The real scoop

di Athanate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un nuovo incarico ***
Capitolo 2: *** arrivo alla Cascadia ***
Capitolo 3: *** caffè! ***
Capitolo 4: *** riappacificazioni ***
Capitolo 5: *** L'informatore ***
Capitolo 6: *** Il Mostro del lago ***



Capitolo 1
*** un nuovo incarico ***


Questa storia è per me più che altro una prova. non pretendo che vi piaccia, d'altronde io stessa suppongo che ne verrà fuori un aborto, ma ci provo lo stesso. volevo provare a scrivere qualcosa di diverso e quindi ecco qua. i personaggi sono caratterialmente diversi, spero che questo non infastidisca troppo nessuno.




Squillò il telefono.
Lasciai perdere. Sarebbe scattata la segreteria telefonica.
Squillò ancora.
Cominciai ad innervosirmi. Quello era il mio giorno libero e chiunque fosse in possesso del mio numero sapeva benissimo che era assolutamente vietato, nonché estremamente pericoloso, chiamarmi di prima mattina.
Continuò a squillare.
Uscii lentamente da sotto le coperte per afferrarlo. Prima di rispondere lanciai un’occhiata alla sveglia: le 7.00. Decisamente troppo presto.
- pronto? – la mia voce suonò aggressiva persino a me.
- buongiorno Myers. Vedo che siamo di buon’umore questa mattina. -
Rimasi in silenzio per un minuto buono. Al telefono era il mio capo. E la cosa non mi piaceva. Punto primo mi stava chiamando nel giorno libero, senza contare che la notte precedente ero stata in redazione fino alle 3, quindi, punto secondo avevo dormito appena 4 ore e per ultimo era quasi euforico. No, decisamente non c’era nessun motivo per essere di buon’umore.
- quanto ti hanno pagato quest’incarico? -
Poteva esserci un solo motivo per vederlo così felice. Rise.
- mi piace la tua perspicacia Myers -
- È per questo che mi paghi un sacco di soldi. -
- giusto. -
- bene, e per quale motivo mi hai svegliata alle 7.00 nel mio giorno libero? -
Non avevo nessuna intenzione di essere accondiscendente.
- non ora e non per telefono. Puoi venire in ufficio? -
Mi accigliai. Il suo “puoi venire” era da tradurre “muoviti a portare il tuo didietro in ufficio”.
-sarò lì tra un’ora. -
-bene -
Riagganciò.
Rimasi imbambolata con la cornetta del telefono in mano.
Mi alzai svogliatamente dal letto ed andai in cucina a prepararmi un’enorme tazza di caffè. Senza caffè non sarei mai stata in grado di carburare.
Non appena l’aroma iniziò a diffondersi nell’ambiente cominciai a sentirmi meglio. In realtà la sensazione di benessere durò poco, visto che subentrò immediatamente il malumore. La questione non mi piaceva per niente.
Ok, io ero la sua principale fonte di guadagno. Mi aveva scovata direttamente al college, e non ho mai capito come avesse saputo di me. Ma con lui ci sono tante cose che mi restano oscure. In ogni caso, mi prelevò dal college non appena mi consegnarono il pezzo di carta e mi portò nella sua redazione per discutere d’affari. A vent’anni avevo realizzato la mia carriera giornalistica. Il tipo di lavoro che devo svolgere può apparire strano, ma era esattamente ciò che cercavo. La redazione è in vecchio stile: i reporter sono in prima linea. Ma la “prima linea” del capo è decisamente particolare. Il nostro scoop ce lo guadagniamo con i denti. Conduciamo indagini parallele a quelle della polizia, se si tratta di cronaca o simili, in ogni caso ficchiamo il naso ovunque. Ed io ho talento per questo. Gli articoli firmati C.M. sono quelli che più fanno guadagnare il mio capo. Lui è molto contento di me.
Bieco affarista.
In ogni caso, nessuno conosce la mia identità, sarebbe molto pericoloso se si venisse a sapere in giro. Il capo ha molti nemici per la condotta del suo giornale.
Io ne ho molti di più per i miei articoli.
Poco male. Per ora non ci sono stati problemi.
Scacciai quei pensieri, tanto sapevo benissimo che era impossibile arrivare ad intuire qualcosa sul comportamento del capo. Quindi tanto valeva sbrigarsi ad arrivare in redazione e scoprirlo.
Mi alzai dal tavolo e tornai nella stanza. Evitai di guardare troppo a lungo il letto perché sicuramente ne sarei stata inevitabilmente attratta.
Aprii l’armadio e ne estrassi un paio di jeans ed una normalissima maglia nera. Mi misi le mie fidate all star. Abbigliamento informale, ma ero in “libera uscita” e poi il capo ci lasciava piena libertà nell’abbigliamento. Una delle sue politiche era quella di farci sentire al 100% delle nostre possibilità per svolgere altrettanto bene il nostro lavoro. Un buon compromesso sostanzialmente. Quella mattina stranamente non vi era traffico, così raggiunsi l’ufficio in breve.
