Notte di Luna

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi scorri nelle Vene ***
Capitolo 2: *** Malinconia è il mio Nome ***
Capitolo 3: *** Così Bella ***
Capitolo 4: *** Il mondo non li Cambierà ***
Capitolo 5: *** Profumo di Famiglia ***
Capitolo 6: *** Non giocare con il Fuoco ***
Capitolo 7: *** Anche la Luna ha bisogno di Riposare ***
Capitolo 8: *** Solo brutti Pensieri ***
Capitolo 9: *** Conosci il suo Segreto ***
Capitolo 10: *** La luna non è mai Stanca ***
Capitolo 11: *** Ti insegno la vita ***
Capitolo 12: *** Ofelia ***
Capitolo 13: *** Profumo di Pioggia ***
Capitolo 14: *** Sogni ***
Capitolo 15: *** Un'Attimo perso nel Tempo ***
Capitolo 16: *** Sei ancora qui nel mio Cuore ***
Capitolo 17: *** Riportala Qui ***
Capitolo 18: *** Raggio di Malinconia ***
Capitolo 19: *** La mia vendetta è solo per Te ***
Capitolo 20: *** Ancora Silenzio ***
Capitolo 21: *** Non sei mia Sorella ***
Capitolo 22: *** Lividi ***
Capitolo 23: *** Paura ***
Capitolo 24: *** Lasciami Andare ***
Capitolo 25: *** Finzione ***
Capitolo 26: *** Gelo ***
Capitolo 27: *** Trova conforto in Loro ***
Capitolo 28: *** Profumo ***
Capitolo 29: *** Tempo ***
Capitolo 30: *** Legame ***
Capitolo 31: *** Cambiamenti ***
Capitolo 32: *** Posso chiamarti Papà? ***
Capitolo 33: *** La storia di una Regina ***
Capitolo 34: *** Il tempo Scorre ***
Capitolo 35: *** Lei è Vita ***
Capitolo 36: *** Paura ***
Capitolo 37: *** Perle Nere ***
Capitolo 38: *** Cambiamenti ***
Capitolo 39: *** Incubo ***
Capitolo 40: *** Sospiri di tenera Follia ***
Capitolo 41: *** L'amore Uccide ***
Capitolo 42: *** Per qualche secondo come Prima ***
Capitolo 43: *** Ammalato d'Amore ***
Capitolo 44: *** Studio l'Amore ***



Capitolo 1
*** Mi scorri nelle Vene ***


                                                 Mi scorri nelle Vene




Amore, cos'era l'amore? Una rosa decapitata, un foglio bianco coperto di linee scure, amore è una parola, qualcosa a cui aggrapparsi nelle lunghe sere d'inverno.
Amore è una donna con la pelle di luna, il suo corpo aggrappato a lui, le sue gambe strette con forza attorno ai fiachi, il sapore della sua pelle.
Era lei amore, era quel tremito violento che gli percorreva lo stomaco salendo fino al cervello, una scarica di elettricità pura che bloccava il cuore impedendo ai polmoni di respirare.
Era questo amore e gli piaceva da morire.
La strinse più forte tra le braccia posando la fronte sulla sua, le labbra così vicine da potersi sfiorare mentre il ritmo violento di quella passione toglieva loro il respiro.
Si costringeva a restare calmo, a respirare perché vederla perdere il controllo era la cosa più bella del mondo ma sentiva le sue unghie sulla schiena, la pelle fresca del suo ventre e il seno schiacciato con forza contro il petto.
Come poteva restare calmo? Come poteva pretendere di respirare ancora? La sentiva sospirare, tremare sotto i colpi violenti del suo corpo e poi il collo reclinato all'indietro e tra le dita i suoi capelli.
Sorrise sfiorandole il viso con le labbra, così bella, così eterea e lontana dal resto del mondo. La pelle di luna, pallida, così chiara da brillare sotto quei raggi delicati illuminando perfino le nere lenzuola del letto e poi i capelli scuri come l'ebano e i suoi occhi, Dio cosa avrebbe fatto per quegli occhi.
Era perso in lei, così maledettamente innamorato di lei da non vedere il resto del mondo. Amava il suo sorriso, i suoi sospiri, amava la vena di malinconia che colorava la sua voce, la sua passione per l'oscurità e la morte e quel tocco delicato di femminilità che metteva in ogni cosa.
Lei trasformava ogni giorno della sua vita rendendolo diverso, un posto migliore, dove il buio e la malinconia potevano vivere una accanto all'altra senza timore della luce.
Un altro sospiro, l'ennesimo di quella notte lunga e piena di silenzio, l'ennesimo che quella luna tentatrice custodiva al sicuro lassù nell'oscurità.


 

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Capitolo 2
*** Malinconia è il mio Nome ***


                                  Malinconia è il mio Nome



Rumore di piatti rotti, urla, vetri in frantumi. Sorrise stringendo più forte a sé il corpo di sua moglie. Era così incantato da quei lineamenti da non accorgersi che aveva aperto gli occhi “Ho idea che faremo colazione più tardi” “Le è scappata di nuovo la cena?” sorrise seguendo la linea delicata della schiena fino al collo “Sei infelice?” “Smettila di chiedermelo, sai che è così” “Voglio solo che tu abbia tutto quello che meriti” “Ho già tutto Gomez, un marito che mi ama, una bella casa, dei bambini” “Mercoledì non ha dormito molto bene ieri sera, continuava a chidermi il permesso per usare l'ascia di Fester” “Credi abbia la febbre?” domandò preoccupata ma lui sorrise “È solo una fase, prima o poi smetterà di chiedere il permesso di fare le cose” la tirò di nuovo sul materasso nascondendola tra le braccia ma la porta si aprì di colpo e Fester entrò con Mercoledì per mano “Fratello!” “Gomez, credo che stia male” “Chiedi di nuovo il permesso?” “No padre, chiedo vendetta” si voltò orgoglioso verso sua moglie sorridendo “Hai visto cara, è perfettamente guarita” Fester scoppiò a ridere dandogli una pacca sulla spalla “Vieni con noi? Andiamo a dissotterrare zio Abner” “Vai, non vorrei mai privarti di un piacere così grande” “Sei sicura?” annuì appena mentre le labbra dell'uomo si posavano sulla pelle delicata del polso “Sei bellissima lo sai vero?” un leggerissimo sorriso prima di avere l'aria fresca a sfiorarle la pelle.
Si alzò lentamente perdendosi qualche secondo sulla forma delle cupe nubi fuori dalla finestra. Amava la pioggia, aveva sempre amato la pioggia, in qualche modo era uguale a lei, al suo animo, alla sua voglia di scoprire quanto dolce potesse essere l'abbraccio delle tenebre.
Il tessuto leggero del vestito si posò sulla sua pelle, allacciò un bottone, un altro ancora appena sopra il seno, gli occhi concentrati sullo specchio di fronte a sé, sull'immagine pallida e eterea che rimandava ai suoi occhi.
Una donna bella, bella e sfiorata da un alone di malinconia che rendeva i suoi occhi magnetici, in qualche modo perfino più belli di ogni altro paio di occhi fino ad ora incrociati.
Forse era di questo che si era innamorato Gomez, forse era l'alone di magia che circondava la sua persona, forse era colpa del suo modo di camminare, del colore prezioso della sua pelle.
Un leggerissimo sorriso le sfiorò il volto, qualcosa di leggero e appena percettibile eppure c'era, era lì, sulle sue labbra, nei suoi occhi, in quel piccolo segreto che i “normali” chiamavano dolcezza.





 

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Capitolo 3
*** Così Bella ***


                                        Così Bella





“Credo sia ora di mandare i bambini a scuola, non credi?” “Ma cara, sono ancora così piccoli” lo sguardo si posò amorevole su Pugsley, reggeva nella mano destra il coltello di nonno Addams e con la sinistra sua sorella “Guardali, sono ancora così innocenti e puri” la lama passò a pochi centimetri dal suo viso scatenando in lui un sorriso enorme “E poi, a scuola? Oh andiamo, in un posto dove l'aria fresca e la luce del sole possono infastidire i loro giovani occhi” Mercoledì raggiunse sua madre posando una mano sulla sua “Vuoi iniziare la scuola piccola mia?” “Potrà insegnarmi come uccidere un uomo senza lasciare tracce?” “Per quello c'è tuo zio” mormorò Gomez sospirando “Però potrà insegnarti tante altre cose” “E cosa?” “Come evitare di finire a sorridere al primo stupido che ti parla” “Gomez, forse dovresti …” “Cosa?” esclamò spazientito passeggiando per il salotto “Dovrei fingere che il mondo là fuori mi piaccia? Non è così. Sono tutti pazzi, esagitati, con il delirio dell'onnipotenza e la voglia di essere angeli” “Lo so caro” “Non capisco perché di colpo dobbiamo condannarli a qualcosa che …” “Bambini volete andare a giocare in camera vostra?” i piccoli annuirono appena uscendo dal grande salone.
Il rumore della porta ruppe il silenzio chiudendoli in quel piccolo attimo di pace “Non voglio condannarli ad essere normali” “Non li condannerai” sussurrò sfiorando il viso dell'uomo “Sanno cavarsela bene amore mio, sono forti” “Sono i miei bambini” chiuse qualche secondo gli occhi perdendosi nel tocco delicato di sua moglie.
Una carezza leggera che sapeva di amore, una carezza fresca e così piena di calma da costringere l'animo inquieto a rallentare “Mercoledì è capace di tenere testa al mondo, è forte e determinata, Pugsley riesce a far esplodere ogni cosa, riuscirà anche a difendersi da solo” “Non voglio che il mondo là fuori li rovini” le sfiorò le labbra con le dita seguendone i contorni, il viso, il collo, il seno.
Sotto le dita la sua pelle, il movimento leggero del petto, un fremito delicato che accendeva la passione “Come ci riesci?” sussurrò a pochi centimetri dal suo collo “Come riesci ad essere così bella?” la sentì sospirare, un sorriso delicato, leggero, le mani posate sul suo petto e gli occhi fusi nei suoi “Ricordi la prima volta che ci siamo visti?” “Come potrei dimenticarla? Eri così bella, così lontana ed eterea. Credevo di sognare sai? Credevo di avere davanti una di quelle meravigliose donne che danzavano libere nelle notti di luna piena” le sfiorò il collo con le labbra sorridendo “Eri così bella amore mio” “Non riuscivo a smettere di guardarti. I tuoi occhi, il tuo sorriso, le tue labbra” un altro bacio leggero su quella pelle di seta, un altro sospiro, la strinse per i fianchi inchiodandola al muro.
Immobile, ancorata a lui, al suo corpo. Inarcò leggermete la schiena, il ventre si schiacciò contro il suo costringendolo a sospirare “Ti amo così tanto” sussurrò baciandola.
Amava da morire il suo collo, il sapore delicato di quella pelle che si donava a lui, ne seguì le linee delicate con le labbra fino alla spalla.
C'era ancora troppo tessuto tra loro, così tanto da sembrare un muro insormontabile, tirò lentamente i lacci del corpetto sorridendo ogni volta che la sentiva tremare sotto il suo tocco perché era di quello che aveva bisogno, di sentirla tremare, di sentirla sospirare, di vedere quel corpo completamente nudo.
Tirò violentemente il vestito strappandolo mentre quelle labbra di fuoco si piegavano in un dolcissimo sorriso, era bella, troppo bella per lui, troppo bella per il suo mondo.
La sollevò da terra senza smettere di baciarla, la mano si strinse violentemente sulla sua schiena mentre quelle gambe perfette lo legavano a lei.
Arrivare in camera da letto? Che sforzo immane da chiedere ad un uomo innamorato, soprattutto a lui, soprattutto con quella meraviglia aggrappata a sé.
Poco importava il posto, poco importava se qualcuno li avrebbe visti, aveva bisogno di lei, aveva bisogno di averla, di perdersi in lei perché lei era la sua droga.


 

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Capitolo 4
*** Il mondo non li Cambierà ***


                                                  Il Mondo non li Cambierà 





La luce pallida della luna entrava leggera dalle pesanti tende illuminando quel visino addormentato così simile a quello di sua madre da farlo impazzire.
Era la sua bambina, la sua piccola e indifesa bambina, non conosceva il male di quel mondo strano e luminoso, non era in grado di difendersi dai sorrisi, dagli abbracci.
Le sfiorò la testolina sorridendo “Sempre così vorrei che restassi” sussurrò “Così piccola” con quelle treccine nere come l'ebano, con quelle piccole labbra sempre un po' imbronciate.
Sapeva che Morticia aveva ragione, probabilmente Mercoledì se la sarebbe cavata alla grande ma c'era qualcosa dentro di lui che lo costringeva a restare lì, seduto sul letto accanto a lei a vegliarla, a costringere anima e cuore ad un unico e solo pensiero: tienila al sicuro.
Oh certo, anche Pugsley aveva bisogno di protezione ma lui era un uomo, era diverso, Mercoledì era la sua bambina, un piccolo corpicino affamato di scoperta e di conoscenza, lei aveva qualcosa in più del fratello. Un istinto diverso, una malinconia diversa che spesso sfociava nell'oscurità.
A volte era troppo seria e concentrata, altre così avvinghiata alle arti oscure da farlo sorridere perché ne era così orgoglioso da ripeterlo almeno venti volte al giorno.
Non voleva che il mondo là fuori la cambiasse perché era perfetta così.
Le sfiorò una manina sospirando, in lei rivedeva così tanto sua moglie che l'idea di poterla perdere lo massacrava nell'anima perché mai e poi mai, nemmeno nei suoi incubi più remoti, vi era la possibilità di perdere sua moglie “Dormi piccola mia, domani è un giorno importante” le labbra si posarono dolcemente sulla fronte della bambina mentre un tenero profumo d'orgoglio li abbracciava entrambi.




“Perché non sono ancora qui?” “Sono solo poche ore Gomez” “Non è una scusa” “Perché non vai con Fester a sistemare i vostri affari?” “Si fratello!” esclamò l'altro alzandosi “Andiamo al forziere ti va?” “E perdermi così il loro ritorno?” “Troveranno la loro mamma, credi sia tanto brutto?” sfiorò la mano della donna stringendola dolcemente “Credo che tu sia la cosa più bella di questo mondo amore mio” “Allora fidati di me Gomez, vai con tuo fratello, distrai la mente e quando tornerai qui troverai i tuoi figli” un bacio leggero su quel polso di seta poi le mani di Fester a tirarlo fuori da quell'immenso salone.
Era preoccupato, lo conosceva bene e sapeva quanto poteva soffrire lontano dai bambini. Distrarlo era l'unico modo per evitargli un esaurimento nervoso e ora come ora, voleva solo cinque minuti di solitudine.
Il rumore del portone, passi lenti e regolari lungo il corridoio poi i suoi piccoli immobili sulla soglia della porta “Allora?” mormorò posando il libro “Com'è andato il primo giorno di scuola” Mercoledì sospirò avvicinandosi a lei “Perché ci hai mandato lì?” “Ci hanno fatto leggere questo” esclamò irritato Pugsley posandole in grembo un libro dalla copertina porpora.
Sul fronte riportava parole in oro “I più grandi cacciatori di Draghi” “Ci hai sempre detto che i draghi sono buoni, che usano l'uomo solo per nutrirsi e giocare con le sue ossa” “Mamma perché ci hai mandato lì!” sfiorò al testa si sua figlia sorridendo “Il mondo là fuori ha bisogno di tempo per capire Mercoledì. Fino a quando non ci riuscirà dobbiamo adeguarci a loro” “Quel posto è spaventoso” mormorò Pugsley sedendosi sul pavimento di fronte a lei “Tutto è colorato e pieno di cose appese ai muri. Ci sono libri di favole, musiche e un'enorme lavagna con gessi colorati” “Non ci vuoi più bene mamma?” prese in braccio la bambina sistemandole una treccina “Certo che vi voglio bene, ricordate gli insegnamenti di vostro padre?” “Quelli sulla dinamite?” “Quelli sulla vita piccoli miei” gli occhi di Mercoledì si fecero più profondi, concentrata sul viso di sua madre a malapena respirava “Voi siete speciali bambini miei. Nessuno alla vostra età è in grado di evocare uno spirito o di scoperchiare una tomba parlando con il proprietario. Siete infinitamente più avanti rispetto al resto del mondo. La nostra famiglia è diversa, diversa in meglio bambini miei, siatene fieri, sempre” “Ma loro ci raccontano …” “Lo so Pugsley. Assecondateli, fingete di essere come loro e prima o poi riuscirete a farli diventare come voi. Quello che imparate ogni giorno nella nostra famiglia non può essere insegnato, è un dono. Fatene buon uso” “Penso che potrebbe essere giusto” esclamò il ragazzino alzandosi “Siamo Addams” la porta si aprì di colpo e Gomez entrò a gradi passi nella sala “Eccoli qui i miei piccoli demonietti. Allora, com'è andato il primo giorno di scuola?” Mercoledì nascose il libro sotto la giacchetta scendendo dalle gambe della madre “Quel posto è orribile papà. Sembra un asilo d'infanzia” “Ti hanno sorriso?” Pugsley annuì appena scatenando in lui un sospiro carico di disappunto “D'accordo ora fuori di qui. Andate a giocare, il tempo della scuola è finito” uscirono di corsa dalla stanza lasciandoli soli nel silenzio “Ti avevo detto che sarebbero stati bene” “Ti avevo detto che la scuola è sbagliata” “Gomez …” raccolse da terra il giocattolo di Mercoledì avvicinandosi a lui “ … in questo momento è la cosa migliore per loro. Ci è stato chiesto di adeguarci e lo faremo ma ricorda il motto della tua famiglia” le cinse la vita con un braccio sfiorandole le labbra, un bacio leggerissimo e pieno di tenerezza “Andiamo?” annuì appena chiudendo la mano attorno alla sua “E se credi di essere riuscita a nascondermi quel libro cara mia, beh, sappi che non è così” “Lo so” un leggerissimo sorriso prima di uscire da lì, mano nella mano, cuore nel cuore.


 

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Capitolo 5
*** Profumo di Famiglia ***


                                           Profumo di Famiglia





“Non hai mangiato molto a colazione” “Non hai fumato il tuo sigaro dopo colazione” la tirò leggermente più su inchiodandola a sé.
Immobile, sdraiata su di lui con le braccia incrociate sul suo petto e il viso dolcemente posato lì sopra “Non ho fumato il mio sigaro perché ho passato il tempo a tentare di capire perché non mangiavi” “Sono infelice amore mio” le sfiorò la schiena nuda sorridendo “Sono infelice e contenta, smettila di farti domande” “Mercoledì mi ha raccontato di quel libro” “Lo so” la fissò qualche secondo negli occhi tentando di capire se davvero ne era a conoscenza o se quel sorriso intrigante, era solo un modo per prenderlo in giro “Non mi piace che si racconti loro che i draghi meritano di morire” “Nemmeno a me ma è solo un libro di lettura. Lo sanno che la realtà è diversa” “Non mi piace comunque” “Non ti piace nemmeno il sole” le sorrise stringendola dolcemente “Non mi piace nemmeno l'allegria dei bambini là fuori o l'alba fresca, non mi piace l'odore dei pini e restare lontano da te per troppo tempo” “Dovremo alzarci Gomez, tra poco i bambini inizieranno a far esplodere cose, avranno fame” “Possono resistere da soli per un po'. C'è mamma con loro” “La legheranno come un salame e la chiuderanno nel calderone in cucina” “Saprà cavarsela” “Oh andiamo” ma le mani dell'uomo la tirarono dolcemente in avanti costringendola a restare lì, con gli occhi persi nei suoi, sguardi delicati che si riempivano di lei.
Sarebbe rimasto così per sempre, così innamorato, così solo ma aveano due figli e le esplosioni violente che venivano dal piano di sotto lo avrebbero costretto a mandare all'aria quel pomeriggio di pace.
Ci mise cinque minuti a rivestirsi, o perlomeno, ad infilare qualcosa di consono all'ora del giorno.
Scese velocemente le scale maledicendo quella vivacità troppo marcata presente nei loro bambini perché aveva lasciato tra le lenzuola una donna nuda.
La cucina era un completo disastro, Lerch si muoveva goffamente avanti e indietro cercando di non inciampare sulle corde tese e mamma era legata mani e piedi ad una sedia.
“Allora?” esclamò deciso bloccando Mercoledì “Che state combinando?” “Giochiamo” “Stavo baciando tua madre, la stavo baciando e ho sentito questo casino infernale, l'inferno è meraviglioso bambina mia, soffocante e pieno di dolore ma a tutto questo preferisco tua madre quindi, che diavolo state combinando?” seguì con lo sguardo la corsa scombinata di Pugsley mentre la vecchia donna ridacchiava divertita “Oh andiamo Gomez, stiamo solo giocando un po', che male può fare?” “Perché non hanno ancora mangiato?” “Bambini” si voltò leggermente di lato incontrando lo sguardo di sua moglie.
Aveva indossato una vestaglia di pizzo nero che si posava dolcemente sul suo corpo, il chiarore della pelle filtrava tra i ricami scuri rendendola più luminosa che mai.
Coperta da quel sottile strato di seta sembrava uno spirito ultraterreno, qualcosa di incorporeo che camminava lentamente verso di lui. Le labbra dolcemente schiuse, gli occhi che sfioravano i bambini, quel vedo non vedo così prezioso da farlo impazzire “Slegate la nonna” “Ma mamma” “Niente ma, non è l'ora di legare le persone. Dovete mangiare, giocherete con ghigliottine e picconi più tardi” “Ma più tardi non è ora” “Ora non è più tardi bambina mia. Raccogliete i coltelli e slegate la nonna” le era bastato una parola, uno sguardo, le era bastato entrare in quella stanza per bloccare di colpo urla ed esplosioni.
“Lerch, puoi servire la cena?” il maggiordomo inclinò leggermente la testa verso di lei indaffarandosi nei suoi lavori mentre i bambini raccoglievano velocemente ogni loro giocattolo “Gomez, Tally ha spedito questa” sussurrò avvicinandosi al marito “Mano l'ha portata da me” “Una busta chiusa, non è mai segno di buone notizie” “Se non la apri come fai a saperlo? Ti sono vicina con il cuore amore mio, se sono buone notizie le affronteremo di conseguenza” “Tu sei sempre troppo buona con me lo sai?” le fece l'occhiolino concentrandosi sulla lettera “Mamma posso folgorare Pugsley dopo?” “Mamma voglio” sussurrò posandole davanti un piatto “Potrai giocare con tuo fratello come vuoi più tardi. Dov'è Fester?” la vecchia donna sorrise indicando una finestra “Ancora?” “Lo sai che è il suo passatempo preferito. Era molto legato a zio Abner” sorrise sedendosi di fronte ai figli.
Gomez passeggiava tranquillo per la cucina sorridendo di tanto in tanto mentre Lerch seviva la cena “Brutte notizie caro?” “Splendide notizie! Siamo invitati ad un funerale” i bambini esultarono sollevando leggermente le posate “Possiamo portare anche …” “Certo che potete piccoli miei” “Davvero papà?” prese in braccio Mercoledì sistemandole una treccina “Come posso negarti le cose tesoro mio?” la bambina sorrise abbracciando il padre mentre quelle labbra imbronciate si piegavano in un leggerissimo sorriso “Ora mangia, avrai tempo di pianificare le cose” la rimise sulla sedia sorridendo mentre gli occhi di sua moglie si piantavano nei suoi.
Uno sguardo che conosceva bene, uno sguardo che amava da morire.

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Capitolo 6
*** Non giocare con il Fuoco ***


                                             Non giocare con il Fuoco




“Oh Morticia, devo farti i miei complimenti lo sai? Mercoledì è proprio un amore” “Grazie Margaret” “Dico davvero, è così pallida, così fredda” sorrise appena sfiorando con lo sguardo la sua bambina “Sta attraversando un periodo un po' difficile” “Davvero?” “Chiede il permesso” il viso della donna si piegò in una smorfia a metà tra la paura e il disgusto “Ma … ma vedrai che le passerà, tutti i bambini passano quella fase. Lei è ancora così piccola, vedrai che tutto si risolverà” “Lo so” “Margaret, sono finiti i pasticcini” “Oh …” prese per mano l'uomo sorridendo “ … Leandro ti presento Morticia” “Cosa ci fa una creatura tanto divina qui?” sfiorò con le labbra la sua mano sorridendo.
Era questo l'effetto che aveva sugli uomini, giocava con loro, li spingeva alla pazzia, li tormentava nell'anima fino a quando ne aveva voglia per poi lasciarli soli e abbandonati a sé stessi.
Amava da morire prendersi gioco di loro, delle loro stupide passioni, di quell'aria imbambolata che avevano ogni volta che gli occhi sfioravano i suoi “Morticia, lo sai che hai un nome meraviglioso?” “Ledoro” sussurrò “Sei il figlio di …” “Del cadavere? Esatto” esclamò allegro “Mio padre è quello nella bara” “Un gran bell'uomo” Margaret annuì appena “Scusatemi, ho un ospite da intrattenere” li lasciò soli camminando lentamente verso l'entrata.
“Allora …” sussurrò l'uomo sfiorandole una spalla “ … cosa ti porta da queste parti?” “L'amore” “Sei tu amore sei sempre stata amore. Sei così bella” strinse la mano attorno alla sua portandola alle labbra, la vide sorridere, inclinare leggermente la testa in avanti quasi come se quella fosse la cosa più naturale del mondo “Ti va di scappare da qui con me?” “Ho idea che fuggire sia la cosa più complicata del mondo” "Che c'è? Mi tratti da estraneo? Ricordi il nostro passato?" "Non abbiamo un passato assieme Leandro, non abbiamo niente e non scapperemo di qui" “Davvero?” sussurrò sollevando lo sguardo “Davvero amico mio” tremò leggermente lasciando andare la sua mano “Bravo, ora che ne dici di indietreggiare qualche altro passo?” mormorò allegro Gomez cingendo i fianchi della moglie con un braccio “Ti lascio sola cinque minuti e tu illudi i bambini” “Non è per questo che mi ami? Perché gioco con il fuoco?” scosse leggermente la testa sorridendo “Leandro vero?” “Tu chi …” “Gomez, Gomez Addams, il cugino di tuo padre e questa …” la tirò leggermente in avanti senza staccare gli occhi dal viso dell'uomo “ … è la mia bellissima moglie” “Sei perfida” la donna sorrise annuendo leggermente “Sei perfida e intrigante, mi piaci lo sai?” “Ma guarda un po', piace anche a me” esclamò portandosi il sigaro alle labbra “E non mi piace solo ai funerali, mi piace al mattino, al pomeriggio, mi piace averla intorno ad ogni ora del giorno” “Gomez, cosa abbiamo detto sul mangiare i bambini?” “Ma cara …” “Allora?” “D'accordo” “Mamma, vieni a vedere il morto con me?” abbassarono leggermente lo sguardo incontrando gli occhi di Mercoledì “Non sei stanca di guardarlo?” “Quell'espressione non l'ho mai vista” “Va bene tesoro mio, ma promettimi che dopo andrai a giocare con tuo fratello nel cimitero qui fuori” “Te lo prometto mamma” sfiorò la testolina della figlia sorridendo e prendendola per mano la figlia si congedò amabilmente da loro.
“Gomez, hai davvero una moglie bellissima” “Di solito non ho bisogno di ripeterlo a voce alta, non serve mai ma questa volta lo faccio” si voltò verso l'uomo sorridendo “Se le tue mani si posano ancora su qualsiasi parte di lei le taglio dal resto del tuo inutile corpo” “La cosa è intrigante” “Davvero?” “Era lei a giocare con me” “Lei gioca sempre con tutti. È sensuale, terribilmente sensuale, hai visto i suoi occhi?” l'altro annuì distratto mentre lo sguardo era perso sulle linee delicate di quel corpo “Amo quegli occhi, ucciderei per quegli occhi. Ucciderei per qualsiasi parte di lei amico mio. Mi sono innamorato esattamente come hai fatto tu. Non so dirti quanto mi renda orgoglioso averla accanto, quanto sia fiero di poter mostrare al mondo la bellezza di mia moglie, la malinconia e la sensualità che racchiude nello sguardo, nei suoi gesti. Lei è la mia vita Leandro, per lei ucciderei, se me lo chiedesse lo farei quindi …” gli diede una pacca sulla spalla ridendo “ … smettila di farti rapire dai suoi occhi e resta a qualche metro da lei” “Non ti prometto niente amico mio” “Non ti prometto che a fine nottata avrai ancora tutte e due le mani” “Questa è una cosa con cui posso convivere” si allontanò da lui lasciandolo solo a contemplare la bellezza di sua moglie.
Era di questo che si era innamorato, della meraviglia che scatenava nelle persone, di quell'amara sferzata di bellezza che affogava la ragione e la strozzava in fondo all'anima costringendo cuore e pensieri a scoppiare dentro.
Forse era colpa sua, forse era troppo debole, troppo innamorato, forse era colpa di Morticia, di quella grazia fatale che emanava il suo corpo.
A volte sembrava una creatura eterea, qualcosa creata apposta dal demonio per torturare l'animo umano.
Così bella e così lontana da farlo impazzire. Si portò il sigaro alle labbra sorridendole, la vide annuire leggermente mentre la mano di Mercoledì si stringeva dolcemente attorno alla sua.




“Giocavi con Leandro?” chiuse gli occhi perdendosi su quel ritmo lento che lo massacrava dentro, sentiva il ferro gelido delle catene avvolte attorno ai polsi mentre quel corpo profumato si muoveva su di lui “Perché giocavi con lui?” “Perché pensi a questo?” si chinò leggermente in avanti, il seno sfiorò il suo petto scatenando un brivido gelido “Perché ora?” sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra “Quel ragazzo è più interessante di me?” sentiva il suo corpo, lo sentiva tremare, scalpitare per liberarsi da quelle catene gelide che lo tenevano inchiodato al letto.
Strinse più forte le gambe attorno ai suoi fianchi rallentando ancora, sorrise mentre la mano del marito le sfiorò la schiena “Non sei mai stata brava a chiudere le catene, sei troppo buona” “Tu credi?” le dita si intrecciarono alle sue inchiodando la mano sul materasso, a pochi centimetri dal suo viso “Forse l'ho fatto apposta?” sorrise sfilando anche l'altra mano, la rovesciò sul letto inchiodandola al materasso.
L'aveva torturato per ore intere, massacrato nell'anima, martoriato e distrutto e ora, ora l'avvrebbe costretta a chiedergli pietà.
Posò la fronte contro la sua mentre quelle spinte violente la costringevano a sospirare “Non giochi più amore mio?” un sorriso malizioso le sfiorò le labbra mentre lo sguardo diventava più profondo, sentì il suo ventre tremare, inarcarsi spingendo il seno contro il suo petto “Tu mi farai impazzire” le sfiorò il collo con le dita scendendo fino al seno, seguiva quella pelle di luna perdendosi nel suo profumo, nei fremiti violenti che salivano dal suo ventre.
Più tentava di mantenere il controllo e più lo perdeva, non riusciva a concentrarsi, non riusciva a pensare perché aveva nella testa solo quella donna.
Non era solo sesso, era qualcosa di frenetico, violento, qualcosa che lo trascinava nell'oblio confuso di un pensiero, legato anima e corpo a lei, alla sua straziante voglia di oscurità.
Un'altra spinta, più forte delle altre, più violenta e dolorosa, la sentì tremare, le gambe strette così forte attorno ai suoi fianchi da fargli male e il suo sospiro, il collo reclinato all'indietro completamente indifeso.
Sfiorò con le labbra quella pelle di seta mordendola, stringendola dolcemente tra i denti fregandonese di quel tremito massacrante.
La strinse più forte a sé sdraiandosi accanto a lei, la fronte posata contro la sua, le labbra schiuse che lentamente sfioravano le sue mentre riprendeva a muoversi, a toglierle il respiro perché averla così, averla solo per lui era la cosa più bella del mondo.

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Capitolo 7
*** Anche la Luna ha bisogno di Riposare ***


                     Anche la Luna ha bisogno di Riposare




“Credi che mamma sia diversa?” Mercoledì annuì appena stringendo più forte i lacci attorno ai polsi del fratello “E in cosa?” “L'hai abbracciata?” Pugsley annuì appena “E non hai sentito niente di diverso?” “È sempre la mamma” “È diversa” “Perché?” la bambina alzò leggermente le spalle mostrandogli due coltelli “Quello con il manico blu” “D'accordo” “Mercoledì? Perché mamma è diversa?” “Perché aspetta un bambino” “E come lo sai?” “Non c'era quella linea sottile prima” Pugsley sorrise “Sarà maschio” “Sarà di troppo” “E papà lo sa?” “Non credo. Forse è una sorpresa, forse glielo dirà ad Halloween” avvicinò il coltello al collo di Pugsley ridacchiando “E poi di solito papà le fa un sacco di regali” “Ma lo fa sempre” “Non più del solito. Allora, ultime parole prima di lasciare questo mondo?” “Bambini?” si voltarono entrambi incontrando gli occhi del padre “Cosa state facendo?” “Giochiamo” “Dov'è la mamma?” domandò sospettosa Mercoledì “Sta riposando. Più tardi studierà un modo per riportare in vita zia Porzia, ci stiamo provando da anni” “Perché?” “Non ricordo dove ho messo la spilla della nonna. Zia era l'unica a saperlo e quindi mi serve la sua presenza” tirò leggermente una sedia fino a loro “Avete finito i vostri compiti?” annuirono appena “E come intendi tagliuzzare tuo fratello?” “Dal collo in giù” “Pessimo bambina mia, così non potrà guardarti negli occhi mentre lo torturi” Pugsley sorrise come se quella fosse la risposta più naturale del mondo “Perché la mamma sta riposando?” “Ultimamente è un po' stanca. Vorrei che la lasciaste riposare in pace per qualche minuto, potete farlo per me?” “Non ha mai dormito di pomeriggio” sorrise soffermandosi qualche secondo su quelle parole.
Mercoledì aveva ragione, non aveva mai riposato, a dire la verità, Morticia era l'esatto opposto del riposo.
Ogni ora del giorno, della notte, ogni dannato minuto poteva avere la certezza di trovare i suoi occhi perché sembrava una creatua della notte “A volte abbiamo bisogno di riposare un po'” “Perché?” “Perché altrimenti come faresti ad avere tanta energia per giocare? Che ne dite se andiamo a fare un bel giro? Vi va?” “Posso finire di giocare con lui?” annuì orgoglioso osservando i suoi bambini, i loro giochi e la loro pura e tenera innocenza.


“Mamma?” si voltò leggermente verso la porta sorridendo “Cosa ci fai sveglia?” “Non riuscivo a dormire” allungò una mano verso di lei, la bambina le corse incontro stringendola.
Le braccina avvolte attorno ai suoi fianchi e la testina posata sul suo ventre “Hai di nuovo sognato un luna park?” ma Mercoledì non rispose, si limitò a sospirare stringendola più forte.
Le sfiorò la testolina staccandola dolcemente da sé “Vuoi dirmi cosa …” “Aspetti un bambino?” sorrise sedendosi assieme a lei sul divano lì accanto “Lo sapevo che eri troppo furba per non accorgertene” “Papà non l'ha fatto” “Papà è un uomo” la piccola socchiuse gli occhi studiando il viso della madre “Perché vuoi un altro bambino?” “Non lo voglio, è capitato amore mio e verrà alla luce proprio come te e Pugsley” “Litigheremo” “Lo so, litigherete e vi lancerete cose, ricordi com'era quando sei nata tu? Cosa combinava tuo fratello?” “Mi ha tagliato tutti i capelli con il rasoio di zio Fester” posò le mani sulle sue spalle sfiorandole il viso “Esatto, ma ti vuole bene. Vorrete bene anche a questo bambino” “E papà?” “Credo che lo farà anche lui” Gomez entrò in camera sospirando “E tu che ci fai fuori dal letto?” “Un sogno” si affrettò ad aggiungere la piccola “Ho sognato un luna park pieno di pupazzi colorati” “Povero amore mio” sussurrò Gomez sfiorandole la fronte con le labbra “Andiamo, ti riaccompagno in camera” prese per mano il padre mentre gli occhi restavano ancorati al viso della madre, un gesto semplice, un dito posato davanti alle labbra e la consapevolezza di custodire un segreto enorme.

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Capitolo 8
*** Solo brutti Pensieri ***


                                                          Solo brutti Pensieri





Non era certo di ricordare né come né perché Leandro fosse lì, era certo che la colpa fosse di sua madre, era solita invitare persone durante i giorni di festa.
Sistemò il colletto della camicia sorridendo all'immagine dello specchio, un uomo alto, elegante, dall'aria sicura resa ancora più intrigante dallo stile spagnolo dell'abito.
“Sei pronto amore mio?” si voltò leggermente di lato incontrando gli occhi di sua moglie. Aveva indossato un vestito blu scuro, così scuro da sembrare nero, lo stesso colore che richiamava i disegni antichi della sua giacca di velluto.
Era bella, bella come una pallida mattina d'inverno, l'abito stretto, così stretto da lasciare poco all'immaginazione e gli occhi resi ancora più intriganti da quel trucco scuro “Di sotto aspettano” “Scenderai così?” “Non ti piace?” sussurrò stringendo la mano tesa verso di lei “Sei troppo sensuale per la gente là sotto” “Almeno avranno qualcosa di cui parlare” “Ehi, offendi la mia famiglia?” “A volte diventano pazzi amore mio, parlano di cose che non esistono in questo mondo e nell'altro” “Non è quello che hai sempre amato?” “Già” sussurrò divertita “Dve'essere la stanchezza, a volte la testa si riempie di pensieri troppo buoni” la tirò leggermente in avanti sfiorandole le labbra con un bacio leggero “Giurami che stai bene” “Ancora?” “No, no tu devi farlo perché se ti succedesse qualcosa io …” “Sto bene, nessuno mi porterà via da te, nessuno si avvicinerà a me facendoti impazzire” posò la fronte contro la sua sospirando “Non hai bisogno di essere geloso amore mio, non devi farlo” “Tu sei …” “Sono tua” un debole sorriso sulle labbra e il cuore pieno di gioia, un sentimento diverso dal solito, qualcosa che poteva lasciare libero di esplodere nell'aria perché finalmente, era riuscito a lasciare mente e anima libere di respirare.


