Another Cinderella Story... Or not?

di Unicorno Alato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Mirror ***
Capitolo 3: *** Yellow Hair ***
Capitolo 4: *** Would you dance, if I ask you to dance? ***
Capitolo 5: *** Burlgary ***
Capitolo 6: *** Good Morning ***
Capitolo 7: *** He makes me happy ***
Capitolo 8: *** The mysterious waiter ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Another Cinderella Story... Or not?

Con questo racconto non voglio assolutamente descrivere una situazione realmente accaduta o una mia idea sui personaggi dello scritto. I fatti sono puramente casuali e non intendo insultare o far arrabbiare qualcuno per la scelta dei personaggi. Come ho già detto personaggi e fatti non si riferiscono alla vita reale, ma sono puramente casuali.

Prefazione

Forse stavo esagerando. Forse ero davvero pazza come gli altri mi volevano far credere, ma la domanda era: Perché continuavo a tornare? O  perché continuava a tornare. Era come una droga. Un ossessione permanente. Non ce la facevo. Era facile come respirare, ma difficile come vivere. Tutto sembrava perfetto, ma il secondo dopo era come l’inferno. Sapevo una cosa, una soltanto. Era mio. Mio e solo mio. Io ero legata a lui come lui era legato a me. Fino a quel momento non sembrava tanto male l’idea di stare con lui. Mi sentivo protetta, come mai. Ed infatti lo ero. Ma nello stesso momento ero costantemente in pericolo. Era come se un filo invisibile mi legasse segretamente a lui. Era come se il mio cuore gli appartenesse. Non trovavo il mio da tempo. E lui me lo aveva riportato in splendida forma.

Prima di romperlo.

•Spazio Autrice 
Salve a tutti! Mi presento. Sono Greta. Questa è una storia un po' particolare, Come avete potuto notare insomma. Spero che almeno l'introduzione vi piaccia. 
Ci vediamo quando ci vediamo. 

 


Personaggi: 
Ashley Rickards (Isabella Clark): 


 Justin Bieber:


 Ashlee DeLoach (Queen ElizabethTyler) 

Mike Faiola (Chris Ryan Clark)

Cody Simpson (Walter James Scott)

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Capitolo 2
*** Mirror ***


 

' Mirror '

Sentivo il vestito stringere il mio corpo in maniera aggressiva e progressiva. Quasi fosse una morsa d’acciaio. Intanto guardavo fuori dalla finestra aspettando che il sole smettesse di splendere per fare spazio alla luna che incombeva senza timore di distruggere i sogni, le speranze. Ma portando con sé un senso di pace che nessuno mai si immaginava. Portava la notte, portava le stelle e portava tante cose belle. Portava anche il buio inquieto e silenzioso, che mi faceva paura. Sin da piccola ho avuto paura del buio. Poi però una persona mi ha fatto capire che non c’era niente di male nell’oscurità. E, in un certo senso, mi sentivo un po’ oscura. Sentivo che dentro di me c’era un mostro che usciva ogni notte, che mi dava il tormento. Mi stupivo sempre di quanto fosse potente la mia forza auto-distruttrice. Non ho mai pensato a nessuno che mi potesse far del male – per la mia famiglia, guardie del corpo eccetera, eccetera - mai, finché non ho scoperto la notte dentro di me. <<Katrin…? Ricordami perché devo andare a questo stupido ballo in maschera.>> Dissi nel panico più totale, mentre la stoffa del vestito si adattava al mio corpo minuto e mentre Katrin mi infilava le scarpe fastidiose e odiose e allacciava la stringa su di esse. Lei mi guardò per un secondo prima di tornare al suo lavoro sollevando di poco il vestito che ricadeva sulla sua testa.                          
<<Signorina Clark, perché lei è la figlia del presidente, e lei deve essere sempre presente. Visto che lei è il successore di suo padre nel caso.. beh, quando morirà.>> Mi disse con il suo strano accento australiano di cui ero pazzamente innamorata. Un giorno mentre mi stavo esercitando in matematica con lei chiesi se gentilmente mi poteva far capire come pronunciare perfettamente le parole con il suo strano accento. E siamo state tutto un pomeriggio nell’ intento di trovare un barlume di speranza per l’australiano, ma non c’era neanche un granello di polvere. Ero proprio negata.    
<<Ma Katrin… io non ho voglia.>> spiegai con la faccia stanca di tutto e di tutti. Cosa potevo dire agli invitati? Si, la mia famiglia è molto bella, solo quando ci siete voi però. In effetti la mia famiglia non mi considerava molto.. se potevo considerarla un famiglia certo. Mio padre e mia madre avevano impegni sempre, e mai tempo per me. Così avevano assunto una ‘Babysitter’. Katrin. Certo era più una madre. Lei c’era sempre, e c’è sempre stata. C’è stata quando mi sono fatta male la prima volta cadendo dall’altalena che lei stava spingendo. C’era quando un bambino mi prendeva in giro. C’era quando ho avuto la mia prima cotta. C’era quando ho avuto il mio primo bacio. C’era quando sono morta dentro. I miei genitori erano troppo occupati con l’amministrazione per accorgersi che ero morta. Certe volte speravo anche di non respirare più. <<Lei ci deve essere. È un suo dovere.>> marcò l’ultima parola prima di guardarmi negli occhi e mettermi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Era così gentile con me. Non lo meritavo, non meritavo affetto. Neanche da Katrin. <<Su Isabella. Devo truccarti adesso.>> Pure? Non bastava la tortura subita nell’istante precedente? <<Farò veloce lo prometto.>> e in un secondo sparì dalla mia vista lasciandomi sola, sulla sedia di camoscio della mia camera troppo grande. Mi guardai allo specchio per interminabili secondi. Il vestito che indossavo mi scopriva parte del petto, e si formava in una scollatura a cuore molto graziosa. Era di seta con dei drappeggi sul corpetto e  una gonna a sirena che cadeva perfettamente sulle gambe. Era di un celestino chiaro, quasi come l’alba. Un celeste schiarito dai raggi del sole. I capelli castani erano raccolti in una treccia lunga che arrivava sotto il seno. Questa era la mia unica pretesa. Potevano farmi di tutto. Trasformarmi il viso, cambiarmi il corpo a loro voglia, mettermi addosso i vestiti più strani e scomodi, la mia unica pretesa era la treccia. Perché mi rendeva unica. Almeno tra tutti quelli che erano nella sala potevano scorgere un unico particolare. La mia treccia. Tutte le dame tenevano i capelli raccolti in chignon complicati o sciolti. Io avevo il mio accessorio personale. Che mi rendeva unica.
<<Eccomi qui. Non ti accorgerai neanche che ho iniziato perché io avrò già finito.>> Katrin mi fece la linguaccia pronunciando quelle parole e io non trattenni una grossa risata che mi perforava la gola. Lei rise con me e come per magia, dopo uno schiocco di dita aveva finito. Sembrava una magia o mi ero addormentata? <<Ecco fatto, finito! Guarda che bel lavoro che ho fatto. Sono fiera di me, batti il cinque Katrin.>> disse e porse la mia mano destra sulla sua simulando un battito. Aveva ragione, questa volta aveva soddisfatto le mie richieste. O almeno.. quelle di mio padre, ma comunque mi piaceva il trucco, era molto leggero. Katrin aveva messo solo un po’ di fondotinta per le occhiaie e aveva tracciato una linea dritta sulla mia palpebra superiore. Basta. Stop. Il trucco era finito. Un sorriso si fece spazio sul mio volto incorniciando perfettamente l’immagine riflessa nello specchio. <<Se bellissima Bella non lo dimenticare.>> mi disse sfiorandomi con delicatezza il viso mentre lasciava un bacio sulla mia fronte. Sorrisi e poi mi alzai stanca di stare su quella sedia troppo comoda.
<<Oh dio.. Caro.. Caro!! Vieni a vedere..>> trillò mia madre sulla soglia della porta. Dopo di lei apparve un uomo in smoking che doveva essere mio padre. Per quello che ricordassi almeno.
<<Isabella Clark sei maledettamente stupenda figlia mia.>> disse lei come se fosse fiera della mia bellezza non del mio innato senso dell’immaginazione, o dei miei disegni spettacolari – come li aveva definiti Katrin – attaccati alle pareti, o dei miei voti presi negli anni scolastici. Era fiera della mia bellezza, che neanche potevo controllare. Era fiera di una cosa superficiale e sbagliata.
<<Si.. ma ha fatto tutto Katrin senza di lei tutto questo non può considerarsi reale.>> Era merito suo se ero bellissima. Era merito suo se riuscivo ancora a far apparire sul mio viso una smorfia che somigliava nettamente ad un sorriso.
<<Si.. Certo,certo.. Ovviamente. Ora sbrigati muoviti. Va a vestirti anche tu.>> Disse con freddezza spingendo il corpo di Katrin fuori dalla porta. Neanche un po’ di gratitudine.. che famiglia stupida. È stata lei a fare il lavoro sporco e si deve beccare anche le critiche. No questo non andava bene.
<<Queen non trattarla così! è lei che ha reso possibile tutto questo.>> Indicai il mio viso e il mio vestito.
Perché Queen? Perché è il nome di mia mamma, ma visto che non ho più la forza di volontà per chiamarla mamma la chiamo per il suo nome. Per fortuna quella sera Katrin sarebbe venuta con me al ballo con me.
Come farei senza di lei?




 

• Spazio Autrice
Salve a tutti! Mi conoscete già! Spero tanto che il capitolo vi piaccia, ci ho messo tanto impegno per farlo e vorrei ricevere almeno una critica. Positiva o negativa che sia. La ragazza misteriosa si è presentata finalmente. Isabella. Nome scontato lo so. Ma non sapevo cos'altro metterci. Mh.. mi scuso se in questi giorni vi ho lasciato da leggere solo la Prefazione che sono praticamente due righe, ma comunque mi sembrva carina come cosa.. Il fatto di fare un'introduzione ecco.. Vi accorgerete che uso molte similitudini e che nei miei capitoli ci saranno delle figure o dei personaggi simbolici. Che sono una cosa ma ne stanno a significare un'altra. se volete vi spiego com'è nata questa storia, visto che ho il tempo e la voglia di scrivere un po' di più nel mio spazio. Beh, stavo guardando un film in bianco e nero, su una donna che lavorava in un agenzia di diamanti e pensavo che fosse davvero brava. Quando c'erano le pubblicità mi sono girata e ho visto il poster di Justin attaccato alla porta di camera mia. E da lì ho iniziato a scrivere. L'ispirazione arriva quando meno te lo aspetti.
Vabbè. Vi ho raccontato un po' di cose, e io voglio in cambio solo una cosa: RECENSIONI. :) Spero tantissimo che il capitolo vi piaccia. Baci. xx
Ci vediamo quando ci vediamo.

