[犬神] Inugami - Il divoratore di anime - di Yumeji (/viewuser.php?uid=95601)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 1 *** Cap.1 ***
inugami
- Cap.1 -
“- Non preoccuparti Kagami-kun…-“
La sua era sempre stata una voce sottile, lieve, costantemente ridotta
ad un sussurro per quanto si sforzasse ad alzare il tono - niente
più che un frusciio nel vento.
Neppure quella volta suonò diversa.
Le sue parole non lasciarono trasparire alcun sentimento, cosi come il
volto, all’apparenza apatico, tranquillo.
Una maschera indecifrabile ne occultava ogni emozione, Taiga
gliel’aveva sempre vista addosso da quando l’aveva
conosciuto ed era oramai consapevole essere una parte inscindibile di
lui. Nell’osservarlo non pareva possibile che quelle lacrime,
andate a colmargli gli occhi turchesi - luminosi come un cielo sereno e
vasti due volte esso - , e a bagnargli le guance nivee, fossero le sue.
“- Kuroko
perché piangi?-“
si stupì Kagami nell’udire la propria voce, la
quale
sembrò provenire da un luogo molto distante da quello in cui
si
trovava. Tetsu gli era a soli pochi metri più avanti, un
puntino
bianco immerso nel grigiore di tutto quel cemento e
nell’ oscurità del sottosuolo, ma quella distanza
gli parve
immensa, come se il ragazzo dai capelli celesti in realtà
non
fosse più lì, scomparso in un qualche altro
posto,
lontano da lui.
Irraggiungibile per quanto tendesse le braccia.
Subito il rosso accantonò quella sensazione di impotenza che
la
visione dell’amico gli aveva portato. Non capiva da cosa
fosse
causata e non ci volle pensare. La certezza che qualcosa di terribile
stesse per accadere però non lo abbandonò, non
riuscì a scacciarla, ed essa si sedimentò in
profondità nel suo animo, facendo nascere un germoglio di
gelida
paura nel suo petto.
Doveva raggiungerlo!
Infondo erano poco più di cinque passi, non ci sarebbe
voluto
nulla a coprirli, e avrebbe potuto nuovamente stringere il corpo di
Tetsuya al proprio petto. Già ne avvertiva il calore della
pelle
sotto i polpastrelli delle dita, memori di tutte
quell’infinità di volte in cui aveva
già compiuto
un simile gesto. Ne avrebbe respirato il profumo, lieve ma dolce della
sua pelle, poi gli avrebbe scompigliato i capelli per dispetto, ridendo
del rimprovero che avrebbe letto in quello sguardo chiaro,
probabilmente stizzito ma non realmente arrabbiato.
Avrebbe fatto tutto questo e altro ancora, in quel momento lo
desiderava con tutto se stesso. Aveva l’urgente bisogno di
sentirlo al sicuro al suo fianco, e gli sarebbe risultato cosi facile.
Gli bastava alzarsi e compiere quei cinque passi verso di lui.
Erano solo cinque passi. Cinque. Miseri. Passi.
Ma perché non riusciva a percorrerli?
Voleva raggiungerlo, ma non riusciva a sollevarsi da terra, non capiva
neppure cosa ci facesse lì, disteso a pancia in
giù su un
marciapiede che puzzava di rifiuti tossici.
Doveva essere caduto o qualcosa di simile, non ricordava.
Con uno sforzo immane Kagami riuscì ad appoggiarsi sui
gomiti,
avvertendo quella strana sensazione di torpore che gli aveva invaso il
corpo e annebbiato la mente finalmente abbandonarlo. Non
poté
però far altro che due braccia scure e muscolose lo
ancorarono
nuovamente al terreno, pesandogli sulla schiena, impedendogli di
alzarsi.
“-Ma che
cazz..-“
imprecò voltando la testa dietro di se, scoprendo di non
aver
forze per far altro. Cosa stava succedendo al suo corpo?
Perché
lo abbandonava proprio adesso?
“-
Aomine..?-“
riconobbe il ragazzo che lo sovrastava, bloccandolo con il proprio
peso. Daiki però non né ricambiò lo
sguardo,
continuando a fare forza su di lui, l’oltremare delle sue
iridi
sottili era rivolto altrove, la sua attenzione era tutta per Kuroko.
Un migliaio di campanelli d’allarme cominciarono a risuonare
nella testa di Kagami. Non amava sentirsi in trappola, immobilizzato,
quasi fosse finito in gabbia, e la paura si tramuto in panico con il
lento passare dei secondi, risvegliando la bestia che, sopita, dimorava
in lui.
La razionalità vacillò e Taiga divenne puro
istinto.
Forsennato cominciò ad agitarsi, facendo resistenza alla
presa
di Aomine, che però non sembrava per nulla intenzionato a
lasciarlo andare e lo contrastò con facilità.
Una massiccia quantità d’adrenalina aveva preso a
scorrere
nelle vene del rosso, strappando brutalmente gli ultimi residui di
nebbia che gli avevano oscurato la mente.
Ora sapeva. Ricordava a cosa era dovuto tutto il suo terrore:
Tetsuya stava per morire.
- 2 SETTIMANE DOPO –
La campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni, e
veloci
gli studenti del Seirin abbandonarono le loro classi, invadendo i
corridoi in un vociare allegro e squillante, un miscugli indistinto di
chiacchiere, risa e pettegolezzi.
Tra chi si salutava, chi si dava appuntamento e chi non si parlava.
Ognuno di quegli alunni chiuso nella propria cerchia, quel piccolo e
ristretto mondo da cui non riuscivano a guardare oltre, come
d’altronde valeva per un qualunque adolescente,
nell’illusione di essere divenutati già adulti.
Il silenzio avvolse presto l’edificio quando tutti se ne
furono
andati, i club per quel giorno erano stati sospesi per motivi di
sicurezza, visti gli innumerevoli terremoti che da qualche settimana a
quella parte investivano sempre più ripetutamente la
città.
L’aula della 1-E era già vuota da una decina di
minuti e
il sole lentamente tramontava all’orizzonte, dipingendo
pareti e
banchi con il suo intenso colore aranciato. Un'unica figura nera,
seduto al proprio banco, si stagliava sullo sfondo, forse
l’unico
essere vivente rimasto in tutto l’istituto.
Kagami sbuffò stanco, grattandosi la testa pensieroso,
immobile
nell’attesa. Di cosa poi, non lo sapeva esattamente neppure
lui.
Ormai non era più certo di nulla, di cosa fosse giusto fare.
Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva insicuro, privo
d’appoggio, perso.
Era una sensazione terribile, non ricordava di aver mai provato
qualcosa di simile nella sua breve esistenza. Sembrava come se qualcuno
gli avesse strappato via tutto ciò che il suo corpo
conteneva,
lasciandolo completamente vuoto al suo interno, e non serviva a nulla
rimpinzarsi di hamburger come era solito fare quando il buco ce lo
aveva nello stomaco. Quell’impressione di mancanza, di
perdita
non si colmava.
Non sentiva niente. Non avvertiva neanche più il battito del
proprio cuore, una volta tanto possente da invadergli spesso le
orecchie (soprattutto quando gli andava il sangue dritto al cervello).
Quasi gli avessero tolto anche la voglia di vivere insieme a tutto il
resto.
“E adesso che faccio?” si chiese svogliato,
sollevando
stancamente lo sguardo verso la finestra che dava sul cortile e
lì, vicino al cancello, notò una seconda figura
scura,
simile alla propria, rimanere immobile appoggiata al muro che
delimitava l’edificio.
Strano, credeva che tutti fossero già tornati a casa,
pensò privo di un qualunque interesse, dando però
una
seconda occhiata alla presenza, anche da quella distanza aveva un
ché di familiare.
Non si trovavano spesso persone con i capelli blu.
- Aomine?!- si stupì, credendo forse di star vedendo male,
ma
subito una chiamata di questi al cellulare lo fece ricredere,
- Ohi, anche tu hai ricevuto un messaggio da Akashi, giusto?- non lo
salutò neppure, urlandogli dietro quando ancora doveva
portare
l’apparecchio all’orecchio, attendendo solo che
rispondesse
alla telefonata.
- Uhm… si – ammise Kagami per un momento
titubante,
avvertendo nuovamente l’insicurezza prendergli la gola. Era
quello il fulcro della sua incertezza.
- Bene, allora cosa ci fai ancora lì dentro? Muoviti ad
uscire
che andiamo! – gli intimò chiudendogli la chiamata
in
faccia, sordo ad una qualunque protesta gli avrebbe potuto rivolgere.
- Ma ch..e?- per un istante Kagami guardò lo schermo del
cellulare spegnersi di botto, segno che la conversazione era finita e,
un poco confuso, si affacciò alla finestra, riscontrando che
si,
quel ragazzo là fuori stava aspettando lui ed era proprio
Daiki.
Nonostante la distanza riuscì ad avvertire
l’impazienza nel suo sguardo,
- NON STARE IMBAMBOLATO, MUOVITI! – gli gridò il
moro a
pieni polmoni, vedendolo ancora fermo come un idiota a fissarlo dalla
propria classe, ma attirando cosi l’attenzione di qualche
irritabile professore.
E a quell’ordine Kagami non poté fare a meno di
obbedire,
recuperò la cartella ed uscì di corsa dell’aula. Al
momento
avrebbe dovuto scacciare i propri dubbi e seppellirli da qualche parte
del suo cervello, poiché Aomine non sembrava disposto ad
accettare
alcuna esitazione.
Taiga si rendeva conto di non essere in grado di compiere alcun passo
da solo, ne aveva perso la forza, adesso poteva solo accettare di
lasciarsi trascinare dall’irruenza del ragazzo bronzeo (la
stessa
che soli pochi giorni prima gli era propria), e che fosse lui a
condurlo.
Per una volta quell’egoista, prepotente ed arrogante di Daiki
era proprio ciò di cui aveva bisogno.
“- Aomine-kun,
per favore non fare quella faccia –“
lo aveva pregato Tetsu, e Daiki poteva solo immaginare quanto fosse
penoso il suo volto in un simile frangente, ma non aveva potuto farci
nulla. Di fronte a se vedeva il partner di una vita venir lentamente
consumato, dilaniato da un potere troppo forte per il suo corpo.
Per quanto Kuroko tentasse di nasconderlo, non lasciando che altro,
oltre le lacrime, gli incrinasse il viso, bastava un’occhiata
più attenta per notare i tremiti che percorrevano la sua
gracile
e sottile figura, all’apparenza ancora più piccola
in quel
momento.
Stava per incontrare una fine orribile. Doveva esserne terrorizzato.
Le sue ossa si stavano sbriciolando e i muscoli e i tendini si
spezzavano, Aomine questo non poteva vederlo, ma lo sapeva. Da quando
aveva scoperto la natura delle capacità di Kuroko aveva
voluto
scoprire, essere consapevole di cosa avrebbe atteso il suo compagno.
Inseguito però si maledisse più volte per averlo
fatto.
Se avesse ignorato tutto come Kagami, che ancora si agitava provando a
fuggire alla sua presa - incurante dello squarcio all’addome
che
lo stava lentamente dissanguando -, si sarebbe spinto anche lui verso
Tetsu, fregandosene delle ferite alle gambe e quella, leggermente
più profonda, al torace. Avrebbe solo cercato di fermarlo,
nello
stesso modo in cui stava tentando di fare Taiga, ma che lui gli
impediva.
Il sapere di cui era venuto a conoscenza lo fermava.
Il destino, quella sorta di fato già scritto di cui sempre
Midorima gli aveva parlato (spesso con la recondita speranza di
convertirlo agli oroscopi), ora si delineava preciso e solenne di
fronte ai suoi occhi, e Tetsu vi era invischiato fino alla punta dei
capelli.
Impossibile sottrarsi.
“Proteggi gli
uomini, esorcizza gli spiriti e muori in silenzio”
la scritta che lo aveva più volte accolto nel salone
principale
dalla residenza della famiglia Kuroko, prima che questa venisse
distrutta, acquistava ora un significato.
“- Vieni qui
Inugami-san -“pronunciò Tetsu
congiungendo le mani, formando con le dita il segno del rilascio,
decretando cosi la fine di tutto.
Uccidendo a quel modo non solo se stesso, ma anche una parte di quei
due poveri sventurati che assistevano impotenti alla scena.
Sia Kagami, sia Daiki persero qualcosa di realmente importante quel
giorno.
Non solo un compagno. Non solo un amico.
Ma la persona che amavano.
- Ohi, Aomine! – una voce, roca e familiare, lo
richiamò
alla realtà mentre qualcuno lo afferrava energicamente per
la
spalla,
- Che vuoi..?- si destò Daiki da un leggero sonno con il suo
solito cattivo umore, fulminando con rabbia Kagami che lo aveva
svegliato.
- La prossima è la nostra fermata – lo
avvertì il
rosso, indifferente ad una simile occhiataccia, c’era
abituato,
tornando poi a dargli la schiena per fissare il familiare panorama al
di là del finestrino dell’autobus, la luce dei
lampioni
appena accesi che sfrecciava veloce sotto ai suoi occhi annoiati.
- Si… - grugnì di rimando Aomine, voltandosi
dalla parte
opposta alla sua, il suo sedile dava verso l’interno del
mezzo e
come unica cosa poté solo osservare i pochi altri passeggeri
di
quella corsa.
Oltre a loro c’erano solo: una coppietta di mezza
età, un
anziano dall’aria truce e un travestito;non si
stupì del
leggero strato di sporcizia che ricopriva il pavimento, né
del
puzzo di sudore che appestava l’aria. Non si poteva
pretendere di
più da un autobus che non aveva avuto un attimo di tregua
dalle
cinque di quel mattino.
