Un Mese Di Domeniche

di Agnese_san
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Sono la luce delle stelle e dei raggi lunari e il sussurro del vento
Sono un fantasma nei tuoi sogni, un tocco sulla tua pelle
Sono fuoco nella pioggia che cade sull’erba
Sono schegge di legno e frammenti di vetro.

Sono rose e spine, rosso sangue e bianche
Sono l’autunno e l’estate, mezzogiorno e mezzanotte
Sono il momento che non scorderai mai
Sono pena e passione, e le lacrime che le bagnano

Sono alieno e legato alla terra, sono un residuo delle stelle
Sono dolorante e ferito, sono lividi e cicatrici
Sono tuono e lampo nati dalla tempesta
Sono baci sulle labbra, e abbracci caldi

Sono anelli alle tue dita, e nastri di merletto
Sono seta per i tuoi capelli, e il sorriso sul tuo viso
Sono dispiacere e risate, sono bugia e rimpianto
Sono polvere di un sole che non sorgerà mai.

Sono perso e solo, e che prega per essere intero
Sono il battito del tuo cuore, parte della tua anima
Sono danza, sono musica, sono generoso e avido
Sono parole e linguaggio, fame e bisogno.

Sono vita, sono morte, consumato dal desiderio
Sono ceneri di un amore su una pira funeraria
Sono un pezzo del passato che avrebbe dovuto essere
Sono un viaggio che non finirà finché non ti avrò trovato.


* * * * *

Capitolo 1

LUGLIO 1944

I suoi occhi si aprirono al rumore, la consapevolezza di dove si trovava non arrivò immediatamente. Da qualche parte tra il buio e la luce, rifletté, strizzando gli occhi per aggiustarli alla silenziosa semioscurità che la circondava.

Rabbrividì. Era in una caverna, questo lo sapeva. Distesa sul terreno duro e freddo. A guardare, dritta davanti a sé, le crepe e le cavità della parete che appariva indistinta in presenza degli sporadici sprazzi di luce che sfioravano il granito. Il suono si intensificò. Non era un suono sgradevole, era quasi musicale. Come le campanelle a vento suonano alla brezza.

Lei lottò per alzarsi, ma la testa le doleva. No, era più che dolore. Il sordo battito nelle sue tempie era pura agonia. Con un grande sforzo, si spostò per vedere da dove arrivavano il suono e le luci lampeggianti.

L’uomo le dava le spalle, piegato sopra un piccolo dispositivo a forma di cono. Scintille illuminarono per un momento la caverna, proiettando un arco d’argento contro l’alto soffitto. Immaginò che si trattasse di una saldatrice. Si sollevò, usando gambe e braccia per spingersi indietro fino a che il suo corpo fu seduto contro la fredda parete di pietra.

"Ti senti meglio, adesso?" le chiese l’uomo, senza voltare la testa. Lei fu sorpresa dalla morbidezza della voce che echeggiò nella caverna. E seppe … no … sentì che l’uomo era genuinamente preoccupato per lei.

"Sto bene, credo. Ma mi fa male la testa." gli disse, portandosi una mano alla fronte ed avvertendo il sangue che si stava seccando.

Lei non poteva spiegarsi il perché, ma non aveva paura di quell’uomo. E non pensava che fosse stato lui a procurarle le ferite. Ma era curiosa. Sospirò. Quello era il suo più grande problema. Era dannatamente troppo curiosa. In qualche modo, la sua propensione a flirtare con il pericolo e ad infrangere tutte le regole l’aveva messa in situazioni difficili. Non riusciva a ricordare come fosse finita in quella caverna con un soldato che stava saldando qualcosa o di come si fosse ferita.

Un ricordo le passò per la mente. Qualcosa da cui suo padre l’aveva messa in guardia.

*Non dare mai passaggi agli autostoppisti.*

*Ma perché, papà?*

*Perché spargono polvere di desiderio sul tuo cuore. Ti fanno sognare di posti in cui non potrai mai andare e di vedute che non sei destinata a vedere.*

Forse avrebbe dovuto dare retta a suo padre, pensò. Non che avesse più importanza. Lui era ormai morto e sepolto. Com’era strano che riuscisse a ricordare quella conversazione di tanti anni prima, ma non gli eventi che, quella sera, l’avevano portata lì.

"Dove sono?" chiese all’uomo, riconoscendo a malapena il suono della sua voce.

Voltatosi, l’uomo si avvicinò a lei con un movimento felino, fluido e aggraziato. Si inchinò accanto a lei e lei cercò invano di indietreggiare contro la parete. Il viso di lui era nascosto dall’ombra, ma lei capì che stava esaminando la sua ferita.

"Non aver paura." le sussurrò, posandole una mano sulla fronte. Lei avvertì il calore, mentre lui premeva gentilmente le mani, massaggiandole le tempie con le dita. Ci fu un’improvvisa ondata di … cosa? Elettricità, formicolio, solletico? Lei non riuscì a descrivere la sensazione, ma era quasi una carezza dal di dentro. Quando lui tolse le mani, il mal di testa era passato. E la sua memoria tornò con improvvisa chiarezza.

La pioggia. Ecco quello che ricordò. Uno di quei temporali estivi nel deserto che arrivano senza preavviso, lasciandosi dietro aria tersa e profumo di salvia e di fiori selvatici.

Lei era sempre stata una sognatrice. E, dopo il suo turno alla Base, come volontaria per l’U.S.O. (NdT: United Service Organizations, ente di volontariato che fornisce supporto psicologico ai militari), lei si fermava sempre nel suo posto speciale nel deserto, per guardare le stelle. Per riflettere sulla sua vita lì. E, di nuovo, le parole di suo padre le tornarono in mente per farla sentire in colpa.

*Non dovresti andare lì da sola. Nel buio. Non dovresti girare così tardi, la notte.*

*Ma, papà, è allora che le stelle brillano di più. Quando la Via Lattea è nel pieno della sua gloria. Forse, anche la gente che vive lassù ci sta guardando e si chiede chi siamo.*

Lei amava le stelle. E i racconti sulle creature degli altri mondi. Lei meditava sui misteri dell’Universo e sul significato della vita. E, sempre, finiva per sentirsi vuota e per desiderare qualcosa di più. Era come se un pezzo di lei mancasse. Che lei non appartenesse veramente alla Terra. Da qualche parte, lì fuori, aveva spesso pensato, c’era una parte della sua anima, del suo spirito.

Quando la pioggia era cominciata, lei aveva preso il suo telescopio ed era corsa alla macchina, per tornare a Roswell. Cara vecchia Roswell. Popolazione: quasi niente. Opportunità: ancora meno. Solo La Base dell’esercito impediva a quella piccola città di avvizzire e morire.

Mentre guardava i tergicristalli andare avanti e indietro sul parabrezza, aveva cercato di non pensare alle notizie che aveva ricevuto quel pomeriggio. Così, quando l’uomo era apparso su un lato della strada nella luce dei fari, lei lo aveva quasi investito. Aveva sterzato, schiacciato il freno e si era fermata sbandando, la vecchia Ford che vibrava, mentre il motore si spegneva.

Con le ginocchia che tremavano, attese che lui si avvicinasse alla portiera del passeggero. Indossava una divisa Kaki che lo identificava come un militare. Lei sospirò di sollievo. Uno dei ragazzi della Base. Probabilmente, di stanza al 509simo. Da quelle parti, i soldati facevano sempre l’autostop e lei, spesso, offriva loro un passaggio.

Ma la colpì il fatto che era strano, per un soldato, andarsene in giro a quell’ora della notte. E non si stava dirigendo verso la Base, ma si stava allontanando. Verso Pholman Ranch e Vasquez Rocks. Verso Roswell.

Eppure … sembrava così infreddolito, sotto la pioggia che stava scendendo a scrosci.

"Hai bisogno di un passaggio?" gli aveva chiesto, tirando giù di appena una frazione, il finestrino.

"Certo." aveva risposto lui. "Se non è di troppo disturbo."


N.d.T: Non ho tradotto io questa storia. L'ho trovata già tradotta su un sito che purtroppo è stato cancellato. L'ho salvata in tempo ed è molto bella quindi a voi la lettura :D

Storia tradotta da SirioJB e scritta da Cherie

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Capitolo 2
*** capitolo2 ***


Capitolo 2

Era rimasta sorpresa, quando lui aveva aperto la portiera posteriore ed era salito dietro, posandosi accanto la piccola valigetta argentata che portava con sé. Nel buio, lei era riuscita a vedere che la sua divisa era bagnata e che la visiera scura del suo berretto era calata quanto bastava per coprire i suoi occhi. Per un attimo, si chiese se fosse un Sergente, o addirittura un Maggiore. I soldati semplici non si portavano dietro quel genere di bagaglio. Amavano avere le mani libere per bere birra e accarezzare le ragazze, quando ballavano.

E la maggior parte dei soldati cui aveva dato un passaggio, era stata ben felice di sedersi sul sedile anteriore, accanto a lei. Lei scrollò le spalle a quel pensiero. Un ufficiale non avrebbe mai fatto l’autostop. Forse stava solo cercando di non spaventarla, visto che era tardi e lei era da sola.

"Va’ a Roswell?" gli aveva chiesto con un sorriso. Poteva quasi sentire, sulla nuca, il calore del respiro di lui.

"No. Può lasciarmi sulla strada, tra cinque chilometri … vicino a Vasquez Rocks." le aveva detto pacatamente. "Ho perduto il mio trasporto."

"Turno di guardia notturno?" aveva chiesto lei, ormai curiosa.

"Pattuglia di perlustrazione." aveva risposto lui.

Quando non le aveva offerto ulteriori spiegazioni, lei aveva guidato per un chilometro, prima di parlare di nuovo.

"E’ da molto che è stato assegnato qui?" aveva chiesto, desiderosa di farlo parlare ancora.

"Solo da pochi giorni." aveva detto lui.

Lo aveva fatto di nuovo, aveva pensato lei. Era andato dritto al punto, con poche parole. Aveva deciso di cambiare tattica.

"C’è un’arma, lì dentro?" gli aveva chiesto, riferendosi alla valigetta argentata.

"No." aveva risposto lui cautamente. "Solo qualche dispensa che devo studiare."

"Sarà!" aveva commentato lei ridacchiando. "Faccende segrete."

Anche lui aveva riso, voltando la testa verso il finestrino. Lei lo aveva guardato dallo specchietto retrovisore.

"Perché è fuori, nel deserto, così tardi?" le aveva chiesto lui, prendendola alla sprovvista, dopo un lungo silenzio.

"A guardare le stelle e a riflettere sui misteri della vita. A chiedermi cosa c’è lassù." gli aveva risposto. "In effetti, stavo provando il mio nuovo telescopio."

"Studia spesso le stelle?" aveva domandato lui. Lei non aveva potuto fare a meno di notare quanto fosse morbida la sua voce. Sembrava quasi scivolare nello spazio che li separava e carezzarle le orecchie, come un caldo velluto.

"Più spesso di quello che dovrei, credo." aveva risposto lei, con una risatina nervosa. "Gira voce che io sia un po’ scema."

Dallo specchietto, lei lo aveva visto togliersi il cappello e sbatterlo contro il ginocchio, per scrollare via l’acqua.

"Così, lei pensa che ci sia vita lassù?" le aveva domandato, voltando la testa verso il finestrino e continuando a guardare fuori. La pioggia non cadeva più e lei aveva spento il tergicristallo ed aveva aperto il finestrino.

"Lei no?" aveva chiesto lei, un po’ infastidita. "Voglio dire … crede veramente che ci siamo solo noi … solo questo piccolo, insignificante pianeta che fluttua nello spazio senza uno scopo … crede veramente che siamo soli?"

Lui l’aveva guardata agitare le braccia, lasciando il volante e muovendole in aria.

"Andiamo!" gli aveva detto. "Deve essersi certamente fatto delle domande sull’esistenza di altre forme di vita. Non pensa che siano almeno, possibili?"

"Forse." aveva risposto lui e lei aveva sentito un sorriso nella sua voce. "Forse c’è la possibilità."

"Vede?" gli aveva detto lei, battendo enfaticamente la mano sul cruscotto. "Sapevo che sarei riuscita a farglielo ammettere."

"E come?" aveva chiesto lui, leggermente divertito di quanto fosse compiaciuta con se stessa. E aveva anche notato come i suoi capelli scuri stavano ondeggiando ad ogni movimento che faceva.

"Perché, dopo un po’, tutti quelli con i quali parlo, ai quali spiego le mie teorie, si arrendono alle mie fantasie." aveva riso lei. "Mi fanno contenta, perché pensano che sia un po’ pazza … la ragazza pazza che crede negli alieni."

Lui aveva osservato la schiena di lei e il movimento dei suoi capelli, che si era fermato per un momento, desiderando toccare le ciocche scure che il vento, proveniente dal finestrino aperto, spingeva sullo schienale del sedile. "Io non credo che lei sia pazza." le aveva detto gentilmente.

"Certo che lo pensa." aveva riso lei. "E’ solo che non vuole ferire i miei sentimenti."

Lei aveva sospirato ed aveva fermato l’auto.

"Vasquez Rocks, come ha richiesto, soldato." gli aveva detto, facendogli un finto saluto, mentre scendeva dalla macchina. "Ci vedremo ancora? Sa, in città, quando è in permesso dalla base."

"Non penso." lo aveva sentito dire nell’aria del deserto. "Non mi fermerò a lungo in quest’area."

"Va bene." si era detta, mentre lui e la sua voce di velluto erano scomparsi dietro il promontorio. Si era chiesta perché si sentisse così delusa. Lei amava flirtare e ballare con i ragazzi, ma raramente usciva con loro e questo soldato la interessava.

