It's dark inside

di Caleb Club Efp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



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CAPITOLO 1

"Caleb, dove vai?"
Mi volto e incontro lo sguardo vivace e curioso di Beatrice, la mia sorellina. La guardo intenerito, la sua figura cosi piccola, delicata e goffa. I capelli biondi sono legati in una treccia ma delle ciocche ribelli le attorniano il viso. Le guance rosse risaltano la vivacità che fa da sempre parte del suo essere. Ma i rimproveri di mio padre risuonano nella mente quasi come se fosse qui con me. Non possiamo mostrare affetto in pubblico é una forma di auto-indulgenza. Mi riscuoto dai pensieri e distolgo lo sguardo.
"In biblioteca. Ad aiutare la signorina Smith" rispondo in tono piatto, quasi innaturale.
"Ma non pranzi?" Insiste lei.
"Pranzo più tardi. A dopo." Guardo Beatrice allontanarsi e mi rendo conto, guardandola, di quanto stia crescendo e che anche per lei, come per me, arriverà presto la Cerimonia della Scelta e, a pensarci bene, ho quasi paura di perderla. Esco dalla mensa e mi incammino verso la biblioteca. Passano pochi minuti quando incontro Robert.
"Caleb!" Mi fa un cenno con la testa sorridendo.
"Ehi Robert" ricambio.
"Che ci fai qui?" chiede. 
"Sto andando ad aiutare la signorina Smith, e tu?"
"Oh giusto, io vado a mensa" risponde.
"Già, ma.." guardo intorno a noi notando una particolare assenza. "Ma dov' é Susan?" chiedo interrompendo la conversazione. Robert mi guarda sorridendo.
"Che c'é?" domando indispettito. "Nulla, nulla." ribatte lui con quel sorriso di chi la sa lunga.
"Susan é a casa, si é presa l'influenza." risponde.
"Oh, mi dispiace" rispondo non sapendo cos'altro dire. Susan e Robert sono fratelli, i nostri vicini di casa. Conosco loro padre e so che spesso fuori per lavoro e forse per colmare questa assenza si fanno sempre compagnia. Non posso negare che Susan non sia carina, bionda, sorridente e vera Abnegante. A pensarci è probabile che lei resterà nella nostra fazione anche dopo la Cerimonia e lo farei anche io, se non fosse per la continua sensazione che mi assale ultimamente quando mi guardo intorno, la sensazione di non appartenenza a questo posto. "Bene, io vado sennò resto senza pranzo" ironizza Robert distraendomi dai miei pensieri.
"Certo" ribatto sorridendo "salutami Susan!"
"Lo farò, piccolo innamorato" ribatte lui correndo via. Stringo i pugni e resto a guardarlo infastidito. Innamorato di Susan? Come può capire lui l'amore quando è a dir poco un bambino? Come me, certo, ma mi rendo conto ogni giorno di quanto qualcosa dentro di me stia cambiando. Faccio un lungo respiro, rilasso i muscoli delle braccia e torno alla realtà. Mi dirigo verso la biblioteca, o meglio, mi ci rifugio.

Non sempre è difficile mascherare la mia predisposizione per gli Eruditi in predisposizione per gli Abneganti. Siamo in pausa pranzo, e io mi sono offerto di aiutare la bibliotecaria a riordinare la libreria. Mi piace questo posto. E' il mio santuario da molto tempo, uno dei pochi posti dove posso saziare la mia sete di sapere, la mia fame di informazioni. I libri sono ovunque, qui: sui tavoli, ancora aperti, probabilmente lasciati da qualche Erudito, sugli scaffali e perfino per terra, e tutti sembrano prometterti che, non appena avrai finito di leggerli, sarai una persona nuova, una persona migliore. Una promessa alla quale non so resistere.

Mi chino a raccogliere i libri da terra per rimetterli negli scaffali, pensando alla mia Cerimonia della Scelta, che avverrà tra due anni, pensando a cosa dovrei scegliere. Tutti questi anni passati qui mi hanno insegnato che la scelta giusta è solo una: gli Abneganti. Gli Abneganti sono la fazione più fedele e capisco il perché. Trasferirsi dagli Abneganti a qualsiasi altra fazione significherebbe essere egoista, pensare a te stesso, e non c'è posto per l'egoismo, qui. D'altra parte, fare la scelta giusta significherebbe negare la mia natura, e la mia natura mi spinge a informarmi, a sapere, a essere curioso. ''La curiosità è da egoisti'' dice sempre mio padre ''e l'egoismo non è mai una buona cosa''. Eppure io penso che la curiosità sia la cosa migliore che possa essere capitata all'uomo.