Quella era sempre stata una tratta molto trafficata, perché
partiva dalla periferia per concludersi in pieno centro (non che fosse
quella la loro destinazione) ed era spesso gremita da un
infinità di persone, giovani soprattutto che ne
approfittavano
per saltate la scuola. Fortunatamente per i due ragazzi, il bus non era
decisamente nel suo orario di punta, anzi, solitamente quello era il
momento della giornata in cui tutti se ne tornavano a casa,
poiché al calar del sole quella parte della città
era
tutt’altro che raccomandabile.
Prossima fermata viale Yomi, si poteva leggere sul piccolo teleschermo
piazzato sopra la postazione dell’autista.
Principalmente, il motivo per cui tutti la evitavano di notte, era che
quella strada aveva la pessima fama di essere infestata dagli spettri.
E se non lo sapevano loro che di lavoro, seppur part-time, facevano gli
esorcisti.
C’era un motivo se l’organizzazione per lo studio e
la soppressione delle entità spiritiche aveva
fatto lì la propria sede.
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Capitolo 2 *** Cap.2 ***
- Cap 2 -
A quell’ora della sera il viale pedonale era ormai deserto,
più nessuno si faceva vedere in circolazione, il sole era
tramontato da un pezzo e le dicerie sugli spettri che occupavano quelle
strade al giungere delle tenebre facevano ancora molta presa sulla
popolazione di quel quartiere, nonostante l’Era tecnologica
in cui vivevano.
Troppi uomini avevano macchiato di rosso quello stesso asfalto e il suo
olezzo, a distanza di anni, era ancora ben percepibile per chi vi
camminava sopra.
In tempo di guerra quel luogo era stato utilizzato come rifugio per
coloro che avevano perso tutto, per chi era rimasto senza casa e senza
famiglia. Lì, quel poco cibo reperibile veniva diviso
equamente trai superstiti, i quali si ammassavano l’uno
sull’altro, arrivando spesso a dormire semplicemente a terra,
senza neppure una tenda sotto cui ripararsi.
Presto la zona si era trasformata in una piccola baraccopoli, situata
nel bel centro della vecchia città, all’epoca
dilaniata dai continui bombardamenti,irriconoscibile. Ma
l’accumularsi di sempre più persone disperate e il
prolungarsi della guerra causarono solo altra sofferenza.
Indicibili eventi si erano susseguiti, la disperazione, la fame e la
paura avevano fatto mettere mano alle armi a quei poveri rifugiati.
Piccoli furti di cibo presto si erano trasformati in terribili
carneficine, poco importava se a compierli fossero donne, anziani o
bambini, ormai al limite della fame. Chiunque commettesse una qualunque
infrazione o fosse accusato di sprecare inutilmente i viveri, doveva
pagare con la vita, il solo rovesciare un bicchiere d’acqua
poteva decretare la propria fine. In poco tempo fu il caos totale, e
l’unica legge da rispettare divenne quella del più
forte, i deboli erano destinati a morire e i loro cadaveri depredati.
Sembrava non vi fosse nulla a fermare quell’infinita spirale
di depravazioni, almeno fino al giorno della tragedia.
Bastò un unica, misera fiammella, e tutti i
sopravvissuti perirono nelle fiamme di quello che già sembrava l’inferno, accompagnati dai resti delle loro misere baracche.
Si dice che, avvolte, se si presta molta attenzione, si possono ancora
udire le atroci e dilanianti urla delle povere anime morte
nell’incendio.
Ora però nessuno sembrava più serbare alcun
ricordo di quegli eventi, per le generazioni che si erano susseguite
era stato facile dimenticare un’agonia che non aveva provato
sulla pelle. Nel corso degli anni, dove prima sorgeva la baraccopoli,
si era edificato, costruito, rimodernato, sino a dare vita ad un
amabile centro di svago e di ritrovo, con almeno una trentina di
attività tra negozi, bar e piccoli ristoranti.
Eppure, nonostante tutto fosse stato ormai sepolto da un pezzo, era
forte la sensazione di disagio opprimente di cui si diveniva preda la
prima volta che si camminava per il viale Yomi. Presentimenti i quali
venivano però presto accantonati dalla parte razionale del
cervello, la quale non comprendeva da cosa fossero causati e li
rifiutava a priori, seppellendoli nella parte inconscia
dell’animo.
Ciò era però possibile solo di giorno, dove
l’uomo si sentiva potente, padrone delle natura e del mondo
intero, dove governavano la scienza e il sapere assoluto.
La notte, invece, era tutt’altra storia.
Al calar della sera era la parte irrazionale, animale
dell’uomo a prendere il sopravvento.
Una paura istintiva, quella che nelle ore diurne era stata solo una
leggera sollecitazione, portava chiunque si fosse trovato nei paraggi
ad accelerare il passo, a fuggire via da quel luogo con lo stesso
panico della gazzella che stava per essere divorata dal leone.
Solo chi fosse stato conscio degli atti compiuti decenni prima, della
storia dietro a quelle moderne vetrate e palazzi, delle lacrime e delle
ossa nascoste sotto al cemento, poteva affrontare e superare il
terrore. Non reprimendolo, ma comprendendolo.
E solo qualcuno con un minimo di percezione spiritica avrebbe potuto
vedere quali esseri, in realtà, popolavano la vita notturna
del viale Yomi.
- Odio venire qua…- sbuffò Aomine rompendo
finalmente il silenzio che li aveva accompagnati per tutto il tragitto,
i suoi occhi oltremare vagavano titubanti verso l’alto, in
cerca di un piccolo spiraglio di cielo notturno non ancora avvelenato
dalle luci della città, ma non c’era.
Taiga gli camminava affianco, lo sguardo fisso a terra, un
po’ ricurvo su se stesso, simile ad un bambolotto a cui si
stessero scaricando le batterie.
- Allora perché ci sei venuto?- lo freddò il
rosso con un tono che non nascondeva una feroce irritazione, per
qualche motivo il comportamento dell’altro lo stava irritando
più del solito. E forse la causa stava proprio nel fatto che
fossero entrambi lì.
Durante il breve tragitto in autobus (15 minuti circa), aveva avuto il
tempo di pensare e lo urtava il modo in cui lo aveva cosi facilmente
seguito, come un bravo cagnolino che risponde subito alla chiamata del
padrone. Ammetteva di non star passando il suo periodo migliore, anzi,
la tentazione di tornarsene in America e chiudere per sempre quel
capitolo della sua vita era forte, molto, ma questa non poteva
giustificarlo per essersi lasciato manovrare cosi facilmente da quel
dannato arrogante pieno di sé dai capelli assurdamente blu!
Più che con Daiki, Kagami era arrabbiato con se stesso e non
solo da quel giorno. Ormai da due settimane faticava a guardarsi allo
specchio, tanto era l’odio e il senso di colpa che lo
attanagliavano. Una ferita profonda gli squarciava l’animo,
all’altezza del cuore, e ancora non smetteva di sanguinare.
Ogni secondo la sua pelle si tingeva sempre più di
scarlatto, ma quello purtroppo non era mai stato il suo sangue.
Taiga non riusciva più a sopportare la vista del proprio
volto e cercava solo un modo per estirpare quella profonda agonia di
cui gli si era riempito il petto.
Se anche Aomine lo avesse odiato e incolpato, forse sarebbe stato
meglio.
Ma Daiki era troppo gentile o troppo crudele per farlo.
- Insomma…- insistette Kagami trovando abbastanza forza da
cercarne lo sguardo, sollevandolo da terra, -… non avevi
detto che avresti abbandonato tutto? Che non essendo più
legato a niente e a nessuno, questi affari non ti riguardavano?
– c’era una nota di ammonizione nella sua voce,
cosa che non piacque affatto ad Aomine.
- Io so il motivo per cui sono tornato qui! –
replicò furente, ricambiando a sua volta la sfida che
leggeva nelle iridi infuocate dell’altro, -… Non
si può però dire lo stesso di te! Se non ci fossi
stato io, adesso probabilmente saresti ancora lì imbambolato
a chiederti: “Cosa
faccio, cosa non faccio?” – lo
scimmiottò malamente, additandolo sino quasi a toccarlo con
l’indice in mezzo alla fronte, costringendolo ad incrociare
gli occhi per seguirlo, in un espressione piuttosto ridicola e comica.
– Questo non è l’atteggiamento da teste
calde prive di cervello come siamo io e te. Le esitazioni non sono
contemplate, noi le rifiutiamo a priori perché non sono
nella nostra natura... – e quello che per Kagami era iniziato
come un litigio, uno dei loro soliti scambi di battute, si tramuto in
una ramanzina a senso unico da parte di Daiki. Il quale mal sopportava
l’improvvisa passività e masochismo (definiva a
quel modo il suo desiderio di essere punito) del rosso, e non gli
perdonava di aver mollato tutto dopo che era stato lui il primo a
lottare.
Certo, non potevano cancellare ciò che era accaduto, niente
gli avrebbe riportato quel che avevano perso, ma gli rimaneva ancora un
modo per rimediare. Aomine si aggrappava a questo per non cadere
nuovamente in una scia d’autodistruzione fatta di totale
menefreghismo, in cui nulla riusciva più a toccarlo. Aveva
ancora un compito da svolgere, poi avrebbe potuto deprimersi per quanto
avesse voluto, ma solo dopo quello.
E da come lo vedeva ridotto, sembrava che anche Kagami avesse bisogno
di un obbiettivo a cui aggrapparsi, qualcosa per cui tener la mente
attenta e il corpo vigile. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era stata la
preoccupazione a portarlo alle soglie della sua scuola quel giorno,
voleva impedirgli di compiere qualche sciocchezza (del tipo: ritorno a
Los Angeles da paparino), e per farlo aveva bisogno che trovasse un
nuovo scopo al più presto. Sul momento non gli era
sembrato poi cosi male voler condividere il suo, infondo,
erano entrambi colpevoli allo stesso modo del medesimo crimine, doveva
dare anche a Kagami l’opportunità di riscattarsi.
– Non ci assomigliamo poi molto, ma in questo siamo simili.
Il sangue ci va subito dritto al cervello, ci infiammiamo per un non
nulla (e finiamo sempre per litigare). Questi però sono
anche i motivi per cui niente ci può frenare – sta
volta lo sguardo di Aomine sembra poterlo penetrare da parte a parte
come un proiettile, lo gelò tanto era aguzzo, e le sue
parole si tramutarono in accusa. – Tu però ti sei
fermato Kagami -
Con quelle ultime parole, Daiki lo abbandonò lì,
varcando da solo l’ingresso del quartier generale - che
intanto avevano raggiunto e di fronte al quale si erano arrestati-,
lasciandolo confuso e titubante sul marciapiedi.
Taiga al momento non se ne rendeva conto, ma l’altro gli
stava dando la possibilità di scegliere. Non gli chiedeva di
ricominciare subito a correre (consapevole che per un recupero simile
ci sarebbe voluto il suo tempo), gli dava però
l’opportunità di muovere nuovamente da solo i
propri passi.
Trascorse un lungo istante in cui il rosso si limitò a
fissare la porta in vetri illuminata dalle luci all’interno,
che cosi tante volte aveva attraversato, ricevendo in cambio un proprio
riflesso pallido e deformato.
Respirò profondamente prima di darsi uno schiaffo in testa
da solo e chiamarsi mentalmente stupido, “ma cosa sto
combinando?” pensò.
Poi maledì Aomine per avergli fatto la predica, neanche
fosse stata sua madre, e un poco però lo
ringraziò, quando riuscì finalmente a superare la
soglia.
Non sapeva ancora il motivo per cui fosse andato sin lì, ma
presto lo avrebbe scoperto.
Per quanto lento e breve si potesse rivelare il suo cammino, era pur
sempre meglio che rimanere immobili.
“Solo un uomo
stupido non teme la morte, ma ancor più stupido è
colui che abbandona alla loro morte gli altri. Meschino è
chi accetta la fine senza lottare, ma peggiori sono le persone che
quella fine se la vanno a cercare.
Non vi è
gloria nel perire per i propri compagni, per quanto sia un gesto da
rispettare, la vera forza si mostra solo nel sopravvivere insieme ad
essi.
D'altronde, se questi si
trovassero nuovamente nei guai chi correrebbe in loro soccorso?
Ogni uomo è
legato agli altri, e le nostre decisioni influiscono (anche se forse in
minimo parte), su tutto ciò che ci circonda. Ecco
perché la vita di ciascuno di noi è cosi
importante…
Questo non va mai
dimenticato, Tetsuya”quando gli disse quelle
parole, la vecchiaia e i suoi acciacchi avevano colpito ormai da tempo
il corpo di Etsuya Kuroko (il nonno di Tetsu), il quale aveva dovuto
rinunciare al suo titolo di capofamiglia in favore del figlio quando,
qualche anno/decennio prima, una malattia gli aveva portato via
l’uso delle gambe.
Era quasi ironico come quel male che lo aveva debilitato a tal punto
fosse stato anche l’unica cosa che gli avesse permesso di
vivere cosi allungo.
Difficilmente coloro a cui era stata impressa
l’eredità di famiglia sulla pelle - il loro
marchio, quell’immenso onore e quella terribile maledizione
che si portavano appresso da secoli - , raggiungesse le soglie della
vecchiaia. Quindi, il fatto che il nonno avesse raggiunto gli 86 anni
di età era per Tetsu e per tutti gli altri membri
dell’organizzazione un vero evento.
Ed era stato proprio alla sua festa di compleanno che il vecchio
venerando aveva preso in disparte il nipote, il quale
all’epoca aveva appena nove anni, e per lui erano ancora
lontani gli anni della consapevolezza e della disperazione (il dramma
sarebbe avvenuto solo tre anni più tardi).
