volevo dirti che la teoria del big bang è errata

di Caffelatte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Titolo: volevo dirti che la teoria del big bang è errata
Sottotitolo: poi mi sono accorta di essere ubriaca e mi sono morsa la lingua.
Note: di fatto certe cose sarebbe meglio lasciarle in quel cassetto del cervello etichettato come “slxkjhgfj omg qui ci sono solo cazzate non aprire non aprire potrebbero cadere unicorni dal cielo”, ma avevo voglia di unicorni (dafuq) quindi eccomi qui.
 
Disclaimers: Ciò che scrivo non è scopo di lucro, quindi non guadagno nemmeno un quarto di dollaro da tutto ciò.
Se la storia non dovesse piacervi non siete obbligati a leggere ♥
Warning: chiunque plagerà e/o prederà indebitamente ispirazione da questa storia verrà fulminato all’istante da una qualche entità sovrannaturale. O più semplicemente verrà bannato.
 
La lettura di questa fic potrebbe procurare *voce da avvertenze mediche* mal di testa, dolori intestinali, nausea e vomito, voglia di cavalcare unicorni, saltare dai grattacieli e gettarsi nelle fontane gridando “Eurekaaaa”.
Vietata la somministrazione ai minori di 3 anni. In caso di complicazioni consultare l’omino Michelin.
 


 

 


 
volevo dirti che la teoria del big bang è errata
/Poi mi sono accorta di essere ubriaca e mi sono morsa la lingua/
 
 


Capitolo 1
/che è accompagnato da rumori molesti/.