Il grande salone era pieno di persone, persone eleganti, persone che facevano parte della famiglia, persone che ballavano rendendo tutto più allegro con il nero dei loro vestiti, con il bianco dei capelli e il grigio dei diamanti.
Colori pacati che rendevano tutto simile ad un sogno, ogni volta che aprivano le porte di quel salone restava incantato dalla meraviglia che si scatenava.
Vedeva il fuoco nei rossi capelli di sua cugina Mavis e l'oro nel volto di suo zio Abner, argento e bianco si mescolavano ai vestiti, il pizzo e i laccetti di seta scura completavano quei capolavori mistificando ogni cosa e l'alone di mistero che avvolgeva Lavinia mentre danzava leggera con la sua candela era un incanto per gli occhi perché, di certo, nessuno nel mondo “normale” avrebbe mai potuto immaginare qualcosa di tanto bello.
Le candele scure al sicuro tra le braccia dei grandi candelabri illuminavano la sala con la loro flebile luce e tutto sembrava prendere vita di colpo, perfino le sedie e le tende sembravano animate dalla musica dell'orchestra “Così bella eppure così fatale” “Leandro” la mano del giovane si strinse attorno alla sua, le labbra sfiorarono la pelle delicata del dorso mentre gli occhi non si staccavano dai suoi “Devo organizzare una festa per riuscire a vederti” “ Hai organizzato la tua festa nel mio salone” “Poco importa dove sia la festa, quello che importa è che io riesca a vederti” “E a mio marito l'hai detto?” “Lui non è importante” “Tu credi?” sussurrò prendendo da un vassoio un calice fumante “Così, sei qui per me” “Sono qui per portarti va con me” “Non credi di essere qualche anno in ritardo?” “Non credi che fingere l'indifferenza sia effettivamente pericolosa mi renda ancora più deciso?” “Bene bene” mormorò allegro Gomez raggiungendoli “Da quale mondo sei uscito?” “Che piacere rivederti!” esclamò stringendogli la mano “Come stai amico mio” “Bene, ma non sono un tuo amico” “Mmmh …” si voltò verso la donna sorridendo “ … questa cosa mi intriga ancora di più” “Amore mio, che ne dici di andare a controllare Mamma? Credo che il menù diventi un po' troppo complicato” “C'è Lerch per quello” “Davvero?” domandò confuso ma lei sorrise lasciandogli il bicchiere tra le mani “Io e la cugina Porzia abbiamo molto da raccontarci” sussurrò divertita allontanndosi “Giuro che la lego al letto” “Con corde di cuoio?” “Sei impazzito?” buttò lì distratto sorseggiando il suo vino “Mi ammazzerebbe in tre secondi se usassi il cuoio e non il ferro” “Voglio tua moglie” ma Gomez scoppiò a ridere “Non sto scherzando amico mio, voglio tua moglie” “Voglio essere generoso” gli occhi concentrati nei suoi e l'aria fiera e orgogliosa “Voglio darti tre secondi per convincere il cervello a cambiare i pensieri, in caso contrario, ti lascio cinque minuti per dire addio alle persone qui dentro” “Cinque minuti? Troppo poco amico mio” scoppiarono a ridere come se quel dialogo non fosse reale, come se tutto attorno a loro fosse lo stesso di sempre “Hai visto i miei bambini?” “Sono bellissimi Gomez, se Mercoledì continua a crescere così prima o poi diventerà bella come la mamma” “Già” esclamò orgoglioso fissando la bambina “Ha i suoi occhi, il suo modo di camminare, è testarda e ostinata come lei” “Diventerà uguale a lei” “Diventerà soltanto un altro paletto che dovrai osservare. Te l'ho ripetuto milioni di volte amico mio, stai lontano da mia moglie o ti mozzo le mani” “Fester chiede di te” sorrise voltandosi leggermente di lato, sentiva la mano di sua moglie stretta dolcemente attorno alla sua, un freno leggero che lo costringeva a ricacciare indietro ogni emozione “Cos'è successo? È rimasto incastrato da qualche parte?” “Ha solo bisogno di te” “Vieni con me?” la vide sorridere, scuotere leggermente la testa mentre gli occhi si illuminavano di qualcosa di nuovo, qualcosa che non aveva mai visto.
Forse era la novità, la voglia di sfida che quell'uomo venuto dal nulla accendeva in lei.
Fose la colpa era sua, forse non l'amava abbastanza, non come meritava ma infondo, sapeva bene che persona aveva sposato.
Una donna meravigliosa, bella, volubile, così sexy da costringere mente e cuore a fare a botte. Sapeva che amava giocare, sapeva che riusciva a tenere in pugno più cuori alla volta ma sapeva anche che quell'amore, quella meravigliosa luce che custodiva dentro apparteneva solo a lui.
Morticia non era come le altre, non si concedeva mai a nessuno, non apriva mai il proprio cuore, non permetteva alle persone di oltrepassare quella linea impressa a fuoco dentro di lei che la teneva lontano dalla perfidia del mondo normale ma quando amava, quando si legava a un altro cuore diventava vita pura.
Il suo cuore gli apparteneva, la sua anima era sua così come il suo corpo e per quello, per la passione che metteva nel loro amore, per tutte le gioie e i giorni pieni di vita che gli aveva donato, poteva permettersi di pensare a Fester lasciandola sola con Leandro perché era certo che dentro di lei qualcosa la divertiva al punto da costringerla a giocare e non avrebbe mai e poi mai tolto a sua moglie un divertimento tale.
Le sfiorò il viso con le dita seguendone i lineamenti “Ci vediamo tra poco amore mio, cerca di non mangiarlo vivo d'accordo?” gli fece l'occhiolino mentre la mano lasciava andare lentamente la sua “Allora …” mormorò pacata incrociando le braccia sul petto “ … cosa vuoi da me?” “Voglio te” “No, tu vuoi me per arrivare a mio marito” “Uao” esclamò divertito “E questa come …” “Sono piuttosto brava a leggere le persone, possiamo chiamarla dote di natura, forse magia” “Possiamo chiamarla stregoneria?” annuì leggermente mentre le labbra si piegavano in un dolcissimo sorriso “Chiamala come vuoi” “Oh Morticia” sussurrò avvicinandosi a lei “Sei così …” ma si bloccò di colpo indietreggiando di un passo.
Aveva una piccola bambina di sette anni tra loro, appoggiata con la schiena al ventre della madre se ne stava lì ad osservarlo.
Le braccia incrociate sul petto e gli occhi carichi di sicurezza, la stessa che molte volte attraversava il viso di Gomez “E tu … tu da dove …” “Ha importanza?” domandò guardinga “Mercoledì” sussurrò Mortica posando le mani sulle sue spalle “Che ti ha detto papà? Come ci si comporta?” “Lo so madre” l'uomo sorrise inginocchiandosi davanti a lei “Lo sai che sei cresciuta davvero tanto? Eri molto piccola quando ti ho visto io” “E mi stavi già antipatico allora?” un sorriso bello come il sole colorò le labbra di Morticia, il primo vero sorriso che riuscì a oltrepassare quella coltre fredda dietro alla quale si rifugiava “No, mi adoravi” “Strano” rispose la piccola “Perché ora vorrei solo aprirti la gola da parte a parte con il coltello preferito di mio fratello” “Uao, papà ti ha insegnato queste cose delicate e tenere?” “Perché vuoi mia madre?” l'uomo sorrise soffermandosi per qualche secondo sullo sguardo divertito della donna.
Restava immobile ad ascoltare la bambina quasi come se quell'attimo di purezza le donasse serenità “Perché è una donna troppo bella per tuo padre” “E tu sei troppo banale per lei” “Davvero?” “Manchi di interesse, non sei elegante e non riesci a tirare di scherma. Hai una sconfinata voglia di oltrepassare i limiti ma hai paura di quello che potrà accadere, ecco perché vuoi mia madre, perché lei sarebbe la donna perfetta per te. È bella, molto bella e conosce l'oscurità, non la spaventa, esattamente l'opposto di te” “Uao, e i tuoi genitori hanno anche bambini normali?” “I suoi genitori sono molto fieri di lei” esclamò piantando gli occhi sul viso “Sei venuto qui per offendere la mia famiglia? È questo?” “Ma che …” “Sai perché sono brava a leggere le persone?” strinse più forte le mani attorno alle spalle della figlia sospirando “Perché quelli come te sono semplici da tradurre. Vuoi me per arrivare a mio marito, vuoi il denaro di mio marito, vuoi arrivarci seppellendolo sotto qualcosa che lui considera un incubo e quell'incubo è trascinarmi via da lui, lasciarlo solo senza di me, senza i suoi bambini. Vuoi torturarlo in questo modo e lo rispetto ma hai tralasciato una parte essenziale …” si avvicinò a lui di un passo mentre la manina della piccola si strinse attorno alla sua “ … il mio cuore, la mia anima, il mio corpo appartiengono a Gomez e non intendo in nessun modo darti il piacere di vederlo soffrire” “Tu credi?” Mercoledì strinse più forte la mano attorno alla sua tirandola leggermente di lato “Ringrazia mia figlia Leandro, ringraziala dal profondo del tuo cuore” una luce violenta attraversò gli occhi della donna lasciandolo senza fiato.

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Capitolo 9
*** Conosci il suo Segreto ***


                                               Conosci il suo Segreto 





“Papà?” alzò gli occhi dal libro sorridendo “Ciao raggio di malinconia, cosa succede?” la bambina sbuffò leggermente sedendosi sulla poltroncina dall'altro lato della scrivania “Pugsley ti ha di nuovo spaventata con il coniglietto di Pasqua?” ma la vide scuotere leggermente la testa sospirando “Mercoledì? Vuoi dire a tuo padre cosa …” “Leandro” “Leandro?” “Non mi piace” “Nemmeno a me” “E allora perché gli permetti di giocare con la mamma?” sorrise appoggiandosi allo schienale della poltrona “Perché è tua madre che gioca con lui amore mio, non ho intenzione di privarla di un pupazzo tanto divertente” “Vuole la mamma” “Lo so” tornò a concentrarsi sulle pagine candide del libro “Ma non preoccuparti, la mamma non andrà da nessuna parte” “L'hai abbracciata?” domandò incuriosita alzandosi in piedi “Certo che l'ho abbracciata, se ben ricordo oggi l'ho fatto ottantacinque volte ma non è mai troppo perché lei è così …” “E non hai sentito niente di strano?” “Eccoci” esclamò divertito puntando il libro verso di lei “Tu sai cosa nasconde tua madre” “Tu no?” “Lo saprò dopo che sarai uscita dal mio studio piccola” “No” “No? Oh andiamo!” “Domani è halloween” “Lo saprò domani?” “Lo saprai quando mamma vorrà dirtelo” “E quando …” “Non lo so” sussurrò alzando leggermente le spalle, un bel sorriso colorò quel faccino sempre imbronciato lasciandolo lì come un'ebete a sorridere al silenzio.





“Allora?” “Cosa?” domandò distratta allacciando l'abito sul seno “Oggi è Halloween” “Come ogni anno arriva questo giorno amore mio” “Esatto, ma gli altri anni non avevi niente da nascondermi” “Questo sì?” domandò divertita “Cosa mi nascondi?” strinse la mano attorno alla sua sorridendo mentre scendevano assieme sul seno, sul ventre restando inchiodate lì, gli occhi fusi nei suoi e un leggerissimo sorriso a farlo impazzire “Sei … stai …” “Sorridendo perché non sei mai così sconvolto amore mio” “Avremo un bambino?” annuì leggermente costringendolo a respirare di colpo “Avremo un bambino” “Oddio” la strinse più forte inginocchiandosi davanti a lei “Sei qui dentro?” sussurrò posando le labbra sul suo ventre, le mani strette attorno ai suoi fianchi così forte da farle male ma che altro importava? Dentro di lei batteva un altro cuore, una nuova vita, qualcosa che avevano creato assieme, che sarebbe stato per sempre il frutto del loro amore “Oh piccolo mio, papà è tanto orgoglioso di te lo sai?” “Sì, sì direi che ne è a conoscenza” “Perché hai aspettato così tanto a dirmelo?” “Otto giorni?” “Sono un eternità amore mio” sussurrò rialzandosi “Ti senti bene? Hai qualche nausea strana? Voglia di …” “Ehi, non iniziare a comportarti da pazzo, l'hai fatto con Mercoledì ricordi?” “Sì” esclamò orgoglioso “Ma l'ho fatto perché era la mia bambina” “Nemmeno lo sapevi tesoro, hai scoperto che era femmina quando è nata” “Lo sentivo” sorrise divertita infilando un anello “Che ne dici? Come sto?” “Sei un angelo del male amore mio” sussurrò baciandola “Sei così …” “Ok, basta così, dobbiamo andare” “Dove?” mormorò confuso sfiorandole il collo con le labbra “La cena di Leandro” sbuffò alzando gli occhi al cielo “Coraggio, hai accettato tu amore mio, io posso solo essere la moglie orgogliosa che ti cammina accanto” “Non sei troppo bella per quella stupida cena? Forse dovresti …” “Ehi” sussurrò inchiodando gli occhi ai suoi “Non hai motivo di essere geloso.” un debole sorriso, la mano stretta attorno alla sua e di nuovo la certezza di avere accanto un angelo oscuro, qualcosa di meraviglioso che si sarebbe concesso solo a lui.


“Allora miei adorati ospiti, è tutto di vostro gradimento?” sorrise alzando gli occhi dal piatto “Ti diverti?” “Non sai nemmeno quanto amico mio” lo vide sorridere, posare le mani sulle spalle di Morticia “Lo sai che sei il gioiello di questa sala? Ogni sguardo è per te” “O magari …” sussurrò divertita senza staccare gli occhi dal viso del marito “ … sono divertiti dal fatto che un uomo come te provi a giocare con il fuoco, non ti hanno detto che ci si brucia?” “Non ti hanno detto che mi diverte?” si alzò lentamente in piedi voltandosi verso di lui “Sono incinta Leandro, sto per regalare a mio marito un figlio, credi davvero che giocare così sia senza rischio per te?” Gomez scoppiò a ridere portandosi il sigaro alle labbra “Uao, un altro?” domandò confuso “Spero che non sia una femmina” “Ma guarda un po'” esclamò allegro Gomez “Io spero proprio che sia una bambina” “Uscirà contorta e strana come Mercoledì” “Lo spero” “Magari invece sarà bella come un angelo del cielo, con lunghi capelli biondi e la pelle rosea e profumata di buono” la mano scattò in avanti da sola.
Uno schiaffò violento che rimbombò per decine di metri “Uao amore mio, non credi di essere stata un po' troppo delicata?” ma Leandro sorrise “Chi ti ha insegnato a picchiare come un uomo? Tuo marito?” “Parla ancora così dei miei bambini e la prossima volta userò una lama e ti prometto che riderò, riderò come una matta mentre passo da parte a parte il tuo stupido cuore” “Ok tesoro” sussurrò Gomez sfiorandole il viso “Io direi che forse dovremo fare due passi nel giardino che ne dici?” “Hai paura che le rovini la serata?” ma Gomez sorrise bloccando a mezz'aria la mano della moglie “Ho paura di dover passare tre ore a pulire il tuo sangue dal pavimento ragazzino perché non hai la minima idea di quello che stai provocando in lei” un bel sorriso le colorò le labbra mentre cercava in ogni modo di ricacciare indietro la voglia folle di prenderlo a cazzotti “Andiamo?” un debole si, leggero, appena sussurrato “Abbandonate la nostra piccola festicciola così?” “Vuoi una spada in gola? Mia moglie è piuttosto brava con le lame” “Non vedo l'ora di scoprirlo” ma quell'ultimo scatto di ironia non la sfiorò nemmeno.
Strinse più forte la mano attorno a quella del marito e senza nemmeno voltarsi lo seguì lontano da lui, da quella festa che non aveva mai voluto.




 

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Capitolo 10
*** La luna non è mai Stanca ***


                                  La luna non è mai Stanca





La pioggia batteva rassicurante contro i vetri, Mercoledì e Pugsley giocavano sul tappeto facendo schioccare di tanto in tanto la lama della piccola ghigliottina scatenando in Gomez un enorme sorriso “Padre?” “Che c'è ometto?” “Perché la mamma non è qui?” “Sta giocando con incantesimi e libri, è meglio lasciarla in pace, sai che diventa irritabile quando si interrompe qualcosa di importante” “Mi controlli tu i compiti per la scuola?” domandò incuriosita Mercoledì posando la sua bambola “Certo raggio di malinconia, fammi vedere cos'hai combinato” sfilò il quaderno dalla pila di giochi avvicinandosi al padre “Matematica, uao, io amavo la matematica, i numeri sono pazzerelli a volte” posò il sigario sfiorando con gli occhi le linee scure delle pagine “Però, sei davvero brava piccola mia, i tuoi esercizi sono tutti giusti” “Padre?” sollevò lo sguardo dai fogli incontrando gli occhi della figlia “Non hai sempre detto che mamma è uguale alla luna?” “Ho sempre detto che mamma ha la pelle di luna. Brilla esattamente come lei ed è la stessa che hai tu piccola mia. È volubile e capricciosa proprio come la luna ma è anche profondamente legata alla natura e alla vita” “La luna non riposa padre” sussurrò Pugsley inchiodando gli occhi ai suoi “La luna splende alta nel cielo sempre, illumina questo mondo disperato e solo senza mai fermarsi” “A volte anche la luna ha bisogno di riposare” “Perché?” sfiorò il viso della figlia sorridendo “Perché ora nel suo ventre è custodito un altro cuore e per tenerlo al sicuro la Luna deve rallentare la sua corsa” Morticia entrò nella sala sorridendo, reggeva tra le mani un vaso di rose recise ma non era quello ad incantarlo.
Quella linea ormai visibile, quel pancino delicato e irruento che si mostrava orgoglioso al mondo mentre un vestito nero come la notte lo teneva al sicuro “E se la Luna si stancasse di splendere?” tornò a concentrarsi sul viso della figlia, su quel faccino imbronciato dove poteva leggere un mare di domande ancora senza risposta “Cosa succederebbe se la Luna si stancasse di splendere?” “Allora gli uomini sarebbero meravigliosamente tristi amore mio” “Anche tu?” “No” sussurrò cercando gli occhi di sua moglie “No, io no bambina mia” la donna sorrise sedendosi accanto a lui “Come stai amore mio?” “Come le ultime otto volte che me l'hai chiesto Gomez, smetterai di preoccuparti prima che nasca?” “Non fino a quando ti vedrò sveglia nel cuore della notte” “Quando avrai le voglie e un altro essere umano che ti cresce dentro potrai capire come mi sento la notte, quando mi sveglio e cerco di capire come riportare zia Porzia tra noi” “Ma non …” “No” mormorò come se quella fosse la risposta più naturale del mondo “Mercoledì, hai scelto cosa portare alla recita scolastica?” “Che ruolo hai?” domandò stupito Gomez voltandosi verso la figlia “L'allegro girasole” “Non ne parliamo nemmeno ok?” “Oh andiamo amore mio” sussurrò posando la mano tra le sue “Questa è solo una recita scolastica” “La vestirai da allegro girasole?” “No” esclamò divertita “Padre, posso scegliere di interpretare Amleto assieme a Pugsley?” “Userai le spade?” “Mi insegnerai a tirare di scherma?” un'enorme sorriso si colorò sul volto dell'uomo “Certo bambina mia, ma solo se mi prometti che userai le spade del nonno” Mercoledì annuì orgogliosa tornando a sedere sul tappeto affianco al fratello “Ti senti davvero bene?” “Gomez …” sorrise stringendo la mano attorno alla sua “ … smettila di preoccuparti” le mani intrecciate scivolarono sul ventre costringendolo a sorridere “Si è mosso?” “L'hai sentito?” “Quando ha …” “Mentre legavo il mazzo di rose” “Perché non mi hai chiamato?”
“Perché avrei dovuto amore mio?” “Perché è la prima volta che la mia bambina si muove” le sfiorò il viso seguendone i lineamenti con le dita fino al seno “Quando succede qualcosa voglio saperlo” “Non è successo niente” “Sei sicura di stare bene?” Mercoledì si voltò verso la madre socchiudendo leggermente gli occhi “Stai bene mamma?” sospirò alzando leggermente gli occhi al cielo “Bambini, la gravidanza è una cosa naturale, ci si sente un po' strani, è successo anche con voi. È semplicemente natura” Pugsley annuì appena tornando a concentrarsi sui suoi giochi assieme alla sorella “Smettila di spaventarli per niente” “Non ci pensa già la scuola a quello?” ribatté ironico ma lei sorrise “Mamma vuole sapere se sei ancora convinto di volere questa festa” “Perché non dovrei?” “Allora scendi in cucina a dirle che hai invitato tutta la tua famiglia e non il mondo intero altrimenti ci ritroveremo sommersi di cibo” le diede un bacio, un bacio leggero e fresco e poi, senza più voltarsi indietro uscì dalla stanza lasciandola sola assieme ai suoi pensieri.


“Cosa c'è che non va?” “Cosa?” “Sei distratto fratello” sollevò leggermente la mano ridacchiando “Scusa, stavo pensando a …” “A Morticia?” “Pensavo che tra quattro mesi sarò padre di nuovo” “Lo sei già stato prima” esclamò divertito Fester sedendosi goffamente sulla sedia di fronte alla sua “Hai avuto altri due bellissimi figli, perché con questo dovrebbe essere diverso?” “Non è diverso, è esattamente la stessa cosa” “Davvero?” sorrise annuendo appena “È la stessa sensazione che ho provato con Pugsley e con Mercoledì. Sono terrorizzato, spaventato e massacrato dai dubbi e dalle domande che mi frullano in testa ed è una sensazione bellissima” “Mi piacerebbe provare la stessa cosa fratello” “Accadrà” esclamò divertito dandogli una pacca sulla spalla “Un giorno troverai qualcuna adatta a te. Qualcuno che voglia restarti accanto e darti tutte le cose meravigliose che mia moglie ha dato a me” Fester annuì incantato come se dalle parole di Gomez potesse uscire la donna giusta, quella adatta lui “Allora … cosa ti spaventa?” “Di cosa?” “Di Morticia, cosa ti spaventa di questa gravidanza?” “Non parla molto” “Hai sempre amato questa cosa di lei. Dici sempre che una donna silenziosa sa apprezzare la vita e che il silenzio è segno di grande intelligenza” “Esatto” “E allora come …” “Ho paura che mi nasconda qualcosa Fester, qualcosa che non mi ha detto, qualcosa che non potrei sopportare” l'altro si alzò avvicinandosi lentamente al fratello “Qualcosa di che tipo? Adulterio?” “Sei impazzito?” “Non sarebbe la prima moglie che …” “Ehi!” esclamò gelido “È di mia moglie che parli Fester, non della prima che ti passa davanti per strada! Non è adulterio, non sarà mai una cosa del genere” “E allora cos'è?” Lerch entrò nella sala posando sul tavolino un vassoio pieno di tazze fumanti “Mia moglie ha già cenato?” il maggiordomo scosse leggermente la testa allungando verso di lui un bicchiere fumante “Non vuol dire niente fratello, magari è solo stanca, ricordi cos'era successo con Mercoledì? Mangiava un giorno si e uno no e spesso restava sveglia la notte per lunghe ore a fissare il uoto” “Lo fa anche adesso” “Allora fratello mio, questo significa che avrò una bella nipotina” i bicchieri si toccarono leggermente colorando l'aria di allegria e attesa perché in fondo era di quello che si trattava.
Un attesa violenta e massacrante che lo rendeva più inquieto ogni giorno che passava. Voleva vedere quel piccolo visetto, voleva sentire il suo profumo e ridere mentre ne osservava i movimenti.
Era qualcosa che non poteva spiegare, qualcosa di suo, di segreto e profondo che soltanto l'anima poteva spiegare.




 

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Capitolo 11
*** Ti insegno la vita ***


                                            Ti insegno la vita





“Alza la guardia amore mio altrimenti papà farà un bel buco in quel pancino” la piccola sorrise portando la spada davanti al viso “Sei pronta?” un debolissimo sì riempì l'aria, si mosse velocemente in avanti, la spada attraversò di colpo l'aria cozzando contro la lama della bambina “Sei stata brava raggio di malinconia” “Anche tu” esclamò gelida spingendo leggermente indietro la spada del padre. Aveva negli occhi la stessa luce di sua madre, la stessa voglia frenetica di oltrepassare i limiti che non dava tregua al suo giovane cuore “Ora proviamo qualche affondo che ne dici?” sollevò di nuovo la spada ridendo mentre la sua bambina scattava in avanti muovendo la lama nell'aria come se sapesse tirare di scherma da una vita intera e non da una settimana appena “Non staccare mai gli occhi dal tuo avversario, tieni lo sguardo inchiodato al suo …” parò l'ennesimo fendente annuendo orgoglioso “ … quando ti muovi in avanti devi controllare la tua guardia, se alzi troppo la lama posso arrivare facilmente a te” “Perché la nostra Luna deve riposare così tanto?” domandò d'un tratto Mercoledì “La nostra Luna?” sussurrò confuso ma il fischio gelido della lama lo costrinse ad azzerare i pensieri concentrandosi solo ed esclusivamente sui movimenti della figlia “Te l'ho spiegato qualche settimana fa amore mio …” fece un bel respiro tornando in posizione di guardia “ … ora la nostra Luna ha due cuori dentro, non può giocare con il buio come prima” “Non è più la nostra Luna se smette di giocare con buio e stelle” “Mercoledì …” riprese guardingo abbassando la spada “ … perché hai tanta paura di perderla?” “Perché è diversa papà” “Diversa in cosa?” “Il suo abbraccio, il profumo della sua pelle, il suo respiro” “Aspetta tuo fratello” “Lo so” “E allora cosa c'è che non va?” ma lei non rispose, si limitò ad alzare leggermente le spalle tornando a concentrarsi sulla lama gelida davanti a sé “Ascoltami” sussurrò inginocchiandosi davanti alla figlia “Non c'è niente di strano raggio di malinconia, se qualcosa fosse sbagliato o fuori posto farei il possibile per sistemare le cose ma non è così. Tua madre sta bene, il bambino che porta in grembo sta bene e quando sarà nato tutto tornerà come prima” “Ne sei sicuro?” annuì leggermente perdendosi in quegli occhi grandi e scuri che erano la sua vita “Ti fidi di tuo padre?” “Mi fido di mio padre” “ La vita a volte è così, si diverte a giocare con sentimenti ed emozioni e spesso cambia le persone ma qui dentro ...” posò la mano sul cuore di Mercoledì sorridendo “ … non cambierà niente. Quando hai qualche domanda, quando ne io né la mamma possiamo darti una risposta ascolta questo, ascolta il tuo cuore. Lui non fa domande, lui non racconta bugie sulla bellezza del mondo o sulla sua allegria” riprese fiato sorridendo “Ti ho insengato a lottare in questo mondo, ti ho insegnato che la vita non è piena di giochi e di allegria come mostrano là fuori. Nel tuo cuore trovi risposte bambina mia, trovi l'amore che ti serve per andare avanti. È un amore puro, qualcosa di grande e speciale, diverso da quello che trovi là fuori, un amore fatto di oscurità, di passione, di sentimenti che sopravvivono al chiarore di questa terra ormai troppo stanca” la tirò leggermente in avanti stringendola tra le braccia “Non lasciare che stupidi dubbi assalgano la tua giovane vita. Tuo padre è qui per te, sono qui per lottare assieme a te, per te e lo farò finché il corpo ne avrà la forza. Ti terrò al sicuro e lotterò per te bambina mia così come lo farò per i tuoi fratelli e per tua madre” sentì le braccia di Mercoledì stringersi dolcemente attorno al suo collo e il suo respiro sulla pelle “Me lo prometti? Prometti che mia madre sarà al sicuro?” “Te lo prometto” si alzò in piedi stringendola orgoglioso tra le braccia “Lerch, porta le spade nella sala grande e raggiungimi nella camera del bambino, dev'essere finita entro qualche giorno” lasciò la spada tra le mani del maggiordomo e sorridendo uscì dalla sala con la sua bambina tra le braccia.

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Capitolo 12
*** Ofelia ***


                                                          Ofelia




Aveva passato otto mesi a preoccuparsi per lei, per la sua salute, aveva passato otto mesi interi a giocare con lei, ad averla, a possederla.
Otto mesi di sorrisi, di sospiri rubati e poi quei movimenti leggeri sotto le mani, impercettibili battiti di vita che un cuore così piccolo creava dal niente.
Aveva visto suo figlio crescere, l'aveva visto diventare più grande e aveva visto sua madre splendere più di quanto non facesse già.
Lei così dannatamente bella da farlo impazzire ora aveva qualcosa di speciale da regalargli, un dono prezioso che nessun'altro al mondo avrebbe mai potuto fargli.
Inspirò a fondo cercando di cancellare dai pensieri la voglia folle di baciarla perché ora, sdraiata in quel letto d'ospedale riposava serena mentre accanto a lei nella culletta scura, un piccolo corpicino dormiva al sicuro nascosto da una copertina nera come la notte.
Si avvicinò lentamente sorridendo orgoglioso “Ciao piccola mia” sollevò quel fagotto profumato stringendolo al sicuro tra le braccia, era così piccola, così perfetta.
Aveva il nasino uguale a Mercoledì e il taglio degli occhi di suo padre, i capelli scuri come la notte e la pelle di luna, la stessa della sua mamma.
“Sono fiero di te lo sai? Hai lottato tanto per venire al mondo, sei forte bambina mia e presto, molto presto, vi porterò a casa” le sfiorò la fronte con le labbra passeggiando per la stanza “Non preoccuparti tesoro mio, presto tutto tornerà alla normalità, avrai la tua stanza, i tuoi fratelli, certo all'inizio sarà dura, Pugsley aveva rasato tutti i capelli di Mercoledì per gioco ma non temere …” ridacchiò divertito al suono che quel ricordo provocava nel cuore “ … sono solo capelli e i capelli ricrescono in fretta. Aavrai una bella vita bambina mia, una vita piena e diversa da tutti quei poveretti che giocano a fingere quanto bello sia il mondo” si fermò davanti alla porta di vetro sorridendo.
Leandro era lì, a pochi passi da loro con un sorrisetto fastidioso dipinto sul viso, le braccia conserte e gli occhi inchiodati ai suoi.
Strinse più forte la piccola tra le braccia mentre un sorriso orgoglioso si portò via cuore e pensieri “Così …” iniziò l'uomo avvicinandosi a lui “ … è questa la nuova arrivata. Qual'è il suo nome?” “Ofelia, Ofelia Addams ed è meglio che ricordi vecchio mio, che questo piccolo raggio di luna ha un padre” “Lungi da me l'idea di farti arrabbiare, sono solo passato per darti questo” allungò verso di lui un sacchettino grigio decorato da un fiocco nero e argento “E così Gomez, ci sei riuscito, sei riuscito a portarmi via di nuovo Morticia” “Quando è stata tua?” domandò confuso coprendo la bambina “Sarebbe stata mia se non ti fossi intromesso nella nostra vita” “Nemmeno la conoscevi vecchio mio. La prima volta che l'hai vista è stato al funerale di tuo padre” “E ne ero innamorato” “Lo so” “Lo sai?” annuì appena sospirando “Ogni uomo che la incontra fa esattamente la stessa fine. Ci sono quelli che durano qualche giorno, quelli che si innamorano subito e poi ci sono quelli come te, troppo orgogliosi per ammetterlo dall'inizio ma consapevoli di quello che succede loro” “Ma davvero?” esclamò divertito l'altro “E hai capito tutto questo leggendomi nella mente?” “Ha appena partorito, mi ha regalato una bambina e tu sei qui. Sei davanti a me e perfino ora non riesci a smettere di guardarla” si voltò leggermente di lato seguendo lo sguardo dell'uomo fino a sua moglie “Ti chiedi se con te sarebbe stata così, se avesse avuto tre meravigliosi bambini, se la sua bellezza ti avrebbe riempito le giornate come fa con me” “Tu sei pazzo” “E tu sei innamorato di mia moglie, dovrei essere arrabbiato per questo, dovrei urlare e prenderti a pugni ma non ho motivo per farlo. Lei non me ne da e ho tra le braccia il frutto del nostro amore. La tua ossessione per mia moglie non ha importanza in questo momento” “Sai come ci si sente quando ti portano via la vita?” “Non è mai stata la tua vita” “Lo sarebbe diventato!” urlò avvicinandosi a lui ma Gomez sorrise nascondendo Ofelia tra la braccia “Non hai idea di cosa si provi quando qualcuno ti impedisce di vivere l'amore che ti brucia l'anima. Non era la prima volta che vedevo Morticia” lo guardò confuso cercando di capire di cosa stesse parlando “Il funerale di tuo cugino ricordi?” “Era la prima volta che la vidi” sussurrò guardingo, la bambina si mosse dolcemente tra le sue braccia costringendolo ad abbassare lo sguardo qualche secondo “Già, la prima volta che i vostri occhi si sfiorarono. Ero innamorato di lei, le avrei chiesto di sposarmi, l'avrei fatto ma lei era incantata da te. Da un uomo venuto dal nulla che d'improvviso era diventato il centro dei suoi pensieri. Ho provato tante volte a trascinarla lontano da te, dalla tua vita, dai tuoi pensieri. Ogni volta mi sorrideva, mi seguiva ma dopo qualche passo assieme si bloccava di colpo …” sollevò una mano nell'aria accarezzando qualcosa di invisibile “ … e con quegli occhi di fata mi diceva: non sei tu l'amore della mia vita” Gomez sospirò stringendo più forte la bambina “Il male che mi ha fatto? Non hai la minima idea di cosa sia. Tu parli di famiglia, di amore e vita ma era lei la mia vita e non puoi capire il dolore che provo ogni volta che mi guarda perché quella bambina che stringi tra le braccia dovrebbe essere mia” “Le scelte di mia moglie sono sue soltanto” sussurrò nascondendo ai suoi occhi la figlia “Non prendo decisioni al posto suo, non la costringo ad amarmi. Parlo di vita perché è lei la mia vita e non potrei essere più innamorato della sua anima e di quel suo meraviglioso carattere. Le scelte sono sue così come decidere a chi dare il proprio amore” “Perderai la testa Gomez, accadrà qualcosa e allora impazzirai dal dolore” “Non reagisco molto bene alle minacce, non ora” ma l'altro sorrise mormorando “Buona vita bambina” e poi, senza più aggiungere una parola se ne andrò.
Non gli era mai piaciuto, non lo voleva attorno alla sua famiglia, non lo voleva attorno a lei né ad Ofelia “Andiamo amore mio” sussurrò stringendo la piccola “Torniamo a riposare” si chiuse la porta della stanza alle spalle mentre un sacchettino decorato restava immobile sul pavimento del corridoio.


“Perché ancora non dormi?” “Tua figlia è sveglia” sussurrò divertita scostando leggermente il lenzuolo, la piccola si mosse dolcemente stringendo più forte la manina attorno al tessuto scuro sul seno della madre “Guardala …” sussurrò incantato sedendosi accanto a lei “ … è perfetta” “Assomiglia così tanto a tuo padre” “Lo so” “Sarà brillante come lui?” sussurrò divertita scoprendo il seno, le labbra di Ofelia si chiusero dolcemente attorno al capezzolo mentre le manine si posavano su quella pelle chiara come la sua “Sarà malinconica e triste, amerà la notte e saprà ascoltare le tenebre” l'accivinò di più al seno, i piedini si posarono sul suo ventre muovendosi dolcemente “Imparerà la vita da te amore mio e saprà parlare con il mondo” sorrise sdraiandosi accanto a loro, la fronte posata su quella della moglie mentre la mano disegnava teneri cerchi sulla schiena della figlioletta “Promettimi che le insegnerai il mondo Gomez” “Lo faremo insieme” “Promettimi che la terrai al sicuro” ma quell'attimo di esitazione nella sua voce bastò a farlo tremare “Che vuol dire?” le sfiorò il viso costringendola a guardarlo negli occhi “Me lo prometti?” “Perché?” “Ti basta solo dire tre parole” “Sei impazzita? Lo sai che amo la pazzia ma non quando coinvolge la mia sposa” “Gomez, andiamo, è solo una promessa, ne fai tante ogni giorno, perché questa dovrebbe essere diversa?” “Perché mi hai appena chiesto di prendermi cura di lei se tu dovessi morire!” esclamò alzandosi di scatto, Ofelia si strinse più forte a lei staccando qualche secondo le labbra dal suo seno “Perché diavolo non puoi dirmi cosa succede? Stai male? C'è qualcosa che non va che non riesco a vedere?” ma il suo sorriso calmo e rilassato lo mandava su tutte le furie “Hai giocato di nuovo con gli incantesimi di mamma? Lo sai cosa succede se giochi con quelle cose da sola? La mente si chiude là dentro e fatichi a riconoscere la realtà dal sogno!” ma lei non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo accarezzando la testolina della figlia “Smettila di preoccuparti così, è solo una promessa. Non dovrebbe costarti molto amore mio” “Ma davvero?” sbottò ironico studiando il suo viso “Davvero credi sia tanto brutto chiederti di insegnarle il mondo? Se dovessi morire …” “Basta” “ … non vorrei mai vedere i miei bambini soli Gomez. Se me ne andassi via promettimi che troverai un'altra donna, una buona madre per loro e una buona sposa per te” “Ehi” esclamò gelido voltandosi di colpo “Questo gioco non mi piace” “Non è un gioco, è solo …” “Morticia!” gli occhi della donna si inchiodarono di colpo ai suoi togliendogli il respiro.
Strinse la piccola tra le braccia coprendo di nuovo il seno, si alzò dal letto sorridendo a quel faccino assonnato che cercava in lei sicurezza “Non urlare” sussurrò avvicinandosi a lui “Non si addormeterà mai così” sorrise lasciandogli la piccola tra le braccia “Ho promesso ai bambini di passare a raccontargli la fiaba della buonanotte” restò immobile con la figlia tra le braccia mentre sua moglie si chiudeva silenziosamente la porta alle spalle.
Strinse più forte Ofelia posando le labbra sulla sua testolina, il profumo delicato della figlioletta invase ogni pensiero cancellando per qualche secondo l'ansia e la rabbia “Non riesco più a capirla Ofelia” sussurrò “Non riesco più a capire la tua mamma” prese la copertina scura dal letto avvolgendola attorno alla piccola e sorridendole uscì dalla stanza fischiettando una ninna nanna antica come il mondo intero.


 

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Capitolo 13
*** Profumo di Pioggia ***


                                 Profumo di Pioggia




C'era profumo di pioggia nell'aria e il rumore dei tuoni accompagnava la notte cupa. Un vento leggero scuoteva dolcemente gli alberi sfiorandone le foglie e poi, quasi come fosse un gioco, ne spargeva l'aroma toccando dolcemente le tende di quella cameretta che tanto amava.
Era seduto su quella poltrona da ore ormai, tra le braccia la sua piccola bambina addormentata e sul mobile accanto alla finestra, un carillon suonava lentamente la sua dolce ninna nanna.
Seguiva con lo sguardo la danza leggera di quella ballerina dalla pelle chiara come la luna, ne immaginava le espressioni, se quel dolce danzare era parte della sua vita e come sarebbe stata se d'improvviso avesse preso vita.
Giovane e bella, con gli occhi scuri come la notte e quel vestito bianco che la rendeva simile ad un fantasma.
Di tanto in tanto, mischiato al rumore dei tuoni nel cielo arrivava un canto speciale, un canto silenzioso e rumoroso assieme.
Quando Fester aveva portato quel cucciolo a casa i suoi figli erano letteralmente impazziti di gioia, un lupo è un regalo speciale, un dono da custodire gelosamente perché porta dentro di sé l'essenza stessa della vita selvaggia.
Amava ascoltare il suo canto, un ululato continuo che cercava la luna nel cielo ma quella notte, quella notte di pioggia non c'era l'astro nel cielo eppure lui era lì, a cantare, a giocare come se sapesse che in quella casa, qualcuno aveva un peso sul cuore così grande da non riuscire a dormire.
Inspirò a fondo abbassando per qualche secondo lo sguardo, Ofelia si mosse dolcemente voltando il visino verso il suo petto “Come sei piccola amore mio” sussurrò coprendola meglio “Sei più piccola di quanto fosse Mercoledì lo sai?” un altro tuono, un altra carezza del vento che profumava di terre lontane “Gliel'ho promesso” mormorò malinconico stringendo la sua manina “L'ho promesso alla tua mamma. L'ho fatto Ofelia anche se questa è l'ultima cosa a cui vorrei pensare. Le ho promesso che ti avrei insegnato il mondo, che mi sarei preso cura di voi ma c'è una cosa che non … non posso darvi un'altra madre” un debole sorriso gli colorò le labbra mentre gli occhi della figlia si schiudevano dolcemente.
Per qualche secondo, qualche lunghissimo secondo gli sembrò di leggere nel suo sguardo “Va tutto bene papà, non ho bisogno di nient'altro se non di te”.
Una rassicurazione che avrebbe voluto sentire dalla sua tenera e acerba vocina ma che era lì, dipinta in quegli occhi ancora pieni di sonno e incapaci di vedere “Non avrete mai un'altra madre amore mio. Non posso amare nessun'altro Ofelia ma vi prometto che avrete tutto quello che vorrete, che nessuno vi porterà via da me e che un giorno, quando sarete grandi vi racconterò quanto bello è l'amore” la porta si aprì dolcemente costirngendolo a sollevare lo sguardo “Sei sveglia?” “Tu no?” domandò divertita appoggiandosi allo stipite “Non riesco a lasciarla andare” gli occhi persi nei suoi e un dolcissimo sorriso sulle labbra “Ho l'impressione che se la lascio, se le permetto di allontanarsi da me la perderò” la donna sospirò inginocchiandosi dolcemente davanti a lui “Gomez …” la mano posata sulla sua e gli occhi persi in lui “ … nessuno te la porterà via. Nessuno le farà del male” “Ne sei sicura?” “Ti fidi di me?” sfiorò con le labbra la fronte della figlia sospirando “Dormirà amore mio, sognerà di terre lontane cullata dal canto del lupo. Che male c'è in questo?” si alzò lentamente sorridendo, il cuore ripeteva “Hai bisogno di riposare vecchio mio, tua moglie ha ragione, nessuno la porterà via” ma la ragione, complice di troppe notti insonni urlava “Non lasciarla andare, resta con lei perché è così piccola che non può difendersi” posò Ofelia nella culla tirando la copertina più su fino quasi a nasconderla completamente “Riposa piccola mia” la mano della sua sposa scivolò tra le sue tirandolo dolcemente verso la porta "Andiamo?'” un debole sì e solo il profumo della pioggia.

