Capitol Butterfly

di Lily Liddell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Modeling ***
Capitolo 2: *** Prigionia ***
Capitolo 3: *** Under Arrest ***



Capitolo 1
*** Modeling ***


Sintesi: una finestra sul passato di Effie. Prima di studiare per diventare l’accompagnatrice del Distretto 12, Effie ha passato diversi anni a lavorare come modella, sotto la supervisione della madre.
A/N: La prima one shot della mia prima raccolta si chiama Strawberry Blonde, dal momento che mi ha portato bene, ho voluto dedicare un paio di righe ai capelli di Effie anche in questo nuovo inizio.

La chiusura delle scarpe credo stia lacerando la carne, ho uno sciame di preparatori che mi ronza intorno e vedo già lo stilista che arriva con la gonna che dovrò indossare. L’ho fatta tornare indietro poco fa perché non riuscivano in nessun modo a tirare su la zip.
A pochi metri da me c’è un treppiedi massiccio che regge una fotocamera ad alta tecnologia. Alle sue spalle sono posizionate due sedie; una è per il fotografo, l’altra è riservata a mia madre. I due ora stanno parlando nell’angolo opposto del set, troppo lontani per poterli sentire.
Questa è stata una sua idea, erano almeno quattro anni che non posavo per una rivista. L’ultima volta gli abiti che mi avevano costretto a portare non erano così fastidiosi.
“Potrei far allentare un po’ la chiusura delle scarpe?” Chiedo gentilmente non appena il fotografo mi si avvicina.
Mia madre mi lancia un’occhiataccia, poi scuote la testa. “Hai le caviglie delicate, Euphemia. Rischi di cadere e non posso permettermelo, hai ancora una settimana di fotografie davanti a te.”
Mi volto verso il set, già pronto, alle mie spalle. “Ma devo restare seduta su una poltrona tutto il tempo.” Le faccio notare, poi torno a guardarla. “Che differenza fa?”
Non vuole sentire ragioni, quindi non ribatto più.
Lo stilista mi aiuta ad infilare la gonna, ora è perfetta, e la appunta per sicurezza con una spilla da balia quasi invisibile.
“Dovrei metterti a dieta, ho richiesto la stessa taglia dell’ultima volta, evidentemente sei ingrassata.”
“Avevo tredici anni, mamma.”
“Euphemia, lo sai che non mi piace che usi termini così colloquiali.” Risponde, ignorando ciò che ho detto.
Respiro profondamente ed evito il suo sguardo, perché non mi piace essere ripresa in pubblico. “Avevo tredici anni, madre.” Ripeto, soffermandomi più del dovuto sull’ultima parola.
“Non essere così sarcastica.” Si limita a dire, con tono superficiale. “Il sarcasmo non si addice ad una signora.”
Vorrei scusarmi, ma lo stilista non mi dà il tempo, tira fuori dal nulla un corsetto che sembra tanto bello quanto doloroso. “Infilatele questo mentre sistemo la canotta.” Dice, poi si allontana.
La sua assistente, che può avere circa la mia età, mi fa alzare le braccia e mi infila da sopra l’indumento. Comincia ad infilare i lacci, nel frattempo i preparatori finiscono con il trucco.
“Dobbiamo decidere che cosa fare con i capelli.” Dice una di loro, gli altri annuiscono.
La mia risposta a quest’affermazione è automatica. “Vi prego, non tingeteli.”
“I tuoi capelli sono insignificanti.” Mi sento dire da mia madre, poi allunga una mano verso di me e prende una ciocca fra le dita. La esamina per bene e poi la lascia ricadere al suo posto. “Questo… biondo rossiccio.”
“Sono biondo fragola.” La voce proviene dalle mie spalle, mi volto per vedere che a parlare è stata l’assistente dello stilista. “Ho visto almeno una decina di parrucche con questo colore in giro. Ultimamente va di moda, personalmente lo adoro.”
Le rivolgo uno sguardo carico di gratitudine, poi mi volto verso mia madre, perché so che la decisione finale è sua. “Madre, ti prego.”
Dopo qualche secondo di silenzio, si volta verso il fotografo. “Discutiamone.” Dice, e si allontana, facendosi seguire.
“Potremmo abbinarli al trucco e farli fucsia.” Suggerisce un altro preparatore. Istintivamente mi porto una mano ad accarezzare le punte dei miei capelli.
Inaspettatamente mi arriva una dolorosa fitta al petto che mi spezza il respiro. Non riesco a trattenere un gemito.