Nei libri di storia si parla sempre di grandi persone, uomini e donne, che hanno contribuito a rendere il mondo un posto migliore grazie alle loro scoperte, ampliando le loro conoscenze. Loro non si sono accontentate delle blande risposte che ricevevano alle loro domande, loro hanno voluto andare fino in fondo, hanno voluto capire, e sapere, anche a costo di negare i loro ideali, a costo di negare tutto ciò in cui hanno creduto fino a quel momento. Sono stati curiosi ed è grazie a questo che ora sappiamo quello che sappiamo.
Naturalmente mi guardo bene dal dire queste cose a voce alta davanti a un Abnegante. Mi vergogno perfino a pensarci. Chissà cosa direbbe mio padre se scegliessi gli Eruditi. Lui, che li ha sempre dipinti come malvagi assetati di potere.

Chissà cosa direbbe se mi vedesse qui, accovacciato in un angolo, a leggere tomi di anatomia, di informatica, di astronomia, quando dovrei metterli a posto senza aprirli, senza avere la curiosità di leggerli. Cosa direbbe dei libri nascosti dentro gli armadi di camera mia, sotto il letto, nello spazio tra la scrivania e il comodino? Direbbe che l'ho deluso. Che sono un egoista, ecco cosa direbbe. Non sarebbe fiero di me se mi vedesse in questo momento: ho perso di vista il mio obiettivo, quello di riordinare la libreria, e mi sono perso tra le pagine di un libro. Di nuovo.

Solo quando la signorina Smith mi richiama, mi rendo conto di quanto sia tardi. E' una donna di mezza età, con occhi neri e grandi e con occhiali ancora più grandi, i capelli raccolti in uno chignon strettissimo. Mi ha sempre ricordato un pesce. Un grosso pesce occhialuto. ''Caleb'' mi dice. ''E' tardi. La pausa pranzo è quasi finita. Dovresti andar via.'' Avvampo per la vergogna. ''Mi dispiace, io... ho perso di vista l'orario'' balbetto. ''Non è la prima volta che...''
''Non ti preoccupare, ci penso io, qui.'' mi sorride. Imbarazzato, corro fuori dalla biblioteca.

 

All'uscita l'aria fresca mi avvolge nella sua morsa facendomi rabbrividire. Stringo le braccia al petto e m'incammino a passo regolare. Dev'essere più tardi di quanto pensassi, il cortile é deserto e non vedo traccia di Beatrice. Mi fermo per un momento a guardare quello scenario cosi diverso da quello a cui sono abituato. C'é un non so che di triste in quel silenzio, come se tutto ciò che dava vita a questo posto si fosse semplicemente spento. Senza le risate e le esultanze dei bambini intrepidi che si arrampicano sulla vecchia statua al centro della grande fontana; senza le discussioni animate dei candidi, senza le canzoni allegre delle ragazze pacifiche, senza il mormorio incessante degli Eruditi, sempre in cerca di risposte, questo cortile, questo posto magico dove le nostre vite si incontrano e si sfiorano, bé, sembra solo... un cortile. Che sia la dimostrazione di come sarebbero le nostre vite senza fazioni? Sono le divisioni o gli incontri delle fazioni a dar luce e colore a questo posto? Non ne sicuro, ma sono più che mai convinto che l'alternativa é qualcosa da cui tutti vorrebbero starne lontani.

Gli Esclusi sono coloro che non sono riusciti a completare l'iniziazione della fazione scelta. Non appartenendo più a nessuna fazione, vivono nelle zone più degradate della città nella povertà più assoluta. I nostri genitori si sono sempre prodigati per provvedere loro cibo e vestiti ma come dice la mamma, non é mai abbastanza. Sin da quando eravamo piccoli ci hanno esortato a contribuire con il nostro aiuto, facendoci sempre portare del cibo con noi, nel caso dovessimo imbatterci in uno di essi. Ma hanno sempre cercato di proteggerci non facendoci avere contatti prolungati e diretti con loro. Quello che non sanno peró é che é già successo diversi anni fa...

 

 

