Hold My Hand

di rihannasnose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Wanna Stay With You ***
Capitolo 2: *** An Ocean Of Thoughts ***
Capitolo 3: *** I promise I will be okay ***
Capitolo 4: *** Where Are You? ***



Capitolo 1
*** I Wanna Stay With You ***


"Grazie a voi per aver partecipato a questa fantastica serata. New York mi emoziona. E' un vero divertimento cantare per voi qui ogni volta, in questo stadio. Vi ringrazio, come ringrazio la mia band e tutti coloro che hanno reso possibile creare tutto questo. A presto e buonanotte."

 

Sono contenta di aver trovato il coraggio e la forza di tenere lo show anche questa sera. E' sempre molto duro cantare e ballare ininterrottamente per due ore, sono molto stanca ogni volta che concludo, ma soddisfatta di ciò che ne viene fuori.

Do un'ultima occhiata alla folla che salta e sorride quando le luci si abbassano solo su di me. La musica è ormai finita. Il mio sorriso si spegne mentre scendo verso il backstage e i camerini. Sento il mio pubblico urlare il mio nome e battere le mani ora che ho tolto le cuffiette: sino a questo momento non mi accorgo di quanto sia fortunata ad avere così tante persone pronte a sostenermi.

 

"John è arrivato? Dove mi aspetta?" Chiedo, mentre corro a cambiarmi.

"Non c'è, ho provato a chiamarlo prima, ma ha il telefono staccato. Però non preoccuparti, sicuramente è stato da qualche parte con i suoi amici a suonare e quando tornerai a casa lo troverai pronto ad accoglierti nel migliore dei modi."

 

Non ci credo.

Non posso credere a ciò che dice.

Lo conosco da tanto tempo.

Abbiamo avuto tantissimi alti e bassi, ma ci siamo sempre rialzati. Questa volta non sarà così. Sta succedendo tutto così velocemente.

Mi siedo davanti allo specchio, per togliermi il trucco ormai sbavato. Ma mi porto le mani sulle tempie e inizio a massaggiarmele per qualche minuto, cercando di farmi passare il mal di testa. Prendo un'aspirina per evitare che mi peggiori, ma, appena ricomincio a cambiarmi, con l'idea di tornare subito a casa e addormentarmi rapidamente senza pensare a nulla, una delle mie assistenti bussa e si affaccia alla porta, senza entrare.

 

"C'è una sorpresa per te. Vestiti rapidamente e vieni fuori."

 

Annuisco con un movimento leggero senza proferire parola. Penso subito sia la persona che desidero vedere di più in questo momento: John, che si scusa per il ritardo e dopo un abbraccio mi riporta a casa.

Mentre mi preparo, il mio cuore si riempie di nuovo di gioia e sapere che non sta succedendo nulla di spiacevole nel nostro rapporto mi fa tornare il sorriso.

Esco dal camerino aprendo la porta piano piano per godermi il momento. Mi piace aspettare: è così emozionante sapere di attendere una cosa desiderata tanto, prima ancora di riceverla. Mi soffermo spesso sulle piccole gioie che la vita mi regala e mi ha regalato. John è tutto ciò che di migliore possa essere capitato nella mia vita, e non voglio perderlo per nessuna ragione. Non posso reggere altre delusioni. Ora sono felice, non voglio pensare che qualcosa possa mutare questa tranquillità.

Spalanco la porta con un gesto per scoprire che fuori non c'è nessuno. Niente di tutto ciò che mi sono immaginata nei due secondi passati tra l'avvicinarmi piano alla porta e l'aprirla completamente. Lo sapevo.

Mi do un'occhiata in giro e percorro tutto il corridoio.

Mi blocco.

 

"Amore mio, sei così bella stasera. Mi sei mancata tanto."

 

Mi corre incontro e mi abbraccia forte.

Io rimango attonita.

Non so che dire.

Non so che fare.

La fisso per qualche secondo.

Non avevo neanche notato che era tra il pubblico. Probabilmente si era nascosta per potermi fare adesso la sorpresa, ma sembra abbastanza delusa dalla mia reazione, non l'ho accolta al meglio.

 

"Non sembri molto contenta di vedermi." Mi dice, per l'appunto. "Hai qualche problema? Sembra che tu abbia visto il tuo peggior nemico. Forse ho sbagliato a farti una sorpresa... Hai ragione, avrei dovuto avvertirti, hai la tua vita e non ci sentiamo da qualche mese."

"No, no. Sono contentissima che sia venuta. Ma ho molti problemi, e non ce la faccio ad affrontarli tutti da sola."

