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E’ una
tranquilla giornata di sole per quanto tranquilla può essere una giornata di
sole qui ad Hazzard.
I due cugini, a bordo del Generale Lee ,
percorrono a tutta velocità i campi che separano la fattoria dal BoarsNest, in netto ritardo per
riprendere Daisy dal lavoro, cosa che tocca a Bo e Luke da quando la jeep della
cugina è costretta ad una convalescenza forzata al garage di Cooter.
“Andiamo
muoviti, cugino, Daisy starà già aspettando da un pezzo, siamo in ritardo come
al solito quando sei tu alla guida , Bo”
“Se
pensi di fare di meglio la prossima volta mettiti tu al volante cugino”
“Sarebbe
meglio, avrei dovuto farlo anche oggi conoscendoti.”
Con
una frenata stridente quanto la discussione di pochi attimi prima tra i cugini,
il Generale Lee si ferma davanti all’ingresso principale del BoarsNest ed i due ragazzi senza
neanche rivolgersi la parola si dirigono verso l’entrata. Il rumore che
proviene dall’interno è quello inconfondibile di una rissa in corso alla quale
Bo e Luke ovviamente non riescono a sottrarsi. Nonostante la discussione di
pochi istanti prima i due cugini affrontano la scazzottata come loro solito non
perdendosi mai di vista l’un l’altro, proprio per questo Bo si accorge
immediatamente di un tizio che sta per colpire suo cugino alle spalle con una
sedia ma fa appena in tempo a gridare “Luke attento!” che proprio mentre Luke
schiva il colpo, Bo non riesce a fare altrettanto e viene colpito
violentemente in pieno stomaco da qualcuno che ha impugnato la zampa rotta
di un tavolo di legno. Il grido di dolore rimane soffocato insieme al
respiro per una frazione di secondo, il tempo necessario per rialzarsi e
riprendere la scazzottata esattamente da dove si è interrotta. I loschi
individui che hanno scatenato la rissa capiscono che l’aria che tira non gli
porta nulla di buono così, da vigliacchi quali sono, preferiscono la fuga
lasciando il BoarsNest in
pessime condizioni ed i tre cugini liberi finalmente di tornarsene alla
Fattoria.
E’
l’ora di pranzo e ad accogliergli accigliato, già seduto a tavola, c’è lo zio
Jesse.
“E'
quasi un’ora che vi aspetto, che diavolo vi è capitato, possibile mai che
succedono tutte a voi? Sapete quanto lavoro c’è e sapete che la rata
dell’ipoteca è in scadenza…sapete anche che siamo in grosse difficoltà. Questa
volta rischiamo seriamente di perdere la fattoria e voi ve ne andate in giro a
giocare come i bambini, ma quando crescerete?".
Dei tre cugini nessuno tenta di dare una spiegazione,
ciascuno sa benissimo che nessuna giustificazione sarebbe valsa, per lo zio
Jesse, come una valida motivazione.
Lo
zio Jesse, infatti, è di pessimo umore in questo periodo ma i ragazzi,
tutti e tre, lo comprendono benissimo. Questa volta pagare la rata dell’ipoteca
si rivela più difficile del solito, il brutto tempo non ha favorito i raccolti,
la maggior parte delle fattorie di Hazzard sono in
crisi e quella dei Duke non fa eccezione. I tre cugini e lo zio Jesse lavorano
più del solito, eppure sembra non essere mai abbastanza. La preoccupazione
di poter perdere la fattoria da un momento all'altro è un pensiero fisso per
tutti. Per i Duke, forse come per chiunque altro, rischiare di perdere la
propria casa è come rischiare di perdere le proprie origini, i propri ricordi.
E' difficile proteggere i propri ricordi soprattutto per lo zio Jesse che tra
quelle quattro mura di ricordi ne ha veramente tanti. E' così difficile che a
provarci a volte ci si chiude in se stessi e tutto il resto sembra diventare un
nemico contro cui difendersi, fosse una goccia di pioggia in più, fosse
un nipote che ritarda a pranzo, fosse anche una frase sbagliata o una parola di
troppo a cui dare la colpa per sfogare la propria rabbia. Ed è l'istinto e la
rabbia che porta a dividersi piuttosto che restare più uniti.
E
così le giornate alla fattoria si susseguono tra il duro
lavoro e pochi e fugaci pasti consumati a tavola tutti insieme dopo la
preghiera di rito. Lo zio Jesse è sempre più chiuso in se stesso. L'uomo forte
e saggio che è sempre stato sembra aver ceduto il passo ad un vecchio stanco,
distratto, arrabbiato e rassegnato. Le difficoltà aumentano di giorno in
giorno e con esse aumentano le tensioni tra Bo e Luke che continuano a
stuzzicarsi ed azzuffarsi verbalmente come mai accaduto fino ad ora.
“Bo,
Luke, svegliatevi, fuori sta diluviando e lo steccato sta cedendo…”
Nel
cuore della notte Bo e Luke vengono svegliati dal bagliore di un lampo e dalla
voce di Daisy. In un attimo i due cugini sono in piedi pronti a
vestirsi. Luke è già vestito e pronto per uscire. Bo finisce di calzare
gli stivali e si alza pronto a seguirlo quando un dolore improvviso e
lancinante all’addome lo piega in due costringendolo ad accasciarsi seduto
nuovamente sul letto.
“Tutto
bene?” chiede Luke sulla porta con lo sguardo rivolto al cugino.
Bo
rialzandosi risponde con un frettoloso
“Si,
tutto bene.”
I due
cugini escono sotto un impietoso temporale. Tanta acqua così sembra impossibile
provenire da un unico cielo. Lavorano insieme, e solo dopo molto tempo e non
poca fatica riescono a rimettere in piedi l'intero steccato.
Fradici
nei vestiti e fin dentro l’anima rientrano in casa.
“Abbiamo
sistemato tutto zio Jesse, per un po’ dovrebbe reggere".
Lo
zio Jesse osserva il temporale o fissa il vuoto
fuori dalla finestra. Nel vetro vede riflessi i volti dei suo
tre nipoti. Vede Luke fare un passo avanti, verso di
lui.
"Zio Jesse, vedrai, andrà tutto bene".
Luke, il maggiore dei tre, quello più serio, più
saggio, più responsabile, meno istintivo, meno timoroso, tenta di fare coraggio
allo zio, forse, o forse anche lui cerca qualcuno che gli dica qualcosa che gli
faccia coraggio. E a Luke sarebbe bastata qualsiasi cosa, qualsiasi risposta,
forse non quella che sente pronunciare.
“Può
darsi Luke, ma io inizio a non esserne più tanto certo”. Si volta, guarda i
suoi tre ragazzi lo zio Jesse. "E sono davvero stanco. Torno a letto.
Buonanotte ragazzi". Gira le spalle e si incammina verso la sua stanza. Ci
arriva senza voltarsi indietro neanche un secondo. Se lo avesse fatto avrebbe
visto gli occhi lucidi di Daisy, avrebbe visto lo sguardo smarrito di Bo sugli
occhi bassi di Luke .
“Coraggio
ragazzi, andate a mettere qualcosa di asciutto, vi ho preparato una tazza di
caffè bollente, mi sembra ne abbiate bisogno”. Daisy asciuga quella lacrima
col dorso della mano ed abbozza un sorriso ai due cugini.
“Grazie
Daisy, vado un attimo in bagno... torno subito”.
Così
dicendo Bo si allontana.
Le
braccia ad affidare il peso di tutto il corpo alla porta chiusa, la testa bassa
a lasciar gocciolare la pioggia dai capelli e finalmente solo si abbandona al
dolore lancinante che sembra dilaniargli lo stomaco.
E’ domenica
ma per i Duke è anche un giorno di duro lavoro che non ci si può permettere di
perdere. Daisy sistema la cucina dopo il pranzo, lo zio Jesse ed i due ragazzi
sono già fuori al lavoro. Bo spacca e sistema la legna raccolta ed accatastata
da Luke, quando di nuovo quella fitta terribile all'addome lo
costringe a fermarsi.
Si
siede ad un angolo su di un tronco spezzato.
Uscendo
dalla stalla Luke vede il cugino seduto, una mano sullo stomaco, la testa bassa
appoggiata sull'altra. Gli si avvicina:
“Ogni
scusa è buona per non far niente eh cuginetto! Noi a spaccarci la schiena e lui
beato e seduto a riposarsi!”.
Bo
solleva lo sguardo verso il cugino maggiore, non riesce ancora ad alzarsi per
il dolore:
“Lasciami
in pace Luke!”
“Lasciarti
in pace? Ti piacerebbe vero? Sei il solito scansafatiche che sei
sempre stato!”.
Bo non
lascia che il cugino termini la frase, scatta in piedi, spinge Luke
contro il muro di cinta della stalla. Solleva in alto la mano stretta in
pugno puntata diritta contro il viso del cugino.
Daisy
vede tutto dalla finestra della cucina. Esce di corsa gridando ed
attirando così l’attenzione dello zio Jesse impegnato nel fienile.
Entrambi
corrono verso i due cugini ormai faccia contro faccia.
“Ma
che diavolo combinate? Bo fermati, in nome del cielo!” arriva come una
preghiera il richiamo di Daisy.
Il
pugno di Bo è sospeso in aria, lo sguardo dritto negli occhi del cugino più
grande, è una frazione di secondo lunga un’eternità. Bo abbassa il pugno,
abbassa lo sguardo, molla la presa, volta le spalle, raccoglie la sua camicia
da terra e si allontana tra i campi mentre Luke sussurra “Il solito
vigliacco…!.”
La
sera stessa Daisy cerca inutilmente di mettere in tavola anche due parole
insieme alla cena, ma il gelo ed il silenzio invadono la
casa.
Luke
e lo zio Jesse sono i primi a terminare e ad alzarsi. Lo zio Jesse si
prepara a godersi la sua serata di riposo davanti al caminetto. Con una mano
sulla spalla Daisy si rivolge a Bo.
“Vai,
ora, sono certa che ti ascolterà”.
Seguendo
il consiglio della cugina, Bo si alza dalla tavola, la testa bassa, si avvicina
allo zio Jesse che è ancora in piedi vicino alla finestra dalla quale quando
erano bambini aspettavano insieme di vedere il tramonto.
“Zio
Jesse…volevo dirti che…riguardo quello che è successo oggi con Luke, io non
avrei dovuto….non avrei voluto…ti prego scusami..”.
- Balbetta
proprio come quando era bambino e doveva confessare una marachella - non
può fare a meno di pensare lo zio Jesse.
In un altro momento, nella stessa situazione,
probabilmente lo zio Jesse avrebbe soltanto stretto in un unico abbraccio sia
Bo che Luke costringendoli a parlarsi, a chiarirsi, a mettere da parte quei
rancori momentanei così stupidi ed insignificanti se paragonati all'evidente
affetto incondizionato che avevano sempre provato l'uno per l'altro. Ma questo
è un momento diverso e lo zio Jesse è troppo stanco, troppo arrabbiato.
“No
Bo, non avresti dovuto, dovresti sapere che non tollero questo genere di
atteggiamenti in casa mia. Non ti scuso Bo, non ti scuso affatto. Mi hai
deluso profondamente!”.
Bo è senza fiato, senza parole. Ne aveva sempre
combinate tante in passato ma per ognuna c'era un Luke pronto a
difenderlo ed uno zio Jesse pronto a perdonarlo. Questa volta c'è qualcosa di
diverso che non è nelle parole dello zio o nel tono della sua voce, ma nel suo
sguardo, uno sguardo severo che Bo è certo di non aver mai visto, se lo
sarebbe ricordato. Se non quello sguardo sicuramente non avrebbe dimenticato il
male che gli stava facendo ora.
Lo
zio Jesse volta le spalle al nipote, fa un passo per andarsene quando Bo,
l'istintivo, impulsivo Bo, allunga la mano e tenta di trattenere lo zio
afferrandolo per un braccio. Lo sguardo gelido ed inquieto dello zio Jesse
punta dritto negli occhi all’improvviso bassi del nipote più giovane. Bo lascia
immediatamente la stretta.
“Scusami
zio…anche questo…non avrei dovuto”
“No,
non avresti dovuto!” fu il saluto di congedo dello zio.
Le
braccia conserte, stringendo se stesso Bo china la testa ed è un peso sul
cuore quel perdono che non è riuscito ad avere dallo zio Jesse.
Il
giorno dopo in un’atmosfera surreale per la fattoria dei Duke tutti lavorano
insieme ma da soli fino ad incontrarsi stanchi la sera ad un’unica tavola.
“Bo,
sei sicuro di star bene, sei così pallido!” interrompe il silenzio Daisy.
“Sto
bene Daisy, grazie, solo un po’ di mal di stomaco, ma sto bene, non
preoccuparti”.
“Sarà
la fatica del troppo lavoro al quale non sei abituato!”.
L'ironia
di Luke attraversa la cucina e tutto il tempo vissuto insieme.
Bo finge di non aver sentito e si volta verso lo zio
che resta in silenzio.
“Zio
Jesse, non mi sento troppo bene, se non ti spiace andrei a dormire”.
“Lo
sai Bo che tua cugina ha trascorso l’intero pomeriggio a preparare la cena?”
Lo zio
Jesse solleva a malapena lo sguardo dal piatto, quella frazione di
secondo che basta per fissare quegli occhi che il nipote più giovane si
sente costretto ad abbassare.
“Lo
so".
Poi
voltandosi verso la cugina.
"Credimi
Daisy, mi spiace…”
“Non
preoccuparti”. E' la naturale risposta di Daisy.
Bo si alza, con una mano sposta la sedia dal tavolo.
“Toglierai
almeno i piatti dalla tavola, se non ti è di troppa fatica” tuona insolitamente
la voce dello zio Jesse che questa volta non solleva neanche il viso dal
piatto..
“Si,
certo, zio Jesse”.
Bo
raccoglie il suo piatto dalla tavola, riesce a fare solo pochi passi
prima che una fitta terribile più del solito alla bocca dello stomaco lo
costringa ad appoggiarsi al ripiano della cucina e a lasciar scivolare di mano
i piatti che cadono sul pavimento in mille spicchi di vetro.
