[犬神] Inugami - Il divoratore di anime -

di Yumeji
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


inugami
- Cap.1 -


“- Non preoccuparti Kagami-kun…-“

La sua era sempre stata una voce sottile, lieve, costantemente ridotta ad un sussurro per quanto si sforzasse ad alzare il tono - niente più che un frusciio nel vento.
Neppure quella volta suonò diversa.
Le sue parole non lasciarono trasparire alcun sentimento, cosi come il volto, all’apparenza apatico, tranquillo.
Una maschera indecifrabile ne occultava ogni emozione, Taiga gliel’aveva sempre vista addosso da quando l’aveva conosciuto ed era oramai consapevole essere una parte inscindibile di lui. Nell’osservarlo non pareva possibile che quelle lacrime, andate a colmargli gli occhi turchesi - luminosi come un cielo sereno e vasti due volte esso - , e a bagnargli le guance nivee, fossero le sue.
“- Kuroko perché piangi?-“ si stupì Kagami nell’udire la propria voce, la quale sembrò provenire da un luogo molto distante da quello in cui si trovava. Tetsu gli era a soli pochi metri più avanti, un puntino bianco immerso nel grigiore di tutto quel cemento e nell’ oscurità del sottosuolo, ma quella distanza gli parve immensa, come se il ragazzo dai capelli celesti in realtà non fosse più lì, scomparso in un qualche altro posto, lontano da lui.
Irraggiungibile per quanto tendesse le braccia.
Subito il rosso accantonò quella sensazione di impotenza che la visione dell’amico gli aveva portato. Non capiva da cosa fosse causata e non ci volle pensare. La certezza che qualcosa di terribile stesse per accadere però non lo abbandonò, non riuscì a scacciarla, ed essa si sedimentò in profondità nel suo animo, facendo nascere un germoglio di gelida paura nel suo petto.
Doveva raggiungerlo!
Infondo erano poco più di cinque passi, non ci sarebbe voluto nulla a coprirli, e avrebbe potuto nuovamente stringere il corpo di Tetsuya al proprio petto. Già ne avvertiva il calore della pelle sotto i polpastrelli delle dita, memori di tutte quell’infinità di volte in cui aveva già compiuto un simile gesto. Ne avrebbe respirato il profumo, lieve ma dolce della sua pelle, poi gli avrebbe scompigliato i capelli per dispetto, ridendo del rimprovero che avrebbe letto in quello sguardo chiaro, probabilmente stizzito ma non realmente arrabbiato.
Avrebbe fatto tutto questo e altro ancora, in quel momento lo desiderava con tutto se stesso. Aveva l’urgente bisogno di sentirlo al sicuro al suo fianco, e gli sarebbe risultato cosi facile.
Gli bastava alzarsi e compiere quei cinque passi verso di lui.
Erano solo cinque passi. Cinque. Miseri. Passi.
Ma perché non riusciva a percorrerli?
Voleva raggiungerlo, ma non riusciva a sollevarsi da terra, non capiva neppure cosa ci facesse lì, disteso a pancia in giù su un marciapiede che puzzava di rifiuti tossici.
Doveva essere caduto o qualcosa di simile, non ricordava.
Con uno sforzo immane Kagami riuscì ad appoggiarsi sui gomiti, avvertendo quella strana sensazione di torpore che gli aveva invaso il corpo e annebbiato la mente finalmente abbandonarlo. Non poté però far altro che due braccia scure e muscolose lo ancorarono nuovamente al terreno, pesandogli sulla schiena, impedendogli di alzarsi.
“-Ma che cazz..-“ imprecò voltando la testa dietro di se, scoprendo di non aver forze per far altro. Cosa stava succedendo al suo corpo? Perché lo abbandonava proprio adesso?
“- Aomine..?-“ riconobbe il ragazzo che lo sovrastava, bloccandolo con il proprio peso. Daiki però non né ricambiò lo sguardo, continuando a fare forza su di lui, l’oltremare delle sue iridi sottili era rivolto altrove, la sua attenzione era tutta per Kuroko.
Un migliaio di campanelli d’allarme cominciarono a risuonare nella testa di Kagami. Non amava sentirsi in trappola, immobilizzato, quasi fosse finito in gabbia, e la paura si tramuto in panico con il lento passare dei secondi, risvegliando la bestia che, sopita, dimorava in lui.
La razionalità vacillò e Taiga divenne puro istinto. Forsennato cominciò ad agitarsi, facendo resistenza alla presa di Aomine, che però non sembrava per nulla intenzionato a lasciarlo andare e lo contrastò con facilità.
Una massiccia quantità d’adrenalina aveva preso a scorrere nelle vene del rosso, strappando brutalmente gli ultimi residui di nebbia che gli avevano oscurato la mente.
Ora sapeva. Ricordava a cosa era dovuto tutto il suo terrore:
Tetsuya stava per morire.



- 2 SETTIMANE DOPO –

La campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni, e veloci gli studenti del Seirin abbandonarono le loro classi, invadendo i corridoi in un vociare allegro e squillante, un miscugli indistinto di chiacchiere, risa e pettegolezzi.
Tra chi si salutava, chi si dava appuntamento e chi non si parlava.
Ognuno di quegli alunni chiuso nella propria cerchia, quel piccolo e ristretto mondo da cui non riuscivano a guardare oltre, come d’altronde valeva per un qualunque adolescente, nell’illusione di essere divenutati già adulti.
Il silenzio avvolse presto l’edificio quando tutti se ne furono andati, i club per quel giorno erano stati sospesi per motivi di sicurezza, visti gli innumerevoli terremoti che da qualche settimana a quella parte investivano sempre più ripetutamente la città.
L’aula della 1-E era già vuota da una decina di minuti e il sole lentamente tramontava all’orizzonte, dipingendo pareti e banchi con il suo intenso colore aranciato. Un'unica figura nera, seduto al proprio banco, si stagliava sullo sfondo, forse l’unico essere vivente rimasto in tutto l’istituto.
Kagami sbuffò stanco, grattandosi la testa pensieroso, immobile nell’attesa. Di cosa poi, non lo sapeva esattamente neppure lui. Ormai non era più certo di nulla, di cosa fosse giusto fare.
Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva insicuro, privo d’appoggio, perso.
Era una sensazione terribile, non ricordava di aver mai provato qualcosa di simile nella sua breve esistenza. Sembrava come se qualcuno gli avesse strappato via tutto ciò che il suo corpo conteneva, lasciandolo completamente vuoto al suo interno, e non serviva a nulla rimpinzarsi di hamburger come era solito fare quando il buco ce lo aveva nello stomaco. Quell’impressione di mancanza, di perdita non si colmava.
Non sentiva niente. Non avvertiva neanche più il battito del proprio cuore, una volta tanto possente da invadergli spesso le orecchie (soprattutto quando gli andava il sangue dritto al cervello). Quasi gli avessero tolto anche la voglia di vivere insieme a tutto il resto.
“E adesso che faccio?” si chiese svogliato, sollevando stancamente lo sguardo verso la finestra che dava sul cortile e lì, vicino al cancello, notò una seconda figura scura, simile alla propria, rimanere immobile appoggiata al muro che delimitava l’edificio.
Strano, credeva che tutti fossero già tornati a casa, pensò privo di un qualunque interesse, dando però una seconda occhiata alla presenza, anche da quella distanza aveva un ché di familiare.
Non si trovavano spesso persone con i capelli blu.
- Aomine?!- si stupì, credendo forse di star vedendo male, ma subito una chiamata di questi al cellulare lo fece ricredere,
- Ohi, anche tu hai ricevuto un messaggio da Akashi, giusto?- non lo salutò neppure, urlandogli dietro quando ancora doveva portare l’apparecchio all’orecchio, attendendo solo che rispondesse alla telefonata.
- Uhm… si – ammise Kagami per un momento titubante, avvertendo nuovamente l’insicurezza prendergli la gola. Era quello il fulcro della sua incertezza.
- Bene, allora cosa ci fai ancora lì dentro? Muoviti ad uscire che andiamo! – gli intimò chiudendogli la chiamata in faccia, sordo ad una qualunque protesta gli avrebbe potuto rivolgere.
- Ma ch..e?- per un istante Kagami guardò lo schermo del cellulare spegnersi di botto, segno che la conversazione era finita e, un poco confuso, si affacciò alla finestra, riscontrando che si, quel ragazzo là fuori stava aspettando lui ed era proprio Daiki.
Nonostante la distanza riuscì ad avvertire l’impazienza nel suo sguardo,
- NON STARE IMBAMBOLATO, MUOVITI! – gli gridò il moro a pieni polmoni, vedendolo ancora fermo come un idiota a fissarlo dalla propria classe, ma attirando cosi l’attenzione di qualche irritabile professore.
E a quell’ordine Kagami non poté fare a meno di obbedire, recuperò la cartella ed uscì di corsa dell’aula.
Al momento avrebbe dovuto scacciare i propri dubbi e seppellirli da qualche parte del suo cervello, poiché Aomine non sembrava disposto ad accettare alcuna esitazione.
Taiga si rendeva conto di non essere in grado di compiere alcun passo da solo, ne aveva perso la forza, adesso poteva solo accettare di lasciarsi trascinare dall’irruenza del ragazzo bronzeo (la stessa che soli pochi giorni prima gli era propria), e che fosse lui a condurlo.
Per una volta quell’egoista, prepotente ed arrogante di Daiki era proprio ciò di cui aveva bisogno.



“- Aomine-kun, per favore non fare quella faccia –“ lo aveva pregato Tetsu, e Daiki poteva solo immaginare quanto fosse penoso il suo volto in un simile frangente, ma non aveva potuto farci nulla. Di fronte a se vedeva il partner di una vita venir lentamente consumato, dilaniato da un potere troppo forte per il suo corpo.
Per quanto Kuroko tentasse di nasconderlo, non lasciando che altro, oltre le lacrime, gli incrinasse il viso, bastava un’occhiata più attenta per notare i tremiti che percorrevano la sua gracile e sottile figura, all’apparenza ancora più piccola in quel momento.
Stava per incontrare una fine orribile. Doveva esserne terrorizzato.
Le sue ossa si stavano sbriciolando e i muscoli e i tendini si spezzavano, Aomine questo non poteva vederlo, ma lo sapeva. Da quando aveva scoperto la natura delle capacità di Kuroko aveva voluto scoprire, essere consapevole di cosa avrebbe atteso il suo compagno.
Inseguito però si maledisse più volte per averlo fatto.
Se avesse ignorato tutto come Kagami, che ancora si agitava provando a fuggire alla sua presa - incurante dello squarcio all’addome che lo stava lentamente dissanguando -, si sarebbe spinto anche lui verso Tetsu, fregandosene delle ferite alle gambe e quella, leggermente più profonda, al torace. Avrebbe solo cercato di fermarlo, nello stesso modo in cui stava tentando di fare Taiga, ma che lui gli impediva.
Il sapere di cui era venuto a conoscenza lo fermava.
Il destino, quella sorta di fato già scritto di cui sempre Midorima gli aveva parlato (spesso con la recondita speranza di convertirlo agli oroscopi), ora si delineava preciso e solenne di fronte ai suoi occhi, e Tetsu vi era invischiato fino alla punta dei capelli.
Impossibile sottrarsi.
“Proteggi gli uomini, esorcizza gli spiriti e muori in silenzio” la scritta che lo aveva più volte accolto nel salone principale dalla residenza della famiglia Kuroko, prima che questa venisse distrutta, acquistava ora un significato.
“- Vieni qui Inugami-san -“pronunciò Tetsu congiungendo le mani, formando con le dita il segno del rilascio, decretando cosi la fine di tutto.
Uccidendo a quel modo non solo se stesso, ma anche una parte di quei due poveri sventurati che assistevano impotenti alla scena.
Sia Kagami, sia Daiki persero qualcosa di realmente importante quel giorno.
Non solo un compagno. Non solo un amico.
Ma la persona che amavano.



- Ohi, Aomine! – una voce, roca e familiare, lo richiamò alla realtà mentre qualcuno lo afferrava energicamente per la spalla,
- Che vuoi..?- si destò Daiki da un leggero sonno con il suo solito cattivo umore, fulminando con rabbia Kagami che lo aveva svegliato.
- La prossima è la nostra fermata – lo avvertì il rosso, indifferente ad una simile occhiataccia, c’era abituato, tornando poi a dargli la schiena per fissare il familiare panorama al di là del finestrino dell’autobus, la luce dei lampioni appena accesi che sfrecciava veloce sotto ai suoi occhi annoiati.
- Si… - grugnì di rimando Aomine, voltandosi dalla parte opposta alla sua, il suo sedile dava verso l’interno del mezzo e come unica cosa poté solo osservare i pochi altri passeggeri di quella corsa.
Oltre a loro c’erano solo: una coppietta di mezza età, un anziano dall’aria truce e un travestito;non si stupì del leggero strato di sporcizia che ricopriva il pavimento, né del puzzo di sudore che appestava l’aria. Non si poteva pretendere di più da un autobus che non aveva avuto un attimo di tregua dalle cinque di quel mattino.
Quella era sempre stata una tratta molto trafficata, perché partiva dalla periferia per concludersi in pieno centro (non che fosse quella la loro destinazione) ed era spesso gremita da un infinità di persone, giovani soprattutto che ne approfittavano per saltate la scuola. Fortunatamente per i due ragazzi, il bus non era decisamente nel suo orario di punta, anzi, solitamente quello era il momento della giornata in cui tutti se ne tornavano a casa, poiché al calar del sole quella parte della città era tutt’altro che raccomandabile.
Prossima fermata viale Yomi, si poteva leggere sul piccolo teleschermo piazzato sopra la postazione dell’autista.
Principalmente, il motivo per cui tutti la evitavano di notte, era che quella strada aveva la pessima fama di essere infestata dagli spettri.
E se non lo sapevano loro che di lavoro, seppur part-time, facevano gli esorcisti.
C’era un motivo se l’organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche aveva fatto lì la propria sede.