"Spiegami amore, sono qui per te." Mi dice e mi abbraccia di nuovo.

 

Illustro a Robyn la situazione tra me e John, cercando di non mettermi a piangere, mentre lei mi guarda intensamente negli occhi. Quando finisco di parlare, si allontana e, senza dirmi nulla, prende il cellulare dalla sua borsa, che aveva lasciato su una sedia poco distante da dove ci troviamo noi, esce nel retro e si chiude la porta alle spalle. Non c'è granché luce fuori, perciò non riesco a capire cosa stia facendo.

E' venuta e poi si mette al telefono? Senza neanche fare un accenno di comprensione?

Mi siedo e fisso lo schermo del mio cellulare: nero.

Nessun messaggio.

Nessuna chiamata.

Non riesco a essere felice neanche sapendo che ora ho accanto una delle mie più care amiche, che oltretutto non vedo da tempo. Ha rinunciato ad alcuni impegni importanti per poter stare con me, mi ha accolto in modo così dolce.

Spalanca la porta e rientra, distogliendomi dai miei pensieri.

 

"Nessun problema, cambiati perchè usciamo. Non voglio sentire storie, sei giovane e devi divertirti, lascia i pensieri a domani, stasera scateniamoci."

"Ma... Insomma, non so bene."

"La macchina è qui che ci aspetta, quindi è meglio che ti sbrighi."

 

Non sono in vena di andare a ballare.

Vorrei solo rivedere una persona, quella persona.

E parlarci.

E chiarirci.

E capire cosa sta succedendo.

Abbracciarci e far finta che non sia successo nulla.

 

"Non lo so, non me la sento, vorrei solo tornare a casa, dormire dodici ore e non pensare a nulla."

"Amore," Si avvicina con fare tranquillo, ma sicuro "so come ci si sente. Conosci cosa ho passato qualche anno fa. Penso che tu abbia solo bisogno di distrarti. Guardati: sei così stressata."

 

Io faccio segno di negazione, con la testa bassa, ma restando nella mia posizione. Lei però si ammusa, mi prende per un braccio e mi trascina fuori, uscendo dalla porta sul retro, per evitare la folla. Quando si convince nessuno può dirle niente, la sua sicurezza mi meraviglia ogni volta.

Ci infiliamo subito nella macchina nera di Robyn, con i vetro oscurati e il motore già acceso, pronta per partire. Il suo autista, un uomo scuro di pelle, muscolosissimo, con gli occhiali da sole, guida per una mezz'ora fin quando si ferma davanti a una porticina, dalla quale si intravede un ingresso di un palazzo poco illuminato. Non ci sono insegne, nè indicazioni, nè citofoni.

Lampeggia e suona il clacson insistentemente finché un uomo esce e ci apre lo sportello, noi scendiamo e ci augura una buona serata. Entriamo nel palazzo, saliamo una rampa di scale e accediamo al night club. Robyn saluta un paio di ragazze vestite in un bikini pieno di fronzoli, le quali ci prendono le giacche: sembrano abituate a vedere persone famose, non hanno fatto nessun gesto ambiguo, nessuna risatina, nessun commento.

La musica alta mi rimbomba nelle orecchie, il fumo dei narghilè e delle sigarette mi infiamma gli occhi. Sono in piedi vicino a tavolini di metallo grigi. Chiudo gli occhi e mi sento trascinare verso il centro della pista: ragazze che ballano ovunque, tutte mezze nude, fanno twerking sui pali, vicino alle altre persone, con la lingua di fuori, in atteggiamenti provocanti. Dappertutto ci sono simboli di dollaro e vicino al palchetto ci sono migliaia di monetine. Sono distrutta dal concerto e assorta nei miei pensieri, non mi preoccupo molto di quello che succede intorno a me: vorrei solo essere in un altro posto con un'altra persona in questo momento.

Il locale non è molto grande e non è pieno, anzi non c'è molta gente questa sera. Le luci a intermittenza non mi permettono di vedere i volti di chi mi circonda: qualcuno passa e da una strusciatina a una ragazza accanto a me, balla con lei per qualche minuto e poi va da un'altra. Nessuno sembra realmente interessato a conoscere le altre persone.

