Il ragazzo del pane

di Heartline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


È incredibile quanto velocemente passi un anno. Sembra che siano passati solo pochi giorni da quando ho allenato i miei ultimi tributi. Oggi ne saranno scelti altri due, due in più la cui morte porterò sulla coscienza. Mi tiro le coperte fin sopra la testa, non avendo alcun desiderio di scendere dal mio letto oggi, ma so che devo comportarmi bene: due anni fa, ai 72esimi Hunger Games, fu estratto il nome di Gale e so benissimo che non era stato un caso. Come non erano stati un caso quei mutanti che erano stati programmati e mandati ad ucciderlo e io sono dovuta rimanere ferma a guardare senza poter fare niente per salvare il mio migliore amico. Al sol pensiero mi vengono i conati. Ovviamente nessuno a Capitol City sa la vera storia, nessuno sa che Gale era abbastanza forte e bravo per uscire vivo dall’arena, ma le mie azioni avevano fatto arrabbiare Snow e quella fu la mia punizione: vedere Gale fatto a brandelli dai mutanti, la sua carne che veniva lacerata e…
No, shh, non ci pensare, non ci pensare, dico a me stessa, cercando di cacciare le lacrime che minacciano di uscire. Alzo gli occhi verso l’alto e faccio un bel respiro profondo.
Devo stare molto attenta a non far arrabbiare Snow altrimenti quest’anno potrebbe essere scelta Prim o uno dei fratelli di Gale. Johanna ha ragione, è così difficile essere un vincitore ed avere persone a cui tieni.
Decido di rimanere altri cinque minuti a letto, quanti bastano per me per riprendermi almeno un po’ e non troppi da far infuriare qualcuno, ma purtroppo non mi sono concessi neanche quelli visto che  sento la porta di camera mia aprirsi. Caccio impercettibilmente la testa fuori dalle coperte, solo per vedere chi è venuto a disturbarmi e i miei occhi solo colpiti da un fuxia molto acceso e non mi serve vedere la faccia per capire che mi trovo in presenza di Effie. “Sveglia sveglia Katniss bella, oggi è un grande, grande giorno!” mi dice aprendo le tende, cosa che mi fa nascondere ancora di più sotto le coperte quando una luce forte colpisce il mio viso. “Coraggio Katniss, non sei curiosa di conoscere i nuovi tributi?”, mi chiede. Mi sforzo di non sbuffare e roteare gli occhi. Voglio bene ad Effie, davvero, ma a volte la sua mentalità da persona che è cresciuta a Capitol City mi fa venire voglia di urlare contro. Non sento i suoi passi, quindi presumo che sia ancora in camera mia e che non se ne andrà finché non mi alzerò. Così raccolgo tutte le mie forze e mi metto a sedere, al ché Effie mi rivolge uno dei suoi sorrisi e si avvia verso la porta. “Il tuo team di preparazione verrà tra venti minuti”, mi informa per poi uscire chiudendo dietro di sé la porta. Mi alzo per andare in bagno con l’intenzione di farmi una doccia prima che arrivi il team, quando il telefono squilla. Non molti ne possiedono uno e sono ancora di meno quelli che sono felice di sentire quando chiamano, ma ciononostante rispondo, in caso sia il Presidente Snow.
“Pronto?”.
“Ciao Katniss”, al suono della sua voce lascio andare un respiro che non mi ero accorta di trattenere e un sorriso si fa strada sul mio volto. Ero davvero felice che avesse chiamato perché era sempre capace di tirarmi su di morale e soprattutto oggi ne ho davvero bisogno.
“Finnick”, lo saluto.
“Tutto bene?”, mi chiede lui.
Abbasso lo sguardo e mi mordo il labbro inferiore. No, non va per niente bene. Sono stata il mentore solo di sei ragazzi e già non sopporto il peso del senso di colpa. Sono costretta a vedere e rivedere la loro morte davanti ai miei occhi ogni santa notte, vedo Gale morire e rimorire per colpa mia e al solo ricordo mi manca l’aria. Non sono sicura che io sia capace di andare avanti così ancora a lungo, adesso capisco per Haymitch beve così tanto, anche io a volte vorrei farlo, ma non voglio rovinarmi. Devo essere forte e devo rimanere me stessa. Ormai Snow mi controlla, perché ha in pugno tutto ciò che mi sta cuore, ma non gli lacerò controllare anche il mio carattere. Sento le lacrime iniziare a scorrere lungo il mio viso e non oso rispondere alla domanda di Finnick, non voglio fargli sapere che sto piangendo, ma un singhiozzo mi tradisce.
