La fioritura dei cuori innamorati

di Saerith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno ***
Capitolo 2: *** Una buona notizia ***
Capitolo 3: *** Il litigio ***
Capitolo 4: *** Cuori distanti ***
Capitolo 5: *** Elena e Taro ***
Capitolo 6: *** Ricominciare da capo ***
Capitolo 7: *** Riuniti ***
Capitolo 8: *** La scelta ***
Capitolo 9: *** Improvviso avvicinamento ***
Capitolo 10: *** La festa da Misaki ***
Capitolo 11: *** Finalmente noi ***
Capitolo 12: *** Bruciante verità ***
Capitolo 13: *** La crisi di Elena ***
Capitolo 14: *** Sapore amaro ***
Capitolo 15: *** In frantumi ***
Capitolo 16: *** Fiori di primavera ***
Capitolo 17: *** Thunder Strike ***
Capitolo 18: *** Il sogno nella cascata ***
Capitolo 19: *** Punto di rottura ***
Capitolo 20: *** Prendi la mia mano ***
Capitolo 21: *** Sogno a metà ***
Capitolo 22: *** L'ultima speranza ***
Capitolo 23: *** Realizzazione ***
Capitolo 24: *** Rivelazione ***
Capitolo 25: *** Un grido dal cuore ***
Capitolo 26: *** La vittoria più bella ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il ritorno ***


La fioritura dei cuori innamorati

Capitolo 1

Il ritorno

La strada, colpita dal sole di mezzogiorno, sembrava ancora più deserta. Le serrande dei negozi si abbassavano piano, piano, quasi ad annunciare l’ora di pranzo. La via desolata si perdeva a vista d’occhio; passando al fianco dei cancelletti si poteva sentire il profumo dei piatti deliziosi che sarebbero stati serviti a pranzo. L’odore del curry riportò Kasumi con il pensiero alla Cina: nove anni erano trascorsi, durante i quali aveva imparato a convivere con la nostalgia della sua famiglia. Ora era tornata, anche se la casa non era più la stessa; sentiva le voci gaie dei fratelli minori, ma sopra tutte dominava quella di suo fratello Kojiro.

Ritornare, riabbracciare i suoi cari, fare di nuovo parte della famiglia, Kasumi non riuscì a trattenere le lacrime, quando vide sua madre piangere per la gioia di poter riprendere con sé quella figlia che aveva dovuto allontanare, per necessità, dopo la morte prematura del signor Hiyuga. Kojiro non pianse, ma nei suoi occhi poteva ancora leggersi la traccia di tutte le lacrime che aveva versato alla separazione dalla propria gemella. In quegli anni, avevano vissuto distanti, ma vicini nel cuore, segnati entrambi da una forzata maturazione precoce.

Quando il padre morì, il loro mondo venne ribaltato: il trasferimento in una casa vecchia e povera, le rinunce ai loro progetti futuri e infine la separazione. In quegli anni la vita li aveva sottoposti a dure prove che entrambi avevano sopportato con pazienza. Kasumi era stata mandata in Cina da una parente del padre che si era trasferita sul continente dopo aver sposato un militare in congedo con il quale aveva aperto un piccolo ristorante. Kojiro si era ritrovato a soli 8 anni a dover ricoprire il ruolo di capo famiglia, ad aiutare la madre ad accudire i fratelli minori, studiare e lavorare per riuscire a tirare avanti. Nonostante la situazione non fosse facile, Kojiro non aveva rinunciato totalmente ai suoi sogni ed aveva continuato a lottare per la passione della sua vita: il gioco del calcio.

Le poche cose che Kasumi possedeva arrivarono dalla Cina il giorno dopo. La madre aveva deciso che la ragazza dovesse andare subito ad iscriversi a scuola.

-Andrai alla Toho con tuo fratello- stabilì subito la madre.

I due gemelli si guardarono stupefatti.

- Mamma, ma non possiamo permettercelo. La rata è troppo alta!- sentenziò la ragazza interpretando ad alta voce gli stessi pensieri del fratello.

- Non vi preoccupate figli miei. Da quando Kojiro può usufruire della borsa di studio, sono riuscita a mettere da parte dei soldi ed inoltre il signor Mitsui mi ha concesso un aumento di stipendio e comunque vostro fratello Takeru ha trovato un lavoretto part-time…-

-Non se ne parla!- tuonò Kojiro che fino ad allora aveva ascoltato in silenzio le ragioni della madre.

- Non permetterò che mio fratello debba fare la stessa vita che ho fatto io.- sentenziò innervosito.

Kasumi cercò di calmare la situazione, ma palesò alla madre che anche lei era d’accordo con Kojiro.

La madre sospirò guardando i figli con affetto e ammirazione.

- No figli miei. Vi ho chiesto anche troppo in questi anni, vi ho separato…-

- Non avevi scelta mamma!- la interruppe Kasumi

- Lo so, ma per quanto fosse stata una scelta dura non me la perdonerò mai. Ed è per questo che ora non voglio che tu e tuo fratello andiate in due scuole separate, oltretutto qui non conosci nessuno tesoro, sarebbe tutto più facile se almeno foste insieme, mi sentirei più tranquilla.-

Kasumi si inginocchiò di fronte alla madre e le prese le mani.

- Se è per farti stare serena, allora accetto.- disse guardando la madre con dolcezza, ma anche con velato rammarico. La ricordava come una donna bellissima, ma gli anni, la sofferenza e la stanchezza avevano segnato quel piccolo viso che Kasumi ricordava come quello di un angelo. Kojiro si arrese, convenendo infine con la madre che fosse la scelta migliore.

La Toho era una buona scuola e per un anno poteva essere il luogo ideale per prendere il diploma, inoltre aveva saputo che la squadra di suo fratello non aveva manager che si occupassero del lato pratico e il mister e il preparatore atletico non riuscivano a gestire tutto da soli. Kasumi, che era molto sveglia e capace, fu proposta immediatamente da suo fratello per quella posizione.

Non passò molto tempo che i giocatori si erano affezionati molto a quella ragazza. Kasumi era molto somigliante a Kojiro: stessi occhi neri, stessi capelli corvini lisci e setosi,che portava poco più lunghi delle spalle, stessa pelle olivastra; ma a contraddistinguerla dal fratello era il carattere molto meno aggressivo.

Kasumi era molto solare e piaceva a tutti, tranne che ad una persona. La poverina imparò presto a sue spese che era molto difficile, se non impossibile fare amicizia con Wakashimazu, il primo portiere della squadra. Kasumi aveva tentato in ogni modo un approccio amichevole con lui, soprattutto perché era il miglior amico di suo fratello, ma lui continuava ad essere indisponente, a rispondere a monosillabi e starle alla larga il più possibile. Neanche lui sapeva perché si comportasse a quel modo, la ragazza lo irritava suo malgrado eppure non era una persona insopportabile.

Perché solo lui aveva così difficoltà a fare amicizia con la sorella del suo migliore amico?

Ho iniziato a scrivere questa fanfiction quando avevo 13 anni, perciò posso dire che è cresciuta con me. Il personaggio di Kasumi è frutto di un gioco infantile tra me e la mia migliore amica e quindi devo soprattutto a lei che mi ha ispirata e incitata a scrivere.

Mi raccomando aspetto i vostri commenti e anche le critiche, soprattutto se costruttive: adoro scrivere e spero di arrivare a farlo nel miglior modo possibile. Spero che la fic sia di vostro gradimento. Un bacione a tutte/i!

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Capitolo 2
*** Una buona notizia ***


Capitolo 2

Una buona notizia

Impegnarsi a tempo pieno sia nello studio, sia nello sport non era facile per nessuno, tantomeno lo era per Matsuyama, che si divedeva tra allenamenti massacranti sulle nevi di Sapporo e gli studi che aumentavano all’incombere dell’esame di fine anno. La situazione era divenuta più stressante negli ultimi tempi, perché da tempo non la sentiva e stava iniziando a preoccuparsi.

Arrivò al suo monolocale dove viveva da pochi mesi per esigenze di indipendenza, frugò nervosamente nelle tasche per trovare la chiave e alla fine entrò. Lanciò la sciarpa e la giacca distrattamente sul letto e si diresse verso il computer. Attese trepidante che il sistema operativo completasse il caricamento, poi selezionò veloce l’icona del programma di posta elettronica. Sbuffò perché il PC ci metteva troppo secondo i ritmi del suo cuore che batteva forte nella speranza di veder apparire ciò che attendeva. Un accumulo di spam che rallentava le operazioni, e-mail della squadra…ma quanto ci metteva! Diede una scrollata al monitor, ormai incapace di controllarsi.

Quando stava per perdere le speranze comparve nella lunga lista il nome da cui aspettava notizie da giorni: Yoshiko. Con la mano che tremava posizionò la freccia del mouse su quel nome e attese che l’e-mail si aprisse:

“Ciao amore mio,

come stai? Scusami se non ti ho scritto, ma sono stata sommersa dagli impegni.

Spero che il campionato stia procedendo bene e che tu non ti sia fatto male (dato che riesci sempre a cadere almeno una ventina di volte ad allenamento ;oP).

Sorrise, ricordando come gli avesse detto esattamente la stessa cosa quando all’aeroporto gli stava medicando il ginocchio sbucciatosi in seguito ad una caduta. Nel momento più bello e più triste della loro storia.

Io sto cercando di adattarmi a questo soggiorno “forzato” negli States, ma è così difficile. So che sono nata qui ed in fondo è come se fossi tornata a casa, ma questo per me è diventato un luogo odiato, un luogo che mi porta via dalle persone che amo.

E’ successo 10 anni fa con Yayoi e Sanae, è risuccesso 3 anni fa con te. Non pensavo si potesse stare così male. Mi mancate tutti quanti, ma soprattutto mi manchi tu, capitano.

Sai alle volte chiedo a me stessa cosa mi manchi di più di te e non so darmi risposta, forse tutto o forse la tristezza di non sapere cosa ho perso allontanandomi da te.

Una fitta allo stomaco iniziò a pungerlo violentemente. Era vero, nessuno dei due sapeva bene cosa avessero perso separandosi, non avevano avuto un legame vero e proprio, perché l’imbarazzo aveva impedito ad entrambi di confessare l’affetto reciproco ed erano poco più di due bambini quando all’aeroporto si erano scambiati l’innocente promessa di aspettare il giorno in cui sarebbero tornati insieme.

Sai Hikaru, anche se sono passati tre anni, sento che niente è cambiato e credo che quando finalmente potremo vederci ed esprimere in modo totale i nostri sentimenti, tutta l’amarezza che ho vissuto in questi giorni sembrerà solo un tiepido ricordo.

Hikaru arrossì, nonostante fosse un bel giovanotto prestante era ancora molto inesperto nell’arte amorosa. Aveva scoperto i suoi sentimenti per Yoshiko a 15 anni e da quando si era dichiarato il suo cuore era tutto per lei, quindi si ritrovava ora a 18 anni, impegnato, ma senza neanche aver mai vissuto veramente l’amore. “Esprimere in modo totale i nostri sentimenti”…Yoshiko era diventata bellissima, aveva una sua foto con un leggero vestitino estivo azzurro che faceva trasparire le forme perfette del corpo proprio sul desktop del PC e per un momento si ritrovò a fantasticare su come sarebbe stato esprimere il loro amore a livello fisico. Si riscosse subito da quei pensieri “impuri” e proseguì con la lettura.

L’unica speranza che coltivo nel cuore è che tu non ti sia stancato di attendere il mio ritorno.

Se senti che i tuoi sentimenti sono cambiati, saprò capirti, del resto non ho mai osato chiedere che tu avessi tutta questa pazienza.

Vorrei che tu pensassi bene a queste mie parole, per me è estremamente importante, soprattutto perché sto per tornare.

Rilesse l’ultima frase almeno una decina di volte per essere realmente sicuro che fosse la verità. Lei temeva che lui si fosse stancato di aspettare? L’aveva aspettata per tre lunghi anni, avrebbe aspettato ancora, voleva stare con lei, poterle dare l’amore che scioccamente aveva tenuto nascosto nel suo cuore, a costo di doverla andare a prendere di peso e riportarla con lui in Giappone. Si erano visti durante il torneo negli Stati Uniti, ma gli impegni con la squadra e gli spostamenti tra una città e l’altra avevano limitato il loro incontro ad un solo pomeriggio. Almeno avevano potuto passare alcuni momenti insieme come due veri fidanzati, anche se in quel frangente Hikaru peccò nuovamente di timidezza e rese un completo disastro il loro primo e unico appuntamento. Non avrebbe perso l’occasione di rimediare, con il ritorno di Yoshiko finalmente avrebbe potuto vivere in modo totale quel tenero amore mai espresso.

Tornerò a Sapporo il 20 gennaio con il volo delle 15.45. Se non ti vedrò saprò capire.

Per ora ti saluto, non vedo l’ora ( e spero) di rivederti

Yoshiko

Hikaru rilesse ancora una volta tutta la lettera, poi iniziò a comporre la risposta. Le inviò poche e semplici parole, ma ricche di significato.

Vola da me angelo mio, il tuo principe ti aspetta da troppo tempo.

Con amore

Tuo per sempre

Hikaru

Si passò una mano fredda sul volto in fiamme. A scrivere era sempre così coraggioso, invece quando si trattava di dimostrare il suo amore alla ragazza del suo cuore diventava un imbranato colossale, ma si promise che da quel momento Yoshiko avrebbe avuto tutto ciò che meritava.

Ecco a voi il secondo capitolo, spero vi piaccia. Ringrazio molto Prue786 per aver recensito il primo capitolo. Un bacione a tutti!

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Capitolo 3
*** Il litigio ***


Capitolo 3

Il litigio

Kasumi stava cercando di inserirsi meglio che poteva nella nuova scuola, le compagne di classe si erano dimostrate gentili e cortesi fin da subito con lei e l’avevano aiutata a mettersi in pari con il resto della classe per prepararsi agli esami. Della squadra erano in classe con lei, ovviamente, suo fratello Kojiro, Sorimachi e per sua sfortuna anche Wakashimazu. Quando scoprì di essere stata iscritta nella stessa classe, Kasumi pensò che forse poteva trarre vantaggio dalla situazione: magari stando più a contatto, il bel portiere della Toho avrebbe imparato ad accettare la sua presenza.

Wakashimazu sapeva che sarebbe stato inevitabile averla tra i piedi, ma nonostante tutto non riuscì a digerire la scelta del capo insegnanti del terzo anno di inserire Kasumi nella sua stessa classe, poiché significava doverla vedere quasi tutto il giorno. Ken dovette ammettere con se stesso di essere diventato un po’ misogino, soprattutto a causa delle oche starnazzanti che ad ogni partita lo imbarazzavano con complimenti fin troppo audaci, che scatenavano l’ilarità dei suoi compagni di squadra. Se avesse potuto decidere lui, avrebbe addirittura impedito l’accesso alle tribune di quello stuolo di sgradite ammiratrici. Kasumi non era una sua ammiratrice, ma ciò nonostante si sentiva a disagio in sua compagnia.

Una mattina come le altre a lezione, Kasumi ebbe la conferma che ogni tentativo di farsi amico Wakashimazu era vano. Durante l’ora d’inglese mentre la prof. Mihura stava spiegando l’utilizzo dei phrasal verb, Kasumi sperimentò l’esperienza più umiliante della sua vita.

- I can’t put…with noisy people.- scandì con perfetta pronuncia la professoressa. – Quale preposizione dovrebbe accompagnarsi a questo verbo?...ehm…ah, sì….Wakashimazu!-

Il ragazzo colto alla sprovvista scattò in piedi con il libro in mano, ma non sapeva nemmeno a che pagina stesse leggendo la professoressa.

- La preposizione up- sentì bisbigliare alle sue spalle, stava per rispondere, ma quando realizzò che a suggerirgli la soluzione corretta era stata Kasumi, divenne paonazzo.

- Guarda che non ho bisogno del tuo aiuto, razza di impicciona!- sbraitò il ragazzo che si accorse solo dopo di aver espresso i suoi pensieri a voce anche troppo alta. Kasumi lo guardava confusa e amareggiata, soprattutto perché sentiva su di sé gli sguardi dei compagni intenti a sghignazzare, Kojiro guardava alternatamene l’uno e l’altro cercando di dominare l’impulso irrefrenabile di dirne quattro al suo amico di fronte a tutti, la professoressa Mihura, passato lo stupore iniziale, assunse un’aria serafica.

- Ma bene, mi compiaccio, veramente. Signor Wakashimazu, evidentemente, in questi sei anni alla Toho, lei non ha imparato il significato del termine “contegno”.- disse lapidaria.- Quanto a lei signorina Hiyuga, la informo che qui in Giappone, i suggeritori sono graditi solo nei teatri di terza categoria.- aggiunse acidamente e puntando il dito verso l’uscita intimò ad entrambi di uscire in punizione.

Kasumi e Ken si diressero verso l’uscita nell’imbarazzo più totale e con lo sguardo al suolo. Quando richiuse la porta alle sue spalle la ragazza si volse verso di lui con stizza.

- Sei un idiota! Un emerito idiota! Che diavolo ti è saltato in mente di fare quella scenata, potevi cogliere il mio suggerimento e finirla lì! – sibilò furibonda. Mai, in 18 anni, le era capitata una figura così meschina ed ora era stanca di essere paziente con quel capellone pieno di sé.

- Nessuno ti ha chiesto niente! E come osi darmi dell’idiota brutta gallina?!- esclamò rosso in volto.

- Sei la persona più ingrata ed insopportabile del mondo Ken Wakashimazu! Non posso credere che mio fratello abbia scelto te come migliore amico!- rispose piccata.

- E io non posso credere che un’oca starnazzante come te sia sua sorella gemella!- ribatté sfrontatamente.

- Sei un grandissimo maleducato!- gli gridò in faccia esasperata.

Solo allora si resero conto degli sguardi puntati su di loro di alunni e professori, che richiamati dal gran baccano che stavano facendo erano usciti nel corridoio. La prof. Mihura spuntata alle loro spalle li colpì in testa col proprio libro di testo, minacciandoli di portarli dal capo insegnanti se non avessero assunto un comportamento adeguato e per il momento si limitò a estendere la punizione costringendoli a tenere un secchio pieno d’acqua fino alla fine dell’ora.

I due ragazzi stavano ora nel silenzio più assoluto. Kasumi era voltata dall’altra parte per evitare di guardare Ken, si sentiva offesa e umiliata. Lei teneva molto al suo rendimento e temeva che quella punizione potesse avere conseguenze negative sul curriculum scolastico, inoltre le parole di Wakashimazu l’avevano ferita non poco e poi la figuraccia subita di fronte a mezza scuola….era stato decisamente troppo. Da quel momento abbandonò ogni tentativo di approccio nei confronti del ragazzo, che, dopo quella scenata, aveva ampiamente dimostrato di non meritare nemmeno un briciolo della sua attenzione.

Ken stava rimuginando su quanto era appena accaduto e forse iniziava a realizzare di avere proprio esagerato in quella circostanza. Si guardò riflesso nell’acqua del secchio e nella sua testa si diede dello stupido. Aveva causato un putiferio: aveva messo in ridicolo se stesso e la povera Kasumi, che voleva solo essere gentile ed ora per colpa sua erano lì come due allocchi a tenere un secchio d’acqua come punizione. Si voltò a guardarla e fissò il secchio tra le sue mani. Senza proferire parola cercò di toglierglielo per reggerlo al suo posto, ma lei si ritrasse con stizza e gli rivolse uno sguardo sprezzante.

- Volevo solo aiutarti.- disse mortificato.

- Non vorrei il tuo aiuto neanche se fossi l’ultimo rimasto sulla Terra.- sentenziò senza nemmeno guardarlo in faccia.

Ken non osò controbattere, l’aveva combinata grossa e in quel momento iniziò a realizzare la sua stupidità. Kasumi aveva sopportato anche troppo. In fondo lei voleva essergli amica, perché lui era il migliore amico di Kojiro e lui aveva fatto di tutto per allontanarla, ma proprio ora che ci era riuscito non ne era contento, anzi dentro di sé sentiva una punta di tristezza pizzicarlo come un ago.

Rieccomi con il terzo capitolo. Spero che abbia suscitato divertimento (devo confessare che ridevo da sola mentre lo scrivevo...che stordita!) e che finora la storia vi sia piaciuta. Ringrazio molto NinfadellaTerra e Prue786 per i loro commenti che mi hanno fatto un gran piacere…grazie davvero ragazze: per ciò che riguarda il secondo capitolo, confesso che è uscito dalle mie dita con facilità, perché la coppia Yoshiko-Hikaru è sempre stata la mia preferita e soprattutto Hikaru Matsuyama è sempre stato tra le mie grazie (infatti quando con gli amichetti giocavo a Holly e Benji, volevo sempre fare Yoshiko, perché è la sua ragazza…ricordi d’infanzia, che volete farci).

Un caro saluto a tutte/i e al prossimo capitolo.

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Capitolo 4
*** Cuori distanti ***


Capitolo 4

Cuori distanti

La luce del meriggio penetrava insistente dalle imposte socchiuse; nella penombra della stanza il buio diventava per lui un alleato, che lo escludeva dal resto del mondo che non poteva o non voleva comprendere quello che il suo cuore infranto provava ogni sera, quando gli allenamenti finivano e la sua mente iniziava a pensare, rivivendo attimi passati con nostalgia. Con la muscolosa schiena appoggiata alla spalliera, il mitico numero 10 del Sao Paulo assorto nei suoi tristi pensieri, non si accorse nemmeno che la porta della sua camera era stata aperta.

- Tsubasa è pronta la cena.- disse il ragazzo dai caldi occhi marroni incastonati nel viso dai tratti brasiliani.

- Stasera non scendo Pepe.- rispose quasi sussurrando senza distogliere lo sguardo da ciò che aveva in mano.

- Ma…- si bloccò subito appena vide il riflesso delle lacrime che solcavano le guance dell’amico.

- Va bene.- riprese subito. Si voltò per andarsene, poi si arrestò e aggiunse: – Oggi hai giocato benissimo, sei proprio un campione!- e gli rivolse il migliore dei sorrisi.

- Grazie.- rispose senza la minima traccia di entusiasmo.

Pepe si congedò, pensando a quale scusa avrebbe dovuto inventare con l’allenatore per giustificare l’assenza di Tsubasa alla cena.

Il ragazzo piangente cercò di asciugarsi le lacrime che aveva tentato di ricacciare indietro, senza riuscirvi. Nelle sue mani, la foto di una ragazzina con la divisa delle scuola medie sorridente. Si ricordava benissimo il giorno in cui era stata scattata quella foto, era in gita con le classi della terza media Nankatsu a Tokyo con il professore di arte, che li aveva costretti ad un tour de force nei musei della città. Solo l’ultimo giorno fu permesso loro di visitare liberamente la metropoli.

Fu lì che si rese conto dei suoi sentimenti per lei, di quello che aveva sempre cullato segretamente nel cuore.

I ciliegi in fiore del Parco Inokashira erano uno splendore quel giorno, così come la sua dolce Sanae che sembrava una fata, avvolta dalla pioggia di rosei petali. Sarebbe stato tutto più facile se la squadra non fosse stata con loro, ma non c’era verso di rimanere soli e comunque, anche se fossero stati soli, cosa avrebbe potuto dirle? “Sono innamorato di te, ma devo andare in Brasile per seguire i miei sogni”?

Solo ora se ne rendeva conto, anche lei era il suo sogno, ma non aveva osato confessarglielo. Sanae era stata il suo angelo custode per nove anni, lunghi anni in cui aveva tifato entusiasta per lui e gioito dei suoi successi, lo aveva accudito con le sue premurose attenzioni, lo aveva aiutato durante gli infortuni, e lui? Cosa aveva fatto? Se ne era andato, di punto in bianco, senza nemmeno dire grazie per tutto ciò che lei aveva fatto per lui, senza nemmeno dirle che lei sarebbe stata sempre nel suo cuore nonostante la lontananza.

La porta si spalancò nuovamente per accogliere nella stanza l’allenatore, Roberto Hongo.

- Tsubasa, potrei chiederti di venire almeno a provare a mangiare qualcosa? Con gli allenamenti che devi sostenere il digiuno è proprio una scelta sbagliata.- Si avvicinò a lui, avrebbe voluto sgridarlo, ma quel viso così piagato dalla tristezza bloccò sul nascere tutte le sue intenzioni. Vide la foto che teneva in mano e con la mente tornò indietro nel tempo, quando Tsubasa era un ragazzino con i capelli arruffati, che correva spensierato dietro ad un pallone e la sua piccola amica, un maschiaccio con la hachimaki rossa e la bandiera tre volte più grande di lei in mano.

- E’ proprio bella lo sai.- disse semplicemente, avvicinandosi per vedere meglio la foto. Lo osservò mentre annuiva senza distogliere lo sguardo da quell’ oggetto. Roberto provò una gran tenerezza per il suo giovane “protetto”. In campo dava sempre tutto se stesso, ma quando gli spalti si svuotavano e gli impegni sportivi finivano, diventava come un ombra, persa nei ricordi.

- Perché ci si accorge sempre di quanto qualcosa sia importante solo quando la si perde, me lo sai dire Roberto?- chiese mesto.

A quella frase un ago iniziò a pungere il cuore di Roberto: sua madre; il dolore più grande della sua vita, quando ancora bambino perse la madre per un incidente sul lavoro, tornò ad affacciarsi violento alla sua mente, risvegliando in lui il rancore per quella che lui sentiva come la più grande ingiustizia nella sua esistenza. Quasi con rabbia si rivolse al ragazzo, ormai stufo della sua autocommiserazione.

- Tsubasa! Tu non hai perso proprio niente, non puoi immaginare cosa sia perdere veramente qualcuno!- esclamò esausto.

- Tu che ne sai!? Cosa sai di come mi sento io!? Ho lasciato il mio cuore in Giappone per venire qui!- controbatté punto sul vivo.

- Questo non lo puoi sapere Tsubasa! Sanae non è morta, dannazione, lo vuoi capire! Chiamala una buona volta! Cerca di spiegarle come ti senti e cercate una soluzione!- lo sgridò, esasperato dalla sua negatività.

- E con che coraggio mi faccio sentire solo ora, dopo tre anni di silenzio!?- domandò disperato, sperando che almeno lui avesse una risposta valida a quella domanda che puntualmente lo tormentava come una spina nel cuore.

- Se sei così innamorato di lei, perché insisti a fare il codardo?!- lo squadrò torvo Roberto, che non sopportava più vedere il suo migliore giocatore così abbattuto.

Con un gesto che stupì lui stesso per primo, Tsubasa si alzò e afferrò Roberto per la gola. Fu un breve attimo, poi subito dopo lo lasciò andare, volgendo lo sguardo altrove per la troppa vergogna del atto appena compiuto.

- Scusami Roberto. Hai ragione sono solo un vigliacco che si piange addosso, un idiota che ha lasciato volar via un angelo per non tarparle le ali, ma ora sono io che non riesco più a volare senza di lei.- disse colpendo il muro con il pugno serrato.

- Tsubasa tu sei stato molto altruista, ma vederti ridotto così è uno strazio, cerca di reagire! Non sei venuto qui per niente, sei un campione e lei lo sa, lo ha sempre saputo e se anche lei prova quello che provi tu…-

- Se anche avesse provato qualcosa per me, ormai mi avrà cancellato dalla sua vita e non potrei biasimarla.- rispose sconsolato.

Roberto si avvicinò e con un gesto paterno gli accarezzò la testa e aggiunse: – Tsubasa io forse sono la persona meno indicata per darti dei consigli, ma sono stato innamorato anch’io e posso solo dirti una cosa: abbi fiducia in lei e pensa che vorrebbe vederti felice e realizzato. Ora andiamo a cena dai.- Tsubasa annuì più per stanchezza, che per convinzione. Roberto lo precedette e lui non visto prese nuovamente la foto tra le mani e se la portò alle labbra.

- Se solo ti avessi parlato prima di andarmene…- sospirò.

A Nankatsu, i ragazzi stavano affrettandosi ad andare a scuola, prima dell’inizio delle lezioni, per l’allenamento mattutino. Come sempre i giocatori trovarono il campo pronto per l’allenamento e la loro prima manager che sorridente li attendeva.

- Ciao ragazzi- li salutò.

- Buongiorno Sanae- risposero.

Alle loro spalle arrivò trafelata una biondina, con una sacca in mano.

- Taro ieri hai dimenticato questa a casa mia.- disse porgendogli la sacca. – Dove hai la testa alle volte?- chiese sorridente.

- Sì, Taro dove hai la testa, forse ieri sera te l’ho fatta girare troppo.- iniziò a canzonarli Ishizaki.

- Taci scimmiotto! Sei solo invidioso.- gli rispose immediatamente la giovane mostrando la lingua e suscitando l’ilarità dei presenti.

- Fate ridere anche me.- disse una voce alle loro spalle. Yosuke si avvicinò ammiccando verso Sanae che sentendo le guance avvampare, si girò di spalle.

- Lasciamo perdere Shiratori, iniziamo l’allenamento che è meglio.- esordì Taro cercando di interrompere quel imbarazzante scambio di battute.

- D’accordo Misaki, ma ricordati che il capitano sono io e certe battute spettano a me. Ora cominciamo.- sentenziò piccato.

Yosuke Shiratori era arrivato al liceo Nankatsu al secondo anno e si era distinto per le sue doti di leader, tanto da convincere l’allenatore a concedergli la fascia di capitano, ma era ben lungi dall’eguagliare Tsubasa, sia per bravura, che per altruismo. Alcuni componenti della squadra non lo sopportavano, primo fra tutti Ishizaki, perché era un tipo piuttosto arrogante ed egocentrico, ma soprattutto, perché non era sfuggito a nessuno il suo marcato interesse per la loro prima manager.

Dopo le lezioni del mattino durante la pausa pranzo, Sanae andò a rifugiarsi con il suo cestino in terrazza, voleva rilassarsi e riflettere a mente lucida su una questione che ultimamente occupava gran parte dei suoi pensieri. Si guardò attorno e vedendo che era completamente sola si sedette spalle alla ringhiera. Trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi. Doveva decidere cosa fare: lui era partito da tre anni, senza nemmeno salutarla e non aveva avuto più sue notizie, tranne che dai notiziari sportivi che riportavano le vittorie del Sao Paulo. A ripensare a quanto aveva spasimato per lui, le lacrime le si affacciarono spontanee sulle gote.

- Sanae?- si sentì chiamare.

Si asciugò rapidamente gli occhi e sorrise alla bionda ragazzina che si stava avvicinando.

- Non ti abbiamo vista in mensa e ci siamo preoccupati. Va tutto bene?- chiese con gli occhi colmi di affetto.

- Non è necessario che vi preoccupiate, sto bene Elena.- rispose abbozzando un sorriso.

- Sono contenta. Ti vedo un po’ più serena ora, quando io e Taro siamo arrivati qui in Giappone eri proprio a pezzi.- le sue labbra si aprirono in un meraviglioso sorriso.

Elena era la ragazza più bella che avesse mai visto, anche più bella della sua cara amica Yayoi. La prima volta che la incontrò pensava di aver di fronte una creatura angelica, per via dei suoi capelli biondi che ricadevano morbidi oltre spalle fino all’altezza delle anche e i suoi brillanti occhi azzurro-verdi. Capiva benissimo, perché Taro si fosse innamorato di lei. Oltre ad essere bellissima era anche molto dolce.

Sanae raccolse le ginocchia al petto e rispose: - Lui era appena partito e io non riuscivo ad accettarlo, ma ora vedendo la strada che ha percorso riesco a vedere le cose in modo diverso.-

- Riesci anche a perdonarlo?- chiese cautamente. Elena non conosceva Tsubasa, ma si era appassionata a questo amore che Sanae provava per lui e avrebbe tanto voluto vederli felici assieme, come lei lo era con Taro.

- Non lo so Elena, è che vorrei tanto capire perché non mi ha neanche detto addio.- disse assorta nei suoi pensieri.

- Forse perché non voleva dirtelo, forse voleva che tu lo aspettassi, ma non ha avuto il coraggio di chiedertelo.- rispose adducendo le motivazioni per lei più plausibili.

- Forse perché non aveva nulla da dirmi. Ma almeno un ciao…pensavo che perlomeno fossimo amici.- aggiunse amaramente.

- Pensaci bene Sanae, proprio perché non ti ha nemmeno salutata forse prova qualcosa di più dell’amicizia!- insistette la biondina.

Sanae le rivolse uno sguardo interrogativo, non arrivando proprio ad afferrare le logica di quella affermazione.

- Insomma, voglio dire che se per lui tu fossi stata una semplice amica, sarebbe venuto a salutarti normalmente, invece avendo agito diversamente mi viene da pensare che lo abbia fatto, perché per lui salutarti sarebbe stato troppo doloroso.- concluse sperando che il suo ragionamento, forse un po’ contorto, fosse chiaro alla sua amica.

Sanae sospirò esausta, le mancava solo che altre persone costruissero più castelli in aria di quanti ne avesse creati lei in quegli anni.

- Seeeeee, come no!? Meglio darsela a gambe.- rispose nascondendo dietro l’ironia la voglia irrefrenabile di gridare dall’alto di quella terrazza tutta la sua disperazione per quel amore soffocato.

- Ma…- cercò di riprendere Elena.

- Basta Elena, ti prego. Forse sarebbe meglio che tu, ma soprattutto io, smettessimo di pensare al mio amore impossibile.- affermò seria, mentre il suo cuore doleva per le parole che lei stessa aveva pronunciato.

- Sai, Yosuke mi ha chiesto di diventare la sua ragazza.- disse all’improvviso, spiazzando totalmente Elena.

- E tu cos’hai…- balbettò confusa, mentre vedeva le guance di Sanae colorarsi di un rosso vivo per l’imbarazzo.

- Gli ho chiesto tempo per pensarci, ma adesso vorrei prendere una decisione…- non finì la frase, che Elena si parò in ginocchio di fronte a lei.

- No, Sanae, non metterti con Shiratori, te ne pentiresti, credimi!- esclamò col volto terrorizzato. Ancora prima che Sanae potesse risponderle, riprese a parlare – Non pensi che Tsubasa potrebbe tornare e …- ma si pentì subito di quanto detto, appena vide Sanae cedere alle lacrime. La giovane scattò in piedi con i pugni stretti urlò fuori tutta la sua rabbia e la sua disperazione.

- IO DEVO PENSARE A TSUBASA, SEMPRE IO. SE N’ E’ ANDATO! LO CAPISCI!? E’ PARTITO E IN TRE ANNI NON HO SAPUTO NIENTE DI LUI! PERCHÉ SOLO IO DEVO RIMETTERCI IN TUTTO QUESTO!?- e accecata dalle lacrime copiose che le sgorgavano dagli occhi corse via.

Elena sentiva a sua volta una gran voglia di piangere. Aveva combinato un disastro, voleva distogliere Sanae dall’idea di mettersi con Shiratori, invece, forse,con le sue parole, aveva stuzzicato la rabbia repressa della ragazza nei confronti di Tsubasa e probabilmente ora Shiratori avrebbe avuto più possibilità con la sua amica.

La biondina si aggrappò con le mani alla ringhiera e la strinse con tutta la forza che aveva per trattenersi dal correre da Sanae e dirle la verità. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma con un ennesimo sforzo le ricacciò indietro.

- Elena tesoro, che ci fai qui da sola?- Taro era spuntato sulla terrazza, preoccupato per l’assenza prolungata della sua ragazza. Si avvicinò a lei e le chiese: - Hai trovato Sanae? Ma che…?- si arrestò stupito nel vedere le lacrime spuntare sui begli occhi di lei.

- Perchè, perché, perché mi hai fatto giurare di non dirle niente Taro?- chiese singhiozzando e subito dopo si gettò tra le sue braccia per sfogare le lacrime che ormai le rigavano il volto.

Lui la strinse forte a sé e rispose con la voce rotta dall’emozione: - L’ho promesso a Tsubasa.-

Capitolo un po’ più lungo questa volta: all’inizio ho pensato di dividerlo in due, ma dato che Tsubasa e Sanae sono per me come le due parti di uno stesso cuore, mi sembrava giusto mettere a confronto nello stesso capitolo la loro sofferenza.

Dedicato a tutti coloro che amano la coppia Sanae- Tsubasa (che non è uno stordito, ma un ragazzo timido e leale)…Vive l’amour!

Grazie ancora a Prue786 e NinfadellaTerra per le loro recensioni!

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Capitolo 5
*** Elena e Taro ***


Capitolo 5

Elena e Taro

La sera stessa, dopo la piccola incomprensione tra Elena e Sanae, la biondina parlò a lungo con il proprio ragazzo di quello che si erano dette sul tetto della scuola. Nonostante la rabbia, Sanae aveva fatto un passo indietro, scusandosi con la sua amica, per la reazione un po’ esagerata che aveva avuto. Elena, in cuor suo, poteva sentire tutta la sofferenza della prima manager della Nankatsu, ma, per rispetto nei suoi confronti, non tornò più sull’argomento.

Taro e Elena stavano sdraiati l’uno nelle braccia dell’altro sul divano. Erano entrambi giù di morale per come si stava evolvendo la situazione dei loro migliori amici. Elena avrebbe voluto poter dire tutto ciò che sapeva a Sanae, ma Taro era combattuto per lealtà nei confronti di Tsubasa.

Prima di partire, il suo migliore amico gli aveva chiesto di vegliare su Sanae, ovviamente senza farsi scoprire e di non dirle nulla di quello che lui provava per lei, per evitarle inutili sofferenze. Tsubasa non si era dichiarato, sperava anzi che lei lo considerasse solo un amico e niente di più, perché lui sarebbe stato lontano e non voleva sacrificarla ad un amore a distanza, non lo meritava. Il ragazzo, però, dovette fin da subito fare i conti con il proprio cuore. Sanae gli mancava moltissimo: non specchiarsi più nei suoi occhi che lo guardavano colmi di ammirazione, non vedere le sue labbra curvarsi in uno splendido sorriso, non sentire la sua voce che lo incitava durante gli allenamenti o nel corso di una partita, non sfiorare la mano che gli passava premurosamente l’asciugamano a bordo campo era difficile, ma aveva sopportato tutto questo per ben tre anni, per proteggere lei dalla tristezza. Invece tutto era stato inutile, lei soffriva, soprattutto perché, ormai era certa, di non contare nulla per Tsubasa.

Lo squillo del telefono riscosse Taro dai suoi pensieri. Elena si precipitò all’apparecchio, sicura che fosse il suo tutore che la cercava per rimproverarla. Era tardi e lei era ancora a casa di Taro, ma rimase di sasso, quando sentì la voce di Tsubasa al telefono…

- Ciao, devi essere Elena.- aveva una voce talmente triste - Potrei parlare con Taro, per favore?-

- Sì…sì…va…va bene- furono le uniche parole che riuscì a proferire. Il grande amore della sua migliore amica era al telefono, con lei, in quel momento; per un istante, nella sua fantasia un po’ infantile, pensò di riprendere la conversazione dicendo a Tsubasa di mollare tutto e tornare prima che perdesse Sanae, ma si riscosse da quei pensieri, quando si accorse dello sguardo interrogativo di Taro puntato su di lei. Gli porse la cornetta e quando disse chi lo cercava, Taro afferrò velocemente l’apparecchio e rispose.