Resisto tra musica a palla, a cui però dovrei essere abituata, e cocktail di tutti i tipi (penso di averne bevuti cinque!) per circa un'ora. Quando, verso le due e mezza non ce la faccio più, avverto le altre che sarei uscita per prendere una boccata d'aria. Altre due ragazze, sempre in bikini, mi prendono la giacca e, dopo essermela accuratamente infilata per evitare di prendere freddo, scendo le scale di corsa per arrivare all'uscita. L'uomo che prima ci aveva accolto e aperto la porta, mi chiede se voglio che chiami un taxi per essere riaccompagnata a casa, dato che la macchina di Robyn non ariverà prima delle quattro e mezza. Io gli rispondo educatamente di no, perchè dopo poco sarei rientrata. Il fumo della sigaretta che ho appena acceso si espande nell'umidità della notte e riscalda il mio corpo, di colpo la getto a terra, con un gesto quasi involontario, ma pieno di rabbia, calpestandola violentemente per spegnerla. Il buttafuori mi osserva e si avvicina facendomi un sorriso.

 

"Vuole che le chiamo un taxi signorina...?"

"Mi puoi chiamare Katy. E dammi del tu." Rispondo, sorridendo e annuendo. "Grazie."

 

Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi. Il signore entra dentro il portone e scompare nella penombra. Mi accorgo che sto facendo respiri molto profondi. Dopo pochi minuti che aspetto, arriva una macchina gialla da cui scende un uomo che mi saluta e mi apre lo sportello e mi accoglie dentro. Vedo Robyn e Jennifer, la sua amica, scendere di corsa le scale. Si fermano vedendomi nel taxi. Tiro giù il finestrino e faccio segno di negazione con la testa.

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Capitolo 2
*** An Ocean Of Thoughts ***


Non rispondo al messaggio che Robyn mi ha appena inviato, limitandomi a bloccare lo schermo del mio Iphone. Mentre la macchina sfreccia per le vie della città, mi soffermo a guardare fuori dal finestrino: un susseguirsi di colori brillanti e forti, luci a intermittenza, cartelloni che pubblicizzano prodotti come Coca-Cola, patatine a tutti i gusti, profumi e cosmetici di un'infinità inimmaginabile di marche. La gente passeggia per le immense vie, sotto gli altissimi grattacieli. Ecco Times Square: è così affascinante di notte. Quante persone ancora in giro a quest'ora: ragazzi che si tengono per mano, che si danno un lungo bacio sotto la luna piena, altri con una bottiglia di birra in mano seduti su una panchina, alcuni si fermano a farsi qualche foto, o a guardarsi intorno meravigliati di ciò che vedono. La vita non si ferma mai qui, anche adesso, che è notte fonda.
La macchina si arresta davanti al portone di casa: una villetta di due piani nell'Upper East Side che abbiamo scelto insieme io e John, nella quale condividiamo tutto da qualche mese. Ce ne siamo subito innamorati, dalla prima volta che l'abbiamo vista: grande ma non troppo, accogliente, con un piccolo giardino sul retro, nel centro della città, ma lontana dai rumori delle zone più trafficate: si trova infatti in una piccola via alberata quasi all'interno di Central Park. Ho sempre desiderato una casa così.
Appena si ferma, ringrazio il conducente, pago la cifra segnata sul tassametro e, dopo avermi aperto lo sportello, mi cordialmente saluta e io scendo.
La mia cameriera sudamericana, Mariàn, alla quale sono profondamente affezionata, mi apre la porta e mi accoglie dentro.

 

"Ben tornata, come è stata la serata?" Ha il suo solito sorriso stampato sul volto. E' una forza della natura, una donna forte e sicura di sè, ma allo stesso tempo gentile e tranquilla, capace di capire gli stati d'animo di tutti coloro che la circondano; è un vulcano, emana energia positiva, felicità. Non potrei mai stare senza di lei. Abbiamo stretto un legame stupendo, senza eguali.

 

"Insomma." Rispondo, buttando la mia borsa marrone per terra, in un angolo accanto al mobiletto all'ingresso.

 

Ecco. Capisco dal suo sguardo che si è accorta che qualcosa non va, sente il tono della mia voce e vede il passo lento con cui mi avvicino al divano per poi sprofondarci sopra, ancora vestita.

 

"Katy, non ti preoccupare: John tornerà, ne sono sicura. Sai, ha questi momenti di crisi, che non sa come affrontare, ma è un bravo ragazzo." Risponde con il suo accendo spagnoleggiante.

 

Annuisco e le chiedo gentilmente se può prepararmi una tazza di thè, mentre entro nella mia camera per cambiarmi: mi avvicino al letto matrimoniale e trovo un biglietto appoggiato sul cuscino. La calligrafia è chiaramente quella di John.
Silenzio.
Mi sembra come se l'aria si fosse bloccata.
Non riesco a respirare.
Non oso prendere quel foglio di carta.
Tremo.
Un gesto quasi involontario muove la mia mano fino al biglietto, non resisto.

