
“Il
sesso!”, sputò Joanna.
“Finalmente!
Hai vinto le duemila sterline in palio!”, si
congratulò con lei.
“Danny
smettila, davvero.”, fece lei, con la voce che suonava come
un mugolio stanco,
“Non è facile per me parlarne... §E
sicuramente avrai capito che tu... Che tu...”
Si
bloccò. La vergogna che stava provando era così
grande che si sarebbe voluta
nascondere sotto al letto, insieme alla polvere e agli scarafaggi.
“Che
io?”, la esortò Danny, con sorriso sornione.
Lo
guardò per un attimo. Domanda: si sarebbe ricordata di lei
come la stupida che
non aveva baciato nessuno prima di lui? Certamente sì.
“Che
tu...”, esitò ancora.
“Che
io sono il primo ragazzo che tu abbia mai veramente
baciato?”, concluse lui.
Era
diventata come un libriccino di campioni di stoffe da tappezzerie:
gradazioni
del viola.
L’aver capito
come farla sprofondare di nuovo in quel dolce disagio lo riempiva di
soddisfazione.
“Per
me è una bella soddisfazione.”,
continuò Danny, “E’ da quando avevo
diciassette
anni che non sento dirmi più una cosa del genere.”
“Ma
per me è una tortura!”, esclamò Joanna,
in pieno sfogo, “Ho vent’anni e non ho
mai baciato nessuno! Ti rendi conto?”
“E
cosa c’è di male?”, fece lui,
“Ti senti per questo menomata? Ti assicuro che
sei perfettamente normale, anzi, migliore della media delle ragazze
della tua
età.”
“Le
ragazze della mia età sono già tutte
fidanzate!”, continuò lei, “Oppure la
danno via per niente!”
“Visto
che allora sei meglio di loro?”, ribattè Danny,
“Nel primo caso non ti avrei
nemmeno filata, nel secondo già ci saremmo profondamente
conosciuti su questo
letto!”
“Danny!”,
lo brontolò Joanna, dandogli una pacca vigorosa sul
ginocchio.
“Mi
sei mancata, Bitchy
Joanna!”, le fece, abbracciandola.
Rimasero
così per qualche tempo, seduti per terra, l’uno
accanto all’altro.
“Stai
tranquilla.”, le disse poi Danny, “Non voglio fare
niente del genere.”
Joanna
deglutì il boccone e tornò a respirare con
regolarità.
“Voglio
solo che ci divertiamo.”, continuò lui.
“Non
risulti retorico perfino a te stesso?”, gli fece lei.
“Abbastanza!”,
esclamò Danny, “Ma ho detto la
verità.”
Non
poteva portarle via una cosa così preziosa, sapendo che poi
non avrebbe avuto
il tempo per poter far nascere qualcosa di bello. E comunque non voleva
farlo,
non era uno stupido, aveva abbastanza esperienza in campo per
comprendere
quando era o non
era il caso... Quello non era il caso. Anche se, in fondo,
gli
sarebbe piaciuto molto.
La
tv nazionale non trasmetteva niente di comprensibile per Danny,
decisero così
di buttarsi su quella a pagamento, dove davano almeno la
possibilità di vedere
film in lingua originale. Joanna
era accanto a lui, racchiusa tra le sue braccia. La sua testolina
bionda si
appoggiava sulla spalla di Danny, il respiro di entrambi calmo e
rilassato. La
visione di ‘What Women Want’,
celebre
film con un Mel Gibson telepatico, era già iniziata da un
pezzo.
“Posso
chiamarti Little?”, proruppe Danny, disturbando
inaspettatamente un’esilarante
scena tra Gibson e Helen Hunt, la co-protagonista femminile.
“Come
scusa?”, fece Joanna, colta impreparata.
“Dicevo...
posso chiamarti Little?”, le ripetè,
“E’ che il tuo nome è troppo
lungo.”
Sulle
labbra di Joanna affiorò un sorriso.
“Quel
tuo Little Joanna mi ha sempre messo in soggezione.”, gli
disse.
“Davvero?”,
disse Danny, stupito.
“Sì...
Sarà che è il titolo di una vostra
canzone...”, si giustificò Joanna.
“Beh...
ti piace essere chiamata Little?”, le domandò lui.
“Decisamente
meglio.”
“Allora,
da oggi sarai la mia
Little.”, le disse, prima di darle un colpetto
col suo
indice sulla punta del naso.
“Almeno
fino a domani.”, si sentì in dovere di aggiungere
Joanna.