Facendo retromarcia, si era voltata indietro ed aveva visto il suo berretto. Se la pioggia fosse ricominciata, lui ne avrebbe avuto bisogno. Voltando di nuovo la macchina, lo prese dal sedile posteriore e cominciò a salire per il sentiero.

"Ehi, soldato, hai dimenticato il tuo … " Il resto della frase si era congelato sulla sua lingua.

Quando aveva voltato l’angolo, aveva visto una cosa incredibile. La mano di lui aveva brillato, quando l’aveva posata sulla roccia. Era apparsa un’impronta argentata ed una parte della montagna si era aperta, per rivelare una caverna.

Lui aveva fatto un passo avanti e lei uno indietro, scivolando. L’ultima cosa che ricordava era la caduta e il terreno che si avvicinava ad incontrare la sua testa, poi il buio.

Ora era in quella caverna, con un uomo che, chiaramente, non era un soldato americano in pattuglia di perlustrazione.

"Sei una spia? gli aveva chiesto. "Sei qui per sabotare la base?"

La sua mente annaspò. Mio Dio, pensò lei nella sua incoscienza, aveva dato un passaggio ad una spia. Il suo paese era in guerra e lei aveva appena aiutato il nemico … cercando di essere carina e di flirtare con quell’uomo, probabilmente, aveva tradito il suo paese.

"Ti prego." le disse lui, la voce calma e rassicurante. "Devi credermi. Non sono una spia."

Lui tese la mano, che lei afferrò, e l’aiutò, lentamente, ad alzarsi, spingendola verso la parte posteriore della caverna, dove lui stava lavorando. la tenue luce gialla del dispositivo conico prese vita, quando lui vi passò sopra la mano. Lui la osservò attentamente, mentre lei spalancava gli occhi.

Lui era alto e lei dovette tirare indietro la testa per guardargli il viso. Bello. Se le fosse stato chiesto di descriverlo, era quella la parola che avrebbe usato. Non dai lineamenti marcati, non solo di bell’aspetto e nemmeno attraente. Lui era proprio … bello.

I suoi capelli erano del colore della notte e gli ricadevano sulle sopracciglia con una noncuranza, quasi casuale. la sua mascella era ben definita e le sue labbra piene, sopra un mento scolpito e un naso dalla forma perfetta.

Dovette riprendere fiato, quando incontrò i suoi occhi. Avevano delle ciglia scure e il loro colore era quasi innaturale. Meno castani, più dorati. Sembravano brillare di una fiamma iridescente, ricordandole degli specchi d’acqua che riflettevano gli ultimi bordi di un tramonto. Per un momento, tornarono neri come la notte e lei avrebbe potuto giurare che fossero liquidi.

Lui batté gli occhi e la magia si spezzò. Ma il fuoco tornò quando i loro sguardi si incrociarono ancora. Erano infiammati di compassione e di meraviglia, e ogni paura che aveva provato per quell’uomo scomparve, quando lui le concesse un sorriso improvviso, che fece stringere agli angoli, quegli occhi strani e meravigliosi.

Lei abbassò i suoi, quando si accorse che lui la stava fissando. Si spostò una ciocca dei lunghi capelli dietro l’orecchio, mentre cercava di rassettarsi il vestito giallo con l’altra mano. Un laccio dei suoi sandali bianchi si era rotto, provocando uno strano rumore, quando face un passo indietro, per allontanarsi da lui, spostando cautamente la sua mano dalla forte presa di lui. Avvicinò i bordi del suo giacchetto bianco e chiuse il primo bottone.

"Chi sei tu?" gli chiese con un filo di voce. "O meglio, cosa sei tu?"

"Be’, diciamo solo che non sono di queste parti." le rispose lui.

 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Capitolo 3

Guardandola, lui si tormentò per il suo errore. Lei era rimasta immobile, eccetto che per il tremore delle mani che toccavano maldestramente i suoi vestiti. Aveva gli occhi spalancati, le labbra aperte, mentre le inumidiva con la lingua. Il suo sguardo teso non si distaccò mai dal suo obiettivo. Sfortunatamente, l’obiettivo era lui.

Aveva fatto un errore enorme. Il piano che era stato portato avanti per anni, con accurata precisione, stava cominciando a complicarsi e lui era responsabile del danno che aveva fatto. Alla sua prima uscita, aveva già infranto una delle regole cardinali.

Naturalmente, era stato consapevole del rischio. Lui stava solo occupando quel corpo, ma era il corpo di un uomo e lei era una donna. Ricordava chiaramente che la sessualità umana era stata discussa, quando la missione era ancora agli stadi iniziali. La fisiologia delle due razze non era poi così differente. Gli stessi antenati che avevano popolato il suo pianeta, avevano popolato anche la terra. Ma era stato troppo preso dal suo scopo e troppo sicuro di sé ed aveva messo da parte la possibilità di qualsiasi incontro sessuale con gli umani.

Non avrebbero potuto esserci interazioni con gli umani, se non a livello essenziale. Ciao. Come stai? Senza offrire alcuna informazione e rispondendo alle domande con un semplice si o no. Quel corpo era un recipiente – che poteva essere usato solo per poche ore alla volta, perché non riportasse danni permanenti.

Ma il veicolo dell’uomo si era rotto, così lui non aveva avuto altra scelta che, per metterla in semplici termini terrestri, chiedere un passaggio. Arrivare alla caverna era un imperativo. Aveva scelto la Terra perché aveva una grande varietà di terreno. E quel deserto era stato giudicato perfetto per nascondere il manufatto, che i suoi nemici desideravano ardentemente.

Non aveva avuto intenzione di far del male alla donna. La cosa più saggia, sarebbe stata guarirla, cancellarle la memoria e, dopo averla riportata alla sua macchina, lasciarla andare per la sua strada. Ma c’era qualcosa – qualcosa in quei profondi occhi scuri – che lui aveva visto, quando le lo stava guardando dal retrovisore. C’era stato un momento, più veloce del tempo, in cui i suoi capelli erano stati pieni di vento. L’attrazione, quasi magnetica, che aveva provato per lei, per la sua voce calda, per la sua risata e l’aura gentile che brillava attorno alla sua pelle.

"Bene." la sentì dire "Di dove sei?"

Dimenticata l’urgenza della sua missione. Lui decise di dirle la verità. Una volta che le avesse cancellato la memoria, lei non avrebbe comunque avuto la possibilità di ricordare quell’incontro. Avvertì un’improvvisa fitta di confusione … come se desiderasse che lei potesse ricordarsi di lui … in modo che potesse capire e sapere che, dopotutto, non era pazza e che le sue fantasie erano vere. Mise da parte quel desiderio. Non poteva permettersi di essere così sconsiderato. E, anche se non lo sapeva, lei avrebbe potuto distruggere il suo piano, senza nemmeno rendersene conto, se lui avesse continuato ad allontanarsi dal suo dovere e dalla sua missione.

La presenza di lei lo attirò e le andò vicino. L’aura che la circondava tremolò leggermente, come un miraggio che si increspa alla luce del sole. Lui scosse la testa e raddrizzò le spalle. Era arrivato il momento di essere deciso e di lasciarla andare. Non poteva rischiare di essere scoperto.

"Credo che tu lo sappia." le disse quietamente, allungando la mano per toccarle, finalmente, i capelli. Le sue dita formicolarono alla loro morbidezza e lui respirò il loro profumo. "Hai visto quello che ho fatto."

Nel profondo del suo cuore, lei lo sapeva. I suoi occhi, da soli, sarebbero bastati a tradirlo. Lei sapeva istintivamente, che lui non proveniva dalla Terra. Il suo comportamento era regale, quasi maestoso. Ebbe l’improvvisa rivelazione di trovarsi davanti ad un grande potere. Provò il quasi irresistibile bisogno di fargli un inchino. Invece, gli prese la mano che lui aveva infilato tra i suoi capelli e se la posò su una guancia.

Quel piccolo gesto segnò la rovina di lui. "Non hai paura?" le chiese, la voce pervasa di meraviglia. "Io non ti spavento?"

"No." mormorò lei. "Non ho paura di te."

E non ne aveva. Non c’era niente di cui avere paura. Il calore della mano posata sulla sua guancia, le fece tremare le ginocchia e le fece avvertire un volo di farfalle che, dallo stomaco, salì verso la sua bocca, con un dolce gusto di stupore.

Lentamente, lui fece scendere la sua mano sulla spalla di lei e poi al bottone del giacchetto. Spinse il bottoncino di madreperla nell’asola e fece scorrere il morbido tessuto lungo le sue braccia, fino a che non si fermò all’ansa dei gomiti. Sfiorò con il pollice le lentiggini sparse sul collo di lei, fino all’attaccatura dei capelli, poi fece scorrere lo sguardo giù per tutto il suo corpo.

A lei non importava più chi lui fosse. O di come fossero finiti in quella caverna. Era sospesa nel tempo, ipnotizzata dallo sguardo di lui. In quel momento, lui era tutto quello che importava. Lei non era nemmeno più sicura di respirare ancora. Non ci furono timori, quando lui si avvicinò e la circondò con la sua essenza, mentre il suo sguardo di fuoco avvolgeva tutto il corpo di lei, come quello di un predatore che studia la sua vittima. Lei avvertì la crescita del desiderio e l’accelerare delle pulsazioni, mentre lui le avvolgeva attorno il suo incantesimo, come fragili fili di seta. Il tempo si fermò, mentre lei cadeva nella tela che lui aveva tessuto.

Lui non riuscì a fermare le sue labbra. Quelle di lei stavano dando ordini al suo cuore. Avvertì una strana delizia, quando lei si sollevò sulla punta dei piedi per accettare il suo bacio. Gli fece pensare ai petali di un fiore in boccio, che si dischiudevano. E più lui la assaggiava profondamente, più lei sbocciava.

Il tocco delle labbra di lei gli riempì il cuore di una miriade di colori. Lo spirito brillante che era solo di lei si gonfiò al suo interno e invase il suo essere. Le pulsazioni ed il battito del cuore di lei, invasero i suoi sensi, passando attraverso la sua pelle. Bruciando, ardendo, fino a che lui temette che il corpo che stava occupando, avrebbe potuto estinguersi per combustione.

Tutto quello che gli era stato detto, e che lui aveva creduto, andò in frantumi con quel bacio. Solo la sua promessa sposa avrebbe dovuto avere il potere di aprire la connessione. Non era possibile che un’umana potesse farsi breccia nelle barriere della sua anima.

Cercò disperatamente di allontanarsi da lei, ma lei si appoggiò ancora di più contro di lui, il piccolo corpo di lei che cercava di fondersi col suo. La mano di lei che era posata sulla sua spalla, stava stringendo anche il suo cuore e lui si perdette in quella sensazione.

Avvertì l’unione delle loro menti, la cosmica connessione di vite vissute molto tempo prima. Il risveglio. L’abbraccio dei giorni passati e degli amori macchiati di lacrime. Lui carezzò quei ricordi e il corpo che aveva rubato rispose all’onda della passione. Lui conosceva quella donna.

Quello non poteva succedere. Trattenendo il respiro, la allontanò da sé, schiarendosi la mente dalla nebbia in cui lei lo aveva sospinto. Lui era lì per uno scopo. Il suo mondo era in guerra e lui non poteva perdere tempo amoreggiando con gli umani.

"Mi dispiace," le disse, con voce roca. "ma devi andartene. Non puoi rimanere qui."

Lei allungò un braccio per toccarlo, ma lui si tirò indietro. Lei cercò di trattenere le lacrime. Non gli avrebbe permesso di vederla piangere. Non sapeva nemmeno perché volesse piangere. Ma la tenerezza del suo bacio e la perdita del suo abbraccio l’avevano scossa. Qualunque cosa stesse accadendo tra loro, non era possibile.

"Guardami." le sussurrò, prendendole il viso tra le mani. "Ora cancellerò i ricordi che hai di me. Tu non ricorderai più niente, di tutto questo."

Lei avvertì la nota di tristezza nella sua voce e sollevò gli occhi per piegarsi alla sua volontà.

Con grande dispiacere, ma sapendo che era necessario, lui cominciò il processo che avrebbe cancellato ogni consapevolezza del loro incontro. La corsa in macchina, il bacio. Cancellò ogni ricordo del loro breve contato dalla mente di lei. Il suo corpo crollò in avanti e lui la prese tra le braccia per portarla fuori dalla caverna e lasciarla nella sua macchina.

A mezza strada, sul sentiero, lui la sentì stiracchiarsi. E rimase stupito, quando le braccia di lei si avvolsero attorno al suo collo e le labbra gli sfiorarono la gola.

"Io mi ricordo di te." disse lei, la voce che tremava contro la sua pelle.

Lui si immobilizzò, il cuore che gli martellava nel petto, mentre cercava di capire quello che poteva essere successo. Perché la pulizia della mente non avesse avuto effetto. Poteva esserci una sola spiegazione. La sua promessa sposa non era la sua anima gemella. Guardò la donna umana che teneva tra le braccia. Come poteva essere successo?

* * * * *
 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4

Lei sentì tendersi il corpo di lui e i suoi bicipiti, mentre la posava delicatamente a terra. Sopra di loro, i raggi della luna pendevano dalle nuvole come nastri. Gli occhi di lui, che brillavano leggermente, stavano riflettendo quella luce ed erano pieni di stupore, mentre le tracciava la linea della mascella con le sue dita.

"Cosa ricordi di me?" le mormorò, la voce roca, mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso pieno di domande.

"Tutto. Che ti ho raccolto sotto la pioggia, la caverna … " lei esitò. "E che mi hai baciato."

Lui rise. Una piccola risata nervosa. "Ma ancora di più … mi sembra di averti già conosciuto da prima, come se questa non fosse la prima volta che ci siamo incontrati." Lei attese, il cuore che le martellava contro il petto, non sicura di quale sarebbe stata la reazione di lui a quelle parole.