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***




- Cap 2 -

A quell’ora della sera il viale pedonale era ormai deserto, più nessuno si faceva vedere in circolazione, il sole era tramontato da un pezzo e le dicerie sugli spettri che occupavano quelle strade al giungere delle tenebre facevano ancora molta presa sulla popolazione di quel quartiere, nonostante l’Era tecnologica in cui vivevano.
Troppi uomini avevano macchiato di rosso quello stesso asfalto e il suo olezzo, a distanza di anni, era ancora ben percepibile per chi vi camminava sopra.
In tempo di guerra quel luogo era stato utilizzato come rifugio per coloro che avevano perso tutto, per chi era rimasto senza casa e senza famiglia. Lì, quel poco cibo reperibile veniva diviso equamente trai superstiti, i quali si ammassavano l’uno sull’altro, arrivando spesso a dormire semplicemente a terra, senza neppure una tenda sotto cui ripararsi.
Presto la zona si era trasformata in una piccola baraccopoli, situata nel bel centro della vecchia città, all’epoca dilaniata dai continui bombardamenti,irriconoscibile. Ma l’accumularsi di sempre più persone disperate e il prolungarsi della guerra causarono solo altra sofferenza.
Indicibili eventi si erano susseguiti, la disperazione, la fame e la paura avevano fatto mettere mano alle armi a quei poveri rifugiati. Piccoli furti di cibo presto si erano trasformati in terribili carneficine, poco importava se a compierli fossero donne, anziani o bambini, ormai al limite della fame. Chiunque commettesse una qualunque infrazione o fosse accusato di sprecare inutilmente i viveri, doveva pagare con la vita, il solo rovesciare un bicchiere d’acqua poteva decretare la propria fine. In poco tempo fu il caos totale, e l’unica legge da rispettare divenne quella del più forte, i deboli erano destinati a morire e i loro cadaveri depredati. Sembrava non vi fosse nulla a fermare quell’infinita spirale di depravazioni, almeno fino al giorno della tragedia.
Bastò un unica, misera fiammella, e tutti i sopravvissuti perirono nelle fiamme di quello che già sembrava l’inferno, accompagnati dai resti delle loro misere baracche.
Si dice che, avvolte, se si presta molta attenzione, si possono ancora udire le atroci e dilanianti urla delle povere anime morte nell’incendio.

Ora però nessuno sembrava più serbare alcun ricordo di quegli eventi, per le generazioni che si erano susseguite era stato facile dimenticare un’agonia che non aveva provato sulla pelle. Nel corso degli anni, dove prima sorgeva la baraccopoli, si era edificato, costruito, rimodernato, sino a dare vita ad un amabile centro di svago e di ritrovo, con almeno una trentina di attività tra negozi, bar e piccoli ristoranti.
Eppure, nonostante tutto fosse stato ormai sepolto da un pezzo, era forte la sensazione di disagio opprimente di cui si diveniva preda la prima volta che si camminava per il viale Yomi. Presentimenti i quali venivano però presto accantonati dalla parte razionale del cervello, la quale non comprendeva da cosa fossero causati e li rifiutava a priori, seppellendoli nella parte inconscia dell’animo.
Ciò era però possibile solo di giorno, dove l’uomo si sentiva potente, padrone delle natura e del mondo intero, dove governavano la scienza e il sapere assoluto.
La notte, invece, era tutt’altra storia.
Al calar della sera era la parte irrazionale, animale dell’uomo a prendere il sopravvento.
Una paura istintiva, quella che nelle ore diurne era stata solo una leggera sollecitazione, portava chiunque si fosse trovato nei paraggi ad accelerare il passo, a fuggire via da quel luogo con lo stesso panico della gazzella che stava per essere divorata dal leone.
Solo chi fosse stato conscio degli atti compiuti decenni prima, della storia dietro a quelle moderne vetrate e palazzi, delle lacrime e delle ossa nascoste sotto al cemento, poteva affrontare e superare il terrore. Non reprimendolo, ma comprendendolo.
E solo qualcuno con un minimo di percezione spiritica avrebbe potuto vedere quali esseri, in realtà, popolavano la vita notturna del viale Yomi.

- Odio venire qua…- sbuffò Aomine rompendo finalmente il silenzio che li aveva accompagnati per tutto il tragitto, i suoi occhi oltremare vagavano titubanti verso l’alto, in cerca di un piccolo spiraglio di cielo notturno non ancora avvelenato dalle luci della città, ma non c’era.
Taiga gli camminava affianco, lo sguardo fisso a terra, un po’ ricurvo su se stesso, simile ad un bambolotto a cui si stessero scaricando le batterie.
- Allora perché ci sei venuto?- lo freddò il rosso con un tono che non nascondeva una feroce irritazione, per qualche motivo il comportamento dell’altro lo stava irritando più del solito. E forse la causa stava proprio nel fatto che fossero entrambi lì.
Durante il breve tragitto in autobus (15 minuti circa), aveva avuto il tempo di pensare e lo urtava il modo in cui lo aveva cosi facilmente seguito, come un bravo cagnolino che risponde subito alla chiamata del padrone. Ammetteva di non star passando il suo periodo migliore, anzi, la tentazione di tornarsene in America e chiudere per sempre quel capitolo della sua vita era forte, molto, ma questa non poteva giustificarlo per essersi lasciato manovrare cosi facilmente da quel dannato arrogante pieno di sé dai capelli assurdamente blu!
Più che con Daiki, Kagami era arrabbiato con se stesso e non solo da quel giorno. Ormai da due settimane faticava a guardarsi allo specchio, tanto era l’odio e il senso di colpa che lo attanagliavano. Una ferita profonda gli squarciava l’animo, all’altezza del cuore, e ancora non smetteva di sanguinare. Ogni secondo la sua pelle si tingeva sempre più di scarlatto, ma quello purtroppo non era mai stato il suo sangue.
Taiga non riusciva più a sopportare la vista del proprio volto e cercava solo un modo per estirpare quella profonda agonia di cui gli si era riempito il petto.
Se anche Aomine lo avesse odiato e incolpato, forse sarebbe stato meglio.
Ma Daiki era troppo gentile o troppo crudele per farlo.
- Insomma…- insistette Kagami trovando abbastanza forza da cercarne lo sguardo, sollevandolo da terra, -… non avevi detto che avresti abbandonato tutto? Che non essendo più legato a niente e a nessuno, questi affari non ti riguardavano? – c’era una nota di ammonizione nella sua voce, cosa che non piacque affatto ad Aomine.
- Io so il motivo per cui sono tornato qui! – replicò furente, ricambiando a sua volta la sfida che leggeva nelle iridi infuocate dell’altro, -… Non si può però dire lo stesso di te! Se non ci fossi stato io, adesso probabilmente saresti ancora lì imbambolato a chiederti: “Cosa faccio, cosa non faccio?” – lo scimmiottò malamente, additandolo sino quasi a toccarlo con l’indice in mezzo alla fronte, costringendolo ad incrociare gli occhi per seguirlo, in un espressione piuttosto ridicola e comica. – Questo non è l’atteggiamento da teste calde prive di cervello come siamo io e te. Le esitazioni non sono contemplate, noi le rifiutiamo a priori perché non sono nella nostra natura... – e quello che per Kagami era iniziato come un litigio, uno dei loro soliti scambi di battute, si tramuto in una ramanzina a senso unico da parte di Daiki. Il quale mal sopportava l’improvvisa passività e masochismo (definiva a quel modo il suo desiderio di essere punito) del rosso, e non gli perdonava di aver mollato tutto dopo che era stato lui il primo a lottare.
Certo, non potevano cancellare ciò che era accaduto, niente gli avrebbe riportato quel che avevano perso, ma gli rimaneva ancora un modo per rimediare. Aomine si aggrappava a questo per non cadere nuovamente in una scia d’autodistruzione fatta di totale menefreghismo, in cui nulla riusciva più a toccarlo. Aveva ancora un compito da svolgere, poi avrebbe potuto deprimersi per quanto avesse voluto, ma solo dopo quello.
E da come lo vedeva ridotto, sembrava che anche Kagami avesse bisogno di un obbiettivo a cui aggrapparsi, qualcosa per cui tener la mente attenta e il corpo vigile. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era stata la preoccupazione a portarlo alle soglie della sua scuola quel giorno, voleva impedirgli di compiere qualche sciocchezza (del tipo: ritorno a Los Angeles da paparino), e per farlo aveva bisogno che trovasse un nuovo scopo al più presto. Sul momento non gli era sembrato  poi cosi male voler condividere il suo, infondo, erano entrambi colpevoli allo stesso modo del medesimo crimine, doveva dare anche a Kagami l’opportunità di riscattarsi.
– Non ci assomigliamo poi molto, ma in questo siamo simili. Il sangue ci va subito dritto al cervello, ci infiammiamo per un non nulla (e finiamo sempre per litigare). Questi però sono anche i motivi per cui niente ci può frenare – sta volta lo sguardo di Aomine sembra poterlo penetrare da parte a parte come un proiettile, lo gelò tanto era aguzzo, e le sue parole si tramutarono in accusa. – Tu però ti sei fermato Kagami -
Con quelle ultime parole, Daiki lo abbandonò lì, varcando da solo l’ingresso del quartier generale - che intanto avevano raggiunto e di fronte al quale si erano arrestati-, lasciandolo confuso e titubante sul marciapiedi.
Taiga al momento non se ne rendeva conto, ma l’altro gli stava dando la possibilità di scegliere. Non gli chiedeva di ricominciare subito a correre (consapevole che per un recupero simile ci sarebbe voluto il suo tempo), gli dava però l’opportunità di muovere nuovamente da solo i propri passi.
Trascorse un lungo istante in cui il rosso si limitò a fissare la porta in vetri illuminata dalle luci all’interno, che cosi tante volte aveva attraversato, ricevendo in cambio un proprio riflesso pallido e deformato.
Respirò profondamente prima di darsi uno schiaffo in testa da solo e chiamarsi mentalmente stupido, “ma cosa sto combinando?” pensò.
Poi maledì Aomine per avergli fatto la predica, neanche fosse stata sua madre, e un poco però lo ringraziò, quando riuscì finalmente a superare la soglia.
Non sapeva ancora il motivo per cui fosse andato sin lì, ma presto lo avrebbe scoperto.
Per quanto lento e breve si potesse rivelare il suo cammino, era pur sempre meglio che rimanere immobili.



“Solo un uomo stupido non teme la morte, ma ancor più stupido è colui che abbandona alla loro morte gli altri. Meschino è chi accetta la fine senza lottare, ma peggiori sono le persone che quella fine se la vanno a cercare.
Non vi è gloria nel perire per i propri compagni, per quanto sia un gesto da rispettare, la vera forza si mostra solo nel sopravvivere insieme ad essi.
D'altronde, se questi si trovassero nuovamente nei guai chi correrebbe in loro soccorso?
Ogni uomo è legato agli altri, e le nostre decisioni influiscono (anche se forse in minimo parte), su tutto ciò che ci circonda. Ecco perché la vita di ciascuno di noi è cosi importante…
Questo non va mai dimenticato, Tetsuya”quando gli disse quelle parole, la vecchiaia e i suoi acciacchi avevano colpito ormai da tempo il corpo di Etsuya Kuroko (il nonno di Tetsu), il quale aveva dovuto rinunciare al suo titolo di capofamiglia in favore del figlio quando, qualche anno/decennio prima, una malattia gli aveva portato via l’uso delle gambe.
Era quasi ironico come quel male che lo aveva debilitato a tal punto fosse stato anche l’unica cosa che gli avesse permesso di vivere cosi allungo.
Difficilmente coloro a cui era stata impressa l’eredità di famiglia sulla pelle - il loro marchio, quell’immenso onore e quella terribile maledizione che si portavano appresso da secoli - , raggiungesse le soglie della vecchiaia. Quindi, il fatto che il nonno avesse raggiunto gli 86 anni di età era per Tetsu e per tutti gli altri membri dell’organizzazione un vero evento.
Ed era stato proprio alla sua festa di compleanno che il vecchio venerando aveva preso in disparte il nipote, il quale all’epoca aveva appena nove anni, e per lui erano ancora lontani gli anni della consapevolezza e della disperazione (il dramma sarebbe avvenuto solo tre anni più tardi).
Etsuya aveva deciso fosse quello il momento più adatto per parlare a quattrocchi con Tetsuya. Aveva sempre pensato si assomigliassero molto loro due, per aspetto e comportamento il moccioso era fin troppo simile a lui nei suoi spensierati anni d’infanzia, e persino nella costituzione esile e inadatta al combattimento spirituale poteva riscontrare la propria giovinezza. Ormai il vecchio si sentiva stanco e mortalmente debole, credeva che non avrebbe mai visto i suoi 87^ anno di vita (e invece sarebbe arrivato ai 90), e come ultima cosa voleva affidare a Tetsu, cosi simile a lui, il proprio testamento. Qualcosa a cui il giovane avrebbe potuto aggrapparsi nei momenti difficili e bui che si sarebbe trovato ad affrontare.
Perché sapeva sarebbero arrivati, prima o poi.
Il destino della loro famiglia gli era sembrato un buon punto d’inizio.