“Katniss!”, dice lui realizzando quello che mi sta succedendo, “Katniss, hey, hey stai tranquilla”, anche lui sta qualche secondo in silenzio, probabilmente cercando qualcosa da dire che mi tiri su di morale, lo so che è difficile, cosa potrebbe mai dirmi?
“Oh avanti Katniss, così però mi ferisci”, dice lui ad un tratto. Aggrotto le sopracciglia.
“Perché?”.
“Be’ perché non pensi all’unica cosa positiva degli Hunger Games”, mi risponde lui come se fosse ovvio, ma la sua risposta mi lascia ancora più confusa di prima.
“E quale sarebbe?”.
“Che incontrerai me, in carne ossa, il mitico Finnick Odair”, al che mi scappa una risata. Anche se lui l’ha intesa come battuta, sono davvero contenta di rivederlo. In questi tre anni in cui sono stata mentore io e lui abbiamo legato tantissimo e sono davvero contenta di averlo nella mia vita. È una delle poche cose belle che mi rimangono.
“Ha ragione Mr. Odair, come ho mai potuto lasciare che i miei pensieri oscurassero un evento senza il quale non potrei vivere”, lo presi in giro.
“Certo, prendimi in giro in tanto lo so che mi ami”, mi risponde.
“Quest’anno Annie verrà a Capitol City?”.
“No Katniss”, mi risponde, improvvisamente stanco, sento il suo tono di voce intristirsi, “Mags prenderà il suo posto”.
Anche se in teoria toccherebbe a Finnick e ad Annie essere i mentori dei tributi del distretto 4, ogni anno Mags prende il posto di Annie, perché con il suo crollo mentale non può svolgere il suo ruolo da tutor e non può sopportare le pressioni della capitale. Dal tono di Finnick capisco che forse non glielo avrei dovuto chiedere. Ogni anno spero di incontrarla, vorrei imparare a conoscerla meglio. Mi sento incolpa per aver intristito il mio amico con non aveva fatto altro che farmi sentire meglio.
“ Be’…”, inizio cercando di mettere qualche parola insieme, qualsiasi cosa, “adesso sei tu che ferisci me Mr. Odair”.
“Come mai?”.
“Be’ perché non pensi alla cosa positiva che ciò comporta”, gli rispondo, cercando di usare le stesse parole che prima lui aveva usato con me.
“E quale sarebbe?”, mi chiede divertito.
“Che passerai più tempo con me”, mento. Entrambi sappiamo che non è vero, saremo troppo occupati a occuparci dei nostri tributi per stare più di cinque minuti insieme, ma in questo memento la bugia sembra essere premiata con una sua risata.
“Direi che io e te passiamo fin troppo tempo a parlare, sai. Il tuo ego sta diventando grande quanto il mio”.
“Come se fosse possibile”.
“Mi dispiace Katniss, ma il mio team di preparazione mi reclama”. Mi sento improvvisamente vuota, Finnick è l’unica cosa che mi tiene a galla in questo momento, ma so bene che non posso trattenerlo.
“Certo, certo”, rispondo quasi automaticamente, mi accorgo di essermi incantata e di aver passato qualche secondo in silenzio. Scuoto la testa dalla mia trans. “Ciao Finnick”.
“Ci vediamo presto”.
Sospiro appoggiandomi al muro. Dopo un po’ riprendo le azioni che avevo cominciato prima della chiamata. Non appena esco dal bagno, ancora in accappatoio e con i capelli bagnati, mi ritrovo il mio team di preparazione ad aspettarmi.
“Era l’ora”, dice Cinna con tono serio e poi abbandona la falsa maschera e mi sorride correndomi incontro. Mi fiondo fra le sue braccia, era così bello rivederlo.
“Tutto bene?”, mi chiede. Annuisco con la testa.
“Pronta a lavorare?”.
“Sì”.
“Brava”, dice accarezzandomi la guancia.