“Potreste andare a cinguettare da qualche altra parte? Sto cercando di lavorare, grazie.” Sibila l’assistente dello stilista, tirando un’altra stringa e spezzandomi di nuovo il fiato.
Loro si allontanano scuotendo la testa e lamentandosi. Io tiro un sospiro di sollievo, metaforicamente parlando, visto che riesco a sentire i miei polmoni comprimersi all’interno della cassa toracica.
“Grazie.” Riesco a pronunciare, mentre un’altra stringa viene sistemata. “Forse- dovrei sul serio… mettermi a dieta.” Parlare è diventato complicato, porto una mano all’addome e lo massaggio dolorante.
“Stai bene così, sono questi corsetti che sono infernali.” Mi rassicura, poi spinge la mia schiena in avanti, costringendomi ad incurvarla all’indietro. “Sta dritta, per favore.”
“Potresti essere un po’ più delicata?” La supplico, perché sto cominciando a sentire un dolore pungente al centro del petto, appena sotto il seno.
“No.” Risponde, e stringe un altro laccio. “Mi dispiace, ma sto già facendo piano.” Quando tira entrambe le stringhe per sistemare meglio il corsetto, per un attimo la vista si annera. Cerco di respirare lentamente, ma diventa sempre più complicato.
“Euphemia, giusto?” Chiede, probabilmente nella speranza di distrarmi da questo strazio.
“Effie.” La correggo; solo mia madre usa il mio nome di battesimo, fortunatamente.
Lei ride e continua a fare il suo lavoro. “Non so quale sia peggio.” Devo ammettere che la cosa mi offende un po’. “Scusami.” Dice, alla fine. “Io sono Portia. Trattieni il fiato, ho quasi finito.”
Cerco di fare come mi dice. “Piacere di- conoscerti…” Dico, poi inspiro e rimango immobile.
Dopo qualche secondo mi da una pacca sulla schiena e cerco di espirare, ma l’aria rimane bloccata e l’addome si contrae dolorosamente, mentre cerca di espandersi e viene bloccato dal corsetto. “Deve essere così stretto?” Chiedo.
“Sì, anche se questo credo sia piccolo per te. Almeno un paio di misure.” La cosa non mi rassicura per niente. “Aspetta, provo ad allargartelo un po’, ma non ti prometto niente.”
Annuisco, e rimango in attesa, sperando in un minimo di sollievo.
Portia comincia ad allentare i lacci, ma per farlo deve stringere ancora di più. La vista mi abbandona di nuovo per un istante, respirare sta diventando un’impresa veramente complicata.
“Pensa a qualcos’altro.” Mi dice, ma non è facile. “Hai visto gli ultimi Hunger Games?”
La domanda è sicuramente retorica, c’è veramente qualcuno che non li guarda? “Niente di speciale.” Riesco a dire, ed è vero. I giochi veri e propri sono finiti più di tre mesi fa; a vincere è stata una ragazza del Distretto 9, parecchio brava a tirare i coltelli, ma di per sé non è stato molto entusiasmante.
“No, è vero.” Concorda, io mi porto nuovamente una mano all’addome e faccio un passo in avanti involontariamente, per evitare di essere trascinata all’indietro da Portia. “Quelli dell’anno scorso sono stati tutta un’altra storia.”
È normale, penso. Si trattava di un’edizione della memoria… però non dico niente, perché non riesco più nemmeno a parlare.
“Il vincitore, Haymitch Abernathy, non è male. Non trovi?”
“Non riesco- a respirare.”
Addirittura?”
La sento ridere, la risata è distante. “No. Non riesco… a respirare.” Mi gira la testa, vedo di nuovo tutto nero.
Riapro gli occhi e mi rendo conto di essere stesa su qualcosa di morbido. Sopra di me galleggiano tre teste. Riconosco Portia, il fotografo e mia madre. È a quest’ultima che lui si rivolge. “Credo stia riacquistando conoscenza, Constance.”
“Bene, perché siamo assolutamente in ritardo rispetto al programma.”
“Dove sono?” Chiedo, perché non capisco molto di quello che sta succedendo.
“Penso che dovremmo darle dell’acqua.” Sento dire dalla voce di Portia.
Pochi attimi dopo sto bevendo a piccoli sorsi da un grosso bicchiere, mi rendo conto di essere stesa sulla poltrona del set.
Mia madre vuole assolutamente portare a termine il servizio, quindi mi cambiano e appena riacquisto un po’ di colore, cominciamo a lavorare.
Il corsetto me lo hanno levato, spero vivamente che qualcuno lo bruci. Ora indosso una canotta decisamente più comoda e uno scialle decorato.
Almeno mentre ero svenuta non mi hanno tinto i capelli a tradimento.