In realtà, Tetsu non ricordava poi molto di quel discorso chilometrico, era pur sempre un bambino e non era stato in grado di afferrare tutte le parole formulate dal vecchio, alcune veramente troppo complicate per il suo orecchio infantile.  
Difatti, la differenza principale che incorreva tra nonno e nipote era, per il primo, il rivelarsi piuttosto logorroico e spesso perdersi in monologhi infiniti, mentre per il secondo era rasentare il mutismo, limitandosi a frasi strette e sintetiche.
Però anche in questo vi era comunque qualcosa ad accomunarli, seppure in modo diverso le loro parole avevano sempre un peso enorme sulle persone a cui erano rivolte.
Era stato però in quei brevi secondi, quando Tetsuya aveva rilasciato per l’ultima volta l’Inugami, che le parole (o per meglio dire i concetti salienti), del nonno gli erano tornati alla mente.
Come aveva desiderato Etsuya anni prima, il nipote aveva segregato da qualche parte dell’animo il suo testamento, solo per poterlo tirar fuori quando ne aveva avuto realmente bisogno. E l’istante in cui Tetsu avrebbe incontrato la morte, pareva non esserci momento più adatto di quello.
“Ciò che cerco di dirti, nipote mio, è che per quanto la nostra famiglia sia legata alla morte, per quanto la nostra vita sia breve: la scelta su come viverla non ci è stata tolta.
Siamo costretti ad accettare la nostra prematura fine, niente però ci impedisce di scansarci quando la morte ci si presenta di fronte.
Forse sarà difficile da comprendere per te, essendo ancora un bambino, ma non si è obbligati a morire. Prima o poi ciò avverrà, certo, però devi dare tutto te stesso, ogni grammo della tua forza, per sopravvivere il più allungo e nel modo più felice possibile…”
In tutti quegli anni (non molti in realtà), Kuroko aveva sempre creduto che, giunto il momento, sarebbe stato pronto. Infondo era sempre stato quello il destino della sua famiglia:
“Proteggi gli uomini, esorcizza gli spiriti e muori in silenzio”… giusto?
Qualcosa non andava.
Paura. Angoscia. Terrore. Gli percuotevano lo spirito, lasciandolo incapace di reagire in alcun modo, ma non avvertiva altro. La sua pelle si stava frantumando, quasi fosse divenuta pietra, sotto ai suoi occhi, lui però non sentiva nulla. Un pianto isterico lo colse, cancellando per una volta l’apatia sul suo volto. Era davvero finita?
Sapeva che l’unico motivo per cui non sentiva dolore era perché la sua anima stava già andando in pezzi, separata da un corpo destinato a spezzarsi in pochi attimi.
Non sarebbe più rimasto nulla della sua esistenza.
La sua mente cominciò a perdere consistenza mentre le memorie di chi era stato svanivano.
Frammento dopo frammento avvertiva il suo essere cancellarsi, divorato da qualcosa impossibile da controllare. Troppo potente da contrastare.
Pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo…
Ogni ricordo già ingoiato dall’oblio.
… e pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo.
Ogni consapevolezza di sé, sia del respiro che del battito del proprio cuore, svanita.
Ormai era morto.
Pezzo, dopo pezzo, eppure qualcosa rimaneva.
Ma nonostante questo, proprio non riusciva ad accettare di perdere anche quelli.
Li stringeva forte tra le sue dita incorporee, i suoi due tesori.
Ora che si era ridotto a semplice anima evanescente - la carne trasparente, tutto il suo corpo divenuto più simile ad un accumulo di condensa che a qualcosa di vivo - ,  due fili sottili ma resistenti gli uscivano dal petto, all’altezza del punto in cui stava cuore, e si allungavano a dismisura fino perdersi in quell’oscurità che lo circondava.
Una volta liberato l’Inugami l’ambiente attorno a lui aveva cessato d’esistere.
Kuroko non ricordava più a chi fossero legati gli altri capi di quei lacci, ma credeva vi fosse un motivo se esistevano, che simboleggiassero un legame?
Ciò che vedeva erano forse i sentimenti con cui si era legato a due distinte persone, entrambe egualmente importanti nella sua vita, estremamente preziose per lui?
Forse le aveva amate?..  Chissà, l’aveva dimenticato.
Però, nonostante non ne preservasse alcuna memoria, non voleva separarsene.
Non voleva tagliare quel ultimo ponte con cui rimaneva collegavano a loro, chiunque fossero.
Non voleva abbandonarli.
Chi avrebbe aiutato quei due idioti quando sarebbero finiti di nuovo nei guai? -pensò d’istinto, non sapendo però dare una qualche spiegazione alle proprie stesse parole.
Avrebbe fatto di tutto per proteggerli ancora, e morire di certo non gliel’avrebbe permesso, ragionò con quel poco di IO che gli rimaneva.
Non poteva morire!
Si era lasciato indietro quei due sconosciuti cosi importanti!
Dovevano ancora fare un infinità di cose insieme.
Lui doveva fare ancora un infinità di cose.
- Desideri vivere? -
Forse per la prima volta da ché aveva ricevuto la maledizione della propria famiglia, Kuroko desiderò di poter vivere di più di quanto il marchio gli avesse concesso.
Non fuggire da esso, ma lottare. È però difficile ribellarsi quando si è già firmata la resa.
Lo spirito di Tetsu afferrò forte a se quei suoi ultimi legami, perché non si spezzassero mentre il resto di lui finiva con l’essere frantumato, disintegrato in tante piccole schegge sottili di non esistenza.
Nell’oscurità di quell’oblio rimasero infine solo i due fili.
Uno risplendeva di un color rosso intenso come il fuoco e l’altro brillava di un blu profondo come il mare.

“Sappi alla fine che solo qualcuno che tiene stretta a se la propria vita, può sperare di salvare quella di qualcun’altro.”
- Grazie, ojiisan -





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Capitolo 3
*** Cap.3 ***




- Cap 3 –


Murasakibara sbadigliò assonnato, spalancando la bocca simile ad orso annoiato, sino a farsi salire le lacrime agli occhi. “Ghwaa… Questo part-time mi uccide” pensò stravaccato malamente sul bancone della pasticceria, vicino alla cassa, grattandosi svogliatamente la nuca mentre alcuni ciuffi ametista gli ricadevano sulla fronte.
E subito si aspettò una qualche strigliata dal senpai Nijimura, il quale lo obbligava a legare i capelli in una coda, a sua detta per “motivi d’igiene”. Non ci facevano certo una bella figura se alla clientela del bar servivano pasticcini conditi con la sua chioma. Ma il vicecapo (poiché il capo vero era il proprietario del negozio: ojiisan), non sembrava essere nei dintorni al momento, quindi Atsushi decise di prendersi una pausa, cosa che in realtà stava già facendo, erano vicini all’orario di chiusura ed era da più di un ora che non entrava più alcun cliente.
“Infondo questo non è un posto tanto malaccio dove fare un sonnellino” si disse avvertendo la fredda sensazione che gli dava il rivestimento translucido del bancone contro la guancia. Se ricordava bene, nei primi giorni che era stato assunto lì, Shuuzuo gli aveva spiegato che era fatto in vero marmo e doveva prestarci molta attenzione, ripulendolo ad ogni momento opportuno. Inseguito aveva continuato dandogli un’altra lunga tiritera di ordini e rimproveri, ai quali però lo stangone aveva fatto orecchie da mercante, sin troppo impegnato a fissare con sguardo adorante la “mirabolante macchina dei cappuccini”, per prestare al superiore una qualunque attenzione.
Modestia a parte, doveva comunque ammettere che, per quanto gli seccasse usarla quando non ne aveva voglia, ormai quella macchina non aveva più segreti per lui.
L’oscurità al di fuori del negozio regnava sovrana, segno che ormai non vi era più alcun altra attività aperta nei paraggi, solo la vetrina del caffè/pasticceria Rinny’s era ancora illuminata, dando bella mostra di sé e delle sue innumerevoli leccornie: torte, plum-cake, pasticcini assortiti, dolciumi di infinite qualità; un paradiso per i golosi insomma, ma a cui purtroppo a Murasakibara era impossibile accedere. Gli era stato imposto il divieto assoluto di mangiare, un'altra delle cattiverie del senpai Nijimura, il quale temeva non solo per la loro scorta, che avrebbe rischiato di essere spazzolata in una mattinata; ma anche per la salute di Atsushi, gli sarebbe potuto venire il diabete (Shuuzuo era forse paranoico?.. Probabilmente si, però non poteva farne a meno con affianco un bambinone alto quasi 2.10m).
Alla fine però si erano accordati, con il repentino intervento del Boss ojiisan che per poco non aveva dovuto sedare una rissa, decidendo che come dipendente Murasakibara aveva il diritto di mangiare 3 pezzi del loro vasto assortimento al giorno e che per il resto, se gli fosse venuta fame, avrebbe potuto portarsi i suoi snack da casa.
I quali, scopri il giorno seguente Nijimura, occupavano ben tre zaini.
L’interno del Rinny’s era un luogo calmo e confortevole, elegante e moderno (per un locale che aveva il nome che ricordava un po’ quello di una tavola calda), e sempre molto luminoso. Si divideva in due spazi: lo spazio adibito a caffè, dove si trovavano anche alcuni tavolini e la mirabolante macchina dei cappuccini, e quello adoperato a pasticceria, subito vicino all’entrata, un po’ più stretto rispetto al primo ma con un bancone stracolmo di invitanti dolci, su cui poi trovava posto anche la cassa. Per cui i clienti erano costretti ad affacciarsi su quel paradiso dolcifico per pagare il conto, e difficilmente resistevano alla tentazione di assaggiarne almeno uno.

- Mu-ra-sa-ki-ba-ra-kun!…- il modo in cui Shuuzuo sillabò il suo nome, e soprattutto il tono fermo e glaciale che usò, fece sussultare di paura il gigante, che si tirò subito dritto in piedi, ritrovandosi il superiore proprio dietro le spalle.
Non aveva un’espressione molto felice, anzi, dire che sembrava infuriato era poco.
- O-ohi..- lo salutò Atsushi con fare visibilmente assonnato, lo sguardo pieno di lucciole perché si era alzato troppo velocemente, il dolce profumo dei dolci gli aveva allietato il sonno,
- Ohi, un corno!- sbottò il più basso, il cui sguardo sembrava sprizzare fiamme tanto era furibondo. – Come puoi addormentarti in un posto simile!?- lo rimproverò non riuscendo a nascondere l’incredulità, aveva sempre pensato che non esistessero persone capaci di dormire in piedi (si, che fosse solo un modo di dire), il gigantesco kohai l’aveva però appena fatto ricredere. – Ma a cosa stavi pensando?- continuò con la sua predica, ma l’altro non lo stava già più ascoltando, la sua capacità d’attenzione era piuttosto scarsa, soprattutto se trovava qualcosa di più interessante da osservare.
Quel giorno, per l’appunto, Atsushi sembrava aver trovato qualcosa di particolarmente curioso nell’aspetto del proprio senpai.
Nel guardarlo non gli fu difficile notare che aveva tutti i capelli arruffati, le guance rosse e un leggero fiatone, il quale non era causato dalla strigliata che gli stava rivolgendo. Dal modo disordinato in cui indossava il grembiule, usato come divisa (di un color rosso carmineo), il cui laccio era stato legato malamente, il nodo leggermente sfatto, il ragazzone intuì che se lo doveva essere tolto. Ma per quale motivo?
Nijimura si era allontanato per  circa venti minuti dalla sua solita postazione - ne era sicuro perché poco prima aveva dato un’occhiata all’orologio da parete per vedere quanto mancasse alla fin del turno-, da doveva poteva osservare non solo i clienti entranti, ma anche il comportamento di Atsushi.
Cosa aveva fatto per tutto quel tempo?
- Nijimura-san..- lo interruppe ad un certo punto il gigante dai capelli viola, la voce ancora un po’ impastata dal sonno, ma per una volta con uno sguardo attento,
- Si.. hai qualcosa da dire?- si era ritrovato interdetto il corvino, stupito che l’altro fosse intervenuto durante un suo rimprovero, di solito non capitava. Forse aveva capito di aver sbagliato e voleva fargli le proprie scuse per il suo comportamento poco professionale?.. Improbabile, ma ci sperava.
- Ha un segno rosso simile ad un succhiotto, proprio qui sul collo – gli fece lui chinandosi, indicandogli un punto dove la camicia, a cui era partito stranamente un bottone, lasciava intravedere un lembo di pelle di troppo.
All’improvviso calò il silenzio e Murasakibara poté udire i nervi del proprio superiore sfasciarsi sul colpo.
- N.. non è come sembra!!- esclamò Shuuzuo colto in fallo, il volto tinto di un intenso rosso mentre andava a coprirsi la parte incriminante, visibilmente in difficoltà e colto da un da un attacco di panico. – Non sono andato ad imboscarmi con qualcuno nel retro del negozio..!- continuò a balbettare in stato confusionario, la sua figura autoritaria che perdeva a poco a poco la sua credibilità ad ogni secondo trascorso. – Guarda che non ero con…-
E proprio quando Nijimura stava per finire di scavarsi la fossa da solo, Aomine e Kagami entrarono dalla porta.