“Bo,
cos’hai?”.
Daisy
scatta in piedi dalla sua sedia per avvicinarsi di corsa verso il cugino
quando la mano di Luke la blocca per un polso, un solo sguardo tra i due e la
cugina si libera con un facile strattone dalla presa. Raggiunge Bo
inseguita dalle parole dello zio Jesse:
“Ora
mi auguro che raccoglierai tutto!”
Bo
non risponde, si piega sulle ginocchia, Daisy si inchina vicino a lui gli
stringe una mano e si accorge che il cugino sta tremando
“Bo,
ma tu stai….”
“Bene
Daisy, va tutto bene” una strizzatina d’occhio ed un lieve sorriso sul volto
pallidissimo del cugino più giovane.
“Vai
a riposare, ci penso io qui”. Daisy prende il tono deciso da sorella
maggiore.
“Va bene…grazie”.
Bo non avrebbe mai accettato l'offerta di Daisy ma non ce la fa più dal dolore,
quindi si alza e si allontana voltando le spalle alla voce di Luke.
“Sempre
pronto a lasciar fare agli altri eh?”.
Quel
dolore proprio non dà pace. Bo, dopo essersi rigirato nel letto per ore
si alza. Nel cuore della notte, tutti sembrano dormire, ma una luce lieve
proviene dalla cucina.
“Daisy
che ci fai in piedi a quest’ora?” Fermo sulla soglia della porta nei soli
pantaloni del pigiama, Bo si rivolge alla cugina indaffarata ai
fornelli in camicia da notte.
“Non
riuscivo a dormire, vuoi un po’ di latte?”
“No,
grazie, vieni qui e dimmi cos’hai”.
Ora
sembra Bo il cugino maggiore. Non è la prima volta, Daisy è ormai abituata al
fatto che i due cugini la proteggano come fosse lei la più piccola, sa
bene che l’avrebbero difesa sempre, ad ogni costo.
“Sono
in pensiero per lo zio Jesse, Bo” confessa Daisy abbandonandosi sul divano
“Lo
siamo tutti Daisy…” Bo le si siede accanto.
“Bo,
lui non è più lo stesso, il pensiero di perdere la fattoria, lo sta quasi
uccidendo”
“Lo
so, ma non accadrà, non la perderà, Daisy, vedrai”
“Come
fai ad esserne così sicuro?”
“Perché
Luke ed io non lo permetteremmo mai” .
“E’
una promessa?”
“E’
una promessa Principessa”. Quanto tempo che Bo non la chiamava così….
“Vieni
ti accompagno nella tua stanza”. Sorride Bo, porgendo il braccio alla cugina.
Si
alzano dal divano e Bo accompagna Daisy fin sulla porta della sua camera. Le
sfiora la fronte con le labbra.
"Tu
come stai Bo?". Chiede Daisy sulla soglia della porta.
"Sto
bene". Sorride mentendo Bo.
"Stai tranquilla. Buonanotte Principessa".
“Buonanotte
Bo.”
Il mattino dopo, colazione terminata insolitamente in piedi
e in fretta.
“Ragazzi,
io vado al BoarsNest chi mi
passa a prendere oggi?”
“Se
non sbaglio è il turno di Bo” non perde tempo Luke.
“Vengo
io, cugina, non preoccuparti” non si fa attendere la risposta di Bo.
La
giornata trascorre tra il lavoro ed una insolita solitudine.
Terminato
il pranzo Bo prende la sua camicia e si avvicina al cugino ancora seduto a
tavola con lo zio Jesse.
“Ehi
Luke, non mi sento proprio in forma, perché non vieni con me a prendere Daisy,
guido io..”
“Non ci
penso proprio cugino, è il tuo turno, non cercare di scaricarti come tuo
solito…”
“Bene,
non c’è problema…”, senza battere ciglio e senza dare e ricevere alcun
saluto Bo abbandona la fattoria.
Arrivato
al BoarsNest la scena che
si presenta di fronte agli occhi di Bo non lascia spazio ad equivoci: dei
loschi personaggi con un bottino in mano fuggono trascinando con loro Daisy
sotto la minaccia di una pistola, Boss Hogg
insieme a Rosco gli corrono dietro al grido di “Al
ladro, al ladro!!!”. Bo senza pensarci un solo istante a bordo del Generale
Lee, parte all’inseguimento dei furfanti e della cugina.
La
corsa è una corsa disperata più per gli inseguiti che per gli inseguitori
abituati a cavalcare i prati di Hazzard a bordo delle
loro auto. Con una scorciatoia inventata da un salto del fedele Generale Lee,
Bo riesce a tagliare la strada alle due auto dei malviventi. Salta giù dal
Generale ed in un attimo sono fuori dalle loro auto anche i rapinatori uno dei
quali tiene in ostaggio una Daisy ormai terrorizzata.
Il
caos è totale Bo colpisce e viene colpito più volte, calci pugni e gomitate e
nonostante Bo sia solo riesce a tenere a bada quasi tutti quanti. Daisy tenta
disperatamente quanto inutilmente di svincolarsi dalla presa. Bo viene
afferrato alle spalle da due dei malviventi mentre un terzo lo colpisce dritto
all’addome.
E’ un
dolore che arriva diritto al cervello, che lascia senza fiato, assolutamente
sproporzionato rispetto al colpo ricevuto.
“Sembra
che il nostro eroe abbia un punto debole non vogliamo approfittarne
ragazzi?”
Grida
ai suoi complici il capo della banda che tiene bloccata una Daisy che riesce
solo a gridare un violento “No, lasciatelo in pace, Bo stai attento!....”.
I
malviventi continuano a colpire Bo all’addome e sul volto, lo lasciano cadere a
terra e sono ancora calci e spinte.
“Ne
hai abbastanza ragazzino?”
Ma il
ragazzino evidentemente è più testardo di quanto pensino gli ingenui rapinatori
e Bo si rialza riuscendo a trovare le forze in un angolo di fiato rimasto.
Tenta di restare sordo al dolore lancinante che sente e si getta a testa bassa
in una nuova rissa a numeri impari. La reazione di Bo, che nonostante le sue
condizioni fisiche continua a lasciare a terra i suoi avversari, infastidisce
definitivamente il capo – banda che spara un colpo in aria, stringe a sé più
forte Daisy puntandole la pistola direttamente sul volto.
“Ok
eroe, è ora di farla finita o la piccola diventa un angelo."
Bo
si arresta, si volta e tra l'affanno vede il terrore negli occhi di Daisy
che lo chiama chiedendo aiuto.
“Scappa
Daisy!”.
In un
attimo Bo è addosso all’uomo armato, Daisy riesce a fuggire, raggiunge la radio
di una delle auto e chiede aiuto. All'improvviso il tuono di uno sparo e poi un
altro, un grido, il suono di due sirene.
“Capo
la polizia!”.
Finalmente
Boss e Rosco in un auto ed Enos nell’altra giungono
sul posto. Da un'altra direzione arrivano anche Cooter
con il suo carro attrezzi e Luke con lo zio Jesse sul furgone di quest'ultimo
entrambi accorsi alla richiesta di aiuto di Daisy giunta alla radio.
Anche
la polizia federale, sulle tracce da tempo dei malviventi, aiutata dal
messaggio alla radio, giunge sul posto riuscendo ad arrestare tutti i
rapinatori alcuni dei quali sono ancora storditi dagli eventi.
Lo zio
Jesse, Luke e Cooter sono in un attimo da Daisy, la
stessa velocità con la
quale Boss corre a raccogliersi l’argenteria, i soldi ed
i buoni del tesoro a lui rubati. Dalla bocca di Daisy escono solo parole
confuse.
“Zio
Jesse, gli hanno sparato, gli hanno sparato….”
“A chi
hanno sparato Daisy, cerca di calmarti, parla…” Luke afferra dalle spalle la
cugina, si guarda intorno, il sangue di colpo di ghiaccio.
"Daisy,
dov'è Bo?”
“E’ lì
vicino al Generale….”. Trema Daisy con la voce.
Non
aggiunge altro. Luke corre verso il cugino, lo trova in piedi, di spalle, una
mano appoggiata sul cofano del Generale. Lo raggiunge, una mano sulla spalla.
Bo
solleva il viso e vede il cugino. Il suo è uno sguardo diretto e sereno che
sembra dire “Finalmente sei arrivato”.
Luke
sposta, con la sua mano, il volto del cugino verso di lui, ha sangue che esce dal
naso e dal labbro superiore, sopra l'occhio destro una ferita dalla quale perde
sangue sul viso
“Che
ti hanno fatto….” sussurra.
Abbassa
lo sguardo, la mano di Bo stretta sullo stomaco, e sangue, tanto sangue.
"Daisy"
Bo cerca di dire qualcosa a Luke, la voce è quasi un sussurro. Fa un breve
respiro "Daisy, sta..."
“Sta
bene. Tranquillo" Lo interrompe Luke "E' con lo zio Jesse. E' tutto a
posto. Vieni qui, appoggiati a me, ce la fai? Bravo, così”
Luke
lascia che il cugino lo abbracci e sente tutto il suo peso sulla sua spalla, lo
sorregge dal fianco e cerca di farlo camminare.
Il
dolore è troppo forte, Bo non sa più neanche da quale parte del corpo arrivi,
le gambe cedono e Luke non riesce a tenerlo in piedi, lo aiuta a
stendersi sul prato e grida
“Chiamate
un’ambulanza, presto!”
“Sta
arrivando Luke, sta arrivando." Risponde puntuale Enos.
Luke
si toglie il giubbotto di jeans lo arrotola e lo mette come meglio può a
sorreggere la testa di Bo ormai privo di conoscenza.
“Sta
perdendo troppo sangue…” parla tra sè Luke, ed ecco
finalmente giungere a sirene spiegate l’ambulanza.
L'ingresso
dell'ospedale delle Tre Contee è bianco e asettico il corridoio è un viavai di
camici bianchi di medici ed infermiere il rumore è quello dei passi veloci, che
trasportano Bo sulla lettiga attraverso porte e corridoi.
Le
porte si chiudono dietro le spalle di Bo e tra i Duke, lasciati fuori, piomba
il silenzio.
I
medici intorno a Bo iniziano a pulire le ferite, una mano di donna delicata
quasi materna pulisce il suo volto "mio Dio questo ragazzo assomiglia in
modo impressionante a..." Esce di corsa dalla stanza del pronto soccorso,
imbocca il corridoio ed è lui.
"Jesse,
sei proprio tu".
"Karen,
non riesco a credere ai miei occhi".
Lo zio
Jesse e la capo infermiera si stringono in un abbraccio caldo e familiare.
"Ma allora il ragazzo lì dentro è il figlio di..."
"Purtroppo
si" è la risposta di zio Jesse.
"Ragazzi
vi presento Karen, era la migliore amica della madre di Bo, hanno studiato
insieme fino a che..."
"Tu
devi essere Luke e tu la
piccola Daisy"
"Come
sta Bo?" chiede finalmente lo zio Jesse, rincuorato da quella presenza
familiare.
"Lo
stanno visitando ancora. Stanno facendo tutti gli accertamenti, ma per
ora purtroppo non so dirti altro. Ma cosa è successo?"
"Una
tentata rapina... credo"
"Torno
da lui, voi aspettate pure qui e state tranquilli, è in ottime mani" è la
risposta rassicurante della capo-sala.
L'attesa
sembra interminabile fino a quando la caposala esce nuovamente da quella stessa
porta insieme ad un uomo dal camice verde. Una persona distinta, pochi capelli,
barba e baffi grigi. Toglie i guanti, dice qualcosa alla donna e si avvicina ai
Duke. "Sono il Prof. Brown, voi siete i
familiari del ragazzo vero?".
"Si
certo" risponde senza pensare Luke.
"Potete
seguirmi nello studio per favore? Ho bisogno di parlarvi".
Karen
li accompagna
"Jesse,
ragazzi non preoccupatevi è un buon medico, e non lo dico soltanto perchè è mio marito".
Jesse,
Daisy, Luke e più indietro Cooter seguono il Professore
sin dentro una stanza arredata in modo semplice ed essenziale ma accogliente.
Il
Prof. Brown siede dietro la scrivania ma non pone
distanze.
Karen
resta in piedi vicino a lui "Sedete prego".
"Il
ragazzo..."
"Bo.."
sussurra zio Jesse
"Bo.."
riprende quasi scusandosi il Professore "è in una situazione molto
critica, ha ferite e lesioni in molte parti del corpo, alcune, molto
profonde, come quella sopra l'occhio destro dalla quale ha perso molto
sangue. Ha due ferite da arma da fuoco una alla gamba destra l'altra
all'addome, il proiettile dalla gamba lo abbiamo estratto, quello all'addome
non è stato possibile"
"Come
mai?" è la domanda dal sapore di retorica di Luke.
"Il
ragazzo...Bo...ha una lesione interna allo stomaco precedente agli eventi di
oggi, dovuta probabilmente ad un forte colpo subìto all'altezza dell'addome,
può risalire a quattro, forse cinque giorni fa".
Si
guarda intorno e continua
"Dalle
vostre espressioni stupìte intuisco che non ne
sapevate nulla. Non avete notato se aveva dolori all'altezza dell'addome? Nelle
condizioni nelle quali lo abbiamo trovato avrebbero dovuto essere dolori molto
forti, difficili da nascondere". "
"No,
non abbiamo notato proprio nulla." Pronta e diretta la risposta di Luke.
"Non
avete idea neanche di come se la sia procurata? "
Nessuno
risponde, Daisy neanche parla, gli occhi bassi, il cuore quasi fermo.
"Va
bene" continua il Professore. "Nelle sue condizioni attuali non
possiamo operarlo, lo perderemmo senz'altro sotto i ferri, il cuore è debole,
ha perso molto sangue, la lesione non ci aiuta. Tenteremo una terapia
antibiotica e vedremo se reagisce l'organismo e se riusciamo a metterlo in
forze per un intervento. Ora lo abbiamo sedato, se volete potete vederlo"
"Si,
la prego" è tutto ciò che solo Daisy riesce a dire.