Sospirò:
non ce la faceva proprio a lasciarsi andare. Era più forte
di lei, non
resisteva, non voleva volare via come un palloncino sospinto dal vento,
perchè poi si sarebbe persa e non ci sarebbe stato nessuno
per farla tornare a
terra. Danny
sembrò capire quello che le stava passando per la testa e
non se la sentì di
dirle ancora che avrebbero affrontato il domani nel momento in cui
fosse
arrivato. Il continuare a rimandare quel momento, come se fosse ancora
lontano
ed irraggiungibile, era un’ipocrisia bella e buona che
avrebbe solo
drasticamente peggiorato le cose.
“Ascoltami,
Little...”, le disse.
Si
accomodò per poterla guardare negli occhi.
“Sappiamo
entrambi quello che succederà domani. Tu mi piaci, ed anche
molto, ma non credo
che sia sufficiente e questo lo sai benissimo da sola.”
“Certo
che lo so. Lo penso anche io.”, rispose lei.
“E
mi piace passare il mio tempo con te.”, continuò
lui, “Perchè con te mi sento
libero da ogni pensiero, da ogni stereotipo che mi
riguarda...”
Joanna
abbassò gli occhi sorridendo.
“Sei
talmente spontanea che anche io, alla fine, non posso fare altro che
essere me
stesso.”, le disse, “Però so come
funzionano i miei rapporti, so cosa succede
quando si sta con me...”
“E
cosa succede?”, domandò Joanna.
“Troppe
cose entrano in ballo...”, le fece. Lei avrebbe capito, ne
aveva tutta
l’intelligenza per farlo e aveva già certamente
valutato quegli aspetti. “E non
voglio farti entrare in questi giochetti stupidi...”
“Non
lo voglio nemmeno io.”, disse lei, scuotendo piano la testa.
Stavolta
era Danny a sospirare. Aveva agito troppo di impulso, senza
riflettere... Non
avrebbe dovuto baciarla ancora, non avrebbe dovuto farla venire nella
sua
stanza. Non se ne stava assolutamente pentendo, ma sarebbe stato molto
meglio non
aver fatto niente di tutto quello.
“Ascoltami,
Danny”, disse Joanna, interrompendo quel breve silenzio nato
tra loro due, “forse
è meglio ripetere le stesse cose che ci siamo detti qualche
sera fa, sul
ponte.”
Per
caso vuoi stringermi la
mano e dirmi: meglio amici?
Non
c’erano cose sbagliate o giuste da fare. C’erano
decisioni da prendere, e
conseguenze da sopportare.
“Sì,
lo penso anche io.”, disse Danny, “Non me la sento
di trascinarti dentro la mia
vita. Ne soffriresti per niente.”
Joanna
annuì.
“Però
allo stesso tempo”, riprese Danny, “non voglio
lasciarti perdere... Non voglio
e basta.”
Non
lo voleva affatto. C’erano troppe poche persone
vere nella sua vita ed ogni perdita era inestimabile per lui.
"E
cosa facciamo allora?”, domandò lecitamente Joanna.
“Voglio
tenermi in contatto con te in ogni modo possibile.”, le disse
lui, “E poi si
vedrà.”
Gli
pareva una soluzione
accettabile.
Le
pareva una soluzione
accettabile.
Si
sorrisero e si
dissero che era una soluzione accettabile.
“Torniamo
a guardare il film?”, propose allora Joanna, felice di aver
raggiunto un
qualche compromesso verosimile, piuttosto che rimanere appesa ad un
filo in
attesa di un qualcosa che la facesse cadere, o che la salvasse.
Prima
di risponderle, Danny la strinse a sé, dandole un ultimo
piccolo bacio sulle
labbra. Sarebbe stato l’ultimo
tra di loro, seguito solo da piccoli schiocchi sulle guance, dati solo
alla
mattina successiva.
Si
addormentarono insieme, davanti alla tv, e furono svegliati dal suono
del
telefono della stanza. Lievemente imbarazzati, ma tutto sommato felici,
fecero
colazione con quello che l’hotel portò loro in
camera, prima di prepararsi per
salutarsi. Non
ci furono momenti tristi, né malinconici, li vollero
lasciare al dopo e continuarono
a scherzare ed a prendersi in giro come piaceva loro fare. Si
guardarono un po’
di cartoni animati del sabato mattina: Joanna cercava di tradurre in
tempo
quello che i piccoli personaggi di fantasia dicevano, provando a
trattenere le
risate che scatenava ogni volta Danny ad ogni sua battuta.
Dettero
il tempo l’uno all’altra di rinfrescarsi e di
prepararsi per la partenza,
continuando a parlare tra di loro, chiacchierando tranquillamente di
ogni cosa
passasse per la testa.
Come
due amici.
Lo
aiutò a portare nella hall tutti i suoi bagagli, decisamente
pochi per qualcuno
di famoso come lui, ed attesero insieme che gli altri li
raggiungessero. Nel
frattempo, tutta la troupe era già partita con
un’ora di anticipo sul gruppo,
come disse il ragazzo dietro al bancone. Erano rimasti solo loro e
qualche
altro membro dello staff, che avrebbe preso il loro stesso volo.