 

"Piccola, come è andato il concerto? Spero tutto bene, come al solito. Scusami, avevo promesso che sarei venuto a vederti. Sono partito molto in fretta mentre eri fuori, questo pomeriggio. Sono diretto nella mia casa nel Montana. Non sarò rintracciabile in nessun modo: dopo gli ultimi avvenimenti ho capito che ho bisogno di tempo per riflettere. Sono confuso, non so neanche il motivo. Abbi cura di te, scusami ancora."

Fisso il vuoto, non riesco a pensare. Non reagisco. Il biglietto mi scivola dalle mani, non ho nessuna voglia di strapparlo o accartocciarlo. Mi mancano le forze. Mi cedono le gambe, così mi siedo sul letto, mentre Mariàn entra con la tazza fumante.

"Hai letto il biglietto? L'ho visto quando lo posava, non ho potuto fermarlo. Va vedrai che si sistemerà tutto, è un bravo ragazzo e ti vuole molto bene."

Mi giro per guardare il suo viso, e lei mi fa un sorriso triste: è forse la prima volta che la vedo reagire così, neanche quando le ho annunciato il mio divorzio con Russel. Esce immediatamente, senza darmi il tempo di risponderle, di ringraziarla.
Mi distendo sul letto ancora vestita, lascio il thè lì a raffreddarsi, ma dopo poco me ne dimentico, i pensieri mi si affollano in testa. Mi si appanna la vista e le lacrime cominciano a sgorgare lente dai miei occhi. Lente e silenziose. Fredde. Nessun rumore. Nessun singhiozzo. Solo il mio cuscino che velocemente si bagna. E anche fuori la pioggia picchietta sui vetri: sembra come nei film, ma mi sento malissimo quando penso che quello che sto vivendo ora è realtà. Dura e amara realtà. Il più brutto incubo della mia vita.
La luce inizia piano a filtrare fioca dalle finestre, mentre io continuo a piangere: apro gli occhi e do un'occhiata rapida alla sveglia. Oggi avrei il concerto a Philadelphia, quindi tra poco dovrei alzarmi per essere in tempo per arrivare in un paio d'ore al Wells Fargo Center per fare le prove e il soundcheck, come sempre. Ma non riesco proprio a smettere di piangere.

"Katy" Mariàn entra nella stanza cercando di fare meno rumore possibile. "Sono le otto, vuoi fare un po' di colazione? Ho preparato qualcosa di leggero e di sostanzioso, per tirarti un po' su." Sento l'odore di cornetti caldi e di caffelatte, ma non ho proprio voglia di mangiare, e solo l'idea di ingerire qualcosa mi fa venire la nausea.

"Non voglio niente, lasciami sola, per favore." Le rispondo, con la poca forza che mi rimane.

Lei esce dalla stanza, chiudendo la porta. Dopo pochi minuti le lacrime si esauriscono e crollo addormentata in un sonno senza sogni.
Vengo risvegliata da una voce familiare che non riconosco subito. Devo aver dormito un bel po' di ore, dato che non riesco a svegliarmi del tutto, e sento che mi è scoppiato un mal di testa lancinante. Mi giro strizzando e stropicciando gli occhi per cercare di mettere a fuoco la persona che ho davanti, piegata verso di me.

"Amore mio, Katy, sono io, Angela, sei sveglia? Sono le otto di sera, hai dormito parecchio." Adesso riesco a riconoscerla: mi sorride e mi guarda con i suoi occhioni dolci. "Robyn ha chiamato per avere notizie, Tamra ha comunicato al management di annullare il concerto di questa sera. Per non parlare di tutti coloro che ti sarebbero venuti a vedere: vogliono sapere cosa sta succedendo, ma nessuno glielo può spiegare tranne te."

Di solito mia sorella vive a Los Angeles con suo marito e il suo meraviglioso bambino, che non vedo da molti mesi, ma ora va e viene dalla California per aiutarmi nell'organizzazione del tour.

"Angela" Dico, appena riesco a pronunciare qualche parola. "Scusami, voglio solo stare da sola ora."

Mi giro dalla parte opposta e mi rimetto sotto le coperte, nascondendo praticamente tutto il mio corpo. Ma prima di ricrollare nel sonno più profondo, sento le due che parlano piano tra di loro.

