Another Tale

di Yomi22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Queen is back. ***
Capitolo 2: *** Camelot parte 1 ***
Capitolo 3: *** Camelot - Mordred ***
Capitolo 4: *** Camelot - Viviana's dreams ***



Capitolo 1
*** The Queen is back. ***






In mezzo a tutto quel trambusto, riuscì a scorgere la figura sfocata della donna che il destino le aveva riservato. 
La vide combattere, contorcersi e rovinare a terra, priva di forze.
La vide aggrapparsi al terreno, scavare nel terriccio ancora leggermente bagnato dalla brina per cercare di scappare dal buco nero che cercava di acchiapparla insistente.  
La vide svanire in quell'antro oscuro come un fiocco di neve al sole.

Quando Regina riuscì a mettere a fuoco il mondo attorno a sé, non potè che sentirsi soffocata dal silenzio palpabile, che la schiacciava a terra in un esplosione di sentimenti.
Rabbia, dolore, confusione e... freddo. 
Regina Mills sentiva freddo, in quella afosa giornata di luglio. 
Percepiva un sibilo glaciale percorrerle la spina dorsale, intorpidendole ogni centimetro del suo corpo, gravato da una quantità opprimente di emozioni e fogliame, strappato via dagli alberi ormai secchi e morti quanto il suo io.

Respirava a fatica in quel palcoscenico di morte e terrore. Il suo petto tentava di salire e scendere, come a tentar di acchiappare quel poco d'aria che poteva faticosamente entrarle nei polmoni. Un gesto placido, pigro.
Regina non sentiva più il bisogno di respirare, nella desolazione che la circondava. Non aveva più voglia di farlo. 
In quel momento, ogni cosa le sembrava futile ed evitabile. 

Roteò lo sguardo in cerca di qualcosa di cui nemmeno lei conosceva l'identità. Si guardò attorno, avvertendo un dolore lancinante ogni qualvolta si ritrovava a sbattere le palpebre sugli occhi umidi e tetri.
E lì, Regina Mills sperò.

Speranza: un'emozione divenuta quasi sconosciuta al cospetto della regale Evil Queen, il cui cuore s'era fatto piccolo e nero, dopo anni di torture e repressioni.
Soffocando un gemito di dolore provocato dallo sforzo, la donna si portò una mano al petto, per stringere con forza il tessuto che lo ricopriva. 
Portava indosso il suo tailleur preferito, nero come la pece, nero come la sua anima. Almeno, non sarebbe deceduta ricoperta di stracci.

Distesa con il volto all'aria, Regina puntò lo sguardo al cielo, mentre sotto al palmo della mano sentiva il battito fiacco del suo cuore. Strinse ancora e questa volta non riuscì a trattenere un singhiozzo. Strinse e strinse, come se quel gesto avesse potuto bloccare le lacrime che sentiva scorrere lungo le sue guance arrossate dal freddo e dal dolore.
Si morse un labbro, per permettere al suo orgoglio di impedirle di piagnucolare come una poppante, ma neanche quello bastò.
Un pianto dirotto, incessante, la travolse come uno tsunami di sensazioni incontrollabili, nascoste per anni sotto strati e strati di odio. 

Tra gli spasmi provocati dal bruciore delle ferite e dalla memoria delle ultime ore, il sindaco di Storybrooke si ritrovò a desiderare di morire in fretta, per lasciare quel mondo che ormai per lei non contava più nulla. Era rimasta sola, unico personaggio di quell'universo che tanto aveva cercato di eliminarla.
A ripensarci, avrebbe quasi voluto ridere della situazione. La Regina Cattiva lo avrebbe fatto.
Ma lei non era più quell'elemento che le fiabe per bambini tanto condannavano. No, lei era cambiata. Aveva combattuto per quella sola forza che lei non aveva mai compreso, e che forse non avrebbe mai potuto comprendere: l'amore.
Aveva lottato per l'amore e aveva vinto.
Ma a quale costo aveva ottenuto la vittoria?

Nel silenzio del bosco, Regina si concentrò per tentare di captare anche il suono più insignificante. Qualsiasi cosa avesse potuto comunicare la presenza di qualcun altro oltre a lei.
Si sarebbe accontentata anche solo di immaginare la voce di qualcuno, amico o nemico che fosse, piuttosto che giacere lì, circondata dal silenzio più assoluto. 
Eppure, non aveva neanche le forze di immaginare. La battaglia le aveva prosciugato ogni goccia di potere e per la prima volta dopo anni, Regina si ritrovò debole e senza paura.
Non aveva neanche le energie necessarie per stupirsi, ma se le avesse avute, sarebbe rimasta sbalordita dal suo stato d'animo.

Quanta paura aveva avuto, quando ancora era la maestosa e potente Evil Queen. Quando al suo schiocco di dita un intero reame si inginocchiava terrorizzato. Avrebbe potuto sospirare e l'intera Foresta Incantata sarebbe esplosa in un tumulto di fuochi artificiali. 
Malgrado ciò, a quei tempi viveva nel terrore costante di poter perdere tutto. Un tutto che non possedeva. Tutto e niente.
Finalmente però, sostanzialmente priva di forze, Regina si era sentita potente come non mai. Sentiva la vita scivolarle via dal petto, eppure non si era mai sentita più determinata.
Era pronta a morire. Era pronta a lasciarsi andare.

Sospirò, chiudendo gli occhi opacizzati da un velo di lacrime e sudore. Sentiva il sangue scorrerle lungo il fianco ferito e pregò che i suoi ultimi respiri scivolassero via con lui.
Non aveva più niente da perdere. Niente e tutto.
A fatica, lasciò scorrere le dita tra i capelli sporchi e scompigliati. 
Sorrise, tossendo un poco per lo sforzo.
Chissà che avrebbe detto Emma del suo aspetto.

Emma.

Lentamente, scosse il capo verso il punto in cui la donna era scomparsa, inghiottita dal buio.
Per vincere la battaglia, Regina aveva dovuto sacrificare le due cose più preziose che aveva.