Il
primo di tutti i McFly a comparire nella sala d’aspetto fu
Tom il quale, con
molto tatto, riuscì a strappare loro particolari su quello
che era successo
quella stessa notte, curioso come una ragazzina, ma rimase alquanto
deluso nel sapere che la verità non corrispondeva al film
nella sua mente.
Dopo
di lui Harry, con la sua solita faccia seriosa ed impassibile, nascosta
dietro
ad un paio di occhiali scurissimi, che salutò i due con un
breve cenno di
testa, prima di sedersi accanto a Tom e appisolarsi quasi
istantaneamente. Il chitarrista, una volta concluse le risate sotto i
baffi, rivelò loro
che si era preso una bella botta alcolica la serata precedente, alla
festa del
dopo concerto.
Dougie
arrivò insieme al solito tipo che aveva scortato Joanna sul
palco:
chiacchieravano tra di loro, fermandosi sull’ultimo scalino
della lunga rampa
che collegava tutti i piani dell’albergo. I due si separarono
dandosi
appuntamento a più tardi e Dougie si incamminò
verso di loro con tranquillità.
Mani
in tasca, alzò lo sguardo e si bloccò.
Sapeva
che l’avrebbe trovata lì, seduta accanto a Danny,
con le gambe raccolte al
petto e la faccia sorridente. E sapeva anche che, quando lei lo avrebbe
visto
di nuovo, si sarebbe scurita.
“Dobbiamo
andare.”, disse, in tono apatico.
Aveva
sempre odiato portare notizie sgradevoli. Tom
dette una gomitata al suo batterista, che si svegliò
annaspando.
“Bevessi
meno...”, gli borbottò ridendo.
“Rompessi
meno.”, rispose l’altro, prontamente.
Ecco
il momento dell’addio, come nei film, arrivava sempre
all’ultimo capitolo della
storia.
“La
vacanza è finita...”, disse Tom, giocherellando
con le dita, “Dobbiamo tornare
in carreggiata.”
“Attenti
a non forare le gomme.”, scherzò sopra Joanna.
“E
quindi... ti saluto, Jo.”, le fece Tom, abbracciandola,
“Spero di sentirti
presto. Mi sono veramente divertito con te, sia nel bello che nel
cattivo tempo.”
“Anche
io.”, rispose lei, “Fai buon viaggio e salutami
Giovanna.”
E
venne il turno di Harry.
I
due si squadrarono, aspettando la mossa dell’altro.
“Prima
tu o prima io?”, fece così Harry.
“Prima
tu.”, scaricò subito Joanna.
“Eh
no, prima tu!”, si oppose il ragazzo.
“Salutatevi
e fatela finita!”, irruppe Danny, ridendo.
Un
piccolo abbraccio sembrò loro sufficiente.
“Stammi
bene, Jojo.”, le disse lui.
“Anche
tu.”
“E
non far dannare quello scemo di Jones, non ne ha bisogno.”,
aggiunse, sempre nel
suo stile da perfetta suocera.
“Ok.”,
rispose lei, avvampando.
Lasciò
il batterista e, ancora imbarazzata, si voltò verso di lui.
Era lontano,
alzò una mano e la aprì, in un cenno di saluto.
Sorrise, ma non era un sorriso
semplice, e lei corrispose con altrettanta difficoltà.
"Vogliamo farci una foto tutti insieme?", propose Tom, mettendosi a
frugare nel borsone che indossava a tracolla, "Non ne abbiamo mai fatte
in quest giorni!"
"Buona idea!", la accolse trionfante Danny, davanti ad uno scocciato
Harry.
"Perfetto!", riprese Tom, "Mettetevi lì e sorridete!"
Impartì quelle semplicissime istruzioni, ma fu alquanto
difficile attuarle con coordinazione. Per evitare momenti tesi,
preferì avvicinarsi con cautela. Joanna, tra Harry e Dougie,
sembrava tenerlo sotto controllo con la coda dell'occhio. Si
accostò a Danny, al quale riservò un sorriso a
metà tra l'imbarazzato e il rassegnato, che lui
recepì e ricambiò con una pacca sulla spalla. Era
il loro modo per dire 'in
fondo, siamo sempre Jones, Poynter, Judd e Fletcher' e,
anche se faceva male, non avrebbe mai cambiato quel quartetto
con nient'altro al mondo.
"Ce l'abbiamo fatta!", esclamò Tom, avvicinando la
fotocamera al viso.
"Signore, posso scattare al posto suo, se lo desidera.", si propose con
gentilezza il tizio della reception.
Tom non se lo fece dire due volte e, in mezzo secondo, fu accanto ad
Harry, dall'altra parte di Joanna.
"Sorridete!", esclamò il portiere.