Etsuya aveva deciso fosse quello il momento più adatto per
parlare a quattrocchi con Tetsuya. Aveva sempre pensato si
assomigliassero molto loro due, per aspetto e comportamento il moccioso
era fin troppo simile a lui nei suoi spensierati anni
d’infanzia, e persino nella costituzione esile e inadatta al
combattimento spirituale poteva riscontrare la propria giovinezza.
Ormai il vecchio si sentiva stanco e mortalmente debole, credeva che
non avrebbe mai visto i suoi 87^ anno di vita (e invece sarebbe
arrivato ai 90), e come ultima cosa voleva affidare a Tetsu, cosi
simile a lui, il proprio testamento. Qualcosa a cui il giovane avrebbe
potuto aggrapparsi nei momenti difficili e bui che si sarebbe trovato
ad affrontare.
Perché sapeva sarebbero arrivati, prima o poi.
Il destino della loro famiglia gli era sembrato un buon punto
d’inizio.
In realtà, Tetsu non ricordava poi molto di quel discorso
chilometrico, era pur sempre un bambino e non era stato in grado di
afferrare tutte le parole formulate dal vecchio, alcune veramente
troppo complicate per il suo orecchio infantile.
Difatti, la differenza principale che incorreva tra nonno e nipote era,
per il primo, il rivelarsi piuttosto logorroico e spesso perdersi in
monologhi infiniti, mentre per il secondo era rasentare il mutismo,
limitandosi a frasi strette e sintetiche.
Però anche in questo vi era comunque qualcosa ad
accomunarli, seppure in modo diverso le loro parole avevano sempre un
peso enorme sulle persone a cui erano rivolte.
Era stato però in quei brevi secondi, quando Tetsuya aveva
rilasciato per l’ultima volta l’Inugami, che le
parole (o per meglio dire i concetti salienti), del nonno gli erano
tornati alla mente.
Come aveva desiderato Etsuya anni prima, il nipote aveva segregato da
qualche parte dell’animo il suo testamento, solo per poterlo
tirar fuori quando ne aveva avuto realmente bisogno. E
l’istante in cui Tetsu avrebbe incontrato la morte, pareva
non esserci momento più adatto di quello.
“Ciò
che cerco di dirti, nipote mio, è che per quanto la nostra
famiglia sia legata alla morte, per quanto la nostra vita sia breve: la
scelta su come viverla non ci è stata tolta.
Siamo costretti ad
accettare la nostra prematura fine, niente però ci impedisce
di scansarci quando la morte ci si presenta di fronte.
Forse sarà
difficile da comprendere per te, essendo ancora un bambino, ma non si
è obbligati a morire. Prima o poi ciò
avverrà, certo, però devi dare tutto te stesso,
ogni grammo della tua forza, per sopravvivere il più allungo
e nel modo più felice possibile…”
In tutti quegli anni (non molti in realtà), Kuroko aveva
sempre creduto che, giunto il momento, sarebbe stato pronto. Infondo
era sempre stato quello il destino della sua famiglia:
“Proteggi gli
uomini, esorcizza gli spiriti e muori in silenzio”…
giusto?
Qualcosa non andava.
Paura. Angoscia. Terrore. Gli percuotevano lo spirito, lasciandolo
incapace di reagire in alcun modo, ma non avvertiva altro. La sua pelle
si stava frantumando, quasi fosse divenuta pietra, sotto ai suoi occhi,
lui però non sentiva nulla. Un pianto isterico lo colse,
cancellando per una volta l’apatia sul suo volto. Era davvero
finita?
Sapeva che l’unico motivo per cui non sentiva dolore era
perché la sua anima stava già andando in pezzi,
separata da un corpo destinato a spezzarsi in pochi attimi.
Non sarebbe più rimasto nulla della sua esistenza.
La sua mente cominciò a perdere consistenza mentre le
memorie di chi era stato svanivano.
Frammento dopo frammento avvertiva il suo essere cancellarsi, divorato
da qualcosa impossibile da controllare. Troppo potente da contrastare.
Pezzo, dopo pezzo, dopo
pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo…
Ogni ricordo già ingoiato dall’oblio.
… e pezzo,
dopo pezzo, dopo pezzo, dopo pezzo.
Ogni consapevolezza di sé, sia del respiro che del battito
del proprio cuore, svanita.
Ormai era morto.
Pezzo, dopo pezzo,
eppure qualcosa rimaneva.
Ma nonostante questo, proprio non riusciva ad accettare di perdere
anche quelli.
Li stringeva forte tra le sue dita incorporee, i suoi due tesori.
Ora che si era ridotto a semplice anima evanescente - la carne
trasparente, tutto il suo corpo divenuto più simile ad un
accumulo di condensa che a qualcosa di vivo - , due fili
sottili ma resistenti gli uscivano dal petto, all’altezza del
punto in cui stava cuore, e si allungavano a dismisura fino perdersi in
quell’oscurità che lo circondava.
Una volta liberato l’Inugami l’ambiente attorno a
lui aveva cessato d’esistere.
Kuroko non ricordava più a chi fossero legati gli altri capi
di quei lacci, ma credeva vi fosse un motivo se esistevano, che
simboleggiassero un legame?
Ciò che vedeva erano forse i sentimenti con cui si era
legato a due distinte persone, entrambe egualmente importanti nella sua
vita, estremamente preziose per lui?
Forse le aveva amate?.. Chissà, l’aveva
dimenticato.
Però, nonostante non ne preservasse alcuna memoria, non
voleva separarsene.
Non voleva tagliare quel ultimo ponte con cui rimaneva collegavano a
loro, chiunque fossero.
Non voleva abbandonarli.
Chi avrebbe aiutato quei due idioti quando sarebbero finiti di nuovo
nei guai? -pensò d’istinto, non sapendo
però dare una qualche spiegazione alle proprie stesse parole.
Avrebbe fatto di tutto per proteggerli ancora, e morire di certo non
gliel’avrebbe permesso, ragionò con quel poco di
IO che gli rimaneva.
Non poteva morire!
Si era lasciato indietro quei due sconosciuti cosi importanti!
Dovevano ancora fare un infinità di cose insieme.
Lui doveva fare ancora un infinità di cose.
- Desideri vivere? -
Forse per la prima volta da ché aveva ricevuto la
maledizione della propria famiglia, Kuroko desiderò di poter
vivere di più di quanto il marchio gli avesse concesso.
Non fuggire da esso, ma lottare. È però difficile
ribellarsi quando si è già firmata la resa.
Lo spirito di Tetsu afferrò forte a se quei suoi ultimi
legami, perché non si spezzassero mentre il resto di lui
finiva con l’essere frantumato, disintegrato in tante piccole
schegge sottili di non esistenza.
Nell’oscurità di quell’oblio rimasero
infine solo i due fili.
Uno risplendeva di un color rosso intenso come il fuoco e
l’altro brillava di un blu profondo come il mare.
“Sappi alla
fine che solo qualcuno che tiene stretta a se la propria vita,
può sperare di salvare quella di
qualcun’altro.”
- Grazie, ojiisan -
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Capitolo 3 *** Cap.3 ***
- Cap 3 –
Murasakibara sbadigliò assonnato, spalancando la bocca
simile ad orso annoiato, sino a farsi salire le lacrime agli occhi.
“Ghwaa… Questo part-time mi uccide”
pensò stravaccato malamente sul bancone della pasticceria,
vicino alla cassa, grattandosi svogliatamente la nuca mentre alcuni
ciuffi ametista gli ricadevano sulla fronte.
E subito si aspettò una qualche strigliata dal senpai
Nijimura, il quale lo obbligava a legare i capelli in una coda, a sua
detta per “motivi d’igiene”. Non ci
facevano certo una bella figura se alla clientela del bar servivano
pasticcini conditi con la sua chioma. Ma il vicecapo (poiché
il capo vero era il proprietario del negozio: ojiisan), non sembrava
essere nei dintorni al momento, quindi Atsushi decise di prendersi una
pausa, cosa che in realtà stava già facendo,
erano vicini all’orario di chiusura ed era da più
di un ora che non entrava più alcun cliente.
“Infondo questo non è un posto tanto malaccio dove
fare un sonnellino” si disse avvertendo la fredda sensazione
che gli dava il rivestimento translucido del bancone contro la guancia.
Se ricordava bene, nei primi giorni che era stato assunto
lì, Shuuzuo gli aveva spiegato che era fatto in vero marmo e
doveva prestarci molta attenzione, ripulendolo ad ogni momento
opportuno. Inseguito aveva continuato dandogli un’altra lunga
tiritera di ordini e rimproveri, ai quali però lo stangone
aveva fatto orecchie da mercante, sin troppo impegnato a fissare con
sguardo adorante la “mirabolante macchina dei
cappuccini”, per prestare al superiore una qualunque
attenzione.
Modestia a parte, doveva comunque ammettere che, per quanto gli
seccasse usarla quando non ne aveva voglia, ormai quella macchina non
aveva più segreti per lui.
L’oscurità al di fuori del negozio regnava
sovrana, segno che ormai non vi era più alcun altra
attività aperta nei paraggi, solo la vetrina del
caffè/pasticceria Rinny’s
era ancora illuminata, dando bella mostra di sé e delle sue
innumerevoli leccornie: torte, plum-cake, pasticcini assortiti,
dolciumi di infinite qualità; un paradiso per i golosi
insomma, ma a cui purtroppo a Murasakibara era impossibile accedere.
Gli era stato imposto il divieto assoluto di mangiare, un'altra delle
cattiverie del senpai Nijimura, il quale temeva non solo per la loro
scorta, che avrebbe rischiato di essere spazzolata in una mattinata; ma
anche per la salute di Atsushi, gli sarebbe potuto venire il diabete
(Shuuzuo era forse paranoico?.. Probabilmente si, però non
poteva farne a meno con affianco un bambinone alto quasi 2.10m).
Alla fine però si erano accordati, con il repentino
intervento del Boss ojiisan che per poco non aveva dovuto sedare una
rissa, decidendo che come dipendente Murasakibara aveva il diritto di
mangiare 3 pezzi del loro vasto assortimento al giorno e che per il
resto, se gli fosse venuta fame, avrebbe potuto portarsi i suoi snack
da casa.
I quali, scopri il giorno seguente Nijimura, occupavano ben tre zaini.
L’interno del Rinny’s
era un luogo calmo e confortevole, elegante e moderno (per
un locale che aveva il nome che ricordava un po’ quello di
una tavola calda), e sempre molto luminoso. Si divideva in due spazi:
lo spazio adibito a caffè, dove si trovavano anche alcuni
tavolini e la mirabolante macchina dei cappuccini, e quello adoperato a
pasticceria, subito vicino all’entrata, un po’
più stretto rispetto al primo ma con un bancone stracolmo di
invitanti dolci, su cui poi trovava posto anche la cassa. Per cui i
clienti erano costretti ad affacciarsi su quel paradiso dolcifico per
pagare il conto, e difficilmente resistevano alla tentazione di
assaggiarne almeno uno.
- Mu-ra-sa-ki-ba-ra-kun!…- il modo in cui Shuuzuo
sillabò il suo nome, e soprattutto il tono fermo e glaciale
che usò, fece sussultare di paura il gigante, che si
tirò subito dritto in piedi, ritrovandosi il superiore
proprio dietro le spalle.
Non aveva un’espressione molto felice, anzi, dire che
sembrava infuriato era poco.
- O-ohi..- lo salutò Atsushi con fare visibilmente
assonnato, lo sguardo pieno di lucciole perché si era alzato
troppo velocemente, il dolce profumo dei dolci gli aveva allietato il
sonno,
- Ohi, un corno!- sbottò il più basso, il cui
sguardo sembrava sprizzare fiamme tanto era furibondo. – Come
puoi addormentarti in un posto simile!?- lo rimproverò non
riuscendo a nascondere l’incredulità, aveva sempre
pensato che non esistessero persone capaci di dormire in piedi (si, che
fosse solo un modo di dire), il gigantesco kohai l’aveva
però appena fatto ricredere. – Ma a cosa stavi
pensando?- continuò con la sua predica, ma l’altro
non lo stava già più ascoltando, la sua
capacità d’attenzione era piuttosto scarsa,
soprattutto se trovava qualcosa di più interessante da
osservare.
Quel giorno, per l’appunto, Atsushi sembrava aver trovato
qualcosa di particolarmente curioso nell’aspetto del proprio
senpai.
Nel guardarlo non gli fu difficile notare che aveva tutti i capelli
arruffati, le guance rosse e un leggero fiatone, il quale non era
causato dalla strigliata che gli stava rivolgendo. Dal modo disordinato
in cui indossava il grembiule, usato come divisa (di un color rosso
carmineo), il cui laccio era stato legato malamente, il nodo
leggermente sfatto, il ragazzone intuì che se lo doveva
essere tolto. Ma per quale motivo?
Nijimura si era allontanato per circa venti minuti dalla sua
solita postazione - ne era sicuro perché poco prima aveva
dato un’occhiata all’orologio da parete per vedere
quanto mancasse alla fin del turno-, da doveva poteva osservare non
solo i clienti entranti, ma anche il comportamento di Atsushi.
Cosa aveva fatto per tutto quel tempo?
- Nijimura-san..- lo interruppe ad un certo punto il gigante dai
capelli viola, la voce ancora un po’ impastata dal sonno, ma
per una volta con uno sguardo attento,
- Si.. hai qualcosa da dire?- si era ritrovato interdetto il corvino,
stupito che l’altro fosse intervenuto durante un suo
rimprovero, di solito non capitava. Forse aveva capito di aver
sbagliato e voleva fargli le proprie scuse per il suo comportamento
poco professionale?.. Improbabile, ma ci sperava.