"Caeeb! Caeb! Dai andiamo!"
Esclama Beatrice correndo davanti a me. Nonostante la sua tenera goffaggine è sempre stata veloce e quando mi volto vedo solo la sua testolina bionda balzare da un punto all'altro, seguita dall'eco della sua risata spensierata.
"Beatrice! Sta' attenta o ti farai male!" La richiamo preoccupato. Nonostante abbiamo solo dieci mesi di differenza confronto a me Beatrice assomiglia ancora ad una bambolina. Quest'anno cominceremo ad andare a scuola e ancora non riesce a pronunciare correttamente il mio nome, il che sembra voglia rendere ancor di più l'idea. Accelero il passo per raggiungerla.
"Caeb! Prendimi!" Grida felice saltellando.
"Beatrice sta'..." ma non riesco a concludere la frase che già é stesa a faccia in giù sull'asfalto. Corro verso di lei e l'aiuto a rialzarsi."Beatrice...stai..stai bene?" Mormoro spaventato sentendo un nodo formarsi nella gola. Lei si rialza lentamente e mi guarda confusa. Poi ricomincia a ridere.
"Caeb, ha una faccia buffa" Allunga una manina verso di me e mi tocca la punta del naso con un dito. La guardo severo per pochi istanti, ma poi sento il nodo sciogliersi in una risata sincera. Dovrei correggerla: dirle che non si grida o si corre per strada, ma la sua risata è cosi contagiosa e dopotutto non ci ha visto nessuno. Ci impiego qualche minuto per rendermene conto, ma quando capisco dove ci troviamo, un brivido di freddo mi percorre la schiena. Sollevo lo sguardo e vedo un grosso edificio cadente e abbandonato. I vetri delle finestre sono rotte, il legno é marcio, e una parte del tetto é crollata. Dovremmo andarcene, potrebbe essere pericoloso ma la curiosità prevale su tutto. Prendo la mano di mia sorella e mi pongo di fronte a lei a mo di scudo contro qualsiasi cosa incontreremo. Entriamo piano, il pavimento anch'esso di legno scricchiola sotto il peso dei nostri passi e oggetti indistinti sono sparsi per la stanza. La luce che penetra dalle finestre rotte illumina solo in parte coloro che la abitano. Sono seduti per terra su delle coperte logore e sudicie. I vestiti sbrandellati, la pelle che pende dalle braccia troppo magre, i visi scavati e sporchi.
Ci guardano senza dir parola, ma non so perché quel silenzio é ancora più minaccioso. Le mani cominciano a tremare e vorrei che mamma e papà fossero qui a proteggerci. Beatrice sbircia da dietro la mia schiena, le mani aggrappate alla mia camicia. "Caeb.." mormora piano, spaventata.
"Beatrice, esci, va' fuori, io arrivo subito..." cerco di usare un tono deciso quando parlo ma tutto quello che esce é solo il mormorio di un bambino spaventato quanto lei.
"Caeb, ho paura."
"Non devi, ci sono qua io a proteggerti. Ora fa quello che ti ho detto, da brava..." le rispondo guardandola nei suoi occhi grandi e marroni, il riflesso dei miei. Esita ancora, poi peró annuisce ed esce in strada. Senza di lei tutto il coraggio che avevo cercato di mostrare, svanisce rimpiazzato dal terrore. Deglutisco e cerco di respirare regolarmente.
"Mi..mi.." balbetto tremando violentemente. "Mi dispiace" sussurro infine tutto d'un fiato.
Il loro silenzio viene improvvisamente interrotto da una risata rauca, tetra, che mi spaventa ulteriormente. Indietreggio velocemente e inciampo in una delle assi malmesse del pavimento. Sento una fitta di dolore sulla mano ma cerco di ignorarla e mi rialzo in fretta uscendo. Beatrice é ancora li fuori ad aspettarmi. Prendo la sua mano e le ordino di correre. Torniamo indietro il più velocemente possibile. Quando ci addentriamo nel nostro quartiere rallento e cosi fa anche Beatrice. Mi guarda e i suoi occhi si velano di lacrime. "Ehi é tutto a posto ora" la rassicuro. Ci fermiamo in un angolo tra due case e mi siedo a terra cercando di riprendere fiato.
"Ti sei fatto male" dice indicando la mia mano sporca di sangue. Guardo il palmo della mano e ci scorgo un taglio lungo qualche centimetro.
"Sto bene" le sorrido.
"Caeb, ti voglio bene" dice stringendosi a me e cominciando a piangere. Rimango allibito per qualche istante, ma poi decido di dimenticarmi delle regole e delle opinioni altrui e la stringo forte...

 

Il fischio del treno in lontananza mi riscuote e mi rendo conto di essere ormai a pochi passi da casa. Sollevo lo sguardo e vedo una figura grigia seduta sugli scalini della veranda. Per un momento penso sia la mamma, ma avvicinandomi mi rendo conto che é solo Beatrice. É rannicchiata su stessa, quasi voglia essere più piccola, la testa appoggiata alle ginocchia guarda dritto, davanti a se. Come se stesse guardando il vuoto. Seguo la traiettoria e scorgo delle minuscole figure nere che si stagliano contro lo sfondo arancione del tramonto. Corrono sul ponte, in attesa del treno che neanche questa volta si fermerà. In pochi secondi il treno, compare e scompare portando con se anche gli unici passeggeri, gli Intrepidi. Mi chiedo cosa ci trovi di tanto affascinante in loro, Beatrice la mia dolce sorellina goffa e timida. Ma so che anche se glielo chiedessi non me lo direbbe mai cosi come io non le ho mai detto della mia predisposizione per gli Eruditi. E forse é meglio cosi. Mi avvicino senza far rumore e mi fermo di fronte a lei, che solleva lo sguardo sorpresa. Mi sorride.
"Ehi, dove sei stato? Mamma e papà saranno qua a momenti."
"Scusami, mi sono fermato ad aiutare dei compagni." Eruditi, penso. Compagni Eruditi aiutati da un Abnegante. Ma non posso dirglielo. "Okay, be sto preparando la cena. Puoi apparecchiare la tavola?" Dice entrando in casa.
"Certo, ehm... Beatrice?"
"Si?" "Potresti non dire niente a mamma e papà"
"Certo." Mi sorride.
"Grazie, ti voglio bene sorellina." Si volta e mi guarda sorpresa.
"Anch'io, fratellino" risponde infine, sorridendo. E quelle parole mi scaldano il cuore.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