In quel momento, lui fu prigioniero dell’importanza di quella situazione. Quella missione era essenziale. Il destino del suo pianeta dipendeva dall’occultamento del Granilith. Lui avrebbe dovuto semplicemente liberarsi di lei. E alla svelta. Non avrebbe dovuto fare altro che toccarla e spedire l’energia che le avrebbe fermato il cuore … o avrebbe potuto tenerla come prigioniera. Rinchiuderla nella caverna, con cibo e acqua sufficienti a sostenerla, fino a quando lui non fosse tornato, la settimana successiva.

Forse avrebbe potuto procurarsi altre istruzioni su come pulirle la mente, una tecnica differente che avrebbe potuto farle dimenticare. O avrebbe potuto, semplicemente, fidarsi di lei. C’erano stati degli umani che avevano mantenuto il segreto della loro esistenza. Ma solo qualcuno. Avrebbe potuto considerarla una di quelli?

Ponderò attentamente le tre scelte. Ucciderla, tenerla prigioniera fino a che non avrebbe trovato un rimedio alla resistenza della sua mente o rivelarle il motivo della sua venuta su quel pianeta e avere fiducia che lei non lo tradisse.

Alla fine, decise di seguire il suo cuore. Lei non gli era sembrata falsa o pericolosa. Lei gli aveva toccato l’anima e lui voleva scoprire perché. Era molto di più che semplice curiosità. Era imperativo che lui scoprisse la ragione del perché lei poteva influire così tanto su di lui. L’intensità e lo splendore della sua aura lo attraeva – riverberava in ogni atomo e in ogni molecola del suo essere. Ci sarebbero state molte domande per gli anziani che avevano scritto il Libro del Destino, dopo il suo ritorno su Antar.

Abbassando la testa, le toccò la fronte con la sua, le prese una mano e se la posò sul cuore.

"Se ti lascio andare, mi prometterai di non parlare con nessuno di quello che hai scoperto stanotte?" le sussurrò dolcemente.

Sentì la piccola mano di lei prendere la sua, sollevarla e posarla sulle piccole rotondità del suo seno, imitando il suo gesto.

"Lo prometto." gli rispose in un sussurro, senza traccia di paura nella voce. "Ad una condizione."

"Tu non sei in posizione tale da porre condizioni." le disse, con un leggero sorriso che gli increspò la bocca.

"Me ne rendo conto." ribatté lei, con un sorriso raggiante. "Ma so che tu vuoi vedermi ancora. Posso capirlo, sentirlo. Inoltre, credo che tutti e due abbiamo domande che hanno bisogno di una risposta."

Lui annuì. "Tra una settimana. Domenica. Ti aspetterò nello stesso posto in cui ci siamo incontrati." Allungando una mano, le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

"La mia vita … la vita di questo corpo è nelle tue mani. Ricordalo." disse lui, tornando sui suoi passi e dirigendosi verso la caverna.

Arrivato a metà strada, sentì la voce di lei che lo chiamava. Si voltò a guardarla.

"Il tuo nome." chiese lei. "Ti sei dimenticato di dirmi come ti chiami." Lei vide l’atteggiamento di lui cambiare sotto i suoi occhi. Raddrizzandosi, guardò verso di lei, la sua espressione illeggibile, la sua postura improvvisamente maestosa.

"Zander, ma tu puoi chiamarmi Zan." le rispose formale. "E il tuo?"

"Elizabeth, ma TU puoi chiamarmi Liz." rispose lei, prendendosi gioco del suo tomo imperioso. Il suono della risata di Liz lo seguì su per la collina.

* * * * *

La settimana passò lentamente. Perfino le ore passate a lavorare al quadro di comando, ore che di solito volavano, passarono lentamente. E le notti furono più lunghe e piene di sogni di lui. Lei si chiese se avesse un aspetto differente. Il suo sorriso era cambiato? Il suo sguardo l’avrebbe tradita? Divenne cauta nelle sue conversazioni con colleghi ed amici, timorosa di lasciarsi scappare qualcosa e di rivelare il suo segreto.

Lei sapeva che il Dottor Andrews avrebbe percepito la sua ansia, ma sapeva che l’avrebbe attribuita alle notizie che le aveva dato. E non erano belle notizie. Il dottore le aveva prescritto pillole per il dolore, pillole per farla dormire e altre pillole per calmarle i nervi. Ma non c’erano medicine per il suo cuore o per il desiderio di trovarsi ancora tra le braccia di Zan. Il suo corpo le doleva, ma non per la malattia. Le doleva per il desiderio di essere toccata da Zan, per i suoi baci.

La domenica, svolse il suo turno come volontaria all’U.S.O., cercando il viso di lui tra la gente, tra i soldati che venivano per ballare con le ragazze del posto. Apriva le bottiglie di birra da servire ai soldati, mentre la musica del jukebox suonava nel locale pieno di fumo. Uscì un po’ prima e guidò fino al punto in cui l’aveva visto la prima volta.

Aspettò. Vide il sole arrossire nel tramonto, espresse un desiderio alla Stella della Sera e rimase incantata dal sorgere della luna. Sognando. Sperando. Contando ogni minuto, fino a che lui non fosse comparso. Poté quasi udire la sabbia del deserto cantare, quando i piedi di lui lo portarono dove lei lo stava aspettando. C’erano così tante cose che lei avrebbe voluto sapere e c’era così poco tempo.

Lui la osservò, stagliata contro la luce della luna. Il luccichio argentato della luce, nel buio della notte, si modellava contro la seta dei suoi capelli. Anche da quella distanza riusciva a vedere gli occhi di lei. Occhi che lo stavano cercando. Occhi pieni di domande. Trattenne il respiro, un’ ondata di gioia che gli pervase la pelle. Lei era bellissima.

Quella donna. Quella umana. Quella parte della sua anima. Gli anziani glielo avevano confermato, una volta che lui aveva rivelato loro l’esperienza avuta il primo giorno sulla Terra. Come poteva dirle quello che aveva saputo ed aspettarsi che lei capisse? E come avrebbe potuto lasciarla andare, ora che lui sapeva?

la forza improvvisa del piccolo corpo che volò tra le sue braccia, lo fece incespicare all’indietro.

"Sei qui." gridò lei con la voce piena di gioia. "Sei tornato."

"Come ti avevo detto." rispose lui, sorpreso dalla sfrenata esibizione delle sue emozioni.

"Bene. Allora andiamo." lei rise, afferrandogli la mano e tirandolo verso la macchina. "Andiamo a fare un giro."

Lui la seguì, ipnotizzato dal vento che giocava con le ciocche dei capelli di lei. Nessuna brezza del deserto avrebbe potuto raffreddare il fuoco che si stava accendendo nei suoi lombi. Si lasciò cadere nel sedile accanto a lei, prigioniero volontario, catturato dal suo sorriso. Si chiese se lei fosse lontanamente consapevole del potere che aveva su di lui. Che un bacio delle sue labbra avrebbe potuto mettere in ginocchio un Re. Aveva così tante cose da dirle e c’era così poco tempo.

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Capitolo 5

Una volta sulla strada, lei si voltò a guardarlo, aspettando pazientemente che lui cominciasse a parlare. Ma lui rimase in silenzio e lei avvertì il suo turbamento. I suoi occhi erano scuri come la notte che era scesa attorno a loro. Cautamente, lei tolse la mano dal volante e fece scorrere le dita sulla pelle di lui. Il fremito che le attraversò il corpo, a quel contatto innocente, la fece involontariamente rabbrividire.

"Se hai paura, forse dovresti lasciarmi alla caverna ed andartene." mormorò lui.

Sentì le dita di lei stringersi attorno alla sua mano.

"Non potrei farlo." gli disse. "E, anche se potessi farlo, non lo vorrei."

"Sai?" le disse lui, con voce solenne "Se lo facessi, sarebbe meglio per entrambi."

"Può darsi." rispose lei, calma. "Senti, io sono solo una ragazza di una piccola città. Fino alla scorsa settimana, la mia vita è stata molto normale e noiosa, a dir poco. Mi piace sapere che possa essermi successa una cosa bella come te."

Togliendo la mano, per scalare la marcia, lei fece fermare la macchina sotto le rocce. "Sì, un uomo alto, bruno e misterioso, che viene da un posto lontano." disse, voltandosi verso di lui con un sorriso sulle labbra.

Il silenzio continuato di lui la fece sentire frustrata, così gli batté una mano sulla spalla, fino a che lui non si voltò a guardarla.

"Aiutami, Zan." sospirò lei. "Per tutta la vita ho avuto delle strane sensazioni. In questo mondo, mi sono sempre sentita diversa, fuori posto. Come … "esitò "come se mi fossi persa, vagando, camminando tra molte vite. Non sono certa se queste vite appartengono a me o a qualcun’altro. E i miei sogni … sono tutti su qualcuno che mi chiama, che mi aspetta. Prima della scorsa settimana, il viso, nei miei sogni, era solo un’ombra."

Si fermò un momento, per aspirare una boccata dell’aria dolce della notte estiva e per prendere coraggio. "Ora quel viso appartiene a te. E sono le tue braccia che mi fanno sentire al sicuro, la tua voce che mi chiama. E’ come se sapessi che il mio viaggio attraverso questa vita è stato solo per trovarti."

Era evidente dall’espressione sul viso di lui, che le sue parole lo avevano toccato. Un barlume di malinconica sorpresa passò nei suoi occhi. Lui scese dall’auto ed andò dalla parte del guidatore, per aprirle la portiera. E, quando parlò, lo fece con una voce piena di dolore.

"Non sono sogni, Elizabeth, sono i tuoi ricordi." le disse, allungando le braccia e attirandola a sé. "Vieni con me alla caverna e cercherò di spiegarti, meglio che posso, quello che ti sta succedendo." le mormorò, alzando gli occhi verso le stelle, combattuto tra il desiderio di maledirle e quello di ringraziarle. Il cuore gli faceva male per la pienezza della vecchia conoscenza e del nuovo dolore, che gli anziani gli avevano procurato con la loro rivelazione.

Una volta dentro la caverna, lei notò che le gialle luci lampeggianti erano più brillanti. E, contro la parete più lontana, erano ammassate, una a fianco all’altra, piccole pile di esagoni metallici. Il dispositivo a forma di cono emetteva un ronzio costante, morbido e basso.

Al centro della caverna, c’erano anche quello che sembrava un piccolo divano ed un tavolo. Lei obbedì, quando lui le fece segno di sedersi, chiedendosi vagamente come avessero fatto ad arrivare lì quei pezzi di mobilia. Mise da parte quel pensiero, quando lui si sedette accanto a lei.

Lui si rese conto che tutto quello che doveva dirle non poteva essere espresso solo con le parole. Doveva farle vedere, non c’era altra scelta. Seppure dolcemente, lui le inviò un’ondata di ricordi che le toccò il cuore.

"Ti fidi di me?" le chiese, sollevandole il viso con la mano.

"Senza alcun dubbio." rispose lei e si sentì attratta dal falò dorato che erano diventati gli occhi di lui. Lei si sentì portare in un posto dove non esisteva più il tempo e il significato delle parole che facevano parte della sua vita, svanì.

Attraverso la connessione che lui aveva creato, cominciarono a fluire immagini – frammenti delle vite che lei aveva vissuto con lui, attraverso l’eternità. Avevano diviso sogni, speranze, bambini. Si erano amati ed erano morti infinite volte, solo per cercarsi e ritrovarsi ancora lungo le fragili sponde dell’infinito che dava asilo alla vera interezza dell’anima.

Quando lei si era persa, lui l’aveva ritrovata. Quando la sua solitudine aveva minacciato di consumarla, lui l’aveva confortata. Lui era stato la costante in tutti i momenti in cui lei aveva aspirato il respiro della vita. Il suo amore era l’unica cosa che lei poteva ricordare. Ora sapeva per certo che lui era la parte mancante della sua anima.

Quando interruppe la connessione, lui avvertì il respiro ansante di lei. Lei afferrò il colletto dell’uniforme che lui indossava, tirandolo contro di sé, mentre il suo corpo tremava contro il petto di lui. Lui sentì il cuore di lei battere furiosamente e le inviò velocemente un’ondata di rassicurazione, per calmarla. Fece scorrere le mani sulle esili braccia di lei, fino a che non la sentì rilassarsi ed avvertì il suo respiro tornare normale. Aveva gli occhi spalancati e lui poteva sentire che era ancora visibilmente scossa dalle immagini che aveva visto. Ma sentì anche la serenità e l’accettazione. Si preparò ad affrontare l’assalto di domande che sapeva sarebbe arrivato.

Lei si alzò e si portò dietro al divano, appoggiando la schiena alla grigia parete di granito per sostenersi ed incrociando le braccia sul petto. Lui non si mosse per seguirla, ma vide le sue spalle scuotersi ai silenziosi singhiozzi che stava cercando di nascondere. Quando parlò, lo fece con un filo di voce.

"Voglio solo che tu mi dica il perché." gli disse. "Se siamo destinati a stare insieme – se le nostre anime appartengono veramente una all’altra - se tutto quello che ho visto è vero – allora perché io sono sulla Terra, in forma umana e destinata a morire, mentre tu sei il Re di un altro pianeta, destinato a sposare qualcun’altra?"

Lui si fissò le mani – mani che appartenevano alla forma umana che lui aveva preso in prestito – mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime e la sua voce, quando parlò, si udì a malapena.

"Perché, Elizabeth … nell’Universo c’è un certo ordine, un grande schema per tutte le cose: e tu hai fatto una scelta, un grande sacrificio, nella nostra ultima unione. Hai scelto di venire sulla terra e di preparare la strada per me, per diventare in parte umano, nella nostra prossima vita. E quel sacrificio attraverserà anche questa linea di tempo, perché so che sei malata." disse lui.

