L'Agguato di PaolaDP (/viewuser.php?uid=47848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Coincidenze? ***
Capitolo 4: *** Ultimo giorno di scuola... ***
Capitolo 5: *** L'Agguato ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
pag1
L'AGGUATO
“Muoviti,
siamo in ritardo!”
“Eccomi,
eccomi...”
Una
ragazza uscì correndo dalla casa.
“Ci
sono! Andiamo...” esclamò avvicinandosi ad una ragazzo che
le somigliava molto.
Percorsero
a passo svelto il viale alberato, che si trovava in una zona molto
prestigiosa, e girarono a sinistra lasciandosi alle spalle le grandi
case bianche con i loro curatissimi giardini. La ragazza aveva i
capelli biondissimi, lunghi fino alle spalle, gli occhi color del
ghiaccio ed un fisico molto sottile. Indossava dei jeans e un
maglione rosso con il collo largo, portava i capelli raccolti in una
coda da cavallo e teneva fra le mani dei libri. Alle orecchie portava
degli orecchini d'oro a forma di sottili anelli.
“Per
quelli ti converrebbe usare una borsa, sai? E' pieno in camera tua,
perché non te ne prendi una?” le disse il ragazzo indicando
i pesanti volumi che teneva fra le mani. Era un po' più alto
di lei, con i capelli lunghi come i suoi ma scurissimi e gli occhi
del suo stesso colore: suo fratello gemello. Indossava una maglietta
nera e dei jeans, una bandana rossa attorno al collo, delle scarpe da
tennis e, come lei, portava degli orecchini d'oro.
“Lo
so, ma me ne dimentico sempre...” rispose lei con aria colpevole.
“Senti, dobbiamo sbrigarci o arriveremo in ritardo.” aggiunse
dando un'occhiata all'orologio che portava al polso.
“Non
c'è nessuna interrogazione oggi, vero?” le domandò
lui corrugando la fronte.
“Nessuna,
sta' tranquillo. Dopo la scuola io e Reciél pensavamo di
andare in gelateria. Vuoi venire con noi?”
“D'accordo,
per me va bene. Tieni conto, però, che dobbiamo anche
allenarci...”
“Certo,
sta' tranquillo...” ribatté lei con un sorriso.
Dopo
aver percorso una lunga via, attraversarono un vicolo stretto sulla
sinistra ed arrivarono in un'ampia piazza con grandi aiuole di fiori
viola e gialli, su cui si affacciavano diversi portici pieni di
negozi di abiti e di piante. Oltrepassata la piazza, i ragazzi
imboccarono un altro vicolo, in cui c'erano alcuni bidoni
dell'immondizia.
“Cosa
ne pensi di Lanél?” chiese all'improvviso il ragazzo,
fermandosi ed osservando pensieroso il marciapiede.
Anche
la ragazza si voltò per guardare gli occhi del fratello. Era
molto concentrato e teso, non l'aveva mai visto così. Non
voleva che quella... quella strega si divertisse con lui. Il suo
carattere era molto deciso ed autoritario, non poteva credere che
quella specie di modella lo avesse messo in crisi. Si trattava di una
ragazza che c'era a scuola; aveva capelli neri lunghi fino alla vita,
occhi altrettanto scuri e un grosso neo sullo zigomo sinistro. Era
molto altezzosa; indossava sempre pantaloni o troppo larghi o troppo
stretti e magliette enormi. Molto intelligente, la scuola non le
interessava molto e, nonostante le sue possibilità, si
accontentava della sufficienza.
“Cosa
vuoi che ti dica? Sai che non mi piace.” gli disse osservandolo per
soppesarne le emozioni.
“Io
ho l'impressione di piacerle.” esclamò lui alzando lo
sguardo e ricambiando l'attenzione della sorella, che rimase zitta,
si voltò e riprese a camminare.
“Ehi!”
la chiamò lui.
“Cosa
c'è?” domandò lei girandosi di nuovo con irritazione.
“Ti
ho fatto una domanda.”
“E
io ti ho risposto. Se vuoi una risposta in particolare, temo che
dovrai formulartela da solo.”
“Non
fare la stupida!” esclamò il fratello riprendendo a
camminare.
“Fratellino,
sai benissimo che non mi va a genio che cerchi di attaccar bottone
con te. Fa' quello che vuoi.” gli disse avvicinandosi e
sfiorandogli il naso con il suo.
“Credi
che mi interessi?! Ho di meglio da fare, ma devo ammettere che mi ha
commosso vedere tutti i suoi tentativi per attirare la mia
attenzione.”
“Commosso?”
esclamò lei improvvisando un'aria sorpresa. “Non disgustato,
piuttosto?”
“Sei
sempre la solita...” sussurrò fra sé e sé il
ragazzo, sorridendo ed osservandola con uno sguardo affezionato.
Eppure,
lei aveva come l'impressione che non le avesse detto tutta la
verità... suo fratello piaceva indiscutibilmente a Lanél,
ma lui cosa ne pensava?
Era
una bella giornata, il sole splendeva alto, si sentivano gli uccelli
cantare allegramente dalle grondaie delle case, ma, stranamente, le
strade erano quasi deserte. Gran parte delle persone, probabilmente,
era sotto ai loro piedi, nella metropolitana, diretta verso il
proprio ufficio o verso la propria la scuola.
Quel
vicolo era piuttosto buio... Dopo qualche minuto i ragazzi arrivarono
davanti ad un grande edificio giallo pieno di persone della loro età:
la loro scuola e i loro numerosissimi compagni.
“Ehi!”
una ragazza di media statura, con capelli corti e rossi e occhi
scurissimi, corse loro incontro, tenendo fra le mani due spessi
volumi; indossava un maglioncino rosa e dei pantaloni bianchi, con
una candida giacca a vento.
“Ciao,
Reciél.” la salutò la ragazza con un sorriso. Era la
sua migliore amica: si erano conosciute due anni prima ed erano
diventate quasi inseparabili. Reciél era molto particolare,
riflessiva e calma; suo padre aveva una piccola gelateria dove lei e
l'amica andavano spesso a fare merenda.
“Buongiorno,
Reciél.” disse a sua volta il fratello con un cenno della
mano.
“Oggi
devo esporre il mio topic di inglese...
Sono così tesa!” continuò Reciél con un
sorriso imbarazzato.
“Tanto
lo sappiamo tutti che voto prenderai...” ribatté la ragazza.
“Prenderai l'ennesimo 8 e ti lamenterai perché avresti
voluto il 9.”
“Non
fare la sciocca! Temo che l'emozione mi giocherà qualche
brutto scherzo. Beh, in fondo...”
“Basta
restare lucidi.” completò l'amica. “Me lo dici sempre.”
“Sentite”
intervenne il ragazzo “conviene avviarsi: sono quasi le 8.00 e
Kenter segna ogni minimo ritardo.”
“Va
beh, andiamo.”
I
tre si avviarono verso il portone e si unirono alla folla di studenti
che stavano entrando nell'edificio, accalcandosi lungo i corridoi e
premendosi contro le pareti. Alcuni professori disperati stavano
tentando di spingersi attraverso quella marea per raggiungere la sala
professori; uno di loro si avvicinò faticosamente al
gruppetto.
“Buongiorno
ragazzi. Come va?” chiese loro con aria gentile.
“Tutto
bene, signore.” rispose con fermezza il ragazzo, che era più
alto di lui di quasi una spanna.
“E
voi, signorine? Reciél, ti vedo tesa. C'è qualcosa che
ti preoccupa?”
“Nulla,
prof. Solo che oggi devo esporre in inglese, quindi...”
“Ah!
Tensione pre-test, eh?”
“Già.”
confermò Reciél, imbarazzata.
“E
tu?” chiese il professore rivolgendosi alla ragazza. “Va tutto
bene?”
“Nella
norma, come deve andare.” rispose lei con un sorriso formale.
“Le
tue risposte sono sempre disarmanti, sai?” le disse lui, sorridendo
a sua volta. “Non ho mai incontrato persone meno loquaci di te e di
tuo fratello... D'accordo, ragazzi. Non è ancora persa
l'ultima speranza che riesca ad arrivare in quarta in orario, quindi
sarà meglio che cerchi di precedervi. Arrivederci!”aggiunse
per poi allontanarsi.
La
ragazza rimase a fissarlo pensierosa. Fargon, il professore di
biologia, le era molto simpatico, ma la confidenza che cercava di
instaurare con gli allievi era talvolta piuttosto imbarazzante. Era
un uomo di media statura, con dei grandi e spessi occhiali di
plastica azzurra lucida, pochi sparuti capelli in testa e una pancia
piuttosto voluminosa.
“Cosa
abbiamo alla prima ora?” chiese Reciél, distogliendola dai
suoi pensieri.
“Storia
dell'Arte.” le rispose lei, senza distogliere lo sguardo dal punto
in cui il professore era sparito.