 

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Capitolo 3
*** Yellow Hair ***


'Yellow Hair'

In quell’ istante non ricordai più una virgola su come si camminava. Mi muovevo a tentoni sui tacchi a spillo –ovviamente scelti da mia madre- ondeggiando a destra e a sinistra alzando le braccia e muovendole per mantenere l’equilibrio. Per fortuna una mano mi prese al volo prima che cadessi a destra e facessi una figura niente male davanti ai colleghi di mio padre. <<Katrin. Non. Lasciarmi. Cadere. Okay?>> Le sussurrai in un orecchio mentre lei sogghignava. Era come un eroina per me. Lei sapeva far bene tutto. Eppure doveva stare con me giorno e notte, a consolarmi come se fossi realmente sua figlia.  Ad un certo punto la vidi sorridere e annuire e mi tranquillizzai, sicura che nelle sua mani sono sarei mai e poi mai caduta. <<Le vorrei presentare mia figlia Walter.. Voi avete la sua stessa età..>> E con questa frase mi prese la mano strattonandomi per farmi allontanare dal braccio protettivo di Katrin. Ora si che mi sentivo instabile. Pronta a crollare. Guardavo i miei piedi mentre scendevo le scale con la mano di mio padre attorno alla vita. Ma la sua stretta non era sicura come quella di Katrin, e di nuovo sentivo cadermi addosso il mondo interno. Nonostante tutto appiccicai sul mio viso una maschera –che non era quella che dovevo indossare al ballo- che ritraeva una persona realmente felice. All’improvviso vidi un uomo, alto davanti a me e percorsi tutta la sua figura. Indossava uno smoking bianco, con la cravatta nera e con delle scarpe bianche talmente lucide da farle sembrare la luna. Indossava, al polso sinistro, un orologio dorato con la lancetta dei secondi che scorreva inesorabile. Un sorriso comparve sulle sue labbra fini mentre i miei occhi perlustrarono tutta la faccia. Aveva una mascella debolmente pronunciata, sulla mandibola un accenno di barba talmente rado da non essere quasi visibile. Le labbra fini formavano una linea dritta trasformando il sorriso giocoso di prima nel vero e proprio terrore puro. Il naso a punta arrivava perfettamente sopra le labbra mentre gli zigomi molto pronunciati scavavano un solco per gli occhi. Non riuscivo a vederli bene tanto piccoli com’erano. Ma sembravano di una sfumatura verdastra, quasi celeste. Le sopracciglia fini e rade mi ricordarono le mie e mi chiesi se si era fatto anche lui la ceretta. La fronte corrugata faceva ancor più paura delle labbra fini. Infine il volto veniva contornato da dei capelli biondi quasi finti. Mi chiesi se portava un parrucchino o se li aveva tinti. <<Piacere, Walter>> allungò la mano e la strinsi con un po’ di tentennamenti e tante spinte da mio padre. La sua voce era ancor più terribile delle sue sopracciglia e mille volte peggio delle sue labbra. Faceva accapponare la pelle. Sembrava una di quelle voci che mettono agli assassini psicopatici nei film polizieschi. Sembrava pronto a divorarmi, o a spaventarmi. Ma la mia espressione non mutò di un centimetro. Avevo sempre le labbra piegate all’insù per formare un sorriso. Ma dentro di me si era scatenato il panico. <<Isabella.>> strinsi ancora la sua mano prima di scappare dalla presa quasi del tutto ferrea di mio padre per andare a rifugiarmi nelle braccia calde e accoglienti di Katrin.  Inspirai il suo profumo che sapeva nettamente di lavanda e cioccolata. Non sapevo cosa mi avesse fatto arretrare, e non sapevo cosa mi spaventava in quell’uomo. Ma sapevo che non dovevo fidarmi, e mai e poi mai mi sarei fidata di lui. Misi la mia maschera azzurra, che riprendeva perfettamente il colore dell’abito e così fece anche Katrin. I piedi iniziarono a farmi male quando dovetti percorrere tutta la scalinata che portava alla sala da ballo. Ma fui felice di vedere molti visi familiari. Come quello di zia Catherina o quello del nonno Jasper. O ancora quello dello zio Joe e quello della mia amica d’infanzia Charlie. Eravamo ancora molto legate, ma non ci potevamo vedere molto. I suoi genitori dovevano partire sempre e non volevano lasciarla a casa da sola. Così se la portavano via per mesi e certe volte anche per anni. Ci sentivamo di rado, ma non l’avevo dimenticata. Ad un tratto mi scordai il perché di quella stupidissima festa in maschera. Cosa c’era da festeggiare?
<<Mi ricordi il motivo per cui siamo qui per favore?>> sussurrai al suo orecchio prima di sentire una graziosa risata provenire dalla sua gola.
<<É il compleanno del figlio del ministro delle entrate. Il signore che hai incontrato poco fa ti ricordi?>> sussurrò anche lei al mio orecchio in modo che potessi sentire solo io mentre i nostri piedi procedevano inesorabile verso la fine delle scale. <<Chi? Capelli gialli?>> chiesi retorica facendo scoppiare a ridere Katrin che stava per mettersi a piangere per le troppe risa. <<Questa è carina Bella. Comunque si.. lui.>> disse Katrin mentre mi teneva stretta per un braccio e mentre facevamo l’ultimo scalino. D’un tratto vidi il balcone degli alcolici e una voglia matta di ubriacarmi mi balenò nella mente.
<<Non pensarci neanche Bells. Stanotte non ti farò ubriacare.>> disse Katrin spossata mentre si passava una mano sulla fronte. Mi misi a sedere sulla prima sedia che trovai e cercai di supplicarla a lasciarmi bere qualche shot. <<Dai Katrin! Solo qualche shot, ti giuro che non mi ubriacherò. Croce sul cuore.>> dissi e feci una croce immaginaria sul cuore con l’indice della mano destra mentre la sinistra era alzata. La guardai supplichevole desideravo un po’ di adrenalina in circolo.
<<Eh va bene.. te ne concedo quattro perché so che li riesci a trattenere bene.>> sospirò spossata prima di stendersi sulla sedia facendo finta di svenire.
<<Però non vodka. Solo scotch. Liscio.>> oh.. andava benissimo. Le baciai la guancia prima di correre –non letteralmente- verso il bar e sedermi su una delle sedie poste lì. Il cameriere si affacciò dal balcone con il viso rivolto verso destra e l’orecchio puntato verso di me. <<Scotch. Liscio per favore.>> abbozzai un sorriso e per un secondo vidi anche il suo mentre mi balenò quello di Chioma Gialla in testa. Che orrore. Visto che non trovavo niente di interessante da osservare nella sala decisi di studiare il cameriere mentre preparava il mio alcool. Cominciai dal basso sicura che il viso sarebbe stata la cosa migliore che avessi mai visto. Portava dei normali mocassini neri lucidi. Un pantalone abbastanza stretto nero e anche un po’ tirato giù da dove doveva essere. Diciamo che era un pantalone a vita ‘bassa’ –eufemismo-. Portava una camicia bianca strappata sulle maniche e un gilet nero come i pantaloni. Il tutto veniva reso più elegante da una cravatta ovviamente nera, che entrava nel gilet. Era un misto di Eleganza, Trasgressione e.. Cavolo quant’era sexy. Notai sui suoi bracci diversi tatuaggi, e questo non veniva certo tollerato nella società, quindi sicuramente non doveva essere di alto rango. il collo era bello. Non ho mai pensato di dire che la cosa che mi intrigava di più in un ragazzo fosse il collo, ma era così. aveva un collo stupendo. La mandibola era molto pronunciata senza neanche un accenno di barba. Le labbra erano carnose, ma non troppo, e mi davano l’impressione di essere molto soffici. Il naso a punta trasformava la figura in un dio perfetto. E poi arrivai agli occhi concentrati sul mio scotch. Mi sembravano color del grano o miele, non saprei distinguere. Erano bellissimi, niente in confronto al collo. Il tutto veniva addolcito dalla chioma quasi bionda. Portava un ciuffo alto con i capelli rasati ai lati. Aveva dei capelli stupendi color del grano, e mi sembravano talmente soffici che trattenni a stento l’impulso di infilarci una mano dentro. <<Ecco il suo scotch.>> disse alzando finalmente gli occhi nei miei. Potei finalmente vedere la sua mascella contrarsi e il pomo d’Adamo far su e giù, mentre deglutiva. Potei scorgere le sue mani grosse e allo stesso tempo fini che stringevano un bicchiere vuoto. E per fortuna potei vedere i suoi occhi. Quel marrone chiaro mi riportava a tempi remoti in cui ero davvero felice. Feci girare tra le mie dita lo stecchino con cui era infilzata un oliva e la portai alle labbra. Era davvero buona. Non mi resi conto però che in tutto questo tempo avevo ancora gli occhi su di lui e che i suoi invece si erano spostati sulle mie labbra. 



•Spazio Autrice
Salve, scusate per il ritardo ma questa settimana ho avuto talmente tanto da fare che non ho neanche potuto andare su EFP per un ora. Tra verifiche, interrogazioni, poi ci sono stati i pagellini e.. Vabbuò lasciamo stare. Come vi sembra il capitolo? So, che i primi capitoli sono un po' corti, ma poi si allungheranno, state tranquille. mh.. niente, spero vivamente che il capitolo vi piaccia eh..
Ah, si ecco un'anticipazione, Walter.. il bel Walter. Carino no? ecco, io non gli darei tanta fiducia se fossi in voi, e neanche a quel presunto cameriere. Chissà chi sarà? Spero tanto che il capitolo vi piaccia. Baci xx
Ci vediamo quando ci vediamo.


 
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Capitolo 4
*** Would you dance, if I ask you to dance? ***



‘Would you dance, if I ask you to dance?’
 