Nuove e tiepide lacrime le bagnarono il viso, ma non bastarono a scaldarla dal freddo glaciale che si propagava dall'interno.

"Sto per raggiungervi, amori miei. Finalmente potremo vivere come una vera famiglia."

Con il riflesso di un sorriso sulle labbra, si lasciò andare verso il luogo in cui si trovavano suo figlio e il suo Vero Amore.
Un luogo che sperò fosse privo di quella malvagità che l'aveva divorata nelle viscere e che l'aveva portata a compiere quegli atti pieni d'orrore.




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"Regina"

La donna faticava ad aprire le palpebre, appesantite da una vita di continue lotte e ricerche di vendetta.

"Regina"

Sentì di nuovo, come un flebile fischio tra il fruscìo delle foglie.

"Regina, salvami."

Storse leggermente il naso e contorse le labbra nel sentire per la terza volta il suono della sua voce. Un taglio di luce offuscante le si parò davanti quando tentò di aprire gli occhi.
Sentiva ogni suo muscolo implorare a gran voce pietà per i movimenti bruschi, ma il sindaco era troppo nervoso per poter prestare loro il dovuto ascolto.
Ignorando le pugnalate, Regina si guardò attorno senza staccare la schiena dal soffice terreno umido. Anche se avesse voluto, in ogni caso, non ci sarebbe riuscita.

"Regina, sono stata rapita. Mi trovo a Camelot, rinchiusa in una cella."

Camelot, il paese di Re Artù.

"Mi vogliono giustiziare, Regina. Salvami. Salva tutti noi."

La donna rimase in silenzio ad ascoltare, incapace di smuovere le labbra da quell'espressione incredula che involontariamente aveva assunto. 
Si maledì per non aver capito che in realtà il buco nero che aveva inghiottito Emma era un portale e non un viaggio di sola andata per l'aldilà. 
Poi, le ritornarono in mente le parole della Salvatrice. La volevano giustiziare. 

Oh, no, Regina non lo avrebbe mai permesso. Nessuno poteva far del male alle persone a lei care. Nessuno le avrebbe nuovamente portato via il suo Vero Amore.
Alzò lo sguardo e solo in quel momento notò sotto a che albero si trovava.
 
Rosse e lucenti mele scintillavano come piccole stelle tra le foglie del melo.

Sorrise, mentre una nube viola la circondava in un caldo abbraccio. 

"The Queen is back."





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Capitolo 2
*** Camelot parte 1 ***



In mezzo a tutto quel trambusto, riuscì a scorgere la figura sfocata della donna che il destino le aveva riservato. 
Era distesa a terra, con gli occhi corvini spalancati, puntati dritti nella sua direzione.
Seppur per un secondo, Emma riuscì come al solito a perdersi in quei pozzi neri, e vi potè scorgere un bagliore di tranquillità.

Mai, da quando aveva conosciuto la donna, lo sceriffo aveva intravisto in quello sguardo duro una calma così cementata. Era sempre riuscita ad inquadrare in ogni minimo dettaglio il nervosismo di Regina Mills, in ogni sua azione, ma il vero specchio del suo io erano gli occhi. Quegli occhi che, nonostante potessero sembrare allo sguardo dei più quelli di una donna unicamente ammattita dalla brama di potere, nascondevano in realtà una grande paura.
Più di una volta Emma si era vantata di quanto il suo superpotere fosse infallibile dinanzi al sindaco. 

La osservò, mentre il nemico svaniva in una pioggia di lucenti cristalli neri, e non riuscì a trattenere un sorriso affaticato.
Ce l'avevano fatta. Erano uscite vincitrici anche da quello. Eppure, Regina non ricambiò il gesto. Anzi, non sembrava per niente soddisfatta da quella tanto sudata vittoria. 

Fece per muoversi e in un esplosione di terrore e dolore, si accorse che le gambe non rispondevano più ai suoi comandi. Le guardò sgomenta, ma non riusciva più a percepire una minima sensibilità negli arti. Ogni centimetro del suo corpo pareva inchiodato a terra da migliaia di spilli acuminati, collocati lì da chissà quale forza.

Il suo sguardo ora spaventato si posò nuovamente sulla donna al cui fianco aveva combattuto tanto ferocemente, e la vide diventare sempre più buia, inghiottita da un vortice nero come la pece. Nero come la morte.
Le mani iniziarono a scavare freneticamente il terreno, cercando un appiglio a cui aggrapparsi. Il terriccio bagnato però, si sgretolava al suo tocco con la facilità con cui la sabbia si disperde nel vento.

Tentò di chiamare aiuto, di incitare Regina ad alzarsi e a stringerla tra le sue calde braccia, ma non un suono uscì dalla sua bocca.
E il sindaco non si muoveva. Non accorreva in suo sostegno.
Per un attimo, per un solo brevissimo istante per la testa di Emma fece capolino un'ondata di orrore. Si chiese se Regina non fosse in realtà in combutta con il nemico. Perché altrimenti, avrebbe dovuto lasciarla in quello stato, prossima a venir risucchiata in quel buco oscuro di cui tanto aveva paura?
Sapeva che quella non poteva essere una possibilità. Sapeva benissimo che le intenzioni di Regina erano delle migliori, glielo aveva letto dentro.
Ma allora, si chiese lo sceriffo di Storybrooke, cosa stava aspettando?
Forse persino i muscoli di Regina non obbedivano agli ordini loro imposti.

Quando i loro sguardi si incontrarono, Emma capì. E mentre una lacrima le rigava il volto incredulo,  il resto del mondo a lei conosciuto svaniva in una massa scura.




 
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Il petto le doleva, in quel disperato tentativo di acchiappare l'aria fresca che la circondava. Un'aria diversa da quella che aveva lasciato a Storybrooke, città devastata dai duri colpi della battaglia. 
Non vi era odore di bruciato, non si udiva il dolce canto della morte.
Il fruscìo delle foglie la cullò, il tocco della profumata erba fresca la coccolò come le braccia di una madre. 
Madre che aveva ritrovato e perso in un battito di ciglia.