CONTINUA...
Salve a tutti! Ho pensato di scrivere questa storia leggendo "La verità sull'inizio" di Sirene Chan, che
narra, appunto, di come C 17 e C 18 siano finiti nella rete del Fiocco Rosso e di come abbia fatto il dr Gelo
(sul cui nome ho diversi dubbi: ci sono versioni differenti che lo chiamano "Gero", penso sia l'edizione
inglese)a procurarsi la materia prima su cui lavorare. Nonostante la pubblichi solo ora, ho scritto questa
storia parecchio tempo fa, quindi potrebbero esserci errori anche un po' infantili, in tal caso chiedo
scusa.
Come avete visto, ho cercato di immaginare una vita il più sereno e il più semplice possibile per
questi due fratelli. Credo anche che vi siate accorti che i due ragazzi non vengono mai chiamati per nome:
sceglierne uno per personaggi così carismatici mi sarebbe sembrato quasi un affronto nei loro confronti,
per cui continueranno a essere "i fratelli", "i gemelli", "la ragazza e il ragazzo" (non avete idea di che fatica
sia evitare ripetizioni senza poter usare un nome proprio!).
Credo di avere detto tutto...
Mi raccomando, ho bisogno di consigli, suggerimenti ed opinioni, quindi inserite un commento.
Grazie per aver letto!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Agguato 2
L'agguato
“Ci
vediamo domani!”
“D'accordo,
a domani.”
I
due ragazzi, dopo aver salutato Reciél si avviarono verso il
vicoletto per cui erano passati quella mattina diretti verso casa. Il
sole era ancora alto, ma, come al solito, quella stradina era buia
come se fosse stata notte.
“E'
simpatica la tua amica.” disse il ragazzo alla ragazza, senza
guardarla negli occhi ,ma continuando ad osservare una macchina nera
nello spicchio di luce visibile in fondo al vicolo.
“E
me lo dici oggi?” replicò lei con un sorrisetto sorpreso.
“La conosco da due anni, sai?”
Il
fratello rimase in silenzio, continuando a guardare l'automobile
illuminata dal sole.
“Tu
hai idea di che modello sia quella macchina?” le chiese
all'improvviso.
La
ragazza prese a fissarla a sua volta. “No, non saprei. Perché?”
“E'
particolare... non ne ho mai vista una così.”
“Con
tutte le riviste di motori che leggi...” disse la sorella,
guardandolo. Un sorriso compiaciuto le increspò le labbra.
“No,
dai, seriamente. Hai mai visto una macchina del genere?”
“Cos'ha
di strano?” chiese la ragazza avvicinandosi per posizionarsi di
fianco al fratello.
“Non
ha niente che segnali la marca, nessuna targa, i finestrini hanno una
forma mai vista, sono oscurati; ha tre volumi, vero, ma le
proporzioni...”
“Evidentemente
ti sei lasciato sfuggire un modello, da qualche parte.” gli disse
la sorella, con un sorriso divertito e scandalizzato.
“Forse
hai ragione...”
La
ragazza, spazientita, decise di non prestare attenzione alle parole
del fratello.“Coraggio, andiamo, dobbiamo ancora mangiare!”
Arrivarono
alla piazzetta con il portico ed imboccarono il vicolo di fronte a
loro. Giunsero così in una via molto larga, con diverse auto
posteggiate e, girato a destra, si ritrovarono nel viale alberato in
cui abitavano; si avviarono verso una casa bianca, sviluppata su due
piani e con un grande giardino. Entrarono dal cancello, salirono i
gradini del portico e varcarono la porta candida, con due colonne
bianche ai lati.
“Mamma!”esclamò
la ragazza appoggiando i libri su un tavolino dell'ingresso. Era una
casa molto bella, ordinata, pulita e lussuosa. Si trovava in un
quartiere residenziale di alto livello, a pochi isolati dallo studio
dove il padre dei due fratelli esercitava la professione di notaio.
Il
ragazzo passò per l'arco sulla sinistra ed entrò in
un'ampia cucina.
“Mamma...”
chiamò a sua volta, guardandosi attorno.
“Ciao!”
esclamò una donna minuta e bionda seduta al tavolo facendo un
cenno con la mano. Indossava un vestito casalingo verde pallido, e
stava mangiando con gusto una fetta di torta. “Com'è andata
la scuola?” domandò masticando un boccone particolarmente
grosso.
Il
figlio si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. “Tutto
bene, nulla di particolare.”
“Volete
un po' di torta? Norma ne ha preparata anche troppa, non so dove
metterla!” disse sollevando la fetta di dolce.
“Grazie.
Io ne prendo subito...” esclamò il ragazzo prendendone un
pezzo.
“Tu
non ne vuoi, tesoro?” chiese la donna rivolgendosi alla ragazza.
“Ne
prendo solo un po'...”
“Avete
compiti da fare?”
“Devo
finire una ricerca.” disse il figlio.
“Allora
sbrigati! Questa sera, quando tornerà vostro padre, avremo
circa mezz'ora di tempo prima di andare a ristorante, per i vostri
zii.”
“Non
ti preoccupare, vado subito a finirla.” disse il ragazzo avviandosi
verso le scale.
“Mi
raccomando...”
“Io
vado a darle una mano...” intervenne la sorella seguendolo.
“Tanto
lo sai che non ce n'è bisogno: con questa tecnologia si può
fare tutto in pochissimo tempo.”
“Non
si sa mai...” i ragazzi salirono al piano di sopra lasciando la
madre a guastarsi in santa pace la sua fetta di torta.
“Mangiamo
fra poco!” gli urlò la donna, colta da un'improvvisa
illuminazione riguardo al fatto che lei si era abbuffata e si stava
abbuffando di torta mentre i figli non avevano mangiato nulla dalla
colazione.
Una
volta salite due rampe di scale, i due fratelli arrivarono in un
lungo corridoio; aveva le pareti verniciate di bianco, su cui
troneggiavano diversi quadri e stampe, e sul pavimento c'era un
lunghissimo tappeto persiano con temi dorati e color porpora.
Girarono a destra e lo percorsero, per poi imboccare una porta alla
loro sinistra, proprio in fondo al corridoio; entrarono in un'ampia
stanza con un letto su cui c'erano una pila di riviste
automobilistiche e un pallone da basket, una scrivania con un
computer, diversi scaffali pieni di modellini di automobili, un
enorme armadio che ricopriva un'intera parete e un balcone affacciato
sulla strada di fronte.
“Su
che cos'è la ricerca?” domandò la ragazza al fratello
sedendosi sul letto. Era molto morbido con una coperta di pile blu;
era incassato fra gli sportelli di un grande armadio, proprio come la
scrivania.
“Su
Mendel.” le rispose lui senza guardarla ma continuando ad osservare
lo schermo del computer in accensione.
“Ti
è capitato lui, eh?”
“Per essere uno che ha passato la vita osservando
la riproduzione dei piselli...” ribatté il ragazzo con un
sorrisetto divertito.
“Hai
ragione.” rispose la sorella guardandolo con aria affettuosa. I
loro caratteri erano molto simili: erano entrambi piuttosto
introversi e taciturni con gli altri, ma fra di loro erano molto più
socievoli. Contrariamente a quanto accade talvolta fra fratelli, i
due andavano molto d'accordo; lui tendeva ad essere protettivo nei
confronti della gemella, e lei a sua volta si sentiva in dovere di
aiutarlo in tutto. Non erano sempre vissuti in quella casa: dopo
essersi sposati, i loro genitori avevano abitato un delizioso
appartamento proprio nella via porticata che ora percorrevano per
andare a scuola, via dell'Agorà; delizioso, sì, ma
estremamente piccolo! Quando Brian e Cidonia, i loro genitori,
avevano scoperto di aspettare un figlio avevano pensato che, con un
po' di impegno, avrebbero potuto far bastare lo spazio. Quando
avevano scoperto di aspettarne ben due, si erano sforzati di
resistere ma quando i gemelli avevano 7 anni si erano resi conto che
tutta la buona volontà di questo mondo non può tenere
due bimbi nella stessa camera e avevano deciso di cambiare; si erano
trasferiti in quella villa, sempre nella stessa zona; in questo modo,
la loro compagnia non era cambiata e sempre le stesse persone
venivano a cena da loro. La migliore amica di Cidonia era Elora, una
donna che era stata loro vicina di casa in quell'appartamento, ne
abitava uno più grande sullo stesso piano, con un bel terrazzo
rivolto ad Est.. Elora era una donna di media statura, con i ricci
rossi, gli occhi scurissimi e il naso appuntito; aveva avuto una
figlia, Avina, a vent'anni, molto presto, ed allora era già
diventata nonna di un nipotino di nome Jhamli. Il marito era un
costruttore e non era mai a casa. Lei e Cidonia andavano al cinema e
in palestra insieme, soprattutto quando i due gemelli andavano ad
allenarsi nelle arti marziali; partecipavano spesso a competizioni a
livello regionale e nazionale ed erano addirittura finiti sui
giornali per la loro bravura. Ora frequentavano l'ultimo anno di
liceo e si apprestavano a portare avanti i loro studi all'Università.
