Pegaso's Feather

di legy925
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Ritardi e punizioni ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Mostri dall'Oltretomba ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Lo sconosciuto ***
Capitolo 4: *** to be continued.... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Ritardi e punizioni ***


CAPITOLO 1 – Ritardi e punizioni

Jess Cooper salì la grande scalinata di marmo delle scuola, fiondandosi a capofitto lungo l'atrio dal lungo colonnato candido e fermandosi con uno scivolone davanti alla III D, bloccandosi a riprendere fiato.
Dall'aula, con la porta già chiusa, giungeva la voce della professoressa Hamilton, l'insegnante di letteratura, intenta ad illustrare alla classe il proemio dell'Odissea.
Jess sospirò due volte, cercando di rallentare il battito del suo cuore, passandosi le dita fra i capelli castano scuro nel disperato tentativo di sistemarli, dopo di che bussò e aprì la porta, facendo il suo ingresso nell'aula.
La professoressa Hamilton, una donnetta bassina e grassottella, si bloccò, il voluminoso libro in mano, piegando in avanti la testa e osservando la ragazza da sopra gli occhialetti rotondo cerchiati di metallo.
«ben arrivata, signorina Cooper. Le pare questa l'ora di presentarsi in classe?» chiese, con la sua voce acuta e petulante.
«mi scusi. Ho avuto un problema con la bicicletta. Non accadrà più» rispose Jess, a testa bassa, ripensando con rabbia alla sua bicicletta che aveva trovato, per la terza volta di fila, con la gomma posteriore bucata da un profondo taglio evidentemente volontario.
In giro ci doveva essere qualcuno che aveva deciso di prenderla di mira e voleva renderle la vita impossibile, entrando il mattino presto nel giardino di casa sua e tagliandole la gomma.
Quel pomeriggio, si era ripromessa, avrebbe chiesto alla madre di poter tenere la bicicletta nel salotto per la notte, al sicuro da questo vandalo che la faceva arrivare in ritardo alle lezioni.
Sperando che la Hamilton non infierisse ulteriormente sul suo ritardo e la mandasse a posto, Jess rimase immobile in attesa di un cenno dell'insegnate, ma evidentemente la professoressa non era della stessa opinione.
«è la terza volta questa settimana che arriva in ritardo. E siamo solo a mercoledì!» commentò sarcastica, provocando uno scoppio di ilarità tra i compagni.
Jess si sentì avvampare, mentre con la mano sinistra stringeva il pugno all'interno della tasca dei jeans, dove teneva il suo portafortuna: una piccola pallina di stoffa gialla imbottita con su ricamata in rosso la lettera J.
Ogni volta che era nervosa o arrabbiata la stringeva convulsamente, scaricando così la rabbia sulla pallina e non sulla professoressa che la stava mettendo in ridicolo davanti all'intera classe.
La Hamilton non si accorse della reazione di Jess, troppo intenta a cercare il punto a cui era rimasta sull'Odissea per riprendere la lezione, mentre la ritardataria raggiungeva il suo posto in fondo all'aula, nel banco isolato da cui poteva fare ciò che più la aggradava senza che i professori o i compagni si interessassero a lei.
Era sempre stato così, fino dal primo anno: Jess Cooper, la solitaria, seduta in fondo all'aula senza parlare con nessuno; Jess Cooper seduta da sola a mangiare un panino sotto l'albero di ciliegio nel giardino della scuola, mentre gli altri ragazzi sono in mensa tutti insieme; Jess Cooper che torna casa in bicicletta, da sola, mentre gli altri studenti prendono insieme il pullman.
Aprì il suo zaino e ne tirò fuori l'astuccio e un blocco su cui iniziò a prendere degli sporadici appunti, intervallati da disegnini e piccole frasi che le venivano in mente.
Pochi minuti dopo, la voce monotona e cantilenate della professoressa Hamilton fece cadere la classe intera in una sorta di assopimento collettivo, con gente dallo sguardo perso nel vuoto o con gli occhi semi chiusi che fissavano senza vederlo il libro di letteratura aperto ad una pagina a caso.
Jess, con la testa appoggiata alla mano destra e la mano sinistra che impugnava la matita, si mise a disegnare un piccolo schizzo di un parco, con le coppiette che passeggiavano e mamme che spingevano carrozzine fino ad un minuscolo parco-giochi, dove dei bambini giocavano.