<<Lei è..?>> domandò con voce melodiosa che per un attimo mi fece sciogliere sulla sedia. Aveva una cadenza profonda, immaginai il ragazzo mentre rideva e immaginai la sua risata che riecheggiava nella mia testa. <<Isabella..>> dopo una sorsata al mio scotch ripresi a parlare. Avevo la gola secca, ma ora sembrava bruciasse. Che bell’effetto. <<Isabella Clark>> finii la frase prima di finire anche il mio scotch e scuotere di scatto la testa per l’effetto dell’alcool nella gola. Pizzicava, ed era pungente, ma avevo l’adrenalina in circolo e tutto questo era una gran figata. Ad un certo punto lo vidi strabuzzare gli occhi, come se gli venissero fuori dalle orbite. Ecco, ora si sarebbe messo a parlare di politica pensando che io ne sapessi qualcosa, ma non me ne fregava niente della politica a me. E pensare che avevo solo quattro scotch a disposizione e uno lo avevo già sprecato. <<Oh.. Lei è..>> ecco che arrivava la batosta e prendeva a parlare del grande lavoro che faceva mio padre e del grande generale e bla,bla,bla. <<La figlia la figlia del proprietario della baracca.>> disse sorridendo tornando ad asciugare il bicchiere che aveva in mano. Quel sorrisetto fece nascere anche un mio sorriso. Non mi stavo sforzando, per una volta nella vita non dovevo sforzarmi di sorridere. Veniva da sé ed era la sensazione migliore che potesse capitarmi. <<Lei… Lei..>> balbettai insicura. <<Lei mi hai fatta sorridere.>> puntualizzai sorridendo, e sorridendo ancora. volevo vedere ancora quel sorriso, volevo che facesse di nuovo quella smorfia sulle labbra, volevo che la fossetta sulla guancia nascesse di nuovo. <<Scusi..?>> chiese insicuro. Io risi per la sua domanda/affermazione. Non lo stavo rimproverando, il mio era un commento. Anzi forse lo stavo ringraziando. <<No. Anzi! La ringrazio..>> arrossii di botto nascondendo il viso con le mani mentre cercavo di far sparire il color porpora dalle guance. <<Quando vuole.>> ridacchiò lui e per un secondo mi sembrava di aver sentito la miglior sinfonia che avessi mai udito. <<Può farne un altro?>> spinsi il bicchiere vuoto verso di lui che mi guardò con ammirazione per poi riprendere nel suo lavoro.<<Visto che lei sa chi sono anche io vorrei sapere chi è lei.>> chiesi sporgendomi su balcone vedendo quanto liquido colava nel bicchiere. Quando si arrestò il liquido dentro il contenitore di vetro sembrava troppo poco, così prima che richiudesse il coperchio di un aggeggio da baristi, presi il suo polso e lo spinsi in giù facendo affluire ancora più liquido nel bicchiere. <<Ecco. Così è okay..>> dissi prendendo il bicchiere e facendoglielo vedere. Lui ridacchiò di nuovo e un sorriso si formò
-di nuovo- sulle mie labbra. <<Non dovrebbe bere.>> sospirò spiazzato. <<Una bellissima ragazza come lei, non si dovrebbe rovinare.>> Arrossii di colpo prima di prendere un sorso della sostanza marrone. Ancora non riuscivo a credere che avessi toccato la sua pelle, così liscia, così morbida. Per un attimo desiderai sentire ancora quella sensazione. <<Sa’, fa male al fegato.>> continuò il discorso mettendosi a sedere sull’altro lato del balcone con i gomiti sulle ginocchia,mentre il suo sguardo era completamente rivolto a me. <<E lei non dovrebbe cambiare discorso.>> continuai prima di bere un altro sorso del mio scotch. <<Insomma sono curiosa. Chi è?>> chiesi socchiudendo gli occhi mentre facevo roteare il bicchiere sul tavolo di quercia. <<Justin>> sospirò e poi come per magia riprese a parlare rimettendosi in piedi e appoggiandosi al balcone con i gomiti. <<Justin Bieber.>> concluse infine. Mica male. Il ragazzo ci sapeva fare con i trucchi da quattro soldi. Volevo scoprire di più. volevo scoprire ancora molto. Ma ovviamente tutto ha una fine. Persino una conversazione. <<Isabella Clark. Ti avevo detto di non bere stasera! Isabella! Acciderbolina ti devo far presentare ad alcuni amici di tuo padre e non posso se tu puzzi di alcool. Dovrei presentarti come mia figlia ubriacona?>> trillò mia madre interrompendo i miei pensieri e soprattutto il filo logico del discorso tra me e Justin che di logico non aveva neanche una sillaba. <<Queen non puzzo d’alcool. E poi ne ho bevuto solo un bicchiere.>> ripresi a parlare dopo un respiro profondo <<E adesso per favore puoi dire a Chris che i suoi amici gli incontro dopo?>> ho altro da fare, aggiunsi mentalmente mentre bevevo ancora un po’ della sostanza marrone. <<Tuo padre , e non Chris, non sarà fiero di questo comportamento …>> non ascoltai nemmeno più era la solita ramanzina che io non volevo ascoltare e che lei non voleva ripetere, ma lo faceva comunque. Guardai scocciata Justin che si era seduto nuovamente sul balcone. Mi concentrai sui muscoli delle sue braccia che si tendevano sotto il peso del corpo che si dondolava avanti e indietro. Sorrisi involontariamente. Guardai le sue mani e per un secondo desiderai poterle toccare ancora una sola volta. Non mi accorsi neanche che mi stava guardando, lo realizzai solo quando Queen si tolse dalle scatole e se ne andò lasciandomi respirare.<<Si, ora capisco perché ha bisogno di scotch Signorina Bella.>> disse e una risatina seguì alla sua frase. Risi anche io certa di non aver mai faticato così poco in vita mia per sorridere.<<Posso porle una domanda signorina Clark?>> disse con il più familiare accento inglese che potesse uscire da quelle splendide labbra. <<Mi dica pure signor Bieber.>> riposi sorridendo mentre entrambi ci avvicinavamo. <<Ballerebbe con me se glielo chiedessi?>> chiese con quell’accento a cui –solo allora capii- non potevo resistere. <<Non ci penserei nemmeno due volte.>> la riposta era scontata. Era successo tutto così in fretta che non mi accorsi neanche che una buona parte degli ospiti se ne erano andati via, ero troppo ipnotizzata dai suoi occhi, e dalle sue labbra. E ero dipendente dal suo sorriso. <<Se ne sono andati quasi tutti..>> disse con voce sommessa mentre guardava quasi strabiliato le mie labbra dischiuse. Io intanto attendevo, attendevo un gesto, qualunque cosa pur di scoprire quanto soffici fossero le sue labbra. <<È rimasto solo il festeggiato che mi ha già guardato male una decina di volte da quando si è seduta qui. La sua amica, quella con cui ha sceso le scale e i suoi genitori con altri parenti, che non si interessano a lei minimamente.>> sospirò e il suo sospiro mi fece tremare perché eravamo così tanto vicini che potevo sentirlo soffiare sulle mie labbra.
<<Che vuoi fare cenerentola? Non avrai una seconda opportunità.>> disse mentre un ghigno malefico si formava sulla sua faccia.
<<Io penso proprio di si invece.>> ribattei sorridendo. stanca di aspettare mi misi comoda sulla sedia e tornai a bere il mio scotch, mentre lui era ancora rimasto impietrito con i gomiti che si appoggiavano al balcone. <<Scusi Mr Bieber. Devo andare. Spero di incontrarvi di nuovo un giorno.>> dissi mentre mi toglievo la maschera che avevo indossato per tutta la sera. La posi sul balcone e la lasciai lì. Se avesse voluto ritrovarmi l’avrebbe fatto grazie a quella maschera.
 <<Io se fossi in lei non cercherei di incontrarmi di nuovo.>> mi guardò torvo, e poi guardò la maschera. La prese in mano e la girò tra le dita.
<<Non sono il tipo per lei.>> disse duro, con la voce spezzata e la mascella contratta, mentre la sua mano si stringeva sulla mia maschera. Non mi importava, era l’unico che poteva salvarmi da me stessa e l’avevo capito quella sera. <<E chi ha detto che lo deve essere?>> chiesi mentre me ne andavo con un altro bicchiere di scotch in mano. Katrin mi prese sotto braccio e insieme salimmo le scale davanti a noi. Per l’ultima volta contemplai il suo viso sorridente, quasi frustrato. E poi sorrisi anch’io, lasciandomi trascinare da Katrin nella mia stanza mentre io mi chiudevo nella mia camera immaginaria nella mia mente. Sapevo che da lì c’era una solo via di ritorno, e sapevo che questo mi avrebbe stravolta. Ma non avevo più scampo. Ormai la chiave era nella serratura e la stavo girando per chiudere la stanza in cui mi trovavo. Assorta tra il più totale silenzio cercavo un giustificazione nella mia testa per andargli incontro e chiedergli perché. 



•Spazio Autrice
Salve a tutti! aww lo sapete che siete state davvero dolci con le recensioni? Grazie davvero per tutto. Spero vivamente che il capitolo vi piaccia, e mi dispiace se sono un po' corti, ma come ho già detto e ripeto, i capitoli si allungheranno lo giuro. Spero che vi piaccia vivamente il capitolo ci ho messo tutto il mio impegno. Beh, allora, il capitolo è questo, spero vi piaccia davvero.. Bacixx  
Ci vediamo quando ci vediamo.


Nel capitolo successivo:
<> chiese Katrin scocciata. Lo si poteva dire per la frequenza e l’intensità con cui la sua voce uscì dalla gola. Mi immaginai Katrin con le mani sui fianchi mentre batteva un piede sul parquet della mia camera in attesa di una risposta. Sorrisi. <’è stato un furto.>> 
 