Un paio di flash, e la camera venne riconsegnata al legittimo
proprietario.
“Little.”,
la chiamò Danny, togliendola dal disagio.
Non
ci furono ulteriori parole e si abbracciarono sorridendo.
“Noi
andiamo.”, disse Harry, prendendo per un braccio Fletcher
che, da dolce qual
era, se ne stava a fissare quei due imbambolato, con gli occhietti
lucidi.
Al
duetto si aggiunse anche lui, dopo essersi sistemato sulla
testa il suo solito cappello.
Era contento per loro, qualunque cosa fosse
successa. Era contento per Danny, per uno dei suoi migliori amici. Era
contento per Joanna, una delle ragazze più deliziose che
avesse mai conosciuto.
Ma
non era
contento per se stesso, perchè se non avesse seguito quel
suo cervello
troppo razionale, in quel momento avrebbe potuto essere lui ad
abbracciare
Joanna. Quello che era stato era stato e non si biasimava per
più di quel poco.
“Ti
scrivo come puoi
contattarmi senza dover
passare tra mille altre bocche.”, le fece, lasciandola.
Andarono
verso il bancone della reception e, con penna e foglio, scrisse quello
che lei
doveva sapere: il suo indirizzo, il suo numero privato ed anche la sua
mail.
“Ora
sta a te.”, le fece, porgendole l’annotazione.
Con
mano tremante, Joanna scambiò le proprie informazioni con le
sue.
“Perfetto!”,
esclamò Danny, prima di abbracciarla ancora, “Ti
chiamerò o ti scriverò appena
posso.”
“Ok...”,
disse Joanna, con tono non tanto convinto.
Lui
se ne accorse e ridacchiò.
“Guarda
che ieri dicevo sul serio.”, le disse, “E sono di
parola.”
“Voglio
fidarmi...”, rispose lei, lasciandosi andare ad un sorriso.
Si
chinò su di lei e le dette un sonoro bacio sulla guancia,
trattenendole il viso
tra le mani lentigginose. Poi la guardò dritta negli occhi.
“My
Little Joanna’s got big green eyes...”,
le canticchiò per l’ultima volta.
“Dai,
avevi promesso che non mi avresti chiamato più in quel
modo!”, disse lei, sorridendo
ancora.
“Hai ragione... My Little Little’s got
big green eyes...”, la
accontentò, ma rimase dubbioso “Così
non suona bene!”
“E
che Little Joanna sia, ma solo per quella canzone!”, disse
lei, sventolando un
dito con decisione sul viso dell’altro, che rise.
“Ci
sentiamo presto, Little.”, le fece Danny.
“A
presto.”, rispose lei, sentendosi sopraffare da tutta la
tristezza che aveva
scacciato via fino a quel momento.
Le si ruppe la voce.
“Non
piangere.”, disse lui.
“E’
che mi mancherete...”, disse, “E non mi piacciono
gli addii.”
“Mi
mancherai anche tu.”, rispose Danny, abbracciandola ancora,
“Adesso devo
proprio andare.”
“Ok...
fai buon viaggio, mi raccomando.”, disse Joanna, trattenendo
a stento le
lacrime.
“Aspetta
un attimo...”, fece l’altro, frugandosi nelle
tasche.
Joanna
lo guardava perplessa, poi lo vide tirar fuori un fazzoletto bianco e
mettersi
a sventolarlo.
“A
presto!”, si mise a dire, con voce stridula e occhi
fintamente commossi, “Ora
fai come me.”
Le
prese con prepotenza una mano e le dette il fazzoletto.
“Piantala
scemo!”, lo rimproverò lei ridendo.
“Scusami,
ma odio anche io i saluti.”, si giustificò lui,
“Dovevo solo sdrammatizzare.”
“Jones,
andiamo!”, protestò un Harry altamente nervoso,
spuntato sulla soglia
dell’albergo, “Faremo tardi!”
“Promettimi
che starai bene, che non ti drogherai e che non ti metterai a
fumare.”, le
disse Danny.
“Prometto.”,
rispose lei, mettendosi una mano sul petto, con aria fintamente
rassegnata.
Un
ultimo bacio sulle guance, un’ultima stretta, e poi tornarono
alla propria vita,
consapevoli che, prima o poi, avrebbero trovato nella propria casella
elettronica un messaggio lampeggiante per loro.
Solo per loro.
I took a little time
Scripting all the things that I tell you.
I'll send them through the mail,
And if all goes well,
It'd be a day or two.
Although it might be wrong,
My light is always on...
-FINE-
E sono arrivata alla fine...