Bussai velocemente alla porta del capo e subito dopo entrai. A lui non piacevano le formalità. Nemmeno a me.
- accomodati Myers -
Mi indicò con la mano la sedia di fronte alla sua scrivania.
- di che si tratta? -
- un nuovo incarico. Molto ben pagato, come hai brillantemente intuito poco fa -
Poco fa, cioè quando mi aveva svegliata alle 7 del mattino solo per farmi venire in redazione. La mia voglia di ascoltarlo calava con il passare del tempo. Così decisi di tagliare corto.
- ben pagato, ovvero quanto? –
- 5, metà ora e metà a lavoro finito -
Sgranai gli occhi. Erano un sacco di soldi.
- e chi paga così bene? -
- coperto da segreto… -
Socchiusi gli occhi. Di solito il capo non ci nascondeva l’identità dei clienti.
- non fare quella faccia Myers. È un pezzo grosso, non vuole che si sappia in giro. Lui non conosce te e tu non conosci lui. -
Lasciai perdere. Non ero dell’umore adatto per iniziare una discussione.
- e che cosa dovrei fare? -
Il suo sorriso professionale si allargò.
- è tutto scritto qua sul fascicolo. Leggilo e dimmi che cosa ne pensi. -
Non mi lasciai ingannare da quella cordialità. Con tutti i soldi che gli promettevano di sicuro non gliene fregava niente di quello che pensavo io. L’avrei dovuto fare e basta.
Presi in mano il fascicolo ed iniziai a scorrerlo lentamente.
Scrutai alcune foto.
- chi è questo tizio? – alzai la foto affinchè il capo potesse vederla.
- l’uomo su cui dovrai indagare -
Posai la foto e continuai a leggere.
Poi mi bloccai e tornai qualche riga più su. No, dovevo decisamente aver letto male.
Guardai il mio capo. Speravo che iniziasse a ridere e che mi dicesse che quello era uno scherzo di cattivo gusto e basta. Ma non fu così. La sua espressione non lasciava trasparire nulla.
- è uno scherzo, vero? -
- no Myers. È il tuo prossimo incarico. -
Ecco, lo sapevo che sarebbe andata a finire così.
- non penserai mica che io mi infili in una accademia di tennis lontana miglia da qui, in mezzo al nulla e a dei marmocchi viziati che rincorrono una stupida pallina gialla e pelosa solo per pedinare questo tizio! -
Mi scrutò in silenzio prima di decidersi a rispondere.
- tanto per cominciare quel “tizio” potrebbe essere il nuovo pupillo del boss mafioso, quindi pedinarlo potrà essere molto utile, inoltre non sono marmocchi quelli tra cui andrai, hanno tutti la tua età, ed ho già discusso con il preside fingendomi tuo padre, hai già la tua bella stanza pronta. -
- non servirà a niente. Io non ci vado. -
- Myers ho già accettato l’incarico. -
- bene, benissimo, mandaci qualcun altro. Ci sono tanti reporter in gamba. -
- il cliente ha chiesto te. -
- Chi è questo cliente? Che cosa sai di lui? -
- segreto. Bene, ti aspettano domani nel tardo pomeriggio. Arriverai proprio all’inizio dell’anno nuovo. Pensa che fortuna! -
Mi accigliai. Sapevo benissimo che alla fine avrebbe vinto lui. Il suo sorriso si allargò.
Avanzai una debole protesta.
- non so nemmeno giocare a tennis. -
il suo sorriso si allargò ancora di più. Se avesse continuato ad allargarlo gli si sarebbe sicuramente divisa a metà la faccia.
- stai scherzando vero? Io non ci penso nemmeno a mettermi una racchetta in mano! -
- calma calma Myers, non dovrai farlo. La tua visita passerà come una sorta di “scambio culturale”, non dovrai giocare a tennis. -
Lo odiavo.
Aveva già programmato tutto. Sapeva benissimo che non avrei potuto digli di no. Maledizione.
- questo fascicolo contiene la tua copertura. Studia bene Myers, partirai domani mattina. -
Presi il fascicolo. Non ero per niente contenta.
Mi voltai per andarmene. Non avevo intenzione di restare lì un minuto di più.
- non voglio errori Myers. -
- come sempre… -
Chiusi la porta alle mie spalle e sospirai. Mi aveva fregata anche questa volta.
Sapeva benissimo di avermi in pugno perché difficilmente sarei andata a lavorare per un altro giornale.
E questo mi innervosiva ancora di più.
Ora però non mi restava che fare armi e bagagli e partire per questa nuova missione.
Non mi piaceva per niente l’idea di lasciare New York per andare in questa accademia. Come si chiamava? Ah già, Cascadia.
Lessi e rilessi i due fascicoli. Dovevo essere pronta. Fa parte del lavoro. Che mi piacesse o meno.