Aprì lentamente gli occhi, per abituarli gradualmente alla luce del sole che splendeva alto nel cielo. 
La leggera brezza che le battè sulle iridi la fece lacrimare un po', ma presto si abituò a quel cambio di atmosfera. Il sole splendeva alto nel cielo, e accarezzava con i suoi caldi raggi ogni cosa presente sul suo cammino.

Emma si alzò a sedere, inspirando a pieni polmoni un'aria più pulita di quanto si fosse aspettata. Guardandosi attorno, non riconobbe in quel paradiso nessun luogo a lei conosciuto.
Per un attimo, per la testa le passò di trovarsi nell'aldilà. Era convinta che quel buco nero l'avrebbe portata dritta nella bocca della morte e invece eccola lì, che ancora respirava e poteva percepire il tocco della terra.
Con grande fatica per via dei muscoli ancora doloranti, cercò di mettersi insieme, ma il freddo tocco di una lama la costrinse a poggiarsi nuovamente al manto di candida erba.

Cercando di evitare il bagliore riflesso sull'armatura dell'energumeno che le stava in piedi davanti, imponente nella sua esplosione di viola e bluastro, Emma puntò lo sguardo sull'elmo di acciaio.

"Chi siete?" le venne spontaneo chiedere, con il suo solito tono aggressivo. "Dove siamo?"

Il cavaliere non rispose, ma si erse in tutta la sua altezza in modo da coprir Emma dal sole. Forse, cercava di intimorirla con la sua stazza, ma dopo tutte quelle che aveva passato, lo sceriffo di Storybrooke non aveva neanche più la possibilità di temere nulla.
Probabilmente, si trattava più semplicemente di rassegnazione. Dal suo arrivo nella cittadina delle fiabe, aveva vissuto avventure che nessun essere umano avrebbe osato anche solo sognare, per questo motivo se c'era qualcosa che nel corso del tempo  la persona di Emma Swan aveva abbandonato, era lo stupore.

Senza complimenti, un'altra guardia cui la donna non aveva fatto caso la prese per un braccio e la costrinse ad alzarsi. La bionda obbedì, digrignando i denti per non far trapelare il dolore lancinante che sembrava strapparle ogni briciolo di sanità mentale. 
A fatica, riuscì a barcollare sino ad un carro trainato da due puledri neri, con la criniera drappeggiata da panneggi violacei. 
Un'altra volta, Emma si ritrovò a chiedersi in quale astruso mondo fosse finita. 
Sicuramente era un'altra epoca, dal momento che armature e carri non si vedevano da parecchi anni dal luogo da cui lei proveniva.
Pensò allora di trovarsi nella Foresta Incantata, unico altro mondo di cui conosceva l'esistenza.

Mentre il ritmo sconfusionato del passo dei cavalli la sballottava qua e là, Emma si sporse leggermente in avanti, catturando l'attenzione dei due soldati seduti di fronte a lei.
Uno dei due alzò la celata, svelando un volto giovane e deturpato dai colpi ricevuti nel corso del tempo.

"Cosa vuoi?" la incalzò, con tono minaccioso, tirandosi addosso le ire del suo compagno, che lo colpì con l'elsa della spada, rimproverandolo per aver rivolto la parola alla prigioniera.

"Volevo solo avvisarvi che io sono in stretti rapporti con la Regina" tentò Emma, sperando di poter vigliaccamente esser lasciata andare con quelle poche parole.

"Di quale regina parlate? L'usurpatrice o la nostra vera e unica Regina Morgana?"

A sentire quel nome, Emma percepì la testa girare, quasi l'avessero colpita a colpi di clava.

"Morgana?" ripetè, quasi volesse confermare ai due che si stavano certamente sbagliando.

"Dal vostro modo di abbigliarvi e parlare, è evidente che non siate nelle grazie di Sua Maestà. Per questo vi condurremo nelle segrete del Palazzo Sacro di Avalon. La regina ha ordinato che ogni straniero fosse catturato e rinchiuso. E' per la sicurezza del regno."

Il più grosso dei due colpì nuovamente quello che stava parlando, per incitarlo a non continuare il pericoloso discorso.
Per tutto il tragitto che seguì, Emma si chiese come avesse fatto a finire in quel luogo di cui nessuno le aveva mai parlato, nemmeno Regina. Sapeva della Foresta Incantata, ovviamente, di Neverland e persino di Wonderland... ma Camelot, Avalon e tutto ciò che riguardava la leggenda di Re Artù era sempre rimasta stampata sui libri, per la Salvatrice.

Confusa, proseguì il viaggio in silenzio, cercando di memorizzare il cammino che stavano percorrendo, così da avere un'idea di come uscire dall'immenso castello in cui erano entrati senza perdersi e rischiare di essere trovata.
Doveva inoltre pensare a un modo per contattare Regina.
 
Regina...

Il cuore di Emma perse un battito nel pensare a quel nome. Era stata lei la causa di tutto quello? Era stata la donna a gettarla in pasto a quelle guardie?
No, non poteva crederlo. Sicuramente Regina non aveva previsto niente di tutto ciò, e l'avrebbe aiutata a scappare. L'avrebbe riportata a Storybrooke.
Già, ma come?

Emma fu rinchiusa in una cella umida e maleodorante. La muffa ricopriva ogni angolo dei quattro muri di pietra che la circondavano. Una flebile luce brillava da uno spiraglio aperto nella feritoia coperta da pesanti travi di legno, e quello bastò a farla orientare. 
Non vi erano letti, nè altri comfort di cui era provvista la sua cella in città. Le uniche due cose presenti in quell'antro infernale erano un pagliericcio e un urinatoio.
Probabilmente si sarebbe dovuta accontentare di quelli. 
Tastò con precisione le sbarre, ma erano di un ferro troppo resistente perché lei potesse scalfirle. Se solo avesse avuto con sè la sua pistola...

"Emma?" 