- Ha un segno rosso simile ad un succhiotto, proprio qui sul collo
– gli fece lui chinandosi, indicandogli un punto dove la
camicia, a cui era partito stranamente un bottone, lasciava intravedere
un lembo di pelle di troppo.
All’improvviso calò il silenzio e Murasakibara
poté udire i nervi del proprio superiore sfasciarsi sul
colpo.
- N.. non è come sembra!!- esclamò Shuuzuo colto
in fallo, il volto tinto di un intenso rosso mentre andava a coprirsi
la parte incriminante, visibilmente in difficoltà e colto da
un da un attacco di panico. – Non sono andato ad imboscarmi
con qualcuno nel retro del negozio..!- continuò a balbettare
in stato confusionario, la sua figura autoritaria che perdeva a poco a
poco la sua credibilità ad ogni secondo trascorso.
– Guarda che non ero con…-
E proprio quando Nijimura stava per finire di scavarsi la fossa da
solo, Aomine e Kagami entrarono dalla porta.
Nel varcare la soglia del locale, la scena che si palesò di
fronte agli sguardi confusi e interdetti di Kagami e Aomine apparve del
tutto surreale, come se si fossero trovati all’improvviso
catapultati in una realtà parallela, uguale ma opposta a
quella in cui avevano sempre vissuto sino a quel momento (e visti gli
esperimenti folli a cui si dedicava quell’eccentrico di uno
studente di medicina, non potevano escluderla come
possibilità). D'altronde non era possibile che quel severo,
sempre tutto d’un pezzo e rompicoglioni esigente del cazzo,
di Shuuzuo Nijimura, si trovasse a supplicare in ginocchio, quasi sul
punto di piangere a vedere l’espressione sul suo viso, quello
spilungone pigro divora snack di Murasakibara Atsushi.
Non era qualcosa di concepibile nel loro mondo. E difatti entrambi i
ragazzi, con la medesima faccia sconvolta, si impietrirono di fronte a
quella visione.
- Giuro che ti passo tutti i dolci che vuoi sottobanco se non racconti
niente a nessuno…- diceva il senpai aggrappato al grembiule
del gigante, quasi strappandolo dal modo convulso con cui lo stringeva.
Tentava in maniera disperata di corromperlo, cosa in realtà
non necessaria visto che il ragazzo non aveva alcun interesse di
mettere la voce in giro (di cosa poi, non lo sapeva esattamente neppure
lui), ma infondo chi era per negare al proprio superiore di fargli
qualche offerta per comprare il suo silenzio?
E la prospettiva di cibo gratis lo fece subito cedere.
- Va bene senpai, se è cosi importante per te, non
dirò nulla – acconsentì Atsushi
guardando quel volto sull’orlo di una crisi di pianto,
“anche perché in realtà non so
nulla” pensò senza però esternarlo ad
alta voce, se si trattava di ottenere qualcosa di suo interesse sapeva
anche farsi furbo. Spesso i bambini si rivelano più
terribili di quanto s’immagini.
- Ohi..?- fu Aomine il primo a palesare la propria presenza, salutando
con una certa malagrazia, nascondendo il disagio causato dalla scena
imbarazzante a cui aveva appena assistito (senza però che i
due interpreti se ne accorgessero), dietro all’irritazione
costante con la quale si era diretto sin lì.
- Sa..salve – salutò invece Kagami, meno abile
dell’altro a tirarsi fuori d’impiccio, sentendosi
in una situazione al quanto scomoda, palesando il proprio scompiglio
interiore, facile da leggere come un libro aperto.
- Kagami-kun, Aomine-kun..- con la velocità degna di uno dei
più grandi attori mai apparsi su di un palcoscenico, che
muta di colpo ruolo al primo cambio di scena, ecco che Nijimura da
personaggio vinto e chino al giogo della sfortuna (interpreta al momento
da Murasakibara), rimettendosi semplicemente in piedi, avvolto in un
attonito silenzio, tornava il senpai di sempre. Lo Shuuzuo severo ma
giusto, rispettato da tutti e che mai, tanto appariva rigido persino
con se stesso, sembrava aver commesso alcuno sbaglio nella vita.
-… è da un po’ che non passavate
– commentò serio, consapevole dei motivi per cui i
due ragazzi erano stati lontani dall’organizzazione cosi
allungo.
- Si, e io avrei anche preferito non tornare – ammise Daiki
alzando svogliatamente le spalle, rassegnato, - ma sai
com’è fatto Akashi. Non è possibile
rispondere “no” ad un suo ordine – e il
veleno che uscì dalla sua gola al pronunciare quel nome
sembrò trasformarsi in gelidi stiletti di ghiaccio a
contatto con l’aria, tanto che il suo fiato sembrò
sul punto di condensare con l’ambiente. L’odio non
faceva di certo bene allo spirito del ragazzo, pensò
Nijimura nel semplice osservarne il riflesso di tenebra nello sguardo
oltremare, ma era anche vero che al momento non aveva altro a cui
aggrapparsi. Finché la sua mente non avesse metabolizzato il
colpo e il senso di colpa non si fosse attenuato, l’avere un
colpevole per la scomparse di Kuroko, qualcuno da poter odiare, da
incolpare, era per Aomine l’unica salvezza.
- Dov’è Akashi?- non si perse in inutili commenti
invece Kagami, il quale appariva piatto, privo di una qualunque energia
interiore, come svuotato completamente. Sembrava
un’automobile priva di motore, il cui unico modo per farla
muovere era di spingerla in avanti.
Il vederlo in quello stato provocò una leggera inquietudine
in Nijimura, il quale faticava a riconoscere in lui il Taiga di sole
poche settimane prima, chi si riduceva a non saper più come
avanzare era in grado di compiere qualsiasi gesto, persino i
più drastici.
Un pugno cozzo però sulla testa del rosso, facendogli
chinare il capo,
- Smettila di fare quella faccia.. mi irriti- gli intimò
Daiki sbuffando,
- Merda! Ti sembra questo il modo di colpire qualcuno!? –
replicò subito furente Kagami, massaggiandosi la parte lesa,
una lacrima gli si era formata al lato di un occhio, segno
inequivocabile che l’altro non si era trattenuto.
- Perché ci sono altri modi?- fece girandosi verso il retro
del locale, degnandolo appena di uno sguardo da dietro la spalla destra,
- Non avresti dovuto colpirmi!!- si infervorò ancor di
più Taiga a quel suo atteggiamento sufficiente,
- Se smetti di fare quella faccia irritante giuro che non ti colpisco
più – promise teatralmente il ragazzo dalla pelle
scura, con tanto di mano sul cuore e braccio alzato.
- Qualunque espressione abbia ti irrita! – ribeccò,
- Allora basta che ti cambi i connotati – la fece semplice
Daiki.
“No, mi sto preoccupando inutilmente” si disse
intanto il senpai Shuuzuo nel guardarli litigare, quel bisticcio lo
riportava alla vecchia adorata normalità, che tanto gli era
apparsa lontana solo quel pomeriggio nonostante in realtà
non fosse trascorso poi molto tempo. “L’orgoglio di
Daiki ne risentirebbe se Kagami dovesse ridursi ad un guscio vuoto. Si
vergognerebbe ad averlo chiamato rivale”.
Aomine non avrebbe di certo aiutato Taiga ad aggiustare quel suo motore
guasto che si rifiutava di funzionare, ma sarebbe stato la spinta che
lo avrebbe portato a ripartire.
Il ragazzo dai capelli blu si sarebbe limitato ad irritarlo quel
tantino per farlo reagire, impedendogli di cadere nel baratro a cui si
era affacciato.
Risvegliare la luce di Kagami era però qualcosa che poteva
fare solo Kagami.
- Perché tu invece non pensi di cambiare quel caratteraccio
del cazzo che ti ritrovi? – e dagli sguardi omicida che i due
si stavano scambiando, Nijimura si rese conto di dover intervenire
prima che le cose degenerassero, ma sembrava già essere
troppo tardi.
- Prova a cucirti la bocca, signor secondo classificato, solo chi vince
ha il diritto di parlare – cominciò a scrocchiarsi
le nocche Aomine, tornando a girarsi furente verso di lui,
- Bene, allora quando ti avrò battuto ti toccherà
andarti a cucire le labbra con ago e filo –
appoggiò la cartella a terra Kagami con un tonfo.
Una densa e malevola aura di sfida avvolse l’intero Rinny’s,
lo scontro era imminente.
I due combattenti attendevano solo di poter menarsele di santa ragione.
Ne sarebbe sopravvissuto uno, e se un muro fosse rimasto in piedi
sarebbe stata una fortuna.
“Una volta sarebbe bastato l’intervento di Kuroko a
fermarli” pensò Shuuzuo un poco demoralizzato alla
prospettiva della distruzione del caffè. Non era cosi facile
intromettersi tra quei due, tutti i suoi tentativi di fermali erano
stati beatamente ignorati da entrambi, e alla fine era rimasto
schiacciato dal quel intenso desiderio di combattere di cui erano
pervasi (o forse era semplice sete di sangue?).
- Tenete – intervenne a quel punto Murasakibara che,
sporgendosi dal banco con una velocità impensabile per uno
della sua stazza (aiutato dalle braccia lunghe), infilò
nelle bocche dei due sfidanti un lollipop – ciliegia e coca
per Kagami, kiwi e fragola per Aomine -, i quali continuarono a
fissarsi l’un l’altro straniti, come se non
avessero compreso cosa gli avesse colpiti .
L’aria pesante di cui si era riempita la sala si spacco con
un rumore sordo, mentre Nijimura si chinava sotto al bancone, tremante
nel tentativo di soffocare le risa che veloci gli erano salite alla
gola. Non era una buona idea irritare due belve subito dopo che la
fiamma della loro sfida era stata appena spenta da una secchiata
d’acqua, un carbone ardente poteva comunque causare una
brutta bruciatura (traduzione: se la sarebbero potuta prendere con lui).
Atsushi rimase indifferente alla scena, inconsapevole eroe. Aveva
pensato di approfittare del momento in cui nessuno gli prestava
attenzione per farsi un altro breve sonnellino, i suoi piani erano
però sfumati quando li aveva sentiti cominciare a
bisticciare. Lui normalmente era di cattivo umore quando non assumeva
abbastanza zuccheri (o quando le cose non gli andavano come voleva),
quindi aveva pensato che per Kagami e Aomine valesse lo stesso. Senza
pensarci troppo, spinto dal desiderio di farli smettere al
più presto per cosi ottenere la sua meritata pausa, aveva
pescato i due dolciumi dalla scatola dietro al vetro anti-starnuto,
sempre vicino alla cassa, agendo giusto un momento prima che avvenisse
il peggio.
Strano per strano, il piano di Atsushi sembrò funzionare e
il caffè/pasticceria
Rinny’s, non che covo segreto dell’organizzazione per lo studio e
la soppressione delle entità spiritiche, rimase
in piedi un giorno di più.
- Senti..- si rivolse Daiki a Nijimura dopo un lungo momento di
silenzio, in cui l’atmosfera pre-apocalittica si era
completamente sgonfiata, lasciando solo due ragazzi un po’
alterati entrambi con un dolcetto. L’espressione del ragazzo
con le pelle scura era tutt’altro che contenta, non gli
piaceva l’idea di per aver perso l’ennesima
opportunità di dimostrare a quella stupida testa calda di
Kagami la sua supremazia, ma non aveva neppure gettato il lollipop
datogli da Murasakibara, quindi al momento bisognava considerare quella
come una tregua, sino a che non avessero litigato nuovamente. Di contro
Taiga aveva già buttato il suo, ma a giudicare dal volto
schifato il gesto non era da considerarsi come un rifiuto
dell’armistizio, era che semplicemente non apprezzava molto
il gusto toccatogli. -… dov’è Akashi?
– gli chiese, tornado finalmente ad essere seri,
- Domanda stupida…- si intromise il gigante dai capelli
viola. alzando un poco la testa dal bancone su cui si era nuovamente
stravaccato,
- Come al solito sta sul retro..- lo ignorò completamente il
senpai, decidendo che per quel giorno il turno del gigante era finito e
che non era più un suo dovere fargli da balia. Non lo
avrebbe mai dato a vedere, ma era frustrante starlo a riprendere per
tutto il giorno. “ Eeeh… No, fare il baby-sitter
non è decisamente il mio lavoro” si disse
scuotendo un poco la testa, mentre il rosso e il moro dai riflessi blu
superavano il bancone e prendevano la porta un poco sulla destra,
quella destinata al personale, quasi nascosta dalla penombra che si
creava in quell’unico angolo del caffè.
Se non fosse stato un dipendente del negozio, cominciò a
riflettere serio Nijimura, avrebbe potuto uccidere Murasakibara-kun
già un centinaio di volte negli ultimi mesi, ma purtroppo
erano a corto di personale e anche la presenza dello spilungone era
vitale per occuparsi del locale. Per quanto si trovassero ad un orario
morto, quando calva la sera, per il resto della giornata non vi era mai
un attimo di tregua tra ordini per la pasticceria e clientela al
caffè, la mirabolante macchina dei cappuccini sembrava
essere l’attrazione principale.
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Capitolo 4 *** Cap.4 ***
-
Cap 4 –
Nel retro
del negozio c’era un androne scuro, eternamente in penombra a
causa della totale mancanza di finestre, senza contare un piccolo
loculo in cima alla parete sul lato destro dell’entrata, dove
però non battevano mai i raggi del sole.