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Capitolo 5
*** Burlgary ***


          ‘Burglary’ *
 
Lasciai che l’acqua mi scivolasse sui capelli mentre io guardavo fuori dal box doccia cercando di immaginare qualcosa che nemmeno ricordo. Non ricordo neanche come avevo fatto ad entrare nella doccia, forse qualcuno mi ci aveva trascinato a forza. Non ricordavo più niente dalla sera scorsa. Da quando avevo lasciato la sala da ballo e da quando mi ero rifugiata nella mia bolla. Credevo che fosse stato tutto un sogno, soprattutto quando mi ero svegliata di soprassalto nel mio letto. Ma poi ho visto il vestito azzurro che avevo indossato appoggiato alla sedia della mia scrivania. Ed allora un sorriso non poté non nascere istantaneamente sulla mia faccia, come a significare la bellissima serata che avevo passato. Speravo davvero di incontrarlo, un giorno, per parlargli faccia a faccia e per conoscerci. Aveva un non so che di misterioso e curioso, e.. trasgressivo. Non credo che ai miei genitori piaccia molto, ma non deve piacere a loro, deve piacere a me. Ripensai un secondo alle parole che mi aveva detto ‘Se fossi in te io non cercherei di  incontrarmi di nuovo.’ Non ne capivo il senso. Era come se dopotutto quello di cui avevamo discusso quella sera –che poi non era neanche tanto- non servisse a niente. Finalmente io mi ero sentita viva, felice, pensavo che almeno per un paio d’ore lui poteva farmi dimenticare tutto il resto, e così è stato. Ma poi tutto è andato a rotoli con quella frase, sembrava che a lui non importasse minimamente di come mi sarei potuta sentire. Sembrava essere stato messo lì a posta. Sembra quasi che il destino volesse che io lo incontrassi. E sembrava tutto perfetto. Fino a quando tutto non è diventato un incubo, l’inferno. Quella frase mi stava logorando lo stomaco, e più ci pensavo più mi veniva voglia di rintracciarlo. Non avevo parlato con nessuno dalla sera precedente. Non avevo fatto nemmeno un gesto. Ero rimasta impietrita, stesa sul letto con un sorriso stupido sulla faccia e con la testa rivolta verso il muro bianco del soffitto. Katrin se n’era andata via quando, di colpo mi ero rintanata sotto le coperte con la stoffa soffice del piumino che mi stuzzicava la faccia. Borbottava qualcosa di incomprensibile mentre chiudeva la porta di camera mia e scendeva le scale per andarsene a casa. Lei viveva in un quartiere che non consiglierei a nessuno. Non ci ero mai stata, ma da come lo descriveva non poteva essere il prato di casa mia ecco. Un forte rimbombo mi fece svegliare dal mi stato di trance che mi riportò bruscamente alla realtà. <<Isabella Beth Clark esci subito da quella doccia o vengo io e ti faccio uscire con la forza!>> Katrin urlò per farsi sentire e batté ripetutamente il pugno sulla porta. <<Sei lì dentro da un ora! E non sto scherzando. È passata veramente un ora.>> Dopo un bel respiro che la calmò riprese a parlare. <<Esci, o ti verranno le squame e le branchie. Poi che dirò ai tuoi genitori eh? Che sei diventata un pesce rosso?>> chiese scherzosamente mentre io avvolgevo un asciugamano attorno al mio copro e facevo una coda con i capelli bagnati. <<Grazie al cielo. Pensavo non saresti più uscita da là dentro.>>  Ghignò Katrin mentre mi porgeva la biancheria da indossare. La guardai attentamente. Pizzo, nero. Reggiseno trasparente e delle culottes dello stesso tipo. Di solito mi mettevo quegli indumenti se c’erano ricorrenze speciali, ma c’era stata una festa proprio il giorno prima. Mi dovevano torturare un’altra volta? <<Cos’è un’altra festa in maschera Katrin?>> Chiesi riluttante guardando gli indumenti per poi mostrarglieli. Lei mi sorrise notando la mia espressione. <<Non so signorina Clark. ma sicuramente è un avvenimento importante. Molto più di quello di ieri.>> Sorrise lei posando un vestito troppo rosa e troppo stretto sulla sedia di camera mia. io mi misi l’intimo prima di sdraiarmi sul letto guardando il soffitto e pensando. <<Ah.. Quel ragazzo..>> mormorai mentre mi mettevo in posizione eretta. Katrin mi guardò confusa per poi sospirare e abbassare la testa ridendo.
<<Di quale ragazzo stai parlando Bells?>> dopo un altro sospiro riprese a parlare <<Spero solo che tu stia parlando di.. aspetta come lo hai chiamato? Ah, si Capelli Gialli.>> sobbalzai al mio ridicolo soprannome. Solo ripensare alla sua faccia mi faceva nascere brividi sul bracci. Mi incuteva una grande paura. Mi chiesi che cosa c’entrava lui in tutta questa storia. Io sicuramente non avevo voglia di mettermi in tiro per uno come lui. <<Comunque no.. stavo parlando di un altro ragazzo.. uno che ho incontrato alla festa..>> dissi con occhi sognanti guardando il muro della mia camera e mordendomi il labbro inferiore solo per avere ancora la sua immagine riflessa nella mente. <<Oh.. e dimmi chi era? Il figlio del ministro del commercio? O del cancelliere? Oh. Mio dio non mi dire che era il figlio di..>> continuò per un po’ così ad elencarmi tutti i figli possibili che dovevo conoscere –anche se non li conoscevo- io intanto mi persi nella mia immaginazione. Altra cosa che non sopporto di me stessa è la mia immaginazione. Certe volte può anche ucciderti. Ma non ho mai smesso di immaginare, di sognare da quando ero piccola. Ho sempre amato tutto della mia immaginazione, ma allo stesso tempo la odiavo profondamente, perché ogni volta che tornavo alla realtà tutto mi sembrava più buio più scuro, più brutto. Come se non ci fosse una ragione per tornare nella realtà quando si è nel regno dei sogni. <<Allora?.. mi vuoi dire chi è oppure ti devo aspettare fino a che non la smetti di fissare il muro con occhi sognanti?..>> chiese incrociando le braccia fissandomi confusa prima di riprendere a mettere al loro posto alcune cianfrusaglie. <<Non era nessuno di.. speciale ecco.. nessuno di famoso per intendersi.>> dissi io guardandola e facendogli gesti con le mani. Intanto nella mia mente si scatenavano le immagini della sera precedente. Ce ne erano tantissime in cui sorrideva, e solo in quel momento mi resi conto che stavo sorridendo. Katrin mi guardò come se avessi sparato la più grande bugia della mia vita. Le sopracciglia si toccavano facendo nascere un cipiglio carino che mi face scoppiare a ridere. <<No, no, no signorina. Spiegami tutto.. chi è questo ‘misterioso ragazzo’>> chiese lei sedendosi sulla sedia e appoggiando il gomito allo schienale di essa con le gambe incrociate, aspettando la mia risposta. Mi venne da sorridere, non so come mai, ma in quel momento tutto sembrava bellissimo. Presi fiato e chiusi gli occhi immaginando il ragazzo in tutta la sua perfezione. <<Era un Bar-man.. ed era bellissimo.>> dissi sospirando prima di incrociare anche io le gambe per poi stendermi completamente sul letto. Chiusi gli occhi per la milionesima volta immaginando per la milionesima volta il viso di quell’angelo. Eppure c’era qualcosa in quel bel faccino che mi faceva ritorcere indietro. Non erano i milioni di tatuaggi, o l’orecchino al lobo sinistro o ancora la cresta con il ciuffo quasi perfetta. Era come se il destino mi avesse fatto incontrare un dio e poi me lo portasse via da sotto gli occhi. non potevo sopportare un’altra volta di vivere una situazione del genere. Sapevo che i miei genitori non avrebbero approvato, ma non capivo ancora che cosa c’era di strano nell’innamorarsi di un barman. E poi lui era così diverso, così misterioso, che.. che beh, mi faceva venire voglia di lasciarmi trasportare. Insomma avevo diciotto anni, potevo o no, secondo la legge, fare quello che volevo? E invece no, non potevo, perché tutti si aspettavano qualcosa dalla figlia del re d’Inghilterra! E io mi ero proprio stufata di essere sempre la brava e semplice ragazza che rispettava le regole e faceva tutto quello che i genitori le chiedevano. Ero stanca di essere sempre messa sottopressione solo perché tutti si aspettavano il massimo da me. Non mi ero neanche resa conto che mi ero messa a sedere sulla sedia su cui prima si era accomodata Katrin, e non mi ero neanche resa conto che aveva preso possesso del mio beauty-case e che aveva iniziato a spargermi una specie di crema marrone sulla faccia. Ed ero troppo impegnata nel mio monologo interiore per rendermi conto del rumore che fece la porta quando si aprì. La porta si aprì? <<Gustav?! Ma che ci fa lei qui?>> Urlò bruscamente Katrin prima di chiudere con uguale forza della sua voce la porta che si era appena aperta. Mi sentii mancare il terreno sotto i piedi certa che quello era solo uno stupido sogno e che di lì a poco mi sarei svegliata sudata e impazzita con le cure di Katrin che mi dormiva accanto nelle notti tempestose, e non sto parlando delle stagioni fuori dalla finestra. <<Presto, presto, vai in bagno>> mi sentii spingere verso una stanza accaldata come se qualcuno avesse appena aperto dell’acqua bollente. Avevo ancora gli occhi chiusi e non avevo assolutamente intenzione di riaprirli, perché ogni volta che li chiudeva la sua figura mi compariva nel buio, come se una foto in miniatura fosse stata messa all’interno delle mie palpebre. <<Gustav perché lei è qui? Mh..>> chiese Katrin scocciata. Lo si poteva dire per la frequenza e l’intensità con cui la sua voce uscì dalla gola. Mi immaginai Katrin con le mani sui fianchi mentre batteva un piede sul parquet della mia camera in attesa di una risposta. Sorrisi. <<Mi scusi davvero signorina ma devo dirle di restare qui nella stanza con la signorina Clark perché c’è stato un furto.>> Disse Gustav con voce spezzata, forse aveva corso, oppure era solo atterrito per la notizia. Furto? È letteralmente impossibile. Soprattutto in questa villa.  Ci sono troppe guardie del corpo, troppi addetti alle manutenzioni/sospetti agenti della CIA. <<Oh, mio dio..>> uno rumore di una sedia che si muoveva mi fece svegliare e lentamente aprii gli occhi. La luce dava ancora noia alla mia vista, ma avevo scoperto che mi trovavo nel bagno in cui avevo fatto da poco la doccia. Chi poteva essere stato? Sicuramente un intruso, gran investigatore o un addetto. Non c’era praticamente modo per raggirare la sorveglianza ed entrare da fuori. Forse era uno degli invitati alla festa. <<Va bene Gustav la ringrazio per avermi informato, terrò personalmente la signorina Clark sotto osservazione.>> sospirò spossata prima di mandare via Gustav e venirmi ad aprire la porta del bagno. Mi lasciai trasportare per un braccio da Katrin, che, come me, si stese sul letto, e nel  stesso preciso istante in cui sospirai anche lei lo fece. Scoppiammo a ridere in sincronia prima di guardarci negli occhi.  <<Chi può essere stato?>> sospirò Katrin con voce spossata prima di andare verso il mio armadio e scegliere qualcosa da là dentro. Io chiusi gli occhi e di nuovo la figura di quel ragazzo si stanziò nei miei pensieri, come il primo della lista, ma anche l’ultimo. Possiamo dire che tutti i pensieri concreti che feci quel pomeriggio erano rivolto verso lui. Justin. Eppure mi sembrava di averlo sentito nominare da qualche parte. Katrin intanto continuava a parlare/blaterare di qualcosa riguardante gli invitati alla festa e il figlio del ministro: Walter. Io non ascoltavo neanche un particolare di tutta quella faccenda contemplando amabilmente tutta la figura che risiedeva nei miei pensieri. Ad un certo punto Katrin iniziò a fare domande, a cui io rispondevo con un accenno del capo. Non aprivo neanche gli occhi, certa che la visione ad occhi chiusi fosse meglio di quella con gli occhi aperti. <<Ah, si.. lo sapevi che Gesù è morto nel sonno?>> chiese Katrin davanti a me, presumibilmente con le braccia sui fianchi e con lo sguardo da matrigna cattiva. Io annuii distratta con il sorriso sulle labbra per aver semplicemente immaginato il suo. <<Bells! Svegliati!>> mi strattonò tanto da farmi aprire gli occhi, e come avevo previsto il mondo reale non poteva essere meglio dei quello che si appropriava dei miei occhi quando li chiudevo. <<Ho appena detto che Gesù è morto di sonno!>> cantilenò Katrin prima di scoppiare a ridere, lo feci anche io e poi mi stesi nuovamente sul letto con il sorriso sulle labbra.
Il pomeriggio era passato senza nessun problema, a parte il fatto di aver giocato per tre ore a scala quaranta con Katrin, che poi se ne era andata perché ‘il capo’ –mio padre- l’aveva chiamata. Il che stava a significare due cose. O avevo fatto qualcosa di sbagliato, oppure mi ero comportata talmente bene, che mio padre mi lasciava andare a giro senza guinzaglio ergo Katrin –cosa letteralmente impossibile perché c’era appena stato un furto in casa.-  
Avevo fatto un’altra doccia, tanto per far qualcosa durante l’assenza di Katrin. Poi. L’ispirazione. Avevo iniziato a dipingere. Era arrivato da un piccolo pettirosso appoggiato con le leggiadri zampette alla ringhiera del mio terrazzo. Si grattava le penne con la punta del becco nero. Mi guardava con aria triste e poi guardava il cielo. Sembrava quasi dispiaciuto che io non potessi volare via con lui. Con  uno scatto fulmineo si era lanciato nel vuoto con le ali spiegate all’indietro, poi lo avevo visto riprendere a sbattere quelle piccole ali e volare via. Via da me, da questo posto. Chissà com’era il mondo visto da lassù, mi chiesi. Erano passati solo cinque minuti da quando l’uccellino aveva spiccato il volo e io già mi sentivo sola. Avevo deciso di prendere un po’ di mangime per uccelli dal giardino e metterlo sulla veranda. Ne presi una manciata e la misi in una ciotolina con i bordi alti, in modo che ci si potesse appoggiare con le zampe. Dopo circa una decina di minuti ad aspettare impazientemente nell’oscurità dell’angolino della mia stanza con un foglio di carta bianco in una mano e una matita nera nell’altra, eccolo apparire e scendere in picchiata posandosi così dolcemente sul terrazzo da non sembrare neanche vero. Il piccolo pettirosso si era spinto verso la ciotola contenente il cibo, e, prima di approfittare della deliziosa offerta, si era guardato intorno mentre restava a guardarmi per poi avanzare ancora verso il cibo. Avevo potuto avvicinarmi abbastanza da coglierne i particolari. Aveva un aria molto tranquilla, come se si sentisse al sicuro con me accanto. La mia mano destra iniziò a tracciare delle linee sul foglio bianco. Alla fine il lavoro era venuto molto bene. Raffigurava un pettirosso in bianco e nero che mangiava il mangime da una ciotola. Mi accorsi in quell’istante che mi trovavo sdraiata accanto a un disegno e ad un pettirosso che non se ne voleva andare dalla mia camera. Sembrava volesse controllare se nella stanza fosse tutto apposto, oppure controllava tutto questo per formare il suo nido, controllava se era un posto sicuro o meno. Si mise sulla mia pochette di seta rosa –che odiavo- e si sistemò lì per altre due ore. Io lo guardavo, si riposava, come un cagnolino nella sua cuccia. Sembrava proprio che avesse un sorriso fiero sulla faccia, felice di aver trovato una casa calda. Io ero a gambe incrociate sul letto osservando quel piccolo essere con un respiro così regolare da far pensare che fosse una persona. Dopo un certo periodo nella stessa posizione si muoveva cambiava. Muoveva le ali e le zampette, come se sognasse. Non so quanto era passato. Ore, minuti, secondi. Non guardavo nient’altro. Quel piccolo pettirosso aveva proprio scelto la mia casa, e si era fidato ciecamente di me. Non gli importava se potevo rinchiuderlo a vita in un gabbia o in una stanza. O non dargli più da mangiare o da bere per una settimana. Privarlo del potere di volare. Non gli importava nulla. Lui si era fidato di me. E io quel mondo era l’unico che ce la poteva fare.  

*Burlgary = Furto

 
• Spazio Autrice 
Saalve! Scusate ancora una volta per il ritardo. Volevo aggiornare ieri, ma stranamente non mi funzionava Efp. Vabbè, spero solo che il capitolo vi piaccia. Ci ho messo tanto tempo e mi dispiace un casino, ancora più scuse. voglio tante recensioni. c: Spero davvero tanto che il capitolo vi piaccia. Vi ringrazio per tutte le recensioni e ringrazio ancora chi legge la mia storia. 
Bacii
Ci vediamo quando ci vediamo c: 



 
 

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Capitolo 6
*** Good Morning ***


‘Good Morning’
 