"Allora, questa linea di tempo non conta, no?" ribatté lei. "Non siamo destinati a stare insieme?"

"Ci è stato garantito un piccolo lasso di tempo." rispose lui. "Una dispensa speciale dagli Anziani. Mi è concesso di usare questo corpo per sei ore, una volta la settimana. Ho scelto la domenica, perché è il più tranquillo dei tuoi giorni. Ma questo corpo non potrà sopportare più di trenta visite."

Lui fece una pausa e quasi crollò, dandole la notizia successiva. "C’è un prezzo che mi è stato chiesto di pagare per il tempo che mi hanno concesso di passare con te. Mi è stato proibito di guarirti."

Lui la guardò mordersi il labbro inferiore, mentre calcolava mentalmente le domeniche che erano rimaste.

"Sei mesi del mio tempo. Un mese di domeniche del tuo tempo." gli sussurrò, circondandogli il collo con le braccia. "Suppongo che dovremo farle durare una vita, allora."

* * * * *

 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Capitolo 6

Mentre la prendeva tra le braccia, lui sorrise mestamente nella fragranza dei capelli di lei, stupito dalla serenità con la quale lei aveva accolto le sue parole. Stupito dalla meraviglia che era semplicemente lei. Sarebbe stato abbastanza? si chiese. Una piccola quantità di ore. Il fantasma di pochi giorni preziosi. Sarebbero stati sufficienti a sostenerlo per la vita, che lo aspettava? Una vita senza di lei?

"Abbiamo l’adesso." gli sussurrò lei, quasi leggendo i suoi pensieri. "Solo l’adesso conta." Il tono della sua voce disse molto di più delle parole. Lui era il volto dei suoi sogni, solo che, questa volta, non sarebbe scomparso. Con lenta deliberazione, lei abbassò la testa.

"Baciami." disse con voce morbida che volò accanto alle orecchie di lui come il battere delle ali di un piccolo uccello.

La sua risposta fu un irregolare sospiro che si affrettò contro la bocca di lei, mentre lui le toccava le labbra, il suo respiro pesante del messaggio del desiderio. All’inizio, il bacio fu lento, poi la corrente crebbe, quando lei chiese di più, esplorando la bocca di lui con la lingua. Incapace di resistere, le labbra di lui si chiusero su quelle di lei, in un silenzioso voto di amore, mentre il desiderio crebbe velocemente attraverso il suo corpo.

Ogni pensiero che lei potesse aver avuto di restare una brava ragazza, morì in quell’istante, quando il lento ondeggiamento dei suoi fianchi, che si muovevano contro la crescente erezione di lui, le fece ribollire il sangue nelle vene, raccogliendolo nel punto in cui aveva più bisogno di lui.

"Ne sei sicura?" le chiese lui, la voce roca tra il breve spazio dei respiri, mentre faceva scendere le labbra lungo il collo di lei, sul mento, sul viso, alla ricerca di posti nuovi da baciare.

"Assolutamente." gli rispose lei, senza più respiro.

Lui si allontanò per un momento, notando la domanda che si affacciava nella profondità degli occhi scuri di lei. Con un gesto della mano, il divano divenne più grande.

Lui la guardò affascinato, mentre scioglieva i sandali e li sfilava. Lei sollevò le braccia, raggiungendo la nuca, per slacciare il bottone del vestito che indossava. L’indumento scivolò a terra, un’esplosione di fiori rossi e foglie verdi che ondeggiò lentamente, quasi che un vento invisibile lo avesse fatto volare via dal suo corpo. Con un veloce movimento delle mani, la sua biancheria intima si unì al bouquet di colori ai suoi piedi.

Lo guardò attraverso lo schermo delle sue ciglia, mentre si toglieva l’uniforme, ammirando le braccia poderose e il dorato bagliore della sua pelle sotto la luce gialla che luccicava sul suo ampio torace.

Quando la fece stendere delicatamente sul divano, lei lasciò che le sue dita tracciassero una linea sulla clavicola di lui … poi lungo la sua spalla e giù per la lunghezza del braccio. Poté sentire la pelle di lui rabbrividire sotto il suo tocco. E stava brillando, una scia argentata che pulsava e seguiva l’avanzare delle sue dita.

Una forza passò dentro di lei, una forza così potente, che sicuramente arrivava da lui. Lei stava brillando dal di dentro. Quando la mano di lui si chiuse sul suo seno e la punta del pollice le sfiorò il capezzolo, lei aspirò a fondo quella sensazione. E quando lui toccò la punta con la lingua, prendendolo finalmente in bocca e succhiandolo, lei gemette di piacere.

Gli occhi di lui erano diventati pozzi di indicibile oscurità, rivelando pagliuzze d’oro che brillavano come fuoco contro l’agata scura sotto le palpebre semichiuse, mentre passava il suo sguardo bruciante su tutta la nudità di lei. Non c’erano dubbi che lei fosse bella. La sua pelle era così morbida e amata dall’estate, abbronzata leggermente, come se il sole l’avesse baciata. Il suo piccolo viso era circondato dalla cornice dei suoi capelli luminosi e lei lo stava guardando con occhiate appassionate che danzavano sotto la cortina delle ciglia delicate.

Lei arrossì un po’, quando lui intensificò l’esame accurato del suo corpo e un pallido rossore le accese le guance. Lui era perso, completamente perso in un deserto di devozione per lei.

Anche lei lo esplorò, le mani calde e investiganti, mentre le faceva scorrere sopra il suo torace, sulle spalle forti e le braccia muscolose. Quando il corpo di lui diventò febbrile, lei si premette contro di lui e strofinò i capezzoli contro il suo petto, mentre la sua mano scendeva a chiudersi sulla sua rigida asta.

Senza esitare, lui chiuse a coppa la mano sopra il suo calore femminino, allargando con le dita i bordi della sua carne calda, scoprendo che era umida e pronta per lui. Tremò, tendendosi per tirarsi indietro e costringere se stesso a continuare ad accarezzarla.

Lei cominciò a muovere selvaggiamente la testa e ad agitarsi sotto di lui. "Ti prego, Zan, ti prego. Ho bisogno di te, adesso." lo supplicò.

Con un lungo gemito si spinse dentro di lei, riempendola in un improvviso assalto di dolore e di piacere. Quando si spinse dentro di lei, prendendo la sua innocenza e sostituendola con l’estasi, lei gridò ed insieme cominciarono il viaggio verso la mistica interezza. Ancora ed ancora, lui si spinse nel caldo della sua guaina di velluto, bruciando di un calore che era come il fuoco del Paradiso.

Le unghie di lei si infilarono dolorosamente nella sua schiena e lui gridò il suo nome. "Liz, Liz." Gli rispose l’eco delle dure pareti di pietra della caverna, mentre le sue mani si perdevano nel groviglio dei capelli di lei. Il suo controllo era scomparso. Lui doveva riprendere il comando e portarla sull’orlo dell’appagamento. Si spinse dentro di lei, poi si ritirò, poi si spinse ancora. Scosse l’’intera forma di lei col ritmo delle sue spinte … crescendo … al limite di … l’unico suo scopo la richiesta di soddisfarla.

Si strinse a lui gemendo di piacere, mentre il suo acme la inondava. Il respiro di lui uscì ansante dai suoi polmoni, quando il suo stesso orgasmo esplose e si scontrò contro la forza intensa della loro unione. L’assoluto piacere della stupenda affermazione del loro amore, gli aveva tolto il respiro.

I minuti seguenti passarono nel caldo ricordo e si riposarono, pensando entrambi alla strana serie di circostanze che li avevano portati a quel momento meraviglioso.

"Io sono una reincarnazione?" chiese lei, con un vago sorriso sulle labbra.

"Noi siamo stati destinati a stare insieme da sempre." rispose lui. "Suppongo che la reincarnazione sia un modo di descriverlo."

"Quanto tempo ci è rimasto, per oggi?" gli chiese lei, allacciando le dita a quelle di lui.

"Tra un po’ dovrò andarmene." le disse "Quando tornerò, la settimana prossima, saprò qualcosa di più sul perché dobbiamo trovarci in questa strana situazione. Ma, per ora, voglio solo pensare a te e a quanto ti amo."

* * * * *

Quando lei lo lasciò al loro punto nel deserto e vide allontanarsi in distanza i fari dell’auto, i suoi pensieri erano tristi e inquieti.

Sapeva che, quella notte, avevano diviso molto di più che un semplice atto d’amore. Ci sarebbero state altre notti, ma niente avrebbe potuto eguagliare quel primo momento di estasi che li aveva legati assieme in questa vita.

Era stata la scheggia di un raggio di luna, il sogno di desiderio. Luccicante come una ragnatela alla luce del sole, delicata, eppure forte. E lui aveva catturato l’essenza di lei nel ricordo di questa prima volta. Lo avrebbe avvolto in un bozzolo più soffice del sussurro della seta. E, nel buio, dove nessuno lo avrebbe visto barcollare o, nel silenzio, dove nessuno lo avrebbe sentito piangere, lui avrebbe camminato tra le rovine di questa vita e stringere il suo cuore contro il fragile interludio che lui solo avrebbe potuto avere teneramente a cuore.

Perché sapeva che non sarebbe durato. Lui aveva dato la sua parola d’onore di sposare un’altra. Con gli occhi della mente vide guerra e morte, e la salvezza del suo pianeta. Nemmeno l’amore stesso, avrebbe potuto liberarlo dei nemici che aspettavano il suo fallimento. Erano freddi e minacciosi e non si sarebbero fermati davanti a niente, pur di distruggere il suo mondo.

Mentre aspettava il risveglio del potere che lo avrebbe rilasciato da quel corpo umano e lo avrebbe fatto tornare a casa, i suoi bellissimi occhi erano risoluti e tristi. Due globi solenni, oscurati dai versi che il Destino aveva scritto sulle loro vite. Loro due erano legati per sempre dai legami d’oro del tempo, che incatenava le loro anime per l’eternità. Ma una parte di lui non riusciva a concepire l’idea di lasciarla morire.

Forse, sua madre avrebbe potuto dargli le risposte, pensò. Lei era saggia ed aveva studiato con gli Anziani.

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Capitolo 7

ANTAR, 1944

Entrando nel cortile, attraverso lo splendore dei soli della sera, la Regina Madre guardò l’Anziana seduta su una panca sotto il pergolato, abbellito dalle ombre che si muovevano tra le foglie fluttuanti. Se la situazione non fosse stata così seria, la scena l’avrebbe riempita di meraviglia. Invece, la sua mente era piena di una rabbiosa agitazione.

"Vostra Grazia." la salutò la vecchia donna, spostandosi di lato, per fare posto alla Regina. "Sedetevi, se volete, e parliamo di quello che vi preoccupa."

La Regina si sedette, gli occhi, pieni di assoluto candore, fissi in quelli della donna.

"Tu hai dato dei consigli a mio figlio" affermò, un’ombra di amarezza nella voce. "senza che io ne fossi a conoscenza."

"L' ho fatto, Maestà, dietro sua richiesta." rispose l’Anziana, chinando leggermente la testa. "E’ venuto da me dopo il suo primo viaggio sulla Terra."

"Ed è venuto da me stasera, dopo il suo secondo viaggio." ribatté bruscamente la Regina. "Non ho avuto altra scelta che dirgli la verità. E in questo momento, sta camminando avanti e indietro nei suoi appartamenti, alla ricerca di un modo per salvarla."

L’Anziana sospirò. "Il loro legame è forte. Più forte che mai. Ma lui deve capire che il sacrificio che lei ha fatto nell’ultimo ciclo, è stato una sua scelta. Se la sua essenza è stata inviata sulla Terra, è stato per un grande scopo. Lei ha scelto di scioglierlo dal loro legame per un ciclo, per far riunire le fazioni in guerra e stabilire un’alleanza con Khivar."

Incontrò lo sguardo della Regina, i suoi occhi scuri e tristi. "Se non ci sarà il matrimonio con Ava, se non ci saranno eredi, allora non ci sarà pace."

"So bene quello che è stato scritto, non hai bisogno di rinfrescare la mia memoria sul Destino." l’ammonì la Regina. "So che l’anima di lei dovrà custodire il Granilith fino alla morte di Zan e che poi loro saranno riuniti."

"E voi sospettate che lui non sia abbastanza forte da lasciarla andare? Da permettere la liberazione della sua anima?" chiese la vecchia donna. "Che lui la salverà e porterà il nostro pianeta sull’orlo del caos?"

Ci fu una pausa, prima che la Regina parlasse di nuovo. "Anche con il trattato, i nostri nemici cospireranno ancora contro di noi. La decisione di nascondere il Granilith agli Skins, non impedirà a mio figlio di morire prima del tempo. E, sinceramente, io temo per la sua vita."

L’Anziana annuì, e un ammonimento trasparì nella sua voce quando fece la domanda successiva. "Chi altri è a conoscenza dei viaggi di Zan sulla Terra per riassemblare il Granilith?"

"Solo tu, io, mia figlia Vilandra e Rath, il Secondo del Re." rispose la Regina. "E i quattro mutaforma al mio servizio."

"Siete sicura che non ci sia nessun’altro, Mia Signora? Perché … "la vecchia donna fece una pausa "se si venisse a conoscenza del fatto che Zan ha portato via il Granilith, il caos non basterà a descrivere quello che accadrà."

La Regina guardò l’Anziana con circospezione. "E se dovesse accadere, il futuro ne sarebbe cambiato? Il Destino sarebbe riscritto?"

"Io sono la vostra umile serva, Vostra Grazia." rispose l’Anziana. "Ma sarebbe saggio se voi aveste un piano alternativo nel caso si venga a sapere che Zan ha portato via il Granilith dal nostro mondo. Khivar non si fermerebbe davanti a niente, pur di distruggerlo. Di prendersi il suo regno e tutto quello che Zan ha caro."