Alla fine di nuovo... Li odio anche io gli addii, e molto! XD Spero che
questa storia vi sia piaciuta davvero, almeno tanto quanto io mi sia
divertita scrivendola, o anche un po' meno, fa' lo stesso. Per chi non
lo sapesse, o per chi non volesse sentirlo, ho già pronti una
valanga di capitoli del seguito di questa storia, perchè vi
tartasserò la vita, sappiatelo XD Vi anticipo subito il titolo: 'And this is how I realize, You have me hynpnotized'.
Ma non credo che la pubblicherò dopo la stessa storia madre,
sarebbe un controsenso, vorrei almeno postarne un'altra che si
intitolerà: Would you be my superheroe?
ed avrà sempre i soliti quattro deficienti come protagonisti...
Beh, non proprio tutti, si concentra su uno di loro in particolare... E
non è Danny XD Comunque non vi dico altro in merito, solo che
questa storia era stata studiata con tutt'altri personaggi, cioè
i Tokio Hotel, ed il primo capitolo l'ho buttato giù a
novembre/dicembre dell'anno passato, o forse anche prima... Insomma,
visto che posso affermare con assoluta certezza che ormai il quadrio
tedesco è uscito fuori dalle mie grazie, ed appurato il fatto
che l'idea mi era sempre particolarmente piaciuta, ho deciso di
riadattarla e...
Decisamente meglio, soprattutto con un determinato personaggio al
centro della questione! XD Chi sa di cosa io stia parlando, è
pregato di tacere, pliz.
Spero di avere il tempo per concentrarmi davvero sulla sua stesura,
dato che ormai sono al settimo capitolo ed ho in previsione di
concluderla sul serio. Ma purtroppo il lavoro e la tesi in
preparazione, il caldo e la stanchezza, mi fanno procedere a passo
stentato, perchè mi dedico un po' al seguito di 4 guys e un po'
a questa nuova creazione... Insomma, mi ci devo mette' di buzzo bono,
come si direbbe qua a Firenze. Spero soprattutto di non dovermi
ritrovare a ritrattare e mettere on line la nuova Joanna... Via,
terrò duro e cercherò di fare del mio meglio XD
Ah, dovrei anche finire There are no genies inside Martini Bottles...
-.-' con mio grande rammarico, vi dico che l'idea c'è in testa,
ragazze... Ve l'assicuro, c'è... Ma mancano le giuste parole per
scriverla, davvero, chi ne ha prodotta qualcuna del genere sa a cosa mi
riferisco. Parlare di determinate cose è difficile, ma non nel
senso del pregiudizio mentale, tutt'altro. E' che mi piacerebbe essere
realistica e, a meno che non paghi due ragazzi per fare determinate
cose... Insomma, avete capito XD
Finite le comunicazioni di servizio, le anticipazioni e la richiesta di continuare
a seguirmi se potete e se volete perchè siete il cinquanta per
cento delle cause di tutte queste mie storie, il resto riguarda la mia
mente perversa, passo ai ringraziamenti, che saranno più
lunghi del solito, per motivi personali che qualcuna di voi
potrà comprendere.
Picchia: ogni tanto le tue
recensioni, anche se brevi e concisissime, mi hanno fatto morire dal
ridere. Davvero! XD Spero che presto metterai in linea il tuo nuovo
lavoro, sono curiosa di leggerlo, dico sul serio perchè dalle
anticipazioni sembra tutt'altro che scadente. Quindi ti ringrazio per
esserti affezionata alle mie storie, per avere continuato a leggerle
nonostante siano spesso state sconclusionate e ridondanti... Grazie
ancora Laura!
CowgirlSara: Un pensiero che ho avuto l'altro giorno, e che non vuole essere assolutamente
una critica, ma solo una semplice constatazione dei fatti. Abbiamo
iniziato a pubblicare insieme Autumn Song e Another Neverending Story,
ci corrono pochi giorni tra i primi capitoli. E ora, io ho finito anche
4 Guys e tu... Nada XD Tranquilla, non volevo dire nient'altro che
questo: cavolo, il tempo passa veloce e di acqua sotto i ponti ne
scorre! A gennaio il cervello era posizionato sulla modalità
Georg. Ora è a intermittenza tra Danny e Dougie XD Che dire, per
questa prima storia su un gruppo totalmente e radicalmente diverso dai
Tokio non mi sembra di aver fatto un lavoraccio... Come mi hai anche
detto tu è stata spesso lenta e ripetitiva, ma per dei motivi
per me validi che non sto qua a ripetere. Via, ti ringrazio
infinitamente per l'ennesima volta e prego che non ti stancherai con le
evoluzioni future di questa e delle prossime storie! Prometto che mi
sto impegnando per essere meno logorroica!!!! XD
Saracanfly: Ma ciao! Ti sei
aggiunta da poco ma non posso ringraziarti meno delle altre,
perchè le nuove lettrici fanno piacere sempre ed
incondizionatamente. Non è stata una storia strappalacrime,
affatto, perchè non è stata progettata per esserlo, fin
dall'inizio. Addirittura, quando presi a scriverla avevo in mente
tutt'altro svolgimento e conclusione ma, chi mi conosce da tempo
può dirtelo, io so sempre come parto, ma non so mai
se/dove/come/quando arrivo. Non avrei mai pensato di fare un seguito di
4 Guys ma, evidentemente, mi sbagliavo io stessa. C'è chi mi ha
detto che mi innamoro troppo dei personaggi che creo, ma lo faccio
sempre con molto piacere, soprattutto se ogni volta acquisto sempre
nuove lettrici. Spero di leggerti tra le commentatrici dei miei
prossimi lavori e, se non ti vedrò, sappi comunque che mi ha
fatto molto piacere conoscerti ^^ Grazie ancora e ciao!!!