La ragazza aveva sempre avuto un gran talento per il disegno, che l'aiutava a calmarsi e a pensare con maggiore chiarezza: lasciava vagare la mente senza una meta precisa, sentendo i pensieri che si susseguivano come le onde del mare che si alternano sulla spiaggia, con movimenti lenti e uniformi.
Degli  improvvisi colpi alla porta e lo scatto della maniglia la fecero, distogliendola dai suoi pensieri e portando la sua attenzione verso i nuovi arrivati.
Sulla porta vi erano due persone: uno era il preside Sanders, un omone alto e robusto, con una folta barba castano scuro che gli arrivava fino al petto e i capelli lunghi e ondulati che gli sfioravano le spalle.
Da solo riusciva ad occupare l'intero vano della porta, celando alla classe l'altra persona che era con lui.
L'uomo fece scorrere lo sguardo sugli studenti, che si erano alzati in piedi di scatto, improvvisamente attenti e svegli, posandolo infine sulla professoressa Hamilton, che si alzò dalla cattedra e si avvicinò al preside, salutandolo con deferenza.
Il preside rispose con un cenno, spostandosi di lato e permettendo all'altra persona di entrare.
Era un ragazzo della loro età ma di una bellezza che lasciò Jess senza fiato.
I capelli mossi, di un biondo dorato che apparivano come oro alla luce che entrava dalla finestra, erano ordinati e lucidi, ricadendogli in morbide onde attorno al viso dai lineamenti decisi, dove due splendidi occhi ambrati scorrevano sulla classe, mentre un sorriso gentile gli increspava le labbra ben disegnate.
Il fisico era alto e muscoloso, ma non pompato come i bulli che stavano fuori da scuola a fare casino.
Sembrava avere più un fisico da divo del cinema o, come pensò Jess, da Dio greco, con la pelle leggermente abbronzata che si scorgeva dal collo della camicia sbottonato.
Il ragazzo fece correre nuovamente lo sguardo sulla classe, fermandolo poi su Jess, che rimase bloccata a fissarlo, la matita a mezz'aria e gli occhi verde scuro fissi in quelli di lui.
«questo è James White, e da oggi sarà un vostro compagno. Spero che lo accogliate bene all'interno di questa classe» disse il preside Sanders, posando una mano sulla spalla del ragazzo e dandogli una spintarella avanti, mentre la professoressa Hamilton gli mormorava un «siediti pure dove vuoi, caro».
James prese la sua borsa e si avviò fra le due colonne di banchi, tenendo gli occhi puntati su Jess, e prendendo posto nel banco vuoto accanto a lei.
La ragazza lo guardò perplessa, mentre lui si sedeva sulla sedia e le sorrideva, facendole un piccolo cenno di saluto con la mano.
La Hamilton, dopo che il preside si fu congedato, prese l'Odissea e riprese, per la terza volta, la lettura del proemio.
Il silenzio assonnato che era stato interrotto dall'arrivo del nuovo studente tornò a regnare sull'aula, mentre gli studenti tornavano a vagare con la mente nell'iperspazio senza degnare la professoressa di uno sguardo.
Jess riaprì il suo blocco, cercando di tornare al suo disegno, ma la presenza del ragazzo a fianco a lei la deconcentrava.
Più di una volta sollevò lo sguardo su James e fissò il suo profilo perfetto, i suoi occhi chiari che fissavano la professoressa, le sue mani dalle dita lunghe e affusolate che stringevano la penna con la quale prendeva appunti con una scrittura piccolissima ma precisa e ordinata.
Era davvero incantevole e, per quanto la ragazza aveva la tendenza a diffidare dei ragazzi troppo belli in quanto avevano la tendenza a gasarsi e a trattarla con fare arrogante, si sentiva attratta da lui.
Si era fermata a pensare tutte quelle cose con lo sguardo fisso sul volto di James, che si voltò all'improvviso, sorridendole gentilmente.
Jess voltò di scatto la testa, posandola sul foglio e sentendo un incontrollabile rossore salirle lungo le guance, tingendole di rosso purpureo.
James rise sommessamente, facendo  vergognare ancor di più Jess, che sprofondò nel banco, desiderando con tutto il cuore che una voragine si aprisse sotto di lei e la risucchiasse nelle profondità della terra, portandola via da quel luogo.