"Sono veramente preoccupata Angela, non capita spesso di vederla così."

"Adesso provo a richiamare Tamra per chiederle di venire qui domani."

"Penso sia necessario."

"Non so cosa sia passato per la mente a John. Vedrai che tutto si risolverà." Sono le ultime parole che sento prima che le due escano chiudendo piano la porta.



Spazio autrice:

Buongiorno/buon pomeriggio/buonasera a voi lettori,
innanzitutto, grazie per aver letto per intero questo secondo capitolo della mia Fanfiction, spero vi sia piaciuto. Vorrei precisare solo una cosa: il personaggio di Mariàn, al contrario di tutti gli altri, è un personaggio NON reale, di mia personale invenzione e fantasia. Tamra, per chi non lo sapesse, è l'assistente personale di Katy, e Robyn è Rihanna. Ecco tutto, spero di pubblicare presto la terza parte della storia.

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Capitolo 3
*** I promise I will be okay ***


"Katy, sono due giorni che non ti alzi da questo letto e dormi."

 

Angela è qui da ieri mattina, ha lasciato la sua famiglia in California per stare vicino a me. Anche Tamra, che non sapeva niente fino a stamattina è arrivata per provare ad aiutarmi.

 

"Dammi solo un po' d'acqua, per ora mi..."

"No" Interrompe bruscamente Tamra, con il suo solito modo di fare: deciso e sicuro di sé "è arrivato il momento di tirarsi un po' su e di mangiare qualcosa."

"Su non essere così brusca." Interviene mia sorella "Però mangiare ti farà stare meglio, tesoro."

"Non hai chiamato mamma e papà, vero?" Mugugno io, con gli occhi socchiusi.

"No, non li ho sentiti, ma sappi che potrebbero chiamare loro." Mi guarda male "Ora prendi questi."

 

Mariàn entra nella stanza e passa un vassoio con un piattino di biscotti e una tazza di latte ad Angela che lo porge a me. Faccio un po' di fatica, ma mi costringo e riesco a mangiare e a bere un po'.

Ma, nella mia camera, ora che tutte sono uscite e mi hanno lasciata sola, posso pensare a tutto ciò che è successo nelle ultime quarantotto ore: non riesco a rispondermi alle domande che ho in mente, non riesco a capire cosa possa aver cambiato tutti i nostri piani così, da un momento all'altro.

Mi dispiace, credevo nel nostro rapporto.

Credevo in lui.

E' stato lui a consolarmi quando ero triste.

E' stato lui ad aiutarmi quando sono stata male.

Lo amo, come non ho mai amato nessuno mai.

Lo amavo da prima di conoscerlo realmente: era la sua voce che ascoltavo quando avevo bisogno di un consiglio. Era la sua voce al massimo volume nelle mie cuffie la sera, che mi rilassava dopo una giornata di lavoro. Perchè ora non c'è più? Che è cambiato? Che ho detto, o fatto, di male, che l'ha ferito?

Mentre la mia mente vaga per questi pensieri cupi, per questi ricordi che mi sembrano così lontani, anche se non lo sono effettivamente, Tamra entra in camera con una cartellina e il suo telefono in mano.

 

"Anche se il concerto verrà annullato, domani dobbiamo partire per Detroit lo stesso, non puoi saltare l'incontro con il management."

"Non possono venire qui? Perchè proprio a Detroit?"

"Stanno facendo gli incontri con tutti gli artisti lì. Mi hanno comunicato che sarà una riunione breve, ma è obbligatoria la tua presenza."

 

Dopo una notte insonne, Mariàn apre la porta con di nuovo un vassoio pieno di cibo, ma al solo pensiero di mangiare mi viene la nausea. Non ho proprio la voglia di alzarmi da questo letto e partire, prendere un aereo, ma anche solo semplicemente uscire da questa casa. Le finestre vengono aperte, le serrande alzate, scendo dal letto, mi gira la testa, mi siedo di nuovo, ma poi mi rialzo subito, apro il mio armadio: prendo una maglietta e un paio di jeans qualsiasi. Vado al bagno e mi faccio una rapida doccia, mi vesto, un paio d'occhiali da sole e aspetto sul divano del soggiorno il mio autista e il mio bodyguard, che mi accompagnano all'aeroporto, dove troverò Tamra e tutti gli altri.

 

"Katy, per favore, fammi un autografo."

"Katy Perry è qui."

"Katy, posso fare una foto?"

"Katy, dove eri finita? Cosa ti era successo? Rottura con Mayer?"

"Katy!"