Entrambi volevano diventare ingegneri, lui per le auto, lei per
l'elettronica in generale.
“Conosci
qualche sito interessante?” chiese il ragazzo rivolto alla sorella
voltandosi finalmente per guardarla.
“Non
ne ho idea.” replicò lei con aria pensierosa. “Prova a
guardare su Google. Comunque...” continuò con aria
maliziosa. “... una ricerca andrebbe scritta, non scaricata...”
“Sorvoliamo.”
replicò lui con aria sommessa, concentrandosi sullo schermo.
Ecco qua il nuovo capitolo!
Ringrazio calorosamente tutti coloro che hanno recensito il precedente!
Selhin:
ti ringrazio molto per aver controllato le ripetizioni e grazie mille
per i complimenti! Non mi aspettavo che piacesse... Comunque, penso che
la parte
drammatica arriverà solo quando ci sarà il
confronto Gelo-Gemelli. Sono felice che tu abbia approvato la mia idea
di continuare a chiamarli in questo
modo! Penso che ne vedremo delle belle...
Juu_Nana:
Sono felicissima di aver trovato qualcun altro appassionato, fan
sfegatato degli androidi! Soprattutto il povero C 17 viene
sottovalutato, poverino!
Continua a leggere e a recensire, mi
raccomando, ho bisogno di qualcuno che li conosca molto bene, temo
sempre di uscire dai personaggi!
LadyGaunt:Grazie
per i complimenti! Come vedi ho aggiornato molto presto, come mi hai
chiesto tu... Complimenti, piuttosto, per le TUE storie: aspetto il
seguito di "Amore e Circuiti."
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Capitolo 3 *** Coincidenze? ***
Coincidenze?
L'Agguato
“Ehi!
Salve a tutti!” esclamò Brian entrando in casa. Chiuse la
porta dietro di sé e si pulì le scarpe sullo zerbino,
appoggiò chiavi e cellulare su un tavolino lì vicino e
si tolse il cappotto.
“Bentornato.”
gli disse la moglie entrando nell'ingresso. Gli prese la
ventiquattr'ore e il cappotto e li appoggiò su un divano della
sala. “Com'è andato il lavoro oggi?”
“Niente
di che. Dove sono i ragazzi?” rispose l'uomo guardandosi attorno.
“Sono
su. Penso che stiano leggendo.”
Brian
sorrise: credeva di conoscere il genere di lettura prediletta dal
figlio... Salì a passo rapido le scale e percorse il
corridoio. Si fermò davanti ad una porta alla sua sinistra.
“Posso?”
chiese aprendola ed affacciandosi nella stanza.
“Ciao,
Papà!” esclamò il ragazzo, seduto sul letto, intento
a leggere una delle sue innumerevoli riviste di motori.
“Tua
sorella?” domandò l'uomo, dato che si aspettava che fossero
assieme.
“E'
in camera sua.” rispose il figlio puntando un dito alla propria
sinistra per poi ri-immergersi nella sua rivista.
Il
padre richiuse la porta e si voltò: di fronte a lui c'era
un'altra porta. La aprì.
“Buonasera,
signorina.” esclamò.
La
stanza era molto spaziosa. Al centro c'era un letto con un piumino
rosso, una cassapanca di legno; sulla parete di fronte c'era una
scrivania con un computer portatile, degli scaffali colmi di libri,
un grande armadio che copriva gran parte della parete; la stanza
aveva un balcone che si affacciava sul giardino della casa.
La
ragazza era seduta alla scrivania e stava parlando al telefono.
“Aspetta
un attimo...” disse rivolgendosi alla cornetta. “Ciao, Papà!
Come va?”
“Tutto bene. Senti, fra un po' dobbiamo andare a
ristorante, preparati.” le ricordò Brian alzando un dito
ammonitore.
“Senti,
ti spiace se ti richiamo io domani?” continuò la figlia
parlando al suo interlocutore. “D'accordo... Ciao!”
Appoggiò
la cornetta e si alzò. “D'accordo, adesso mi preparo.”
“Allora
ti lascio.” esclamò il padre richiudendo la porta ed
allontanandosi.
La
ragazza si diresse verso uno dei suoi armadi bianchi e lo aprì.
All'interno c'erano per lo più abiti blu o neri, soprattutto
di jeans, materiale che piaceva molto sia a lei che al fratello. Fece
scorrere le dita sui numerosi ometti appesi pensando a quale fosse il
capo più adatto per l'occasione. Alla fine optò per un
abito verde scuro, lungo fino alle ginocchia. La scollatura era
praticamente nulla, copriva il petto fino alla gola, e lasciava le
spalle e le braccia scoperte. Per fortuna non c'era molto freddo!
Abbinò delle ballerine dello stesso colore. Quanto ai capelli,
legò dietro alla nuca le prime ciocche sulla fronte con un
fermaglio verde. Prese un cappotto beige e si avviò lungo il
corridoio, dove incontrò il fratello.
“Ma
come ci siamo vestiti eleganti!” le disse lui con un sorriso di
scherno.
“Anche
tu.” rispose pacatamente lei indicando la camicia bianca che
indossava il ragazzo.
“Ma
vi rendete conto?! Aveva completamente dimenticato il nome del
beneficiario del testamento, suo figlio!” concluse Brian, con un
sorriso incredulo. La compagnia scoppiò sonoramente a ridere.
Suo fratello Lex e la moglie, Lila, che erano andati con lui, Cidonia
e i due ragazzi, replicarono con qualcosa come “queste cose
capitano solo a te...”; si erano sposati da poco, nonostante non
fossero giovanissimi. Lex era alto e magro,con occhi scurissimi. Lila
era molto minuta e di media corporatura, con scurissimi e corti
capelli ricci; come il marito, portava degli spessi e grandi
occhiali. Oltre a loro, seduti al tavolo de “La Cicogna” c'erano
due colleghi di Brian, uno alto e piuttosto incarne, con i capelli
grigi e un completo scomposto, con la cravatta messa di traverso, di
nome Rin, l'altro completamente calvo, con una perfetta giacca nera e
un cravattino rosso, che si chiamava Lionell.
“Alla
fine se ne è ricordata?” domandò Lex, con un sorriso
obliquo.
“Se
ne è ricordato il figlio stesso quando è venuto a
prenderla.” rispose Brian, ammiccando: andava molto orgoglioso del
suo lavoro.
Dall'altra
parte del tavolo, seduti l'uno fianco all'altro, c'erano i due
ragazzi, lei con il suo abito verde, lui con la sua camicia bianca
nuova di zecca. Avevano pensato di organizzare quella serata per
festeggiare la scoperta della gravidanza di Lila, Cidonia aveva
pensato a tutto.
“Congratulazioni
a tutti e due!”
“Ma
soprattutto alla mamma...”
La
serata era trascorsa allegramente, all'insegna delle risate e della
buona cucina.
“Cento
di questi giorni!”
Il
tavolo era in un'ottima posizione: si trovava esattamente di fronte
alla vetrata del ristorante, permettendo così di vedere tutta
la strada di fronte, dove erano posteggiate alcune automobili.
La
ragazza continuò a chiacchierare con i convitati, ma suo
fratello rimase silenzioso e taciturno; mangiò poco, e tenne
gli occhi puntati sul marciapiede oltre il vetro.
“Ma
si può sapere che hai?” gli chiese lei, incuriosita dal suo
atteggiamento: era sempre stato un ragazzo taciturno, ma quella sera
sembrava profondamente turbato. “Non hai praticamente toccato
cibo...”
“Non
ho fame.” rispose con tono piatto il ragazzo, senza distogliere lo
sguardo dalla vetrata.
“Si
vede.” disse la sorella; il suo non era un rimprovero: era
semplicemente una constatazione disinteressata. La sua espressione
non tradiva alcun sentimento.
“Non
te ne sei accorta?” replicò lui , alzando finalmente lo
sguardo e fissandola inespressivamente negli occhi .
“Accorta
di cosa?”
Il
ragazzo rimase silenzioso per qualche istante, poi tornò a
fissare la vetrata. “Quell'auto” iniziò, indicando con
discrezione un'automobile nera molto particolare “ha percorso tutto
il tragitto dietro di noi, ha posteggiato dopo di noi e nessuno ne è
uscito. I finestrini sono oscurati, non ho idea di chi possa essere.”
Sua
sorella riabbassò la testa, ma puntò discretamente lo
sguardo sull'automobile posteggiata qualche metro più in là.