 
Sapete quella vocina che di notte quando senti un rumore sinistro ti dice “non andare a controllare, non andare!”?
Ecco, i protagonisti dei film horror non ce l’hanno.
E per quanto la gente continui a ripetere davanti alla televisione “idiota, non fare l’eroe, barricati in bagno!” i produttori cinematografici sembrano non afferrare il concetto.
Ma la cosa peggiore è che nemmeno le persone in carne ed ossa, quelle nella realtà, sembrano capirlo, al che ti chiedi se quello accanto a te è scemo o cosa.
« Cosa? »
Sto cazz— « Ho detto: sarà stato il vento ».
Anna mi guarda come se fossi un alieno che divinizza i biscotti Mulino Bianco « Ma potrebbe essere anche un ladro! » grida lei allarmata.
Anna sembra proprio una di quei protagonisti di film horror, una di quelli ingenui, che se sentono un rumore provenire da qualcosa che potrebbe essere potenzialmente pericoloso pensano— « Andiamo a controllare! » ripete lei afferrandomi un braccio con la palese intenzione di staccarmelo e portarselo a spasso come fa con il suo chihuahua spelacchiato.
Dicevo.
Pensano quello che la mia amica ha appena espresso a parole e poi, uh, quella cosa era davvero potenzialmente pericolosa e, come dire, il protagonista schiatta. Ops.
« Se fosse un ladro, non servirebbe a molto andargli incontro. Che potremmo fare? Ballare la macarena in pigiama tentando di distrarlo mentre aspettiamo che qualcuno ci senta e chiami la polizia? » domando, ironica.
« Potremmo! » esclama Anna rivolgendomi un sorriso nervoso, prima di inciampare da ferma e cadere rovinosamente sul parquet.
Se ci fosse un ladro in casa, potrei sempre usare Anna come scudo e aspettare che cada addosso all’intruso, dopo potrei barricarmi in cucina a bere cioccolata calda.
Non sarebbe male come piano, perché nessun personaggio di lungometraggi horror ci pensa mai a farsi una cioccolata calda mentre il killer è nella stanza accanto?
Vedo Anna che si rialza e si sistema le pantofole rosa shocking a forma di gatto prima di scendere le scale brandendo una piastra per capelli –aspetta, aspetta: e quella da dove l’ha tirata fuori? Le tasche del suo pigiama sono la borsa formato mini di Mary Poppins per caso?
Sento di nuovo il rumore sinistro di pochi minuti prima: proviene dal balcone, che di fatto si trova al di fuori della casa, quindi non c’è di che preoccuparsi signori e signore, possiamo tornare a sognare zucchero filato e gatti parlant—
« Dovremmo aprire la porta finestra e vedere che cos’è questo rumore. » propone Anna, mentre agita in aria la piastra. Io la fermo prima che demolisca qualche soprammobile « Finirai per cavare un occhio a me o ad una delle persone ritratte nei quadri. » borbotto, ma lei mi liquida con uno « Scusa, Hermione Granger. » e va verso la portafinestra.
Quale idiota andrebbe mai a controllare un rumore molesto sul balcone di casa in pigiama, armato di piastra per capelli e con l’inverno più rigido degli ultimi dieci anni come ciliegina sulla torta?
Ma ovviamente noi due.
Anna gira la maniglia con una lentezza esasperante: ci manca solo la musichetta sinistra a creare la giusta suspence e siamo a posto.
La porta si apre e Anna lancia un urlo, al che io faccio un balzo e inciampo, picchiando un’epica culata sulle piastrelle fredde del balcone. Poi Anna si volta e mi guarda tutta sorridente « Falso allarme carissima, era solo il tuo gatto ».
Se le avessi, le mie palle sarebbero già cadute da un pezzo.
Anna si volta e mi scavalca come se fossi uno di quelle fastidiose vecchie piastrelle di porfido che sbucano fuori dalla pavimentazione della piazza: mi viene voglia di prenderla per la sua coda di cavallo bionda e appenderla insieme ai vasi di gerani, ma mi trattengo, perché difetti a parte è pur sempre mia amica.
Quel barbone del mio gatto maculato intanto mi fissa come a dire “Pensavi che fossi morto eh? E invece no: domani voglio il latte caldo a colazione, mi raccomando”.
Ah, appenderò anche il gatto prima o poi.
Volto lo sguardo, giusto in tempo per vedere qualcuno che mi osserva dal balcone di fronte.
« Ehi. » mi saluta Andrew con un cenno del capo: si sta chiaramente trattenendo dal ridere. Mi alzo « Tu non hai visto niente. » gli dico, e la mia sembra quasi una preghiera.
Andrew ride e si mette sull’attenti « Agli ordini Skipper. » mormora, e torna in casa.
Torno al chiuso anche io; Anna mi aspetta appoggiata al bracciolo della poltrona.
Io la guardo, lei mi guarda.
Mi piacciono questi momenti, quando i nostri occhi si incontrano e lei capisce che sono incazzata come una vipera, ma non se ne cura troppo, perché sa che di fatto non me la sento di farle del male –non fisicamente, per lo meno.
« Sai » inizio, lei si mette comoda sul bracciolo « volevo dirti che sei una persona normale che non fa cose stupide. » sento William fuori sul balcone che miagola come se fosse in punto di morte « Poi mi sono accorta che è una cazzata e ho cancellato il pensiero dalla lista delle cose da confessare alle tre di mattina ».
E Anna ride.







*



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





Capitolo 2
/dove gli sms creano problemi/.

 
Avete anche voi quella rubrica chilometrica sul cellulare?
Beh, io no, ma molte mie compagne di classe sì, avranno almeno ottocento recapiti telefonici sui loro smartphone supertecnologici made in apple e quando capita qualcosa tutti prendono a smanettare con i cellulari e inviare sms al mondo intero.
Che poi mi chiedo: ma che abbonamento hanno?
E a che serve avere anche il numero di cellulare della tizia che incontri solo un venerdì al mese dall’estetista e con cui non chatti né esci mai perché, t’oh, ha cinquant’anni e tu diciassette.
Ma a parte tutto ciò - che di fatto non è affar mio e ognuno ha i numeri di telefono di chi vuole - gli sms, obbiettivamente, a volte creano problemi.
Gli sms e il linguaggio sms. Quando messaggio con alcune mie amiche devo munirmi di dizionario delle abbreviazioni perché certe cose non stanno né in cielo né in terra. Ma non è nemmeno questo il peggio.
La cosa peggiore che ti può capitare quando invii un messaggio non è che ti scada l’abbonamento o che il tuo linguaggio faccia ribaltare Manzoni nella tomba: la cosa peggiore è quando sbagli destinatario.
Ebbene sì.
Oggi con Facebook le figure di cioccolato sono un minimo marginate, ma per chi di tanto in tanto usa ancora gli sms, non c’è scampo: se sbagli destinatario tra i ventordicimila recapiti telefonici nella rubrica e lo sbagli sul serio, insomma, selezioni proprio l’ultima delle persone che doveva leggere quel tal sms, beh, fai prima ad aprire la dispensa dei dolci e tentare di morire per overdose da zucchero.