 

Flash, macchine fotografiche, telefonini, microfoni, pennarelli, foglietti, cd davanti al mio viso: ecco quello che avrei voluto evitare, che non sono riuscita a evitare. Le domande indiscrete della stampa, le foto rubate dei paparazzi, i fan che non mi lasciano passare. Una grande massa di gente intorno a me. Tutti che mi ricordano John. Tutti che mi ricordano che mi ha lasciata, che se ne è andato via per un motivo sconosciuto. Tutti che mi domandano cose a me sconosciute. Non riesco a rispondere a me stessa, come posso rispondere a voi?

Scanso gli oggetti che ho intorno, aiutata dal mio bodyguard, per raggiungere il gate dove finalmente ho un po' di tranquillità. Continuo ad avere tanta gente intorno a me, che segue il mio passo veloce, ma ora nessuno mi fa domande, sono le persone che mi conoscono meglio, che sanno che non è il caso parlarmi, che è meglio lasciar stare per ora.

Percorro la strada per arrivare alla macchina e poi al piccolo jet che mi porterà a Detroit. Nel frattempo, mi sono messa un paio di enormi cuffie. Ma non riesco ad ascoltare nulla, nessun tipo di musica mi fa passare il magone che ho dentro. Mi butto su una poltrona a caso.

 

"Quello non è il tuo solito posto. Perchè oggi non ti metti lì? E' sempre stato il tuo finestrino scaramantico." Mi chiede Tamra, ma io faccio finta di non aver sentito e mi giro verso il finestrino. Lei non insiste.

 

Fisso il vuoto per gran parte dell'ora e mezza che passo su questo aereo: le nuvole nel cielo e le città che sorvoliamo non fanno parte di ciò che mi interessa in questo momento. Ormai non mi scendono neanche più le lacrime.

Il pilota annuncia che stiamo per compiere la fase di atterraggio.

Scendo nell'aeroporto della città natale di due dei miei artisti preferiti, due colleghi che ammiro molto: Eminem e Madonna.

Mi rimetto gli occhiali da sole. Passo di nuovo in mezzo a un altro mare di gente che parla di me, che mi indica, che urla il mio nome. Arrivo all'uscita e entro in una macchina nera, che inizia a sfrecciare per le vie di quest'altra città. Questa è la mia vita, in fondo: un giorno da una parte, un concerto e poi di nuovo subito in un aereo che mi porta in un altro posto. Tutto va in questa direzione, per un anno o anche più.

Mi fermo nell'albergo solo pochi minuti.

Sono costretta a sorridere in qualche foto fatta con i fan all'entrata del mio hotel.

Salgo nuovamente sulla macchina nera, che si dirige verso gli uffici nel downtown della città. Entro in un grande edificio, dove tutto lo staff, riconoscendomi, mi saluta formalmente ed educatamente, io rispondo, cercando di essere il più gentile possibile.

Saluto Mr. Larson e gli altri colleghi del mio management e ci sediamo intorno a un grande tavolo: fogli, tazze di caffè e bottigliette d'acqua per ogni posto. Non ho nessuna voglia di pianificare tre o quattro mesi di tour lontano da casa. Vorrei solo capire cosa sia successo. Me lo ripeto nella mente da troppo tempo, ma non riesco a distrarmi. Le persone intorno a me stanno continuando a discutere su argomenti di cui non mi importa nulla, che ascolto distrattamente.

 

"In effetti sarebbe meglio fermarsi solo dieci giorni e poi iniziare, che ne pensa Mrs. Hudson?"

"Si sono d'accordo." Ma non ho sentito niente di quello che mi ha chiesto.

"Ma non è troppo intenso così? Sei sicura di farcela?" Mi chiede Tamra. "Bird, tesoro, tutto bene? Che hai? Meglio che usciamo un secondo." Mi sussurra all'orecchio "Scusate, torniamo subito."

 

Sento Angela e Tamra che mi sollevano e mi portano fuori dalla stanza. Non vedo nulla. Nero davanti ai miei occhi. Mi fanno sedere su una poltrona e mi costringono a bere un thè caldo preso dalla macchinetta. Mi continuano a parlare, ma sono talmente debole che non riesco a sentirle. Dopo aver finito sorseggiato tutta la bevanda calda chiedo di essere riaccompagnata in albergo, aggiungendo che avremmo finito di sistemare tutto per telefono, domani. Mi sollevo a fatica, per poi ributtarmi sul sedile della macchina, con mia sorella a fianco che, in caso di problema, sarebbe pronta a intervenire.