 
 
 
Ore più tardi, dopo un doloro tempo speso con il mio team di preparazione, quando finalmente decidono che sono abbastanza decente per essere vista pubblicamente, mi dirigo verso il palco e mi siedo vicino a Haymitch, incredibilmente sobrio, probabilmente il suo team non gli ha dato tempo per bere. Non appena l’orologio batte le due il sindaco sale sulla pedana e inizia a leggere. Ogni anno è la stessa storia. Ricordo bene come ci si sente a stare dall’altra parte, giù dal palco in mezzo agli altri ed è proprio lì che vorrei trovarmi in questo momento. Se il nome di Prim viene estratto non potrei fare niente, non potrei offrirmi. Paradossalmente stare sul palco, dove sapevo di “stare al sicuro” mi metteva ancora più ansia.
Finito il discorso del sindaco Effie inizia a presentare. “Felici Hunger Games! E possa la fortuna sempre essere a vostro favore!”, è la sua frase di apertura ogni anno. Attraverso la folla scorgo mia sorella e i fratelli di Gale. È il momento del sorteggio. “Prima le signore!”, Effie esclama ed è adesso che inizio ad odiarla, come ogni anno, perché deliberatamente estrae il bigliettino con molta lentezza.
Per favore fa che non sia lei, per favore non lei, non lei…
“Vicky Lambert”. Torno a respirare di nuovo. So che dovrei essere dispiaciuta per la ragazza e in parte lo sono, ma sono anche sollevata che non sia capitata mia sorella.
Poi Effie ripete tutto d’accapo, ma questa volta per i ragazzi.
Per favore fa che non siano loro, per favore non loro, non loro… penso riferendomi ai fratelli di Gale.
“Peeta Mellark!”.
Mi irrigidisco, sento il cuore che minaccia di uscirmi dal petto e mi accorgo che il mio labbro inferiore sta sanguinando per quanto fortemente lo abbia morso per non urlare.
Non lui. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Cerco di ricompormi in caso le telecamere stiano zoomando sulla mia faccia e con un gesto fulmineo mi levo il sangue dal labbro sperando che nessuno se ne sia accorto. Mi giro a guardare Haymitch perché se lui non si è accorto del mio shock standomi così vicino, è quasi impossibile che se ne siano accorti gli altri. Magari sto ingigantendo la situazione. È probabile che nonostante la tempesta che ho dentro sia stata capace di nascondere il mio shock. Devo essere migliorata a recitare almeno un pochino. Tutti questi anni di sorprese da parte del presidente e degli strateghi devono essere serviti a qualcosa, no? NO?!
Mi giro verso Haymitch per scoprire la verità e mi ritrovo addosso due occhi indagatori che mi stanno studiando. Ok, forse non ho ingigantito la situazione, forse è anche peggio di quanto mi sia immaginata. Prendo un respiro profondo per calmarmi. So che più tardi dovrò delle spiegazioni ad Haymitch, lo vedo nei suoi occhi.
Peeta e Vicky vengono scortati dai pacificatori nelle stanze dove potranno salutare i loro cari. La mietitura finisce e io mi alzo cercando di mettere più distanza possibile fra me e quel posto. Sento Haymitch raggiungermi. “Ti spiace spiegare il piccolo show che hai messo in scena dolcezza?”, dice afferrandomi il braccio per farmi rallentare. Prendo un respiro profondo.
“Lui è… Peeta”, è l’unica cosa che riesco a dire.
“Sì lo so, ora tutta Panem lo sa. Cerca di elaborare”.
“Haymitch lui non può morire”, mi lascio scappare scoppiando a piangere.
Lui mi abbraccia e cerca di consolarmi accarezzandomi quasi impercettibilmente i capelli, so che per lui la situazione è imbarazzante. Dopo un po’ mi allontana da lui. “Che ne dici se andiamo a casa e ne parliamo?”. Annuisco debolmente e mi lascio condurre a casa sua.
Tutto è come l’ultima volta che ho messo piede qui dentro, più o meno una settimana fa, con l’unica differenza che la puzza di alcohol è aumentata, per quanto sia possibile. Ci sediamo intorno al tavolo e lui mi offre qualcosa da bere. Faccio un sorso per poi fare una faccia disgustata.
Un silenzio ci avvolge, so che sta aspettando che io inizi a parlare.
“Mi ha dato del pane”, spiego.
“Non è il figlio del fornaio?”, mi chiede lui. Annuisco.
“Be’, non vorrei sconvolgerti dolcezza, ma sono certo che lui dia del pane a un sacco di gente”.
Sbuffo e mi metto le mani fra i capelli e sto così finché non sono pronta a parlare.