 
Ore 15:36 - Hai ricevuto un messaggio
Da: Emanuela
 
Ally, ho 1 notizia terrible: ieri ero briaca cm 1 tegolo e ho ftt sex cn Ale …!*

 
Rileggo il messaggio.
Ally? L’ultima volta che ho controllato, non era il mio nome.
Emanuela ubriaca fradicia? Non è una novità.
Ho fatto sex con … ho il flash della scena.
Butto la testa indietro ridendo come un gatto asmatico [citazione necessaria] mentre William dall’alto della libreria mi fissa, forse vorrebbe chiedermi in quale manicomio può portarmi.
Però io non ci faccio caso: sono una che si fa i fatti suoi, ma a volte la gente se le va a cercare. Continuo a ridere, finendo pure per tirare una capocciata al comodino, facendomi cadere la sveglia sul piede.
Ho fatto jackpot di masochismo casalingo, ma sto agonizzando felice.
E mentre tento di non strozzarmi con la mia stessa saliva, ricevo un altro sms.

 
Ore 15:40 – Hai ricevuto un messaggio
Da: Emanuela
 
Giura d nn dr a nex qll ke t ho inviato.

 
Le rispondo “Giuro” mentre tento di non ricominciare a ridere. Quando la porta della mia camera si apre vedo Andrew che entra e mi guarda « Sentivo delle risate dal piano di sotto. Che è successo? »
Faccio per aprire bocca e passargli il cellulare, ma ricordo che ho giurato, quindi mi a malincuore devo mordermi la lingua « Nulla. » rispondo e Andrew mi guarda poco convinto.
 
A scuola il giorno dopo Emanuela non ha il coraggio di guardare né me né Ale: io idem, perché ogni volta mi balena nella testa l’immagine di loro due ubriachi che si fanno.
E non è un bello spettacolo, considerato che Manu non è esattamente una principessa Disney. Insomma, cucca, ma se cucchi non è automatico che tu sia bellissima.
In ogni caso, da quel pomeriggio ho capito che se voglio dire un segreto a qualcuno, è meglio chiamarlo o parlargli direttamente.
Diffidate degli sms, possono portarti a dover inviare ogni sera per una settimana di fila “Nn lhai dtt a nex, vr? VERO?” alla povera anima che ha letto una delle minchiate più mega-galattiche che avresti mai potuto fare in discoteca nel weekend.
Con la conseguenza che la povera anima rischia un infarto per le troppe risate ogni volta che ci ripensa.
 
Alla fine a distanza di un mese è come se non fosse successo nulla.
Ale continua ad essere il nerd a cui tutti chiedono di fare le tavole di disegno grafico, Manu continua ad essere quella brava ragazza che dà a tutti (…) e io non ho resistito alla tentazione di raccontare ogni cosa a Jean, alla fine.
Lui si è si quasi strozzato con la Sprite quando gliel’ho raccontato.
Poi ha iniziato a ridere, con William che ci guardava sconvolto. O per lo meno, penso lo fosse.
« Sai » mi dice Jean cercando di riprendersi –deve aver avuto anche lui quel flash di Manu ed Ale che si fanno- « Volevo dirti che sarebbe meglio se la gente lasciasse perdere facebook e tornasse agli sms, ma ora sono felice di aver lasciato parlare prima te. »
Forse alla fine dovremmo tornare tutti direttamente alle lettere e ai pomeriggi passati in bici per incontrare quello con cui dobbiamo parlare.





 





/note/
*ero briaca cm 1 tegolo: ero ubriaca fradicia in dialetto toscano. Lo scrivo, anche se credo che alla fine si capisca.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
/Ovvero quando gli uomini devono saper perdonare/.