XxX

Una ventina di anni dopo.
 
Fra le mani reggo una vecchissima copia di Capitol Couture, la sfoglio con fare nostalgico, fino ad arrivare alla pagina che so contenere il risultato del mio lavoro.
Ho trovato la rivista a casa dei miei, mentre frugavo nella libreria e ho deciso di tenermela.
La porta d’ingresso del Centro di Addestramento si apre e Portia entra, reggendo una bottiglia di vino in mano. “Finiti. La ragazza del 2.” Annuncia e si siede accanto a me, riempiendo fino all’orlo due bicchieri. Ne prende uno e comincia a sorseggiare.
Io faccio lo stesso, senza aggiungere nulla. Non è un brindisi di festeggiamento questo.
“Oh mio Dio!” La sento improvvisamente dire, sollevo lo sguardo su di lei e vedo che ha adocchiato la rivista. Allunga una mano e la porta davanti a sé, osservando la foto. “E questa dove l’hai pescata?” Chiede ridacchiando.
 “Dimenticata su uno scaffale a casa di mia madre.” Sorrido e scuoto la testa, bevendo un altro sorso di vino. I miei occhi tornano sulla mia fotografia. “Ero carina, vero?”
Portia annuisce, sogghignando. “Da togliere il fiato…”

                                   

A/N 2: Grazie per aver letto la mia fanfiction! Lo scatto di Effie è stato photoshoppato da me (con tanta buona volontà e poco talento).
Spero vi sia piaciuta, se vi va lasciate un commento. :)

Alla prossima,
 
x
Lily

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Capitolo 2
*** Prigionia ***


ATTENZIONE SPOILER: Questa one shot è ambientata dopo gli avvenimenti del terzo libro, se non lo avete ancora letto e non volete spoiler, allora non leggete questa fanfiction.
Sintesi: Effie è in prigione assieme ad altri presunti ribelli, accusata di tradimento. Un giorno, durante la solita ora di rieducazione, la televisione comincia a trasmettere le esecuzioni di tutti gli stilisti e i preparatori. Tra i vari volti conosciuti da Effie, ce n’è uno che continuerà a perseguitarla nei sogni.

Potrebbe essere considerato il sequel di
questa one shot e l'antefatto della mia Post-Mockingjay: Petrichor, che potete trovare qui.