"Ma tu mi hai promesso che Zan vivrà tutta la sua vita, che questo contratto di matrimonio con la sorella di Khivar, Ava, avrebbe riunito i nostri mondi." gridò rabbiosamente la Regina, alzandosi dalla panchina. "Mi hai dato la tua parola che, nel ciclo successivo alla sua rinascita, lui si sarebbe riunito con quella che ora è figlia della Terra."

La vecchia donna abbassò lo sguardo, il cuore che le doleva per la sua Regina. "E manterrò la mia promessa, anche se potrebbe essere alterata. Ci sono altri su cui ho dei sospetti. Tenete d’occhio vostra figlia. Mentre parliamo, lei è attratta dal campo dei nostri nemici."

"Non è possibile." disse la Regina, la voce strozzata. "Sta per fidanzarsi con Rath. Non tradirebbe mai la sua famiglia … il suo popolo."

"L’anziana studiò la Regina, stringendo gli occhi. "Non volevo intendere che avrebbe tradito qualcuno. Ma è innamorata di Khivar. Speriamo che, per la Principessa, sia solo una passione passeggera."

"Ma vorrei parlare con te di altre cose." continuò. "Ci potrebbe essere un’altra strada se la Monarchia dovesse cadere prima del tempo. Dovresti dare disposizione a tuo figlio di portarmi dei campioni di DNA umano, sia maschile, che femminile. Almeno due di ognuno. Una ciocca di capelli, un pezzetto di pelle."

Si avvicinò all’orecchio della Regina, la sua voce un sussurro. "Siete a conoscenza della clonazione? Dell’Ingegneria genetica?"

"Ne ho sentito parlare." rispose la Regina. "E’ veramente possibile che possiate ricreare un corpo umano e riempirlo con l’essenza Antariana? E farne vivere l’anima?"

"Tutto è possibile, Mia Signora." replicò l’Anziana in un sussurro. "Ma dobbiamo cominciare a preparare fin da ora. Se tra gli eventi ci sarà un colpo di stato, sarebbe saggio essere preparati."

"Vuoi dire se mio figlio incontrasse la morte prima del tempo?" chiese la Regina.

"Cerca i tuoi servitori più fedeli." le rispose "E garantiscimi una nave e tutti i materiali di cui potrei avere bisogno."

Improvvisamente, la Regina realizzò. "Il futuro è già stato cambiato. E’ per questo che mi stai dicendo queste cose. Il destino di Zan è cambiato."

"E’ così, Vostra Grazia. Ma non per mano mia." riconobbe l’Anziana. "Farò quello che posso per modificare quello che è stato cambiato. Ora dovresti andare a parlare con tuo figlio. Portami il DNA, una volta che te l’avrà consegnato. Nessuno dovrà sapere di questa conversazione. Nessuno."

La Regina lasciò il cortile, i pensieri tristi e profondi, come l’enorme distesa di acqua che poteva scorgere dal suo balcone. Scese le scale, entrò nella sua stanza e mandò a chiamare suo figlio.


* * * * *

Lei riposò nel santuario delle braccia di lui. Al sicuro, nelle profondità che una notte del deserto aveva riempito di profumo di cactus e di polverose ombre che scivolavano sopra il viso del suo amante, mentre lei gli tracciava la linea della mascella con le dita.

Lei ripensò a sua sorella e a come fosse preoccupata quando, quella notte, per la terza domenica di fila, sarebbe tornata a casa molto tardi. Forse avrebbe dovuto alleviare la mente di Claudia e spiegarle che c’era un ragazzo – un soldato della base. Sarebbe stata la cosa migliore da fare. Nessun segreto sarebbe stato divulgato e, forse, Claudia avrebbe smesso di farle la predica sul gironzolare nel deserto, così tardi, la notte, nelle sue fragili condizioni.

E, in piccola parte, lei avrebbe potuto dividere la sua felicità con qualcuno. Che lei, Elizabeth Miller, la più piccola delle ragazze di una piccola città, aveva finalmente trovato il suo vero amore.

Lui si accontentava solo di respirare. La strinse nel suo abbraccio, coprendola col suo corpo. L’incandescenza del loro amore brillava ancora sulla sua pelle. Lo svelto battito del cuore di lei, gli percuoteva dolcemente l’anima.

L’amore era così. Puro e bello. Ora capiva perché gli Anziani avevano regalato loro quei pochi giorni preziosi.

Aveva avuto l’intenzione di portare Elizabeth direttamente alla caverna e di parlarle dell’incontro con sua madre. Di darle le risposte e l’aiuto per capire quello che avevano davanti.

Invece, quando il loro desiderio di unirsi era diventato così grande, che nessuno dei due avrebbe potuto negarlo, erano finiti su una coperta, presa dall’auto e aperta in fretta sul terreno.

Tornato sulla Terra, non avrebbe potuto raggiungerla più in fretta. Una volta dentro il corpo umano, aveva praticamente fatto di corsa tutta la strada dalla caserma. Gli ci era voluto ogni briciolo del suo autocontrollo, solo per controllare, al cancello, quale sarebbe stato il suo turno di guardia. Per parlare con la sentinella del gruppo di nuovi aviatori arrivati alla base, di ragazze di città e di qualcuno chiamato Lucky Lager Beer.

Ostacoli di nessuna importanza che avevano sbocconcellato il loro tempo e rubato momenti fuggevoli che non avrebbero potuto essere rimpiazzati.

Quando, alla fine, raggiunse il posto in cui lei era solita aspettarlo, rimase affascinato da quello che lei stava facendo. Sul cofano della macchina, c’era una piccola scatola quadrata e lui la vide posare un disco piatto sopra una base circolare. Poi mosse un braccio metallico e lo posò sul disco, posò la mano su una piccola manovella al lato della scatola e la fece girare diverse volte.

La notte si riempì di musica che salì nell’aria e rimase sospesa sul calore della sabbia. Un suono dolce, che si librò attorno a lei, che l’avvolse e che, improvvisamente, divenne lei. Nei suoi occhi erano una cosa sola. La musica e la donna.

Lei prese il bordo del vestito da entrambi i lati e sollevò il tessuto fino a che raggiunse la lunghezza delle sue braccia. Poi cominciò a muoversi al ritmo della melodia. A danzare.

Lui fu affascinato dai suoi movimenti, dalla grazia fluida con la quale roteava – tirando all’indietro la testa – i capelli che le ricadevano sulle spalle e raggiungevano la base della sua schiena. Sussurrando contro il suo corpetto, sfiorandole le braccia, il viso, come seta. Tutti posti che lui moriva dal desiderio di toccare.

La voce di lei era nella sua mente e gli chiedeva di andarle vicino. Il suo cuore gli fece strada, mentre i suoi piedi lo seguirono. Lei aveva bisogno di lui e lui avrebbe risposto.

*Amami. Dammi il tuo amore ora. Domenica. Sempre. Per sempre.*

Lei evitò la sentinella nel cuore di lui con l’astuzia di un soldato. E lui non avrebbe potuto difendersi, anche se avesse tentato. Si arrese, completamente sconfitto da baci frenetici, arti allacciati e vestiti abbandonati a terra. Il loro legame era divampato. Fu selvaggio e disperato, quando avvolse i loro corpi e le loro menti. Consumandoli.

Sapendo che non avrebbe potuto aspettare oltre, si alzò riluttante dal pavimento di deserto.

"Ora dobbiamo andare alla caverna. Liz." le disse. "Ho tante cose da dirti."

* * * * *
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Capitolo 8

Un sorriso. Una cosa così piccola. Lui ne seguì il sentiero, mentre fluttuava sulle labbra di lei, increspandole la base del naso e costringendo le piccole lentiggini che erano lì, a danzare, per poi strisciare nei suoi occhi e illuminare la bellezza del suo volto.

Lei rimase in piedi nella luce pulsante che illuminava la parte posteriore della caverna. Il giallo dito di luce le scivolava sulla pelle come gocce di luce lunare. La sua ombra ondeggiò dolcemente sulla fredda parete di granito dietro di lei. L’immagine era così impressionante che lui fu sicuro lei stesse respirando per tutti e due.

Poteva sentir battere il cuore di lei, poteva sentire il leggero contatto della mente di lei contro la sua. Era abbagliato dai colori. Così vividi, così brillanti che dovette distogliere lo sguardo dall’impeto d’amore che lei gli stava inviando attraverso la loro connessione. Quando alla fine si rese conto che stava respirando di nuovo, le rivolse un sorriso. Ma lei si accorse che i suoi occhi erano pieni di dolore.

"Non essere triste, Zan." lo ammonì, facendogli segno di avvicinarsi e di sedersi sul piccolo divano. La caverna era fredda e lei rabbrividì un po’, quando lui le si sedette accanto. Non fu sicura se fosse stato per la temperatura o per l’espressione incerta sul viso di lui.

"Non dovevi dirmi qualcosa?" gli sussurrò contro la guancia, quando lui l’attirò a sé. Il calore del suo corpo penetrò nella pelle di lei. Fu come se lui avesse voluto il calore del sole da dividere con lei.

"E’ complicato." cominciò a dire lui, gli occhi resi più intensi da quello stato liquido cui si stava abituando, quando le emozioni si facevano intense.

Lei rise. "Questo sì che è sottovalutare!"

"Sì, suppongo di sì, considerate le circostanze." replicò lui, prendendo le piccole mani nelle sue e sollevandole per baciarne i palmi. Lei chiuse gli occhi, quando le labbra vagarono verso la punta delle sue dita ed avvertì l’umidità delle lacrime che seguivano i baci.

Lui le raccontò della sua vita. Il suo pianeta, come quello di lei, era afflitto dalla guerra, ma su una scala molto più larga. Non si trattava di due fazioni della popolazione di un pianeta che combattevano una contro l’altra, ma di cinque pianeti che si combattevano per il controllo del loro intero sistema solare e per il possesso del manufatto che ora era nascosto nei confini di quella caverna. Era stato portato via dalla Sacra Terra di Antar e trasportato sulla Terra, per metterlo al sicuro. Da mesi, ormai, piccole astronavi stavano portando gli elementi del manufatto.

"Allora, è per questo che ci sono stati così tanti avvistamenti di UFO negli ultimi mesi." commentò lei.

"UFO?" chiese lui.

"Oggetti Volanti non Identificati. (Unidentified Flying Objects.)" gli disse lei. "E’ così che li chiamiamo qui. Luci inspiegabili nei cieli, dischi volanti." Lui la guardò, chinando la testa da un lato, grattandosi con la mano dietro l’orecchio, con un’espressione perplessa sul viso. Che gesto umano, pensò lei fuggevolmente. Era qualcosa che, istintivamente, sapeva che avrebbe dovuto ricordare.

"E’ solo un nome per qualcosa che il nostro Governo non può completamente spiegare ai cittadini o per quando i nostri scienziati non sanno spiegare certi strani fenomeni." gli spiegò ulteriormente.

"Allora non potrebbero mai capire il Granilith." rise lui. "E’ un potere che va ben oltre la loro comprensione. Nemmeno io ne comprendo appieno lo scopo. Solo i Guardiani hanno accesso a questa informazione."

"Allora, perché sei qui?" gli domandò lei. "Perché sei tu che lo stai riassemblando? Perché non uno dei Guardiani?"

Lui cambiò leggermente posizione e le prese il viso tra le sue grandi mani. Sommerso dalle emozioni, pregando perché lei potesse capire. "Nessuno può sospettare che il Re si allontani dal pianeta." le sussurrò, scosso. "E c’è un Guardiano che mi sta aiutando." Posò la fronte su quella di lei – aprendo la connessione – mostrandole quello che sua Madre gli aveva detto.


L’improvvisa ondata di immagini la fece annaspare. Vide se stessa e l’Anziana discutere accalorate, accanto alla base di una struttura a forma di cono, che poteva essere solo il Granilith.

"Lui è il mio promesso sposo. Non può sposare un’altra." gridò lei. "Non lei … non Ava. Lei è la sorella del nostro peggior nemico."

"E tu sei una Guardiana." le rammentò l’Anziana. "Il tuo dovere verso il tuo popolo, deve venire prima di qualsiasi altra cosa."

"Dammi un momento per riflettere su quello che mi stai chiedendo, Anziana." rispose lei, rabbiosamente. "Tu mi stai dicendo che io devo morire ora, così che la mia anima possa rinascere e dimorare dentro un’umana? Poi, quando il Granilith sarà nascosto e al sicuro sulla Terra, l’umana che ospita la mia anima dovrà morire a sua volta?"

"Mi spiace, figlia mia, ma è questo il tuo destino." replicò la vecchia donna. "la tua anima dovrà essere libera per poter vigilare sul simbolo del nostro popolo. Non posso cambiare tutto questo."

"E che mi dici del mio amore? Di Zan? Non posso lasciarlo senza una parola di addio. Ti prego … " la supplicò la ragazza. " … Io devo parlare con lui. Lui deve sapere perché … "

"Non è possibile, mia Signora." le disse la vecchia indovina, un tocco di simpatia nella sua voce, mentre abbassava gli occhi. "Se il Re lo sapesse, non lo permetterebbe mai. La sua mente sarà cancellata – gli sarà fatto credere che Ava è la sua promessa sposa. Lui non si ricorderà di te."

"E come dovrò morire? chiese le, abbassando le spalle, con un sospiro di sconfitta. "Per mano tua o per la mia stessa mano?"

"Berrai questa pozione." le disse l’Anziana, rivelando una piccola fiala che stringeva nel palmo della mano. "Sarà svelta e indolore."

La ragazza prese la fiala dalla mano dell’Anziana, studiando il liquido argentato che c’era all’interno. Recuperò la sua dignità, raddrizzandosi per fronteggiare la vecchia donna. "In cambio del mio sacrificio, porrò una condizione." disse, la voce gelida.