 
Le donne sono esseri bellissimi, dice mio padre.
Papà, hai ragione: noi donne siamo il top. Guardiamo avanti e mai indietro, anche quando siamo in macchina.
Un po’ come mia madre. Mettere lei alla guida è sicuro come buttarsi da un palazzo di venti piani con un paracadute in carta da caramelle.
Che poi con questo non voglio dire che noi donne non sappiamo guidare. Solo, ci distraiamo facilmente e alle volte ci complichiamo la vita, mentre i maschi tendono ad essere più scialli e cercare la via più facile –il che non sempre funziona, ma okay, quando vorrò aprire un dibattito boys vs girls vi chiamo.
 
Alcune brutte cose sembrano capitare solo quando piove a dirotto e pare che il mondo debba piombare nell’oscurità da un momento all’altro.
Altre volte però i casini capitano anche sotto un sole che spacca le pietre.
A casa di Jean però il sole cocente non fa effetto: il condizionatore sparato a manetta impedisce a me, lui, Anna ed Andrew ci scioglierci come ghiaccioli. Quando però il mio cellulare si mette a suonare e sul display compare il numero di mia madre, vorrei davvero sciogliermi.
Quando mia madre mi chiama sul cellulare non sono mai buone notizie.
A volte penso che forse è questo il bello dei rapporti che hai con chi vuoi molto bene: sapere in anticipo quello che è successo senza bisogno di troppe spiegazioni.
« Tesoro … » mormora lei appena prendo la chiamata.
Iniziamo male. « Qualsiasi cosa tu abbia fatto, chiama papà ».
Lei mette giù subito, così io ed i miei amici passiamo cinque minuti della nostra esistenza a guardarci in faccia, ognuno immaginando nella propria testa cosa potrebbe essere successo.
Anche questa è una delle belle cose che capitano con chi ami: nessuno ti chiede nulla perché tutti hanno già capito tutto, ed evitano pure di girare il coltello nella piaga.
Superlativo.
 
E superlativo è il lavoro compiuto da mia madre in retro nel garage di casa, mi dico quando arrivo davanti al cancello sfasciato.
Il nostro vicino di casa, il padre di Andrew, sta spazzando il vialetto pieno di vetri rotti, mentre io e suo figlio guardiamo allibiti il portone scardinato con la parte superiore incurvata in avanti.
Trattengo il respiro pensando che forse questa sera potrei non avere più una madre: Andrew mi mette una mano sulla spalla senza fiatare.
Lo guardo per dire “Non saprei che farei senza di te, davvero” e lui mi risponde con un sorriso e un’occhiata che sta a dire “Cambia casa prima che torni tuo padre”.
Magari, non sarebbe male.
Potrei emigrare al sud, con i pinguini, o semplicemente potrei nascondermi nel sottoscala della casa di Jean fino a quando mio padre non avrà sbollito la rabbia. Ma ora che ci penso, i pinguini sono meglio che vivere mesi come Harry Potter nel periodo più sfigato della sua esistenza.
Quando mio padre arriva la prima cosa che fa è togliersi gli occhiali da sole e osservare il campo di battaglia.
Mi viene da sventolare un fazzoletto bianco e dire “Sire, questa volta abbiamo perso la battaglia contro Eleonora la terribile!”, ma mi trattengo, perché non sembra il momento di fare battute.
Il padre di Andrew si avvicina, impassibile e con la scopa in mano: « Riccardo, vedi … ci sono momenti in cui gli uomini devono saper perdonare. » mormora, io ed Andrew annuiamo in silenzio.
Vista dall’esterno, la visione è quasi comica, ma vi assicuro che il tutto è tragico.
 
La sera mio padre si calma, guarda mia madre seduta in soggiorno –sì, è ancora viva, tranquilli - e poi chiama il tecnico del cancello.
Questo arriva dopo cena e osserva l’opera d’arte di mia madre: dice che domani i suoi aiutanti ripareranno tutto, poi se ne va senza aggiungere altro.
Se gli sguardi potessero uccidere, mio padre sarebbe già in carcere per femminicidio.
 