Era la mia migliore amica.
Non riesco a formulare altri pensieri nella mia mente, non sono sicura di poterne più essere in grado.
All’inizio non l’avevo riconosciuta, era gonfia e livida; ho capito chi era solo quando Snow ha pronunciato il suo nome.
Un attimo prima di dare l’ordine ai fucili di sparare.
Mi avevano fatta sedere davanti a tutti, in prima fila, non avevo compreso il motivo fino a quel momento. Non ricordo nient’altro dopo, devo aver perso i sensi.
Ricordo di essermi svegliata nella mia cella, prima dell’interrogatorio, dove mi hanno fatto rivedere la scena centinaia di volte, ripetuta all’infinito dopo ogni risposta non data.
Continuano a chiedermi di Katniss, di Haymitch, dei ribelli… non ho le risposte che cercano.
Sembrava così coraggiosa. Fino alla fine, fino all’attimo in cui il suo corpo ha toccato terra, è sempre restata a testa alta. Non so se era davvero colpevole di tutte le cose pronunciate da Snow, non so se faceva veramente parte dei ribelli. So che lei, così come Haymitch e Cinna, mi teneva nascoste delle cose.
Cinna. Non l’ho ancora visto fra le persone giustiziate. A dire il vero, sembra che stiano seguendo un ordine.
Prima le signore.
Non ho notizie di nessuno, so solo che ancora non hanno arrestato né Haymitch, né Katniss. Una volta o due ho visto Peeta in televisione e sembrava stare bene, non ricordo cosa diceva. La mia mente comincia a vacillare, la memoria ogni tanto mi abbandona.
Credo di non essere qui da molto, ma non riesco a dirlo con precisione. Non conosco né il giorno, né l’ora. Ormai queste cose non sono più importanti.
All’inizio era terribile, non avere il minimo controllo sull’orario… ora la giornata la scandisco con altre cose.
Rieducazione, interrogatorio, pasto, ora in cortile, rieducazione, interrogatorio, divertimento dei Pacificatori.
Durante la rieducazione ci fanno vedere le esecuzioni in diretta, oppure sono solo video, ripetuti più volte, con la stessa voce di sottofondo che accompagna ogni registrazione.
Gli interrogatori possono durare ore, dipende da quanto sei collaborativo e da quanto loro sono di buon umore. Se non sono di buon umore, mi dicono cose orribili.
Mi hanno lasciata indietro, non si fidavano di me, sono solo una pedina dimenticata, i miei amici sono morti, Haymitch è morto. So che lo fanno solo per intimidirmi, per non darmi più motivo di tenere per me le mie informazioni.
Non posso non pensare che, anche se solo in parte, quello che mi dicono è vero.
Non si fidavano di me, mi hanno lasciata indietro. Non solo Haymitch, ma tutta quella che consideravo essere la mia squadra. Sono stata una stupida a pensare che loro potessero considerarmi un
amica.
Ci costringono a mangiare una volta al giorno, per tenerci in vita finché possiamo essere utili, ogni tanto mangiamo in una grande mensa. Con un Pacificatore ogni due persone, ma la maggior parte delle volte il cibo mi viene dato attraverso una fessura della porta della cella.
La sera, poi, vengono a farmi visita. Devo piacergli molto perché vengono praticamente ogni giorno. All’inizio cercavo di ribellarmi, gridavo, scalciavo, tiravo pugni e mordevo. Allora loro hanno cominciato a legarmi e ad imbavagliarmi. Quando ho capito che più mi dimenavo, più si divertivano, ho cominciato a subire in silenzio. Aspettando che finissero, per poi lasciarmi in pace.