 

Dopo qualche ora, varie bustine di zucchero e due caffè, mi riprendo e decido di essere in grado di fare il concerto.

 

"Ma sei proprio convinta? Fino a poco fa eri sdraiata sul letto con la pressione bassissima e non ce la facevi neanche a parlare."

"Ce la faccio, sono sicura di farcela. Non voglio perdere altro tempo."

"Non faresti neanche in tempo a prepararti, è tardi. E con il soundcheck?"

"Non importa, avvertite la band che lo faccia senza di me. Li raggiungerò subito. Non posso tradire le persone che sperano di vedermi stasera."




Spazio autrice:

Eccomi di nuovo qui, scusatemi tantissimo per la lunga assenza, ma ora ecco pronto per voi questo nuovissimo capitolo che avete appena letto. Come per l'altro precedente, vorrei precisare che Mr. Larson non è un personaggio reale, di mia personale invenzione. Grazie per aver letto fin qui, al prossimo capitolo.

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Capitolo 4
*** Where Are You? ***


"Katy, Katy, Katy, Katy." Il pubblico si scalda, ma le luci sono ancora accese, nessun segno dell'inizio del concerto.

"Tesoro, se non ce la fai annulliamo tutto, non c'è problema."

"No, mi serve solo un po' di tempo."

Sono le nove e mezza, il concerto sarebbe dovuto iniziare mezz'ora fa, ma io sono ancora in tuta, seduta nel mio camerino. Non sarò pronta neanche per le dieci. Non voglio deludere il pubblico, mia sorella, me stessa e...

"Mamma mi ha inviato un messaggio: è qui!" Angela apre la porta, sbattendola.

Come?
Non è possibile.
Perchè sono venuti?
E ora che faccio?
Non posso raccontar loro che John se ne è andato da casa.

Mi torna in mente l'ultima nostra conversazione. Perchè non ho pensato prima a cosa era accaduto quella sera? Ero talmente dispiaciuta, che non ho neanche riflettuto.
Mi aveva chiesto di sposarlo, ma io non ero convinta. I miei sarebbero così dispiaciuti se sapessero, contavano molto su di lui. Gli volevano bene anche loro, avevano capito che mi amava tanto. Era entrato a far parte della famiglia.
Ma non ce la facevo proprio.
Non rispondevo.
Ero insicura. Mi parlava da un po' del matrimonio, ma io non volevo, è troppo presto. Non ho ancora superato la delusione del divorzio da Russel. Ma lui non riusciva a capire, non ci è mai passato. Io alzavo la voce, mi offendevo, mi arrabbiavo, ma poi, dopo qualche ora di litigi finiva tutto lì, tornavamo a essere la stupenda coppia affiatata di sempre. Invece, dopo quest'ultima volta in cui ho rifiutato, anche dopo esserci riappacificati, non ha retto, ed è andato via. Mi aveva regalato un anello. Non sapevo se accettarlo o no.
Eravamo a casa, cenando insieme con le prelibatezze che solo Mariàn sa fare. Lui si alza un attimo da tavola, dicendomi che doveva andare in bagno. Torna con un pacchetto in mano. Timidamente mi ha detto "Tieni, è per te. Ti amo." Io lo apro e trovo un bellissimo gioiello con una pietra azzurra. "Come il colore dei tuoi occhi" mi dice. Sa che non mi piacciono le esagerazioni. Me lo porge al dito e io lo fisso per qualche minuto. Poi mi soffermo sul suo volto. Comincio ad accennare "no" con la testa. Senza accorgermene. Come il cuore, che ha battito involontario, la mia silenziosa risposta viene dal profondo, da qualcosa che non so spiegare, dal mio inconscio.

"Cosa c'è che ti preoccupa?" Comincia "Io ti amo. Sono pronto ad averti per sempre. E non voglio aspettare ulteriormente."

"Sono in tour, tu tra poco parti per l'Europa." Balbetto io "So cosa vuol dire tenere in piedi un matrimonio a distanza. L'ho già provato, tu no."

Scoppio a piangere. Esce dalla stanza sbattendo la porta. Mi butto sul divano. Dopo qualche minuto rientra con una felpa su braccio.

"Che stai facendo? Dove vai?"

"Esco, non so a che ora torno."

"No, per favore." Non faccio in tempo a finire di parlare, che sento già la porta di casa chiudersi.

Lo aspetto qualche ora sveglia: quando sento i suoi passi che percorrono il vialetto, mi si riaccende il sorriso.
Non è andato via.
Che sollievo.
Pensavo di averlo perso per sempre.