I cinque uomini che arrivano il giorno dopo sono vestiti di nero –come se fossero in lutto per il cancello- e non dicono una parola, fanno solo il loro lavoro, com’è giusto che sia.
Dall’esterno la scena sembra sempre tragicomica, ma il silenzio è imbarazzante e io e mio padre continuiamo a osservare gli operai al lavoro.
« Ha fatto … un bel disastro, eh? » mormora mio padre, nervoso, mentre io accarezzo William seduta sull’uscio di casa.
Uno degli uomini si ferma, ci guarda, poi parla, accento siciliano: « È stata una botta terribbile ».
Gli altri scoppiano a ridere e quando torna tutto calmo mio padre si avvicina « Volevo dirti » inizia –oh no, sarà una perla di saggezza?- « che quando la vita ti tira addosso limoni … » devo farne una limonata, pa’? « Non puoi farne un’aranciata, perché non puoi cambiare un limone. » che cazzo centra « E volevo dirti che questo con tua madre non capita. » ah davvero? « Poi mi sono accorto che Dio ce l’ha data che non guarda negli specchietti retrovisori, noi non possiamo cambiarla, e ho deciso di star zitto. »
Ti voglio bene pa’, davvero.





 





/note/
Un grazie a tutti coloro che leggono e che magari decideranno di recensire ♪

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Capitolo 4
/In cui a parte i bambini, le donne incinte ed i vecchi, il resto è carne da macello/.

 
In estate, il modo migliore per passare il tempo è gettando palloncini pieni d’acqua addosso alla gente. 
Gavettonare non è un gioco, è un’arte, uno stile di vita, un modo di essere degli stronzi fatti e finiti.
Esiste almeno una persona in ogni città che durante l’estate, al mare, ha lanciato un gavettone addosso a qualcuno – e se poi c’è riuscito mentre la vittima era di spalle o dormiva, allora c’è da fargli la statua.
Il paese in cui passo le vacanze io è piccolo e pieno di credenti cattolici. Personalmente, non ho mai creduto, ma fa nulla: loro sembrano così convinti che non voglio creare dibattiti sull’esistenza di Dio, me ne guardo bene.
Fatto sta che ogni anno per la festa del santo patrono del paese fanno una processione, e partecipa sempre un sacco di gente.
Poi ci siamo io e i miei amici che restiamo in casa a ideare congiure contro quelle povere anime.
Io non lo farei, eh: insomma, non mi metterei mai sul balcone con secchi pieni di gavettoni e acqua ghiacciata, nascosta dalle salviette. Fatto sta che Jean è particolarmente persuasivo, e se poi calcoliamo che è pure sadico, siamo a posto.
E quindi eccomi qui, nascosta da salviette rosa confetto sul balcone dell’appartamento in cui passo le vacanze lontano dalla città e dalla sua magnifica gente.
« La regola è solo una » bisbiglia Jean mentre mi dà in mano un gavettone « A parte donne incinte, bambini e vecchi oltre i novanta, il resto è sacrificabile. » e si inginocchia tra me ed Andrew.
Anna e sua cugina Giulia invece osservano la situazione dal balcone accanto, tanto per essere sicure che nessuno noti i colpevoli di ciò che probabilmente farà anche più casino del diluvio universale.
Intanto sul balcone dell’appartamento di fronte c’è un signore seduto con una birra in mano che osserva la gente che passa: Andrew vorrebbe lanciargli un gavettone, ma essendo nel suo campo visivo rinuncia quasi subito.
Appena le persone imboccano la stretta via sotto di noi, ci scambiamo velocemente uno sguardo e ognuno prende quattro gavettoni.
« Al mio segnale, scatenate l’inferno. » sussurra Giulia.
Giuls, la citazione in questo frangente direi che è azzeccata.
Poi, insomma, succede quello che succede quando dai il via ad un gavettone-party delle nove e un quarto di sera: mentre l’acqua ghiacciata cade da non si sa dove e si sentono vecchie zitelle imprecare noi tre siamo stesi a terra dalla risate e Anna e Giuls tentano di far finta di nulla.
Dopo, accade.
Si leva un grido più forte degli altri, così Andrew alza un po’ una salvietta-confetto e guarda giù, descrivendoci la situazione: un ragazzo sulla ventina super palestrato è incazzato nero, gli abbiamo beccato in pieno la ragazza (beh, è anche colpa sua che se ne stava proprio sotto il balcone …).
Ma i miracoli non accadono solo a Natale, infatti il signore sul balcone di fronte si affaccia, il palestrato lo vede, pensa che sia lui il responsabile: « Vieni qui, tu! Vieni giù che ti faccio un culo tanto! » grida e inn contemporanea da dentro la casa dell’uomo si sente la voce di sua moglie « Vieni dentro, pirla! Vieni dentro te e la tua birra! ».
Ci stendiamo sulle piastrelle del balcone, nessuno di noi ha il coraggio di farsi vedere e Andrew mormora a Jean che abbiamo fatto jackpot di bastardaggine.
Ci mettiamo a pancia in giù sulle piastrelle del balcone e come se fossimo soldati scelti strisciamo dentro casa, urtando qualcosa come ventordici comodini - siamo anche meglio dell'A-Team. Faccio pure cadere la scatola del Risiko e dopo un'imprecazione poco carina contro carri armati ed obiettivi vari, Giuls chiude la porta finestra, mentre la processione continua.
Anna è davanti a noi – che siamo ancora sdraiati a terra e con le lacrime agli occhi – e ci osserva « Sapete » dice « volevo dirvi che fare questo genere di cose è da sadici, ed è anche sbagliato. » oh dai An, non ci farai mica la paternale spero, ci si divertiva un po’ – e poi l’idea era di Jean, parla con lui « Però » aggiunge dopo « è stato esilarante, quindi credo dovremmo rifarlo ».
Non sarebbe mare ritentare il colpo e scatenare di nuovo l’inferno, come dice Giuls, però dovremo trovare un altro capo espiatorio, perché il signore dell’appartamento di fronte non l’abbiamo più visto su quel balcone.
E quasi mi spiace per lui e la sua Becks.