CAPITOLO 2

"Ehi Caleb! Avanti, alzati."
Sento la voce di Beatrice chiamarmi e capisco che è ora di svegliarsi. Apro gli occhi e la vedo davanti a me sorridente.
"Oggi qualcuno é di buon umore." Le dico alzandomi dal letto per poi accarezzarle la testa.
"Beh, merito di esserlo anche io a volte." Ribatte lei incrociando le braccia.
I suoi lunghi capelli biondi sono raccolti in una treccia, sempre ordinati, indossa una gonna lunga con una maglia a maniche lunghe, il tutto di color grigio perché, in quanto Abneganti, non dobbiamo attirare l'attenzione. La guardo sorridendo e lei esce dalla stanza per lasciarmi preparare. Usciamo di casa e ad aspettarci ci sono Robert e Susan con loro padre Bob, probabilmente tornato dal lavoro.
"Ehi ragazzi!" Ci salutano venendoci incontro.
"Ehi Robert. Susan! Come stai?" Domando cercando di nascondere la curiosità e preoccupazione.
"Sto meglio, grazie." Risponde lei accennando un sorriso. Non importa se i suoi sorrisi siano sempre limitati al minimo, perché ciò che la illumina davvero sono i suoi occhi. Noto uno scambio di sguardi tra Robert e Beatrice, ma lascio stare.
"Volete un passaggio ragazzi?" Ci chiede Bob.
"Oh, gentilissimo da parte sua, ma preferiamo andare in autobus." Risponde mia sorella.
Altra regola degli Abneganti: mai far scomodare le persone a scapito di un bisogno personale. Robert e Susan decidono di venire con noi, così ci rechiamo alla fermata e saliamo sull'autobus. La scena qui é sempre la stessa: Abneganti giovani che cedono il posto ad Abneganti più anziani e alcuni Candidi che fanno tutti i generi di commenti in base a chi si ritrovano di fianco. Arrivati a scuola, mi divido dal gruppo per andare alla lezione di matematica avanzata ma, allontanandomi, noto che, ancora una volta, Beatrice presta attenzione agli Intrepidi intenti a saltar giù dal treno in corsa davanti alla scuola. Guardo il suo viso e sembra quasi sorridere, incuriosita e forse interessata, proprio come ieri quando li osservava dalla panchina. Conoscendola, nella sua mente potrebbe passare qualsiasi più folle pensiero e a immaginare la mia piccola Beatrice con quel branco di ribelli tatuati rabbrividisco. La lascio ai suoi pensieri e vado nella mia classe. 
Mi é sempre piaciuta la matematica, l'ho sempre trovata un mondo intrigante dove bisogno scervellarsi per trovare soluzioni a problemi, spesso improbabili, ma che una volta risolti ti danno una gran soddisfazione. Davanti a queste cose penso agli Eruditi, e penso a quanto possano essere adatti ad uno come me, mai poi penso a mio padre e so di non poterlo lasciare in quanto lui è fermamente convinto che casa mia siano gli Abneganti. Arriva l'ora di Storia delle Fazioni e mi ritrovo in classe con Beatrice, Susan e Robert. Storia delle Fazioni è una materia totalmente dedicata a noi, che delle fazioni facciamo parte, perché dobbiamo essere consapevoli della nostra storia, dobbiamo sapere che la nostra città è divisa in cinque fazioni: Abneganti ovvero altruisti, Pacifici quindi neutrali, i Candidi sono gli onesti, gli Intrepidi possiedono il coraggio e gli Eruditi hanno sete di sapere. Finita la lezione siamo liberi di andare a pranzo, così io posso tornarmene dalla signorina Smith. I corridoi sono deserti, così riesco ad arrivare alla biblioteca senza problemi. Sono quasi arrivato quando mi sento chiamare.
"Caleb." mi giro e vedo Susan venirmi incontro. La sua voce ha un che di dolce ma noto in essa un accenno di preoccupazione.
"Susan, perché sei qui?" le domando.
"Io, io, stavo aiutando la signorina Evans a sistemare la classe." replica lei tenendo il capo chino.
La scruto per qualche secondo, sembra nervosa, striscia le mani sulla gonna e la sua voce esce quasi strozzata.
"Gentile da parte tua." Le dico sorridendo provando a calmarla. Lei mi guarda negli occhi e ricambia il sorriso.
"Beh, ti ho visto passare e mi chiedevo dove stessi andando." Confessa Susan guardandosi attorno.
"Vado in biblioteca, dalla signorina Smith, come sempre." le risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo, ma in realtà non lo è.
"Giusto, beh, se hai bisogno potrei aiutarti."
"Non preoccuparti Susan, non c'é bisogno." Tenendo conto che invece di mettere a posto i libri, io li leggo, magari ci sarebbe bisogno di qualcuno che facesse ciò che tutti pensano sia il mio compito, ma trovo che a fare questo lavoro non debba essere Susan, come nessun'altro Abnegante.
"Come vuoi, allora io vado a pranzo. Ci vediamo dopo sull'autobus?" Mi chiede speranzosa.
"Se finirò presto in biblioteca si, ci vediamo." le rispondo già sapendo che quei libri mi tratterranno a lungo in mezzo alle loro pagine piene di verità dettate da semplici parole. "D'accordo, allora, buon lavoro!" Ironizza lei emettendo una lieve risata che ricambio.
"Grazie e buon appetito." Sorridiamo entrambi e lei si allontana.
Mi fermo qualche secondo ad osservarla. Da quando la conosco è sempre stata un po’ impacciata davanti a situazioni imbarazzanti, ma ho sempre apprezzato il suo essere Abnegante, molto più di altri. Perché Susan è sempre pronta ad aiutare chi ha bisogno: osserva il mondo, quello che ha intorno, timidamente, i suoi occhi scrutano ogni dettaglio e vive un pò nel suo mondo. Forse mi piace per questo, non si scopre ma si lascia scoprire. Quando la vedo scomparire dietro l'angolo, entro in biblioteca.
"Buongiorno Caleb."
"Salve signorina Smith." Ricambio sorridendo e mi avvicino al suo bancone, appoggio la borsa di scuola e mi avvio verso i tavoli con tutti i libri sopra, ma oggi qualcosa è diverso, ci sono solo un paio di libri da ordinare.
"Caleb, ho già sistemato alcuni libri, volevo lasciarti un po' di tempo, insomma, se volevi.." dice lei timidamente ma non le lascio finire la frase.
"La ringrazio di cuore, signorina Smith." Ed è così che si ripete la stessa giornata ma oggi, fortunatamente ho molto più tempo per rifugiarmi dietro gli scaffali di libri per curiosare, o meglio, imparare. 