Come a rispondere al suo comando, le piastrelle sotto di lei iniziarono a tremare, sfaldandosi inesorabilmente e trascinando Jess e tutto il banco in una voragine oscura.
Tentò di aggrapparsi al bordo, ma le mani incontravano solo una sorta di sostanza fumosa del colore della pece, che le impediva di trovare appiglio.
La ragazza tentò di urlare, ma la voce le era improvvisamente sparita.
Ormai era sprofondata fino alla vita, rimanendo fuori con le braccia e la testa.
Si era ormai rassegnata a cadere in quel pozzo senza fondo che si era aperto sotto i suoi piedi, quando avvertì qualcosa di bollente afferrarle saldamente il braccio, ustionandole la pelle e bloccando la sua inesorabile caduta.
Quando sollevò lo sguardo, Jess vide James che la teneva per un braccio, il volto vicinissimo al suo, con negli occhi ambrati una scintilla incandescente che pareva un piccolo fuoco che ardeva nel suo sguardo.
Il pavimento sotto di lei si richiuse di colpo, mentre la sensazione di bruciore al braccio svanì gradualmente, lasciandole un senso di sollievo in tutto il corpo.
Jess sollevò lo sguardo sulla classe, aspettandosi di vedere facce spaventate e terrorizzate che la fissavano sgomenti, invece sulla classe regnava il solito clima di torpore di poco prima.
La ragazza si voltò verso James, credendo di essersi sognata tutto, ma notò il suo volto leggermente più pallido di poco prima e una goccia di sudore che gli scendeva lungo il collo, sparendo nello scollo della camicia.
«ma cosa...?» esclamò Jess, scattando in piedi e rovesciando indietro la sedia, che si schiantò a terra facendo sobbalzare tutti i compagni semi assopiti.
La forte esclamazione attirò l'attenzione della Hamilton, che la fissò da sopra i suoi occhialetti tondi.
«signorina Cooper, qualcosa non va?» chiese la professoressa, calma.
«ma...io...il pavimento...ma cosa...!» cercò di dire Jess, ma l'occhiata della Hamilton servì a zittirla.
La professoressa la fissò perplessa, poi sorrise sarcastica e commentò:
«ho come l'impressione che qualcuno si sia divertito ad addormentarsi durante la mia lezione. Bene. Credo che la signorina Cooper sarà molto contenta di finire il suo sogno durante le due ore di studio supplementare che dovrà scontare questo pomeriggio»
Nessuno, nella classe, si prese il disturbo di far notare alla Hamilton che Jess non era l'unica che si era addormentata durante la sua lezione, e così la professoressa scrisse l'appunto sul registro indisturbata.
Jess fece per aprire la bocca, ma incontrò lo sguardo di James che le sussurrò:
«preferisci scontare la punizione e passare per una che ha fatto un brutto sogno, o raccontare tutto e passare per una pazza, scontando comunque la punizione?»
La ragazza non rispose, sedendosi sulla sedia e sprofondando la testa fra le mani, passandosi le dita fra i capelli castani e sugli occhi.
Si sfregò gli occhi verdi, sospirando e prendendo in mano il blocco, notando che James era chino su di esso, fissando interessato i suoi disegni.
Avvicinò il volto ad un disegno del giardino della scuola, con i ragazzi seduti sull'erba e l'albero di ciliegio che spargeva ovunque i suoi delicati petali rosa.
«li hai fatti tu?» le chiese il ragazzo, sfiorando con le dita affusolate i tratti a matita che comparivano sul foglio.
Jess annuì, notando come lo sguardo di James non fosse propriamente ammirato, bensì preoccupato.
Era sul punto di chiedergli qualcosa a proposito di ciò che era appena successo, quando il suono della campanella ruppe improvvisamente il silenzio, seguito da un forte rumore di sedie e banchi strusciati sul pavimento e il chiacchiericcio degli studenti che accoglievano il cambio dell'ora.
James si alzò di scatto ed uscì dalla classe, diretto chi sa dove, e Jess si ritrovò sola con i suoi pensieri.
Che cosa era successo?
Cos'era quella voragine che si era aperta sotto di lei e che nessun altro, a parte James, aveva visto?
E quella strana fiamma negli occhi del ragazzo, per non parlare delle sue mani bollenti?
Cosa centrava James White in tutto questo e, soprattutto, cosa centrava lei?

