NeverEnding

di BlueMoon_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Siamo in due ***
Capitolo 2: *** Un anno dopo ***



Capitolo 1
*** Siamo in due ***


Lo trovammo seduto affianco al corpo della donna. Era li che la fissava, non riusciva a distoglierle lo sguardo da lei, da sua moglie. La donna era distesa sul pavimento ai piedi del letto. Dalla profonda ferita che riportava sulla testa fuoriusciva un fiume di sangue che le scendeva giù lungo il volto e il collo, fino al pavimento dove formava una pozza che si era estesa enormemente. Il marito l’aveva colpita con un ferma carte che riponeva sulla scrivania; ci disse che era un regalo che la moglie gli aveva portato dal suo ultimo viaggio in Spagna. Era un’assistente di volo.
Il marito era amorfo, stava seduto sul pavimento e accarezzava i capelli alla moglie, giocherellando a intrecciare le sue dita nelle ciocche unte. Aveva gli occhi arrossati e gonfi, di uno che aveva pianto fino allo sfinimento.
“Perdonami” le sussurrava in continuazione “perdonami, perdonami…” non riusciva a dire altro.
Si vedeva che era un uomo distrutto. Ma noi dovevamo fare il nostro lavoro.
I miei colleghi lo strattonavano per le braccia. Non potevo vedere certe scene. Intervenni e lo presi sotto la mia custodia.
Arrivati in centrale cominciarono a interrogarlo; ma l’uomo non riusciva a pronunciare nessuna parola. Si dondolava sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto ripetendo quella semplice parola che lo assillava da casa sua. “Perdonami”. Una parola sussurrata, lieve e poco udibile.
Provavo pena per lui, non riuscivo a vederlo come un assassino. Forse mi feci contagiare dal modo con cui pronunciava quella parola. Proveniva dal cuore.  E non stava mentendo, ne ero sicuro. Avevo assistito a un centinaio di interrogatori e tutti con uomini subdoli, capaci solo di mentire. Nessuno di loro si era mai pentito di ciò che aveva compiuto. Tutti tranne lui. Lui era diverso. Non aveva mai negato l’omicidio, continuava a colpevolizzarsi e a implorare il perdono.
Nessuno aveva capito ciò che provava. Tutti tranne io. Riuscivo a percepire lo stato di confusione, disperazione e dolore in cui si trovava.
I miei colleghi continuavano a urlargli contro di confessare. Ma non capivano che aveva già detto tutto. Attraverso quella singola e semplice parola, egli voleva liberarsi da un peso che gli opprimeva il cuore e lo soffocava. Ma non ci riusciva, perché il ricordo di quella visione gli impediva qualsiasi via di uscita.
Non sopportavo più quel trattamento. Così mi alzai dal posto, andai dall’uomo e lo condussi via. Quando fummo da soli lo lasciai in pace. Non gli dissi niente, non gli feci niente. Volevo lasciarlo da solo, con i suoi pensieri e paure. Gli posai solo delicatamente la mia mano sulla sua spalla per fargli capire che avevo compreso il suo dolore; mi parse di vedere gratitudine nei suoi occhi, ma probabilmente su solo una mia impressione.
Passò un’ora e l’uomo non proferì parola. Stetti lì ancora un po’; poi mi alzai, ma , quando stavo per uscire, mi afferrò la mano.
“Rimanga qui la prego” mi disse con il suo solito filo di voce “Non voglio rimanere da solo. La solitudine mi uccide”.
Non potei far altro che acconsentire alla sua richiesta. Mi risedetti e, con mia grande meraviglia, iniziò a parlarmi e a dirmi tutto.
“Sì, sono stato io ad ucciderla. Io, solo ed esclusivamente io. Ed è tutta colpa mia, per ogni cosa. Io ho iniziato la lite. Io l’ho spinta. Io l’ho percossa. Io l’ho colpita con l’oggetto. Io, io, io e solo io. Lei non ha fatto niente”. Le lacrime sgorgavano, non riuscivano a fermarsi. Compresi che quel giorno non avrebbe detto nient’altro. Gli diedi una pacca sulla spalla e lo lasciai solo. Mentre uscivo alzò la testa dalle mani e mi guardò. Era la prima volta che vedevo sul volto di un detenuto quello sguardo.
Era uno sguardo di ringraziamento.  Compresi che anche la prima volta non mi ero sbagliato.
Tornai a casa, mi immersi nella vasca e pensai.
Mi tornava in mente quello sguardo, così intenso. L’unica cosa di cui quell’uomo aveva bisogno era trovare qualcuno che gli stesse vicino. Non uno che gli mentisse dicendogli che non aveva fatto niente, ma voleva qualcuno che gli facesse compagnia. Ed io ero quella persona. Io riuscivo a capire cosa provava e ciò di cui aveva bisogno.
Il giorno dopo tornai in centrali e andai subito da lui. Fu contento di vedermi. Mi disse che avevano provato a interrogarlo. Questa volta però disse tutto. E si sentì  più libero. Ma il pensiero della moglie lo tormentava.
Mi raccontò di come si erano conosciuti. Si ricordava ogni minimo particolare. Dal vestito che indossava, al trucco, alle scarpe, al sorriso e all’espressione degli occhi. Raccontava tutto con estrema precisione. La voce gli tremava e gli occhi luccicavano. Si vedeva che quella donna era stata fondamentale nella sua vita. Da quello che diceva, lei era stato un dono dal cielo. Era quel tipo di donna che sapeva farti sentire accettato e vivo, che sapeva tirati su il morale e con la quale non ci si annoiava mai, aveva sempre mille idee e riusciva a realizzarle tutte. Mi raccontò che una volta, nel bel mezzo della notte fece le valige per tutti e due e partirono per il mare.
Mi raccontò tutto di lei, cose le piaceva, cosa odiava e cosa adorava fare, come fare la dog-sitter. Amava stare con gli animali.
Più ne parlava e più si sentiva orgoglioso di lei. Era una donna forte e sicura di sé. Il suo punto di riferimento, la sua roccia su cui appoggiarsi.
Quella donna è stata molto importante per lui, ma lo era tuttora. Perché il suo ricordo era ancora vivo in lui e ciò gli conferiva forza e vigore. La presenza della moglie tirava fuori il alto migliore di lui. Era un gran chiacchierone  e questo lo apprezzai molto, perché io invece ero molto introverso. Ma con lui riuscivo a sbloccare il mio vizio di chiudermi al mondo.
 L’unica cosa che non mi disse fu il motivo per cui la uccise. Nemmeno ai miei colleghi, ma a loro bastava la confessione. Io ,invece, ero curioso; ma non volevo essere inopportuno.
I mesi passarono e le nostre chiacchierate si fecero sempre più intense. Ogni giorno lo trascorrevamo insieme, chiusi in quella piccola cella a parlare e ad aprirci l’uno all’altro.
Mai persona mi fu più preziosa di lui.