Kit2007: Quando mi dite
che vi immedesimate nella storia, mi fate uno tra i complimenti
più belli che possa ricevere, davvero. Colpi di scena non ce ne
sono stati, meglio così, già la scena del basso è
stata eclatante di suo. Ci mancava solo che Dougie si vendicasse con
una lupara sotto braccio, poi mi dicevate di andare a darmi all'ippica
e festa fatta XD Quindi, il triangolo Dougie-Joanna-Danny si è
[apparentemente] risolto... Lo metto tra parentesi quadra tanto per
innestare nel tuo cervellino (ino non per grandezza, ma per dialettale
modo di dire XD) il seme della discordia XD Eheheh, sennò che
seguito era, eh! Grazie per le recensioni, grazie per le chiacchierate
stupidissime su msn, spero (sono sicura) che ti troverò ancora
in futuro! Grazie ancora Martina!!!
Giuly Weasley: Eccomi arrivata
qua, alla Dario Argento delle recensitrici, a colei a cui piace
letteralmente sviscerare trama e personaggi per carpirne i segreti
più nascosti, i significati occulti, e la psicologia delle
relazioni che si instaurano tra di loro. Se tutte avessero te, si
sentirebbero realizzate, ma fortunatamente in sezione siamo in poche a
godere delle tue opinioni. E quindi, io mi sento realizzata, sì,
perchè come ti ho già detto infinite volte adoro leggere
i tuoi commenti. Da quando hai iniziato a recensire, in ogni maledetto
paragrafo le tue parole svelavano ogni particolare che io avevo
volutamente lasciato occultato, per vedere se qualcuno lo cogliesse
veramente. Ultimamente, il tuo parteggiare per Dougie (e so in che
senso tifi per lui, non solo per Dougie Poynter, ma per il personaggio
che ho fatto d lui) ti ha fatto cadere più volte in trappole da
me tese, ma negli scambi di opinioni avuti su msn alla fine mi hai
fatto capire che, per l'ennesima volta, non ti sbagliavi affatto XD Che
avevi capito tutto, maledetta tu sia XD Voglio sperare che anche il
seguito accoglierà i tuoi gusti, partendo dal presupposto che lo
leggerai :P e se non lo farai, va bene lo stesso, ho già avuto
il piacere di farti piacere (perdona la ripetizione) questa mia storia,
è già più che sufficiente. Quindi, grazie
veramente di tutto Giuly, anche del tempo passato insieme di persona e
su msn! Ciao!
Lady Vibeke: Toh! Guarda chi si
ripresenta! *.* Da quanto tempo Pao! Mamma mia, sembrano passati
anni/secoli/ere geologiche! Ti sarai dinosaurata a forza di studiare,
quando è che torni un po' su msn per raccontarci cosa ti succede
di bello? Spero presto! Non ti preoccupare per l'assenza, so che
è stata ampiamente giustificata da una serie di impegni molto
più importanti, figurati se sto qua a battere cassa XD Spero che
sarai meno impegnata però, in futuro, perchè io voglio
sapere che fine hai fatto fare a Tari e a Gustav! Insomma, alla fine
non è stato il matrimonio che non si è fatto, ma la
storia stessa! XD No, sono ottimista, presuppongo che almeno ad agosto
ti vedrò comparire qualche volta, anche per trenta secondi ^^ Se
non ti fossero arrivati, ti rinnovo gli auguri per il tuo compleanno,
anche se è già passato un mese! A presto Paola e grazie
davvero di tutto!!!
Ora passo a tre persone abbastanza speciali per me, in un modo o in un altro. Spero di non fare torto a nessuno con questa particolare specificazione, e comunque non quello che segue non è un gesto di presunzione né di leccaculismo. Non ho dedicato un intero capitolo
ai ringraziamenti, come ho visto fare da altre persone, trovandola una
cosa abbastanza squallida. Spero che il mio gesto non venga frainteso
da nessuno, lo sto facendo con sana e sincera intenzione. Tutte siete
molto speciali per me, tutti i vostri pareri sono oro ai miei occhi.