Non le aveva prestato attenzione, ma effettivamente doveva aver già
visto quella macchina, da qualche parte...
“Alla
nostra Lila, che diventerà madre!”
Il
ragazzo si unì al brindisi proposto da suo padre, ma sua
sorella rimase china, sistemandosi il tovagliolo sulle ginocchia,
senza prestarci veramente attenzione: i suoi occhi erano puntati
sull'automobile. Le parve, alla luce di scorgere un movimento al suo
interno, e intravide il volto di un uomo alto e muscoloso, giovane,
con i capelli brizzolati e lunghi. Sul petto, sul suo gilè,
c'era stampato qualcosa simile ad un fiocco colorato di rosso, con
sopra due R bianche. I suoi occhi erano azzurri, di ghiaccio, e le
ricordavano... le ricordavano terribilmente i suoi e quelli di suo
fratello.
Tutti
sembravano felici e spensierati nel ristorante “La Cicogna”:
tavoli colmi di pietanze gustose e sofisticate, capannelli di amici
che chiacchieravano animatamente, ridendo, scherzando, inventando
storie sciocche e assurde solo per divertirsi, camerieri sorridenti
disposti a tutto pur di accontentare i clienti rendendo quella serata
il più piacevole possibile. Eppure, ad un tavolo davanti alla
vetrina, due ragazzi molto simili, silenti e tesi, non prestavano
attenzione ai propri genitori o ai propri amici, ma gettavano fugaci
occhiate ad un'auto scura posteggiata nella strada di fronte, un'auto
avvolta da un alone di mistero. Un'auto il cui autista portava
l'insegna del Fiocco Rosso.
La
ragazza si passò una mano fra i capelli. Aveva passato una
notte insonne osservando il soffitto candido della sua stanza e
pensando... Forse, aveva esagerato: farsi rovinare la nottata da una
sciocchezza come un'automobile che, casualmente, aveva la sua stessa
destinazione! Era giunta alla conclusione che qualcuno doveva pur
essere sceso da quel veicolo, forse suo fratello non se ne era
accorto. Nonostante cercasse di convincersi del fatto che tutto
doveva essere una coincidenza, la ragazza non riusciva ad abbandonare
un senso di tensione, un presentimento: sentiva che qualcosa di
terribile stava per accadere.
Sfilò
i piedi da sotto le lenzuola e li infilò nelle sue pantofole
calde. Si alzò dal letto e uscì in corridoio. Si fermò
di fronte alla porta che le stava davanti, abbagliata dalla luce
proveniente dalla finestra alla sua destra, leggermente attenuata
dalle tende bianche. Socchiuse gli occhi. Era indecisa se bussare o
no, ma entrò.
La
stanza era piuttosto luminosa a quell'ora. Le pile di riviste erano
state abbandonate per terra per fare spazio, nel letto, al loro
proprietario, che era ora immerso in un sonno profondo. La ragazza si
avvicinò silenziosamente e si sedette ai piedi del fratello,
scuotendolo dolcemente per svegliarlo.
“Ehi,
fratellino? Sveglia, ho bisogno di parlarti.”
Dopo
qualche scossone particolarmente forte, il ragazzo strinse ancora più
forte il cuscino, affondandoci la faccia, e mormorò, senza
aprire gli occhi “che ore sono?” Il suo tono tradiva una nota di
esasperazione...
“Ecco...
abbastanza presto.” Gettò uno sguardo all'orologio
appoggiato sul comodino lì a fianco: c'era scritto “06.17”.
Suo
fratello aprì gli occhi, sotto ai quali c'erano due profonde
occhiaie. Sollevò il busto con molta fatica e si mise a
sedere, fissando la ragazza con aria risentita. Prese distrattamente
la sveglia fra le dita e, dopo aver visto l'ora, la riappoggiò
con uno sbuffo di incredulità e rassegnazione. “Abbastanza
presto?!” esclamò, tornando a fissare la responsabile della
brusca interruzione del suo sonno.
“Lo
so, ma ho bisogno di parlarti..” replicò lei, corrugando la
fronte.
“Parlare?”
disse il ragazzo alzando le sopracciglia.
“Sì.
Quello che è successo ieri mi ha turbata. Insomma...”
aggiunse, di fronte all'aria persa del fratello “... riguardo alla
macchina.”
Il
ragazzo si lasciò cadere contro il muro, accasciandosi sulla
schiena. “E mi hai svegliato per questo?!” esclamò con
incredulità.
“Senti,
tu ieri eri anche più pensieroso di me, quindi non
minimizzare! Io almeno mi sono goduta la serata.”
“Ma
non la nottata, vero?”
“Cosa
vuoi dire?” gli domandò, guardandolo storto.
“Hai
delle occhiaie tremende, si vede lontano un miglio che non hai chiuso
occhio.” replicò lui, alzando una mano per indicare qualcosa
evidentemente molto visibile sotto i suoi occhi.
Di
fronte all'aria imbarazzata della sorella, il ragazzo decise di
iniziare a parlare.
“Hai
ragione, sono rimasto colpito anch'io.” le disse, facendosi
improvvisamente serio.
La
ragazza tornò a fissarlo: l'espressione di suo fratello, in
genere così sicura di sé, così consapevole e
matura, era cambiata. Era un misto di preoccupazione e di paura, un
qualcosa che né lui né tanto meno lei avevano mai
provato. Era stato tutto una coincidenza? Era inutile preoccuparsi,
si erano spaventati per niente?
Il
suo gemello era sempre stato un punto di riferimento per lei, il
punto fermo della sua vita. In qualche modo, era sempre stata sicura
che, in caso di necessità, lui sarebbe stato lì, con la
sua aria pacata, tranquilla ed onnisciente per consolarla e,
talvolta, spingerla a fare qualcosa che temeva ma che era necessario.
Adesso aveva davanti un ragazzo teso, incerto, dubbioso che non
sapeva nemmeno di cosa aver paura e se fosse giusto averne.
“Che
siano dei rapinatori che ci hanno presi di mira?” gli chiese,
dubitando lei stessa di ciò che aveva detto.
“No,
non credo: ho avuto l'impressione che... No, escluderei che si tratti
di ladri.” Si era interrotto, ma sua sorella sapeva perfettamente
che cosa stava per dire, era proprio quello che stava pensando lei:
qualcosa le diceva che non potevano essere comuni scassinatori, ma
qualcosa di molto, molto peggio...
“Senti,
non preoccupiamoci: è possibilissimo che qualcuno sia sceso e
che io non l'abbia visto, è possibilissimo che qualcuno abbia
casualmente seguito il nostro stesso percorso, non dobbiamo temere.”
le disse, posandole delicatamente una mano sulla spalla. “E' stata
una coincidenza, tutto qui.”
La
ragazza rimase a fissarlo negli occhi: non era convinto di ciò
che stava dicendo, lo stava facendo solo per tranquillizzarla e per
comodità. Sì, per avere la comodità di poter
dire di esserne veramente persuaso, per potersi sentire autorizzato a
far finta di nulla. Sorrise debolmente, ed annuì.
“Comunque,
io ho l'impressione di aver già visto quella macchina...”
Salve
a tutti! Eccomi di nuovo qui, a proseguire con questa storia. Come
vedete, il tarlo del dubbio si sta facendo sentire, i gemelli (sapete
già
perché li chiamo solo così) stanno iniziando ad intuire cosa accadrà. Mi raccomando, lasciate un commento!
Grazie per avere letto anche questo capitolo.
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Capitolo 4 *** Ultimo giorno di scuola... ***
Ultimo giorno di scuola...
L'AGGUATO
“Ah,
finalmente!” esclamò il ragazzo, respirando l'aria del
giardino della scuola, esattamente di fronte all'ingresso.
“E'
venerdì, e niente scuola per due giorni!” aggiunse,
girandosi ad osservare sua sorella; con lei, oltre a Reciél,
c'era un ragazzo alto, con i capelli ricci e scuri. Indossava una
felpa blu, rossa e bianca e dei jeans. Era un suo amico, tutti lo
chiamavano Rin.
“Lo
sappiamo” gli rispose con un sorriso eccitato. “Io vado in
montagna coi miei, lì c'è una ragazza veramente
carina.”
“Fossi
in te, non tornerei in città, credimi.” esclamò il
ragazzo, tornando verso i propri amici.
“Così
avrei una stanza in più a disposizione.” disse sua sorella,
sorridendo lievemente.