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Capitolo 2
*** arrivo alla Cascadia ***


Una volta uscita dall’aeroporto seguii alla lettera le istruzioni del capo. Per arrivare fino alla Cascadia avrei dovuto prendere un taxi. Anche se erano per la maggior parte figli di papà nessuno aveva una macchina. E di sicuro presentarsi lì con la mia, nonostante fosse una modestissima chevy nova del 72, avrebbe attirato troppo l’attenzione. Certo, non faceva una piega. Ma detestavo l’idea di dovermi separare dal mio adorato mezzo per restare rinchiusa dentro l’accademia.
Non ho mai sofferto di claustrofobia, ma quando il cancello della Cascadia si richiuse dopo il passaggio del taxi ebbi la smania di darmela a gambe.
Io in ansia? Ma non scherziamo.
In ogni caso, ansia o meno, me ne sarei dovuta restare lì per un bel po’.
Scesi dal taxi, pagai e scaricai quel poco che mi ero portata dietro.
Pensavo che il preside si sarebbe scomodato per venire ad accogliermi, ma visto che in giro c’erano solo gruppi di ragazzi intenti ad allenarsi capii ben presto che mi sarei dovuta presentare da sola.
Partivamo male.
Mi incamminai lungo i campi, a questo punto non mi restava che sperare che qualche anima buona si accorgesse del fatto che avevo appena messo piede lì dentro e mi indicasse se non altro l’ufficio del preside.
Resistetti all’impulso di chiamare il mio capo per coprirlo di una sequela poco gradevole di insulti.
Sarebbe saltata la copertura. Solo per quello.
La mia attenzione venne attratta da un gruppo di ragazzi all’interno di un campo. Avevano delle racchette in mano e quello che sembrava essere l’allenatore stava spiegando loro qualcosa che non riuscii a sentire. Sarebbe stato tutto normale, in fondo era un’accademia di tennis, se non fosse che erano tutti coperti da capo a piedi dal fango.
Mi fermai ad osservarli.
Non capivo la situazione. Ed io detesto non capire che sta succedendo.
L’allenatore si girò verso di me visto che la mia presenza aveva distratto buona parte del gruppo.
Si avvicinò a me.
- tu devi essere quella nuova -
Abbozzai un sorriso cercando di non tirare fuori qualche battuta pungente ancora prima di essermi presentata.
- sì. Cody Myers. Piacere. -
- bene Myers. Lascia lì i tuoi bagagli e vieni dentro al campo. -
Il mio sorriso appassì nel giro di un secondo.
- scusi ma non dovrei andare dal preside? -
- Bates sa già del tuo arrivo. Non serve che tu vada a presentarti. Ora entra, se vuoi una stanza dovrai guadagnartela come tutti gli altri. -
Ok, ora avevo definitivamente smesso di sorridere. Prova? Di che cosa diavolo stava parlando?
Lasciai lì il borsone e lo raggiunsi velocemente. Dovevamo chiarire la situazione.
- senta, deve esserci un errore. Vede io sono qua per uno scambio e… -
Non mi lasciò finire la frase.
- lo so Myers, ma qua le stanze si decidono in questo modo. Sono le regole. -
Non ebbi nemmeno il tempo di pensare ad una risposta sensata che mi ritrovai una racchetta in mano. Inorridii.
Non sapevo nemmeno impugnarla.
Mi voltai verso di lui pronta a ribattere, ma il suo sguardo mi indusse a starmene zitta.
Io zittita due volte in due giorni. Le cose non andavano affatto bene.
Bene. Se proprio dovevo fare una pessima figura ancora prima dello scadere della mezzora di permanenza nell’accademia tanto valeva farla in fretta.
Ora, considerando che io sono l’anti-sport in assoluto, non avevo la minima idea del come me la sarei cavata.
Tutta la mia attività fisica si riduceva ad un paio di lezioni settimanali di autodifesa e stop. Quelle mi servivano per via del lavoro, insomma sempre meglio che niente. Certo, se mi fossi trovata davanti qualcuno a cui avevo messo i bastoni nelle ruote non mi sarebbe servito nemmeno essere campionessa mondiale di kick boxing. Ma certe volte l’illusione di poter avere un briciolo di competenza nell’autodifesa è tutto.
Guardai la racchetta desiderando di vederla sparire.
Niente. Quella maledetta se ne stava ferma lì nella mia mano. Repressi un grugnito ben poco dignitoso.
Ok, ok, con calma. Con molta calma.
Presi in mano una pallina. Gialla e pelosa.
Oh al diavolo, era ora di farla finita. La lasciai rimbalzare a terra e poi la colpii con la racchetta. Se non altro non l’avevo mancata.
Non rimasi nemmeno a guardare dove sarebbe andata a finire. Ma quando vidi arrivare verso di me un gruppo di ragazze gioiose ed infangate mi voltai per controllare.
Non potevo crederci. Avevo preso in pieno una delle scatole poste per terra come bersaglio.
Me ne rimasi lì a guardare la scatola dondolare avanti ed indietro.
D’ora in avanti avrei creduto alla fortuna del principiante. Probabilmente se avessi anche solo provato a guardare dove lanciavo la pallina sarei riuscita a colpire il primo passante ad un kilometro di distanza. Non ci potevo credere.
I miei pensieri furono interrotti quando qualcuno mi saltò addosso. Era una ragazza con occhi castani e capelli ricci.
- bel colpo! -
Sbiascicai un - grazie -
- io sono Adena -
- Cody -
- bene Cody benvenuta nel gruppo! -
- no guarda Adena, c’è un errore, io non faccio propriamente parte dell’accademia e non gioco a tennis -
- difficile crederci dopo quello che hai fatto -
- fortuna -
- sarà. In ogni caso Gunnerson non ti lascerà rinunciare. -
Il mio sguardo doveva essere un misto tra il terrorizzato, l’incredulo e il rassegnato perché Adena mi si avvicinò e mi mise un braccio intorno alle spalle.
- coraggio Cody. Non è poi così drammatica la situazione. -
- no, è peggio. Io non so nemmeno da dove si cominci a fare attività fisica. -
Lei rise. Probabilmente non ci credeva. Io sì invece.
Rafforzò la presa intorno alla mia spalla. Sentii il fango impiastricciarmi il collo e i capelli. Fantastico. Di bene in meglio.
- ora c’è la parte finale della gara. La corsa! -
Non capisco come poteva essere così euforica. Correre non poteva rendere felici. Correre implica sudare, stancarsi e sentirsi incapaci visto che dopo due metri si deve resistere all’impulso di fermarsi e lasciar perdere.
- ehi Adena muoviti Gunnerson sta per dare il via! -
Una ragazza dai capelli lunghi e lisci si stava sbracciando per attirare la sua attenzione.
- arrivo Tanis! - poi si girò verso di me – andiamo Cody se no partiremo svantaggiate. -
Oh ma non c’era bisogno di affrettarsi. Io sarei stata svantaggiata lo stesso.
Gunnerson, così si chiamava l’uomo che mi aveva obbligata a colpire la stupida pallina, spiegò velocemente quello che doveva essere il percorso.
Mi pietrificai.
Gomme? Fango? Muro da scalare? No non scherziamo.
Ero sul punto di andarmene e lasciare tutti lì a continuare quel perverso gioco quando Gunnerson fischiò e Adena mi prese per una manica della maglia obbligandomi ad iniziare la corsa.
Stavo iniziando ad odiare quella stramaledetta situazione.
Lo sapevo, avrei fatto un grande affare a mandare tutti a quel paese e prendere posto nel ripostiglio. Sarebbe stato decisamente meno imbarazzante che dover dimostrare la mia incapacità atletica eseguendo uno show che comprendeva in sequenza una rovinosa caduta nel fango, che comportò l’imbrattamento completo di vestiti e faccia, l’aver trascinato a terra altre 3 persone una volta inciampata nelle ruote e gli 8 tentativi di scalata del muro che si risolsero con la rinuncia per disperazione e la circumnavigazione di quest’ultimo.
Risultato: la squadra delle ragazze perse a causa mia.
Conseguenze: si incazzarono tutte con me.
Ma che colpa ne avevo? Io li avevo avvertiti.