Le
lenzuola bianche come il volto di Bo, gli occhi chiusi, sembra dormire
profondamente. Una garza, forse un cerotto sopra l'occhio destro, il labbro
ancora segnato, il petto nudo, una fasciatura bianca copre l'addome, qualche
graffio sul dorso di una mano appoggiata sullo stomaco, l'altra distesa
immobile perchè la flebo attaccata non si muova. I
Duke e Cooter entrano nella stanza e stavolta ci sono
anche Boss, Rosco ed Enos, che restano lontani,
discretamente in disparte.
"E'una stanza singola, non possiamo permettercela" Luke
si rivolge al Professore
"Se
permettete penso io a tutto" lontana ma decisa la voce di Boss Hogg
"Devo
molto a quel ragazzo, grazie a lui ho recuperato tutto ciò che possiedo è il
minimo che posso fare".
"Grazie
Boss, ma non possiamo accettare" è la risposta di Jesse.
"Jesse
ti prego ho bisogno di ricambiare in qualche modo e non ne vedo un
altro".
"Bo
ha bisogno di una stanza singola, ha bisogno di tranquillità e di riposo" arriva
puntuale il consiglio del Professore.
"E
va bene Boss, ti ringrazio, ma ti restituirò fino all'ultimo centesimo".
"Oh,
Jesse, lascia perdere"
"Ora
è meglio che usciate se volete do disposizioni che facciano rimanere uno
di voi".
"Le
faremo sapere per ora abbiamo molto da fare alla fattoria".
La
voce di Luke, gli occhi bassi di Daisy, il silenzio di Jesse.
"Io
oggi devo partire per tre, massimo quattro giorni ma da quando rientro posso
rimanere io, non preoccupatevi" la voce che rompe l'imbarazzo è quella di Cooter.
"Va
bene, ora torniamo alla fattoria" porta tutti via con sè
Luke.
Daisy
si volta, è l'unica a farlo, uno sguardo al cugino più piccolo chiude la
porta e cala il silenzio.
"Ok
ragazze, da oggi ognuna di voi prende in carica un paziente dell'ospedale,
prima dell'esame finale per diventare infermiere farete metà turno in corsia e
per l'altra metà affiancherete un'infermiera professionista. Margaret tu
starai con me". La capo sala Karen sceglie l'elemento migliore fra le
future infermiere per assistere Bo.
"Ti
presento Bo Duke, è qui da due giorni e diciamo che ci tengo
particolarmente".
Karen
passa una mano sul viso di Bo, tra i capelli.
"E'
come fosse mio figlio".."mi raccomando,
pressione e temperatura, tranquillità e serenità, quando sei con lui non fare
nulla senza prima avvisare me o il prof. Brown".
"Va
bene caposala".
E
Margaret rimane sola con Bo e lo guarda. Nonostante le ferite sul volto si
capisce che è molto bello. Lei non lo è altrettanto: la classica studentessa
secchiona, quattrocchi ignorata dai ragazzi di ogni età, capelli neri, legati
in una coda di cavallo uno sguardo dolce come il suo sorriso.
"Che
ci fai qui?"
"Caposala
io..."
"Aveva
ragione chi mi aveva detto che ti trattieni qui oltre l'orario consentito.
Usciamo, non è questo il posto per parlarne".
Margaret
segue imbarazzata la sua caposala e cerca un modo per giustificare la sua
presenza a quell'ora nella stanza di Bo. "Ecco io, non volevo far nulla di
male, sono due giorni che.. ecco è sempre solo, non c'è mai nessuno".
"Non
è possibile, lo zio ed i cugini, saranno venuti e non li hai visti"
"No
glielo assicuro, non c'è mai nessuno"
"Effettivamente
neanche io li ho più incontrati".
Tenta
ancora di difendersi Margaret "Io a casa sono sola, invece di studiare lì
studio un po' qui non do fastidio, non lo disturbo, se dovesse aver
bisogno di qualcosa.." Poi riflette Margaret
"...ma
se è contrario al regolamento.."
In
quel momento Bo inizia ad agitarsi nel letto, sembra rivivere un incubo dal
quale si risveglia di soprassalto ricadendo immediatamente con la testa sul
cuscino.
Karen
è ancora lì. Seduta al suo fianco. Margaret dall’altro lato del letto di fronte
a lei.
La
caposala sfiora con la mano il viso di Bo, rivolto verso Margaret.
“Va
tutto bene Bo, va tutto bene…”
Bo non
si volta, il respiro ancora corto per il brusco risveglio, gli occhi chiusi.
“Sai,
io conoscevo tua madre, la conoscevo bene eravamo molto amiche, quello che si
dice delle amiche vere…”gli si rivolge
ancora Karen passando la mano fra i capelli del ragazzo.
Bo a
questo punto si volta, apre gli occhi, la guarda. Non ricorda più quante volte
aveva chiesto allo zio Jesse di descrivergli sua madre e quante volte lo zio
Jesse avesse risposto alle migliaia di domande che gli faceva quasi
giornalmente quel bambino, quel ragazzo, quell’uomo. E le risposte lasciavano
meno curiosità, meno interrogativi e tanta malinconia.
“Era
molto bella, la più bella fra noi..” prosegue Karen “Il suo sorriso era capace
di illuminare la più cupa delle giornate, e la dolcezza del suo sguardo rendeva
piacevole anche la notizia peggiore che potesse arrivare”.
Bo trattiene il fiato cercando negli occhi
di quella donna il riflesso lontano del voltodi sua madre disegnato nei suoi ricordi.
“Era
testarda, impaziente, istintiva….” Sorride verso Bo “…generosa, coraggiosa.. credo
che tu le somigli molto. Credo che se lei fosse qui oggi, sarebbe davvero molto
fiera di te”.
Sorride
di nuovo, passa di nuovo la mano sul viso di Bo.
Lui
ricambia lo sguardoe sussurra quasi a
se stesso: “..non credo proprio…”.
Karen
sussulta, aggrotta la fronte: “Perché dici così Bo?”
Bo non
risponde, sposta lo sguardo scuotendola
testa e si volta di nuovo dalla parte opposta, chiudendo di nuovo gli occhi per
trovare nel buio un rifugio sicuro.
"Margaret"
"Si
caposala"
"Se
vuoi puoi rimanere con lui durante tutto il tuo orario di servizio e lasciare
la corsia, quello che fai nel tuo tempo libero poi riguarda solo te, nessun
regolamento"
"Grazie,
grazie mille" sorride Margaret come avesse appena ricevuto un regalo
inaspettato.
Le ore
si rincorrono,e Bo sembra peggiorare a
vista d'occhio,riprende conoscenza a
momenti, quando è cosciente parla con la stessa fatica con la quale respira e
Margaret è lì giorno e notte. Karen appena può scappa dai reparti per una
carezza uno sguardo, un sorriso a quel ragazzo che le ricorda sempre di più la
sua giovinezza e la sua più cara amica.
"Salve!".
Margaret
guarda Bo che si sveglia ed apre gli occhi, si guarda intorno e si sofferma su
quella faccia di ragazza con la divisa bianca e gli occhiali, non è bella anzi
onestamente la trova un po' buffa, ma sembra simpatica e sicura di sé.
"Salve"
riesce a sussurrare.
"Io
mi chiamo Margaret sono la sua infermiera...non infermiera,...bè per
l'esattezza sarò infermiera tra poco devo ancora diplomarmi...ma è questione di
giorni, tra poco discuterò la tesi e finirà il tirocinio."
Bo
guarda la ragazza che parla con la foga di un fiume in piena, accenna un
sorriso, lei arrossisce "parlo troppo e troppo veloce.."
Bo
sorride. Non capisce esattamente cosa gli sta accadendo, si guarda intorno,
cerca qualcosa, forse qualcuno,prova ad
alzarsi ma un dolore lancinante lo butta di nuovo sul letto.
"Non
deve sforzarsi signor Duke"
"Bo"
riesce appena a bisbigliare prima di chiudere nuovamente gli occhi.
Si
rincorrono le giornate e Margaret è sempre lì al fianco di Bo, di giorno e di
notte. La notte si siede su una poltrona oltre il letto, studia alla luce della
lampada sul comodino e si addormenta spesso abbracciata al suo libro. Quella
notte il libro le scivola dalle mani, cadendo a terra in un tonfo sonoro.
Margaret si sveglia di soprassalto, fa per raccoglierlo quando si accorge che
qualcosa non va.Bo si agita nel letto
spostando il volto da un lato all’opposto del cuscino, è sudato per la febbre
alta. Apre gli occhi, li richiude per il dolore. Margaret gli sfiora il viso
con una mano poi prende dell’acqua da una bottiglia e la versa nella sua tazza
da caffè. Invita Bo a berne un sorso aiutandolo a sollevare la testa. Bo fa per
alzarsi ma le forze gli mancano, si aggrappa al polso di Margaret facendole
cadere la tazza dalle mani che finisce in frantumi sul pavimento.
"Tuo
figlio, questa volta mi sente davvero!"
Seduti al tavolo della mensa dell'ospedale Karen e suo
marito discutono amorevolmente dei propri affari familiari.
"Andiamo John, è soltanto un ragazzo, e si da il
caso che sia anche tuo figlio."
"Avrebbe dovuto discutere la tesi quattro mesi
fa, Karen. Se pensasse meno a divertirsi e mettesse un po' di sale in quella
zucca, a quest'ora sarebbe già passato al praticantato".
"Lo sai che ha avuto un periodo difficile da
quando Jenny lo ha lasciato, dobbiamo avere pazienza, si riprenderà ne sono
certa"
"Tu abbi pazienza, io più tardi lo chiamo e gli
dico che deve darsi una smossa o non contasse più su di me per il resto dei
suoi giorni. Ha bisogno di una raddrizzata"
"Andiamo, ha solo bisogno di..."
Il suono del cercapersone sulla cinta della caposala
li interrompe bruscamente.
"E' Margaret, deve essere successo qualcosa"
"Andiamo" . Abbandona il panino sul tavolo il
Prof. Brown correndo via con quel sesto senso che gli
dice che qualcosa è successo davvero ed a quel sesto senso negli anni ha
imparato a dare ragione.
Corrono
verso la stanza di Bo, entrano. Margaret èin piedi pallida al fianco di Bo gli bagna la fronte con un panno umido,
"che succede?” chiede Karen.
"Sta
male ha la febbre molto alta è agitatissimo. Ho provato a calmarlo ma poi la
febbre è salita di colpo, ho pensato fosse meglio chiamarvi" .
"Hai
fatto bene Margaret, stai tranquilla". Una mano sulla spalla della futura
infermiera e poi la caposala torna ad occuparsi di Bo.
Bo
si agita, trema, ogni tanto socchiude gli occhi. Tenta di dire qualcosa
ma lo sforzo è enorme.
Karen gli prende una mano, gli
sfiora la fronte, brucia di febbre. Passa una mano sul viso di Bo che ha un
sussulto al contatto.
Apre gli occhi. Karen lo guarda, gli fa un sorriso.
"Tranquillo, tranquillo, non devi
avere paura".
Bo fa un respiro profondo e la
guarda, lui non lo sa ma la guarda come un figlio avrebbe guardato sua
madre.
"Dov'è che senti dolore?"
chiede la caposala.
"Temo che in questo momento farebbe
prima a dirci dove non lo sente. Non sbaglio vero?"
Interviene il Prof. Brown rivolgendosi direttamente a Bo.
Bo sposta lo sguardo da Karen al
Professore.
Basta uno sguardo per confermargli che
no, non sta sbagliando.
Il bravissimo, cinico Prof. Brown come tutti lo
chiamano in ospedale, si avvicina di più, passa una mano sulla fronte
di Bo bagnata di sudore, si avvicina di più con il viso al suo viso.
"Cerca
di stare tranquillo"
"Non c'è niente che possiamo fare?" Chiede
Karen.
"Temo di no." Risponde il Prof. Brown.
"Possiamo aumentare la dose di
antidolorifico?" Insiste Karen.
"No, quella che stiamo somministrando supera già
il limite consentito nelle sue condizioni. Una dose più forte potrebbe non
sopportarla. Rischieremmo troppo. Deve farcela da solo, anche questa
volta."
Con uno sforzo enorme Bo sposta la mano legata alla
flebo ed afferra il polso del Prof. Browriuscendo ad attirarne l’attenzione. Schiude
le labbra, tenta di dire qualcosa ma non ci riesce, scuote la testa ne incrocia
lo sguardo. E quello sguardo il bravissimo cinico Prof. Brown non lo avrebbe più dimenticato. Quegli occhi erano
quasi una preghiera, con quegli occhi Bo gli stava dicendo che questa volta da
solo non ce l'avrebbe mai fatta.
Erano anni ormai che Karen e suo marito vivevano e
lavoravano insieme. Karen ne conosceva tutti i pregi e tutti i difetti, ogni
più piccola sfumatura delcarattere e lo
stesso valeva per lui. Probabilmente si amavano da sempre e sicuramente si
sarebbero sempre amati. Lo amava per il suo essere tanto solare, disordinato e
confusionario in casa quanto per la sua capacità di rimanere lucido e
distaccato sul lavoro quel tanto necessario per svolgerlo in maniera
impeccabile. Ma ora per la prima volta, dopo tutti questi anni trascorsi
insieme, Karen vede suo marito perdersi per un momento, lo vede nei suoi occhi
fissi negli occhi di Bo.
"Aumentate la dose di antidolorifico." E’
l’ordine del Professore.
Bo chiude gli occhi e li riapre in un battito lento
quasi impercettibile . E' un grazie.
Il marito di Karen gli sorride e torna in piedi.
"Per le prossime quattro ore non deve rimanere da
solo, fate i turni, fate quel che volete. Voglio monitorata ogni minima
variazione e che ogni minima variazione mi venga comunicata." Torna il
Prof. Brown.
"Io mi allontano, devo fare una telefonata"
Karen volta un secondo lo sguardo verso suo marito non
lasciando il fianco di Bo.
"Chiami Derek?"
Il Professore fa solo un cenno con la testa.
"Cosa gli dirai?"
Il Prof. Brown guarda sua
moglie, sposta lo sguardo e le risponde fissando Bo.
"Gli dirò che deve darsi una smossa, che la fine
di una storia non è la fine del mondo, che sarò felicissimo il giorno che
prenderà la Laurea, che qualsiasi scelta faccia lui mi avrà sempre accanto e
potrà sempre contare su di me".