Si
avviarono lungo il vialetto della scuola, verso il cancello. Alla
loro sinistra, una ragazza con lunghissimi capelli neri si voltò
al loro passaggio, osservando il ragazzo con aria interessata. Lanél
mosse qualche passo in sua direzione sventolando la mano, ma venne
completamente ignorata dal gruppo, che procedette compatto fino al
cancello di ingresso. Il ragazzo continuò a fissare davanti a
sé, con aria decisa, come se non si fosse accorto della sua
presenza. Sua sorella, però, aveva capito il genere di
pensieri in cui doveva essere immerso... La ragazza si voltò
verso Lanél, che stava osservando suo fratello con aria
delusa. Forse l'aveva giudicata con troppa superficialità: in
fondo, sembrava veramente triste per essere stata ignorata... Se
fosse stata una cosa sciocca, si sarebbe indignata e avrebbe lasciato
perdere, no? Invece, ora, la ragazza che aveva sempre considerato
insulsa e frivola si stava affliggendo pensando ad uno dei tanti
ragazzi di questo mondo, proprio a suo fratello. Era stata ingiusta
con lei, l'aveva giudicata a priori, senza preoccuparsi di
conoscerla. Forse avrebbero potuto diventare amiche, chissà...
Un
ragazzo le si parò davanti, distogliendola dai suoi pensieri.
Era alto, robusto, con capelli biondo scuro e occhi chiari. Indossava
dei jeans e una maglietta azzurra molto aderente e faceva sfoggio di
un'espressione sicura di sé, intrigante. La stava guardando
con aria interessata e galante. Mosse qualche passo in sua direzione,
continuando a fissarla con sicurezza.
“Ehi
là! Come va?” le chiese, facendo sfoggio di una dentatura
perfetta, messa strategicamente in bella mostra con un sorriso
smagliante.
“Bene.”
rispose lei con tono piatto, tornando a guardare alle sue spalle:
Lanél era sparita.
Evidentemente
sorpreso dalla risposta, assolutamente inespressiva, si chinò
verso di lei, sorridendo di nuovo.
“Senti,
ti piacerebbe...”
La
ragazza si sentì afferrare per il braccio sinistro e,
voltandosi, vide suo fratello, che stava fissando il ragazzo con aria
minacciosa. Quest'ultimo, schiacciato dall'intensità di quello
sguardo, mormorò qualcosa come “beh, ci vediamo...”, le
fece un cenno con la mano e si allontanò velocemente.
“Ti
ha infastidita?” le chiese il ragazzo tornando a fissarla dopo aver
rivolto uno sguardo disgustato al giovane sorridente.
“No,
non ti preoccupare.” rispose lei, con aria inespressiva: stava
ancora pensando a Lanél.
“Ehi!
Che succede?” disse Reciél, avvicinandosi ai due in
compagnia di Rin.
“Nulla”
esclamò la ragazza, sorridendo. Eppure non poté fare a
meno di notare che suo fratello stava continuando a guardare nella
direzione in cui quello sfacciato si era allontanato: che fosse
ancora teso per ciò che era successo il giorno precedente?
Quella mattina, dopotutto, avevano rivisto l'auto nera...
Era
una bellissima giornata, quella; il parco della scuola, con le sue
aiuole, le sue comode panchine e i suoi cancelli di ferro, era pieno
di allievi sognanti che pensavano alle meraviglie che il week-end
avrebbe portato; stavano seduti in compagnia ridendo, scherzando,
parlando di mare, montagna, cinema sotto gli sguardi dei professori,
che si scioglievano e tradivano una certa indulgenza per il sollievo
dovuto alla prospettiva di due giorni in tutta tranquillità,
senza svegliarsi presto per andare a spiegare nozioni noiose a
studenti spesso disinteressati. L'aria era piena di serenità,
ma, lungo il vialetto che portava al cancello, c'erano due fratelli
introversi, taciturni, che si guardavano attorno spiazzati,
spaventati, prudenti. Vicino a loro, i loro migliori amici non si
erano accorti di nulla. La loro paura era fondata?
“L'ora con il professore
madrelingua è strutturata, generalmente, in tre parti:
inizialmente vengono distribuite delle fotocopie con dei vocaboli
riguardanti particolari argomenti, come cucina, sport, dibattiti su
temi di attualità, degli esercizi sull'argomento stesso e,
infine, è richiesta la composizione di un testo, naturalmente
utilizzando il lessico appena visto. Per quanto riguarda le ore di
compresenza...”
Il ragazzo si appoggiò
allo stipite della porta dell'aula, osservando sua sorella affrontare
con aria diplomatica quelle madri assetate di informazioni
riguardanti la potenziale futura scuola dei loro figli. Sapeva
gestire bene la situazione, altre persone sarebbero state imbarazzate
ed impacciate nei suoi panni.
“E' brava, eh?” esclamò
una voce alle sue spalle.
Si voltò: di fronte a lui
c'era Reciél, con il suo solito sguardo indagatore.
“Già.” rispose lui,
tornando a guardare la sorella.
“Io
non riuscirei mai ad
essere così spigliata davanti a loro. Questi giorni di
accoglienza sono piuttosto imbarazzanti, no?” sospirò.
“Ultimamente si comporta in modo anche più serio del
solito.” continuò la ragazza, osservando l'amica con aria
pensierosa. “Non fa altro che riflettere. E anche tu.”
“Siamo fatti così”
rispose lui con un sorriso affezionato e rassegnato al tempo stesso.
Rimasero qualche minuto in
attesa, fino a che non videro la ragazza congedarsi dai suoi
ascoltatori con sorrisi di cortesia e strette di mano ed avviarsi
verso di loro.
“Ma quanto sei diplomatica!”
esclamò il fratello ridendo quando li raggiunse.
“Già, bravissima.”
aggiunse Reciél con un sorriso.
“Ah, piantatela di prendermi
in giro!” rispose lei, sorridendo e dando una pacca sulla spalla
del ragazzo.
“Che ne dite di andare fuori a
mangiare qualcosa?” chiese, rivolgendosi ad entrambi.
“Mi dispiace” rispose
l'amica, con aria mortificata “ma io devo assolutamente andare a
casa, mia madre ha invitato uno schieramento di zii e parenti vari, è
l'anniversario di matrimonio suo e di Papà. Ho fatto loro un
favore lasciandoli soli stamattina, ma farei loro un torto se
mancassi per pranzo.”
“Sarà per la prossima
volta... beh, che ne direste di avviarci verso l'ingresso?” propose
il ragazzo.
“Hai ragione. Che fine ha
fatto Rin?” domandò la sorella, guardandosi attorno alla
ricerca dell'amico.
“Dovrebbe essere già
giù.”
Percorsero il corridoio e
scesero velocemente le scale. L'atrio era molto ampio, con le pareti
gialle, e quel giorno c'erano diverse famiglie con ragazzi giovani e
spaesati. Davanti al portone, proprio di fronte a loro, c'era un
ragazzo alto e robusto.
Il gruppo, riunito, si avviò
lungo il vialetto, facendo attenzione ad evitare le pozzanghere,
dovute alla pioggia caduta durante la notte. Era una giornata
soleggiata, ed era quasi ora di pranzo.
“Era veramente tesissimo.”
concluse Rin, scrollando le spalle.
“Capita che tu metta
soggezione...” lo prese in giro il suo amico, scarmigliandogli i
capelli con un gesto affettuoso e sogghignando.
“E a te com'è andata?”
chiese il ragazzo rivolgendosi a Reciél, che camminava in coda
al gruppo con aria assente.
“Nulla di che.” rispose lei
“Ragazzi un po' spaventati, a dire la verità.”
“E' normale, in fondo, no?”
intervenne la sorella, ripensando alla prima volta in cui era entrata
in quell'edificio, terrorizzata all'idea di iniziare il liceo.
“Sapete una cosa? Credo che in
fondo la prossima sarà una buona annata, i ragazzi mi sembrano
simpatici, motivati, solo un po' troppo timidi...”
“Mi auguro
che non siano tutti pazzi come te, Rin.” replicò il ragazzo,
facendosi ironicamente serio.
Sua sorella rimase in disparte
con Reciél, seguendo silenziosamente i due amici che ridevano.
Erano un gruppo molto unito, loro quattro. Reciél era molto
riflessiva e disponibile, Rin divertente e spiritoso. Quanto a suo
fratello... era una della persone più importanti per lei. In
quel momento, si sentì serena...
le sembrava assurdo essersi preoccupata, pochi giorni prima, per una
stupida automobile posteggiata davanti ad un ristorante! Era stata
una sciocca pensandoci tanto su, rovinandosi la nottata. Pensò
a cosa avrebbe potuto fare durante il pomeriggio... Rimanere in casa
ad ascoltare la musica, oppure fare un giro in piazza, leggere o
cucinare con Norma, la donna delle pulizie...
Quando si fermarono davanti ad
un'edicola perché Reciél doveva comprare una rivista di
giardinaggio per la madre, si voltò ad osservare la scuola.
Aveva passato lì dentro anni, eppure non si era mai soffermata
a guardarla. L'edificio era circondato da aiuole e panchine su cui
gli studenti usavano sedersi per chiacchierare, leggere o lanciarsi
in un ultimo, disperato ripasso. Aveva passato tante ore lì,
con le gambe incrociate, parlando con suo fratello o con Reciél,
oppure ripetendo una lezione in vista della spietata interrogazione di
un professore assetato di voti...