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Capitolo 3
*** caffè! ***


Quella sera presi un appunto mentale: comprare una serie di amuleti anti-sfiga. Non che ci credessi veramente, ma dal mio arrivo alla Cascadia, anzi, da quando “accettai” l’incarico, non me ne era andata una per il verso giusto.
Nella divisione delle camere capitai proprio con Adena e Tanis, che, a quanto ero riuscita a sentire qua e là, aveva un bel temperamento.
Fantastico. Se non mi avessero uccisa nel sonno mi sarei sentita una sopravvissuta.
Non so perché, ma avevo pensato che me ne sarei stata tranquilla in una stanza singola. In fondo pensavo che il mio capo avesse un minimo di buon senso, come diavolo poteva pensare che il mio lavoro sarebbe potuto passare inosservato se fossi dovuta stare a contatto con loro per tutto il giorno?
Posai il borsone sul letto. Quello che era rimasto libero visto che le altre avevano già preso posto. Ecco, ci mancava solo il nastro per terra per delimitare il loro territorio.
Mi guardai in giro per vedere dove potevo riporre i miei vestiti.
Vidi una cassettiera e mi avvicinai per svuotare il mio bagaglio.
- quella è mia. -
Una voce alle spalle mi colse all’improvviso. Era Tanis, non l’avevo sentita entrare.
La scrutai.
- e io dove dovrei mettere le mie cose? Se non erro l’armadio è di Adena. -
- sì. E la cassettiera è mia. -
Ora basta. Erano due giorni che mi mettevano i piedi in testa senza che riuscissi a reagire.
- Tanis, vero? Bene, non ho intenzione di continuare ancora a lungo questa conversazione ok? Sono stanca, sono irritata e di conseguenza molto nervosa. Quindi dacci un taglio e dimmi dove posso mettere le mie cose. -
- sei appena arrivata e già avanzi delle pretese? -
- non mi sembra di avanzare queste grandi pretese, ma se vuoi metterla così fai un po’ come vuoi. -
La situazione si stava scaldando. Se Tanis aveva la tendenza a perdere le staffe molto velocemente, io avevo la tendenza a far irritare le persone ancora più velocemente.
Adena entrò nella stanza e si accorse subito della tensione tra noi due.
- ragazze non mi sembra il caso di litigare. Che succede? -
- la nuova arrivata pretende di scegliere dove poter mettere le sue cose. -
Adena la guardò incredula.
- Tanis mi sembra ovvio. – poi la guardò per un attimo e fece un gesto rassegnato – puoi mettere qua le tue cose, dividerò con te l’armadio. -
Oh qualcuno con un minimo di buon senso. Odiavo le dispute territoriali. Mi facevano sentire un animale.
Svuotai velocemente il borsone cercando di utilizzare il minor spazio possibile, mi ci mancava di dover litigare anche per quello.
Una volta finita quella serie di operazioni andai a sedermi sul letto. Presi a massaggiarmi le tempie.
Tanis mi passò davanti così vicina che se non mi fossi spostata probabilmente mi sarebbe venuta addosso.
Resistetti all’impulso di inveirle contro. Non era il caso, la situazione era già abbastanza incasinata di suo.
Un caffè. Avevo decisamente bisogno di un caffè.
Mi alzai ed andai velocemente verso la porta. Nessuno si prese il disturbo di chiedermi dove stessi andando.
Scesi velocemente le scale ed andai sicura verso la zona giorno. Se non altro con il mio lavoro avevo sviluppato una notevole memoria fotografica, così non avevo problemi a trovare la strada giusta.
Mentre passeggiavo sentii squillare il cellulare.
Numero privato. Poteva essere una sola persona.
- mi chiedo come tu abbia potuto mandarmi qua, non hai la minima idea di quello che ho già dovuto sopportare dopo nemmeno mezz’ora dal mio arrivo! -
- vedo che ti piace il tuo nuovo incarico Myers. -
- no Raymond, non mi piace. – Pronunciai “Raymond” con un tono estremamente acido. Sapevo che il capo detestava essere chiamato con il suo nome per intero. Ed io volevo proprio farlo incazzare.
Come previsto il suo tono si fece più duro.
- Myers non dimenticare perché sei lì. -
- ah certo e come potrei. Dovrò solo svolgere una missione in incognito avendo appiccicate 24 ore su 24 una collerica ed una folle giocatrice. Certo, sarà semplicissimo! -
Sentii una risata provenire dall’altra parte del telefono.
- che hai da ridere? -
- la grande Cody Myers messa in ginocchio da due, come le avevi chiamate? Ah sì, marmocchie! – continuò a ridacchiare.
- Ray dico sul serio è assurdo. Non posso lavorare in queste condizioni, senza contare che del tuo amico non c’è nemmeno l’ombra. -
- ma è ovvio Myers. -
- cosa è ovvio? -
- che lui non sia lì -
Rimasi in silenzio. Mi era per caso sfuggito qualche particolare?
- lui arriverà più avanti. Quella che abbiamo avuto è una soffiata. Tu sei arrivata lì prima per ambientarti e dare meno nell’occhio al suo arrivo. -
Rimasi a riflettere ed in breve realizzai. Lui sapeva benissimo che quel giorno c’era la gara per l’assegnazione delle stanze e mi aveva mandata lì apposta. Per un suo perverso divertimento.
- questa la metterò nel conto Raymond. -
Chiusi la telefonata.
Sì, era decisamente arrivata l’ora di bere un caffè.
Entrai nella zona giorno in cerca di un qualsiasi dispensatore di gioia. Inorridii. C’era solo una di quelle inaffidabili macchinette commerciali che dispensavano brodaglia vagamente aromatizzata al gusto del caffè.
Sarei impazzita molto presto lì dentro.
Resistetti all’impulso di gettarmi a terra strillando e piangendo per quell’ennesimo affronto. Sarebbe stato ben poco dignitoso.
- ehi tu sei quella nuova… -
Individuai il proprietario di quella voce quando si alzò dal divanetto per venirmi incontro. Ci misi un po’ per riconoscerlo. L’ultima volta che l’avevo visto era coperto di fango molto più di me, il che implicava che era totalmente ricoperto, viste le mie poco felici condizioni.
- già. E tu sei…? -
- Squib -
Rimasi a fissarlo. Che razza di nome era?
- in realtà mi chiamo Gary Furlong, Squib è il soprannome -
Certo, era ovvio, perché non ci avevo pensato? Forse perché me ne stavo imbambolata a fissare i suoi magnifici occhi verdi?
Oddio cosa stavo facendo? No Cody, con calma. Niente distrazioni.
Sbiascicai un - ah - e cominciai a dirigermi verso la macchinetta del caffè. Almeno non avendolo davanti avrei potuto evitare di guardarlo in faccia. Ero leggermente imbarazzata.
- mi hanno detto che non giochi a tennis -
- già. Sono qua per uno scambio, ma la mia scuola era normale. Nel senso, non era un’accademia di tennis -
- come mai sei venuta qua allora? -
Stava iniziando a diventare troppo curioso.
- semplice curiosità per poter fare esperienza. -
Non so se fu convinto della risposta, fatto sta che mi rispose sorridendo.
Arrossii.
No non andava affatto bene. Dovevo sviare la conversazione ed andarmene di lì il prima possibile.
- sai se c’è solo questa macchinetta del caffè? -
Mi guardò perplesso. Bè lo capivo. Sembrava una conversazione tra rane. Saltavo di palo in frasca.
- no c’è solo questa. -
- capisco. -
Il mio volto si dipinse a lutto. Potevo sopportare tutto, tutto, ma non l’assenza di caffeina.
- tra poco c’è il coprifuoco. Ti conviene sbrigarti, se Bates ti becca in giro saranno guai. -
Coprifuoco? Rimasi interdetta. Ma dove cavolo ero finita?
- ah, già il coprifuoco…grazie. Allora prendo il caffè e me ne vado. Grazie Squib. -
- di niente! È sempre un piacere aiutare una bella ragazza. -
Sorrise.
Maledetto, doveva farlo apposta, non c’era altra spiegazione.
Avevo i nervi a pezzi.
Comprai una bottiglia d’acqua e ne versai il contenuto nelle piante sperando che non fossero finte, poi spesi probabilmente più di 10 dollari prima che la dannata macchinetta versasse abbastanza caffè da riempirla tutta. Va bene, sembrerà un’esagerazione, ma era stata una lunga giornata e avevo bisogno di caffeina per placare la mia irritazione e riportare in me un minimo di buon senso.
Mi allontanai dalla zona comune sorseggiando la brodaglia.
Dovevo abituarmici.
Tornando verso gli alloggi cercai di rimettere in ordine le idee. Non che fosse cosa semplice. Tanto per cominciare dovevo trovare un modo per andare d’amore e d’accordo con le mie compagne di stanza anche se per guadagnarmi il loro rispetto e la loro fiducia mi sarei dovuta lasciar coinvolgere nella lotta nel fango. Era fondamentale. Poi dovevo procurarmi la planimetria dell’accademia. E magari anche un regolamento per vedere se dovevo tener conto di qualcos’altro oltre al coprifuoco. Dovevo cercare di scoprire quando sarebbe arrivato il tizio. E poi dovevo cercare di avere qualche informazione su Squib. No, aspetta un attimo. Che c’entra Squib adesso. Oh mio Dio, no Cody non puoi prenderti una cotta quando sei in servizio. E poi che ti avrà mai detto di così fulminante?
Maledizione. Ero nei guai.
Va bene, un problema alla volta.