Il sorriso del ragazzo si spense, quando avvertì i sospiri dall’altro capo del telefono: Tsubasa stava piangendo.

- Tsubasa ci risiamo?- chiese Taro sconsolato.

- Lei come sta Taro?- disse ignorando il sottile rimprovero dell’amico.

- Lascia che le parli Tsubasa…-

- No!- controbatté immediatamente.

- Ma così vi state facendo solo del male!- esclamò Taro, stufo di quella situazione assurda.

- Finché sono solo io a soffrire, va bene così.- rispose rassegnato.

Sentendo quelle parole bisbigliate nella cornetta, Elena, che era lì accanto, non riuscì più a trattenersi, strappò l’apparecchio di mano a Taro e diede fiato a tutto ciò che la sua mente stava formulando in quel momento.

- Pensi veramente di essere solo tu a soffrire?! Ma cosa diavolo hai in testa?!- chiese risentita.

Tsubasa, sorpreso e confuso da quella interruzione, non ebbe nemmeno la forza di replicare.

- Sanae sta soffrendo tantissimo! Quando l’ho conosciuta era come un’ombra, sempre triste e malinconica, ma ha reagito e ora in qualche modo va avanti, ma ancora oggi l’ho vista piangere per te.- Tsubasa non ebbe tempo di controbattere. – Cercando di proteggerla, hai finito col farla soffrire di più. Lei pensa di non contare nulla per te e quel che è peggio, Taro ed io che sappiamo la verità, dobbiamo vederla affliggersi senza poter fare niente. Perché non vuoi accettare che lei continui ad amarti, nonostante te ne sia andato senza nemmeno confessarle i tuoi sentimenti?!-

Tsubasa rimase totalmente spiazzato da quelle affermazioni, Elena non lo conosceva nemmeno, ma gli aveva comunque sbattuto in faccia l’assurdità delle sue azioni.

Aveva sbagliato tutto.

Voleva evitarle inutili tormenti, invece aveva costretto il suo angelo a soffrire per un amore che credeva non corrisposto.

- Se sei un uomo, vieni qua ad affrontarla!- riprese Elena. Taro che aveva osservato a bocca aperta la sua ragazza, solitamente dolce e gentile, investire il suo migliore amico con quella sventagliata di accuse, riprese la cornetta, prima che la situazione sfuggisse di mano.

- Scusala Tsubasa, ma cerca di capire, ci hai messo in una situazione imbarazzante, siamo come “tra l’incudine e il martello”…- cercò di giustificarsi.

- Invece ha ragione Taro. Avete cercato di farmelo capire tutti, ma io sono stato cieco fin dall’inizio. Pensavo che stando distanti i nostri sentimenti si sarebbero affievoliti, invece non è stato così, non per me almeno.-

- E nemmeno per lei.- rispose deciso.

- Scusa se vi ho disturbato Taro e scusami per avervi coinvolto.-

- Non ti preoccupare Tsubasa, gli amici servono soprattutto in questi momenti.-

- Grazie davvero. Ci risentiamo e Taro…-

- Sì?-

- Ringrazia molto Elena, mi ha aperto gli occhi.-

Sospirò nel posare la cornetta sulla forcella, si volse e vide Elena che lo guardava come una bimba che attende il rimprovero del padre. Le sorrise e si avvicinò per scompigliarle la frangia con una carezza.

- Sei proprio fuori di testa… ma sei adorabile.- le disse stringendola a sé.

Taro le riportò il messaggio di Tsubasa e la ragazza iniziò a saltellare contenta per aver raggiunto il suo scopo, ma ad un tratto si arrestò, poiché si era ricordata di un piccolo problema…Shiratori. Tsubasa non sapeva nulla di lui, tranne che fosse diventato il nuovo capitano della Nankatsu, ma nessuno gli aveva spiegato dell’interesse che nutriva nei confronti di Sanae e soprattutto del fatto che le avesse chiesto di diventare la sua ragazza.

- E adesso?- chiese lei.

- Lasciamo perdere, dubito che Sanae voglia mettersi veramente con quell’idiota.-

Elena lo scrutò sbattendo gli occhi più volte e scoppiò in un’allegra risata.

- Però, bella considerazione che hai del tuo capitano.-

- Per me l’unico capitano rimane Tsubasa, quel demente di Yosuke non sarà convocato nemmeno in nazionale, secondo me.-

- Già- rispose divertita.

- Ma adesso l’accompagno a casa signorina, prima che il suo tutore mi mandi qui la polizia.-

I due ragazzi uscirono per strada ed iniziarono a percorrere la via in direzione della casa di lei. Il freddo invernale era particolarmente pungente a quell’ora. La ragazza si strinse al capotto, un brivido di freddo la fece tremare e Taro l’accostò a sé cingendole le spalle con un braccio per darle un po’ di calore, lei poggiò affettuosamente la sua testa sulla sua spalla e così stretti proseguirono. Taro la osservò dolcemente, mentre passeggiava accanto a lui con un sorriso raggiante sul volto e con la mente iniziò a vagare nel mare dei ricordi.

- Allora ragazzi da oggi abbiamo un nuovo allenatore! Come ti chiami?-

- Taro Misaki.-

- Molto bene allenatore Misaki. Io sono Elena Rulli e sono la manager del Sant’Angelo.- disse stendendo la mano la ragazzina, che stava a bordo campo ad incitare un gruppo di ragazzini in tenuta da calcio.

Era a Roma in quel periodo, quando suo padre aveva deciso di viaggiare per l’Italia nel tentativo di migliorare la sua tecnica pittorica e come spesso gli capitava aiutò la squadra del Sant’Angelo ad allenarsi in vista di un incontro-sfida contro la squadra Colosseo. Fu in quell’occasione che incontrò Elena per la prima volta. Quella ragazzina con i suoi buffi codini e il suo entusiasmo, era una specie di tornado, non un vero e proprio maschiaccio come Anego, ma comunque un tipo piuttosto vivace e con una gran passione per il calcio.

- E’ raro incontrare una femmina appassionata di calcio.- le disse una sera che avevano ritardato più del solito sul campo e lui si era offerto gentilmente di accompagnarla, dato che non riteneva saggio che una ragazzina di undici anni andasse in giro per una grande città come Roma a quell’ora.

- Ehi, qui sei in Italia, la patria del calcio!- rispose strizzandogli l’occhio.

- Caspita è proprio tardi.- aggiunse poi un po’ preoccupata, scorgendo l’ora sull’orologio. – Temo che Davide si arrabbierà.-

- Chi è Davide?- domandò con una curiosità insolita per il suo carattere.

- E’ il mio tutore.- rispose senza perdere il suo bellissimo sorriso. Constatando lo stupore negli occhi di Taro, lei si prestò a spiegare la sua situazione famigliare: i suoi genitori erano morti in un incidente autostradale, quando lei aveva sei anni e dato che nessuno dei suoi parenti si era fatto avanti per prenderla con sé, il migliore amico di suo padre, Davide, la adottò, naturalmente con l’aiuto dell’assistente sociale. Taro divenne rosso per la vergogna, era stato troppo indiscreto ed aveva rivangato ricordi troppo tristi per lei.

- Non ti sentire a disagio Taro.- rispose, quasi gli avesse letto nel pensiero. – A me non dà affatto fastidio parlarne. I miei genitori non ci sono più, ma sono sicura che in qualche modo mi sono vicini e questo mi fa stare meglio, poi Davide è una bravissima persona, sai lui era il migliore amico di mio padre, praticamente sono cresciuti insieme.- e così Taro scoprì che Davide era uno scapolo incallito di 35 anni, di professione broker, con la passione per la squadra della Roma e un disastro assoluto in cucina.

Vedere quel visino sorridente, nonostante la grande sofferenza che aveva già subito in pochi anni di vita, ispirò a Taro una grande tenerezza e senza che lui se ne accorgesse iniziò a parlare dei suoi problemi.

- I miei genitori divorziarono, quando ero molto piccolo.- disse sorprendendosi lui stesso per primo.

Elena gli sorrise, quasi per invitarlo a proseguire.

- Io sono rimasto con mio padre, perché mi dispiaceva abbandonarlo. Ho sempre saputo che tra i due, lui era il più fragile e non me la sono sentita di lasciarlo da solo.- confessò.

- Anche se a causa del suo lavoro dobbiamo spostarci in continuazione, io sono contento di aver scelto di stare con lui. In fondo in questo modo ho conosciuto un sacco di gente e visto posti che altrimenti mi sarei solo sognato.-

Elena annuiva, senza mai far sparire il sorriso bellissimo che le illuminava il viso e ad un tratto prese la mano di Taro e la strinse nella sua. Lui avvertì un leggero imbarazzo per quello slancio e si sciolse dalla sua stretta. Solo poche persone sapevano della sua situazione e non riusciva a spiegarsi, perché si fosse aperto con quella ragazzina quasi sconosciuta.

Arrivati di fronte casa sua, Elena fu accolta da un signore alto e scuro di capelli e dai caldi occhi marroni.

- Elena, ma dov’eri?- chiese, spostando poi lo sguardo interrogativo sul ragazzino giapponese al suo fianco.

- Abbiamo fatto tardi con quelli del Sant’Angelo e lui mi ha accompagnata.- disse indicando Taro che si stava facendo piccolissimo, di fronte a quel tipo che continuava a squadrarlo. – Ti presento Taro Misaki. Taro, lui è Davide.-

Dopo le dovute presentazioni i due ragazzini si congedarono, dandosi appuntamento il giorno dopo al campo da calcio per la sfida.

- Allora è lui il fortunato che ti piace.- la stuzzicò con fare ironico.

- E dai Davide! Mi metti in imbarazzo!- rispose tirandogli una gomitata, mentre in viso diventava rossissima.

Il Sant’Angelo vinse la sfida contro ogni previsione, ma la gioia di Elena per quell’evento durò pochissimo, perché era giunto il momento di salutare Taro e sapeva che non lo avrebbe mai più rivisto. Senza pensarci troppo su lo abbracciò forte e si sciolse in un pianto liberatorio. Dopo l’imbarazzo iniziale, Taro si rilassò e la strinse anche lui. Le sarebbe mancata molto quella piccola peste, che lui vedeva come una sorellina.

L’anno seguente in Francia, durante il primo giorno di scuola, Taro si ritrovò faccia a faccia con la persona più improbabile.

- Taro!- si sentì chiamare da una ragazza che usciva da una classe del primo anno. Subito non si rese conto chi fosse quella ragazza dai lunghi capelli d’oro. Rimase inebetito per qualche istante, quando la sua mente riconobbe quegli occhi brillanti.

- Elena?!- esclamò, mentre la ragazza annuiva con un abbagliante sorriso.

Il tutore di Elena aveva ricevuto un incarico importante dalla multinazionale per la quale lavorava e il destino volle che si trasferissero proprio a Parigi.

Elena era al colmo della felicità, quasi che la sorte volendo scusarsi con lei per averle tolto i suoi genitori così presto, le avesse fatto rincontrare quel ragazzino che aveva occupato un posto speciale nel suo cuore.

Col tempo i due legarono in modo particolare e Taro divenne quasi un assiduo frequentatore della casa di Elena, per un motivo o per l’altro, quando studiavano assieme o quando c’era qualche partita di calcio da vedere sullo schermo gigante collegato al satellite, che il tutore di Elena si era regalato, per sopperire all’impossibilità di assistere alle partite della Roma direttamente allo stadio Olimpico.

Taro era il ragazzo più invidiato della scuola, dato che chiunque era convinto che quei due stessero insieme. Magari fosse stato così! Taro era partito dall’Italia che aveva lasciato una “sorellina” e ora frequentava la ragazza più ambita della scuola, ma solo come amico. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato a provare qualcosa per lei: la vedeva sempre come la bimbetta con i codini. Quando invece si svegliò, si rese conto che vicino aveva un piccolo bocciolo che si stava aprendo e sarebbe stato bello, se si fosse schiuso tra le sue mani.

Il giorno che si dichiarò, erano agli Champs-de-Mars, cercando ristoro dalla calura estiva all’ombra della Tour Eiffel. Elena indossava un grazioso vestitino estivo in lino azzurro e aveva i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo. Stavano scherzando su cose futili, seduti sull’erba, quando lei improvvisamente si sdraiò sulle gambe di lui, mentre continuava a ridere e lui, con il cuore che balzava nel petto si piegò in avanti per guardarla negli occhi. Lei incrociò il suo sguardo e divenne improvvisamente seria. I loro visi erano molto vicini. Con un sorriso raggiante si sollevò verso di lui e gli posò un bacio sulle labbra. Taro trasalì, ma subito dopo fu lui a cercare nuovamente le labbra di lei per baciarle ancora e ancora.

Sorrise e con lo sguardo che si posava di nuovo sulla sua ragazza, pensava a quanto fosse fortunato ad averla al suo fianco. Quando era tornato in Giappone, lei aveva supplicato Davide di permetterle di seguirlo, ma era una minorenne e non poteva andare in un altro continente da sola. Allora Davide fece un atto che andava al di là del semplice amore paterno, diede le dimissioni dal lavoro che aveva svolto per anni e con la liquidazione avrebbe aperto un ufficio di consulenza finanziaria in Giappone. Sapeva che era un’impresa da pazzi, ma per Elena, che aveva già subito una grave perdita e non meritava di essere allontanata nuovamente da una persona importante, avrebbe smosso anche i monti. E così ora si ritrovavano dall’altra parte del mondo, immersi in una cultura completamente diversa, con il lavoro che decollava piano piano, ma entrambi felici, perché anche Davide era più sereno nel lavorare in proprio.

Taro, che non aveva goduto dell’affetto completo di entrambi i genitori, si sentiva felice e orgoglioso di avere una ragazza che lo amava a tal punto. Per lui era come una sorta di premio insperato e da quando lei lo aveva raggiunto in Giappone si era reso conto che non avrebbe più potuto fare a meno della sua presenza, come se quel gesto lo avesse fatto innamorare una seconda volta.

Arrivati a destinazione, i due si strinsero in un abbraccio, ma una voce che si schiariva la gola li fece trasalire.

- Elena ti rendi conto di che ore sono? Che sia l’ultima volta, per la miseria!- li rimproverò seccato Davide e senza aggiungere una parola tornò in casa sbuffando, dato che l’indomani avrebbe dovuto alzarsi presto, per prendere lo Shinkansen diretto a Tokyo.

I due sorrisero abituati ormai alle arrabbiature di Davide, che duravano al massimo dieci minuti. Si strinsero nuovamente uno nelle braccia dell’altro, prima di unirsi in un dolce bacio della buona notte.

Come ha acutamente osservato Alex_Kami il personaggio di Elena è apparso in una puntata di “Che campioni Holly e Benji”, che si intitolava “Una lettera dall’Europa”. Non ho usato il pairing Azumi- Taro, perché lei non mi ispira, ho sempre preferito la bionda italiana al fianco del caro Misaki.

Ne approfitto per ringraziare di cuore Alex_Kami per la sua interessantissima recensione: grazie per i consigli cara, ne farò tesoro! Grazie anche per la precisazione Fujisawa- Nankatsu, ho provveduto a modificare il nome. Per quanto riguarda la questione dei nomi, sono sincera, la mia è una presa di posizione: detesto le assurde traduzioni di nomi e toponimi (Fujisawa è stata una mia mancanza, credevo fosse realmente quella la città) proposte in Italia. Purtroppo non so il nome che è stato dato ad Elena in Giappone, ma dal momento che la ragazzina è italiana (almeno così si capiva nell’anime), ho pensato che potesse andare bene così. La questione Tsubasa- Sanae si spiega, perché, quando ho iniziato ad abbozzare la storia avevo tredici anni, quindi nel lontano ’94, non avevo ancora letto il manga, perciò mi mancavano parecchie informazioni.

Ringrazio ancora tutte le persone che stanno leggendo la mia fanfiction, sperando di non deludere le loro aspettative. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Ricominciare da capo ***


Capitolo 6

Ricominciare da capo

Mentre il sole iniziava la sua discesa, le lezioni e gli allenamenti erano terminati. Kasumi stava sistemando gli ultimi palloni nella cesta con lo sguardo assente di chi è altrove con la testa. I suoi pensieri erano rivolti alla mattina, quando era ufficialmente diventata lo zimbello della scuola, grazie a Wakashimazu.

Dopo la lezione d’inglese la situazione non era certo migliorata: i compagni di scuola avevano preso a bersagliarli con battute e frecciatine su loro due. Durante la ricreazione, la vicina di banco di Kasumi aveva detto ad alta voce, in modo che tutta la classe sentisse: “Sapete, si dice che chi disprezza compra” e i presenti erano scoppiati a ridere. L’imbarazzo fu tale, che Kasumi non riuscì a rimanere oltre in quell’ambiente e se ne scappò sul tetto con il viso arrossato dalla vergogna. Poco dopo, fu proprio Wakashimazu a raggiungerla.

- Che diavolo ci fai qui!?- l’ultima persona che voleva vedere, in quel momento, era lui.

- Ti cercavo.- ammise. - Vorrei, scusarmi- disse con un filo di voce.

- Tu vorresti scusarti?!- chiese sarcastica e scoppiò a ridere dal nervoso.- Sai che ti dico? Non me ne faccio niente delle tue scuse! Ho cercato di esserti amica in tutti i modi, soprattutto per mio fratello, ma non ho ottenuto alcun risultato degno di nota, a parte la figuraccia di stamani. Grazie, per avermi resa la barzelletta della scuola.-

- Ma io…- cercò di intervenire.

- Risparmia il fiato! Stammi lontano, Wakashimazu!- e senza aggiungere altro, si congedò.

Durante la ripresa delle lezioni, convinto a non demordere, le passò un bigliettino con su scritto “Scusa” con un faccino triste disegnato accanto. Che fantasia! Appallottolò il pezzettino di carta e glielo tirò addosso con stizza.

- Cos’era, una poesia d’amore?- bisbigliò il compagno a fianco, che iniziò a sghignazzare. Vedendo la sorella chinare il capo per l’umiliazione, Kojiro non riuscì più a trattenersi e sferrò un calcio al compagno non visto dal prof.

Divenne nuovamente rossa al solo pensiero, non amava essere al centro dell’attenzione, perché era molto riservata, anche se fin da subito si era accorta che alla Toho era impossibile rimanere nell’anonimato, soprattutto essendo la sorella gemella di Kojiro Hyuga, capitano della squadra vincitrice dello scorso anno e in testa alla classifica attuale del campionato nazionale di calcio, nonché indiscusso capocannoniere del Giappone.

Anche Kojiro non aveva gradito le scomode attenzioni della mattinata. Chiunque lo incrociasse, continuava a chiedere cosa succedesse tra sua sorella e il primo portiere, facendo battute stupide o illazioni che gli fecero montare un tale rabbia che, al momento di provare i tiri in porta, mirò direttamente su Ken per sfogarsi. Kasumi assistette con aria trionfale a quella punizione più che meritata, mentre il portiere si massaggiava lo stomaco dolorante per la violenza dei colpi subiti.

A ripensarci in questo momento, Kasumi si sentì una stupida: che soddisfazione c’era a vedere il proprio fratello farle giustizia in un modo così stupido? Lei non era migliore di Wakashimazu, era una bambina esattamente come lui.

Si chiese come avrebbe dovuto comportarsi.

Per tutto il giorno era stata dominata dalla rabbia, ma ora che era ferma a riflettere a mente lucida, si rese conto che, forse, non era il caso di dichiarare guerra a Ken, specialmente perché, avrebbe creato una situazione imbarazzante all’interno del club di calcio. Il mister quel pomeriggio aveva notato la tensione che c’era in campo e pur sapendone il motivo, non fece parola sull’argomento per evitare di gettare benzina sul fuoco, ma aveva preso lei da parte chiedendole di fare pace con Ken per non compromettere l’equilibrio della squadra.

Si chiese se sarebbe mai stato possibile che ci fosse pace tra loro due. Ken non era mai stato gentile con lei, a differenza di Sawada o Sorimachi, anzi l’aveva allontanata in tutti i modi, ma allora perché lei aveva insistito tanto per diventargli amica, se lui la rifiutava?

“Chi disprezza compra”, quella frase le balenò nella mente e iniziò a martellarla come un tam tam. Possibile che lei avesse un interesse per Wakashimazu? In effetti Ken era un bel ragazzo, molte studentesse alla Toho lo adoravano come un Adone, ma lei era diversa. Alcune la accusavano di essere entrata nel club di calcio per stare vicina a i bei ragazzi della squadra, ma non aveva dato peso alle critiche: sapeva benissimo di essersi presa un tale impegno, perché glielo aveva chiesto suo fratello. Se ne era così sicura, perché allora arrossiva? Sospirò posando l’ultimo pallone nella cesta.

- Si può sapere che ti è preso oggi, Kojiro?- chiese Ken, mentre stava cercando di indossare la divisa, impedito dalle costole ancora doloranti.

Hyuga non rispose.

- Se è per tua sorella…-

- Io non entro nelle vostre beghe infantili.- lo interruppe, tradendosi immediatamente.

- Infatti non dovresti.- sentenziò.

- Ti è così difficile comportarti civilmente con lei? Qual è il tuo problema Ken?-

- Ho provato a chiederle scusa, ma non mi ha nemmeno lasciato parlare!- tentò di aggirare la domanda.

- Ti ho chiesto che problemi hai con lei?- insistette Kojiro, che ora lo scrutava con sguardo indagatore. – Non è che mia sorella ti piace?- domandò sospettoso.

Un calore improvviso gli infiammò il volto.- Che cosa?!- chiese imbarazzato, incontrando gli occhi di Hyuga che sembravano volergli leggere nel pensiero. Lo allontanò e scosse la testa confuso.

- Ma no, che ti viene in mente Kojiro?- chiese cercando di suonare naturale.

Hyuga continuava ad osservarlo attentamente, sicuro che stesse dissimulando. Neanche lui avrebbe saputo come reagire ad una tale eventualità, Kasumi era sua sorella: la bimba con le treccine che lo rincorreva per il giardino, la ragazzina che era partita per la Cina senza avere il tempo di elaborare il lutto con la propria famiglia, la sorella che era tornata per sostenerlo; e lui era il suo migliore amico: colui che lo aveva sostenuto nelle difficoltà, la persona che aveva sempre una parola di conforto quando la situazione famigliare diventava pesante, il portiere della sua squadra; erano due persone molto importanti per lui.

- Ti dispiacerebbe?- chiese all’improvviso.

- Forse sì.- gli sfuggì.

Deciso a non continuare quel discorso, Kojiro ritornò sulla lite di quella mattina: - Hai fatto la figura del fesso e ti sei tirato dietro mia sorella. Io non ho intenzione di fare il mediatore, dovrete pensarci da soli. - concluse sperando di non ritornare sull’argomento.

– E…scusa per oggi, ero arrabbiato e ho agito d’impulso come mio solito.- aggiunse titubante, dato che, chiedere scusa, non era proprio un comportamento usuale per lui.

- Se la accompagnassi a casa e ne approfittassi per farmi perdonare?- domandò a bruciapelo.

Kojiro rimase colpito da quella richiesta, avrebbe dovuto lasciarli da soli? Ancora quel sospetto che Ken provasse qualcosa per sua sorella, lo iniziò a infastidire.

Il portiere si stava pentendo di aver sparato una simile idiozia, dopo quello che si erano detti, soprattutto vedendo l’espressione eloquente comparsa sul volto di Kojiro. Stava per rimangiarsi tutto, invece Kojiro ammise che poteva essere una buona idea, mentre lui si aspettava una sana scenata di gelosia fraterna.

Kojiro, in realtà, si era trattenuto con tutte le sue forze. Temeva che potesse succedere qualcosa tra i due, ma, per un attimo, la ragione prese il sopravvento: Kasumi non era interessata a Ken e probabilmente nemmeno lui lo era, quindi sarebbe stato meglio farli parlare per chiarirsi e stabilire una tregua.

Kasumi vide il fratello sbucare dagli spogliatoi e correre verso l’uscita della scuola.

- Aspetta, Kojiro! Vado a cambiarmi e arrivo.-

- Ti accompagna Ken a casa.- gridò in risposta.

- Coooooooosa!?-

In quel momento Wakashimazu stava avvicinandosi a lei, cercando di rimanere calmo. Non sapeva cosa dire, temeva che qualsiasi cosa gli fosse uscita di bocca sarebbe stata mal interpretata ed era troppo stanco, per gli equivoci che si erano già creati. Kasumi lo scrutò un secondo per capire che intenzioni avesse. Ken la rimirò a sua volta, nei suoi occhi non c’era rancore o disprezzo, solo un po’ di curiosità. Sentì una specie di tuffo al cuore, quando la vide sorridere.

- Vado a cambiarmi.- disse divertita.

Cos’era stato quello che aveva sentito? Si appoggiò alla parete degli spogliatoi e sospirò, passandosi una mano sul fianco: Kojiro lo aveva letteralmente massacrato. La giornata era cominciata malissimo e ora stava ripiegando sull’assurdo più completo: quella ragazza era una fonte continua di sorprese, stamani lo aveva investito di insulti come un treno rapido e ora gli sorrideva, Kojiro che sospettava una tresca tra loro due, lui che si sentiva sempre più confuso, ma che cavolo stava prendendo a tutti quanti?

Sospirando, reclinò il capo all’indietro e rivolse lo sguardo in alto. Le parole di Kojiro adesso gli risuonavano in testa “Non è che mia sorella ti piace?”. Forse poteva essere una spiegazione a quello strano disagio che sentiva standole vicino, forse lui aveva cercato di allontanarla proprio perché, in fondo, aveva percepito di essere attratto da lei e se fosse stato realmente così, sarebbe stato un grosso problema: Kojiro gli aveva spiegato le sue idee in proposito; però lui e Kasumi erano adulti e vaccinati e non avevano certo bisogno della benedizione del fratello. Che pensieri insensati gli stavano balenando in testa! Si diede due colpetti sulla tempia, per ridestarsi da quel fiume in piena di sciocchezze.

Kasumi continuava a ridere, mentre si toglieva di dosso la tuta. Si sentiva imbarazzata, confusa, divertita da quella strana situazione che si era creata. Mai, avrebbe pensato che Wakashimazu compisse l’atto estremo di accompagnarla a casa per scusarsi. Forse la lite non era venuta per nuocere, finalmente avrebbero chiarito i rispettivi punti di vista e avrebbero gettato le basi di un rapporto civile. Chiuse tutto a chiave e raggiunse Ken. Sforzandosi di non scoppiargli a ridere in faccia, lo invitò ad andare.

Per una decina di minuti, regnò un silenzio imbarazzante, poi stanco di essere così teso, Wakashimazu iniziò a parlare.

- Credo che io e te abbiamo cominciato nel peggiore dei modi.-

Kasumi si arrestò e lo squadrò con un’ombra sul viso – Abbiamo?- chiese con stizza. Lei non aveva colpe, non lo aveva mai mancato di rispetto.

- E va bene, ho cominciato io!- sospirò rassegnato. Kasumi non aveva certo un carattere facile, probabilmente somigliava più a Kojiro di quanto non volesse far credere. Proseguì, vedendola annuire.

- Mi sono comportato da maleducato, ti ho offesa e ho cercato in tutti i modi di allontanarti.- ammise. La situazione era abbastanza pesante, il suo orgoglio stava finendo sotto i piedi per essere costretto a fare una cosa tanto umiliante.

- Anch’io sono stata maleducata con te stamani. Ti chiedo scusa.- lo anticipò, col tono più mansueto che le riuscisse. Anche per lei era faticoso ammettere le proprie colpe, ma era il momento di dimostrare un minimo di maturità.

- No, sono io che devo scusarmi, Kasumi.-

La ragazza sentì il cuore accelerare i battiti, era la prima volta che la chiamava per nome. Che assurdità! Perché doveva emozionarsi per così poco? Con il viso in fiamme per quelle sensazioni, che non si sapeva spiegare, si fermò di fronte a lui con la mano tesa.

- Va bene, facciamo pace.-

Lui le strinse la mano, poi si guardarono in faccia. Erano entrambi rossi per la vergogna, ma nessuno dei due sapeva dare un nome alle emozioni che si stavano confondendo nei loro animi. Riportarono lo sguardo sulle loro mani ancora strette. Ken poteva sentire tutto il calore di quella manina affusolata, stretta nelle sue grandi mani, abituate a trattenere le cannonate del fratello. Kasumi era agitata, per un attimo desiderò di non sciogliersi da quel contatto. Oggi era proprio strana, ma che diavolo di pensieri le saltavano in testa?

Ripresero a camminare nel silenzio più assoluto, finché non fu lei a rompere il ghiaccio.

- Ti ha fatto male?- chiese, notando che si massaggiava il costato con una smorfia di dolore.

- Mio fratello non è cambiato, è convinto di dovermi proteggere da qualsiasi cosa.- disse accennando un sorriso, mentre con la mente ritornava all’infanzia, quando Kojiro attaccava briga con chiunque le facesse dei dispetti o la offendesse.

- Non è successo niente di grave, probabilmente avrei agito così anch’io al suo posto.- minimizzò.

- Probabilmente sì, avete un po’ di cose in comune voi due.- gli sorrise.

Di nuovo quel tuffo al cuore, perché Kasumi riusciva a spiazzarlo con un semplice sorriso? In quel momento iniziò a osservarla, attentamente, per la prima volta. Era veramente una bella ragazza, somigliava a Kojiro, ma naturalmente i suoi lineamenti erano più delicati, le labbra erano rosee e carnose, i capelli corvini erano legati in una mezza coda, gli occhi dal tratto orientale, neri e luminosi, spiccavano sulla pelle dorata del viso. Ad un tratto si voltò e lui si abbassò lo sguardo, sperando che non avesse notato che la stava fissando.

- Mi spiace di essermi comportato come un cretino con te. Vedi non ho un buon rapporto con le ragazze.- si diede mentalmente dello stupido, ora Kasumi avrebbe pensato che avesse strane tendenze.

- Tu e Kojiro siete proprio uguali.- disse ridendo. Ken si sentì un po’ offeso, avevano parecchie cose in comune, è vero, ma il caratteraccio del suo capitano era ineguagliabile. Si grattò la testa imbarazzato.

- Siete gli idoli delle ragazze e voi le disdegnate in questo modo.- continuò a scherzare.

Wakashimazu sospirò e decise che a quel punto sarebbe stato meglio sfogarsi, quindi le spiegò il disagio che sentiva a causa delle ammiratrici insistenti con cui aveva a che fare. Le raccontò di come, una volta, una pazza avesse fatto invasione di campo per saltargli al collo, evento che gli costò un intero anno di prese in giro da parte di compagni di squadra e di scuola. Kasumi si teneva la pancia dalle risate, immaginando il povero Wakashimazu rincorso per tutto il campo da quella tizia, sotto gli sguardi divertiti di giocatori e pubblico.

- Sai...- disse asciugandosi le lacrime.- …credo ti servirebbe una ragazza, che tenga alla larga le tifose insistenti.- e riprese a ridere.

Ken si fece serio tutto ad un tratto, imbarazzato da quell’affermazione. Chissà perché, la sua mente stava andando a fantasticare su di lui e Kasumi insieme. Per un attimo, un’immagine di lei intenta a insultare una tifosa audace gli passò per la testa e, a quel punto, fu lui che non poté più trattenere le risate. Si sentiva bene, era contento e rilassato, far pace con Kasumi non era stato poi tanto terribile.

Kojiro era sulla veranda in attesa, quando sentì delle allegre risate provenire dalla strada si precipitò al cancelletto, dove vide sua sorella e Ken intenti a ridere come due pazzi. Non comprendendo bene la situazione si schiarì la voce e i due ragazzi si ricomposero subito.

- Vedo che avete fatto pace.- li squadrò alternatamene con un’espressione indecifrabile sul volto.

- Ehm, sì fratellino. Non sei contento?- disse tirando fuori la lingua.

- Ah, chi fratellino?! Sono nato prima di te.- tuonò seccato.

- Non sai che il gemello più grande, è quello che nasce per secondo?- domandò divertita e strizzò un occhio a Ken, che faticava a trattenere le risate. Kojiro stava per esplodere di rabbia, quando la madre li raggiunse.

- Oh, Wakashimazu! Che piacere vederti!- disse la signora Hyuga.

- Buonasera, signora.- si inchinò alla nuova arrivata.

- Cosa fai qui?- chiese, stupita, nel vederlo di fronte casa sua, a quell’ora.

- Mi ha accompagnata a casa.- rispose Kasumi.

- Sei stato molto gentile. Perché non ti fermi a cena da noi?- chiese cortesemente.

Ken esitò un istante e si accorse dello sguardo di Kojiro su di lui: aveva un’espressione truce, probabilmente se avesse accettato gli avrebbe avvelenato il pasto, quindi con disinvoltura declinò il gentile invito adducendo come scusa, che suo padre lo stesse aspettando per l’allenamento nel dojo di karate. Salutò i gemelli e la signora Hyuga, indugiando, forse un secondo di troppo su Kasumi, poi richiamato dal solito sguardo minaccioso del suo capitano, si allontanò verso casa.

Tornò a casa col cuore leggero, aveva chiesto scusa a Kasumi e ora sarebbero finalmente diventati amici, o forse qualcosa di più. Ricominciava. Perché non poteva stare cinque minuti senza andare con la mente in quella direzione?

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Capitolo 7
*** Riuniti ***


Capitolo 7

Riuniti

Le nuvole scorrevano, carezzando delicatamente i fianchi dell’aereo, che stava sorvolando il Pacifico. Con lo sguardo perso in quelle candide forme impalpabili, Yoshiko stava rannicchiata nel sedile accanto al finestrino, avvolta dalla coperta, che l’assistente di volo le aveva gentilmente fornito, per ripararsi dal freddo dell’alta quota.

Aveva sognato quel viaggio dal momento in cui si era trasferita a New York, tre anni prima. Non riusciva più a sopportare di vivere negli USA, quindi, spinta da una determinazione che credeva di non possedere, comunicò ai suoi genitori l’intenzione di tornare a vivere in Giappone anche senza di loro. All’inizio i Fujisawa rimasero a dir poco perplessi, perché tutto si aspettavano, fuorché una simile intenzione da parte della loro docile figlia.

Sua madre sapeva perché o meglio, per chi, Yoshiko volesse tornare in patria, anche se le sembrava impossibile che dopo lungo tempo il suo cuore battesse ancora per quel ragazzino. Suo padre, dopo qualche esitazione, si rese conto che la sua richiesta non era un semplice capriccio, d'altronde era chiaro che Yoshiko avesse lasciato qualcosa di veramente importante a Furano. Lo dicevano le sue giornate passate a piangere appena trasferitasi, i suoi sospiri e i suoi occhi lucidi ogni volta che si parlava della vita trascorsa in Giappone. La madre era molto scettica e preoccupata, ma era ovvio che neanche un loro rifiuto l’avrebbe piegata, questa volta.

Yoshiko era cresciuta e quell’amore era maturato con lei.

Non avevano aperto inutili discussioni, poiché la coppia conosceva bene la propria figlia e sapeva di avere di fronte una ragazza matura e coscienziosa.

- Yoshiko, io sono pronto anche a darti la luna, questo lo sai tesoro mio, ma voglio sapere perché vuoi tornare in Giappone?- chiese serio il padre.

La ragazza prese un lungo respiro, tanto valeva essere sincera, i suoi genitori l’avevano sempre trattata con amore e non le avevano mai fatto mancare nulla, quindi era doveroso che fosse corretta nei loro confronti.

- Papà, io credo che tu e la mamma possiate capirmi. Sapete bene cosa si prova a stare separati, a vivere lontani l’uno dall’altra, perché a causa del tuo lavoro tu eri spesso all’estero.- forse, quell’ultima frase poteva suonare come un’accusa.- Credimi, so quanto ti sia costato e apprezzo che tu abbia fatto tutto questo anche per me. Ora sono contenta che voi due abbiate la possibilità di stare insieme, ma la mia vita non è qui. Io ho tutto quello che il mio cuore desidera in Giappone: i miei luoghi, i miei amici e…- sì, lo avrebbe confessato-…l’amore.-

- Matsuyama è così importante per te?-

Sentì un tuffo al cuore e si voltò a guardare la madre: lei lo sapeva, probabilmente li aveva visti all’aeroporto, quando lui era corso da lei per un ultimo abbraccio.

Abbassò lo sguardo, ma fu solo un breve istante, poi decisa fissò negli occhi entrambi i genitori.

- Sì, lo è.- affermò, senza esitazione.

Il signor Fujisawa cercò di non esternare la tristezza che quella rivelazione, sebbene prevista, gli aveva provocato. Yoshiko non era più la sua piccola principessina, era cresciuta e si era innamorata, era più che normale.

- Yoshiko, io posso anche darti il permesso e metterti a disposizione…- proseguì il padre.

- No, papà, non sono i soldi che voglio. Devo cavarmela da sola. Mi basta solo sapere che voi sarete felici per me.- lo interruppe, accennando un sorriso.

Era stato più che sufficiente, per capire che la decisione era presa. Dopo aver riflettuto a lungo su ciò che era più giusto, alla fine, entrambi i genitori compresero che, ormai, la loro colombella era pronta per abbandonare il nido.

Così era partita, dopo essersi conquistata il loro consenso, con una carico di sogni e speranze.

Dal momento che era salita sull’aereo, però, la paura aveva preso il sopravvento. L’attanagliavano mille dubbi e incertezze su come sarebbe stato il primo incontro con Matsuyama, dove avrebbe vissuto, se sarebbe riuscita a trovare un lavoro per mantenersi. In realtà, il pensiero che più la occupava, era il timore che i sentimenti di lui non fossero più gli stessi. La sua e-mail di risposta era stata dolcissima, ma ripensando a come era stato impacciato quando si erano visti durante il torneo in America, i dubbi ricominciavano a farsi strada. Forse lui non era così innamorato come diceva di essere o piuttosto lei non lo metteva a suo agio o magari…non era attraente a sufficienza. Con un gesto repentino, si alzò dal sedile e si diresse alla toilette. Dentro quell’angusto abitacolo, iniziò a rimirarsi allo specchio cambiando angolatura, quasi per studiare il suo profilo migliore, prese i capelli e li tirò su, per provare se stesse meglio con una pettinatura raccolta. Fece una smorfia e si appoggiò al lavandino, sbuffando. Perché era così nervosa? Dov’era finita tutta la determinazione che aveva mostrato di fronte ai suoi genitori?

Tornò al suo posto e si appoggiò con la nuca al poggiatesta, sospirando e quando si voltò verso il finestrino, notò che l’isola di Hokkaido si stava materializzando di fronte ai suoi occhi. Scrutò l’orologio da polso e sentì il cuore che accelerava: l’atterraggio sarebbe avvenuto entro breve. Chissà se Matsuyama era all’aeroporto che l’aspettava. Era di nuovo in ansia, anche se sapeva che era stupido avere un simile dubbio, ma c’era un altro pensiero che la martellava: lui era diventato un uomo, lo aveva constatato, vedendo la sua foto più recente ai campionati nazionali e attraverso quel semplice pezzo di carta, aveva sentito un’emozione nuova e inquietante. Chissà quante ragazze gli correvano dietro? E chissà cosa ne pensava lui?