La mia speranza è che un giorno si annoino della mia passività, ma fino ad ora quel giorno non è ancora arrivato.
Quando sento qualcosa muoversi accanto a me, sollevo lo sguardo e improvvisamente la realtà mi crolla addosso. Non sono più nel mio mondo, persa nei miei pensieri. Sono in cortile, non so da quanto.
Le mura di cemento circondano tutto, non riesco a vedere oltre. Non immaginavo nemmeno che nella Capitale potesse esserci un posto così freddo, buio e grigio.
Qui non hanno problemi a controllarci, come in mensa. Non riesco a vederli, ma so che ci sono cecchini pronti a sparare al minimo segnale di allerta. I Pacificatori che ci controllano sono molto meno rispetto al numero dei prigionieri presenti qui.
Sono seduta su una panchina di metallo, accanto a me si siede qualcuno ma non mi volto nemmeno a vedere di chi si tratta.
“Un tocco di classe metterti in prima fila.” La mia mente elabora la frase con qualche istante di ritardo, poi mi volto verso la persona che mi sta parlando.
È una ragazza, guarda dritto davanti a sé con un sorriso amaro sulle labbra, i capelli sono tagliati corti. Ci metto un attimo a riconoscere Johanna Mason, del Distretto 7.
Non è la prima volta che la vedo, ma non mi aveva mai rivolto la parola prima d’ora; non capisco cosa sia cambiato.
“Ho visto la mia stilista un paio di giorni fa, durante la rieducazione. La detestavo, era un’idiota. Però non aveva fatto male a nessuno, tranne che al buon gusto, forse.” Continua a parlare, anche se io non le ho risposto.
So che è scortese restare in silenzio quando qualcuno si rivolge a te, ma non so cosa dirle e non ho ancora capito perché fra tutti è da me che sia venuta.
Più di una volta, soprattutto qui in cortile, l’ho vista parlare con Annie. Ora però, facendo correre lo sguardo sulla massa di volti sconosciuti, non riesco ad individuarla.
Mi volto nuovamente a guardarla, mi soffermo ad osservare l’attaccatura dei capelli. Attorno alle tempie ci sono dei segni circolari e rossi, penso siano lividi, poi mi accorgo che sono bruciature.
Johanna, continuando a fissare davanti a sé, riprende a parlare. “Se ti piacciono i miei capelli potresti chiedere a qualcuno di farti lo stesso taglio.” Nella sua voce non c’è risentimento, non credo. Più parla, più mi sembra irreale quello che sta accadendo. “Mi piaceva, era geniale.”
Quando si volta deve notare il mio sguardo confuso, perché corruga la fronte.
“Cinna.” Si affretta a spiegare, e poi distoglie di nuovo gli occhi.
Non so come, ma ritrovo la forza di parlare. “Non è ancora morto. Forse non lo giustizieranno.” Voglio credere in quello che dico, ma la risata di Johanna fa più male di quanto mi aspettassi.
“Oggi la tua amica, domani Cinna. È solo questione di tempo, prima o poi toccherà anche a noi.” In un certo senso lo so, sono qui solo perché credono che possa essere utile, ma quando si accorgeranno che veramente non so nulla, quanto ci metteranno prima di decidere di fucilare anche me? “Loro sono solo stati più fortunati.”
Questa volta le sue parole mi colpiscono, come fa a parlare in questo modo e a restare così calma? “In che modo?”
Resta in silenzio per un po’ di tempo, prima di rispondere, sempre con lo stesso sorriso sulle labbra che non raggiunge gli occhi. “Ultimamente sto dormendo un po’ troppo e hanno deciso di svegliarmi dandomi una piccola scossa.”
Ci metto un po’ a capire quello che sta dicendo, non hanno mai fatto nulla del genere a me. Mi chiedo se un giorno decideranno di farlo…