“C’è stato un periodo in cui la mia famiglia non se la passava molto bene. Mio padre era morto da un anno e la Capitale ci aveva dato soldi sufficienti per sopravvivere per un anno, il tempo necessario a mia madre per trovare un lavoro e mantenerci, ma lei non lo fece. Lei morì insieme a mio padre, non letteralmente è ovvio. Passava tutti i giorni a fissare il muro fregandosene dei pianti delle sue figlie che aveva lasciato a morire di fame”, dico accendendomi di rabbia. Cerco di calmarmi, già ho troppi sentimenti negativi adesso per aggiungere anche quelli del passato. “Comunque, provai a vendere i vecchi vestiti di Prim, ma tutti sapevano che non valevano niente perciò nessuno li comprò. Poi vidi un bidone dell’immondizia e mi venne l’idea di cercare per qualsiasi residuo di cibo, qualsiasi cosa che Prim avrebbe potuto mangiare. Il primo cassonetto che vidi fu quello della panetteria, ma non ebbi nemmeno il tempo di frugarci dentro che quella strega della moglie del fornaio mi urlò contro e minacciò di chiamare i pacificatori, così andai via, ma non potevo tornare a casa, non potevo vedere il viso di mia sorella mentre la lasciavo morire di fame, perciò mi appoggiai a un albero di mele poco lontano la panetteria. Dopo un po’ vidi Peeta uscire, la mamma lo seguì e gli diede uno schiaffo fortissimo e lui lo accettò e basta, come se sapesse di meritarselo. Poi la strega se ne tornò dentro. Peeta si guardò intorno, per accettarsi che nessuno lo stesse guardando e mi lanciò il pane. Aveva bruciato il pane per me Haymitch!”, gli spiego quasi in lacrime.
“Quindi ti ha salvato la vita”, riassume lui, annuendo, capendo cosa questo ragazzo aveva fatto per me.
“Non solo questo. Qualche settimana fa sono venuta a sapere di un’altra cosa. Prim se lo è fatto scappare, a quanto pare aveva promesso a Peeta di non dirlo a nessuno. Mi ha rivelato che mentre ero nell’arena Peeta le lasciava sempre del pane fresco davanti la porta. Si è assicurato che la mia famiglia avesse da mangiare quando io non potevo. Gli devo così tanto Haymitch che anche se riuscissi a farlo vincere non ripagherei il mio debito, ma è il minimo che io possa fare. Lui deve vivere”, gli dico disperata.
“Sai che abbiamo due tributi?”, mi chiede lui. So benissimo il significato nascosto in questa domanda: “Sai che stai mandando a morte certa uno dei due?”.
Lo so, lo so benissimo e il senso di colpa mi sta divorando, ma con tutti i morti che ho e avrò sulla coscienza devo imparare a conviverci. Peeta DEVE sopravvivere.
Chiudo gli occhi e annuisco.
“Ok”, è tutto quello che Haymitch mi dice.
 
 
Mentre sistemo i miei vestiti nei cassetti dalla mia camera sul treno, la mia mente si ritrova a pensare al ragazzo del pane. Non è che lo avessi notato particolarmente prima del giorno in cui mi gettò il pane, semplicemente perché non lo vedevo spesso, vivevamo in due parti del distretto diverse e anche se andavamo nella stessa scuola non ci incontravamo spesso, anche se dopo quel giorno lo avevo cercato più e più volte per ringraziarlo senza mai trovare il coraggio per farlo. E da allora mi è capitato di sognarlo qualche volta. Quei suoi occhi blu e la sua chioma bionda, al pensiero mi scappa un sorriso. Anche io sono caduta sotto il suo fascino, non sarò una ragazza normale, ma sono pur sempre una ragazza. Sono talmente immersa nei miei pensieri che quando Effie bussa alla porta per avvertirmi che la cena è pronta sussulto. Mentre lei si dirige verso le camere dei tributi, io mi dirigo verso la sala da pranzo e sono sorpresa quando mi accorgo che Peeta è già lì. Non mi ero aspettata di passare del tempo da sola con lui, o almeno non così presto, non sono ancora pronta, non so che dirgli, o meglio lo so, ma non so come. Prendo  un respiro profondo e mi siedo al tavolo, davanti a lui.
“Ciao”, mi dice, posando il tovagliolo che stava usando fino a poco fa sul tavolo. Un tovagliolo che probabilmente costava più di quanto i suoi genitori guadagnassero in un mese.