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Capitolo 14
*** Sogni ***


                                                 Sogni




“Fratello, sei proprio convinto di volere questa festa?” “Tutti devono dare il benvenuto a mia figlia” esclamò divertito “Padre, possiamo giocare con lei?” “Se per giocare intendete affinare le arti dell'avvelenamento no, almeno fino a quando non avrà compiuto un mese di età” “D'accordo” mormorò malinconica Mercoledì abbassando lo sguardo ma la mano del padre le sfiorò il viso costirngendola a guardarlo negli occhi “Non essere triste bambina mia, puoi sempre giocare con tuo fratello” “Ma ormai conosco ogni …” “C'è una bellissima scatola nuova nel mio studio” lo sguardo dei bambini si colorò di curiosità ragalandogli un bellissimo sorriso “Che ne dite di scoprire cosa c'è dentro?” “Possiamo alzarci dal tavolo padre?” annuì appena ridacchiando mentre i suoi figli scappavano via “Troveranno gli antidoti in meno di un'ora” esclamò fiero Fester giocherellando con la forchetta “Sono bambini intelligenti” “Lo so” “E allora perché sei preoccupato?” “Non lo sono” ribatté stringendo più forte il calice tra le dita.
“Allora, stavamo parlando della festa o sbaglio?” “Avremo un sacco di gente in giro per casa, sei proprio sicuro di volerlo?” “Perché no?” Morticia entrò in cucina reggendo con il braccio sinistro Ofelia e con la mano libera un libro dalla copertina rossa sbiadita dal tempo “Buon giorno amore mio” le labbra della donna si posarono dolcemente sulle sue unendo in qualche secondo respiri e passione “Hai trovato qualcosa di interessante?” “Tua zia è più testarda di quanto ricordassi” mormorò divertita lasciandogli Ofelia tra le braccia “Stai ancora giocando con zia Porzia?” “Tuo fratello ha bisogno di lei Fester” “Io avrei bisogno di zio Abner, potresti …” “Zio Abner è in giardino, sta scavando accanto alla tomba di zia Lavivia” “E cosa …” “Ha scordato una tibia nella sua bara” Gomez ridacchiò divertito accavallando le gambe, Ofelia era nascosta al sicuro dentro alla copertina scura con la manine strette alla seta preziosa della sua giacca.
Aveva gli occhi aperti e le labbra dolcemente schiuse che giocavano provando a sussurrare ma solo teneri versi uscivano colorando l'aria di amore “Parlerai mai un giorno?” “Credo sia presto fratello, ha solo una settimana e mezzo di vita. Mercoledì ha iniziato a …” “Undici mesi” esclamò orgoglioso “Ricordi come camminava?” “Sembrava un piccolo pupazzo traballante” ribatté allegro Fester sottolinenando con le mani la grandezza di quel ricordo “Oh ma imparerai anche tu” esclamò divertito sollevando la figlioletta davanti al volto, sfiorò con le labbra quel piccolo nasino perfetto ridendo quando le sue manine si posarono sulla pelle del volto “Guarda amore mio, mi sta baciando” ma Morticia sorrise senza nemmeno alzare gli occhi dal libro “Ti sta assaggiando mon cher” Fester scoppiò a ridere mentre l'immagine di suo fratello entrava velocemente nel cuore.
Un uomo innamorato che reggeva davanti al volto una bambina così piccola da sembrare quasi irreale, le manine strette attorno al suo viso e la bocca schiusa sul suo mento in quello che poteva essere un bacio, il primo di una lunga vita assieme “Oh no no, questo è un bacio vero e proprio, non è così Ofelia? Stai baciando il tuo papà?” un'esplosione violenta arrivò dal piano di sopra costringendoli a ridere “Te l'ho detto che ci avrebbero messo poco” esclamò divertito Fester tornando a concentrarsi sul suo spuntino.
In fondo quella vita gli piaceva da morire, la sua vita, la sua famiglia, la sua adorata sposa affianco e quei tre gioielli preziosi che mai avrebbe potuto restituire perché non c'era regalo al mondo che potesse eguliare così tanta perfezione.


Come col capo sotto l'ala bianca, dormon le palombelle innamorate, così tu adagi la persona stanca sotto le coltri molli e ricamate … sorrise giocherellando con la manina della figlia. Note preziose che giocavano con l'aria fresca della sera, amava l'opera, amava la musica e l'espressione dei sentimenti che era in grado di donare al mondo.
Quel mondo magico, creato da persone normali era tanto bello quanto pericoloso perché vivere d'arte chiudeva la realtà fuori da sé stessi … La testa bionda sul guancial riposa, lieta de' sogni suoi color di rosa, e tra le larve care al tuo sorriso, una ne passa che ti sfiora il viso ... abbassò qualche secondo lo sguardo studiando il viso della bambina, era serena, tranquilla, con gli occhi persi in qualche visione a lui sconosciuta mentre le braccia del padre la cullavano.
Amava quel dolce tepore, amava cullare i suoi bambini, era come dire loro “Il vostro papà è qui e non vi lascerà mai” e quell'attimo solo per loro gli regalava più emozioni della vita intera.
Ofelia sorrise stringendo la manina attorno alla seta della sua camicia “Dovreti dormire amore mio, la notte è fatta per i sogni” sussurrò divertito avvicinandosi alla finestra.
Il profumo della notte invase i polmoni colorando quell'attimo di tenerezza, la musica continuava a muovere note delicate aiutando quel piccolo cuore a riposare … Passa e ti dice che bruciar le vene, che sanguinare il cor per te mi sento, passa e ti dice che ti voglio bene, che sei la mia dolcezza e il mio tormento … sorrise posando le labbra sulla fronte della figlia “Che sei la mia dolcezza e il mio tormento” sussurrò seguendo quella voce lontana … Bianca tra un nimbo di capelli biondi, lieta sorridi ai sogni tuoi giocondi.
Ah, non destarti, o fior del Paradiso, ch'io vengo in sogno per baciarti in viso …
gli occhi di Ofelia si chiusero dolcemente mentre le mani del padre la stringevano più forte “Dormi piccola mia” ma quel battito di cuore più forte degli altri aveva una spiegazione. Riusciva a sentire quel profumo meraviglioso anche da lì, non aveva bisogno di voltarsi perché la sua sposa era lì, immobile, appoggiata allo stipite della porta con un sorriso delicato dipinto in volto.
“Non ti hanno mai detto che non si spiano le persone?” “Non sei stanco di ascoltare questa musica?” “Era la ninna nanna di Mercoledì e Pugsley, ora sarà la ninna nanna di Ofelia” “Credo che le piacerà, è malinconica, piena di dolore” “È amore mia sposa. Una serenata piena di sofferenza” si avvicinò a lei sfiorandole con una mano il volto “Dovresti riposare amore mio, tutto questo continuo sconvolgimento non ti fa bene” “Dovresti smetterla di preoccuparti per me” “Non ci riesco” “Lo so” sussurrò stringendo la mano attorno alla sua. Ofelia si mosse dolcemente voltando il viso verso la madre, era bastato il suono della sua voce a far scomparire la dolcezza di quel sonno “Non credo che tua figlia sia d'accordo con te” “Lei non è mai d'accordo con me” prese la piccola dalle braccia del marito reggendola teneramente davanti al viso “Tuo padre è innamorato di te” un bacio delicato su quel nasino così piccolo e perfetto “Ora è tardi amore mio, devi riposare” si avvicinò alla culla ma una bambina assonnata apparve di colpo tra loro “Padre?” “Che ci fai fuori dal letto?” domandò incuriosito sfiorando la testa della figlia “Non riesco a dormire” “Hai fatto un brutto sogno?” annuì leggermente sfregandosi gli occhi con la mano “Povera bambina mia” mormorò prendendola in braccio “Non preoccuparti, nessun brutto sogno può toccarti ora” Mercoledì sospirò posando la testolina sulla spalla del padre, gli occhi erano inchiodati alla madre, a quei gesti lenti e delicati che in qualche modo la tranquillizzavano.
La spiava mentre copriva sua sorella, mentre con tenerezza la nascondeva dalla luce delle candele “Cos'hai sognato?” sussurrò avvicinandosi al marito “Una bambina sorridente che costruiva castelli di sabbia e mi invitava a giocare con lei e io sorridevo e …” “D'accordo” mormorò accarezzandole la schiena “È passato, nessuno ti porterà a giocare con sabbia e bambole, te lo prometto” le braccia si tesero dolcemente verso di lei.
La prese in braccio stringendola a sé “Andiamo” Gomez sorrise baciando delicatamente il suo piccolo raggio di malinconia e solo nel silenzio di quella piccola stanza, rimase ad osservare i sogni del suo piccolo tesoro prezioso.










 

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Capitolo 15
*** Un'Attimo perso nel Tempo ***


                      Un Attimo perso nel Tempo






“Benvenuto caro cugino” esclamò Gomez abbracciando l'amico “Da quanto tempo che non ci si vede?” la voce stridula e acuta del cugino It lo fece sorridere “Hai ragione, la nascita di Ofelia merita una visita speciale” Morticia sorrise avvicinandosi a loro “Cugino, quanto tempo” “Padre?” “Che c'è raggio di malinconia?” “Possiamo giocare con Ofelia?” Pugsley alle sue spalle annuì appena mostrandogli un coltello dal manico argento “Niente tagli, niente parti di neonato che mancano chiaro? Vi ho già detto che la leggenda del bambino che nasce e di quello che muore non è vera” “Lo sappiamo” posò una mano sulla testolina della figlia sorridendo “D'accordo” un debole sorriso le colorò il volto mentre seguita dal fratello correva attraverso la sala gremita di gente “Hai invitato Leandro?” esclamò burbero Fester “Io? Non c'è dubbio fratello” “No? Perché si sta divertendo a giocare con le gemelle amore” sbuffò voltandosi leggermente verso Morticia “Amore mio, perché hai …” “Perché se non lo facevo avrebbe sparso in giro la voce che mio marito è un brav'uomo” strinse la mano della donna portandosela alle labbra “Dov'è ora?” Fester si voltò di lato indicando le gemelle ma non c'era nessuno con loro “Era lì” “Sarà andato ad annoiare qualcun'altro con le sue stupide storielle. Amore mio, vuoi ballare?” strinse più forte la mano delle moglie tirandola leggermente in avanti mentre la musica si portava via ogni altro pensiero.


“Ofelia Addams” sussurrò posando le mani sulla culla scura “Hai proprio un bel nome lo sai?” gli occhi incatenati a quella piccola anima.
Una bambina addormentata così bella da costringerlo a trattenere il fiato. Assomigliava in modo impressionante a lei, la stessa pelle, le stesse labbra ma ahimè, in lei c'era così tanto di Gomez da costringerlo ad ingoiare le urla per evitare di spaventarla a morte.
Il taglio degli occhi, il colore dei capelli, la forma del nasino “Purtroppo c'è qualcosa di sbagliato in te” sussurrò divertito inclinandosi leggermente in avanti “Assomigli a tuo padre. Non è una cosa incoreggibile insomma, potresti benissimo essere diversa da lui ma questa maledetta somiglianza è il tuo futuro biglietto senza ritorno per l'aldilà piccola” posò una mano sul ventre della bambina sorridendo appena quando le manine si strinsero a pugno affianco al viso “In fondo, non c'è niente a questo mondo che non possa essere corretto. La tua somiglianza con lui è un male ma se ben celata, può diventare una forza Ofelia, a questo provvederemo non è vero?” strinse le mani attorno a quel corpicino sollevandolo dalla culla assieme alla coperta “Cambieremo il tuo cognome, ti racconterò quanto è forte l'amore tra me e la tua mamma e porteremo con noi anche il tuo giocattolo ...” si voltò leggermente verso la poltrona sollevando con la mano libera una bambola dal vestito nero “ … così avremo un regalo della mamma che porterai sempre con te” coprì meglio la piccola sorridendo “Non era questo il mio piano, non era così che volevo farlo. È colpa di tuo padre, lui merita di soffrire, lui merita il dolore più violento del mondo e per farlo, ucciderti è la via più breve ma forse così, portandoti lontano da lui, lontano dal suo cuore, avrò il piacere di vederlo soffrire” passeggiava lentamente per la stanza cullando teneramente Ofelia quasi come se quell'attimo rubato alla realtà fosse normale “ Ma non temere, non crescerai senza un padre, sarò un'ottimo padre” la faccina della piccola si mosse dolcemente posandosi contro il suo petto e per la prima volta un sorriso sincero colorò il volto di Leandro “Così è questo che si prova?” sussurrò al silenzio “È questo che ha provato Gomez? Stringere una vita indifesa tra le braccia è così bello?” posò un bacio sulla fronte della piccola sospirando “Non preoccuparti, ti darò tutto quello che meriti perché tu dovevi essere mia” l'avvolse nelle coperte nascondendola al mondo e senza aggiungere una parola uscì dalla stanza lasciando solo una culla vuota in quell'attimo perso nel tempo dove silenzio e vendetta giocavano a nascondino con la vita stessa.




“Padre?” si voltò di scatto cercando di capire dove fosse Mercoledì perché in mezzo a quel caos non riusciva a capirci più niente “Ehi raggio di malinconia” sussurrò amorevole “Vi siete divertiti con …” “Dov'è mia sorella?” la fissò confuso cercando di capirci qualcosa “Sta riposando, dormiva tranquilla e …” “Non c'è” “Cosa?” Mercoledì si avvicinò a lui prendendolo per mano “Vieni” “Ma che …” “Padre vieni di là”.
Ci misero pochi minuti ad arrivare in camera di Ofelia, Pugsley cercava sotto i mobili, dentro gli armadi, ovunque un bambino così piccolo si sarebbe potuto infilare ma Ofelia non camminava nemmeno, aveva solo pochi giorni di vita, non poteva essere scesa dalla culla né poteva essersi nascosta da qualche parte “Ma che …” “Non c'è papà!” esclamò Mercoledì avvicnandosi alla culla “Non c'è? Come diavolo è …” “Ho cercato ovunque, non è da nessuna parte” “Non può essersi nascosta, non può aver …” “Gomez?” si voltò verso la porta incontrando il viso di sua moglie “Fester ti sta cercando, non riesce più a trovare le gemelle Amore e ha paura di …” “Hai portato Ofelia da qualche parte?” scosse leggermente la testa socchiudendo gli occhi “Sei sicura?” ma la culla vuota bastò a toglierle il respiro “Dov'è?” sussurrò tremante aggrappandosi al marito “Mercoledì corri di là, di a tuo zio di bloccare tutte le uscite, che si faccia aiutare da Lerch, nessuno esce da questa casa” la bambina corse fuori seguita dal fratello “Non preoccuparti, la ritroveremo. Ti prometto che tornerà a casa, guardami” le sollevò il viso sorridendo “Te lo prometto” “Gomez!” si voltò di scatto, Fester era corso nella stanza travolgendo il mobiletto accanto alla porta “Che … che è successo? Dov'è mia nipote?” “Hai chiuso tutte le …” “Lerch si sta occupando di tutto, le persone sono tutte nella sala grande, nessuno si muove di lì. Mercoledì e Pugsley stanno controllando il cimitero” “D'accordo” strinse più forte la mano della donna sospirando “Hai visto Leandro?” “Non lo vedo da ore fratello, credo che se ne sia andato” “L'hai visto uscire?” l'uomo sospirò scuotendo la testa “Sei sicuro?” ma il silenzio del fratello era già di per sé una risposta.
Non ci aveva messo molto a capire cosa fosse successo né perché.
Gli aveva portato via qualcosa di prezioso, qualcosa che apparteneva solo a lui e per questo meritava la morte, una morte violenta e massacrante, qualcosa di atroce perché nessuno poteva permettersi di toccare la sua famiglia.

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Capitolo 16
*** Sei ancora qui nel mio Cuore ***


            Sei ancora qui nel mio Cuore





Giorni interi passati a cercare, giorni lunghi come millenni che toglievano a sua moglie un po' di quella luce preziosa.
Avevano cercato ovunque, avevano chiesto aiuto perfino alla polizia ma nessuno era riuscito a dare loro una risposta decente così, i giorni diventarono mesi e i mesi si trasformarono in anni.
Anni lunghi e disperati che non facevano altro che aggiungere dispiacere ad un cuore che non poteva sopportare altro.
Le aveva fatto una promessa, le aveva promesso che la loro bambina sarebbe tornata a casa, che sarebbe cresciuta con loro, la stessa promessa anno dopo anno, la stessa stupida promessa che massacrava l'anima.
Sospirò perdendosi sul grigio violento delle nubi “Gomez?” non rispose, non si mosse nemmeno, a che scopo farlo? Conosceva bene quella voce “Dovresti mangiare qualcosa” “Morticia ha mangiato?” l'altro sospirò sedendosi di fronte a lui “Fino a quando non mangerà lei non lo farò nemmeno io” “Hai bisogno di riposare” “Ho bisogno di avere di nuovo la mia famiglia” “Hai la tua famiglia, è tutta qui con te” sorrise appena concentrandosi sul rumore dei tuoni “Mia moglie si sta spegnendo lentamente Fester, non mangia, a malapena dorme, passa ore intere a fissare il vuoto. I miei figli sono spaventati e confusi, non sanno cosa fare e sfogano la loro rabbia sognando cose vivaci e piene di colore ma ogni volta, si svegliano nel cuore della notte urlando perché quegli incubi fanno paura” “E non sei contento per questo?” “Mercoledì continua sognare Ofelia, la sogna vestita da bambolina con lunghi capelli biondi e un sorriso dolce come il miele sul viso” “Gomez …” posò una mano sulla spalla del fratello cercando di restituirgli un attimo di pace “ … tu sei il padre di famiglia, tu sei il punto fermo del loro mondo, devi riprenderti e alzarti in piedi” “Sbagli vecchio mio, non sono io il centro di questo mondo” inchiodò gli occhi ai suoi sospirando “È mia moglie il nostro punto fermo. È pacata, sicura di sé, ostinata, in qualche modo riesce a frenare la mia folle esuberanza e ora, ora è così indifesa e … e non so più cosa …” una lacrima gelida scivolò via dagli occhi costringendolo ad abbassare lo sguardo “Ho una figlia là fuori da qualche parte, non so come sta, non so se è ancora viva, se chiama papà un altro uomo e …” “Non abbiamo smesso di cercarla” “Sono passati tre anni Fester” “Non smetteremo di cercarla nemmeno tra otto anni o dieci o venti. Tornerà a casa vedrai” la mano stretta attorno a quella del fratello così forte da fargli male eppure, quello era l'unico contatto con la realtà.


“Credi che sia ancora viva?” “Non lo so” mormorò decisa infilando nello zainetto un libro di favole “Ma non possiamo aspettare così tanto. Mamma è distrutta, non sorride più” Pugsley annuì mesto passandole un rotolo di nastro adesivo “Papà continua a dire che tutto andrà bene, che riusciremo a trovarla ma non ci crede fino in fondo” “E come possiamo trovarla noi?” “Se Leandro è così stupido come credo non si sarà allontanato molto da qui” “Perchè?” “A che scopo rapire un bambino se poi non puoi mostrarlo con fierezza?” “Vuole giocare con papà” “Vuole farlo soffrire, vuole mostrargli Ofelia e fargli vedere quanto è più legata a lui” “Dovremo imparare da lui” asserì Pugsley infilando il cappotto “Non essere sciocco, perfino un bambino sarebbe in grado di farlo” “Dove la cerchiamo?” “A casa di Leandro” “Ma è disabitata” “Ma qualcosa lì dentro lo troveremo” “Bambini?” si voltarono entrambi verso la porta sospirando “Cosa state facendo?” “Giochiamo padre” “Non avete fame?” Pugsley scosse leggermente la testa cercando di sorridere “Coraggio, la nonna ha preparato qualcosa di buono e …” “Vorremmo solo giocare, possiamo?” sospirò annuendo appena “Non allontanatevi troppo chiaro? Niente incursioni nei parchi cittadini, è pericoloso” annuirono assieme aspettando di restare soli “Sei pronto Pugsley?” “Ehi, c'è mia sorella là fuori. Se per vedere di nuovo la mamma sorridere devo trovarla allora lo farò” si presero per mano e camminando lentamente uscirono nella nebbia, lontano da quella casa sicura che amavano da impazzire.

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Capitolo 17
*** Riportala Qui ***


                                       Riportala Qui




“Non hai mangiato niente amore mio” “Sto bene” sussurrò posando la forchetta “Morticia non …” “Ho detto che sto bene” sbottò gelida piantando gli occhi nei suoi “D'accordo” mormorò sfinito “D'accordo” tornò a concentrarsi sul piatto allontanando lo sguardo da lei perché quegli occhi ora così carichi di rabbia e paura facevano più male che mai.
Fester al suo fianco sospirò, lo sguardo si spostava continuamente da lei al fratello “Oggi … oggi è una bella giornata, possiamo andare a cercare zio Abner” “Ha cambiato tomba” mormorò la vecchia donna sedendosi accanto a lui “Fester l'ha annoiato talmente tanto che è scappato” “Oh andiamo! Gli ho solo raccontato un paio di storielle interessanti” “L'hai torturato con le tue stupide idiozie! Ecco perché ora vuoi trovarlo, per assicurati che tutte le sue ossa siano con lui” “Che ne dici Gomez?” ma lui non rispose, si limitò ad annuire fissando il piatto ancora pieno di sua moglie “Potremo cercare la sua tibia, la scorda sempre in giro” di nuovo nessuna risposta, solo un silenzio gelido e niente di più “Dove sono i bambini? Sono sicuro che loro si divertirebbero un sacco a cercare la tibia di zio Abner” “Stanno giocando” mormorò distratto “Non hanno tempo per tibie e scheletri” Morticia sospirò alzandosi, pochi passi prima di scomparire oltre le grandi porte ma questa volta no, non le avrebbe permesso di scappare così.
Si alzò di scatto, la sedia cadde per terra costringendo Fester e la donna a sobbalzare.
Ci mise pochi secondi a raggiungerla, la mano stretta così forte attorno al suo polso da farle male “Lasciami andare” “No! Mi hai sentito? No!” la strinse più forte spingendola contro il muro “Non ti lascio andare, non ti permetto di scomparire così!” sentiva la sua rabbia, la sentiva nel respiro accelerato, nei fremiti violenti di quel petto che si muoveva ansimante contro il suo “Ti ho fatto una promessa amore mio e cascasse il mondo la manterrò ma ho bisogno di te” “Mia figlia è là fuori da qualche parte! È sola e … è la mia bambina!” “Credi di essere l'unica a soffrire? Credi che questi anni passati abbiano ferito solo te?” “L'hai portata dentro per nove mesi?” si bloccò di colpo mentre gli occhi di sua moglie lo pugnalavano per l'ennesima volta “L'ho cullata per nove mesi! L'ho sentita muovere, ho sentito i suoi respiri Gomez e qualcuno me l'ha strappata via. L'ha portata via da me e non credo che quello che provo sia paragonabile a qualsiasi altro dolore perché fino a quando non proverai queste cose non puoi capirlo, ora lasciami andare!” ma la presa si rafforzo ancora di più attorno ai suoi polsi “Non ti lascio andare da nessuna parte, smettila di scappare, smettila di stare lontano da me perché non ce la faccio più. Ho bisogno del tuo amore, ho bisogno di te e …” “Vuoi il mio amore? Riportami mia figlia, allora avrai il mio amore” tirò violentemene il braccio liberando una mano “Non toccarmi, non parlarmi, non guardarmi, lasciami lontano da ogni tuo pensiero” ma quanto male faceva restare immobile mentre lei piangeva come una bambina.
Lacrime violente scatenate dalla rabbia, lacrime portatrici di parole che non pensava. Era arrabbiata, spaventata, così ferita nell'anima da cercare un modo per scappare da lui ma cosa poteva fare se non assecondarla? Lasciò scivolare la mano nel vuoto allontanandosi di un passo “D'accordo, d'accordo, se è questo che vuoi va bene ma ti prego, ti supplico …” riprese fiato cercando di sembrare il più naturale possibile “ … non trascurare la tua vita. Hai bisogno di riposare, hai bisogno di dormire e di mangiare amore mio, non puoi …” ma non l'ascoltava nemmeno più, gli passò affianco incurante del male che quel comportamento provocava in lui.




 

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Capitolo 18
*** Raggio di Malinconia ***


                                     Raggio di Malinconia





“Spostati, non riesco a vedere” “Aspetta” sussurrò Pugsley muovendosi leggermente di lato “Credi sia lei?” erano nascosti in quel cespuglio da ore ormai.
Immobili lì nel tentativo di riuscire a vedere qualcosa, come ci erano arrivati? Semplice logica, in casa di Leandro avevano trovato una lettera, era stropicciata e mezza bruciata ma pur sempre leggibile.
Arrivare fino a lì non era stato difficile, era la vecchia casa della famiglia Hools, cigolante e piena di spifferi e così lontana da casa loro da convincere i polizziotti a non cercare perché infondo, nemmeno loro ne erano a conoscenza.
Oltre il vetro c'erano persone allegre, persone che ballavano e Leandro.
Se ne stava in mezzo a quel mare di gente sorridendo, salutando con eleganti cenni del capo mentre stringeva arrogante un bambina tra le braccia.
Piccola e bella, con  i capelli raccolti sulla nuca e un vestitino nero con laccetti argento che scendevano sulle braccia e sulle gambe.
Se ne stava aggrappata a lui, con la testolina posata sulla sua spalla e gli occhioni che spiavano il mondo “Mercoledì, è lei o no?” “Assomiglia a mamma” sussurrò la piccola appiccicando il nasino alla finestra.
Aveva la pelle colorata di luna, così chiara e simile alla sua da rafforzare il legame fraterno che batteva nei loro giovani cuori.
Muoveva le mani come suo padre, lo stesso movimento impercettibile e frenetico, gli occhi, il taglio di quegli occhi, il modo di muovere le labbra “Quella è Ofelia” “Ne sei sicura?” “Non la vedi? È uguale a mamma” “Come la prendiamo?” Mercoledì sfilò dalla cintura il coltello ridendo “Secondo te?” “D'accordo” ma due mani  grandi e forti la tirarono indietro costringendola a rientrare nel cespuglio “Zio Fester?” “Credevate di scamparla così?” “Come ci hai trovato?” “Non siete bravi a nascondere le tracce. Che diavolo vi è saltato in mente? Lo sapete quanto dista casa?” “Abbiamo trovato Ofelia” “Non siate sciocchi” ma la mano della bambina si strinse attorno alla sua tirandola in avanti “Guarda!” Fester trasalì indietreggiando di un passo “Non è possibile” “Tu credi?” “Zio Fester, come possiamo essere sicuri che sia lei?” “Pugsley, è uguale a tua madre e ha gli occhi di tuo padre” si tuffò nel cespuglio assieme a loro sospirando “Dobbiamo portarla via da qui” “No bambini, non così” “Ma zio …” “Se entriamo lì dentro di colpo rischiamo di farlo scappare e non vogliamo niente del genere vero?” “Scapperà lo stesso” “Mano starà qui di guardia non è vero?” le dita della piccola mano picchiettarono allegramente per terra “D'accordo, ora torniamo, dobbiamo avvertire vostro padre” “Non lascio mia sorella qui dentro” esclamò indignata Mercoledì "Sta sorridendo! Non lascio mia sorella in un posto dove sono ammessi sorrisi!" “Torneremo a riprenderla” “Me lo prometti?” “Croce sul cuore bambina” un ultima occhiata e poi solo la nebbia della notte.


“Stai scherzando?” esclamò alzandosi di scatto “Ho l'aria di uno che scherza?” “Dove l'hai …” “L'hanno trovata i bambini” “Ma abbiamo cercato ovunque” “Nessuno di noi era a conoscenza di quella casa, l'ha ereditata dopo la morte di sua madre, era una vecchia proprietà in disuso” chiuse gli occhi ringraziando il cielo perché ora finalmente poteva dormire la notte. Aveva sempre creduto che la perdita di un figlio fosse il dolore più grande che la vita avesse mai creato ma quegli anni trascorsi nell'attesa, gli avevano insegnato un'amara lezione.
Non era la morte il peggiore dei mali ma vivere così, in quell'oblio di tormento, ignaro del futuro di tuo figlio, consapevole di poter ritrovare per caso il suo corpicino inerme e senza vita ecco, quello era il peggiore di tutti i mali.
Quel giovane corpicino che per nove mesi era stato il centro dei suoi pensieri, l'aveva ascoltato mentre diventava grande, mentre cercava il suo spazio nel mondo.
Era rimasto sconvolto dalla sua bellezza rivedendo in quel giovane volto se stesso ma quegli anni trascorsi insinuavano in lui un solo pensiero.
Un sibilo infimo dell'anima che ripeteva continuamente: Non ti affezionare all'idea di ritrovarla perché magari, potresti inciampare sul suo corpo domani mattina o dopo domani.
Pensieri che l'avevano sconvolto impedendogli di dormire, impedendogli di guardare sua moglie negli occhi e ora, dopo tutto quel tempo, la voce di suo fratello aveva dissolto di colpo anni e anni di terrore. 
“Gomez, ehi aspetta un secondo” “Aspettare? Ho aspettato per tre anni! Probabilmente mia figlia non mi riconoscerà, non abbraccerà sua madre perché è rimasta così tanto lontana da noi da …” le mani del fratello si strinsero attorno alle sue spalle bloccando quello scroscio convulso di parole “Non possiamo correre là dentro così perché altrimenti scapperà” “Sta bene?” Fester sorrise “Ti assomiglia” “Davvero?” domandò tremante nascondendo le lacrime “Avete la stessa espressione, ha il tuo modo di osservare il mondo e anche se è cresciuta così lontano da noi, nei suoi occhi c'è ancora quel leggero raggio di malinconia che aveva quando è nata” “Oddio” i singhiozzi ruppero il respiro mentre le braccia del fratello lo sorreggevano “Sta bene Gomez, è una bambina sana e forte di quasi quattro anni” ma sentiva solo il pianto del fratello e niente di più.
Lo strinse più forte perché quel dolore profondo era lo stesso che provava lui, certo, non così violento e massacrante ma comunque lo stesso.
“Devo dirlo a …” “Fratello, forse dovresti aspettare” “Aspettare? Fester mia moglie è distrutta, è diventata così silenziosa da spaventarmi, non mangia quasi mai, è sempre persa in pensieri cupi che amo da morire ma che non le danno tregua” “E non la farebbe soffrire ulteriormente sapere di averla così vicino e non poterla toccare?” “Toccare?” ripeté sfinito allontanandosi di qualche passo dal fratello “Sai da quanto non tocco mia moglie? Eppure ogni notte dorme con me, affianco a me e non mi permette nemmeno di sfiorarla, conosco  il dolore che si prova vecchio mio, lo conosco bene” “Gomez?” chiuse gli occhi qualche secondo sospirando “Va … va tutto bene?” domandò confusa avvicinandosi di qualche passo “I bambini sono strani, non giocano con i loro …” “Ofelia” la vide trattenere il fiato, la mano stretta così forte attorno allo schienale della poltrona per evitare di cadere “Ofelia?” “L'abbiamo trovata amore mio” “Sei … sei tu che … ” l'aveva a pochi passi, pochi stupidi centimetri che li separavano come un muro di cemento.
Dio come avrebbe voluto toccarla, stringerla così forte da toglierle il fiato ma aveva il terrore di farlo, aveva il terrore di sentirla urlare di nuovo “Fester l'ha vista, sta bene” la vide sospirare, chiudere gli occhi stringendo più forte le mani attorno allo schienale, la distanza si annullò di colpo.
Come un colpo di pistola improvviso quel leggerissimo gesto bastò a liberarlo dai blocchi.
la strinse tra le braccia impedendole di cadere al suolo perché se non l'avesse presa, sarebbe rimasto a fissare una donna disperata che piangeva sul pavimento gelido di quell'enorme salone “L'abbiamo trovata” sussurrò nascondendola tra le braccia, le era mancata, le era mancata da morire e averla di nuovo aggrappata a sé cancellava ogni altro pensiero “L'abbiamo trovata e ti prometto che tornerà qui con noi” sentiva il suo respiro sul collo e i singhiozzi violenti che le spaccavano il fiato “Non piangere amore mio, la riporteremo a casa” Fester annuì deciso ridendo “Vado a controllare i bambini, zio Abner può aiutarci, nessuno conosce la terra come lui” “Chi è rimasto …” “Mano” “D'accordo” strinse più forte sua moglie perdendosi nel suo profumo, faceva di tutto per restare calmo e tranquillo, se fosse impazzito lei sarebbe crollata ma sentirla piangere, sentirla tremare per qualcosa che non poteva controllare lo uccideva dentro “La riporteremo a casa” sussurrò a pochi millimetri dalle sue labbra “La riporteremo a casa”


 

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Capitolo 19
*** La mia vendetta è solo per Te ***


                                La mia vendetta è solo per Te




“Entrare da una finestra? È questa la tua grande idea?” Fester ridacchiò divertito facendo attenzione a non rovesciare il vaso dell'ingresso “La portiamo via di notte? Come diavolo ti è venuto in mente! Non credi che urlerà?” “Oh per favore, per quando saremo usciti da qui Leandro sarà sistemato, a cosa credi che serva l'arsenico?” scosse leggermente la testa sospirando.
La casa era buia e silenziosa, i pesanti candelabri dondolavano lentamente sotto le spinte leggere del vento notturno e sulle pareti vi erano appesi i più svariati ritratti di famiglia.
Seguì il fratello lungo il corridoio fino alle scale, un passo, un altro ancora poi la prima stanza, un letto vuoto e niente di più.
Aprirono trentacinque porte prima di arrivare a quella porta scura decorata con un fiocco d'argento.
La spinsero dolcemente in avanti, Gomez trattenne il respiro avvicinandosi a quel lettino nero di notte.
Era quella la sua bambina? Si portò una mano alle labbra tremando leggermente, aveva il visino dolcemente girato di lato, i capelli sciolti sul cuscino e una manina posata davanti al volto.
La stessa posizione che di notte si portava via i sogni della sua mamma.
“Sei tu la mia bambina?” sussurrò sfiorandole il viso, Ofelia aprì gli occhi togliendogli il respiro “Chi sei?” sussurrò quasi come se quella presenza in camera sua fosse normale “Sono … sono un amico” “Un amico di papà?” in quel momento, in quel preciso e maledetto momento il cuore sembrò fermarsi, come se una mano gelida si divertisse a scavargli nel petto alla ricerca di qualcosa di prezioso “Ofelia, io sono …” Fester alle sue spalle sospirò “ … sono tuo padre” la faccina della piccola si contrasse in una smorfia confusa “Ho già un papà” “No, no amore mio” “Perché?” si inginocchiò accanto al letto sorridendole “Ti ha portato via da me tanti anni fa” la piccola sorrise appena sollevandosi dal lettino “Mi porti dalla mamma?” “Cosa?” “La mia mamma” fissò confuso Fester mentre la voce di sua figlia gli massacrava l'anima “Papà mi ha detto che si sarebbe svegliata presto” “Svegliata?” strinse tra le manine una bambolina senza testa, la stessa che aveva Mercoledì, la stessa che Leandro aveva trascinato via dalla sua casa “Papà dice che le persone non dormono così tanto di solito ma la mamma è stata male, tanto male e ha dormito tanto ma ora è sveglia, non è vero?” “Ofelia …” mormorò Fester avvcinandosi a lei “ … sai come si chiama la tua mamma?” “Morticia” sussurrò “Papà dice che è bellissima, che ha la pelle come la mia e gli occhi scuri come la notte” “Tesoro, che ne dici se vieni con noi?” “Andiamo dalla mamma?” Fester annuì deciso allungando le mani verso di lei ma la porta della stanza si aprì lentamente e sulla soglia, immobile nella penombra c'era quell'uomo che tanto da un giorno all'altro, si era portato via la serenità della sua famiglia.
Papà” esclamò Ofelia ridendo, scivolò giù dal letto correndo verso Leandro “Che ci fai ancora sveglia?” domandò divertito fissando Gomez “Lo sai che ho un altro papà?” “Davvero?” la bambina annuì crucciata “Perché ho un altro papà?” “Perché sei speciale” “Lo so” esclamò orgogliosa “Allora signori miei, credevate davvero di poter entrare in casa mia e rapire mia figlia?” “Lei è mia!” ma le mani di Fester lo bloccarono lì impedendogli di scattare in avanti “Lei è tua? Ne sei proprio sicuro?” domandò divertito stringendo più forte la bambina “Lei non ti appartiene, non più” “Io ti ammazzo” “Vuoi chiederglielo?” si voltò leggermente di lato mostrandogli il volto di sua figlia “Ofelia, ricordi quando abbiamo parlato della mamma?” la piccola annuì decisa concentrandosi sul suo viso “Ricordi cosa ti ho detto?” “Che è bella come una notte senza stelle” “Esatto, ti ho detto che è bella, così bella da farmi innamorare ogni giorno ma che purtroppo, il mondo là fuori le ha fatto del male e lei si è addormentata” “Ma ora è sveglia”Si è svegliata apposta per te amore mio” le sfiorò il visino scostandole dagli occhi i capelli scuri “Ti va di vederla?” “Tu vieni con me papà?” fissò Gomez ridendo “Non mi pare che chiami te così o sbaglio” un sibio gelido, qualcosa di doloroso che montava la rabbia con una facilità estrema.
Fester rafforzò la presa impedendogli ogni movimento “No fratello mio, non puoi farlo” “Lasciami andare!” “Aspetta, lei …” “Lei è mia!” Ofelia sobbalzò stringendosi più forte all'uomo “Lei è mia! È mia Leandro! Nelle sue vene scorre il mio sangue, non sarà mai tua!” ma lui scoppiò a ridere prendendo la coperta dal letto “Andiamo a vestirci amore mio, tra poco incontreremo la mamma” una donna apparve sulla soglia “Portala in camera mia e vestila, fuori c'è freddo” le passò la bambina sorridendo mentre quella manina si muoveva leggermente nel vuoto salutandolo.
“Signori, devo ammettere che mi avete trovato prima di quanto immaginassi” “Ti giuro che …” “Che cosa?” sbottò gelido piantando gli occhi nei suoi “Che mi uccidi? Che ti riprendi Ofelia? Non mi fai paura vecchio mio. Lo sai …” si mosse leggermente in avanti posando le mani sul bordo del lettino “ … all'inizio non mi interessava granché di tua figlia, volevo solo portartela via perché tu mi avevi portato via la donna che amo ma è successo qualcosa qui” mormorò portandosi una mano sul petto “Mi sono affezionato a lei, non così tanto da farmi commuovere ma abbastanza per preoccuparmi se si sveglia la notte piangendo” “Perché?” “Perché lei è …” “Perché l'hai portata via! Potevi farmi soffrire in tremila modi diversi, potevi uccidermi, potevi torturarmi lentamente ma così …” riprese fiato cercando di controllare la rabbia “ … hai massacrato mia moglie Leandro! L'hai costretta a piangere, a tremare, a svegliarsi terrorizzata la notte. Io posso sopportarlo, potevo sopportarlo, potevo lottare con il dolore immenso che mi hai provocato ma così ...” “In che altro modo ti avrei costretto a piangere?” “Morticia non meritava tutto questo!” urlò scattando in avanti, le mani di Fester scivolarono nel vuoto lasciandolo libero.
Strinse le mani attorno al collo dell'uomo inchiodandolo al muro “Coraggio, uccidimi e poi dovrai spiegare a Ofelia come mai il suo papà giace a terra morto” la vocina allegra della bambina arrivò dal corridoio.
Avrebbe voluto ucciderlo, stringere le mani così forte attorno a quello stupido collo fino a quando non avesse sentito la vita uscire dalle sue labbra, ma c'era una piccola bambina di quattro anni appena che non meritava tutto questo.
Le mani scivolarono nel vuoto, si allontanò di un passo sospirando “Papà?” “Sei pronta?” annuì allegra girando su sé stessa.
Aveva indossato un vestitino grigio con un paio di scarpine nere lucide, i capelli dolcemente raccolti in una treccia ordinata che si appoggiava sulla spalla sinistra “Questi gentili signori ci accompagnano dalla mamma” “Davvero?” domandò estasiata avvicinandosi a Gomez “Mi accompagni dalla mamma” “Io …” fece un bel respiro ricacciando indetro la voglia folle di abbracciarla “ … si, ti accompagno dalla mamma”.


L'inferno, una tortua violenta, tutto ma non quei minuti lunghi e dolorosi. Camminava lentamente lungo il corridoio, alle sue spalle Leandro con una piccola umana così bella e perfetta da togliere il respiro.
Gli camminava affianco stringendogli la mano e canticchiando di tanto in tanto una canzone lontana, qualcosa che lui ignorava.
Spinse le porte del salone, Morticia si voltò di colpo trattenendo il respiro. Vide il viso della piccola aprirsi in un sorriso meraviglioso, lasciò la mano dell'uomo correndole incontro.
Secondi lunghi come ore intere poi quella parola urlata nel silenzio “Mamma” le braccina si chiusero attorno a lei costringendola a sorridere “Oh mammina, mi sei mancata tanto lo sai? Papà dice che ti sei svegliata” la strinse più forte rialzandosi in piedi “È così mamma? Ti sei svegliata?”.
Aveva tra le braccia la sua piccola e perfetta bambina, aggrappata a lei con la testolina sulla sua spalla e le braccia strette così forte attorno al suo collo da toglierle il respiro.
La staccò dolcemente da sé sfiorandole il volto, ne seguiva i lineamenti cercando di trattenere le lacrime, lei che non piangeva mai, lei che restava calma e serena anche nei momenti più difficili “Hai fatto un buon viaggio? Ti sei divertita con papà?” “Sei bella mamma” sussurrò tremante Ofelia sfiorandole il viso con la manina “Papà mi aveva detto che saresti tornata da me” si voltò confusa verso Gomez ma lo vide abbassare lo sguardo mentre l'uomo alle sue spalle rideva compiaciuto “Stai bene ora? Non ti addormenti più?” Leandro sorrise avvicinandosi a loro “Che ti avevo detto? Non è bella?” “Hai mantenuto la tua promessa papà” Morticia trasalì inchiodando gli occhi al viso del marito “Vuoi vedere i miei giochi mamma?” “I tuoi giochi?” “Raggio di luna, che cosa mi sono raccomandato?” “Ma papà …” “La mamma si è appena svegliata, se le fai troppe domande …” “Va bene così!” esclamò gelida piantando gli occhi sul viso dell'uomo.
Quello sguardo violento gli entrò nell'anima costringendolo ad indietreggiare di un passo “Può farmi tutte le domande che vuole e non sarai di certo tu a cambiare le mie parole” “Non ho mai detto questo” sussurrò tagliente sfiorandole una spalla, indietreggiò di colpo costringendo Gomez ad avvicinarsi di un passo “Credo che tu debba lasciare a Ofelia il tempo di conoscere sua madre” “Credo che mia figlia sia più che sicura di volere il suo papà vicino” la bambina annuì appena voltandosi verso di lui “Puoi restare con me papà? Non voglio che tu vada via” “Non vado da nessuna parte raggio di luna” Gomez sospirò trattenendo il fiato e senza aggiungere un parola uscì dalla sala lasciandoli soli.