Quella notte ho sognato di volare, volare sopra ogni pregiudizio, sopra ogni casa, arrivare alla fine. A quel punto mi svegliavo, per poi riaddormentarmi e fare, di nuovo, lo stesso sogno. Solo con delle aggiunte. La prima volta c’era qualcuno che volava con me. Il pettirosso che avevo disegnato. La seconda volta Katrin mi pregava di non andarmene, ma io la guardavo come quell’uccellino sul mio terrazzo guardava me. La terza volta avevo sognato di vedere mia mamma e mio babbo sotto di me che mi salutavano. La quarta volta il cielo era più limpido, e l’aria più fresca, come se qualcuno avesse aperto la finestra. E quando avevo aperto gli occhi, in effetti, la porta-finestra della mia camera era aperta. Avevo guardato l’orario della sveglia sopra il comodino di quercia prima di andare a chiudere la porta. Erano appena le sei di mattina, ma non avevo assolutamente intenzione di alzarmi. La quinta volta avevo sognato tutte le cose insieme, ma alla fine atterravo su una veranda diversa. Una veranda più scura, più buia, più rotta e più brutta. Appena entravo nella stanza un sorriso mi accompagnava fino alla fine del corridoio e lì.. lì incombeva buio. La sesta volta non accadeva niente. Il sesto ‘sogno’ raffigurava il buio più completo. Nessun pettirosso svolazzante, nessuna Katrin in lacrime mentre teneva il mio braccio con due mani, nessuna mamma e nessun babbo che salutavano, nessun fresco pulito, nessun vento tra i capelli, nessun terrazzo oscuro e nessun sorriso ammaliante. Niente. Il buio più completo.
Un forte odore di brioche mi fece lentamente svegliare. Ma non aprii gli occhi, ancora totalmente in stato di trance. Non sapevo, infatti, se stessi sognando oppure se Katrin mi avesse veramente cucinato tutta quella bontà. Mi sforzai di aprire gli occhi, anche se non mi andava molto visto che l’oscurità in un certo senso mi faceva felice. La prima cosa che vidi fu’ un vassoio di plastica con dei disegni sopra, contenente una tazza di porcellana bianca –che aveva al suo interno un cappuccino-  due brioche con una spolverata di zucchero a velo sopra e un bicchiere di succo d’arancia. Il profumo era squisito. Annotai nella mia mente di fare una statua a Katrin. Ma una domanda mi annebbiò momentaneamente la testa. Perché Katrin mi aveva preparato la colazione?
<<Ti sei svegliata finalmente.>> una voce calda e roca mi fece svegliare dal mio stato di trance, riportandomi alla realtà. Mi mossi di scatto e mi misi a sedere sul letto tirando il piumone fino al petto. E quello che vidi fu’ più bello di quello che avevo sognato pochi istanti prima. Spalancai gli occhi quando riconobbi il ragazzo seduto comodamente sulla mia poltrona. Rise scuotendo la testa e guardando il pavimento, mentre io mi chiedevo se fosse un sogno o la realtà. <<Cos.. cosa.. tu..>> cercai di formulare una frase di senso compiuto, ma, dopo molti tentativi ci rinunciai. <<Vuoi sapere chi sono, o da dove sono entrato?>> Quella voce risuonava nella mia testa come un disco rotto. Lasciai scivolare il mio sguardo sul suo corpo. Indossava una semplice maglietta bianca con le maniche ripiegate sulle spalle, lasciando intravedere i muscoli e i tatuaggi. Portava poi, un pantalone nero a vita bassa e delle scarpe lucide anch’esse nere. Al polso portava un orologio di marca oro, mi sforzai di mettere a fuoco la vista. Eppure quell’orologio l’avevo già visto da qualche parte. <<Allora, non approfitti della mia generosità?>> disse muovendosi e venendo a sedersi sul mio letto mentre indicava il vassoio accanto alle mie gambe. Solo in quel momento mi ricordai che ero nel mio letto, nella mia camera e che era estate. Ciò voleva dire che io dormivo con addosso solo una sottoveste. Tirai più su i bordi del piumone facendoli arrivare al collo. Intanto sentivo la sua risata sommessa nelle mie orecchie. <<Puoi dirmi qualcosa? Sembro uno stupido.>> disse guardandomi con quegli occhi nocciola da far invidia a degli occhi celesti. <<Grazie. È stato molto gentile da parte sua.>> dopo aver deglutito un paio di volte la mia voce tornò normale, e ripresi il controllo dei miei movimenti mentre stavo per toccargli la mano stesa sul letto. <<Oh, che stupido. Posso darle del tu signorina Clark?>> disse lui sorridendo facendo sì che un sorriso si formasse sul mio volto a sua volta. <<Ma certo. E io posso darlo a lei?>> risposi sorridendo falsamente prima di mettermi a sedere sul letto con la schiena appoggiata al cuscino. <<Ma certo.>> Rispose prima di alzarsi e mettersi di nuovo a sedere sulla poltrona. Presi il vassoio e lo poggiai sulle gambe mentre iniziai a mangiare la brioche. Era deliziosa. Sentivo, intanto, il suo sguardo posarsi su di me mentre io finivo la mia colazione. Quando ebbi finito appoggiai il vassoio di nuovo sul letto accanto alle mie gambe prima di guardare Justin avanzare verso di me. Il mio cuore iniziò a battere talmente forte che sperai non si sentisse all’esterno. Sentii le guance andare a fuoco mentre la sua mano accarezzava la mia guancia. <<Ti sei macchiata.>> disse semplicemente prima di far scorrere un dito sul profilo del mio labbro inferiore. Un sospiro lasciò istantaneamente le mie labbra mentre lui sorrideva. Un secondo dopo lo vidi andare via dalla mia stanza con il vassoio in mano. Approfittai dell’occasione per andare a vestirmi. Misi semplicemente dei pantaloncini che indossavo se dovevo andare in spiaggia e una canottiera perché fuori faceva caldo. Lasciai i capelli sciolti prima di entrare in bagno e lavarmi i denti. Quando uscii mi ritrovai il suo corpo talmente vicino che temetti di non avere più lo spazio di respirare. <<Scusami. Non ti avevo visto>> sussurrò a corto di fiato mentre lo guardavo negli occhi. un sorriso di cortesia si formò sulle mie labbra mentre mi spostavo per avere il tempo di respirare. Feci il letto sgualcito mentre Justin si mise a sedere sulla sedia della mia scrivania facendo finta di guardare fuori dalla finestra. Quando si accorse che lo avevo beccato mentre mi guardava si passò una mano tra i capelli e si voltò ispezionando ogni centimetro della mia scrivania. Quando ebbi finito mi misi a sedere sul letto guardando il mio ultimo capolavoro fatto.
<<Posso chiederti una cosa?>> dissi senza pensare. Quella domanda mi martellava in testa da quando ci eravamo salutati l’ultima volta. Lui fece un cenno con il capo mentre si metteva comodo sulla sedia con i piedi sul mio letto. <<Chi sei?>> chiesi accigliata mentre mi contorcevo sotto il suo sguardo. Io non sapevo niente di lui, ma sembrava che lui sapesse tutto di me. Rise alla mia domanda prima di alzarsi e venirsi a sedere accanto a me sul letto. <<Vedi.. io sono solo un semplice e stupido ragazzo che si è preso un abbaglio per te.>> disse guardando il muro davanti a se. Mi sorpresi per come le sue labbra si curvavano mentre lasciava uscire parole dalla sua gola. Le mie guance si tinsero mentre pronunciava quelle parole e mi guardava. <<Come ha fatto un semplice e stupido ragazzo a entrare in casa mia?>> chiesi piegando la testa di lato e aspettando una risposta. lui rise e scosse la testa torturandosi le mani. <<Dalla finestra. Dovresti chiuderla.>> riprese a parlare dopo un mio sorriso. <<Sai, sono, oltre che ad un semplice e stupido ragazzo, anche un gran scalatore.>> sorrise mentre io risi di nuovo guardando le sue labbra curvarsi. Mi morsi il labbro mentre i suoi occhi si spostavano dalle mie labbra ai miei occhi. fui io ad interrompere gli sguardi facendo una domanda. <<E perche un semplice e stupido ragazzo scalatore è voluto venire a trovarmi nel cuore della notte?>> chiesi guardando il muro bianco davanti a me. Lui rispose quasi subito tenendo lo sguardo sulle sue mani. <<Perché sei bellissima quando dormi.>>

 

 Il pomeriggio passò tranquillamente, tra le risate, scherzi stupidi, battute squallide, musica in sottofondo e tante parole. Avete mai provato la sensazione di stare nel posto giusto al momento giusto?
Mi aveva raccontato molte cose su di lui. Mi aveva detto che era nato in Canada, ma si era trasferito in Inghilterra per questioni economiche. Mi aveva raccontato i suoi primi anni a Londra. Mi aveva detto che frequentava molte persone del quartieri più poveri, ma che si trovava bene con loro. Mi aveva detto che suo padre se n’era andato quando era piccolo e che li aveva lasciati marcire quando aveva scoperto che la moglie –e mamma di Justin, scoprii che si chiamava Pattie – aveva scoperto di aspettare un bambino.    Mi aveva detto che non era arrabbiato con lui perché erano molto giovani quando sua madre è rimasta incinta, e mi aveva detto che suo padre non era un uomo che si prendeva le sue responsabilità, voleva solo divertisti. Mi aveva detto che ora lui aveva un’altra famiglia in America e che aveva due figli. Una femmina, Jazmyn e un maschio, Jaxon. Mi aveva raccontato che nel periodo dell’adolescenza aveva fatto diverse cose sbagliate e mi aveva detto che poi si era ripreso grazie all’aiuto di quegli amici. Mi aveva detto che loro gli avevano trovato un posto come cameriere, e così mi aveva incontrata. Mi dispiaceva in parte per lui. Per tutto quello che aveva passato, ma non potevo essere più felice che in quel momento lui fosse con me, e con nessun’altro. Non riuscivo neanche a pensare ad altro che alla sua storia. Non mi importava neanche come aveva fatto ad entrare nella mia stanza e perché, quello che volevo era che tornasse ancora, o che non se ne andasse mai.    
<<Bene, mi sono stancato di parlare. Ora voglio ascoltare.>> sorrise e si sistemò meglio sul letto. Io appoggiai la testa alla spalliera mentre lui disegnava cerchi sulle mia gambe. In pratica io ero sdraiata sul letto con le gambe sulle sue mentre mi raccontava aneddoti divertenti di quando era piccolo.   
<<Okay.. mh.. cosa vuoi sapere?>> dissi sorridendo mentre lui faceva scorrere il suo indice sul polpaccio lasciato scoperto dai pantaloncini.
<<Non so.. Come fa la tua pelle a essere così morbida per esempio.>> Sorrise guardandomi con quegli occhi caramello che facevano invidia ad un cerbiatto. Spalancai la bocca sorpresa. Non mi aspettavo una domanda del genere. Dopo varie risate isteriche mi decisi a parlare.
<<beh, ecco.. perché ho un olio particolare, e.. si, insomma -deglutii cercando di sembrare umana.- ecco, fa il suo lavoro.-mi ripresi subito dopo- Cioè. Volevo dire, che fa diventare la pelle morbida.>> Sorrisi falsamente annuendo con il capo, tirandomi sberle immaginarie. Che stupida.
<<Oh.. sai mi dovresti dare quella marca. Perché a me non riesce avere una pelle così liscia.>> disse facendo scorrere la mano sulle mie gambe e sorridendo mentre guardava la mia espressione. Annuii confusa prima di rivolgergli un altro sorriso. Mi sedetti meglio sul letto prima di tirare giù la maglia che si era alzata. <<Ho fame. Vado a prepararmi qualcosa, vuoi venire?>> chiesi mentre mi alzavo dal letto e mi mettevo i calzini per non camminare a piedi nudi sul pavimento ghiacciato della cucina.  <<Si. Ho un certo appetito.>> disse colpendosi la pancia con la mano destra prima di sorridere, e far, ovviamente, sorridere me.
<<Bene, allora. Avevo pensato a dei popcorn e un bel film. Volevo farmi delle crêpes, ma  visto che non voglio bruciare la cucina e che in casa non c’è nessuno che ne puo’ preparare un po’, e considerato anche il mio ‘talento’ nel cucinare.. Optiamo per dei semplici popcorn. È ok?>> chiesi tutto d’un fiato mentre scendevo le scale maestose della villa per arrivare alla cucina, mimando le virgolette alla parola talento. Anche perché non ci sapevo proprio fare ai fornelli. Non ero una tipa da cucina. Ero più una tipa da romanzi e estati sotto gli alberi. L’unica cosa che mi veniva bene in cucina erano i Brownies. Deliziosi, piccoli e stupefacenti biscotti al cioccolato.
<<Certo. Solo. Fammi un piacere. Niente film romantici.>> disse congiungendo le mani in segno di preghiera. Risi prendendo i popcorn pre-confezionati dallo scaffale della cucina alzandomi sulle punte dei piedi per arrivarci. Ovviamente la mia statura non me lo permetteva. Cercai di mettere i piedi sui cassetti ma scivolavo e avevo paura di cadere. Justin si mosse dietro di me prendendomi per la vita e allontanandomi dallo scaffale prima che cadessi a terra come una pera cotta. Si allungò e prese senza tanti problemi la scatola che cercavo. <<Certo che sei bassina.>> disse porgendomi la scatola. Io gli feci la linguaccia prima di mettere la busta nel microonde. <<Sei tu che sei uno spilungone.>> dissi facendo l’offesa e incrociando le braccia sotto il seno facendo sporgere il labbro inferiore. <<No! Scherzavo. Dai Bella scherzavo! Scherzavo!>> disse venendo verso di me con le braccia spalancate come per abbracciarmi. Io scappai dalla sua presa e feci il giro del tavolo per sfuggirgli. <>> risi alla sua affermazione prima di rispondere con convinzione.
<<Vediamo se mi riesci a prendere.>> dissi correndo via dalla cucina e salendo velocemente le scale prima di rifugiarmi in bagno e chiudere la porta. Justin era dietro di me e quando mi chiusi dentro la stanza iniziò a tirare colpi ad essa dicendo che dovevo uscire da lì.  Il rumore dei colpi dopo un po’ cessò e, pensando si fosse arreso, aprii la porta del bagno ma prima che potessi fare un altro passo mi ritrovai stesa per terra con Justin sopra di me che rideva.
<<Ti ho presa però.>> disse con il fiatone per la corsa mentre rideva. Lo guardai negli occhi prima di far scorrere le mie dite sulla sua faccia. Era così perfetto che pensavo fosse stato creato da Michelangelo. Tracciai il profilo della mandibola e arrivai sotto il mento tracciando con i polpastrelli la vena che spuntava sul collo. Sospirò quando mossi le dita sulla clavicola pronunciata e lo guardai negli occhi quando un suo dito si mise sotto il mio mento per alzarlo. Sentivo il suo respiro che si confondeva con il mio e il suo sapore inconfondibile di colonia e vaniglia mi confuse i sensi per un periodo che nemmeno ricordo. Solo quando sentii il microonde suonare mi resi conto che eravamo sdraiati uno sopra l’altro sulla moquette del corridoio e che Justin mi stava baciando un angolo delle labbra. Aprii gli occhi e spostai la mia mano sul suo petto per allontanarlo e questo sembrò funzionare perché si mise in piedi e mi aiutò ad alzarmi. Mi sorrise mentre ci avvicinavamo alla cucina e io ricambiai arrossendo pensando a quello che era successo.
Era come se il suo profumo mi avesse stregata per un eternità intera e i suoi occhi catturata e messa in una gabbia da cui non potevo scappare. Ma non era una cosa brutta. Era la cosa più bella che potesse capitarmi. Per tutta la vita ho sognato di trovare il mio principe azzurro e ora.. eccolo lì, che mi aiutava a fare dei pop-corn. Come poteva essere tutto così reale?      