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Mostri dall'Oltretomba ***


Capitolo 2 - Mostri dall'Oltretomba

Le mille domande di Jess non trovarono risposta per tutta la giornata, ripresentandosi invariate durante le due ore di studio supplementare che doveva scontare a causa della Hamilton.
Tutto a causa di quella dannatissima voragine e di James White, che non aveva preso le sue difese davanti alla professoressa.
Tutto il fascino che il bellissimo ragazzo aveva suscitato in lei era ora svanito nel nulla, sostituito da una profonda rabbia e da una cocente delusione.
James sembrava simpatico, ma nel momento del bisogno le aveva voltato le spalle, tacendo davanti all'accusa della Hamilton di essersi addormentata durante la lezione di letteratura.
Guardò l'orologio: le sei meno venti.
Erano già un'ora e quaranta minuti che stava chiusa in quell'aula, mentre gli altri studenti erano andati già a casa.
Avrebbe dovuto studiare, ma era così arrabbiata che non riusciva a concentrarsi.
Aprì con rabbia il suo blocco e iniziò a scarabocchiare uno schizzo, che ben presto si tramutò nel viso dai lineamenti perfetti di James, con i suoi capelli ondulati, i suoi occhi chiari e le sue dita lunghe e affusolate da pianista.
Era davvero incredibile come fosse bello, così come era incredibile pensare che fosse il suo compagno di banco.
Mentre disegnava, i pensieri iniziarono a prendere un senso, dando vita alla teoria che, forse, James aveva agito in quel modo perché, effettivamente, la sua storia era assolutamente incredibile, tanto che sarebbe stata facilmente bollata come pazza visionaria.
La sua reputazione non era già tra le più brillanti; inutile infierire ulteriormente!
Però, quando si era trovata sul punto di cadere nella voragine, lui l'aveva salvata, con quel calore bollente ma allo stesso tempo rassicurante.
L'aveva salvata, come se fosse un cavaliere che salva la bella principessa dalle grinfie di un feroce drago.
Il disegno, sotto le sue mani, si trasformò nel ritratto di James che, in armatura e a cavallo, levava la spada verso il cielo in segno di vittoria.
Jess, perplessa, fissò il disegno scaturito dal suo inconscio, scoppiando poi in una risata che rimbombò nella scuola deserta.
Il rimbombo, cupo e spaventoso, la fece zittire di colpo, mentre cercava un modo per far calmare il suo cuore esageratamente sovreccitato.
Un silenzio di tomba calò sull'intera scuola, mentre Jess si guardava in giro, improvvisamente a  disagio.
Sentiva una strana inquietudine nell'aria, come se stese per accadere qualcosa.
Qualcosa di brutto.
Istintivamente si sedette sul piano del banco a fianco al suo per evitare di ripetere l'esperienza di quella mattina, non essendoci James White a portata per farsi salvare dalla voragine invisibile.
Intanto un basso ronzio aveva iniziato a farsi sentire nel silenzio della scuola deserta, attirando l'attenzione di Jess, perplessa e spaventata al tempo stesso.
Il ronzio si fece sempre più insistente, tramutandosi lentamente in un basso ringhio, molto simile a quello di un grosso cane.
Jess, terrorizzata, si guardò in giro, ma non vide nulla, a parte una strana macchia scura che si stava addensando davanti a lei, molto simile alla voragine che le era comparsa sotto il banco quella mattina.
Il ringhio proveniva dalla macchia scura, che si allargava a vista d'occhio.
Uno scintillio rossastro comparve tra le volute di fumo nero, mentre una strana creatura compariva davanti alla ragazza terrorizzata.
Sembrava un grosso cane dal pelo grigio, macchiato e rado come se avesse la rogna, grosso quanto un cavallo e con una bocca irta di denti grossi come coltelli da macellaio.
Le fauci, che gocciolavano saliva biancastra sul pavimento, non erano neanche lontanamente terrificanti come i due grandi occhi rossi che fissavano Jess con una famelica ferocia.