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Capitolo 4
*** riappacificazioni ***


La mattina seguente mi svegliai per prima. Non che fossi mai stata una tipa mattiniera, ma con il coprifuoco a quell’ora dormire di più sarebbe stato impossibile.
Infatti non capivo come le altre due potessero stare ancora inchiodate al letto.
Mi alzai il più silenziosamente possibile, ci mancava solo che le svegliassi.
A questo punto, visto che ero lì tanto valeva fare come aveva detto il capo e cioè ambientarsi. Presi la mia macchina fotografica ed uscii per andare a godermi un po’ di pace mattutina. Erano rare le volte che mi alzavo di buon’ora. È anche vero, però, che più o meno a quell’ora avevo rimesso piede in casa da poco a causa del lavoro quindi ero totalmente giustificata.
Mi aggirai un po’ per i vari campi fino a quando non vidi un cancello un po’ malandato. Si sa, la curiosità è donna. Non potei fare a meno di avvicinarmici. Spinsi lentamente il cancello che cedette sotto alla mia pressione.
Al di là vi era un campetto abbandonato. Ne rimasi affascinata.
Scattai alcune foto al rottame del bus che era stato abbandonato lì.
Va bene, la mia debolezza è la passione per le foto. Adoro scattarle. Mi piace la magia che sono in grado di trasmettere.
- sei una fotografa? -
Mi girai di scatto colta alla sprovvista. Era Adena.
Rimasi alquanto perplessa dalla sua apparizione.
- no, non lo sono, però mi piace ogni tanto scattare qualcosa. -
Non potevo certo dirle che scattare foto mi serviva principalmente per avere prove contro le persone su cui stavo indagando. Sarebbe stato alquanto fuori luogo.
- capisco. -
Passeggiò un po’ per il campo. C’era un silenzio imbarazzato. Non capivo perché era lì, e non capivo che cosa voleva da me.
- ti ho seguita. -
- cosa? – Non potevo crederci. Lei mi aveva seguita.
- in realtà ti ho vista dalla finestra della stanza e volevo sapere che cosa venivi a fare al vecchio campetto. -
- non sapevo nemmeno che ci fosse. Mi stavo solo guardando in giro… -
- sì, ma ero curiosa lo stesso. -
Fece finta di mettere il broncio. Allora capii che era arrivata fino a lì per ristabilire un rapporto tra noi.
- bè, ieri non sei stata così scarsa nella prova. -
La guardai di sottecchi.
- oh no certo, sono stata anche peggio invece. -
- ma no, non così tanto… -
- perché, qualcuno è riuscito a fare un risultato più disastroso del mio? -
Rimase in silenzio per un attimo fino a quando, soffocando una risata, rispose che no, nessuno era mai riuscito a combinare una così impressionante sequenza di disastri.-
- oh, fantastico. -
- dai Cody non te la prendere! -
Si avvicinò a me e mi allungò la mano.
- ricominciamo da capo? -
La guardai negli occhi. Non vi vedevo doppi fini. Le strinsi la mano.
- da capo. -
Senza nemmeno accorgermene ero riuscita a risolvere uno dei miei problemi. Anzi no, non l’avevo risolto io. Con un gesto che forse io non sarei mai riuscita a compiere così facilmente Adena mi aveva spiazzata.
Forse partivo con troppi pregiudizi nei confronti di questi ragazzi.
- non so te, ma io ho una certa fame. Che ne dici di andare in mensa? -
Io non sono mai stata molto mattiniera, quindi per me la colazione coincideva in realtà con il pranzo, ma, vista la giornata che mi si prospettava davanti, convenni che era meglio fare una buona colazione.
Ci avviammo verso la mensa facendo i primi approcci.
Mi costò molto doverle mentire sulla mia vita, ma non potevo rischiare di far saltare la copertura. In fondo non potevo ancora essere sicura di potermi fidare al 100%.
Una volta entrata in mensa i miei occhi si illuminarono.
Venni colta da una gioia improvvisa. Il mio viso doveva aver iniziato a brillare perché anche Adena se ne accorse.
- Cody, tutto ok? -
Mi voltai verso di lei con un sorriso a 32 denti.
- sì Adena, non ti preoccupare va tutto bene -
Davanti a me c’era una caraffa di caffè. Non quello delle infide macchinette. Caffè vero. Almeno, l’aspetto lo faceva apparire tale.
Mi fiondai verso la prima caraffa con una tazza in mano.
Un punto a favore della Cascadia.
Quando mi girai con la mia tazza fumante in mano vidi Adena impalata di fronte a me con un’espressione allibita stampata sulla faccia.
Feci un veloce riassunto mentale per cercare di capire che cosa l’avesse portata a quello stato di trance. Realizzai. Avevo avuto il tipico comportamento di una malata psicopatica.
Non seppi come giustificarmi. Allora sfoderai uno dei miei migliori sorrisi e le chiesi dove potevamo sederci.
Lei si destò e dopo aver velocemente afferrato la sua colazione mi condusse verso un tavolo.
- tu non mangi niente? -
- no, mi basta il caffè per iniziare bene la giornata. -
- ah…capisco. Tanis dovrebbe arrivare tra poco. -
Mi irrigidii.
- non ti preoccupare. Non è come sembra, in realtà con lei si sta molto bene. -
- lo spero… -
Presi a sorseggiare il mio caffè.
Con la coda dell’occhio vidi avvicinarsi una figura famigliare. Focalizzai meglio. Era Squib.
- Ciao Cody! -
- oh ciao Squib, già sveglio? -
Si accigliò. Fantastico. In 3 parole ero già riuscita a combinare un disastro. Cody Myers 0 relazioni sociali 1. - Gunnerson ha detto che sono “fuori forma” e vuole mettermi sotto in questi giorni. –
Evitai di commentare e mi limitai ad annuire per evitare di peggiorare la situazione.
- e tu Cody che cosa fai? Se non giochi allora hai la mattina libera, le lezioni inizieranno solo nel pomeriggio- Non ci avevo mica pensato.
- già hai ragione. Credo che cercherò di informarmi sulle regole qua, sai non vorrei dover combinare disastri in più. -
- ma no, ci penso io ad illustrarti le meraviglie della Cascadia. -
- meraviglie? -
Mi fece l’occhiolino complice, poi mi si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio – fidati del vecchio Furlong, non è poi così male la Cascadia, basta saperci vivere. -
Poi si allontanò lasciandomi con la mia tazza a mezz’aria.
- vieni a vedere l’allenamento? Dopo ti farò da guida. -
- certo, nessun problema. -
Mi sorrise contento. Gli sorrisi estasiata.
Quando se ne andò ripresi a bere il mio amato caffè cercando di nascondere il rossore.
Adena ci mise appena 5 secondi per rendere vano il mio tentativo. Mi tirò una gomitata “soft” che bastò a farmi quasi rovesciare addosso il nettare nella tazza. Presi un tovagliolo e mi pulii intorno alla bocca.
- che c’è? – lo chiesi con tono assolutamente innocente.
- come “che c’è”? ma è ovvio, cosa confabulate tu e Squib? -
- come? Ma che ti salta in mente? Non confabuliamo assolutamente niente. -
- oh andiamo ma con chi credi di parlare? Di alla zia Adena che cosa sta succedendo. -
Mi fece gli occhi da cerbiatto. Santo cielo.
- non ho niente da dichiarare. -
Continuò a guardarmi. Poi aggiunse anche un furioso sbattimento di palpebre per rafforzare l’effetto.
- ok va bene, ma smettila prima che ti venga una crisi epilettica. -
Sorrise gioiosa.
- allora vediamo. Ieri sera quando sono venuta qui a prendere un caffè l’ho incontrato e abbiamo scambiato 4 chiacchiere. Fine -
Sembrava delusa. Mica era colpa mia.
- sì ma a te piace non è vero? -
La guardai allibita. Ma era una sensitiva?
- no – il mio tono non convinceva nemmeno me.
- se se come no Cody. -
Stava per aggiungere qualcosa quando qualcuno si sedette al nostro tavolo. Salvata in corner.
Alzai lo sguardo per vedere chi fosse la mia ancora di salvataggio. Tanis. Fantastico.
Cercai però di non essere scorbutica come al solito e le sorrisi cordiale.
- ciao Tanis -
- quello è il mio posto. -
Mi si gelò il sorriso in faccia.
Osservò per un po’ la mia espressione e poi scoppiò a ridere.
- lieta di essere così buffa da rallegrare la tua giornata. – le dissi sarcastica.
Continuò a ridere. Alla fine mi unii anche io alla sua goliardia.
Questa volta misi da parte l’orgoglio e ripetei il gesto che Adena aveva rivolto a me. E fu così che anche con Tanis le cose cominciarono ad andare meglio.
Adena aveva ragione. Ed io avevo giudicato male.