La voce dell’assistente di volo, che annunciava l’atterraggio, la risvegliò; allacciò le cinture di sicurezza e chiuse gli occhi, concentrandosi sul respiro per cercare di rilassarsi, anche se le tempie le pulsavano al ritmo del cuore e lo stomaco le doleva per l’emozione.

Matsuyama stava all’uscita degli arrivi internazionali, tra la folla di gente che attendeva qualche parente e guide turistiche con buffi segni di riconoscimento per i visitatori. Guardava insistentemente l’orologio sul tabellone, come se, con un potere occulto, volesse far volare i minuti, che lo separavano da lei. Era agitatissimo, anche se cercava di non darlo a vedere.

Prima di uscire da casa, aveva cercato di rilassarsi con un bagno caldo e per qualche minuto era rimasto a crogiolarsi nel tepore del liquido, poi la sua testa ricominciò a formulare le stesse domande che si ripeteva da tempo: se sarebbe stato capace di rendere felice Yoshiko e se lei avrebbe accettato la sua proposta. Si girò verso la porta del bagno, figurandosi mentalmente la sagoma del letto matrimoniale, che aveva acquistato da poco nel negozio di seconda mano. Divenne improvvisamente rosso, quando la sua mente iniziò a fantasticare sul probabile utilizzo di quel mobile.

Terminato il bagno, scelse, con una cura quasi maniacale, i vestiti, che indossò dopo essersi spruzzato un’abbondante quantità di profumo. Infilò il cappotto blu e uscì. Il freddo di Sapporo era pungente, ma le sue guance, accaldate dall’emozione, non accusavano le sferzate del vento gelato del nord. Prese il treno e arrivò alla mezzaluna del Chitose Airport dopo una quarantina di minuti, in cui le sue paure avevano continuato ad assillarlo. Temeva di non essere all’altezza della situazione: non voleva assolutamente deludere le aspettative di Yoshiko, non ora che stava per riaverla. Già riaverla. In realtà, non l’aveva mai avuta, non completamente e anche questo lo preoccupava abbastanza.

Mentre i minuti scorrevano lenti, guardò la sua mano destra che stringeva un fascio di rose blu. Certo che se fossero state rosse, sarebbe stato più romantico, ma ricordava benissimo quanto la sua Yoshiko amasse molto quel colore, pur sapendolo finto. Si accostò il mazzo al viso, per osservare meglio quell’artificio, che aveva mutato le rose da bianche al color del mare e pensò con malinconia, quanto il loro amore inespresso fosse insolito, ma tuttavia bellissimo, proprio come il colore di quei fiori. L’altoparlante annunciò l’atterraggio del volo e Matsuyama si mise in attesa, sapeva che tra lo sbarco e il ritiro dei bagagli ci sarebbero voluti altri venti minuti prima che potesse vederla uscire. Il suo cuore iniziò a pulsare a ritmo sempre più elevato, mano a mano che il tempo scorreva.

Yoshiko era appena sbarcata e stava già dirigendosi verso il nastro trasportatore, sperando di veder comparire subito il suo bagaglio. Appena lo trovò, lo agguantò velocemente e si preparò il passaporto in mano per mostrarlo ai doganieri. Terminate tutte le noiose operazioni di sbarco, si avviò all’uscita, ma quando vide le porte scorrevoli si arrestò sentendo un senso di oppressione al petto. L’ansia aveva preso possesso del suo intero essere, il volto era in fiamme e le gambe le tremavano. Deglutì e cercando di riprendersi, riafferrò il manico del trolley e proseguì con decisione.

Le porte si aprirono e finalmente tutta l’ansia e la paura, per entrambi, svanirono non appena i loro sorrisi s’incontrarono. Lui le corse incontro e la strinse talmente forte da farle quasi male, mentre il corpo di lei si rilassava e quel senso di angoscia svaniva nelle lacrime di gioia, che le solcavano il viso.

- Finalmente amore mio, sei tornata.- le sussurrò.

- Non resistevo più, lontana da te.- ammise singhiozzando e aggrappandosi ancora più forte a lui, per timore di non riuscire più a reggere l’emozione, che le stava facendo esplodere il petto.

Rimasero uniti in quel dolce abbraccio, durante il quale Yoshiko dette sfogo a quel pianto liberatorio, mentre lui le accarezzava i capelli.

- Sshhi, siamo insieme adesso, non devi più piangere.- le ripeteva, baciandole il capo.

Quando si fu calmata si staccò da lui per guardarlo negli occhi, dove poteva leggere le stesse emozioni che stava provando lei. Le era bastato un unico sguardo, quel sorriso disarmante, a farle capire quanto stupide fossero le sue paure. Anche Hikaru si diede dell’imbecille per aver dubitato, lei era lì per lui, aveva pianto per lui tra le sue braccia.

Improvvisamente si ricordò del mazzo tra le sue mani e glielo porse.

- Sono stupende, adoro le rose blu.- sorrise, accostando il fascio di fiori al viso, per sentirne il profumo.

- Lo so.- rispose dolcemente.

Gli rivolse un sorriso radioso, gli occhi lucidi che stavano per cedere nuovamente alle lacrime e si avvicinò per baciarlo. Hikaru rispose a quel bacio delicato con trasporto, ma si arrestò subito, memore di essere bersaglio di sguardi indiscreti. La prese per mano e accollandosi il trolley, si diressero verso la stazione sotterranea di Chitose.

Quando Yoshiko entrò nell’appartamento, rimase sbalordita dalla pulizia e l’ordine che vi regnavano.

- Dì la verità, ti sei dato da fare prima del mio arrivo?- disse ridendo.

Quel suono gli faceva bene al cuore, quanto era bella la sua ragazza con quel sorriso radioso dipinto sul viso. Si grattò la testa imbarazzato, poiché lei aveva capito quanto in realtà fosse disordinato solo dal modo in cui lanciava distrattamente gli asciugamani e gli scarpini durante gli allenamenti.

Lo sguardo di Yoshiko, che stava studiando quel piccolo ambiente, si spostò dalla scrivania col portatile, all’armadio, al letto a due piazze. Hikaru si trattava bene, un letto così grande per una persona sola, pensò sorridendo.

Uno sbadiglio le uscì spontaneo, era stanchissima: oltre al viaggio aereo di 19 ore, durante il quale non era riuscita minimamente a riposare, non aveva dormito bene la sera precedente, spaventata da quei fantasmi, che ora le sembravano così insulsi. Si sedette mollemente sul bordo del letto e gli rivolse un’espressione dolcissima.

Hikaru la guardava appoggiato all’arco che divideva la camera dal cucinino, anche lui sorrideva. Il cuore riprese a battergli forte quando Yoshiko si svestì del pesante piumino, rivelando una maglia aderente e una minigonna, abbastanza corta, e si lasciò andare, sdraiandosi sul materasso. Avrebbe voluto sdraiarsi accanto a lei e attirarla a sé per sfogare quel sentimento che avevano represso a lungo, ma si trattenne, temendo che tanto ardore fosse mal accolto. Le si sedette di fianco e constatò che i suoi bellissimi occhi stavano cedendo al sonno.

- Sei stanca?- le accarezzò delicatamente una guancia.

Lei annuì sorridendo, ora che era più tranquilla e il suo corpo riusciva a rilassarsi, chiuse gli occhi per un agognato riposo.

- Dormi amore, non preoccuparti.- sospirò, un po’ deluso. Si era immaginato quei momenti in una maniera leggermente diversa, ma nonostante tutto capiva quanto la poverina potesse essere spossata dalla traversata che aveva fatto per raggiungerlo. Sì, lei era lì con lui, per lui e non sarebbe più andata via, non lo avrebbe permesso. Le posò un bacio sulla fronte e le augurò un buon riposo, ricevendo in risposta un mugolio soddisfatto.

Mentre Yoshiko dormiva beata, Hikaru stava tentando di concentrarsi sui libri. Anche se era il fine settimana, ne voleva approfittare per studiare un pochino in vista degli esami, ma istintivamente si voltava ogni secondo a guardarla, come se temesse che svanisse da un momento all’altro. Quando il suo sguardo si posava su di lei, non poteva fare a meno di notare le gambe ben tornite lasciate scoperte quasi per intero dalla minigonna, le curve del seno strette in quella maglietta aderente e il suo cuore pulsava velocemente per l’eccitazione. Si tolse il maglione, perché il riscaldamento lo stava facendo andare a fuoco o, almeno, pensava che fosse quello il motivo e cercò di riprendere la lettura di quella traduzione dal giapponese antico.

Un mugolio lo richiamò, si stava svegliando. Indugiò ancora un secondo a guardare il suo corpo dalle forme armoniche, per poi spostarsi sul bel viso, le sue labbra curvate in un sorriso dolce, ma al tempo stesso ammaliante.

- Hikaru…- sospirò, ancora tra il sonno e la veglia.

Si precipitò accanto a lei, lanciando distrattamente il libro che teneva in mano. Le si sedette accanto e le prese una mano per accarezzargliela.

Aprì gli occhi, felice di constatare che non stava sognando, che era proprio lì, in casa del suo amato Matsuyama, che ora era chino su di lei con lo sguardo più dolce del mondo. Stese un braccio per accarezzargli il viso e lui rispose a quel gesto chiudendo gli occhi come in estasi e strofinando la guancia contro la mano calda di lei, prima di posarvi un bacio.

Ad un tratto, Yoshiko notò che Hikaru era a torso nudo e si sentì alquanto imbarazzata, dal magnetismo con il quale, gli addominali e i pettorali scolpiti di lui attraevano i suoi occhi. Sentì il fiato corto e le guance in fiamme, si alzò di scatto, cercando di distogliere lo sguardo, che non ne voleva sapere di allontanarsi da quel corpo cesellato, come una statua di Canova.

- Forse, dovrei cercare un albergo dove…-

- Albergo?!- la interruppe.- Io credevo che rimanessi qui.- disse, sconsolato.

Lei diventò viola dalla vergogna, anche se quel pensiero, pur imbarazzante, la allettava e non poco.

- E va bene.- disse con fare malizioso.- Allora visto che è così gentile, non le dispiacerà se vado a farmi una doccia.- e gli strizzò l’occhio.

- Ma, prego.- rispose divertito, spalancando la porta della toilette come un perfetto maggiordomo.

Lei rise ed gli diede un buffetto sulla guancia prima di entrare, ma non appena ebbe varcato la soglia si sentì tirare per un braccio e, prima ancora che se ne rendesse conto, era stretta tra le sue braccia in un bacio appassionato.

- Ben tornata, amore mio.- le sussurrò ansimante.

La doccia era proprio ciò che ci voleva, per allontanare definitivamente il torpore e riprendersi da quelle interminabili ore in aereo. Che stupida era stata, aveva perso il sonno dietro inutili paure, quando il ritorno non poteva essere più piacevole. Hikaru l’amava, lo aveva capito da quel bacio intenso che le aveva appena dato. Voleva che dormisse lì da lui, almeno per quella notte. Dubitava che le vere intenzioni di Hikaru fossero quelle di assopirsi placidamente, l’uno accanto all’altra, ma l’idea non la spaventava per niente, anzi il desiderio di lui era forte, soprattutto dopo averlo visto mezzo nudo.

Hikaru non riusciva a pensare ad altro, che a quello che sarebbe potuto succedere quella sera. Lo desiderava moltissimo, ma non voleva rovinare quell’incontro tanto atteso, con l’irruenza dei suoi ormoni in tempesta. Doveva dirle ciò che aveva in mente di fare, prima di pensare a bruciare le tappe.

Lo scroscio della doccia si acquietò e Hikaru si accostò alla porta, per chiederle, se avesse bisogno di qualcosa.

- No, grazie.- rispose, mentre si avvolgeva il misero asciugamano attorno al corpo.

- Sai, amore.- disse schiarendosi la voce.- Pensavo che, sarebbe bello se tu…- esitò un secondo, anche se, la porta che li divideva, gli dava più sicurezza.- …volessi vivere con me.- sparò tutto d’un fiato.

Non udì alcuna risposta, solo la porta che si spalancava e Yoshiko che lo guardava con gli occhi lucidi per la commozione. Le aveva appena proposto una convivenza, lo aveva deciso da tempo.

Che scema, quel letto matrimoniale era per loro, non era una comodità che Hikaru si era concesso.

Rimase imbambolato, vedendola comparire vestita di quel piccolo panno di spugna: le gambe erano scoperte fin quasi all’altezza dell’inguine, le spalle nude, spruzzate dalle gocce, che cadevano dai capelli bagnati, la rendevano terribilmente sensuale.

Ancor prima che potesse reagire, gli buttò le braccia al collo e lo baciò con passione. Hikaru la prese in braccio, senza staccare le labbra da lei e la fece sdraiare sul letto, ma si arrestò, compiendo lo sforzo straordinario di controllarsi, perché non voleva rovinare tutto. Si allontanò e rivolse lo sguardo altrove, ma a quel punto, fu lei a prendere l’iniziativa. Iniziò a baciargli il collo, assaggiando la sua pelle con fare sensuale e strusciandosi addosso a lui, come una gattina che fa le fusa. La guardò cercando di capire le sue intenzioni e lei, sorridendo, si alzò in piedi e fece scivolare a terra l’asciugamano, mostrandogli completamente le sue grazie.

Hikaru la trascinò nuovamente sul letto e la baciò con passione, disseminando il suo corpo di carezze ardenti, mentre lei lo spogliava.

Si unirono in una danza d’amore vero, puro e agognato.

No more lonely nights
No more lonely nights

- Mi sei mancata tanto.- ripeteva ansimante.

You’re my guiding light
Day or night I’m always there

I loro gemiti e i loro sospiri erano l’ambito sfogo per quel sentimento meraviglioso, che ora era libero di esprimersi attraverso le loro anime, unite in un unico corpo.

May I never miss the thrill of being near you

Hikaru appoggiato allo schienale, la teneva stretta a sé come fosse un oggetto prezioso. Yoshiko, godendo del contatto con le sue mani che le carezzavano la guancia e i capelli, si strinse ancora di più a lui.

Sospirò felice per quell’atto d’amore che li aveva visti protagonisti, mentre con le dita delineava i muscoli dell’addome di lui. Il profumo della sua pelle la inebriava e si soffermò a pensare che da quel momento, tutto questo sarebbe stato nelle sue mani. Non era più distante chilometri oltre oceano, era tra le braccia del suo grande amore a cui aveva appena donato se stessa. Non ne era pentita, anzi era felice perché attraverso il linguaggio del corpo aveva compreso, una volta di più, quanto grande fosse il sentimento che li univa.

Hikaru si sentiva soddisfatto, strano, ma felice. Aveva scoperto nuovamente l’amore, accanto all’unica ragazza che avesse mai desiderato. La rimirò per alcuni istanti, le posò un bacio sulle labbra e le sorrise, poi ritornò improvvisamente serio:- Amore, non mi hai risposto prima. Vuoi convivere con me oppure no?- domandò, un pò agitato.

Lei si alzò per guardarlo negli occhi e sbattendo le ciglia gli disse: - Non mi dire, che la mia risposta non è stata chiara.- .Vedendo l’espressione sconcertata di lui, scoppiò a ridere:- Sei sempre il solito tontolone. Certo, che voglio vivere con te!- e gli stampò un bacio sulle labbra, prima di stringersi nuovamente a lui.

- Ti amo, Hikaru.-

- Anch’io amore, non immagini quanto.-

No more lonely nights
Never be another
No more lonely nights
You’re my guiding light
Day or night I’m always there
And I wont go away until you tell me so
No Ill never go away*

* Parole tratte dalla canzone “No more lonely nights” di Paul McCartney.

Eccomi a voi, con questo nuovo capitolo dedicato alla mia coppia preferita.

Ringrazio tutte le persone che stanno leggendo questa storia, grazie veramente a tutti.

Scandros: grazie per le tue belle recensioni, sai che per me un complimento da parte tua è molto gratificante.

Only Hope: il tuo sostegno mi incoraggia molto, grazie per le belle parole e per la piacevole compagnia che mi regali.

DolceBarbara: sei stata un fulmine, ad ogni capitolo una recensione, sei veramente dolce come dice il tuo nickname.

Mi scuso con chi ho dimenticato, ma che mi sostiene sempre.

Un bacione a tutti

Sara



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Capitolo 8
*** La scelta ***


Capitolo 8

La scelta

L’aria dell’assolato mattino invernale era talmente fresca da spingerlo ad indugiare un minuto di più sotto il tepore delle coperte, tanto da riaddormentarsi nuovamente. Coccolato da dolcissimi sogni, Jun non si rese nemmeno conto che una leggiadra figura era entrata nella sua stanza per adagiarsi accanto a lui. Aveva il volto sereno e la ragazza si chiese cosa stesse sognando.

- Yayoi…- sospirò.

Neanche il sonno, quando il corpo riposava e la mente viaggiava liberamente in quel mondo fatto di speranze, riusciva a tenerli lontani. Istintivamente cercò la mano di lui per stringerla tra le sue e quel contatto, seppur delicato, riportò Jun dal mondo onirico. Schiuse gli occhi ancora assonnati e la vide di fronte a sé, come una figura celestiale.

- Sto ancora sognando?- le sorrise dolcemente.

Yayoi si chinò, per sfiorargli le labbra con un bacio.

- Allora è un bel sogno.- bisbigliò sulla sua bocca.

La prese tra le braccia e la strinse a sé, per donarle un altro bacio. Quando iniziò ad abbassarsi per baciarle il collo, Yayoi sussultò.

- Jun tua madre è in casa, non credo sia il caso.- disse, ridendo.

Il ragazzo sbuffò, forse era giunto il momento di alzarsi da quel letto e iniziare la giornata.

Erano usciti velocemente, per precipitarsi all’aeroporto di Narita. Jun guidava la sua Corvette per le strade di Tokyo, con una disinvoltura non comune per un neopatentato.

- Siamo in ritardo?- chiese mortificato, dato che sarebbe stato principalmente per colpa sua.

- No, l’aereo di Yoshiko dovrebbe arrivare fra una mezz’ora.- rispose, eccitata al solo pensiero di rivedere l’amica dopo tre anni.

- Non capisco perché non sia venuto anche Matsuyama, mi avrebbe fato piacere vederlo.-

- Perché Sanae è da sola e non ci sembrava il caso farle reggere il moccolo.- rispose paziente all’ingenuità del ragazzo.

- Tsubasa non si è più fatto vivo, allora?-

Yayoi scosse la testa, rabbuiandosi improvvisamente, non poteva concepire che quel bimbo dolcissimo che aveva conosciuto fosse divenuto così insensibile. No, evidentemente il silenzio di Tsubasa nascondeva qualcosa, anche se non riusciva a spiegarsi un comportamento simile. Jun notò quel cambiamento di umore e lasciò la leva del cambio, per prendere la manina di Yayoi e portarsela alle labbra. Lo sguardo di lei si illuminò, mentre lui le rivolgeva un sorriso da mozzare il fiato. Jun era veramente il principe del calcio e ogni giorno ringraziava il destino, che le aveva permesso di essere la sua principessa.

Era talmente innamorato di lei, che non poteva nemmeno immaginare di passare la vita senza la calda presenza della sua Yayoi. La ragazza che sembrava così fragile alle elementari gli era stata vicina con una forza d’animo tale da prendere per mano lui, il campione dal cuore di vetro, per portarlo sulla via della guarigione. Lei gli aveva restituito i suoi sogni e gliene aveva regalato di nuovi, quando aveva compreso il sentimento forte che li legava.

Arrivarono all’aeroporto in anticipo, così da avere il tempo di attendere con calma, finché non venne annunciato l’atterraggio del volo di Yoshiko. Poco dopo, la videro uscire con in mano un borsone e cercarono di richiamare la sua attenzione per farsi raggiungere. La ragazza si precipitò verso Yayoi, che l’attendeva a braccia aperte.

- Oh, Yoshi finalmente! Com’è andato il viaggio, tutto bene?-

- Sì, tranne il piccolo brivido della partenza. A Sapporo c’è un tempo pessimo, al principio ho temuto che cancellassero il volo.-

Scambiò i dovuti convenevoli con Misugi, che naturalmente non mancò di chiedere notizie del suo compagno nazionale.

- Hikaru sta bene, anche se siamo impegnatissimi a prepararci per l’esame.-

Si diressero verso l’uscita, perché era il momento di andare a prendere Sanae alla stazione ferroviaria. Durante il tragitto Yayoi e Yoshiko parlarono per lo più dei loro ragazzi, dato che avrebbero evitato volentieri l’argomento, una volta che Sanae si fosse unita a loro. Naturalmente, Yoshiko non mancò di raccontare la bella novità ai suoi amici.

- Convivete?!- fu il coro stupito dei due.

Annuì, arrossendo vistosamente. Yayoi si allungò verso il sedile posteriore, per cercare di abbracciarla.

- Sono contentissima per te, tesoro. Devi essere al settimo cielo?- esclamò Yayoi, ancora incredula.

- Sì, lo sono, non avrei mai sperato che tutto accadesse così in fretta.- sorrise radiosa.

Misugi rise, cercando di figurarsi la wild eagle, mentre chiedeva una cosa tanto importante alla propria ragazza, dopo tre anni di separazione, ma poteva comprendere i motivi, che avevano spinto il suo amico ad accelerare i tempi in quel modo. Spesso lo aveva visto con lo sguardo perso nel vuoto e si ricordava bene dei momenti in cui criticava Tsubasa per la sua scarsa decisione con Sanae, prevedendo che una volta lontano si sarebbe pentito di non essersi dichiarato. Anche lui avrebbe agito come Hikaru, se avesse dovuto stare lontano a lungo dalla sua principessa. Si girò a guardarla, mentre sorridente parlava con Yoshiko.

Sanae scese dal treno e si avviò all’uscita, dove trovò le sue amiche ad attenderla.

- Ciao ragazze, che bello rivedervi! Come state?- chiese sorridente. Sembrava serena, come se nulla più la turbasse. Il suo sguardo si posò su Misugi, cui rivolse un sorriso forzato, la sua sola presenza le ricordava Tsubasa. Jun se ne accorse e cercò di buttarla sullo scherzo.

- Io sono qui solo come autista, poi prometto di sparire.-

Sanae si vergognò di essere stata così cristallina e poco cortese, in fondo lui non aveva nessuna colpa.

Una volta arrivate a casa di Yayoi, trovarono un ottimo pranzo che le attendeva e i genitori di lei in visibilio nel poter rivedere le due ragazze, che non vedevano dai tempi in cui la loro figlia frequentava l’asilo. Dopo pranzo uscirono e andarono in giro al centro commerciale, dove si divertirono a provare abiti e scarpe, fare sfide al karaoke e alla fine esauste si sedettero in una caffetteria.

- Ragazze che giornata, sono proprio contenta di stare qui con voi.- disse soddisfatta Sanae.

Yoshiko e Yayoi le risposero con un sorriso, era bello rivederla serena. Immaginavano che in quei tre anni avesse pianto parecchio, ma ora sembrava tornata quella di un tempo, forse c’era qualche bella novità di cui loro non sapevano.

- Senti Yoshiko, come va con Matsuyama?- chiese Sanae, spiazzandole totalmente. Yoshiko arrossì imbarazzata, non sapendo cosa rispondere. Sia lei che Yayoi avevano accuratamente evitato determinati discorsi per non costringerla a rivangare brutti ricordi, ma adesso non sapeva come destreggiarsi di fronte ad una domanda così diretta.

- Ecco…noi…stiamo…convivendo- disse in tono sommesso, quasi che temesse di rivelare la gioia che stava vivendo. Sanae strabuzzò gli occhi, incredula e prese le mani dell’amica tra le sue.

- Ma è meraviglioso! Non sei felice?- Il volto di Sanae era disteso in un luminoso sorriso, entrambe le sue amiche notarono con sollievo, ma anche con curiosità il suo atteggiamento. Era sincera, non era una manifestazione di circostanza la sua. Decisamente, doveva essere capitato qualcosa alla loro amica.

La sera dopo cena, mentre Sanae era chiusa in bagno, Yoshiko e Yayoi parlarono dell’insolito comportamento dell’amica.

- Secondo te è successo qualcosa con Tsubasa, Yayoi?-

Ci rifletté qualche istante, ma poi scosse la testa, pensando che una notizia tanto importante l’avrebbero saputa subito.

- Ne dubito Yoshi, è talmente innamorata di lui, che se fosse successo qualcosa, ce lo avrebbe gridato uscendo dal treno.- si voltò in direzione dello specchio, per afferrare la spazzola e pettinare i suoi lunghi capelli rossicci.

– Certo che da Tsubasa proprio non me l’aspettavo, come ha fatto a partire ignorando così i sentimenti di Sanae?- non riusciva proprio ad accettare che il suo amico fosse stato così insensibile.

Yoshiko raccolse le ginocchia al petto, sospirando.

- Non essere così severa con lui, Yayoi. Io credo che Tsubasa volesse lasciarla libera, di avere una storia d’amore normale. Ti assicuro, vivere lontani da chi si ama, è una sofferenza enorme.- disse con gli occhi persi nel vuoto; al solo ricordo di quello che aveva passato stando a New York, la tristezza di quei giorni ritornava a tormentarla.

- Tu, però, ti sei dichiarata con l’hachimaki prima di andartene, sei stata molto coraggiosa.- rispose risoluta.

- Non sopravvalutarmi Yayoi, l’ho fatto quasi inconsciamente, non sapevo cosa realmente Hikaru provasse per me e ho ricamato quella frase, pensando che probabilmente non ci avrebbe nemmeno fatto caso.- Era sincera, non confidava che lui avrebbe notato quella minuscola scritta quasi invisibile.

- E poi te lo sei ritrovato in aeroporto, pronto a dichiararti il suo amore. Quel pazzo ha anche rincorso un taxi per te.- disse ridendo.

Yoshiko prese il cuscino e ci affondò il viso che stava arrossendo, era vero, quanto amore le aveva dimostrato con quel gesto. Ripensando a quei momenti, che per lei erano stati tristi, sorrise felice, perché ora stava con lui.

La porta del bagno si aprì e Sanae uscì con indosso il pigiama, pronta per la notte.

- Yoshiko, perché sei così rossa? Di che stavate parlando?- chiese, vedendo l’amica paonazza.

Yayoi e Yoshiko si guardarono, incerte su cosa rispondere.

- Scommetto che parlavate di voi e i vostri ragazzi.- disse accennando un sorriso: i loro volti erano fin troppo eloquenti.

- Ragazze, è tutto il giorno che evitate l’argomento. Non dovete preoccuparvi per me, sul serio. Mi è passata ormai, non sentitevi in colpa se siete felici con le persone che amate.-

- Cosa significa, che ti è passata?- chiese Yayoi sospettosa.

- Significa che con Tsubasa ho chiuso, per me è diventato un amico, anzi meno di un amico, visto il modo villano in cui se n’è andato, senza neanche salutare.- sentenziò risoluta.

Yoshiko rivolse uno sguardo preoccupato a Yayoi, che la stava rimirando incredula dopo ciò che aveva sentito.

- Ma…ma...ne sei sicura?- domandò Yayoi, esitante.

- Ne sono certa.- disse glaciale, ma con lo sguardo altrove.

Il suono del telefono spezzò la tensione, che aleggiava nell’aria. Yayoi si avvicinò al cordless sulla scrivania e rispose.

- Pronto, qui Aoba con chi parlo?-

- Ciao, sono Shiratori, vorrei parlare con Sanae.- rispose la voce metallica al telefono.

Yayoi rimase imbambolata per alcuni istanti, chi diavolo aveva dato a quel pallone gonfiato il suo numero di casa?

- Chi è Yayoi?- chiese Sanae.

La ragazza le porse la cornetta.

- E’ per te, è Shiratori.-

Sanae divenne rossa e prese l’apparecchio, uscendo dalla stanza per andare in un luogo più appartato.

Yoshiko osservò le due amiche senza comprendere cosa stesse succedendo.

- Chi è Shiratori?- chiese, dopo che Sanae era uscita.

- Il nuovo capitano della Nankatsu. Yosuke Shiratori.- rispose infastidita Yayoi. Lo aveva conosciuto, durante il campionato nazionale dello scorso anno e le aveva suscitato un’antipatia istantanea con quel suo modo di fare borioso ed esibizionista. Ricordava con amarezza, come quell’idiota si fosse messo a sfottere la Musashi, dopo averla eliminata con un unico gol, su rigore inesistente e le venne spontaneo pensare, che Tsubasa non si sarebbe mai sognato di assumere un simile atteggiamento: no, lui era molto corretto.

- Non mi dire che…- Yoshiko stava iniziando ad intuire qualcosa dello strano atteggiamento di Sanae.

- Spero proprio di no.- Non le era sfuggito nemmeno, come Shiratori stesse tentando di accaparrarsi tutto ciò che fosse di Tsubasa e purtroppo Sanae non faceva eccezione.

Dopo dieci minuti Sanae rientrò nella stanza e si accorse subito di quattro occhi puntati su di lei. Prima ancora di avere il tempo di aprir bocca, Yayoi le chiese a bruciapelo una spiegazione.

- Che vuole da te Shiratori?-

- Voleva solo sentirmi, è naturale dal momento che lui…- esitò qualche istante - …è il mio ragazzo.-

- Coooosa?- fu il coro delle due amiche.

- Che c’è vi dispiace?- domandò contrariata dalla loro reazione.

Yoshiko non sapeva come rispondere, in effetti un po’ le dispiaceva, perché aveva sempre immaginato che la sua amica avrebbe amato solo ed esclusivamente Tsubasa, per tutta la vita.

Yayoi si sentiva come se l’avesse trapassata un fulmine, non riusciva nemmeno ad elaborare ciò che aveva appena udito. Per lei era impossibile riuscire a concepire Sanae senza Tsubasa, ma, soprattutto, non poteva credere che la sua cara amica fosse caduta nella rete di quell’essere meschino. Com’era possibile, che la sua amica avesse accettato la corte di un tipo, tanto diverso dal suo amico d’infanzia?

- So a cosa state pensando e vi informo che il vostro caro capitano non si è più fatto vivo con me, non voglio invecchiare aspettando qualcosa, che non accadrà mai.- esclamò piccata e detto questo, si sdraiò sul futon che Yayoi aveva preparato per lei e si girò dall’altra parte per nascondere le lacrime, che le stavano uscendo dagli occhi.

Le due amiche si guardarono sconvolte. “Il vostro capitano”, Sanae aveva preso le distanze da Tsubasa, lo voleva cancellare dalla sua vita. Yoshiko scosse la testa e fece un gesto con la mano a Yayoi, che non voleva lasciare il discorso a metà a quel modo. La rossa si acquietò e imitò l’amica che si stava infilando sotto le coperte.

Sanae era nascosta sotto il piumino con la mano sulla bocca, per non lasciarsi scappare dei singhiozzi. Le lacrime scorrevano come un fiume in piena sulle sue guance, le parole che aveva detto le pesavano come macigni, ma ormai aveva fatto la sua scelta e doveva portarla fino in fondo, doveva imparare ad odiare Tsubasa, altrimenti non avrebbe avuto più via d’uscita.

Dall’altra parte del mondo, Tsubasa stava svolgendo i suoi allenamenti con il San Paolo, con il cuore molto più leggero, sapeva cosa doveva fare e il fatto di essersi deciso lo rendeva più sereno.

Correva felice sul campo, affiancato da Pepe che con la palla al piede stava progredendo verso la porta. Entrati nell’area, il giovane brasiliano gli fece un passaggio pennellato e con una sforbiciata Tsubasa lanciò la sfera in porta, lasciando il portiere di sasso.

Pepe si avvicinò a lui per dargli il cinque, ma un battito di mani a bordo campo li fece voltare entrambi. Tsubasa riconobbe subito l’uomo ben vestito e con gli occhiali da sole, che lo stava applaudendo.

- Signor Katagiri!- lo salutò con il braccio alzato e corse nella sua direzione.

- La fase preliminare delle eliminatorie asiatiche?- domandò sorpreso.

- Sì, stiamo già organizzando il torneo e, ovviamente, tu non puoi mancare. Sarai convocato per l’inizio di maggio.- spiegò Katagiri, sorseggiando il suo caffè.

Tsubasa sorrise felice, quella convocazione era un ennesimo segno dal cielo. Sarebbe tornato in Giappone, sarebbe tornato da lei, per dirle tutto ciò, che aveva gelosamente tenuto in fondo al cuore.

Ringraziò Katagiri, che era andato lì a San Paolo appositamente per avvertirlo e ringraziò il cielo per quell’occasione propizia, che lo riportava in patria. Euforico, tornò nella sua stanza, per cambiarsi ed andare a cena, ma prima si buttò sul letto con un salto, contento di quanto stava accadendo. Stese una mano sul comodino e afferrò la foto sulla quale aveva versato copiose lacrime in quei tre anni, trascorsi lontano da lei. Come aveva fatto spesso, se la portò alle labbra, ma questa volta era diverso, perché ora era felice.

- Aspettami amore mio, sto arrivando!- esclamò sorridendo.

Erano appena passate le otto, Taro era in cucina, pronto per cenare con il padre, quando lo squillo del telefono lo costrinse a precipitarsi in soggiorno per rispondere.

- Pronto, qui Misaki.-

- Misaki, scusa se ti chiamo a quest’ora.-

Taro cercò di capire con chi stesse parlando al telefono, dal momento che quella voce era assolutamente sconosciuta.

- Sono Yayoi, è stato Jun a darmi il tuo numero.-

La ragazza di Misugi che lo chiamava, era un fatto parecchio strano.

- Ah, ehm, ciao.- rispose imbarazzato, non aveva mai avuto una gran confidenza con lei, inoltre, non poteva immaginare per quale motivo lo stesse chiamando.

- Vedi, Sanae è venuta da me questo fine settimana e l’ho trovata un po’ strana.-

Taro stava iniziando a capire, probabilmente Sanae l’aveva messa al corrente degli ultimi spiacevoli sviluppi.

- Ma davvero, si è messa con Shiratori?- chiese, tutto d’un fiato.

- Purtroppo, sì.- fu l’unica risposta che riuscì a formulare.

Yayoi non parlò, lo sapeva, ma non riusciva a crederci, aveva avuto bisogno dell’ennesima conferma. Sapeva che non la riguardava, ma lei voleva bene a Tsubasa e non riusciva a capire come fosse potuta accadere una cosa simile.

Non udendo risposta, fu lui a riprendere parola.

- E quel che è peggio è che Tsubasa ama alla follia Sanae, ma lei non lo sa, pensa che lui non provi niente nei suoi confronti, ma non è affatto così, anzi...-

- Ma, perché non gliel’ha detto subito allora?- lo interruppe esasperata.

- Yayoi, Tsubasa non è un egoista, non voleva che Sanae dovesse rimanere qui ad attenderlo per chissà quanto, voleva che avesse una vita normale, pensava che i loro sentimenti si sarebbero affievoliti.-

- Invece, non è andata così, vero?- sentenziò lei. Lo sapeva, Tsubasa era sempre il ragazzo dolce e sensibile, che ricordava e chissà quanto male gli aveva provocato un scelta simile.

- Quelli di Sanae non erano così forti. Credimi, Yayoi è da due settimane che lei si è messa con Shiratori e io non ho ancora avuto il coraggio di dirlo a Tsubasa, ho paura di dargli questo dolore.-

rispose sconsolato.

- Non farti ingannare dalle apparenze Misaki. Io e Yoshiko ne abbiamo parlato. Sanae non ama quel tipo, per quanto possa dire di odiare Tsubasa, i suoi occhi dicono un’altra cosa.- Yayoi sapeva bene che Sanae stava solo fingendo di essere felice e temeva che, presto, quella farsa si sarebbe ritorta contro di lei. Anche Yoshiko aveva capito che Sanae aveva detto determinate cose con la bocca, ma non con il cuore.

- Non dirlo a Tsubasa, Misaki. Non è il caso di farlo soffrire inutilmente. Credimi, questa storia non durerà molto.- disse decisa.

- Lo spero, da quanto ho sentito stanno già organizzando le eliminatorie asiatiche e Tsubasa tornerà sicuramente.-

- Abbi fiducia.- cercò di infondergli un po’ d’ottimismo. - Grazie, Misaki e scusa se mi sono impicciata. Salutami Tsubasa, quando lo senti.- aggiunse, prima di chiudere la comunicazione.

- Certo Yayoi, non mancherò, salutami tanto Misugi.-

Taro si sentiva alleggerito dopo quella conversazione, in fondo Yayoi e Yoshiko conoscevano Sanae meglio di lui, quindi non potevano sbagliarsi sui sentimenti della loro amica. Non avrebbe detto nulla a Tsubasa, avrebbe seguito il consiglio di Yayoi, sperando che il tempo desse ragione alle due ragazze.

Due brevi righe per ringraziare tutte le persone che stanno seguendo questa FF e le persone che mi scrivono sempre pensieri così dolci e carini nelle recensioni.

Grazie a tutti! Un caro abbraccio

Saretta

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Capitolo 9
*** Improvviso avvicinamento ***


Capitolo 9

Improvviso avvicinamento

Gli animi si stavano già scaldando all’interno del campo, mentre le tifoserie avverse, dimenticandosi che erano lì principalmente per sostenere i giocatori e divertirsi, avevano ingaggiato una lotta verbale interminabile.

La Tatsunami aveva impostato la partita su un modulo 5-4-1, impedendo ogni tentativo di sfondamento agli avversari. Il primo tempo stava per terminare e la Toho non aveva avuto la benché minima occasione di passare in vantaggio. Il mister Kitazume si agitava come un ossesso, puntando le dita qua e là in mezzo al campo, ordinando ai centrocampisti di spingere l’azione in avanti il più possibile. Kasumi stava seduta in panchina, cambiando posizione in continuazione e sospirando, quando la palla riusciva ad arrivare a pochi metri dall’area, scattava in piedi nella speranza che il goal fosse a portata di mano, per poi risedersi sconsolata.

Ad un tratto, su rinvio di Nakanishi, Soda s’involò verso la porta, dove un attento Wakashimazu stava studiando i movimenti dell’avversario. Appena entrato in area, l’attaccante si sistemò la palla e sfoderò il suo famoso Razor Shot, che però non colse affatto impreparato l’abile portiere, che con prontezza bloccò il pallone al petto.

Kasumi scattò in piedi con le braccia alzate.

- Eccezionale! Bravissimo, Wakashimazu!- gridò entusiasta.

Ken si girò verso la panchina e sorrise. Atre ragazze sulle tribune gli lanciavano baci e occhiatine, ma lui non le vedeva nemmeno. Le fece il segno della vittoria, prima di calciare la rimessa, mentre Kojiro, ignorando totalmente le marcatura stretta di Soda, li osservava con i nervi a fior di pelle.

Il primo tempo terminò con un nulla di fatto e i giocatori si diressero alle rispettive panchine. Kasumi andò loro incontro, asciugamani alla mano, superò sorridente Kojiro, cui passò distrattamente una borraccia per avvicinarsi a Wakashimazu, che non le staccava gli occhi di dosso. Gli batté il cinque, guardata a vista da suo fratello, che non stava minimamente prendendo in considerazione i suggerimenti dell’allenatore.

- Sei grande! Con te in porta, non passa nemmeno uno spillo!- esclamò contenta, mentre il ragazzo gonfiava il petto inorgoglito. Kojiro strinse la borraccia e serrò la mascella: stava per scoppiare, non sopportava di vedere quei due sorridersi così amorevolmente. Quasi si strozzò con la bibita, quando Ken posò la mano sulla testa di Kasumi. Stizzito per quel gesto, troppo confidenziale, la tigre della Toho andò a spezzare l’idillio, lasciando l’allenatore a parlare al vento come un’idiota.