“Ciao”, gli rispondo cercando di accennare un sorriso, ma sono troppo nervosa.
Guardo nel mio piatto, fingendo di essere interessata in quello che contiene, il che forse mi sta facendo sembrare un po’ stupida. Apro la bocca per parlare, quando Vicky ed Effie ci raggiungono.
Vicky si siede vicino a Peeta ed Effie vicino a me.
L’inizio della cena passa in silenzio, poi noto il modo in cui Vicky sta mangiando velocemente.
“Ti conviene rallentare o ti sentirai male”, le dico, ricordandomi come mi ero sentita io dopo aver mangiato per la prima volta il cibo della Capitale. Lo stomaco non era ancora abituato a cibi così sostanziosi.
“Taci tu, non voglio nessun consiglio da te”, è la risposta che ricevo. Inarco le sopracciglia e lascio cadere il cucchiaio per la sorpresa. “Scusami?”.
“Vuole solo evitare che tu ti senta male più tardi, dovresti starla a sentire, è il tuo mentore dopo tutto”, interviene Peeta.
“Io non la voglio come mentore, mi fa schifo. Dov’è Haymitch? Almeno lui è stato capace di tirare qualcuno fuori da quell’arena. Quelle parole mi feriscono e sono troppo frastornata per controbattere, così mene sto in silenzio. Il mio stomaco improvvisamente si chiude e smetto di mangiare.
“Sai dovresti portarle un po’ di rispetto, dopo tutto saranno i suoi consigli a salvarti la vita, ti ricordo che lei è una vincitrice quindi sa il fatto suo, io non la giudicherei in maniera così negativa fossi in te”, mi difende Peeta. Alzo lo sguardo dal piatto per guardarlo negli occhi. Oh ragazzo del pane, smetterai mai di prenderti cura di me, penso e mi accorgo che no, non voglio che smetta e mi stupisco di me stessa. Non so perché, ma questo suo lato protettivo nei suoi confronti mi fa sentire molto sicura e coccolata, come non mi sentivo da quando è morto mio padre. Peeta Mellark: il ragazzo dei miracoli. Ecco chi era lui.
Vicky non controbatte e il resto della cena passa in un imbarazzante silenzio.
“Allora siamo pronti ad andare?”, chiede Effie una volta che tutti hanno finito di mangiare.
“Dove?”, chiede Vicky.
“A vedere le mietiture nei vari distretti”, le rispondo alzandomi.
“A che scopo?”.
“Così che possiate già conoscere con chi vi ritroverete a combattere”.
“Be’ non mi interessa, se capita qualcosa di interessante me lo potrete dire domani”, dice dirigendosi in camera sua.
“Lo può fare?”, mi chiede Effie confusa. Le faccio spallucce.
“Problemi suoi”.
Ci dirigiamo in un altro scompartimento per vedere in tv la sintesi delle mietiture di tutto il paese.
Peeta si siede vicino a me e iniziamo a guardare la tv. Dopo un po’ mi giro a guardarlo. Ricordo benissimo come mi sentii io quando guardai le persone contro cui avrei dovuto combattere, fu una sensazione orribile e riconosco quell’emozioni sul volto di Peeta, così senza pensarci gli afferro la mano e lui la stringe forte in segno, penso, di gratitudine.
Poi il riassunto delle mietiture finisce ed Effie spegne la tv e se ne va augurandoci la buonanotte.
Sento Peeta prendere un respiro profondo.
“Stai bene?”, gli chiedo preoccupata.  Lui annuisce.
“Solo che non so come ce la possa fare”, mi confida.
So benissimo come si sta sentendo. Starà pensando che non è capace di uccidere quelle persone, non perché non ne abbia le capacità fisiche, ma perché non è umano fare una cosa del genere. Avrà paura di in cosa, questi giochi, possano trasformarlo. Avrà paura di iniziare gli Hunger Games da Peeta e finirli diventando un estraneo persino a se stesso e al sol pensiero crederà che la morte forse sia meglio.
“Anch’io ho provato la stessa cosa”, gli confessai.
Si girò a guardarmi. “ Davvero? E come… come hai…?”.
“Ho pensato a Prim e a mia madre, avevano bisogno di me. Ho lottato per loro”, gli spiego.
“Io non ho niente per cui lottare”, e a quelle parole mi si strinse lo stomaco. Peeta faceva parte di una famiglia abbastanza numerosa, eppure nessuno, neanche suo fratello maggiore, si era offerto volontario al suo posto.