• Spazio Autrice
Salve ragazzi.. Allora? che ve ne pare? Awwwawaww però sono dolci non è vero? A me piace troppo questo capitolo, mi sembra l'inizio di tutto.
Comunque spero che il capitolo vi piaccia e.. mi dispiace tantissimo per il ritardo madornale, ma in questo mese devo davvero dare il massimo a scuola, quindi non ce la farò a riaggiornare molto presto.. mh.. Spero, come ho già detto, che il capitolo vi piaccia e buone vacanze a tutti! 
Ci vediamo quando ci vediamo c:   
 

 

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Capitolo 7
*** He makes me happy ***


‘He makes me happy’
 
Se n’era andato. Se n’era andato dicendomi che aveva delle commissioni da fare. Mi aveva detto che aveva passato una splendida giornata con me, e poi, se n’era andato. Com’era possibile che tutto il mondo ti cadesse addosso solo perché lui non è più con te? Ormai ero partita. Il mio treno dei pensieri era arrivato, e io, senza neanche pensarci due volte, l’avevo preso. Era un viaggio molto lungo, che partiva da quella stupida festa in maschera e arrivava fino a ‘bacio’ d’addio. Perché in un certo senso non ci saremmo più visti, e quella era l’unica opzione che mi rimaneva per fantasticare. Il bacio non è stato certo all’altezza di quello che mi aspettavo. Un semplice bacio sulla guancia, ma cosa mi aspettavo?
Ero seduta sulla veranda del mio terrazzo a guardare come il sole tramontava dietro i grattacieli e le case di Londra da più di un’ora. Da quando se n’era andato per inciso. E non avevo smesso di fantasticare sulle sue mani, e sulla sua pelle. Sui suoi capelli che si tirava indietro ogni volta che gli ricadevano sulla faccia. Non smettevo di pensare alla sua risata contagiosa, e al modo in cui si teneva la pancia per le risate. Non smettevo di immaginare le sue grandi mani attorno ai miei fianchi oppure la sua bocca premuta dolcemente sulle mie labbra. Anche se tutto questo non era accaduto. Io immaginavo, immaginavo perché tutte queste cose non le potevo fare. Immaginavo perché anche se volevo che diventassero realtà non era possibile. Perché niente va secondo i piani. E niente di niente va secondo i miei, di piani. Ogni volta che pensavo di essere felice la vita mi riservava la più brutta sorpresa che ci si potesse aspettare. Eppure io speravo. Anche se mi davano della rimbambita e della bambina io speravo, perché sperare è tutto, e senza di quello io non potrei sopravvivere.
Il sole era ormai tramontato da un pezzo, ma non mi stancavo di guardare fuori dalla finestra per vedere dei piccoli e stupendi puntini luccicanti sul cielo blu scuro. E mentre io guardavo con occhi sognanti le stelle, tutto attorno a me cambiava, come se ad un tratto mi fossi ritrovata in un altro luogo. Magia? Non penso. Un forte odore di arrosto mi pervase le narici facendomi arricciare il naso. Mi alzai dalla sedia che poche ore prima avevo messo sulla veranda ed entrai in camera. Eppure c’era qualcosa di strano. Non era più la mia camera. Era una camera cupa e buia. Mi girai dalla parte della veranda trovandoci solo e soltanto una portafinestra. Non era la mia camera. Cosa stava succedendo?
Una figura dietro di me si mosse nell’ombra della stanza mentre io l’ammiravo. Era una stanza piccola, con un letto matrimoniale coperto da un lenzuolo di seta bianco, i cuscini erano coperti con lo stesso materiale, mentre la testata spiccava per lo splendido color legno mogano. Le pareti attorno a me erano dipinte di un blu scuro facendo così incupire la stanza. Infondo a questa, sulla parte destra del muro c’era una piccola scrivania con dei fogli accartocciati e un computer spento, a cui però lampeggiava una lucina. Nella parte sinistra della stanza invece c’era un armadio a due ante, non molto grande, che riprendeva il colore della testata del letto. Accanto a questo la porta di legno di quercia spiccava come non mai. Mi girai sentendo il freddo penetrarmi nella pelle. Qualcuno aveva aperto la portafinestra e non faceva caldo per essere Maggio. Mi voltai di scatto e chiusi con un tonfo sordo la finestra. Poi mi girai di nuovo ammirando per la milionesima volta la stanza in cui mi trovavo. Sul soffitto c’era un semplice lampadario nero mentre accanto al letto erano sbucati due comodini in color legno mogano su cui c’erano una sveglia che segnava le 19:30 e due lampade bianche. Era una stanza molto sobria e mi chiesi di chi potesse essere. Avanzai verso la scrivania guardando i fogli accartocciati su di essa. Li aprii e poi ne lessi il contenuto. O almeno cercai di leggerlo. Non c’era scritto niente. Come se il foglio fosse stato scritto con una penna invisibile. Una risata dietro di me mi fece momentaneamente ghiacciare, ma poi mi ricordai quella voce, e soprattutto quelle risate. Justin. Il mio cuore batteva così forte che pensai che qualcuno lo stesse sollecitando, per farlo battere più velocemente. Sembrava una gazzella, ma che dico.. un aquila in picchiata. Neanche. Un ghepardo che attacca la preda. Ecco..  si. Tutte le cose messe insieme.
Colpi alla porta. Ecco cos’erano. Mi guardai attorno con una mano sul cuore cercando, invano, di farlo rallentare. La stanza era come me la ricordavo, era la mia stanza. Per fortuna non era cambiato nulla. Era solo un sogno. Un sogno un po’ strano. I colpi provenivano dalla porta della mia camera ed erano irregolari e molto forti, come se qualcuno volesse sfondare la porta. Mi alzai di scatto, e un colpo alla testa mi fece istantaneamente rimettere a sedere. Troppo repentina. Mi alzai con cautela questa volta mantenendo le mani attaccate alla spalliera della sedia sulla veranda. Mi ero addormentata e avevo fatto un sogno così? Ma che cosa mi passava per il cervello? Andai ad aprire la porta, che, scoprii, era chiusa. Girai la maniglia e, quando neanche avevo aperto la porta, una Katrin arrabbiata la spalancò e si mise a sedere sul letto. Diciamo che ci si lanciò praticamente. Io caddi a terra e appoggiai la testa contro l’armadio dietro di me, aspettando che Katrin si calmasse per parlarle.
<<Ma cosa diavolo di è venuto in mente Bells? -riprese fiato con una mano sul cuore- sei stata qui dentro per tre ore. Tre. E io non sapevo che cosa fare. Volevo chiamare i pompieri e un’ambulanza per tirarti fuori di qui.>> mi guardò impaurita prima di avvicinarsi a me e farmi alzare tenendomi per le spalle, mi trascinò dolcemente verso il letto su cui mi sedetti cercando, anche io, di regolarizzare il battito cardiaco.
<<Vuoi dire che.. che sono rimasta rinchiusa in questa camera per tre ore? Che ore sono adesso?>> chiesi guardandola atterrita. Non mi ero accorta di nulla.  Eppure sembrava passato così poco tempo da quando lui se n’era andato rifilandomi la scusa più vecchia del mondo. Forse aveva capito che sono pazza e se n’era andato. Beh, lo farei anche io se fossi in lui e mi incontrerei per strada. <<Le 19:30>> Sibilò Katrin guardando la sveglia sul mio comodino. Sbiancai. Era la stessa ora che avevo visto nel sogno. Ma forse era solo una coincidenza.
<<Cioè io sono rimasta chiusa qui dentro da quando lui è andato via?>> non pensavo di aver detto queste parole tanto forte, ma forse Katrin aveva un udito sopraffino, o semplicemente l’aveva sentito perché era accanto a me. Fatto sta che lei sapeva quello che non doveva sapere. E io che pensavo di tenerglielo nascosto fino a che non ci saremo sposati. O fino a che lui non se ne andava via, molto più facile come ipotesi. <<Qualcuno è venuto qui?>> chiese guardandomi allarmata. Era sul punto di scoppiare, ma non volevo che lo facesse.  E ora cos’avrei dovuto fare?
<<Cosa? No! Ma chi lo ha detto?>> sbuffai sospirando, cercando di trattenere una risata. Sperai con tutto il cuore che Katrin se la bevesse, ma quello, ovviamente, non era il mio giorno fortunato. <<Eh no, no signorina, non te la caverai così facilmente!- sorrise venendo a sedersi accanto a me sul letto mentre io mi sistemavo i capelli su una spalla e incrociavo le spalle.- su, su chi era? James?>> disse lei curiosa accavallando le gambe e regalandomi la miglior occhiata maliziosa che potesse uscire. <<Ehm.. no. –per fortuna, aggiunsi mentalmente.- Era quel ragazzo di cui ti ho raccontato l’altra volta..>> dissi entusiasta guardando il soffitto e immaginando una vita totalmente diversa. Dove io non ero io e lui, beh, lui era sempre lui, perché lui era perfetto così com’era.
<<Sei convinta di quello che stai facendo Bells?>> mi chiese Katrin prendendomi le mani e guardandomi negli occhi. Era una bellissima domanda, difficile e allo stesso tempo facile. Cosa potevo risponderle? La risposta migliore era farle un sorriso, e così feci, nascondendo la faccia dietro i capelli.
<<Ma non è quello di cui il tuo paese ha bisogno..>> disse Katrin alzandosi dalla sedia e andando verso il mio armadio, poi si girò guardandomi mentre io socchiudevo gli occhi. <<Lui mi fa felice..- commentai sorridendo ripensando al quel pomeriggio- e questo mi basta Katrin.>> spiegai alzando le braccia. Lei sorrise prima di entrare a passo di danza nella mia cabina armadio. Io la seguii spiegandole come la pensavo.
<<Katrin.. tutti i ragazzi mi cercano per mio padre, oppure perché ho i soldi, o perché sono la figlia del presidente d’Inghilterra. – presi un respiro cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di scendere- Lui ha qualcosa di diverso, lui non vuole me per i soldi –mi indicai con le mani e con le lacrime che ,ormai, scorrevano inesorabili sulle mie guancie- Lui non mi vuole perché mio padre è importante, io..>> presi un respiro e mi misi a sedere a terra accanto all’armadio mentre Katrin mi abbracciava e si sedeva vicino a me, ascoltandomi in silenzio, perché in quel momento avevo solo bisogno di essere ascoltata.
<<Io.. non so perché mi vuole, ma.. continua a cercarmi e non sai quanto siamo stati bene oggi pomeriggio insieme. Mi sono sentita libera da ogni responsabilità. Per una sola volta nella mia vita non mi sentivo Isabella Beth Clark la figlia del presidente, ma Bella, una ragazza normale.>> dissi asciugando una lacrima che scorreva nell’incavo del mio occhio. Mi sentii meglio quando Katrin mi abbracciò stretta quasi pensasse me ne sarei andare.
<<Non sto dicendo che stai facendo male a innamorarti di..>> non la lasciai neanche finire di parlare perché la tappai la bocca con il palmo della mano. Ripresi a parlare prima di essermi asciugata con entrambe la mani gli occhi e aver sbuffato pesantemente.
<<Io, non sto dicendo che mi sto innamorando. Non lo conosco nemmeno, l’ho visto solo due volte. Ma.. mi rende felice, sto dicendo che è l’unica persona che ha provato a capirmi in questi anni, e non per la mia reputazione, per me stessa.>> dissi sbattendo –anche troppo forte- la testa contro l’armadio e cercando di trattenere le lacrime. Il problema non era lui, il problema ero io, sempre così timida e allo stesso tempo strafottente, sempre così forte e così debole. Così felice e così triste. Sempre con gli sbalzi di umore dietro l’angolo. Lui era l’unico che aveva avuto il coraggio e la forza di volontà per scoprire tutto di me e della mia vita. Ma non perché mio padre era il presidente d’Inghilterra. Lo aveva fatto perché.. perché -forse- ci teneva a me. In quegli anni ho ricevuto così tanti schiaffi da persone che nemmeno conoscevo che ringhiavo anche alle carezze. Non mi volevo affezionare ad una persona dopo solo due “incontri”, ma era l’unico che continuava a tornare, nonostante sapesse quello che poteva capitare e quello che poteva succedere se lo scoprivano. Lo faceva per me? Lo faceva perché gli interessavo o perché mio padre è quello che è? Questo non lo potevo sapere, sapevo solo che mi piaceva la sua compagnia e che quando lui non era con me mi sentivo così stanca e così morta dentro, che forse negli anni precedenti non avevo neanche vissuto. <<Lo so, ma lui.. –ci pensò un attimo e poi riprese a parlare più spedita di prima- ah, al diavolo gli insegnamenti, dimmi com’è, voglio sapere tutto. Tutto di tutto. Dimmi come ti tratta, dimmi come ti fa ridere e dimmi che cosa è successo oggi pomeriggio. Lo voglio sapere, al diavolo la tua situazione in questo momento, dimmi tutto quello che ti ha fatto sentire, dimmi come ti senti senza di lui, dimmi cosa ti fa provare, dimmi se lo incontrerai di nuovo.-prese un bel respiro mentre gesticolava con gli occhi colmi di lacrime ma con il sorriso sulla faccia- Diavolo Bells, sai che ti dico? Che si vive una volta sola, devi provare tutto quello che la vita ti può offrire, e se in questo momento il fato ha deciso di farti incontrare una persona che ti vuole per quello che sei non sarò certo io che ti impedirò di vivere la tua vita.>> Chiuse finalmente le labbra e prese un sospiro fiera di se stessa mentre si metteva in piedi facendo la finta statua di un’ eroina.  Scoppiai a ridere mentre lei mi tirava le mani per farmi alzare da sedere. Io la tiravo giù dalla mia parte e le tirava dal senso opposto, così decisi di lasciare la presa, in tutti i modi si sarebbe messa a sedere. Non era possibile che un minuto prima piangevo e un minuto dopo ridevo perché Katrin era caduta pesantemente con il sedere sul parquet. Non era una persona qualunque, lei non era la mia truccatrice e neanche la mia babysitter, lei era mia madre, lei era la mia migliore amica e anche mio padre, lei era tutto in uno. Era la perfezione fatta in persona. Katrin poteva essere anche un po’ ripetitiva e assillante quando voleva, anche un po’ cattiva e perversa certe volte, ma se dovevo parlare con qualcuno andavo sempre da lei, perché mi diceva sempre le cose come stavano, non mi mentiva, e lei c’era quando ne avevo bisogno, non ha mai smesso di ridere con me e non ha mai smesso di tenermi stretta quando piangevo. Non ha mai smesso di essere una sorella, perché la notte quando avevo paura del buoi da piccola, lei era lì accanto a me, a cullarmi dolcemente dicendo che nel buio non c’era nulla di malefico. Non ha mai smesso di essere una madre perché quando dovevo uscire con un ragazzo mi consigliava i vestiti, andavamo dal parrucchiere insieme, facevamo tutto insieme. C’è stata nei momenti migliori, dove ero la persona più felice della terra e la persona più serena sulla faccia della galassia. Ma c’è stata anche quando la mia parte oscura usciva allo scoperto da me stessa e quando questa vinceva sul buonsenso. C’è stata quando sono scappata dalla finestra perché non volevo più una vita così. E mi ha abbracciato, mi ha tenuta stretta, quando tutti dicevano che non valevo niente. Mi ha accolto come una figlia, e mi ha trattato come tale, e non smetterò mai di sdebitarmi con lei. La cosa divertente è che non so neanche perché faccia queste cose, i miei genitori la trattano male e  non la apprezzano per quella che è veramente, e io non so davvero come lei possa sopportare tutto questo.
Corsi –letteralmente- verso di lei e l’abbracciai piangendo sulla sua maglia cercando –invano- di non bagnarla. <<Ti voglio bene Katrin, Grazie di esserci sempre stata per me, grazie di avermi fatto diventare la ragazza che sono adesso, grazie di avermi accompagnato da qualunque parte, grazie per essere stata accanto a me quando nessun’altro c’era.>> l’abbracciai più forte, piangendo più forte, volevo dimostrarle che ci tenevo tantissimo a lei, volevo dirle che era tutto quello di cui avevo bisogno in quel momento. Volevo dirle che lei mi capiva e mi apprezzava per quella che ero realmente e volevo dirle che la mia vita dipendeva dalle sue mani, volevo dirle che lei era l’unica che prendevo come esempio per scegliere qualcosa. Volevo dirle che era l’unica persona che m’interessava in quella casa, volevo dirle che mi dispiaceva per tutte le volte che non sono stata a sentirla, volevo dirle che era la sorella più premurosa che avessi mai potuto desiderare. Volevo dirle che era la mamma migliore che ci poteva essere in quel mondo. Volevo dirle che era la mia migliore amica, un’amica vera, di quelle che non se ne vanno per niente al mondo, anche se hai fatto uno sbaglio irrimediabile. Volevo dirle che era la persona migliore di questo pianeta e che è stata sempre la mia ancora di salvezza. Volevo ringraziarla per tutto quello che aveva fatto negli anni, senza mai giudicarmi, né disprezzarmi, volevo ringraziarla per aver creduto in me quando nessun altro lo aveva mai fatto. Volevo ringraziarla per tutto quegli anni insopportabili in cui lei è stata al mio fianco senza neanche battere ciglio sull’idea di lasciarmi andare. Volevo ringraziarla per tutto quello che mi aveva fatto diventare e per tutti gli insegnamenti che mi aveva dato in quegli anni. E infine volevo ringraziarla per essere rimasta sempre al mio fianco anche se gli altri dicevano che era una pessima idea. Volevo dirle tutte queste cose, ma quell’abbraccio le esprimeva decisamente meglio di queste parole. Niente equivaleva a quell’abbraccio. Niente poteva eguagliarlo, soprattutto delle stupide parole. Così ho lasciato che quell’abbraccio facesse il suo lavoro e esprimesse al posto mio tutto quello che volevo dire.
 