 

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Capitolo 2
*** Un anno dopo ***


Dopo un anno la nostra amicizia si è consolidata. Abbiamo scoperto di aver molte cose in comune, come l’amore per la lettura e la pesca. Ci scambiavamo segreti e trucchi, sulle esce e le lenze migliori da usare, sulle ultime letture fatte. Al giorno del suo compleanno gli regalai un libro sulle avventure di Sherlock Holmes; adorava i libri gialli. Mi meravigliai di come due persone potessero legare così tanto in un contesto di dolore e disperazione come quello. Una sera lo trovai più triste del solito. Tornò a ripensare a quella sera. A come sua moglie era bella e impeccabile, come sempre . Ma rispetto al solito mi disse qualche cosa in più. Di punto in bianco mi raccontò il motivo per cui aveva compiuto il gesto. “Era tornata da poco da un viaggio in Scozia. Era stata via più del solito, perché i voli erano molto distanti tra loro. Quando disfò la valigia e sistemò i vestiti, trovai un bigliettino nel suo cappotto. Riportava scritto: avrei voluto passare più tempo. La Scozia era così romantica, perfetta per noi due, mi mancherà stare con te. Io davanti a quelle frasi non capì più niente. Ero convinto che mia moglie mi avesse tradito, che fosse stata con altro uomo. E questo non potevo sopportarlo. Le presi il cellulare di nascosto e le guardai i messaggi. Molti provenivano da un certo Gianfranco. Poi mi ricordai. Era un suo collega che da alcuni anni si era invaghito di mia moglie e tentava di portarmela via. Ella aveva sempre resistito alle sue avance, e io mi fidavo ciecamente di lei. Ma non quella sera. Quella sera detti fuori di matto. Le gettai contro il biglietto e inizia ad urlare contro tutto ciò che mi veniva in mente. Me ne vergogno profondamente. Le dissi tanto cose brutte di cui, poi mi mentii amaramente. Inizialmente non capì cosa stesse succedendo; poi mi disse che non era successo niente, che era uno dei suoi soliti tentativi per conquistarla. Ma io non riuscivo a crederle, ogni fibra del mio corpo voleva solo avere vendetta del torto subito. Dopo tutto quello che avevo fatto per lei, non potevo crederci che mi avesse tradito. Dapprima le afferrai con forza le braccia e la percossi un po’; poi la spinsi contro il mobilio e infine sulla scrivania. Presi il ferma carte e la colpì, così forte che mi meravigliai della mia stessa forza. Cadde a terra incosciente, il sangue cominciò a uscire ed ella non rispondeva più ai miei richiami. Compresi di averla uccisa. Non sapevo più che fare, mi sentivo perso e spaesato. Avevo ucciso mia moglie, la ragione della mia vita, nulla sarebbe stato più come prima. Niente di niente. Avevamo ancora tante cose da fare, tanti progetti. E lei non c’era più. Non ci sarebbe più stata vicino a me. Così chiamai voi. Ma non riuscì a fare nient’altro. Se non stare li e accarezzarle i capelli. Come piaceva a lei”. Mai confessione fu più sincera. Amava molto sua moglie. E ogni giorno lo dimostrava, rivivendo il ricordo delle loro imprese e delle loro avventure. Anche a un anno di distanza il suo ricordo non si era sbiadito, era sempre li presente a fargli compagnia. Lo salutai abbracciandolo, dicendogli che quando tutto sarebbe finito avremmo passato una giornata intera sul fiume a pescare. Mi disse che gli avrebbe fatto molto piacere. Ma quel giorno non arrivò mai. Tornai a casa, feci una doccia e mi misi a letto. Vero le cinque squillò il telefono. Era la centrale. Ebbi un