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Capitolo 5
*** L'informatore ***


La mattinata fu piacevole. Mica per altro, ma la passai con Squib che si rivelò essere un personaggio degno di nota, come avevo già dedotto in precedenza.
Mi fece girare per tutta l’accademia e mi portò anche al campetto che avevo già visto poco dopo l’alba dicendomi che era un po’ una sorta di rifugio per tutti quando avevano bisogno di pensare o sfogarsi.
Dietro la sua facciata da burlone si percepiva anche un’altra anima. Una un po’ più tormentata, e proprio questo lo rendeva affascinante ed intrigante.
Va bene. Mi piaceva. Inutile negarlo. Ma di sicuro a Squib non poteva piacere una come me che sapeva a malapena quelle che erano le regole fondamentali del tennis e per giunta praticava quel minimo indispensabile di attività fisica solo perché obbligata.
Le lezioni risultarono noiose. Tutte cose già fatte in precedenza, ma non mi dispiaceva più di tanto visto che se non altro mi sarei potuta dedicare al mio lavoro.
Quella sera rimasi in stanza da sola. Avrei voluto poter giocare a carte con gli altri, e con Squib, ma non potevo mettere queste cose davanti al mio incarico e quindi mi rassegnai a fare la brava bambina e a studiare le varie scartoffie.
Mi sedetti sul letto ed accesi il portatile. Nessuno sapeva che ne ero in possesso, rileggendo il regolamento avevo quasi sospettato che fosse illegale possederne uno. In ogni caso, nessuno poteva metterci mano poiché sarebbe potuto incappare in qualche file compromettente.
Aprii il file riassuntivo che avevo creato appositamente per poter raggruppare meglio le idee.
Mi accorsi con mia grande sorpresa che l’accademia era dotata di una wi-fi. Il mio cuore gioì. Ero brava nel mio lavoro, e questo comprendeva anche una decente conoscenza del computer. Fu un gioco da ragazzi bucare la rete e poterne usufruire.
Considerando che su questo ragazzo avevo ben poche informazioni decisi di condurre una ricerca su di lui, ma risultò infruttuosa.
Avevo le mie fonti e quindi ritrovarmi con le mani vuote fu abbastanza deprimente. Ma più che altro risultò strano. In quel momento squillò il mio cellulare. Senza stare a guardare chi fosse risposi. In fondo ben poche persone avevano il mio numero di cellulare.
- pronto -
- Myers, devi perdere la brutta abitudine di non controllare chi ti sta chiamando. -
Riconobbi subito la voce.
- Nate. Lo farò quando tu perderai la brutta abitudine di sbucare nella mia vita senza preavviso. -
Lo sentii ridacchiare.
Nate era fatto così. Spariva e riappariva a suo piacimento. Se di me in giro si sapeva poco e niente di Nate si sapeva anche meno di zero. A volte sospettavo che pure il nome fosse falso in realtà.
In compenso a lui si poteva chiedere tutto. Aveva una risposta soddisfacente ad ogni domanda.
- capiti proprio a pennello Nate. -
- io non compaio mai a caso dovresti saperlo. -
- lo sospettavo. Prima tu o prima io? -
- vai Myers chiedimi. -
- non mi piace questa tua accondiscendenza. Che cosa vuoi da me? -
- ogni cosa a tempo debito. Che cosa vuoi chiedermi? -
Sospirai. Niente da fare. Con lui o si stava al suo gioco o non si otteneva niente.
- cosa sai di Justin Powers? -
- perché ti interessa? -
- non mi freghi Nate. Una domanda alla volta. -
Rise.
- sei diventata troppo furba Myers! -
- imparo in fretta. Allora cosa sai dirmi? -
- che tu ci creda o no niente. A meno che non ti interessino i suoi voti scolastici delle elementari. -
- no, non credo siano rilevanti. Sul serio non hai niente su di lui? -
- niente. -
Sospirai. Com’era possibile?
- ora tocca a me. Cosa ci fai alla Cascadia? -
- come sai che sono qui? -
- rispondi alla mia domanda. -
- un nuovo incarico. -
- c’entra questo Justin? -
- sembrerebbe di sì. -
Rimanemmo in silenzio. Anche a lui puzzava il fatto che il passato di Justin fosse completamente pulito.
- ma non dirmi che mi hai chiamata solo per questo. -
- no, non solo per questo. -
- lo sospettavo. Cosa posso fare per te? -
- per me niente. Ti ho chiamata per avvertirti di stare con gli occhi aperti Myers. Un pezzo grosso vuole la tua testa. -
Rimasi spiazzata.
- come scusa? -
- hai capito benissimo. Ho avuto una soffiata. Non so chi, vuole sapere chi diavolo sei. E puoi scommetterci che una volta che lo avrà scoperto non userà i guanti per trattare con te. -
- chi te lo ha detto? -
- una fonte affidabile. Di più non posso dirti. -
Mi fidavo di Nate, avevamo collaborato più volte e non aveva nessun motivo per nascondermi qualcosa.
- hai pestato i piedi a qualcuno più grande di quel che pensavi Myers. -
- mi ci mancava solo questa. -
Mi massaggiai le tempie per un attimo.
- Nate, se dovessi sapere qualcosa me lo dirai vero? -
- sicuro Myers. Conta su di me. Mi dispiacerebbe dover indagare su chi ti ha fatta fuori. -
- non mi rassicuri affatto. -
- infatti non volevo farlo. Guardati le spalle. -
- lo farò. Grazie. -
Chiuse la telefonata.
Fantastico. Riassumiamo: ero rinchiusa in un’accademia di tennis a cercare un tizio di cui non si sapeva nulla, perché se Nate non aveva informazioni su di lui allora nemmeno sua madre avrebbe saputo dirmi di più, stavo cominciando ad avere interesse per un ragazzo che conoscevo da appena un giorno scarso, che però mi aveva già vista nella mia peggior versione, ed avevo un tizio che avrebbe voluto vedermi volentieri sotto una schiacciasassi.
Non male Cody non male.