Invece, apre la porta della nostra camera da letto, si avvicina a me e mi sussurra nell'orecchio: "Scusa, sono stato brusco. Ma ti amo, e non ti lascerò."

Ma evidentemente durante la notte, mentre io dormivo, lui ha ripensato a tutto l'accaduto e ha deciso di prendersi un periodo di pausa più lungo di una passeggiata in giro per la città.
Penso, mentre mi metto la parrucca con i capelli lunghi colorati, che copre le mie ciocche verdi. Sento in sottofondo il coro di persone che urla il mio nome, ma come sempre i miei pensieri sono focalizzati su altro: di sicuro i miei, al ristorante, finito il concerto, vorranno sapere dove è John.
Ma io sono confusa.
Non posso dire loro dove sta se non lo so neanche io.
Vorrei solo che quella discussione, quella sera non fossero mai esistite.

Ma per ora i pensieri devono sparire, ho qualcosa di meglio da fare che piangere qui, su iò che ormai è andato. Così finisco rapidamente di sistemarmi.
Mi alzo di scatto.
Un assistente mi mette il microfono.
Le luci fuori si spengono.
Sento vagamente le urla dei miei fan.
Cerco di concentrarmi su ciò che devo fare.
Un altro sorriso finto sul mio volto.
Il prisma si apre.
Le luci del palco puntano me.
Sono la protagonista.
Ma questa sera non mi ci sento per niente.
Comincio a ballare sulle note della prima canzone della setlist.

"Vi state divertendo? Grazie per essere qui!"

Cerco per ora di evitare di incrociare lo sguardo dei miei. Cosa praticamente impossibile, perchè si mettono sempre nello stesso angolo e, come se non fosse passato tempo, ancora mi salutano, mi sorridono e mi mandano baci come si fa con i bambini che fanno le loro prime recite scolastiche. Dopo alcuni anni si sono abituati a vedermi vestita in questo modo sul palco. Anche se loro non approvano il mio stile, hanno capito che è la mia particolarità, che mi riesco a esprimere così e cercano di evitare strani commenti.
Ma ad un certo punto comincio a non sentirmi molto bene, non riesco a tenere il tempo, vedo sfocato e mi cala la voce. Così sparisco nei camerini per qualche minuto. Mi sento debole e ho forti giramenti di testa. Ma mi bastano pochi minuti di riposo che mi riprendo, salgo di nuovo sul palco e spiego ai fan che non era niente, solo un po' di stanchezza.
Il concerto procede normalmente fino alla conclusione. Mi diverto e mi distraggo anche un po'. Poi, corro verso i camerini a struccarmi e a cambiarmi. I miei genitori mi aspettano nella macchina fuori dalla porta secondaria, dove i fan non possono accedere. Alcuni però trovano la mia macchina e io abbasso il finestrino per qualche foto e qualche firma. Mi hanno reso felice questa sera, perchè non accontentare anche loro ora?

"Amore, John è in tour o a registrare il suo album?"

Mentre prendo una patatina dal piatto in mezzo al tavolo, mamma fa uscire queste parole dalla sua bocca, senza immaginare a quello che potrebbe succedere.
Mi alzo di corsa da tavola.
Vado al bagno.
Mi appoggio al lavandino.
Di nuovo, non può accadere di nuovo.
Non piango.
Penso di aver finito le lacrime.
Angela arriva e sento le sue mani sulle mie spalle.

"Tamra sta spiegando tutto ai tuoi. Non ti preoccupare, tutto si sistemerà, loro sono qui per aiutarci. Torna al tavolo ora."

"Kate, tesoro, vieni a stare una settimana da noi per riposarti un po'. Annulla le date della prossima settimana."

"Ma non posso, ho già dovuto annullare una tappa la scorsa settimana." Riesco a dire, con un filo di voce.

"Si che puoi, scaleranno alla fine, non puoi continuare così."

"Puoi riprendere tra cinque giorni dalla data di Los Angeles, quindi salteresti solo due date." Suggerisce Tamra.

"Così fai la zietta a Stella per qualche giorno."

Spazio autrice:

Ohilà, ecco un nuovo capitolo, anche questa volta con troppo troppo ritardo (sorry, sorry, sorry, shame on me), ma spero che ne valga la pena, ci ho lavorato tantissimo e sono molto contenta di come sta procedento il racconto.
Nulla, Katy si riprenderà dalla delusione o continuerà ancora a lungo a soffrire?
John dove è finitò? Cosa sta facendo?

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