“Allora combatti per me”, mi lascio scappare, perché ho davvero bisogno che lui ritorni vivo.
“Questo lo posso fare”, mi disse sorridendomi. Rimaniamo qualche minuto in silenzio.
“Be’, meglio che vada. Buonanotte Katniss”, dice alzandosi e uscendo dalla camera. Solo adesso che si è alzato e ha districato le nostre mani, solo adesso che non lo fa più mi accorgo che prima mi stava accarezzando la mano con il suo pollice.
“Buonanotte”, gli rispondo, mentre una strana sensazione mi colpisce.  

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Mi sveglio come al solito sudata e con il cuore che batte fortissimo, immagini del mio ultimo incubo ancora fresche nella mia mente: la solita pila ci corpi, solo che questa volta c’era anche quello di Peeta. Vado in bagno e mi faccio una bella doccia rinfrescante e rigeneratrice, mettendoci anche un bel po’ di tempo, perché nonostante tutti questi anni ancora non ho capito come funzionano le docce. Quando finisco di prepararmi, vado in sala da pranzo e sono delusa nel vedere che non c’è ancora nessuno, speravo in un po’ di compagnia che mi distraesse dalle vivide immagini che ancora occupano la mia mente. Sospiro e mi vado a sedere, subito c’è un piatto col del cibo davanti a me e proprio mentre sto per iniziare a mangiare Haymitch mi raggiunge.
“Ci sei mancato l’altra sera”, gli dico una volta che si è seduto. “Sai, Vicky si è rivelata essere davvero una sfida”.
“È troppo uguale a te?”, mi chiede lui sorridendo.
Lo guardo in cagnesco. “Io e lei non siamo per niente uguali. Lei è testarda e cattiva e… e… esasperante”.
“Quindi avevo ragione, è come te”. Sbuffo e mi lascio cadere contro lo schienale della sedia.
“Tu non sai le cose che mi ha detto ieri sera…”, inizio a dire io, ma mi fermo quando sento la porta aprirsi. Parli del diavolo… dico girandomi verso l’entrata. Oh Peeta, alla sua vista un sorriso si fa strada sul mio viso. Da dove è venuto? Ero arrabbiata fino a cinque secondi fa.
Vedo Haymitch guardarmi divertito e rivolgermi un sorriso, inarcando le sopracciglia.
“Buongiorno”, dice Peeta.
“Buongiorno”, rispondiamo io e Haymitch.
Si siede accanto a me e assaporo la sensazione di averlo vicino di nuovo. Subito gli servono la cioccolata calda. “Grazie”, dice Peeta, al che Haymitch mi lancia uno sguardo. So benissimo a cosa sta pensando, perché è la stessa cosa che sto pensando anche io in questo esatto momento: è dolce, troppo dolce. Una caratteristica che in teoria dovrebbe essere considerata positiva potrebbe benissimo essere la causa della sua morte nell’arena.
“È buono”, dice improvvisamente Peeta distogliendomi dal mio filo di pensieri. Gli sorrido.
“È cioccolata calda”, gli spiego, perché al distretto non ce l’abbiamo, “l’ho amata dalla prima volta che l’ho assaggiata”.
Lo guardo immergere dentro la tazza un pezzo di pane.
“Sai, non ho mai pensato a fare una cosa del genere”, gli dico.
“Dovresti provarlo, è davvero buono”, mi dice riemergendo il pane nella tazza e portandolo verso le mie labbra. Guardo prima il pane e poi lui, improvvisamente timida. Mi faccio coraggio e lentamente mordo il pane. Le mie labbra sfiorano le sue dita.
Sono riportata alla realtà quando Haymitch si schiarisce la gola, ricordandoci della sua presenza. Abbasso lo sguardo e praticamente posso sentire le mie guance diventare rosse per l’imbarazzo.
Quando alzo lo sguardo trovo Haymitch che mi fissa con un sorrisetto stampato in faccia. Smettila, gli mimo con le labbra, ma questo sembra soltanto peggiorare le cose, così roteo gli occhi e mi arrendo.
“Oh mio Dio, ci siete anche voi”, dice una voce proveniente dall’entrata. “Menomale che c’è Haymitch questa volta”, aggiunge.  