Nel varcare la soglia del locale, la scena che si palesò di fronte agli sguardi confusi e interdetti di Kagami e Aomine apparve del tutto surreale, come se si fossero trovati all’improvviso catapultati in una realtà parallela, uguale ma opposta a quella in cui avevano sempre vissuto sino a quel momento (e visti gli esperimenti folli a cui si dedicava quell’eccentrico di uno studente di medicina, non potevano escluderla come possibilità). D'altronde non era possibile che quel severo, sempre tutto d’un pezzo e rompicoglioni esigente del cazzo, di Shuuzuo Nijimura, si trovasse a supplicare in ginocchio, quasi sul punto di piangere a vedere l’espressione sul suo viso, quello spilungone pigro divora snack di Murasakibara Atsushi.
Non era qualcosa di concepibile nel loro mondo. E difatti entrambi i ragazzi, con la medesima faccia sconvolta, si impietrirono di fronte a quella visione.
- Giuro che ti passo tutti i dolci che vuoi sottobanco se non racconti niente a nessuno…- diceva il senpai aggrappato al grembiule del gigante, quasi strappandolo dal modo convulso con cui lo stringeva. Tentava in maniera disperata di corromperlo, cosa in realtà non necessaria visto che il ragazzo non aveva alcun interesse di mettere la voce in giro (di cosa poi, non lo sapeva esattamente neppure lui), ma infondo chi era per negare al proprio superiore di fargli qualche offerta per comprare il suo silenzio?
E la prospettiva di cibo gratis lo fece subito cedere.
- Va bene senpai, se è cosi importante per te, non dirò nulla – acconsentì Atsushi guardando quel volto sull’orlo di una crisi di pianto, “anche perché in realtà non so nulla” pensò senza però esternarlo ad alta voce, se si trattava di ottenere qualcosa di suo interesse sapeva anche farsi furbo. Spesso i bambini si rivelano più terribili di quanto s’immagini.
- Ohi..?- fu Aomine il primo a palesare la propria presenza, salutando con una certa malagrazia, nascondendo il disagio causato dalla scena imbarazzante a cui aveva appena assistito (senza però che i due interpreti se ne accorgessero), dietro all’irritazione costante con la quale si era diretto sin lì.
- Sa..salve – salutò invece Kagami, meno abile dell’altro a tirarsi fuori d’impiccio, sentendosi in una situazione al quanto scomoda, palesando il proprio scompiglio interiore, facile da leggere come un libro aperto.
- Kagami-kun, Aomine-kun..- con la velocità degna di uno dei più grandi attori mai apparsi su di un palcoscenico, che muta di colpo ruolo al primo cambio di scena, ecco che Nijimura da personaggio vinto e chino al giogo della sfortuna (interpreta al momento da Murasakibara), rimettendosi semplicemente in piedi, avvolto in un attonito silenzio, tornava il senpai di sempre. Lo Shuuzuo severo ma giusto, rispettato da tutti e che mai, tanto appariva rigido persino con se stesso, sembrava aver commesso alcuno sbaglio nella vita. -… è da un po’ che non passavate – commentò serio, consapevole dei motivi per cui i due ragazzi erano stati lontani dall’organizzazione cosi allungo.
- Si, e io avrei anche preferito non tornare – ammise Daiki alzando svogliatamente le spalle, rassegnato, - ma sai com’è fatto Akashi. Non è possibile rispondere “no” ad un suo ordine – e il veleno che uscì dalla sua gola al pronunciare quel nome sembrò trasformarsi in gelidi stiletti di ghiaccio a contatto con l’aria, tanto che il suo fiato sembrò sul punto di condensare con l’ambiente. L’odio non faceva di certo bene allo spirito del ragazzo, pensò Nijimura nel semplice osservarne il riflesso di tenebra nello sguardo oltremare, ma era anche vero che al momento non aveva altro a cui aggrapparsi. Finché la sua mente non avesse metabolizzato il colpo e il senso di colpa non si fosse attenuato, l’avere un colpevole per la scomparse di Kuroko, qualcuno da poter odiare, da incolpare, era per Aomine l’unica salvezza.
- Dov’è Akashi?- non si perse in inutili commenti invece Kagami, il quale appariva piatto, privo di una qualunque energia interiore, come svuotato completamente. Sembrava un’automobile priva di motore, il cui unico modo per farla muovere era di spingerla in avanti.
Il vederlo in quello stato provocò una leggera inquietudine in Nijimura, il quale faticava a riconoscere in lui il Taiga di sole poche settimane prima, chi si riduceva a non saper più come avanzare era in grado di compiere qualsiasi gesto, persino i più drastici.
Un pugno cozzo però sulla testa del rosso, facendogli chinare il capo,
- Smettila di fare quella faccia.. mi irriti- gli intimò Daiki sbuffando,
- Merda! Ti sembra questo il modo di colpire qualcuno!? – replicò subito furente Kagami, massaggiandosi la parte lesa, una lacrima gli si era formata al lato di un occhio, segno inequivocabile che l’altro non si era trattenuto.
- Perché ci sono altri modi?- fece girandosi verso il retro del locale, degnandolo appena di uno sguardo da dietro la spalla destra,
- Non avresti dovuto colpirmi!!- si infervorò ancor di più Taiga a quel suo atteggiamento sufficiente,
- Se smetti di fare quella faccia irritante giuro che non ti colpisco più – promise teatralmente il ragazzo dalla pelle scura, con tanto di mano sul cuore e braccio alzato.
- Qualunque espressione abbia ti irrita! – ribeccò,
- Allora basta che ti cambi i connotati – la fece semplice Daiki.
“No, mi sto preoccupando inutilmente” si disse intanto il senpai Shuuzuo nel guardarli litigare, quel bisticcio lo riportava alla vecchia adorata normalità, che tanto gli era apparsa lontana solo quel pomeriggio nonostante in realtà non fosse trascorso poi molto tempo. “L’orgoglio di Daiki ne risentirebbe se Kagami dovesse ridursi ad un guscio vuoto. Si vergognerebbe ad averlo chiamato rivale”.
Aomine non avrebbe di certo aiutato Taiga ad aggiustare quel suo motore guasto che si rifiutava di funzionare, ma sarebbe stato la spinta che lo avrebbe portato a ripartire.
Il ragazzo dai capelli blu si sarebbe limitato ad irritarlo quel tantino per farlo reagire, impedendogli di cadere nel baratro a cui si era affacciato.
Risvegliare la luce di Kagami era però qualcosa che poteva fare solo Kagami.
- Perché tu invece non pensi di cambiare quel caratteraccio del cazzo che ti ritrovi? – e dagli sguardi omicida che i due si stavano scambiando, Nijimura si rese conto di dover intervenire prima che le cose degenerassero, ma sembrava già essere troppo tardi.
- Prova a cucirti la bocca, signor secondo classificato, solo chi vince ha il diritto di parlare – cominciò a scrocchiarsi le nocche Aomine, tornando a girarsi furente verso di lui,
- Bene, allora quando ti avrò battuto ti toccherà andarti a cucire le labbra con ago e filo – appoggiò la cartella a terra Kagami con un tonfo.
Una densa e malevola aura di sfida avvolse l’intero Rinny’s, lo scontro era imminente.
I due combattenti attendevano solo di poter menarsele di santa ragione. Ne sarebbe sopravvissuto uno, e se un muro fosse rimasto in piedi sarebbe stata una fortuna.
“Una volta sarebbe bastato l’intervento di Kuroko a fermarli” pensò Shuuzuo un poco demoralizzato alla prospettiva della distruzione del caffè. Non era cosi facile intromettersi tra quei due, tutti i suoi tentativi di fermali erano stati beatamente ignorati da entrambi, e alla fine era rimasto schiacciato dal quel intenso desiderio di combattere di cui erano pervasi (o forse era semplice sete di sangue?).
- Tenete – intervenne a quel punto Murasakibara che, sporgendosi dal banco con una velocità impensabile per uno della sua stazza (aiutato dalle braccia lunghe), infilò nelle bocche dei due sfidanti un lollipop – ciliegia e coca per Kagami, kiwi e fragola per Aomine -, i quali continuarono a fissarsi l’un l’altro straniti, come se non avessero compreso cosa gli avesse colpiti .
L’aria pesante di cui si era riempita la sala si spacco con un rumore sordo, mentre Nijimura si chinava sotto al bancone, tremante nel tentativo di soffocare le risa che veloci gli erano salite alla gola. Non era una buona idea irritare due belve subito dopo che la fiamma della loro sfida era stata appena spenta da una secchiata d’acqua, un carbone ardente poteva comunque causare una brutta bruciatura (traduzione: se la sarebbero potuta prendere con lui).
Atsushi rimase indifferente alla scena, inconsapevole eroe. Aveva pensato di approfittare del momento in cui nessuno gli prestava attenzione per farsi un altro breve sonnellino, i suoi piani erano però sfumati quando li aveva sentiti cominciare a bisticciare. Lui normalmente era di cattivo umore quando non assumeva abbastanza zuccheri (o quando le cose non gli andavano come voleva), quindi aveva pensato che per Kagami e Aomine valesse lo stesso. Senza pensarci troppo, spinto dal desiderio di farli smettere al più presto per cosi ottenere la sua meritata pausa, aveva pescato i due dolciumi dalla scatola dietro al vetro anti-starnuto, sempre vicino alla cassa, agendo giusto un momento prima che avvenisse il peggio.
Strano per strano, il piano di Atsushi sembrò funzionare e il caffè/pasticceria Rinny’s, non che covo segreto dell’organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche, rimase in piedi un giorno di più.

- Senti..- si rivolse Daiki a Nijimura dopo un lungo momento di silenzio, in cui l’atmosfera pre-apocalittica si era completamente sgonfiata, lasciando solo due ragazzi un po’ alterati entrambi con un dolcetto. L’espressione del ragazzo con le pelle scura era tutt’altro che contenta, non gli piaceva l’idea di per aver perso l’ennesima opportunità di dimostrare a quella stupida testa calda di Kagami la sua supremazia, ma non aveva neppure gettato il lollipop datogli da Murasakibara, quindi al momento bisognava considerare quella come una tregua, sino a che non avessero litigato nuovamente. Di contro Taiga aveva già buttato il suo, ma a giudicare dal volto schifato il gesto non era da considerarsi come un rifiuto dell’armistizio, era che semplicemente non apprezzava molto il gusto toccatogli. -… dov’è Akashi? – gli chiese, tornado finalmente ad essere seri,
- Domanda stupida…- si intromise il gigante dai capelli viola. alzando un poco la testa dal bancone su cui si era nuovamente stravaccato,
- Come al solito sta sul retro..- lo ignorò completamente il senpai, decidendo che per quel giorno il turno del gigante era finito e che non era più un suo dovere fargli da balia. Non lo avrebbe mai dato a vedere, ma era frustrante starlo a riprendere per tutto il giorno. “ Eeeh… No, fare il baby-sitter non è decisamente il mio lavoro” si disse scuotendo un poco la testa, mentre il rosso e il moro dai riflessi blu superavano il bancone e prendevano la porta un poco sulla destra, quella destinata al personale, quasi nascosta dalla penombra che si creava in quell’unico angolo del caffè.
Se non fosse stato un dipendente del negozio, cominciò a riflettere serio Nijimura, avrebbe potuto uccidere Murasakibara-kun già un centinaio di volte negli ultimi mesi, ma purtroppo erano a corto di personale e anche la presenza dello spilungone era vitale per occuparsi del locale. Per quanto si trovassero ad un orario morto, quando calva la sera, per il resto della giornata non vi era mai un attimo di tregua tra ordini per la pasticceria e clientela al caffè, la mirabolante macchina dei cappuccini sembrava essere l’attrazione principale.