Non era
molto spazioso, poco più grande di un ripostiglio, lungo e
stretto, cui si affacciavano due soglie: una era un portone massiccio e
blindato che nascondeva l’ampia e sempre fornita cella
frigorifera; l’altra una porta sottile che dava sulla cucina,
una sala non troppo grande, sempre pulita nonostante il continuo viavai
di personale e le infornate continue. Era così colma di
macchinari che difficilmente un unico pasticcere ne conosceva
l’uso di tutte, con l’unica eccezione del
proprietario ojiisan, forse. Il vecchietto aveva il difetto di fare lo
spaccone e non sempre bisognava credere alle sue parole.
Oltre ad
esse vi era anche una scala, seminascosta nel buio, che discendeva nel
sotterraneo, dove finalmente si accedeva alla vera e propria sede
dell’organizzazione per lo studio e la soppressione delle
entità spiritiche.
Appariva
come se si trattasse di una base segreta governativa, o per lo meno
l’aveva pensata cosi ojiisan, quando ne aveva ampliato in
gran segreto il bunker nucleare che gli avevano venduto insieme al
negozio, ora esteso quasi quanto lo stesso viale Yomi. Aveva creato,
grazie anche il sostegno dei propri vecchi amici (la cui somma dei
capitali in loro possesso avrebbero potuto sostenere le spese
dell’intera popolazione nipponica), un insieme di uffici e
laboratori all’avanguardia, pieno di ogni ben di dio
elettronico che un nerd avrebbe potuto desiderare, con lo spazio che
sarebbero bastato per più di un centinaio di persone.
Una
superficie esagerata per i soli venticinque dipendenti reali.
Dalla
distruzione della vecchia sede e lo sterminio delle più
grandi famiglie - i capostipiti che avevano gettato le fondamenta
(quasi cinquecento anni prima), dell’organizzazione -,
neppure lo 0,01% del loro antico potere e fama erano ancora stati
ripristinati, nonostante i contatti non gli mancassero.
Un tempo
più simile ad una setta di maghi, sacerdoti ed esorcisti,
con l’avvento dell’età moderna,
l’associazione si era tramuta una vera e propria
società, del tutto identica ad un’azienda,
composta però da individui non proprio comuni, talvolta
persino provvisti di capacità extrasensoriali.
Nella
loro Era di massimo sviluppo non era raro che fossero contattati dal
governo e da ricchi privati. Chiamati in gran segreto, non potevano
lasciar trapelare nulla sulla loro vera identità a sui
lavori che venivano loro affidati. Normalmente erano convocati quando
tutto il resto non funzionava, erano l’ultima guardia prima
della disperazione.
Adesso
molte cose erano cambiate, le potenzialità si erano ridotte
all’osso, cosi come la clientela, erano arrivati a svolgere
lavori in realtà più adatti ad una qualsiasi
società di tuttofare. Gli impieghi che accettavano erano
divenuti assai variabili, giacché quando erano chiamati per
degli incarichi legati all’ambito soprannaturale, si
rivelavano semplici bufale, e nulla avevano a che fare con avvenimenti
spiritici veri e proprio.
Alle
volte, quasi sempre a dire il vero, se la settimana si rivelava
particolarmente magra, i dipendenti potevano anche ritrovarsi a
svolgere i lavori più disparati. A seconda di cosa chiedesse
il cliente potevano a diventare: degli addetti ai traslochi, tecnici
dei computer, insegnati privati, supplenti, pescatori, sarti,
disinfestatori, allenatori di squadre di basket e idraulici.
Avevano
un estremo bisogno di denaro se non volevano chiudere, visto il momento
di crisi globale in cui si trovavano. Anche se, il motivo principale
per cui avevano bisogno di liquidi era a causa del grande capo ojiisan,
il quale aveva messo un veto sui guadagni della “facoltosa e rinomata
pasticceria Rinny’s”; affermava che
l’organizzazione avrebbe dovuto rimettersi in piedi con le
sue sole forze se erano realmente decisi a farla risorgere, senza dover
sfruttare i guadagni della struttura di copertura.
Tutti i
dipendenti erano però a conoscenza della realtà
dei fatti: il vecchio aveva tagliato i fondi per potersi assicurare una
piccola fortuna per la pensione, e non era una preoccupazione da poco
visti i suoi 76 anni d’età.
Le
lampade da soffitto, poste ad una distanza di circa sei metri
l’una all’altra, si accesero ad intermittenza prima
di stabilizzarsi e illuminare di una soffusa luce giallognola le pareti
dalle tinte chiare. Non appena scese le lunghe scale che dalla
pasticceria portavano sin nell’entroterra, nel punto
più profondo della base (ovviamente sorvegliate da delle
telecamere nascoste), si accedeva subito al corridoio principale.
Sembrava non vi fosse nessuno a preoccuparsi
dell’incolumità del posto, ma un sofisticato
sistema di sicurezza era impostato per far scattare delle porte
blindate, calate da delle larghe fessure sul soffitto, non appena uno
sconosciuto, non riconosciuto dal sistema, avesse messo piede nella
sede.
Se un
non-addetto, essere umano o non che fosse (le porte blindate erano per
l’80% composte d’argento, velenoso per un qualsiasi
essere non prettamente vivo o di natura magica), avesse provato ad
accedere, si sarebbe trovato subito imprigionato in un gabbiotto
claustrofobico, senza alcuna via di fuga in attesa di qualcuno che lo
facesse uscire.
Kagami e
Aomine non dovevano però preoccuparsi del sistema di
sicurezza, nonostante non si presentassero al part-time da almeno due
settimane, nessuno dei due aveva ancora dato formalmente le dimissioni.
Nel caso di Daiki, in realtà, erano state rifiutate.
Le
telecamere li riconobbero, lasciandogli passare senza incidenti, e i
due ragazzi poterono accedere tranquillamente al corridoio.
La base
accolse i suoi ultimi ospiti nell’aspetto con cui i due
visitatori avevano già imparato a conoscerla,
all’apparenza normale e del tutto lecita.
Nulla era
cambiato, eppure entrambi sentivano che qualcosa era differente.
Attesero,
non sapendo dove andare vista l’infinità di uffici
e laboratori (senza tener conto degli altri piani sotterranei), cui
avrebbero potuto accedere semplicemente procedendo in avanti. Akashi
poteva essere ovunque.
Nessuno
dei due si stupì quando arrivò in loro soccorso,
zampettando, uno dei tanti servetti di Seijuro, un corvo gigantesco dai
larghi occhi nocciola, grosso quanto o forse più di un
labrador. L’animale li salutò chinando il capo
piumato dalle lunghe e lucenti piume nere, in segno di rispetto,
spiegò poi l’ala destra, indicando la strada,
cominciando nuovamente a zampettare nel precederli, sempre in religioso
silenzio.
Da quando
Daiki gli aveva affatto notare come la sua voce avesse un suono
gracchiante e gutturale: sembra
discutere con un uomo nella cui gola fosse rimasto incastrato un tappo
di sughero [cit.]; il tengu, essendo molto suscettibile
di natura e ritenendosi offeso da quell’aspro e gratuito
commento, non aveva più aperto bocca di fronte al ragazzo
dalla pelle bronzea. Questi però, purtroppo per
l’animale, non sembrava neppur essersi accorto di un simile
cambio di atteggiamento nei suoi confronti, anzi, continuava ad
ignorarlo, perso a rimuginare in ben altri pensieri. Il suo sguardo
sottile oltremare vagava attento per il corridoio, provando ad
indovinare in quale stanza l’essere mitologico\folkloristico
li avrebbe condotti.
Al primo
impatto, nell’entrare nella base, non era raro avere
l’impressione di essere appena finiti in un qualche reparto
d’ospedale. La scarsa luminosità dava
all’ambiente un’aria sporca, ma allo stesso tempo
la mancanza di una qualunque fonte di sporcizia lo rendeva
perfettamente sterile. Solo un leggero odore di chiuso alleggiava
nell’aria e la temperatura, qualunque stagione fosse
all’esterno, era costantemente fresca, tanto che a delle
volte, anche in piena estate, non era raro trovare qualcuno trai
dipendenti con indosso la giacca.
Purtroppo
però, quelle poche di luci messe a rischiarire il corridoio
principale, erano anche la prima fonte delle paure di Kagami, il quale
aveva sempre una pessima sensazione ogni qual volta lo percorresse.
Gli
sembrava di piombare di punto in bianco all’interno d'un
pessimo film horror, e che da qualche parte un serial killer
psicopatico lo stesse aspettando pronto a farlo fuori a coltellate.
Venendo dall’America la sua non era una paura infondata, e i
vari spiriti e creature indefinite che vedeva gironzolare lì
intorno (come quello che lo accompagnava in quel momento) non lo
aiutavano di certo a smorzare quell’impressione.
Ma
perché un organizzazione per lo studio e la soppressione
delle entità spiritiche sfruttava quelle stesse
entità come propri dipendenti?! Si era chiesto
più volte sconvolto, arrivando quasi a strapparsi i capelli.
Faticava ancora ad abituarsi all’idea.
Suo
padre, uno dei più famosi cacciatori di mostri del nuovo
continente, non avrebbe mai concepito una cosa simile, troppo legato
alle sue idee e ai suoi metodi (alcuni, a dir il vero, non propriamente
giusti).
E forse
era proprio quello il motivo per cui aveva messo un oceano di distanza
tra loro.
- STANZA
N°473 -
Non si
spiegava il motivo per cui aveva accettato.
C’era
stato qualcosa di assolutamente sbagliato nel meccanismo di pensieri
che lo avevano condotto ad assecondare le assurde richieste di Akashi.
Qualcosa
nel mentre doveva essersi inceppato, e l’intero sistema del
suo cervello era andato allo scatafascio. Doveva essere cosi, o
altrimenti non sarebbe riuscito spiegarsi perché si era
messo a fare una simile idiozia!
Non che
Seijuro non gli avesse presentato delle valide argomentazioni per
convincerlo, ma restava il fatto che diveniva fin troppo malleabile in
presenza del rosso.
Doveva
essere qualcosa celato nei suoi occhi a farlo cedere ogni volta.
Con il
senno di poi ogni singola azione compiuta in quelle ultime ore gli
parve incomprensibile, del tutto inconcepibile per una mente logica
come la sua.
“Per
oggi Ona Asa consiglia a voi amici del Cancro di non allontanarvi mai
dal vostro lucky item del giorno - ve lo ricordiamo: il pupazzo di una
scimmietta-, vi proteggerà dalla catastrofe imminente di cui
sarete spiacevoli spettatori.”
Perché
quando aveva saputo che il suo segno zodiacale occupava
l’ultimo posto della classifica, non se ne era semplicemente
tornato a letto? Si chiedeva Midorima in un profondo stato di
disperazione e autocommiserazione, un’aura violacea e malsana
lo avvolgeva inquinando l’ambiente intorno a lui. Si sentiva
privo di ogni grammo di energia, lì seduto alla sua solita
scrivania, sommerso da scartoffie e documenti d’ogni genere
destinati ad essere catalogati e archiviati, la testa abbandonata
malamente sul ripiano. Aveva ormai rinunciato da un pezzo a svolgere
quell’impresa. Era impossibile.
Ma
perché in un era tecnologica e all’avanguardia
come la loro si ritrovava ancora con tutti quei pezzi di carta?! Urlava
la sua mente sconvolta, infelice e sofferente, si sentiva cosi patetico
a piangersi addosso, ma per quel giorno non poteva farne a meno. Tutto
ciò che aveva fatto o anche solo toccato in quella
specificata data era andato a rotoli, fracassato, esploso o
semplicemente distrutto (come aveva per l’appunto previsto
Ona Asa).
Niente.
Nulla sembrava andargli per il verso giusto e, a conferma di
ciò, una larga macchia violacea si estendeva in mezzo alla
sua fronte, segnalando la parte lesa del visto, nel punto in cui era
stato più volte colpito da: pareti, porte o spigoli; in
diverse parti del giorno.
Alzandosi
dal letto quel mattino era inciampato sul comodino da sempre tenuto di
fianco al letto, urtando cosi la lampada che vi prendeva posto sopra,
la quale si era rovesciata andando a cadere sopra i suoi occhiali, i
quali a causa dell’urto erano scivolati a terra.
Gli era
bastato un unico, singolo passo per disintegrare la montatura e crepare
le lenti, il tutto accompagnato da uno scricchiolio inquietante che gli
fece accapponare la pelle.
Forse non
sarebbe stata una cattiva idea tenerne un paio di riserva, si era detto
nel chinarsi a raccogliere i resti di ciò che erano stati i
suoi occhiali, ma era un po’ tardi per pensarci.
Diagnosi:
completamente inutilizzabili.
Già
da quell’avvenimento avrebbe dovuto come minimo intuire come
si sarebbe svolto il resto del giorno. Eppure, cosa aveva fatto?
Aveva
sceso le scale per andare a fare colazione, del tutto incurante di
ciò che l’universo tentava di comunicargli,
finendo per scivolare dopo i primi tre scalini, ruzzolando sino al pian
terreno con un capitombolo degno dei migliori stuntman del cinema.
Era
già il secondo avvertimento, e non erano trascorsi neppure
dieci minuti dal primo.
Ma
perché?! Perché era stato tanto ottuso di fronte
ai segnali che dio era stato cosi magnanimo da concedergli?!
Con un
sospiro Shintaro allontanò il ricordo dei drammatici eventi
che si erano susseguiti poi nella sua “giornata
nera”, adesso aveva altro di cui occuparsi. La sua pancia
vuota lo supplicava di un po’ d’attenzioni.
Strinse
forte, quasi fosse un anti-stressa, la piccola scimmietta di peluche -
da cui non si era separato neppure un momento da ché era
divenuta il suo Lucky Item-, e aguzzando gli occhi, ormai
già ridotti a due fessure sottilissime, andò ad
armeggiare con estrema delicatezza il manicotto del becco di Bunsen,
sino a quando la fiamma prodotta dal piccolo bruciatore a gas non
divenne di un intenso e vivido color arancione.