Karen gli fa un sorriso
"Salutalo anche da parte mia"
A notte inoltrata Margaret è di turno, ne approfitta
per raccogliere i cocci della tazza da caffè ancora in terra dopo tutto il
trambusto.
“Era un regalo?” è la voce di Bo. Margaret ancora in
ginocchio, si volta verso di lui.
“Mi ha spaventata…” Abbozza un sorriso “..si era un
regalo..”, finisce di raccogliere i pezzi, si alza da terra e li getta nel
cestino.
“Mi dispiace…” si scusa Bo.
“A me no…” sorride l’infermiera.
“Sul serio?” si stupisce Bo.
“Sul serio” conferma Margaret continuando “era un
regalo delle mie compagne del primo anno di corso, ma se lo immagina? Davvero
un bel pensiero: una tazza da caffè a forma di rospo…non sono mai riuscita ad
apprezzarla né a ringraziarle come avrei dovuto..” continua sorridendo
l’allieva infermiera “L’ho sempre odiata. Credo proprio di doverla ringraziare…
come sta piuttosto? Va meglio?”
Bo sorride: “Si, molto meglio, grazie” . Poi uno
sguardo al viso pallido della ragazza. “Lei sta bene?”
Margaret guarda il suo paziente, stupita da quella
domanda. “Si, tutto bene…” ed abbozzaun
sorriso.
“Ne è sicura?” insiste Bo.
“Sicurissima!” Sorride di nuovo.
Bo la guarda, inarcando le sopracciglia come per
chiedere se aveva qualcosa da dirgli.
Lei sorride: “..ecco è che lei è il mio primo
paziente….”
“Lo ha scelto un po’impegnativo…” ora sorride Bo.
“Oh no, non l’ho scelta io, mi ha assegnata a lei la
Caposala” chiarisce Margaret.
“Oh, speravo mi avesse scelto lei…” continua Bo
“Bè…no….ma io se avessi potuto l’avrei scelta…. È
che…”
“Scherzavo…” sorride ancora Bo.
“Io…io sono stata inadeguata…” inizia in un fiume di
parole Margaret “ora lei starà pensando che razza di infermiera è una
infermiera che rimane impietrita di fronte ad una crisi del proprio
paziente….ora lei starà pensando che razza di infermiera è una infermiera terrorizzata
all’idea di perdere il proprio paziente e non perché per qualunque medico,
infermiere o portantino perdere un paziente è un fallimento personale oltre che
un dramma ma perché a quel paziente si sta affezionando infinitamente…” Bo
sorride. “Ora lei starà pensando…”
“Sto pensando…” Bo la interrompe, lei lo guarda
scoraggiata, curva su se stessa. “Sto pensando che devo ricordarmi di
ringraziare la caposala per non averle assegnato un altro paziente..”. Margaret
solleva lo sguardo, Bo le strizza l’occhio, le sorride e lei non si sente
all’improvviso più inadeguata, forse si sente felice, si forse si sente felice.
Getta
il bicchiere di carta nel quale ha preso il suo primo caffè della mattina e
Margaret entra nella stanza di Bo fermandosi sulla soglia con un piccolo
sussulto per la sorpresa.
"Mi
scusi, non credevo ci fosse qualcuno".
"Sono
appena arrivato e sono subito venuto qui". Risponde Cooter
con un certo imbarazzo.
"Come
sta?" chiede all'infermiera.
"Come
può vedere ora dorme, ma ha passato una brutta nottata ."
Cooter lancia uno sguardo all'amico, gli stringe la mano che non risponde alla
stretta e ripensa a quella frase.
"Mi
scusi che vuol dire che non credeva ci fosse qualcuno?"
"Quello
che ho detto" risponde Margaret pentendosi un po' della scarsa
professionalità del suo tono.
"Di
solito non c'è nessuno.."
"Nessuno
a parte i Duke, suppongo"
"Nessuno
e basta".
Cooter spera di non aver capito. Sapeva degli screzi che c'erano stati tra i cugini
negli ultimi tempi, sapeva delle difficoltà alla fattoria ma conosceva bene i
Duke e quanto fossero uniti soprattutto nei momenti di difficoltà e di maggiore
bisogno.
"Sta
cercando di dirmi che non le è mai capitato di incontrare lo zio Jesse o Daisy
o Luke?".
"Sto
cercando di dirle che nessuno di loro è mai venuto."
Ecco
lo ha detto e Cooter non crede a ciò che sente
"Non
è possibile".
"Possibilissimo".
Prende
il berretto poggiato sulla sedia poco prima ed esce come un fulmine in
direzione della fattoria dei Duke. Giunto a destinazione si accorge che tutto
ha un aspetto dannatamente normale, sono tutti al lavoro non manca nulla, manca
solo Bo. Scende dal carro attrezzi e gli va incontro Luke
"Ehi,
amico, come stai? Sei tornato oggi? Vieni, entra e prenditi un caffè con noi
stavamo giusto per fare una pausa".
Un Cooter sempre più incredulo entra nella cucina.
Daisy sta
preparando il caffè e lo zio Jesse taglia la torta preparata quella stessa
mattina. Cooter non crede ai suoi occhi, trattiene la
rabbia e l'incredulità, prende fiato
"Sono
stato da Bo".
Cala il silenzio.
"Zio Jesse,
l'infermiera mi ha detto di non aver visto mai nessuno di voi, non vi siete
incontrati?"
"Non sono tuo zio
e...non siamo potuti andare, vedi come siamo combinati qui. Senza Bo poi, ci
tocca lavorare il doppio".
"Non credo a ciò che
sento" non riesce a trattenersi Cooter
"Uno di voi, un
Duke, Bo, è in una squallida stanza d' ospedale e nessuno di voi trova il tempo
di andare a trovarlo...Luke è tuo cugino".
"Cooter
non sei la persona dalla quale accetto prediche, stiamo rischiando di perdere
la fattoria e, tanto per cambiare, Bo non c'è di nessun aiuto"
"Ma che stai
dicendo..." Un Cooter quasi rassegnato, volta lo
sguardo a cercare quello di Daisy
"Daisy....".
La ragazza abbassa il
viso distogliendo lo sguardo.
"Non posso crederci
ad Hazzard tutti vi amano e vi stimano per l'affetto
ed il legame che ostentate l'un l'altro, è tutta una farsa. Non siete che degli
ipocriti"
"Cooter
non ti permettere..." zio Jesse non fa in tempo a finire la frase
che Cooter è gia fuori
dalla fattoria, sul suo carro attrezzi. Una voce lo richiama.
"Cooter"
è Daisy
"Come sta?"
Il meccanico si volta,
gli occhi lucidi di rabbia.
"Perchè
non vai tu stessa a vederlo?" e si allontana seguito da una nuvola di polvere.
"Buongiorno amico!
Salve infermiera Margaret". E' il giorno successivo e Cooter
entrando nella stanza trova Bo sveglio, lo schienale del letto leggermente
reclinato perchè non stia completamente sdraiato,
volta lo sguardo, guarda l'amico, accenna un sorriso.
"Cooter"
"Come va?". Si
toglie il berretto e passa dall'altro lato del letto.
La voce di Bo esce a
fatica e non è la stessa di sempre non così la sua ironia
"Non mi lamento, tu
stai bene?".
La risposta di Cooter viene interrotta. L'intervallo tra il bussare
sulla porta e la porta che si apre è breve, nella stanza entrano Daisy e lo zio
Jesse.
Il volto di Bo cambia
espressione, le sue labbra accennano un sorriso.
"Zio Jesse,
Daisy..." lo zio Jesse si avvicina al letto, Daisy lo segue senza parlare,
a Bo basta guardarlo in viso perché il suo sorriso si smorzi.
"Sai nipote, non mi
piace che si dica in giro che non siamo una vera famiglia, così ti ho portato
alcune cose che potrebbero servirti.."
Cosi dicendo un
irriconoscibile zio Jesse rovescia una borsa piena di indumenti sul letto di
Bo.
"Zio Jesse.."
tenta di intervenire Cooter.
"Non sono tuo
zio".
"Lascia stare Cooter" blocca la
discussione Bo.
"E con questo penso
sia tutto".
Lo zio Jesse volta le
spalle al nipote. Bo lo segue con gli occhi fino a che non esce dalla porta poi
punta dritto negli occhi il volto di Daisy che abbassa lo sguardo ed esce
accompagnando lo zio.
"Mi dispiace Bo,
quando ieri sono andato alla fattoria non avrei mai creduto che.."
"Cosa hai fatto Cooter?" Si gira di scatto Bo verso l'amico meccanico.
"Stia calmo"
cerca di intervenire Margaret.
"Io credevo
che..." bisbiglia Cooter
"Ma che cosa
credi?" prende il poco fiato che ha in corpo Bo
"Credi forse che mi
serva compagnia?" ed il respiro diventa affannato.
"Si calmi la
prego" riprova Margaret senza successo
"Credi che io abbia
bisogno di voi e di te? Avresti fatto meglio a badare ai fatti tuoi una volta
tanto".
Porta una mano al petto
Bo e cerca di prendere più aria possibile ma l'aria non arriva.
"Bo cerca di star
calmo ti prego, se ti calmi starai meglio" ora è Cooter
a provarci.
"Starò... starò
meglio dopo che te ne sarai andato".
"Bo.."
"Vattene!"
riesce a gridare.
"Esca la prego e
vada a cercare il Dott. Brown per favore credo abbia
una crisi respiratoria".
Esce di corsa Cooter mentre Margaret aiuta Bo a sdraiarsi sul letto, è
pallido e respira con fatica, con troppa fatica.
Daisy e lo zio Jesse sono
quasi all'uscita quando una voce dagli altoparlanti interni all'ospedale
chiama
"il dottor Brown si rechi con urgenza alla stanza 209, il dottor Brown..."
"Zio Jesse è la
stanza di Bo.." Daisy si ferma.
"E allora?"
"Zio Jesse, non
posso farlo, non posso andarmene così".
Lo zio Jesse si volta
verso la nipote, una carezza sul volto.
"Fai quello che ti
senti di fare" e sembra essere il caro vecchio zio Jesse.
Torna indietro di corsa
Daisy, la stessa velocità con la quale si allontana Jesse dall'ospedale.
Davanti alla porta chiusa della stanza di Bo c'è Cooter
che si volta verso di lei.
"Ma che diavolo vi è
saltato in mente? Come avete potuto fare una cosa del genere?"
"Cooter
ti giuro, non sapevo nulla delle intenzioni dello zio Jesse, mi aveva solo
detto che sarebbe venuto qui ed io l'ho seguito, che cosa è successo? Come
sta?" Le lacrime scorrono veloci a rigare il volto di Daisy.
"Ha avuto una crisi
respiratoria, o qualcosa di simile, ora ci sono i medici con lui".
Finisce la
frase Cooter ed inizia un'attesa
fuori dalla porta, un'attesa di abbracci e di silenzi fin quando la porta finalmente
si apre ed esce il prof. Brown con Karen.
"Professore come sta
Bo?" è la domanda di Cooter timorosa della
risposta.
"Sta meglio, la
crisi è superata è un po'indebolito, ma sta meglio"
"Ha chiesto di te, Cooter" non finisce la
frase Karen che Cooter è già sulla
porta della stanza di Bo.
Bo è' sveglio ed è
con l'immancabile Margaret, solleva la testa, accenna un sorriso a Cooter che si avvicina.
"Ti senti
meglio?"
"Molto meglio
grazie. Cooter...io non avrei dovuto prendermela con
te, so bene che non c'entri nulla e.."
"Lascia stare amico,
non pensarci".
"Come posso farmi
perdonare?" Sorride Bo.
"Non c'è nulla di
cui farti perdonare" risponde ironico il meccanico - amico.
"..ma se proprio
insisti..." continua Cooter.
"Dimmi
tutto"
"C'è Daisy qui fuori"
"Cooter"
lo interrompe Bo "non ho voglia di vedere nessuno"
"Non ti credo"
Sospira Bo e guarda
altrove, poi di nuovo lo sguardo su Cooter
"E' stata qui tutto
il tempo, ha bisogno di vederti, è molto giù.."
"Cooter.."
"Bo..."
"Falla entrare"
"Grazie".
Cooter esce a chiamare Daisy che entra e
getta gli occhi su Bo che volge lo sguardo altrove.
"Venga Margaret, le
offro un caffè". E' la proposta di Cooter
"Ma io non so se è
il caso...."
"Si fidi, si fidi di
me". E Cooter fa in modo che i due cugini
restino finalmente soli.
"Come stai?"
esce flebile, quasi impercettibile la voce di Daisy.
"Sto bene, sto
bene" è la risposta di Bo che tenta di alzarsi per poggiare meglio la
testa sul cuscino e cercare di alleviare i dolori che sente, ma un braccio non
regge il peso e ricade sulla schiena nella stessa posizione di prima. Daisy si
avvicina quasi di istinto.
"Ti
dò una mano". Daisy si offre avvicinandosi a piccoli passi verso il letto
di Bo.
"No,
lasciami stare" è la secca risposta di Bo.
Daisy
rimane lì freddata dal tono e dalle parole del cugino. Non può biasimarlo, non
poteva aspettarsi altro, eppure il dolore che sente è talmente
forte che scoppia in un pianto irrefrenabile, le mani sul volto, singhiozzi e
lacrime. Bo le volge finalmente lo sguardo, nè lui nè Luke hanno mai sopportato di vedere piangere la cugina.
"Ehi,
principessa, che c'è? Vieni qui, avvicinati".
Rieccolo
Bo, istintivo e protettivo, tenero e gentile. Daisy si getta sul letto al
fianco del cugino appoggia il viso sul suo petto, lui con la mano libera dalle
flebo le allontana i capelli dal viso, le asciuga le lacrime e le
sussurra
"Scusami,
ho esagerato".
Daisy
solleva il viso
"Oh,
Bo, mi dispiace, mi dispiace tanto"
Continua
a piangere "non sapevo che cosa volesse fare lo zio Jesse, glielo avrei
impedito ti giuro, avrei dovuto...io sapevo che non stavi bene...è tutta colpa
mia"
Daisy
annega Bo in un mare di parole e di lacrime.