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Capitolo 4
*** Cap.4 ***


 - Cap 4 –

Nel retro del negozio c’era un androne scuro, eternamente in penombra a causa della totale mancanza di finestre, senza contare un piccolo loculo in cima alla parete sul lato destro dell’entrata, dove però non battevano mai i raggi del sole.
Non era molto spazioso, poco più grande di un ripostiglio, lungo e stretto, cui si affacciavano due soglie: una era un portone massiccio e blindato che nascondeva l’ampia e sempre fornita cella frigorifera; l’altra una porta sottile che dava sulla cucina, una sala non troppo grande, sempre pulita nonostante il continuo viavai di personale e le infornate continue. Era così colma di macchinari che difficilmente un unico pasticcere ne conosceva l’uso di tutte, con l’unica eccezione del proprietario ojiisan, forse. Il vecchietto aveva il difetto di fare lo spaccone e non sempre bisognava credere alle sue parole.
Oltre ad esse vi era anche una scala, seminascosta nel buio, che discendeva nel sotterraneo, dove finalmente si accedeva alla vera e propria sede dell’organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche.
Appariva come se si trattasse di una base segreta governativa, o per lo meno l’aveva pensata cosi ojiisan, quando ne aveva ampliato in gran segreto il bunker nucleare che gli avevano venduto insieme al negozio, ora esteso quasi quanto lo stesso viale Yomi. Aveva creato, grazie anche il sostegno dei propri vecchi amici (la cui somma dei capitali in loro possesso avrebbero potuto sostenere le spese dell’intera popolazione nipponica), un insieme di uffici e laboratori all’avanguardia, pieno di ogni ben di dio elettronico che un nerd avrebbe potuto desiderare, con lo spazio che sarebbero bastato per più di un centinaio di persone.
Una superficie esagerata per i soli venticinque dipendenti reali.
Dalla distruzione della vecchia sede e lo sterminio delle più grandi famiglie - i capostipiti che avevano gettato le fondamenta (quasi cinquecento anni prima), dell’organizzazione -, neppure lo 0,01% del loro antico potere e fama erano ancora stati ripristinati, nonostante i contatti non gli mancassero.


Un tempo più simile ad una setta di maghi, sacerdoti ed esorcisti, con l’avvento dell’età moderna, l’associazione si era tramuta una vera e propria società, del tutto identica ad un’azienda, composta però da individui non proprio comuni, talvolta persino provvisti di capacità extrasensoriali.
Nella loro Era di massimo sviluppo non era raro che fossero contattati dal governo e da ricchi privati. Chiamati in gran segreto, non potevano lasciar trapelare nulla sulla loro vera identità a sui lavori che venivano loro affidati. Normalmente erano convocati quando tutto il resto non funzionava, erano l’ultima guardia prima della disperazione.
Adesso molte cose erano cambiate, le potenzialità si erano ridotte all’osso, cosi come la clientela, erano arrivati a svolgere lavori in realtà più adatti ad una qualsiasi società di tuttofare. Gli impieghi che accettavano erano divenuti assai variabili, giacché quando erano chiamati per degli incarichi legati all’ambito soprannaturale, si rivelavano semplici bufale, e nulla avevano a che fare con avvenimenti spiritici veri e proprio.
Alle volte, quasi sempre a dire il vero, se la settimana si rivelava particolarmente magra, i dipendenti potevano anche ritrovarsi a svolgere i lavori più disparati. A seconda di cosa chiedesse il cliente potevano a diventare: degli addetti ai traslochi, tecnici dei computer, insegnati privati, supplenti, pescatori, sarti, disinfestatori, allenatori di squadre di basket e idraulici.
Avevano un estremo bisogno di denaro se non volevano chiudere, visto il momento di crisi globale in cui si trovavano. Anche se, il motivo principale per cui avevano bisogno di liquidi era a causa del grande capo ojiisan, il quale aveva messo un veto sui guadagni della “facoltosa e rinomata pasticceria Rinny’s”; affermava che l’organizzazione avrebbe dovuto rimettersi in piedi con le sue sole forze se erano realmente decisi a farla risorgere, senza dover sfruttare i guadagni della struttura di copertura.
Tutti i dipendenti erano però a conoscenza della realtà dei fatti: il vecchio aveva tagliato i fondi per potersi assicurare una piccola fortuna per la pensione, e non era una preoccupazione da poco visti i suoi 76 anni d’età.


Le lampade da soffitto, poste ad una distanza di circa sei metri l’una all’altra, si accesero ad intermittenza prima di stabilizzarsi e illuminare di una soffusa luce giallognola le pareti dalle tinte chiare. Non appena scese le lunghe scale che dalla pasticceria portavano sin nell’entroterra, nel punto più profondo della base (ovviamente sorvegliate da delle telecamere nascoste), si accedeva subito al corridoio principale. Sembrava non vi fosse nessuno a preoccuparsi dell’incolumità del posto, ma un sofisticato sistema di sicurezza era impostato per far scattare delle porte blindate, calate da delle larghe fessure sul soffitto, non appena uno sconosciuto, non riconosciuto dal sistema, avesse messo piede nella sede.
Se un non-addetto, essere umano o non che fosse (le porte blindate erano per l’80% composte d’argento, velenoso per un qualsiasi essere non prettamente vivo o di natura magica), avesse provato ad accedere, si sarebbe trovato subito imprigionato in un gabbiotto claustrofobico, senza alcuna via di fuga in attesa di qualcuno che lo facesse uscire.
Kagami e Aomine non dovevano però preoccuparsi del sistema di sicurezza, nonostante non si presentassero al part-time da almeno due settimane, nessuno dei due aveva ancora dato formalmente le dimissioni. Nel caso di Daiki, in realtà, erano state rifiutate.
Le telecamere li riconobbero, lasciandogli passare senza incidenti, e i due ragazzi poterono accedere tranquillamente al corridoio.   
La base accolse i suoi ultimi ospiti nell’aspetto con cui i due visitatori avevano già imparato a conoscerla, all’apparenza normale e del tutto lecita.
Nulla era cambiato, eppure entrambi sentivano che qualcosa era differente.
Attesero, non sapendo dove andare vista l’infinità di uffici e laboratori (senza tener conto degli altri piani sotterranei), cui avrebbero potuto accedere semplicemente procedendo in avanti. Akashi poteva essere ovunque.
Nessuno dei due si stupì quando arrivò in loro soccorso, zampettando, uno dei tanti servetti di Seijuro, un corvo gigantesco dai larghi occhi nocciola, grosso quanto o forse più di un labrador. L’animale li salutò chinando il capo piumato dalle lunghe e lucenti piume nere, in segno di rispetto, spiegò poi l’ala destra, indicando la strada, cominciando nuovamente a zampettare nel precederli, sempre in religioso silenzio.
Da quando Daiki gli aveva affatto notare come la sua voce avesse un suono gracchiante e gutturale: sembra discutere con un uomo nella cui gola fosse rimasto incastrato un tappo di sughero [cit.]; il tengu, essendo molto suscettibile di natura e ritenendosi offeso da quell’aspro e gratuito commento, non aveva più aperto bocca di fronte al ragazzo dalla pelle bronzea. Questi però, purtroppo per l’animale, non sembrava neppur essersi accorto di un simile cambio di atteggiamento nei suoi confronti, anzi, continuava ad ignorarlo, perso a rimuginare in ben altri pensieri. Il suo sguardo sottile oltremare vagava attento per il corridoio, provando ad indovinare in quale stanza l’essere mitologico\folkloristico li avrebbe condotti.

Al primo impatto, nell’entrare nella base, non era raro avere l’impressione di essere appena finiti in un qualche reparto d’ospedale. La scarsa luminosità dava all’ambiente un’aria sporca, ma allo stesso tempo la mancanza di una qualunque fonte di sporcizia lo rendeva perfettamente sterile. Solo un leggero odore di chiuso alleggiava nell’aria e la temperatura, qualunque stagione fosse all’esterno, era costantemente fresca, tanto che a delle volte, anche in piena estate, non era raro trovare qualcuno trai dipendenti con indosso la giacca.
Purtroppo però, quelle poche di luci messe a rischiarire il corridoio principale, erano anche la prima fonte delle paure di Kagami, il quale aveva sempre una pessima sensazione ogni qual volta lo percorresse.
Gli sembrava di piombare di punto in bianco all’interno d'un pessimo film horror, e che da qualche parte un serial killer psicopatico lo stesse aspettando pronto a farlo fuori a coltellate. Venendo dall’America la sua non era una paura infondata, e i vari spiriti e creature indefinite che vedeva gironzolare lì intorno (come quello che lo accompagnava in quel momento) non lo aiutavano di certo a smorzare quell’impressione.
Ma perché un organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche sfruttava quelle stesse entità come propri dipendenti?! Si era chiesto più volte sconvolto, arrivando quasi a strapparsi i capelli. Faticava ancora ad abituarsi all’idea.
Suo padre, uno dei più famosi cacciatori di mostri del nuovo continente, non avrebbe mai concepito una cosa simile, troppo legato alle sue idee e ai suoi metodi (alcuni, a dir il vero, non propriamente giusti).
E forse era proprio quello il motivo per cui aveva messo un oceano di distanza tra loro.



- STANZA N°473 -

Non si spiegava il motivo per cui aveva accettato.
C’era stato qualcosa di assolutamente sbagliato nel meccanismo di pensieri che lo avevano condotto ad assecondare le assurde richieste di Akashi.
Qualcosa nel mentre doveva essersi inceppato, e l’intero sistema del suo cervello era andato allo scatafascio. Doveva essere cosi, o altrimenti non sarebbe riuscito spiegarsi perché si era messo a fare una simile idiozia!
Non che Seijuro non gli avesse presentato delle valide argomentazioni per convincerlo, ma restava il fatto che diveniva fin troppo malleabile in presenza del rosso.
Doveva essere qualcosa celato nei suoi occhi a farlo cedere ogni volta.
Con il senno di poi ogni singola azione compiuta in quelle ultime ore gli parve incomprensibile, del tutto inconcepibile per una mente logica come la sua.

“Per oggi Ona Asa consiglia a voi amici del Cancro di non allontanarvi mai dal vostro lucky item del giorno - ve lo ricordiamo: il pupazzo di una scimmietta-, vi proteggerà dalla catastrofe imminente di cui sarete spiacevoli spettatori.”

Perché quando aveva saputo che il suo segno zodiacale occupava l’ultimo posto della classifica, non se ne era semplicemente tornato a letto? Si chiedeva Midorima in un profondo stato di disperazione e autocommiserazione, un’aura violacea e malsana lo avvolgeva inquinando l’ambiente intorno a lui. Si sentiva privo di ogni grammo di energia, lì seduto alla sua solita scrivania, sommerso da scartoffie e documenti d’ogni genere destinati ad essere catalogati e archiviati, la testa abbandonata malamente sul ripiano. Aveva ormai rinunciato da un pezzo a svolgere quell’impresa. Era impossibile.
Ma perché in un era tecnologica e all’avanguardia come la loro si ritrovava ancora con tutti quei pezzi di carta?! Urlava la sua mente sconvolta, infelice e sofferente, si sentiva cosi patetico a piangersi addosso, ma per quel giorno non poteva farne a meno. Tutto ciò che aveva fatto o anche solo toccato in quella specificata data era andato a rotoli, fracassato, esploso o semplicemente distrutto (come aveva per l’appunto previsto Ona Asa).
Niente. Nulla sembrava andargli per il verso giusto e, a conferma di ciò, una larga macchia violacea si estendeva in mezzo alla sua fronte, segnalando la parte lesa del visto, nel punto in cui era stato più volte colpito da: pareti, porte o spigoli; in diverse parti del giorno.
Alzandosi dal letto quel mattino era inciampato sul comodino da sempre tenuto di fianco al letto, urtando cosi la lampada che vi prendeva posto sopra, la quale si era rovesciata andando a cadere sopra i suoi occhiali, i quali a causa dell’urto erano scivolati a terra.
Gli era bastato un unico, singolo passo per disintegrare la montatura e crepare le lenti, il tutto accompagnato da uno scricchiolio inquietante che gli fece accapponare la pelle.
Forse non sarebbe stata una cattiva idea tenerne un paio di riserva, si era detto nel chinarsi a raccogliere i resti di ciò che erano stati i suoi occhiali, ma era un po’ tardi per pensarci.
Diagnosi: completamente inutilizzabili.
Già da quell’avvenimento avrebbe dovuto come minimo intuire come si sarebbe svolto il resto del giorno. Eppure, cosa aveva fatto?
Aveva sceso le scale per andare a fare colazione, del tutto incurante di ciò che l’universo tentava di comunicargli, finendo per scivolare dopo i primi tre scalini, ruzzolando sino al pian terreno con un capitombolo degno dei migliori stuntman del cinema.
Era già il secondo avvertimento, e non erano trascorsi neppure dieci minuti dal primo.
Ma perché?! Perché era stato tanto ottuso di fronte ai segnali che dio era stato cosi magnanimo da concedergli?!
Con un sospiro Shintaro allontanò il ricordo dei drammatici eventi che si erano susseguiti poi nella sua “giornata nera”, adesso aveva altro di cui occuparsi. La sua pancia vuota lo supplicava di un po’ d’attenzioni.