La tensione cresce per tutto il tempo che Vicky si trova nella stanza insieme a noi, così tutti mangiano la colazione in silenzio. Una volta finito di mangiare Haymitch espone il programma che aveva ideato ai due tributi: “All’inizio sarete obbligati a partecipare alle sessioni al centro di addestramento e una volta finite potrete farne alcune private con me e con Katniss prima che gli Hunger Games inizino”, spiega Haymitch.
“Dobbiamo per forza avere sessioni private con entrambi i mentori?”, chiede Vicky irritata.
“Sì. Qualche problema?”, domanda Haymitch.
“A dire il vero sì, non voglio allenarmi con Katniss”.
Stringo i pugni e serro la mascella.
“E perché mai?”.
“Perché con lei non farò altro che sprecare il mio tempo. È inutile e ancora non capisco come abbia fatto a vincere i giochi”.
“Smettila Vicky”, l’avverte Peeta.
“Se ti piace così tanto perché non la prendi tu come mentore e io prendo Haymitch?! Buona fortuna con quella, non è neanche riuscita a salvare il suo ragazzo l’anno scorso, figurati se riuscirà a salvare te”.
Questo davvero non lo doveva dire, la rabbia mi assale e mi alzò di scatto facendo spaventare sia Haymitch che Peeta. “GALE NON ERA IL MIO FIDANZATO, ERA IL MIO MIGLIORE AMICO E NON TI AZZARDARE MAI PIÙ A PARLARE DI LUI HAI CAPITO?”, le urlo contro, cercando con tutte le mie forze di non aggredirla.
“Certo, come se qualcuno potesse crederci. Be’ ho saputo che il tuo migliore amico è stato riportato indietro nel distretto in varie scatole talmente erano i pezzi in cui era stato fatto dai mutanti”.
Sento la mia colazione risalirmi su per la gola e corro in bagno a vomitare.
“Adesso basta!”, sento Haymitch urlare, “hai davvero superato il limite, come punizione non riceverai sessioni private da nessuno dei due, dovrai farti bastare l’allenamento al centro di addestramento. Adesso VA. IN. CAMERA. TUA”.
Sento Haymitch e Peeta parlare e dopo un po’ dei passi si avvicinano alla porta del bagno. Qualcuno bussa, ma sono troppo impegnata a vomitare per rispondere. Chiunque sia entra lo stesso e si avvicina, inginocchiandosi al mio fianco e scostandomi i capelli in modo tale che non si sporchino.
“Lasciala perdere dolcezza, è solo una mocciosetta”.
“Oh Haymitch, non capisco cosa abbia contro di me”, dico scoppiando in lacrime.
Mi stringe forte a sé, perché lui mi capiva, sapeva cosa si provava a essere un mentore, sapeva cosa si provava a vedere un amico entrare nell’arena e non fare ritorno. Così mi culla e io lo lascio fare fino a quando non mi addormento.
 
 
Sento bussare leggermente alla porta.
“Avanti”, dico o almeno ci provo, ma più che altro esce un suono strozzato.
Sento qualcuno entrare. “Ciao”.
Mi metto immediatamente a sedere al suono della voce di Peeta. “Ciao”, gli rispondo. Ci guardiamo per un po’, poi inizio ad attorcigliarmi il lenzuolo intorno alle dita.
“Mi dispiace per prima”, mi dice.
“Non è stata colpa tua”.
Lo sento sospirare. “Lo so”, dice avvicinandosi e sedendosi sul letto di fronte a me, “è solo che vorrei poterti far sentire meglio”. Un senso di calore mi assale, mi sento così protetta, così bene, così… Non lo so, non lo so descrivere, non ho mai provato una sensazione del genere e non sapevo che esistesse qualcuno che poteva farmela provare. Gli prendo una mano e la stringo forte.
“Già lo hai fatto”, lo rassicuro e lui sorride.
“E volevo anche dirti che per me va più che bene averti come mentore”.
“Grazie. E ad essere onesta anch’io preferisco passare più tempo con te che con lei”, mi lascio scappare. Non so quanto tempo rimaniamo a guardarci negli occhi, poi mi riprendo e ritorno alla realtà e mi schiarisco la gola. Anche lui sembra uscire dall’incanto.
“Comunque il pranzo è pronto”, mi dice e insieme ci dirigiamo in sala da pranzo.