La ragazza non riuscì a muovere neanche un muscolo, paralizzata dalla paura, mentre la belva emergeva dalla nuova voragine che si era aperta e si avvicinava, ringhiando, con i muscoli delle zampe tesi, pronti per spiccare un balzo e squarciare quella gola così invitante.
Jess poteva quasi percepire le zanne della belva che le si conficcavano nella carne, il suo alito fetido di corpi decomposti e l'odore rivoltante del suo pelo marcio.
Fece un movimento con la mano, sempre tenendo gli occhi fissi in quelli della belva, avvertendo sotto le sue dita il blocco su cui aveva disegnato James.
Perché non era lì in quel momento? Perché non arrivava a salvarla?
Sempre più terrorizzata, desiderò con tutto il cuore che il bel giovane entrasse dalla porta e uccidesse quella bestia famelica con la spada che gli aveva disegnato in mano.
Ma perché non aveva lei una spada?!
Avvertì una strana corrente d'aria sotto le dita, la morbidezza di delle piume e poi, incredibilmente, qualcosa di freddo e duro.
Una spada!
La belva, alla quale la comparsa dell'arma non era sfuggita, scattò in avanti, pronto a sbranare in un solo morso la ragazza davanti a lui.
Jess lo vide saltare, spalancare la bocca in un ruggito e, quando le zanne furono a poco meno di un centimetro dal suo viso, chiuse gli occhi.
Poteva sentire, come aveva immaginato prima, il suo alito fetido di corpi decomposti e l'odore rivoltante del suo pelo marcio, ma stranamente non avvertiva le zanne acuminate che le dilaniavano la carne.
Dopo alcuni secondi, che alla ragazza parvero secoli, trovò il coraggio di sbirciare tra le ciglia ciò che le stava accadendo davanti e vide delle zanne spalancate davanti al suo viso imbrattate di una sostanza scarlatta.
Sangue.
Jess spalancò gli occhi, inorridita, mentre si rendeva lentamente conto che quel sangue non poteva essere suo, dato che non provava dolore da nessuna parte.
Mettendo meglio a fuoco la scena, si rese conto che effettivamente il sangue non sgorgava da lei:
un profonda ferita, con al centro conficcata la spada che era comparsa poco prima, si apriva nel palato della belva, con la punta dell'arma che spuntava, sporca di sangue, da un'analoga ferita fra gli occhi rossi, ma ora vitrei, dell'essere.
Quando la bestia si era avventata su di lei, senza neanche rendersene conto Jess aveva sollevato la spada e l'aveva conficcata nel palato della belva, trapassandole il cranio e uccidendola.
Il cuore, che le batteva così forte da farle male, iniziò a rallentare la sua corsa, mentre la ragazza si allontanava dalla mole della belva morta e faceva un passo indietro, per osservare meglio la scena.
Il fumo nero che aveva dato origine alla voragine si stava ora avvolgendo attorno alla belva, diradandosi poi sempre di più fino a scomparire del tutto, portandosi dietro il suo terribile fardello.
Jess cadde a sedere a terra, sconvolta, mentre il blocco dei disegni cadeva a terra, sotto i suoi occhi.
Con un tuffo al cuore, Jess si accorse che dal disegno di James mancava una cosa: la spada.
La ragazza passò lo sguardo più volte dal disegno all'arma che stringeva in mano, senza però riuscire a capacitarsene: come era potuto accadere che la spada da lei disegnata uscisse dal foglio e le si concretizzasse in mano?
Un basso rombo, probabilmente di un camion di passaggio davanti alla scuola, la fece sobbalzare, distogliendola dall'incantamento nel quale era caduta.
Afferrò la sua borsa e vi ficcò dentro a casaccio tutte le sue cose, uscendo di corsa da quell'aula terrificante, lasciandosi alle spalle la spada macchiata di sangue, che pochi istanti dopo tornò ad essere ciò che era in principio: una morbida e delicata piuma bianca.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Lo sconosciuto ***