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Capitolo 6
*** Il Mostro del lago ***


Ormai i rapporti con i ragazzi si erano consolidati. Conobbi anche Cameron, il compagno di stanza di Squib.
Per quanto riguarda invece Squib il nostro rapporto diventò molto forte. Purtroppo per me solo sul versante “amicizia” quando io avrei preferito il versante “qualcosa di più”. Ma finii per accontentarmi. Almeno per il momento.
In fondo non sapevo per quanto ancora sarei stata lì, ma sapevo che prima o poi, quando sarebbe stata ora di tornare a New York, avrei detto loro la verità. Almeno quel tanto che bastava per non metterli nei guai. Quello non l’avrei minimamente tollerato.
Quando ormai avevo perso le speranze di vedere alla Cascadia Justin, lui apparve. O meglio, uscì dal taxi che lo aveva portato fin lì.
Mi aspettavo un’entrata di maggior importanza dal delfino del boss.
Scattai qualche foto. Ma non fece nulla d’interessante. Era un normalissimo ragazzo arrivato lì come c’ero arrivata pure io. Però lui non doveva rotolare nel fango per avere una stanza.
Talvolta il mondo è ingiusto.
- ehi outsider! -
Mi voltai. Era Squib. Ma io lo sapevo già. Avevo riconosciuto il ritmo del suo passo che si avvicinava a me.
- ciao Squib. -
- osservavi il nuovo arrivato? -
- già. -
Fu una frazione di secondo, ma avrei potuto giurare che qualcosa cambiò nei suoi occhi. Gelosia forse? Non feci in tempo ad indagare oltre che cambiò subito argomento.
- sai cercavo proprio te. -
- ah sì? -
- già, guarda un po’ qua. –
Sfoderò da non saprei dire dove una rivista. La conoscevo. Non ne ero una grande estimatrice, era una di quelle su culti e misteri e cose simili. Non avevo mai prestato attenzione a quelle cose. Ora invece ne prestavo eccome. Tutto merito di Squib. Aveva una cattiva influenza su me.
- ehi Cody ci sei? -
- sì sì scusa, mi ero distratta un attimo. -
- dicevo. Guarda un po’. -
Mi mostrò fiero un articolo riguardante un certo mostro in un certo lago nelle notti di plenilunio.
Continuavo a non capire. Lui venne in mio soccorso.
- sai che lago è questo? -
- no. Non sono della zona. -
- è poco fuori dalla Cascadia. Nemmeno 10 minuti a piedi. E sai che notte è questa? -
Avevo capito dove voleva andare a parare. Brava Cody, anche se in ritardo avevi iniziato a carburare. Mi complimentai con me stessa.
- fammi indovinare: plenilunio? -
- esatto! -
Mi mostrò uno dei suoi magnifici sorrisi.
Dovevo ricordarmi di parlargli di alcune regole fondamentali come ad esempio smetterla di sorridere in mia presenza perché rendeva lui irresistibile ed io completamente in balia delle sue proposte.
- visto che tu sei appassionata di foto sai quanti soldi potresti ricavare vendendone una? -
Non mi presi la briga di spiegargli che i soldi non erano il mio problema.
- ma Squib, non ci sono mostri nei laghi…-
- sì ma sarà buio e tu potresti fotografare qualsiasi cosa spacciandola per quello. Faresti soldi comunque! -
Intelligente il ragazzo.
Non saprei dire se furono i suoi occhi puntati insistentemente su di me, o il mio scarso autocontrollo in sua presenza, fatto sta che cedetti e gli dissi che sarebbe stata una buona idea.
- sapevo che avresti fatto la scelta giusta outsider! -
Mi abbracciò di slancio, poi se ne andò salutandomi.
Me ne rimasi lì imbambolata. Mi aveva abbracciata. Repressi una risata isterica. Mi sembrava troppo presto per dover indossare la camicia di forza.
Evitai di comunicare ad Adena la notizia primo perché per quanto ne sapevo io non c’era nessun doppio fine, punto secondo perché volevo evitare la sua reazione esagerata. Ah, e punto terzo sospettavo che tenesse delle cimici da qualche parte e che me le avrebbe attaccate addosso per il puro gusto di godersi tutta la scena.
Preparai meticolosamente l’attrezzatura per quella sera. Già che c’ero cercai di rendermi un po’ più presentabile del solito.
In ansia per un appuntamento? Chi, io? Ma per favore.
Squib mi aveva spiegato la strada, così mi incamminai poco prima dell’ora prestabilita in modo da non dover essere in ritardo.
Uscii dalla Cascadia stando ben attenta a non farmi scoprire. Anche se in realtà non mi sarebbe dispiaciuto vedere che cosa avrebbe risposto il capo ad un’eventuale telefonata di Bates causa comportamento indisciplinato da parte mia. Sorrisi tra me e me mentre, camminando nel boschetto, spostavo i rami di un albero per agevolare il passaggio.
- bu! -
Balzai di lato. Avevo il fiato corto e il cuore batteva a mille. Mi ero messa in una quasi posizione di difesa che abbandonai subito quando realizzai che era Squib l’autore dello scherzo.
- ma dico sei impazzito? -
Rise.
- non ti facevo così paurosa Cody! -
- no ti sbagli, non sono paurosa. Mi hai solo preso alla sprovvista. -
- certo Cody, come vuoi tu. -
Riprese ad avanzare continuando a ridere.
In fondo come potevo spiegargli che avevo i nervi a mille visto che qualcuno non avrebbe esitato a spuntare da dietro un albero come aveva fatto lui e a trasformare la mia testa in un soprammobile? Anche se in realtà prima speravo che avrebbe dato delle spiegazioni.
Squib continuava a ridacchiare.
- pensi di ridere ancora per tanto? – feci finta di essermi offesa.
Si girò verso di me sorridendo.
- dai Cody non te la prendere! -