Si mise tra i due e squadrò il portiere in maniera decisamente ostile e lo invitò a togliersi dai piedi, con un movimento eloquente degli occhi. Si voltò verso la sorella che gli sorrideva ignara, pronto a sgridarla, ma si bloccò, quando lei, con un gesto affettuoso, gli sistemò la fascia di capitano che era calata verso il gomito.

- Nel secondo tempo, voglio vederti sfondare quella rete.- disse, facendogli l’occhiolino.

Kojiro totalmente disarmato dalla sua dolcezza, le diede un buffetto sulla guancia e annuì con sguardo deciso.

La partita riprese, ma gli avversari continuavano a non concedere spazi alla Toho. Un paio di occasioni da goal per la Tatsunami, furono sventate da Wakashimazu, che ringalluzzito dall’entusiasmo della sua bella sostenitrice, si gettò in salvataggi da manuale, che fecero andare Kasumi in visibilio. Le grida gioiose della sorella erano una tortura per i nervi di Kojiro, già messo a dura prova dalla marcatura di Soda, che continuava a ostacolare ogni sua mossa con trattenimenti al limite del regolamento. Stanco di quella situazione, Kojiro si divincolò dal suo marcatore e gli tirò una gomitata in pieno stomaco. Soda si accasciò a terra, probabilmente esagerando l’entità del danno e ottenne dall’arbitro un ammonizione ai danni di Hyuga.

Kasumi si portò la mano alla fronte, mentre il mister scuoteva la testa compiendo il miracolo di non urlare improperi contro il capitano della sua squadra, per essersi preso un cartellino giallo come un principiante.

A metà del secondo tempo, la situazione rimaneva invariata, finché Sawada, con un impeto di orgoglio, si portò avanti, aiutato da Sorimachi. Kojiro fece uno scatto, sorprendendo Soda, che si lanciò subito al suo inseguimento. Takeshi scorse il suo capitano, che si avvicinava alla porta avversaria e con un tiro preciso gli servì il pallone, che Kojiro colpì al volo con un Tiger Shot, che passò come un siluro accanto ad un pietrificato Nakanishi.

La tribuna della Toho esplose in un unico grido, mentre i giocatori in panchina scattarono tutti in piedi ad esultare. Kasumi saltellava felice, battendo le mani in direzione del fratello, che, con il pugno alzato, festeggiava la prodezza di cui si era reso protagonista.

Il triplice fischio decretò la fine della semifinale: la Toho aveva battuto la Tatsunami per uno a zero.

- Bravissimo Takeshi, hai fatto un assist, perfetto.- Kasumi distribuiva complimenti a tutti, per aver raggiunto, nuovamente, un traguardo così importante. Kojiro aspettava il suo turno, immaginando che, in quanto autore del goal della vittoria, sua sorella lo avrebbe elogiato come l’eroe della partita.

- Ma il merito di tutto, va a Wakashimazu, se non fosse stato per te avremmo sicuramente perso.- disse dandogli una pacca sulla spalla, cui il ragazzo rispose con un occhiolino.

Kojiro si sentì come se una tegola gli fosse caduta in testa, non solo sua sorella non si era congratulata con lui, stava addirittura facendo la smorfiosa con quel capellone infido. Non poteva più tollerare le manifestazioni fin troppo amichevoli, che rivolgeva a Ken e preso dalla rabbia, si parò di fronte a lei.

- Da quando le partite le vincono i portieri?!- domandò tra i denti.

Kasumi si sentì come un cucciolo indifeso, non aveva mai visto tanta rabbia negli occhi di suo fratello fino ad allora. Non aggiunse altro e si avviò verso lo spogliatoio sotto lo sguardo attonito dei compagni di squadra. Kasumi era rossa per l’imbarazzo e Ken le fece un gesto con la mano, come a dire che non era successo niente: lui sapeva che il peggio doveva ancora venire.

Terminata la doccia, Wakashimazu constatò che non c’era più nessuno, tranne il suo capitano che stava finendo di vestirsi. Sapeva che era rimasto lì di proposito, probabilmente dovevano mettere in chiaro alcune cose, dato che la loro amicizia stava regredendo, da quando lui aveva recuperato i rapporti con Kasumi. Non voleva evitare lo scontro, che si profilava inevitabilmente all’orizzonte, era un uomo e avrebbe risposto a tono a tutto ciò che Kojiro gli avesse detto.

- Ken- il tono era fermo e autoritario. Il compagno smise di strofinarsi la testa con l’asciugamano e si volse nella sua direzione, aspettando ciò che aveva da dirgli.

- Te lo dirò una volta sola.- si voltò a guardarlo dritto negli occhi. – Stai lontano da mia sorella.-

Se lo poteva aspettare, Kojiro aveva un attaccamento quasi morboso con i suoi famigliari, molto dipendeva dalla perdita prematura del padre, che lo aveva reso il capofamiglia ancora bambino, ma ora stava sfiorando l’assurdo.

- Se ti dicessi che tua sorella mi piace?- lo sfidò.

- Non mi provocare- sibilò.

- Ti senti quando parli? Sembri più il suo ragazzo, che suo fratello…- In un attimo si ritrovò sbattuto contro l’armadietto e Hyuga. che con gli occhi fuori dalle orbite, lo bloccava tenendolo per le spalle.

- Tu non sai che sofferenze ha già subito quella ragazza, non lo puoi nemmeno immaginare. Abbiamo perso nostro padre e prima ancora che potesse accettare l’idea è stata portata in Cina. Quando è tornata a casa, mio fratello Masaru non l’ha nemmeno riconosciuta, ti rendi conto di che razza di vita ha fatto finora? Lontano da tutto e da tutti. Io non voglio che qualcuno le faccia del male.- esclamò, mentre sentiva che le lacrime gli stavano per uscire dagli occhi.

Ken afferrò i suoi polsi e con calma lo allontanò da sé.

- Non puoi sperare di proteggerla per sempre, tua sorella è grande abbastanza e comunque, non è da me che la devi difendere. É una bellissima persona ed io sono contento di essere diventato suo amico.-

Finirono di prepararsi e uscirono in silenzio, per raggiungere il resto della squadra che stava già salendo in pullman. Kojiro ripensava alle ultime parole di Ken e si sentiva più sollevato, se non doveva temere nulla da lui, voleva dire che non aveva interessi che andassero oltre l’amicizia con Kasumi. Restava ora da chiarire il punto con sua sorella.

Sulla strada di casa Kasumi non fece altro che parlare in termini entusiastici della partita, marcando molto l’accento sulle prodezze del portiere. Kojiro era sfinito e approfittando dei pochi istanti di silenzio della sorella si fermò, portandola a voltarsi incuriosita.

- La vuoi fare finita?!- Kasumi rimase a bocca aperta, non capendo a cosa si stesse riferendo.

- Wakashimazu, Wakashimazu!- strillò con voce femminea, portandosi le mani sulle guance e ancheggiando per riprodursi in una grottesca imitazione della sorella. Kasumi lo osservava imbarazzata.

- Sei ridicola!- le disse acido.

- Che diamine ti prende Kojiro?!- domandò, portandosi le mani sui fianchi.

- Cosa prende a te, oggi eri più indemoniata di quelle oche starnazzanti, che stanno sugli spalti. Che succede con Ken?- arrivò dritto al sodo.

Kasumi sbuffò infastidita, le mancava solo una scenata di gelosia fraterna.

- Allora è per questo, che oggi ti sei fatto ammonire come un pollo?- l’espressione di Kojiro mutò e Kasumi si accorse di aver indovinato.

- Sei proprio stupido. Wakashimazu mi piace molto: è un ragazzo pieno di qualità e un bravissimo portiere e io non ci vedo niente di male a fare il tifo per lui.- sentenziò piccata.

Kojiro esplose dalla rabbia.

- Ma se fino a un mese fa, non lo volevi nemmeno sentir nominare? Adesso mi vieni a dire che ti sei innamorata di lui?!- gridò nella via deserta.

Kasumi si guardò intorno, notando con sollievo che non c’erano orecchie indiscrete. Con il cuore che le martellava e rossa in volto per l’imbarazzo, gli rispose con tutto il fiato che aveva in corpo.

- Queste non sono cose che ti riguardano!- e corse fino a casa lasciandolo lì impalato e incredulo.

Mentre correva, sentiva l’agitazione che prendeva possesso di lei. Com’era venuto in mente a suo fratello di chiederle una cosa simile? Lei e Wakashimazu erano solo amici. Già, solo amici.

Alla seconda ora del mercoledì, la prof. Mihura entrò inaspettatamente in classe.

- Il vostro professore di matematica è assente e lo supplirò io per oggi.- un ghigno soddisfatto si dipinse sul suo volto.- Così vi riconsegnerò le prove scritte della settimana scorsa.-

Con un fascio di fogli segnati in rosso, la prof. girò da un banco all’altro.

- Non ci siamo proprio Wakashimazu, hai fatto un orrore.- gli disse posando il foglio, pieno di cerchi rossi su cui era segnato un enorme 20 su 100. Ken prese il foglio sgranando gli occhi, non aveva studiato molto, ma non si aspettava un simile sfacelo.

- Sarà meglio che Hyuga ti dia una mano a recuperare o sarò costretta a chiedere al signor Kitazume di metterti fuori squadra, finché non recuperi.-

Kojiro si voltò a guardare la prof. stupito, nemmeno lui era una gran cima d’inglese, anche se in un modo o nell’altro riusciva sempre a rimediare la sufficienza. La Mihura, accortasi dello sguardo interrogativo dell’alunno, lo guardò sprezzante.

- Non tu, mio caro, ma tua sorella.- e voltandosi verso la ragazza le mostrò un sorriso, che la rendeva ancora più spaventosa.

- Sei stata la migliore in questo test.- e Kasumi vide un 100 su 100, sfilarle sotto gli occhi.

Sulla via di casa, Kojiro e Ken non fecero altro che lamentarsi dell’insopportabile professoressa d’inglese.

- Mio padre si arrabbierà tantissimo, accidenti a lei.- disse scocciato.

- Sarà meglio che recuperi questa insufficienza. La settimana prossima c’è la finale con la Nankatsu!-

- Kojiro ha ragione, Wakashimazu, quindi oggi verrai da noi a studiare.- disse Kasumi, con aria da gran secchiona.

- Ma veramente, oggi ho un allenamento con mio padre…potresti venire tu da me?- chiese, scordandosi completamente la possibile reazione di Kojiro, che non si fece attendere.

- Non se ne parla nemmeno!- tuonò.

I due ragazzi alzarono gli occhi al cielo, entrambi stufi di quelle sciocche insinuazioni.

- E la finale? Se non lo aiuto non potrà giocare e sarà solo colpa tua.- lo punzecchiò la sorella.

- Allora vengo anch’io!-

- Kojiro! Scusalo Wakashimazu, ultimamente dà i numeri.- Kojiro si voltò di scatto, pronto a scoppiare come una mina inesplosa.

Wakashimazu si allontanò di qualche passo, felice di essere giunto al bivio, che conduceva a casa sua. Li salutò, ma i due non se ne accorsero nemmeno tanto erano impegnati a guardarsi in cagnesco.

- Ma che ti salta in mente di invitarti in casa d’altri? Sembra quasi che nostra madre non ti abbia insegnato l’educazione. Che figure!- lo rimproverò.

- Tu non andrai a casa sua!- fu la risposta secca di Kojiro.

- Uffa! Mi stai annoiando con questa assurda gelosia: sono tua sorella, non una tua proprietà!-

Quella frase arrivò più violenta di un pugno allo stomaco, soprattutto perché era vera. Kojiro sperava di tenere la sua famiglia sotto vetro per evitargli altre sofferenze, ma Kasumi era troppo indipendente per accettare la sua presenza iperprotettiva.

- E comunque sappi che lo faccio per evitarti di rimanere senza portiere, dovresti ringraziarmi, piuttosto che arrabbiarti, non credi?-

Le sue parole non erano proprio sincere, in realtà era ben felice di andare a casa di Ken e avere la possibilità di stare un po’ da sola con lui. Da quando erano diventati amici, ne aveva scoperto molti lati piacevoli e comunque, non era cieca, vedeva bene da sé che Ken era un bel ragazzo con tutte le forme al posto giusto.

Kojiro rispose con un grugnito.

- Fa un po’ come ti pare.- aggiunse irato.

Kasumi si cambiò cercando di vestirsi in modo carino, ma non troppo evidente, per sfuggire ad altri scambi di “simpatiche” battute con suo fratello. Aiutò la madre a rassettare la casa e corse dagli Wakashimazu, per le ripetizioni d’inglese.

I padroni di casa la accolsero come un’ospite d’onore.

- Non sapevo, che il tuo amico Kojiro avesse una sorella così incantevole.- disse il signor Wakashimazu, dando una gomitata eloquente al figlio, che abbassò la testa imbarazzato.

La madre di Ken le sorrideva dolcemente, chiedendole se potesse offrirle qualcosa. Kasumi declinò gentilmente l’invito, notando che era già tardi e se lui doveva anche allenarsi, avrebbero avuto poco tempo per studiare.

Salirono in camera e si accomodarono al kotatsu e, per il tempo che rimaneva, Kasumi cercò di capire quali erano le lacune che Ken avrebbe dovuto colmare, in vista dell’esame finale. Mentre era concentrata nella correzione dei suoi errori, Wakashimazu non poté fare a meno di notare quanto fosse graziosa. Indossava dei jeans a vita bassa scuri, che evidenziavano il suo fisico snello e asciutto, la maglietta gialla aderente ne risaltava le forme del seno, che non era enorme, ma ben tornito, infine aveva legato i lunghi capelli corvini in uno chignon dal quale spuntavano a fontana dei ciuffi ribelli. Con quell’espressione assorta, era anche più seducente.

Kasumi alzò lo sguardo e notò che la stava fissando, lui rimase pietrificato, invece la ragazza rispose con un sorriso e poi si avvicinò per fargli capire meglio gli errori, che aveva commesso. Ken si sentiva andare a fuoco, ora che erano a poca distanza l’uno dall’altra. Osservava lo scorrere lento della sua mano sul foglio, mentre gli spiegava non avrebbe saputo dire cosa, da quanto era inebriato dal profumo di fiore di loto, che emanava dal suo decolleté.

- E’ tutto chiaro?- gli chiese dolcemente, voltandosi verso di lui. L’atmosfera si stava surriscaldando, la vicinanza stava mandando entrambi in confusione. Ken guardò le sue labbra desiderando di poterle toccare con tutto se stesso. Kasumi divenne improvvisamente seria, gli occhi brillanti per l’emozione. I loro visi si stavano avvicinando spontaneamente….

- Keeeeeeen….l’allenamentooooo!- sentirono tuonare dal piano terra.

Il ragazzo si girò verso la porta, desiderando, per un secondo, di poter lanciare laser dagli occhi, per punire suo padre, che li aveva interrotti.

Kasumi riprese il controllo e iniziò a raccogliere i libri e la borsa, ma Ken la fermò.

- Non ti piacerebbe vedere l’allenamento.- chiese a bruciapelo, non voleva assolutamente che andasse via.

Kasumi valutò l’offerta e accettò volentieri.

Era già passata una buona mezz’ora e la giornata stava per volgere al termine. Kasumi aveva potuto ammirare uno scambio spettacolare di calci e prese. Il padre di Ken era un Sensei molto esigente e il figlio era il suo degno erede.

- Non si sta annoiando signorina Hyuga?- le chiese, in un attimo di pausa.

Kasumi sorrise muovendo in aria la mano.

- In realtà no, le arti marziali mi affascinano. Quando ero in Cina ho praticato un po’ di Wushu per autodifesa.-

Il signor Wakashimazu s’illuminò.

- Splendido! Allora, perché non prova un po’ di sparring con Ken?- domandò entusiasta. Kasumi era senza parole, mentre Ken scuoteva la testa come un forsennato. Ma che razza di idee venivano al padre?

Il signor Wakashimazu insistette talmente tanto, che alle fine nessuno dei due sapeva a cosa attaccarsi per rifiutare, quindi Kasumi entrò nei loro spogliatoi per infilarsi un kimono e procedere a quell’assurda dimostrazione.

Dopo essersi salutati, si posizionarono entrambi in guardia. Girarono attorno cauti per alcuni istanti, senza osare avvicinarsi. Kasumi si teneva sulla difensiva, evitando lo scontro. Ken sferrò il destro improvvisamente, ma fallì il colpo, perché la ragazza si spostò da un lato per evitarlo. Senza perdere l’equilibrio si voltò di scatto, progredendo con una serie di gyakutsuki*, che andarono irrimediabilmente a vuoto: Kasumi aveva degli ottimi riflessi.

Ad un certo punto, la ragazza pensò che fosse meglio reagire, anche nel modo più stupido, perché non poteva andare avanti con quell’inutile fuga. Approfittando di un attimo di esitazione di lui, afferrò il suo braccio teso con la mano destra e con la sinistra gli si aggrappò al kimono, per scaraventarlo a terra, poi si sedette sull’addome dell’avversario e con l’avambraccio puntato contro il suo petto lo inchiodò al tatami.

Ken era senza fiato sia per la botta, sia per la vicinanza della ragazza, che aveva il viso a pochi centimetri dal suo. Poteva sentire il suo profumo penetrante, la scollatura del kimono lasciava intravedere l’attaccatura del seno, le sue guance rosse per lo sforzo, il suo fiato sul collo e la posizione equivoca nella quale erano, gli stavano facendo perdere il controllo.

Kasumi stava iniziando a realizzare la situazione: sentiva i muscoli del suo addome contro l’inguine, i pettorali nella morsa del suo avambraccio e quegli occhi scuri che la guardavano con…con…desiderio. Le guance le divennero ancora più rosse, mentre il cuore le batteva forte e sapeva che non era per l’attività fisica. I loro sguardi erano calamitati l’uno nell’altra.

- Bravissima, Kasumi.- il signor Wakashimazu spezzò quella situazione imbarazzante.

Lei si alzò di scatto e con la scusa che si stava facendo tardi si andò a cambiare. Ken si mosse per raggiungerla, ma fu bloccato dal padre.

- Avresti potuto liberarti con un tomoe-nage**, perché sei rimasto lì impalato come un babbeo Ken?- chiese il padre, con un ghigno sul volto.

- Bè, non volevo che si facesse male.- rispose, mentre il volto gli stava andando in fiamme. Il padre non disse una parola, ma il ragazzo sapeva che come scusa non reggeva affatto.

Kasumi si stava asciugando il sudore, cercando di tenere sotto controllo il battito del cuore. Si sentiva talmente in imbarazzo, che non sapeva come sarebbe riuscita a guardare in faccia di nuovo sia Ken, che il signor Wakashimazu. Come le era venuto in mente di assumere quella posizione, davanti a suo padre per giunta? A quel punto non riusciva più a negarlo, Ken le piaceva sul serio e molto probabilmente anche lei non gli era indifferente. Se solo ripensava allo sguardo che le aveva rivolto e al bacio mancato in camera sua, sentiva il cuore martellare. Finì di rivestirsi e uscì dagli spogliatoi, dove lo trovò, visibilmente in imbarazzo, che la stava aspettando.

- Ti accompagno a casa.- disse quasi bisbigliando.

Lei annuì, andò a recuperare la borsa e salutò i genitori di lui, evitando di guardare in faccia il signor Wakashimazu.

Camminavano entrambi a testa bassa, troppo imbarazzati per parlare. Kasumi si stava dando dell’idiota, avrebbe potuto star zitta e lasciar perdere la storia del kung fu. Anche Ken stava pensando che avrebbe dovuto rifiutare un combattimento, seppur per allenamento, contro una ragazza, soprattutto, dal momento che la ragazza era Kasumi.

- Mi dispiace, di averti messo in imbarazzo di fronte a tuo padre.- disse mortificata.

Divenne ancora più rosso, non era proprio il caso di ricordargli la faccia allusiva che gli aveva rivolto, mentre gli chiedeva spiegazioni sul perché non si fosse liberato dalla presa.

- Chissà cosa ti avrà detto, dopo che il suo erede è stato atterrato da una femmina.- cercò di buttarla sullo scherzo.

Quello era proprio l’ultimo dei suoi problemi! Era sicuro, che se non ci fosse stato lì suo padre a spezzare quell’incantesimo ipnotico, che lo aveva incatenato, l’avrebbe stretta tra le braccia e l’avrebbe baciata davvero stavolta.

Vicino alla casa, Kasumi si girò distrattamente verso di lui, accennando un sorriso per salutarlo.

- Kasumi, aspetta…- lei si voltò a guardarlo. I raggi rosei del tramonto si riflettevano sul suo viso, rendendola ancora più bella. Ken deglutì nervosamente.

- Grazie per l’aiuto.-

Lei rispose con un radioso sorriso, che gli bloccò il respiro. Notò che aveva un’aria strana, come se avesse altro da dirle. Ken cercò di calmarsi e quando riprese padronanza di sé, si stupì lui stesso di quello che riuscì a pronunciare.

- Non è stato poi male, essere atterrato da te.-

Forse, era stato troppo esplicito. La vide abbassare per un secondo lo sguardo, poi rialzarlo per regalargli un altro dei suoi meravigliosi sorrisi. Sentì il cuore sussultare, quando lei si avvicinò e quasi gli balzò fuori dal petto nel sentire le labbra di lei, che aderivano alla sua guancia. Gli rivolse uno sguardo malizioso, prima di entrare nel cancello e lasciarlo lì inebetito a tastarsi il volto, ancora incredulo.

*pugni diretti con spostamento frontale

**tecnica per lanciare, con la gamba tesa, l’avversario oltre la testa, facendolo passare sopra di sé.

Ringrazio molto mio fratello per i suggerimenti sulle mosse di karate.

Saluto con affetto le persone che stanno seguendo la mia FF, sperando di riuscire a tenere vivo il loro interesse.
Un ringraziamento speciale a:

Rossy: grazie mille cara, le tue recensioni sono sempre gradite.

Only Hope: cosa aggiungere di più, tranne che i tuoi complimenti e il tuo entusiasmo per quello che scrivo, mi rendono molto orgogliosa.

Un caro abbraccio a tutti!

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Capitolo 10
*** La festa da Misaki ***


Capitolo 10

La festa da Misaki

L’arbitro soffiò per tre volte nel fischietto, decretando così, non solo la fine della partita, ma anche il termine del campionato: la Toho si era riconfermata squadra migliore del Giappone per il terzo anno consecutivo. Lo sguardo sereno e rassegnato di Sanae, era ben lungi dalle espressioni affrante di Elena e Yukari, che avrebbero pianto volentieri, se fosse servito a cambiare l’esito della partita.

I giocatori in campo si stavano complimentando a vicenda, ma quando Kojiro si avvicinò al capitano della Nankatsu, quest’ultimo scostò la mano dell’avversario e si avviò brontolando al tunnel, che conduceva agli spogliatoi. Sanae lo seguì con lo sguardo, incerta su quale comportamento adottare con il suo ragazzo, ma non si mosse, ritenendo che fosse meglio lasciarlo in pace, per il momento. Nel frattempo, Taro andò a stringere la mano di Kojiro, che si era astenuto dal prendere a calci il suo omologo, solo perché era troppo contento del suo ennesimo successo.

- Ci vediamo in ritiro.- fu il commento del vincitore, cui Taro annuì con un sorriso.

- Bravissimi comunque, siete una squadra molto forte.- Sanae si volse e vide una ragazza sorridente, che gli tendeva amichevolmente la mano.

- Grazie.- rispose con una punta d’imbarazzo. Fin da subito l’aveva notata dalla panchina della Toho, chiedendosi chi fosse.

- Io sono Kasumi Hyuga, la manager della Toho.- Sanae rimase a bocca aperta e guardandola meglio si accorse, che, quella ragazza dallo sguardo dolce, era la sorella gemella di Kojiro. Si presentò a sua volta, stringendole la mano, poi Kasumi si congedò, salutando con un inchino, per raggiungere i vincitori, che stavano ritornando alla panchina.

Negli spogliatoi, il mister cercò di rincuorare i giocatori, che avevano comunque fatto del loro meglio, ma ad un certo punto fu interrotto da Yosuke, che sbottò senza mezzi termini.

- Congratulazioni per cosa? Per essere una squadra di perdenti?- chiese alterato. Il mister non ebbe nemmeno tempo di rispondere.

- Se non fossi affiancato da questi inetti, avrei di sicuro vinto la partita.-

- I giocatori sono undici, si vince insieme, Shiratori.- rispose paziente Taro.

- Ha parlato Misaki, il grande saggio. Tu e le tue frasi stile Ozora!- ringhiò di rimando.

- Sicuramente avremmo vinto, se ci fosse stato lui al tuo posto.- intervenne Ishizaki, che non riusciva più a contenersi di fronte all’arroganza di Yosuke.

Il capitano gli si parò davanti e lo spinse.

- Vorresti dire che lui è meglio di me? Rispondi, deficiente!- gridò.

- Cerca di calmarti Shiratori, ora stai esagerando.- cercò d’intervenire l’allenatore.

Ignorandolo totalmente, continuava a fissare torvo Ishizaki, che abbozzò un sorriso beffardo.

- Tu non sei nemmeno degno, di essere paragonato ad un campione come Tsubasa.-

Preso dall’ira si avventò sul compagno e iniziò a prenderlo a pugni. Ishizaki cercò di difendersi come poteva, finché non si sentì trattenere alle spalle da Takasugi, mentre Taro e Izawa bloccavano il suo aggressore.

- Ora basta!- gridò l’allenatore, per ristabilire il controllo. – Hai superato ogni limite Shiratori. Sei fuori dalla squadra!- esclamò lapidario.

Yosuke si divincolò dalla presa dei due compagni e si diresse verso l’uscita, li squadrò uno per uno con disprezzo.

- Mi fate veramente pena, siete una squadra di parassiti, vissuti alle spalle di quel giocatorino da strapazzo.- concluse, sbattendo la porta.

I giocatori uscirono dallo stadio, pronti per dirigersi verso la sala conferenze della Federazione, per sapere i nomi dei convocati alle eliminatorie asiatiche. Sanae notò subito l’assenza di Yosuke e le ferite sul volto di Ishizaki.

- Ryo, ma cosa ti è…?-

- Chiedilo al tuo ragazzo.- rispose scocciato.

Sanae guardò smarrita i presenti e Taro la prese da parte per spiegarle con calma, ciò che era accaduto.

Capiva che Yosuke fosse arrabbiato dopo aver perso, ma non avrebbe mai pensato che arrivasse addirittura a picchiare un suo compagno di squadra. Andò da Ishizaki per scusarsi.

- Non sei tu che devi scusarti, manager. Vorrei solo sapere che cosa ci hai trovato in quell’essere arrogante.- le rispose piccato.

Sanae si allontanò sconsolata, comprendendo la rabbia dell’amico: Yosuke si era comportato proprio male. Ad un tratto, sentì un trillo provenire dalla sua tasca e prese in mano il pocket bell.

Sto tornando a casa, ci vediamo oggi pomeriggio

Eccome se si sarebbero visti, gli avrebbe chiesto delle spiegazioni, per ciò che era successo negli spogliatoi e per essersene andato a quel modo.

“Tsubasa non avrebbe mai agito così” si sorprese a pensare, scosse la testa ed entrò nella sala conferenze. Si spostò da un lato dove stavano Elena, Yukari e la sorella di Hyuga, che ammiccò per salutarla.

Sul palco sfilarono il mister Mikami, il signor Katagiri e altri esponenti della JFL, che si accomodarono al tavolo delle conferenze, per annunciare la lista dei giocatori che avrebbero dovuto partecipare alle selezioni per la Nazionale. La maggior parte dei giocatori della Nankatsu fu nominata, ma all’appello mancava Yosuke.

- Naturalmente, sarà convocato anche Tsubasa Ozora, che, come ben sapete, ora gioca a San Paolo.-

Solo sentendo quel nome, il cuore di Sanae iniziò a battere come un tamburo. Cercò di calmarsi e focalizzare i pensieri sul suo ragazzo. Chissà se sapeva di non essere stato convocato e come avrebbe reagito alla notizia: si prospettava un pomeriggio tremendo.

Dopo pranzo, Sanae si vestì con cura, per l’appuntamento, prese la borsa e stava per uscire, quando squillò il telefono.

- Ciao, sono Elena. Ti ho chiamato per ricordarti della festa di stasera.-

- Grazie, verrò sicuramente.-

- Ehm, dillo anche a Yosuke, per piacere.- disse esitante.

- D’accordo, a stasera.-

Yosuke stava ad attenderla accanto ad un chiosco con il giornale in mano. Quando lei si avvicinò lo salutò gentilmente, ma lui, anziché rispondere, appallottolò ciò che stava leggendo e lo gettò con stizza nei rifiuti. Sanae tirò un sospiro di sollievo, almeno non avrebbe dovuto dirgli delle convocazioni. La prese sgarbatamente per mano e iniziò a tirarla, come se fosse un cane al guinzaglio, finché non raggiunsero una panchina sulla riva del fiume. Per un po’ regnò il silenzio, poi Yosuke circondò le spalle della sua ragazza con il braccio e iniziò a darle baci sulla guancia e sul collo. Sanae si voltò a guardarlo e lui le posò un bacio sulla bocca.

- Sei proprio bella.- le sussurrò suadentemente, mentre continuava a lambirle il collo con le labbra.

- Che ne dici di venire a casa mia stasera?-

Sanae si scostò delicatamente.

- Stasera Misaki dà una festa a casa sua.- disse per togliersi dall’imbarazzo.

- Cosa c’è da festeggiare? L’ennesimo fallimento?- rispose seccato.

- Non dire così. Abbiamo terminato il liceo e il campionato: sarebbe carino passare una serata tutti insieme.-

- Io ne faccio a meno, tu fai come vuoi, se preferisci loro a me.-

Sanae ignorò pazientemente la palese provocazione.

- So quello che è successo stamattina.-

- Sai che quell’impiastro d’allenatore mi ha messo fuori squadra?!- rispose piccato.

- Hai preso a pugni un tuo compagno di squadra, ti aspettavi che ti facesse i complimenti?-

- Quell’idiota di Ishizaki mi ha provocato: ha detto che Ozora è meglio di me.- disse indicandosi con il dito.

- Credo ci sia un motivo, Ryo non è un cattivo ragazzo.- cercò di minimizzare.

- Il motivo è che il mondo sembra girare attorno a Tsubasa Ozora!-

Di nuovo quel batticuore: perché bastava solo che dicessero il suo nome?

- Hanno convocato lui e mi hanno lasciato fuori! Ti rendi conto? Un giocatore che non vive nemmeno più in Giappone.- esclamò, agitandosi come un indiavolato.

- Che c’entra? Rimane comunque un giocatore giapponese.- rispose, stupendosi di quanto la sua voce suonasse alterata.

- Ecco un’altra che lo difende, ce la farete mai a liberarvi dall’ombra di quell’imbecille?-

Sanae avvertì un senso di fastidio, che la pervadeva. Strinse i pugni e cercò di non perdere il controllo.

- Cerca di calmarti Yosuke, non puoi pretendere di essere preferito ad un giocatore, che milita da professionista in un grande squadra da ben tre anni.- sentenziò.

Scattò in piede meravigliato e, solo in quel momento, Sanae realizzò il peso delle proprie parole. Chinò il capo, incapace di sostenere lo sguardo del suo ragazzo, che la fissava gonfio di rabbia.

- Sei una stronza Sanae, dovresti sostenere me e non lui!- si infilò le mani in tasca e se ne andò senza nemmeno salutarla.

Non poteva biasimarlo, aveva palesemente difeso Tsubasa, come se il suo ragazzo fosse lui. Così non andava affatto bene, come poteva stare con una persona e tenere tanto ad un’altra? Perché non riusciva a liberarsi del ricordo di un ragazzo, per il quale non contava niente?

Si prese la testa fra le mani, desiderando di poterla aprire e farne uscire Tsubasa Ozora, per sempre.

Tornata a casa, si buttò nella vasca per rilassarsi, era arrabbiatissima con se stessa, ma ora, a mente lucida, si rendeva conto che anche Yosuke non era stato proprio accomodante, inoltre aveva glissato sul discorso della rissa, colpevolizzando gli altri, come al solito. Decise che sarebbe andata comunque alla festa e avrebbe passato una bella serata, anche senza di lui.

Arrivò in ritardo da Misaki, tutti erano già arrivati. Cercò di giustificare l’assenza del suo ragazzo con una scusa banale, ma fu subito chiaro che non dispiacesse a nessuno. Elena le prese la borsa e la giacca e la invitò ad accomodarsi.

- Ciao, ti volevo chiedere scusa per essere stato scortese stamattina.- le disse Ishizaki. Lei scosse la testa per fargli capire che era tutto passato: quella sera non voleva pensare a niente, desiderava solo divertirsi con i suoi amici.

I ragazzi erano tutti eccitatissimi per la convocazione in Nazionale, anche se sapevano che le selezioni non sarebbero certo state una passeggiata, ma, in ogni caso, avevano raggiunto un bel traguardo e stavano festeggiando con un brindisi dietro l’altro. Notando che la manager era senza bicchiere, Izawa, già un po’ brillo, si affrettò a riempirne uno con la sangria e offrirglielo.

- Vieni Sanae, brinda con noi!- esclamò euforico, circondandole le spalle con un braccio e lei si lasciò trascinare nel vivo della festa.

Elena aveva trasformato il soggiorno di casa Misaki, disponendo faretti colorati e allestendo un angolo con plaid e cuscini a terra, illuminato da candele, in perfetto stile arabo, per chi desiderasse rilassarsi e fare due chiacchiere; la parte centrale della stanza era diventata una pista da ballo improvvisata, mentre da un lato il tavolo era pieno di stuzzichini e bibite, sapientemente preparati dalla bionda manager.

Seduta comoda su un cuscino, Sanae si stava godendo una porzione di pizza fatta in casa. Elena la raggiunse.

- Come va, ti diverti?-

- Tantissimo.- rispose con la bocca mezza piena. – La tua pizza è eccezionale, come la cucinate voi italiani, non lo sa fare nessuno.-

- Modestamente.- rispose ridendo, con le guance arrossate per l’imbarazzo.

- Dimmi la verità, Shiratori non è voluto venire, giusto?- domandò, tradendo una certa preoccupazione.

Sanae alzò gli occhi al cielo, scocciata dalla situazione sgradevole che si era creata.

- Oggi abbiamo litigato.- doveva sfogarsi con qualcuno ed Elena era sempre pronta ad ascoltarla, anche se, a volte, i suoi consigli erano tutto fuorché imparziali.

- Forse, è colpa mia.- proseguì, esternando i dubbi, che la punzecchiavano e raccontandole tutto ciò che era accaduto nel pomeriggio.

Elena la ascoltò in silenzio, annuendo e mutando espressione secondo i dettagli che sentiva; alla fine scosse la testa contrariata. Scrutò l’amica, che aveva terminato il racconto ed ora fissava il proprio bicchiere vuoto con aria assorta.

- Posso dirti quello che penso?- chiese cautamente. Sanae annuì, era anche per quello che si era confidata con lei, voleva sentirsi dire da qualcuno quanto fosse stupida a litigare con il suo ragazzo, per una persona che era partita per l’altra parte del mondo senza una parola.

- Cosa cavolo ci stai a fare con quello lì?- domandò senza mezzi termini. Sanae sbuffò, se lo poteva aspettare: forse non aveva fatto un’ottima scelta a raccontare della lite con Yosuke, proprio alla fan numero uno dell’inesistente coppia Ozora- Nakazawa.

- Sanae dico sul serio, tu non sei innamorata di lui, semmai sia possibile provare amore per un tipo del genere.- insistette, cercando di approfittare del suo sfogo per convincerla a riflettere bene sul rapporto che aveva con il ragazzo.

- Elena, non cominciare con questa tiritera, so che Yosuke non vi sta simpatico, se ne accorgerebbe anche un cieco, ma mettiti un po’ nei suoi panni?Non gli avete certo reso la vita facile.- sapeva che difenderlo era una causa persa, ma in fin dei conti lei era la sua ragazza e le spettava. Yosuke non era proprio l’uomo perfetto, ma l’aveva aiutata a superare la sua delusione amorosa e le aveva fatto recuperare la fiducia in se stessa con le sue attenzioni. Era anche vero che avesse dei difetti evidenti, ma non poteva evitare di biasimare i suoi amici, che, a suo giudizio, non avevano mai fatto niente per accettarlo.

Elena era stupita e sarebbe anche scoppiata a ridere per l’assurdità di ciò che aveva appena sentito.

- Sanae, quel ragazzo non ha dato alcun motivo per essere accettato, si è sempre comportato in modo maleducato, trattando tutti con sufficienza e non ha mai nascosto il disprezzo, peraltro incomprensibile, nei confronti di Tsubasa.-

Sapeva benissimo che Elena aveva ragione, ciononostante non si mosse dalle sue convinzioni.

- Elena ti posso assicurare che anche Yosuke ha i suoi lati positivi e comunque non è carino che ne parli in questi termini, sono pur sempre la sua ragazza.-

- E io sono la ragazza di Taro e ti dirò che ho tollerato fin troppo il modo scortese che Shiratori ha sempre tenuto con lui, approfittando della sua indole tranquilla…- si arrestò, capendo che stava andando su un terreno minato.

- …lasciamo perdere, non ho voglia di litigare con te e rovinarci la festa.- concluse sbuffando.

Sanae non poteva darle torto, purtroppo Elena aveva ragione su tutti i fronti, ma lei non voleva ammetterlo nemmeno con se stessa. Yosuke era prepotente e arrogante, non teneva minimamente in considerazione l’opinione altrui, inoltre non mascherava l’odio profondo che provava per Tsubasa. Si chiedeva, se fosse lei la causa di tanto disprezzo. Shiratori sapeva dei suoi sentimenti per l’ex capitano della Nankatsu e aveva spesso ripetuto quanto, a suo giudizio, quest’ultimo si fosse dimostrato stupido e cieco ad ignorarla.

- Va bene non parliamone più.- si limitò a dire.

Elena annuì e ritrovando il sorriso le chiese di andare a ballare, invito, che Sanae accettò volentieri. Scattando in piedi e saltellando verso il centro della stanza, si unì alle danze, trascinata dai compagni, che si muovevano come scalmanati al ritmo di una musica latina.

I ragazzi, tutti decisamente alticci e storditi dai fumi dall’alcool erano seduti o, piuttosto, stravaccati sui plaid e i cuscini, ridendo per le battute più stupide. Ishizaki ci stava dando dentro, aiutato dal suo stato ebbro, che gli aveva tolto gli ultimi freni inibitori del cervello. Stava intrattenendo gli amici con delle divagazioni pseudofilosofiche sulle differenze tra gli uomini e le donne, scatenando l’ilarità dei presenti. Elena e Sanae si tenevano la pancia dal ridere, mentre Yukari, imbarazzata, non faceva altro che dargli gomitate o scappellotti dietro la nuca, portando i presenti a scompisciarsi.

- Bah, Ishizaki sei un vero maiale!- esclamò colpendolo con un canovaccio raccolto dal tavolo, dopo l’ennesima battuta spinta.