CAPITOLO 3 – Lo sconosciuto


Fuori il sole era già calato, mentre fra le strade della città di Glowston i lampioni e le luminarie dei negozi illuminavano i marciapiedi, lungo i quali una ragazza spingeva una mountain bike azzurro metallizzato.

Jess attraversò l'ultimo semaforo, avviandosi lungo Liberty Lane, al cui numero 22 vi era la sua casa.

Liberty Lane era una via periferica poco lontano dalla Glowston High School, raggiungibile in cinque minuti di bicicletta, dove due file di villette a schiera separate da un viale alberato davano alloggio alle famiglie di gran parte degli studenti della scuola, che si frequentavano fin dalla scuola materna.

Sempre animata e piena di vita durante il giorno, con bambini che giocavano nei giardini e casalinghe che spettegolavano dai cancelletti dipinti di bianco, era invece buia e silenziosa la sera, quando la luce dei lampioni era offuscata dalle fronde degli alberi e le famiglie erano rintanate in casa a godersi la cena tutti insieme come le famiglie modello delle pubblicità.

Jess camminava lentamente lungo il viale, non troppo in fretta per rimandare il più possibile il rientro a casa.

Era ancora troppo scossa per ciò che le era successo e voleva fare chiarezza nella sua mentre prima di arrischiarsi a dare delle spiegazioni a sua madre a causa del suo ritardo.

Come avrebbe fatto a spiegarle che una voragine che solo lei e James potevano vedere aveva tentato di inghiottirla, che la Hamilton l'aveva messa in punizione e durante le ore di studio supplementare era stata attaccata da un'enorme cane mostruoso e che lo aveva sconfitto con una spada uscita da un suo disegno?

Detta così sembrava la scusa più assurda e fantasiosa che potesse inventarsi.

La madre non le avrebbe mai creduto.

E chiedere aiuto a James? Raccontargli del cane e poi chiedergli di confermare la sua storia?

Ma lui avrebbe accettato? In fondo era lui che le aveva detto di non dire niente alla Hamilton e di fingere che si era solo addormentata.

Cosa le avrebbe detto di fare, ora? Di dire alla madre che si era addormentata in classe e che la Hamilton l'aveva scoperta?

Beh, effettivamente così avrebbe dovuto dire addio al computer per una settimana, ma almeno avrebbe evitato il manicomio.

Immersa com'era nei suoi pensieri  non si accorse di lui finché non lo urtò con la spalla sinistra, sobbalzando e voltandosi a guardarlo.

Stava in mezzo al marciapiede, con le mani affondate nelle tasche dei jeans, come se stesse aspettando qualcosa.

O qualcuno.

I suoi capelli, neri come la pece, si muovevano in mille volute nella fresca aria della sera, intrecciandosi tra loro e ricadendo sulle spalle della giacca di pelle portata dal ragazzo.

I profondi occhi grigi erano fissi in quelli verdi di Jess, che si bloccò, impietrita da quello sguardo gelido.

Jess valutò che doveva essere più grande di lei di appena un anno, due al massimo; ma era certa di non averlo mai visto, ne a scuola ne in Liberty Lane.

Lo sconosciuto non disse nulla, limitandosi a fissarla, mentre lei avanzava rapida per cercare di allontanarsi da quella figura inquietante.

Jess era ancora a portata d'orecchio quando il ragazzo parlò:

«e così il segugio infernale ha fallito»

Jess si bloccò, terrorizzata, senza osare girarsi, mentre udiva i passi del ragazzo avvicinarsi a lei, fino a che non ne percepì la presenza dietro di se.

Si voltò di scatto, facendosi scivolare di mano la bicicletta, che cadde a terra con un fragoroso rumore di ferraglia.