Strinse forte, quasi fosse un anti-stressa, la piccola scimmietta di peluche - da cui non si era separato neppure un momento da ché era divenuta il suo Lucky Item-, e aguzzando gli occhi, ormai già ridotti a due fessure sottilissime, andò ad armeggiare con estrema delicatezza il manicotto del becco di Bunsen, sino a quando la fiamma prodotta dal piccolo bruciatore a gas non divenne di un intenso e vivido color arancione.
Se non altro avrebbe potuto cenare in pace, riflette aspettando che l’acqua dentro il contenitore in vetro cominciasse a bollire. Avrebbe mangiato del ramen istantaneo. Nulla di così eclatante, né di nutriente, ma almeno non avrebbe rischiato di lasciarci le penne cercando di cucinarsi qualcosa di più complicato.
A pranzo, nel tentativo di comprarsi un panino (poiché aveva dimenticato il bento a casa), aveva finito coll’essere travolto dall’immensa ressa creatasi davanti al rivenditore. Un ammasso compatto ed informe di gambe, braccia e divise, che sul momento gli era apparso come il boss finale di un pessimo videogioco (essendo cieco come una talpa in una caverna buia gli era difficile distinguere tra le varie forme), ma la cui figura era in realtà composta dai suoi compagni di scuola, schiacciati l’uno sull’altro in una lotta per la supremazia.
Spintoni, calci e gomitate, tutto era lecito in quella battaglia.
Alla scuola Shutuku, per lo meno all’ora di pranzo, sembrava vigere un'unica regola: quella del più forte.
Sesso, stato sociale o denaro non avevano più alcun valore.
Solo chi sarebbe riuscito a farsi largo tra quelle belve assetate di sangue avrebbe vinto sulla legge della sopravvivenza.
“Mostri! Non sembravano neppure umani” si rivolse acidamente ai suoi compagni Midorima, rabbrividendo al pensiero e ancora dolorante a causa di tutti i lividi e gli ematomi che gli avevano lasciato, unica dimostrazione della sua partecipazione al combattimento. Purtroppo, miseramente perso. Non era neppure riuscito a vedere il traguardo.



- E adesso Midorima che cazzo c’entra!? – esclamò Aomine entrando con un tonfo assordante, causato dal forte sbattere della porta che aveva appena spalancato, il passo pesante e il volto livido di rabbia nell’entrare nel laboratorio. La sua pazienza era arrivata al limite, ma dov’era finito quel bastardo di Akashi? Quanto ancora aveva intenzione di farli aspettare?
- Aomine…- lo salutò con un cenno del capo il ragazzo dai capelli verdi, lo sguardo accigliato nel tentativo di metterlo a fuoco, con ben scarsi risultati, limitandosi ad osservarlo rimanendo seduto alla scrivania. Per un momento si era sorpreso del suo arrivo, soprattutto impaurito dal forte colpo che aveva udito, il quale lo aveva fatto sussultare sulla sedia dallo spavento, causando cosi la caduta del tanto agognato ramen, che aveva finito con il rovesciarsi sulla scrivania e su parte dei suoi vestiti.
“Addio cena” si limitò a sbuffare stanco di fronte all’accaduto, ormai rassegnato alla propria sfortuna aveva persino perso la voglia di arrabbiarsi.
- Allora dov’è quel nano rosso?!- gli intimò Daiki con aria minacciosa, avvicinandosi di qualche passo mentre Midorima cercava qualcosa per ripulire i resti di brodo. – Midorima! - lo richiamò ancor più stizzito, trovandosi ignorato,
- Lo sai com’è fatto Seijuro, si starà facendo attendere di proposito in modo da farti perdere la calma... Si diverte cosi – borbottò Shintaro soprappensiero, più impegnato e levarsi quella fastidiosa macchia scura dalla maglia beige con un fazzoletto che a prestargli ascolto. – Ah… Grazie, Kraa-chan – ringraziò poi rivolgendosi al tengu, il quale gli stava porgendo una camicia bianca con cui avrebbe potuto cambiarsi.
L’essere mitologico era silenziosamente entrato nella stanza alle spalle di Aomine e subito, notando le condizioni di Midorima, da bravo servetto si era avvicinato all’armadietto di ferro nell’angolo opposto del laboratorio e vi aveva recuperato il cambio che ora gli porgeva, nonché un secchio e uno strofinaccio con cui ripulire quel disastro di brodo e spaghetti riversi sul pavimento.
“Perché gli ha dato un soprannome cosi idiota?” si chiedeva intanto Daiki, talmente nervoso da cominciar a produrre sulla pelle una notevole quantità di energia elettrostatica. A causa della quale lui e Kagami si presero una scossa quando questi lo urtò, entrando un poco trafelato nella stanza.

Per Taiga non era facile orientarsi per quei corridoi, era ancora nuovo del posto, e gli era bastato un momento di distrazione per perdere di vista il compagno e la loro guida. Dopo un momento di panico e un paio d’imprecazione a mezza voce si era detto che non potevano essere poi così lontani. Si era voltato solo per mezzo secondo!
Quindi, riflettendoci, dovevano per forza aver attraversato una delle porte lì vicino ed essere entrati in qualche laboratorio… Ma quale?!
C’erano 127 porte lungo quel corridoio.
Fu salvato dalla prospettiva di doverle aprire una ad una udendo la voce alterata e inconfondibile di Aomine, a quanto sembrava era esploso. Di nuovo.
“Quel ragazzo non sa controllarsi…” sbuffò negando piano con la testa, esasperato, andando nella direzione in cui sentiva arrivare ancora le parole sempre più inferocite del ragazzo dalla pelle scura. Chissà con chi se l’era presa poi quella sciocca testa calda.
Kagami-kun, non sei il tipo di persona che può fare simili osservazioni agli altri.
Volle però puntualizzare una vocina sottile proveniente da un punto indefinito del suo cervello, in alto un po’ sulla destra. E per un momento fu forte in lui la sensazione che a parlare fosse stato Kuroko. Scacciò però subito una simile idea, se si fosse fatto fregare da simili pensieri rischiava di uscirne pazzo, e ancora una volta si trovò a varcare una porta che mai più avrebbe voluto attraversare.  Dover affrontare l’arrabbiatura di Aomine non lo allettava proprio.

- Cazzo! Quel pennuto ci ha fatto camminare per tre quarti d’ora!- continuava ad urlare Daiki, scostandosi rapidamente da Kagami cominciando a camminare esasperato avanti e indietro per il laboratorio. Una larga sala composta per lo più da piastrelle bianche, e il cui arredamento comprendeva: la scrivania di Midorima, un paio di librerie colme di titoli impronunciabili (alcuni persino illeggibili - vista la complessità dai kanji - per Taiga), l’armadietto che, come avevano visto, era adoperato a ripostiglio e qualche congegno non ben definito, usati probabilmente per gli esperimenti per i quali era adibito il laboratorio. Non che in realtà quella stanza apparisse molto adoperata in quel senso, sembrava piuttosto essere divenuta l’ufficio personale di Midorima, visti gli strani pupazzetti (ex-Lucky Item del giorno), che spuntavano un po’ovunque qui e là, e alcune riviste di astrologia firmate da Ona Asa.
Infine c’era un’altra porta, oltre a quella che conduceva al corridoio principale, questa era però dal lato opposto della sala, piccola e blindata, di un anonimo grigio, e quasi non la si notava. Difatti, ancora nessuno sembrava averci prestato la benché minima attenzione.
Se ne rimaneva chiusa, del tutto ignorata.
- Adesso arriviamo qua e ci dice: “il signorino è al momento impegnato, appena può sarà da voi”!- sbraitava Aomine, scimmiottando la voce rauca dell’animale, aveva capito che a prendendosela con Shintaro non avrebbe tirato fuori un ragno dal buco, poiché non sembrava volergli dare corda, quindi aveva smesso di importunarlo. In più il ragazzo dai capelli verdi si stava spogliando della maglia per poter finalmente indossare la camicia candida e pulita, non era un momento opportuno per prendersela con lui.
E poi Midorima era uno dei pochi illuminati a conoscenza del segreto per sopravvivere agli scatti d’ira di Aomine, la regola fondamentale era: più s’ignora, meglio è.
Difatti, il ragazzo dalla pelle bronzea si era ritrovato ad urlare da solo per sfogare un po’ di rabbia. – Perché ci ha fatto chiamare se poi ha altro da fare!? – sbottò un’ultima volta, costretto a fermarsi per mancanza di fiato.

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Capitolo 5
*** Cap.5 ***


- Cap 5 –

Per fortuna di tutti, degli effetti personali di Midorima soprattutto - poiché ci mancò davvero poco che Daiki cominciasse a cercar sfogo alla propria frustrazione su un qualunque oggetto fragile e costoso fosse a portata di mano -, Akashi non volle farsi attendere oltre e finalmente, poco dopo, si presentò alla porta del laboratorio dove i tre lo stavano aspettando.
Kagami aveva creduto che Aomine si sarebbe subito scontrato con il nuovo arrivato, tempestandolo di domande e forse arrivando anche a qualche atto di violenza. Per questo si stupì quando l’altro si limitò a salutarlo in tono freddo e distaccato, come volesse nascondere tutta l’irrequietezza che il suo ritardo gli aveva provocato, ma non gli ci volle molto per comprendere il comportamento del compagno. Bastò che anche Taiga desse una sola occhiata all’aspetto con cui Seijuro gli si mostrò di fronte, perché ogni intento omicida verso la sua persona - partorito da quel pomeriggio -, venisse represso ed estinto.
Il ragazzo rimaneva ancora sulla soglia, appoggiato alla porta quasi temesse che questa gli potesse cadere addosso se si fosse allontanato o, più semplicemente, non sentendosi molto sicuro sulle gambe. Uno sguardo lucido e la fronte imperlata di sudore (nota strana per lui anche nel caso avesse partecipato ad una maratone), tradivano il suo stato febbrile, profonde e scure occhiaie facevano invece intuire una forte mancanza di sonno, forse d’insonnia. Le guance gli si erano accese di un intenso e vivido rossore, molto vicino al colore dei suoi cappelli, i quali, solitamente sempre in ordine, quel giorno sembravano aver avuto una brutta avventura con il pettine, scombinati come se fosse finito in una centrifuga.
La giacca e la camicia che indossava erano stropicciare, la cravatta storta e mal annodata. Visto il modo in peccabile in cui Akashi era solito apparire, sempre molto esigente anche con i propri abiti, il presentarsi in un simile stato, con l’aspetto di qualcuno sopravvissuto per poco ad un ressa da stadio, era qualcosa di assolutamente inedito, imprevedibile. Entrambi i ragazzi rimasero scioccati da quella vista, Midorima un po’ meno, essendo ancora privo di occhiali e non potendo giudicare l’aspetto dell’altro, ma persino nel suo stato di quasi cecità totale poteva percepire che qualcosa nel rosso non andava.
Forse la situazione era più grave del previsto, pensò Aomine avvertendo una forte stizza fargli digrignare i denti e stringere i pugni. Se persino Seijuro si trovava in simili condizioni allora la faccenda era davvero grossa, non lo aveva mai visto tanto sfiancato, lui che tanto amava mostrarsi perfetto e intoccabile, non umano quasi. Avvertiva come il fatto di aver voluto abbandonare l’organizzazione fosse stato solo un atteggiamento stupido e infantile, dettato dalla sua incapacità di riflettere e dal senso di colpa - poiché per la seconda volta non era stato in grado di proteggere il proprio partner. Come suo solito si era comportato da egoista ottuso che pensava solo a se stesso, lo avrebbe probabilmente rimproverato a quel modo Momo e lui per una volta non avrebbe saputo darle torto, riconosceva il proprio errore. Aveva abbandonato la nave proprio quando era in procinto di affrontare una tempesta, come un qualsiasi codardo aveva rubato una scialuppa di salvataggio ed era fuggito per acque sicure, ignorando il fatto che, presto o tardi, le nuvole scure da cui scappava l’avrebbero comunque raggiunto.
Aomine era riuscito a rinchiudere quel mondo dietro la porta della propria stanza per due settimane, ora però la realtà lo richiamava a sé.
La tempesta, quella di cui Akashi portava già i segni, lo aveva trovato.