Sanae aveva mal di pancia e le lacrime agli occhi, si alzò di corsa e si diresse al piano di sopra, verso la toilette.

- Che c’è manager, te la stai facendo addosso?- gridò tra le risa, istigando Yukari a frustarlo col tovagliolo ancora più forte.

La serata stava trascorrendo in modo piacevolissimo, nonostante la piccola discussione avuta con Elena. Aveva fatto bene ad andare dai suoi amici, Yosuke le avrebbe tenuto il broncio per un po’, ma ne era valsa la pena. Si fermò un secondo a riflettere su quanto la loro presenza fosse importante nella sua vita, le sarebbero mancati tutti quanti ora che la scuola era finita ed ognuno sarebbe andato per la propria strada, ma avrebbe portato sempre nel cuore ogni singolo ricordo, anche i dispetti di Ishizaki. Era il suo più vecchio amico: si conoscevano fin dalla prima elementare ed avevano condiviso tante esperienze assieme. Con la mente riandò al giorno della sfida contro la Shutetsu e sorrise rivedendosi con la divisa maschile e l’hachimaki sulla fronte, mentre tifava entusiasta per la squadra, per Tsubasa, già Tsubasa…sempre lui, evidentemente era impossibile non pensarlo, aveva avuto una parte troppo importante nella sua vita.

-Ehi, manager sei caduta dentro al water?- uscendo dal bagno, sentì gridare Ishizaki dal piano terra e Yukari che prontamente lo rimproverava per la sua mancanza di tatto.

- Che scemo!- scoppiò a ridere.

Il telefono squillò improvvisamente, ma nessuno al piano sottostante lo sentiva da quanto chiasso stavano facendo. Faticando a trattenere le risate, andò a rispondere, meravigliandosi che qualcuno potesse chiamare ad un’ora così tarda.

- Pronto, qui Misaki, sono Sanae.- disse ridendo divertita.

Nessuno rispose.

- Pronto?- ripeté, non ottenendo risposta.

Stava per riappendere la cornetta, pensando che, probabilmente, si trattava di uno stupido scherzo.

- Ciao, Sanae.- il suo respiro si bloccò.

- Sono Tsubasa.-

Spero di avervi sorpreso con quest’ultima parte, per il seguito della conversazione vi invito a seguirmi ancora con Fioritura.

Vorrei ringraziare tutte le persone che leggono la storia, sperando che la storia stia piacendo a tutti.

Rossy: mi fa piacere che ti stia affezionando ai due maschietti K, allora ti invito a non perdere il prossimo capitolo.

Onlyhope: Betta cara, non ti far venire un travaso di bile su questo chappy e attendi paziente.

Dolcebarbara: spero che la mia FF continui ad essere di tuo gradimento, cara.

Saluto tutti con un grosso bacio e al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Finalmente noi ***


Capitolo 11

Finalmente noi

La sveglia suonò all’improvviso, Kasumi si rigirò nel letto, affondando sotto le coperte per attutire il rumore metallico. Il fusuma si aprì leggermente e ne spuntò il viso stravolto di Kojiro, che biascicò alla sorella di spegnere quell’aggeggio infernale, prima che lo scaraventasse fuori dalla finestra. La madre entrò nella stanza sorridendo.

- Festa grande, ieri sera?- domandò, vedendo i due figli ancora mezzi addormentati.

Kojiro mugugnò qualcosa e strisciò nuovamente sotto le coperte, mentre Kasumi si sollevò a sedere con gli occhi ancora chiusi, sbadigliò e prese in mano la sveglia che si era acquietata. Non era tardissimo, ma c’erano i quadri da andare a vedere e non voleva più aspettare. Si fece forza e si diresse in bagno, nonostante il sonno.

Lo specchio non rifletteva un’immagine incoraggiante: i suoi occhi erano rossi e i capelli arruffati. La sera precedente avevano festeggiato la terza vittoria in Campionato fino alle tre di notte ed ora i risultati erano ben visibili. Alle sue spalle arrivò Kojiro, che sembrava uno zombie, con il pigiama mezzo aperto sul petto. Si rimisero in sesto e si prepararono per andare a scuola.

Mentre rigirava le bacchette nella zuppa, Kasumi pensò alla sera precedente: per tutto il tempo, Ken non aveva fatto altro che lanciarle occhiatine, cui lei rispondeva con sorrisi e strizzate d’occhio, di nascosto dal fratello, ma non ci fu altro, perché i giocatori la chiamavano da una parte all’altra e Kojiro sventava ogni occasione per riuscire a stare un po’ in disparte. Dopo il pomeriggio a casa dei Wakashimazu, non avevano avuto modo di parlare di quello che era successo.

- Sorellona, stai bene?- si voltò, cogliendo lo sguardo indagatore della sorellina.

- Sì, sì Naoko, perché?-

- Continui a sospirare languidamente.- rispose con un sorriso furbetto. I tre “uomini” di casa si voltarono tutti nella loro direzione, attendendo una risposta da Kasumi.

- Forse vostra sorella è innamorata.- disse distrattamente la madre, mentre posava il riso sul tavolo.

- EHHHH?- esclamò sentendo le guance andare a fuoco, mentre Kojiro tossiva, perché l’ocha gli era andato di traverso. Takeru e Masaru ridacchiavano dandosi delle gomitate e ammiccando verso di lei, mentre Naoko continuava a chiedere il nome del fortunato battendo le mani.

- Ma no, che ti viene in mente mamma?- esclamò, mentre agitava le mani davanti a sé.

- Tesoro sarebbe più che normale alla tua età, anzi mi piacerebbe che anche tuo fratello trovasse una brava ragazza. Almeno gli smusserebbe il carattere ruvido, che si ritrova.- sentenziò la signora Hyuga.

I bambini scoppiarono a ridere divertiti, mentre i gemelli si guardarono imbarazzati.

- Kasumi, è ora di andare.- disse Kojiro, scattando in piedi.

- Decisamente, sì- rispose, seguendolo a ruota.

Per la strada incrociarono Sorimachi e Wakashimazu e insieme si diressero verso l’istituto. Kasumi cercò di avvicinarsi a Ken, ma Kojiro la anticipò attaccando bottone con l’amico, mentre Kazuki si appiccicò a lei. Iniziò a domandarsi, se lo stessero facendo di proposito: per quanto riguardava suo fratello, non aveva dubbi, ma escludeva che anche Sorimachi avesse intenzione di tenerla lontana da lui, non ne aveva motivo o almeno così credeva.

Arrivati a scuola, videro gente che piangeva o che festeggiava per la gioia. Si avvicinarono, sperando di potersi unire al secondo gruppo. Adocchiarono subito il nome di Sorimachi tra i promossi, che gridò felice alzando le braccia, poi trovarono uno dei due Hyuga, scoprendo poi che si trattava di Kojiro. Kasumi e Ken non riuscivano a trovare i loro nomi, possibile che non avessero superato l’esame? Ad un tratto si sentirono chiamare da una ragazza dai capelli corti, una delle ammiratrici del portiere, che gli indicò il suo nome al decimo posto. Tirò un sospiro di sollievo, ma mancava ancora Kasumi. La ragazza iniziò ad agitarsi e sentiva che le lacrime stavano per farle capolino, quando Wakashimazu esclamò soddisfatto e avvicinandola a sé, le indicò il terzo posto dove era scritto “Hyuga Kasumi”. Finalmente libera dalla tensione si gettò al collo del ragazzo, gridando per la gioia. Ken rispose a quel gesto improvviso con altrettanto calore, ma entrambi si staccarono, ricomponendosi, non appena ricordarono che i compagni di scuola li stavano guardando. Kojiro lanciava saette dagli occhi e stava per avventarsi contro il portiere, se Sorimachi non fosse intervenuto per portare via Kasumi, perché le doveva parlare.

Ken e il suo capitano li videro allontanarsi, poi Kojiro gli rivolse uno sguardo di fuoco.

- Non ti scaldare.- gli disse semplicemente Ken. Hyuga stava per mettergli le mani addosso, ma lui, fissandolo con le braccia conserte e la calma di un monaco buddista, lo spiazzò totalmente.

- Perché non dici niente a Sorimachi, che se la sta portando via? L’unico verme schifoso da tenere alla larga sono io?- chiese, mentre Kojiro sgranava gli occhi. La tigre, pronta a balzare sulla nuova preda, si voltò di scatto, ma fu trattenuto dall’amico che scuoteva la testa.

- Dovresti lasciarla respirare, non capisci che più fai così, più rischi di allontanarla?-

Kojiro lo ignorò e si divincolò dalla presa, cercando di seguire i due, che ormai erano spariti dalla sua visuale.

- Tu mi piaci molto Kasumi.-

Non si sarebbe mai aspettata una dichiarazione, proprio da lui, non le aveva mai fatto capire nulla.

- Avevo qualche dubbio a dichiararmi, perché tuo fratello mi sembra molto geloso.-

Non era proprio il caso di rigirare il dito nella piaga, probabilmente se Kojiro non si fosse intromesso in continuazione, lei e Ken starebbero già insieme. Sorimachi la scrutava ansioso, attendendo una risposta.

- Mi dispiace, ma c’è già un altro.- Era la verità, sua madre aveva visto giusto, lei era innamorata, non poteva più negarlo.

- L’altro è Wakashimazu, vero?- chiese sconsolato.

- E’ così evidente?-

- Diciamo che non lo avevo mai visto guardare una ragazza, come guarda te, anzi a dir la verità, non le guardava affatto.-

Si sentiva imbarazzata e un po’ in colpa, perchè non poteva accettare il suo affetto e forse lei, con il suo carattere espansivo, gli aveva dato false speranze.

- Non ti preoccupare Kasumi, non sono un bambino, mi passerà.- tentò di sorridere per non preoccuparla.

Kojiro li trovò e si parò subito tra loro due, chiedendo spiegazioni. Kasumi sbuffò infastidita, mentre Sorimachi guardava incerto il suo capitano, che sembrava un cane rabbioso.

- Stavamo solo parlando.- lo tirò per la manica, per allontanarlo, ma lui la scostò, fulminandola con lo sguardo. Ne aveva abbastanza: stava superando ogni limite.

- Te l’ho già detto: mi stai stufando con questa gelosia!- gridò e si diresse verso l’uscita, salutando distrattamente Kazuki.

Camminava a passo svelto, con i pugni serrati in tasca e uno sguardo scuro. Non ce la faceva più a sopportare la presenza opprimente del fratello, era ora che Kojiro capisse che lei era libera di fare quello che voleva, che non era più una bambina da tenere sotto vetro. Ad un certo punto si arrestò. Ken! Non lo aveva nemmeno salutato.

- Dah, è tutta colpa di quell’idiota di mio fratello. Sempre lui a rompere le uova nel paniere!- disse colpendo un palo della luce con la suola della scarpa, poi proseguì borbottando fino a casa.

Kojiro tornò per l’ora di pranzo e cercò subito sua sorella, che stava in cucina a preparare il pranzo. Masaru e Naoko giocavano a rincorrersi attorno al tavolo, schiamazzando allegramente.

- Insomma state un po’ buoni!- li sgridò Kasumi, che stava cercando di pensare.

Kojiro entrò nella stanza e con un cenno della mano, invitò i fratellini ad uscire.

Si accostò al piano cottura, per vedere cosa stesse preparando.

- Perché sei andata via in quel modo?-

Kasumi, pronta a scoppiare, lo guardò con gli occhi in fiamme.

- Stamattina, ti sei reso ridicolo, per l’ultima volta!- esclamò, lasciandolo di stucco.

- Ti avverto Kojiro, smettila con la tua assurda iperprotettività, altrimenti ti assicuro che me ne torno da dove sono venuta!- gridò, puntandogli contro le hashi* e detto questo se ne andò avvertendo la madre che avrebbe mangiato in camera sua.

La signora Hyuga servì il pranzo e dopo il pasto mandò i bambini a giocare, perché desiderava parlare a quattrocchi con il figlio.

- Kojiro credo che tu debba iniziare a crescere un pochino e imparare a distaccarti da noi.-

Quelle parole lo trapassarono come un fulmine, perché sua madre gli stava dicendo una cosa simile?

- So perché tua sorella è arrabbiata e non la posso biasimare. Non ti stai comportando bene con lei.- lo rimproverò.

- Cerco solo di proteggerla, mamma.- confessò.

- Lo so, figlio mio, ma non puoi. Io sono vostra madre e solo il cielo sa quanto tengo a voi e come vorrei che la vostra strada sia sempre priva di ostacoli, ma purtroppo non è possibile. Dovete fare le vostre esperienze, anche nel dolore.- gli spiegò con il suo tono paziente.

- Io non voglio più veder soffrire nessuno in questa casa.- sentenziò.

La signora Hyuga sospirò: suo figlio era proprio testardo.

- La vita è fatta anche di sofferenza Kojiro, non puoi evitarlo e soprattutto non puoi evitare a tua sorella di vivere normalmente. Siete entrambi adulti ed è giusto che facciate le vostre esperienze, anche brutte se è necessario.-

Kojiro non rispose. Comprendeva benissimo il punto di vista della madre, ma non poteva accettarlo: la sua famiglia aveva già subito abbastanza. Dolore, umiliazione, privazioni, tutte cose che conoscevano fin troppo bene.

La madre gli sorrise dolcemente e gli carezzò la testa. Normalmente sarebbe sfuggito a quel contatto, ma in quel momento sentì che in qualche modo ne aveva bisogno. Con un gesto che lasciò la signora Hyuga piacevolmente colpita, le prese la mano e la strinse forte nelle sue. La donna rimirò il figlio, ormai diventato un uomo, tornando con la mente ai giorni in cui era piccolo abbastanza da essere preso in braccio, quando era ancora innocente e felice.

- Non tentare di schivare il dolore, Kojiro. Ricordati che sei forte abbastanza, per superare qualsiasi problema.-

Kasumi era sdraiata sul pavimento, intenta a rimirare il soffitto, quando Kojiro entrò con la ferma intenzione di far pace con lei, anche se non sapeva nemmeno da dove cominciare. Si inginocchiò accanto a lei, che gli lanciò un’occhiata severa.

- Temo di doverti delle scuse.- disse con tono poco convincente.

Kasumi non rispose, voleva vedere fino a che punto si sarebbe arrampicato sugli specchi per fare una cosa cui era così poco abituato.

- Credo di avere esagerato.-

- Credi?!- gli chiese stizzita.- Hai grattato il fondo del barile, stamani. Non puoi nemmeno immaginare quanto siano umilianti le tue piazzate.- si alzò additandolo.

Kojiro cercò di prendere parola, ma sua sorella non gli diede il tempo.

- Mi sembra di essere il tuo giocattolino, che nessuno deve toccare.- si premette la mano sul petto.

- Ma non è così Kasumi…- si difese.

- Invece sì!- lo interruppe, mentre le lacrime le sgorgavano dagli occhi.

Kojiro rimase pietrificato, sua sorella stava piangendo e il responsabile era lui.

- Non sono libera di scherzare con i tuoi amici, perché sei geloso. Se uno di loro cerca di avvicinarsi un po’ di più a me, fai delle scenate patetiche. Come credi che mi debba sentire io?- esclamò, con le guance rigate dalle lacrime. Kojiro era imbarazzato, non credeva che il suo comportamento fosse così irritante.

- Io vorrei solo che tu fossi felice.- bisbigliò in tono sommesso.

- Kojiro, io sono felice. Cos’altro potrei desiderare?- gli chiese allargando le braccia.

L’unica cosa che entrambi potevano desiderare, non la potevano avere.

Le si avvicinò e la abbracciò.

- Scusa Kasumi.- le diede un bacio sul capo. – Io ti voglio bene, sorellina.-

Si asciugò le lacrime e sorrise.

- Anch’io ti voglio bene, Kojiro.-

- Cercherò di lasciarti in pace.- le disse poggiando le mani sulle sue spalle.

- Mi basterebbe che evitassi d’infuriarti, ogni volta che un tuo amico si avvicina a me.- gli diede un buffetto sulla guancia, ricevendo un sorriso benevolo come risposta.

Nonostante il Campionato fosse terminato, la Toho continuava ad allenarsi, perchè i giocatori dovevano prepararsi per le selezioni in Nazionale. Kasumi stava passando i palloni dalla cesta al fratello, mentre Wakashimazu si tuffava a destra e a sinistra per parare. Ad un certo punto una cannonata più forte delle altre, fece urlare di dolore l’estremo difensore.

- Ops, scusa Ken.- disse Kojiro, alzando la mano.

- Tutto bene Wakashimazu?- gli si avvicinò Kasumi.

Il ragazzo annuì, ma si teneva la mano sinistra, stringendo i denti. Kasumi gliela prese tra le sue e lo invitò a seguirla in infermeria. Kojiro serrò i pugni e tacque, memore della discussione avuta con la sorella. Si volse verso i compagni e disse di proseguire l’allenamento, mentre il portiere si allontanava tirato per la manica dalla ragazza.

L’infermeria era deserta, dato che l’orario delle inservienti era terminato da un po’. Kasumi lo fece sedere sul lettino e gli sfilò delicatamente il guanto, cercando di provocargli meno dolore possibile. Poi si avviò all’armadietto dei medicinali per trovare qualche gel antidolorifico. Mentre rovistava tra bende e siringhe, pensò che erano soli e che finalmente avrebbero potuto parlare di loro. Sorrise e afferrò un tubetto di gel a base di arnica e delle bende.

Prima gli disinfettò la mano con l’alcool, poi iniziò a passargli la gelatina sulla pelle. Ken sentì una sensazione di freddo all’inizio, poi la mano iniziò a scaldarsi, ma il ragazzo era più concentrato sul contatto con le mani di lei, che scivolavano piano piano esercitando una leggera pressione. Prese le bende ed iniziò ad eseguire la fasciatura. Ken osservò per qualche istante l’operazione, poi alzò lo sguardo verso di lei, che aveva quella stessa espressione assorta, che lo aveva reso succube, giorni fa, a casa sua. Com’erano lunghe le sue ciglia, ma soprattutto quanto erano invitanti le sue labbra. Il cuore iniziò a rimbombare nel suo petto, mentre ricordava quanto fosse andato vicino a sfiorarle.

Kasumi fermò la benda con una graffetta e alzò lo sguardo sorridente.

- Fatto!- disse carezzandogli la mano fasciata. Il respiro le si bloccò, quando incontrò i suoi occhi brillanti che la guardavano dolcemente. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la voce le morì nella gola. Abbassò lo sguardo, mentre le gote si imporporavano.

Ken si abbassò e le posò le labbra sulla fronte.

- Grazie.- sussurrò sulla sua pelle.

Fu allora, che lei prese l’iniziativa e alzando il viso lo baciò. Ken restò immobile, sorpreso da quel gesto ardito, ma quando lei si allontanò, non pago di quel contatto, la strinse a sé con forza.

Kasumi lo guardò timidamente.

- Ken, tu mi…- ma non poté finire la frase, perché stavolta fu lui a baciarla con passione, stringendola per la vita, mentre lei gli accarezzava il collo.

- Lo so.- sussurrò con la fronte appoggiata alla sua.

- Vale anche per me.- le sorrise.

Kasumi prese il suo viso tra le mani e si unirono in un altro bacio da togliere il fiato.

In campo Kojiro cercava stoicamente di far finta di niente, ma ogni tanto gettava occhiate ansiose verso l’infermeria, domandandosi dove fossero finiti e se fosse il caso di andarli a cercare. Nel frattempo, Kasumi e Ken si avviavano verso l’uscita, mano nella mano, ma improvvisamente lei si arrestò.

- Ken devo chiederti di non dire niente a Kojiro, vorrei dirglielo io con calma.-

Wakashimazu non rispose.

- Tra poco avrete le selezioni in Nazionale e io non voglio che litighiate.- lo guardò implorante.

- Si arrabbierebbe comunque.- rispose rassegnato.

- So che ha un caratteraccio, ma è una persona fondamentalmente buona, vedrai che capirà e non dirà niente.-

- Sì, lo conosco bene. D’accordo faremo finta di niente per il momento.- sospirò.

Kasumi sorrise e lo abbracciò.

- Te lo prometto, solo per poco tempo, poi gli dirò tutto.- si sciolse dal suo abbraccio e si avviò.

- E poi mio fratello dovrà capire che, se mi va, posso uscire anche con tutta la squadra.-

Ken la bloccò e la strinse per la vita.

- Ehi, ragazzina. Come tutta la squadra?- disse ridendo.

Kasumi rise a sua volta.

- Che c’è sei geloso?- lo punzecchiò liberandosi dalla sua presa.

Ad un passo dall’uscita, Ken le prese la mano e la fece voltare, poi la strinse e la baciò.

- Volevo farlo, prima di tornare dal “nemico”.- disse ridendo.

Kasumi gli sorrise dolcemente, poi tornarono dagli altri, dissimulando perfettamente, mentre dentro di loro gridavano di gioia. Tornarono alle loro mansioni e mentre Kasumi puliva il pallone, che aveva raccolto da terra, pensò che l’ultima volta che si era sentita così felice, fu, quando il padre era ancora vivo. Sorrise al pensiero del caro genitore, prematuramente scomparso, sperando che, ovunque fosse, potesse sentire anche lui quel calore che le stava scaldando l’animo.

* In Giappone, è un gesto molto scortese.

Finalmente Kasumi e Ken si sono messi insieme...dedico il capitolo a quanti di voi speravano che tra i due succedesse qualcosa.

Ringrazio tutte le persone che mi dedicano il loro tempo anche solo per leggere la mia FF e un grazie particolare a coloro che recensiscono: le vostre parole mi danno la carica!

Un caro abbraccio a tutti!


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Capitolo 12
*** Bruciante verità ***


Capitolo 12

Bruciante verità

- Sono, Tsubasa.-

Il respiro le mancò, la pelle del viso si scaldò fin quasi ad ardere, il cuore iniziò ad accelerare i battiti. Dovette reggersi con una mano al mobile per dare supporto alle gambe, che non riuscivano più a reggerla per l’emozione. Perché Tsubasa doveva essere così prepotentemente presente nella sua vita? Strinse forte il legno sotto le sue dita, per calmare quel tumulto, che si agitava dentro di lei.

- Tsubasa…- articolò con voce fioca.

Quella voce arrivò alle sue orecchie come il suono più bello del mondo, le sue labbra si allargarono in un sorriso, mentre il cuore galoppava impazzito.

- Sanae!- esclamò felice.- Come stai?-

- B…bene.- rispose, cercando di controllare il tremolio della voce, mentre si chiedeva come potesse essere così allegro e tranquillo, dopo tre anni di silenzio.

- Scusami, se non ti ho mai chiamata in tutto questo tempo.- rispose come se le avesse letto nel pensiero. Anche se non poteva spiegarle i motivi, ci teneva in ogni caso a chiedere perdono,.

- Neanch’io ho cercato di contattarti.- ammise tutto d’un fiato, realizzando solo dopo ciò che aveva proferito.

- Bé sono partito così all’improvviso…mi dispiace, Sanae, devi credermi…- insistette mortificato.

Sanae non riusciva a ragionare, non capiva come fosse possibile trovarsi in una situazione tanto assurda. Si chiese se non fosse meglio porre fine a quell’imbarazzante conversazione, buttando semplicemente giù la cornetta, ma qualcosa glielo impedì.

- Noi stiamo festeggiando la fine del Campionato.- riprese il discorso, lottando contro le emozioni che imperversavano sul suo cuore.

- Ah, come è andata?- chiese, andando a parare in un terreno a lui più congeniale, per poi pentirsi immediatamente di aver fatto quella domanda. La ragazza che amava era al telefono con lui, dopo tre anni che non la sentiva e lui doveva rovinare tutto, buttando il discorso sul calcio, come spesso aveva fatto in passato.

In quel momento, Misaki spuntò dall’angolo e la vide al telefono. Immaginava con chi fosse all’apparecchio, quindi si avvicinò per prenderle la cornetta, ma Sanae gli mostrò il palmo della mano per fermarlo e si apprestò a rispondere alla domanda.

- Scusa, Sanae.- sospirò – Sono veramente un imbranato…è che vorrei dirti tante di quelle cose…-

Sanae sentì pizzicare gli occhi e si morse il labbro inferiore per non cedere alle lacrime. Anche lei avrebbe voluto dirgli tante cose, ma le parole non riuscivano ad uscirle dalla bocca.

- Non vedo l’ora di poterti parlare guardandoti negli occhi.- confessò dolcemente.

Un senso di oppressione al petto la soffocava. Strizzò le palpebre, nel vano tentativo di trattenere le lacrime. Taro la osservava in silenzio, ma spalancò gli occhi, quando vide una goccia scivolarle lungo la guancia. Le posò una mano sulla spalla e con sguardo bonario le fece cenno di lasciarle il telefono, prima che scoppiasse a piangere.

- Tsubasa io…ti devo salutare….ti passo Misaki.- disse con l’ultimo sforzo di conservare la calma.

- Ciao…- “….amore mio” disse dentro di sé. Avrebbe voluto urlarglielo con tutto il fiato che aveva in corpo, ma non era né il momento né il modo adatto. Sanae meritava di sentirsi dire di persona quanto fosse importante per lui.

Passò il ricevitore a Misaki e si diresse mestamente verso le scale. Taro la osservò tenendo d’occhio i suoi movimenti, mentre si avvicinava la cornetta all’orecchio e quando sentì che stava scendendo le scale, iniziò a parlare.

- Scusa Tsubasa, ma c’era una tale confusione di sotto…se avessi sentito il telefono le avrei impedito di rispondere- si giustificò. Sanae captò quelle poche parole, mentre percorreva gli ultimi gradini e non vista ritornò silenziosamente sui suoi passi per nascondersi dietro l’angolo ad origliare: Taro le nascondeva qualcosa.

Tsubasa rise felice: - Mi prendi in giro Taro? Non immagini quello che sto provando in questo momento! Quando ho capito che era lei al telefono, stavo per impazzire dalla gioia.-

Taro assunse un’espressione grave, il suo migliore amico era felice, ma c’erano cose che lui non sapeva. “Non dire niente a Tsubasa”: la voce di Yayoi gli riecheggiò nella mente.

- Sono contento per te.- cercò di suonare convincente.

- Amico mio, credimi, se prima avevo qualche dubbio, ora è sparito. Devo tornare in Giappone e dirle tutto: non voglio più stare senza di lei.- Tsubasa era emozionato: non immaginava che solo sentire la voce del suo angelo, lo avrebbe messo in un tale stato di grazia.

Taro si sentiva angosciato, non voleva smontare la sua felicità, ma non poteva nemmeno ignorare l’esistenza di Yosuke Shiratori, che gli aveva portato via Sanae.

- Sei così innamorato di lei?- deglutì nervosamente.

“Innamorato…innamorato” Sanae non riuscì a credere a ciò che aveva appena sentito, possibile che stesse parlando di lei. Le lacrime scesero spontaneamente e dovette coprirsi la bocca con le mani per nascondere i singhiozzi, mentre scivolava lungo la parete per abbandonarsi a sedere sul pavimento.

- Sì, lo sono sempre stato, ma solo ora ho raggiunto la maturità per capirlo, mi auguro che non sia troppo tardi.-

Quelle parole colpirono Taro come una zavorra e, per l’ennesima volta, si chiese se facesse bene a nascondergli che Sanae stava con Shiratori.

- Sai, tra breve ci rivedremo: sono stato convocato per le eliminatorie.-

- Sì, ce lo hanno comunicato. Ci saremo io, Morisaki, Izawa, Taki, Kisugi, Takasugi e Ishizaki.-

- Splendido! Vi rincontrerò tutti.- esclamò contento.

- Allora, ci vediamo, quando torni.-

Sanae sussultò.

- Sì, ciao Misaki. Dì a Sanae che mi manca tantissimo.- riappese la cornetta e si avviò felice da Pepe, per raccontargli della telefonata.

Taro sospirò e si avviò verso le scale, ma, quando svoltò l’angolo, si arrestò come congelato. Sanae era seduta a terra con il volto nascosto sulle ginocchia, scossa dai singhiozzi: doveva aver sentito tutto.

- Da quanto va avanti, Misaki?- lo sguardo al pavimento e la voce rotta dal pianto.

Taro tacque, incapace di rispondere a quella domanda accusatoria, ma Sanae gli rivolse un’occhiata carica di rabbia.

- Rispondimi maledizione!- imprecò.

Elena rimase bloccata sulle scale, guardando alternatamene Sanae e il suo ragazzo e intuendo che fosse successo qualcosa di grave, ritornò al piano inferiore per cercare di convincere gli ospiti a tornare a casa, facendosi aiutare da Yukari e Morisaki, gli unici sobri, prima che l’atmosfera divenisse irrespirabile.

Taro si avvicinò per farla rialzare, ma lei lo scostò bruscamente.

- Non mi rispondi vigliacco?!- i suoi occhi erano rossi dal pianto, che continuava a scorrerle sul viso contorto dalla sofferenza.

- Sanae, cerca di calmarti, ti spiegherò ogni cosa te lo giuro, ma adesso vieni con me, non vorrai che gli altri ti vedano così?- le circondò le spalle con un braccio e la fece accomodare nella sua cameretta, poi raggiunse Elena al piano terra, per salutare gli ospiti.

- Ehi, ma Anego dov’è?- domandò Ishizaki con la bocca impastata dall’alcool.

Taro ed Elena si guardarono incerti.

- Si è addormentata sul mio letto, quella scema era più ubriaca di quanto sembrasse.- disse Taro, accompagnando la pietosa scusa con una risata, cui fecero eco i compagni brilli.

Salutarono tutti, poi appena rimasero soli, Taro spiegò velocemente la situazione ad Elena, che si coprì il volto con le mani. Si aspettava che la verità sarebbe saltata fuori e ora ne avrebbero pagato le conseguenze.

- Ascoltami: Sanae è piuttosto sconvolta, è di sopra che continua a piangere.-

- Vai da lei e non lasciarla sola. Io le preparo una camomilla, le servirà sicuramente.- gli accarezzò una guancia e si diresse in cucina.

Taro la trovò accucciata sul letto con la testa tra le mani, incapace di calmare i singhiozzi.

- Sanae…- si sedette accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio, ma lei lo allontanò. Non si fidava più, aveva capito che Taro le aveva nascosto qualcosa di molto importante.

Elena li raggiunse con una tazza fumante.

- Bevi questa Sanae, ti farà bene.- le porse la camomilla.

Prese la tazza senza nemmeno ringraziare e ingoiò qualche sorso, mentre squadrava torvamente entrambi.

- Cosa sapete?- domandò a bruciapelo.

Elena scrutò preoccupata il suo ragazzo, che si accomodò alla poltroncina della scrivania e sospirando cercò di raccogliere le idee per usare le parole più giuste.

- In questi tre anni, io e Tsubasa siamo sempre stati in contatto.- iniziò.

- Misaki non tergiversare, cosa mi nascondi?- sentenziò piccata, con la voce rotta dal pianto.

- Tsubasa è innamorato di te, Sanae.- intervenne Elena, confessando, finalmente, ciò che più le premeva sapere.

Si portò una mano al volto, mentre il petto sussultava per i singhiozzi.

- Da quanto lo sapete?- chiuse gli occhi e sospirò.

- Me lo disse prima di partire, io ed Elena eravamo ancora a Parigi. Voi eravate appena tornati dalla gita del terzo anno.- Non lo interruppe, voleva sentire tutto ciò che non le avevano detto in quei tre anni e lui proseguì, incoraggiato dal suo silenzio.

- Mi disse che si era accorto di provare dei sentimenti forti, che la partenza sarebbe stata molto dolorosa. Perciò è andato in Brasile senza nemmeno salutarti.-

La nebbia nel suo cuore iniziava a diradare e molte delle domande, che si era posta continuamente in quei tre anni, stavano trovando risposta.

- Sperava che i suoi e i tuoi sentimenti si sarebbero affievoliti col tempo. Lui non voleva relegarti a fidanzata a distanza.-

Sanae si prese la testa tra le mani, confusa e amareggiata, anche se non sapeva contro chi indirizzare questi sentimenti: Taro che le aveva nascosto la verità o lei che era stata troppo vigliacca e aveva preferito cedere al dolore, piuttosto che combattere per il ragazzo che amava?

- Capisci Sanae, è per questo che non si è mai fatto sentire da te e ha fatto di tutto per sparire dalla tua vita.- le spiegò Elena.

- Ma non c’è riuscito, lui ti ama e molto.- disse Taro, che nel frattempo accese il PC per mostrarle le e-mail inviate dall’amico in quei tre anni: tanto valeva non nasconderle più niente.

La fece accomodare al suo posto e la invitò a leggere. Sanae aprì un messaggio, che Tsubasa doveva aver inviato almeno una settimana dopo l’arrivo a San Paolo.

Ciao Taro,

stasera sono proprio abbattuto, le selezioni sono durissime e oltretutto il mio compagno di stanza mi ha fatto capire che non mi sopporta…ho cominciato proprio in bellezza.

E’ dura stare lontani da casa, dagli amici, ma soprattutto da una persona speciale come Sanae. Spero, solo di riuscire a dimenticarla, anche se più passa il tempo, più penso a lei, la cerco con lo sguardo, ricordandomi solo dopo che non è qui con me.

La vista le sia annebbiò a causa del pianto che aveva ricominciato a riempirle gli occhi, chiuse l’e-mail e sprofondò il viso tra le mani. Non volle leggere altro: poteva immaginare cosa contenesse il resto messaggi e non ce la faceva più. Come avevano potuto nasconderle tutto questo?

- Perdonaci, Sanae. Avremmo dovuto dirtelo.- disse Elena, mortificata.

Alzò il volto bagnato: i suoi occhi erano carichi di disprezzo.

- Tsubasa mi ha fatto giurare di non dirti niente.- si affrettò a precisare Taro.

Scattò in piedi, ansimante per il furore che la stava logorando.

Taro fece un passo indietro.

- Cerca di calmarti, Sanae. Capisci che Tsubasa è il mio migliore amico…-

- E IO? IO COSA SONO MISAKI?! CREDEVO DI ESSERE TUA AMICA ANCH’IO!- abbassò lo sguardo, lo stomaco le doleva per il nervoso.

- Ti sei divertito a vedermi soffrire?- chiese con un sorriso maligno.

Taro scosse la testa incapace di difendersi.

- Sei solo un falso doppiogiochista!- sibilò.

- Ora stai esagerando, Sanae.- intervenne Elena. Taro non meritava un’accusa così cattiva.

- NON T’INTROMETTERE!- le puntò il dito contro.

La ragazza trasalì colpita da quel gesto intimidatorio.

- TU SEI ANCHE PEGGIO DI LUI! SIETE FATTI L’UNO PER L’ALTRA!- imboccò l’uscita e scese come una furia le scale, lasciandoli lì interdetti. Si riscossero, quando sentirono la porta di casa sbattere violentemente.

Taro era molto deluso sia di se stesso sia dei suoi amici, solo ora si rendeva conto di quanto fosse stato inutile e assurdo nascondere la verità. Tutti loro erano stati immaturi e vigliacchi, montando quella stupida farsa. Lui per primo non avrebbe dovuto accettare di essere coinvolto.

Sentì un tepore avvolgerlo e si accorse che Elena lo stava abbracciando. La sua piccolina era stata l’unica ad essere contraria alle decisioni di Tsubasa, lei era meglio di tutti loro messi insieme.

- Non dare peso a quello che ha detto Sanae. E’ molto arrabbiata in questo momento.- disse, sforzandosi di sorridergli, nonostante le parole dell’amica l’avessero ferita profondamente. Le posò un bacio sulla fronte e si andò a sedere sul letto.

- L’ho combinata grossa stavolta.- sospirò.

- Non sentirti responsabile, Taro. L’hai fatto per lealtà verso Tsubasa, vedrai che Sanae lo capirà, quando riuscirà a sbollire la rabbia.- lo baciò sulla guancia, portandolo a voltarsi verso di lei per cercare le sue labbra.

Il sapore dolce della sua bocca scacciò l’amaro di quella brutta serata, mentre sentiva le sue mani che gli accarezzavano la schiena con un tocco deciso. Non lo aveva mai baciato con tanta passione. Elena scrutò il suo sguardo piacevolmente sorpreso, felice di aver sortito l’effetto desiderato: aspettava quel momento da tanto. Lo spinse leggermente per farlo stendere e iniziò a baciargli il collo, facendolo rabbrividire. Taro le passò le mani tra i capelli dorati, mentre con la bocca andava a cercare la sua. Sentì le sue mani scorrere lungo i fianchi e tirare la maglietta per sfilargliela e alzò le braccia per agevolarle il compito. Elena scese con le labbra a lambirgli nuovamente il collo, il petto, gli addominali, mentre con le dita gli torturava i capezzoli.

Taro ansimava eccitato, ma non riuscì a scacciare i dubbi, che gli stavano rovinando l’estasi di quei momenti di piacere. Elena era ancora minorenne, inoltre temeva che lei stesse cercando di consolarlo per le brutte parole dettegli da Sanae, ma non voleva che gli desse anche la parte più intima di sé solo per vederlo contento. La camicetta di raso che portava iniziò ad aprirsi, rivelando un sensuale reggiseno di pizzo e Taro dovette fare violenza a se stesso, per scuotersi dal torpore dell’eccitazione.

- Meglio di no.- disse bloccandola, mentre lei cercava di ribellarsi a quella brusca interruzione.

Elena si ritrasse sconvolta. La stava rifiutando: il suo ragazzo non voleva fare l’amore con lei. Abbassò lo sguardo sulla sua camicetta aperta e iniziò a sentirsi bruciare per la vergogna e l’umiliazione, mentre Taro si rivestiva. Con una calma quasi irreale, si alzò e uscì trascinandosi fino alle scale, non sentendo nemmeno cosa le stesse dicendo. Scese un paio di gradini, ma poi si dovette sedere schiacciata dal peso della delusione. Si aggrappò al corrimano e si diresse fino al corridoio, camminando come in trance, superò l’archetto e prese distrattamente la sua giacca. Se la infilò, sopra la camicetta ancora aperta e uscì senza fare il minimo rumore.

Taro stava rimuginando su quanto era appena successo. Era giusto così, preferiva aspettare che Elena fosse un po’ più matura e consapevole di ciò che comportasse concedersi al proprio ragazzo. Forse in quel momento era offesa, ma era sicuro che avrebbe compreso. Sbuffò per scrollarsi di dosso l’agitazione. Certo che, per avere ancora 16 anni, Elena era proprio bella e sensuale: trattenersi era stata un’impresa ardua. Scese le scale e andò nel salotto, pensando di trovarla sul divano a braccia conserte, imbronciata come una bimba in castigo.

- Elena?- domandò, non ottenendo risposta. Iniziò a guardarsi intorno in ansia, risalì al piano superiore, ma niente anche lì. Ridiscese, mentre una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco iniziò ad infastidirlo. Andò verso l’uscita e con orrore si accorse che i suoi sospetti erano fondati: gli effetti di Elena non c’erano più, era uscita da sola, nel cuore della notte. Spalancò la porta per cercare di raggiungerla, ma la via era deserta. Preso dal panico, andò al telefono, pensando di avvertire Davide. Afferrò la cornetta, ma ancor prima di comporre il numero si arrestò. Come avrebbe potuto spiegargli quello che era successo? Ributtò l’apparecchio sulla forcella, cercando di farsi venire in mente qualche idea.