Aveva spaccato trecento piatti di cercamica, massacrato più di ottanta statue e non ricordava più nemmeno quante volte Lerch aveva raccolto da terra cocci di ceramica.
Cercava un modo per sfogare la rabbia, per costringere il cuore a buttare fuori il veleno di quell'uomo ma più ci provava e più il cervello si attaccava alla razionalità.
“Ci sono ancora quelle del giardino” continuava a prendere a martellate il busto di marmo senza curarsi di quella voce apparsa dal nulla “Gomez” ritrasse violentemente il braccio lasciando la mano di sua moglie a mezz'aria, negli occhi la confusione e la paura “Perché sei qui?” “Sei impazzito?” “Tua figlia è di là! L'ho riportata a casa e ora il minimo che puoi fare è passare del tempo con lei” “Tu non …” “Non ha bisogno di me, chiama papà un altro uomo! Non posso toccarla, non posso stringerla o baciarla e lui se ne vanta! La regge come un trofeo giocandoci!” un'altra violenta martellata sulla pietra chiara “Mi prende in giro usando il mio dolore e per cosa? Per mostrarmi che in realtà hai fatto la scelta sbagliata?” “Di che scelta stai parlando?” “Non era lui l'uomo che avresti sposato se non ci fossimo mai incontrati?” sospirò scuotendo leggermente la testa “È di questo che ti ha parlato? È per questo che sei così arrabbiato?” “Perché non me l'hai mai detto!” “Ti avrebbe fatto bene saperlo?” si voltò leggermente di lato incontrando i suoi occhi “Non è la mia famiglia, non sarà mai la mia famiglia” “Lui ha rubato mia figlia, mi ha rubato i suoi respiri, la sua vivacità, l'ha trasformata in qualcosa di strano e spaventoso. Cosa sono quei sorrisi? Cos'è quel bisogno violento di essere abbracciata?” “Sono passati tre anni, è tanto tempo, le persone cambiano e lei non è diversa da ogni altro essere umano” “Beh dovrebbe esserlo” esclamò gelido tornando a concentrarsi sulla pietra “Gomez tu …” “Vai di là” “Cosa?” “Vai via di qui, va da lei, dalle la possibilità di conoscerti perché sei l'unico legame con il passato che le resta” “Vieni con me” sussurrò stringendosi nelle spalle “Vieni di là con me e insieme le racconteremo la verità” “E sconvolgere di nuovo il suo mondo?” urlò lanciando la mazza contro le finestre, il vetro si frantumò di colpo costringendola a sobbalzare “Vattene di qui, è meglio per tutti” la vide tremare, cambiare di nuovo alla velocità della luce, i suoi occhi, la posizione severa a cui costringeva le labbra.
Fece un bel respiro cercando di tornare la donna stupenda di sempre anche se dentro bruciava un dolore infinito.
Raccolse ogni briciolo di forza per costringere le gambe a muoversi e senza aggiungere una parola uscì dalla stanza lasciando solo un uomo distrutto dietro di lei.


 

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Capitolo 20
*** Ancora Silenzio ***


                                                                         Ancora Silenzio




Non si muoveva, a malapena riusciva a pensare. Era perso in qualcosa, qualcosa di simile ad un sogno, qualcosa di sfocato e lontano che brillava davanti agli occhi.
C'era freddo, sentiva le dita tremare leggermente, vedeva il proprio respiro prendersi gioco dell'aria condensandosi in nuvole leggere.
Non ricordava nemmeno più da quanto tempo fosse lì fuori, da quanto osservava la lapide dei suoi genitori, riusciva a sentire il suono del carillon, le note leggere che perforavano il silenzio, ne poteva quasi sfiorare l'argento lucido del coperchio, poteva toccare il vestito di quella ballerina che incurante dell'ora, del tempo o del freddo, volteggiava su sé stessa.
Sorrise appena mentre una lacrima insolente scivolò via dagli occhi. Aveva davvero commesso un errore? Cos'aveva fatto per meritarsi tutto quel dolore? Era colpa dell'amore? Della vita o semplicemente uno stupido scherzo del destino? Forse era così, forse aveva sbagliato, forse aveva donato troppo amore ai suoi figli, a sua moglie. Non avrebbe dovuto farlo, in fondo è così che si sbaglia no? A volte per il troppo amore la ragione diventa cieca, perde il contatto con la realtà mascherando cose, bruciando verità e costringendo il cuore ad una vita piena di menzogne.
Quale verità c'era in tutto quello? Che colpe aveva lui? Ci aveva pensato tanto forse troppo.
Per quanto si sforzasse di accettare quella nuova dimensione dentro alla quale era costretto, la mente tornava continuamente indietro a quella cameretta decorata con splendidi arazzi tetri e macrabi, a quella culla dove riposava una minuscola streghetta dagli occhi magnetici.
Stupidi giochi di un cuore troppo stanco per lottare ancora, non l'avrebbe fatto, non avrebbe costretto Ofelia a niente di diverso dalle sue scelte perché non avrebbe sopportato la visione di quel faccino sorridente che cercava senza sosta un padre fantoccio.
Amava la sua bambina, la amava così tanto da piangere in silenzio in un cimitero gelido, l'amava così tanto da scegliere la solitudine, lo sconforto che poteva arrivare dai lunghi giorni separati, l'amava così tanto da rinunciare a lei, da allontanare violentemente l'unica donna che amava perché lei non meritava niente del genere, perché era la sua mamma, la sua bellissima mamma che aveva aspettato fin da quando la sua giovane mente rubò il pensiero di quel sonno profondo; mera consolazione la solitudine, come sarebbe sopravvissuto? Come avrebbe fatto a non impazzire senza sua moglie? Era lei il centro del suo mondo, lei che sceglieva il suo umore, lei che giocava con i suoi pensieri avvinghiandolo sempre di più a quell'anello d'argento che molti anni prima l'aveva consacrata a lui.Fece un bel respiro chiudendo qualche secondo gli occhi, ancora una nota, ancora silenzio.

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Capitolo 21
*** Non sei mia Sorella ***


                                          Non sei mia Sorella




“Chi sei?” esclamò allegra Ofelia con gli occhioni inchiodati al viso di Mercoledì.
Se ne stava appoggiata allo stipite della porta con le braccia conserte incurante di quel faccino curioso che ne spiava le espressioni.
Osservava guardinga la sorella cercando di capire da dove arrivasse quel sorriso così uguale a quello di sua madre eppure tanto diverso.
Ofelia era la quinta essenza della diversità, le labbra sempre schiuse come se d'improvviso la magia potesse apparirle davanti, aveva gli occhi di suo padre, i lineamenti del suo viso addolciti dalla bellezza di sua madre.
Assomigliava così tanto a lei da farle paura eppure, era così diversa e lontana da confonderla.
“Chi sei?” ripeté divertita fermandosi a pochi passi da lei “Tua sorella” mormorò secca “Sei Mercoledì! Papà mi ha raccontato di te” “Papà?” la piccola sorrise voltandosi leggermente verso Leandro “Quello non è tuo padre” “Perché no?” “Tuo padre è nella sala degli specchi a rompere cose per colpa tua” il visetto di Ofelia si colorò di confusione, una piccola ruga prese vita tra gli occhi, la stessa che infastidiva Gomez quando pensava a qualcosa di importante “Perché?” Mercoledì sbuffò voltandosi dall'altro lato ma Ofelia la seguì lungo il corridoio continuando a chiedere sempre la stessa cosa “Sei una mocciosa!” esclamò gelida voltandosi di colpo “Sei una piccola bambolina colorata e sorridente! Sei allegra, sei diversa, fai domande!” “E questo è un male?” domandò tremante indietreggiando di un passo “Leandro non è tuo padre, non assomigli a lui, non hai i suoi occhi, non hai le sue labbra” più cercava di mantenere la calma e più la rabbia la costringeva ad urlare perché suo padre era chiuso in quella stanza da ore a spaccare cose, ad urlare e maledire il mondo “Ti ha portata via da questa casa tre anni fa, ti ha cresciuta lontano da mamma e papà e dopo tutto questo tempo, dopo tutto il dolore che hai provocato in mio padre vieni qui e ridi, giochi, abbracci mia madre fingendo che tutto sia normale” “Ma papà è … non volevo far piangere il tuo papà” “Stupida …” esclamò gelida avvicnandosi a lei “ … mio padre è anche tuo padre. Credi che ci assomigliamo così tanto per caso? Tu sei uguale a mio padre” “Mercoledì …” si voltò di colpo incontrando gli occhi di sua madre “ … non così tesoro” “Ma madre …” “Non puoi pretendere che si ricordi le cose, non così” posò le mani sulle spalle della figlia stringendola appena “Tuo fratello ti sta cercando” “Può aspettare” esclamò tagliente “Sei sicura? Tuo padre ha appena comprato degli elettrodi nuovi per la tua macchina” “Ho detto che può aspettare” le sfiorò il viso seguendone i contorni poi dal nulla quella vocina tenera “Mamma?” sussurrò terrorizzata Ofelia “Posso chiamarti mamma?” si inginocchiò davanti a lei sorridendo “Perché non dovresti?” “E posso chiamare papà il mio papà?” ci mise qualche secondo a tradurre i pensieri in parole ma alla fine uscì qualcosa di simile ad una frase “Non credo che sia il momento di parlare di queste cose, che ne dici se andiamo di là a mangiare qualcosa?” la prese per mano rialzandosi “Mercoledì, vuoi chiamare tuo padre?” la ragazzina annuì leggermente allontanandosi lungo il corridoio scuro “Perché è arrabbiata con me?” “Non è arrabbiata con te ma con il mondo” la manina di Ofelia si strinse alla sua e assieme si incamminarono verso la grande sala da pranzo.


“Non ti piace?” “È buono” esclamò allegra mentre Leandro le puliva le labbra “Mamma, tu non mangi?” tremò leggermente risvegliandosi da quel dolce tepore “Non ne vuoi un po'?” “No, no grazie” “Perché?” domandò crucciata posando la forchetta “Ofelia tesoro, non è educato lo sai” “Ti ho già detto di smetterla!” esclamò gelida piantando gli occhi nei suoi “Andiamo, è questo l'insegnamento che dai a nostra figlia?” “Nostra?” gli occhi si colorarono di gelo ma lui sorrise “Cosa vedi di nostro in lei?” “Non lo so. Forse la forma degli occhi?” la porta si aprì sbattendo di colpo contro il muro.
Mercoledì si avvicinò lentamente al tavolo sedendo affianco a sua madre “Che ne dici signorina? Non trovi che Ofelia abbia preso da tua madre?” “Amore, dov'è tuo padre?” “Non vuole mangiare” “Perché?” mormorò confusa la piccola ma la risposta di Mercoledì arrivò violenta e secca come sempre “Per colpa tua” la bambina trasalì lasciando cadere la forchetta nel piatto “Le permetti di parlare così? Oh già, dimenticavo, sei figlia di tuo padre” “Esattamente quanto lei” Morticia sorrise appoggiandosi allo schienale della poltrona.
Vedere Leandro trattenere il fiato davanti alle parole di sua figlia era la cosa più bella del mondo “Piccola ingrata, non hai idea dell'errore che stai facendo!” “Perché?” domandò ironica “Hai intenzione di rapire anche me? Non sei molto sveglio Leandro” “E lo dimostra il fatto che ci avete messo tre anni a trovarmi non è vero?” ma la ragazzina non indietreggiò di un centimetro.
Non aveva mai avuto paura delle sfide, amava alla follia i giochi di potere e amava giocare con le menti delle persone, era la cosa che più la divertiva ed era quello di cui era più orgoglioso suo padre “Hai rubato da questa casa un gioiello Leandro. Hai rubato una bambina di rara bellezza e invece che modellarla, invece che plasmarla e creare qualcosa di unico, l'hai trasformata in una marmocchia sorridente e piena di vita. Cosa c'è di intelligente in tutto questo? Tua madre si rivolterebbe nella tomba” “Mercoledì Addams ...” esclamò divertito accavallando le gambe “ … sei la degna erede di tuo padre” “E tu?” mormorò abbozzando un leggerissimo sorriso “Sei il degno erede del tuo?” una smorfia a metà tra il rancore e la rabbia colorò lo sguardo dell'uomo “Tu insulti mio padre, lo umili, lo costringi a soffrire ma in realtà non fai altro che condannare te stesso a qualcosa di diverso e orribile” “Davvero?” “Vuoi sapere cosa?” ma la mano di Morticia sulla sua spalla trattenne Mercoledì impedendole di sferrare quell'ultima coltellata in pieno petto “Così, è questo il tuo cane da guardia?” “Questo è il gioiello che sarebbe potuta diventare Ofelia” la bambina continuava a seguire quel discorso confuso e strano spostando l'attenzione una volta su di lei e una volta sul padre “Ofelia non è nostra Leandro” si appoggiò leggermente al tavolo concentrando tutta la rabbia che aveva nello sguardo “Ofelia è mia! Il suo cuore, il suo respiro, la sua pelle, ogni cosa di lei appartiene a me e a Gomez” “Sei così …” “Arrabbiata?” “Stavo per dire bella ma se ti piace di più sì, sei arrabbiata” “Consideri tua mia figlia perché non avresti mai potuto averne da me. Mi hai strappato Ofelia per fare del male a mio marito, per costringerlo a soffrire. Vuoi il suo posto al centro del mio mondo ma il centro del mio mondo è Gomez e non importa quanto male tu mi faccia, non sarai mai il mio amore così come non sarai mai suo padre!” esclamò picchiando con forza il pugno sul tavolo ma la mano dell'uomo si chiuse con forza attorno al polso tirandola in avanti “Vogliamo scommettere?” “Ti ho già detto di non giocare con il fuoco” Mercoledì sorrise posando entrambe le mani sul tavolo “Il fuoco mi diverte” “Il fuoco ti brucia” gli occhi illuminati dal bagliore di quella lama, proprio lì, proprio affianco al suo collo “Quando hai imparato ad usare i coltelli? Sei veloce Morticia lo sai?” “Quand'è stata l'ultima volta che hai usato il cervello?” “Papà?” sussurrò terrorizzata Ofelia posando una manina sul suo ginocchio “Non preoccuparti, va tutto bene piccola. mamma e papà stanno giocando” una seconda lama prese posto accanto alla prima costringendolo a sorridere “Lascia andare mia madre” rafforzò la presa tirandola più forte, il coltello si schiacciò contro la pelle delicata della gola e una sottile scia di sangue ne solcò la lama “Credi che mi spaventi un po' di sangue?” domandò ironico ma Mercoledì rafforzò la presa attorno al manico posando la mano libera su quella dell'uomo “Lascia andare mia madre o giuro che ti stacco le dita una per una” “Tesoro, sei sempre troppo gentile” sussurrò divertita Morticia “Lo sai che a tuo padre questa cosa non piace” concentrò di nuovo lo sguardo sull'uomo sorridendo “Hai cinque secondi per lasciarmi andare o giuro su mia figlia che ti taglio la gola” “Su quale delle due?” “Papà” la presa si allentò di colpo restitendo ai loro corpi la dovuta distanza.
Ofelia si era aggrappata alle gambe di Leandro nel tentativo folle di fermare quell'incubo “Scusa piccola, non ti avevo sentito” “Perché litigate!” “Non stiamo litigando, stiamo amabilmente discutendo” la prese in braccio ridendo “Che ne dici se andiamo a fare una passeggiata di fuori?” si allontanò da loro con la piccola tra le braccia lasciando dietro di sé solo una pesante scia di ironia.


 

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Capitolo 22
*** Lividi ***


                                                          Lividi





“Vieni con me” “E farmi prendere in giro da quella specie d'uomo? Scordatelo!” “Gomez è solo …” “Ti ho già detto di no” urlò lanciando all'aria il tavolino davanti a sé. La donna sospirò schiacciandosi contro il muro di pietra, lontano da lui, spaventata da quella reazione violenta che l'aveva sempre attratta ma che ora, aveva assunto la pericolosa forma di una depressione, qualcosa di profondo che non sarebbe mai riuscita a sconfiggere “Sei … arrabbiato con me?” si voltò leggermente verso di lei perdendosi in quegli occhi che gli mancavano da morire “Va bene così amore mio, puoi arrabbiarti con me, puoi urlarmi contro o lanciare cose se …” “Non è colpa tua” sussurrò sfinito “Non sono arrabbiato con te” “Gomez è …” “Ho detto che non sono arrabbiato con te!” provava a controllare ogni dannato sentimento, ci provava davvero ma stava urlando, stava lanciando all'aria ogni cosa nel tentativo disperato di zittire la rabbia ma più ci provava e più otteneva l'effetto opposto.
La vide sorridere mestamente abbassando lo sguardo mentre si stringeva al sicuro nelle spalle.
Perfino così poteva sentire la sua paura, la solitudine e quel bisogno violento di amore che ne massacrava i sogni ma non riusciva nemmeno a sfiorarla, non riusciva a toccarla o a baciarla perché ogni volta che pensava a lei il volto di Leandro prendeva forma davanti agli occhi “Giurami che non hai mai pensato a lui in tutti questi anni” “Cosa?” “Giurami che non è cambiato niente, che mi ami ancora, che resterai qui con me e non scapperai via” “Sei impazzito?” mormorò tremante avvicinandosi a lui ma Gomez indietreggiò aumentando quella distanza che faceva più male di un pugnale piantato nel cuore “Sei legata a lui Morticia, hai un passato con lui” “Ho qualche anno di vita assieme a lui ma non è lui quello che amerò la notte, non è lui il padre dei miei figli e non è lui che ho scelto a quel funerale” “Vattene di qui” “Gomez tu …” “Vai via, non voglio che la mia rabbia intacchi anche il tuo sorriso, vattene” annuì leggermente chiudendosi la porta alle spalle, lontano da lui, lontano da tutto quello che gli passava nel cuore.


Una giornata lunga un anno intero, ore passate a fingere che tutto fosse normale, che quella piccola umana che le camminava per casa era sua figlia e non il frutto di qualche strano esperimento e poi le risate di Leandro, la sua presenza viscida e costante e ora, nella penombra della stanza, cercava un modo per cancellare dalla mente ogni pensiero.
Sfiorò con la mano sinistra il polso, sulla pelle chiara c'erano linee violente, linee scure che ne tagliavano a metà il candore.
Un livido marcato che ora, dopo due giorni si divertiva a tormentarle la pelle ferendola ogni volta che la seta leggera dell'abito lo sfiorava.
Non era il male fisico a massacrarla ma il dolore violento che quelle linee provocavano nel cuore.
“Sei ancora sveglia?” annuì leggermente, gli occhi persi sulla pioggia che batteva frenetica oltre i vetri mentre la distanza violenta che avevano creato tra loro li uccideva lentamente “Stai bene?” si voltò verso di lui sospirando “Perché sei ancora sveglio?” “Avevo bisogno di riflettere” mormorò sedendosi sul letto “Riflettere?” “Pensavo che forse per il bene della bambina dovresti andare con lei” “Fingerò che tu abbia giocato con le bambole di Ofelia” “Non sto scherzando, per il suo bene dovresti farlo” “Oh smettila” voltò il viso dall'altro lato tornando a concentrarsi sulla pioggia “Ho mantenuto la mia promessa, l'ho riportata da te, non buttare via tutto, non lasciarla andare di nuovo con lui perché la perderai” “Non è più tua figlia?” si voltò confuso verso di lei sospirando “Cosa mi sono persa? Da quando è diventata solo mia figlia?” “Non è questo, solo …” “No” esclamò sollevandosi dal cuscino “No ok? Non è così che lo faremo, non è questo il futuro che abbiamo immaginato e non è così la sua vita” “Vita? Che vita può avere qui? Non sono suo padre, non mi chiamerà mai così, perché ora dovrebbe essere diverso?” “Perché sei suo padre! Sei l'uomo che le ha dato la vita, non lo vedi quanto ti somiglia?” si scostò dagli occhi i lunghi capelli corvini, il pizzo scivolò leggermente di lato costringendolo a trattenere il fiato “Non allontanarla da te, non allontanarti perché temi di farle del male perché …” ma tremò di colpo quando la mano di suo marito si strinse con forza attorno al polso.
Le dita sfioravano delicatamente la pelle scorrendo sull'avambraccio “Cosa sono?” “Cosa?” mormorò distratta tornando a concentrarsi sul suo viso “Questi segni viola, cosa sono?” “Solo uno stupido incidente” “Non sono stato io” “Gomez ...” “Ricordo ogni segno che ti lascio, ogni bacio, ogni centimetro della tua pelle ma stai tremando, sento il tuo polso tremare e questo vuol dire che ti fa male” sorrise sfiorandogli il viso con la mano libera “Sto bene” “Chi è stato?” ma il silenzio era già di per sé ua risposta “Io lo ammazzo” “Gomez è solo un livido” “Perché non me l'hai detto!” urlò voltandosi di scatto verso di lei “Perché non sei venuta da me e …” “Perché aggiungere preoccupazione alla tua mente ora non è un bene!” “Stai scherzando?” si inclinò leggermente verso di lei sfiorandole le labbra con le dita, una carezza leggera, la prima dopo giorni di silenzio “Te l'ho detto mille volte, se qualcosa ti fa del male voglio saperlo!” “Niente mi ha fatto del male” “Quei segni non sono niente!” “Quei segni non sono importanti” “Tu sei importante!” sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra “Sei importante per me! Sei la mia vita e se qualcosa ti fa del male lo voglio sapere” ma lei non rispose, si limitò a sospirare stringendosi nelle braccia “Credi che non mi importi di te? Credi che vederti mentre soffri e cerchi di sorridere mi faccia stare bene?” “Ma io sto bene” esclamò gelida piantando gli occhi nei suoi “Sono qui, sono qui e provo a parlarti, a riavere indietro l'uomo di cui mi ero innamorata tanto tempo fa ma tu sei così … sei …” “Diverso? Diverso da Leandro?” “Ancora?” ripeté stizzita alzandosi dal letto “Questa è la tua preoccupazione? Che io ti lasci? Che scappi assieme a lui?” “Perché non dovrebbe essere una preoccupazione? In fondo hai un passato assieme a lui, non saprei cosa aspettarmi!” “Smettila” infilò la vestaglia scura passando a pochi centimetri da lui “Dove vai?” “Da quando sei così preoccupato?” sbottò gelida sbattendo la porta.
Avrebbe voluto correrle dietro, stringerla tra le braccia e dimenticare il resto ma tutto quello che riusciva a fare era sussurrare al silenzio “Da quando sei così diversa amore mio
”.

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Capitolo 23
*** Paura ***


                                                                                           Paura




Non sapeva nemmeno lei perché fosse lì, per quale stupido motivo lo cercava nelle stanze buie della casa, perché ne seguiva i movimenti, sapeva solo che era giusto così, che c'era un uomo addormentato nel suo letto che amava da morire e per quell'amore, avrebbe sistemato le cose perché altrimenti, quell'incubo orrebdo non avrebbe mai avuto fine.
“Sei ancora sveglia?” “E tu sei ancora qui?” sibilò gelida chiudendo la porta della sala. Lo scatto della serratura scatenò in Leandro un sorriso enorme.
Il vento fresco entrò dalle finestre accarezzando le tende pesanti, giocando con le ombre e le luci che le fiamme delle candele disegnavano sul muro “Vuoi spaventarmi?” domandò divertito sollevando lo sguardo dalle pagine del libro ma lei non rispose, si incamminò tranquillamente verso il camino acceso. Gomez amava quella sala, era scura e piena di buio, amava decorarla con spade e pugnali dalle lame scintillanti.
Quante volte erano rimasti chiusi lì dentro a giocare, a fingere duelli infiniti solo per potersi appartenere, per potersi amare lontano da tutto e tutti.
Sorrise posando la mano sull'elsa della spada accanto al pilastro di marmo “Credi davvero che sia la paura che riceverai da me questa sera?” “Sto già tremando” rispose l'altro mostrandole una spada già al sicuro tra le sue mani“Non ho pietà solo perché sei una donna” “Non chiedo pietà perché sono una donna” “Questo rende tutto più interessante” si alzò lentamente dalla poltroncina, il libro scivolò sul pavimento e il vento ne scompigliò le pagine mischiando parole e immagini.
Le lame si incrociarono lentamente, sul volto dell'uomo prese vita un sorriso meschino, falso, menzognero come lo era stato il suo amore per lei, per quel passato che continuava a riportare a galla e che non aveva nessuna importanza. “Non giocare con me, non puoi farlo” “Non sto giocando” sussurrò divertita “Non lo farei mai” “Vedi? È questo che amo di te. Riesci ad essere così maledettamente calma e razionale anche quando una spada taglia la tua bella pelle” la punta passò a pochi centimetri dai fianchi della ragazza costringendola ad indietreggiare di un passo “Sei veloce” “Davvero?” sussurrò ironica “Forse mio marito non è poi così male come credi, forse mi ha insegnato più cose di quanto immagini” “Lo hai salutato?” la vide tremare leggermente “Non preoccuparti, non ti ucciderò dolcezza. Ferirò leggermente il tuo meraviglioso corpo e ti lascerò abbastanza viva per vedere i tuoi figli e tuo marito mentre mi implorano per vivere” di nuovo un colpo violento, di nuovo le lame incrociate e quell'aria tesa e violenta tra loro.



Era solo un sogno, uno stupido sogno che si era insinuato nel riposo. Si voltò leggermente di lato allungando una mano verso di lei ma c'era solo aria e una coperta dolcemente spostata di lato.
Sorrise passandosi una mano in viso. In fondo, quella semplice routine era confortante, la conosceva così bene da immaginarne ogni passo, ogni respiro.
Si alzò lentamente, quasi come se l'incanto di quella notte si potesse rompere di colpo, frantumarsi come avevano fatto tutte le sue certezze nei giorni passati.
Ci aveva messo pochi minuti a vestirsi e meno ancora ad immaginare cosa stesse facendo sua moglie “Fratello” diede una pacca sulla spalla di Fester sorridendogli “Come mai sei in giro a quest'ora?” “Non ne ho idea” “Non giri mai per la casa alle tre di notte. Tua moglie lo fa, ma lei è autorizzata a farlo” “Davvero?” domandò divertito seguendo il fratello lungo il corridoio “Lei è autorizzata a fare qualsiasi cosa Gomez. Parlare con gli spiriti, passeggiare per le tenebre e cercare soluzioni a problemi che tu non vuoi risolvere” “Come farei senza di lei?” “Moriresti” sbottò ironico aprendo una porta “Moriresti senza nemmeno aver il tempo di pensare a qualcosa di sensato” “Hai ragione, morirei” fece un bel respiro cercando di allontanare quel pensiero orrendo “I bambini sono diventati più furbi vecchio mio, hanno imparato a dissotterrare tombe con una precisione tale da far impallidire zio Abner e credimi, più pallido di così non è possibile diventare” scoppiò a ridere sedendo di fronte a lui “Pensi che sia possibile?” “Che cosa?” “Vivere senza amore” “Non sono la persona adatta per rispondere Gomez” “Lo so è solo … stavo pensando” “All'amore?” “A lei” lo sguardo del fratello si fece d'improvviso più concentrato “Non riesco più a parlare con lei, con la sua anima. Mi bastava guardarla negli occhi per districare ogni pensiero ma ieri notte, nei suoi occhi c'era qualcos'altro” “Paura?” scosse leggermente la testa sospirando “Era diversa, tutto di lei era diverso, il suo sapore, i suoi baci, i suoi respiri. Era come se mi stesse dicendo addio” “Non essere sciocco, forse era colpa della distanza che in questi giorni vi ha separato. L'hai detto tu, da quanto non la toccavi?” “Forse hai ragione” sorrise appena mentre un visetto assonnato appariva di colpo davanti ai suoi occhi “Ciao bambina mia, che ci fai ancora sveglia?” “Dov'è la mamma?” Fester sorrise al suono di quelle parole innocenti che la sua nipotina amava da morire “In giardino amore mio. Lo sai che a quest'ora di notte ama il colore della luna” “Non c'è” “Cosa?” “Sei sicura Mercoledì?” “Non c'è zio. Sono stata in giardino poco fa e lei non c'è” “D'accordo …” sussurrò Gomez posando le mani sulle spalle della figlia “ … ora torni a letto, io vado a cercare tua madre e non appena la trovo la accompagno da te” “Promesso?” le sorrise annuendo leggermente “Lerch, accompagnala in camera sua” il maggiordomo annuì goffamente prendendo in braccio la bambina “Come può …” “Non lo so” sussurrò voltandosi verso Fester “Andiamo a cercarla” mormorò Fester e senza più aggiungere una parola, seguì il fratello lungo il corridoio.


L'aveva cercata ovunque, nel cimitero, nel giardino, in quella stanza che amava da morire e perfino nella serra ma di lei non c'era traccia.
Una porta, un altra ancora nel tentativo di tranquillizzare quel battito violento che iniziava a prendersi ogni suo stupido pensiero “E se la cercassimo nel salone al primo piano?” “La sala preferita della mamma” “Esatto, nostra madre se ne era innamorata, è lì che mamma ha dato il benvenuto a tua moglie nella nostra famiglia” “Perché dovrebbe …” “Ho finito le idee Gomez!” “D'accordo” salirono assieme la scalinata cercando un solo motivo per cui lei potesse essere lì ma la porta chiusa a chiave non contribuì a rallentare il battito del cuore “Apri la porta!” Fester accanto a lui picchiava violentemente il pugno sul legno scuro nel tentativo folle di rompere quella dannata barriera.
Sentiva i colpi violenti delle lame e la voce divertita di Leandro “Apri la porta! Ti prego apri questa dannata porta!” ma più implorava e più distingueva nitide e chiare le risate di Leandro e i sospiri della sua bellissima moglie che era così dannatamente testarda da non curarsi di lui “Come la apriamo?” “La facciamo saltare” esclamò deciso Fester “Se le fa del male io …” “Fratello!” sollevò lo sguardo incontrando gli occhi dell'uomo “Lo so che sei spaventato ma ora dobbiamo entrare qui dentro!” “Credi che ce lo permetterà così facilmente? Conosco mia moglie, questa porta ha una serratura interna diversa da questa, i muri sono fortificati! Farla saltare non equivale ad aprirla. Se lei non fa scattare la serratura niente la tira giù!” “Perché non …” “Perché questa stanza era nata per custodire i soldi dei nostri genitori Fester” “Ok, d'accordo, allora dobbiamo trovare un piano per aprirla” si sciolse dalla presa del fratello picchiando con forza i pugni sul legno “Amore mio ti prego apri questa dannata porta!” ma dall'interno della sala arrivava solo il silenzio e niente di più.

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Capitolo 24
*** Lasciami Andare ***


                                                                   Lasciami Andare
   




“Non apri?” “Lui non è qualcosa che puoi usare per vincere” “Lui è esattamente il motivo per cui vincerò” mosse velocemente la spada tagliando quella pelle di luna.
Tremò leggermente portandosi la mano libera sul petto.
Sulla pelle, appena sotto il collo c'era una linea leggera che lasciava uscire piccole perle rosso rubino “E sai perché?” domandò ironico passeggiandole attorno “Perché lo salverai, farai di tutto per riuscire a tenerlo fuori dalla nostra piccola discussione. Vuoi salvargli la vita ma in realtà non è lui che voglio” “Tu sei …” “Io sono innamorato” un colpo violento sulla porta, la voce di suo marito dall'altro lato e quel tremito violento che saliva velocemente lungo la schiena.
Leandro sorrise fermandosi a pochi passi da lei “Sta supplicando” “Non è lui che vuoi” mormorò lasciando cadere la spada per terra “Vuoi la mia vita. Vuoi punirmi per aver scelto lui …” la vestaglia di pizzo scivolò per terra lasciando le spalle e le braccia completamente nude mentre quel corpo meraviglioso era davanti a lui completamente arreso.
I raggi pallidi della luna ne illuminavano il candore, attraverso il pizzo nero riusciva a brillare più di un diamante e i suoi occhi erano così carichi di sfida da farlo impazzire “Non è lui che vuoi ma la mia vita” “Mi stai offrendo la tua vita?” “Lascerai i miei bambini liberi di crescere?” “Lascerai che la mia spada trapassi da parte a parte il tuo cuore?” la vide sospirare, stringere più forte i pugni mentre le labbra si piegavano in un leggerissimo sorriso “Vuoi la mia vita Leandro, i miei figli non meritano la tua colpa” “Non temere …” la punta della spada si posò sul petto della donna mentre un brivido gelido saliva lungo la schiena “ … ti ucciderò e ti seguirò nell'oscurità perché un mondo senza di te non ha senso” “Non sarai mai il mondo” “Non avrà mai più il tuo corpo” ribatté sarcastico ma lei sorrise tirandolo violentemente in avanti.
La spada si conficcò nella carne delicata del torace togliendole il fiato ma quegli occhi di notte si piegarono in un sorriso carico di magia.
“Sei un'idiota” sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio, lo sentì ridere mentre con le mani si aggrappava violentemente alle sue spalle “Sei così concentrato sul tuo egoismo da non accorgerti com'è facile scavalcare le tue difese e … e non …” “Morirai con me dolcezza” la spinse leggermente indietro ritraendo la spada “Anche tu” l'altro sorrise protandosi una mano al petto dove un pugnale dall'elsa dorata costringeva il sangue a scorrere “Cos'hai … cos'hai risolto così?” “Morirai e i miei bambini saranno … loro …” “Liberi?” la spada cadde per terra mentre il respiro affannato si portava via ogni pensiero.
Lo vide sorridere e camminare barcollante fino alla porta “Vuoi vedere qual'è la mia vittoria?” avrebbe voluto rispondere, avrebbe voluto urlare e inlfilzare quel pugnale ancora più a fondo ma era troppo debole per ogni cosa.
Sdraiata sul pavimento gelido di quell'immenso salone, riversa al suolo mentre il sangue bollente copriva velocemente ogni pensiero non riusciva a respirare, ci provava, ci provava con tutte le forze ma l'aria sembrava bloccata da qualche parte tra polmoni e cuore.
Perché rinunciare alla vita? Perché rinunciare al suo amore? Forse era quello il vero amore, dare la vita per qualcuno, per lui, perché non meritava altro dolore, non meritava di soffrire perché era questo che voleva Leandro.
L'avrebbe fatta soffrire, l'avrebbe distrutta mostrandogli suo marito in fin di vita, i suoi bambini che urlavano e imploravano solo per poterla vedere.
Separare lei da loro voleva dire toglierle la vita e la voglia stessa di amare ma trascinare con sé nell'oscurità Leandro, portarlo nelle tenebre assieme a lei regalava ai suoi figli una possibilità.
Non sarebbero mai stati soli, Ofelia avrebbe conosciuto suo padre, il suo vero padre e Gomez avrebbe dato loro una vita degna di essere chiamata tale.
Era per loro quel sacrificio, per i suoi gioielli, per il suo unico vero amore.
Pregava con tutte le forze di chiudere gli occhi, di abbandonare la vita prima di incontrare lo sguardo di suo marito perché allora, era certa che niente e nessuno le avrebbe impedito di piangere.


Uno scatto leggero, la luce tenue della luna e quel corpo coperto di sangue che tremava sul pavimento davanti a sé.
Il cuore si bloccò di colpo nel petto mentre le mani di Fester tentavano in tutti i modi di trattenerlo perché se l'avesse vista piangere non sarebbe mai riuscito ad andare avanti.
Leandro era a pochi metri da lei, con un sorriso tremante sulle labbra e il corpo pieno di sangue.
Non riusciva a respirare, ci provava, ci provava con ogni fibra del suo esere ma più tentava di farlo, e più sentiva la rabbia prendere il sopravvento. Scivolò via dalle mani di Fester urlando, piangendo ma che altro importava? Come poteva controllarlo? Era sua moglie, la sua vita, l'unica donna al mondo per cui avrebbe ucciso e ora era lì, davanti a lui così tenera e indifesa da massacrarlo nell'anima “Non puoi vederla!” esclamò Fester tirandolo di nuovo indietro “Lasciami andare!” “Se ti vede piangere non se ne andrà mai Gomez, il suo spirito resterà a vagare per questo mondo come un anima in pena senza mai trovare pace” ma l'altro scosse violentemente la testa liberandosi di colpo dalla sua presa.
Pochi passi fino a lei, fino a quell'angelo della notte ora sempre più debole “Oddio” mormorò voltandola dolcemente verso di sé “Che hai fatto?” la sentì tremare leggermente mentre posava la mano su quella ferita sanguinante “Sei … sei in …” “Scusa” mormorò abbozzando un leggerissimo sorriso, sentiva tra le dita il sangue caldo di sua moglie, il suo cuore che batteva ogni secondo più lento “Non volevo tardare ma tu hai … hai chiuso questa dannata porta amore mio e non …” “Lasciami andare” “No!” esclamò gelido stringendola tra le braccia “No, no non ti lascio andare da nessuna parte. Non vai da nessuna parte mi hai sentito?” “Restare qui non … non è diverso dalla morte e … e non voglio vederti piangere” ma per quanti sforzi facesse non riusciva a trattenere le lacrime.
Piangeva come un bambino stringendosi a lei, nascondendo il viso su quel seno che si muoveva a fatica sotto il peso di respiri sempre più dolorosi “Non puoi andartene, non puoi lasciarmi solo, non sopravvivo senza di te” “Sei forte … sei forte amore mio e … e sono innamorata e orgogliosa di te” sentì la mano della donna stringersi leggermente attorno al suo polso, poi quello sguardo rubato al silenzio e un sospiro dolce come il miele.
Fester trasalì portandosi una mano alle labbra mentre davanti agli occhi, l'immagine di un uomo disperato prendeva velocemente vita.
Lo vide urlare, tirarla a sé così forte da costringere il sangue ad uscire più velocemente.
Non riusciva a respirare, a malapena tratteneva la rabbia.
La testa della ragazza si reclinò dolcemente indietro cadendo nel vuoto mentre i lunghi capelli corvini sfioravano il pavimento perdendosi nel sangue.
Disegni lontani a contorti che rendevano quel grido disperato qualcosa di violento, qualcosa che la notte si sarebbe ricordata per sempre.
Non l'avrebbe lasciata andare, non l'avrebbe mai lasciata alle tenebre perché era quello il suo amore, era quella la donna che gli aveva regalato una vita, era di quel corpo ormai senza vita che si era innamorato.
Sentiva ancora tra le dita il calore della sua pelle, la dolcezza di quel profumo che la morte si portava via mentre tentava in tutti i modi di farla respirare di nuovo.
Le labbra posate sulle sue, gli occhi persi sul suo viso mentre tra le lacrime parlava con lei.
La stringeva così violentemente a sé da spaventare perfino il cielo ma più lo faceva e più si rendeva conto che niente e nessuno avrebbe mai potuto restituirgli il suo amore.
Stringeva un corpo senza vita che si muoveva solo grazie alle sue mani, solo grazie al suo respiro, quegli occhi tanto belli non l'avrebbero più salutato al mattino e quelle mani leggere, non l'avrebbero più toccato.
Fester sospirò cercando di trattenere le lacrime e senza dire una parola, si sedette sulla poltroncina affianco a lui aspettando che quell'attimo di follia troppo grande per suo fratello gli concedesse un secondo di pace.