Lasciò che lo raggiungessi. Esitò un istante e poi mi mise un braccio intorno alle spalle.
- non ti preoccupare. C’è il tuo Squib qua con te! -
Ecco ora sì che mi preoccupavo. Della mia reazione però.
Camminammo così ancora per un po’. Io abbandonai l’imbarazzo ben presto, in fondo quel suo abbraccio era estremamente confortevole e protettivo.
Poi lui scattò in avanti per spostare gli ultimi rami che intralciavano il passaggio e così ebbi la visuale libera per vedere una piccola spiaggia.
- eccoci arrivati – annunciò.
Mi guardai un po’ in giro. Scattai qualche foto. Mi piaceva. Ok, più che altro mi piaceva l’idea di essere lì con lui.
Dettagli.
Quando si avviò per mettere in acqua una delle barche non mi presi la briga di chiedergli se avesse un permesso per prenderla. Insomma, per una volta tenni la mia boccaccia chiusa.
Salii sulla barca un po’ titubante. Diciamo che io e il nuoto non avevamo mai raggiunto un compromesso. Sperai che la barca fosse molto solida altrimenti Squib mi avrebbe vista anche in versione “sasso in acqua”. Ben poco accattivante.
Accese il motore e guidò la barca in mezzo al lago fino a quando decise che era il punto giusto per fermarsi. Mi guardai intorno. Si vedevano a malapena le sponde e l’acqua era piatta.
- sicuro che sia il punto giusto? – chiesi.
- oh ma certo. Qua è perfetto. -
Sfoderò una canna da pesca e buttò tutto soddisfatto l’amo.
Cominciai ad intravvedere il suo piano malefico. Mi aveva incastrata.
- mostro del lago eh? -
Sorrise.
- oh andiamo Cody. Per ammazzare il tempo. -
- come no Squib. Era il tuo piano fin dall’inizio vero? -
- sei perspicace Myers. -
Era per questo che il mio capo mi pagava un sacco di soldi.
Certo, se magari l’avessi capito prima sarebbe stato anche meglio.
Mi rassegnai ben presto all’idea di farlo desistere dalla sua battuta di pesca. Calò il silenzio, però non fu uno di quelli spiacevoli. Semplicemente trovavamo confortevole stare insieme anche senza parlare.
Venne buio prima del previsto e nel mentre Squib non aveva ancora pescato niente.
- non credi che dovresti rinunciare? -
- non pensare male. Non è sempre così, è oggi che è una giornata storta. –cercò di scusarsi.
- certo, colpa del plenilunio vero? -
- può darsi. -
Lo guardai sorridendo. Aveva messo su il finto broncio. Era bellissimo.
No ok. Stop. Non potevo far prevalere quei pensieri. Non su una barca in mezzo al nulla da sola con lui. No.
- Cody tutto bene? -
- uh sì certo non ti preoccupare. -
Mise a posto la canna da pesca.
- direi che è ora di tornare alla Cascadia. Prima che arrivi l’ora del coprifuoco. -
- sì, questa mi sembra una buona idea. -
Lasciai correre l’allusione al fatto che forse quella di metterci su una barca invece era stata una pessima idea.
Squib si alzò e cominciò a smanettare con il motore che però non accennava a partire. Dopo vari tentativi si girò verso di me.
- non parte. – fu quasi un sussurro.
Rimasi senza parole.
- quando siamo partiti hai controllato il livello della benzina? -
Mi guardò come se avesse appena avuto un’illuminazione. Lo presi come un no.
- ed ora che cosa facciamo? – chiesi.
- bè, non ci resta che remare! -
- ah sì? E da che parte? -
Si guardò in giro realizzando che l’oscurità non ci permetteva d’individuare da che parte fosse la riva.
Sospirai.
- immagino che a questo punto ci tocchi aspettare l’alba. -
Lui abbassò lo sguardo.
- mi dispiace. Non l’ho fatto apposta. -
Mi sentii subito in colpa per aver usato un tono duro.
- non ti preoccupare Squib, lo so che non è colpa tua. -
- ma se avessi controllato quello stupido motore adesso non saremmo bloccati qua. -
- un errore può capitare a tutti. Non è colpa tua, anche io avrei potuto controllare ma non l’ho fatto. -
- sì, ma l’idea è stata mia. -
- ed io ti ho detto di sì. La colpa è a metà. -
Alzò finalmente lo sguardo su di me. Mi persi nei suoi bellissimi occhi che mi guardavano con dolcezza per chiedere scusa. Non sapeva che l’avevo già perdonato da tempo.
Restammo fermi in quella posizione per un tempo indefinito fino a quando io non abbassai lo sguardo arrossendo.
Sentii il tocco leggero della sua mano sulla mia guancia. Si spostò sotto il mento e con una lieve pressione mi obbligò ad alzare nuovamente lo sguardo su di lui.
Ancora non lo guardavo negli occhi. Così portò il suo viso all’altezza dei miei occhi. Poi lentamente si avvicinò.
Mi baciò dolcemente. Ero così sorpresa che non riuscii nemmeno a chiudere gli occhi. Si allontanò continuando a guardarmi.
Ci fissammo a lungo. Poi fu la mia volta di avvicinarmi. Lo baciai anche io. Dolcemente.
Aveva le labbra più morbide che avessi mai baciato. Assaporai lentamente quel momento e quelle sensazioni.
Fu incredibile. Sembrava che prima di lui nulla avesse mai avuto senso, che nessuno fosse mai stato realmente importante.
L’alba arrivò che noi eravamo ancora abbracciati ed intenti a scambiarci carezze.
Alzai lo sguardo su di lui e con voce un po’ roca chiesi –
questo vuol dire che non siamo più solo amici? -
In realtà avevo paura della risposta. Avevo paura che quel gesto fosse dovuto solo al momento che si era venuto a creare.

Ma lui mi guardò con dolcezza e sorridendo rispose - già - Lo baciai.

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