tuffo al cuore. Cosa era successo? Risposi e i dissero di correre immediatamente. Misi su le scarpe e andai là, senza nemmeno cambiarmi. Mi condussero alla cella 43, quella del mio amico. Mi trovai davanti a uno scenario raccapricciante: il corpo del mio amico penzolava dal soffitto. Aveva usato le lenzuola del letto; le aveva legate a un tubo per l’acqua e si era lasciato andare. Non potevo crederci. Non riuscì a proferire parola. Scoppiai in un pianto diritto. Avevo perso l’unica persona con cui avevo vissuto interamente trecentosessantacinque giorni. Ormai era diventato parte di me. Era come un fratello. Perché mai nessuno era riuscito a capirmi così bene come aveva fatto lui. Trovarono una busta che riportava il mio nome. Me la porsero; ma io non volli aprirla in quel momento. Volevo star con lui. Almeno per un’ultima volta. Mi stesi su quel letto che aveva assistito alle nostre discussioni. Tra quelle sbarre dietro le quali avevano rinchiuso il suo corpo, ma non il suo spirito, perché quello era vicino alla moglie. Ora l’aveva raggiunta. Me lo immagino li vicino a lei a chiederle ancora scusa per tutto ciò che era successo. Ma ora sono insieme, per l’eternità. Più di quanto avrebbero passato sulla terra. Tornai a casa. Distrutto e spossato. Dopo la doccia mi ricordai della busta. L’aprii. C’era una foto, una loro foto di quella volta che erano scappati per un’avventura romantica al mare. Comincia a leggere. “Ciao fratello. Non avrei altro modo per definirti. Tu, un perfetto sconosciuto che mi è rimasto vicino nel momento più disperato della mia esistenza. Chi l’avrebbe mai detto. Un poliziotto e un detenuto, amici. E che amici. Non ti ho mai detto una cosa, ma che avrei tanto voluto dirtela dal momento in cui mi hai aiutato. Grazie. Grazie per essermi stato accanto, per avermi difeso e sostenuto. Mi hai accompagnato in questo mio calvario interiore. Non sai quanto eri importante per me. La tua sola presenza era un balsamo per me, perché quando tu eri con me io non mi sentivo un mostro. Ma appena te ne andavi gli incubi mi perseguitavano, la voce di mia moglie mi riecheggiava in testa. Non riuscivo a dormire, perché appena chiudevo gli occhi quell’immagine così macabra mi si ripresentava davanti. Se non ci fossi stato tu questo gesto l’avrei compiuto molto prima. Ma tu mi davi la forza di andare avanti e sperare in un futuro migliore. Nell’ultimo mese le cose sono peggiorate, iniziavo ad avere delle allucinazioni sul corpo di mia moglie. mi ritrovavo sempre le mani rosse di sangue e il fermacarte tra le mani. Ma era tutto finto, tutto frutto della mia mente malata. Non ho più retto la tensione. Dovevo trovare pace e nulla al mondo avrebbe potuto darmela, se non lei. E l’unico modo per raggiungerla era diventare come lei, essere come lei. Così presi questa decisione. Ti assicuro che è stata molto dura. Non volevo abbandonarti, ma non potevo più vivere con me stesso. Spero tu possa perdonarmi amico. Sei stato una manna dal cielo davvero. Avrei voluto tanto passare molto più tempo con te, ti avevo promesso la giornata di pesca. Ma anche quella promessa non l’ho mantenuta. Spero tu possa perdonarmi. Addio, Fratello. Un abbraccio.” Lacrime su lacrime mi rigarono il viso. Non trovai le parole adatte per rispondere. Poi capì che mi bastava dire poche parole che erano, anche, le più semplici. “Si Fratello mio, ti perdono. Ora sii felice con lei. Addio.”

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