"Non devi far altro che chiedere, mia Signora. Se sarà qualcosa che è in mio potere, la tua richiesta verrà soddisfatta." rispose dolcemente l’Anziana.

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Capitolo 9
*** 9 ***


Capitolo 9

Posò la mano sul petto della vecchia indovina … capace a malapena di trattenere l’energia che avrebbe voluto rilasciare. Non era giusto. Morire una volta per il dovere che aveva verso il suo popolo, sarebbe stato un onore, ma due volte? E perdere il suo amato, sarebbe stato un sacrificio ancora più grande. Non lo avrebbe fatto, senza la sua ricompensa.

"Giurami … sulla tua vita … che quando Zan avrà esalato il suo ultimo respiro, tornerà da me" la sua voce era piena di veleno. Le sue dita a pochi centimetri dal cuore dell’Anziana, mandarono una ragnatela di luce verde e argento, mentre faceva indietreggiare la donna contro la parete. "Giurami che manderai la sua anima sulla Terra, per cercarmi."

"Lo giuro, mia Signora." promise l’Anziana, sentendo vicina la sua morte, quando la mano della Guardiana cominciò a brillare. "Farò tutto quello che è in mio potere per riunirti con Zan." la vecchia donna sospirò di sollievo, quando l’energia diretta verso di lei cominciò a dissiparsi.

"Molto bene." rispose lei, sapendo che tutto doveva essere fatto molto velocemente. Prima che l’immagine di Zan potesse comparirle nella mente. Si rese insensibile contro l’impulso di correre via dalla porta della stanza, di andare a cercare il suo Re e di gettarsi nel dolce calore e nella sicurezza del suo amore. Aperta la fiala, vi posò le labbra, inghiottì il liquido e cadde tra le braccia dell’Anziana, che appoggiò il suo corpo sul pavimento.

Furono celebrate le preghiere di rito, una cerimonia un tempo molto onorata tra gli Antariani. La sua essenza fu rimossa dal corpo e posta in un piccolo contenitore. Pochi giorni dopo, quella che una volta era stata l’essenza della Guardiana, fu rigenerata nella bambina che sarebbe diventata Elizabeth Miller.

La bambina di Jesse e Louise, sorella di Claudia, figlia della Terra.


* * * * *

Lui la tenne stretta, quando la rivelazione penetrò nella mente di lei. Quando lei assimilò la realizzazione di chi e cosa era stata nella sua vita precedente. Lui poteva sentir scorre il sangue di lei, il sollevarsi e l’abbassarsi del suo petto premuto contro di lui. E qualcosa. Qualcos’altro. Distante. Il tintinnio delle catene dorate che li legavano. Un piccolo, debole avvertimento frusciò per l’Universo e gli perforò il cuore. Lui capì che era un presagio. Che la sua vita stava per essergli tolta. Respinse il pensiero nella parte più lontana della sua mente, scegliendo di concentrarsi solo sulla donna che teneva tra le braccia.

Era arrivato il momento che aveva più temuto. Il momento della verità. Avrebbe voluto proteggerla e darle speranza, ma non aveva nulla da darle. Gli occhi di lei divennero tristi, ma lei sorrise … di nuovo quel piccolo sorriso dolce. In quel momento di silenzio, lui realizzò quanto fosse coraggiosa quella piccola ragazza. Non solo nella sua vita precedente, ma anche in questa. La lasciò andare ed indietreggiò lentamente.

Lei era in piedi, davanti a lui, intrepida. Una donna che aveva affrontato il destino a viso aperto ed aveva perso. Non una volta, ma due, per la salvezza del Granilith. Lui si meravigliò del fatto che lei sembrasse quasi rilassata e felice della consapevolezza della propria infelicità, con i capelli sciolti attorno alle spalle, le braccia incrociate sul petto. Il suo viso era sereno, il suo respiro lento e regolare.

"Elizabeth." mormorò lui, allungando le braccia per attirarla a sé e stringendole le mani sulle spalle. Gli occhi di lui erano lucidi di lacrime, quando lei gli posò una mano sulla guancia. "Quando la tua anima avrà lasciato questo corpo, sarà compito mio porre la tua essenza nel Granilith."

"Lo so." le sussurrò lei in risposta, posandogli la testa contro la spalla e passandogli le braccia attorno al collo. In quel momento, si sentì al sicuro e al caldo, tra le braccia del suo Re. "Lo so."

* * * * *

Il tempo passò troppo in fretta, per loro. Luglio divenne Agosto, settembre sbiadì nell’Ottobre. Novembre accolse Dicembre con vento e pioggia che baciarono i giorni con selvaggio abbandono. Ventotto domeniche erano arrivate e passate. Il Granilith era stato riassemblato. Sia lei che Zan erano molto deboli. Lei per la malattia che le stava rubando la vita. Il corpo che Zan stava usando, diventava più debole ogni settimana, per il tempo che lui gli sottraeva.

Lei odiava litigare con Claudia ogni domenica. Mentre guidava verso il punto dove sapeva che lui la stava aspettando, i suoi pensieri tornarono a quella mattina.

"Liz, è pazzesco. Non puoi andare lì da sola. E se … ?" Claudia era scoppiata a piangere.

"E se dovessi morire lì?" aveva finito lei. "E cosa importa? Vorrei piuttosto morire nel deserto, sotto le stelle, che in un letto d’ospedale, attaccata a tubi e a vederti piangere."

"E’ per quel ragazzo." aveva detto Claudia rabbiosamente. "Quello che incontri ogni domenica. Ti mette idee folli nella testa."

"Claudia, ci sono sempre state idee folli nella mia testa. Questo lo sai." aveva riso lei. "Questi ultimi mesi, sono stati i più felici che abbia mai avuto."

"Ma, Liz, tu non sei in condizioni di guidare fino a lì." l’aveva supplicata Claudia. "Di stare fuori fino a tardi. Ti prego, ti prego, non andare. Se quel soldato ti ama veramente, dovrebbe avere il buonsenso di venire a casa. Santo Cielo, non vuoi nemmeno dirmi il suo nome!"

Lei aveva stretto Claudia tra le braccia. Compito non facile, visto che sua sorella era incinta di otto mesi. "Te l' ho già detto. Quello che lui fa è Top Secret. Non è autorizzato a lasciare la Base. Perché pensi che esca di nascosto ogni settimana?"

Claudia era arrabbiata, ma la sua rabbia svanì velocemente quando si rese conto che non avrebbe vinto quella discussione. Liz era di una testardaggine unica.

"Bene. Come pensi che potrò contattare questo ragazzo quando … quando tu … lo sai … quando tu te ne sarai andata?" le aveva chiesto Claudia, la voce attutita, come se avesse abbassato la testa.

"Lui lo saprà, Claudia." aveva mormorato lei. "Credimi, lui lo saprà."

* * * * *
 

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Capitolo 10
*** 10 ***


Capitolo 10

ANTAR, 1945

Lui era appoggiato rigidamente alla parete e stava guardando l’Anziana indovina passare da un bozzolo all’altro. Il DNA che lui si era procurato, dietro richiesta di sua Madre, era stato consegnato alla vecchia donna e il suo lavoro era quasi finito. Lui sapeva che ora stava aspettando il suo ordine per trasferire i piccoli corpi nei grembi artificiali. L’ultimo passo per completare il processo.

Eppure, lui non riusciva a darlo. Si staccò dalla parete per guardare le forme senza vita dei cloni progettati geneticamente. Erano repliche perfette di neonati umani. C’era stato qualche piccolo problema con il sangue, ma gli Anziani lo avevano rassicurato che non avrebbe interferito con la loro crescita e il loro sviluppo. I cloni avrebbero prosperato e, con il nutrimento e le cure da parte dei protettori loro assegnati, sarebbero diventati immagini speculari dei loro donatori adulti.

Per Vilandra, aveva scelto una bionda statuaria, un’infermiera che lavorava alla Base. Per il suo migliore amico e Secondo in comando, Rath, aveva scelto la sentinella all’ingresso, con la quale aveva stretto amicizia. Un ragazzo di nome Charles Dupree. Per Ava, se fosse stato necessario, una piccola ragazza dagli occhi azzurri che lavorava come stenografa. E, per se stesso, naturalmente, aveva scelto il DNA dell’uomo che, lui lo sapeva, lei avrebbe certamente riconosciuto.

La vecchia donna sembrò avvertire la sua esitazione. Raccolto il coraggio, lo guardò diretta negli occhi, per avere la sua attenzione.

"Diciamoci la verità, Vostra Altezza." gli disse pacatamente. "Mentre parliamo, i giorni stanno passando e le nuvole scure si stanno raccogliendo all’orizzonte. Se voi volete stare con la Guardiana, come deve essere, dobbiamo agire velocemente."

"Dimmi." chiese lui, la voce bassa e stanca. "E’ veramente possibile? Puoi assicurarmi che il tuo piano funzionerà? Che lei mi riconoscerà e mi amerà ancora, come mi ama ora?"

"Io non so tutto, Mio Signore. L’amore è solo una parte del viaggio." rispose la vecchia donna, lo sguardo addolcito, quando gli toccò il braccio. "Anche se voi ora non comprendete tutto e il vostro sentiero vi sembra oscurato dalle ombre, arriverà il momento in cui la nebbia si dissiperà. Anche dopo il tradimento e la fiducia spezzata in questa vita e nella vita che verrà. Voi vi riunirete."

Lui non le avrebbe creduto, non avrebbe riposto in lei la sua fiducia, se non fosse stato per la sincerità della sua voce e per la preghiera nel suo sguardo o per il potere rasserenante della mano che aveva posato delicatamente sul suo braccio.

"Fallo." le ordinò, i suoi stessi occhi colmi di una speranza, mentre si allontanava da lei. Sapeva, mentre lasciava la stanza dove i cloni erano in stasi, che la prossima volta che vi sarebbe entrato il suo corpo sarebbe stato senza vita. Solo allora sarebbe stato completato il processo. Il trasferimento della sua essenza Antariana nel corpo dell’umano clonato.

Ma, mentre il suo cuore era stretto da quella consapevolezza, era anche profondamente sereno. Ci sarebbe stata una rinascita. Molti passi erano stati fatti per rendere sicuro il suo destino. Qualcuno di quei passi era stato forgiato dall’amore. Da sua madre, dall’Anziana e dalla sua amata. Qualcuno era stato dettato dal tradimento, dalle bugie e dall’inganno. Da sua sorella, da Khivar. Il fratello della sua promessa sposa.

Il suo sentiero era stato tracciato e nemmeno il potere che deteneva come Re, non avrebbe potuto cambiare il corso del destino che era stato scritto per lui. O per Elizabeth. Il suo passo era svelto, mentre si faceva strada verso il dispositivo che lo avrebbe trasportato sulla Terra. Da lei. Il cuore di lei era la sua casa, l’anima di lei era il falò che lo chiamava.


* * * * *

Lo stava aspettando nella vecchia Ford. Il freddo della notte di gennaio passava dal finestrino e si strofinava contro la sua pelle, facendosi strada nelle sue ossa. Lei rabbrividì, stringendosi il giacchetto. Lui avrebbe portato, nelle sue mani, il calore del sole. Il tocco di lui l’avrebbe aiutata a portare avanti quel po’ di vita che era rimasta in lei.

Per un unico momento, lei chiuse gli occhi. Era così stanca. Sotto la coperta, fece scorrere le dita sulla seta del suo vestito, anticipando la reazione di lui. Le ci erano voluti giorni per farlo, col tessuto di un vecchio paracadute che non poteva più essere usato. In tempo di guerra, la seta era molto difficile da trovare e, al suo tocco, lei si sentì ricca e seducente.

La reazione di Claudia era stata meno che stellare, sebbene l’avesse aiutata a cucire il vestito e le avesse spazzolato i capelli, prima di aiutarla a salire sull’auto.

"Ti voglio bene, Liz." le aveva detto Claudia, mentre lei saliva in auto. "Anche se non capisco perché tu debba sottoporti a questa tortura per … lui. Io rispetto i tuoi desideri … ma … "

"No, Claudia." aveva risposto lei. "Lui ha bisogno di me, lui ha bisogno che gli dia quel po’ di forza che mi è rimasta."

Claudia aveva aggrottato le sopracciglia, poi aveva scrollato le spalle, sconfitta. "Aspetterò, allora." le aveva detto, sfiorando la guancia di Liz con le labbra. "Fino a che non sarai tornata a casa."

Aprì gli occhi al rumore della portiera dell’auto che si apriva dalla parte del passeggero. Lui entrò. Alla fine, lui era lì. Lei rimpianse di aver mancato il suo arrivo. La vista di lui che si avvicinava, era sempre stata una delle sue più grandi gioie.

Lui la vide voltarsi verso di lui e, quando le labbra di lei, umide e morbide, si posarono sul suo viso, la sua espressione si aprì in un sorriso di benvenuto per lei. Avvertì il tremito del suo fragile corpo e della sua stessa mano, quando le accarezzò i capelli. Si separarono riluttanti e lei mise in moto la macchina, entrambi chiusi nel silenzio che avevano dentro. Il panorama fuggì dietro di loro, quando lei accelerò. Una nuvola di sabbia si alzò dietro di loro, dalla strada del deserto, mentre si dirigevano a tutta velocità verso Vasquez Rocks.

Lui la sollevò delicatamente dal sedile dell’auto, stringendole attorno la coperta, e si arrampicò sul sentiero, diretto all’entrata della caverna. Il suo cuore si strinse, quando lei gli poggiò il viso sulla spalla, il calore del respiro che gli sfiorava la gola. Lei sembrava non pesare nulla, tra le sue braccia e lui la strinse ancora di più, quando la luce gialla che pulsava nella stanza diede loro il benvenuto.