Si sentì chiamare dall'altra parte delle sbarre. Un piccolo bagliore proveniva dalla cella che si trovava davanti alla sua.
Era una specie di sfera di luce, che emanava un certo calore che riempì i polmoni dello sceriffo. Nel percepire quella vampata, Emma provò piacere, un piacere che non provava da tempo, come un caldo abbraccio.

"Chi è che parla?"

Chiese senza troppi convenevoli, sempre all'erta.

"Sono Viviana, ero la Dama del Lago prima che Morgana mi rinchiudesse qui. Ha fatto credere al mondo che io sia morta, ma per pietà mi ha tenuta in vita. Non mi sento molto in forze, ma posso fare una magia. Devi fidarti di me."

"Che tipo di magia?"

Emma non poteva fidarsi di nessuno. Ogni qualvolta si era fidata di qualcuno, era finita male. Anche in quel momento, si trovava in quel luogo poco raccomandato per via di un persona in cui aveva riposto tutta la sua fiducia.

"Emma, so chi sei. Tu sei la Salvatrice. Ti prego, devi ascoltarmi. Ti vogliono uccidere domani mattina. Devi chiamare soccorsi. Merlino..."

"Aspetta un attimo. Merlino? Anche lui esiste davvero?"

"Merlino non c'è più, Emma, ma devi ascoltarmi. Ti prego. Posso inviare una tua proiezione astrale per pochi secondi, ma devi sbrigarti. Le forze mi abbandonano sempre più."

Incredula, Emma dovette sedersi per qualche secondo, per schiarirsi le idee.
Era chiaro che non si trattava di un sogno, ne era certa. Non pensava neanche di essere morta, no, la morte sarebbe stata sicuramente più dolce. Era rimasta separata da tutti, in un mondo a lei sconosciuto e senza potere. Doveva solo decidersi a fidarsi di quella donna dalla voce gentile, e lasciarsi andare. In fondo, non aveva niente da perdere.
I suoi beni più preziosi le erano stati strappati via, Henry era sparito giorni prima della battaglia così come Mary Margaret e David. E Regina...
Non voleva pensare a lei in quel momento. Non voleva pensare a lei come aveva fatto nelle ultime settimane. Il ricordo faceva troppo male, le dilaniava il cuore come una tempesta di spine.
Eppure, quella donna era l'unica a cui poteva chiedere aiuto. L'unico punto stabile in quell'universo capovolto.

"Dimmi cosa devo fare."

Emma percepì il sorriso della sconosciuta, un sorriso dolce e stanco, appesantito dalle mille battaglie che aveva dovuto combattere. Un sorriso carico di storie, di emozioni, di paure.

"Devi concentrarti sul luogo dove vuoi andare. Ora."

Una luce violacea si sprigionò dalla cella il cui interno ancora non aveva scrutato, e la inondò con tutta la sua fragile potenza. Emma riusciva ad avvertire la debolezza della donna, ormai priva della sua forza vitale. 
Mentre veniva raggiunta da quel fumo compatto, la donna cercò di concentrarsi su quell'unica persona che desiderava baciare e uccidere con tutto il suo cuore.

"Regina. Regina, salvami."









 
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Chiedo perdono per eventuali errori. Rileggendola poi li correggerò. Enjoy and stay tuned!








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Capitolo 3
*** Camelot - Mordred ***


Morgana non aveva mai saputo resistere alla dolce risata di un bambino. Sin dalla più tenera età, aveva dimostrato una propensione alla maternità, e molte erano state le giornate passate in compagnia delle sua tutrice Viviana a badar ai bambini abbandonati sull'uscio del Tempio Sacro, ad Avalon.
Amava cullare, cibare e osservare i pargoli nella loro crescita, dal primo passo alla prima parola, ed era sempre straziante per lei quando essi venivano adottati da qualche fanciulla, o spediti come oggetti in conventi a Camelot.

Quando rimase incinta, amava definirsi la donna più felice presente in tutto il regno di Pendragon. Tutto il rancore che aveva serbato per la casata regnante era svanito con la stessa facilità con cui un fuoco ardente divora il legno. Nulla, più esisteva, se non lei e il suo bambino.
Neanche la magia, le importava più. Per anni si era impegnata nell'apprendimento delle arti celtiche, in grado di congiungere l'uomo alla natura, in uno sposalizio magico che permetteva alle donne Sacre di compiere incantesimi straordinari.
Morgana era sempre stata impegnata nei suoi studi, intenta a divenir la pupilla della Signora del Lago, posizione cui aspirava di ascendere alla morte della Dama corrente e sua madre adottiva Viviana.

La giovane Sacerdotessa ricordava bene la notte di Beltaine, giorno sacro nei riti pagani di Avalon, in cui ad ogni Signora era permesso di accoppiarsi con uomini provenienti dal Regno.
Decine di uomini e donne mascherati danzavano attorno ad un fuoco, per rendere grazie alla Natura e a tutto ciò che ella aveva donato. Musiche e banchetti spadroneggiavano su una terra viva, capace di comunicare liberamente con l'uomo.
In quella sera, non vi erano proibizioni, ed ognuno poteva sentirsi libero di compiere ogni atto che mai aveva pensato di poter compiere.
Una sola serata all'anno, per celebrare la Dea Creatrice.
In preda ai fumi dell'alcool, e alla gioia per la sua prima Notte Sacra, Morgana non si era tirata indietro quando le sue compagne più anziane l'avevano spinta tra le braccia di un giovane, tanto bello e spaesato quanto lei.
Assieme avevano riso, danzato e bevuto, sino a che non si furono appartati.
Passarono la notte assieme, senza mai rivelar i loro nomi nè i loro volti. Si amarono nell'ombra e mai più si rividero.

Fu solo al momento del parto che il nome dell'amante della futura Sacerdotessa venne rivelato.



 
[...]