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Capitolo 25
*** Finzione ***


                                                                    Finzione





Ci aveva messo quaranta minuti per riuscire a rivestirsi.
Fingeva di respirare, fingeva di pensare ma in realtà, niente di tutto quello poteva restituirgli la voglia di vivere.
Immobile davanti al letto, a quelle lenzuola di seta sporcate dal sangue, vesiti ormai senza più vita che aveva gettato lì sopra nel tentativo folle di allontanare il suo sangue dalla pelle, dal cuore.
Un tentativo disperato per riuscire a concedersi la forza di camminare, di pensare.
Si era rivestito lentamente, incurante dell'ora, del sangue e dei suoi figli. Per un attimo, tutto il mondo che amava era rimasto al di fuori di quella stanza.
Lontano, sfocato, un mondo che sembrava non appartenergli più, fingere, fingere e basta, come un incubo orrendo che ora diventava più reale, fotogrammi di una vita, la sua vita che ora più che mai sembrava priva di senso. Poteva solo fingere, fingere che il profumo ancora attaccato alle tende, alle lenzuola, a ogni dannata cosa lì dentro fosse solo un ricordo, che quella sensazione orrenda che salive velocemente dallo stomaco fosse solo stanchezza e non una voglia folle di urlare.
Fece un bel respiro allacciando l'ultimo bottone della camicia, lo specchio rimandava un'immagine diversa, un uomo elegantemente vestito, immobile, silenzioso mentre i suoi occhi trattenevano a stento le lacrime.
Che fatica enorme muovere un passo, che tortura violenta uscire da quella stanza.
Chiuse la porta trattenendo il respiro mentre il rumore metallico delle catene scorreva nel silenzio.
Chiudendo quel lucchetto di ferro attorno alla maniglia vi aveva sigillato all'interno il proprio cuore, l'amore violento che bruciava ancora nelle parole, nei pensieri.
Nessuno sarebbe mai entrato lì dentro, nessuno avrebbe mai toccato un solo oggetto di quella stanza perché ormai, quella stanza non esisteva più.
Cancellata, distrutta, allontanata dai pensieri con una violenza tale da far impallidire il mondo intero.
Le scale e poi pochi metri fino alla porta dei suoi figli.
Chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro le lacrime, come avrebbe potuto guardarli negli occhi? Come avrebbe spiegato loro che d'ora in avanti, per quella casa silenziosa e scura, nessun raggio di luna avrebbe sfiorato i sospiri? Aprì lentamente la porta pregando il cielo di trovarli addormentati ma lo sguardo di Mercoledì corse veloce al suo viso e quell'unica domanda riempì d'improvviso il vuoto del silenzio “Dov'è la mamma?” trattenne il fiato cercando una scusa più che decente ma conosceva bene la sua bambina, conosceva la velocità di quella mente e di quei pensieri “Padre, dov'è?” Pugsley scese dal letto avvicinandosi a lui “La mamma è … sta riposando” mormorò sedendosi sul letto accanto a Mercoledì “Sta riposando e non … non ha …” sentì la mano della figlia sul viso, le dita che scorrevano dolcemente sulla pelle asciugando le lacrime “Non ha sofferto” mormorò tremante Mercoledì “La mamma non ha sofferto vero?” abbassò qualche secondo lo sguardo inspirando, cercando un modo per non svenire, per non mostrare ai suoi figli più dolore di quanto già non vedevano.
Pugsley si aggrappò alle sue gambe nascondendo il viso sulle ginocchia mentre il corpo di sua figlia si stringeva con violenza a lui.
Piangeva, piangeva come una bambina “normale” come quelle bamboline di porcellana pulite e infagottate nei loro vestiti d'organza a cui, i genitori permettevano ogni cosa, ogni capriccio e che, a volte, dimenticavano di essere piccole miniature di esseri umani e scoppiavano in un pianto disperato.
Nascose il viso sul collo della figlia perdendosi nel suo respiro, nei singhiozzi violenti mentre la mano libera era posata sulla testa del figlio.
Non era lui il centro di quella famiglia, non era lui la persona da cui i bambini andavano quando qualche sogno troppo allegro li terrorizzava la notte.
Come sarebbe sopravvissuto a tutto questo? Come avrebbe costretto il cuore a battere di nuovo? Strinse più forte Mercoledì abbandonandosi al dolore, unico vero amico che quel momento senza fine poteva regalargli.





 

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Capitolo 26
*** Gelo ***


                                                                       Gelo




“Ho preparato ogni cosa. La sala grande è pronta” Fester annuì leggermente fingendo di concentrersi su qualcosa di invisibile “Ofelia?” “Sta dormendo” “Come sta?” “Beh … diciamo che sta meglio di quanto potessi sperare. È ancora così piccola, non soffrirà come gli altri, questa tortura le verrà risparmiata” “Dici?” domandò sfinito passandosi una mano in viso “E a chi altri la tortura verrà risparmiata?” la donna sorrise mestamente ricacciando indietro le lacrime “Ci vuole del tempo, il tempo cancella sempre tutto” “Non ha bisogno di tempo” “Lo so, ma cos'altro possiamo fare? Non è da un giorno all'altro che sentirà meno la sua mancanza” “E se non dovesse …” si fermò qualche secondo bloccato dallo sguardo della donna “ … cosa accadrà se non troverà la forza di reagire?” “Ce la farà, si rialzerà da solo perché ha fatto una promessa alla mia bambina e ora deve mantenerla. Non accadrà oggi né domani, ma tra qualche anno, quando avrà imparato ad accettare la sua assenza, forse si renderà conto che ha una vita e dei figli che lo amano e che hanno bisogno di lui. Ecco il nostro futuro Fester, per ora abbiamo solo dolore e per quanto bello e profondo sia, non lenisce l'assenza di mia figlia” l'altro annuì leggermente e poi, con un filo di voce sussurrò “Vado a vedere come sta Gomez”.
Passi pesanti che rimbombavano per il corridoio mentre cercava le parole giuste per aiutare suo fratello, in fondo era giusto così, era lui il maggiore, era lui a dover regalare conforto e non il contrario.
Fece un bel respiro spingendo dolcemente la porta della sala, la candela tremò disturbata dall'aria mentre la penombra regalava sempre la stessa visione.
Un uomo distrutto, seduto sulla poltrona con lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime che scendevano senza sosta dagli occhi.
Non urlava, non c'erano tremiti nella sua voce né singhiozzi, restava in silenzio permettendo alle lacrime di lenire quel dolore che non sarebbe mai sparito.
Inclinò leggermente la testa di lato studiando il volto di Gomez, stanco, sfinito da quelle lunghissime ore e così arrabbiato con il mondo, con sé stesso.
La testa era dolcemente reclinata all'indietro dove un cuscino di velluto scuro ne accoglieva i pensieri e Mercoledì, aggrappata a lui con la testolina posata sul suo petto e le mani strette alla seta preziosa della camicia.
Se ne stava lì, immobile, incurante del tempo, di tutte le persone che entravano in quella stanza per vederlo.
Restava aggrapta a suo padre con il terrore folle di poterlo perdere e forse, nelle parole dolci che si perdevano nel silenzio era nascosta la segretissima voglia di un abbraccio perché quel dolore, così grande e violento, pesava più che un macigno sulle sue giovani spalle.
Parlava con lui come se in realtà niente fosse accaduto “Andrà tutto bene, lei sta bene” portò una manina alle labbra nascondendosi in un debolissimo sorriso.
Sentiva il respiro del padre, lento, troppo lento per sembrare quello di sempre “Starai bene vedrai” fece scivolare la mano sul braccio dell'uomo sospirando.
In quelle carezze leggere, in quel modo delicato e attento che aveva di prendersi cura dei suoi pensieri vi era qualcosa di diverso.
Una consapevolezza nuova, qualcosa che velocemente prendeva forma in quello sguardo giovane e fino ad ora innocente.
Erano soli, soli con buio, soli con l'assenza pesante di uno sguardo che fino ad ora li aveva sempre protetti.
Forse cercare conforto nell'abbraccio del padre, avrebbe potuto lenire per qualche secondo quel senso di confusione che si mangiava pezzo dopo pezzo il suo giovane spirito ma, che conforto poteva darle? Che sicurezza avrebbe trovato in lui? Le sue braccia erano immobili, lontano dal suo corpo, lontano da ogni cosa.
Pugsley se ne stava seduto sul tappeto affianco alla poltrona, lo sguardo basso, i pensieri persi chissà dove e la mano stretta a quella inerme del padre.
Fester sospirò passandosi una mano in viso.
Quello non era suo fratello ma solo un uomo distrutto che non trovava nemmeno la forza per abbracciare sua figlia.
Annuì leggermente e senza aggiungere una parola tornò sui propri passi chiudendosi dolcemente la porta alle spalle.

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Capitolo 27
*** Trova conforto in Loro ***


                                                                 Trova conforto in Loro




C'era troppa gente lì dentro, persone che facevano parte della loro famiglia, persone così legate a lei, al suo ricordo, persone che ora più che mai odiava da morire perché non avevano il diritto di piangere.
La luce delle candele illuminava tetramente ogni angolo della sala e lunghi drappi di velluto scuro sfioravano il pavimento.
C'erano bambini sorridenti che vi giocavano attorno incuranti dei pianti che prendevano vita, vi si avvolgevano in mezzo fingendo di essere una mummia o un fantasma, fingendo di essere in un altro mondo, in un'altra epoca.
Avrebbe sorriso, l'avrebbe fatto davvero ma quel giorno malinconico e cupo non gli concedeva nemmeno il tempo di pensare.
Il pianoforte accanto a loro spargeva nell'aria dolcissime note che in qualche modo coloravano i pensieri restituendogli un attimo di riposo.
La passione che aveva per la musica, per l'oscurità e quell'innata dote nell'occulto che aveva sempre incantato ogni uomo di quella terra e che l'aveva legata indissolubilmente a lui.
Tutto di quell'attimo gli ricordava il passato, il loro passato, la loro meravigliosa famiglia e quella tenera intimità che giorno dopo giorno erano riusciti a rafforzare, tanto da non riuscire a stare lontano una dall'altro per troppo tempo.
Ma quell'angelo scuro che ora riposava su un tavolo di marmo non si curava dei pianti, delle urla, poco le importava del loro dolore né tantomeno piangeva per la dolcezza di quel mare di lacrime.
Se ne stava lì, a riposare serena con un velo trasparente che ne copriva la bellezza ma perfino così riusciva a vederla.
Attraverso l'oscurità del manto quella dannata bellezza attirava gli sguardi, costringeva le parole, i pensieri.
La sua pelle, il suo volto, la dolcezza di quei lineamenti che si rifiutava di cancellare dagli occhi.
Aveva passato minuti interi a pregare, pregava con tutto il cuore di vedere quel seno stupendo muoversi lentamente, cullarsi sotto le spinte di un respiro dolce come il miele ma quei desideri segreti, quelle speranze racchiuse nella fragilità di un attimo, erano destinate a restare solo miseri e insulsi sogni.
Incubi che avrebbe voluto strappare a metà, come un foglio di carta, una pagina piena di lei che poteva spezzare in due senza alcun rimorso.
Non sapeva nemmeno come ci riusciva, come poteva restare in piedi, in mezzo a quella sala mentre una folla indistinta si accalcava attorno a lui.
Gli sorridevano, lo toccavano, gli parlavano senza capire che in realtà, non erano con lui che discorrevano ma con un fantoccio di pezza che non aveva più sentimenti, respiri e battiti.
Uno stupido e inutile fantoccio che restava a guardare mentre il cielo gli rideva in faccia.
Gli sembrava di sentirlo “Ho la tua vita Gomez, ho il tuo amore e ora mi chiedo, quanto durerai prima di desiderare la morte?” fece un bel respiro raddrizzando la schiena, tentando di cacciare via in ogni modo quei sussurri, quelle dannate parole che minuto dopo minuto si ancoravano al cervello.
Sorrise appena mentre un vecchio dall'aria elegante e raffinata si avvicinò a lui “Nipote mio” mormorò abbracciandolo “Nipote mio ti sono vicino nel dolore” ma lui non rispose, si limitò ad annuire leggermente senza staccare gli occhi da sua moglie “Era come una figlia per me, la mia prediletta. Una figlia acquisita che rendeva più bella la mia giornata ogni volta che vi incontravo. Silenziosa, elegante, raffinata, la scelta migliore che potessi fare” “Ti ringrazio” sussurrò ma l'altro scosse leggermente la testa posando una mano sulla sua spalla “Ricordo con dolcezza il vostro primo incontro, eravate così giovani, così innocenti. L'amore ha scelto per voi e non potevo esserne più felice” abbassò qualche secondo lo sguardo incontrando il viso di Mercoledì a pochi passi da lui “Quando i tuoi genitori sono morti ricordo che la vidi per la prima volta al tuo fianco, era così silenziosa, così composta e in qualche modo lontana da tutto quello che le accadeva attorno. Custodivo segretamente la speranza che potesse essere una meravigliosa dama scura, una di quelle donne dalla pelle di luna che ballano nelle notti senza speranza perché allora, avresti avuto accanto un gioiello prezioso nipote mio. Un gioiello di rara bellezza che nessuno avrebbe mai potuto desiderare. Non mi sono sbagliato sai? Lei era proprio un gioiello” “Era un gioiello” mormorò tremante “Resterò qualeche giorno con te, non devi affrontare questo dolore da solo” “Sei sempre buono con noi zio” sussurrò Mercoledì apparendo di colpo tra loro.
La manina stretta attorno a quella del padre e sul viso un leggera smorfia a metà tra il sorriso e la rabbia “Come stai raggio di malinconia?” “Sto bene” “Ne sei sicura?” un altro sì, leggero, delicato, appena sussurrato e niente di più “Puoi farmi un immenso regalo?” domandò sfinito inginocchiandosi davanti alla figlia “Puoi restare nella stanza qui accanto con i tuoi fratelli?” l'espressione confusa sul visino di Mercoledì lo fece sorridere “Ti prego raggio di malinconia” “Perché?” “Perché non voglio vedervi piangere” il vecchio annuì dolcemente posando una mano sulla testa della nipote “Non voglio lasciarla padre” “Non la lascerai, sarai solo nell'altra stanza per qualche oretta. Pugsley …” il bambino scivolò giù dal divano avvicinandosi a loro “ … vuoi portare le tue sorelle di là?” “Tu vieni con noi?” “Tra qualche minuto” “Andiamo” sussurrò prendendo per mano sua sorella “Sono bravi ragazzi” mormorò Arold seguendo con lo sguardo il loro lento cammino “Sarà dura ma se la caveranno bene” “Lo credi davvero?” “Perché non dovrebbero? Sono forti e hanno te” “Già” sussurrò passandosi una mano in viso.
Era sfinito, distrutto da quelle lunghe ore immobile davanti a lei, davanti al suo viso così vicino eppure così lontano.
Un'altra ora, un'altra lunghissima ed interminabile ora passata a stringere mani fino al rumore sordo della porta e quello scatto familiare che non era mai stato tanto bello.
Si lasciò cadere sulla poltrona di velluto permettendo all'aria di uscire dai polmoni.
Immobile fuori da quella sala immensa ora così fredda e violenta rifletteva sul futuro.
Non era in grado di aiutare i suoi bambini, non riusciva nemmeno ad immaginare un giorno solo senza di lei perché lei era la sua giornata.
Improvvisamente, tutto attorno a lui era diventato inutile e senza senso.
Sapeva bene che nel giro di poche ore il ricordo di sua moglie sarebbe scomparso sotto metri e metri di terra ma fino ad allora, sarebbe rimasto fuori da quella sala a vegliare su di lei, a tenere lontano ogni sentimento e ogni paura.
“Si sono addormentati” mormorò Fester sedendo accanto a lui “Hanno aspettato fino ad ora ma erano troppo stanchi. Stanno dormendo in camera mia” “Mi dispiace, manderò Lerch a …” “Oh andiamo” gli sguardi si sfiorarono qualche secondo fermando il tempo “È andata via” “Lo so” “Ha chiuso gli occhi e se ne è andata lasciandomi qui” “Lo so” mormorò il fratello sospirando “Andrà tutto bene” una risata leggera si prese il tremore della voce cancellando per un secondo la commozione “Fino ad ora non ho mai pensato di poter sbagliare qualcosa. Nella mia vita, nell'amore, negli affari. Non mi sono mai fermato a pensare che tutto questo potesse finire perché c'era lei a controllare il mio carattere troppo spesso esuberante …” posò la testa sullo schienale riprendendo fiato “ … era lei che si occupava dei nostri figli, della loro educazione, lei che sceglieva che aspetto avesse il cielo al mattino e che umore avrei avuto io la sera” “Hai i tuoi figli fratello! Hai tre bambini meravigliosi che sono nati dal vostro amore, aggrappati a loro, aggrappati ai loro giovani cuori” “Non posso rubare loro l'infanzia. Il futuro si è preso la loro madre, non posso prendere altro da loro” “Non puoi nemmeno scomparire dentro al nulla perché non puoi permettergli di crescere senza un padre” chiuse gli occhi abbandonandosi al silenzio che per qualche secondo chiudeva fuori i pensieri dal resto di sé.




Non posso smettere” “E quando arriveranno i nostri ospiti cosa farai?” sussurrò divertita tirando il laccio del corpetto.
Le mani dell'uomo scivolarono dolcemente sui suoi fianchi tirandola indietro, sentì le sue labbra sul collo, sulle spalle nude mentre un tremito leggero si portava via i pensieri “Non portava sfortuna vedere la sposa prima del matrimonio?” sussurrò divertita mentre lo specchio rimandava lo sguardo allegro e provocante di un uomo innamorato che la stringeva tra le braccia impedendole di allacciare il resto del vestito.
Strinse le mani sulle sue ascoltando il suo respiro, i movimenti leggeri di quel torace che amava da impazzire e che ora era inchiodato alla sua schiena “Ci sono persone che aspettano” “E tu lasciali aspettare” “Gomez ...” ma una risata leggera si portò via i pensieri mentre le sue labbra tornavano a sfiorarle il collo “ … se continui così non ci sposeremo mai amore mio” lo sentì tremare, le mani si strinsero più forte attorno ai suoi fianchi girandola di colpo, le labbra così vicine da poterle quasi sfiorare “Averti accanto tutta la vita è un dono immenso amore mio. Credi che sia un gioco?” “Potrei esserlo” “Non sei un gioco per me” gli sfiorò il viso con la mano scendendo fino alla spalla “Lo so” “No, no dico sul serio, a te legherò la mia vita, a te donerò il mio cuore. Non ti lascerò mai, non ti renderò mai felice, né ti costringerò ad essere diversa da come sei perché ti amo” “Lo so” un debole sorriso sulle labbra dove un bacio leggero rinfrescava i loro giovani cuori “Mi prometti che non cambierà niente?” “Cosa?” “Promettimi che resterai sempre la donna stupenda di cui mi sono innamorato. Promettimi che ti divertirai a giocare con demoni e incantesimi, che sarai sempre lì per me …” fece un bel respiro allentando i pensieri “ … promettimi che la notte non mi lascerai solo, che vivrai per me amore mio perché io farò lo stesso per te” la vide sorridere, un sorriso bello come la luna stessa “Te lo prometto” … si svegliò di colpo tremando nel gelo di quel sogno crudele.
Inspirò a fondo, un battito di ciglia e poi di nuovo quelle immagini davanti agli occhi, si passò una mano in viso sospirando.
Immagini violente che massacravano i pensieri tornando a galla una dopo l'altra.
Ricordava bene cosa fossero quei pensieri, quelle domande senza risposta che per mesi interi gli avevano distrutto cuore e anima.
Aveva paura di perderla, aveva paura di restare solo e quel terrore violento che ora era diventato realtà, non faceva altro che rafforzare i muri di ghiaccio che lentamente stava costruendo attorno al cuore.
Si alzò dalla poltrona allentando qualche secondo la pressione sulla schiena.
Era rimasto fuori da quella sala per tutta la notte con il terrore di venire separato da lei ma prima o poi sarebbe accaduto.
L'avrebbe vista scendere sotto metri interi di terra e non avrebbe permesso ai suoi figli di soffrire allo stesso modo.





 

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Capitolo 28
*** Profumo ***


                                          Profumo 




C'era un buon profumo di pioggia nell'aria, un leggerissimo profumo di vita, profumo di nuovo perché era quello il compito della pioggia.
Lavare via il male, il suo maledetto dolore e in quelle ore passate ad osservare il cielo il  vento fresco diventava quasi un placebo.
Fece un bel respiro tremando quando l'ennesima carezza d'aria gli sfiorò il volto.
Sentiva le tende danzare alle sue spalle mentre da quel balcone poteva spiare il giardino, le luci lontane di una città che odiava da morire e quel cimitero che ora custodiva la metà esatta del suo cuore.
Sorrise  riconoscendo nei passi delicati alle sue spalle la bambina “Non riesci a dormire?” Ofelia scosse leggermente la testa stringendo più forte la bambola tra le mani “Vuoi dirmi perché?” sussurrò senza staccare gli occhi dal cielo “I tuoni” mormorò tremante abbassanto lo sguardo“Ho paura” “Non si può aver paura di una cosa tanto bella” “Davvero?” domandò confusa ma lui non rispose.
Era così piccola, così indifesa, se ne stava immobile accanto alla poltrona, con la bambola stretta tra le braccia e gli occhi persi su di lui “Non si può aver paura dei tuoni” mormorò voltandosi verso la sala.
Il faccino assonnato della figlia lo costrinse a respirare di nuovo.
Sembrava un fantasmino, una bellissima apparizione con occhi di notte e labbra rosa come il cielo al tramonto.
I capelli sciolti sulle spalle e le manine strette attorno alla sua bambolina mentre i lampi illuminavano a tratti l'incarnato di perla.
Assomigliava a lei, le assomigliava così tanto da renderla reale.
La forma del viso, le labbra, il modo che aveva di muovere le spalle, le mani, tutto di lei apprteneva a sua moglie, tutto apparteneva a quel ricordo.
“La mamma amava i temporali” mormorò avvicinandosi a lei "La mamma amava" si chinò leggermente in avanti stringendo le mani attorno alla bambina e lentamente, senza fretta alcuna la sollevò da terra chiudendola al sicuro nel suo abbraccio.
Gesti insicuri, tenerezze che non appartevano a loro perché per tre anni erano stati separati, eppure, nonostante tutto, sentiva il dovere di consolare una figlia che amava più di ogni altra cosa al mondo.
Tornò sul balcone stringendo Ofelia e la sua bambolina, il cielo cupo dava il benvenuto allo sguardo e le nubi si rincorrevano lasciando intravedere sprazzi di stelle “Ne amava il profumo, diceva che nel canto del tuono, nella carezza della pioggia, nel vento, vi erano spiriti. Piccoli spiriti che accompagnavano il respiro della natura” ma quel rombo lontano costrinse Ofelia a tremare stringendosi più forte al padre “Non devi aver paura bambina mia. Il cielo non può farti del male” “Non è vero” “No?” le sorrise appena ricacciando indietro le lacrime mentre con la mano libera, scostava dagli occhi della figlia ciocche d'ebano puro “E come lo sai?” “Perché sei triste” sussurrò la piccola abbassando lo sguardo “Non pensare alla mia tristezza Ofelia” “Perché la mamma non torna?” il cuore si fermò di colpo ricacciandolo per l'ennesima volta in un mondo che tentava con ogni forza di evitare “Perché non viene da me?” “Ha … ha bisogno di riposare amore mio. La mamma è molto stanca” “Si è addormentata di nuovo?” annuì appena distogliendo lo sguardo dal suo piccolo volto “E non si sveglia più?” “No” sussurrò malinconico “Non si sveglia più” Ofelia strinse più forte la sua bambola sospirando “Coraggio …”mormorò tremante posandola dolcemente a terra “ … ora torna in camera tua” ma l'espressione confusa sul volto della bambina faceva più male di un coltello piantato nel cuore.
Le mancava sua madre, le mancava la sicurezza delle sue carezze che per tre anni si era persa.
Un destino crudele le aveva restituito la mamma solo per qualche giorno costringendola a sorridere, ad affezionarsi a lei così tanto da cercarla ogni minuto di ogni ora.
Si era innamorata della sua mamma e ora, quelle poche ore di serenità le erano state strappate via dall'uomo che chiamava padre e che l'aveva lasciaa sola.
Abbandonata, sola, incapace di fuggire da quell'incubo, incapace di difendersi.
Posò la mano sulla testolina della figlia cercando un motivo per sorridere "Torna a dormire bambina mia" la sentì termare, annuire mentre scivolava lentamente nel buio alle loro spalle.


“Come stai? Come ti senti?” domandò confuso Fester sedendosi accanto al fratello.
Era lì  da ore ormai, sul tavolino di fronte a loro  il carillon suonava malinconiche note mentre la pioggia accompagnava i suoi pensieri “Dovresti uscire da qui” “Non ho bisogno di nient'altro” sussurrò chiudendo qualche secondo gli occhi “Non ho bisogno di niente” “Sono passati tre giorni Gomez. Sei rimasto qui dentro per tutto questo tempo. Non ti fa bene” ma lui non rispose, si limitò ad annuire concentrandosi di nuovo sulla danza leggera di quella ballerina. “Dovremo cenare tutti assieme” “Non ho fame” “Lo so” lo sguardo del fratello si posò qualche secondo su di lui “Non hai voglia nemmeno di respirare. Hai perso il cuore in quel cimitero e non hai nessuna intenzione di recuperarlo” “Non ho più un cuore. Posso sorridere, posso abbracciare i miei figli, fingere di vivere solo per loro ma non ho la forza di fare nient'altro fratello” la mano di Fester si posò sulla sua stringendosi con forza “Andiamo a trovarla?” “No, no non credo sia …” “Ne hai bisogno” “ Nessuno entrerà più in quel posto. Nessuno passeggerà accanto a lei perché non può restare qui. Non può …” le lacrime scesero silenziose dagli occhi costringendo l'altro a sospirare “Non resterà inchiodata qui. Non accadrà” “Non posso costringerla a niente del genere. Se mi vede piangere lei … lei non … nessuno entrerà più in quell'ala del cimitero” “D'accordo” sussurrò Fester “Se è questo che vuoi faremo così” un leggerissimo sorriso sulle labbra mentre la pioggia inghiottiva i silenzi.


 

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Capitolo 29
*** Tempo ***


                                                 Tempo



“Come posso aiutarlo? Come posso costringerlo a ...” “Non puoi” mormorò l'uomo sorridendogli “Non possiamo fare nient'altro Fester. Tuo fratello ha bisogno di restare solo con sé stesso” “La solitudine non lo aiuta” “No, è vero, ma può lenire in parte il dolore che prova” “Costringendolo continuamente a pensare a lei?” “Ricordandogli che il passato non si può cambiare” mormorò l'altro prendendo dalle mani della donna una tazza fumante “Non può cambiare il passato, niente di quello che è accaduto troverà altro posto nel mondo di quello che ha già. Costringere i pensieri a tornare continuamente indietro non gli da altra via d'uscita, imparerà a dimenticare. Lo imparerete tutti” “Non dimenticherà mai” sussurrò la donna sedendo accanto a loro “Non può farlo. Forse per i bambini sarà così ma Gomez …” Fester annuì seguendone le parole “ … è sempre stato legato a mia figlia. Ne vegliava i sogni, teneva al sicuro il suo mondo nutrendosi della sua luce e ora che non c'è più il mondo gli sta crollando addosso. Non c'è niente che possiamo fare, niente di quello che diremo lo costringerà a lasciare quella stanza” “Ha chiuso a chiave l'ala est della casa, mi ha chiesto di vietare l'ingresso nel cimitero” “Allora è quello che faremo” si voltarono confusi ma l'altro sorrise “Asseconderemo ogni sua richiesta perché in questo momento, è lui a poter decidere cosa fare, cosa provare e per quanto tempo” "Forse hai ragione zio" “Dove sono i miei bellissimi nipotini?” “Mercoledì e Pugsley sono nella stanza dei giochi e Ofelia si è addormentata poco fa” “Bene, questo va bene” sussurrò l'uomo ma non ci credeva nemmeno lui, come poteva costringere una famiglia intera a fare altrettanto? Fece un bel respiro sorridendo “Paritrò questa notte stessa. Ho delle cose da sistemare ma tornerò presto a trovarvi” “Sarai sempre il bevenuto” rispose Fester, l'altro gli fece l'occhiolino tornando a fissare qualcosa di indistinto, un pensiero, un bagliore strano frutto delle troppe ore passate a vegliare un uomo distrutto ma se avesse potuto, si sarebbe caricato sulle spalle quel fardello enorme regalando al suo adorato nipote la normalità della vita, ma non era quello il suo compito.
Gomez avrebbe affrontato la vita da solo, con forza e coraggio sarebbe andato avanti costringendo i ricordi ad indietreggiare e lasciando alla dolcezza di quel sorriso solo il compito di farlo sognare.




“Ofelia?” la bambina sollevò lo sguardo di colpo incontrando gli occhi del padre “Che ci fai qui amore mio?” “Stavo giocando” sussurrò sollevando una bambolina “Sei arrabbiato con me?” “No, no non sono arrabbiato con te” prese dalla scatola d'argento un sigaro sedendosi sulla poltrona di fronte a lei “I giochi son importanti” “E tu a cosa giocavi?” sorrise appena perché quei ricordi erano ormai tanto lontani da sembrare solo sfocati “Giocavo con tuo zio” “A cosa?” “Non lo ricordo” “Era divertente?” “Era divertente” “Se non ricordi con cosa giocavi forse non era tanto divertente” “Hai ragione” le sfiorò la testolina con la mano dipingendosi sulle labbra un sorriso quanto meno reale ma la faccina di Ofelia si rattristò di colpo “Non posso giocare con Mercoledì” “Perché no?” “Perché lei mi odia” “Lei odia il mondo intero” “E perché?” sorrise appoggiandosi di nuovo allo schienale della poltrona “Perché ha un cuore che batte più forte di tutti gli altri. Ricordo che a volte, quando il giorno si portava via i miei pensieri lei si arrampicava sulle mie gambe e con le manine …” sollevò una mano nell'aria quasi come se tra le dita stringesse quella della figlia “ … cercava di staccare la testa alla sua bambolina preferita” “Perché?” domandò incantata la piccola sdraiandosi sul tappeto, la faccina dolcemente chiusa tra le mani e i lunghi capelli scuri che sfioravano il pavimento “Diceva che le giornate di sole non potevano farmi stare bene perché il sole sulla pelle non aiuta i cattivi pensieri” “La mamma è un bel pensiero?” “La mamma …” si fermò qualche secondo cercando di controllare quel battito troppo forte che rovesciava pensieri, incrinava certezze e desideri “ … la mamma è il più bel pensiero che ora tormenta le mie notti” “Come i bei pensieri che non piacevano a Mercoledì?” “No, no lei è diversa” “E non sei triste per questo?” “Non devi pensare alla mia tristezza bambina. La tua vita è piena di gioco e tenebre. Lascia che questi doni meravigliosi riempiano i tuoi occhi, non pensare alle cose brutte” “Mamma non era brutta, era bella” un debole sorriso si prese le labbra del padre “Era bellissima e profumava di buono” “Hai ragione Ofelia. La tua mamma profumava di buono” il silenzio invase di colpo la sala lasciando solo un padre e una figlia a guardarsi negli occhi poi d'improvviso quella domanda sbucata dal nulla “Sei davvero il mio papà?” trattenne il fiato, il tremito leggero del cuore salì violento attraversando la carne costringendolo a sussultare come mai prima d'ora.
Fece un bel respiro concentrandosi sugli occhi della bambina “Sei la cosa più bella che mi sia mai accaduta” “Davvero?” sussurrò incantata “Eri la mia piccolissima goccia di vita e ti hanno strappata via da me. Ti ho cercato tanto, ti ho cercato ovunque senza mai riuscire a trovarti. Vedevo la mamma soffrire, scomparire velocemente dietro a qualcosa che non riuscivo a capire e poi …” si fermò qualche secondo tentando di respirare “ … poi Mercoledì ti ha trovato e ho ricominciato a respirare. Mi chiedevo se stavi bene, se mi assomigliavi almeno un po'” “E ti assomiglio?” domandò tremante la bambina “Assomigli alla tua mamma Ofelia ma hai i miei occhi, gli occhi di tuo nonno. Leandro non era tuo padre ma è stata la tua sola famiglia” sorrise mentre Ofelia si alzava dal tappeto avvicinandosi alla poltrona “Sei ancora così piccola, non meriti tutto questo dolore” le sfiorò il viso seguendone i lineamenti.
Le labbra, il mento, il collo, strinse tra le dita quelle ciocche setose che le incorniciavnao il viso ma ritrasse la mano di colpo come se d'improvviso la pelle di sua figlia scottasse come lava incandescente “Posso chiamarti papà?” socchiuse gli occhi cercando di capire se l'espressione sul volto del padre fosse reale o meno “Vuoi farlo davvero?” “Non lo so” mormorò la piccola abbassando lo sguardo “Ofelia …” posò una mano sotto al mento della piccola sollevandolo leggermente, gli occhi si fusero di nuovo con i suoi e un leggerissimo sorriso prese vita sulla labbra “Non ti costringo a niente del genere. Non devi farlo, non sei costretta. Sarò sempre qui per te, oggi, domani, tra un anno o trenta e so che adesso hai paura. Ne ho tanta anche io perché la tua mamma mi ha lasciato solo. Ha lasciato un vuoto enorme nel mio cuore amore mio e sto provando …” riprese fiato asciugando una lacrima insolente “ … sto provando ad andare avanti, a regalarvi normalità ma ho bisogno di tempo Ofelia. Devo capire come poter vivere senza di lei e fa tanto male, ma sono qui, sono qui per voi, per te piccola goccia di vita. Sarò qui anche se deciderai di chiamarmi in un altro modo” il rumore leggero della porta lo costrinse a sollevare lo sguardo.
Mercoledì si avvicinò lentamente a lui reggendo un libro tra le mani “Da dove vieni bambina?” “Dalla scuola” “La scuola” ripeté distratto abbandonandosi di nuovo contro lo schienale della poltrona “Padre?” si voltò leggermente verso Mercoledì sorridendole “Vuoi giocare con noi?” “No, no raggio di malinconia, papà ha tante cose da fare ma puoi giocare con tuo fratello” sentì la mano della figlia sulla propria, strinse più forte quelle ditina fresche mentre Ofelia osservava incantata quei movimenti leggeri.
“Vuoi giocare a scherma con tuo fratello?”un sorriso leggero le colorò le labbra, un sorriso unico che aveva il permesso di perforare quella maschera gelida perché quell'attimo di dolcezza era riservato solo a lui e a nessun'altro “Vuoi fare una cosa per me?” “Che cosa?” “Puoi portare tua sorella nella sala dei giochi?” la vide arricciare le labbra, il viso contratto in una smorfia, l'unica possibile perché il suono della parola “sorella” non le era mai piaciuto “Portala di là e giocate assieme con la spada del nonno” Ofelia si avvicinò di un passo ancora sistemando il vestitino scuro “Mercoledì?” sussurrò avvicinandosi a lei “Posso giocare con te?” la mano si mosse da sola nell'aria stringendosi attorno a quella della bambina, le labbra di Ofelia si piegarono in un sorriso delicato perché per la prima volta sua sorella l'aveva presa per mano “Lo faccio per te padre” “Lo so ” la mano si strinse più forte attorno a quella della bambina e lentamente si incamminarono lungo il corridioio cupo e silenzioso lasciando negli occhi di un padre orgoglioso solo l'amore.




 

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Capitolo 30
*** Legame ***


                                             Legami




“Tu credi che stia piangendo?” “Chi?” domandò distratta Mercoledì limando il suo coltello preferito “La mamma” gli occhi incontrarono quelli smarriti di Ofelia mentre la mano si stringeva più forte attorno al manico d'argento “No, no credo che lei stia meglio di tutti noi” “Si sta bene quando si muore?” annuì leggermente tornando a concentrarsi sulla lama che stringeva tra le dita “E chi resta qui?” “Chi resta qui deve affrontare il dolore” “Per questo papà non smette di piangere?” “Papà?” ripeté voltandosi lentamente verso la sorella.
Ofelia sorrise appena giocherellando con una ciocca di capelli “Mi ha dato il permesso di farlo. Posso chiamarlo papà se ne ho voglia” “E tu ne hai voglia?” “Come faccio a saperlo?” “Non puoi” “E come posso chiamarlo papà se non so cosa voglio?” Mercoledì sorrise appena posando il coltello “Se lo chiami papà si affezionerà al suono di questa parola. Al modo che ha di uscire dalle tue labbra, se lo fai solo perché ci sei costretta piangerà per questo e ora non ha bisogno di altre lacrime” “Non voglio farlo piangere, la mamma lo fa piangere” “La mamma lo farà piangere per molto tempo” “Quanto?” domandò triste la bambina sedendosi a pochi passi dalla sorella “Non lo so, io credo che un amore profondo come quello che vivevano mamma e papà sia difficile da dimenticare …” lo sguardo si posò sul volto di Ofelia, sui suoi occhi che tanto le ricordavano suo padre, su quel modo inconfondibile che aveva di inclinare la testa di lato che aveva rubato da sua madre “ … non smetterà mai di piangere” “Mai?” “A volte andrà meglio, si sentirà meglio e sorriderà davvero, altre volte vorrà solo restare con sé stesso” “E non possiamo fermare le sue lacrime?” “Puoi giocare con le tenebre come fai sempre, questo lo renderà felice” “Davvero?” gli occhioni di Ofelia si riempirono di luce lasciandola per qualche secondo senza fiato “Davvero” sussurrò Mercoledì alzandosi dal tappeto.
Prese tra le mani il suo coltello e voltandosi verso la sorellina mormorò “Andiamo?” la mano testa verso di lei e la consapevolezza di quel legame che ora più che mai aveva bisogno di amore.
Erano sorelle, per quanto diverse e strane potessero essere, tutte e due erano nate dall'amore dei loro meravigliosi genitori.
Ofelia aveva perso in una notte sola tutte le certezze della sua tenerissima età, si sarebbe presa cura di lei, l'avrebbe protetta così come avrebbe protetto suo padre dal male del mondo perché sapeva bene, che la lontananza da sua madre l'avrebbe ucciso lentamente.
La manina di Ofelia si chiuse attorno alla sua, un battito delicato che d'improvviso apparteneva ad un unico cuore.
Strinse più forte le dita attorno a quelle della sorellina aiutandola ad alzarsi in piedi e poi, senza aggiungere una sola parole, si incamminarono silenziose lungo il corridoio.

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Capitolo 31
*** Cambiamenti ***


                                       Cambiamenti





“Perché non posso andarci?” “Perché è un ordine Ofelia! Sai benissimo che il cimitero non è più il vostro parco giochi” “Ma la mamma è lì” annuì leggermente finendo di scribacchiare qualcosa “Se vuoi giocare c'è l'ala est dove sono seppelliti i nostri antenati” “Io voglio vedere la mamma” “La mamma ha bisogno di riposo!” sollevò gli occhi di colpo inchiodandoli al viso della figlia “Sta riposando da tanti giorni ormai! Perchè non posso vederla!” Fester entrò nella sala reggendo tra le mani una vanga ancora sporca di terra fresca “Eccoti! I tuoi fratelli ti aspettano per giocare a sveglia il morto” ma la piccola non si mosse.
Restò immobile con gli occhi fissi sul viso del padre e le braccia incrociate sul petto “Che c'è?” “Mia figlia non ha rispetto!” “Ofelia?” “Voglio solo vedere la mamma” l'altro sospirò posando una mano sulla testolina della nipote “Fratello posso parlare con te per qualche minuto?” annuì leggermente lasciando cadere la penna sui fogli “Vai a raggiungere i tuoi fratelli. Ho bisogno di parlare con tuo padre” a malincuore e senza voglia, Ofelia mosse un passo e poi un altro ancora scomparendo oltre la porta.
“Gomez, lo so che perdere tua moglie è stata una cosa orribile e so anche che assieme a lei hai seppellito ogni ricordo e ogni sorriso” “Vuoi parlarmi di questo?” sbottò gelido appoggiandosi allo schienale “Forse dovresti permettere ai bambini di vedere la sua tomba. Forse per loro sarebbe un bene insomma, era la loro mamma” “Non voglio che si giochi accanto a lei” “Hai chiuso tua moglie in una teca di cristallo fratello mio e assieme a lei vi hai rinchiuso anche ogni possibilità di vederla o piangere. Lo capisco, lo capiasco davvero e probabilmente avrei fatto così anche io ma i tuoi figli hanno bisogno di lei, di vederla, di poter parlare ogni tanto assieme a lei, assieme al suo ricordo perché non fa bene a nessuno di loro restare lontani da quella parte del cimitero” “Mi sento male Fester, ogni volta che penso a lei mi sento male. Mi manca da morire, mi manca e non posso fare niente per evitarlo” “Lo so fratello mio” “Era la mia vita, era il mio inizio e la mia fine. Sono passate tre settimane appena e sembra trascorso solo un giorno e non ...” scosse leggermente la testa sospirando “ … non posso piangere, non posso farlo per i miei figli e non posso passeggiare per il cimitero fingendo che tutto sia normale perché lì riposa la mia bellissima sposa perciò …” tornò a concentrarsi sui fogli davanti a sé incurante del suo sguardo “ … la mia risposta è no. Niente passeggiate in quell'angolo di cimitero. Niente giochi, niente scavi, niente rumore!” Fester sospirò uscendo goffamente dalla stanza.
Il silenzio e la quiete si ripresero ogni centimetro di quel posto lasciandolo sospeso a metà in qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire.