Johanna continua, chinando la testa e cominciando a guardarsi la punta dei piedi. “Tu non hai segni visibili di tortura, quindi immagino che abbiano trovato un altro modo per divertirsi con te, no?”
Adesso sono io a distogliere lo sguardo, però annuisco, senza sapere se mi ha vista o meno.
Non sono mai gli stessi, almeno credo. Spesso sono in più persone. Hanno i volti coperti dai loro caschi. Solo qualcuno arriva a volto scoperto, uno di loro in particolare, non so il suo nome, ma è quello che viene più spesso. Ha gli occhi verdi e un profumo nauseabondo.
Prima di parlare di nuovo, Johanna aspetta diversi minuti, durante i quali io ho continuato a fissare il muro di cemento. “Ti ha veramente raccontato qualcosa?”
Non devo chiedere di chi sta parlando per sapere che si riferisce ad Haymitch. Continuo a non guardarla ma questa volta scuoto la testa. Comincio a pensare che invece lei sappia più di quanto voglia far credere.
Improvvisamente vorrei cominciare a parlare, ma due Pacificatori ci spintonano con i fucili, chiedendoci di che stiamo parlando.
Johanna si stringe nelle spalle e sorride ad entrambi. “Cose da ragazze.” Risponde, prima di ricevere un altro colpo con la canna del fucile. Uno dei due Pacificatori la costringe ad alzarsi.
Per tre giorni non riesco a identificarla nella folla, il quarto giorno mi raggiunge di nuovo sulla mia panchina ma non mi rivolge la parola e io resto in silenzio.
I giorni continuano a passare e noi cominciamo a parlare, non hanno molto senso le nostre conversazioni esattamente come non hanno senso i giorni che trascorrono. Spesso è lei che racconta aneddoti bizzarri, apparentemente insignificanti, come se non si trovasse rinchiusa in una prigione.
Mi dice che parla con me perché al momento sembro essere l’unica a cui è rimasto un briciolo di sanità mentale con cui valga la pena parlare. Un giorno, durante una delle chiacchierate, esce fuori che più volte, nei suoi deliri ubriachi, Haymitch le ha parlato di me.
“La maggior parte delle volte si lamenta.” Dice. “Ma quando ci dà giù di brutto allora comincia a dire un sacco di cose…” Sembra che la cosa la diverta moltissimo. “Non lo capisco proprio.”
A quello che dice, la cosa che non capisce è come lui possa essersi innamorato di una che ‘grida Capitol City da tutti i pori’, ma non le credo, perché se fosse vero non mi avrebbe lasciata indietro.
Ogni tanto a noi due si aggiunge anche Annie, quando riesce a capire dove si trova.
Passano altri giorni, non so nemmeno quanti, l’esecuzione di Cinna non viene mostrata alla rieducazione, ma so che è morto perché una volta, durante un interrogatorio, mi mostrano delle foto terrificanti del suo corpo, quasi irriconoscibile.
Non posso sapere a quando risalgono…
I preparatori di Peeta sono stati giustiziati poco dopo Portia, ma non ho ancora visto Octavia, Flavius e Venia. Non spero nemmeno che stiano bene, come ha detto Johanna la prima volta che abbiamo parlato: è solo una questione di tempo.
Mi chiedo quando toccherà a me.
Una sera, il Pacificatore dagli occhi verdi è particolarmente frustrato e aggressivo. Quando la porta della mia cella si richiude alle sue spalle e io resto inerme, stesa a terra, ripenso a Portia e a Cinna e comincio a credere che Johanna avesse ragione anche su un’altra cosa: forse loro sono stati più fortunati.