Elena camminava mollemente per strada inebetita e, senza rendersene conto, si ritrovò di fronte alla casa di Sanae. Estrasse il pocket bell dalla borsa e compose un messaggio.

Sanae si stava rigirando nervosamente tra le lenzuola, senza riuscire a trovare una posizione comoda. Si alzò disturbata da un trillo irritante, che proveniva dalla sua borsa. Ne estrasse l’oggettino, che aveva ancora il display illuminato e lesse il messaggio.

Sono sotto casa tua, puoi aprirmi per favore? Elena.

Scostò le tende dalla finestra e vide che era da sola proprio davanti al cancello. Si precipitò all’entrata con le chiavi in mano e andò ad aprirle.

- Che diavolo ci fai qui?!- sibilò irata, ma si bloccò, perché notò un’aria strana in lei. Elena non rispose, le si gettò al collo e cominciò a piangere.

Sanae, dopo il primo momento di stupore, la prese con sé e l’accompagnò in casa, sorreggendola. La portò in camera sua e la fece sedere sul letto. Vedendo che non reagiva la svestì della giacca e si arrestò vedendo la sua camicia semiaperta.

- Ma che ti è successo?- chiese in ansia, temendo il peggio.

- Perché sei in giro da sola? Dov’è Misaki?- domandò a raffica, cercando di comprendere la situazione.

- Elena, rispondimi ti prego!- la implorò scuotendola.

- Hai ragione tu Sanae…- bisbigliò con lo sguardo perso nel vuoto.

- Taro è un falso, falso e bugiardo.- si nascose il viso piangente tra le mani.

- Ti ha fatto qualcosa di male?- domandò preoccupata. Non rispose e continuò a singhiozzare disperata.

Andò a recuperare il cordless in corridoio e pigiò il tasto della memoria per il numero di Misaki, che rispose immediatamente.

- Elena!-

- No, sono Sanae. Imbecille! Cos’altro hai combinato stasera?!- lo sgridò.

- Elena è lì con te?- chiese sperando che stesse bene.

- Sì, è con me ed è disperata. Cosa le hai fatto?-

- Passamela per favore.-

Sanae si voltò a guardarla indicandole la cornetta e finalmente vide una reazione da parte sua: scosse la testa violentemente.

- Non ti vuole parlare. Che le hai fatto, deficiente?- era già abbastanza arrabbiata per i suoi buoni motivi, ora le mancavano solo le beghe personali di Misaki.

- Ah, lasciamo stare. Ti saluto.-

- Sanae, pro…- ma la comunicazione era già terminata. Si passò una mano sul viso e sospirò, quella serata andava peggiorando. Si buttò mollemente sul letto, cercando di rilassarsi: almeno non era da sola per strada. Bella figura da idiota aveva fatto!

Sanae cercò di farla calmare, per capire cosa fosse successo di così grave.

- E’ per colpa mia?- domandò mortificata, dandosi poi mentalmente della stupida. La reazione che aveva avuto era più che normale, anzi era assurdo che proprio lei dovesse consolare quella ragazza, che si era resa complice dell’atto meschino di cui era stata vittima. Ciononostante, non riusciva ad essere cattiva con lei.

Elena scosse la testa e tra i singhiozzi le raccontò ciò che era successo. Sanae la ascoltò, stupendosi di ciò che sentiva: Taro non poteva essere stato così cretino!

- Su ora calmati, sicuramente c’è una spiegazione.-

- La spiegazione è che Taro mi considera fondamentalmente la sua sorellina, si è messo con me, perché gli faccio tenerezza.- Il pianto la soffocava e, all’improvviso, violenti spasmi la fecero sussultare. Si accoccolò addosso a Sanae, che la sostenne prima che scivolasse dal letto svenuta.

Si sforzò di non lasciarsi andare al panico. La fece sdraiare e la coprì, poi tirò fuori delle trapunte dall’armadio e improvvisò una specie di futon per cercare di riposare, se fosse stato possibile. Prima di stendersi guardò quella povera creaturina esanime. Ripensò alle odiose parole che le aveva rivolto e si sentì in colpa. Certo che era proprio strana, nonostante ciò che aveva scoperto quella sera, si sentiva in dovere di pensare prima agli altri che a se stessa.

- Che giornata!- sbuffò, passandosi una mano sul volto.

Il piacere può fondarsi sull'illusione, ma la felicità riposa sulla verità (anonimo americano)

Ciao a tutte! Con questo capitolo inizio a presentare un po’ meglio Elena, che da quanto letto finora può sembrare la fatina felice uscita dal bosco. Con il prossimo capitolo chiarirò un po’ di cose, quindi non perdetevelo!

Ringrazio come sempre tutte le persone che mi dedicano il loro tempo, leggendo e recensendo la mia FF.

Un bacione a: Onlyhope, Eos75, Rossy e Dolcebarbara vi ringrazio per il sostegno che mi date.

A presto!

Sara

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Capitolo 13
*** La crisi di Elena ***


Capitolo 13

La crisi di Elena

Il sonno l’aveva avvolta dolcemente, dopo quasi un’ora che si muoveva da un lato all’altro su quello scomodo letto improvvisato, fino al momento in cui un’eco la disturbò. Aprì gli occhi e capì che quello, che aveva sentito, era un grido.

- Nooooo! Mamma…mamma, noooo…papà…-

Si alzò di scatto e vide Elena che si agitava, mentre proferiva parole in una lingua per lei incomprensibile.

- Aiutoooo…aiutoooo…-

- Sta parlando in italiano…-bisbigliò tra sé e sé.

Si chiese se fosse meglio svegliarla, ma ad un tratto si voltò sul fianco e si acquietò, mentre una lacrima le solcava la guancia. Sanae le rimboccò le coperte, scivolate sul lato del letto e le accarezzò la testa, poi si rimise nel suo giaciglio e la osservò per controllare che non avesse altri incubi, ma presto il sonno le richiuse le palpebre.

Al mattino, fu la prima ad alzarsi. Lasciò che Elena dormisse, finché voleva, mentre lei aiutava la madre con la colazione. Dopo un’ora, la sua amica scese in cucina per unirsi alle due donne.

- Buongiorno- Sanae le passò una tazza di caffè e latte e un piatto con delle brioche calde.

La signora Nakazawa si preparò per andare a fare la spesa e uscì. Non appena furono sole, Sanae chiese a Elena come stesse.

- Sto abbastanza bene. Scusami, se stanotte sono piombata qui.-

- Figurati, non preoccuparti. Anzi scusa tu, se ieri sera ti ho aggredita con quelle parole.- le andò a coprire una mano con la sua per rassicurarla. Nonostante fosse ancora molto arrabbiata, non aveva coraggio di sfogare quel sentimento contro di lei.

- Non avrei mai voluto che scoprissi tutto così, Sanae. Non sai quante volte sono stata ad un passo dal dirti tutto, ma avevo giurato a Taro…- si bloccò, anche pronunciarne solo il nome le faceva male. Sanae le strinse la mano.

- Non pensarci adesso, lascia perdere.- la scrutò attentamente, notando che i suoi occhi sembravano come spenti e sul suo viso non compariva quel sorriso luminoso, che la contraddistingueva.

- Elena…-

- Sanae, io devo confessarti una cosa.- disse con lo sguardo fisso sulla tazza, che teneva tra le mani.

- Ieri notte non mi sono resa conto di essere venuta qui. Mi ricordo che sono uscita da casa di Taro e basta, poi stamani mi sono svegliata nel tuo letto.-

Sanae deglutì nervosamente, soppesando quella rivelazione con la dovuta cautela.

- Elena, tu…stanotte hai avuto degli incubi credo.- le confessò.

Annuì: sapeva a cosa si riferisse.

- Non riuscivo a capire ciò che dicevi, ma ti agitavi. Ti è mai capitato?- le chiese ansiosamente.

- Mi capita tutte le notti.- rispose con lo sguardo perso nel vuoto e il tono rassegnato.

Sanae si morse un labbro, pentendosi di averla turbata a quel modo. Era stata tanto impegnata a pensare ai suoi problemi, che non aveva capito quali sofferenze si mascherassero sotto il sorriso luminoso, che ora era scomparso da quel dolce viso etereo.

Proseguirono il pasto in silenzio, finché Elena, consumata la colazione, non tornò di sopra e, sistemandosi come poteva, raccolse la sue cose. Salutò Sanae, scusandosi ancora per averle dato tanto disturbo e, alle sue richieste di lasciarsi almeno accompagnare, rifiutò gentilmente, sforzandosi di mostrarle un sorriso convincente.

Dopo averla seguita al cancello, Sanae rimase lì ad osservarla: dall’andatura bene eretta e decisa sembrava che stesse veramente meglio, ma come poteva esserne certa, dopo ciò che aveva scoperto quella notte?

Svoltato l’angolo, sicura che la sua messinscena avesse funzionato, Elena sospirò, mentre sentiva che le lacrime stavano sgretolando quell’inutile maschera. Era da quando aveva aperto gli occhi che il magone la stava soffocando. Si era svegliata in un letto non suo e, faticando a mettere a fuoco gli oggetti che la circondavano, realizzò dove si trovava grazie alla foto di Sanae con la squadra appoggiata sul comodino. Quel che era accaduto la spaventava e iniziò a domandarsi, se dei simili vuoti di memoria le fossero accaduti altre volte.

Ripensò alla sera precedente, rivivendo come un film in fast forward tutti i momenti della festa, fino ad arrivare al momento in cui Misaki l’aveva allontanata da sé rifiutandola. “Meglio di no”: la frase le ronzava ancora nelle orecchie, poi...più niente, come se la videocassetta fosse stata interrotta. Le lacrime le bagnarono le guance, mentre il corpo tremava ancora scosso per il dolore e l’umiliazione. Un passo, poi un altro, sempre più veloce. Cominciò a correre, desiderando di poter volare via, scappare dal dolore che la stava perseguitando.

Tornò a casa dopo tre ore, in cui aveva girovagato per tentare di cancellare le tracce di pianto e ripristinare la maschera, che indossava fin dal giorno più brutto della sua vita. Entrò e gettò svogliatamente la borsa accanto all’appendiabiti.

- Bentornata, Taro ti ha già cercata per tre volte stamani? Ma dov’eri?- Davide le andò incontro, rivolgendosi a lei con la sua squillante voce dal marcato accento romano.

- In giro.- rispose con un’alzata di spalle, pentendosi del tono piatto che aveva assunto, ma non riusciva a nascondere il turbamento che le provocava quel nome.

- Qualcosa non va?- notò subito la sua espressione, insolitamente triste.

- Stellina, ma tu hai pianto?!- incalzò, sapendo di non sbagliarsi.

Lei si voltò dall’altra parte, scuotendo la testa ed evitando di rispondere, perchè non avrebbe saputo controllare il tremolio della voce, alterata dalla grande voglia di piangere che non si era esaurita nel tempo che aveva trascorso fuori casa. Prima che potesse imboccare la via per la sua stanza, dove si sarebbe chiusa per sfogarsi finché ne avesse avuto bisogno, la mano di Davide la afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi.

- Dimmi cos’hai?- scrutò i suoi occhi, notando con stupore che quelle due gocce di mare erano diventate lucide.

- Non ho niente, fatti i fatti tuoi!- gridò divincolandosi dalla presa.

Davide non mollò, percependo il tremolio del suo corpo attraverso quella stretta.

- Lasciami, mi vuoi lasciare?!-

Lui la lasciò, ma prima che potesse andarsi a rifugiare in camera sua, la seguì evitando di rimanere chiuso fuori della stanza.

- Lasciami sola, vattene!- imprecò indicando l’uscita.

Davide non credeva alle proprie orecchie: Elena non era mai stata così aggressiva, con nessuno, benché meno con lui.

- Elena ti prego, mi sto preoccupando, vuoi dirmi che cos’hai?-

- Ah, sì? Ti preoccupi e perché mai? Tu non sei mio padre, che te ne frega di come sto io?-

Senza rendersene conto, Davide andò a colpirle la guancia con un ceffone, che risuonò nel silenzio della stanza.

- Scu..scusami Ele, non volevo…- le parole di lei, lo avevano ferito al punto tale di provocargli quella reazione tanto involontaria.

Qualcosa di più bruciante di quel marchio sulla guancia stava esplodendo dentro di lei, che sconvolta da ciò che era appena accaduto, poté solo voltarsi per afferrare l’oggetto che teneva nascosto sotto il cuscino e scappare verso la porta d’ingresso. Uscì sbattendola furiosamente e provocando una rumore sordo, che lo fece sussultare. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Andò al telefono e chiamò l’unica persona che lo poteva aiutare.

- Pronto?- rispose al primo squillo, sperando che fosse lei.

- Taro sono Davide. Elena è uscita di casa, credo stia venendo da te. Era fuori di sé stamattina…-

Per un momento non seppe cosa rispondere e l’angoscia stava subentrando all’amarezza che gli aveva provocato una nottata infernale, tuttavia decise di non dire niente di ciò che era accaduto la sera prima.

- Che è successo avete litigato?- assunse un tono fittizio che, al telefono, poteva anche sembrare tranquillo.

Davide sospirò e confessò a Taro quello che aveva fatto. Pur riuscendo a mantenere il controllo, dentro piangeva il dolore di aver fallito. Riagganciò supplicandolo di fargli sapere al più presto se era andata da lui o meno.

Si passò una mano sul volto e andò a buttarsi sul divano nel suo studio. Nella penombra rimase assorto a fissare la luce, che filtrava invadente attraverso le fessure delle veneziane, poi si mise la mano in tasca per trovare una minuscola chiave anonima. Andò alla scrivania ed aprì il cassetto dal quale estrasse un vecchio album fotografico dalla copertina verde. La foto, che campeggiava sulla prima pagina, ritraeva due uomini e una donna sorridenti: tre vecchi amici che solo il destino ingiusto aveva separato prematuramente. Passò la mano su quel ricordo, che nemmeno il passare del tempo, così inclemente sul colore della carta, poteva oscurare.

- Andrea. Manuela. Datemi la forza…-

Taro era uscito, dando vaghe spiegazioni a suo padre, che stava nel suo laboratorio, concentrato su una nuova tela da realizzare. Andò a cercare nei posti più probabili, senza alcun risultato. Ogni volta che incontrava una cabina telefonica malediceva mentalmente che Elena non possedesse un cellulare. Ma, in fondo, anche se lo avesse avuto, gli avrebbe risposto?

Tornò a casa sconsolato, deciso ad issare bandiera bianca. Chiamò Davide e gli spiegò che lui e Elena avevano litigato, mantenendosi sul generico, perché raccontare la motivazione sarebbe stato troppo imbarazzante.

- Ascolta Taro, inizia a fare un giro di chiamate, chiedi a tutti i vostri amici se l’hanno vista.- comandò cercando di conservare l’autocontrollo.

Al termine della chiamata, Taro telefonò a tutti suoi compagni di squadra, ma nessuno l’aveva vista o incontrata per caso. Chiamò anche Shiratori, che simpaticamente rispose che non gliene poteva fregare niente di dove fosse. Sbatté il telefono, mandandolo ferocemente a quel paese, per poi riprendere il ricevitore per l’ultimo disperato tentativo.

- Pronto Nakazawa, sono Sanae.-

- Proprio te cercavo…-

- Misaki?! Hai proprio un bel coraggio a farti sentire, dopo…-

- Ti prego, dimmi solo se hai visto Elena.- la interruppe, troppo preso dalla preoccupazione per potersi dedicare ad altro.

Sanae si sentì come se l’avesse colpita un fulmine.

- Non è tornata a casa?-

Taro si sentì sprofondare, nemmeno Sanae l’aveva vista.

- Sì, però ha litigato col suo tutore ed è scappata.- sillabò quelle parole ad occhi chiusi.

Si voltò colpita dagli ultimi raggi del sole e osservò il colore azzurro del cielo, che stava diventando sempre più scuro, mentre si riaffacciavano alla sua mente le immagini di lei che si agitava nel sonno.

- Dobbiamo cercarla, Taro. Vengo da te e andiamo, intanto chiama Morisaki e Izawa, digli di setacciare ogni angolo, io chiamo Yukari.-

Dopo tre ore di ricerche infruttuose, Davide decise di chiamare la polizia. Sanae aveva raccontato a Taro quel che sapeva e adesso il ragazzo deambulava per la città disperato, cercando di allontanare i pensieri più oscuri, frutto dell’angoscia. Erano le undici di sera, stanchi e sfiduciati, si erano accomodati su una panchina, cercando di riflettere. Taro non voleva arrendersi all’idea di tornare a casa e aspettare. Sanae era a pezzi, non aveva dormito bene la notte precedente e non aveva toccato cibo, ma nemmeno lei avrebbe potuto tornarsene a casa tranquilla, mentre quella ragazzina era chissà dove.

- Proviamo al parco accanto alla scuola.-

- Abbiamo controllato già tre volte, Taro.- sbuffò sconsolata.

Si alzò come se non l’avesse udita, folgorato da un ricordo: i tubi! C’erano dei tubi di cemento armato, tra i cespugli del parco, come aveva fatto a non pensarci?

Corse oltre la scuola Nakatsu, seguito da Sanae che faticava a stargli dietro, si addentrò nel parco e passò attraverso i graffianti arbusti. La trovò rannicchiata con lo sguardo perso nel vuoto, intenta a fissare l’unica cosa che aveva preso con sé: una cornice dove spiccavano i volti sorridenti di una coppia, in cui erano riconoscibili i tratti somatici che le appartenevano. Sanae lo raggiunse e si bloccò davanti al triste spettacolo che le si presentava: Taro era accucciato a terra e le stava parlando, ma lei non lo sentiva nemmeno, sembrava una bambola priva di vita.

- Amore mio, cosa posso fare per te?- la strinse a sé piangendo.

Sanae si coprì la mano con la bocca e le lacrime le uscirono spontanee, mentre osservava il suo amico stringere disperato quella creaturina, che sembrava persa in un altro mondo. Ad un tratto Taro avvertì tutto il peso della ragazza tra le sue braccia: era nuovamente svenuta.

Sanae gli posò una mano sulla spalla.

- Portiamola a casa, Taro.- raccolse la cornice sfuggita di mano a Elena, mentre lui si passò la manica della giacca sul viso per asciugarsi le lacrime.

- Questi erano i suoi genitori, vero?- indicò la foto.

Taro annuì e facendo forza sulle gambe si rialzò con la sua ragazza rannicchiata sul petto e Sanae prese il pocket bell per comunicare agli altri che finalmente l’avevano ritrovata.

Arrivati a casa, Davide la tolse dalle braccia di Taro e la strinse a sé con tutta la forza. Elena aveva ragione, non era Andrea, ma forse nemmeno un padre amava la propria figlia quanto lui amasse quella sfortunata ragazzina. La portò in camera sua, l’adagiò sul letto e la coprì con il piumino. Taro notò il suo sguardo che rifletteva una miriade di sensazioni, mentre posava un bacio sulla fronte della ragazza dormiente.

Sanae si congedò, perché era talmente stanca che probabilmente sarebbe tornata a casa strisciando sui gomiti. Con tutto quel trambusto, si era perfino scordata di essere arrabbiata con Taro e, nonostante la ferita fosse ancora sanguinante, non poté evitare di dirgli:- Se hai bisogno di me per qualsiasi cosa, chiamami.- In ogni caso, Taro era da sempre un suo buon amico e probabilmente adesso aveva più che mai bisogno di sostegno.

Davide andò in cucina invitando Taro a seguirlo. Dovevano assolutamente parlare, aveva bisogno di capire cos’era che aveva innescato quella reazione in Elena. Il ragazzo si sedette allo sgabello e si preparò per raccontare quello che era successo la sera prima.

- Mi dispiace Davide, è solo colpa mia.-

- In ogni caso, sarebbe successo prima o poi. Non sei tu il responsabile, Taro. E’ solo che il tuo rifiuto ha fatto emergere tutta la sua fragilità. Se c’è qualcuno da biasimare quello sono io: ho nascosto la testa sotto la sabbia per troppo tempo.-

Il messaggio velato dietro a quelle parole, riportò Taro a quanto aveva appreso da Sanae.

- Sanae mi ha detto che Elena, durante il sonno, ha…-

- Avuto degli incubi? Sì, lo so, purtroppo non si può fare niente per evitarlo.-

- Io non lo sapevo, non le è mai successo, quando si addormentava a casa mia.-

- Perché con te si sente protetta.- lo scrutò, invidiandogli per un istante quella capacità che lui non aveva: quel ragazzino aveva il potere di far credere a Elena che niente potesse farle del male.

- Ci sono molte cose che non sai, Taro.-

- Raccontami tutto.- rispose deciso.

- Quando i genitori di Elena ebbero l’incidente, lei era con loro.-

Taro sgranò gli occhi, ma era solo l’inizio della sconvolgente verità che lei gli aveva nascosto.

- Andrea e Manuela morirono sul colpo, invece lei rimase incolume. Quando i soccorsi arrivarono mi dissero che la trovarono rannicchiata addosso al corpo della mamma a piangere.-

Non poteva essere vero.

- Giuro Taro, che non scorderò mai l’immagine che ho visto quando andai a prenderla in ospedale: aveva i vestitini ancora sporchi di sangue e non faceva che piangere. Vederla così fu ancora più straziante che sapere che il mio migliore amico non c’era più. L’unica cosa che fui in grado di fare fu asciugarle le lacrime e prenderla in braccio per portarla via.-

Taro si passava la mano sulla fronte, confuso e raccapricciato.

- Il peggio però doveva ancora venire. Quegli egoisti dei suoi parenti si sono scaricati le responsabilità l’un l’altro con il rischio che le prendessero e la mettessero in un istituto. Grazie a Dio, ho trovato un’assistente sociale competente che mi ha aiutato, così l’ho presa con me. Abbiamo passato mesi tra legali, giudici e psicologi…tsé, a ripensarci adesso, la cosa che mi pesa di più è che tutti quei dottorini facevano finta di avere a cuore la sua sorte, ma nessuno di loro si è mai azzardato a chiedere come si sentisse o cosa volesse.-

Taro annuiva, incapace anche solo di immaginare cosa potesse aver passato. Il divorzio dei suoi genitori era stato niente a confronto.

- Quando è venuta a vivere da me ero terrorizzato: non avevo la minima idea di cosa volesse dire fare il genitore, ma andò meglio di quanto mi aspettassi. Elena è sempre stata una bambina buona e solare, nonostante tutto., però…- il suo sguardo assorto, mentre la mente viaggiava a ritroso.

- …alle volte si chiudeva in camera sua e piangeva per delle ore, poi usciva e mi regalava uno dei suoi migliori sorrisi, per non farmi preoccupare. Consultai uno specialista e lui mi avvertì: Elena portava una maschera, una serenità costruita per non crearmi problemi, perché lei si sentiva in debito con me e probabilmente lo fa ancora adesso.-

Taro annuiva, mentre il suo cervello faticava a razionalizzare la portata di quelle rivelazioni.

- Ho sottovalutato gli avvertimenti dello psicologo, credendo che se si fossero presentati dei problemi, io l’avrei saputa aiutare. Poi sei arrivato tu e da quando sei entrato nella sua vita, i momenti di buio sembravano essere spariti, quindi ho volutamente ignorato che lei stava diventando sempre più dipendente da te, finché la realtà non mi è scoppiata tra le mani come questa mattina. Mi sono sempre considerato pronto a questa eventualità, invece ciò che è successo oggi dimostra quanto io sia stato incapace ed egoista. Mi dispiace Taro, non avrei mai dovuto metterti un tale peso sulle spalle.- concluse sfinito.

- Lei non è e mai sarà un peso per me, io la…-

- La ami? Hai visto con i tuoi occhi che non è sufficiente. Non puoi vivere da supereroe Taro, sei anche troppo giovane per un sacrificio simile.-

- Io non voglio lasciarla!- esclamò sconsolato.

- Infatti non è quello che ti chiedo, io vorrei che tu mi aiutassi. Aiutami a farle vivere una vita normale, in cui non abbia gli incubi di notte anche se tu non sei lì a tenerle la mano, in cui tutto il suo mondo non sei solo tu.- gli disse afferrandogli il braccio. Lo lasciò, appena notò la figura che si era affacciata alla porta.

Elena si era svegliata e sembrava aver riconquistato quella parvenza di lucidità, si era tolta i vestiti e aveva indossato un pigiama legandosi i capelli in una treccia, ma i suoi occhi portavano ancora i segni del pianto.

- Ciao stellina, come ti senti?-

- Bene, scusami se ti ho risposto male, non volevo essere cattiva.- gli disse mortificata.

Davide voleva abbracciarla e dirle che era stato lui a sbagliare, ma prima che potesse farlo Elena invitò Taro a seguirla in camera sua. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e la seguì lanciando un’occhiata eloquente al tutore che annuì. La ragazza richiuse adagio la porta e voltandosi trovò Taro di fronte a sé che le prese il volto tra le mani e la baciò dolcemente. Lei rispose a quel tenero contatto, poi si allontanò da lui.

- Mi dispiace per tutto, non volevo crearti problemi.- Si avvicinò e le posò l’indice sulle labbra scuotendo la testa.

- No, Elena, sono io a doverti chiedere scusa, sono stato un idiota. Non volevo ferirti.-

- Non devi scusarti, Taro. Quello che è successo ieri sera mi ha fatto capire molte cose, ma soprattutto mi ha fatto capire che io non posso più stare con te.-

Non era vero, non poteva esserlo.

- Mi hai vista nello stato più pietoso possibile. Sapevo già di suscitarti tenerezza, ma dopo oggi so che non potrai fare a meno di provare pietà per me ed io non voglio la compassione di nessuno, benché meno la tua.- sentenziò lapidaria.

- Mi fai davvero così meschino? Pensi davvero che starei con te solo perché mi fai pena? E’ vero sto soffrendo per te, ma perché credevo ti fidassi di me. Invece non mi hai detto niente.- le puntò il dito contro.

- Dovevo dirti tutte le mie debolezze? E’ già abbastanza frustrante crescere senza i propri genitori, con le persone accanto che ti scrutano con quello sguardo compassionevole e comprensivo, ma non c’è proprio niente da capire: i miei genitori sono morti! Sono stata mezz’ora intrappolata in quella dannata macchina a scuotere mia madre e mio padre pregandoli di rispondermi, perché la mia mente di bambina non riusciva ad accettare che loro non ci fossero più. I miei parenti, all’apparenza persone integerrime, mi hanno trattato peggio di una scarpa vecchia. Era questo che dovevi sapere? Per potermi guardare con quello sguardo impietosito che ho imparato ad odiare?- gridò in preda alla rabbia.

- No, volevo saperlo per poterti aiutare!- gridò anche più forte di lei.

Davide li sentiva urlare da fuori e iniziò a recitare le poche preghiere che conosceva, perché la situazione non peggiorasse.

- Io non voglio il tuo aiuto, volevo solo il tuo amore, ma evidentemente non è quello che puoi darmi.-

Taro era esasperato dal muro che gli stava opponendo, non voleva perderla, ma lei si rifiutava di capire i suoi sentimenti. Doveva sapere quanto fosse importante per lui. Non sapendo più a cosa appellarsi, si tolse la maglia di dosso restando a torso nudo, poi si avvicinò a lei, che indietreggiò impaurita.

- Vuoi che ti dimostri quello che provo per te.- la strinse a sé e la baciò con passione. Elena non riuscì a ribellarsi, perché le braccia di lui si stringevano sempre più facendo aderire i loro corpi.

- Facciamo l’amore.- le disse a fior di labbra.

Con un impeto di orgoglio, Elena lo spinse via. Rimase a fissarlo come inferocita, poi raccolse la sua maglia da terra e gliela tirò addosso intimandogli di sparire, mentre lo spingeva fuori. Taro cadde all’indietro, la porta sbatté e la chiave girò nella toppa. Davide stava lì a guardarlo, quasi divertito.

- Che ti eri messo in testa?- domandò, indicandogli la maglia abbandonata a terra. Gli allungò una mano per farlo alzare e gli diede uno scappellotto amichevole dietro la nuca.

- Lascia che si calmi, poi le parlerò io.- disse mentre lo accompagnava alla porta.

Taro si arrestò.

- Mi vuole lasciare.- confessò – Ma io non mi arrendo.- aggiunse deciso prima di congedarsi.

Probabilmente avrò sconvolto qualcuno con questo capitolo che dal punto di vista emozionale è stato difficile da esprimere. Spero di aver fatto le scelte giuste e non aver presentato la povera Elena come la psicotica di turno bisognosa di protezione. Vi invito a seguire il prossimo capitolo per scoprire cosa ne sarà di questa coppia, che è senza dubbio tra le mie preferite.

Ringrazio le persone che stanno leggendo la storia e coloro che la recensiscono: grazie a tutti, sapere che ci siete è importante.

Eos: grazie mille delle tue parole e del tempo che mi hai concesso leggendo la mia FF.

Onlyhope: che dire della gratitudine che provo nei tuoi confronti per l’allegria, i consigli e sì diciamolo, anche le “cippettate” che mi sono d’incitamento.

Rossy: ti faccio un in bocca al lupo per i tuoi studi e t’invito a tenere duro!

Dolcebarbara: sono contenta che continui a seguirmi con entusiasmo, le tue parole sono dolcissime.

Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 14
*** Sapore amaro ***


Capitolo 14

Sapore amaro

Taro non dormì molto bene quella notte: continuò a riflettere su quanto accaduto e sulle parole di Davide. La paura si confondeva nel suo cuore con la rabbia frustrante per il suo essersi dimostrato inadeguato.

“Non puoi fare il supereroe”: quella frase si ripeteva nella sua mente come un disco incantato, aumentando la rabbia verso se stesso, che era ben lungi dall’essere quanto di più simile ad un eroe. Da quando Tsubasa era partito, era stato troppo preso dai problemi sentimentali dei suoi amici, per accorgersi di quanto fosse fragile Elena, di quanto avesse bisogno di aiuto. Si era tirato indietro per la fascia di capitano, lasciando il campo libero ad un giocatore inadatto. Non aveva saputo comportarsi da amico con Sanae, che invece era corsa subito in suo aiuto, la sera precedente. Pensieri che si affollavano nella mente lo colpivano come frustate per ricordargli quanto fosse stato vigliacco in ogni aspetto della vita, quanto si fosse limitato a timida comparsa, a mite scudiero del vero eroe in campo. L’immagine di Tsubasa era una costante: era stato l’amico con cui aveva creato il rapporto più solido, molto più che con Matsuyama.

Appena spuntò il sole, prese la tuta ed uscì per andare a correre.

Il sole si rifletteva sul fiume creando bagliori dorati, la primavera stava riscaldando l’aria, mentre i fiori si aprivano delicatamente. Taro correva sentendo l’aria fresca del mattino sfiorargli le gote, imporporate dallo sforzo fisico. L’attività lo aiutò a scaricare la tensione e, mentre faceva stretching, elaborò attentamente gli eventi del giorno prima. Decise di farla finita con la questione Tsubasa, che fino ad allora era stata molto presente nei suoi pensieri: lui e Sanae erano abbastanza grandi per risolvere da soli i loro problemi e in ogni caso, ne aveva già fin sopra i capelli, dopo che la ragazza lo aveva insultato in modo tanto pesante. La sua priorità era riconquistare la fiducia di Elena, aiutarla a fuoriuscire da quella spirale di sofferenza che aveva imboccato senza che lui se ne accorgesse.

Credeva che quei sorrisi venissero dal cuore e probabilmente era così, ma quando lui non c’era? Cosa provava quando lui era lontano: sofferenza? Smarrimento? Paura? Non lo sapeva, non se n’era mai preoccupato, illuso dall’atteggiamento dolce e solare che era solita ostentare. Perché non si era fidata di lui al punto da confidargli che in realtà stava male? Non l’avrebbe mai compatita, non aveva in nessun caso provato pietà per lei, anzi la stimava, perché la vedeva affrontare le situazioni con un ottimismo che altri al suo posto non avrebbero mai posseduto. Adesso che sapeva la verità l’apprezzava anche di più.

Alzò il mento, scrutando il sole tra i rami e un’eco dolce risuonò alle sue orecchie.

“I vostri ciliegi sono splendidi. In Europa non è possibile ammirare un simile spettacolo” gli occhi brillanti al cielo e l’immancabile sorriso sulle labbra, seduta a terra con una mano posata al terreno e l’altra a schermare il verde-azzurro delle sue iridi dal sole estivo. Sembrava la ninfa di un quadro di Botticelli. Il cuore mancò un battito, quando gli si avvicinò per appoggiarsi sulla sua spalla e indicargli col dito i rami che li sovrastavano. “Guarda, sembra una magnifica nuvola rosa”. Si toccò le labbra al ricordo del bacio che si erano scambiati. Strinse il pugno e andò a staccare un ramoscello che aveva ancora le gemme semi aperte.

Suonò il campanello e dopo una breve attesa, Davide gli aprì la porta e lo invitò a entrare. Era ancora presto e stava facendo colazione. Versò il caffè per sé e per Taro, poi gli porse dei bomboloni alla crema.

- Questi li ha fatti lei ieri sera. Quando è arrabbiata si mette a cucinare i dolci, a qualsiasi ora del giorno.- disse ridendo, poi vedendo che si guardava intorno per capire dove fosse aggiunse: - Dopo si è presa una pastiglia di Stilnox e sta ancora dormendo.- sospirò con la faccia sbattuta.

- Ha avuto degli incubi?-

Davide annuì.

- Quelle schifezze la stordiscono per farla dormire, ma non le scacciano i fantasmi dalla testa. E’ un’impresa in cui solo tu sei riuscito.- lo indicò con la mano.

Taro si passò il palmo sul volto, mentre il suo cervello cercava di capacitarsi della situazione. Non poteva permettere che Elena si riducesse ad un’apatica ombra dipendente dalle medicine. Prese il ramoscello che aveva colto e andò deciso in camera di lei ed entrò. Nella penombra distinse il profilo della ragazza: sembrava una bambola di porcellana con i capelli d’oro sparsi disordinatamente sulle spalle, ma la sua bocca era piegata all’ingiù in una smorfia di tristezza. Posò il suo dono sul comodino e rimase a rimirarla per alcuni minuti. Come nella scena di una favola, si chinò su di lei per darle un bacio sulle labbra e la vide muoversi leggermente tirando un sospiro e il suo volto distendersi in un’espressione serena, come se in quel contatto avesse infuso un fluido benefico.

Dal momento che era molto tardi, dovette congedarsi senza averle parlato.

- Grazie di essere passato.- gli disse Davide.

Lui si voltò e con un guizzo negli occhi gli ripeté la promessa di non cedere.

Poco dopo, Elena, ancora stordita dal sonno innaturale, entrò in cucina con il ramo in mano.

- Buongiorno bella addormentata, per fortuna che è passato il principe a svegliarti, altrimenti chissà quando si pranzava.- scherzò.

Elena lo fulminò con lo sguardo, poi alzò il braccio che teneva i delicati boccioli di ciliegio.

- Questo cosa significa?-

- E’ andato a correre ed è venuto a portartelo.-

Si diresse come una furia alla finestra e gettò fuori il ramoscello con stizza.

- Non voglio più niente da lui, nemmeno sentire il suo nome. Come ti sei permesso di farlo entrare nella mia stanza?!- gridò additandolo, poi ritornò in cameretta.

- Elena, ma il pranzo?- chiese cercando di non irritarla.

- Cucinatelo da solo!- sbatté la porta e si richiuse a chiave nella stanza.

Passò una settimana, in cui Taro cercò in tutti i modi di vederla o quantomeno di parlare con lei e, nonostante l’aiuto di Davide, non riuscì nemmeno a farla rispondere alle sue chiamate. Elena si era negata in tutti i modi, spesso dormiva stordita dai sonniferi e, quando riusciva a svegliarsi, usciva per lunghe passeggiate. Non rispondeva mai al telefono, di proposito, e quando Davide l'avvertiva che volevano parlare con lei, insisteva finché non era costretto ad ammettere che era Taro a cercarla, per poi rispondere che doveva smettere di assillarla. Il tutore non insisteva, perché quelle poche volte che aveva tentato di perorare la causa del ragazzo, lei reagiva con scatti isterici che potevano solo ledere ulteriormente il suo stato. L’uomo era disperato, sapeva che Elena stava agendo per uno stupido orgoglio, mentre il suo cuore e lo scintillio d’emozione che leggeva nei suoi occhi, ogni volta che l’avvertiva che lui era al telefono, dicevano un’altra cosa. La notte i suoi incubi si erano fatti più ricorrenti e una volta, tra i lamenti, l’aveva sentita gridare il suo nome.

Ogni volta che Taro chiamava o si presentava da loro inutilmente, Davide lo incoraggiava come poteva ed era felice di non leggere la rassegnazione nel suo volto, che oltre la sofferenza mostrava una grande determinazione. Elena non cedeva e il tempo passava, allora Davide si giocò l’ultima carta. Un pomeriggio, la ragazza si era svegliata di buon umore e si era messa a preparare la pizza. Lui aveva acceso la radio su JLR e aveva chiamato Taro, per il tentativo che si era inventato in una delle loro chiacchierate.

- In Italia alle volte funziona.- aveva detto al ragazzo.

Gli aveva suggerito anche la canzone e il cantante.

- Se le dedichi una canzone in italiano farà anche più effetto.-

La pubblicità terminò e la voce squillante del DJ riprese la presentazione dello spazio riservato alle dediche.

- Ed ora un successo di un famoso cantante italiano…-

Elena sorrise pensando a quanto fosse bizzarro che qualcuno in Giappone potesse fare una dedica con una canzone di Ramazzotti.

- …da Taro ad Elena: “Piccolina dammi un’altra possibilità”.-

Alzò lo sguardo verso la radio e rimase imbambolata a fissare l’oggetto dal quale provenivano le note armoniose di una canzone d’amore.

Io non vorrei, vedere mai
quel muso lungo che hai

Il respiro divenne affannato e gli occhi lucidi, mentre Davide sorrideva vedendola reagire come sperava.


Adesso basta però
dammi un bel bacio e sorridi un po'
io non vorrei sai..
dovermi mai separare da te
e sempre triste per me
lasciarti qui
io non vorrei mai,
allontanare il mio sguardo da te
vorrei poterti tenere un pò ancora con me
tenerti cosi.

Affondò le mani nell’impasto, stringendo i denti per non piangere.



Baby se tu non ci fossi io non vivrei più
perciò cuore mio
meno male che ci sei tu
che ci sei tu
yeehehe che ci sei tu*

Lasciò l’impasto e con la punta del gomito pigiò il tasto di accensione/spegnimento dell’apparecchio. Fregò bene le mani sotto il rubinetto per togliere i residui di farina e pasta mal amalgamata, si asciugò e tolse il grembiule come una furia.

Davide gettò all’aria il giornale per andarle dietro, quando la vide dirigersi in camera, voleva parlarle per dirle una volta per tutte quello che pensava.

- Scusa per la pizza, ma non ho più voglia di cucinare.- disse cercando di smorzare subito la conversazione.

- Lascia perdere la pizza, lo sai che non è di quello che ti voglio parlare. Ascoltami bene Elena, se ho accettato di trasferirmi dall’altra parte del mondo è perché credevo che non fosse per un capriccio.-

Elena abbassò lo sguardo a terra, scossa dal rimorso di aver costretto il suo tutore a lasciare tutto solo per lei e il suo amore.