Tutti i presenti nella stanza erano ben a conoscenza del fatto che gli ultimi incidenti sismici a cui era stata soggetta l’intera regione non erano affatto di origine naturale, come i mass media li stavano spacciando al loro pubblico, bensì spirituale. Un enorme ammasso di miasma si era concentrato nel sottosuolo, ricoprendo un area vastissima che sembrava allargarsi ogni giorno di più, ed erano proprio questi ampliamenti improvvisi a cui la massa era soggetta a causare i terremoti.
Il miasma veniva creato dall’agglomerarsi di pensieri e sentimenti negati, essi attiravano un gran numero di spiriti, fantasmi, mostri che si cibavano di simili emozioni e che finivano con il produrne a loro volta.
Non appena era stata scoperta la vera natura di quei insoliti eventi sismici l’organizzazione era stata subito messa in allerta e, nonostante alcun cliente fosse giunto per chiedere il loro intervento, da giorni tutti gli uffici e laboratori erano in modalità “lavoro non-stop”. Per quanto si fosse compreso da che genere di energia fossero stati messi in moto quegli eventi, ancora nessuno sapeva cosa creasse quel mare di miasma, né come fermarlo. Alcuni credevano bastasse distruggerlo per risolvere il tutto, ma ciò avrebbe potuto portare ad un terremoto su vasta scala, a cui nulla sarebbe sopravvissuto. Altri ritenevano più sicuro e logico tentare di limitare la zona in cui si concentrava il miasma, cercando di ridurla a poco a poco, sino a quando non si fosse stati in gradi di arginarla del tutto. Quest’ultima però non si rivelava una vera e propria soluzione, visti i tempi estremamente lunghi a cui un simile progetto avrebbe portato e al fatto che ciò non avrebbe comunque eliminato del tutto il problema. Era una proposta basata solo su un tentativo di “limitare i danni”.
Com’era ovvio pensare ad Akashi nessuna delle due opzioni era andata troppo a genio, un perfezionista del suo calibro non poteva permettersi di agire in maniera tanto sconsiderata. A suo parere non erano ancora pronti per pianificare una controffensiva, sapevano ancora troppo poco su quel fenomeno per poter agire, dovevano prima trovare le giuste risposte e solo allora sarebbero stati in grado di stendere un piano degno di tale nome.Ed era seguendo quest’idea che il ragazzo aveva cominciato a dare tutto se stesso alla ricerca, arrivando persino a dimenticarsi di dormire, credendo di essere ormai ad un passo dalla soluzione.
Visto il ritmo estenuante e forsennato con cui viveva nell’ultimo periodo: scuola, laboratorio, scuola, laboratorio; in molti credevano fosse un miracolo che i suoi risultati scolastici non ne avessero per nulla risentito, ma per quanto esausto Akashi manteneva il proprio immenso orgoglio e quella perenne credenza di non poter mai perdere.
Eppure, anche lui riconosceva i propri limiti, e ora che era giunto ad un punto di svolta comprendeva di non poter andare avanti senza un aiuto. Aveva richiamato Kagami e Aomine proprio per quel motivo, solo loro due erano in grado di svolgere quel compito. Nessun’altro avrebbe accettato una missione simile, tremendamente stupida e disperata, ma nonostante questo Akashi aveva la netta sensazione che loro non l’avrebbero rifiutata. Era qualcosa che li riguardava da vicino, l’unico modo in cui avrebbero potuto rimediare ai propri errori.
L’ultima possibilità di riavere indietro ciò che credevano perso per sempre.

- Non è meglio se ti siedi? – domandò Aomine, in un moto di gentilezza assai stonato per la sua persona, solitamente tanto scostante e scontrosa, ma Seijuro sembrava sul punto di svenire, quindi una tale premura da parte sua era comprensibile.
- Grazie..- mormorò il rosso sedendosi sullo sgabello che l’altro gli aveva avvicinato, non trattenendo un sospiro stanco e frustrato quando finalmente ebbe modo di far riposare i muscoli, -… spero non badiate troppo al mio aspetto. Ultimamente il presidente non si sente molto bene e il lavoro d’amministrazione non fa che aumentare – fece, e a Taiga stupì la sua serietà e il modo in cui arrivava persino a scusarsi per la propria trascuratezza, per un momento si chiese se sarebbe mai divenuto un adulto anche solo minimamente simile a lui, ma conoscendosi lo dubitava.
- Avevo sentito delle voci sulla salute di ojiisan, ma credevo si trattasse di una semplice influenza – commentò Daiki rimanendogli affianco (per ogni evenienza), sembrava che anche il vero e unico nipote del boss dell’organizzazione avesse contratto un qualche virus.
- Infatti è così – gli confermò, - ma quel vecchio è tanto testardo da non dar retta a nessuno, ha continuato a lavora andando contro al parere dei medici, e adesso ci metterà un po’ a guarire… Si è dovuto quasi ammazzare di fatica prima di decidersi a riposare – si lamentò con quel tono seccato di chi nasconde una profonda preoccupazione, a qualcuno quel suo atteggiamento tanto scostante, che in realtà nascondeva un genuino affetto, avrebbe potuto far tenerezza.
- È a causa della malattia di ojiisan se ci hai chiamati Akashi? – intervenne Kagami andando dritto al punto, privo di un qualunque tatto come un toro infuriato dentro ad un negozio di porcellane, - Insomma, dubito che tu ci abbia voluti qui per del lavoro d’ufficio...- e faceva bene, perché piuttosto che affidare i preziosi documenti dell’organizzazione nelle loro mani, Seijuro avrebbe preferito farsi fare l’oroscopo da Midorima.
- Lo reputo altamente improbabile – ebbe difatti il sostegno dal ragazzo dai capelli verdi,
- Io dire impossibile – e dallo stesso Aomine.
- E difatti non vi ho cercati per un simile motivo, ci sono molte persone più affidabili di voi per un compito così delicato – fu la gratuita frecciatina che ricevettero, probabilmente lo avevano irritato non lasciandogli il tempo per parlare. Per quanto apparisse calmo e logico, il rosso proprio non sopportava l’essere ignorato. – Devo però avvertirvi che, sino a quando il presidente non si sarà ristabilito, io non posso accettare le vostre dimissioni –
- Ma non è solo questo, giusto? Altrimenti avresti potuto limitarti ad una telefonata – sorrise Aomine, un sorriso per nulla felice, colmo invece di sfida e arroganza, probabilmente lui già si immaginava ciò che stava per proporgli Akashi, cosa di cui Kagami, non conoscendo altrettanto bene il rosso, rimaneva all’oscuro.
- Non ti credevo cosi perspicace Aomine – ricambiò Seijuro assottigliando il proprio sguardo eterogeneo, scrutandolo intensamente, sembrava che le sue iridi rosso e oro rilucessero di una strano luce nel guardarlo. Quella stanchezza che gli sfigurava il volto sino ad un secondo prima era come scomparsa di colpo, dandogli modo di fronteggiare senza cedimento la sfrontatezza dell’altro. – Hai ragione: ho un compito per voi -

Alla fine quella piccola e anonima porta blindata, che sino a quel momento sia Kagami che Aomine avevano completamente ignorato, senza neppur accorgersi della sua esistenza, venne aperta. Nessuno avrebbe potuto immaginare cosa si celasse oltre quella soglia, tranne ovviamente Midorima, il quale nelle ultime due settimane aveva vegliato in gran segreto su ciò che essa conteneva. Il ragazzo aveva agito su ordine diretto di Seijuro promettendogli di non far parola ad altri su cosa vi fosse lì dentro, custodirlo era anche nel suo interesse, poiché mai si sarebbe perdonato se quel qualcosa che aveva deciso di proteggere fosse stato trovato da terzi. Shintaro poteva immaginare cosa comportasse tenere un segreto simile in un organizzazione come la loro, in cui ogni fattore anche solo lontanamente spiritico veniva catalogato e analizzato con i più moderni marchingegni; il licenziamento sarebbe stato solo la punta dell’iceberg, per quanto debole ojiisan manteneva ancora alcuni saldi contatti con persone di largo spessore, a solo 17 anni di vita l’esistenza di Midorima sarebbe stata rovinata per sempre.
- Che… che scherzo è questo? – fu Daiki il primo a reagire, il più rapido quando si trattava di accusare un colpo, mentre Kagami ancora rimaneva stralunato, incredulo. A bocca aperta e andatura malferma, simile ad un sonnambulo, compì senza rendersene conto quei pochi passi - solo cinque, - che lo separavano da quella sagoma che poteva intravedere semidistesa su un lettino dallo schienale rialzato. Non poteva crederci, ripeteva la sua mente, eppure il suo cuore esitava, desiderava poterlo fare.
Tutto a Taiga appariva in maniera così irreale, come se il suo sogno più profondo e recondito avesse deciso di prendere corpo per materializzarsi proprio lì, in quella stanza adibita a camera d’ospedale. Aveva bisogno di toccarlo, di sentirlo, doveva assicurarsi che non fosse una semplice illusione, un crudele scherzo orchestrato da Seijuro per chissà quale motivo. Si avvicinò quel tanto che bastava e gli appoggio una mano sulla guancia, la sua pelle era calda, sempre pallida ma calda. Ebbe un sussulto quando finalmente la sua mente riuscì ad elabora una simile visione, strappandolo da quello stato di muta meraviglia.
- Kuroko… - lo chiamò, forse solo per riprovare il piacere di pronunciare nuovamente il suo nome, una parte di lui ancora dubitava di quel miracolo, ma sul momento preferì farla tacere.
Kuroko era di fronte a lui, vivo, seppur non desse segno di volersi svegliare, e gli sembrava molto più reale di tutti gli incubi di cui gli si erano riempite le notti.

- Akashi, hai tre minuti – gli intimò Aomine in tono freddo, glaciale, staccando a fatica e con un certo dispiacere lo sguardo da Tetsuya, a così breve distanza da lui che, come Kagami stava già facendo, avrebbe potuto toccarlo. Però si trattene, ben consapevole di cosa significasse la presenza del ragazzo in un simile luogo (quando in realtà era stato dato per morto durante la loro ultima missione), Seijuro doveva aver nascosto la sua presenza alle alte sfere dell’organizzazione – alias: suo nonno. E questo comportava che il destino di Kuroko, anzi, quello di tutti i presenti nella stanza, essendo appena divenuti complici di qualunque piano avesse in mente il rosso, era in uno stato al quanto precario.
- Dimmi prima cosa vuoi sapere – il tono del ragazzo, e il suo sguardo eterogeneo, non tradivano alcun segno di nervosismo,
- Tu cosa credi? – si scaldò invece ancor di più Daiki, facendo un segno verso Tetsu, si sentiva preso in giro.
- In verità non è fatto insolito che il corpo di chi è stato posseduto dall’Inugami sopravviva dopo che la sua anima è già stata divorata – spiegò, ma nessuno si sarebbe preso la briga di sistemare tutte quelle apparecchiature (assai delicate e costose) in una ben misera stanza solo per prendersi cura di un morto,
- Che cos’ha Tetsu di diverso? –
- Midorima, continua tu – chiamò Seijuro, ritenendo che l’altro fosse più adatto per dare una spiegazione, infondo era quello tra loro più pratico quando si parlava di lavoro in laboratorio e di medicina. Era l’ambito di sua competenza, e nessuno poteva mettere in dubbio le sue capacità, altrimenti, il rosso non si sarebbe mai affidato a lui per la custodia di Kuroko.
- All’inizio, era per puro scrupolo se Akashi ha portato qui Kuroko – ammise Midorima, sistemandosi gli occhiali con la mano sinistra, aveva ancora l’abitudine di fasciarsi le punte delle dita, - E credo che tutti qui possiamo capirlo, lasciare il proprio compagno morire in una fogna è qualcosa di vergognoso, per quanto sia destinato comunque alla morte, gli si vuole donare una fine dignitosa. Purtroppo ojiisan, con i problemi finanziari che abbiamo, gli avrebbe negato un simile favore e, anzi, probabilmente avrebbe cercato di accelerare il processo di “frammentazione della materia” da cui era stato colpito Kuroko –
- Aspe..! Cos’è che aveva Kuroko? – lo interruppe Kagami, si era voltato verso i tre quando gli era sembrato che il discorso si fosse fatto serio, ma rimaneva comunque al fianco del ragazzo addormentato.
Ora che lo aveva ritrovato faticava a staccarsene.
- La “frammentazione della materia” è ciò che colpisce il corpo di un posseduto quando l’entità che lo possiede ne ha logorato a tal punto l’anima da diventare troppo grande per essa. Insomma, il momento in cui lo spirito, il demone o la qualche-si-voglia-cosa diventa più forte del suo contenitore – gli spiegò Midorima,
- Questo è accaduto a Tetsu quando ha sfruttato quel poco di energia spirituale che gli era rimasta per evocare l’Inugami. Allora la sua anima è stata divorata e il corpo, vinto dal potere immenso di quello spirito cane, ha cominciato a disfarsi, giusto?.. - si intromise Daiki, - Ciò che non mi convince è quell’”era”…- l'incalzò cercando il tranello nel quale Akashi prevedeva di farli cadere, perché era certo che il rosso avesse già steso la sua tela, pronto a catturarli come insetti nella carta moschicida.
Difficilmente credeva a tutto quel buonismo con cui Shintaro aveva aperto il suo discorso, era un azione troppo “umana" per qualcuno che da sempre tentava di liberarsi della propria umanità.
- Qualche giorno fa abbiamo potuto appurare che la distruzione delle cellule, a livello molecolare, è cessata. Ci sono ancora delle fratture nelle ossa delle gambe e lacerazioni della pelle, ma tutto sommato sono eventi di poco conto, come se avesse avuto una brutta caduta dalle scale – a quel punto Seijuro si fece avanti, facendo tacere il più alto con un gesto disinvolto della mano.
Concluse le spiegazioni toccava di nuovo a lui parlare:
- In pratica, il corpo di Tetsuya non è più in pericolo di vita – e per un breve momento vi fu il più totale silenzio, rotto solo dall'incessante bip del macchinario per il monitoraggio cardiaco.
- Però la sua anim…- sussurrò Kagami non sapendo se gioire a quelle parole, poiché sapeva di stringere la mano di un involucro vuoto,
- La sua anima è stata distrutta. Per quanto il corpo fisico sia vivo, senza lo spirito che lo riempiva Tetsu non si risveglierà – come sempre Daiki era il primo a reagire quando si trattava di notizie scomode, e fu tanta la rabbia che lo pervase in quella manciata di secondi, simile ad una violenta scossa elettrica, che gli fu impossibile trattenersi. Veloce si gettò sul rosso, afferrandolo per il bavero della giacca, già leggermente sgualcita, sollevandolo da terra di tutto il suo peso (non molto in realtà), lasciandolo solo con la punta dei piedi a sfiorare il pavimento.
- C’è attività celebrale – non si scompose Akashi, sfidando fiero lo sguardo da belva di Aomine,
- Che..?- allentò lui la presa, interdetto, non sapendo dove quel discorso sarebbe andato a parare.
- In questo preciso momento, la mente di Tetsuya sta sognando – lo colse in fallo, facendogli perdere del tutto la presa su di lui.
No, questo non se lo aspettava.