Ma, citando Orwell: Tutti gli animali sono uguali, ma c'è qualcuno più uguale dell'altro. Detta in tutt'altro contesto, questa frase è comunque efficace per capire il mio gesto.
La
mia Pazza!
Silvietta, che dirti? Dopo averti passato la mcflyte (che ti ha colpito
in maniera lieve, beata te XD) ed aver creato un nostro piccolo mondo
fatto di idiozie, non posso fare a meno di ringraziarti, inginocchiarmi
e chiederti di fare sesso con me XDDDD Viaaaaa... Modero i termini. Recupero le mie facoltà, annientate del caldo e
dalla stanchezza, per ripeterti di nuovo grazie, all'infinito, perchè ho
passato dei momenti spettacolarmente esilaranti con te, a partire dalle
infamate reciproche su msn e per concludere con le cazzate in Piazza
dei Miracoli (e ancora un tu m'hai visto in assetto da guerra, vedrai
quando vengo da te... che robe). So per certo che seguirai anche il
seguito, anche solo per vedere che cosa farò combinare al tuo odiato Dougie.
Grazie Pazza, lo sai che ti voglio bene
anche se non te l'ho mai detto, e che spesso le tue parole sono state
molto più confortanti di molte pacche sulle spalle e di molti
'non ti preoccupare, passerà'. Sei stata in grado di
stupirmi, come pochissime altre persone; mi hai lasciato a bocca aperta
(sai di cosa parlo) e sono stata incapace di dire qualsiasi cosa di
fronte alla tua pazzia, quel giorno... E lasciare senza parole me
è un bell'affare! XD Ma sappi che il tuo pensierino è
dove merita, nascosto da occhi indiscreti ma dove io so trovarlo
quando mi sento un po' giù e sto male.
Perchè fa strano dirlo, però ho trovato molte più
persone vere e intelligenti su questo sito che intorno a me. E tu sei
una di quelle! La tua spontaneità mi ha veramente fatto
scompisciare dalle risate, la tua pisanità è fautrice di
tante di quelle battute che farebbero rimorire i morti.
Spero che il giorno della nostra Giornata di Ordinaria Follia
si avvicini, perchè voglio vedere come si dispererà il
tuo amico, di fronte a un'ugola come la mia! Magari se lui è
bravo farà come fecero con Paris Hilton, mi farà sembrare
brava! XD E poi, diciamocelo, una zingarata è una zingarata, e
se venisse male, rimane comunque una cosa che ci ricorderemo.
E che non racconteremo tanto in giro XD
Via, non ho altro da aggiungere. Salutami tutta la combriccola, Michael J., Maicol, Brendonne e Lungarno Tom. Dimentico nessuno?
Princess.
E ho detto tutto. Ma, visto che sono qua a ringraziare davvero, non sarò così breve. Mugliera, Liebe, Pao.
Nel modo più teatrale e
shakesperiano che possa conoscere, prendo un coltello e mi apro il
petto in due per tirare fuori il cuore e darlo a te, mugliera mia. Noi
due siamo troppo sfortunatamente simili per non capirci. Ancora voglio
sperare di non dirlo con presunzione, ma per reale constatazione dei
fatti. Le tue storie mi hanno insegnato tante cose, ci ho letto tanti
particolari criptati ed importanti, che potevano riguardare te oppure i
personaggi.
Parlare ore e ore senza dirsi niente di importante, oppure parlando di
quello che avevamo dentro... E' una cosa che un po' mi manca XD Ma
siamo donne impegnate, noi, non è che abbiamo da menare la
fanfiction per l'aia e basta, c'abbiamo da fare tutt'altre cose! A
proposito, non è che hai un po' di quelle pasticchine che mi
passasti? Sai, Danny si trova un po' in difficoltà in questi
giorni, il caldo lo spossa e non ce la fa. Come va con l'olio che ti
detti? Buono eh? Ci si fa dei massaggi spettacolari. Via, fine dello
spazio privato, ora possiamo tornare a me e a te *.* Se mai prenderai
un treno o un bus e sbarcherai in terra toscana, voglio vedere cosa
siamo capaci di combinare insieme XD Cacchiarola, faremo strage di
cuori.
Non so cosa altro dirti, sinceramente, avrei milioni di parole ma non
sono sempre troppo adatte per questa occasione. Prego il cielo che non
te ne avrai a male, non sono breve perchè non ho niente da
riferirti, ma perchè avrei troppe cose da scrivere XD E spero
anche che non reputerai inadatto questo
mio gesto di ringraziare così per un'occasione del genere.