Bo le
sfiora il viso, le asciuga le lacrime, le fa un sorriso, il suo sorriso
"Ma
di che stai parlando? Calmati, è tutto a posto principessa è tutto a posto,
stai tranquilla".
Il sorriso
di Bo arriva diritto al cuore di Daisy che ricambia anche lo sguardo
"Perdonami
se puoi, ti prego"
"Daisy,
non ho niente da perdonarti". E riecco quel sorriso.
Daisy
si abbandona di nuovo sul petto del cugino e sussurra
"Mi
manchi tanto Bo".
"Sono
qui Daisy, sono qui".
E su
queste parole Bo prende un po' di fiato perchè quel
"mi" arriva come una pugnalata sul cuore.
"Cosa
le avevo detto?"
Cooter mostra la sua vittoria personale a Margaret sbirciando dalla porta
l'abbraccio fra i due cugini.
Il sole
splende alto nel cielo lo zio Jesse in giardino vede avvicinarsi la sagoma di
una donna nella quale riconosce subito Karen.
Le si
avvicina, l'abbraccia.
"Karen,
che bello averti qui alla fattoria, vieni, prendi un caffè?"
"Molto
volentieri Jesse a patto che lo prendiamo qui fuori sotto questo meraviglioso
sole" .
Pochi
istanti dopo Jesse e Karen si ritrovano seduti nel cortile della fattoria,
a parlare dei vecchi tempi ed è come un tuffo nel passato per entrambi.
"Ah,
Jesse, sapessi quante volte vi ho pensato e quante volte ho pensato di tornare
e di portare mio figlio a conoscervi. Quando ho visto Bo mi sono riaffiorati
alla mente così tanti ricordi...lui le somiglia così tanto"
"E'
vero le somiglia molto, ogni tanto guardo lui e guardo Luke e Daisy e penso al
momento dell'incidente ed a quanto io e Martha ci sentissimo inadeguati a
crescere tre bambini così piccoli. Bo aveva appena pochi mesi. La cosa ci
terrorizzava da morire."
"Il
risultato è stato eccellente. Mi sembrano tre ragazzi molto in gamba, così
diversi fra loro"
"Lo
sono, Karen, lo sono ed io sono così orgoglioso di ognuno di loro. E' vero sono
molto diversi. Lo sono sin da quando erano piccoli. Bo è sempre stato un
istintivo, impulsivo, pronto a buttarsi a capofitto in ogni genere di
situazione senza pensarci troppo. Ha bisogno di continue conferme. Luke
l'esatto opposto, riflessivo, protettivo e decisamente più tranquillo. Ricordo
che quando cercavo Bo per sculacciarlo o metterlo in punizione per una delle
tante che ne combinava lui si nascondeva spesso dietro Luke e Luke era sempre
lì pronto a prendere le sue parti ed a proteggerlo, persino da me. Entrambi
hanno sempre avuto un enorme senso di protezione l'uno verso l'altro ed
entrambi nei confronti di Daisy. Sono dei ragazzi straordinari, sono così fiero
di quello che sono diventati."
"Lo
immagino." sussurra Karen e prosegue
"Sai
Jesse, vedere Bo in ospedale, mi ha riportato alla mente il giorno
dell'incidente. Ricordo che ero appena un'allieva infermiera in servizio
al pronto soccorso. Lo stesso pronto soccorso dove portarono tutti i
feriti".
"Lo
ricordo come fosse ieri". Prosegue Jesse.
"Arrivai
lì di corsa assieme a Martha non appena ce lo comunicarono. Appena arrivati ci
dissero che il padre di Luke era morto sul colpo ma gli altri miei fratelli
erano feriti gravemente, così andai prima da loro e quando sono riuscito
ad arrivare dalla madre di Bo, ormai era troppo tardi".
"Neanche
i suoi genitori hanno fatto in tempo a raggiungerla, c'ero solo io con lei ed
il gran caos intorno, è morta da sola nel corridoio di quel pronto
soccorso." Prende fiato Karen
"Sarebbe
davvero beffardo un destino che permettesse che la stessa cosa
accada a suo figlio…"
Jesse
ha un sussulto al cuore, guarda Karen.
"Come sta?"
Karen
abbassa lo sguardo un momento, poi di nuovo gli occhi negli occhi di Jesse.
"Purtroppo
le sue condizioni non migliorano, Jesse, anzi peggiorano di giorno in giorno.
Lo teniamo spesso sotto sedativi per risparmiargli un po' di dolore ma non
sempre è possibile, non sempre è sufficiente. Poi è un Duke e cerca
disperatamente di reagire ma davvero onestamente non so dirti neanche io come
faccia."
Karen
cerca di misurare ogni parola, ma non se la sente di mentire.
Tende
la mano ed arriva sulla mano di Jesse.
"Jesse, io non so e non voglio sapere cosa sia accaduto tra di voi. Ma so
quanto siete uniti, quanto hai fatto per quei ragazzi, quanto ci tieni ad
ognuno di loro. Jesse, ora Bo ha davvero un disperato bisogno di te."
Jesse
tace, guarda Karen, stringe la sua mano.
"Ora
devo proprio tornare all'ospedale, sta per iniziare il mio turno."
Karen ricambia la stretta e si alza in piedi. Lo zio
Jesse fa lo stesso
"Vengo
con te."
Giunti
sulla porta della stanza di Bo, Karen e lo zio Jesse si trovano in un
viavai di camici bianchi.
"Bo
Duke, sta male, credo abbia una crisi e non riescono a calmarlo. E' più di
un'ora, caposala.."
Karen
si precipita nella stanza, lo zio Jesse le corre dietro.
Bo
è seduto sul letto, la testa tra le mani appoggiate sulle ginocchia, non grida,
non dice nulla, trema come un bambino che ha paura del silenzio. E chiuso su se
stesso. Si tiene il viso con le mani talmente forte da non permettere a
nessuno di avvicinarsi.
"Che
succede John?" chiede Karen a suo marito giunto immediatamente appena
avvisato.
"Ha
forti dolori alla testa, probabilmente dovuti alla lesione sull'occhio, la
febbre è di nuovo molto alta, dobbiamo somministrare del tranquillante
assolutamente ma non riusciamo a calmarlo, la pressione è altissima.. ."
"Fate
provare me".
Lo
zio Jesse ha ascoltato tutto dall'unico angolo della stanza che aveva trovato
libero dove aveva preferito fermarsi per non intralciare il lavoro dei
medici. Si fa avanti ma rimane dietro i camici degli infermieri che
cercano di trattenere Bo.
"Vi
prego fate provare me" insiste.
Karen
guarda suo marito che ci pensa un attimo, guarda Bo, dà il suo consenso.
"Non
possiamo fare altro, le abbiamo provate tutte, fatelo passare".
Jesse
si avvicina al letto ed appena è sulla sponda Bo affonda il viso nel suo
abbraccio, senza neanche schiudere gli occhi, continuando a nascondere il viso
tra le mani. Lo zio Jesse lo stringe forte, forte come quando era bambino, e
come quando era bambino lo sente lentamente smettere di tremare. Il respiro
tornare leggermente più regolare.
Lo
sguardo dello zio Jesse scivola per un attimo alle spalle di Bo, la schiena è
piena di lividi. Lo stringe forte, ancora più forte a sé:
Lo
zio Jesse aiuta Bo a distendersi sul letto non appena lo sente più tranquillo.
Uno
sguardo ai medici.
"Zio
Jesse"
"Sono
qui".
Bo
apre gli occhi si guarda intorno cerca qualcosa, forse qualcuno e lo trova.
"Credevo
che..."
"Sono
qui ragazzo, sono qui." Prende le mani di Bo fra le sue." Hai le mani
ghiacciate, senti freddo?"
"Un
po'.."
"Vado
a prenderti qualcosa per coprirti"
Jesse
accenna ad alzarsi dal fianco di Bo.
"No,
aspetta!"
Bo
afferra e stringe più forte la mano dello zio Jesse trattenendolo a sè e come un flashback improvviso la mente di entrambi
torna a quella sera vicino alla finestra quando Bo aveva trattenuto per
un braccio lo zio Jesse nel tentativo di non farlo andar via.
Si
guardano.
Bo
lascia immediatamente la presa, ma questa volta è lo zio a riprendere e
stringere forte a sè la mano di Bo nuovamente fra le
sue.
"Vado
io a prendere una coperta" interviene puntuale Margaret.
Zio
Jesse siede di nuovo al fianco del nipote più piccolo, con una mano gli sfiora
il viso
"Sono
qui, resto qui.."
Bo inspira a fatica con una smorfia di dolore.
Il Prof. Brown è pronto in
piedi vicino a lui, un'iniezione pronta in mano.
"Non preoccuparti Bo, immediatamente dopo questa
ti farai una bella dormita ed il dolore che senti passerà, stai
tranquillo".
Bo volta lo sguardo verso il medico.
Un respiro profondo.
"Solo un attimo.." Chiede.
"Bo, senza questa il dolore non
passerà". Insiste il Professore.
Bo fa cenno di aver capito e si volta di nuovo verso
lo zio Jesse.
"Zio Jesse.."
"Bo, perchè non pensi a
riposare, non c'è bisogno di parlare ora". Cerca di convincerlo Jesse.
"Invece si.." sussurra deciso Bo.
Una mano sulla spalla dello zio Jesse, è Daisy,
rimasta lì in silenzio tutto quel tempo.
"Lascialo fare, zio Jesse.."
Daisy sa, da quando tutta questa brutta storia è
iniziata, quanto ci tenga Bo a chiarire le cose con lo zio e quanto bisogno
abbia di parlargli finalmente. Guarda suo cugino, un sorriso ed un cenno del
capo.
Un
altro respiro profondo, un dolore lancinante.
"Mi
dispiace, zio Jesse, mi dispiace davvero" Bo guarda lo zio.
"Bo.."
cerca di interromperlo Jesse.
"Io...hai ragione, non avrei mai dovuto fare
niente di tutto quello che ho fatto."
"Bo..." cerca inutilmente di intervenire
ancora lo zio
"Mi
sono comportato da stupido" fa una pausa, un respiro " più del
solito."
Una
nuova fitta di dolore, Bo si porta d'istinto una mano sulla ferita alla
testa.
"Ora
basta!" Interviene il Prof. Brown e si avvicina
pronto per fare l'iniezione.
"No,
un momento!" Lo blocca Bo, un filo di voce decisa.
"..per
favore..." aggiunge.
Il
Professore si ferma senza credere ancora di averlo fatto davvero..
Bo si
rivolge di nuovo allo zio Jesse, guardandolo in viso, cercandone gli occhi.
"So
bene di averti deluso zio Jesse. Non me lo perdonerò mai"
"Bo..."
"Non
accadrà più, credimi"
"Bo" stavolta lo zio Jesse interviene deciso
"Tu
non mi hai deluso, nessuno di voi tre potrà mai deludermi, sono così fiero di
voi, di ognuno di voi"
Va
avanti lo zio Jesse.
"Siamo tutti esseri imperfetti. Capita a tutti di
inciampare in momenti di stupidità. Questa volta Bo è capitato a me".
"zio Jesse tu non..."
"Io avrei dovuto tenervi più stretti a me in
questo momento di difficoltà, e invece, non so cosa mi sia preso. Ho perso di
vista ciò che di più importante il buon Dio mi ha donato in questa vita. Tu,
Luke e Daisy. La fattoria sarebbe soltanto un contenitore vuoto e sterile se
mancasse anche solo uno di voi."
"Potrai perdonarmi?" Chiede Bo.
"Solo
se tu perdonerai me, Bo".
Bo
guarda lo zio che gli sorride e finalmente si sente di nuovo a casa, riesce a
sorridergli.
"Ti
voglio bene, zio Jesse"
"Ti
voglio bene anche io Bo. Ti voglio bene non scordarlo"
Il Prof. Brown somministra
il calmante nella flebo. Quasi immediatamente Bo chide
gli occhi, si sente così stanco che dormirebbe e dormirà presto molto
volentieri.
Lo zio Jesse si alza, fa un passo indietro.
Bo chiude gli occhi.
"Zio Jesse"
"Si, Bo."
Bo riapre gli occhi per una frazione di secondo,
guarda lo zio vicino a lui. Li richiude sorridendo a un ricordo.
"Ti ricordi quando eravamo piccoli e di notte
fuori si sentiva il temporale?"
"Come non lo ricordo Bo?"
"Avevamo tutti e tre una gran paura" .
Prosegue Bo.
"Già. Io lo sapevo fin troppo bene."
Continua lo zio Jesse. "Ed ogni volta vi venivo a cercare e vi trovavo
sempre nello stesso posto: rannicchiati uno aggrappato all'altro nel letto di
Luke.
Ricordo che mi sedevo accanto a voi, tenevo unite nella mia mano le vostre
mani e vi accarezzavo il viso finchè non ero certo
che vi foste addormentati tutti e tre".
Sposta lo sguardo, Bo, socchiude appena gli occhi,
guarda lo zio Jesse, il sonno sta per avere la meglio su di lui.
Lo zio Jesse ricambia lo sguardo.
Si avvicina di nuovo al letto di Bo, prende la sua
mano sinistra, la nasconde fra le sue mani. Bo accenna un sorriso, gli occhi
chiusi. Lo zio Jesse lascia una mano sulla mano del nipote e con l'altra gli
sfiora i capelli, poi il viso e di nuovo i capelli. Come allora, come se fuori
ci fosse quel temporale di cui non bisogna più aver paura.
"Luke, ancora sveglio?"
"Non
riuscivo a dormire, sarà il caldo, non ci sono più abituato".
Luke
mente allo zio Jesse per non raccontargli che ha fatto di nuovo quel sogno ma
stavolta le ombre hanno volti e le voci hanno nomi. Era la rissa al BoarsNest, quella di alcuni
giorni prima, quella nella quale Bo per avvertire lui non era riuscito a
schivare il colpo all'addome, quel colpo che probabilmente aveva causato
la lesione allo stomaco.
"Non
è tardi per rientrare a casa zio Jesse?" accenna un sorriso Luke.