•Spazio Autrice 
scusate, scusate, scusate, scusatee! Mi scuso tantissimo. non so quanto cavolo sono stata senza aggiornare mi dispiace tantissimo scusate. Mi dispiace. Mi perdonate con questo capitolo? Devo dire che qui non si parla tanto di Justin e Isabella ma di come lei si comporta e di come si sente. E poi c'è una scena alla fine che mi piace tanto tanto. Spero che vi piaccia perché ci ho messo tutto il mio impegno. Vi amo tutte. spero che vi piaccia e mi scuso ancora scusate tantissimo. c: Baci 
Ci vediamo quando ci vediamo. 

 

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Capitolo 8
*** The mysterious waiter ***


 ‘The mysterious waiter’
 
<<Questo no >> buttai un altro vestito sul letto mentre Katrin rideva sommessamente stesa a pancia sotto sul mio letto e mentre giocherellava con il cuscino di piume d’oca. <<Faresti prima a dire quelli che ti piacciono Bells, così non andiamo da nessuna parte.>> sorrise Katrin mentre incrociava le gambe e si metteva il cuscino in grembo. <<Lo so.. ma, non so cosa mettermi, è la prima volta che Chris mi fa scegliere come vestirmi.. vorrei mettere dei jeans e una blusa.. >> tirai fuori dall’armadio dei jeans abbastanza stretti e una camicia bianca da mettere dentro, poi mi sbizzarrii tirando fuori un cardigan nero e delle scarpe con il tacco anch’esse nere.  Non volevo essere perfetta, volevo semplicemente essere me stessa. Dovevo essere una visione molto divertente perché Katrin si mise a ridere guardando gli abiti stesi sul letto mentre io trafficavo per trovare le calze chiare. <<Sai che tuo padre non te lo farà mai mettere vero?>> chiese guardando, di nuovo, i vestiti messi sul letto e sorridendo. Io mi spensi all’improvviso, e allora perché mi aveva dato la possibilità di scegliere? Il mio sorriso svanì quando capii il suo intento. Mi aveva dato dei compiti per tenermi impegnata e poi mi avrebbe detto che non andava bene –come sempre del resto- e mi avrebbe mandato a cambiarmi. Mi stava ingannando, mio padre. Mi stava usando per i suoi luridi scopi.<<Perché diavolo non me lo hai detto Katrin?- urlai prima di accasciarmi al suolo. Ero esausta- Sono stanca! Stanca di voi che mi comandate a bacchetta, non sono il vostro burattino!- urlai di nuovo sdraiandomi per terra e guardando il soffitto con occhi spenti. Se mio padre si aspettava la perfetta ragazza di classe non l’avrebbe avuta, non quella sera- Per la miseria Katrin ho una vita anche io!>> mi dimenai sbattendo i piedi a terra e calciando ogni cosa che trovavo a portata di mano-o di piede- urlando e imprecando verso il cielo. Katrin sapeva che cosa fare in questi momenti. Doveva lasciarmi sfogare e ascoltarmi quando mi ero calmata e per quello lei, era davvero la migliore. <<Cavolo non mi potete trattare sempre come una ragazzina. Ho diciotto anni. Diciotto. E per la legge io posso fare quello che voglio, soprattutto vestirmi come mi pare e piace.- ripresi fiato alzandomi da terra e correndo verso l’armadio- dovrei bruciare tutti i vestiti che mi fanno pena che ho in quest’armadio, perché sono i miei vestiti e questo è il mio armadio.>> cominciai a buttare a terra tutti i vestiti rosa e pomposi che avevo nell’armadio. Rosa? Via. Da principessa? Via. Volevo solamente essere me stessa. Dopo pochi minuti nell’armadio c’erano solo jeans, qualche vestito e delle maglie, camicie e cardigan. Indicai l’armadio con l’indice mentre asciugavo le lacrime di rabbia scese mentre buttavo – e calpestavo- gli abiti. <<E sai una cosa? Non voglio neanche quella roba. - dissi indicando la scrivania- voglio buttare via anche quella.>> mi trascinai con tutte le mie forze verso la scrivania e con un braccio feci cadere a terra tutti gli oggetti presenti. Lì sopra dovevano esserci solo e soltanto delle matite e dei fogli da disegno. <<Io non voglio niente di tutto questo. Io voglio una vita normale Katrin. Voglio poter decidere da sola cosa mettermi o come truccarmi o cosa fare nella vita.>> mi accasciai a terra con la testa tra le mani. Piangendo silenziosamente.
 