Morgana sgranò gli occhi, portandosi istintivamente la mano sul ventre gonfio, e non riuscì a trattenere le lacrime. Sapeva cosa comportava portare in grembo il figlio rel re. 
Era conscia che qualcuno avrebbe provato a portarlo via da lei o peggio, ucciderlo.
I bastardi non erano ben accetti a Camelot, e si erano udite voci di regine gelose che assoldavano sicari per liberarsi di fastidi quali i figli di altre donne, possibili pretendenti al trono.
La Sacerdotessa sapeva anche dell'incapacità di Ginevra, moglie di Artù, nel generare figli, motivo in più per cui se mai avesse scoperto la vera identità del figlio di Morgana, avrebbe sicuramente adottato contromisure drastiche.
La donna non poteva certo permettersi di far trapelare il nome di colui che l'aveva inseminata, ed era consapevole del rischio che avrebbe corso nel proteggere il figlio illegittimo di Artù. Il suo amore di madre, tuttavia, era ben più prepotente della sua saggezza e non la fermò dal formulare un incantesimo di protezione sul futuro nascituro. 
Niente avrebbe potuto portarglielo via, neppure il Re di cui tanto si vociferava. Il "Salvatore", lo chiamavano. Colui che avrebbe potuto rimediare alle misfatte del padre Uther, e che avrebbe riportato gioia e prosperità all'intera Camelot.

Artù, che condivideva con Morgana la stessa madre.
Artù, che condivideva con Morgana lo stesso figlio.

Mai le passò per la testa l'atto impuro che aveva commesso nel dormire assieme al suo fratellastro, ma sapeva che quello sarebbe stato unicamente un incentivo per eliminare l'abominio nato dall'insaputo incesto.

" Viviana, sai che tra pochi giorni partorirò, la Luna ci ha avvertite di questo" 

Pregò supplicante, seguendo la sua Maestra per gli intricati corridoi del Tempio Sacro. Erano giorni che Morgana ripeteva le stesse frasi, eppure Viviana non pareva prestarle il dovuto ascolto. Eppure, sapevano entrambe che cosa avrebbe comportato la nascita di Mordred, questo il nome del nascituro.

" Ti prego, dobbiamo prevenire il peggio."

Mai aveva ricevuto una risposta da colei che considerava una Madre. Si chiese spesso se a Viviana fosse mai davvero importato qualcosa di lei, ma in cuor suo aveva sempre voluto pensare di sì. Aveva sempre creduto che l'immenso amore che provava per la donna fosse ricambiato. In fondo, era stata proprio la Dama del Lago a decidere di prendersi cura di lei, quando era ancora una bambina di otto anni rinnegata dal padre adottivo, dopo la morte di Lady Igraine, sua madre.

" Non possiamo permettere che Mordred subisca ciò che ho subito io."

Pianse, senza per l'ennesima volta ottenere risposta.
Pedinò Viviana in lungo e in largo, senza demordere, sino al giorno del parto.
Un parto straziante, alla luce della Luna, come volevano le predizioni.
Le sue urla si propagarono nel tempio illuminato unicamente dalla flebile luce lunare che trapassava dalle finestre opache e che rimbalzava sul marmo freddo e bianco.
L'altare era stato adobbato a dovere, con incensi e erbe mediche profumate in grado di alleviare leggermente il dolore.
Non ci volle molto perché le urla del bambino si sostituirono a quello della madre, esausta per l'eccessivo sforzo compiuto. Con le lacrime agli occhi, per la gioia e il dolore, Morgana allungò le braccia con un sorriso speranzoso dipinto in volto.
Il bambino smise di piangere, e la Sacerdotessa intonò una canzone per lui, accompagnata dalle angeliche voci delle sue compagne.

Furono interrotte da un sibilo sinistro, che spense gli incensi e le poche candele poste agli angoli del salone. 
Morgana guardò Viviana, impassibile sull'Altare Sacro, e spostò poi lo sguardo sulle cinque donne attorno a lei. 
Non v'era nessun suono, se non il leggero eco che ancora seguiva la dolce canzone che poco prima era uscita dalle sue labbra.
La donna era spaventata, ignara di ciò che stava accadendo. Poco prima del parto si era rassicurata di innalzare una barriera protettiva non solo attorno al Tempio, ma ad Avalon intera. Nessuno, in quella terra, era in grado di rivaleggiare con il suo potere. Era consapevole del fatto che nessuno, neppure Viviana o il Grande Merlino, avrebbero potuto abbattere la sua magia.
Eppure, una pressante angoscia la invase. Il suo cuore prese a battere più velocemente, scandendo il tempo come un orologio impazzito. Per un attimo le parve di sentirlo rimbombare per le fredde pareti, come un suono lacerante. Istintivamente, strinse a sé il piccolo, rassicurandolo con parole dolci, mentre i suoi occhi guizzavano da una parte all'altra del palazzo.

"Non preoccuparti, Mordred, amore mio, la mamma è qui. Non ti succederà nulla, te lo prometto..."

Ripeteva, posando il suo sguardo su Viviana, incredula quanto lei. 
Fu soltanto allora che la paura la pervase totalmente. Mai nella sua vita, aveva visto Viviana spaesata. Era sempre stata un caposaldo per lei, in quanto nulla poteva sfuggire allo sguardo attento della donna. I loro sguardi si incrociarono e l'una potè leggere in quello dell'altra un sentimento di confusione.
Si guardarono a lungo, finché le grandi porte in legno massiccio del Tempio non si spalancarono con violenza, sbattendo talmente forte da spaventare tutte e sette le donne presenti. 

Il bambino iniziò a piangere, un pianto disperato che si propagò nella stanza, mentre una figura di donna si presentava alla porta. 
Morgana non ruscì a distinguere chi fosse, ma era pressoché sicura di non aver mai visto quella persona.

"Chi sei?"

Urlò, stringendo ancora il figlio, incapace di alzarsi dal letto in quanto preda del terrore e priva di forze.
Una risata femminile invase il salone, una risata malvagia, sconosciuta.
La donna fece qualche passo in avanti, accompagnata dal suono secco e deciso dei suoi tacchi e dal fruscìo del suo mantello nero.

" Perdona l'intrusione, Morgana, ma hai qualcosa di cui ho davvero bisogno."

Morgana sussultò, a quelle parole. 