"Ora puoi mettermi giù, Zan." gli disse lei, gli occhi posati sul Granilith. Avevano finito di rimetterlo insieme la domenica precedente e lui era grato che, quel giorno, sarebbe stato solo per loro. La posò in terra, gli occhi che seguirono i movimenti delle mani di lei, mentre toglieva la coperta e allungava la mano per toccare il manufatto.

Mai, in vita sua, aveva vissuto un momento così squisito. Piccole scintille di luce gialla creavano forme contro la cortina della notte che erano i suoi capelli, Il vestito bianco che indossava era fatto di seta traslucida che accentuava ogni curva, ogni contorno del suo corpo. Brillava contro la sua pelle, quando lei si mosse per andare verso di lui, la sabbia che le scivolava sotto i piedi e sfiorava l’orlo del vestito.

Lui riuscì a muoversi a malapena – no, a respirare a malapena. per quanto desiderasse gettarsi tra le braccia di lei, cercò di trattenersi. Una profonda parte di lui sapeva che lei gli stava offrendo un dono. Lui poteva sentirlo, vederlo nello scuro fumo che danzava negli occhi di lei. Lei gli stava offrendo un rapido sguardo nel passato e un ricordo per il futuro. Rimase in silenzio, mentre lei si avvicinava, aspettando che parlasse.

"La morte è una ladra, lo sai." gli sussurrò, posandogli la mano su una guancia. "Ma non le permetterò di rubarci questa notte. Questo posto … questo momento nel tempo. Il ricordo di questo momento si protrarrà negli anni e ti riporterà da me, ancora una volta."

In un impeto di panico assoluto, lui l’attirò a sé, la mente che si ribellava contro l’inevitabile. Non poteva farlo. Non avrebbe potuto lasciarla morire. Lei significava tutto, per lui. Più del suo pianeta, più del suo popolo, più della sua responsabilità come Re.

"Elizabeth, ti prego … " la supplicò "Lascia che sistemi tutto. Lascia che ti guarisca. Troverò un modo per stare insieme … Troverò altri corpi. Non Max’ interessa quanti dovrò usarne." I suoi occhi erano pieni di lacrime. Sapeva che era sbagliato, ma se lei gli avesse detto di sì, lui avrebbe abbandonato tutto, per lei.

Lei ci pensò per un istante, poi mise da parte l’errante pensiero. E lo baciò. La sua bocca, le sue guance, il suo naso. Sentì il sapore delle lacrime che aveva sulle ciglia, quando gli baciò le palpebre. Avvertì il momento in cui lui si arrese. Quando il nodo di paura che lui aveva dentro si sciolse, lei aprì la connessione e lui precipitò nel santuario dell’anima di lei.

Lui poté sentire il battito erratico del cuore di lei, la febbre liquida che correva nelle sue vene, come un veleno. Senza pensarci, posò due dita sulla pulsazione del collo di lei. Cominciarono a brillare, quando le inviò una piccola quantità di energia risanatrice nel corpo.

La sentì tendersi, la piccola mano di lei che lo spingeva via, mentre si scioglieva dal suo abbraccio. "Non farlo … " gli disse, con la voce scossa. "Non portarmi via questo momento."

"Mi dispiace." rispose lui, la voce piena di vergogna per il suo gesto impulsivo. "E’ solo che … è difficile da sopportare, qualche volta."

Mentre parlava, incontrò lo sguardo di lei e poté vedere la sua immagine riflessa nelle lacrime. "Tu sei così bella .. e il tuo vestito è così grazioso … e io ti amo così tanto."

"Ti piace il mio vestito?" gli chiese, con gli occhi che le brillavano. "L' ho fatto per te." fece una piroetta, deliziata dallo sguardo che lui le rivolse, quando si fermò. Gli occhi di lui, solo un momento prima pieni di lacrime, erano scuri e trasparenti, lampeggianti di piccole faville d’oro.

"Tu sai cos’è un corredo da sposa?" gli chiese lei.

Lui scosse la testa." No, dimmelo." rispose lui.

"E’ una tradizione per una ragazza, qui sulla Terra." gli spiegò. "E’ un baule che contiene l’abito da sposa e piccole cose che le serviranno in futuro. Per mettere su casa, per i suoi bambini, una volta che avrà trovato l’uomo della sua vita."

La sua voce divenne morbida, mentre si avvicinò a lui. "Io non ho mai avuto un corredo, perché ho sempre saputo che non ne avrei avuto bisogno. Così, per i pomeriggi delle Domeniche, ho cucito questo vestito, con il tramonto e la polvere delle stelle. L' ho cucito con l’amore, con le lacrime, con i sogni, con la magia di tutti i desideri che ho espresso. E’ il mio vestito da sposa, Zan … quello che ho indossato mille anni fa e quello che indosserò nell’altra vita, quando ti avrò al mio fianco."

Lui non poté risponderle. Avrebbe voluto gridare contro l’ingiustizia dell’Universo. Gridare nella notte, contro l’assoluta ironia di tutto quello. Invece, la prese e coprì la sua bocca con un bacio di fuoco, che li fuse insieme. Il corpo di lei ondeggiava contro di lui e la fiamma che lui aveva acceso sulle sue labbra gli corse per la spina dorsale, accendendolo di desiderio.

Si spostarono sul piccolo letto, dove avevano fatto l’amore tante volte. Con movimenti gentili, le tolse il vestito, ripiegandolo con cura e meravigliandosi della consistenza del tessuto. Morbido e delicato, come il corpo di lei. Eppure, forte come l’acciaio, come il suo spirito. "Indossalo di nuovo per me, la prossima settimana." le sussurrò, mentre si toglieva l’uniforme e si stendeva accanto a lei.

Posò la testa nella valle dei suoi seni, le mani che vagavano sulla deliziosa distesa della sua pelle cremosa, la lingua che le circondava i capezzoli e poi scivolava su, alla ricerca della sua bocca. Lui aprì la connessione con una forza ed una lucidità che li sorprese entrambi. Aveva bisogno di ricordare. Voleva che lei non dimenticasse. Scavalcò il precipizio tra i due mondi, dipingendo immagini nella mente di lei; le dita che le accarezzavano la pelle come pennelli, mentre le passava sul suo corpo; il suo amore che si mescolava in tinte e colori così belli, da toglierle il respiro. Lei divenne tela sotto di lui, quando lui le posò il palmo della mano sul bocciolo acceso di passione. Le dita di lui si fermarono un momento sulle labbra intime, prima di aprirle ed infilarsi dentro di lei e sentire le sue pareti inghiottirlo.

Lei volò ad ogni singola spinta. Come un uccello ferito che, in qualche modo, trova la forza di alzarsi in volo per l’ultima volta, lei allargò le ali. Lui si curvò contro di lei come un arcobaleno, spronandola … il suo respiro, il vento, il suo amore che la spingeva verso il cielo. Lui stava incidendo il ricordo di lei nella propria pelle, nei suoi occhi pieni di tempesta, nella linea della sua mascella. Si mosse dentro di lei, chiuso nel fodero del suo umido calore.

I loro corpi cominciarono a muoversi senza pensieri coscienti … senza controllo … ognuno di loro che non voleva interrompere la connessione che li fondeva insieme, corpo e anima.

Lei si librò in alto, il corpo vibrante di amore. Lui la rese libera e lei spiccò il volo fino raggiungere il blu del cielo scuro, mentre rabbrividiva sotto di lui. Le stelle fecero brillare le loro candele, l’arcobaleno divenne sentiero percorso dal tramonto e colline di ametista. La passione di lui si intensificò quando lei raggiunse l’orgasmo. Lui si mosse più svelto … più forte … fino a bruciare dentro di lei, seguendola, mentre tornava sulla Terra.

Alla fine, rimasero in silenzio, coperti solo dalla pulsante luce gialla e dalla consapevolezza che quei preziosi momenti avrebbero potuto essere gli ultimi.

Rimasero abbracciati, l’uno all’altra, fino a che non fu il momento di andare.

"Abbiamo ancora domenica." gli aveva detto lei, dandogli il bacio di addio.

"Non è abbastanza." aveva risposto lui, mentre l’aiutava a salire in macchina, le sue dita che brillavano leggermente, mentre le carezzava la vena pulsante sul collo. Aveva voluto così tanto … preteso così tanto da lei.

"Lascialo." gli aveva detto, quando lui aveva cercato di mandare via il segno. Il segno dove le sue dita avevano mandato la piccola ondata risanatrice.

Lui attese fino a che la macchina non si fu allontanata, inghiottita dal deserto, prima di avviarsi verso la base. Lui sapeva. Poteva sentire l’ombra che si stava allargando nel suo cuore. Avrebbe dovuto pagare per quella trasgressione … per aver cercato di guarirla. In quella vita o nella prossima.

* * * * *
 

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Capitolo 11
*** 11 ***


Capitolo 11

ANTAR, GENNAIO 1945

"La notizia è trapelata, mio Signore." gli disse l’Anziana, lo sguardo che si alternava tra lui e la Regina Madre. "I nostri nemici sanno che il Granilith è stato trasportato sulla Terra."

Lui si mise in allerta all’istante. Vide abbassarsi gli occhi di sua madre, ma non prima di avervi scorto uno sguardo pieno d’angoscia. "Vilandra?" chiese lui, pregando che non fosse così, ma sapendo, dentro di sé, che sua sorella li aveva traditi. Era furioso.

"Dov’è lei?" tuonò la sua voce. "Voglio vederla."

"Ha scelto di rimanere con Khivar, Vostra Maestà. "rispose la vecchia indovina. "Non sappiamo dove sia."

"Quanto sa Khivar?" chiese lui . "Quanto gli ha detto?"

Sua madre sollevò gli occhi e a lui si spezzò il cuore. "Sa che la Guardiana è sulla Terra e che la sua essenza sta per essere posta nel Granilith." gli disse con la voce roca. "Ma non ne conosce la collocazione, né il nome della donna della Terra che è stata scelta."

Lui camminò avanti e indietro davanti alle due donne, cercando di controllare la sua rabbia, cercando disperatamente di porre rimedio la tradimento, che ora, aveva cambiato tutto.

"Cosa si può fare?" chiese, timoroso della risposta.

"Non possiamo più porre l’essenza della guardiana nel Granilith." gli disse l’Anziana, in tono cauto. "la sua anima deve essere nascosta e il Granilith deve restare silente. Se trasferissimo il suo spirito in questo momento, creeremmo per i nostri nemici una facile traccia da seguire."

"Dimmi cosa devo fare." sospirò, rassegnato. Il dado era stato tirato e lui tremò, quando la vecchia donna gli rivelò il piano per salvare le speranze fatte a pezzi dal tradimento di Vilandra.

"Per prima cosa, Vostra Maestà … " cominciò l’Anziana "dovete sposare Ava. Ci deve essere una parvenza di unità tra la vostra casa e quella di Khivar. Questo riuscirà a soffocare le discordie che minacciano il trono. Per il momento. E, subito dopo il vostro ritorno dalla Terra per l’ultima volta … voi dovreste … " il suo tono cambiò drammaticamente. Lui seppe allora che lei era al corrente del suo tentativo di guarire Elizabeth. La guardò negli occhi, quando riprese a parlare.

Nel bilancio patrimoniale della sua vita, rimanevano solo due cose.

All’attivo: la sua anima. Sarebbe stata salvata e nascosta.
Al passivo: la sua trasgressione. E l’obbligo del pagamento.


* * * * *

"Sceriffo Valenti?" Claudia lo guardò silenziosamente, quando lui si fermò sulla soglia della porta. I suoi occhi erano abbassati, mentre voltava lentamente lo Stetson tra le mani.

"Claudia … " disse lui. Odiava essere il messaggero di cattive notizie.

"Dove? Dov’è? E’ … " singhiozzò Claudia.

"E’ morta, Claudia." disse lo Sceriffo. "L’abbiamo trovata questa mattina, vicino a Pohlman Ranch."

Claudia annuì, asciugandosi le lacrime col dorso della mano. "Era quello che voleva, sa? Che succedesse nel deserto … sotto quelle stelle che amava tanto."

"Devo chiederti qualcosa, Claudia." disse lo Sceriffo, offrendo il fazzoletto alla donna sconvolta. "Quando si è fatta il tatuaggio Elizabeth?"

"Un tatuaggio?" chiese Claudia. "Non ne ho idea. Dov’è?"

"Sul collo." rispose lo Sceriffo. "E’ argentato … ed ha la forma di una V perfetta."

"Devo vederla." disse Claudia. "Mi porterebbe da lei?

"Naturalmente." rispose lo Sceriffo. "L’abbiamo portata all’obitorio. Sono certo che avrai bisogno di prendere accordi e tutto il resto … " la sua voce si affievolì.

"Mi lasci solo prendere la borsa." rispose Claudia. " e … aspetti … ho bisogno di trovare le istruzioni."

"Le istruzioni?" chiese Valenti.

"Sì. Elizabeth mi ha lasciato una lettera." disse Claudia, la voce rotta. "Ora posso aprirla … ora che lei se ne è andata."

Lo Sceriffo Valenti attese pazientemente che Claudia raccogliesse le sue cose. La tenne un momento tra le braccia, per calmare il suo pianto, poi la condusse alla macchina di servizio e si diressero verso l’obitorio.

* * * * *

Lui non era mai stato a Roswell. Tutti quelli che erano alla base avevano saputo della morte di Elizabeth ed erano andati al suo funerale, il giovedì precedente. Dupree era stato così gentile da accompagnarlo in città, perché anche lui potesse renderle omaggio.

"Sei sicuro che non vuoi che ti aspetti?" gli aveva chiesto Dupree, lasciandolo alla periferia della città. "E’ un bel po’ di strada fino alla Base."

"No, grazie." aveva rifiutato. "Non importa."