A/N: Mi sento molto allegra stasera, si vede? Comunque, mi ha sempre affascinato l’idea di un’amicizia Effie/Johanna e anche Effie/Enobaria, ad essere sincera. Magari in futuro scriverò anche qualcosa su loro due.
Volevo ringraziare di cuore le persone che hanno commentato il capitolo, mi fa piacere che abbiate apprezzato la mia idea di dedicare un po’ di spazio in più ad Effie. Presto aggiornerò la raccolta Hayffie con qualcosa di molto più leggero e divertente, promesso!
Nel frattempo, grazie per aver letto e fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,


x
Lily

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Capitolo 3
*** Under Arrest ***


**Attenzione - Questo capitolo era già stato pubblicato come one-shot singola, ma ho deciso di cancellarla e di spostarla in questa raccolta. La nota a fine capitolo, ovviamente era quella originale, non sono tornata indietro nel tempo. XD**

Rating: verde.
Parole: 1371.
Personaggi: Effie.


È buio.
Non so dove sono e non so per quanto tempo sono rimasta incosciente. L’ultima cosa che ricordo sono le immagini trasmesse dalla televisione: Katniss ai piedi di un imponente albero che scocca una delle sue frecce contro qualcosa e poi l’immagine è svanita.
Lo schermo aveva preso a trasmettere solo un fastidioso sfarfallio ed io non sapevo che cosa fare.
Non era mai successa una cosa simile.
Ricordo di aver lasciato la stanza in cerca di Portia o Haymitch, dal momento che Cinna era sparito da quasi tre giorni senza lasciare traccia, ma non feci molta strada.
Arrivata all’ascensore non ebbi il tempo nemmeno di chiamarlo perché le porte si aprirono da sole rivelando all’interno una squadra di cinque Pacificatori armati fino ai denti.
Senza troppi complimenti mi accerchiarono, due di loro mi avevano afferrato per le spalle mentre altri due si erano posizionati dietro di me e mi tenevano puntate le loro orribili pistole contro la schiena. L’ultimo era rimasto all’interno dell’ascensore, aspettando che gli altri mi conducessero dentro.
Per tutto il tempo ero rimasta in silenzio, pietrificata dalla paura e nella più totale confusione. Non avevo idea di che cosa fosse successo.
Che cosa aveva fatto Katniss? Che fine aveva fatto Peeta? Dov’era Haymitch?
La mia squadra completamente smembrata e io potevo solo sperare che a nessuno di loro venisse fatto del male.
Pensavo che non mi avrebbero fatto nulla, perché io per prima non avevo fatto nulla.
Mi arrestarono e quando cercai di fare domande uno dei Pacificatori non ci pensò due volte prima di colpirmi alla testa con l’impugnatura della sua arma.
Ora che ho riaperto gli occhi e tutto ciò che vedo è solo nero, l’idea di essere diventata cieca mi paralizza. Poco a poco, poi, la vista comincia ad adattarsi all’oscurità, facendomi percepire le sagome di qualcosa nella stanza in cui mi trovo.
Sono rannicchiata in un angolino, mi reggo le ginocchia strette al petto e respiro lentamente. Sto cercando di ricordare tutto quello che è successo ma dopo essere stata colpita dal Pacificatore nella mia mente diventa tutto buio.
Non ho modo di capire che posto sia quello in cui mi trovo, non senza lasciare la mia postazione e non oso farlo.
Sono sicura che a poco più di un metro da me ci sia qualcosa, sembra una grossa bara. Forse è un divano, o un letto… se allungassi le gambe probabilmente lo raggiungerei ma non riesco a muovermi.
Non è solo l’assenza della vista che mi spaventa ma anche l’assenza dell’udito. Sono abituata a trovarmi in stanze affollate e piene di rumori, voci e musica.
La stanza in cui mi trovo adesso è silenziosa, talmente silenziosa che giurerei di riuscire a sentire il mio cuore battere.
Per accertarmi di non essere sorda tamburello per un attimo con le unghie sul pavimento prima di riportare le braccia attorno alle ginocchia. Ci sento benissimo. Il pavimento è duro e freddo, probabilmente è pietra o forse marmo.
La parete a cui sono poggiata sembra essere dello stesso materiale, il mio angolino si è un po’ riscaldato per via del mio calore corporeo ma la stanza rimane comunque gelida.
Anche se non riesco a vedere niente, sono sicura di non indossare più i miei vestiti. Porto qualcosa di lungo fino alle ginocchia e molto leggero, ho le braccia scoperte. Credo sia cotone ma non posso esserne certa.
Sono stata completamente spogliata di tutto, non indosso più nemmeno la mia parrucca dorata e i piedi sono scalzi.
La testa mi fa male nel punto in cui mi hanno colpita, ma oltre a quello non ho altri dolori.
Anche se non so per quanto tempo io sia stata priva di sensi, sicuramente non deve essere stato molto, perché sono stanca… durante i tre giorni di Giochi non ho dormito molto, ero troppo preoccupata.