Stupidissima festa, stupidissima festa stupidissima festa, stupidissima festa, stupidissima fe-‘ qualcuno, non so chi, osò interrompere il flusso dei miei pensieri che erano già alterati da quando ero andata a parlare con mio padre. Mi aveva detto che in quell’occasione dovevo essere perfetta, senza un capello fuori posto. Così avevo deciso di rendergli la vita difficile, facendo di tutto per non andare a fare la doccia, non mettermi il vestito, non farmi truccare. E in un certo senso c’ero riuscita -facendo arrabbiare Katrin – ma nell’altro non avevo ricavato un bel niente perché ‘papino’ aveva dichiarato che Katrin non sarebbe venuta con me quella sera e che doveva restare a casa. Guardai Chase –amico di mia madre non lo incontrai mai in tutta la mia vita e in quel momento spuntò fuori come un fungo- un ragazzo alto, bello, capelli castani, quasi neri,  degli occhi che facevano invidia. Celesti. Degli occhi celesti che facevano invidia al mare e al cielo. Le labbra fini contornavano la figura rendendola più mascolina e un accenno di barba lo rendeva ancora più ‘maturo’ –anche perché maturo non era-. Lo avevo incontrato davanti alla mia dimora appoggiato elegantemente alla sua limousine nera mentre si aggiustava i polsini della camicia bianca nascosta dalla giacca in pelle nera. Scelta azzardata. A mio padre non piaceva molto Chase. Ma doveva sopportarlo perché quel giorno io ero la sua dama –ma neanche morta-. Appena arrivata alla macchina -non so con quale forza le mie gambe si misero a camminare- mi ha stretto la mano e mi ha rivolto un sorriso caloroso. A primo impatto era un bel ragazzo, molto intelligente, fino a quando non mi ha rovesciato un drink sulla treccia.. da lì in poi è stato il mio peggior nemico. Sembrava ubriaco continuava a bere una sostanza verde e a sorridere e ridere come un ragazzino di dieci anni. Cercavo di stargli lontana, visto che aveva versato il suo drink sulla mia preziosissima treccia –che nessuno si azzardava a toccare- ma lui continuava a ridere vicino alla mia faccia. Sembrava veramente sbronzo. <<Cosa vuoi adesso?>> chiesi nervosa distraendomi soltanto per un istante dal contare le gocce di pioggia sul finestrino oscurato.
<<Ti volevo dire che sei davvero carina con questo vestito. –sorrise guardandomi dall’alto al basso mentre io giravo lentamente la testa verso di lui fulminandolo con lo sguardo- lo hai scelto tu?>> mi stava prendendo in giro? Non potevo neanche scegliere cosa mangiare a colazione. Il vestito era il più brutto che avessi mai indossato. Era di un materiale rustico che non rispettava né la mia pelle, né i miei lineamenti. Mi avevano fatto indossare una panciera, e poi mi avevano ricoperta con questo pomposo e vaporoso vestito rosa acceso. Sembravo un cartello stradale, ci mancava soltanto la freccia che diceva di svoltare ed era perfetto. <<No, lo ha scelto mio padre. Io volevo venire in pantaloni, ma a lui non piacevano..>> mi sfogai un po’ alzando il tono di voce mentre lui sorrideva e annuiva. Mi stava prendendo in giro di nuovo. Lasciai perdere. Parlare con lui era come parlare ad un muro. Ricominciai a contare le goccioline sul finestrino. 1 <<Manca poco tempo. >> disse l’autista rivolto a Chase. 2 <<Come ha fatto tuo padre ad affidarti a me?>> chiese Chase avvicinandosi al mio sedile mentre contava anche lui le gocce. 3 <<A lui non interessa chi è il mio accompagnatore, basta che io sia al ballo. Per fare la brava figliola. Ma non stanotte. Non oggi. >> continuai. 4 e 5.
<<Oh, oh vuoi fare la bambina cattiva?>> sorrisi con Chase mentre rideva a crepapelle. Dovetti constatare che però a fare conversazione era molto bravo. <<Mi sono stancata di stare sempre alle regole- 6 e 7- non mi apprezzano mai, non sono mai abbastanza scaltra, mai abbastanza intelligente, mai abbastanza bella per loro.>>  8 e 9. sperai che la casa che dovevamo raggiungere schiantasse in aria con tutte le persone dentro. Non mi importava, volevo solo vivere la mia vita come una ragazza normale. <<Sai cosa? Anche io mi sono stancato -10 e 11- vogliamo rovinare la serata al principino?>> Chase mi istigò con la sua richiesta, io sorrisi pensandoci. 12 e 13, 14 e 15. <<Si. Ci sto.>> tesi la mano per stringere un patto, mi girai dando le spalle al finestrino e gli strinsi la mano sorridendo. Lui ricambiò il sorriso mentre io mi giravo ancora sul sedile e ritornavo alle mie gocce. <<Ecco.. ora ho perso il conto..>> sbottai arrabbiata incrociando le braccia al petto e sporgendo il labbro inferiore. Cercai di ricominciare a contare le gocce, ma una mano mi strattonò fuori dall’auto e mi catapultò in un mondo ben diverso. Io e Chase ci guardammo mentre prendeva il mio braccio e lo metteva sul suo. Ci scambiammo occhiate complici e poi entrammo.
La sala era immensa. Per la mia felicità c’erano balconi infiniti  di alcolici di tutti i tipi, e bar-man che facevano volare le bottiglie in aria per poi riprenderle al volo. Mi mossi a ritmo della musica che stava rimbombando in ogni parte del mio corpo, ci mancava poco che le pareti della casa cadessero. Riuscivo a vedere chiunque dalla mia postazione sulle gradinate –aspetta, gradinate?-. Guardai in basso trovando altre scale, come se non ce ne fossero abbastanza. Erano una serie infinita di scalini coperti da un soffice tappeto rosso. Sgranai gli occhi e finsi un sorriso tenendo i denti stretti mentre la mia bocca si avvicinava all’orecchio di Chase. <<Chase ti prego -lo pregai con voce strozzata per la paura- non lasciarmi cadere ok?>> dissi sussurrando mentre lui rideva di gusto. Avevo una dannatissima paura di cadere dai tacchi alti che mio padre mi aveva fatto mettere. Strinsi la presa sul fianco di Chase quando scese il primo scalino. <<Senti.. lasciati andare ok? Sta tranquilla, ti riprendo se cadi.>> mi disse guardandomi negli occhi. Per un attimo quegli occhi blu mi confusero, ma poi ripresi lentamente conoscenza. Le parole di Chase mi avevano dato il coraggio necessario per affrontare quella discesa interminabile. Quando arrivai alla fine delle scale volevo urlare e saltare dalla gioia per non essere caduta, volevo chiedere a tutti di farmi un applauso perché ero stata incredibile, ma mi limitai a sorridere agli invitati.
<<Ehi, Bells. Tutto bene?>> mi chiese Chase con un sorriso strafottente sulla faccia. Asino. <<certo, e se permetti, ora mi vado a farmi fare qualche drink, per sopportare questo strazio di festa.>> sorrisi prima di salutarlo con la mano e correre verso il balcone degli alcolici. Incontrai molti ostacoli nel mio tragitto, ma li scansai –non so con quale forza- tutti quanti. Non prestavo nemmeno attenzione alle persone che mi salutavano, il mio obbiettivo era l’alcool.
<<Vodka per favore.>> Sorrisi al cameriere prima di sedermi sullo sgabello rosso, e ammirare tutte le bottiglie poste dietro al balcone. Mi persi nei miei più remoti pensieri cercando di capire che cosa poteva esserci in quelle bottiglie che non mi accorsi nemmeno che qualcuno si era seduto accanto a me. Solo quando mi voltai scorsi dei capelli biondi platino che potevano essere di un’unica persona. James.
<<Signorina Clark, ma è incantevole con questo vestito.>> sbruffone, pensai non appena lui mi prese la mano e la baciò. Come avrei fatto tutta la serata senza il sostegno morale di Katrin? Per fortuna il mio migliore amico venne appoggiato giusto in tempo sul balcone e io lo scolai in un solo secondo. <<Un altro per favore.>> il cameriere rise e si mise a fare un altro bicchiere di quella sostanza biancastra e tanto deliziosa. James intanto teneva la mia mano e mi guardava –mi faceva i raggi x e anche y-. Ma cos’aveva tanto da guardare il principino, tanto io e Chase quella sera lo avremmo fatto fuori –non letteralmente-. <<Non dovresti bere. Sai, fa male al fegato>> quella frase mi fece andare indietro nel tempo e un déjà-vu si impossessò della mia mente, così fui costretta a ripercorrere quella sera. Quella magnifica sera in cui Justin mi disse le stesse identiche parole, ma ovviamente pronunciate da lui erano tutto un’altra cosa. Mi ricordai il suo sorriso e la sua risata, e il suo tentativo di farmi paura con il ‘non sono il tipo per te ’ . Mi ricordai che gli dissi che non importava se era o non era quello giusto. Mi ricordai infine la colazione che mi aveva preparato e la giornata bellissima che avevamo passato insieme. Darei l’intera vita per passare anche solo un altro giorno con lui. Perché un giorno con lui è migliore di mille giorni con un altro.
<<Bells?Tutto bene?>> chiese James mettendo la sua lurida mano sulla mia gamba, che spostai subito dopo il suo tocco. <<Non chiamarmi Bells, solo gli amici possono farlo.>> spiegai riprendendo a bere il mio alcool. Intanto analizzavo il cameriere non sapendo né cosa fare, né cosa ascoltare, e sicuramente James non lo ascoltavo/guardavo. Era un uomo sulla trentina, capelli neri e barba abbastanza folta, ma non troppo. Gli occhi erano di un bellissimo nocciola e le labbra fini incorniciavano la figura rendendola più dolce. Le mani erano affusolate e le braccia per niente muscolose. I capelli erano corti, corti quasi rasati a zero, infatti si poteva intravedere la nuca da essi. Era un bel ragazzo, anche se ragazzo non era. Ma poi ripensai all’essere spregevole che era seduto accanto a me. James in realtà, non era brutto, anzi, se tutti i ragazzi fossero stati brutti come lui allora io sarei già sposata, e con un figlio. Il problema era la sua personalità, mi sembrava possessivo e oppressivo, e io non volevo questo. Non ero neanche sua, perché doveva essere così geloso? E poi cosa voleva da me? C’erano altre bellissime ragazze in quella sala perché lui era venuto proprio da me? <<Vabbene.. mi scusi. Mi concede l’onore di un ballo?>> si misi in ginocchio e mi offrì la mano. Neanche per fare una proposta di matrimonio. Presuntuoso, pensai distogliendo lo sguardo e osservando l’intonaco delle pareti che si staccava, quella casa non era molto curata. Lui si mise subito in piedi vedendo la mia reazione e mi chiese più gentilmente di ballare. Io guardai in tutte le direzioni per capire se i miei genitori mi stessero osservando o se potevo sputargli in faccia senza nessun danno permanente. Ma sfortunatamente i miei mi stavano osservando molto attentamente e mi incitavano per un ballo. Sbuffai pesantemente, facendo in modo che anche James sentisse che non era per il mio volere che facevo quella cosa, ma per mio padre e per mia madre. James sorrise ugualmente quando porsi la mia mano sulla sua lasciandomi trascinare nel centro della pista. Sbruffone, pensai quando sorrise a destra e a manca facendo vedere a chiunque con chi stava ballando. Stavo per andarmene quando lui strinse più forte la mano sul mio fianco. <<Tu non andrai da nessuna parte principessina>> sussurrò al mio orecchio e un brivido di paura mi percorse la schiena. Gli tirai una botta sulla spalla, ma lui aumentò sempre di più la presa e io iniziai a sentire il bruciore della pelle. Iniziammo a ondeggiare lentamente mentre lui teneva stretta la sua mano sul mio fianco e io cercavo di levarla in tutti i modi possibili. Cercai un viso amico tra la folla, ma nessuno si era accorto della sua mano e nessuno sentiva il mio dolore che traspariva dai miei occhi. Perché nessuno mi veniva a salvare quando urlavo?
Improvvisamente qualcosa fece fermare quella tremenda agonia e mi massaggiai subito il fianco spostandomi di molti passi più indietro. Quando aprii gli occhi e li rivolsi verso James vidi questo steso sul pavimento gocciolante di alcool che sbraitava contro un cameriere. Quest’ultimo aveva la testa china e le braccia conserte. Non potevo scorgere la sua faccia, ma lo ringraziai infinitamente nella mia testa. James sbraitò insulti verso il cameriere e se ne andò via a passi pesanti. Emisi un sospiro di sollievo quando lo vidi sparire in una misteriosa porta. Mi avviai verso il balcone traballante con una mano sul fianco dolorante, ma un mugolio mi fece girare. Non sapevo da dove provenisse, ma ero intenta a scoprirlo. Un altro bisbiglio mi scosse e mi girai di nuovo, ruotando su me stessa. Scorsi due occhi marroni nell’oscurità della sala e un sorriso soddisfatto sulle labbra di quello che sembrava un ragazzo. Quando questo si mostrò alla luce del lampadario lo riconobbi all’istante. Come dimenticarsi di una faccia così? Mi spinsi verso di lui con tutte le forze rimaste in corpo e crollai –letteralmente- nelle sue braccia. Ero svenuta.

 

•Spazio Autrice
Salveeee! finalmente sono tornata eh.. scusate veramente per il casino che ho combinato, non ci sono stata per un po' di giorni e mi dispiace tantissimo, scusate. Mi dispiace tantissimo. Ma.. che ve ne pare del capitolo? Ci ho messo tutta me stessa, quindi spero che vi piaccia. c:
Ci vediamo quando ci vediamo. 



 

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