Camminò sulla strada polverosa che portava al cimitero. Una volta lei gli aveva detto dove avrebbe potuto trovarla, quando fosse venuto il momento. Il palmo della sua grande mano richiudeva un piccolo fiore, raccolto in un cespuglio che era lungo la strada. Racchiudeva il profumo di lei. Rose. Così le aveva chiamate. Si sarebbe dovuto ricordare delle rose. A lei sarebbe piaciuto.

Claudia guidò lentamente per la strada polverosa, cercando ancora di elaborare quello che Elizabeth le aveva rivelato nella lettera. Non era che non volesse credere a quello che sua sorella le aveva raccontato a proposito dell’uomo che amava, ma sapeva che era tutta una fantasia. Qualcosa che Liz aveva inventato negli ultimi giorni di vita per aiutarsi a venire a patti con la consapevolezza della sua morte, ormai prossima. Gli alieni non esistevano.

Claudia aveva seguito quelli che erano i desideri espressi da Elizabeth nella lettera. Il funerale, l’iscrizione sulla lapide, essere sepolta col vestito che lei aveva ricavato dal paracadute. Era il suo vestito da sposa, le aveva detto. E il suo sudario. Ora avrebbe fatto l’ultima cosa che Liz le aveva chiesto. Il poscritto ancora le bruciava nella mente.


P.S. La domenica dopo il mio funerale, al tramonto, vai alla mia tomba. Lui sarà lì. Ti prego, aiutalo.
Con amore,
Elizabeth.



Quando uscì dalla macchina, Claudia si schermò gli occhi contro sole del tramonto. Era quasi al temine della gravidanza e si fece strada attentamente tra le lapidi che marcavano i luoghi di riposo di esseri amati. Fu allora che lo vide. Il giovane soldato di Elizabeth. Era inginocchiato accanto al piccolo pezzo di terra dove sua sorella riposava, finalmente in pace. Una piccola rosa dondolava dalle dita della sua mano sinistra, mentre con la destra stava carezzando l’ iscrizione sulla pietra.

Elizabeth Ann Miller
29 maggio 1923 – 15 gennaio 1945
Non sarò mai molto lontana.
Per trovarmi, segui il tuo cuore.


Mentre Claudia si avvicinava, lui si alzò in piedi, posando la rosa sopra la pietra di marmo e indicandole che si era accorto della sua presenza con un cenno della testa. Lei si avvicinò all’uomo che sua sorella aveva amato e, in quel momento, seppe che anche quello straniero aveva amato sua sorella.

Erano i suoi occhi ad essere così persuasivi. Così pieni di emozione. Lui stava cercando disperatamente di nasconderlo, ma lei riuscì a vedervi il dolore. Il dispiacere di un amante che era stato profondamente ferito dalla morte di sua sorella. Vide le sue pupille dilatarsi – le iridi screziate d’oro, circondare le lacrime che minacciavano di uscire dalle profonde ferite del suo cuore spezzato.

"Ciao, Claudia." le disse, salutandola. "Vorrei che ci fossimo conosciuti in circostanze differenti."

La sua voce era ricca e rassicurante. Claudia cominciò a capire perché la sorella fosse stata affascinata da quell’uomo. Era alto e molto bello. Tutto quello che Elizabeth aveva sognato, una ragazza che desiderava ardentemente il suo primo e unico amore.

"L’hai amata molto, vero?" chiese Claudia.

"Più che la vita stessa. Lei è la mia anima gemella." rispose lui dolcemente.

"Mi ha lasciato una lettera, sai?" disse Claudia, infilando la mano nella borsa per prenderne una busta. "Mi ha scritto che tu sei … che sei un … un … "

"Alieno?" disse lui sorridendo e cercando di alleviare la tensione che poteva sentir crescere dentro di lei.

"Sì." Claudia rise nervosamente. "Elizabeth era dotata di una vivida immaginazione."

Lui allungò la mano per toccare quella di lei e la lettera cadde a terra. "E se io ti dicessi che è vero … tu mi crederesti?" le chiese.

Claudia sentì un formicolio salirle lungo il braccio, fino alla spalla. Sentì le dita di lui sfiorarle il cuore e, quando sollevò lo sguardo e lo guardò, lo guardò veramente - lei seppe - proprio come sua sorella aveva saputo prima di lei. Lui non era umano. Oh, il suo corpo lo era … ma la sua anima era aliena.

Lui stabilì velocemente la connessione, prima che lei avesse la possibilità di tirarsi indietro. In quell’istante, lei vide tutto. Visse la vita di Elizabeth. Visse anche la vita di lui. Attraverso le immagini, capì finalmente perché lui avesse così disperatamente bisogno di aiuto.

Facendola avvicinare, lui posò la sua mano sul ventre rigonfio. "Poiché la sua essenza non può essere posta nel Granilith, lascerò la sua anima in tua custodia." le sussurrò all’orecchio. "E il figlio che hai in grembo continuerà a tenerla al sicuro fino a che io non la troverò di nuovo. Mi capisci?"

Claudia poté solo annuire, fissando stupita la sua mano che cominciava a brillare. Come una foschia … piccoli fili d’argento cominciarono a percorrere la sua pelle, ad entrare nel suo grembo, dov’era il suo piccolo. Quando fu tutto finito, un quieto calore la avvolse. Lui le avvolse le braccia attorno e lei lo strinse, mentre lui singhiozzava. Questo straniero … questo essere straordinario, proveniente da un altro mondo, che aveva amato sua sorella così profondamente che nemmeno la morte avrebbe potuto tenerli separati.

Quando il suo pianto cominciò a placarsi, lei lo lasciò andare e lui la baciò su una guancia. "Ora devo cancellare la tua memoria." le disse. "Non posso lasciarti in pericolo con la conoscenza del Granilith o della sua Guardiana. E la lettera. Deve essere distrutta." Lei seguì la sua mano che passò sopra la busta e sul suo contenuto, facendola svanire sotto i suoi occhi.

Poi le posò la mano sulla fronte per finire la pulizia, ma fu fermato quando la mano di lei gli afferrò il polso. "Come farò a sapere quello che devo fare," gli chiese "se tu non mi lasci qualche informazione?"

"Elizabeth mi ha già lasciato una traccia." disse lui, indicando la grigia pietra di marmo. "Io seguirò il mio cuore."

"Allora, fai quello che devi fare." gli disse Claudia. "per te e per mia sorella."

Lei avvertì di nuovo il formicolio, mentre tirava indietro la testa … piccole scintille fluttuarono dal palmo di lui sulla sua fronte. "Che cos’era?" gli chiese.

"Un tenue ricordo. Ci incontreremo ancora, Claudia Parker." rispose lui, cominciando il processo che le avrebbe fatto dimenticare quello che era successo tra loro. Lei cadde pesantemente contro di lui, che la depose delicatamente accanto alla tomba di Elizabeth.

Claudia si svegliò prima che si facesse buio. Era stata veramente una settimana molto triste. Ricordò di essere venuta al cimitero al tramonto e di aver pianto fino ad addormentarsi. Strano, pensò, che non ricordasse di aver portato la solitaria rosa bianca che era posata sulla tomba di Elizabeth.

Fine.

* * * * *
 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Epilogo

ANTAR, GIUGNO 1947

La vecchia donna cominciò il trasferimento finale. Dopo che Khivar era entrato nel palazzo, uccidendo tutti quelli che gli si opponevano i corpi del suo giovane Re, della sua sposa, di sua sorella e del suo secondo, erano stati portati da lei perché li preparasse per la sepoltura.

Lei posò la mano sul cuore del suo Re, estraendo la sua essenza, come aveva fatto con gli altri tre prima di lui. Con grande tenerezza, rilasciò la sua essenza nel bozzolo, osservando mentre si trasferiva nel clone. All’inizio, si era rifiutata di ricreare Ava, ma la Regina Madre le aveva fatto notare che tutto era stato predisposto per una squadra di quattro persone e che quattro sarebbero stati mandati sulla Terra, nel caso i loro nemici avessero scoperto che i Reali erano stati clonati.

Disse una preghiera, mentre i mutaforma portavano i bozzoli sulla nave. Avvertì un brivido di trepidazione quando l’ultimo dei quattro protettori la salutò, poi sorrise, chiudendo il portale di carico del piccolo vascello.

I mutaforma non sorridevano. A meno che … a meno che non stessero per tradirti. Cadde in ginocchio sul pavimento, devastata, chiedendosi quanto Khivar avesse scoperto, prima di ucciderli tutti. Compresa sua sorella. Qualcosa era andato storto. Doveva avvertire la Regina.

La nave si sollevò in silenzio. In silenzio come l’assassino che le infilò un coltello nella schiena.


* * * * *

TERRA, MAGGIO 1983

Claudia Parker era seduta nella sala d’aspetto dell’ospedale, guardando suo figlio Jeff fare avanti e indietro sul pavimento. Dannatamente nervoso ma, nonostante tutto, estatico. Ripensò al giorno in cui era nato. 21 febbraio 1945. Proprio poco dopo la morte di sua sorella. Elizabeth. Anche dopo tutti quegli anni, le mancava. Il suo brillante sorriso, il suo amore per la vita, la sua incrollabile fede nell’amore.

Era stato dopo la morte di sua sorella che il suo amore per il deserto e tutte le cose viventi, le aveva fatto prendere la decisione di diventare un’archeologa. Era assorta nei suoi pensieri, quando la voce di Jeff la riportò al presente.

"Mamma, mamma. Abbiamo una bambina. Abbiamo una bambina!" gridò, gli occhi lucidi di lacrime. La sollevò da terra e la fece girare. "Ora sei diventata una nonna. Lo sai, vero?"

"Certo che lo so." replicò Claudia quando la posò di nuovo a terra. "Avete già deciso il nome? E quando posso vederla?"

Jeff la prese per mano. "Mamma, io e Nancy ne abbiamo parlato e ci siamo chiesti se ti avrebbe fatto piacere che la chiamassimo Elizabeth. Sai? Come tua sorella."

Claudia sorrise a suo figlio. "E’ meraviglioso, Jeff. Credo che sia un nome perfetto." gli sussurrò.

* * * * *

OTTOBRE 1999

Max Evans non era sicuro di quello che avrebbe dovuto fare. Si era già scontrato con Kyle Valenti all’ospedale e non voleva attirare altra attenzione su se stesso, dopo essere stato picchiato dagli amici di Kyle.

La nonna di Liz stava male. E, anche se aveva salvato la vita di Liz quel giorno, al Crashdown, manipolando le molecole del proiettile, non credeva che il suo stato di extra terrestre, lo qualificasse come qualcuno che potesse guarire un ictus. Liz era andata a chiedergli aiuto e lui le aveva detto che non era Dio.

Ebbene, forse non era Dio. Ma se c’era un modo di lenire il dolore che Liz stava provando, lui doveva trovarlo. Lui amava Liz. Lo sapeva con ogni battito del suo cuore, con ogni sorriso che lei gli faceva. E si fidava di lei come di nessun’altro. Anche se non sarebbero mai potuti stare insieme per la loro … differenza … era determinato ad aiutarla a dire addio a sua nonna Claudia.

Ora, seduto accanto alla donna, mentre guardava Liz che aspettava, le prese una mano nella sua … e il mondo diventò nero.


Stavano insieme al cimitero. Era il tramonto di una domenica e la rosa giaceva indisturbata sulla lapide di marmo.

"Sei tu." mormorò lei. "Sei tornato."

"Sì, Claudia, sono qui." disse Zan. Ti avevo detto che ci saremmo rivisti."

"Così, l’hai trovata." disse Claudia.

"L’ ho trovata, grazie a te. Ma ci sono molti ostacoli da superare, prima di poter stare insieme." ribatté tristemente lui.

"Lei sa chi sei?" chiese ancora Claudia.

"In questa vita, abbiamo a malapena cominciato il nostro viaggio." disse Zan. "ma sono venuto per aiutarti a terminare il tuo e a dire addio a Elizabeth. Sembra, per la seconda volta."

"Allora, lasciami andare da lei." disse Claudia. "Lascia che gli parli di te."

"Questo non è possibile, Claudia." replicò Zan. "nemmeno io ricorderò questo momento una volta che avrò tolto il ricordo che ti ho lasciato tanti anni fa."

"E allora cosa potrò dirle?" chiese Claudia.

Zan le indicò la lapide. "Dille di seguire il suo cuore." disse lui dolcemente, mentre le toccava la fronte con la sua e cancellava i loro ricordi."



Liz guardò Max lottare per riportare indietro sua nonna, per amor suo. Era venuto per aiutarla a dirle addio, ma sembrava che nemmeno i suoi poteri fossero sufficienti a riportarla indietro. Liz chiuse gli occhi.

"Tesoro." Lei era lì … sua nonna stava camminando verso di lei. Liz aprì gli occhi al suono della sua voce. Ma lei era anche nel letto, ancora immobile, mentre Max aveva in qualche modo trovato la forza di mantenere aperta la connessione, quanto bastava perché lei potesse darle l’ultimo addio. E poi la nonna scomparve.

Max strinse Liz tra le braccia. Era così stanco. Per un momento, all’ospedale, aveva perso conoscenza, e non sapeva perché. Guarire lo indeboliva sempre un po’, ma non gli era mai capitato di non ricordare quando si formava una connessione.

Ora c’era qualcosa di diverso. Mentre si passava le mani tra i capelli, poteva sentirlo. Forse, giusto forse, sarebbero potuti stare insieme. Chiuse gli occhi e si permise di sperare.

Parole incise nella pietra gli passarono per la mente. E sparirono velocemente come erano arrivate. Ma lui le ricordò.

Non sarò mai molto lontana. Per trovarmi, segui il tuo cuore.

* * * * *

Cherie

'Se non tutto è perduto, allora dov’è?'

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