Ora non oso addormentarmi perché ho paura di quello che potrebbe succedermi.
Ho avuto modo di riflettere, sicuramente era successo qualcosa, qualcosa di terribile. Forse era stata la freccia di Katniss, infondo la trasmissione era stata interrotta immediatamente dopo.
Se mi hanno catturata è perché pensano che io possa farne parte, purtroppo non ho la minima idea di quello che sta succedendo. Deve sicuramente esserci stato un errore, non c’era nessun motivo di arrestarmi.
Ho già creato abbastanza danni alla vita di quei poveri ragazzi quando li ho mandati nell’arena la prima volta, non avrei fatto nient’altro che li avesse potuti mettere in pericolo.
Può darsi che quando capiranno che non so niente mi lasceranno andare.
I miei pensieri poi vanno ad Haymitch; se hanno catturato me forse hanno preso anche lui… che lui sapesse quello che stava succedendo? Era stato strano sin dall’inizio dalla fine del Tour della Vittoria, ma non ci avevo fatto veramente caso. Ora, però, ripensando a tutto riesco a individuare dei comportamenti insoliti.
In genere anche se lo facciamo senza parlarci, seguiamo quello che avviene nell’arena insieme. Quell’anno invece lui era sparito sin dall’inizio, per poi riapparire a notte fonda, quando io mi preparavo per andare a dormire…
Poi una cosa mi torna in mente: il bracciale d’oro che gli avevo regalato. Quello che dimostrava che eravamo una squadra. Ricordo di averlo visto al polso di Finnick; all’inizio ci ero rimasta male perché aveva dato via una cosa che per me significava molto, poi con gli avvenimenti successivi mi era passato di mente. Ora che ho modo di pensare, però, quel particolare mi ronza nella testa. Possibile che mi abbiano arrestata solo perché ho voluto regalare a tutti loro qualcosa che mostrasse che eravamo una squadra?
La mia squadra…  I Giochi erano continuati anche se la trasmissione era stata interrotta? Chi era rimasto nell’arena? Sono troppo confusa per ricordare bene.
Improvvisamente la mia mente mi porta a Cinna. Dov’era? Non era da lui sparire subito dopo l’inizio dei Giochi… che fosse stato catturato anche lui? Per quale motivo? Lui non aveva fatto nulla e sicuramente in quel momento nessuno poteva prevedere che cosa avrebbe fatto Katniss. Se avevano preso Cinna allora avevano preso anche Portia?
Conosco Portia da una vita, non farebbe male ad una mosca; l’ultima volta che l’ho vista è stata dopo la morte di Mags. La stilista del Distretto 4 ha avuto un mancamento e Portia, che la conosceva bene, l’aveva riportata nella sua stanza. Poi gli eventi avevano cominciato a susseguirsi in fretta e io mi ero rintanata nella mia stanza per poter assistere senza altri occhi su di me.
Se fosse successo qualcosa ai miei Vincitori probabilmente mi sarei sentita male anche io e non volevo che gli altri mi vedessero nella stessa situazione in cui si era ritrovata la stilista del Distretto 4.
I miei pensieri vengono interrotti da un rumore vicino, sollevo la testa verso la fonte del rumore e mi stringo ancora di più le ginocchia al petto.
Ora vedo uno spiraglio di luce passare attraverso una fessura di quella che deve essere la porta; riesco a vedere le pareti della stanza. È piccola e come avevo previsto non ci sono finestre.
La cosa ad un metro da me è una branda e riesco a vedere un gabinetto sulla parete adiacente a me.
Dalla fessura passa un vassoio, nessuno entra. Non mi muovo ma alle mie narici arriva quello che dovrebbe essere odore di cibo. Credo sia una zuppa ma ho lo stomaco chiuso.
Sollevo la testa e quando la poggio contro la parete sento un dolore fulminante che mi costringe a chiudere gli occhi e a sopprimere un lamento, ricordandomi il punto dove mi aveva colpito il Pacificatore.
Sono tentata di alzarmi e andare a mangiare, ma le mie gambe non vogliono ancora muoversi. Immagino che quando la fame prenderà il sopravvento sulla paura e sulla stanchezza potrò alzarmi di nuovo.
Nel frattempo chiudo gli occhi e respiro profondamente, non so per quanto tempo mi terranno rinchiusa qui dentro. Poggio la testa sulle ginocchia e cerco di non piangere, non servirebbe a niente e ho paura che piangendo io possa fare arrabbiare qualcuno e l’ultima cosa che voglio è essere colpita di nuovo.
Posso solo aspettare e sperare che non sia successo niente ai miei Vincitori, a nessuno di loro; e che presto qualcuno mi faccia uscire da questa stanza.

NdA: Questa è la prima storia che scrivo su Effie e in generale la prima che scrivo su Hunger Games... l'ho scritta principalmente perché ho appena aperto un profilo di Effie per un GdR e volevo sapere come me la cavavo, quindi ci terrei veramente a sapere cosa ne pensate. :)
xx Lily

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