"Sono
stato da Bo."
Luke
non dice nulla, volta lo sguardo altrove.
"Luke"
Una
mano dello zio Jesse sulla spalla del nipote più grande
"Voltati
e guardami Luke".
Come
sempre Luke ubbidisce.
"Vi
devo delle scuse"
"Ma
che dici zio Jesse?"
"In
questi giorni ho trascurato le cose più importanti, non ho visto ciò che avrei
dovuto vedere."
"Zio
Jesse, stai rischiando di perdere la fattoria che è la cosa più importante per
te!"
"No
Luke, non lo è. Voi, voi si che siete la cosa più importante. E lo sarete
sempre"
Lo zio
Jesse allarga le braccia ed accoglie il nipote più grande stringendolo forte a sè come se rischiasse di perderlo da un momento
all'altro.
Apre
gli occhi e si guarda intorno. Vede subito suo cugino Luke di spalle, in piedi
vicino alla finestra. Lo conosce molto bene talmente bene da capire che quella
non è una visita di piacere.
"Bensvegliato cuginetto!". Il saluto di Luke a conferma
del sospetto di Bo.
"Luke,
ti prego, non ho voglia di discutere ora". Il tono della voce basso.
La mano sinistra passata tra i capelli.
"Non
ha voglia di litigare il piccolo..." continua con sarcasmo
Luke.
"Che
ci fai qui, Luke?" il tono di Bo diventa meno paziente.
"Sono
venuto per vedere come stai.." Risponde Luke con un sorriso ironico.
Bo lo guarda.
Luke ricambia lo sguardo del cugino, ma è come se non lo vedesse,
quasi impazzisce dalla rabbia, è furibondo.
"Non te ne importa niente, non è vero?"
Bo distoglie lo sguardo.
"Di che parli?" quasi senza voce.
"Appunto.
Sai a che ora è rincasato ieri sera lo zio? Hai idea di quanto fosse stanco e
del fatto che oggi ha dovuto alzarsi all'alba per lavorare?"
"Continuo a non capire..."
"Sei più stupido di quanto abbia sempre
pensato" . Infierisce Luke.
"Perchè non ti spieghi meglio, allora?" Bo sembra
cercare qualcosa con lo sguardo.
"E'
rimasto qui con te, o sbaglio?"
"Si.
Ricordo di averlo visto ieri. Abbiamo parlato un po', chiarito un po' di cose
e...si è rimasto un po', non so quanto, credo di essermi addormentato."
"Avete
chiarito un po' di cose?" Interrompe Luke. " Andiamo cuginetto, non
dirmi che ci credi davvero?"
"Che vuoi dire?". Bo torna a guardare il
cugino maggiore.
Sorride quasi sornione Luke.
"Non crederai sul serio che lo zio Jesse ti abbia
davvero perdonato per tutto quello che hai fatto?"
"Non ti seguo"
"Sai
che novità!" Sorride Luke scuotendo la testa.
Bo lo guarda soltanto.
"Che altro avrebbe dovuto dirti lo zio Jesse in
questa situazione? Ovvio che abbia preferito mentire e dire di averti
perdonato. Tu lo sai quanto me che non accadrà mai"
"Te lo ha detto lui?"
"Non ce ne è stato bisogno, lo conosciamo
molto bene entrambi"
Bo abbassa il viso, distogliendo lo sguardo da quello
del cugino per poi sollevarlo di nuovo.
Un respiro. "Che cosa vuoi da me Luke?"
"Te lo dico subito" risponde il cugino più
grande prendendo fiato una sola volta :
"Vorrei che tu non fossi mai arrivato alla
fattoria, vorrei non aver mai perso tutto il tempo che invece ho perso con te,
vorrei che alla fattoria tu non ci tornassi mai più perchè
finalmente ora siamo tutti più sereni."
Chissà se Luke si è reso conto di quello che ha appena
detto. Bo sicuramente si, ogni parola, ogni singola parola urlata dal cugino,
ognuna un altro pugno che fa cento volte più male di quelli ricevuti. Solleva
il busto dal cuscino, si appoggia sull'avambraccio sinistro, la mano destra
sull'addome.
Prende fiato.
"Farò il possibile per accontentarti. Ora esci da
questa stanza, cugino"
La risposta di Luke non si fa attendere.
"Non chiamarmi cugino. Mi disgusta solo l'idea
che in noi scorra in parte lo stesso sangue."
Lo sguardo
di Bo cambia d'improvviso ora è diretto negli occhi del cugino è la rabbia che
nasconde il dolore. Poi tutto d'un fiato per non lasciar tradire alcuna
emozione
"E
va bene vuoi che ti dica la verità? Hai ragione non me ne importa niente della
fattoria, dello zio Jesse, di Daisy e di te. Ed ora vattene!"
"Mi
fai schifo!"
"Va
all'inferno Luke!".
"Volentieri
Bo, ma a giudicare da quello che vedo, non sarò io il primo ad arrivarci"
Bo
solleva lo sguardo, affida agli occhi quello che spera di aver sentito male.
Guarda il cugino come per chiedere come possa fargli questo. Si guardano negli
occhi. Luke è furioso. Bo è ferito.
"Vattene
Luke, esci da questa stanza!"
"Ma
certo. Me ne vado più che volentieri"
Luke
volta le spalle al cugino, fa un passo verso la porta.
"Luke!"
.
La
voce di Bo lo richiama, Luke la ignora. Fa un altro passo nella medesima
direzione.
"Luke!"
Stavolta
la voce di Bo e un grido seguito dal rumore di oggetti che cadono a
terra.
Luke
si volta verso il cugino. Bo è appoggiato sul fianco, sull'avambraccio
sinistro, la testa bassa, una mano stretta sullo stomaco l'altra
appoggiata sul comodino di fianco probabilmente a cercare il campanello per
chiamare l'infermiera caduto insieme agli altri oggetti fino a poco tempo prima
appoggiati sul mobiletto.
Luke
si avvicina al cugino che non alza neanche il viso.
"Chiama
qualcuno per favore". Il tono della voce quasi impercettibile.
Luke
si piega sul cugino per cercare di capire
"Ma
che diavolo...mio Dio" sussurra.
Luke
sposta il lenzuolo che ancora copre il cugino. Si accorge che Bo perde sangue
dalla ferita all'addome, la mano sopra a tenersi dal dolore.
Bo
sposta la mano dalla ferita, uno sguardo alla stessa mano sporca del suo
sangue, chiude gli occhi stretti in una smorfia di dolore e la spinge di nuovo
sulla ferita.
Luke
gli appoggia una mano sulla spalla. E' terrorizzato quanto non ricorda di
essere mai stato. Cerca di non lasciarlo vedere.
"Ehi,
stai tranquillo, tranquillo Bo, non è niente. Vado a chiamare
qualcuno"
Fa per
allontanarsi ma si sente trattenere. Bo lo ha afferrato con la mano sinistra
per un polso, lo stringe forte, lo sguardo basso, non lo guarda ma non
lo lascia andare.
Luke si ferma.
"Sono
qui, Bo, sono qui".
Luke
si guarda intorno. Cerca di recuperare il campanello per chiamare qualcuno, lo
trova, lo suona ripetutamente. Arriva subito un'infermiera che vista la
situazione corre immediatamente fuori a cercare aiuto.
Di fronte alla macchinetta del caffè Karen, il Prof. Brown ed il suo ex allievo oggi eccellente medico chirurgo
Dott. Colly, sorseggiano quello che è rimasto di un
buon caffè di plastica. Di fianco a loro in un altro gruppo, Cooter, Daisy e lo zio Jesse seguono il medesimo rituale.
Un'infermiera si fa spazio correndo tra i colleghi,
chiamando il Professore a gran voce. Soltanto quando si accorge che la famiglia
Duke, quasi al completo è lì rallenta il passo e finge tranquillità.
"Prof. Brown...il
signor Duke..." il fiatone ed il pallore sul viso la tradiscono. Si guarda
intorno, sa che non è facile ma deve andare avanti il più rapidamente
possibile. "Perde sangue dalla ferita all'addome", si guarda intorno
"...molto sangue".
Il Prof. Brown non le fa
neanche terminare la frase, la mano destra sulla spalla del Dott. Colly: "Vieni con me per favore", Karen ed i due
medici iniziano una corsa che sembra interminabile verso la stanza di Bo,
seguiti da Cooter, Jesse e Daisy.
In un
baleno sono tutti intorno a Bo.
Luke è
ancora lì, al fianco del cugino che ha convinto a stendersi.
Cerca
di calmarlo "Tranquillo, non è nulla, tranquillo".
Gli
tiene stretta la mano, Bo lo tiene dal polso, dell'altra mano, così come lo
aveva afferrato, non lo aveva mai lasciato.
Bo
continua a perdere sangue, grida talmente forte per il dolore che per farsi
sentire anche Luke deve alzare la voce.
"Passa,
tranquillo devi solo star calmo, tranquillo".
Luke lascia la mano del cugino, gliela passa tra i
capelli bagnati. Bo sta sudando freddo, grida più forte, inarca e
solleva la schiena per il dolore, ricade giu
buttando la testa sul cuscino, la mano attaccata alla flebo che Luke gli ha
lasciato inizia a tremare.
Il
cuore di Bo è a mille e quello di Luke fa lo stesso.
I medici intorno cercano di tenerlo calmo ma senza
alcun successo.
"Ti
prego Bo cerca di star calmo, non è nulla, non è nulla". Ci prova il Prof.
Brown.
"Non
riusciamo a far niente così ed i battiti sono troppo accelerati" .
Interviene il Dott. Colly che ha preso prontamente
posto al fianco del suo Professore incrociandolo in uno sguardo.
"E'
troppo agitato, fate uscire tutti...subito." E' l'ordine
inappellabile del prof. Brown.
"Per
favore, uscite."
Karen
accompagna Daisy e lo zio Jesse alla porta.
"E
state tranquilli...".
Margaret chiude loro la porta alle spalle mentre Karen
si avvicina a Luke che è ancora
lì e non si muove. Bo lo tiene stretto, talmente stretto da fargli quasi male,
ma a Luke non importa, non sente nulla.
Il
Prof. Brown guarda Karen.
Karen si
avvicina a Luke appoggiandogli una mano sulla spalla.
"Luke,
devi uscire"
"No,
resto, non posso...non voglio..." Luke non sposta neanche lo sguardo verso
Karen che insiste.
"Luke,
devi farlo per lui, non possiamo fare niente così".
Luke
guarda il cugino, è sudato, continua ad agitarsi, a gridare, gli sembra di
sentire lo stesso dolore o forse è un altro dolore. Stacca a forza la mano di
Bo che continua a stringergli il polso. La mano di Bo cade sul letto a
stringere le lenzuola. Luke si allontana, non con lo sguardo. Esce dalla stanza
la porta si chiude alle sue spalle ed è il crollo di Luke.
Il
dolore è rabbia. Un calcio ad una sedia nel corridoio, pugni sul muro e
lacrime, tante lacrime senza freni giù per il volto. Lo zio Jesse e Daisy sono
vicini a lui.
"Luke
stai calmo". Cerca di tranquillizzarlo lo zio Jesse.
"Vedrai,
andrà tutto bene".
"Ma
che ho fatto zio Jesse? Che ho fatto?". Luke è spalle contro il muro, le
mani a coprirsi il volto rigato di lacrime. Ed è per tutti così strano
vederlo in quelle condizioni, perdere il controllo di sè
e delle proprie emozioni.
"Che
ho fatto zio Jesse? Che ho fatto? Si tratta di Bo, capisci? Di Bo,...io l'ho
lasciato solo, non sono andato con lui, me lo aveva anche chiesto, se ci fossi
stato anche io....come ho potuto zio Jesse, come ho potuto? Si tratta di
Bo.....del mio Bo...".
E la
rabbia è dolore. Il cugino maggiore, quello più forte, più responsabile, si
lascia cadere su una sedia nella sala d'attesa, la testa tra le mani.
Lo zio
Jesse gli si avvicina, solleva il suo viso con la mano ed una carezza.
"Luke,
quello che è accaduto non è colpa di nessuno, né tantomeno colpa tua. E' stato
solo un periodo difficile, ma io sono certo che andrà tutto per il meglio, lo
so...deve essere così".
Chissà
quanto lo zio Jesse tenti di convincere Luke, e quanto di convincere se stesso.
Luke
solleva lo sguardo ancora perso, non parla. Asciuga con le proprie mani
il viso e gli occhi. Lo zio Jesse gli passa una mano fra i capelli, gli
sorride.
L'attesa
è lunga, il tempo sembra non passare mai. Affacciato alla finestra della sala
d'attesa dell'ospedale Luke non fa che rivedere frammenti di passato, del suo
passato e per caso o per destino non gli viene in mente un solo attimo nel
quale non ci fosse al suo fianco suo cugino Bo. Le gare Nascar,
le coppe sollevate insieme, le fughe sul Generale, i suoi piani ben congeniati
nei quali coinvolgeva il cugino che lo seguiva ogni volta incondizionatamente,
talvolta senza neanche fare domande. E gli ultimi giorni, quelli da
dimenticare.
"Luke"
la voce di Daisy interrompe bruscamente i pensieri di Luke e forse è una
fortuna.
"Si
Daisy". Luke si volta, le spalle appoggiate al muro, sembra una
resa.
"Come
stai?"
Luke
fissa il pavimento.
"Non
riesco a credere a quello che ho fatto Daisy, sono venuto per...per ..sono
venuto per ferirlo. Quello che sono riuscito a dirgli..."
Daisy sfiora il mento del cugino maggiore, lo
costringe ad alzare il viso. Lo osserva una frazione di secondo e si rende
conto che non lo ha mai visto in quello stato. Lui era sempre stato una roccia
per Bo e per lei. Un punto fermo nella loro vita, un rifugio sicuro. Ma ora lo
guarda di fronte a sè, le spalle chine, curvo su se
stesso, chiuso nelle sue stesse braccia.
"Luke,
Bo ti adora tanto quanto tu adori lui, lo sa benissimo che qualsiasi
cosa tu possa aver detto non la pensi davvero".
Daisy
guarda il cugino che abbassa nuovamente lo sguardo.