Se non
altro avrebbe potuto cenare in pace, riflette aspettando che
l’acqua dentro il contenitore in vetro cominciasse a bollire.
Avrebbe mangiato del ramen istantaneo. Nulla di così
eclatante, né di nutriente, ma almeno non avrebbe rischiato
di lasciarci le penne cercando di cucinarsi qualcosa di più
complicato.
A pranzo,
nel tentativo di comprarsi un panino (poiché aveva
dimenticato il bento a casa), aveva finito coll’essere
travolto dall’immensa ressa creatasi davanti al rivenditore.
Un ammasso compatto ed informe di gambe, braccia e divise, che sul
momento gli era apparso come il boss finale di un pessimo videogioco
(essendo cieco come una talpa in una caverna buia gli era difficile
distinguere tra le varie forme), ma la cui figura era in
realtà composta dai suoi compagni di scuola, schiacciati
l’uno sull’altro in una lotta per la supremazia.
Spintoni,
calci e gomitate, tutto era lecito in quella battaglia.
Alla
scuola Shutuku, per lo meno all’ora di pranzo, sembrava
vigere un'unica regola: quella del più forte.
Sesso,
stato sociale o denaro non avevano più alcun valore.
Solo chi
sarebbe riuscito a farsi largo tra quelle belve assetate di sangue
avrebbe vinto sulla legge della sopravvivenza.
“Mostri!
Non sembravano neppure umani” si rivolse acidamente ai suoi
compagni Midorima, rabbrividendo al pensiero e ancora dolorante a causa
di tutti i lividi e gli ematomi che gli avevano lasciato, unica
dimostrazione della sua partecipazione al combattimento. Purtroppo,
miseramente perso. Non era neppure riuscito a vedere il traguardo.
- E
adesso Midorima che cazzo c’entra!? –
esclamò Aomine entrando con un tonfo assordante, causato dal
forte sbattere della porta che aveva appena spalancato, il passo
pesante e il volto livido di rabbia nell’entrare nel
laboratorio. La sua pazienza era arrivata al limite, ma
dov’era finito quel bastardo di Akashi? Quanto ancora aveva
intenzione di farli aspettare?
-
Aomine…- lo salutò con un cenno del capo il
ragazzo dai capelli verdi, lo sguardo accigliato nel tentativo di
metterlo a fuoco, con ben scarsi risultati, limitandosi ad osservarlo
rimanendo seduto alla scrivania. Per un momento si era sorpreso del suo
arrivo, soprattutto impaurito dal forte colpo che aveva udito, il quale
lo aveva fatto sussultare sulla sedia dallo spavento, causando cosi la
caduta del tanto agognato ramen, che aveva finito con il rovesciarsi
sulla scrivania e su parte dei suoi vestiti.
“Addio
cena” si limitò a sbuffare stanco di fronte
all’accaduto, ormai rassegnato alla propria sfortuna aveva
persino perso la voglia di arrabbiarsi.
- Allora
dov’è quel nano rosso?!- gli intimò
Daiki con aria minacciosa, avvicinandosi di qualche passo mentre
Midorima cercava qualcosa per ripulire i resti di brodo. –
Midorima! - lo richiamò ancor più stizzito,
trovandosi ignorato,
- Lo sai
com’è fatto Seijuro, si starà facendo
attendere di proposito in modo da farti perdere la calma... Si diverte
cosi – borbottò Shintaro soprappensiero,
più impegnato e levarsi quella fastidiosa macchia scura
dalla maglia beige con un fazzoletto che a prestargli ascolto.
– Ah… Grazie, Kraa-chan –
ringraziò poi rivolgendosi al tengu, il quale gli stava
porgendo una camicia bianca con cui avrebbe potuto cambiarsi.
L’essere
mitologico era silenziosamente entrato nella stanza alle spalle di
Aomine e subito, notando le condizioni di Midorima, da bravo servetto
si era avvicinato all’armadietto di ferro
nell’angolo opposto del laboratorio e vi aveva recuperato il
cambio che ora gli porgeva, nonché un secchio e uno
strofinaccio con cui ripulire quel disastro di brodo e spaghetti
riversi sul pavimento.
“Perché
gli ha dato un soprannome cosi idiota?” si chiedeva intanto
Daiki, talmente nervoso da cominciar a produrre sulla pelle una
notevole quantità di energia elettrostatica. A causa della
quale lui e Kagami si presero una scossa quando questi lo
urtò, entrando un poco trafelato nella stanza.
Per Taiga
non era facile orientarsi per quei corridoi, era ancora nuovo del
posto, e gli era bastato un momento di distrazione per perdere di vista
il compagno e la loro guida. Dopo un momento di panico e un paio
d’imprecazione a mezza voce si era detto che non potevano
essere poi così lontani. Si era voltato solo per mezzo
secondo!
Quindi,
riflettendoci, dovevano per forza aver attraversato una delle porte
lì vicino ed essere entrati in qualche
laboratorio… Ma quale?!
C’erano
127 porte lungo quel corridoio.
Fu
salvato dalla prospettiva di doverle aprire una ad una udendo la voce
alterata e inconfondibile di Aomine, a quanto sembrava era esploso. Di
nuovo.
“Quel
ragazzo non sa controllarsi…” sbuffò
negando piano con la testa, esasperato, andando nella direzione in cui
sentiva arrivare ancora le parole sempre più inferocite del
ragazzo dalla pelle scura. Chissà con chi se l’era
presa poi quella sciocca testa calda.
Kagami-kun,
non sei il tipo di persona che può fare simili osservazioni
agli altri.
Volle
però puntualizzare una vocina sottile proveniente da un
punto indefinito del suo cervello, in alto un po’ sulla
destra. E per un momento fu forte in lui la sensazione che a parlare
fosse stato Kuroko. Scacciò però subito una
simile idea, se si fosse fatto fregare da simili pensieri rischiava di
uscirne pazzo, e ancora una volta si trovò a varcare una
porta che mai più avrebbe voluto attraversare.
Dover affrontare l’arrabbiatura di Aomine non lo allettava
proprio.
- Cazzo!
Quel pennuto ci ha fatto camminare per tre quarti d’ora!-
continuava ad urlare Daiki, scostandosi rapidamente da Kagami
cominciando a camminare esasperato avanti e indietro per il
laboratorio. Una larga sala composta per lo più da
piastrelle bianche, e il cui arredamento comprendeva: la scrivania di
Midorima, un paio di librerie colme di titoli impronunciabili (alcuni
persino illeggibili - vista la complessità dai kanji - per
Taiga), l’armadietto che, come avevano visto, era adoperato a
ripostiglio e qualche congegno non ben definito, usati probabilmente
per gli esperimenti per i quali era adibito il laboratorio. Non che in
realtà quella stanza apparisse molto adoperata in quel
senso, sembrava piuttosto essere divenuta l’ufficio personale
di Midorima, visti gli strani pupazzetti (ex-Lucky Item del giorno),
che spuntavano un po’ovunque qui e là, e alcune
riviste di astrologia firmate da Ona Asa.
Infine
c’era un’altra porta, oltre a quella che conduceva
al corridoio principale, questa era però dal lato opposto
della sala, piccola e blindata, di un anonimo grigio, e quasi non la si notava. Difatti, ancora nessuno sembrava averci prestato la benché minima
attenzione.
Se ne
rimaneva chiusa, del tutto ignorata.
- Adesso
arriviamo qua e ci dice: “il signorino è al
momento impegnato, appena può sarà da
voi”!- sbraitava Aomine, scimmiottando la voce rauca
dell’animale, aveva capito che a prendendosela con Shintaro
non avrebbe tirato fuori un ragno dal buco, poiché non
sembrava volergli dare corda, quindi aveva smesso di importunarlo. In
più il ragazzo dai capelli verdi si stava spogliando della
maglia per poter finalmente indossare la camicia candida e pulita, non
era un momento opportuno per prendersela con lui.
E poi
Midorima era uno dei pochi illuminati a conoscenza del segreto per
sopravvivere agli scatti d’ira di Aomine, la regola
fondamentale era: più s’ignora, meglio
è.
Difatti,
il ragazzo dalla pelle bronzea si era ritrovato ad urlare da solo per
sfogare un po’ di rabbia. – Perché ci ha
fatto chiamare se poi ha altro da fare!? – sbottò
un’ultima volta, costretto a fermarsi per mancanza di fiato.
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Capitolo 5 *** Cap.5 ***
-
Cap 5 –
Per
fortuna di tutti, degli effetti personali di Midorima soprattutto -
poiché ci mancò davvero poco che Daiki
cominciasse a cercar sfogo alla propria frustrazione su un qualunque
oggetto fragile e costoso fosse a portata di mano -, Akashi non volle
farsi attendere oltre e finalmente, poco dopo, si presentò
alla porta del laboratorio dove i tre lo stavano aspettando.
Kagami
aveva creduto che Aomine si sarebbe subito scontrato con il nuovo
arrivato, tempestandolo di domande e forse arrivando anche a qualche
atto di violenza. Per questo si stupì quando
l’altro si limitò a salutarlo in tono freddo e
distaccato, come volesse nascondere tutta l’irrequietezza che
il suo ritardo gli aveva provocato, ma non gli ci volle molto per
comprendere il comportamento del compagno. Bastò che anche
Taiga desse una sola occhiata all’aspetto con cui Seijuro gli
si mostrò di fronte, perché ogni intento omicida
verso la sua persona - partorito da quel pomeriggio -, venisse represso
ed estinto.
Il
ragazzo rimaneva ancora sulla soglia, appoggiato alla porta quasi
temesse che questa gli potesse cadere addosso se si fosse allontanato
o, più semplicemente, non sentendosi molto sicuro sulle
gambe. Uno sguardo lucido e la fronte imperlata di sudore (nota strana
per lui anche nel caso avesse partecipato ad una maratone), tradivano
il suo stato febbrile, profonde e scure occhiaie facevano invece
intuire una forte mancanza di sonno, forse d’insonnia. Le
guance gli si erano accese di un intenso e vivido rossore, molto vicino
al colore dei suoi cappelli, i quali, solitamente sempre in ordine,
quel giorno sembravano aver avuto una brutta avventura con il pettine,
scombinati come se fosse finito in una centrifuga.
La giacca
e la camicia che indossava erano stropicciare, la cravatta storta e mal
annodata. Visto il modo in peccabile in cui Akashi era solito apparire,
sempre molto esigente anche con i propri abiti, il presentarsi in un
simile stato, con l’aspetto di qualcuno sopravvissuto per
poco ad un ressa da stadio, era qualcosa di assolutamente inedito,
imprevedibile. Entrambi i ragazzi rimasero scioccati da quella vista,
Midorima un po’ meno, essendo ancora privo di occhiali e non
potendo giudicare l’aspetto dell’altro, ma persino
nel suo stato di quasi cecità totale poteva percepire che
qualcosa nel rosso non andava.
Forse la
situazione era più grave del previsto, pensò
Aomine avvertendo una forte stizza fargli digrignare i denti e
stringere i pugni. Se persino Seijuro si trovava in simili condizioni
allora la faccenda era davvero grossa, non lo aveva mai visto tanto
sfiancato, lui che tanto amava mostrarsi perfetto e intoccabile, non
umano quasi. Avvertiva come il fatto di aver voluto abbandonare
l’organizzazione fosse stato solo un atteggiamento stupido e
infantile, dettato dalla sua incapacità di riflettere e dal
senso di colpa - poiché per la seconda volta non era stato
in grado di proteggere il proprio partner. Come suo solito si era
comportato da egoista ottuso che pensava solo a se stesso, lo avrebbe
probabilmente rimproverato a quel modo Momo e lui per una volta non
avrebbe saputo darle torto, riconosceva il proprio errore. Aveva
abbandonato la nave proprio quando era in procinto di affrontare una
tempesta, come un qualsiasi codardo aveva rubato una scialuppa di
salvataggio ed era fuggito per acque sicure, ignorando il fatto che,
presto o tardi, le nuvole scure da cui scappava l’avrebbero
comunque raggiunto.
Aomine
era riuscito a rinchiudere quel mondo dietro la porta della propria
stanza per due settimane, ora però la realtà lo
richiamava a sé.
La
tempesta, quella di cui Akashi portava già i segni, lo aveva
trovato.
Tutti i
presenti nella stanza erano ben a conoscenza del fatto che gli ultimi
incidenti sismici a cui era stata soggetta l’intera regione
non erano affatto di origine naturale, come i mass media li stavano
spacciando al loro pubblico, bensì spirituale. Un enorme
ammasso di miasma si era concentrato nel sottosuolo, ricoprendo un area
vastissima che sembrava allargarsi ogni giorno di più, ed
erano proprio questi ampliamenti improvvisi a cui la massa era soggetta
a causare i terremoti.
Il miasma
veniva creato dall’agglomerarsi di pensieri e sentimenti
negati, essi attiravano un gran numero di spiriti, fantasmi, mostri che
si cibavano di simili emozioni e che finivano con il produrne a loro
volta.
Non
appena era stata scoperta la vera natura di quei insoliti eventi
sismici l’organizzazione era stata subito messa in allerta e,
nonostante alcun cliente fosse giunto per chiedere il loro intervento,
da giorni tutti gli uffici e laboratori erano in modalità
“lavoro non-stop”. Per quanto si fosse compreso da
che genere di energia fossero stati messi in moto quegli eventi, ancora
nessuno sapeva cosa creasse quel mare di miasma, né come
fermarlo. Alcuni credevano bastasse distruggerlo per risolvere il
tutto, ma ciò avrebbe potuto portare ad un terremoto su
vasta scala, a cui nulla sarebbe sopravvissuto. Altri ritenevano
più sicuro e logico tentare di limitare la zona in cui si
concentrava il miasma, cercando di ridurla a poco a poco, sino a quando
non si fosse stati in gradi di arginarla del tutto.