Esco dalla libreria con la testa fra le nuvole. I miei pensieri sono tutti per una sola persona: Susan. Sto per vederla. Reprimo un brivido di eccitazione e mi incammino verso la fermata dell'autobus, sperando che non sia troppo tardi.
“Ci vediamo sull'autobus?” E' questa l'ultima cosa che mi ha detto quando ci siamo visti, e io non ho potuto fare a meno di notare una nota di speranza nelle sue parole. I suoi vestiti grigi da Abnegante non sono bastati per nascondere, o anche solo per smorzare, la luce nei suoi grandi occhi azzurri. Quegli occhi che si ostina a tenere puntati a terra. Quegli occhi che brillano di dolcezza e gentilezza... Serro le mandibole. Che mi succede? Susan è solo una mia amica, non dovrei permettermi di pensare queste cose. Arrivo alla fermata, che mi sembra deserta, finché non vedo una ragazza seduta su una panchina, i capelli raccolti in una treccia che ricade sul lato sinistro della sua spalla, che sembra faccia di tutto per non farsi notare. Susan. Mi lascio scappare un sospiro di sollievo e vado verso di lei. Lei alza lo sguardo e non appena mi vede si alza.
“Caleb” mi saluta. “Credevo che non saresti più venuto.” Avvampo.
“Da... Da quanto tempo mi aspetti?“ Lei liquida le mie preoccupazioni con un gesto della mano.
“Oh, non da molto.” Non so se crederle, ma decido che non ha molta importanza. Lei è qui. Io sono qui. Questa è l'unica cosa che importa. L'autobus arriva quasi subito ed è praticamente vuoto, fatta eccezione per tre candidi che siedono distanti l'uno dall'altro e discutono a voce alta. Susan e io ci sediamo vicini. Per un po' nessuno dice niente. Io guardo fuori dal finestrino mentre Susan giocherella con la treccia tenendo lo sguardo a terra, la testa leggermente inclinata a destra. E' lei a rompere il silenzio, dicendo l'ultima cosa che mi sarei aspettato che dicesse.
“Non vorresti avere più libertà, a volte?”Chiede in un sussurro.
“Susan” l'ammonisco. Lei mi ignora.
“Sai, poterti guardare allo specchio quando ti piace, abbracciare tuo fratello quando ti va, non controllare il tono di voce, non camuffare una risata sguaiata." "Susan...” mormoro. E come se mi piacerebbe. Ma non penso che lo direi mai a voce alta.
“Ma sarebbe da egoisti, non è vero?” Mi guarda con gli occhi spalancati. Oh, Susan. Vorrei toccarle la guancia.
“Ma possiamo farlo, sai? Andarcene da qui. Tra due anni..." "Ci penso spesso”confessa.
“Ma non penso che avrei mai la forza di lasciare gli Abneganti.” Ho la sensazione che mi abbia steso un tappeto rosso sotto i piedi per poi tirarmelo via. Ignoro la delusione e mi spiaccico un sorriso in faccia. L'autobus si ferma davanti a casa. Scendiamo e rimaniamo nel marciapiede, uno di fronte all'altra, a fissarci. Lei ha una ciocca fuori posto, penso che dipenda dal fatto che lei abbia giocherellato tutto il tempo con i capelli. Faccio per aggiustargliela, ma mi fermo giusto in tempo per camuffare il mio gesto in un saluto. “Allora, ci vediamo” dico.
“Certo.” Mi sorride.
“A domani, Caleb.” La guardo allontanarsi. Distolgo lo sguardo solo quando lei scompare dalla mia vista.