Ricordava perfettamente il primo giorno in cui ci aveva messo piede:
era stato due anni e mezzo prima, in una mattina di novembre. Era
assieme a Cidonia e a suo fratello, quel giorno, e si sentiva
spaesata. Ricordava quella sensazione di disagio, di tensione, il
sentirsi spaesati, nel posto sbagliato, circondati da ragazzi alla
mano, rilassati e più grandi di lei. Il professor Fargon aveva
subito cercato di farla sentire a suo agio, ma sia lei che suo
fratello si erano sempre trovati imbarazzati di fronte a lui, di
fronte a quell'uomo vecchio ma giovanile, che cercava continuamente
di entrare in confidenza con loro. Eppure, rimaneva quella
sensazione, quel presentimento...
“Ehi là!”
Tutto il
gruppo si voltò: a una decina di metri da loro, un uomo
arzillo e dall'aria paciosa gli stava trotterellando incontro
sventolando una mano sopra la testa in segno di saluto.
“Professor Fargon!” esclamò
Reciél, sorridendo verso di lui, che li aveva finalmente
raggiunti.
“Ragazzi! Voglio farvi i miei
complimenti, ve la siete cavata benissimo con gli ospiti.” Il suo
viso si illuminò “Credo che l'anno prossimo verranno qui, ci
potrei scommettere!” Aggiunse, dando una pacca sulla spalla di Rin,
che barcollò.
“Oh, scusa...” disse,
mortificato. "Non tutti gli allievi sarebbero disposti a passare la domenica qui dentro... Beh, ragazzi, vi auguro una buona giornata. A
domani!”
“A domani!”
I due fratelli rimasero qualche
istante osservando Fargon mentre si allontanava, sordi ai commenti e
alle chiacchiere di Reciél e di Rin.
“Adesso devo andare anch'io, o
mia madre darà di matto... Ci vediamo domani!” esclamò
quest'ultimo, sventolando una mano in segno di saluto ed
allontanandosi.
I tre rimasero ancora qualche
minuto davanti all'edicola, aspettando che una signora finisse di
contare tutte le monete che le servivano per pagare il giornale;
ormai era quasi l'una, e i due gemelli sapevano di dover tornare a
casa, non volevano rientrare tardi. Chissà come mai, entrambi
avevano uno strano presentimento, come una sensazione di disagio...
“Grazie per avermi
riaccompagnata.” disse Reciél con un sorriso, in bilico sui
gradini che portavano sotto al tendone della gelateria di suo padre.
“Non c'è di che”
rispose il ragazzo con un sorriso. Sua sorella fece un cenno.
“E' stato divertente parlare
con quei ragazzi spaesati, vero?”
“Fa ricordare tante cose.”
intervenne lei, con un sorrisetto obliquo. Le era piaciuto potersi
vedere nei loro occhi frastornati. Era stato così all'inizio
della scuola, ma ora aveva l'impressione di trovarsi nella stessa
situazione. Di che cosa poteva trattarsi?
“Ti ricordi il primo giorno di
scuola?” chiese Reciél, invitandoli ad entrare e a prendere
un gelato.
“Come dimenticarlo.” disse
il ragazzo, avvicinandosi al bancone.
"La bidella aveva già quell'espressione arcigna, era odiosa! Ricordate che puzza quel detersivo?"
"Certo! Sono rotolato giù per le scale dell'atrio, per colpa di quel detersivo!"
“Ehi, Papà!” chiamò
la padrona di casa sporgendosi in una stanza attigua. “Papà,
ci sei?”
Un muggito proveniente dalla
stanza indicò la presenza del gelataio, che entrò
qualche istante dopo. Era un simpatico ometto paffuto, piuttosto
basso, con grandi occhiali. Era un appassionato di opera lirica, come
testimoniava l'amami Alfredo proveniente
da una cassa dietro.
“Ah, buongiorno, ragazzi!”
esclamò, avvicinandosi e sorridendogli cordialmente. “Volete
un gelato?”
“No, grazie, siamo venuti solo
per accompagnare sua figlia” rispose il ragazzo, sorridendo a sua
volta.
“D'accordo. Réciel, fra poco devi essere pronta.”
"Che cosa?"
"Si va al ristorante, non te l'ho detto?"
"Ehm..." borbottò lei, presa alla sprovvista. "Va bene, fra poco vado a cambiarmi."
"Io ho ancora del gelato in preparazione di là. Scusate, ma devo andare..."
Si congedò dai ragazzi e
uscì dalla stanza.
“Il giorno del suo
Anniversario prepara del gelato?” chiese la ragazza, sorpresa. “E
tutti i tuoi parenti?”
“Lo starà preparando apposta per
loro.” rispose Reciél con aria esasperata. “Coglie ogni
occasione per vantarsi del suo gelato.”
I due fratelli sorrisero
divertiti. In qualunque circostanza, Rin o Reciél erano in
grado di farli ridere.
“Sentite...” iniziò
Reciél, facendosi seria. Sembrava imbarazzata. “Che ne
direste, a Pasqua, di venire al lago con me? So che i vostri genitori
devono rimanere, ma...”
La ragazza alzò lo
sguardo.
“Beh, abbiamo una casetta, ci
farebbe piacere avervi con noi.”
I gemelli la guardarono. Reciél,
in genere, era sempre stata molto restia ad invitarli con lei perché
temeva che loro, di famiglia così benestante, potessero non
apprezzare; era strano e piacevole che, ora, si fosse decisa ad inventarsi
qualcosa. Sembrava imbarazzata, in effetti.
“Ci farebbe molto piacere.”
intervenne la ragazza, distogliendo l'amica dallo stato di tensione
in cui si trovava.
“Davvero?!” soggiunse lei,
sorpresa e sbalordita. “Ecco... wow, eh... Bene...”
Reciél era una ragazza
con troppo poca fiducia in sé stessa. Era un po' deludente
vedere come, dopo anni di amicizia, temesse ancora il confronto con
loro... Era un po' impacciata ed insicura, ma molto intelligente,
eppure non voleva capire che l'amicizia non si basa sulla
perfezione...
Si salutarono, e i due gemelli
si avviarono verso casa, sereni. Era una bellissima giornata: il sole
splendeva alto e i fili d'erba erano ancora impregnati di rugiada,
nonostante fosse già quasi mezzogiorno. Ma ciò che li
rendeva veramente felici era l'idea di passare le vacanze sul lago
assieme a Reciél.
L'aria era fresca, c'era odore
di erba appena tagliata, vicino al parco della scuola. C'erano poche
persone in giro, la maggior parte della gente era rimasta a casa, a
pranzare con i propri familiari. Un ragazzo e una ragazza molto
somiglianti camminavano lungo il marciapiede, spensierati, sereni,
pensando con eccitazione alle prossime vacanze, quando sarebbero
andati al lago in compagnia. Non si accorsero dell'auto nera
posteggiata dall'altra parte della strada...
E te pareva! Alla fine di un capitolo relativamente sereno, devo rabbuiare il tutto con l'immagine dell'auto!
Salve
a tutti! Ecco il nuovo capitolo, spero che lo apprezziate. State
attenti, perché fra poco accadrà qualcosa che
sconvolgerà la vita dei
protagonisti (come, immagino, saprete tutti, anche giudicando dalle recensioni).
Ed ora i ringraziamenti:
Selhin:
Scusa, ho dimenticato di ringraziarti per aver aggiunto questa storia
ai tuoi preferiti. Beh... GRAZIE MILLE! Mi fa veramente piacere sapere
che ti è piaciuta così tanto, e spero che i prossimi
capitoli non siano da meno.
LadyGaunt:
Il tuo intuito, naturalmente, non ti inganna: fra poco la
tranquillità dei due gemelli verrà stravolta...
Cercherò di aggiornare il prima possibile, ti ringrazio per aver
letto e recensito!
Juu_Nana: Hai ragione,
C 17 è molto ingenuo, in questo caso: Red Ribbon = guai!!!
Grazie mille, sei la mia lettrice più affezionata, mi rendi
molto felice! Il fatto si verificherà fra poco... mi raccomando,
continua a seguirmi! Ciao e grazie!
|
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Capitolo 5 *** L'Agguato ***
L'agguato
L'AGGUATO
La
ragazza scese lentamente le scale, sollevando la sua pesante borsa.
Erano in anticipo, quel giorno. Suo fratello le si avvicinò
con passo lento. Indossava dei jeans piuttosto larghi, delle scarpe
da tennis, una maglietta nera e bianca e portava una bandana rossa
attorno al collo. Aveva i capelli sciolti, e portava
degli orecchini d'oro a forma di anelli.