Quest’ultima però non si rivelava una vera e
propria soluzione, visti i tempi estremamente lunghi a cui un simile
progetto avrebbe portato e al fatto che ciò non avrebbe
comunque eliminato del tutto il problema. Era una proposta basata solo
su un tentativo di “limitare i danni”.
Com’era
ovvio pensare ad Akashi nessuna delle due opzioni era andata troppo a
genio, un perfezionista del suo calibro non poteva permettersi di agire
in maniera tanto sconsiderata. A suo parere non erano ancora pronti per
pianificare una controffensiva, sapevano ancora troppo poco su quel
fenomeno per poter agire, dovevano prima trovare le giuste risposte e
solo allora sarebbero stati in grado di stendere un piano degno di tale
nome.Ed era seguendo quest’idea che il ragazzo aveva
cominciato a dare tutto se stesso alla ricerca, arrivando persino a
dimenticarsi di dormire, credendo di essere ormai ad un passo dalla
soluzione.
Visto il
ritmo estenuante e forsennato con cui viveva nell’ultimo
periodo: scuola, laboratorio, scuola, laboratorio; in molti credevano
fosse un miracolo che i suoi risultati scolastici non ne avessero per
nulla risentito, ma per quanto esausto Akashi manteneva il proprio
immenso orgoglio e quella perenne credenza di non poter mai perdere.
Eppure,
anche lui riconosceva i propri limiti, e ora che era giunto ad un punto
di svolta comprendeva di non poter andare avanti senza un aiuto. Aveva
richiamato Kagami e Aomine proprio per quel motivo, solo loro due erano
in grado di svolgere quel compito. Nessun’altro avrebbe
accettato una missione simile, tremendamente stupida e disperata, ma
nonostante questo Akashi aveva la netta sensazione che loro non
l’avrebbero rifiutata. Era qualcosa che li riguardava da
vicino, l’unico modo in cui avrebbero potuto rimediare ai
propri errori.
L’ultima
possibilità di riavere indietro ciò che credevano
perso per sempre.
- Non
è meglio se ti siedi? – domandò Aomine,
in un moto di gentilezza assai stonato per la sua persona, solitamente
tanto scostante e scontrosa, ma Seijuro sembrava sul punto di svenire,
quindi una tale premura da parte sua era comprensibile.
-
Grazie..- mormorò il rosso sedendosi sullo sgabello che
l’altro gli aveva avvicinato, non trattenendo un sospiro
stanco e frustrato quando finalmente ebbe modo di far riposare i
muscoli, -… spero non badiate troppo al mio aspetto.
Ultimamente il presidente non si sente molto bene e il lavoro
d’amministrazione non fa che aumentare – fece, e a
Taiga stupì la sua serietà e il modo in cui
arrivava persino a scusarsi per la propria trascuratezza, per un
momento si chiese se sarebbe mai divenuto un adulto anche solo
minimamente simile a lui, ma conoscendosi lo dubitava.
- Avevo
sentito delle voci sulla salute di ojiisan, ma credevo si trattasse di
una semplice influenza – commentò Daiki
rimanendogli affianco (per ogni evenienza), sembrava che anche il vero
e unico nipote del boss dell’organizzazione avesse contratto
un qualche virus.
- Infatti
è così – gli confermò, - ma
quel vecchio è tanto testardo da non dar retta a nessuno, ha
continuato a lavora andando contro al parere dei medici, e adesso ci
metterà un po’ a guarire… Si
è dovuto quasi ammazzare di fatica prima di decidersi a
riposare – si lamentò con quel tono seccato di chi
nasconde una profonda preoccupazione, a qualcuno quel suo atteggiamento
tanto scostante, che in realtà nascondeva un genuino
affetto, avrebbe potuto far tenerezza.
-
È a causa della malattia di ojiisan se ci hai chiamati
Akashi? – intervenne Kagami andando dritto al punto, privo di
un qualunque tatto come un toro infuriato dentro ad un negozio di
porcellane, - Insomma, dubito che tu ci abbia voluti qui per del lavoro
d’ufficio...- e faceva bene, perché piuttosto che
affidare i preziosi documenti dell’organizzazione nelle loro
mani, Seijuro avrebbe preferito farsi fare l’oroscopo da
Midorima.
- Lo
reputo altamente improbabile – ebbe difatti il sostegno dal
ragazzo dai capelli verdi,
- Io dire
impossibile – e dallo stesso Aomine.
- E
difatti non vi ho cercati per un simile motivo, ci sono molte persone
più affidabili di voi per un compito così
delicato – fu la gratuita frecciatina che ricevettero,
probabilmente lo avevano irritato non lasciandogli il tempo per
parlare. Per quanto apparisse calmo e logico, il rosso proprio non
sopportava l’essere ignorato. – Devo
però avvertirvi che, sino a quando il presidente non si
sarà ristabilito, io non posso accettare le vostre
dimissioni –
- Ma non
è solo questo, giusto? Altrimenti avresti potuto limitarti
ad una telefonata – sorrise Aomine, un sorriso per nulla
felice, colmo invece di sfida e arroganza, probabilmente lui
già si immaginava ciò che stava per proporgli
Akashi, cosa di cui Kagami, non conoscendo altrettanto bene il rosso,
rimaneva all’oscuro.
- Non ti
credevo cosi perspicace Aomine – ricambiò Seijuro
assottigliando il proprio sguardo eterogeneo, scrutandolo intensamente,
sembrava che le sue iridi rosso e oro rilucessero di una strano luce
nel guardarlo. Quella stanchezza che gli sfigurava il volto sino ad un
secondo prima era come scomparsa di colpo, dandogli modo di
fronteggiare senza cedimento la sfrontatezza dell’altro.
– Hai ragione: ho un compito per voi -
Alla fine
quella piccola e anonima porta blindata, che sino a quel momento sia
Kagami che Aomine avevano completamente ignorato, senza neppur
accorgersi della sua esistenza, venne aperta. Nessuno avrebbe potuto
immaginare cosa si celasse oltre quella soglia, tranne ovviamente
Midorima, il quale nelle ultime due settimane aveva vegliato in gran
segreto su ciò che essa conteneva. Il ragazzo aveva agito su
ordine diretto di Seijuro promettendogli di non far parola ad altri su
cosa vi fosse lì dentro, custodirlo era anche nel suo
interesse, poiché mai si sarebbe perdonato se quel qualcosa
che aveva deciso di proteggere fosse stato trovato da terzi. Shintaro
poteva immaginare cosa comportasse tenere un segreto simile in un
organizzazione come la loro, in cui ogni fattore anche solo
lontanamente spiritico veniva catalogato e analizzato con i
più moderni marchingegni; il licenziamento sarebbe stato
solo la punta dell’iceberg, per quanto debole ojiisan
manteneva ancora alcuni saldi contatti con persone di largo spessore, a
solo 17 anni di vita l’esistenza di Midorima sarebbe stata
rovinata per sempre.
-
Che… che scherzo è questo? – fu Daiki
il primo a reagire, il più rapido quando si trattava di
accusare un colpo, mentre Kagami ancora rimaneva stralunato, incredulo.
A bocca aperta e andatura malferma, simile ad un sonnambulo,
compì senza rendersene conto quei pochi passi - solo cinque,
- che lo separavano da quella sagoma che poteva intravedere semidistesa
su un lettino dallo schienale rialzato. Non poteva crederci, ripeteva
la sua mente, eppure il suo cuore esitava, desiderava poterlo fare.
Tutto a
Taiga appariva in maniera così irreale, come se il suo sogno
più profondo e recondito avesse deciso di prendere corpo per
materializzarsi proprio lì, in quella stanza adibita a
camera d’ospedale. Aveva bisogno di toccarlo, di sentirlo,
doveva assicurarsi che non fosse una semplice illusione, un crudele
scherzo orchestrato da Seijuro per chissà quale motivo. Si
avvicinò quel tanto che bastava e gli appoggio una mano
sulla guancia, la sua pelle era calda, sempre pallida ma calda. Ebbe un
sussulto quando finalmente la sua mente riuscì ad elabora
una simile visione, strappandolo da quello stato di muta meraviglia.
-
Kuroko… - lo chiamò, forse solo per riprovare il
piacere di pronunciare nuovamente il suo nome, una parte di lui ancora
dubitava di quel miracolo, ma sul momento preferì farla
tacere.
Kuroko
era di fronte a lui, vivo, seppur non desse segno di volersi svegliare,
e gli sembrava molto più reale di tutti gli incubi di cui
gli si erano riempite le notti.
- Akashi,
hai tre minuti – gli intimò Aomine in tono freddo,
glaciale, staccando a fatica e con un certo dispiacere lo sguardo da
Tetsuya, a così breve distanza da lui che, come Kagami stava
già facendo, avrebbe potuto toccarlo. Però si
trattene, ben consapevole di cosa significasse la presenza del ragazzo
in un simile luogo (quando in realtà era stato dato per
morto durante la loro ultima missione), Seijuro doveva aver nascosto la
sua presenza alle alte sfere dell’organizzazione –
alias: suo nonno. E questo comportava che il destino di Kuroko, anzi,
quello di tutti i presenti nella stanza, essendo appena divenuti
complici di qualunque piano avesse in mente il rosso, era in uno stato
al quanto precario.
- Dimmi
prima cosa vuoi sapere – il tono del ragazzo, e il suo
sguardo eterogeneo, non tradivano alcun segno di nervosismo,
- Tu cosa
credi? – si scaldò invece ancor di più
Daiki, facendo un segno verso Tetsu, si sentiva preso in giro.
- In
verità non è fatto insolito che il corpo di chi
è stato posseduto dall’Inugami sopravviva dopo che
la sua anima è già stata divorata –
spiegò, ma nessuno si sarebbe preso la briga di sistemare
tutte quelle apparecchiature (assai delicate e costose) in una ben
misera stanza solo per prendersi cura di un morto,
- Che
cos’ha Tetsu di diverso? –
-
Midorima, continua tu – chiamò Seijuro, ritenendo
che l’altro fosse più adatto per dare una
spiegazione, infondo era quello tra loro più pratico quando
si parlava di lavoro in laboratorio e di medicina. Era
l’ambito di sua competenza, e nessuno poteva mettere in
dubbio le sue capacità, altrimenti, il rosso non si sarebbe
mai affidato a lui per la custodia di Kuroko.
-
All’inizio, era per puro scrupolo se Akashi ha portato qui
Kuroko – ammise Midorima, sistemandosi gli occhiali con la
mano sinistra, aveva ancora l’abitudine di fasciarsi le punte
delle dita, - E credo che tutti qui possiamo capirlo, lasciare il
proprio compagno morire in una fogna è qualcosa di
vergognoso, per quanto sia destinato comunque alla morte, gli si vuole
donare una fine dignitosa. Purtroppo ojiisan, con i problemi finanziari
che abbiamo, gli avrebbe negato un simile favore e, anzi, probabilmente
avrebbe cercato di accelerare il processo di “frammentazione
della materia” da cui era stato colpito Kuroko –
- Aspe..!
Cos’è che aveva Kuroko? – lo interruppe
Kagami, si era voltato verso i tre quando gli era sembrato che il
discorso si fosse fatto serio, ma rimaneva comunque al fianco del
ragazzo addormentato.
Ora che
lo aveva ritrovato faticava a staccarsene.
- La
“frammentazione della materia” è
ciò che colpisce il corpo di un posseduto quando
l’entità che lo possiede ne ha logorato a tal
punto l’anima da diventare troppo grande per essa. Insomma,
il momento in cui lo spirito, il demone o la qualche-si-voglia-cosa
diventa più forte del suo contenitore – gli
spiegò Midorima,
- Questo
è accaduto a Tetsu quando ha sfruttato quel poco di energia
spirituale che gli era rimasta per evocare l’Inugami. Allora
la sua anima è stata divorata e il corpo, vinto dal potere
immenso di quello spirito cane, ha cominciato a disfarsi, giusto?.. -
si intromise Daiki, - Ciò che non mi convince è
quell’”era”…-
l'incalzò cercando il tranello nel quale Akashi prevedeva di
farli cadere, perché era certo che il rosso avesse
già steso la sua tela, pronto a catturarli come insetti
nella carta moschicida.
Difficilmente
credeva a tutto quel buonismo con cui Shintaro aveva aperto il suo
discorso, era un azione troppo “umana" per qualcuno che da
sempre tentava di liberarsi della propria umanità.
- Qualche
giorno fa abbiamo potuto appurare che la distruzione delle cellule, a
livello molecolare, è cessata. Ci sono ancora delle fratture
nelle ossa delle gambe e lacerazioni della pelle, ma tutto sommato sono
eventi di poco conto, come se avesse avuto una brutta caduta dalle
scale – a quel punto Seijuro si fece avanti, facendo tacere
il più alto con un gesto disinvolto della mano.
Concluse
le spiegazioni toccava di nuovo a lui parlare:
- In
pratica, il corpo di Tetsuya non è più in
pericolo di vita – e per un breve momento vi fu il
più totale silenzio, rotto solo dall'incessante bip del
macchinario per il monitoraggio cardiaco.