Aveva aspettato quella visita come un bambino aspetta le caramelle la notte di halloween.
Incontrare zia Porzia voleva dire pianificare il futuro, mettere dei paletti oltre i quali le paure e le insicurezze sparivano.
Avevano sempre parlato della piccola Mercoledì, di un suo probabile matrimonio con quel ragazzino dagli occhi verdi e i capelli scuri che tutti chiamavano “raro gioiello” ma ora, senza più la sua sposa accanto, non avrebbe permesso a nessuno di portare via la sua bambina.
Conosceva bene sua zia, irritarla era pericoloso quasi quanto prendere a calci un alligatore.
Lei così rigida, così attaccata alle tradizioni e alla purezza di una famiglia che per secoli aveva donato al mondo eredi dal sangue incontaminato.
Una donna testarda, ostinata, capace di litigare con il demonio in persona per averla vinta, una donna che per tutta l'infanzia aveva rubato la sua simpatia e che, durante l'adolescenza, aveva costretto il suo giovane spirito a regole severe.
Di cosa si stupiva? Porzia era la sorella di sua madre, una zia che era stata anche madre durante quegli anni di solitudine e che ora, avrebbe portato una ventata di sicurezza in quella casa.
“Zia” sussurrò baciando leggermente la mano della donna “Che piacere vederti nipote mio” la invitò a sedere mentre Lurch posò un vassoio colmo di stuzzichini davanti a loro “Hai fatto un buon viaggio?” “Divino caro mio, divino davvero” “Mi fa piacere” “Ti trovo splendido Gomez, sei sempre stato splendido ma devo dire che ora più che mai, assomigli all'uomo che per anni ho sognato che diventassi” “Troppo buona” ribatté ironico sedendosi di fronte a lei “Allora, come procede la tua giovane vita?” “Giovane?” “Sei il mio nipote prediletto, sarai sempre giovane ai miei occhi” “Lo dici sempre a tutti i tuoi nipoti” “E ancora non hai imparato a capirne il motivo” esclamò altera prendendo dal vassoio una tazza fumante “Hai chiuso a chiave tua moglie nell'oscurità” “Come fai a …” “Mi credi tanto sciocca? Non ci vuole un genio per capirlo. Il tuo sguardo è spento, il tuo cuore rifiuta la vita” “Io non … non so cosa sto facendo” “Lo so” scosse leggermente la testa sorridendo a quella risposta “Perdere i propri cari è doloroso” “Ho perso la vita assieme a lei e ora non …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … ora inseguo il futuro, fingo serenità, pazzia, una sorta di normale immagine di me stesso ma non riesco a … non so cosa sto facendo” “Gomez” lo sguardo si alzò improvvisamente incontrando gli occhi di ghiaccio della donna “Ricordi i giochi nel parco? Non riuscivi a capire come mai la morte e la vita lottavano in precario equilibrio l'una contro l'altra. Ti dissi allora che quella lotta era importante, consentiva al mondo di proseguire il suo cammino” socchiuse leggermente gli occhi cercando di capire dove volesse arrivare “Hai perso la donna che ami e non hai nessuna intenzione di lasciarla andare. Stai lottando per tenerla qui. La morte e la vita fanciullo mio. Devi lasciarla andare” “Dimenticandola?” “Potresti mai dimenticare i suoi occhi?” ma non ottenne alcuna risposta “Ecco, vedi? Ti sei risposto da solo. Non è andando avanti che dimenticherai tua moglie bambino. Non aver paura di vivere, anche se cinque settimane ti sembrano solo poche ore” “Non è …” “Dov'è la mia nipotina?” trasalì riportato di colpo alla realtà da quella domanda “Non sono qui per costringerti a fare scelte Gomez, le scelte del cuore sono sempre difficili da comprendere ma posso aiutarti ad andare avanti, è per Mercoledì che ho fatto questo viaggio” “Lei sta … è nella camera dei giochi assieme ai fratelli” “A questo proposito …” iniziò la donna appoggiandosi allo schienale “... non credo che sia conveniente per una ragazzina come lei continuare con questi giochi. Non è più una bambina Gomez” “Ha dieci anni, può giocare fino a che ne avrà voglia” “Non ha più una madre, sta crescendo senza i suoi consigli, è normale che diventi irrequieta e strana, è una cosa da apprezzare” “Ehi” puntualizzò irritato “Io non sono nessuno?” “Sei un'ottimo esempio di vita ma non sei sua madre, non puoi sostituire quello che era Morticia per lei” “Credi che non lo sappia? Ma faccio di tutto affinché siano sani e forti, si sanno difendere dal mondo ma non sarò di certo io a toglierle il gioco chiaro?” “Cosa credi che accadrà quando sarà sposata?” “Non sarà sposata” la vecchia donna trasalì raddrizzando la schiena.
La stessa posizione severa che assumeva ogni volta quando da giovani, le loro marachelle infastidivano la quiete della famiglia “Gomez, questa è una tradizione! Tutte le donne della nostra famiglia sono state promesse fin da piccole. Non scegliamo i primi idioti che passando per strada ma qualcuno con una testa e un corpo perfetto per le bambine. Midoro ha un'insana passione per l'omicidio, ama costruire ghigliottine ed è molto bravo a maneggiare i soldi. La sua famiglia è di ottime origini, ricca, tetra. Suo padre si occupa di petrolio e sua madre è una donna adorabile” “E se a mia figlia non dovesse piacere mi spieghi che diavolo dovrei fare?” “Tua figlia non farà problemi” “Mia figlia non sa niente di queste cose!” esclamò irritato alzandosi in piedi “Come posso costringerla ad una cosa del genere quando io per primo ho infranto la tradizione! Ho sposato mia moglie per amore, perché era la donna più bella che avessi mai incontrato. Voglio che mia figlia sia libera di scoprire l'amore nel modo che più le piace e non perché vi è costretta!” “Oh Gomez, tu non ragioni!” “Ho perso sua madre zia Porzia, non perderò anche mia figlia! I miei bambini sono tutto quello che mi resta di lei, sono i suoi sorrisi, i suoi occhi, il suo modo di riposare la notte. Non me ne starò qui a guardare mentre una famiglia venuta da chissà dove si porta via la mia bambina!” “Non la porta da nessuna parte Gomez, non si sposeranno prima della maggiore età di Mercoledì e vivranno dove vorranno” esclamò concentrandosi sullo sguardo del nipote “Ricordo bene il tuo matrimonio, ero contraria a vederti sposato con una donna che nemmeno conoscevi!” esclamò irritata “La conoscevo” “Dopo una notte passata davanti ad una bara aperta? Le persone non si conoscono in un giorno! Avevo programmato il tuo futuro bambino, avevi un'ottima ragazza accanto, sarebbe diventata la degna erede della nostra casata e tu hai buttato tutto all'aria nel giro di una notte!” ma l'altro sorrise passeggiando per la stanza “Hai sconvolto i piani di tua madre, i miei! Hai chiesto la mano della giovane quella stessa notte! Ricordi la faccia di tua madre?” “Che importanza aveva? Ero innamorato di lei” “Te l'ho detto cinque secondi fa, le persone non si conoscono in un giorno! Perché credi che aspettiamo così tanto prima di permettere ai nostri figli il matrimonio? Midoro e Mercoledì si incontreranno, parleranno, impareranno a conoscersi e …” “Ho detto di no!” gli occhi della donna si piegarono in un sorriso “Come pensi di poter convivere con il suo futuro? Mercoledì diventerà una bellissima donna e imparerà ad amare. Come reagirai se per caso si innamorasse di una persona solare e piena di vita?” “Non accadrò” “No? Ricordi tua cugina Liam?” “Mia figlia non è come lei” sbottò gelido “Tua figlia non ha una madre, non ha una guida. La madre di Midoro può prendersi cura di lei nel modo più opportuno e …” “Ehi!” puntò un dito verso la donna trattenendo a stento la rabbia “Nessuno prenderà il posto di mia moglie chiaro? Mercoledì ha una madre, non ha bisogno che qualcun'altro prenda il suo posto” “Mercoledì ha una tomba che custodisce il corpo di sua madre” “Non importa! Nessuno ne prenderà il posto” “Tu non ragioni!” “No è vero, quando si tratta dei miei figli no, non ragiono” la donna sorrise alzandosi in piedi “Lascia che ti chieda una cosa …” sfilò dalla borsetta una busta chiusa ridacchiando “ … come pensi di affrontare le domande sulla vita? Ofelia diventerà grande, vorrà sapere cose, vorrà conoscere il mondo e la storia della sua vita, come pensi di spiegarle tutto? E quando Mercoledì verrà da te con l'uomo che ama come parlerai con loro?” “Non sono affari tuoi” “No?” domandò ironica “Perché vedi, io sono piuttosto brava a parlare di queste cose, sono piuttosto brava a rendere chiaro anche l'oscuro” “Imparerò a farlo, imparerò a rispondere a domande del genere e imparerò a prendermi cura di loro ma fino ad allora, nessuno porterà le mie figlie via da me” l'altra annuì leggermente lasciandogli tra le mani la busta chiusa “Questo è un regalo per i tuoi bambini, fanne quello che più desideri nipote mio” gli diede un bacio leggero e senza smettere di sorridere lasciò la stanza.
“Padre?” si voltò di scattò stringendo più forte la busta tra le mani, Mercoledì se ne stava lì, appoggiata al muro mezza nascosta dall'arazzo con il visino imbronciato e le mani strette attorno al tessuto pesante “Cosa ci fai lì?” “Ascoltavo” “Ascoltavi cosa?” domandò guardingo avvicinandosi a lei “Non voglio sposarmi” “Non devi farlo” “Non voglio” “Lo so” sussurrò sorridendo appena “Non ti lascio andare da nessuna parte, non sposerai nessuno, nessuno ti porterà via da me” “Grazie” sussurrò avvicinandosi al padre “Per cosa?” “Per tenermi al sicuro” “Perché dovrei mandarti via?” ma la bambina non rispose, si limitò a sorridere appena posando una mano sulla sua.
Le sfiorò le labbra con le dita dove la polvere sottile della terra si prendeva gioco di quello sguardo leggero e delicato “Torna a giocare con i tuoi fratelli raggio di malinconia, non preoccuparti di queste cose, ci penso io” un altro sorriso e poi una corsa folle fuori da quella sala lasciando solo una leggerissima nota di dolcezza dietro di sé.


 

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Capitolo 32
*** Posso chiamarti Papà? ***


                                Posso chiamarti Papà?





 “Ieri Ofelia mi ha chiesto di giocare con la tua pianta carnivora amore mio, le ho permesso di darle da mangiare, ha sorriso e mi ha abbracciato …” sfiorò con una mano il drappo di velluto che copriva la terra “ … mi ha abbracciato come se fosse la cosa più naturale del mondo e io mi sono sentito così … ” sospirò passandosi una mano in viso, le lacrime sparirono sotto le dita costringendolo a respirare “Li terrò al sicuro, nessuno li porterà via da me …” riprese fiato sorridendo leggermente perché per quanti sforzi facesse, le lacrime insolenti scivolavano via dagli occhi una dopo l'altra incuranti del posto, dell'ora, degli sforzi immani di un povero mortale per trattenere il dolore.
Un male violento che sembrava ora più vivo che mai “ So che sei arrabbiata con me amore mio perché non sei … non ti sogno mai e vorrei farlo, vorrei farlo più di ogni altra cosa al mondo” lasciò andare il tessuto sospirando “Ma a te cosa importa? Mi hai lasciato solo, mi hai lasciato qui con questo …” posò una mano sul petto appena sopra il cuore, dove il dolore sembrava bruciare più forte di ogni altra cosa al mondo “ … con questo vuoto immenso che non riesco a colmare. E ci provo sai? Provo ad andare avanti seppellendo i tuoi occhi sotto pensieri e risate ma non funziona. Sei sempre qui, dentro di me, in ogni mio respiro e non … non riesco a … non ho più un cuore sai? Forse ho solo … ho bisogno di un po' di tempo per dirti addio” sentì le risate dei suoi figli in lontananza e il rumore di un esplosione che d'improvviso squarciò l'aria.
Aveva vietato ai bambini l'ingresso in quell'ala del cimitero, non voleva vederli soffrire per qualcosa che non poteva controllare ma non riusciva ad impedire a se stesso di essere lì, accanto a lei, di piangere per lei perché quella sembrava l'unica cosa che urlava il suo cervello.
Stare senza di lei era una tortura violenta, un incubo orrendo che masscrava il suo povero cuore giorno dopo giorno.
Asciugò il volto cercando di sembrare il più naturale possibile e lentamente, senza fretta alcuna, si incamminò di nuovo lungo il vialetto.
L'aria gelida della notte gli sfiorava il viso colorando di malinconia i pensieri, un passo, un altro ancora poi un sorriso sulle labbra mentre Ofelia correva a perdifiato verso di lui, Mercoledì a pochi passi da lei e Pugsley che reggeva un enorme paio di forbici “Ehi ehi” esclamò divertito mentre la bambina si aggrappava alle sue gambe “Hai perso sorella, ora perderai i capelli per questo” esclamò ironica Mercoledì sollevando una mano “Ma tu hai detto che papà era terreno neutro” trasalì paralizzandosi di colpo mentre le manine della figlia si stringevano con forza alle sue gambe “Ho detto che papà era terreno neutro se riuscivi ad arrivarci prima dell'esplosione” “Ero a metà strada” esclamò divertita stringendosi più forte a lui “Pugsley, come dichiari l'imputata?” il bambino ridacchiò aprendo le forbici “Colpevole” Ofelia scoppiò a ridere nascondendosi dietro il padre “Sono in terreno neutro, se violi il confine sarò cosrtetta a tagliarti una mano” sollevò leggermente una manina mostrandogli uno stiletto d'argento ben affilato “La monarchia vince di nuovo?” domandò incuriosito voltandosi verso la sorella “La monarchia ha solo qualche ora di vantaggio in più su di noi. D'accordo …” mormorò Mercoledì portandosi una mano alle labbra “ … giochiamo a nascondino” “Tra due ore si mangia bambini” sussurrò Gomez posando una mano sulla testolina di Ofelia “Non temere padre, per l'ora di cena il gioco sarà finito. Hai dieci minuti per nasconderti sorella dopo di che, verrò a cercarti e questa volta non sarò così buona” si voltò dal lato opposto incamminandosi lentamente per il viale pieno di nebbia seguita dal fratello.
“Hai sentito? Hai solo dieci minuti” la piccola scoppiò a ridere sollevando il faccino verso di lui “Non mi trovano mai” “Ne sei sicura?” annuì decisa rafforzando la presa “Ora vai a giocare, tra poco si mangia” “Posso mangiare assieme ad Ombra” “No Ofelia, questa sera no” “Vuoi giocare con noi?” “No bambina mia, papà ha altre cose da fare. Ma puoi giocare con i tuoi fratelli” “E posso usare le catene di zio Fester?” “Adesso?” il sorriso su quelle labbra diventò ancora più radioso “No bambina mia, non ora” “Ma papà è …” “Cosa?” sussurrò tremante sfiorandole il viso, la vide sorridere, gli occhi carichi di tenerezza, così luminosi da sembrare quasi irreali, esattamente come i suoi, esattamente come la sua mamma “Papà” ripeté quasi come se quella semplice parola fosse la cosa più normale del mondo.
La prese in braccio sorridendo “Posso chiamarti papà vero?” la strinse così forte da toglierle il fiato ma in quel momento, in quel preciso istante, dentro al cuore nasceva qualcosa di speciale.

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Capitolo 33
*** La storia di una Regina ***


                       La storia di una Regina





Forse, con il tempo, sarebbe riuscito a dare un senso al vuoto immenso che regnava al posto del cuore ma per ora, tutto quello che riusciva a fare era curarsi di loro.
Dei loro bellissimi bambini che impedivano all'orrore di divorare pezzo dopo pezzo anche quell'ultimo attimo di serenità.
“Posso usare il cianuro?” “Perché dovresti usare il cianuro se l'arsenico funziona meglio?” Ofelia scoppiò a ridere scatenando in lui un lievissimo sorriso.
Tornò a concentrarsi sui fogli davanti a sé cercando di capire come riuscire a spendere otto milioni di dollari. Aveva un sacco di soldi, tanti investimenti che gli fruttavano nuove entrate e poco tempo, probabilmente non gli sarebbe bastata una vita intera per spenderli tutti e l'unica cosa che riusciva a dargli sollievo, era regalare ai suoi figli qualche sorriso speciale.
Fino ad ora non si era mai occupato troppo delle spese, perché avrebbe dovuto? La sua famiglia era ricca, più ricca di quanto ogni altra famiglia avrebbe mai potuto immaginare, avevano tesori di cui nemmeno ricordava l'esistenza, conti bancari, terreni e castelli.
Tante ricchezze, troppe per una vita sola eppure, gli unici soldi che amava spendere erano quelli per i suoi figli.
“Com'è stata la vostra lezione oggi?” “Noiosa” mormorò gelida Mercoledì sfiorando con la lama dell'ascia la testa della sua bambola “Perché? Vi hanno spaventato con angeli e racconti?” “La storia di una regina” esclamò orgogliosa Ofelia sollevando qualche secondo gli occhi dal suo disegno “Una regina che ha perso la testa” “Davvero?” “Ha perso la testa per una bugia” “E cosa c'è di noioso in questo?” la testa della bambola saltò in aria costringendolo a sollevare lo sguardo dai documenti “Mercoledì?” ma la piccola non rispose, si limitò a sospirare uscendo dalla stanza “Cosa succede?” Pugsley sollevò appena le spalle rimontando la testa della bambola “Allora?” “Era la stessa storia che …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … era la prima storia che la mamma ci ha raccontato quando eravamo piccoli” “Non ho memoria di quella favola” “Nemmeno lei. Ha iniziato a ricordare quando l'insegnante parlava di Maria Antonietta. Ha lo stesso nome della sua bambola e lei ha …” “Puoi controllare tua sorella?” esclamò alzandosi di scatto ma Ofelia tossicchiò “Non ho bisogno di essere controllata” “Padre, forse non dovresti parlarle ora” “Non credo sia …” “Ha solo bisogno di un po' di tempo” per quanto il cuore urlasse il contrario, tornò a sedere ma gli occhi non sfioravano più le rghe del foglio, non vedeva più nessuna parola, non riusciva più nemmeno a controllare i pensieri.
Nella testa c'era solo l'immagine della sua piccola bambina così arrabbiata con il mondo e con il proprio padre da non voler nemmeno giocare con i suoi giochi preferiti.


Attimi lunghi come ore intere, minuti lenti che passavano senza tregua. Era seduto accanto alla sua tomba da ore ormai e sapeva bene che nascosta dietro a quella lapide, al sicuro tra la nebbia e il freddo la sua bambina rifletteva “Resterai lì ancora per molto?” ma dall'ombra nessuna risposta “Mercoledì, lo so che sei nascosta lì” “Come lo sai?” sorrise abbassando qualche secondo lo sguardo “Perché quando eri piccola e qualcosa ti spaventava correvi a nasconderti dietro a tua madre” “Mia madre è più in grado di proteggermi” “Eppure, corri sempre a nasconderti qui” dall'ombra un corpo sottile, il suo viso brillava leggero sotto il tocco della luna.
Era avvolta nel mantello di sua madre, stretto così forte attorno a lei da sembrare tutt'uno con il vestito.
I ricami di pizzo brillavano e le treccine d'ebano si posavano dolcemente sulle spalle incorniciando un visetto delicato e perfetto, colorato di quella vena malinconica che tanto aveva amato “Scappi ancora a nasconderti dalla mamma raggio di malinconia” “Non ci sono pagliacci colorati nei miei sogni né pupazzi profumati” “Lo so” mormorò sospirando “Perché credi che vi abbia vietato di giocare in quest'ala del cimitero? Non voglio che la sua assenza vi sconvolga più di quanto non siate già” “E tu credi che possa bastare?” domandò gelida incrociando le braccia sul petto “La sua assenza è più violenta del tuo divieto” “Non possiamo Mercoledì, lo sai” “Non ci sentirà piangere. Ormai non c'è più bisogno di questo divieto perché lei non è più niente” “Non è vero” sussurrò allungando una mano verso di lei “ La mamma è ancora ricordi” “La mamma è morta” restò immobile a fissare la mano del padre come se fosse uno sconosciuto “È colpa di quella storia non è così?” “Quale storia?” sbottò gelida lasciando cadere le mani lungo i fianchi “Tuo fratello mi ha raccontato cos'è successo a scuola. Hai distrutto tre armadi e otto tavoli amore mio” “Mio fratello perderà la lingua per questo” “Tuo fratello è solo preoccupato per te” restò immobile a fissare il viso della figlia imprimendosi a fuoco nella memoria la sua indecisione, il suo dolore, la sua rabbia “Non ricordavo più quella storia, credevo di aver …” “Nemmeno la mamma la ricordava più” mormorò abbassando lo sguardo “Le avevo chiesto di raccontarmi la nostra prima favola e lei ha sorriso. Non ricordava quella favola perché non aveva mai tempo per raccontarcela ma qualche giorno prima di …” tremò leggermente stringendosi nelle spalle “ … è entrata in camera mia, si è seduta sul letto e mi ha detto: non l'ho dimenticato. La tua storia preferita resterà sempre Maria Antonietta” “Lei è …” “La ricordava” posò le mani sul marmo gelido della lapide sorridendo leggermente “Si ricordava di quella favola” “E quando la tua insegnante oggi ne ha parlato hai ricordato la mamma” “Ho ricordato la mamma” mormorò triste ma le mani del padre la tirarono dolcemente in avanti costringendola ad alzare lo sguardo “Non è un peccato ricordare la mamma” “Se ricordo la mamma come posso dimenticarla?” “Perché vuoi dimenticarla?” “Perché non voglio sognarla ogni notte” sussurrò malinconica “Sei più fortunata di me. Io non la sogno nemmeno più” “Perché?” domandò crucciata ma lui sorrise avvolgendola più forte nel mantello “A volte gli spiriti sono irrequieti e capricciosi, forse tua madre non ha molta voglia di giocare con i miei sogni” “Forse non la costringi a giocarci” la prese in braccio sospirando “Mi fai una promessa Mercoledì?” “Quale?” “Mi prometti che ricorderai quella favola?” “Perché?” “Perché un domani, quando sarai madre, potrai raccontarla ai tuoi figli e quando ti chiederanno da dove viene, potrai ricordare la mamma” la piccola rimase immobile, le labbra leggermente schiuse e gli occhi concentrati nei suoi “Me lo prometti?” “Va bene padre” “No” esclamò allontanandosi lungo il sentiero con la figlia tra le braccia “Hai lo stesso brutto vizio di tua madre lo sai?” “Davvero?” “Non riesci a dire te lo prometto” “Lei lo diceva” “A te piccola mia, a tuo fratello. Ma quando doveva dirlo a me, quando doveva promettermi qualcosa non …” scosse leggermente la testa divertito da quel ricordo ingenuo “ … Allora? Non ho sentito te lo prometto” “Perché dovrei prometterti una cosa che non so se mi va di mantenere?” “Perché devi essere così uguale a lei?” domandò più a sé stesso che alla piccola ma la vide sorridere, sentì il suo corpicino stringersi più forte a sé, le braccia avvolte attorno al suo collo e le labbra a pochi centimetri dalle sue “Sei pronta per la cena? Stasera c'è il tuo piatto preferito” le diede un bacio e senza fermarsi a riflettere, se ne andò via, lontano da quella lapide, lontano da quel ricordo. 

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Capitolo 34
*** Il tempo Scorre ***


                                                       Il tempo Scorre





Un anno, un altro ancora, aveva lenito il dolore mascherandolo dietro ai giochi dei bambini, dietro ai loro sorrisi malinconici, dietro alle loro tenere ed innocenti marachelle.
Ofelia diventava più grande giorno dopo giorno, il visetto sempre colorato da quell'aria furba e dispettosa, come un folletto birichino pronto a mangiare anima e cuore dei poveretti che sceglieva come vittime.
Sorrideva, sorrideva più di quanto avrebbe voluto vedere ma in fondo, quel sorriso velato da sana follia era una dote speciale.
Poche persone nella loro famiglia avevano quell'espressione sempre dipinta negli occhi e per molti versi, Ofelia assomigliava a sua nonna più di quanto sembrasse.
Chiuse il libro sorridendo di sé stesso, c'era silenzio in casa, un silenzio che significava guai in arrivo perché i bambini così silenziosi erano sinonimo di esplosioni, esperimenti e giochi con i fulmini e lui, sarebbe stato costretto ancora una volta a far rallentare tre giovani cuori troppo veloci.
Si alzò dalla poltrona riponendo il libro sullo scaffale polveroso “Maria Antonietta?” trattenne il fiato mentre il cuore schizzava nel petto.
Conosceva quella voce, quel debole sorriso nascosto tra le parole.
Si voltò lentamente cercando nella penombra il suo viso ma non c'era niente “Sei qui?” sussurrò portandosi una mano al collo “Non mi sono mai allontanata da te amore mio” i raggi della luna entrarono violentemente dalla finestra sfiorando un corpo che fino a quel momento, era rimasto nascosto al sicuro nell'ombra.
Bella, bella come il suo ricordo, bella più di quel ricordo, con i capelli sciolti sulle spalle e un vestito leggero, scuro come la notte che lasciava intravedere la dolcezza del suo corpo “Oddio” sussurrò tremante aggrappandosi allo schienale sedia.
La vide sorridere, un passo, un altro ancora mentre ricadeva sconvolto sul velluto scuro della poltrona.
Quante volte aveva sognato di vederla, di parlarle. Ogni notte, ogni minuto di ogni dannata ora aveva pregato il cielo per poterle parlare, per sfiorarne il viso con le labbra.
La vide sorridere quasi come se potesse leggergli nell'anima, si inginocchiò di fronte a lui sorridendo “Non sei … non sei qui” “Dovresti riposare” “Perché sei …” “Perché hai bisogno di me” gli sfiorò il viso sospirando ma la mano passò leggera attraverso la sua pelle costringendola ad abbassare lo sguardo “Sto sognando, questo è un sogno” ma l'espressione dipinta nello sguardo di sua moglie era già di per sé una risposta “Mi manchi” mormorò tremante, avrebbe voluto stringerla, baciarla, toglierle il fiato nascondendola in un abbraccio violento, ma non riusciva nemmeno a capire se fosse solo un sogno o realtà “Hai fatto un ottimo lavoro con loro” “Smettila” “Stanno bene, sono bellissimi e non …” “Non posso farlo, non riesco … non riesco a vivere senza di te. Ogni volta che mi sveglio al mattino è … è come se qualcuno prendesse a cazzotti il cuore. Non posso respirare, non posso nemmeno toccarti” sollevò una mano sfiorandole il volto ma tutto quello che riuscì a sentire fu aria fresca.
Trattenne il respiro mentre le lacrime esplodevano violente “Amore mio, guardami, Gomez …” ma per quanto provasse a restare tranquilla, a regalargli serenità, il cuore, quel cuore che ormai più non aveva martellava nel petto ad una velocità impressionante “ … ti amo. Ti amo da morire e non importa se c'è un universo intero tra noi. Resterai mio marito qui o in un'altra vita. Continuerò ad amarti anche tra mille anni e i nostri figli ricorderanno sempre quanto è forte questo sentimento” una tortura violenta, qualcosa di impossibile da sopportare perché a pochi centimetri uno dall'altra non potevano nemmeno sfiorarsi.
Gli occhi dell'uomo inondati di lacrime cercarono i suoi mentre un debolissimo sorriso le colorava le labbra “Non mi sono sbagliata, sei un padre meraviglioso” “Non è vero” “Oh si che lo sei. Li stai crescendo meglio di quanto avrei fatto io” “Non è vero, lo sai che non è vero amore” “Non è vero? Mercoledì è perfetta, il mio ometto sta diventando bellissimo e Ofelia ti assomiglia” “Tu non … non è merito mio se Mercoledì porta dentro quella meravigliosa malinconia. Non è merito mio se Pugsley sta crescendo così bene e Ofelia … non è …” “Non lo vedi quanto ti assomigliano? Loro sono uguali a te” “Perché mi hai lasciato?” mormorò sfinito ma lei sorrise avvicinandosi leggermente a lui “Papà?” “Ti amo” i lineamenti di sua moglie si fusero lentamente con il viso di Ofelia.
Inginocchiata davanti a lui, immobile nella stessa posizione che quell'angelo prima di lei aveva scelto “Papà?” chiuse qualche secondo gli occhi riprendendo fiato “Stai bene?” “Si, si piccola mia” sussurrò asciugando velocemente le lacrime “Perché piangi?” domandò preoccupata sfiorandogli il volto “Sto bene, non è niente” “Perché piangi?” “Quando il ricordo di tua madre diventa troppo forte le lacrime scivolano via dagli occhi” “Hai visto la mamma?” la fissò confuso cercando di capire cosa stesse pensando “Ho visto qualcosa, probabilmente un sogno” “Ma anche i sogni possono essere reali” “Ofelia …” mormorò confuso “ … tu vedi la mamma?” la piccola scosse leggermente la testa sospirando “Sei sicura?” domandò guardingo sollevandole dolcemente il viso.
Quell'espressione così strana dipinta nei suoi occhi lo costrinse a trattenere il fiato perché quella era una bugia, una bugia abilmente camuffata da verità ma pur sempre una bugia “Non mi arrabbio se vedi la mamma. È una bella cosa e …” “Non vedo la mamma” ripeté staccandosi leggermente da lui “D'accordo” mormorò sorridendole “Di cos'hai bisogno?” “Andiamo a fare una passeggiata?” “Non ora Ofelia …” si alzò in piedi avvicinandosi alla scrivania “ … ho delle cose da fare” “Che cosa?” “Sei una bambina, queste sono cose da adulti. Vai a giocare con i tuoi fratelli” “Sono a scuola” mormorò scostandosi dagli occhi i capelli “Allora vai a giocare fuori o in camera tua. Papà ora non ha tempo” sbuffò allontanandosi leggermente da lui “Ci vediamo dopo piccola mia” ma lei non rispose, si limitò ad annuire chiudendosi lentamente la porta alle spalle.


“Non ha mai tempo per me” “Non ha tempo per ricordare” “Perché?” domandò crucciata lanciando un sasso contro la lapide chiara “Perché non vuole giocare con me?” “Ofelia, tuo padre si sente solo” sollevò lo sguardo dal terreno spoglio sorridendo appena “Perché sei andata via?” sussurrò malinconica ma quel fantasma così bello che risposte poteva darle? Vedeva sua madre, la vedeva da mesi ormai.
All'inizio credeva fosse uno scherzo, un gioco tra lei e i suoi fratelli ma quell'aparizzione uscita fuori dal nulla, aveva iniziato ad essere qualcosa di costante nella sua vita.
La vedeva al mattino, prima di alzarsi dal suo letto e la sera prima di addormentarsi.
Sospirò asciugando una lacrima insolente “Non piangere bambina mia, non è colpa tua. Vedi ...” sussurrò sedendosi accanto a lei “ … tuo padre è così stanco, così sfinito da questi anni che non riesce nemmeno ad ammetterlo. Soffre per questa distanza imposta ma sorride, lo fa per voi, per vedervi felici” “Non mi rende felice vederlo sorridere” “Lo so” esclamò divertita ma la piccola scosse leggermente la testa sospirando Non vuole giocare con me, non vuole passeggiare per il cimitero, non vuole nemmeno più mangiare assieme a noi” si voltò verso la madre cercando il suo sguardo “Perché? Perché non può essere lo stesso papà di sempre?” “Perché ha bisogno di accettare la mia assenza Ofelia” “Non l'ha già fatto?” “Tu l'hai fatto?” la bambina sospirò restando incantata dagli occhi di sua madre “L'amore, quello vero, è qualcosa di forte e doloroso. Amo tuo padre, lo amo così tanto da restare inchiodata qui perché sentirlo piangere, sentire il suo dolore mi ha costretto a restare qui. È innamorato Ofelia, è innamorato di me, del nostro passato, dei nostri ricordi” “Come puoi amare un ricordo? Sono passati due anni mamma, farti restare qui non è una cosa brutta, perché non può esserne contento?” “Perché non piangiamo davanti ai nostri defunti?” “Perché restano qui” annuì leggermente sfiorando la spalla della figlioletta ma quel contatto delicato era vietato dal cielo “Ma perché è così brutto? Se qualcuno ci manca dovremo essere felici di averlo vicino ogni giorno” “Non puoi costringere un'anima a restare inchiodata alla vita amore mio. Ogni anima ha diritto al riposo che merita, ha diritto a qualcosa di diverso dalla vita. Tuo padre non mi vuole qui, non riesce a sopportare la mia assenza, il vuoto che ha nella sua vita e che tenta di riempire con voi e sapere di avermi così vicino lo farebbe impazzire” “Ma ti ha visto” rispose crucciata fissando la madre “Solo per pochi secondi e solo perché sapevo esattamente cosa stava pensando. Non mi vedrà più, non posso sopportare quello sguardo e …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato, ricordava bene il volto rigato dalle lacrime di suo marito e il dolore che aveva dipinto negli occhi “ … Quando sarai più grande capirai cosa vuol dire” “Non voglio capirlo” “Ofelia?” si voltò di scatto incontrando lo sguardo del fratello “Con chi parli?” “Con la mamma” Pugsley annuì appena sedendosi accanto a lei “Non credi che sia ora di lasciarla andare?” “Perché dovrei?” “Perché se papà ti sente di nuovo parlare da sola impazzirà” “Sarà uno spettacolo meraviglioso” “Sarà divertente e allegro ma è sempre papà Ofelia, non possiamo giocare con lui come facciamo con gli altri” “E perché no?” domandò confusa posando le manine sui fianchi “Lui dice sempre che nessuno al mondo merita un trattamento di favore, perché per lui dovrebbe essere diverso?” “Perché è nostro padre. Perché si prende cura di noi” “Posso chiederti una cosa?” annuì leggermente permettendole di continuare quel discorso tanto strano “Secondo te papà è ancora innamorato della mamma?” “Se non lo fosse piangerebbe la notte? Resterebbe ore intere a fissare il vuoto?” “Ma la mamma è morta” “Si, ma si è scordata una cosa” “Cosa?” la mano del fratello si posò sulla sua stringendola dolcemente “Si è scordata di portare via con sé l'amore che li teneva assieme. Così, ora papà è costretto a soffrire” “Non credo che la mamma stia meglio” si voltò leggemente di lato cercando in quella figura incorporea qualche sorriso ma su quel viso di perla c'era solo sofferenza, solitudine abilmente camuffata dietro a quel velo di normalità che ormai aveva imparato a decifrare “Pensi mai alla mamma?” “Ci penso ogni notte Ofelia” “Perché io riesco a vederla?” “Non lo so” mormorò alzandosi “Ma sei fortunata” tese una mano verso di lei sorridendole “Puoi vederla sorellina, questo è un dono che pochi hanno” strinse la mano del fratello alzandosi in piedi e senza più aggiungere una parola, si allontanò con lui lasciando dietro di sé una donna in lacrime che spiava la vita dei propri figli.


 

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Capitolo 35
*** Lei è Vita ***



                                       Lei è Vita





“E se non dovesse piacergli?” sorrise appena soffermandosi sull'espressione di Ofelia “Vedrai che gli piacerà. Papà adora i trenini” “Non lo so mamma. Ci gioca solo quando è arrabbiato” “Ecco perché questo sarà un bel regalo” sussurrò divertita “Perché quando si arrabbierà, penserà che la sua bambina ha fatto di tutto per aiutarlo a dimenticare i brutti pensieri e un bel sorriso prenderà il posto della rabbia” le manine si mossero veloci annodando leggermente un bel fiocco nero sul pacco “Così?” “No amore mio, prima la mano destra. Fai scivolare il nastro sotto alla mano e poi lo giri” che fatica immensa non poter toccare quelle manine a pochi centimetri da lei.
La sua bambina, la sua piccola e meravigliosa bambina che per nove mesi aveva cullato in grembo immaginandone i lineamenti, sperando che custodisse almeno la metà della malinconia di sua sorella.
Quella punizione eterna così violenta non la meritava, non meritava niente di tutto questo, Ofelia si fermò qualche secondo fissando il viso di sua madre, quegli occhi carichi di malinconia e lacrime troppo a lungo trattenute e il profumo della sua pelle che in qualche modo arrivava fino a lei “Non fa niente mamma” sussurrò “Posso fare un fiocco anche da sola guarda” girò velocemente il nastro ridacchiando “Hai visto? Non devi toccarmi per aiutarmi a farlo” “No, no è vero ma credimi Ofelia, vorrei toccare la tua mano più di ogni altra cosa al mondo” “Papà dice sempre la stessa cosa” prese il pacchetto tra le mani scendendo dalla sedia “Dice che vorrebbe toccarti anche solo per qualche secondo. Che gli manca la tua pelle, il suo profumo, i tuoi baci” si avvicinò lentamente alla scrivania del padre accertandosi che quel fantasma incorporeo fosse ancora lì con lei “Dice che darebbe la vita per poterti vedere di nuovo. Per poterti sentire, per ascoltare la tua voce” “Non si cambia il passato” “Sarebbe tutto più semplice” “Sarebbe una forzatura. Il passato deve restare dov'è perché ora nelle vostre vite c'è spazio per il futuro” si strinse dolcemente nelle spalle osservando i movimenti di sua figlia “E che futuro è quello dove non ho una madre?” mormorò tristemente posando il pacco sul ripiano “Che futuro è quello dove mio padre piange la notte, quando nessuno può ascoltarlo? Che futuro è quello dove mia sorella distrugge cose per evitare di ricordarti?” “Ofelia” si voltò leggermente verso la madre sospirando “Ehi …” gli occhi persi nei suoi, così belli e sinceri da strapparle un sorriso delicato
tu sai perché ho scelto questa vita?” “Papà dice che l'hai fatto perché ami troppo” “È vero, amo troppo. Ma questo non è una cosa orribile. Amare troppo a volte conduce alla pazzia e quello che ho fatto in molti possono definirlo tale. Ma è davvero pazzia scegliere di morire per i propri figli? Uccidere un uomo che aveva come unico scopo quello di portarsi via la vita di mio marito e dei miei bambini? È forse pazzia riporre la propria fiducia in tuo marito” “Non è abbastanza forte mamma” “Si che lo è amore mio. Lo è sempre stato e continuerà ad esserlo” “No mamma!” esclamò decisa trattenendo un singhiozzo “Papà non può sopportare altro! Scappa da noi, si allontana da tutti per restare con il proprio dolore, non mangia con noi, non viene a giocare con noi e non ci porta più da nessuna parte, per quello c'è Lerch e per i nostri bisogni nonna!” “Ofelia?” si voltò di colpo incontrando gli occhi di suo padre “Con chi parli?” “Non gli dici la verità?” domandò avvicinandosi leggermente alla bambina “Non gli racconti niente Ofelia? Ricordi cosa ti ho detto?” “Allora?” domandò sollevando dolcemente il volto della figlia “Cosa ci fai qui dentro?” ma gli occhi della bambina erano lontani, persi su qualcosa che lui non riusciva a vedere “Hai paura di farlo soffrire? Non sarà questo a piegarlo, non c'è riuscito Leandro, la sua vendetta e non ci riuscirà questo amore mio. Tuo padre ha bisogno di sapere che sua figlia è infelice, che parla con qualcoa e non con il muro” “Tu non sei qualcosa” sussurrò ma Gomez sorrise “Ofelia?” “Scusami” “Si può sapere cosa stai facendo qui dentro?” “Stavo … stavo …” “Per raccontarmi una bugia? Lo so” esclamò divertito posando dei fogli sul ripiano lucido “Ti ho detto mille volte di non giocare qui dentro” “Non stavo giocando” “No?” “Ti ho fatto un regalo” esclamò raggiante ma suo padre annuì appena sedendosi dall'altro lato della scrivania “Papà?” mormorò confusa “Ti ho fatto un regalo” “L'ho visto amore mio ma ora papà ha delle cose da sbrigare. Ti prometto che lo aprirò non appena ho cinque minuti di tempo” “Ma è …” “Ofelia” esclamò picchiando il pugno sul ripiano gelido “Non farmi ripetere le cose due volte” la piccola sospirò indietreggiando di un passo e senza dire una parola uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Non è arrabbiandoti con lei che risolverai le cose amore mio” si sedette sulla scrivania a pochi centimetri da lui, un debolissimo sorriso sulle labbra e gli occhi carichi di stanchezza “Lei non merita la tua rabbia” lo vide sospirare, chiudere gli occhi posando la testa sullo schienale “Lo so che sei arrabbiato con me, sei molto arrabbiato con me ma non puoi prendertela con Ofelia per questo perché lei non ha colpe” gli sfiorò il viso sorridendo di quel contatto inesistente mentre un uomo distrutto si abbadonava al riposo che fino ad ora si era sempre negato.
Ma quell'attimo di tranquillità durò pochi minuti.
Aprì gli occhi di colpo, il cuore batteva violentemente nel petto mentre tornava nella realtà del presente abbandonando di colpo quel sogno, quell'orribile sogno che per tutto quel tempo aveva chiuso a chiave in fondo all'anima.
Si passò una mano in viso sospirando mentre davanti agli occhi restava inchiodato il volto di sua moglie, era lì, limpido, chiaro e cristallino.
Ogni dettaglio, ogni più piccolo particolare, perfino quel sorriso delicato che nessuno era autorizzato a guardare “Non puoi andare avanti così. Per quanto ancora resterai inchiodato al passato?” chiuse gli occhi cancellando per un secondo quella presenza costante.
Vederla, toccarla, parlare con lei, per quanto tempo l'aveva sognato? Per quanto tempo aveva cercato nel buio della stanza la sua presenza.
Non era quello che voleva, rivederla così, parlarle in questo modo, non così, non come un'incubo perché lei era quello, era un incubo violento che tornava a massacrargli l'anima e il corpo.
Fece un bel respiro, un altro ancora poi di nuovo gli occhi aperti e il niente davanti a sé “Gomez?” “Scusami, ho dimenticato il nostro impegno” “No fratello” mormorò Fester sedendosi di fronte a lui “Siamo ancora in tempo” “E allora cosa …” “Ofelia” “Cos'ha combinato?” domandò passandosi una mano tra i capelli ma il fratello si strinse leggermente nelle spalle sospirando “Non la trovi diversa?” “Diversa in peggio?” “Diversa e basta” “No” mormorò fingendo di leggere qualcosa di inesistente sui fogli davanti a sé “La trovo la stessa di sempre” “Non lo so Gomez, è silenziosa e a volte parla con il niente” “Questo è un bene. Nostra madre faceva la stessa cosa ricordi?” “Si ma c'è qualcos'altro” “Avrà litigato con i suoi fratelli. Sono giochi passeggeri, dalle cinque minuti e tornerà come ...” “È possibile che veda sua madre?” “Cosa?” l'altro sospirò passandosi una mano in viso “Credi sia possibile che tua figlia sia in grado di vedere sua madre?” “Escluso” “Gomez non …” “No Fester, Ofelia non può vedere sua madre” “Ne sei proprio sicuro vero?” sbottò ironico piantando gli occhi sul viso del fratello “Perché parla con qualcuno che apparentemente le risponde e non è qualcuno come zio Abner. È quelcuno che le spiega come mai suo padre continua a non risponderle” “Non essere sciocco. Non ha nessuna necessità di vedere sua madre. Sta bene, è serena e felice, perché dovrebbe …” “Perché le manca!” urlò inchiodando gli occhi ai suoi “E tu credi che sia l'unica a cui manchi? Non riesco a dormire, non riesco nemmeno a chiudere gli occhi qualche minuto senza vederla! Mi manca mia moglie, mi manca da morire, ogni giorno, ogni notte, mi manca quando mia figlia sorride, quando rivedo nei suoi occhi la mia sposa” “Lasciale il permesso di conoscere suo padre perché ha perso sua madre e non può …” “Se la caverà benissimo, la vita va avanti anche senza la famiglia” “Coraggio” esclamò Fester afferrandolo per le spalle “Urlalo Gomez, urla al mondo quanto sei arrabbiato” “Smettila” ma la presa del fratello si rafforzò di colpo, il respiro accelerato e la rabbia che velocemente copriva ogni angolo di ragione “Urla al mondo quanto sei arrabbiato con lei per averti lasciato da solo! Per averti abbandonato e costretto a soffrire!” “Smettila!” urlò liberandosi violentemente dalla sua presa, Fester sorrise appena portandosi una mano alle labbra “Sei così arrabbiato con lei fratello mio da non accorgertene nemmeno. La chiudi in fondo al cuore e la nascondi lì impedendo a tutti perfino a te stesso di avvicinarti al suo ricordo” “Tu non … non hai il diritto di …” ma era talmente agitato da non accorgersi che quelle lacrime troppo a lungo trattenute erano lì, lì davanti al mondo e scorrevano violentemente e incontrollate.
Vide suo fratello sorridere compiaciuto e poi solo una porta chiusa e un uomo solo con il proprio dolore che fino ad ora era riuscito a controllare. 