 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




Capitolo 5
/Ed evviva il campeggio/
 

Ho sempre pensato che il campeggio sia una bella cosa: tende, sacco a pelo, buona compagnia e natura. E soprattutto marshmallow.
L’unica difficoltà che si potrebbe incontrare andando in campeggio è, ecco, l’ignoto. Diciamo che nella famiglia di mio padre non hanno un gran senso dell’orientamento e mio zio Mario potrebbe vincere il guinness dei primati come persona con meno senso dell’orientamento dell’universo.
Però ha ventisette anni, è simpatico e carino, quindi in qualche modo sopperisce, ma non quando si deve andare in campeggio.
« Per me hai sbagliato strada. » borbotto rigirandomi il tablet tra le mani, con aperta la schermata di Google Maps.
Zio Mario non stacca gli occhi dalla strada sterrata – almeno quello … - « Tranquilla principessina, pianterete le vostre tende prima delle otto. Ti affidi troppo a quell’aggeggio ».
Sento la risata soffocata di Jean, che sta seduto dietro, e la sua voce che ripete « Principessina ». Mi giro pronta a tirargli dietro il tablet, ma vedo Andrew che se ne sta addormentato sulla sua spalla e in un moto di dolcezza mi trattengo – in ogni caso nulla mi vieta di minacciarlo.
Alle otto ci fermiamo, ma non perché lo volessimo, più che altro perché è scesa la nebbia e ci siamo ritrovati – non chiedetemi come – in mezzo ad un cimitero in ricordo dei caduti in guerra.
E non si vede altro se non le croci bianche.
Ci sarà una strada davanti a noi? Un burrone? Se c’è un burrone ci scaravento zio Mario, credo riceverei una standing ovation come riconoscimento.
« Entusiasta all’idea di passare la serata in un cimitero, principessina? »
Facciamo che nel burrone ci butto anche Jean.
Mio zio borbotta qualcosa sul fatto che non è proprio il posto più bello in cui passare la notte.
Davvero? E cosa te lo fa pensare? Le croci, la nebbia spettrale, o il fatto che il silenzio tombale in certi film dell’orrore farebbe una sega al nulla assoluto che ci circonda?
« È sempre meglio di nulla. » continua lo zio.
Dove diavolo è il burrone.
Mia cugina Elisa è già terrorizzata all’idea di passare la notte qui, così provo a rassicurarla « Elly, tranquilla, non può succedere nulla, questo cimitero è assolutamente desert— » e si sente belare.
Che cazz—
Pecore. Ovunque. Davanti all’auto.
Un gregge intero in compagnia di un cane pastore nero.
E la domanda “che diavolo ci fa qui un gregge” è legittima, penso. E che ci stanno a fare qui, da sole, tra l’altro.
Però nessuno sembra farci caso. Mio zio scende dall’auto e cerca un posto decente in cui mettere la tenda, ma rinuncia subito appena una pecora tenta di banchettarci.
« Direi che dobbiamo arrangiarci. » dice dopo un po’ Mario, ma nessuno si arrabbia, perché in fondo è meglio che girare a vuoto in auto ascoltando canzoni di Renato Zero.
Massì, godiamoci i migliori anni della nostra vita in un cimitero per caduti di guerra, fa tanto figo.