Tu SAI benissimo quanto io tenga a questa storia, non solo
perchè sono i Mcfly, non solo perchè è la prima
che faccio su di loro, ma per una lunga serie di motivi personali, che
ho riversato e nascosto nelle parole di questa 4 Guys e del suo
seguito. Soprattutto nel seguito. Non voglio immaginarmi il fiume di parole di ringraziamento quando lo posertò XD
Quindi ti ringrazio davvero, Liebe, perchè voglio un po' di bene
anche a te XD Non l'ho esaurito tutto tra Danny, Dougie, Desmond e
tutte le altre D o G che popolano la nostra piccola grande
famiglia.
Silvia, questo spazio è per a te.
Questa persona non si
è fatta molto presente, è qualcuno il cui nickname
è passato inosservato, ma che io conosco benissimo. E non
è ultima perchè è meno importante, tutt'altro.
All'inizio, questa storia
ti arrivava in pillole (capitoli) anticipati su msn in cambio di foto
sbavose di Danny, ed anche di Dougie. Bel compromesso, non credi? Beh,
non ara proprio un contratto stabilito alla luce del sole: passavamo
ore a sbavare sulle foto che mi mandavi, ed io in automatico ti
ringraziavo con uno o due capitoli di 4 Guys, ricordi? XD Quanti
pensieracci, se riportassi una delle nostre conversazioni del tempo ci
sarebbe da tapparsi le orecchie, e so che potresti fare di peggio XD
Poi, con il passare del tempo, il tuo parere è diventato
per me fondamentale. Sebbene questa cosa te l'abbia già detta un
paio di volte, conoscendoti ti starai subito sottovalutando, e stai sicuremente pensando 'ma chi, il mio parere importante per te? ma dai, smettila di dire cazzate'. Spero di riuscire, anzi, so che hai capito che non sto davvero scherzando quando ti dico questa cosa.
Il parere che mi dai è ogni volta sempre più importante,
soprattutto quando vado a toccare argomenti particolari e difficili,
perchè so che non mi menti.
Come ti ho già detto, gran parte del seguito è stato
scritto in seguito al tuo riscontro positivo, altrimenti lo avrei
lasciato perdere, purtroppo ^^ Non so quanto tu possa tenerci a questa
storia, ma io tengo molto alle tue opinioni e dico sul serio. Sia per 4
Guys, che per Hypnotized, Superheroe e Martini Bottles, ogni volta
che passavo qualcosa per l'emo-betaggio (voglio chiamarlo stupidamente
così, dato che riguarda le emozioni che vorrei trasmettere)
stavo con le dita incrociate, sperando che andasse tutto bene. E
credimi se te lo dico, è proprio vero... Spesso pecco un po' di
presunzione, ritenendo il mio lavoro migliore di molti quelli che leggo
in merito, tranne che di pochissime e rare eccezioni, ma quando poi si
tratta di arrivare dritta al punto, mi sento insicurissima e mi affido
a te. Ti potrà sembrare strano, impossibile, pazzesco, ma
è veramente così. Se un giorni mi dicessi 'sta storia non
mi convince', credo che mi farei in mille per migliorarla, o per
gettarla via e dedicarmi ad altro XD
E io spero vivamente che, un giorno, vorrai allietare la magra sezione mcflyana di EFP con la tua Cuppy Cake,
storia che mi ha fatto piangere tanto e che adoro. Non dire che non te
la senti, che è una fanfiction stupida e di cui non sei convinta, lo so che lo pensi.
Ne sono convinta io e, siccome sono abbastanza battagliera, la
sosterrò a spada tratta finchè non morirò XD
Merita davvero attenzione quello che hai scritto, sono sicura che ad un
paio di persone piacerà almeno tanto quanto me, e saranno in
grado di capire quello che in molti non hanno afferrato (e che io,
modestia a parte, ho percepito sulla pelle fin dalla prima riga del
primo capitolo).
Penso che questo sia il ringraziamento più lungo che abbia mai
fatto, controlla pure nelle altre storie, di solito non sono
[stranamente] così logorroica, ma ci tenevo a dirti thank you come si deve, ed a farlo anche qua, davanti a tutte le altre.
Perchè te lo meriti, Silvietta.
Infine, ringrazio anche le ragazze del forum McFly Italian Forum, in particolare McKaren, CinderNella, LelaJones, Mr.Brightside e Giuly B. (XD). Grazie davvero anche a voi, siete poche ma buone e mi accontento tranquillamente ^^ Spero continuerete a seguirmi tutte!
Aggiungo anche chi ha messo la storia tra i preferiti: alice94, alyssaS91, Anna94_17, CAMiL92, erda, gamba di legno, K94, kiki91, miychan, Schauder, vega e Zizzy94.
Ps: le frasi finali sono prese
dalla canzone che dà il titolo al capitolo... 'The way you make me
feel', ovviamente dei McFly. Tutte le canzoni citate, adesso e prima,
sono state usate senza scopo di lucro, ma solo di divertimento.
Alla prossima, ragazze *sigh*
-RubyChubb-
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