"Che c'è Luke?"
"Io.. gli ho detto che vorrei che non fosse
mai arrivato alla fattoria, e che ora spero che non ci rimetta mai più
piede"
Luke
getta indietro la testa, la appoggia al muro chiude gli occhi, li riapre.
"Daisy
avresti dovuto vedere i suoi occhi, non dimenticherò mai quello sguardo. Gli
avessi dato un pugno in pieno viso gli avrei fatto meno male, volevo ferirlo
e... credo di esserci riuscito".
"Luke,
riuscirete a dimenticare tutto, ne sono certa. Voi non potete stare l'uno senza
l'altro".
Sorride un attimo Daisy e continua.
"Avresti dovuto vederlo Luke, è stato...bè
saresti stato davvero orgoglioso di lui"
"Io lo sono già Daisy, lo sono sempre stato. Lo
sarò sempre". Guarda la cugina ed abbozza un sorriso.
"E' che ho questo maledetto carattere. Vorrei
dirglielo, vorrei essere certe volte come lui. Riuscire ad abbracciarlo, a
dirgli quello che sento, come fa lui."
"Tu non hai un - maledetto carattere - siete solo
diversi. Siete straordinari entrambi Luke e lui ti adora esattamente per come
sei"
Daisy si getta tra le braccia del cugino che la
accoglie, la stringe forte, mentre lacrime silenziose tornano a solcargli il
viso.
Bo
continua a perdere sangue e gridare dal dolore. Il Prof. Brown
è sopra di lui.
Si
rivolge a Karen: "Portami il necessario per un drenaggio addominale.
Margaret tu vai a chiamare Owen e Benjamin"
Karen
e Margaret guardano John Brown. Il suo volto è
tirato. Si scambiano uno sguardo fra di loro. Sono entrambe alla sinistra del
letto vicino a Bo.
Il
dott. Colly, sgrana gli occhi: "Che vuoi fare?
Non vorrai mica tentare un drenaggio dell'emorragia?"
"Non
ho altra scelta" Risponde il Professore.
Il
giovane dottore afferra il polso del primario. Lo trascina in un angolo della
stanza, lontano da Bo e da tutto il resto.
"Sei
impazzito? Vuoi infilargli un ago nello stomaco in questo momento e nelle sue
condizioni? Hai idea del dolore che sentirà? Quello che sta sentendo ora, in
confronto, gli sembrerà una passeggiata. Non puoi farlo John."
"Tu
che faresti al posto mio Tobias?" si rivolta il
Prof. Brown verso di lui.
"Quello
che tu consiglieresti a ciascuno di noi di fare, John. Dargli dei calmanti, cercare
di attutire il dolore, e aspettare. John, lo sai meglio di me che non può
farcela, non puoi più fare niente per lui. Lascialo andare."
"Non
posso." Risponde il primario.
"John"
insiste il dott. Colly. "Il suo cuore non ce la
farà mai, non reggerà al dolore e morirà così, è questo che vuoi? Lascialo
andare serenamente John."
Il
Prof. Brown sposta lo sguardo verso Bo che continua a
lamentarsi. Poi guarda il suo collega.
"Non
posso. Devo provarci. Non posso." E si incammina verso il
letto di Bo.
Il Dott.
Colly afferra il suo maestro per un braccio. Lui si
volta.
"Lascia
almeno che lo faccia io. Sei troppo coinvolto"
Il
Prof. Brown lo guarda, accenna un sorriso di
ringraziamento e scuote la testa.
Si
avvicina a Bo. Fa un cenno a Karen e Margaret che si allontanano uscendo dalla
stanza. Il Dott. Colly lo affianca dallo stesso lato
del letto.
John Brown si avvicina a Bo.
"Bo
ascoltami".
Lui
non vuole saperne. Il dolore che sente è terribile non dà tregua. Non riesce a
smettere di tremare e di gridare.
Il
Professore lo afferra dalle spalle. Lo squote e
ripete.
"Bo,
ascoltami, ti prego"
Bo
muove lo sguardo verso di lui. Cerca di fare un respiro, trema ancora. Lo
guarda di nuovo e lui capisce di poter parlare.
"Ascoltami.
Hai una forte emorragia in corso. Ecco perchè fa così
male. Io posso aiutarti. Sentirai un po' di dolore" - uno sguardo fra lui
ed il Dott. Colly - "ma poi andrà meglio. Va
bene per te? "
Bo
guarda il Prof. Brown. Fa cenno di si con la
testa.
Bo si
guarda intorno. Con Margaret sono entrati due uomini, uno dalla carnagione
pallida, l'altro di colore, a giudicare dalla stazza avrebbero potuto essere
benissimo due campioni di lotta libera se non fosse per i camici bianchi che
indossano.
Un
rumore metallico richiama l'attenzione di Bo che si accorge che Karen ed
il Dott. Colly stanno alzando le barriere laterali
del letto. Ciascuno afferra una mano di Bo, bloccandole entrambe alle
rispettive ringhiere del letto attraverso l'apposito laccio di plastica.
Bo riporta
lo sguardo sul Prof. Brown. Che lo ricambia.
"Ti
fidi di me Bo?"
Bo lo
guarda e ripete il cenno di prima con la testa.
"Bene.
Procediamo allora. Ho bisogno della tua collaborazione Bo". I due uomini
con il camice bianco si mettono ognuno ad un lato del letto all'altezza delle
gambe di Bo.
"Fai
un respiro profondo" continua il Prof. Brown
rivolgendosi a Bo, nascondendo ai suo occhi l'ago legato al drenaggio che gli
ha appena consegnato Karen.. "Quando inizi a sentire dolore ti fermi e mi
fai un cenno, anche piccolo, andrà benissimo. Ok?"
Bo fa
cenno di aver capito.
"Da
adesso quando vuoi. Bo."
Bo
chiude gli occhi, inspira finquando una fitta
lancinante gli mozza il fiato. Quello è il segno. Il Prof. Brown
lo sa. Inserisce in un unico colpo secco l'ago nell'addome di Bo.
Bo fa
quasi un salto sul letto. Inarca la schiena, la testa buttata
all'indietro, grida con tutta la forza che ha in corpo. Non riesce a star
fermo. Il dolore è fortissimo. Le mani legate gli impediscono ogni scatto che
potrebbe essere pericoloso per l'operazione. I due uomini in camice pensano a
bloccargli le gambe. Il dott. Colly da una parte,
Margaret e Karen dall'altra cercano inutilmente di bloccargli le spalle.
La
famiglia Duke è fuori appena sull'uscio della porta chiusa. Sentono tutto.
Resta ognuno impietrito al suo posto. Luke abbraccia se stesso, strizza gli
occhi, abbassa la testa.
"E'
finita Bo, è finita. Sei stato bravissimo"
Il
Prof. Brown sfila l'ago. Il più è fatto. Di più non
si può fare. Passa una mano sulla fronte sudata di Bo. Fa un cenno ai due
uomini in camice che lasciano libere le gambe. Ne fa un altro a Karen e
Margaret che sciolgono le mani dalle ringhiere del letto. Guarda il Dott.
Colly che fa un cenno di assenso con la testa. Si
rialza su se stesso.
"Caposala".
Margaret richiama l'attenzione di Karen su Bo.
Si è
riadagiato sul letto. Le mani tese lungo i fianchi così come sono cadute dai
legacci. Le gambe stese. La testa reclinata da un lato sul cuscino bagnato
dalle lacrime che gli scivolano dagli occhi chiusi lungo il viso.
"Sistemiamo
il letto e tutto il resto, prendete un cambio, vi do una mano a farlo".
Attira su di sè l'attenzione il Professore.
Dopo una lunga attesa finalmente i medici escono dalla stanza di Bo.
I Duke si avvicinano, discreti ma uniti.
"Come
sta?" chiede Jesse.
"Gli
abbiamo appena infilato un ago di otto centimetri in una ferita aperta, direi
che sta bene...!" risponde amaro ed amareggiato il Professore
"Venite
pure con me"
Karen
utilizza un tono più dolce e comprensivo di quello che ha usato poco prima suo
marito.
Entrano
nello studio, quello stesso studio del primo giorno, sembra passata una vita da
allora.
"La
situazione è pessima"
Esordisce
il Prof. Brown, la voce grave al di là della
scrivania su cui poggiano un mucchio di carte sparse fino ai bordi.
"La
lesione si è estesa, è in corso una fortissima emorragia. Dobbiamo intervenire
assolutamente, togliere il proiettile ed arginare la situazione, per quanto
possibile."
Si
sfila gli occhiali e guarda i suo interlocutori uno ad uno.
"Ho
bisogno che mi firmiate il consenso all'operazione"
"Ma
professore"
Interrompe
lo zio Jesse
"La
volta scorsa ha detto che Bo non avrebbe superato un intervento
chirurgico"
"Vero"
conferma il Professore
"Ed
il rischio è ancora molto alto, forse addirittura più di allora, ma non abbiamo
altra scelta. O interveniamo o lo perderemo sicuramente durante una prossima
crisi violenta come quella di oggi"
"O
firmi tu zio Jesse, o firmo io" è la voce decisa di Luke.
Lo zio Jesse sposta lo sguardo verso gli occhi di
Luke. Non li trova. Luke continua a fissare il pavimento. Torna di nuovo al
Prof. Brown, lo trova a porgergli un pacco di fogli
ed una penna. Un suggerimento Jesse raccoglie.
"
Mi raccomando" . Rivolgendosi al Prof. Brown
firmando.
"Faremo
il possibile"
"Anche
l'impossibile, vi prego."
Il Professore inforca nuovamente gli occhiali ed
afferra la cornetta del telefono sulla sua scrivania.
"Prenoto
subito la sala operatoria per il primo intervento di domani mattina. C'è
bisogno di qualcuno che stia con lui tutta la notte, Karen, Margaret voi
conoscete la situazione sarebbe opportuno che restiate voi"
"Rimango
anche io" sussurra Luke sollevando finalmente lo sguardo.
"Non
so se è opportuno. Ha bisogno di molta tranquillità" tuona il
professore.
"Non
ci saranno problemi...glielo assicuro" Ora Luke guarda dritto negli
occhi il Professore.
"Per
favore, ho bisogno di esserci"
Si
scambiano uno sguardo Karen ed il Professore.
"Fate
come volete, io sono qui, qualsiasi cosa avvenga avvisatemi subito. Passo più
tardi a controllare la situazione".
E' un
silenzio irreale quello nella stanza di Bo. Luke è alla finestra è buio, è
notte, cerca di non pensare. Sono già passate tre ore quando il prof. Brown entra nella stanza.
"Come
va?" chiede sottovoce.
A
rispondere è Karen. "E' tranquillo. Sta ancora riposando"
"Potrebbe
svegliarsi a momenti, mi raccomando...." e così dicendo appoggia una
mano sulla spalla di Luke, sussurra "Coraggio.." ed abbandona la
stanza.
Luke lo ringrazia con lo sguardo.
Passa
ancora il tempo, sempre più lento.
"Si
sta svegliando" richiama l'attenzione Margaret.
Bo
reclina il viso prima da un lato, poi dall'altro.
Il
volto rassicurante di Karen è la prima cosa che vedono gli occhi semi aperti di
Bo.
"Va
meglio?" chiede.
Bo fa
soltanto cenno di si con la testa, che butta di nuovo su un lato. Un ciuffo di
capelli gli ricade sulla fronte.
Luke
si avvicina, lo sposta e lo rimette esattamente dove sa che suo cugino vorrebbe
che fosse.
Bo
guarda Luke. Se non lo conoscesse bene come invece pensa di conoscerlo, direbbe
che ha pianto.
"Devo
avere un aspetto orribile". Esclama in un respiro.
"Non
più del solito" risponde il cugino più anziano.
Karen
e Margaret si guardano interdette a quella risposta, quasi pronte a non si sa
bene quale tipo di intervento. Ma Bo e Luke si incrociano in uno sguardo, Luke
sorride, Bo ricambia il sorriso.
"..e
francamente credo dovresti fare qualcosa non puoi certo farti trovare così per
il Ballo di fine inverno" prosegue Luke.
"...già...il
ballo di fine inverno..." sussurra Bo . "Quanto manca?" chiede.
"Dieci
giorni." risponde Luke che continua "Hai già deciso chi
portare?"
"No,
veramente no".
Le due
infermiere si guardano stupìte di come si sentissero
entrambe delle intruse in mezzo a quella discussione all'apparenza così frivola
eppure cosi intima.
"E
tu?" chiede Bo.
"Io
pensavo a Mary Beth Parker". E' la risposta di
Luke.
"Ottima
scelta" approva Bo.
"Vuoi
sapere da chi aspetta l'invito Daisy?" chiede Luke.
"Non
ne sono sicuro". E' la risposta di Bo.
"Infatti
non l'ho voluto sapere neanche io, le lezioni non si dimenticano". Sorride
Luke.
"Che
vuol dire?" si inserisce Karen in punta di piedi.
Luke
guarda Bo con complicità, la loro complicità, si capiscono, si sorridono
ancora.
"Ecco,
vede quando eravamo ragazzi Daisy diffuse la voce che voleva a tutti i costi
essere invitata al ballo da un certo...."
"Jason
Kent" completa Bo.
"Già"
prosegue Luke "era un ragazzino orribile, pieno di ciccia, e di brufoli
sul viso, per carità, magari oggi è uno splendore, ma allora era veramente
terribile, noi ci chiedevamo come potesse essere interessata a lui nostra
cugina ma non ci ponemmo più di tanto il problema, andammo da tale Jason e lo
minacciammo che lo avremmo picchiato duramente se non avesse invitato Daisy al
ballo. Lui fu stupito tanto quanto noi, tanto che raccontò a tutta la contea
che avrebbe portato Daisy Duke al ballo. Peccato che la voce giunse anche ad un
tale Derek non ricordo più cosa che era la vera ambizione di nostra cugina che
aveva messo in giro la voce di Jason solo per ingelosire il suo ambito
cavaliere"
"E
come andò a finire?" ancora Karen
"Bè
Daisy non fu mai invitata da Derek che credette al fatto che nostra cugina
fosse interessata al simpatico Jason al quale venne la varicella e non potè comunque portarla al ballo. Fece comunque in tempo a
raccontarle delle nostre minacce e dietro consiglio saggio dello zio Jesse noi
fummo costretti a nasconderci dalla sua ira. Così rimanemmo quattro giorni e
tre notti rinchiusi nel fienile" ride al ricordo Luke, ride di cuore, e
ride di cuore anche Bo, finchè una fitta di dolore
allo stomaco lo costringe a tornar serio.