Qualsiasi cosa vi venga in mente di fare nel weekend non andate in campeggio. E non fatelo con qualcuno che non ha senso dell’orientamento ma crede di averlo.
E non fatelo con una cugina che ha paura delle storie di fantasmi e con due amici che fomentano tale paura.
« El, sapevi che in questo cimitero si dice ci sia il fantasma di un soldato che— » inizia Jean, ma prontamente gli tiro addosso il sacco dei marshmallow ed Andrew con nonchalance ne mangia un paio sedendosi sullo stomaco del suo amico.
Jean sibila « Ti odio, ti odio davvero. » poi gli tira addosso un sacco a pelo. In meno di dieci minuti tutti si sono trovati una sistemazione più o meno decente, mentre il cane salito sul cofano dell’auto ha preso a leccare il parabrezza, così, perché leccare i parabrezza è bello.
Mio zio Mario ha deciso di provare le brezza di dormire fuori, con le pecore e il cane, e se ne sta sul tetto dell’auto. Io e Jean abbiamo scommesso che prima di domani mattina cade. O una pecora sale sul tetto della macchina – non chiedetemi come – e si mangia il sacco a pelo.
Vorrei accadesse la seconda.
A qualcosa come l’una di notte, Andrew parte di nuovo all’attacco con una storia dell’orrore: « El, sapevi della storia delle pecore mannare? ».
Elly si alza di scatto e guarda le pecore fuori « Come scusa? » dice e io mi esibisco in un palmface, mentre Jean cerca di non ridere e continua la storia « Massì, le pecore mannare. Si dice che nelle notti nebbiose un gregge di pecore si aggiri per le colline … » cerco di soffocare le sue parole con il cuscino, ma Jean scappa al posto del guidatore, accanto ad Andrew, e riprende a raccontare « Dicevo. Queste pecore se ne vanno a spasso per le colline senza un padrone e a notte fonda, quando tutto tace, loro iniziano a belare e si trasformano in mostri assetati di— »
Dovrebbero darmi un premio come miglior lanciatrice di cuscini, potrei vincere l’oro olimpico.
Però ormai il danno è fatto, Elly è altamente impressionabile ed ora fissa impaurita fuori dal finestrino. Io faccio per scavalcare i sedili posteriori e lasciarmi cadere a peso morto sopra il sacco a pelo di Jean, ma quando ci riesco mi accorgo che quello stronzetto è ancora nei posti anteriori – dannato buio.
No, sono troppo stanca, meglio rotolarsi di nuovo nel bagagliaio, lo picchierò domani.
 
Verso le due inizia il vero incubo: le pecore si mettono a belare, ed Elly lancia un urlo epico che mi sfascia i timpani. All’urlo seguono le risate di Jean ed Andrew e di fatto nemmeno io riesco a trattenermi. Elly ci lancia una maledizione collettiva, ma questo non ferma le pecore, che belano ininterrottamente per una buona mezzora. In mezzo a quel rumore, sento la voce di Andrew che mi chiama « La senti anche tu, l’atmosfera magica del campeggio, principessina? » mi chiede.
Sarà, ma io sento solo pecore che belano.
« Sapete » mormora Jean « volevo raccontare la storia dei sacchi a pelo carnivori … ».
Mi alzo e lo raggiungo ai sedili anteriori, al diavolo la stanchezza, e Jean continua « Poi mi sono accorto che è tardi, quindi meglio dormire ».
Ottima scelta.





 

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