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Capitolo 36
*** Paura ***


                                              Paura




“Come hai incontrato papà?” domandò incuriosita continuando a disegnare “Era una fredda notte d'inverno. La luna era alta nel cielo e la bara di tuo zio era ancora aperta e lì, per la prima volta ho incontrato i suoi occhi …” sorrise sedendosi sul tappeto accanto alla figlia “ … era così bello, così elegante e pieno di orgoglio. Ricordo che mi guardò qualche secondo sorridendomi, fu solo uno sguardo ma bastò a legarlo a me per sempre” “Ha parlato con te?” “Mi ha chiesto di sposarlo quella notte stessa” la piccola scosse leggermente la testa ridacchiando “Zia Porzia dice sempre che ci vuole tempo, che le persone non si conoscono subito” “Ricordo che zia Porzia ha passato una notte intera con me. Cercava di capire se fossi quella giusta per tuo padre. Vuole molto bene a tuo padre, così tanto da preoccuparsi per lui” “Ma tu amavi papà vero?” “Io amo tuo padre Ofelia. Sai, ci sono persone che vedi per una vita intera e che ancora non conosci amore mio e altre che conosci da pochi secondi ma ti sembra una vita. Tuo padre era speciale. Mi sono innamorata di lui e continuerò ad amarlo perché è l'unico uomo al mondo per me” “Ha paura di dormire” “Lo so” mormorò triste scostandosi dagli occhi i capelli “Ha tanta paura di vederti mamma, ha paura di non riuscire più a sognare senza di te” “Sei qui” mormorò divertito Gomez entrando nella sala “Credevo fossi in giardino con i tuoi fratelli” “Sto disegnando” “Volevo rigraziarti” “Per cosa?” “Per il tuo regalo” le mostrò il trenino lucido ridendo “Questo è davvero un regalo meraviglioso amore mio” “Davvero?” sussurrò tornando a concentrarsi sul disegno “Non vuoi venire a giocare con me?” ma la piccola non rispose “Coraggio, facciamo il gioco che più ti piace. Scegli tu quello che vuoi, ti do un vantaggio non indifferente sai?” ancora silenzio “Ofelia?” lo sguardo della bambina si sollevò lentamente incontrando il suo “Dovresti giocare e non passare il tempo da sola” “Non sono da sola” ma l'altro sospirò sedendosi sul divano a pochi centimetri da lei “Ofelia tu …” “Io vedo la mamma” la donna accanto a lei sorrise appena giocherellando con i laccetti del vestito “Vedo la mamma” “Pensi di vedere la mamma ma non …” “La mamma è qui!” esclamò gelida piantando gli occhi nei suoi “La mamma è morta Ofelia” “Hai paura” “Cosa?” “Hai paura di vederla perché piangeresti di nuovo, perché il senso di colpa ti mangerebbe vivo” trattenne il fiato incatenato lì dalle parole di sua figlia “Ma non devi sentirti in colpa, la mamma non è arrabbiata” “Dovrebbe … dovrebbe esserlo perché l'ultima volta che abbiamo parlato abbiamo litigato” “Ma non è arrabbiata” sussurrò tornando a concentrarsi sui suoi fogli “Non è arrabbiata” il silenzio si mangiò vivo ogni secondo passato assieme perché di fronte a quelle risposte chiare e precise non aveva più nesuna domanda e di certo, avrebbe preferito vivere con il senso di colpa piuttosto che scoprire quello che sua figlia urlava da mesi perché era così, perché quel dolore immenso non sarebbe mai passato.


 

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Capitolo 37
*** Perle Nere ***


                                      Perle Nere




“S0no contenta che tu abbia cambiato idea” “Mi ci hai costretto” sbottò gelido incontrando lo sguardo di zia Porzia “Non cambierà niente Gomez, è solo un incontro” “Costringere mia figlia a questo vuol dire toglierle la libertà di scegliere” Mercoledì entrò nella sala seguita da suo zio.
Aveva indossato un vestito scuro e i capelli erano dolcemente raccolti di lato dove un fiore di stoffa nera risaltava sotto la luce delle candele.
Non si era mai reso conto di quanto fosse cresciuta, più alta, più delicata e dolce nei lineamenti dove la giovane età di una quattordicenne era ancora indecisa sull'essere bambina o donna.
Mercoledì aveva racchiuso in lei la perfetta armonia dei loro cuori, aveva l'incarnato di sua madre, gli occhi di suo padre e quel sorriso carico di sfida e malinconia che aveva visto molte volte sul viso di sua moglie.
Fester sorrideva, le mani posate sulle spalle della ragazza e un vestito elegante dello stesso colore del fratello, con decori diversi ma indossato apposta per le grandi occasioni “Non trovi che sia bellissima?” domandò estasiata la donna avvicinandosi a lei “Sei davvero meravigliosa bambina mia” “Devo proprio legare i capelli così?” “Questa è tradizione” “Io la trovo un'idiozia” ma Gomez sorrise mentre Ofelia entrava nella sala per mano al fratello.
Restare tutti i giorni a contatto con loro aveva nascosto ai suoi occhi i progressi immensi di quei tre giovani cuori.
Pugsley era un giovane adolescente di sedici anni, alto, dallo sguardo furbo e divertito e la sicurezza di chi è in grado di conquistare il mondo.
Gli assomigliava, gli assomigliava così tanto da farlo sorridere perché quel bambino un po' goffo era sparito, sostituito da un giovane dalle spalle larghe, forte e ostinato e poi Ofelia, il suo sorriso, il suo viso così tenero e giovane.
“Deve proprio farlo?” domandò irritato Pugsley sistemandosi il colletto della camicia “Non temere, non durerà molto” “Non vuole incontrarlo padre” esclamò gelido piantando gli occhi nei suoi “Non vuole incontrarlo né tanto meno sposarlo” “Non la costringerò a fare niente” “Non è la risposta che si aspetta” scosse leggermente la testa abbassando qualche secondo lo sguardo “Sei pronto?” domandò orgogliosa la vecchia donna avvicinandosi a loro “No” “No? Che diavolo vuol …” “Che non ho né la forza né la voglia di incontrare questa famiglia” Mercoledì si voltò verso il padre socchiudendo leggermente gli occhi, come se quelle parole uscite dal nulla l'avessero finalmente convinta a respirare, a lasciar uscire dai polmoni l'aria realizzando che tutto era solo pura finzione, qualcosa costruito solo per costringere la vita su un binario predefinito, come i trenini di suo padre, quei trenini che tanto aveva odiato perché sinonimo di rabbia, di solitudine e odio verso il mondo, verso un destino crudele che gli aveva portato via l'unica cosa preziosa della vita.
“Non sono pronto ad incontrare nessuno” “Abbiamo aspettato anche troppo Gomez, il tuo egoismo non può scavalcare i bisogni di tua figlia” “Che ne sai tu dei suoi bisogni!” Ofelia corse a nascondersi dietro alla sorella, le mani strette alla vita sottile e la testolina posata sul suo ventre, la stessa posizione che tanti anni prima era appartenuta a Mercoledì.
Rivedeva in lei lo stesso raggio di malinconia che correva a nascondersi al sicuro tra le braccia di sua madre quando qualcosa la turbava.
Mercoledì non si mosse nemmeno, posò una mano sulla testolina della sorella mentre alle sue spalle Pugsley annuiva leggermente “Mia figlia è grande abbastanza per decidere da sola, non ho alcuna intenzione di imporle cose di cui nemmeno conosce l'esistenza” “Ne abbiamo già parlato! Eri d'accordo, volevi farle incontrare il giovane solo per un giorno, solo per capire se potrebbe esserci un domani qualche possibilità di apertura” “Ho cambiato idea” la donna colorò lo sguardo di violenza avvicinandosi a lui di un passo “In questo momento sono nel tuo cortile, hanno attraversato il paese per incontrare tua figlia e non puoi chiudere la porta di casa tua in faccia a chi ha tanto donato alla tua famiglia. Cosa penserebbe tua moglie di un affronto del genere?” Ofelia trasalì inchiodando gli occhi al suo viso, era certo che in quello sguardo vi fosse nascosto più di quello che realmente vi leggeva ma sua figlia aveva la maledetta capacità di nascondere pensieri complicati in quel leggerissimo battito di ciglia.
Non aveva scelto lui di ospitare quelle persone né di cambiare l'aspetto di sua figlia per un giorno intero eppure ora, era immobile nel centro della sala con un uomo elegante sbucato dal nulla a fissarlo altero.
Le mani strette attorno al pomello del bastone e gli occhi di ghiaccio che spiavano velocemente ogni cosa lì dentro.
Accanto a lui una donna dalla pelle chiara, con lunghi capelli scuri e un abito riccamente decorato.
Si muoveva elegantemente, sorridendo di tanto in tanto al visetto indispettito di Ofelia e a quelle labbra arricciate che ricordavano tanto un folletto birichino “Lei è il signor Addams” strinse la mano della donna portandola alle labbra.
Un gesto naturale che ormai da anni aveva dimenticato “Data la natura del nostro incontro credo sia meglio eliminare i dettagli e le formalità. Può chiamarmi Lavivia se le fa piacere e questo …” sorrise orgogliosa prendendo a braccetto l'uomo “ … è mio marito” “Ludvig Orland Morsis” “Posso presentarvi mio fratello?” Fester sorrise appena avvicinandosi di un passo “Ha davvero una bella famiglia Addams e la sua casa è un incanto” “Mercoledì non è vero?” mormorò la donna soffermandosi sul viso della giovane “Le parole di tua zia raccontavano il falso. Porzia, è molto più bella di quello che mi hai raccontato” “Come si può descrivere un tale incanto?” Gomez sbuffò appena distogliendo lo sguardo dalla figlia mentre sua zia le presentava quella donna che poco c'entrava con la loro vita.
“Il giovane Midoro non è con voi?” domandò guardingo Pugsley ma zia Porzia sorrise posando una mano sulla spalla del nipote “La tradizione vuole che il giovane promesso aspetti il consenso dei genitori. Se il giudizio espresso nei confronti della ragazza sarà positivo allora varcherà quella soglia presentandosi alla futura sposa altrimenti nessuno lo costringerà a restare qui” “Allora è troppo sperare che il giudizio espresso nei confronti di mia sorella sia negativo?” Ofelia sorrise appena continuando a stringere la sorella “Ci sono molti modi di vedere in negativo le cose giovanotto” asserì Ludvig giocherellando con il bastone “Tua sorella è fortunatamente un raggio di solitudine nell'inifinito mare di luce che c'è là fuori. Mio figlio merita una giovane piena di talento, con la capacità di seguirlo e di regalargli un futuro pieno, dei figli e una vita meravigliosa” “Quindi vi serve un'erede” Gomez tossicchiò leggermente avvicinandosi al figlio “Volete mia sorella perché avete bisogno di una donna che porti in grembo l'erede della vostra famiglia” “Vogliate perdonare mio figlio” “Padre loro non …” “È molto legato a sua sorella” esclamò senza staccare gli occhi dal viso del ragazzo “A volte dimentica che c'è un mondo al di fuori dei loro giochi” l'altro sorrise appena “Sono stato giovane anche io, mia sorella ha seguito la tradizione esattemente come ora farà mio figlio e posso assicurarti giovanotto, che tua sorella avrà un futuro radioso” “Impareranno cos'è l'amore” Porzia annuì appena alle parole di Lavivia ma Ofelia rimase immobile, con lo sguardo fisso nel niente e un debole sorriso sulle labbra “Amore” ripeté lentamente, Gomez si voltò di colpo inchiodando gli occhi al suo viso “Amore è solo una parola” “Cosa?” mormorò tremante, la piccola sorrise ripetendo di nuovo la stessa cosa “Amore è solo una parola ma un giorno, un giorno arriverà qualcuno che vi darà un senso e non sarà più solo parola ma fiato e vita” Lavivia sorrise meravigliata da quella risposta così pronta e profonda ma Pugsley e Mercoledì si guardarono appena sospirando “Dove hai … come …” “Non è così papà? Non è quello che pensava la mamma?”.
Conosceva bene quelle parole, erano le stesse che sua moglie aveva sussurrato la prima notte che passarono assieme.
Al sicuro tra le sue braccia, cullata dal calore del suo corpo gli aveva sussurrato quelle maledette parole perché lui era quella persona, lui era l'uomo che aveva dato un senso a quella parola e ora, nella voce di sua figlia riviveva quegli istanti, i baci rubati, i sospiri, quella notte di luna piena dove aveva scoperto l'amore di un figlio per la prima volta e poi i lunghi giorni d'inverno passati a guardare la pioggia che violentemente batteva contro i vetri con un bambino tra le braccia e per la seconda volta un sorriso di vita, il suo piccolo raggio di malinconia che aveva reso la sua vita in qualche modo migliore.
Era tutto lì, racchiuso in quelle maledette parole che ora più che mai, sembravano uscire dalle labbra di sua moglie “Sei davvero molto perspicace piccola” esclamò stupito Ludvig “Tra qualche anno tuo padre dovrà iniziare a cercare un giovanotto bello sveglio per te” “Oh andiamo” esclamò divertita Lavivia “Io direi che c'è ancora molto tempo davanti. È ancora piccola Ludvig” “Ma è già sulla buona strada per diventare un gioiello di rara bellezza” Pugsley posò le mani sulle spalle della sorellina inchiodando gli occhi al viso dell'uomo “Come potete vedere signore, mia sorella è ancora molto giovane e ingenua” “Ehi” esclamò indispettita alzando il viso verso di lui “Io non sono ingenua! È stata la …” ma la mano del fratello posata sulle sue labbra bloccarono a metà quella protesta leggera “Suvvia, cosa sono questi modi” tossicchiò Porzia grattandosi il mento “Siamo tutti riuniti per un'occasione speciale. Accomodatevi graditi ospiti” all'ampio gesto della mano seguì un leggero inchino per invitare quelle persone venute dal nulla a sedere assieme a loro.
Un'ora, un'altra ancora, vedeva le bocche dei presenti muoversi, li vedeva sorridere, parlare e scherzare ma per quanti sforzi facesse, lo sguardo restava inchiodato al viso di Ofelia, a quegli occhi scuri e profondi che non si erano mai staccati dal suo viso.
“Molto bene” tremò leggermente riportato alla realtà dalla voce dell'uomo “Non ho altro da aggiungere se non che questo incontro è stato costruttivo” la moglie annuì appena sorridendo “Devo ammettere che avevo delle riserve sulla giovane ma Mercoledì è molto intelligente e ha sciolto uno dopo l'altro i miei dubbi” “Mi rincresce averlo fatto” sibilò gelida ma l'uomo annuì orgoglioso “Per questo sono d'accordo sul permettere a Midoro di conoscere sua figlia” “Molto bene” mormorò indifferente alzandosi in piedi “Lerch, invita il giovane a raggiungerci e servi il te” il maggiordomo si mosse lentamente allontanandosi da loro, pochi minuti appena poi quei passi leggeri nel corridoio e un giovane dall'aspetto elegante immobile sulla soglia della porta.
Era alto, con lunghi capelli scuri che nel loro disordine trovavano il proprio fascino, un viso pallido e due occhi come smeraldi.
Lo sguardo corse immediatamente a Mercoledì, era terrorizzato dal poter scoprire in sua figlia quell'espressione che fino ad ora il cervello aveva sempre negato ma la vide sbuffare appoggiandosi allo schienale della poltrona.
“Gomez, le presento il mio ragazzo” esclamò orgoglioso Ludvig avvicinandosi al figlio “Un giovane di grande intelligenza, con una mente brillante e una sana passione per l'omicidio” il ragazzo socchiuse leggermente gli occhi muovendo leggermente la testa, un inchino appena accennato che scatenò in Ofelia un sorriso enorme “Non respira” sussurrò all'orecchio del fratello “Lo vedi?” l'altro ridacchiò appena prendendola in braccio “Non respira perché deve farlo” “Deve non respirare?” domandò confusa ma Pugsley sorrise appena scuotendo leggermente la testa “Deve restare impassibile e concentrato. Niente sorrisi fuori luogo, niente bisbiglii senza senso. È ligio al dovere” “È sciocco” zia Porzia tossicchiò leggermente interrompendo quella conversazione fuori luogo “Midoro ha una grande abilità nel maneggiare il denaro. L'anno scorso gli ho affidato le entrate dei miei conti bancari e lui è riuscito a raddoppiarle con investimenti studiati e ben calibrati” “Insomma sei un ragazzo perfetto” mormorò invitandolo a sedere di fronte a lui “Ci provo signore. La gioia che regalo a mio padre è un premio più grande di qualsiasi altra cosa” “E dimmi un po' Midoro, cosa ne pensi della mia bambina?” per la prima volta lo sguardo del giovane si posò su Mercoledì, su quel viso di perla e quelle labbra serie e tese che niente lasciavano trasparire “È molto bella” “Molto bella” ripeté alzandosi in piedi “Ha lo sguardo spento e cupo, questo è sinonimo di grande intelligenza e quel modo di inclinare leggemrente la testa quando qualcosa non la interessa è intrigante signore” “Ma davvero?” mormorò ironico fermandosi dietro alla figlia “So per certo che non le interesso, che è qui solo ed esclusivamente perché vi è costretta e questo mi piace” “Raggio di malinconia, forse abbiamo per la prima volta qualcuno con un cervello davanti” la giovane sorrise appena mentre le mani del padre si stringevano con sicurezza attorno alle sue spalle “E dimmi Midoro, come intederai provvedere al mantenimento della mia bellissima figlia?” “Non sono cose di cui dobbiamo discutere ora Gomez” “Vedi zia Porzia, sono ben felice di seguire le tradizioni dato la tua tanto amata insistenza ma devo essere certo che mia figlia sarà seguita e amata” “È una richiesta ragionevole” asserì serena Lavivia “Se fosse mia figlia vorrei sapere esattamente la stessa cosa” “Allora Midoro, hai una risposta?” “Come mio padre ha ampiamente spiegato prima di me, sono davvero molto bravo a maneggiare il denaro. Se Mercoledì vorrà onorarmi con la sua presenza nella mia casa allora provvederò a lei nel migliore dei modi, non le mancherà niente e sarà sempre servita come una regina” “Che ne pensi?” domandò divertito stringendo più forte le mani attorno alle sue spalle “Dovremo fidarci di Midoro?” “L'unica di cui ci si può fidare è la morte padre” “La morte non può renderti felice” ribatté gelido Midoro inchiodando gli occhi ai suoi “La morte non può giocare con i tuoi sentimenti, non può amarti né giocare con te” “Cosa ne sai tu della morte?” sbottò gelida, Pugsley sorrise abbassando appena lo sguardo perché finalmente, la sorella che per tutti quegli anni aveva conosciuto era uscita fuori, aveva bucato la coltre dell'apparenza uscendo violentemente dall'immagine di una ragazza silenziosa e composta che poco c'entrava con lei “Non hai idea di cosa voglia dire convivere con la morte, restare ad ascoltare la sua risata nei lunghi silenzi del tempo. Non sai cosa si prova a sentire la sua voce nella testa che ripete: ho vinto io” Laviva sorrise appena stringendo la mano del marito “E immagino …” mormorò Midoro colorando lo sguardo di sfida “ … che tu conosca la morte da parecchio tempo per essere così legata a lei” “Chiedilo a mia madre” Gomez trasalì lasciando cadere le mani nel vuoto “All'immagine confusa del suo viso, al dolore che provoca in mio padre il suo ricordo. Chiedilo a mia sorella, che per tutto questo tempo è cresciuta con una lapide di granito scuro al posto del suo profumo, dei suoi baci o dei suoi abbracci” si alzò in piedi togliendosi dai capelli quello stupido fiore che per troppo tempo aveva sopportato “Mi chiedete di seguire una tradizione, cos'è una tradizione? Cos'è una regola se non la costrizione imposta a due vite! Tu parli di case, di denaro, di futuro ma escludi a priori la mia vita Midoro, ne lasci fuori i dettagli mascherandoli dietro alle incertezze. Non ho bisogno di denaro, la mia famiglia ha già tutto quello che mi serve …” il coprispalle scuro del vestito cadde al suolo e così anche quel pizzo avvolto attorno alla vita “ … non ho bisogno di una nuova famiglia o di una donna che sostituisca mia madre perché ricordo il suo profumo, ricordo i suoi baci e le sue parole. Non ho bisogno di fingere timidezza o passione perché l'unica passione che ho è l'oscurità” si avvicinò lentamente al giovane colorando quel sorriso freddo e tagliente di sfida “Mio padre mi ha preparato egregiamente al mondo. Non ho interesse alcuno a diventare tua moglie né pretendo che il tuo insulso cervello possa capire l'importanza del mio no. Sono stata educata a non cedere mai, a pensare a me stessa e alla mia vita prima che tutto il resto, mi è stato insegnato il rispetto per la morte e l'oscurità del tempo e non ammetto in casa mia discorsi fatui e sdolcinati come questi!” gli occhi fusi uno nell'altra, pochi secondi di gelo assoluto poi solo sua figlia, troppo arrabbiata per restare lì dentro, troppo delusa e amareggiata.
La vide uscire velocemente dalla sala seguita dalla sorella mentre Pugsley sorrideva compiaciuto al proprio posto “Oh amico mio” esclamò raggiante Ludvig “Vostra figlia sarà il mio fiore all'occhiello” “Mia figlia deciderà da sola quale sarà la sua strada” “Gomez ma che …” “Mi sembra di essere stato chiaro!” esclamò voltandosi verso sua zia “Rispetto questa stupida tradizione perché mi è stata imposta e perché non ci vedo niente di male in un incontro di poche ore. Non sarò io a costringere mia figlia a rivederlo né lo farà qualcun'altro. Mercoledì sceglierà da sola” “Lungi da me l'idea di oppormi” esclamò l'altro ridacchiando “Rispetteremo la tua volontà e quella della giovane ma ti invito a pensare a quello che potrebbero essere insieme” si alzò goffamente dal divano seguito dalla moglie “Hanno davanti un futuro raggiante Addams, non lo butti via”.


 

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Capitolo 38
*** Cambiamenti ***




                                       Cambiamenti





“Andiamo, lo so che sei lì dietro” “Conoscere il mio nascondiglio preferito non ti da il diritto di interrompere i miei pensieri” “Davvero?” mormorò sedendo di fronte alla lapide scura “Smettila di seguirmi, non ne hai il diritto” “Il fatto di essere tuo padre non conta?” “No!” “E da quando?” Mercoledì sorrise uscendo dall'ombra scura della pietra, le mani posate sui fianchi e i capelli raccolti di lato “Da quando hai accettato di farmi incontrare quel fantoccio senza arte né parte” “Ehi, mi pare di ricordare che in quella scelta fossimo in due” “Per favore!” “No no signorina” esclamò ironico sostenendo il suo sguardo “Non è così che funziona. E credo anche di ricordare che le parole “potrebbe essere utile conoscere il nemico” fossero tue e non mie!” “E tu mi hai creduto?” ribatté indispettita “Non avrei dovuto?” “No!” “Raggio di malinconia, c'è qualcosa che non riesco a capire? Qualcosa di cui non mi hai parlato o che non …” “Perché dovrebbe esserci?” ma ogni domanda sembrava farla impazzire più di quanto non sembrasse già.
Fece un bel respiro cercando di calmare i nervi perché se avesse continuato così, era certo che avrebbe ammazzato sua figlia nel giro di qualche minuto “D'accordo” mormorò “Ripartiamo da capo vuoi?” “Per farmi prendere in giro? No grazie!” esclamò piantando gli occhi nei suoi.
Aveva le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fiero e orgoglioso di una giovane donna che non riusciva o non voleva trovare il proprio posto nel mondo “Ascolta …” mormorò sfiorandole il viso “ … so che non sono molto bravo a parlare di certe cose perché tua madre si occupava di questo insomma, sono ben lieto di darti informazioni in merito all'argomento perché non ho dubbi o riserve sul sesso ma immaginare mia figlia in determinati momenti è … come dire …” ritrasse lentamente la mano dipingendosi in viso un sorriso indagatore “ … sconveniente. Non mi permette di dormire la notte quindi, se c'è qualcosa che ti turba da quel punto di vista e vuoi …” “Credi davvero che sia il sesso?” “Non è un ragazzo con istinti selvaggi che vuole giocare con il tuo corpo?” “No!” “Grazie al cielo” mormorò chiudendo qualche secondo gli occhi “Padre!” “Mercoledì non … io davvero non riesco a capire cosa ci sia di così …” “Perché mi hai lasciato incontrare quel giovane?” “Perché non ci vedo niente di male amore mio. Perché prima sarebbe stato e prima tua zia sarebbe sparita. Perché tuo fratello vuole essere certo di non dover sterminare una famiglia intera per la debolezza di un giovane e per mille altri motivi” “Non era quello che volevo!” “Perché non me l'hai detto?” ma la giovane sospirò tornando a fissare la lapide della madre “Mercoledì, purtroppo e per fortuna non leggo i pensieri. Credi che tua madre sarebbe solo un nome sulla pietra a quest'ora?” “Cosa?” “Credi che le avrei permesso di fare quell'idiozia?” “Un nome sulla pietra” sussurrò sfiorando con le dita quelle lettere incise sul marmo scuro “Non posso aiutarti se non mi dici cosa ti succede amore mio” “Così …” mormorò gelida voltandosi di nuovo verso di lui “ … è diventata questo per te? Un nome inciso sulla pietra?” “Stai cambiando discorso” “Stai evitando di rispondermi” “Perché devi essere così maledettamente uguale a lei?” urlava, sapeva di farlo ma la testardaggine della figlia non gli permetteva di fare altro.
Era come se d'improvviso la sua bambina fosse sparita, sostituita da un mostro pieno di rabbia che cercava ogni modo per litigare con lui.
Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, Pugsley era un adolescente in pieno sviluppo ma non era nemmeno paragonabile alla sorella.
Lo sguardo gelido, carico di sfida, le labbra sempre piegate in un sorriso vincitore e calcolato. Amava quel sorriso, quando era giovane l'aveva dipinto sul volto ad ogni ora del giorno e della notte ma aveva dimenticato cosa significasse sopportare giorno dopo giorno la sua presenza.
Dio come avrebbe voluto spedirla lontano da casa, via per anni interi, giusto quel tanto che bastava per riaverla indietro giovane e “normale” con i suoi sani picchi di pazzia e quell'aria sempre un po' malinconica che tanto amava, ma la sua bambina non era più niente di tutto questo.
Testarda, ostinata, egoista e gelida, a volte si lasciava convincere dalla razionalità a giocare con sentimenti e paure e altre volte, la mancanza di quella madre tanto amata tornava improvvisamente a fare capolino sconvolgendo di nuovo tutto il suo mondo.
Quando la sua giovane mente ricordava quegli anni felici sua figlia si trasformava di colpo, diventava irrascibile, violenta, massacrata dai dubbi e dalle incertezze e così silenziosa da spaventarlo.
Quei silenzi appartenevano a Morticia così come quegli occhi carichi di sfida e quell'arroganza figlia della conoscenza che la rendeva già donna “Ti infastidisce che sia uguale a lei?” “Avete lo stesso brutto vizio Mercoledì! Non rispondete mai ad una domanda se non con un'altra e faticate a dire te lo prometto!” “Perché le promesse sono da idioti padre! A che scopo promettere qualcosa che tanto sappiamo non sarà mai tanto prezioso da convincerci a desistere?” “Ti costa tanto spiegarmi cosa ti passa per la testa?” “E a te costa tanto spiegarmi perché mia madre è passata dall'essere il tuo unico pensiero all'essere un nome inciso sulla lapide?” “Vedi! Lo fai di nuovo!” “Ehi ehi” mormorò la vecchia donna intromettendosi dolcemente tra loro “Vi si sente urlare dallo scantinato” “Io la uccido! La lego mani e piedi e la butto nel pozzo in giardino lo giuro!” “Per così poco?” ribatté ironica ma la nonna tossicchiò leggermente richiamando all'ordine entrambi “Litigare in questo momento di gioia non ci fa bene” “Dovrebbe essere gioia questa?” “Non la chiami così?” “Incontrare qualcosa, qualcuno che probabilmente sarò costretta a sposare è gioia?” “Forse non hai sentito bene amore mio, ho detto che avresti fatto la tua scelta da sola ma se ti fa sentire meglio giocare al ruolo della vittima va bene! Prenderò io questa decisione per te!” “Ho mai detto questo?” “Adesso basta!” esclamò l'anziana battendo di colpo le mani “Che diavolo volete fare? Litigare davanti alla tomba della mia bambina? Toglietevelo dalla testa” “Ma lui ha …” “Non mi interessa!” esclamò fissando la nipote “Hai quasi quindici anni, presumo che un po' di cervello ti sia rimasto, che non sia stato tutto bruciato dagli ormoni quindi ascoltami bene!” si avvicinò di un passo colorando lo sguardo di fermezza “Non ho né il tempo né la voglia di sedare le liti tra te e tuo padre! Non mi piace sentirti urlare per idiozie che non riguardano il naturale gioco della tua vita e non voglio mai più dover interrompere le mie letture di anatomia per la tua stupida e infantile incapacità di controllare le emozioni sono stata chiara?” “Nonna io non …” “Sono stata chiara?” un debole si, sussurrato, appena percettibile ma così carico di rabbia da non passare inosservato agli occhi della donna “Quello che stai passando tu è perfettamente normale e ti farà piacere sapere che tua madre l'ha passato prima di te e se pensi di spaventarmi con questi scatti di rabbia hai fatto male i tuoi conti perché credimi …” riprese fiato continuando a fissare la nipote “ … quello che ha combinato tua madre non è nemmeno lontanamente paragonabile al concetto di “normale” quindi, se hai finito con questa messa in scena vai in camera tua signorina!” Gomez sospirò passandosi una mano in viso mentre l'immagine di sua figlia scompariva lentamente tra la nebbia.
“Che diavolo ti è preso?” “Scusa, scusami io non …” “Non puoi trattarla come una bambina, non più Gomez! È una giovane donna che sta crescendo, è diversa da tutte le giovani donne là fuori e per questo, per questa meravigliosa dote che ha va protetta e guidata!” “Non è più mia figlia!” ribatté trattenendo la commozione “È scomparsa! Quel raggio di malinconia che mi ragalava emozioni enormi è sparito, cancellato da qualcosa che non riesco a capire. È cambiata, così cambiata da farmi paura e ci sono poche cose al mondo a farmi paura ma lei è … non riesco più a parlare con lei, non riesco più nemmeno a …” la donna sorrise posando una mano sulla sua spalla “È diventata donna” “Lo so e credimi, sono la persona più felice del mondo per questo” “No, Gomez …” lo sguardo inchiodato al suo e la mano ancora stretta attorno alla sua spalla
“ … tua figlia è diventata donna questa notte” “Lei ha … è …” “Non è più una bambina, non più ormai e questo la spaventa perché fino ad ora, è rimasta attaccata alla sicurezza della sua infanzia, dove poteva giocare e incurante del futuro terrorizzare le persone ma questa notte, la sua infanzia si è interrotta di colpo e non c'è la sua mamma con lei. Ha bisogno di essere rassicurata” “La mia bambina è diventata donna” la vecchia annuì appena sorridendo “È ancora così piccola come può …” “Questa è la vita. Pensavi che scherzassi prima? Morticia era molto più incontrollabile” il suono di quel nome troppo a lungo rifiutato lo costrinse a tremare violentemente.
Si allontanò di qualche passo dalla vecchia inspirando a fondo “Parlerò con lei” mormorò “Parlerò con lei non appena si sarà calmata un po'” ma dalla casa il suono di un'esplosione violenta spaccò a metà il silenzio costringendo la donna a sorridere “Tanti auguri allora. Mia figlia ha fatto saltare in aria una stazione ferroviaria perché arrabbiata con suo padre. Il motivo? Una futile lite per chiarire il concetto di matrimonio” “Mia moglie ha … davvero?” domandò stupito ma l'altra annuì orgogliosa “Venti treni ridotti a brandelli, un buco enorme nella terra e fiamme alte dodici metri. Per fortuna era notte e per sfortuna suo padre era il proprietario della ferrovia” prese il cognato a braccetto incamminandosi lentamente lungo il sentiero “Non scherzavo e probabilmente, tua figlia non è molto diversa dalla sua mamma” scoppiò a ridere mentre al sicuro tra i cespugli e la nebbia, una bambina di dieci anni sorrideva divertita.


“Cosa vuol dire?” “Che tuo padre avrà un bel po' di movimento in giro per casa” ribatté divertita camminando al fianco della figlia “No mamma, cosa vuol dire diventare donna?” Morticia sorrise appena studiando il viso della piccola “Non è niente di così terribile amore mio. È la natura, il semplice e complicato ciclo della tua esistenza” “Fa male?” domandò preoccupata ma il sorriso della madre bastò a tranquillizzarla “Non fa male, non è doloroso né orribile. Diventi donna, lasci l'infanzia, il tuo corpo cambia, diventi più alta, più bella di quanto tu non sia già” “Come Mercoledì? È diventata bella mamma lo sai?” annuì leggermente sospirando.
Era inchiodata lì assieme alla vita dei suoi figli per le lacrime di suo marito, per la sua incapacità di lasciarla andare ma conosceva bene quel dolore, era lo stesso che bruciava nel fondo del suo cuore perché non era viva e non era morta.
Legata a metà tra qualcosa di eterno e qualcosa di mortale, immobile nel nulla con la sola certezza che qualcosa di sbagliato stesse giocando con tutti loro “Diventerò bella come lei? Diventerò una donna?” “Si amore mio, diventerai una donna” “E se poi fa male?” domandò crucciata stringendosi nelle braccia “Se urlo con papà come ha fatto lei?” “Urlerai con tuo padre, litigherete e probabilmente ti punirà ma sarà sempre lì per te. Proprio come è qui ora per Mercoledì. Diventerai una bellissima donna bambina mia, bella e intelligente e tuo padre sarà orgoglioso di te come lo è di tua sorella” “Mamma …” fissò il viso della madre sospirando “ … non puoi parlare con papà?” “No Ofelia” “Perché no?” “Perché piangerà ancora e non voglio vederlo piangere” “Ma piange lo stesso” “Imparerà a controllare le lacrime. Tu preoccupati solo dei tuoi giochi piccola mia” le fece l'occhiolino e senza più dire una parola camminarono assieme per quel cimitero che ormai chiamava casa.

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Capitolo 39
*** Incubo ***



                                            Incubo




“Da dove vieni?” “Stavo giocando in camera mia” annuì appena togliendole dai capelli dei rametti secchi “Non ricordavo di aver piantato alberi in camera tua” Ofelia sorrise mascherando tutto dietro ad un'espressione furbetta “Che ci facevi nel cimitero?” “Giocavo a nascondino” “Con Pugsley?” avrebbe voluto rispondere “No con la mamma” ma frenò di colpo quel pensiero preoccupandosi del dolore che suo padre avrebbe assaggiato, le parole che uscirono dalla sua giovane bocca furono “No, con zio Abner”.
Gomez sorrise annuendo appena “Ecco la mia nipotina preferita” esclamò Fester prendendola in braccio “Lo dici sempre a tutti e tre” ribatté ironica posando le manine sulle sue spalle “Come posso essere la tua preferita se tutti e tre siamo i tuoi preferiti?” “Confondo le idee Ofelia. Chi lo sa un domani cosa accadrà? Avere l'illusione di essere il più importante per qualcuno mette quel qualcuno al sicuro da eventuali problemi. Chiedilo a tuo padre” l'altro annuì accendendo il suo sigaro “E se qualcuno dei preferiti decide di non volerlo più essere?” “Hai di nuovo ascoltato le conversazioni tra tua sorella e tuo fratello?” scosse leggermente la testa arricciando le labbra “Via di qui piccola streghetta, ci sono cose da adulti di cui dobbiamo discutere” Fester sorrise mettendola a terra di nuovo “Papà? Possiamo giocare assieme dopo?” “No Ofelia, ho degli affari da sbrigare” “Hai sempre degli affari che ti portano via” “Se ti piacciono i giochi che fai forse dovresti ringraziare gli affari di tuo padre perché sono quelli che ti permettono di avere tutto quello che vuoi” la bambina non rispose, si limitò ad annuire appena lasciando la stanza “Per quanto continuerai a trattarla così?” “Così come?” l'altro sospirò passandosi una mano in viso “Con freddezza Gomez!” “La tratto esattamente come tutti gli altri” “Non giochi con lei, non la porti più nei cimiteri, non le permetti di decapitare le bambole della sala grande” “Possiamo finirla con questi discorsi? Ho del lavoro da fare” “Lungi da me l'idea di trattenerti” mormorò colorando la voce di sfida “Vado a giocherellare con gli esplosivi” “Divertiti” sbottò abbandonandosi sulla sedia, la scrivania piena di fogli che nemmeno vedeva.
Leggeva quelle pagine come se in realtà avesse davanti agli occhi fiumi di inchiostro scuro. Non ne vedeva le lettere, a malapena riconosceva le parole, aveva eliminato ogni immagine di sua moglie, ogni fotografia, ogni quadro, tutto quello che potesse ricordargli quanto fosse bella, quanto era innamorato di lei ma quella foto non era riuscito a nasconderla.
Aveva sempre amato quella foto, quel modo maledettamente sensuale che aveva di inclinare la testa di lato e poi i suoi occhi così scuri e profondi e il colore candido della sua pelle.
Era bella, bella come un incubo, bella come la prima volta che ne aveva sfiorato il corpo con lo sguardo.
Sorrise appena seguendo i contorni del suo viso con le dita, la cornice c'argento scorreva veloce sulla pelle mentre dentro il cuore, rabbia e paura si divertivano a prendere il sopravvento.
Spinse la foto indietro restando immobile mentre il rumore del vetro rotto spaccava il silenzio.
Vetri gelidi che si frantumavano al suolo come i cocci del suo cuore che giorno dopo giorno diventava più debole e stanco.