-
Però la sua anim…- sussurrò Kagami non
sapendo se gioire a quelle parole, poiché sapeva di
stringere la mano di un involucro vuoto,
- La sua
anima è stata distrutta. Per quanto il corpo fisico sia
vivo, senza lo spirito che lo riempiva Tetsu non si
risveglierà – come sempre Daiki era il primo a
reagire quando si trattava di notizie scomode, e fu tanta la rabbia che
lo pervase in quella manciata di secondi, simile ad una violenta scossa
elettrica, che gli fu impossibile trattenersi. Veloce si
gettò sul rosso, afferrandolo per il bavero della giacca,
già leggermente sgualcita, sollevandolo da terra di tutto il
suo peso (non molto in realtà), lasciandolo solo con la
punta dei piedi a sfiorare il pavimento.
-
C’è attività celebrale – non
si scompose Akashi, sfidando fiero lo sguardo da belva di Aomine,
- Che..?-
allentò lui la presa, interdetto, non sapendo dove quel
discorso sarebbe andato a parare.
- In
questo preciso momento, la mente di Tetsuya sta sognando – lo
colse in fallo, facendogli perdere del tutto la presa su di lui.
No,
questo non se lo aspettava.
- N-non
è una cosa possibile... - si ritrovò a balbettare
il grande e forte Aomine, inciampando sulle proprie parole come colpito
da una bastonata in pieno volto.
C'erano
eventi che nessuno poteva superare completamente integro, dopo aver
creduto per ben due settimane alla morte di Kuroko, scoprire il
contrario, con possibilità vere, reali che non fosse tutto
solo una semplice illusione, era per lui come essere investito da un
tir.
-
Cos'è che collega l'anima al corpo? Quel che lega
ciò che è astratto (anima), con il concreto
(corpo fisico) - gli chiese Akashi, cercando nella logica di
una simile domanda di riportare indietro anche l'autocontrollo di
Daiki. Il ragazzo dalla pelle bronzea lo aveva finalmente lasciato, ma
non sapeva quando avrebbe potuto avere un altro attacco d'ira, e
dubitava che se la sarebbe cavata anche una seconda volta.
Se
possibile voleva assolutamente evitarsi un pugno in faccia.
- ... -
per un momento sembrò sul serio che Aomine vi stesse
pensando, ma non gli serviva farlo, la risposta la conosceva; il
silenzio in cui cadde servì solo al suo cervello per
elaborare le informazioni che faticava ad accettare, a credere
veritiere.
Ancora
sospettava? Certo, da come Akashi gliel’aveva presentata era
tutto troppo perfetto, doveva esserci una fregatura. Il mancato
risveglio di Tetsu lo metteva in allarme.
Le
risposte ai suoi dubbi le avrebbe però ottenute solo
seguendo il percorso impostogli dal rosso, doveva accettare di
divenirne una pedina prima di potersene liberare.
- La
mente - si decise a rispondere, si era schiarito le idee ritrovando una
sorta di calma, non molto stabile a dirla tutta (ma lui non era mai
stato una persona tranquilla). Aveva deciso cosa fare. -
… essa impedisce all'anima di separarsi dal corpo. Nel caso
venisse danneggiata si ha la morte celebrale, l'anima crede di essere
morta e abbandona il corpo; nel caso sia invece il corpo a morire, ma
la mente non se ne dovesse accorgere (per un qualche motivo, come ad
esempio una morte violenta e/o improvvisa), si creano quelli che
comunemente vengono definiti "fantasmi", esseri incorporei composti di
sola anima e della mente, che li tiene ancorati a questo mondo -
ripeté la lezione radicata in lui sin nel profondo, dal
giorno in cui una mocciosa dai capelli rosa di circa otto anni gli
aveva sbattuto un volume di duemila pagine sulla nuca.
- Non
esistono casi in cui sia l'anima a morire? -
- No, non
naturalmente almeno. La morte dell'anima avviene a causa di una
possessione, l’entità maligna divora lo spirito
dell’ospite, ecc... Questo avrebbe dovuto essere il caso di
Tetsu -
- Ma non
è andata esattamente cosi - confermò
ciò che Kagami e Aomine avevano già intuito da un
po'.
-
A..anche una parte dell'anima di Kuroko si è salvata? -
intervenne Taiga all'improvviso - dovendo alzare il tono della voce per
attirare l'attenzione - , faticava ad entrare nel discorso, trovando
l'atmosfera da cui erano avvolti Akashi e Daiki come una cortina scura
ed impenetrabile. Una sottile ma vibrante minaccia aleggiava trai due,
come due animali feroci pronti ad azzannarsi a vicenda.
- No, se
fosse sopravvissuto solo una parte allora per lui non ci sarebbe
comunque nulla da fare… è però vero
che la sua anima è stata fatta a brandelli - gli rispose
Midorima, il quale si sentiva nello stesso modo di Kagami: fuori posto,
quasi si fossero trasformati entrambi in elementi superflui
dell’arredo.
- Ogni
frammento da cui era composta la sua anima è ancora vivo. Ho
indovinato? E questo che esitavi tanto a dirci Seijuro? -
intuì Aomine, trovando conferma nello sguardo compiaciuto
dell’interessato.
- Se
è cosi allora... se ci fosse un modo per ricomporla -
cominciò a ragionare Taiga, intravedendo un barlume di
speranza dietro quel corpo vuoto di fronte a se, parve
però sbiancare di colpo nel parlare, un pensiero simile
avrebbe fatto esitare chiunque. Era come se avessero ottenuto la
possibilità di riportare indietro un morto - per quanto in
realtà morto non fosse- , qualcosa che pareva troppo grande
per loro mani, ma a cui non avrebbero rinunciato per nulla al mondo.
Anche se il prezzo da pagare fosse stato inimicarsi dio stesso.
-
C’è una forte probabilità che Tetsuya
si risvegli - concluse per lui Akashi, una faccia da poker che non
tradiva neppure uno dei suoi pensieri,
- Quanto
forte? - lo incalzò Daiki,
- Ha
davvero importanza? -
-
… No - ammise, sconfitto. Per quanto Aomine fosse
consapevole di star andando proprio nel punto in cui Seijuro voleva
che arrivasse, non poteva fare altrimenti. Avrebbe sottostato
nuovamente a quella testaccia rossa se in cambio avesse riavuto Kuroko.
Il
ragazzo si grattò la testa, prendendo un aria annoiata e un
poco scocciata, - Sono una testa calda, fosse anche una
possibilità su un milione, mi impunterei sino a dare tutto
me stesso perché accada - ma nonostante
l’espressione sul volto, nello sguardo che rivolse ad Akashi
non vi era il barlume della resa, di qualcuno che accettava gli ordini
imposti, ma solo le fiamme ardenti di una volontà
irremovibile.
Daiki lo
stava sfidando, seppure non apertamente: “non so cosa tu abbia in mente e
non mi importa, basta solo che non mi intralci”;
fu il muto dialogo che gli trasmise.
- Non
credere che ti lasci fare tutto da solo! - proruppe in quel momento
Kagami alzandosi in piedi, cieco allo scambio di sguardi trai due,
ingenuo ai piani che sottobanco si stavano svolgendo in contemporanea
al loro discorso. - Non mi lascerai fuori - decisi riuscendo a trovare
abbastanza forza di volontà per abbandonando la sua
postazione, di lasciare dietro di se Tetsuya, cosi da fronteggiare
testa a testa Daiki, - Ciò che è accaduto a
Kuroko è anche colpa mia, e (come mi hai ricordato),
anch’io sono una testa calda. Voglio fare la mia parte! -
decise sul momento, senza riflettere su ciò che una simile
ammissione avrebbe comportato, solo agendo. Da bravo impulsivo quale
era.
- Sapevo
che avreste detto qualcosa di simile - sorrise a quel punto Akashi,
osservandoli guardarsi l’un l’altro in cagnesco,
Aomine sembrava essersi completamente dimenticato di lui, troppo
occupato a rispondere per le rime all’ultima affermazione di
Taiga.
- La tua
parte?!... ma se neppure un ora fa ti stavi comportando da cagnolino
smarrito -
-
Davvero? Me ne ero già scordato -
- Hai la
memoria breve… e comunque, lascia perdere, posso farcela da
solo. Ti lascio alle tue turbe psicologiche -
- Se
lasciassi fare tutto a te di certo finiresti per causare un qualche
cataclisma di proporzioni epiche, razza di mezzo isterico con un
potenziale fuori controllo -
- E tu
credi di potermi fermare (se mai dovesse succedere), mezza calzetta?! -
- (Allora
la prendi davvero come una possibilità?), certo, razza di
debosciato. Già una volta sono riuscito a…-
- Se non
fosse stato per Kuroko non sarebbe accaduto, fidati -
- Ma
comunque è successo, signor. Mi può battere solo
me stesso -
-
Brutto..!-
-
PIANTATELA!! - e all’urlo furioso di Akashi, tutto tacque.
Pian
piano Seijuro comprendeva quanto potesse rivelarsi un impresa ardua far
collaborare due persone cosi simili tra loro, si rischiava che si
scannassero a vicenda prima ancora dell’inizio
dell’operazione.
-
Sentite, sono felice di vedervi tanto entusiasti, ma state dimenticando
un punto fondamentale (Ascoltatemi, razza di microcefali!) - la sua
seconda personalità lo portava ad usare un linguaggio al
quanto scurrile, quando perdeva il controllo, era però bravo
a nasconderlo, riducendo gli insulti a puro pensiero.
- Ovvero?
- lo guardarono confusi i due, nel mentre Midorima, oramai totalmente
tagliato fuori dal discorso, era tornato al proprio laboratorio (la
stanza affianco), intento a cercarsi una altra porzione di ramen
istantaneo, doveva essercene pur una seconda nascosta da qualche parte.
Aveva fame.
- Avete
una qualche idea su dove cominciare la ricerca? – dal
silenzio che segui, Akashi fu certo che no, non ci avevano nemmeno
pensato.
- Di
certo tu hai già qualche indizio, Seijuro, altrimenti non ci
avresti richiamato qui - per un momento Aomine fu fulminato
dall’occhio dorato del rosso, che lo fissò
arcigno, ma solo per un secondo, non gli piaceva quando
l’altro lo chiamava apertamente per nome, solo suo nonno
aveva l’autorità per farlo.
-
L’anima di Tetsuya, essendo stata ospite per lungo tempo di
uno spirito potente come l’Inugami, ha finito con
l’assorbire una parte del suo potere –
sospirò decidendo che non era né il luogo
né il momento per ricordargli che non aveva il permesso di
prendersi certe libertà.
- Mai in
questo caso ad ogni frammento dell’anima di Tetsu ci
sarà legata anche una parte dell’Inugami?..
Allora, anche se riuscissimo nell’impresa, questo non
cambierebbe di molto la situazione da come è ora –
guadagneremo solo pochi
istanti prima di doverci separare di nuovo,
ragionò il ragazzo dalla pelle bronzea, rabbuiandosi un poco.
-
Non esattamente – negò Akashi, notando come gli si
fosse smorzato di colpo l’entusiasmo, deciso a
riaccenderglielo (anche a costo di dire qualche piccola menzogna),
aveva bisogno del membro più forte della sua squadra. -
L’anima dell’Inugami (se cosi si può
chiamare essendo lui un demone), si è definitivamente
separata da Kuroko con lo scioglimento del contratto e, non avendo
più patto con alcun essere umano, ha perso tutti i suoi
poteri o per lo meno la maggior parte – decise di spiegargli,
parlando come se lo facesse per tutta l’organizzazione, - Non
abbiamo idea di dove sia finito ora: può essere tornato alla
terra perché ormai privo di poteri e resusciterà
tra qualche centinaio di anni quando avrà finito la ricarica
dell’energia; Al momento non lo sappiamo e non ci importa,
l’Inugami è per noi un capitolo chiuso –
respirò affondo quasi trovasse molto faticoso continuare, e
quando riprese sembrò che gli tremasse la voce, - Ora
però pensiamo solo a riportare da noi Tetsuya. Stavo
dicendo:..- tossi un paio di volte per riprendere il giusto tono,
-… in ogni pezzo dell’anima di Kuroko vi
è anche una parte dei poteri dell’Inugami, e
questo attira attorno al frammento un gran nugolo di entità
spiritiche, le quali puntano ad assorbire una simile, straordinaria,
fonte di potenza. Quindi, contando questo, in un luogo dove si radunano
un gran numero di fantasmi cosa si crea?
-
Il miasma – fu Kagami il più veloce a rispondere,
tentato all’idea di andare nell’altra stanza con
Midorima, ma provando un ultima volta ad inserirsi nella discussione.
-
Risposta esatta – confermò Akashi, e il sorriso
che aveva sul volto prese una piega crudele ed inquietante, quasi
sadica - Vi basterà andare a controllare tutti i luoghi in
cui si sia verificato un improvviso picco di attività
spiritica e di concentrazione del miasma; anche nel caso in cui un
fantasma o essere da prima tranquillo si sia trasformato di colpo in
qualcosa di pericoloso dovreste controllare, potrebbe darsi che si sia
impossessato del frammento d’anima -
-
Praticamente ci stai dicendo di andarci ad infilare in ogni buco
squallido e fetido della città e, una volta lì,
di combattere ogni entità maligna fino a quando “per caso”
non ci imbatteremo in ciò che cerchiamo..? – il
tono di Aomine aveva una nota di rassegnazione, ma allo stesso tempo
sembrava anche molto divertito. Quella prospettiva in realtà
non doveva dispiacergli molto.
- Si ,
più o meno è quello che vi chiedo -
- Bene,
lo faremo – rispose dei getto Daiki, anche per Taiga, - ma ad
una condizione… -
- Quale?
– si incuriosì il rosso, non se lo aspettava,
credeva che Kuroko fosse una motivazione sufficiente,
- Dovrai
aumentarci la paga! – era pur sempre un part-time
scarsamente stipendiato.
- Prima
fate bene il vostro lavoro poi parleremo dei compensi –
Nda:
ringrazio pubblicamente cake per le sue recensioni, danke ;)
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