Il ragazzo non accennò a cambiare espressione, mantenendo un’aria impassibile.

«chi sei?» chiese Jess, terrorizzata, arretrando istintivamente di un passo.

«Ares. Ma tu puoi chiamarmi William»

Una folata di vento scosse i capelli corvini del ragazzo, che coprirono per un attimo il volto dall’espressione agghiacciante, mente valutava la reazione della ragazza.

Nella mentre di Jess si accese una sorta di flash dove ricordava improvvisamente la lezione di letteratura di quella mattina.

E con essa anche il nome citato dal ragazzo: Ares, il Dio della Guerra degli antichi greci.

Osservandolo, Jess ebbe la sensazione che quel nome calzasse a pennello sul ragazzo, con quella sua giacca di pelle nera e i jeans con le catene attaccate, per non parlare della sua espressione.

Sembrava una tigre che gioca con la preda prima di divorarla.

«che cosa vuoi da me?» gli chiese, con voce tremante.

Lui sollevò un sopracciglio, avvicinando il volto al suo.

«voglio ucciderti»

Sollevò la mano come in una mossa di karate e le su dita assunsero una strana colorazione argentea.

Jess serrò gli occhi mente la mano di William calava su di lei, sentendone il fruscio vicino all'orecchio, sostituito pochi istanti dopo dal fragore di una moto che, arrivando a tutta velocità, saliva sul marciapiede e investiva violentemente William, mandandolo a sbattere contro un albero del viale.

Jess spalancò gli occhi e vide, di fronte a sé, una moto rossa sulla cui sella, intento a togliersi il casco, c'era l'unica persona al mondo che in quel momento la ragazza desiderava vedere: James.

Il ragazzo biondo chinò la testa e la fissò per un lungo istante, valutando i danni riportati.

«un brutto taglio, ma niente di irreparabile» mormorò, passandole un fazzoletto bianco che aveva estratto da  una tasca della giacca da motociclista che indossava.

Inizialmente Jess non capì a cosa si riferisse, fino a che qualcosa di caldo e viscido non iniziò a colarle lungo la guancia: una striscia di sangue le scendeva lungo la guancia da un profondo taglio sullo zigomo, mentre metà dei capelli sul lato sinistro del suo volto svolazzavano nella brezza serale, ormai ridotti ad una sorta di caschetto.

Senza fiato, la ragazza si premette il fazzoletto sul taglio, mentre le lacrime iniziavano a velarle la vista.

Intanto, poco lontano, William si era alzato, apparentemente illeso nonostante fosse stato appena investito da una moto che viaggiava a 130 Km orari.

Si portò una mano alla bocca, sfiorandosi un leggero taglietto che gli sfregiava il bel volto, fissando poi James con un misto di odio e sfida.

«Apollo. Non sapevo ci fossi anche tu qui.»

«Ares! Per ciò che hai fatto dovrei ucciderti!» disse James, la voce bassa e sibilante di chi sta trattenendo a stento una cocente rabbia.

Quell'altro lo fissò per qualche secondo, poi parlò con voce velata di disprezzo.

«Quella piccola semidea appartiene al mio Signore. Dammela, altrimenti mi vedrò costretto ad ucciderti.»

James, per tutta risposta, sollevò il braccio e scagliò contro l'altro una grossa palla di fuoco che gli era improvvisamente comparsa in mano.

Jess, a bocca aperta, osservò la palla di fuoco percorrere rapida la distanza che separava i due, per poi schiantarsi con fragoroso scoppiettio di fiamme nel punto dove pochi istanti prima c'era William.

Il ragazzo moro comparve poco distante da James, fissandolo con odio.

Portò nuovamente le mani nella posizione di karate, pronto a colpire, ma alle sue spalle comparve improvvisamente una macchia di fumo nero come quella che aveva risucchiato il mostro che aveva attaccato Jess a scuola.

William fissò seccato la nuvola di fumo, poi mormorò:

«per questa volta hai vinto. Ma non ci sarà  una seconda volta»

Poi, rivolgendosi a Jess:

«a presto, ragazzina»

E il ragazzo, con un ultima occhiata di sfida a James, entrò nella nuvola di fumo, sparendo del tutto.