"Beatrice sono a casa" annuncio pulendo le suole delle scarpe sullo zerbino di fronte a casa.
"Caleb, siamo in cucina." Grida di rimando lei. Siamo? Penso aggrottando la fronte. Attacco il mio cappotto all'attaccapanni e mi dirigo in cucina. Seduti al tavolo l'uno di fianco all'altra, Beatrice e Robert sono impegnati in un'amorevole chiacchierata. Li guardo sorpreso e stranamente infastidito. Non si accorgono della mia presenza fino a quando non mi schiarisco la voce.
"Ehi Caleb!" saluta allegro, Robert. In tutti gli anni passati come vicini di casa, compagni e amici non ricordo di aver mai visto Robert serio o triste per più di qualche minuto. Mi sono sempre chiesto se sia una sua dote naturale o se sia semplicemente una maschera. In ogni caso, in questo momento la sua esuberanza mi sembra fuori luogo e assolutamente irritante.
"Robert" lo saluto cortesemente. "Posso aiutarti in qualche modo?" chiedo seguendo una per una tutte le norme di buon educazione in una conversazione tra abneganti. Forse, cosi riuscirò a controllare il fastidio che mi provoca la sua presenza. Non riesco a capirne il motivo, lui e Susan sono stati spesso ospiti a casa nostra, eppure in questo momento vorrei semplicemente che sparisse.
"No, ti ringrazio. Io e Bea stavamo ripassando per il test di domani." Spiega. Bea? Lo guardo come se avessi appena inghiottito un boccone amaro. Gli Abneganti non usano soprannomi tra di loro, se non all'interno della cerchia famigliare.
"Davvero? Quale test?" Continuo inspirando ed espirando a fondo. Sento un formicolio alle mani, e per evitare di fare stupidaggini, le nascondo sotto il tavolo.
"Matematica" risponde Beatrice.
"Non dovevamo ripassarlo insieme?" Le chiedo confuso e quasi ferito. Come se mi avessero portato via un po’ del poco tempo che passiamo insieme.
"Si, beh la mamma stamattina ha invitato Robert e la sua famiglia e visto che eravamo entrambi da soli, gli ho chiesto se voleva venire prima." Dice tenendo lo sguardo basso, quasi temesse di incrociare il mio. Era stata gentile, com'era giusto che fosse e allora perché mi dava tanto fastidio?
"Siete tornati a piedi?" Domando. "Si, mio padre é al lavoro, e ho perso l'autobus per fermarmi ad aiutare la signorina Evans. E Beatrice mi ha gentilmente aspettato" dice posando distrattamente una mano sulla sua spalla. Beatrice si irrigidisce e arrossisce o forse sono io a vederci rosso, ora. Robert sembra rendersene conto perché pochi secondi dopo si ricompone.
"Io...io vado in bagno." Dice Beatrice imbarazzata. Una volta che é uscita, torno a guardare Robert, severo.
"Bea?" Domando, cercando di trattenere la rabbia.
"Ehm si, non ci ho fatto neanche caso."
"Mh, che intenzioni hai?" Lui strabuzza gli occhi guardandomi confuso.
"Che...che cosa? Con chi?" Balbetta agitato.
"Con mia sorella." Continuo serio.
"Nessuna! Siamo solo amici."
"Si, beh. Tieni in mente una cosa. Beatrice è la mia sorellina. Quindi prima di sfiorarla devi passare sul mio cadavere. Chiaro?" Sputo fuori freddo e serio. Lui mi guarda confuso. "Io non...io devo andare." Dice alzandosi velocemente. Quando sento richiudersi la porta, sento la rabbia svanire. Che cosa mi è preso?
"Caleb..." sento giungere la voce di mia sorella alle mie spalle.
"Si?" Domando.
"Che cosa è successo?" Domanda. Non la guardo. Mi sento troppo imbarazzato per guardarla negli occhi.
"Caleb, tu conosci Robert. E' nostro amico." Continua.
"Si, quindi?" "Quindi io e Robert non siamo te e Susan." Mi stuzzica, sorridendo.
"Che cosa c'entriamo io e Susan?" Ribatto.
"Oh dai, Caleb, lo sappiamo che vi piacete e non negare o ti costringo con il gioco dei candidi." Dice lei ridendo.
"No.." protesto ma lei mi zittisce posando un dito sulla bocca. Prendo la sua mano e la stringo nella mia.
"Non voglio che tu soffra." Lei mi sorride dolcemente. "So cavarmela da sola. E ti ripeto siamo solo amici. Lui non mi piace." Dice.
"Okay" sussurro. Con la mano libera mi scompiglia i capelli. Io me li risistemo fingendomi contrariato. Poi sento una leggera e calda pressione sulla guancia. Un bacio.
"Grazie, Caleb. Sei il miglior fratello maggiore che potessi chiedere"