" Chi sei? Cosa stai cercando qui? Siamo in un Tempio Sacro, nulla di ciò che possediamo può servirti."

La donna rise di nuovo. Una risata gelida, terrificante.

"Sai benissimo che cosa cerco, Morgana. Altrimenti perché lo terresti così stretto tra le tue gracili braccia?"

Mordred. La donna voleva il suo bambino.

" Sei qui per conto di Artù? Dov'è lui ora? Perché il codardo lascia fare il lavoro sporco a te? Cosa ne ricavi?"

La donna si fermò, e le porte dietro di lei si richiusero con un tonfo sordo. Le candele si riaccesero, e finalmente Morgana potè distinguere i lineamenti della sua nuova nemica.
Lunghi capelli neri le ricadevano da un lato, stretti in un'alta coda. Pozzi neri come la pece la scrutavano come un leone faceva con la sua preda. Un sopracciglio inarcato, quasi sorpreso dalla miriade di domande che le erano state poste.
Le labbra rosse serrate in un ghigno.
Gli abiti, non appartenevano al mondo di cui Morgana faceva parte.

Il silenzio regnò sovrano per interminabili secondi, e fu spezzato da Viviana, che con calma si avvicinò all'altare su cui era ancora adagiata la Sacerdotessa.

" Io so chi siete voi, Vostra Maestà. Quello che mi chiedo, Mia Signora, è cosa ci facciate nella nostra umile e Sacra Isola. Non abbiamo nulla qui, per voi. Siamo solo Sacerdotesse, e come tali viviamo."

La donna scoppiò nell'ennesima fragorosa risata.

"Dama del Lago, risparmiati queste battute. Quello che voglio è il marmocchio. Consegnatemelo e non accadrà nulla di male nè a voi, nè a queste sciocche donne che vi accompagnano."

Alle parole della donna, le cinque Sacerdotesse si accasciarono a terra prive di sensi, circondate da una sottile coltre viola. 
Regina si avvicinò alle due ancora in piedi, e si fermò a pochi centimetri da Viviana. 
Le due sembravano incarnare a perfezione il Dio della Distruzione e la Dea della Vita.
Il bianco e il nero.
E in mezzo, solamente una tensione palpabile.

" Dama, non puoi sconfiggermi. Consegnami il bambino."

Viviana rispose con una certa tranquillità, che mascherava l'angoscia che la pervadeva. Scosse la testa, in un cenno di negazione. Allungò una mano verso Morgana, ma una ventata violenta la scaraventò all'indietro, facendola sbattere inevitabilmente contro la parete, per poi cadere in terra, immobile.
L'attenzione di Regina si concentrò allora su Morgana, alla quale passò una mano tra i capelli, leggermente bagnati di sudore.

"Non ho nulla contro di te, mia cara" sospirò, accarezzandole una guancia, "ma ho davvero bisogno di tuo figlio. Purtoppo la mia vendetta al momento è più importante della tua famiglia. Non me ne volere, è questione di priorità."

Morgana non potè rispondere. Qualche strana magia l'aveva paralizzata. Una magia che non poteva contrastare, non in quelle condizioni. Guardò suo figlio e tentò di urlare quando lo vide passare tra le braccia della donna in nero.
La osservò allontanarsi di qualche passo, e sorridere glaciale.

"Avrai il tuo tempo di vendicarti, Morgana. E io sarò lì ad aspettarti. Quando sarà il momento, vieni nella Foresta Incantata, e potrai sfogare tutta la tua rabbia contro di me. Ti aspetto."

Pronunciate le fatidiche parole, la donna svanì in un'esplosione di fumo violaceo, portandosi dietro Mordred.
Calde lacrime rigarono il volto di Morgana, incapace di parlare nonostante l'incantesimo della donna fosse stato spezzato. Si accasciò sul marmo bianco e osservò il soffitto, in una visione distorta dal pianto.
Oh, era sicura che si sarebbe vendicata. Lo avrebbe fatto e molti avrebbero pagato per quello.
Artù, Regina... Viviana.
Viviana, che non era stata in grado di proteggere sua figlia e suo nipote. Viviana che non aveva neanche provato a fermare quel mostro di donna. 
La guardò, ancora in terra priva di sensi, e per la prima volta fu inondata dalla collera. Una collera cieca, che la portava a desiderare la morte immediata per quella donna che credeva volerle bene.

In un impeto improvviso, il suo corpo riaquistò le forze, il che le permise di alzarsi, e con passo deciso riuscì ad avvicinarsi alla Dama del Lago.
La osservò, con gli occhi sbarrati, colma d'ira.

"Non hai fatto nulla. Tu sei la Grande Sacerdotessa eppure hai permesso tutto questo. Non te lo perdonerò, Viviana... la pagherai..."

Voltandosi, diede le spalle alla figura a terra e sospirò, in un ultimo gesto di debolezza e di amore verso sua madre, prima di percorrere la navata che poco prima Regina aveva percorso con suo figlio tra le grinfie. Non si guardò indietro, nel lasciare il Tempio, e dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non mandare tutto al rogo.
Solo quando fu abbastanza lontana finalmente decise di guardare un'ultima volta quel luogo.
Una singola lacrima le percorse il volto, e dentro ad essa, tutta l'umanità che un tempo aveva posseduto, scivolò via dal suo animo, che andava a colorarsi di un tetro color di morte.















 
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Non è forse il mio capitolo migliore, ma è necessario per il corso degli eventi. Continuate a seguirmi, e non voletemene per il ritardo. Sono sempre stata una ritardataria.
Se vi va lasciatemi una recensione.