“Sei pronta?” le chiese,
prendendo a sua volta il proprio zaino e mettendoselo sulle spalle.
Alzò lo sguardo: la ragazza indossava un gilè di jeans,
come la gonna, che le arrivava più o meno fino al ginocchio.
Portava degli stivali di pelle, dei collant neri ed una maglietta
nera con le maniche a righe bianche. Anche lei aveva i capelli
sciolti e degli orecchini identici a quelli del fratello. Si
somigliavano molto, avevano la stessa identica espressione:
introversa, che non tradiva alcun sentimento.
Brian., di fronte a loro, aprì
la porta e gli sorrise. “Io vado, a dopo!” esclamò
gettandosi fuori e lanciando un bacio alla figlia.
Cidonia entrò in ingresso
dalla porta della cucina.
“Allora ragazzi, buona
giornata!”
Dietro di lei, c'era una donnina
minuta, più o meno della sua stessa età. Norma fece
loro un cenno con la mano.
“Ci vediamo dopo, Mamma.”
esclamò il ragazzo, assestandosi lo zaino sulle spalle. Mosse
qualche passo verso di lei, le posò delicatamente una mano
sulla spalla e le diede un bacio sulla guancia, che lei ricambiò.
“A questo pomeriggio.” disse
la sorella, avvicinandosi e baciandola a sua volta.
Si sentì un telefono
squillare al piano di sopra.
“Oh... ho lasciato il
cellulare acceso. “esclamò Cidonia, salendo i primi gradini
della rampa di scale. “A dopo, ragazzi” aggiunse, voltandosi a
guardarli. Loro ricambiarono il saluto ed uscirono dalla porta
d'ingresso, abbagliati dalla luce.
Si avviarono lungo il
marciapiede con passo lento, dato che erano largamente in anticipo.
Avevano passato la serata precedente pensando al lago, alla
meravigliosa vacanza che gli si prospettava davanti, in compagnia di
Reciél e, forse, anche di Rin.
“Sarà divertente.”
esclamò all'improvviso il ragazzo, sorprendendo la sorella.
Non aveva specificato di cosa stava parlando, ma lei capì
subito.
“Già.”
Si voltarono verso la casa: era
molto bella, candida come la neve, con il suo giardino fiorito,
curato, il dondolo lì in fondo. Qualcosa si mosse, dietro una
finestra del secondo piano: Cidonia stava facendo loro dei cenni di
saluto. Risposero con entusiasmo, sorridendo spensierati.
Ripresero a camminare lungo il
marciapiede, sentendo sulla nuca lo sguardo della madre fino a che
non svoltarono a sinistra, nel primo vicolo, pieno di luce.
“Stasera abbiamo ospiti,
vero?” chiese il ragazzo, voltandosi verso la sorella.
“Sì, vengono lo zio Lex
e zia Lila.” rispose lei, pensando: non avevano cugini, quella
sarebbe stata una novità. Le sarebbe piaciuto vedere com'era
curare un bambino...
“Oggi vedi di uscire in
fretta, perché abbiamo gli allenamenti!” le raccomandò
il fratello.
“Lo so, non ti preoccupare.”
lo rassicurò lei, accelerando il passo.
Arrivarono alla piazza con i
portici e la attraversarono continuando a chiacchierare.
“Senti...” iniziò la
ragazza, a metà del tragitto. “Tu hai più pensato a
quella storia?” Sapeva di non dover specificare di che cosa si
trattasse, e infatti suo fratello capì al volo. Si fece
improvvisamente serio e iniziò a fissare l'asfalto sotto ai
suoi piedi.
“Sì, ci ho pensato.”
ammise riprendendo a sorridere, un sorriso senza gioia, quasi
rammaricato. “Cerca di non preoccuparti, capito?” disse
manifestando sicurezza e quasi serenità mentre entravano nel
vicolo buio. “Sono sicuro che si è trattato semplicemente
di...”
Inizialmente sua sorella non
capì come mai avesse smesso di parlare. Rimase a fissarlo per
qualche istante: il suo sguardo si era puntato su qualcosa di fronte
a loro, la sua espressione si era incuriosita. La ragazza si voltò
in quella direzione: proprio in mezzo al vicolo, fra i bidoni
dell'immondizia, c'era un vecchio; aveva lunghi capelli bianchi e dei
grossi baffi scoloriti. La sua pelle era abbronzata, incartapecorita,
scottata come se fosse stata esposta troppo a lungo a un calore
troppo intenso. I suoi occhi, del colore del ghiaccio, erano astuti,
svegli, analitici, determinati, puntati sui due ragazzi, immobili fra
i bidoni, nel buio. Il vecchio era vestito con abiti molto
particolari, con colori caldi, stranamente in contrasto con la
freddezza degli occhi e dello sguardo; portava un cappello marrone
scuro, una camicia gialla dalle maniche larghe e un gilè nero.
Aveva pantaloni marroni, larghi fino al ginocchio e poi estremamente
stretti attorno alla gamba ossuta. Il suo sguardo, nel fissare i due
gemelli, era compiaciuto e determinato. In qualche modo, doveva aver
qualche compito e sapere esattamente come svolgerlo. O, perlomeno,
questa è l'impressione che diede alla ragazza, che rimase a
fissarlo con aria inespressiva, cercando di evitare di tradire
emozioni. Rimase qualche passo indietro rispetto al fratello, che
aveva ripreso a camminare con sicurezza. Il vecchio lo stava
guardando con un'espressione ambigua sul volto: indifferenza,
compiacimento oppure sfida?
“Mi scusi, potrebbe farci
passare?” chiese il ragazzo.
“Temo di no.” replicò
il vecchio; un lieve sorriso increspò le sue labbra, un
sorriso che non esprimeva gioia, ma realizzazione. La sua voce era
mellifua e roca al tempo stesso.
Il ragazzo inarcò le
sopracciglia cercando di rimanere impassibile, ma alla sorella, che
lo conosceva bene, parve di scorgere una nota di tensione nella sua
espressione.
Il sorriso del vecchio si fece
sempre più largo e diabolico, compiaciuto ed eccitato. La
ragazza rimase immobile dov'era, a fissarlo con aria spaventata. Suo
fratello indietreggiò, la prese per mano e la trascinò
con sé nella direzione opposta continuando a fissare, voltato,
l'uomo con i capelli bianchi, che non mosse un solo passo, ma il cui
sorriso stava diventando mano a mano più inquietante.
“Fratellino!” La voce della
sorella rimbombò nel vicolo. Si voltò: davanti a lui
c'erano tre persone. Uno di loro era molto piccolo, con la pelle di
uno strano colore, quasi viola. A fianco a lui c'era un uomo
colossale, altissimo e molto muscoloso. Aveva una lunga treccia di
capelli neri e una carnagione grigiastra, pallida e malsana. Infine,
c'era un uomo alto, con lunghi e lisci capelli brizzolati, aria
sicura di sé, occhi proprio come quelli del vecchio, proprio
come quelli dei due fratelli. La ragazza sussultò: aveva già
visto quell'uomo seduto in un'auto nera dai vetri oscurati, davanti
ad un ristorante, pochi giorni prima... Abbassò lo sguardo sul
suo petto: c'era quello strano simbolo, quella specie di fiocco
schematizzato, colorato di rosso, con all'interno due R bianche.
Una risata roca risuonò
alle loro spalle, ed i gemelli si voltarono: il vecchio sembrava
divertito. In quel momento, la sorella si rese conto che sul cappello
portava lo stesso simbolo.
“Non ci siamo ancora
presentati.” disse, cessando finalmente di ridere ma continuando a
mantenere la sua espressione compiaciuta. “Io so chi siete voi, ma
voi non sapete chi sono io.”
Il ragazzo gli lanciò
un'occhiata di puro disgusto, stringendo sempre più forte la
mano della sorella e continuando a lanciare occhiate ai tre colossi
che c'erano alle loro spalle. La ragazza, invece, rimase a fissare
questi ultimi: lei e suo fratello arrivavano a malapena al torace dei
due più alti. I loro sguardi erano puntati sui gemelli, in
trappola.
“Io sono il dr. Gelo.”
riprese il vecchio, senza muovere un passo. “Dell'Esercito del
Fiocco Rosso.” continuò, premendosi un dito sul cappello,
proprio sopra il simbolo rosso. “Mi servite per compiere una
vendetta, a dire il vero. Ho dei progetti da portare a termine... e
voi siete indispensabili. Vedete quelli? Sono androidi, o, meglio,
cyborg da combattimento.” fece una pausa, durante la quale il
ragazzo sembrò capire qualcosa; spalancò gli occhi,
terrorizzato. “Ecco perché ho bisogno di voi.”
La ragazza si voltò e
vide che suo fratello stava sudando. Tornò a fissare i tre
colossi, terrorizzata.