Luke
se ne accorge
"Tutto
bene?" chiede Luke.
"Si
tutto bene", sorride Bo, fa un respiro profondo, un istante di silenzio.
Guarda Luke e continua "Luke, io non..."
"Ne
parliamo un'altra volta. Ti va?". Lo interrompe Luke.
Annuisce
sollevato Bo, sorride, e sorride anche Luke, lo sanno bene entrambi che non
avrebbero mai più affrontato l'argomento..
"Avrei dovuto chiamarti" . Bo guarda Luke.
"Si avresti dovuto" risponde il cugino
maggiore che prosegue "Ma non dopo quello che ti avevo detto. E'
comprensibile che tu abbia pensato che non sarei mai venuto".
Non si scompone Bo, gira il viso un attimo dall'altra
parte e risponde al cugino.
"No, questo non l'ho mai pensato"
Luke è sorpreso. Guarda Bo.
"Davvero?". Chiede quasi sollevato.
Bo continua a guardare altrove, non per non guardare
il cugino, solo per trovare quella posizione un po' meno scomoda e meno
dolorosa. E risponde sereno.
"La vita di Daisy era in pericolo. Saresti corso
immediatamente"
Lo stomaco di Luke si stringe in una morsa..
"Capisco. Sarebbe troppo facile e suonerebbe come
una bugia troppo comoda se ti dicessi ora che sarei corso anche per te?."
Bo torna a guardare il cugino, rinunciando alla
ricerca della comodità che tanto non trova.
"Tu prova a dirmelo". Sorride.
E' un dare avere questa frase. Bo sta dando una
possibilità a Luke e Luke lo sa, come sa che suo cugino in quel momento ha
bisogno di sentirsi dire qualcosa da lui.
"Io, sarei corso anche per te, Bo." Lo
guarda. " Bo, io correrò sempre da te, qualsiasi cosa accada fra noi,
qualsiasi cosa la mia stupidità mi faccia fare o dire, io per te ci sarò
sempre."
Bo guarda Luke che ricambia lo sguardo e la mente di
entrambi va alla discussione precedente.
"Pensi che sia una bugia?" Chiede Luke
temendo la risposta.
Bo guarda suo cugino maggiore. Scuote la testa.
Respira
"No."
Luke lo guarda. Bo ricambia.
"Lo era?"
"No" è la risposta di Luke accompagnata da
un rassicurante sorriso.
"Credevo che me la sarei cavata da solo.."
riprende il discorso precedente Bo.
"Te la sei cavata benissimo." risponde Luke.
"Questa è
una bugia..." commenta Bo con un pizzico di ironia.
"Hai
salvato la vita di Daisy"
"Non
esagerare..."
"E'
quello che dice Daisy"
"Allora
esagera Daisy"
"Non
credo...sei stato troppo istintivo, impulsivo come tuo solito, ma hai avuto
fegato. Per quel po' che può contare, sappi che sono molto, molto orgoglioso di
te"
Sorride
Bo a sfottere se stesso poi guarda il cugino. Gli trova sul volto un
espressione sorprendentemente seria.
"Dici
sul serio?" Bo cerca la conferma.
Luke
sa che non conta poco quello che gli ha appena detto. Bo ha sempre cercato la
sua approvazione e la sua stima e forse é venuto il momento di dimostrargli che
aveva sempre avuto entrambe
"Dico
sul serio, cugino".
Quel
"cugino" riporta Bo al sicuro, riesce a guardare Luke, sorride. Sposta
il braccio sinistro steso sul letto, allunga la mano a cercare quella di Luke
appoggiata anch'essa sul letto di Bo. Ma Luke non è pronto. Abbassa lo sguardo,
maledicendo fra sé sé stesso, tira indietro la sua
mano, impacciato come al solito quando si tratta di manifestazioni d'affetto.
Bo, ritira piano la mano, guarda il cugino, gli sorride per dirgli che non c'è
problema, che "lo sa."
Luke
ricambia un sorriso. "Ora riposa, fra qualche ora ti opereranno
e tutto tornerà a posto, dovrai solo sbrigarti a riprenderti, così torni a
casa.. considerato quanto detesti gli ospedali.."
"Io detesto litigare con te." E' la risposta
naturale di Bo mentre ricomincia a cercare la posizione giusta nel letto.
Luke lo guarda e si chiede come riesca suo cugino a dire
certe cose, in quella situazione e dopo tutto quello che è
accaduto, con quella spontaneità di cui soltanto lui sa essere capace sin
da quando erano bambini.
"E' una cosa che proprio non sopporto" continua il cugino minore
trovando finalmente un appoggio per la testa dolorante sul lato sinistro del
cuscino.
"Lo so, non piace neanche a me". E' tutto ciò che riesce a dire Luke
abbassando lo sguardo.
"Riposa
ora." Luke accenna ad alzarsi dal letto..
"Luke"
lo chiama di nuovo Bo.
Fingendosi
spazientito Luke solleva lo sguardo abbozzando un sorriso che lo tradisce.
"Che
c'è?" Chiede restando seduto.
"Grazie.".
E' la risposta.
Luke si volta verso il cugino.
"Di cosa?". Luke guarda Bo. Stupito,
incredulo, smarrito.
"Di esserti fermato". E' la risposta.
Un
cappio stringe la gola di Luke. Ma certo che si era fermato, ma come avrebbe
potuto lasciare solo suo cugino in quelle condizioni? Come aveva già fatto. Si
domanda e si risponde. E' un attimo per lui. La mano destra di Luke afferra la
sinistra di Bo appoggiata sull'addome. "Vieni qui". Tira a sé il
cugino minore stringendolo in un abbraccio. Quando sente la stretta di
Luke, Bo si lascia sollevare, alza da solo la schiena per andare
incontro al cugino, forse sente dolore ma non ci bada, è troppa quella voglia e
quel bisogno infinito di finire tra le braccia del cugino. Luke lo accoglie con
tutta la forza che ha. Vorrebbe proteggerlo anche se forse è tardi.
"Ho paura" . Non è sicuro che Bo abbia
realmente pronunciato quelle due parole, ma da qualche parte dentro o fuori di
sé Luke le sente. Bo non è sicuro di averle realmente pronunciate, ma spera che
Luke dentro o fuori di sé le abbia sentite.
Luke stringe il cugino più forte a sé, gli occhi lucidi
di voglia di piangere e dire a qualcuno che anche lui ha una paura folle, ma il
suo compito ora è un altro e Luke lo conosce fin troppo bene.
"Andrà tutto bene, Bo, andrà tutto bene."
"E'
tutto pronto, abbiamo già somministrato una lieve dose di anestetico, ora lo
portiamo in sala operatoria." E' l'alba, Bo è semicosciente, gli
occhi chiusi. Sente lo zio Jesse che gli bacia la fronte e la voce di Daisy che
con tono rassicurante dice qualcosa che lui non riesce a capire., Non apre gli
occhi solleva la mano destra e aspetta. Luke si avvicina non parla stringe la
mano di Bo fra le sue. E' il gesto che facevano prima di ogni corsa, era farsi
reciprocamente gli in bocca al lupo, portava fortuna.
Il
tempo scorre lento. Fuori dalla sala operatoria lo zio Jesse ha scovato
una sorta di Cappellina all'interno dell'ospedale aspetta lì e prega. Daisy e Cooter parlano di cose senza senso. Luke aspetta in
silenzio, fissa il vuoto dal vetro di una finestra e aspetta.
"Vuole?"
Luke si gira, è Margaret con una tazza di caffè caldo.
"Grazie,
accetto volentieri". Luke prende il bicchierino di carta. Dà un sorso al
caffè. "Scuro, senza zucchero, bollente. Proprio come lo prendo io. Glielo
ha detto lui, vero?"
Guarda
l'infermiera.. Sa che quella ragazza è molto lontana dai canoni di bellezza che
piacciono al cugino eppure è sicuro che Bo in qualche modo ne è rimasto
colpito. La guarda e sa che lei è stata con suo cugino sempre, tutto il tempo,
come avrebbe dovuto fare lui.
Margaret conferma con
un cenno del viso.
"Cos'altro Le ha detto?" . Ora
Luke vorrebbe sapere tutto di quei giorni passati.
Margaret sorride. Calza meglio gli occhiali sul
naso e risponde:
"Mi ha detto che siete cugini ma è come foste fratelli, anche se lei un
fratello vero ce l'ha".
Luke abbozza un sorriso. Poi scuote la testa. Neanche questo
ha mai detto a Bo e se ne accorge soltanto ora.
Avrebbe dovuto dirglielo che nonostante l'arrivo di Jud e la scoperta di avere un fratello carnale, nel suo
cuore suo fratello era da sempre e per sempre sarebbe stato Bo. Aveva sempre
dato per scontato che lui lo avesse capito, ma forse si, sarebbe stato meglio
dirglielo.
"Avrei
dovuto esserci" e si chiede come mai stia dicendo questa cosa ad
un'estranea.
"Lei
c'è stato". Luke la guarda e vede quella dolcezza che potrebbe aver
conquistato il cugino.
"No,
non ci sono stato, non ho fatto nulla, l'ho lasciato solo. Lui non lo avrebbe
mai fatto."
Margaret ascolta lo sfogo di Luke in silenzio. Poi
aggiunge:
"Io
ho passato molto tempo con suo cugino"
"Lo
so e la ringrazio dal profondo del cuore".
Margaret
sorride ed arrossisce.
"Ha
passato dei momenti brutti, brutti davvero, ha sofferto molto"
Luke
abbassa lo sguardo, chiude gli occhi.
"Ma
ci sono stati anche momenti più sereni nei quali abbiamo chiacchierato di molte
cose e lui era sereno, apparentemente tranquillo. Ha riso e sorriso tante
volte. Ma anche in questi momenti il suo sguardo tradiva l'espressione del
viso. Sembrava cercare continuamente qualcosa, qualcosa che gli mancava,
qualcosa di importante, come fosse qualcosa di sé. "
Luke
apre gli occhi, solleva lo sguardo, la osserva.
"
Quando ieri notte l'ho visto parlare con lei, ho capito. L'ho visto ridere con
il cuore per la prima volta, l'ho visto sereno, non ho visto quello
sguardo, sembrava aver ritrovato quello che cercava".
"Grazie"
è tutto quello che riuscì a dire il cugino maggiore per trattenere quel groppo
in gola e quella stretta allo stomaco.
Il
rumore di una porta che si apre, lo si aspetta tanto e quando lo si sente si
vorrebbe tornare all'attesa per paura di ciò che porta. E' il Prof. Brown ancora in camice e mascherina accompagnato da Karen.
Si avvicina ai Duke, tutti riuniti, tutti uniti. "Non so ancora spiegarmi
come sia stato possibile, ha ragione Karen, voi Duke siete una razza davvero
particolare...è andato tutto bene, è andato tutto veramente bene."
Daisy
abbraccia in lacrime, lo zio Jesse che con uno sguardo al cielo mormora
"Grazie", Luke sorride e piange e sorride e piange di nuovo
lasciandosi abbracciare da Cooter e dallo zio Jesse.
Il
sole entra attraverso i vetri della finestra socchiusa Bo è seduto sul letto e
Luke al suo fianco anche lui sul letto. Daisy, Cooter
e lo zio Jesse chiacchierano del più e del meno ad un angolo della stanza il
prof. Brown controlla la cartella clinica.
"Mi
sembra tutto a posto, siamo pronti per rimetterci in piedi! Tu come ti
senti?"
Bo
sorride "Mai stato meglio"
"Bene.
Preparo il foglio delle dimissioni per domani così sarai pronto per il ballo di
Hazzard"
"A
proposito del ballo" . Con lo sguardo Bo scavalca i presenti, cerca
qualcuno "Margaret, mi chiedevo se volesse per caso accompagnarmi al
ballo? Non le prometto grossi giri di valzer ma sarà piacevole comunque".
Sorride.
Margaret
si guarda intorno quasi a controllare che la domanda fosse rivolta proprio a
lei.
"Io...bè
io si certo volentieri, mi farebbe molto piacere" balbetta e sorride.
La
porta si apre d'improvviso, entrano due persone completamente nascoste da
altrettanti fasci di fiori.
Luke
e Bo si scambiano uno sguardo.
"Rosco sei il solito imbecille ti avevo detto un
mazzo di fiori non l'intero chiosco. Salve ragazzi" . Spuntano Rosco e Boss da dietro le piante.
"E'
bello vederti in piedi Bo, cioè quasi in piedi...volevo dire" anche Enos fa
il suo ingresso nella stanza
"Grazie
Enos".
"Bo
Duke?"
"Presente"
risponde Bo ai due tizi in giacca e cravatta che entrano nella stanza dopo aver
bussato.
"Polizia
Federale. Questo è per lei"
Bo
apre la busta che gli viene consegnata, dentro c'è un assegno.
"Ma
sono un mucchio di soldi". Esclama Bo.
"E'
la giusta ricompensa per averci aiutato a catturare quei delinquenti, ancora
grazie". Così dicendo i due abbandonano la stanza dell'ospedale.
"Tieni
Boss questo è tuo" Bo, l'istintivo ed impulsivo Bo, consegna l'assegno a
Boss. "Pagaci tutte le rate della nostra ipoteca che vuoi".
Rapido
e veloce sorprendentemente agile come una gazzella Boss Hogg
afferra l'assegno "Quanti bei soldoni" e felice come un bambino si
rivolge al suo sceriffo "andiamo Rosco corriamo
in banca a versare questi bei dollarucci".
I
ragazzi e lo zio Jesse ridono della scenetta, ridono di cuore, la fattoria per
un bel po' è salva Bo e Luke sono di nuovo complici, amici, fratelli. Daisy è
al settimo cielo, corre ad abbracciare Bo che le sussurra "una promessa è
una promessa".