 

***


"Caleb? Beatrice?" Ci chiama la mamma dal piano inferiore. Usciamo contemporaneamente dalle nostre stanze e per poco non ci scontriamo. Scendiamo piano le scale ma ostacolandoci a vicenda e ridendo, per arrivare primi.
"Mamma!"esclamiamo all'unisono e ci gettiamo su di lei. La mamma ride e ci stringe entrambi. Mi accarezza i capelli e da un bacio a Beatrice.
"State bene, cari?" Ci chiede dolcemente. Annuiamo e torniamo seri e composti. "Benissimo, tra poco avremo ospiti perciò vado a darmi una rinfrescata" ci da un'ultima carezza e se ne va. Io e Beatrice ci dirigiamo in cucina e cominciamo, silenziosamente a preparare la cena. Beatrice tira fuori il pollo dal freezer e lo mette sotto il getto dell'acqua calda per farlo scongelare. Mentre io prendo la pagnotta e comincio a tagliarla a fette. Pochi minuti dopo ,Beatrice spezza il silenzio solo per provocarmi
"Allora sei agitato per stasera?" domanda innocentemente. La guardo di traverso e lei comincia a ridere.
"Sai, se fossimo in un'altra fazione, tu e Susan sareste una bella coppia." Continua. "Beatrice..." la riprendo, e non per le battute su me e Susan. Non ci è permesso parlar male della nostra fazione anche se non siamo ancora membri effettivi. Lei sospira e torna a concentrarsi sulla cena. Non vorrei essere cosi severo con lui, ma non voglio che finisca nei guai. In realtà, a volte penso anch'io a come sarebbe vivere in un'altra fazione meno..."rigida". Penso a come sarebbe ridere e scherzare senza preoccuparci di disonorare la nostra fazione. Vorrei dirle che mi dispiace, che le voglio bene e amo scherzare con lei ma in quel momento arriva papà.
"Ciao ragazzi" ci saluta, con aria stanca. Poso il coltello e gli vado incontro. Prendo il cappotto e gli porgo il giornale come ogni sera.
"Grazie Caleb" dice dandomi una pacca sulla spalla.
"Prego papà." Rispondo.
"Dov'è vostra madre?" ci chiede.
"A cambiarsi" risponde Beatrice mettendo il pollo nel forno. Si alza in punta di piedi per prendere una ciotola sullo scaffale più alto, ma è troppo piccola. Sorrido intenerito e mi avvicino prendendola a posto suo. Gliela porgo facendole l'occhiolino e lei sorride tornando allegra. 
Un'ora dopo, sento il campanello suonare e vado ad aprire la porta d'ingresso. Il primo che vedo è Bob, un uomo alto, biondo, gli occhi azzurri e un gran sorriso sulla bocca. Robert, subito dietro di lui, ha preso in tutto e per tutto da lui. Solo che stavolta non sorride, anzi cerca quasi di evitare il mio sguardo. Mi scosto per farli entrare.
"Benvenuti, accomodatevi" dico autonomamente. Vorrei solo che si spostassero e mi facessero vedere Susan. E quando accade, il respiro si ferma a metà strada e il cuore comincia a pulsare più forte. Non è diversa dal solito, indossa il solito abito grigio e i capelli sono legati sempre nella stessa coda, eppure è bellissima. Mi sorride dolcemente, i suoi occhi azzurri brillano e un lieve rossore le imporpora gli zigomi.
"Benvenuta." Dico cercando di ritornare a respirare normalmente.
"Grazie Caleb" risponde e la sua voce suona come uno scampanellio. Scuoto la testa, cercando di riprendermi. Mentre gli altri entrano in soggiorno, Robert mi si avvicina.
"Lei è mia sorella" mormora facendomi l'occhiolino. Gli tiro un pugno scherzoso nel braccio, ridendo con lui.
"Va a sederti, Robert." Lo ammonisco, sorridendo. Quando arriva la mamma cominciamo a prendere posto. Vedo che Robert fa per sedersi accanto a mia sorella ma prontamente mi interpongo tra di loro. Lui scuote la testa divertito e si siede accanto a me. Susan é dall'altra parte del tavolo, accanto a suo padre,come sempre. La madre di Robert e Susan è morta quando loro erano molto piccoli. E da allora Susan è diventata timida e taciturna: l'opposto di Robert. Due modi opposti di reagire allo stesso dolore. Durante la cena, come sempre sono gli adulti a governare la conversazione e l'argomento è qualcosa che tocca noi quattro personalmente.