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Capitolo 4
*** Camelot - Viviana's dreams ***


Erano notti insonni per Viviana; forse per la recente nomina a Dama del lago, forse per via degli incubi che continuavano ad infestare i suoi sogni. Incubi di morte, sangue e terrore.
Un puzzle che ogni notte andava a delineare un disegno più grande, il cui risultato finale era ancora sconosciuto alla giovane Sacerdotessa, ancora novizia nell'uso dell'arte delle premonizoni.
Immagini confuse di fiamme, spade che cozzavano e un giovane che si ergeva di spalle davanti al trono di Camelot, trionfante con una corona insanguinata in mano.
Vivivana non aveva mai visto il suo volto, nè conosceva l'identità di quell'uomo dall'aura oscura. Non sapeva neanche a chi appartenessero la corona ed il sangue.
Aveva inizialmente pensato al suo re attuale, ma si era subito dovuta ricredere dopo aver sognato la sua morte per via di cause naturali.
Chi poteva essere dunque quell'essere crudele, tanto fiero in un mare di fiamme ardenti?
E da dove venivano quelle vampate disumane?

Grandi ali, che sbattevano alla rinfusa tentando di schivare reti di enormi dimensioni lanciate da omini che raggiungevano l'altezza di un soldo d'argento.
Dove si trovavano, quegli esserini minuti? Da quale regno venivano?
E a chi appartenevano quelle squame?

Una risata echeggiava tra le tetre pareti della Sala Grande del trono, la cui calda vivacità era stata sostituita da silenzio tombale. Gli unici suoni udibili, erano forse il gracchiare dei corvi intenti a nutrirsi dei cadaveri e il malvagio sghignazzo dello sconosciuto, ancora di spalle, brandente in una mano una spada rubina e nell'altra la corona grondante.
All'improvviso, il tutto venne inghiottito da un vortice di fiamme secolari, accompagnate da uno stridio animalesco, disumano.
Viviana si voltò e vide spuntare tra le nubi due grandi corna grigie, che nascondevano al di sotto un muso squamato, dalle cui narici fuoriusciva un palpabile fumo nero, che la circondò prima di spedirla in una nuova immagine: un uomo biondo, a terra, tendeva la mano in segno di resa al suo aguzzino. Sul capo, una corona.

«Figlio» supplicò il re, poggiando una mano sul petto, affannato ma senza paura.
«Figlio, puoi porre fine a tutto questo.» 
Poi, di nuovo l'uomo volto di spalle. Questa volta, la risata pareva più acuta, accompagnata dal rumore sordo di spade che cozzavano alle sue spalle.
Urla di uomini, che chiamavano il proprio re.
Infine, di nuovo il buio del denso fumo nero, spazzato via da un colpo di una coda rettiliana, irta di corni appuntiti.

Una donna con in braccio il proprio bambino scappava da guardie armate.
Militarmente, seguivano la giovane a passo svelto. Poteva percepire il loro riso coperto dalla celata nera dei loro elmi.
I due uomini si fermarono, impassibili, mentre una coltre  oscura avvolgeva le due povere figure.
Un grido e un pianto, poi, più niente.
All'improvviso, Viviana fu catapultata al di fuori di un castello coperto d'oro, e riconobbe Camelot.
Ma quale epoca era? Chi era ora il re? 
Si avvicinò disperata al ponte levatoio, facendosi largo tra la folla di straccioni che chiedevano asilo, in quanto i loro villaggi erano stati distrutti da creature leggendarie.
Le guardie, li guardarono e risero, voltando loro le spalle.

«Artù!» gridò disperata all'uomo che si ergeva impassibile a pochi passi dal trono, la mano sul petto. «Reagisci!» urlò la donna , trattenuta da due guardie di nero vestite.
«Uccidilo!» esclamò, gettandosi in terra in un pianto disperato.


Viviana si svegliò imperlata di sudore, chiamando a voce roca una delle sue ancelle.
Quando una di esse arrivò, una novizia, le comandò di portarle una bacinella e uno straccio per lavare via i residui del suo incubo. La giovane obbedì e lasciò in fretta e furia la stanza, pronta ad eseguire gli ordini.
La Dama si alzò dal pagliericcio e si diresse verso lo specchio, incerta su quello che aveva appena sognato.
«Artù» sussurrò, voltando lo sguardo verso la finestra. La nebbia candida della notte avvolgeva ancora Avalon, sotto la flebile luce del sole nascente. Presto, dalla sua dimora Viviana avrebbe potuto vedere il suo lago.
Una visione che aveva il potere di calmar la sua mente ogni mattina, dopo i sogni inquieti.

Erano anni ormai, che sognava sempre le stesse cose. 
Finalmente, però, era riuscita a trovare uno degli angoli del puzzle. Almeno, sapeva da dove partire.
«Artù» disse nuovamente, mentre immergeva il panno nell'acqua che l'ancella le aveva portato. Un nome che le era nuovo. 
Eppure, era certa che si trattasse di lui: lui era il re che sarebbe caduto per tradimento.
E se Viviana aveva ricevuto in dono quelle visioni, allora era segno che tutto ciò doveva esser impedito.

Si recò spesso al castello, ma nessuno sapeva darle risposta. Né il Re né la Regina avevano eredi, e la Dama era a conoscenza della sterilità della donna. Era stata più volte in cura da lei, ma né erbe né incantesimi erano stati in grado di aiutarla.
Ma alcun Artù compariva negli alberi genealogici dei Pendragon. Fratelli, cugini e persino zii: nessuno portava quel nome. E nessuno, sembrava intenzionato a continuar la dinastia utilizzandolo.
Nonostante le numerose richieste, tuttavia, Viviana non rivelò mai il perché della sua ricerca. Doveva cambiare il corso degli eventi, di questo ne era certa, ma ancora non conosceva abbastanza dettagli per riuscirvi. Doveva indagare più a fondo, prima di poter realizzare qualcosa di concreto. 
E tutto ciò che sapeva, era che un certo Artù sarebbe diventato re e sarebbe morto per mano di un giovane destinato a portare alla rovina l'intera Camelot.
Doveva impedirlo, ma come, se i suoi sogni non le permettevano di giungere alla soluzione?

Con il passare degli anni, Viviana arrivò addirittura ad indursi il sonno tramite infusi e riti particolari, in modo da passare il più tempo possibile in sogno.
Anche in quel mondo, però, in pochi potevano udirla e chi poteva farlo non rispondeva.
Al tempio, iniziarono a pensare che fosse in preda alla follia. Ma lei sapeva; era sicura di non esser pazza. Madre Natura le aveva affidato un compito e lei era determinata a portarlo a termine.
Ma aveva bisogno di risposte, e la sua Signora non sembrava propensa a dargliele.