Quando arriviamo noto che sia Haymitch sia Effie hanno aspettato il nostro arrivo per iniziare a mangiare, mentre Vicky è già quasi a metà del suo pasto. Mi scappa un sorrisetto sapendo che si sentirà male per aver mangiato tanto velocemente.
Una volta finito di mangiare Haymitch dice: “Allora, avete delle abilità particolari?”.
Vicky lancia un coltello e riesce a centrare il numero 12 disegnato sulla porta dall’altre parte della camera. Effie fa una faccia shockata. “Tu signorina, non sai proprio quale sono le buone maniere”, ed esce dalla stanza
“Ok, tu te la cavi con i coltelli”, dice Haymitch rimanendo indifferente, “e tu?”.
Peeta scrolla le spalle. “Non ho nessun talento particolare”, risponde lui.
O è bugiardo o si sottovaluta, è sono pronta a mettere la mano sul fuoco che sia la seconda.
“Peeta è forte, lancia in aria sacchi da mezzo quintale, l’ho visto io”, mi intrometto.
“Ma non ucciderò nessuno colpendolo con un sacco di farina”, commenta lui abbassando lo sguardo. Sembra rassegnato.
No, non può partire sconfitto, e la promessa? Ok, tecnicamente non gliel’ho fatto promettere, gli ho solo proposto di combattere per me, e se io non fossi sufficiente? Se io non sono un motivo abbastanza valido per restare in vita? Una morsa mi chiude lo stomaco e l’ansia mi assale di nuovo, ma cerco di nasconderla. Gli afferro la mano e gliela stringo forte, così forte che le mie nocche sono diventate bianche, così forte che è costretto a girarsi e guardarmi in faccia. Posso leggere benissimo sulla sua faccia che è sorpreso dalla mia azione.
“È abbastanza da darti una possibilità”, dico, non potendo aggiungere altro, non potendo ricordargli di quello che mi ha “promesso” senza far capire a Vicky che ho già fatto la mia scelta.
Haymitch deve aver percepito la tensione che si è venuta a creare perché si schiarisce la gola e dice: “Alzatevi e andate lì”, indicando il centro della stanza. Haymitch si alza insieme a loro e inizia a camminargli intorno esaminandoli da ogni angolo, quando ha finito ritorna a sedersi.
“Be’ quest’anno ci è andata bene per quanto riguarda l’aspetto”, dice rivolgendosi a me e ha ragione. Vicky, nonostante il suo caratteraccio, si può definire una ragazza attraente con le sue labbra carnose e i suoi boccoli neri. Alta, magra, con la quantità giusta di curve, sicuramente riceverà un grande supporto da quelli della Capitale. Poi il mio sguardo si posa su Peeta e lo studio attentamente. Gli anni passati a lavorare con il padre lo hanno reso robusto con braccia forti e spalle larghe. Con i suoi capelli biondi e occhi azzurri sarà sicuramente uno dei preferiti nella Capitale, e solo il suo sorriso potrebbe procurargli dozzine di sponsor. Sorride quando nota che lo sto esaminando al che arrossisco, abbassando lo sguardo. “Sì, Portia e Cinna hanno fatto meraviglie con molto meno”, dico.
“Ok, ora ascoltatemi. Tra poco arriveremo nella capitale e verrete affidati ai vostri team di preparazione. Quello che vi faranno non vi piacerà. Ma qualunque cosa sia, non opponete resistenza”.
“Cosa potrà mai essere?”, dice Vicky e io devo strozzare una risata pensando a tutto il dolore che sentirà.
“Sono sicuro che te la caverai benissimo”, le risponde Haymitch, ma noto che sta reprimendo un sorriso. Haymitch si alza di nuovo e si affaccia dalla finestra. “Ragazzi… ecco a voi la Capitale”.
Sia Peeta che Vicky si avvicinano alla finestra, lei si allontana non appena vede tutte quelle persone di Capitol City puntarli e fissarli, mentre Peeta inizia a sorridere e a salutare.
“Perché lo stai facendo?”, gli chiede irritata.
“Be’... tra di loro c’è gente con i soldi, possibili futuri sponsor e quindi ho pensato che è meglio fare una buona prima impressione”.  Sorrido alla sua astuzia e intelligenza.
Ad un tratto sento Haymitch afferrarmi il braccio e trascinarmi fuori la sala da pranzo.
“Sai dolcezza, sembra quasi che potremmo effettivamente essere in grado di salvarlo”, mi sussurra,  in modo tale che solo io lo possa sentire. 

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