- Quel ragazzo ti adora. Non capisci che razza di fortuna hai avuto ad incontrarlo? Ti stai comportando come la bimba viziata che non sei.-

Lei chinò la testa, subendo passivamente quella filippica in piena regola. Lui la superò e afferrò sul comodino una confezione vuota.

- Poi guarda qua!- esclamò dondolandole in faccia il cartoncino - Ti stai riempiendo di schifezze, perché sei troppo testona per lasciarti aiutare perfino da me. Ma cosa credi? So che non sono tuo padre, ma non per questo significa che io ti ami di meno. Andrea era un fratello per me e quello che più mi fa stare male è che ovunque lui sia mi guarderà con disgusto, perché non sono stato in grado di crescere bene sua figlia!-

- Mi dispiace.- due lacrime scorsero sulle guance rese pallide dal sonno indotto dalle medicine. Alzò le mani a chiedere una tregua, poi proseguì.

- Davide, io sono ancora innamorata di Taro, ma non posso stare con lui, non finché sono così spaventata dalla vita. Voglio imparare a vivere la mia esistenza, senza un principe sul cavallo bianco pronto a proteggermi.- spiegò tra le lacrime.

- Perché non glielo dici? Negandoti al telefono e nascondendoti non risolverai nulla.- le disse.

Quel pomeriggio Taro andò a casa di Elena, carico di speranze. Lei lo aspettava sulle scale di fronte alla porta d’ingresso. Aveva una deliziosa salopette di jeans chiaro e i capelli erano legati in due trecce. Si era anche stesa un po’ di fondotinta per mascherare il pallore, ma a Taro parve comunque bellissima. Lo invitò a fare una passeggiata, ma prima si scusò per averlo evitato di proposito per tutti quei giorni.

- Grazie tante per la dedica alla radio, sei stato molto carino.- gli disse sinceramente.

- E’ servita a qualcosa?- chiese sperando che gli dicesse che la loro storia aveva ancora un futuro.

Elena annuì e raccogliendo tutta la forza che le era rimasta, cercò di spiegare a Taro la decisione che aveva preso. Lui ascoltò in silenzio quell’amara sentenza.

- Vedi Taro, non è giusto che tu stia con una persona instabile come me. Sei troppo importante e non posso farti vivere con una ragazza che è l’ombra di se stessa. Lo capisci, vero? –

Annuì, incapace di ribellarsi alla sua volontà. Elena voleva guarire e voleva riuscirci da sola.

- Ti aspetterò Elena, aspetterò che tu sia pronta.- le disse con gli occhi pieni d’amore.

La ragazza sorrise scotendo la testa.

- No, Taro. Tu devi vivere la tua vita. Io non sono me stessa ora come ora e non è detto che una volta guarita, io torni da te.- ogni parola era una stilettata al cuore di entrambi.

Non riuscì a muovere un muscolo dopo quanto aveva sentito. Avvertì il suo tocco, una stretta intensa che durò a lungo. Si guardarono negli occhi, entrambi col cuore gonfio di lacrime. Elena si alzò sulle punte e gli sfiorò le labbra con un bacio.

- Addio, Taro.- disse con la voce rotta dall’emozione. Si voltò e corse via.

Taro sentì le guance inumidirsi, mentre il sole alle sue spalle tramontava.

Era rimasta tutto il pomeriggio in quella posizione, sdraiata sul parquet della camera, inebetita dagli ultimi eventi. Per tutta la settimana, aveva chiamato alternatamene Yoshiko e Yayoi, per sfogarsi con loro e cercare di capire cosa fosse meglio fare. I suoi genitori erano andati alle terme per il fine settimana e si erano portati dietro Atsushi. Si riscosse, quando sentì suonare il campanello e si alzò per andare ad aprire la porta.

Appena spalancò l’ingresso, non ebbe nemmeno il tempo di sincerarsi di chi fosse, che si ritrovò stretta tra le braccia di Taro, che soffocava i singhiozzi sulla sua spalla. Rimase immobile per alcuni istanti, presa totalmente alla sprovvista.

“Se hai bisogno di me per qualsiasi cosa”

Istintivamente lo strinse a sé, lasciando che sfogasse tutto il suo dolore.

Stettero in camera di lei, accucciati a terra con la schiena appoggiata alla sponda del letto. Il ragazzo aveva raccontato tra le lacrime quello che era successo durante la settimana e lei gli aveva istintivamente preso la mano stringendola nella sua, in un intimo gesto d’affetto, quando gli rivelò che Elena voleva guarire, ma senza di lui.

- Probabilmente non ispiro molta fiducia.- si asciugò una lacrima, che uscì prepotente.

“Falso, doppiogiochista!” risuonò nella mente di Sanae, che si girò a guardare quel volto, spesso sorridente, contorto dal dolore e non poté esimersi dall’abbracciarlo nuovamente.

- Ascoltami, Taro. Tsubasa, io stessa e anche gli altri ragazzi sappiamo che sei una persona sulla quale si può sempre contare.- gli diede un bacio in fronte e lo guardò negli occhi.- Non devi pensare di non essere affidabile. Elena adesso è molto fragile e sono convinta che se ti ha allontanato è perché vuole diventare una persona migliore, anche per te. Abbi fiducia, sono sicura che le vostre strade s’incroceranno di nuovo.- gli sorrise dolcemente.

Taro annuì e poggiò la sua fronte a quella di Sanae, scrutando nei suoi occhi quella dolcezza di cui aveva tanto bisogno in quel momento. Non c’era imbarazzo in ogni gesto che compivano, perché non vi era nessun interesse, se non quello di cercare conforto nell’amore fraterno che li univa. Lei gli accarezzò le guance con le dita e sorridendo s’inginocchiò di fronte a lui, poi sospirò, pensando a quanto anche lei aveva bisogno del conforto di un amico.

Misaki le prese la mano.

- Grazie, Sanae e scusami tanto: ti ho assillato con i miei problemi, quando anche tu non stai meglio. Perdonami se non sono stato sincero con te.-

- No, Taro. E’ stato troppo comodo incolpare a te l’altra sera. La realtà è che la stupida vigliacca sono solo io. Quando non ho visto Tsubasa tornare, avrei potuto cercare di mettermi in contatto con lui e pretendere una spiegazione, anche se solo come amica, invece non l’ho fatto. Ho preferito nascondermi dietro al dolore.- lo guardò sconsolata.

- Forse sarei dovuto restarne fuori…- disse titubante.

Sanae scosse la testa sorridendo, ormai ciò che era avvenuto la sera della festa era acqua passata.

- Come ti senti, Sanae? Cosa provi davvero?- le chiese decidendo che fosse il momento che anche lei si sfogasse con lui.

- Cosa provo? Non lo so: sono così confusa, Taro. Non so proprio cosa devo fare.- sospirò.

- Hai più sentito Yosuke?-

Sanae scosse la testa, sapeva che era ancora offeso per la lite che avevano avuto la settimana scorsa, ma stranamente non ne soffriva, anzi, nello stato di confusione in cui si trovava, non doverlo vedere le dava sollievo.

- Cosa rappresenta lui per te?- indagò cautamente.

- Lui è il mio ragazzo. Gli voglio bene e mi ha aiutato moltissimo in quest’ultimo periodo. Vedi la partenza di Tsubasa mi aveva scossa profondamente e mi aveva fatta sentire una nullità. Credevo che non ne sarei mai uscita, invece le sue attenzioni mi hanno, in qualche modo, spronata ad andare avanti.- ammise.

- E Tsubasa?-

I suoi occhi si velarono di tristezza.

- Tsubasa…ho cercato in tutti i modi di odiarlo, Taro, ma non ce l’ho fatta. Credevo di disprezzarlo, ma l’altra sera, quando l’ho sentito ho capito che non ci riesco. L’ho amato per così tanto…-

- E lo ami ancora?- una domanda che per lui era più che retorica.

- Non lo so.- mentì, poi lo guardò negli occhi e gli chiese:- Perché l’altra sera non gli hai detto di Yosuke?-

- E tu? – le rispose.

Sanae si sentì avvampare, ancora una volta voleva scaricare la colpa su qualcun altro. Taro non era obbligato a dire certe cose a Tsubasa, semmai si fossero rincontrati sarebbe stata lei a parargliene.

- Sanae, perché non lo lasci?-

- Ma io…-

- Ascoltami, so che mi sono impicciato anche troppo, ma ora che sai che il ragazzo che ami da sempre ti ricambia totalmente, non credi sia meglio accantonare un po’ l’orgoglio?-

- Tsubasa non ha mai rivelato di amarmi.- si voltò a fissarlo negli occhi.- Non a me almeno.- inarcò un sopraciglio.

- Certo che potresti fare concorrenza ad un mulo.- sbuffò.

Sanae rise e spostò lo sguardo sulla sveglia che segnava le nove di sera. Posò una mano sullo stomaco che iniziò a brontolare.

- Tu non hai fame?-

Annuì, ricordandosi che oltre al cuore aveva anche uno stomaco che ora reclamava.

- Ordiniamo qualcosa al cinese e poi, ci sintonizziamo sulla prima partita che becchiamo sul satellite, con il miglior rimedio per il mal d’amore!- esclamò.

- Cioè?-

- Gelato in quantità!- alzò il pugno, provocando una risata divertita dell’amico che per un attimo vide sovrapporsi all’immagine della bella ragazza con le pene d’amore, quella di un maschiaccio scatenato.

Dopo aver consumato una bella cenetta a base di ravioli al vapore e involtini primavera, si accomodarono sul divano con delle scodelle, delle dimensioni di una ciotola per un alano, colme di gelato alla vaniglia e cacao. Sanae si sedette sul morbido cuscino con le gambe incrociate e si sintonizzò sul canale tematico del calcio. La voce dello speaker si levò dalle casse del televisore riempiendo la stanza, mentre le telecamere inquadravano i tifosi sugli spalti gremiti.

- Buonasera gentili telespettatori, trasmettiamo in differita dallo stadio Maracanà la finale Sao Paulo- Flamengo.-

In quel momento, il volto concentrato di Tsubasa apparve sullo schermo. Sanae rimase di sasso, poi assunse un’espressione imbronciata.

- Non è possibile…- sbuffò colpita dall’ironia della sorte, mentre Taro al suo fianco, si contorceva dalle risate.

*Parole tratte dal testo della canzone “ Canzone per lei” di Eros Ramazzotti

La scelta di Elena, forse più matura della sua età, è estremamente voluta: alle volte la felicità passa anche per scelte difficili come quella che ha fatto lei. L’ultima parte mi sta particolarmente a cuore, perché ho cercato di trasmettervi quei sentimenti di profonda amicizia che sono indispensabili nei momenti bui di ognuno di noi, spero proprio di esserci riuscita.

Ringrazio i lettori e le mie affezionate recensitrici: Dolcebarbara, Rossy, Eos75 e Onlyhope. A quest’ultima dedico l’ultima parte dicendole che ogni volta che la tristezza o l’inquietudine la colpiranno, io sarò lì per curarle le ferite…TVB Eli.

Un grosso bacio a tutti!

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Capitolo 15
*** In frantumi ***


Capitolo 15

In frantumi

Kasumi stava preparandosi per uscire. Si era messa un vestitino di jeans, che le arrivava poco sopra al ginocchio e aveva fermato le ciocche sopra la frangetta con delle mollette decorate con brillantini. Si era messa un po’ di mascara e ora si stava passando un gloss trasparente sulle labbra. I suoi occhi brillavano per la felicità. Non era la prima volta che usciva con Ken, anzi nell’ultimo mese si erano visti spesso, stando sempre attenti a dove e a chi incontravano, perché lei non aveva ancora avuto modo di parlarne a Kojiro. In realtà, le occasioni non erano mancate, ma non voleva turbare la tranquillità che si era creata dopo che suo fratello aveva compreso il messaggio e si era un po’ calmato, soprattutto perché alla fine del mese sarebbero iniziate le eliminatorie asiatiche e i ragazzi si stavano già allenando al ritiro del mister Mikami lì a Tokyo.

Prese la giacca ed uscì di casa per raggiungere la fermata dell’autobus, che l’avrebbe portata a Rinkai sul lungomare. La giornata era splendida e una passeggiata sul mare era l’ideale per passare il pomeriggio: Ken aveva avuto un’ottima idea a invitarla ad uscire con lui per rilassarsi assieme, lontano da occhi indiscreti. Ripensò al mese appena trascorso da quando si erano baciati in infermeria. Non si era mai sentita tanto bene quanto in quel periodo: Ken era una persona piena di qualità e non passava la maggior parte del tempo a parlare solo di calcio come faceva suo fratello. Aveva molti interessi al di fuori del suo amato sport, ma ciò che lo rendeva anche più affascinante erano le maniere galanti nei suoi confronti e quel modo di guardarla, così disarmante. Si sentiva serena e appagata, ma sperava di trovare presto il coraggio di confessare tutto a suo fratello. Sbuffò pensando a quanto fosse assurdo doversi nascondere, solo perché Kojiro era così strano da covare gelosie assurde nei suoi confronti.

Scese e si avviò al punto d’incontro, ma si sentì prendere per un polso e la sua reazione fu immediata. Si voltò di scatto, pronta a sferrare un destro, ma il ragazzo le bloccò il pugno con la mano, spostando il viso di lato per non essere colpito.

- Ehi, che violenza, mi hai già colpito al cuore, non ti basta?- le sorrise.

Kasumi sentì le guance andare a fuoco. Ken era lì di fronte a lei con una maglietta aderente che metteva in risalto i muscoli del torace e un paio di jeans sbiaditi, aveva i capelli raccolti in una coda, di modo che i suoi bei lineamenti fossero più visibili.

- Sei molto carina.- si chinò a baciarla.

- Grazie.- gli rispose a fior di labbra.

Intrecciarono le loro dita e iniziarono a passeggiare.

- Come stanno andando gli allenamenti?-

- Al solito, Mikami ci sta mettendo sotto e noi possiamo solo approfittare di questi pochi momenti di tregua.-

Kasumi sorrise.

- Credevo che giocare fosse un divertimento.- lo punzecchiò.

- E’ un divertimento, ma in questo caso si parla della selezione per la Nazionale.- precisò.

Kasumi notò un’ombra scesa sul suo volto, ma preferì non dargli peso credendo che fosse solo un po’ di stanchezza. Gli posò un bacio sulla guancia, cui lui rispose circondandole le spalle col braccio e baciandole il capo mentre la stringeva a sé.

Arrivati lungo la passeggiata, Kasumi decise di scendere in spiaggia. Preferiva evitare di trascinare Ken in lunghe camminate che lo avrebbero fatto stancare inutilmente, quindi optò per un pomeriggio rilassante a godersi la vista del mare, seduti sulla sabbia.

Continuava a chiacchierare allegra, raccontando di come passava le giornate senza di lui, dei suoi fratellini, delle visitine che Kojiro faceva a casa nei momenti di libertà, ma iniziò a capire che qualcosa in lui non quadrava, quando si rese conto del suo essere così distante.

- Qualcosa non va?-

Si voltò, richiamato dallo sguardo puntato su di sé. Scosse la testa chiedendole di proseguire il discorso che stava facendo.

- Ken non stavo facendo alcun discorso: è tutto il pomeriggio che sei con la testa altrove.- lo sgridò offesa.

- Scusami.- rispose mortificato.

Kasumi tentò di leggere qualcosa sul volto malinconico del suo ragazzo.

- Sarai mica in pensiero per le selezioni?-

La sua espressione si fece più triste e fu costretto ad ammettere che era quella la fonte delle sue preoccupazioni.

- Stai scherzando, vero? Non c’è un portiere migliore di te in tutto il Giappone.- rise.

Ken alzò gli occhi verso il mare a fissare un punto impreciso all’orizzonte, quasi a cercare di raggiungere con lo sguardo la fonte delle sue ansie.

- In Giappone no, ma c’è qualcuno considerato migliore di me. Hai mai sentito nominare Genzo Wakabayashi?- come se fosse possibile ignorare un cognome tanto pesante in Giappone.

Kasumi reagì come se avesse preso una botta in testa, anche se in Cina le informazioni erano tenute sotto stretto controllo, il nome del S.G.G.K. non le giungeva nuovo. Ora riusciva a capire, perché fosse così soprappensiero. Si pentì di essere stata così sciocca e superficiale.

- Io forse non m’intendo molto di certe cose, ma credo che tu non sia secondo a nessuno.- gli strinse la mano.

- E’ vero, Wakabayashi è famoso a livello internazionale, ma non per questo devi sentirti sconfitto in partenza, Ken. Cerca di farti valere e ricordati che io tifo per te.- gli sorrise.

Le sue parole e il suo sorriso lo commossero profondamente. Si sentì in qualche modo più sollevato.

- Allora dovrò fare del mio meglio per non deludere la più bella tifosa che si possa avere.- scherzò attirandola a sé per un bacio.

Kasumi rispose a quel gesto con altrettanto ardore, accarezzandogli l’ampia schiena con le mani, mentre lui le affondava le dita tra i capelli corvini. Totalmente presa dai suoi gesti si sdraiò sulla morbida sabbia, mentre lui continuava ad assaporare le sue labbra. I granelli di rena si confondevano nel nero ebano dei suoi capelli e i suoi vestiti si stavano impregnando di polvere, ma le labbra di Ken sul suo collo erano tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento. Sentì le sue dita accarezzarle la gamba, partendo dal ginocchio e risalire scostandole la gonna del vestito. Riacquistò la lucidità in tempo per bloccare la mano, che si stava impudicamente infilando sotto il jeans. Ken si fermò e la guardò negli occhi, dispiaciuto, poi sospirò.

- E’ difficile controllarsi con te.- ammise.

Lei gli posò un bacio sulla fronte e gli rivolse un sorriso dolcissimo.

- Non preoccuparti.- sussurrò. Lui le piaceva molto, tuttavia non si sentiva per niente pronta per un passo simile. Non era mai stata con nessuno e, oltre all’impedimento del ritiro, si sommava anche il poco tempo trascorso dall’inizio della loro storia.

Lo riaccompagnò al dormitorio senza timore di essere vista da suo fratello, che aveva sicuramente approfittato del giorno di riposo per andare a visitare la madre e i fratellini. Entrarono dal retro e, prima di congedarsi, Ken la strinse a sé per un ultimo bacio. Un grido li fece sussultare e si voltarono per vedere il volto sconvolto di Sawada, che li fissava con gli occhi e la bocca spalancati dallo stupore.

- Ma…ma…- balbettò, indicandoli alternatamene col dito puntato.

- Aspetta, Takeshi…- cercò di calmarlo Ken.

Kasumi gli si avvicinò e tirandolo da parte, l’unica cosa che riuscì a dirgli fu: - Ti prego Take, non lasciarti scappare niente di quello che hai visto con Kojiro.-

Ken si mise le mani sui fianchi e la guardò indispettito: l’unica cosa a cui riusciva a pensare era di non far sapere niente a suo fratello, come se lui fosse un delinquente della peggior specie. Takeshi si congedò giurando, addirittura, di non dire niente a nessuno. Kasumi sospirò di sollievo, ma il sorriso le morì sulla bocca, quando incontrò lo sguardo severo di Ken.

- Per quanto ancora andremo avanti così Kasumi?- domandò piccato.

- Glielo dirò Ken, ma è complicato.-

- Hai sempre qualche scusa.- mormorò, poi le diede distrattamente un altro bacio a fior di labbra e si congedò.

La selezione era quasi conclusa, ormai le scelte più importanti erano state fatte e la squadra contava sugli elementi migliori accuratamente valutati dall’occhio esperto del signor Mikami. Ken parava distrattamente i tiri che i giocatori a turno cercavano d’infilare nella sua porta, muovendosi in modo meccanico. Kasumi lo stava ferendo con la sua mancanza di decisione e ogni tanto gettava occhiate su Kojiro, arrivando ad odiarlo per i suoi modi opprimenti Si chiedeva quanto ancora avrebbe resistito all’impulso di dirgli come stavano le cose.

Il preparatore atletico richiamò la sua attenzione soffiando nel fischietto per comunicare un quarto d’ora di riposo e i giocatori si avvicinarono alle panchine, afferrando borracce e asciugamani per ristorarsi.

Matsuyama infilò la testa sotto il rubinetto dei lavatoi per rinfrescarsi dal caldo cui non era abituato. Misugi gli passò l’asciugamano ed andò a sciacquarsi il viso.

- Oggi hai sentito la tua donna?- gli chiese per punzecchiarlo.

- Non ancora e tu?- rispose senza scomporsi.

- Yayoi verrà a trovarmi più tardi, sai com’è stare in ritiro nella propria città non è poi male. Dobbiamo approfittare di questi momenti, dato che noi non viviamo ancora sotto lo stesso tetto.- insistette, ottenendo un lancio dell’asciugamano in piena faccia dal compagno di squadra. Divertiti scoppiarono a ridere, ma passò tra loro Misaki che aveva un’espressione stridente con i loro volti allegri.

- Ehi, Taro. Tutto a posto?- chiese Hikaru, che si preoccupava sempre dell’umore dei propri compagni.

- Mmmm…sì.- rispose distrattamente, mentre chiudeva il rubinetto. I due nazionali si guardarono incerti.

- Scusate, è che vi invidio un po’.- confessò.

Misugi lo scrutò dubbioso: da quel che ricordava, Misaki aveva una ragazza dolcissima e anche molto carina.

- Elena mi ha lasciato.- confessò, leggendo lo stupore nei loro occhi, poi si allontanò senza aggiungere altro, perché non era tipo da sbottonarsi facilmente con chiunque. Con Sanae gli era venuto naturale, perché l’aveva sempre considerata come la sorella che non aveva mai avuto.

Ripresero ad allenarsi, ma all’improvviso uno sconosciuto entrò su Nitta rubandogli la palla, sotto gli sguardi sconcertati degli compagni di squadra. Da bordo campo spuntarono altri sei giocatori, seguiti da un uomo sui quarant’anni in tuta ufficiale che si presentò come Minato Gamo, allenatore della Real Japan Seven.

Taro li squadrò uno ad uno, mentre questi prendevano posizione sul campo, spingendo, offendendo i suoi compagni di squadra e criticando la loro tecnica di gioco. Hikaru e Jun avrebbero voluto avventarsi sul tipo col numero 10, che sosteneva di voler occupare il posto di Tsubasa, mentre Ken osservava Kojiro che stava già attaccando briga con un ragazzo presentatosi come Ryoma Hino.

Mikami e Gamo intervennero, spiegando che le due squadre avrebbero dovuto sfidarsi in una partita per testare quale fosse la formazione migliore. I convocati erano stupiti e leggermente innervositi dall’atteggiamento borioso di quei tizi, che erano spuntati da chissà dove ed ora pretendevano di mettere fuori squadra sette di loro.

Taro cercò d’impegnarsi al meglio, ma la sua testa era altrove, inoltre l’assenza di Tsubasa per lui si stava rivelando un grave handicap. Kojiro era furioso come non mai, ogni sua occasione era sventata dagli avversari, che sembravano prevedere le sue mosse con la precisione di un computer. Hikaru e Jun chiusi in difesa cercavano di arginare il più possibile le incursioni di Hino, che però si era rivelato un bomber degno di questo nome, sorprendendoli con delle fucilate imprendibili.

Il doppio fischio segnò la fine del primo tempo e su decisione di Gamo anche della partita per evidente inferiorità, decretando la vittoria della RJ7. Kojiro si allontanò dal campo, calciando un pallone con tutta la forza che aveva in corpo e imprecando contro una decisione tanto ingiusta, ma si bloccò, quando si accorse che Mikami si era accasciato a terra tenendosi la pancia. I giocatori corsero per sincerarsi delle sue condizioni, mentre Katagiri chiamò immediatamente un’ambulanza col suo cellulare.

Mikami aveva subito una peritonite, che fortunatamente non gli portò gravi conseguenze e la direzione della squadra passò in mano a Gamo: fu da quel momento che la squadra si sgretolò come la creta.

Taro stava di fronte al telefono del dormitorio, indeciso su ciò che doveva fare. Aveva un gran bisogno di parlare con Elena, di sentire la sua voce che gli diceva “Non preoccuparti” immaginandola con il suo bellissimo sorriso sulle labbra e gli occhi brillanti, ma lei non era più la sua ragazza e non era giusto che la turbasse con i suoi problemi. Prese la cornetta e chiamò l’unica persona su cui potesse contare in quel momento.

- Pronto, qui Nakazawa.- sentì la voce di Sanae piuttosto scocciata.

- Sanae, scusa se ti ho svegliata.-

- Taro? Ciao! Come stai?-

Sanae rimase lì almeno un’ora per ascoltare il suo migliore amico, che aveva semplicemente bisogno di sfogarsi.

Yayoi lo aspettava appoggiata al cancello del dormitorio, guardando il cielo che stava iniziando a trapuntarsi di stelle. Sentì dei passi e si voltò per sorridere a Jun che si stava avvicinando, ma la sua espressione mutò immediatamente nel vedere il volto amato velato di tristezza. Istintivamente lo abbracciò, non avevano bisogno di parole per capirsi.

- Yayoi…-sospirò.

- Sshhh, non mi devi dire niente.- lo rassicurò stringendosi ancora più a lui.

Jun affondò il viso nei suoi capelli profumati, desiderando con tutte le sue forze di poter cambiare il corso che avevano preso gli ultimi eventi.

Hikaru stava appoggiato con la schiena contro il vetro della cabina. Quando parlava con Yoshiko, preferiva stare lontano da orecchie indiscrete, soprattutto da quell’impiccione di Ishizaki.

- Posso fare qualcosa?-

- Mi sei sempre vicina e mi sostieni tesoro, cos’altro potrei chiederti?- sospirò. – Sai, è sempre stato il mio sogno essere capitano della nazionale, ma non così.- rise amaramente.

Yoshiko sorrise intenerita dalla devozione del ragazzo per i suoi amici, avrebbe voluto essere a Tokyo per poterlo abbracciare e fargli sentire che gli era accanto.

- Ora devo andare. Mi manchi tanto, amore.- sospirò sconsolato.

- Anche tu, ma non ti abbattere e ricordati che io sono qui ad aspettarti.- schioccò un bacio sulla cornetta strappandogli una risata divertita.

Ken era sdraiato sul letto, quando sentì un rumore dalla finestra. Si affacciò e vide Kasumi nel cortile che gli faceva cenno di scendere. Era andata da lui, perché voleva assicurarsi che fosse tutto a posto, dopo l’altro giorno. S’infilò la giacca della tuta e scese per incontrarla. Appena varcò la soglia, lei si buttò tra le sue braccia. In quel momento desiderava quel contatto più di qualsiasi cosa.

- Scusami Ken, ma io volevo tanto vederti.- ammise.

Le accarezzò la guancia intenerito e contento, perché anche lui aveva tanto bisogno che lei fosse lì, soprattutto dopo quello che aveva sentito quella sera.

Kojiro sembrava una tigre in gabbia, si era appena beccato un pugno in faccia da Matsuyama e stava riflettendo su tutto ciò che era successo in quella maledetta sera. Non poteva credere che quell’idiota con l’orecchino fosse riuscito a metterlo in ridicolo di fronte a tutta la squadra. Stese le braccia e strappò l’erba ai suoi lati per scaricare la rabbia e, per la prima volta da quando era morto suo padre, sentì una tremenda esigenza di piangere. Il suo orgoglio sanguinò bagnandogli le gote con quelle che lui considerava un’inutile manifestazione di debolezza. Col pugno serrato colpì ripetutamente il terreno intinto delle lacrime amare che stava versando.

Con le nocche sanguinanti si diresse al dormitorio per cercare l’unica persona di cui aveva sempre cercato il sostegno. Ken era il suo migliore amico e sapeva come aiutarlo senza compatirlo. Era arrabbiato anche con se stesso per aver ceduto alle lacrime e credeva che la giornata non potesse essere più brutta, ma quando voltò l’angolo si rese conto che il detto “non c’è limite al peggio” aveva ragione di esistere.

Di fronte a lui si parava uno spettacolo, che, secondo i suoi canoni, era a dir poco osceno: sua sorella avvinghiata al collo del suo migliore amico, stretti in un bacio bollente. Strinse i pugni insanguinati e le tempie iniziarono a pulsargli, mentre il respiro si stava facendo affannato. Il fuoco gli andò al cervello, quando notò la mano di Ken insinuarsi sotto il maglione di sua sorella che in estasi sorrideva compiacente.

- Levale le mani di dosso, stronzo!- gridò, facendoli separare all’istante.

- Kojiro!?- esclamò terrorizzata, mentre Ken si metteva di fronte a lei col braccio teso, pronto a difenderla.

Si avvicinò lentamente, esattamente come il felino che sta per ghermire la preda.

- Ti avevo detto di starle lontano.- sibilò con un lampo negli occhi e con un guizzo gli assestò un pugno sullo zigomo. Kasumi gli posò le mani sulle spalle per controllare il danno, ma lui la scostò e fece partire un montante che colpì Kojiro in pieno stomaco. Il ragazzo barcollò piegandosi per il colpo subito.

- SMETTETELA!- gridò Kasumi.- Volete farvi cacciare dal ritiro?!- domandò sconvolta.

- Già fatto…- ansimò Kojiro.- Sono fuori dalla squadra…tsè e pensare che stavo venendo a piangere sulla spalla di un bastardo come te, come una femminuccia.- gli rivolse uno sguardo disgustato.

-Basta mi hai rotto con la tua assurda gelosia! E’ meglio per tutti se ti togli dai piedi!- esclamò Ken che si toccava la guancia col dorso della mano.

Kojiro lo squadrò un ultima volta, prima di voltarsi e andarsene. Non solo aveva perso il posto in squadra, ma anche il suo migliore amico. Rimase indifferente ai richiami della sorella e sparì nel buio del cortile.

Kasumi si avvicinò a Ken per controllare la guancia che si stava gonfiando, ma lui la respinse con stizza.

- Vattene anche tu Kasumi.- le disse gelido.

Qualcosa dentro di lei iniziò a dolere.

- Io non rimarrò qui un minuto di più.- s’incamminò verso il dormitorio.

- Ma dove vai?- domandò disperata.

- A preparare la borsa, domani vado via da questo posto.-

Lei non rispose, sentiva solo le forze che l’abbandonavano.

- Sei stata una delusione Kasumi. Dicevi a me di essere forte, di non arrendermi perché dovevo dimostrare a tutti che non sono inferiore a Wakabayashi e tu? Non sei stata nemmeno capace di dire a tuo fratello che io e te stavamo insieme.-

“Stavamo”, perché usava il passato?

- Sei solo un’immatura.- sentenziò gelido come il ghiaccio.

Kasumi sentì la tristezza cedere il posto alla rabbia e con una punta d’amor proprio lo fermò per guardarlo dritto negli occhi.

- Trovati una persona matura, allora, perché con me hai chiuso.- si allontanò senza aggiungere altro, mentre Ken tirò una gomitata sulla porta del dormitorio.

L’aeroporto era affollatissimo, specialmente quel lunedì mattina, quando un folto gruppo di pendolari correva da un gate all’altro per non perdere il proprio volo. Misaki si accodò pazientemente al Check-in: non aveva alcuna fretta di partire, il viaggio sarebbe stato lungo, ma tanto nessuno lo stava aspettando, non più almeno.

L’immagine di Elena, che si affacciava alla sua mente, lo fece sospirare. Era un mese che non la vedeva e prima che iniziasse il ritiro si era torturato per convincersi di non incontrarla e non sentirla più, ma nei momenti in cui la sua mente era libera dal pensiero di partite e allenamenti, era difficile non richiamare alla mente quanto le mancasse.

Posò la sua borsa sulla bilancia e lasciò che l’impiegata preparasse la carta d’imbarco. Svolta quella noiosa pratica, passò distrattamente di fronte al duty free dell’aeroporto, deciso a passare i controlli ed attendere il volo in sala d’aspetto. Quando giunse ai detector si arrestò, perché aveva scorto una figura a lui famigliare, la persona che in quel momento desiderava con le sue forze vedere.

Elena era lì ferma a guardarlo, indecisa su cosa fare.

“Taro sta per andarsene”

“Il nuovo allenatore lo ha escluso dalla formazione”

Le parole di Sanae erano giunte come un fulmine ed erano semplicemente assurde. Non aveva dormito la notte, tormentata dal dubbio che fosse troppo presto per rivederlo, ma quando si alzò era decisa a salutarlo, prima che partisse. Ora, però, che era faccia a faccia con lui, non riusciva nemmeno a muoversi. Appena lo aveva intravisto il suo cuore aveva accelerato i battiti e le sue guance si erano scaldate.

Taro si avvicinò sorridendole dolcemente.

- Ciao piccola, come stai?- sapeva che quel nomignolo era troppo confidenziale, ma non poté farne a meno. Lei tirò un sospiro e cercò di rilassarsi.

- Miglioro, grazie.- tentò di sorridere, mentre con le dita torturava la cinghia della borsa. Era talmente impacciata che si sentiva una stupida. I loro occhi s’incontrarono, uno sguardo pieno di dolcezza e amore soffocato. Elena non seppe resistere a quell’incantevole richiamo e lo strinse tra le braccia come aveva desiderato fare fin dal primo istante che lo aveva scorto.

- Non volevo che andassi via così.- gli confessò con voce tremante.

Taro le strinse la vita; sentiva una gran voglia di piangere. Sapeva che lei non era lì per tornare sui suoi passi, ma ancora una volta aveva dimostrato il coraggio di sostenerlo nelle difficoltà.

Si sciolsero dal loro abbraccio ed Elena gli prese il volto tra le mani.

- Ricordati che tu sei un campione.- gli diede un bacio sulla fronte e gli regalò un ultimo sorriso.

Quanto le stava costando tutto questo, vederlo e comportarsi come una coppia d’amici era una tortura per entrambi.

- In bocca al lupo, Taro- fece per allontanarsi, ma lui la bloccò e l’attirò a sé per un ultimo abbraccio.

- Grazie.- rispose, cercando di non cedere alle lacrime.

Si lasciarono nuovamente: lei per tornare alla vita che stava tentando di ricostruire, lui per raccogliere i frammenti della sua carriera.

E dopo questo capitolo mi aspetto di vedere l’antrace arrivarmi a casa…

So che forse sembrerò eccessivamente negativa, ma purtroppo le difficoltà possono unire come separare. Si arriva ad un punto in cui l’amore da solo non basta e ognuno prende la sua strada.

Spero che in ogni caso il capitolo sia di vostro gradimento.

Dolcebarbara, Eos75, Rossy e Onlyhope: vi sono veramente grata, le vostre parole mi gratificano molto e danno un senso a ciò che io scrivo, grazie di cuore a tutte.

Un caro abbraccio

Sara

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Capitolo 16
*** Fiori di primavera ***


Capitolo 16

Fiori di primavera

Erano già passate le 11, quando Sanae si svegliò. Non si era più fatta vedere in giro e non si era più messa in contatto con nessuno, tranne che con Taro o Elena, cui telefonava per sapere dei progressi che stava facendo con la terapia. Non aveva voglia o, semplicemente, non aveva il coraggio di affrontare Yosuke, dopo l’ennesimo rifiuto ad un suo appuntamento e pomeriggi interi in cui si era negata al telefono. Credeva di volergli bene, ma allora perchè sapere che Tsubasa l’aveva sempre amata la turbava tanto?

Aprì il cassetto, era pieno di stampe d’e-mail recanti il medesimo mittente: TSUBASA OZORA. Alla fine aveva ceduto e aveva chiesto a Taro una copia dei messaggi che gli aveva inviato dal Brasile.

Sanae aveva passato l’intera settimana a leggerle e rileggerle. “Sanae come sta?[...]Mi manca tantissimo[...]vorrei che lei fosse qui a sostenermi come fa sempre[...]non pensavo di poter stare così male senza di lei[...]vorrei non essermene andato senza dirle quello che provo” erano le frasi principali che continuava a scorrere in quelle lettere. “Grazie per le foto che mi hai inviato...”: aveva richiesto anche delle foto sue e adesso capiva perché, ogni volta che andavano da qualche parte, Misaki occupava quasi un’intera scheda di memoria per fotografare lei, anziché la sua ragazza. Non riusciva a darsi pace. Come avevano potuto i suoi amici, compagni di scuola e di tanti momenti felici averle nascosto una cosa così importante, come avevano potuto lasciare che lei facesse uno sbaglio enorme come quello di cercare di sostituire Tsubasa? Ripensò a Elena e ai suoi tentativi di distoglierla dal mettersi con Yosuke: lei sapeva, ma non le aveva confidato nulla. Rilesse quelle semplici frasi e si accorse che ciò che aveva sempre cercato era lì, in quelle poche, ma ricche parole. Tsubasa teneva a lei, era innamorato di lei. Non era un inizio? Cos’era a tormentarla? Il legame con Yosuke? Che cos’era paragonato al suo primo amore: una lieve brezza estiva. Ad un tratto le vennero in mente le parole di un celebre romanzo, il mio amore per Linton è come le foglie d’autunno nel bosco […] il mio amore per Heatcliff è come le rocce eterne*. Ripensando a quella frase sorrise, poi si guardò allo specchio e cambiò espressione. “Non posso, devo rimanere con i piedi per terra, ho sofferto troppo a causa sua! Se teneva a me avrebbe dovuto dirmelo!”.

Si guardò attorno, afferrò il suo accappatoio e corse in bagno a farsi una doccia. Il contatto con l’acqua la rilassò, quella situazione l’aveva resa un fascio di nervi, ma ormai era decisa, Tsubasa Ozora non faceva più parte della sua vita, lo avrebbe lasciato alle spalle come un ricordo dell’adolescenza.

Uscì dal bagno con indosso l’accappatoio e i capelli già asciutti, scese in cucina e alzò il coperchio che nascondeva una fetta di torta, un succo di frutta e un biglietto con scritto “Sono andata a fare la spesa. Spero che tu stia meglio. Un bacio Mamma”. Ai suoi genitori aveva detto di avere la febbre. Quante scuse aveva inventato quella settimana, ma era l’ora di smetterla con tutte quelle sciocchezze, ne aveva già fatte troppe.

Fece colazione e risalì a vestirsi. Aprì l’armadio e prese con decisione il vestitino color acquamarina che le aveva regalato Yoshiko. Per un attimo la mente andò alla sua cara amica. Yoshiko era tornata dagli USA da sola, decisa a restare in Giappone con i suoi amici e con Hikaru, lavorava part-time e conviveva col suo ragazzo a Sapporo. Yoshi e Yayoi avevano tentato di farle capire che idea assurda fosse sostituire Tsubasa, ma non aveva dato loro retta. Scosse la testa, decisa a non pensare più a niente. Si mise in spalla lo zainetto ed uscì.

La città era quasi deserta, a quell’ora le persone erano impegnate al lavoro o semplicemente si stavano godendo le vacanze altrove. Iniziò a girovagare senza una meta precisa e inconsciamente si ritrovò nei pressi del campetto da calcio, in cui tempo fa si tenne la sfida tra la Nankatsu e la Shutetsu.

Era lì che si erano visti la prima volta: lei lo scatenato capo dei tifosi di quella scalcinata squadretta, lui il nuovo venuto che si portava la palla sempre appresso e che aveva sbalordito tutti per la tecnica così precisa e la potenza di gambe che possedeva. Lo ammirava da sempre e quando avevano raggiunto l’adolescenza, aveva capito che i sentimenti che la legavano a lui potevano solo chiamarsi amore.