Arrivò a supplicare la Dea Terra, in ginocchio e piangente, di aiutarla. Non poteva farcela da sola, e i suoi sogni non avevano capo né coda. 
Sapeva che le Visioni avvenivano tramite serie di immagini o di attimi, ma sempre vi era stato un filo logico, dal quale partire e al quale arrivare.
Perché, dunque, doveva esser così difficile ora? Era forse una prova per capire se era davvero adatta ad esser la Dama del Lago?
Anche le sue Antenate avevano dovuto subire quelle torture psicologiche?
Eppure, la sua Maestra non l'aveva mai messa in guardia di ciò. Che fosse parte del piano?

Otto lunghi anni passarono, anni che Viviana passò più nel mondo di Morfeo che in quello reale. Due di questi, la Dama li passò in un sonno perpetuo, indotto da un infuso di Belladonna particolarmente efficace.
E fu alla fine di quei due anni che ci fu la svolta.

La stessa donna che aveva visto anni prima, si presentò davanti a lei.
«Artù! Reagisci! Uccidilo!»
Ma l'uomo non sguainò la lunga spada lucente che portava al fianco.
Si lasciò cadere, mentre l'arma del nemico veniva estratta dal suo ventre squarciato.
Un tonfo sordo, una risata malvagia.
La donna, a terra, urlava di dolore. Il giovane fece un passo avanti, tese la mano e prese da terra la corona, bagnata del sangue del suo legittimo proprietario. La sollevò al cielo, fiero della sua vittoria. La indossò, senza curarsi di pulirla, il denso liquido vermiglio gli bagnò i capelli neri. Si voltò, due grandi occhi azzurri si spalancarono, colmi di pazzia, si puntarono in quelli della donna.
Lei lo guardò, mentre la spada scendeva inesorabile sul suo collo. 
«Mordred...» sussurrò la donna. Poi, il silenzio.

La Signora di Avalon si svegliò di soprassalto, gli occhi bagnati dalle lacrime, la gola secca per le urla.
Tre Ancelle la raggiunsero affannate e sorrisi di sollievo si stamparono sui loro volti. 
«Mia Signora» esclamò una, inchinandosi al cospetto della Dama, «finalmente vi siete ridestata!»
«Quante cose vi siete persa!» commentò l'altra, congiungendo le mani per la gioia.
«Il principe è nato!» urlò la terza, quasi saltando di gioia «Artù è nato!»


[...]

Vent'otto anni passarono. Artù aveva succeduto suo padre Uther e aveva portato finalmente il regno alla pace.
Re giusto e valoroso, Artù era rispettato da tutti i suoi sudditi, che cercava di accontentare più che poteva.
Camelot splendeva sotto la sua guida, fiorendo di anno in anno assieme al suo Signore.

Viviana spesso si era recata al cospetto del giovane, come consigliera e Sacerdotessa del castello nonché come medico personale della regina Ginevra. Una Ginevra che non poteva avere figli. 
Da dove veniva allora Mordred, che Artù aveva chiamato figlio in sogno?
Era forse un bastardo? Era dunque possibile che fosse già in grembo a sua madre o che fosse già nato?

Quasi ogni giorno, Viviana tornava al suo Tempio senza risposte, rassegnata a non poter contrastare il corso degli eventi.
Oltre a quello, dalla nascita del nuovo re, la Dama del Lago aveva iniziato a prendersi cura personalmente della figlia di Lady Igraine, madre di Artù, e del suo precedente marito.
Morgana, questo il suo nome, era una strega dotata di un talento straordinario, e per questo aveva deciso di portarla ad Avalon con sé anni prima, salvandola da una vita di soprusi da parte di Uther, che non sembrava apprezzare la presenza della fanciulla e le sue stranezze.
Ella aveva infatti una notevole propensione all'uso della magia e Pendragon non era famoso per la sua apprensione verso streghe e stregoni.

Fu dopo la notte di Beltaine, che tutto le fu chiaro.

Chiuse gli occhi senza fatica, dopo un'intera nottata a celebrare la Dea Terra, Signora di ogni cosa, che tempo immemore addietro aveva deciso di servire, donandole la sua stessa vita.
Quello che vide fu raccapricciante.
Vide un giovane allontanarsi dalla baraonda con Morgana, inebriata dalle danze e dai fumi. Li vide amarsi, nella frenesia di Beltaine, e li vide salutarsi alle prime luci del mattino, che facevano brillare i capelli di lui come oro liquido.
Lo stesso oro che aveva sempre visto a corte, nel posto del trono.
Con orrore, Viviana realizzò che i suoi sogni erano in procinto di avversarsi.
La guerra sarebbe cominciata in una manciata di anni, e lei doveva impedirlo.

Quando, mesi dopo, Morgana fu incapace di nascondere il ventre gonfio del bambino, confessò alla Dama quello che era successo durante la festa della Madre, ignara degli incubi della stessa.
Radiosa sotto le vesti di madre, Morgana presentò il bambino alla sua futura nonna adottiva.
«Lo chiamerò Mordred, Madre. Sarà forte e bello, e sarà portatore di pace come lo sarà sua madre.»
A quei tempi, Morgana era colei che era stata scelta dal Circolo per succedere a Viviana come Dama del Lago.
Compito che sembrava calzarle a pennello date le sue spiccate doti nell'incanto e la sua naturale propensione per l'aiutare il prossimo.
Sfortunata lei, il quale bambino avrebbe invece portato alla distruzione di Camelot.

Viviana pregò, supplicò e si disperò. Come poteva portare via il bambino a sua figlia? A colei alla quale aveva donato sé stessa e tutto l'amore che aveva in corpo? Quale madre avrebbe mai compiuto un atto tanto orribile nei confronti della propria prole?
Eppure, la Dama era stata scelta, e non poteva permettere a Mordred di far ciò che era stato predetto.

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