Svegliati amore mio” “Sono stanco” “Svegliati” aprì lentamente gli occhi incontrando il suo sguardo.
Un sorriso caldo e rassicurante si prese le sue labbra mentre la mano si perdeva tra i suoi capelli, capelli lunghi e setosi che aveva sempre amato “Sei così bella” sussurrò sfiorandole le labbra con le dita “Sei così bella amore mio” ma lei non rispose, si limitò a sorridere posando le labbra sulle sue.
Un bacio leggero, a metà tra il dormiveglia e il sogno che per tutto quel tempo era stato il suo ricordo preferito “Ofelia ha bisogno di te” “Ofelia sta dormendo” mormorò confuso ma l'espressione sul viso di sua moglie lo costrinse ad aprire gli occhi di nuovo “Se ha bisogno di parlare con qualcuno può farlo con te amore mio” “No Gomez, io non posso più farlo” “Che vuol dire?” mormorò sollevandosi appena “Che stai …” “Che questo è un sogno” “No” si alzò di colpo dal letto senza staccare gli occhi da lei, dal suo viso e da quel sorriso malinconico che per anni era stato il suo unico pensiero “No tu sei … sei qui” “Stai sognando, sono qui perché è un sogno amore mio ma non posso più … non posso toccarti” una lascrima scese insolente su quel viso di perla costringendolo a tremare.
Odiava vederla piangere, avrebbe massacrato, ucciso per lei, per la sua felicità, per la sua sicurezza, avrebbe distrutto il mondo intero se questo fosse servito a fermare quelle lacrime ma ora, in quella distanza imposta che altro poteva fare? Strinse più forte i pugni costringendosi a respirare “Non piangere” sussurrò “Ti prego non piangere” “Promettimi che resterai assieme a lei, che la terrai al sicuro” “L'ho già fatto, te l'ho promesso anni fa e …” “E non riesci ancora a dirmi addio” “Non posso!” esclamò picchiando violentemente il pugno sul muro “Non posso dirti addio! Non ci riesco, non riesco nemmeno a dormire la notte senza che tu sia in ogni mio dannato sogno! Sono innamorato di te, sono così dannatamente innamorato da non riuscire a … tu mi hai distrutto! Mi hai costretto ad amarti e poi sei andata via! Te ne sei andata senza nemmeno fermarti a pensare, senza preoccuparti di me!” “Non era questo che volevo” sussurrò avvicinandosi lentamente a lui “Leandro ti avrebbe ucciso, avrebbe costretto i nostri figli ad una vita normale portandoli alla follia!” “Sarei morto io! Sarei morto mille volte per te, perché è mio dovere tenerti al sicuro, perché l'ho giurato davanti a Dio ma tu hai ...” “Ho l'unica colpa di amarti” “Non è questo l'amore che voglio!” urlò afferrandola per le spalle.
Sentì di nuovo la sua pelle sotto le dita, il suo profumo, il tremito leggero del suo petto. Le mani erano strette attorno alle sue spalle e per la prima volta da anni, non c'era solo aria davanti a lui ma qualcosa di reale “Oddio” mormorò tremante posando la fronte contro la sua “Sto impazzendo, sto impazzendo amore mio e ...” “Stai impazzendo per me” sentì la sua mano sfiorargli il viso scendendo dolcemente sul collo “Stai impazzendo perché non riesci a dirmi addio. Lasciami andare Gomez” “No” sollevò dolcemente il viso incontrando i suoi occhi.
Era troppo vicina, troppo bella, troppo amore per lui. La strinse più forte tirandola in avanti, le labbra posate sulle sue mentre le mani le strappavano di dosso quel vestito troppo spesso per il calore della sua pelle.
La sentì sospirare, il collo leggermente reclinato mentre le sue labbra ne assaggiavano la dolcezza scendendo sul seno.
Amava la sua pelle, l'aveva sempre amata perché profumava di buono, sapeva di buono, quante notti aveva passato con le labbra posate sul suo collo? Quante notti perse ad assaggiare qul corpo delicato? La sollevò da terra staccando qualche secondo le labbra dalle sue, sentiva le sue gambe avvolte attorno ai fianchi, il suo respiro accelerato e quegli occhi meravigliosi vicini e carichi di passione e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo, perché almeno nel sogno, la sua bellissima sposa gli apparteneva.

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Capitolo 40
*** Sospiri di tenera Follia ***


                     Sospiri di tenera Follia





“Dobbiamo proprio andarci?” “Zio Arold tiene davvero a voi” sussurrò allacciandole il bottone della giacchetta “I cimiteri europei hanno un fascino particolare. Ti piaceranno vedrai” “Ma io voglio stare qui” “Oh andiamo, sono solo pochi giorni” “Dodici” puntualizzò irritata “Sono dodici giorni. E se sogno qualcosa di brutto?” “Cosa dovresti sognare di così brutto?” “Un gioco nella neve! O un pupazzo colorato che vuole abbracciarmi!” “Ci sarà tua sorella con te. Si prederà cura dei tuoi sogni” ma il visino imbronciato di Ofelia lo fece sorridere “Ascolta …” mormorò sollevandole dolcemente il volto “ … sarà un viaggio interessante e divertente. Vedrai i cimiteri, giocherai con attrezzi di tortura molto vecchi e arruginiti e potrai imparare a riconoscere nuovi veleni. È una bella cosa, non devi essere triste” “Padre?” si voltò leggermente verso la porta annuendo a qul viso colorato di malinconia.
Mercoledì cresceva così in fretta da sconvolgerlo ogni volta. Aveva i capelli legati di lato, come sua madre prima di lei aveva scoperto la dolcezza dell'essere donna e quell'acconciatura diversa e nuova era la stessa che sua madre prima di lei aveva scelto.
Indossava un vestito nero, scuro come la notte se non di più, le braccia incrociate sul petto e gli occhi pieni di mistero “Sei pronta?” “Pugsley sta aspettando di sotto con Lurch” “D'accordo” prese per mano Ofelia uscendo lentamente dalla stanza.
Le scale poi il grande ingresso e un uomo elegantemente vestito ad aspettarlo “Caro nipote” mormorò abbracciandolo “Come stai? Come va la tua vita?” “Dolorosa, dolorsa e vuota” “Meraviglioso” annuì appena sospirando “Eccoli qui i miei bellissimi nipotini. Allora, siete pronti a scoprire i misteri del vecchio continente?” Pugsley sorrise annuendo appena “E tu signorina?” Ofelia sbuffò stringendo più forte la mano del padre “Non immagini nemmeno quanto assomigli a tua madre” “Lo so” esclamò orgogliosa “Non preoccuparti nipote, staranno bene” “Sono la mia vita zio Arold, sono l'unica cosa che mi resta e per cui mi alzo al mattino” “Lo so” mormorò posando una mano sulla sua spalla “Me ne prenderò buona cura” “Ehi” sussurrò prendendo in braccio Ofelia “Andrà bene, sarò qui ad aspettarti e quando tornerai mi racconterai tutto quello che hai combinato laggiù” ma la bambina non rispose, si limitò ad abbracciarlo, gli occhi persi su quell'angelo trasparente a pochi passi da loro “Ti voglio bene papà” sussurrò mentre sua madre sorrideva dolcemente.
“Mi raccomando le tue sorelle Pugsley, non lasciarle diventare troppo sdolcinate” “Starò attento” esclamò abbracciando il padre e poi Mercoledì, il suo respiro sul collo mentre si stringeva con forza a lui “Mi mancherai raggio di malinconia” ma lei non rispose, si limitò a sciogliere quell'abbraccio sospirando.
Un ultimo sorriso e poi solo l'immagine dei suoi bambini che lasciavano quella casa, la sua casa e un vuoto enorme nel cuore perché ora, lì dentro era solo, abbandonato al silenzio e perso in pensieri che non voleva.


Aveva letto e riletto quelle lettere per ore intere, le parole di sua figlia, le foto dove Ofelia rincorreva suo fratello con un coltello affilato e poi quel sorrisetto pieno di follia che le colorava il volto ogni volta che la vedeva con qualcosa di velenoso in mano.
Sorrise appena posando sul ripiano gelido della scrivania il foglio, due settimane, due settimane intere senza poterli abbracciare, senza poterli toccare né guardare.
Aveva autorizzato una gita di otto giorni ancora solo per la gioia dei suoi figli ma quanto male faceva la lontananza? Il dolore immenso di non poter capire cosa passasse per la loro giovane mente, per quegli occhi così pieni di vita e solitudine.
Fece un bel respiro concentrandosi sulle lettere davanti a sé, su quel mare di numeri che in qualche modo chiamava affari.
Distrarre il cervello, costringerlo a turni lunghi ed estenuanti solo per poter soffocare la lontananza, per costringere cuore e pensieri al silenzio.
“Fratello! Sei qui!” “Dove altro dovrei essere?” domandò confuso osservando la faccia divertita di Fester “Oh andiamo! Facciamo saltare qualcosa, come quando eravamo piccoli e mamma ci correva dietro per tutta la casa” “Mamma non ha mai …” “Quanto le sarebbe piaciuto farlo? Diceva sempre che sarebbe stato un incubo essere una madre normale, la casa sempre pulita e profumata, i bambini elegantemente vestiti e lontano dai guai” “Oh per favore” “Lo sai …” mormorò sedendosi di fronte a lui “ … sei più normale di quanto pensassi. È per i bambini?” “Cosa?” “La mancanza dei propri cari a volte è così vecchio mio. Stanno benone sai?” “Lo so” “E allora cosa stai …” “Sto tentando di finire questi dannati conti Fester! È chiedere troppo?” ma l'altro scoppiò a ridere annuendo leggermente “Ti devono mancare proprio tanto fratello” “Non essere ridicolo” sbottò tornando a concentrarsi sui suoi affari “Non è un male essere normale, non è un male urlare al mondo l'amore per i propri figli e non è un male essere deboli Gomez!” “Ehi!” puntualizzò fissando il fratello “Io non sono debole” “Tu sei arrabbiato” “Smettila” “Sei arrabbiato con tua moglie” “Ho detto basta!” urlò, la lampada cadde al suolo così come quel fiume di carte che fingevano di coprire i suoi pensieri “Coraggio!” esclamò allegro Fester saltandogli intorno “Urla! Urla la tua rabbia! Urla al mondo intero, arrabbiati con lei per averti fatto soffrire! Per aver scelto una vita immortale a te!” sentiva la rabbia crescere sempre più forte dentro di sé, nel cuore solo il buio e i pensieri persi dentro un vulcano di terrore “Arrabbiati con lei per averti fatto del male, per averti costretto a piangere!” “Non è stata colpa sua!” urlò stringendo le mani attorno al collo del fratello.
Una persona normale avrebbe urlato, chiamato aiuto o per lo meno avrebbe cercato di liberarsi ma Fester no, se ne stava lì con gli occhi fissi nei suoi o un sorrisetto vittorioso sulle labbra.
Non era spaventato da lui né tanto meno intimorito, restava semplicemente lì, ad ascoltare quello sfogo, quella rabbia per troppo tempo repressa che ora tutto d'un tratto esplodeva violenta.
“Non è stata colpa sua! Non è lei che incolperò per la mia sofferenza” “No fratello ma è lei ad averla creata. O ti arrabbi con lei per questo o finirai per ammalarti di lei e allora, nessuna cura avrà più effetto” “Preferirei milioni di volte la morte a questa … questa specie di limbo in cui sono prigioniero” “Andrà bene” la mano di Fester si posò sulla sua, la presa si allentò e le lacrime tornaono a galla spezzandogli il respiro, costringendolo finalmente a buttare fuori il veleno di quel dolore troppo a lungo trattenuto.


 

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Capitolo 41
*** L'amore Uccide ***


                                 L'amore Uccide




Un giorno, un altro ancora poi finalmente quella porta aperta e una bambina sorridente che si stringeva violentemente alle sue gambe “Papà!” “Ciao angelo del male” esclamò divertito prendendola in braccio “Come stai? Ti sei divertita?” “Mercoledì mi ha preso un coccodrillo” “Davvero?” sollevò la manina mostrandogli una gabbietta di metallo, al suo interno un piccolo coccodrillo di pochi giorni che se ne stava comodamente sdraiato incurante di tutto quel trambusto “L'ho chiamato Oblio” lo sguardo corse veloce al viso di Mercoledì, osservava sua sorella, le braccia incrociate sul petto e gli occhi pieni di orgoglio “Come stai raggio di malinconia?” la giovane annuì appena lasciandosi baciare dal padre “E tuo fratello?” “Ha perso qui pochi attimi di lucidità che ancora gli restavano” “Ha incontrato una bella ragazza” puntualizzò Ofelia ma la voce di suo zio la costrinse a ridere “Dov'è la mia nipotina preferita?” esclamò allegro Fester scendendo goffamente dalle scale “Zio! Zio Fester!” “Ha incontrato una ragazza?” ripeté confuso fissando la figlia “Una ragazza vera?” “Si papà, una ragazza con due gambe e due braccia che respira e parla, o per lo meno, finge di essere intelligente” “Non vedo l'ora di sapere che reazione avrà tua zia!” esclamò divertito grattandosi il mento.
Lurch scaricava lentamente la macchina mentre zio Arold dirigeva i suoi facchini personali con fermezza “Nipote, caro nipote mio” “Zio” mormorò perdendosi nell'abbraccio dell'uomo “Come vedi, siamo tutti sani e salvi” “Devo rigraziarti per …” “Per aver trascorso del tempo con i miei nipoti? Oh andiamo!” sbottò burbero “Perché non mi hai detto che Mercoledì è una calamita vivente?” “Cosa?” “Attira i ragazzi come il miele con le mosche” “Sta crescendo così in fretta” “Diventerà una donna molto bella Gomez. Avrà schiere di ragazzi ai suoi piedi e sono abbastanza certo che ne demolirà molti” “Tu credi?” “Ha rinchiuso un giovanotto nelle catacombe parigine dopo una notte di serenate sotto alla sua finestra. Tua figlia non ha pazienza, mi ricorda qualcuno sai?” “Oh andiamo! Mia moglie era la persona più paziente del mondo” “Non sto parlando di tua moglie” “Zio Arold, ti fermi a cena con noi?” domandò Ofelia apparendo di colpo tra loro “No fantasmino. Non mi freghi di nuovo con la storia della cena” “Ma l'ho fatto solo una volta” “E una volta è bastato” le scompigliò i capelli ridacchiando ma Ofelia scappò via lasciando la giacchetta tra le mani del padre “Mi ha avvelenato la cena. Tua figlia è un piccolo demonio” “Meno male, credevo che la lontananza l'avesse cambiata” “Come stai nipote?” “Bene” “Ora guardami negli occhi e ripetilo” sorrise appena abbassando lo sguardo “Sto bene zio davvero” “Non sei mai stato bravo con le bugie, è una pecca che ti porti dietro dall'infanzia. Tua moglie era molto più brava di te” “Lei era molto più brava di me nel gioco della vita. Ci ho provato tanto, forse troppo ma da quando lei è volata via da me non riesco …” sollevò leggermente una mano giocando con l'aria gelida “ … non riesco nemmeno a …” “Soffrire è normale. Anche dopo anni Gomez. Era tua moglie, la tua vita, hai perso una compagna, un'amica, un'amante, non devi rimproverarti per questo. Non è stata colpa tua” “Avrei potuto salvarla” “No, non potevi. Lei ha scelto per tutti e due, non potevi fare altro” “E convivere con il dolore come può aiutarmi?” “Il dolore dell'anima non ha cure ma questo …” posò una mano sul petto di Gomez sospirando “ … questo ha una cura ragazzo mio” “Non so di cosa …” “Da quanto senti quel tremito?” la voce di Ofelia arrivò dalla nebbia costringendolo a respirare di nuovo “Nascondere ai tuoi figli il male che porti dentro non ti fa bene” “Non sono malato” “Ti stai ammalando d'amore Gomez” “Padre?” si voltò di scatto incontrando gli occhi di Mercoledì “Hai bisogno di qualcosa vita mia?” la ragazza socchiuse gli occhi studiando qualche secondo il viso del padre “Mercoledì?” zio Arold sorrise appena appoggiandosi al bastone “Possiamo cenare nel cimitero questa sera?” “Che domanda bizzarra” rispose ridacchiando appena “Cosa ti viene in mente amore mio?” ma la giovane sorrise incrociando le braccia sul petto “Ci permetti di cenare nel cimitero?” “Certo raggio di malinconia, come potrei negartelo?” “Perché stai cercando di nascondermi qualcosa padre” zio Arold scoppiò a ridere posando una mano sulla spalla del nipote “Ora sarà meglio che vada. È stato davvero un piacere portarli con me e probabilmente accadrà di nuovo” “Grazie zio” un ultimo abbraccio prima di restare di nuovo solo con quegli occhi, con quel viso che studiava ogni più piccolo angolo della sua anima.


Male d'amore, dolore profondo che non andava via nemmeno dopo mesi interi.
Come poteva cancellare i suoi ricordi? Una vita intera assieme a lei, l'unica donna che aveva mai accettato nella propria vita, l'unico amore che aveva mai autorizzato ad entrare nel profondo della sua anima, a studiarne ogni più piccolo segreto.
Ora così solo, così lontano dalle sue certezze, dal suo amore, da quei ricordi sentiva freddo, un freddo voilento che la notte congelava i pensieri e colorava gli incubi.
Quei sogni in bianco e nero che ora si coloravano lentamente terrorizzandolo, togliendogli il fiato, quei sogni maledetti che non volevano andare via, che non lo lasciavano nemmeno per qualche secondo costringendolo a vivere.
Quanto sarebbe stato più semplice abbandonarsi a quell'oblio, lasciarsi andare per raggiungerla, per tornare da lei ma che senso aveva? Le lacrime dei suoi figli valevano davvero quei sacrifici? Chiuse gli occhi inspirando a fondo.
Sentiva il battito del cuore accelerare di colpo, troppe volte in quell'ultimo mese era accaduta la stessa cosa e troppe volte aveva smesso di respirare per quel tremito ma non aveva paura di quel battito così diverso, non aveva paura di niente, non più ormai.
I colpi leggeri sulla porta lo risvegliarono dal torpore in cui si era rinchiuso “Padre?” sorrise allo specchio dove il viso di Mercoledì si trasformava velocemente in realtà “Non scendi per colazione?” “Arrivo subito” “Stai bene vero?” socchiuse leggermente gli occhi avvicinandosi a lui “Perché non dovrei?” “Perché troppe volte nascondi i tuoi pensieri, troppe volte ti ritiri da solo nel silenzio del tuo studio” sfiorò il viso della ragazza con le dita sorridendo appena “Sto bene angelo del male, non hai niente di cui preoccuparti” “Padre non …” “Il giovane Midoro ci fa l'onore della sua presenza?” lo sguardo di Mercoeldì diventò improvvisamente più gelido inchiodandosi al suo “Da quando permetti all'idiozia di entrare nella nostra casa?” “Ho fatto una promessa a tua zia. Possiamo cercare di mantenerla?” la prese per mano tirandola leggermente in avanti “Coraggio”.

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Capitolo 42
*** Per qualche secondo come Prima ***


    Per qualche secondo come Prima




In fondo quella cena non era stata poi tanto male, Mercoledì e Midoro avevano passato ore intere ad insultarsi, quell'odio violento che usciva dagli occhi di sua figlia si inchiodava al cuore del giovane.
Ofelia giocava con le sue bambole e Pugsley chiacchierava amabilmente con sua zia distogliendo l'attenzione della donna che spiava di tanto in tanto le espressioni di Gomez.
“Ofelia mi ha raccontato del suo viaggio in Europa” mormorò Lavivia incatenando il suo sguardo “Si è divertita molto” annuì appena concentrandosi sul calice di vino di fronte a lui “Ha incontrato una donna che assomigliava molto alla sua mamma” “Una fioraia” sussurrò divertito “Ha incontrato una fioraria che vendeva rose e ha immaginato sua madre. Mi ripete continuamente che quella ragazza aveva gli stessi occhi della sua mamma” “Forse ha ragione” “Di occhi belli ne è pieno il mondo ma mia moglie ...” scosse leggermente la testa sospirando “ … lei era speciale” “Non ne parlate mai” “Non ne vedo il motivo” ma la donna sorrise abbassando qualche secondo lo sguardo “Se vi rifiutate di aprire la porta al passato chiudete fuori il vostro presente. Avete paura di parlare di lei perché in lei trovereste ricordi tanto dolci e belli da costringervi a piangere” “Ecco perché non ne parlo” esclamò divertito tornando a concentrarsi sul vino “Non voglio turbare i miei figli con stupide idiozie come i ricordi” “Non credo che loro considerino stupido il ricordo della madre. Mercoledì ha sofferto così tanto …” lentamente, quasi senza accorgersene, il suo sguardo si era spostato al viso giovane della donna.
Osservava Mercoledì con un sorriso macrabo e triste dipinto sulle labbra “ … porta dentro un dolore enorme. La mancanza della madre, del suo affetto, la mancanza di quell'abbraccio che fa più male di un coltello piantato nel cuore” gli occhi di nuovo inchiodati ai suoi e il respiro bloccato in fondo all'anima “Ecco perché la trovo perfetta. Penché nel suo dolore riesce ad essere se stessa. Perché non permette al passato di sconvolgerla anche se quel passato è la cosa che desidera più al mondo” “Ho provato a …” “Non dovete impedirle niente del genere, lasciatela crescere come più le piace e vedrete che diventerà una donna meravigliosa” “Cos'è accaduto al tu?” “Come?” domandò confusa “Mi avete detto più di una volta che visto la “situazione” tra le nostre famiglie, sarebbe stato meglio eliminare ogni dubbio e ogni segno di lontananza tra i genitori. Come mai ora mi date del voi?” “Scusa, a volte dimentico le buone maniere” “Tuo marito non è qui” “Lo so, aveva degli affari da sbrigare, affari importanti e così, ho deciso di accompagnare mio figlio nel rispetto delle tradizioni” “Padre?” la vocina di Ofelia interruppe ogni discorso cancellando di colpo la curiosità e l'attenzione per quella donna sposata che aveva qualcosa di magico “Posso giocare con Oblio?” “Mi prometti che non andrai a dormire troppo presto per quel coccodrillo?” “Promesso” “D'accordo” le diede una pacca leggera sulla schiena costringendola a scappare via “Ofelia, è un bel nome” “Non lo farà” l'espressione confusa sul volto della donna lo costrinse a continuare “Andrà a dormire prestissimo e si sveglierà prestissimo, in tempo per la scuola e perché? Per poter fare colazione assime ad Oblio” “E che male c'è in questo?” “Oblio non ha giornate piene da seguire, mangia, dorme, si rotola di tanto in tanto. Non ha la scuola, non ha le lezioni di scherma o quelle di francese” “Non credi che sia troppo piccola per questo?” “Ofelia parla spagnolo e francese correntemente come Mercoledì e Pugsley. Mia moglie amava le lingue, diceva sempre che il mondo era un posto strano e contorto e l'unico modo per capirlo, era parlare la sua lingua. I miei figli hanno solo l'imbarazzo della scelta. Possono chiedermi anche la luna e l'avranno” “Assomigli a mio marito” esclamò divertita appoggiandosi allo schienale “Per i nostri figli farebbe pazzie. Midoro è l'unico a poter giocare con i suoi soldi e con l'unico scopo di raddoppiarli. Ludvig è così contento di lui” “Non trovate che i ragazzi siano perfetti?” esclamò d'improvviso Porzia intromettendosi tra loro “Sono allegri, solari, pieni di domande l'uno verso l'altro” ma Gomez ridacchiò appena perché il volto di Mercoledì era un libro aperto “Sono abbastanza sicuro che mia figlia sia stanca di questa cena” “E cosa te lo fa pensare?” domandò indispettita la donna fissando la nipote “Se non le togli quel coltello di mano lo aprirà dalla gola in giù” Lavivia sorrise battendo leggermente le mani “D'accordo, sono più che convinta che questa serata sia servita ad entrambi. Vi siete conosciuti meglio e questo mi fa molto piacere” Midoro si alzò elegantemente dalla sedia porgendo la mano alla fanciulla ma Mercoledì non si mosse nemmeno “Raggio di Malinconia?” la voce del padre la costrinse a tornare in quella realtà che odiava da morire.
Spinse di lato la mano del giovane alzandosi in piedi “Cara, è stato davvero un piacere rivederti. Sono sicura che mio figlio avrà l'accortezza di scriverti presto” “Non ne vedo l'ora” esclamò ironico Midoro “Mi ha fatto piacere rivederti” sussurrò Lavivia mentre la mano si stringeva leggermente attorno a quella di Gomez “Spero di poterti invitare nella nostra bellissima casa uno di questi giorni” un tremito leggero salì lungo le dita fino al cervello.
Annuì appena lasciando andare la mano fresca e delicata della donna e senza più aggiungere una parola, restò immobile ad osservarla mentre abbandonava lentamente la sala affianco a suo figlio.
Si era scordato la dolcezza di una tavola piena di persone, una tavola con dei bambini, una donna e un uomo.
Per qualche secondo, davanti agli occhi si confuse l'immagine di sua moglie nei lineamenti di Lavivia, quel bacio leggero sulla sua pelle era bastato per costringere di nuovo il cervello a ricordare “Padre?” “Che c'è?” “Possiamo alzarci ora?” annuì leggermente mentre Mercoledì lasciava la tavola ma lo sguardo del figlio rimase inchiodato al suo “Che c'è?” “Non è un male” “Cosa sarebbe un …” “Ricordare la mamma non è un male” “Non l'ho ricordata” “Io si” sussurrò abbassando qualche secondo lo sguardo “Ho rivisto la mamma in Lavivia. Era seduta al suo posto e aveva lo stesso modo di impugnare la forchetta e …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … se fossi stato uno sconosciuto invitato a cena per caso, beh, avrei pensato: che bella famiglia felice” “Non siamo una famiglia felice non è vero?” ma l'altro sospirò abbassando qualche secondo lo sguardo “Non lo siamo più da anni ormai” “Oh ti sbagli papà. La nostra vita ci piace, ci piace ogni cosa della nostra vita ma ogni tanto abbiamo bisogno di ricordarla, specialmente Ofelia” “Non voglio che la sua assenza vi sconvolga Pugsley” “Sono passati anni ormai, come può sconvolgerci qualcosa di così lontano?” ma lo sguardo sul volto del padre non era cambiato di una virgola “Senti, io lo so che non vuoi ricordare. So che ti fa del male e so che vederla nei sogni è l'ultima cosa che vorresti ma Ofelia ne ha bisogno” “Quello che non conosce non può ferirla” “D'accordo” sussurrò Pugsley alzandosi “Ci vediamo più tardi” “Dove vai?” “ Ad incontrare Amelia” “Quella ragazza ti ha rubato il cuore non è così?” “Più o meno” sussurrò divertito dandogli una pacca sulla spalla “Ciao papà” un altro sorriso e poi una tavola vuota davanti a sé dove i ricordi affollavano i pensieri e una bambina che spiava di tanto in tanto il volto del padre
Chiuse gli occhi qualche secondo scuotendo la testa “Ofelia vuoi andare di là a cercare tuo zio?” “Stai bene?” sussurrò confusa inclinando leggermente la testa di lato “Padre?” “Sto bene, ora vai di là bambina mia” la piccola socchiuse leggermente gli occhi alzandosi dal tappeto “Sei sicuro?” “Si, si vai non preoccuparti” mosse un passo, un altro ancora fino alla porta e controvoglia uscì.
Si portò la mano destra al petto tentando di rallentare un cuore troppo debole e stanco “D'accordo” sussurrò alzandosi “È tutto passato” lasciò cadere il bicchiere sul pavimento, il rumore del vetro rotto entrò violentemente nel cervello bloccando tutto per l'ennesima volta.

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Capitolo 43
*** Ammalato d'Amore ***


                Ammalato d'Amore




“Papà non sta bene” “Lo so” mormorò Mercoledì continuando a leggere il suo libro “Lo sai?” “Credi davvero che nostro padre sia in grado di nascondermi qualcosa? È da quando siamo tornati dall'Europa che non sta molto bene. Sono quasi sicura che sia il cuore ma ancora non ne ho la certezza” “Il cuore?” domandò confusa Ofelia ma la giovane sorrise annuendo appena “Papà è malato d'amore” “Ed è grave?” “Né più né meno delle altre malattie” “E come si guarisce?” “Non si guarisce” chiuse il libro concentrandosi sul visetto della sorella “Non si guarisce mai, non si può. Papà è così concentrato sul dimenticare la mamma da non accorgersi che assieme a lei dimentica anche sé stesso. Quel sé stesso che dovrebbe curarsi della sua anima e del suo corpo. Dimentica la mamma per dimenticare il dolore ma non funziona” “Non puoi dimenticare l'amore?” Mercoledì sorrise appena prendendo in braccio la sorellina “Si può dimenticare tutto in questa vita Ofelia. Si dimentica il dolore, la paura, la rabbia, l'amore. Tutto può essere dimenticato, perfino la mamma” “Perché io non ci riesco?” “Perché è giusto così. Nessuno dovrebbe mai dimenticare le persone amate” “Ma papà vuole farlo” “Perché nostra madre era il suo mondo. Viveva esclusivamente per lei, per il suo sorriso, per il suo amore, per il suo corpo. Quell'amore violento che li legava è ancora qui, in questa casa, in noi, in ogni cosa che è rimasta di lei” “Per questo ha chiuso a chiave l'ala est?” la giovane annuì leggermente giocando con una ciocca di capelli di Ofelia “Nell'ala est c'è la loro camera da letto, la serra che mamma amava tanto e la sua libreria. Il salotto con i muri tappezzati di arazzi dove per la prima volta i nonni l'hanno incontrata. La camera dei giochi e quella dove riposa ancora la tua culla” “Non l'ho mai vista” “Non credo la vedrai finché papà non si decide a cambiare” “E se poi sta male?” “Sta già male” la porta si aprì lentamente e il volto sorridente di Gomez apparve in penombra “Eccole qui le mie ragazze. Come state?” “Da dove vieni padre?” “Sono stato con tuo zio a mangiare qualcosa fuori, c'è un bel posticino tetro, se vi va uno di questi giorni vi ci porto” “Posso portare anche Oblio?” “Non vedo perché no” esclamò divertito mentre Ofelia saltava giù dalle gambe della sorella “Andiamo a giocare papà?” “Non posso” posò una mano sulla testa della figlia sorridendole “Ho degli affari molto importanti” “Ma papà tu non …” “Non insistere Ofelia” “Ma è …” “Vieni …” sussurrò Mercoledì tendendo una mano verso di lei “ … giocherò io con te”.


La luce della mattina, il profumo della pioggia, un incubo meraviglioso, ormai tutto aveva lo stesso colore.
Non gli importava niente del nuovo giorno, niente di quello vecchio, del futuro, della sua vita, niente di niente, tutto quello che riusciva a fare era respirare.
Continuava a respirare cercando di trovare un modo per andare avanti, non bastavano più i sorrisi dei suoi figli, non servivano i loro baci, gli abbracci.
Non c'era più niente di quel mondo che lo attirava, niente che potesse regalargli lo stesso calore che tempo prima aveva provato “Papà?” “Dimmi” sussurrò continuando a sfogliare quel libro senza senso, aveva sempre amato l'arte, il calore e la bellezza che traspariva da quei disegni eppure ora, i suoi occhi sfioravano quellel inee scure senza trovarvi alcun senso “Non hai fatto colazione” “Sto bene” mormorò “Va tutto bene” “Non è vero” “Di cos'hai bisogno Mercoledì?” “Solo di sapere come mai ti comporti così” “Così come?” domandò confuso ma le mani della ragazza si chiusero attorno alle sue sfilandogli il libro di mano “Non angi, a malapena dormi, lasci che il mondo ti passi davanti agli occhi. La tua vita èpiena di meraviglie, hai una famiglia, perché permetti al dolore di giocare con te?” “Sei ancora una ragazza, non puoi capire” “No è vero, ma vedo il tuo dolore, lo sento nel profondo dell'anima e questo mi fa stare male, fa star male tutti noi!” era fredda, arrabbiata, forse perfino spaventata perché non era abituata a vederlo così.
Quello non era il suo papà, non era lo stesso uomo di cui era innamorata fin da bambina. Era debole, stanco, abbandonato a sé stesso e alle ingiurie del mondo.
Suo padre non era così, suo padre lottava, amava la vita con tutto sé stesso. Suo padre era un uomo forte, pieno di coraggio, un uomo che tutto il mondo invidiava e di cui era sempre stata orgogliosa perché nessun bambino poteva chiamare padre un uomo così.
Fece un bel respiro cercando di riordinare i pensieri “D'accordo, d'accordo se non vuoi parlarne va bene ma sappi che non me ne starò a guardare mentre ti distruggi davanti ai miei occhi. Ofelia non ha bisogno di questo” “Mercoledì, forse dovresti preoccuparti di altre cose, io sto bene, sto bene davvero. Smettila di starmi attorno, smettila di seguirmi ogni volta che vado nelle mie stanza e smettila di usare tua sorella per farmi venire i sensi di colpa chiaro?” quello sguardo di fuoco si piantò di colpo nei suoi occhi costringendolo a sorridere “Sono stato chiaro?” “Chiarissimo” sbottò gelida alzandosi di colpo “Sei stato chiarissimo padre” e di nuovo silenzio, di nuovo quello stato catatonico da cui non riusciva più ad uscire.



 

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Capitolo 44
*** Studio l'Amore ***


                                   Studio l'Amore






C'è un errore” “Non è vero” “Ci manca una lettera lì in mezzo Ofelia” fissò il foglio confusa da quell'errore che non riusciva a trovare “Mamma io non lo vedo” “Il francese è difficile da studiare. Ormai lo parli bene ma se non riesci a sistemare questa piccola pecca come facciamo?” le fece l'occhiolino sorridendo “Rileggi le frasi, cerca il posto esatto di ogni parola” Ofelia annuì appena posando la piuma d'oca.
Sfiorava con gli occhi le parole scritte sulla pagina candida poi un sorrisetto vittorioso “Ci manca una elle, proprio qui” esclamò divertita posando un dito sulla parola, vide sua madre sorridere, un sorriso pieno di calore, pieno di luce “Hai visto che l'hai trovata?” “Non me ne ero accorta” “Perché vai troppo veloce. Tuo padre fa la stessa cosa” “Fa gli errori quando scrive?” domandò crucciata “No Ofelia, non fa errori quando scrive” “E allora come?” domandò voltandosi confusa verso di lei “Come mamma?” “A volte pensa troppo velocemente” “Io penso normale. Non vado troppo veloce” “Davvero? Lo fai sempre streghetta ma questo non è un male” “No?” “No” la piccola sorrise tornando a concentrarsi sui suoi studi “Ciao amore mio” mormorò Gomez chiudendosi lentamente la porta alle spalle “Cosa stai facendo?” “Studio francese” “Senza il professore?” “Posso farlo anche da sola” Morticia sorrise appoggiandosi dolcemente allo schienale “Il professore di lingue sarà qui solo tra un'ora Ofelia, forse dovresti andare a giocare un po'” “Non ne ho voglia” rispose tornando a scrivere sul foglio “Vuoi fare merenda?” un altro no “Va tutto bene?” domandò confuso avvicinandosi al tavolo “Si” “Questa è una bugia. Non dire bugie a tuo padre perché se ne accorge” “Cosa ti ho detto suelle bugie?” domandò Gomez sfiorandole il volto “Che sono buone e giuste” “Con il mondo, con le altre persone non con me” Ofelia si voltò stupita verso la madre ma quell'assenza così evidente per suo padre lo costrinse a sospirare “Di nuovo?” “Cosa?” “Ofelia tu … d'accordo. Con chi stai facendo i tuoi esercizi?” “Da sola papà” “Smettila” esclamò sedendosi di fronte a lei “Vedi ancora tua madre? È così? Ti ho detto mille volte di smetterla Ofelia! Pensi che ti faccia bene? Non è così!” “E tu che ne sai?” trattenne il fiato sconvolto dalla risposta della figlia “Non così amore mio, non è così che lo aiuti” “E allora come?” si voltò leggermente verso il padre cercando di sorridere “Fammi delle domande” “Su cosa?” la piccola sospirò stringendosi leggermente nelle spalle “Non importa, chiedimi quello che vuoi. Sul passato, su di te e la mamma” “Perché dovrei …” “Papà!” “D'accordo …” fece un bel respiro cercando di rilassare ogni muscolo del corpo “ … vediamo, quando ci siamo conosciuti?” “Ho detto una domanda seria” esclamò imbronciata mentre sua madre accanto a lei rideva “Questa è una domanda seria” “Ventidue anni fa” “Brava” esclamò divertito battendo le mani “Vediamo, quel'è il posto preferito di mamma?” ma Ofelia sbuffò alzando gli occhi al cielo “Che c'è?” “Questa è una domanda seria?” “Serissima” “La mamma sta ridendo!” esclamò voltadosi verso la sedia vuota al suo fianco ma Gomez socchiuse gli occhi tentando di capirci qualcosa “Allora?” “Qual'è il prfumo preferito della tua mamma?” “Quello della pioggia” “Questa è semplice come risposta ranocchietta mia. Te l'ho detto più e più volte” esclamò divertito “Dobbiamo proprio continuare Ofelia? Ho cose importanti da fare e non ...” “Io non sono forse importante?” per qualche secondo, gli occhi restarono inchiodati gli uni agli altri fino a quando, la voce di un padre sfinito ruppe di nuovo il silenzio “Quante volte mi ha detto ti amo?” la piccola sospirò voltandosi verso la madre“Nessuna bambina mia” “Perché?” sussurrò Ofelia “Non ne avevo bisogno” sussurrò Morticia abbassando qualche secondo lo sguardo “Ofelia?” “Potevi leggerlo nei suoi occhi papà” “È vero, potevo leggerle nello sguardo ogni cosa” “Per questo sei così triste? Perché non puoi più vedere i suoi occhi?” ma lui non rispose, le diede un bacio e rialzandosi, si allontanò da lei “Anche la mamma è triste sai?” la mano si bloccò sulla maniglia e il cuore mancò un colpo “Anche lei è triste perché non può abbracciarti o toccarti, perché è stata strappata via da questa vita troppo velocemente” “Lo so Ofelia, e credimi, se ci fosse anche un solo modo per restiuirti la tua mamma lo farei, farei qualunque cosa per permetterti di abbracciarla” “E per te?” “Cosa?” la bambina sorrise mestamente cercando gli occhi del padre “Lo faresti anche per te?” “Ho avuto accanto la tua mamma per tanto tempo mentre a te è stata strappata via senza motivo alcuno” “Mamma dice che sei ancora così tanto attaccato all'amore che provavi per lei, per questo soffri, per questo il tuo cuore fa i capricci” “Il mio cuore non fa i capricci Ofelia!” “Ma se potessi riaverla indietro ne saresti davvero felice?” “Perché non dovrei?” sussurrò confuso voltandosi di nuovo verso la figlioletta “Perché dovresti guardarla negli occhi di nuovo, perché non sarebbe più un fantasma e dovresti cancellare di colpo tutto quello che hai fatto per dimenticarla” gli occhi della bambina si posarono sul volto della madre, il suo sguardo seguiva quelle lacrime leggere che solcavano lineamenti fatti ormai solo d'aria “Ofelia?” si voltò di colpo incontrando gli occhi della sorella “Il precettore è appena arrivato” “D'accordo” il sorriso tornò sulle labbra e tutta quell'irreale situazione sembrava improvvisamene scomparsa nel nulla.
Saltò giù dalla sedia stringendo tra le mani il libro di francese e corse divertita verso la sorella “Vieni anche tu Mercoledì?” “Perché dovrei?” “Perché ho imparato un nuovo poema” “Allora non posso perdermi la faccia del maestro” un leggerissimo sorriso le sfiorò le labbra mentre scompigliava leggermente i capelli della piccola “Padre? Vieni con noi?” Gomez annuì leggermente cercando di trovare un modo anche sciocco per formulare parole ma lo sguardo indagatore della figlia lo colpì in pieno “Che c'è raggio di malinconia?” “Niente, niente va tutto bene” prese per mano la sorellina e senza più aggiungere una parola uscì dalla stanza.









 

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