James scese di sella e si avvicinò a Jess, terrorizzata e sconvolta, prendendola per un braccio e guidandola delicatamente verso la moto, sussurrandole:

«non ti preoccupare. Ora ti riporto a casa»

Troppo sconvolta per protestare, Jess salì sulla moto dietro di lui, affondando il viso nella sua schiena per celare le lacrime che le colavano lungo il volto.

Lui non disse nulla, facendo partire la moto e indirizzandola verso la casa di Jess.

La ragazza, a cui l'aria fredda aveva schiarito le idee e fatto cessare il pianto, respirò a fondo, avvertendo il profumo delicato di James sotto la giacca da motociclista.

Si rese conto solo in quel momento del fatto che era abbracciata a James mentre correvano a tutta velocità verso casa sua.

Il corpo di lui era bollente, come se fosse in preda alla febbre, oppure come nel momento in cui l'aveva salvata quella mattina in classe.

Ciò le fece tornare in mente il modo in cui il ragazzo di nome William lo aveva chiamato: Apollo, il Dio del Sole dell'Antica Grecia.

Che cosa poteva voler dire? Perché i due si chiamavano Apollo e Ares? E cos'erano quegli strani poteri che erano in grado di usare quando combattevano?

La moto si fermò improvvisamente sul ciglio della strada e James scese di sella, aiutando poi Jess a raggiungere il marciapiede.

La ragazza era così immersa nei suoi pensieri che non si era accorta che erano arrivati davanti a casa sua.

Non aveva detto al ragazzo l'indirizzo, ma questi sembrava saperlo già.

James la prese per un braccio e, come se temesse che potesse scappare, la guidò fino al cancelletto bianco, che aprì con la mano sinistra.

Appena furono nel giardino, James tirò fuori dalla tasca dei jeans un cellulare, con il quale iniziò a mandare alcuni messaggi, sempre camminando con il braccio di Jess stretto nella mano destra.

Con  un sospiro mise via il cellulare, fermandosi sotto il portico che dava accesso alla casa.

Jess si bloccò all'improvviso, sottraendo il braccio alla stretta dell'altro ed esclamando:

«ehi! Che cosa è successo prima? Chi era quel tizio? Che cosa voleva? E stamattina? Come hai fatto a fermarmi? E perché nessuno si è accorto di nulla?»

Un dito di James che le si posava sulle labbra mise fine alla valanga di domande di Jess che, improvvisamente lucida, stava tentando di dare un senso a quello che era appena accaduto.

«se avrai pazienza ancora un attimo ti spiegherò ogni cosa» le disse James, con quella sua voce soave che già l'aveva incantata una volta.

Jess chiuse di scatto la bocca, rimanendo a fissarlo in silenzio.

Il ragazzo si avvicinò al campanello e suonò brevemente, ma subito la porta si aprì e la madre di Jess, Clare Cooper, comparve sulla porta.

«Jess! Che cosa è successo?! e...Apollo? Si proprio tu?» esclamò la donna, fissando sbalordita James, che le rispose con un dolce sorriso.

«buona sera, Calliope. Da quanto tempo.»

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Capitolo 4
*** to be continued.... ***


to be continued...

Grazie a tutti quelli che hanno letto i primi tre capitoli della mia storia, per quanto quello sia solo l'inizio delle avventure di Jess Cooper....moltro altro ancora le deve succedere prima della fine :)
Purtroppo non pubblicherò altri capitoli su efp perchè sto procedendo lungo la difficile strada dell'autopubblicazione e il volume di Pegaso's Feather è praticamente in arrivo.
Per tutti coloro che fossero interessati a sapere cosa accadrà e quando i volumi saranno disponibili visitate la pagina facebok di Pegaso's Feather, così da essere aggiornati sulle ultime novità :)
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno apprezzato la mia storia e che mi hanno scritto delle recensioni magnifiche.
Senza i lettori, uno scrittore non è nulla.
Un abbraccio forte e a tutti.
Martina :)

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Questa storia è archiviata su: EFP

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