“C 13, C 14, C 15! Procedete!”
ordinò il vecchio, rivolgendosi ai tre uomini.
Il ragazzo si girò di
scatto e strinse con entrambe le mani il braccio della sorella.
“Vieni!” le urlò, ed
iniziò a correre verso il vecchio trascinandosela dietro. La
ragazza cercò di seguirlo, ma si sentì afferrare il
braccio destro con forza. Urlò per il dolore. Suo fratello,
che non le aveva lasciato la mano, si voltò di nuovo, e tirò
un pugno all'androide che l'aveva bloccata, C 14, quello più
grosso, con la treccia nera. Il colpo non andò a segno: la
mano dell'aggressore era scattata ad una velocità
impressionante bloccando la sua. Iniziò a stringere il pugno
del ragazzo con forza, una forza che lui non avrebbe mai creduto che
un uomo normale potesse possedere. Urlò. La ragazza,
accasciata a terra, liberata dalla stretta del cyborg, sentì
delle lacrime calde scorrerle lungo le guance. Si alzò in
piedi, di fronte all'aggressore, che stava stritolando la mano del
fratello, e lo colpì con una mossa appresa anni prima, una
mossa di arti marziali eseguita alla perfezione, nonostante il dolore
incessante al braccio destro. Non sortì alcun effetto: nel
colpirlo, la ragazza si fece male, come se avesse dato un pugno ad
una parete di ferro. L'androide non si accorse nemmeno del colpo, ma
voltò la testa verso di lei, con uno sguardo freddo,
inespressivo. Cosa voleva dire il vecchio? “Androidi, cyborg da
combattimento”... “Ecco perché ho bisogno di voi”...
All'improvviso, la ragazza fu
investita da una tremenda verità, una consapevolezza
pericolosa e terribile: il dr. Gelo voleva fare di loro esseri simili
a quelli che stavano affrontando.
Il ragazzo urlò di nuovo.
Piegò le gambe, prese la spinta e, sempre con la mano
bloccata, fece un salto che gli permise di tirare un calcio sul collo
del suo aggressore, che rimase impassibile ma lasciò andare la
presa. Si posizionò vicino alla sorella, che si stava
massaggiando il braccio dolorante. Lui aveva terribili fitte di
dolore alla mano a causa della pressione appena subita, ma decise che
non era il momento di pensarci: dovevano aprirsi una via di fuga fra
quei tre oppure scavalcare il vecchio, che aveva l'aria molto meno
minacciosa.
Fece per voltarsi, ma
all'improvviso sentì un dolore acuto all'altezza del mento, si
sentì sollevare da terra dalla forza dell'impatto del colpo e
scagliare contro una parete. Alcuni mattoni caddero alle sue spalle.
Sentì il sapore amaro del sangue in bocca. Aprì
lentamente gli occhi, in preda a delle fitte alla schiena, che era
stata sbattuta con forza contro la parete, e vide il più
piccolo dei tre androidi colpire la sorella al ventre e buttarla a
terra. Non riuscì a sopportare quella vista. Con un appello
alle sue ultime forze, si alzò in piedi e si scagliò
contro di lui, deciso a fargli più male possibile, ma avvertì
una presa di ferro sulla nuca e si sentì sollevare; dietro di
sé riuscì a scorgere l'ultimo dei tre androidi, C 13,
quello con i capelli brizzolati. Pochi istanti dopo si ritrovò
nel punto in cui era caduto prima, ma con nuovi lividi, nuove ferite,
nuovi dolori. Questa volta si alzò subito, non trovò
ostacoli e si scagliò sull'androide più piccolo, C 15,
tirandogli una gomitata sul collo. Il cyborg rimase impassibile, come
se non si fosse nemmeno accorto del colpo infertogli. La ragazza,
stesa ai suoi piedi, dolorante, si alzò e colpì a sua
volta, senza sortire alcun effetto. C 15 alzò lo sguardo su di
lei, senza cambiare espressione. Debole, dolorante e spaventata, la
ragazza lo attaccò nuovamente con un calcio ma il risultato fu
lo stesso: non accadde nulla. Suo fratello cercò di darle
manforte colpendolo a sua volta, ma non riuscì a cambiare la
situazione. Si lanciò contro di lui con tutta la sua forza,
incapace di sopportare la vista della sorella dolorante, sfinita,
terrorizzata, ma il colpo non gli aveva causato che altro dolore al
braccio. Stava sudando freddo, si sentiva esausto, stremato dalla
forza dei colpi incassati. Sua sorella era caduta di nuovo, si era
bucata le calze ed ora si vedevano i numerosi lividi e tagli dovuti
alla colluttazione con quei tre farabutti. Aveva l'aria esausta,
veramente distrutta, disperata e, peggio, rassegnata. Si slanciò
verso di lei per sorreggerla, per darle forza, per darle speranza.
Non riuscì mai a raggiungerla: si senti afferrare per le
spalle, sbatté la testa contro qualcosa di molto duro e si
ritrovò steso a terra, in mezzo ai bidoni. La vista gli si
stava lentamente offuscando, stava perdendo conoscenza. Si voltò:
l'ultima cosa che vide furono gli occhi azzurri di sua sorella
lacrimanti, disperati, puntati su di lui, sul fratello sanguinante
che aveva passato la vita proteggendola, pensando a lei. Il turchese
divenne grigio, il grigio nero. La testa del ragazzo ricadde sulla
sua spalla, inerte.
La ragazza urlò. Alzò
lo sguardo su C 13, che aveva colpito il fratello, uno sguardo carico
di odio, di disprezzo allo stato puro, di disperazione. Si alzò
da terra, tremante, con le odiose risate del vecchio nelle orecchie.
Strinse la mano a pugno e, stremata, lo indirizzò verso
l'androide, che la bloccò con facilità. Rimasero a
fissarsi qualche istante, lei infuriata, sfinita, lui spavaldo, quasi
divertito. La ragazza continuò a guardarlo, sperando che si
trattasse solo di un brutto sogno, di un incubo da cui si sarebbe
presto svegliata. Fu bruscamente riportata alla realtà: C 13
la colpì al ventre con una ginocchiata, mandandola dall'altra
parte del vicolo. Un dolore atroce. Sentì la stoffa sulla
schiena del gilè lacerarsi e la pelle direttamente a contatto
con il muro di mattoni rossi, che le graffiarono al pelle. Stava
tremando. Sentiva un freddo terribile. Gelo. Nessuno li avrebbe
aiutati, nessuno. Guardò oltre gli androidi, verso suo
fratello, che aveva perso conoscenza, steso in messo ai bidoni
dell'immondizia. Il dr. Gelo stava ancora ridendo, sguaiatamente,
senza nessun ritegno, era divertito. Nessuno li avrebbe aiutati. A
cosa sarebbe servito resistere? Il dolore la pervase lentamente, fu
quasi un sollievo. Gemette, chiuse gli occhi e si accasciò,
priva di sensi.
Eccomi!
Finalmente sono tornata! Scusate per il mio TREMENDO ritardo, ma
diciamo che ho avuto un po' di cose da fare (chi ha letto "Una Madre"
può averne un'idea).
Comunque... ECCO UN ALTRO CAPITOLO!!!
La
situazione degenera, eh? I due fratelli sono caduti nelle mani del
dottor Gelo. Per chi non lo sapesse, i tre androidi che prendono parte
alla trappola sono quelli dell'OAV "I Tre Super Saiyan", che combattono
contro Goku, Vegeta e Trunks.
Mi auguro di essere riuscita a esprimere al meglio la paura e la
disperazione dei nostri due protagonisti, almeno potrò dire che
ci ho provato...
Ringrazio le mie fedelissime lettrici
- Juu_Nana: la
tua recensione mi ha resa molto felice, perché significa che ho
raggiunto il mio scopo, volevo creare un'atmosfera tesa ed ansiosa.
Quanto alla descrizione del periodo di"detenzione"... a dire la
verità, mi sono già portata avanti con la parte
successiva alla trasformazione in cyborg, ma, in effetti, la storia
sarebbe molto più interessante con la descrizione della loro
prigionia, quindi... diciamo che ci sto lavorando. Scusa se non ci sono
mai su MSN, ma è un periodo veramente pieno e non ho molto tempo
libero. Adesso spero di riuscire ad aggiornare più spesso e,
naturalmente, a recensire "Cuore di Metallo"! Un bacione, spero di
risentirti al prossimo capitolo, Ciao!
-
Selhin: ti ringrazio per aver recensito anche l'ultimo capitolo, fa
molto piacere vedere che il proprio lavoro viene apprezzato! Come vedi,
la stuazione ha subito una svolta drammatica, anche se, giustamente,
prevedibile. Mi raccomando, recensisci ancora, ci tengo molto a
conoscere la tua opinione!
Un grazie, naturalmente, anche a chi legge senza recensire!
Paola
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