- N-non è una cosa possibile... - si ritrovò a balbettare il grande e forte Aomine, inciampando sulle proprie parole come colpito da una bastonata in pieno volto.
C'erano eventi che nessuno poteva superare completamente integro, dopo aver creduto per ben due settimane alla morte di Kuroko, scoprire il contrario, con possibilità vere, reali che non fosse tutto solo una semplice illusione, era per lui come essere investito da un tir.
- Cos'è che collega l'anima al corpo? Quel che lega ciò che è astratto (anima), con il concreto (corpo fisico)  - gli chiese Akashi, cercando nella logica di una simile domanda di riportare indietro anche l'autocontrollo di Daiki. Il ragazzo dalla pelle bronzea lo aveva finalmente lasciato, ma non sapeva quando avrebbe potuto avere un altro attacco d'ira, e dubitava che se la sarebbe cavata anche una seconda volta.
Se possibile voleva assolutamente evitarsi un pugno in faccia.
- ... - per un momento sembrò sul serio che Aomine vi stesse pensando, ma non gli serviva farlo, la risposta la conosceva; il silenzio in cui cadde servì solo al suo cervello per elaborare le informazioni che faticava ad accettare, a credere veritiere.
Ancora sospettava? Certo, da come Akashi gliel’aveva presentata era tutto troppo perfetto, doveva esserci una fregatura. Il mancato risveglio di Tetsu lo metteva in allarme.
Le risposte ai suoi dubbi le avrebbe però ottenute solo seguendo il percorso impostogli dal rosso, doveva accettare di divenirne una pedina prima di potersene liberare.
- La mente - si decise a rispondere, si era schiarito le idee ritrovando una sorta di calma, non molto stabile a dirla tutta (ma lui non era mai stato una persona tranquilla).  Aveva deciso cosa fare. - … essa impedisce all'anima di separarsi dal corpo. Nel caso venisse danneggiata si ha la morte celebrale, l'anima crede di essere morta e abbandona il corpo; nel caso sia invece il corpo a morire, ma la mente non se ne dovesse accorgere (per un qualche motivo, come ad esempio una morte violenta e/o improvvisa), si creano quelli che comunemente vengono definiti "fantasmi", esseri incorporei composti di sola anima e della mente, che li tiene ancorati a questo mondo - ripeté la lezione radicata in lui sin nel profondo, dal giorno in cui una mocciosa dai capelli rosa di circa otto anni gli aveva sbattuto un volume di duemila pagine sulla nuca.
- Non esistono casi in cui sia l'anima a morire? -
- No, non naturalmente almeno. La morte dell'anima avviene a causa di una possessione, l’entità maligna divora lo spirito dell’ospite, ecc... Questo avrebbe dovuto essere il caso di Tetsu -
- Ma non è andata esattamente cosi - confermò ciò che Kagami e Aomine avevano già intuito da un po'.
- A..anche una parte dell'anima di Kuroko si è salvata? - intervenne Taiga all'improvviso - dovendo alzare il tono della voce per attirare l'attenzione - , faticava ad entrare nel discorso, trovando l'atmosfera da cui erano avvolti Akashi e Daiki come una cortina scura ed impenetrabile. Una sottile ma vibrante minaccia aleggiava trai due, come due animali feroci pronti ad azzannarsi a vicenda.
- No, se fosse sopravvissuto solo una parte allora per lui non ci sarebbe comunque nulla da fare… è però vero che la sua anima è stata fatta a brandelli - gli rispose Midorima, il quale si sentiva nello stesso modo di Kagami: fuori posto, quasi si fossero trasformati entrambi in elementi superflui dell’arredo.
- Ogni frammento da cui era composta la sua anima è ancora vivo. Ho indovinato? E questo che esitavi tanto a dirci Seijuro? - intuì Aomine, trovando conferma nello sguardo compiaciuto dell’interessato.
- Se è cosi allora... se ci fosse un modo per ricomporla - cominciò a ragionare Taiga, intravedendo un barlume di speranza dietro quel corpo vuoto di fronte a se, parve  però sbiancare di colpo nel parlare, un pensiero simile avrebbe fatto esitare chiunque. Era come se avessero ottenuto la possibilità di riportare indietro un morto - per quanto in realtà morto non fosse- , qualcosa che pareva troppo grande per loro mani, ma a cui non avrebbero rinunciato per nulla al mondo. Anche se il prezzo da pagare fosse stato inimicarsi dio stesso.
- C’è una forte probabilità che Tetsuya si risvegli - concluse per lui Akashi, una faccia da poker che non tradiva neppure uno dei suoi pensieri,
- Quanto forte? - lo incalzò Daiki,
- Ha davvero importanza? -
- … No - ammise, sconfitto. Per quanto Aomine fosse consapevole di star andando proprio nel punto in cui Seijuro voleva che  arrivasse, non poteva fare altrimenti. Avrebbe sottostato nuovamente a quella testaccia rossa se in cambio avesse riavuto Kuroko.
Il ragazzo si grattò la testa, prendendo un aria annoiata e un poco scocciata, - Sono una testa calda, fosse anche una possibilità su un milione, mi impunterei sino a dare tutto me stesso perché accada - ma nonostante l’espressione sul volto, nello sguardo che rivolse ad Akashi non vi era il barlume della resa, di qualcuno che accettava gli ordini imposti, ma solo le fiamme ardenti di una volontà irremovibile.
Daiki lo stava sfidando, seppure non apertamente: “non so cosa tu abbia in mente e non mi importa, basta solo che non mi intralci”; fu il muto dialogo che gli trasmise.
- Non credere che ti lasci fare tutto da solo! - proruppe in quel momento Kagami alzandosi in piedi, cieco allo scambio di sguardi trai due, ingenuo ai piani che sottobanco si stavano svolgendo in contemporanea al loro discorso. - Non mi lascerai fuori - decisi riuscendo a trovare abbastanza forza di volontà per abbandonando la sua postazione, di lasciare dietro di se Tetsuya, cosi da fronteggiare testa a testa Daiki, - Ciò che è accaduto a Kuroko è anche colpa mia, e (come mi hai ricordato), anch’io sono una testa calda. Voglio fare la mia parte! - decise sul momento, senza riflettere su ciò che una simile ammissione avrebbe comportato, solo agendo. Da bravo impulsivo quale era.
- Sapevo che avreste detto qualcosa di simile - sorrise a quel punto Akashi, osservandoli guardarsi l’un l’altro in cagnesco, Aomine sembrava essersi completamente dimenticato di lui, troppo occupato a rispondere per le rime all’ultima affermazione di Taiga.
- La tua parte?!... ma se neppure un ora fa ti stavi comportando da cagnolino smarrito -
- Davvero? Me ne ero già scordato -
- Hai la memoria breve… e comunque, lascia perdere, posso farcela da solo. Ti lascio alle tue turbe psicologiche -
- Se lasciassi fare tutto a te di certo finiresti per causare un qualche cataclisma di proporzioni epiche, razza di mezzo isterico con un potenziale fuori controllo -
- E tu credi di potermi fermare (se mai dovesse succedere), mezza calzetta?! -
- (Allora la prendi davvero come una possibilità?), certo, razza di debosciato. Già una volta sono riuscito a…-
- Se non fosse stato per Kuroko non sarebbe accaduto, fidati -
- Ma comunque è successo, signor. Mi può battere solo me stesso -
- Brutto..!-
- PIANTATELA!! - e all’urlo furioso di Akashi, tutto tacque.
Pian piano Seijuro comprendeva quanto potesse rivelarsi un impresa ardua far collaborare due persone cosi simili tra loro, si rischiava che si scannassero a vicenda prima ancora dell’inizio dell’operazione.
- Sentite, sono felice di vedervi tanto entusiasti, ma state dimenticando un punto fondamentale (Ascoltatemi, razza di microcefali!) - la sua seconda personalità lo portava ad usare un linguaggio al quanto scurrile, quando perdeva il controllo, era però bravo a nasconderlo, riducendo gli insulti a puro pensiero.
- Ovvero? - lo guardarono confusi i due, nel mentre Midorima, oramai totalmente tagliato fuori dal discorso, era tornato al proprio laboratorio (la stanza affianco), intento a cercarsi una altra porzione di ramen istantaneo, doveva essercene pur una seconda nascosta da qualche parte. Aveva fame.
- Avete una qualche idea su dove cominciare la ricerca? – dal silenzio che segui, Akashi fu certo che no, non ci avevano nemmeno pensato.
- Di certo tu hai già qualche indizio, Seijuro, altrimenti non ci avresti richiamato qui - per un momento Aomine fu fulminato dall’occhio dorato del rosso, che lo fissò arcigno, ma solo per un secondo, non gli piaceva quando l’altro lo chiamava apertamente per nome, solo suo nonno aveva l’autorità per farlo.
- L’anima di Tetsuya, essendo stata ospite per lungo tempo di uno spirito potente come l’Inugami, ha finito con l’assorbire una parte del suo potere – sospirò decidendo che non era né il luogo né il momento per ricordargli che non aveva il permesso di prendersi certe libertà.
- Mai in questo caso ad ogni frammento dell’anima di Tetsu ci sarà legata anche una parte dell’Inugami?.. Allora, anche se riuscissimo nell’impresa, questo non cambierebbe di molto la situazione da come è ora – guadagneremo solo pochi istanti prima di doverci separare di nuovo, ragionò il ragazzo dalla pelle bronzea, rabbuiandosi un poco.
-  Non esattamente – negò Akashi, notando come gli si fosse smorzato di colpo l’entusiasmo, deciso a riaccenderglielo (anche a costo di dire qualche piccola menzogna), aveva bisogno del membro più forte della sua squadra. - L’anima dell’Inugami (se cosi si può chiamare essendo lui un demone), si è definitivamente separata da Kuroko con lo scioglimento del contratto e, non avendo più patto con alcun essere umano, ha perso tutti i suoi poteri o per lo meno la maggior parte – decise di spiegargli, parlando come se lo facesse per tutta l’organizzazione, - Non abbiamo idea di dove sia finito ora: può essere tornato alla terra perché ormai privo di poteri e resusciterà tra qualche centinaio di anni quando avrà finito la ricarica dell’energia; Al momento non lo sappiamo e non ci importa, l’Inugami è per noi un capitolo chiuso – respirò affondo quasi trovasse molto faticoso continuare, e quando riprese sembrò che gli tremasse la voce, - Ora però pensiamo solo a riportare da noi Tetsuya. Stavo dicendo:..- tossi un paio di volte per riprendere il giusto tono, -… in ogni pezzo dell’anima di Kuroko vi è anche una parte dei poteri dell’Inugami, e questo attira attorno al frammento un gran nugolo di entità spiritiche, le quali puntano ad assorbire una simile, straordinaria, fonte di potenza. Quindi, contando questo, in un luogo dove si radunano un gran numero di fantasmi cosa si crea?
-  Il miasma – fu Kagami il più veloce a rispondere, tentato all’idea di andare nell’altra stanza con Midorima, ma provando un ultima volta ad inserirsi nella discussione.
- Risposta esatta – confermò Akashi, e il sorriso che aveva sul volto prese una piega crudele ed inquietante, quasi sadica - Vi basterà andare a controllare tutti i luoghi in cui si sia verificato un improvviso picco di attività spiritica e di concentrazione del miasma; anche nel caso in cui un fantasma o essere da prima tranquillo si sia trasformato di colpo in qualcosa di pericoloso dovreste controllare, potrebbe darsi che si sia impossessato del frammento d’anima -
- Praticamente ci stai dicendo di andarci ad infilare in ogni buco squallido e fetido della città e, una volta lì, di combattere ogni entità maligna fino a quando “per caso” non ci imbatteremo in ciò che cerchiamo..? – il tono di Aomine aveva una nota di rassegnazione, ma allo stesso tempo sembrava anche molto divertito. Quella prospettiva in realtà non doveva dispiacergli molto.
- Si , più o meno è quello che vi chiedo -
- Bene, lo faremo – rispose dei getto Daiki, anche per Taiga, - ma ad una condizione… -
- Quale? – si incuriosì il rosso, non se lo aspettava, credeva che Kuroko fosse una motivazione sufficiente,
- Dovrai aumentarci la paga! – era pur sempre un part-time scarsamente stipendiato.
- Prima fate bene il vostro lavoro poi parleremo dei compensi –




Nda: ringrazio pubblicamente cake per le sue recensioni, danke ;)

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