Oggi i ragazzi di 16 anni, hanno affrontato la cerimonia della scelta. Papà e Bob sono entrambi rappresentanti del governo, hanno partecipato e ora stanno discutendo sui nuovi arrivati e su, invece, quelli che hanno deciso di andarsene. Nel frattempo, Robert e Beatrice chiacchierano e ridono sottovoce, sporgendosi sul tavolo dato che io sono in mezzo a loro. Comincio a pensare che lo facciano apposta per infastidirmi. Ad un certo punto, mi volto verso di lui."Robert, dimmi com'é andata la tua giornata.
"Oh beh sono venuto a casa vostra e tu mi hai mandato via." Dice, ridendo sotto i baffi. Sento anche Beatrice accanto a me ridere piano.
"Intendo dopo" dico, irritato. Stringo forte i pugni per cercare di non mettergli le mani addosso.
"Oh, io e Susan abbiamo giocato a carte poi ci siamo preparati e siamo venuti qua. " dice, ingoiando un pezzo di pollo.
"Susan, mi ha detto che siete tornati a casa insieme..." dice distogliendo lo sguardo per nascondere il sorriso. Beatrice, continua a ridere. Le tiro una gomitata per farla tacere, ma serve solo a causare una risata ancora più forte che cerca, malamente, di camuffare con un colpo di tosse. Mi sto innervosendo sempre di più perciò finisco di cenare e poi mi congedo uscendo in veranda. Mi siedo sul dondolo e guardo il sole tramontare all'orizzonte. Mi sento confuso e ferito. Non sono mai stato un tipo brusco o violento ma si tratta della mia sorellina cosi piccola e fragile, e con un cuore cosi grande e puro. Fino a quando saremo insieme farò di tutto per proteggerla. Ma il punto é fino a quando? Due anni o per tutta la vita? Tutto dipende da ciò che sceglieremo. E a quel punto la nostra fazione dovrà venire prima di tutto. Anche prima della persona più importante della mia vita. Chiudo gli occhi, inspirando ed espirando piano. Se c'é qualcosa che mi fa paura più di qualsiasi altra, é il pensiero della cerimonia. penso ai quei ragazzi che oggi hanno dovuto scegliere una volta per tutte da che parte stare. Penso ai trasfazione che hanno abbandonato le loro famiglie e hanno cominciato una nuova vita lontano da loro, e penso a chi fallirà e diverrà un escluso. Qualsiasi decisione abbiano preso cambierà per sempre la loro vita. E cosi sarà anche per noi quattro. 
"Caleb" sento una voce dolce e timida che mi riporta alla realtà. Apro gli occhi e vedo Susan.
"Ehi, siediti" le dico dolcemente, indicandole il posto libero accanto a me. Lei accoglie l'invito e mi sorride.
"Stai bene?" Domanda.
"Si..." cerco di mentire ma non appena incrocio il suo sguardo ogni tentativo crolla.
"Sono solo un po’ nervoso" dico invece. Non so perché con lei mi sento libero di parlare di qualsiasi cosa persino della rabbia nei confronti di suo fratello.
"Robert è fatto cosi, non prendertela." Mi rassicura, e vedo l'ombra di un sorriso passarle sul volto.
"Già, ma vorrei che mi prendesse sul serio." "Lo fa. Robert ti stima molto, e vuole bene sia a te che a Beatrice. Non le farebbe mai del male, cosi come tu non lo faresti a me." Sussurra piano. La guardo e la vedo arrossire. E' cosi bella..
"Grazie Susan" mormoro piano. Mi sorride e io ricambio. Le nostre mani appoggiate nello spazio vuoto tra di noi, si sfiorano impercettibilmente. Ma in quel momento sentiamo la porta aprirsi e ci allontaniamo velocemente.
"Ehi piccioncini" ci saluta Beatrice.
"C'è posto anche per noi?" Sorride, maliziosa.
"Certo, vieni." Le dico allargando le braccia. Lei sorride e si appoggia contro di me. L'avvolgo tra le braccia e lei appoggia la testa alla mia spalla. Robert si siede tra lei e Susan, ma cerco di non farci caso e pensare a quello che mi ha detto Susan. Cominciamo a dondolare piano, intanto ridiamo e scherziamo su argomenti innocenti ma con l'arrivo del buio, rimaniamo in silenzio anche noi osservando le prime stelle brillare in cielo. E vorrei che il tempo si fermasse in quel preciso istante. Noi quattro, uniti e sereni. Ma tra due anni, toccherà a noi. Ci siederemo nelle file dove oggi si sono seduti gli altri ragazzi, poi uno alla volta faremo la nostra scelta. Ancora non so cosa succederà. Non so se torneranno momenti come questi, se saremo ancora amici come ora. Ma quel che so è che il tempo rimasto é breve, perciò appoggio la mia testa contro quella di Beatrice, e chiudo gli occhi imprimendo ogni singolo dettaglio nella mente, in modo da portarlo con me per sempre.

 
 

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