- Sanae?-

La ragazza rimase senza fiato, riconoscendo la voce di chi l’aveva chiamata. Aveva quasi paura, ma l’istinto la guidò e si girò per incontrare quello sguardo mai dimenticato. Di fronte a sé c’era un ragazzo dai meravigliosi occhi neri, scapigliati capelli corvini che stringeva nella sua mano destra un borsone da calcio recante la scritta SAO PAULO.

- Tsu...Tsubasa...- fu l’unica parola che riuscì a proferire. Non ebbe tempo di mettere a fuoco ciò che stava succedendo, si sentì mancare il respiro e le gambe tremare.

Tsubasa si avvicinò come ipnotizzato, incatenato dalla gioia di averla davanti a sé, di poter stendere la mano e sfiorare quel viso bellissimo che tanto aveva sognato.

- Sanae sei proprio tu?- domandò come in trance, credendo che il desiderio bruciante di vederla gli stesse provocando le allucinazioni.

Lei non riusciva neanche a parlare, voleva gridargli contro tutto il suo rancore, tutta la sofferenza che aveva provato a causa sua, ma non poteva, non voleva rovinare quel momento. Il sorriso amorevole di lui le scaldò il cuore. Le lacrime iniziarono a pizzicarle gli occhi. Tsubasa se ne accorse, ma prima che potesse parlare, lei iniziò a porgli quelle domande che da tempo la tormentavano.

- Perchè Tsubasa? Perchè sei andato via in quel modo? Perchè non mi hai neanche telefonato una volta per sentire come stavo? Io...io...- ma le parole le morirono sulla bocca.

Non riuscendo più a contenere le emozioni, Tsubasa si slanciò ad abbracciarla.

- Perchè sono un vigliacco Sanae, perchè non ho avuto il coraggio né di condividere i miei sogni con te, né di chiederti di aspettarmi.-

Aspettarlo? Sanae non lo aveva aspettato, stava con Yosuke, ma in quel momento, non stava pensando minimamente a lui, l’unica cosa che sentiva era il cuore che le batteva fin quasi a farle male.

Tsubasa la guardò negli occhi, era uno sguardo dolce e pieno d’affetto.

-Perdonami- le disse semplicemente, pur sapendo che quelle parole erano ben poca cosa.

Sanae distolse lo sguardo, avrebbe desiderato di avere la forza per voltargli le spalle e andarsene, così come lui aveva fatto con lei, ma qualcosa la inibiva. Cercò di rompere l’atmosfera, cambiando discorso con la prima frase banale che le venne in mente.

- Credevo che fossi al ritiro-

- Prima dovevo venire a Nankatsu.- la interruppe Tsubasa – Ho qualcosa di più importante qui- disse raccogliendo tutto il coraggio che aveva maturato durante la lontananza.

Quella frase la trapassò come un fulmine, si stava riferendo a lei? Lei più importante del calcio? Non era lo stesso Tsubasa che conosceva, non era più il ragazzino che correva per la città con un pallone ai piedi e che ignorava deliberatamente i suoi sentimenti, era diventato un uomo. Sanae sentì le guance bruciare, quando si ritrovò ad osservare i cambiamenti che il fisico del ragazzo aveva subito. Era diventato più alto e le spalle si erano allargate, il suo viso aveva i tratti più decisi, ma i suoi occhi avevano conservato la dolcezza dell’adolescente che aveva imparato ad amare. Le mani di lui la stavano ancora stringendo per i fianchi e lei avvertì che quel contatto la stava mandando in confusione. Si allontanò con garbo, tentando di celare l’imbarazzo e asciugando le lacrime.

- Io vorrei parlarti, Sanae.- le disse.

Il suo cuore iniziò a battere forte, intuendo di cosa avrebbero dovuto parlare. Sorrise e improvvisamente si ricordò che non lo aveva nemmeno accolto come si deve.

- Scusami Tsubasa, sono stata scortese.-

Lui le posò un dito sulle labbra scuotendo la testa.

- Sei stata sincera, cosa che io non sono stato in grado di fare, spero solo di essere in tempo.-

I loro occhi s’incontrarono e, per un attimo si dimenticò che era troppo tardi, e gli sorrise.

Lui l’attirò a sé e, stringendole la mano, la invitò a seguirlo per andare a fare una passeggiata.

A casa Nakazawa il telefono squillava insistentemente, ma dato che nessuno era in casa, l’apparecchio suonò a vuoto. “Forse Sanae starà dormendo”, pensò Yosuke, mentre riappendeva la cornetta al telefono. Si buttò sul letto della sua stanza sbuffando. Doveva parlarle: era proprio seccato dal suo comportamento. Non la vedeva e non la sentiva da più di una settimana e da un po’ di tempo era strana, ma chi si credeva di essere? Sebbene fosse una ragazza ricca di qualità, lui non era certo il tipo da farsi trattare a quel modo, soprattutto visto lo stuolo di tifose che, nonostante l’estromissione dalla squadra, continuavano a sostenerlo e a chiedergli appuntamenti. Ripensò al momento in cui quell’idiota di allenatore lo aveva messo fuori squadra, ai volti soddisfatti degli odiati compagni di squadra, “gli adepti del dio Ozora” era solito chiamarli, alla calma irritante di Misaki…se c’era qualcuno che non sopportava era proprio quel patetico “bravo ragazzo”. Era anche colpa sua se Sanae era così fredda con lui, sua e dei suoi problemi con quella psicotica della sua ex. Quante volte aveva disturbato i suoi tentativi di approccio con Sanae con i suoi stupidi messaggi sul pocket bell e quando aveva accusato la ragazza di trascurarlo per lui, lei si era arrabbiata. “Che diavolo blateri, Yosuke! Taro è come un fratello per me.” . Rise spavaldamente, certo che Misaki non poteva essere altro, quel finocchietto aveva perso la sua donna perché aveva la virilità di un surgelato, figuriamoci se poteva competere con un uomo vero come lui.

Sanae e Tsubasa passeggiavano mano nella mano per il centro, come una perfetta coppia di fidanzatini. La ragazza cercava di bearsi di quei momenti che aveva potuto vivere solo nei suoi sogni, ma la vocina della sua coscienza continuava ad assillarla.

Che diavolo fai Sanae?! Non è assolutamente da te un comportamento simile! Devi dire a Tsubasa di Yosuke, devi farlo, non esitare.

Il suo cuore era diviso a metà, non voleva rovinare quella giornata che stava diventando sempre più meravigliosa, ma doveva sforzarsi di essere reale. Prima o poi avrebbe dovuto raccontare di lei e Yosuke e quei bei momenti che ora stava vivendo con Tsubasa si sarebbero tramutati in una farsa colossale. Come avrebbe reagito lui?

Mentre era persa nei suoi ragionamenti, lui le sfoderò un altro dei suoi ipnotizzanti sorrisi.

- Posso offrirti qualcosa?- disse indicando una caffetteria. Ad un tratto i ricordi la assalirono; quel posto: quante volte era entrata lì da sola, sognando un giorno di potervi andare accompagnata da lui.

Gli rispose con un sorriso ed entrarono.

Al diavolo tutto! Questo è quello che ho sempre desiderato, adesso non voglio pensare a nulla, voglio solo stargli accanto, anche se fosse solo per un pomeriggio.

Yosuke, sdraiato sul divano, faceva zapping senza trovare niente che attirasse la sua attenzione e ad un tratto notò che iniziava lo spazio del telegiornale dedicato allo sport. Il primo servizio lo fece alzare in piedi, quando inquadrarono Tsubasa Ozora che attorniato dai giornalisti cercava di farsi largo per arrivare all’uscita dell’aeroporto di Narita. Yosuke tremava per il nervoso, quel giocatore aveva tutto quello che lui voleva da sempre e che non aveva mai ottenuto, nonostante non gli si sentisse inferiore. Afferrò un cuscino e lo scagliò con violenza contro l’immagine sorridente di Tsubasa che prometteva di portare il Giappone alla vittoria.

- Ti sei preso il mio posto in squadra Ozora, ma la cosa più importante ora è mia.- ghignò e prese il cordless per chiamare qualcuno che non gli avrebbe fatto sentire la mancanza di Sanae.

La ragazza nel frattempo stava passando la giornata più bella della sua vita, Tsubasa le stava raccontando dell’arrivo in Brasile, di come aveva dovuto fare i conti col fatto di essere solo uno tra i tanti e non il giocatore migliore del paese. Sanae lo ascoltava estasiata, come se la sua voce fosse una dolce melodia. Rivederlo così all’improvviso, essere avvolta dalla dolcezza del suo abbraccio, sentire la sua voce, osservare i gesti e le espressioni che accompagnavano le sue parole le scaldava il cuore.

- Sai cosa mi ha reso tutto molto più difficile?- le domandò all’improvviso.

Sanae scosse il capo non sapendo cosa rispondere. Istintivamente le prese la mano e l’accarezzò dolcemente, mentre con gli occhi brillanti d’amore la guardava.

- Che tu non fossi lì-

Lo sentì di nuovo: il cuore che pulsava velocemente e quella speciale sensazione di sfarfallio allo stomaco. Era come se tutto il mondo non esistesse più, solo lui e lei in quel casto ma intenso contatto, come se le loro anime si fossero toccate. Se solo avesse saputo che la felicità era lì ad attenderla, quanta sofferenza si sarebbe risparmiata.

Tsubasa la guardava adorante, felice perché in cuor suo aveva sperato di non aver perso il suo angelo. Era diventata ancora più bella e femminile e il vestito che portava poi, risaltava i suoi luminosi capelli che ricadevano sulle spalle seminude. Indugiò per un attimo sulla scollatura, distogliendo lo sguardo immediatamente, mentre avvertiva una sorta di agitazione.

Yosuke intanto passeggiava al fianco di una brunetta piena di lentiggini, bassa di statura, ma ben proporzionata. Lui non aveva esitato a offrirle il braccio e ora quell’ochetta se ne stava appesa al suo fianco con un sorriso ebete stampato sul volto. Kaori non aveva creduto alle sue orecchie, quando le aveva proposto di uscire per fare una passeggiata ed ora se ne stava lì beata a strusciarsi contro di lui, sperando che i suoi patetici tentativi di seduzione andassero a buon fine. Yosuke procedeva, soddisfatto di se stesso, in quella infantile “vendetta” nei confronti di Sanae, ignaro di dove fosse la sua ragazza in quel momento.

Tsubasa non aveva mai lasciato andare la sua mano e mentre camminavano per i sentieri del Parco Hikarigaoka, Sanae fissò le loro dita intrecciate commuovendosi di come quel gesto così semplice, racchiudesse tutto un mondo di emozioni, ma probabilmente perché era Tsubasa a ispirargliele. Il sole era ancora alto, le giornate si stavano allungando, segno che la stagione estiva era alle porte.

C’era un sentiero un po’ più sterrato che Tsubasa non ricordava di aver mai percorso e, sorridendole, la invitò a dirigersi da quella parte.

La via percorreva un prato costellato di anemoni fioriti di tutte le tonalità dal bianco al rosa intenso, che danzavano alla brezza primaverile, e conduceva ad un ruscello costeggiato da splendidi ciliegi in fiore. La vista che offriva quell’angolo nascosto del parco sembrava tratta da un quadro pointilliste.

Sanae lasciò la mano di Tsubasa e corse sotto le nubi rosa che rilasciavano la loro magica pioggia fiorita. Tese le mani in avanti per raccogliere quei piccoli petali e gli sorrise.

Il petto cominciò a battergli come un tamburo e rivide nella sua mente l’immagine di quella ragazzina al parco Inokashira, quella creatura meravigliosa che con la sua dolcezza aveva preso possesso del suo cuore. Di fronte a sé ora stava una giovane donna, un fiore sbocciato che desiderava solo essere colto. Si avvicinò deciso a non esitare, ma Sanae lo prese alla sprovvista, prendendolo per mano, perché la seguisse.

- Andiamo a vedere da dove parte questo ruscello.- ormai aveva scacciato ogni timore, tanta era la gioia di poter condividere quegli attimi con lui.

Tsubasa trascinato dal suo entusiasmo si arrampicò con lei attraverso i cespugli d’acero, fino a che non arrivarono ad una radura da dove si poteva udire il rumore di una cascata. Vi era una specie di scalino naturale, che Tsubasa saltò senza problemi, poi si voltò e tese le braccia verso di lei per aiutarla. Sanae si slanciò in avanti e sentì le sue mani che l’afferravano per la vita. I loro occhi s’incontrarono ora che i loro volti erano così vicini e lei sentì il cuore battere tanto forte da farle pulsare tutto il torace. Tsubasa deglutì nervosamente, mentre il profumo penetrante di lei lo inebriava. Rimasero a fissarsi per alcuni istanti, persi in quell’abbraccio involontario.

Sanae distolse lo sguardo imbarazzata e la vista oltre le spalle di Tsubasa era talmente bella da lasciarla incantata: una grande cascata scendeva dal pendio di un colle inverdito dalla natura rigogliosa e andava a formare un laghetto dal quale sgorgava il ruscello che avevano risalito.

- Ma è stupendo!- esclamò. In tutta la sua vita non aveva mai visto un simile spettacolo, eppure erano anni che viveva a Nankatsu, ma forse era la presenza di Tsubasa che riusciva a rendere tutto magico e perfetto.

Trasalì, quando avvertì il suo tocco sfiorarle il polso e voltandosi per sorridergli notò una luce nel suo sguardo serio che la fece tremare dall’emozione e la costrinse nuovamente a posare gli occhi altrove. Due dita le sfiorarono il mento e la riportarono a guardarlo in quelle iridi scure come la pece, che sembravano leggerle nel cuore. Le loro labbra s’incontrarono per la prima volta, aprendosi come dei timidi fiori in boccio per assaporare il gusto delle loro bocche, desiderose l’una dell’altra. Tsubasa la strinse a sé, mentre lei, arrendendosi all’amore che aveva cercato di ricacciare nell’angolo più remoto del cuore, si aggrappò al suo collo affondando le dita affusolate nei ribelli ciuffi corvini. Lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie e il canto degli uccelli nascosti tra i rami si acquietarono e i loro sensi si limitarono al gusto delle loro bocche, impadronitesi l’una dell’altra, e il tatto delle loro mani che percorrevano i corpi in sempre più ardite carezze.

* Citazione da “Cime Tempestose” di Emily Brontë.

Eccolo finalmente! So che alcune di voi aspettavano con ansia la comparsa di Tsubasa e devo dire che gli ho riservato un ritorno di tutto rispetto.

Ringrazio tutti i lettori/lettrici che hanno la pazienza di seguirmi in questo delirio.

Un saluto speciale alle mie care: Rossy, Dolcebarbara e Onlyhope cui è dedicato il capitolo ed Eos75 che avrebbe preferito leggere di Tsubasa investito da un carro armato (schiviamo le saettate di cippetta). Un grazie a tutte, perché siete quanto di meglio mi potesse capitare.

Un caro abbraccio a tutti!

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Capitolo 17
*** Thunder Strike ***


Capitolo 17

Thunder strike

Il sole spuntò tra le nuvole e il raggio fastidioso, attraverso il finestrino, andò a colpire Kojiro che si ridestò dal breve sonno che si era concesso durante le due ore di volo. Si passò una mano sul viso sospirando. Dormire lo aveva aiutato a non pensare a ciò che era successo il giorno prima. Ancora non riusciva a credere che potesse aver perso tutto in così breve tempo: era stato escluso dalla formazione della Nazionale, aveva litigato col suo migliore amico e aveva rovinato il rapporto con sua sorella. L’immagine di Kasumi, così come l’aveva trovata la notte scorsa, quando era tornato a casa per prendere le sue cose, gli strinse il cuore.

Con passo lento, ma deciso, tornò nella sua stanza facendo trasalire Sawada che si stava già addormentando. Vedendo la sua mano insanguinata e la smorfia di dolore che appariva sul suo volto, mentre si teneva lo stomaco, il ragazzino chiese spiegazioni.

- Non è niente Takeshi. Torna a dormire.-

Buttò i suoi effetti nel borsone alla rinfusa e uscì dalla stanza, salutando distrattamente il compagno di squadra. Con passo lento raggiunse l’uscita dell’impianto sportivo. Diede un ultimo sguardo a quel “tempio”, simbolo delle speranze che cullava fin da bambino, prima di dirigersi verso casa, sconfitto e umiliato come mai in vita sua.

Il profilo dell’abitazione vecchia e decadente, troneggiava di fronte a lui, che guardava con sprezzo quel luogo, che definiva casa solo perché lo condivideva con le persone che amava. Si riassestò la cinghia del borsone sulla spalla e scivolò all’interno dell’abitazione attento a non fare rumore.

Nel buio della sua stanza, prese con sé le poche cose che voleva portare, ma un rumore dalla camera accanto lo bloccò. Fece scorrere adagio il fusuma e trovò sua sorella alla finestra con lo sguardo rivolto alla luna, che gli illuminava il volto bagnato dalle lacrime. Istintivamente si voltò a guardarlo, ma Kojiro poté leggere solo disprezzo in quelle iridi scure come il sentimento che esprimevano.

- Ken e io non stiamo più insieme.- sibilò con un tono quasi irreale. – Spero tu sia soddisfatto.-

No, non lo era, non sapeva dire cosa stesse provando in quel momento, forse delusione verso se stesso e quella giornata orribile.

- Kasumi…-

Con un gesto perentorio, gli intimò il silenzio.

- Non fiatare, non mi va nemmeno di sentire la tua voce. Esci dalla mia stanza e stammi lontano.- scandì le parole lentamente in modo che gli entrassero in testa. Lo guardava con la freddezza di una statua di marmo, mentre lui accusava ogni sillaba come un dardo al costato.

Se n’era andato nel silenzio più assoluto, così com’era entrato, ma su di lui gravava l’ennesimo peso, che si era aggiunto agli altri che gli erano piovuti addosso come un acquazzone improvviso. Era salito sul primo aereo per Naha con la speranza di ritrovare tutto ciò che sentiva di aver perso, allontanandosi per un po’.

L’autobus lo portò fino a Higa, dove, per prima cosa, andò a visitare il signor Kira, suo vecchio allenatore. Lo trovò come al solito inginocchiato al kotatsu con il bicchierino colmo di awamori e gli occhi lucidi, sintomo del suo stato ebbro. Quell’uomo all’apparenza così inaffidabile, era uno dei punti fermi nella vita di Kojiro ed ogni volta che ne aveva avuto bisogno, gli aveva offerto ospitalità e sostegno e nemmeno questa volta fece eccezione.

Kozo Kira sapeva benissimo che Kojiro Hyuga aveva il calcio nel sangue, era un attaccante nato ed era sicuro che l’esclusione dalla formazione fosse un ostacolo temporaneo, che il suo più brillante pupillo avrebbe superato senza difficoltà.

La Nazionale non potrà mai fare a meno di un giocatore come te”

Mentre correva, le parole di Kira si ripetevano nella sua mente e gli davano vigore. La sabbia che ostacolava i movimenti delle gambe e il clima caldo del luogo rendevano l’esercizio fisico ancor più faticoso. Rallentò il ritmo, gettando ogni tanto un’occhiata alla distesa d’acqua azzurra che si perdeva verso l’orizzonte. Un guizzo tra le onde attirò la sua attenzione e notò una figura avvicinarsi a nuoto verso la riva.

All’improvviso una fitta al polpaccio lo costrinse a fermarsi e si posò sulla sabbia per tirare il muscolo colpito dal crampo. Mentre tendeva verso di sé la punta del piede per trovare sollievo, dall’acqua, come una moderna Venere, emerse la figura che aveva notato poco prima. La pelle dorata costellata di gocce d’acqua brillava sotto il sole tropicale, le gambe lunghe slanciate dallo slip sgambato del costume si muovevano lentamente al suo incedere. La ragazza si passò le mani sui corti capelli castani per sistemarli all’indietro evidenziando il petto cui aderiva il bikini sportivo. Kojiro continuava ad osservarla, mente si allontanava, ignara della sua presenza, e indugiò qualche secondo sul tonico fondoschiena perfettamente modellato.

Si sentì accaldato, ma preferì dare la colpa al sole cocente e alla corsa, piuttosto che ai suoi sensi di uomo che si erano appena risvegliati. Si bagnò i capelli con l’acqua di mare e proseguì fino ad arrivare in fondo alla spiaggia.

Nel pomeriggio, Kojiro andò ad allenarsi al campetto della scuola superiore. Continuava a calciare la palla contro la rete di recinzione, dato che quel terreno era sprovvisto di porte. Con quanta più forza poteva, caricava il suo destro per migliorare il tiro e renderlo più devastante, ma riusciva solo ad ottenere dei triti Tiger Shot.

- Che diavolo fai?! Stai rovinando il campo, imbecille!- sentì gridare alle sue spalle da una voce femminile.

Stava per intimare a quella gallina di chiudere il becco, ma voltandosi si bloccò, riconoscendo nella ragazza imbronciata che aveva di fronte, la “visione” uscita dal mare quella mattina. Abbassò lo sguardo al terreno e notò i solchi che aveva provocato con i tacchetti.

- Chiedo scusa.- si stupì con che facilità quella tizia gli avesse fatto dire la parola che più odiava nel vocabolario.

- Sì, sì, ma ora sparisci, mi devo allenare.- disse scocciata accompagnando le parole con la mano per indicargli di sloggiare.

- Veramente, mi stavo allenando anch’io.- rispose, ma lei aveva già cominciato a scagliare una palla da baseball con forza, facendo avanti e indietro per recuperarla.

Kojiro stava a braccia conserte a guardarla divertito, mentre continuava a rincorrere la pallina che rimbalzava in modo imprevedibile dalla rete. Lei alzò lo sguardo e notò l’espressione compiaciuta del ragazzo.

- Che hai da ridere?- domandò indispettita.

Kojiro scoppiò a sghignazzare, poi notando che si stava arrabbiando le chiese se poteva darle una mano per scusarsi di aver rovinato il campo. La ragazza sorrise e gli porse un guantone per fargli fare da ricevitore. Passarono un’oretta così, con lei che gli tirava la pallina nei modi più strani e lui che ogni tanto si tuffava mancando la presa e facendola ridere a crepapelle.

- Per oggi basta.- sospirò asciugandosi il sudore, poi lo chiamò con un cenno della mano.

- Vieni, ti offro qualcosa.-

Kojiro accettò volentieri, pensando subito che in altre occasioni aveva rifiutato categoricamente gli inviti delle ragazze che lo sostenevano durante le partite. Si sedettero ad un tavolino sulla veranda e ordinarono da bere.

- Io non so ancora come ti chiami.- le disse all’improvviso.

- E’ vero.- sorrise.- Mi chiamo Maki Akamine. E tu?-

- Kojiro…Kojiro Hyuga.- precisò.

Maki spalancò gli occhi nocciola e restò immobile a fissarlo per qualche secondo.

- Ecco dove ti avevo visto!- esclamò entusiasta.

Kojiro temette di doversi sorbire l’ennesima esplosione isterica da parte della ragazza, ma per sua gradita sorpresa si limitò a sorridere compiaciuta.

- Come mai sei qui? Allenamento speciale?-

Annuì semplicemente, sperando di non dover proseguire il discorso: non aveva assolutamente voglia di rinvangare quanto era successo.

- Grande! Ti capisco benissimo, anch’io sto cercando di migliorarmi, non è da molto che pratico softball e mi piacerebbe proseguire con questo sport.- raccontò.

Maki iniziò a parlare di sé, della sua vita ad Okinawa, di come avesse sempre amato l’attività sportiva e di quanto fosse contenta di aver scoperto la passione per il softball. Kojiro l’ascoltava volentieri: si sentiva a suo agio con lei, non era la solita ragazzina petulante che si dilettava in discorsi vuoti e insulsi, come le tifose e le compagne di scuola che lo assillavano per un appuntamento. Con alcune di loro era anche uscito, ma non era durato per più di un’ora, invece con quella ragazza era diverso.

- Sai, in realtà sono qui per un motivo ben preciso.- le disse ad un tratto.

Maki lo scrutò incuriosita e lo invitò a proseguire con un cenno del capo. Kojiro sospirò e si aprì spontaneamente, raccontandole della sua esclusione dalla Nazionale. Lei lo ascoltò in silenzio annuendo e spostando lo sguardo di lato in atteggiamento meditativo. Alla fine il ragazzo si acquietò, sentendosi leggermente più sollevato. Maki con la testa appoggiata alla mano lo fissò negli occhi per qualche istante. Il suo sguardo non era compiangente, ma piuttosto comprensivo.

- Non arrenderti.- disse.- Io credo che la tua esclusione sia solo temporanea, non penso che la Nazionale possa fare a meno di un’attaccante come te.-

Le stesse parole di Kira in bocca a quella ragazza suonarono ancora più piacevoli e più incoraggianti.

- Premetto che io m’intendo poco di calcio, ma so per certo che gli allenatori tendono a pretendere di più dai giocatori migliori. E’ una delle prime cose che ho imparato da quando pratico il softball.-

Kojiro la guardò come fosse un oracolo divino: quella ragazza spuntata dal nulla gli stava dando nuove speranze.

- Grazie.- le disse prendendole la mano.

Dopo averle offerto un secondo giro, Kojiro si congedò spiegandole che sarebbe andato ad allenarsi da solo per migliorare la sua tecnica e non sarebbe tornato indietro, finché non avesse raggiunto il suo scopo.

- Mi sei stata di grande aiuto, Maki.- le posò un bacio in fronte e se ne andò.

La ragazza, inizialmente sorpresa, sorrise soddisfatta.

- A presto, Kojiro.- disse fra sé e sé.

La palla sbatteva violentemente contro il grande albero, la caviglia destra pulsava dal dolore, ma non voleva smettere, doveva a tutti i costi migliorare il suo tiro. Si massaggiò il collo del piede, mentre la palla rotolava accanto a lui. Non era ancora soddisfatto dei risultati e più provava meno il tiro assumeva la potenza che cercava.

“Non arrenderti”

Le parole di Maki lo accompagnavano da giorni ormai, così come la sua immagine che era sempre viva. La sua fresca risata, gli occhi brillanti, quando parlava del suo amato sport e quel suo fisico slanciato di sportiva. Ripensando a quando l’aveva vista uscire dall’acqua con quel bikini, Kojiro dovette ammettere con se stesso che nessuna ragazza gli aveva mai suscitato la stessa attrazione, nemmeno quelle tipe facili che gli si buttavano addosso con tanta leggerezza. Le emozioni che provava, quando pensava a Maki erano del tutto nuove per lui e non capiva, perché ogni volta la sua mente ritornasse a quanto era successo tra Ken e Kasumi. Probabilmente anche lui si stava innamorando, ma come poteva dirlo, la conosceva appena e si erano parlati solo una volta. Che fosse attratto da lei era innegabile, ma essere innamorato era tutt’altra cosa, forse. Come poteva saperlo lui che non lo era mai stato? Perché, dopo aver parlato con Maki, si sentiva come se niente potesse più ostacolarlo?

Si rialzò e riposizionò il pallone pronto a ricominciare. Doveva assolutamente migliorare, voleva farlo anche per lei.

Il pensiero di Kojiro ormai era una costante nella mente di Maki. Spesso alzava lo sguardo verso il bosco sulla collina, dove sapeva che lui si stava allenando. Quando era al campo ad allenarsi si fermava qualche istante a pensare che quello era stato il luogo del loro incontro.

Camminando verso la spiaggia, passò accanto al bar dov’erano andati a bere insieme e notando una coppia che si teneva per mano, fantasticò su lei e il giovane attaccante in una scena simile. Scosse la testa e proseguì fino a raggiungere la distesa di sabbia bianca. Si svestì e andò a tuffarsi tra le onde, ma il volto fiero di Kojiro non accennava a svanire dalla sua mente. Intensificò le bracciate e sparì sott’acqua.

Sdraiata sulla sabbia, stanca e ansimante, Maki si godeva il tramonto del sole che con i suoi raggi la stava asciugando. I suoi pensieri non erano mutati: quel ragazzo era sempre nella sua testa e, per quanto si sforzasse, non riusciva ad impedirlo. Nonostante fosse riuscita a mascherarlo piuttosto bene, Kojiro l’aveva attratta fin da subito. Del resto, era uno dei nazionali più gettonati assieme a Misugi e Wakabayashi, ma lei credeva di essere diversa dalle altre ragazze che andavano in visibilio solo a sentire il nome dei loro beniamini. Invece, stava seduta sulla battigia a sospirare per un famoso calciatore che probabilmente non la considerava nemmeno.

Uno stormo di gabbiani sorvolò le onde, mentre il sole stava scomparendo oltre l’orizzonte. Si rialzò e si diede mentalmente della stupida. Non era il momento di pensare ad un ragazzo che non avrebbe più rivisto, doveva concentrarsi per la partita di qualificazione al campionato.

Kojiro stava migliorando progressivamente: il Tiger Shot sarebbe stato considerato ben poca cosa, rispetto al tiro devastante che avrebbe messo a punto e Hino si sarebbe rimangiato le sue dichiarazioni da gradasso.

La pioggia iniziò a cadere, ma lui non la sentiva nemmeno. Continuava a calciare il pallone con vigore scavando un solco sempre più profondo nell’albero che aveva di fronte. I fulmini squarciavano il cielo, illuminando la plumbea giornata e la pioggia scrosciava insistente. Kojiro, bagnato dalla testa ai piedi, caricò il tiro e fece partire una tale cannonata che il tronco scricchiolò.

Era pronto: quello era il tiro che cercava. Scrutò il cielo e, vedendo un fulmine cadere, sorrise.

“Maki Akamine, questo tiro lo devo a te”

Avevano perso, rimanendo escluse dal campionato. Maki gettò il guantone a terra e con le lacrime agli occhi ripensò ai duri allenamenti cui si era sottoposta: la corsa, il nuoto, gli esercizi per migliorare i lanci. Già i lanci. Kojiro Hyuga l’aveva aiutata, ma non si era presentato a quell’importante partita. Lo sapeva, ma in cuor suo ci aveva sperato fino all’ultimo. Si trascinò negli spogliatoi, si tolse le protezioni e la divisa zuppa d’acqua piovana.

L’acqua calda della doccia le diede sollievo. Si passò il sapone sul corpo e tentò di distendere i nervi messi a dura prova dalla rabbia per la sconfitta subita. Non si era concentrata abbastanza tanto aveva perso tempo a pensare a quel ragazzo ed ora le rimaneva solo la delusione. Appoggiò la fronte contro le fredde piastrelle e picchiò la superficie con il pugno, mentre le lacrime si confondevano con l’acqua della doccia.

“Sei una stupida!”

Il sole aveva ripreso il suo posto in cielo e la mattinata si annunciava splendida. Kojiro si svegliò di buonora, preparò il borsone e andò a salutare il signor Kira.

- Complimenti, Kojiro. Vedo che hai ritrovato la grinta. Mi aspetto di vederti tornare con la Coppa del Mondo.- rise, con il suo inseparabile cicchetto in mano.

Kojiro annuì divertito: solo Kira poteva pensare di bere liquore di mattina presto.

Si congedò con un inchino e corse via. Doveva raggiungere la fermata per prendere l’autobus diretto a Naha, ma c’era un’ultima persona che voleva assolutamente vedere.

Due ragazze si stavano allenando sul campetto della scuola, ma s’interruppero, quando videro il ragazzo avvicinarsi.

- Sto cercando Maki Akamine, sapete dov’è?-

La ragazza più alta indicò verso la spiaggia, spiegando che era andata per la sua solita nuotata mattutina.

Kojiro corse verso il mare e la vide nuotare con ampie bracciate verso riva. Uscì dalle onde, come la prima volta che l’aveva vista e questa volta non avrebbe dato colpa al caldo o alla corsa, se il suo cuore iniziava ad accelerare i battiti. Maki scosse la testa per scrollarsi l’acqua dai capelli e sobbalzò trovandoselo di fronte.

- Ciao, Maki.- le sorrise.

- Ciao.- rispose in tono incolore.

- Tutto bene?- chiese notando la sua espressione affranta.

- No, abbiamo perso.- sentenziò lapidaria, guardandolo con rabbia. Strinse i pugni per evitare di dirgli che avrebbe voluto tanto che lui fosse lì a fare il tifo per lei.

- Non arrenderti.- le disse.

Maki si bloccò e lo guardò negli occhi. Lui era tornato da lei e la stava incoraggiando.

Ritrovò il sorriso e dandogli un pugno sulla spalla lo rimproverò.

- Antipatico! Potevi almeno venire a fare il tifo!-

Kojiro rise divertito, poi le spiegò che stava per tornare a Tokyo per tentare di riprendersi il posto in squadra. Per quanto fosse dispiaciuta, non poteva che ammirare la tenacia di quel ragazzo. In ogni caso era contenta che fosse almeno venuto per salutarla.

- Ti devo ringraziare, Maki. Grazie al tuo sostegno ho potuto migliorare il mio tiro.-

Sentì il cuore battere, ma non voleva che lui si accorgesse dell’effetto che avevano sortito quelle semplici parole.

- Se vincerai, almeno mi sarò resa utile.- scherzò per celare l’imbarazzo.

- Prima passiamo le eliminatorie asiatiche!- esclamò facendo il segno della vittoria.

- Sì, giusto e se vinci ti concederò un appuntamento.- buttò lì, ignara delle conseguenze.

Kojiro diventò improvvisamente serio e si avvicinò. La sua pelle bagnata la rendeva tremendamente sensuale e il ridotto bikini metteva in mostra le forme perfette del corpo.

Le strinse la vita con le mani e sorridendo avvicinò il suo volto a quello di lei.

- Non ti dispiacerà, se mi prendo un piccolo anticipo.- sussurrò.

- Anti…- Non ebbe tempo di terminare la frase, perché Kojiro le sigillo la bocca con le sue labbra. Il gusto dolce salato della sua bocca era molto invitante, mentre le grandi mani accarezzavano la schiena tesa per l’emozione. Maki si aggrappò alle sue spalle e cercò di riprendere fiato, quando le loro labbra si allontanarono.

- Ora avrò un motivo più che valido per vincere.- scherzò.

Lei lo guardò imbronciata e passandogli le mani intorno al collo, riavvicinò i loro volti.

- Cretino!- bisbigliò prima di perdersi in un altro bacio.

Sospirone…questo capitolo non è stato affatto semplice da scrivere: Kojiro non è proprio un personaggio facile e spero di averlo caratterizzato bene. Dedico il capitolo a tutte le fan della Tigre!

Ringrazio tutte le persone che continuano a seguire Fioritura e le mie quattro affezionate che mi riempiono di orgoglio con i loro complimenti: Elena, Elisabetta, Rossana e Barbara…grazie di tutto, non sapete quanto il vostro sostegno mi commuova e mi toglie la malinconia che in queste giornate aleggia su di me. So che alcune di voi attendevano il seguito della situazione di Tsubasa e Sanae, ma abbiate pazienza e non vi deluderò.

Un caro abbraccio a tutti!

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Capitolo 18
*** Il sogno nella cascata ***


Capitolo 18

Il sogno nella cascata

Un bacio. Yosuke l’aveva baciata molte volte in quei mesi, ma non aveva mai provato niente del genere. Ora capiva, Tsubasa era l’unica persona che viveva nel suo cuore, si era solo nascosto per un po’, ma quel sentimento unico e meraviglioso era sbocciato nuovamente fin dal primo momento che i loro sguardi si erano rincontrati. Le sue labbra così invitanti e le grandi mani che le accarezzavano le schiena erano tutto il suo mondo in quel momento e a malincuore accettò di smettere quel contatto meraviglioso.

- Sarei impazzito, se non l’avessi fatto.- confessò ansimante.

Lei sorrise e si aggrappò alle sue spalle alla ricerca di un altro bacio. Le loro bocche vogliose s’incontrarono nuovamente. Tsubasa passò una mano tra i suoi capelli e carezzando la curva della spalla, scese lungo il braccio per cercare la sua mano e intrecciare le loro dita. Si sentiva felice come mai in vita sua, l’emozione e il senso d’appagamento che stava provando non assomigliavano a nulla di lontanamente paragonabile con la tiepida gioia che gli trasmetteva un goal della vittoria o qualsiasi stupido trofeo si fosse aggiudicato.

Sanae era completamente travolta dalla passione d’ogni singolo gesto del ragazzo e il suo corpo si muoveva istintivamente stringendosi ancora più a lui, agognando il tocco delle sue mani. Non aveva mai permesso a Yosuke di toccarla a quel modo, perché ogni volta che lui cercava un contatto più intimo lei lo scansava. Sussultò, quando avvertì il tocco deciso sul suo seno.

- Tsubasa…- sospirò sulle sue labbra.

Il ragazzo buttò un occhio sulla sua mano che istintivamente aveva coperto quella curva morbida e imbarazzato la ritrasse.

- Scusami.- cercò di riprendere il controllo.

Lei gli accarezzò il viso scuotendo la testa. Si sentiva imbarazzata: non poteva negare che quel contatto che con qualcun altro l’avrebbe addirittura offesa, era stato piacevole.

Tsubasa si allontanò andando ad accucciarsi sulla sponda del laghetto. Voleva almeno tentare di recuperare un po’ d’autocontrollo. Avrebbe dovuto parlarle dei suoi sentimenti, prima di avventarsi così su di lei, ma i baci che si erano appena scambiati sembravano ben più validi che mille parole.

Sanae capendo il suo imbarazzo lo raggiunse inginocchiandosi accanto a lui e gli posò una mano sulla schiena. I loro sguardi s’incontrarono di nuovo e lei sorrise senza imbarazzo. Ciò che era appena successo li aveva sconvolti, ma lo avevano desiderato entrambi.

Tsubasa affondò una mano nell’acqua e si passò le dita umide sulla nuca, ma da quanto era assorto non aveva avvertito quanto fosse gelida l’acqua e trasalì al tocco ghiacciato delle gocce sulla pelle.

Sanae scoppiò a ridere, alla fine il suo adorato capitano non era cambiato: fuori dal campo da calcio rimaneva il solito ragazzino impacciato. Ridiventò seria, quando incontrò i suoi occhi che la fissavano con una miriade di emozioni inespresse. Scansò nuovamente lo sguardo languido di lui, concentrando la sua attenzione sullo spettacolo che madre natura offriva in quel remoto angolo del parco. Osservò lo schiumare del lago là dove la cascata terminava il suo salto: i raggi del sole, riflettendosi sulle gocce producevano un piccolo arcobaleno e prendendolo per mano gli indicò il punto dove la luce creava quel fascio multicolore.

Tsubasa le sorrise, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa oltre la cascata: dietro al muro d’acqua si celava una rientranza. Si alzò e la prese per mano e indicandole il punto che aveva colpito il suo interesse le chiese di seguirlo.

Costeggiarono il lago e si avvicinarono alla cascata. Con un salto Tsubasa superò il fosso che lo divideva dall’entrata della cavità e voltandosi le prese la mano per aiutarla a raggiungerlo. Sparirono così dietro al muro d’acqua che scrosciava producendo un rumore soave.

- Che spettacolo!- esclamò Sanae entusiasta.

Tsubasa sorrise soddisfatto, sapeva che le sarebbe piaciuto: anche a lui aveva fatto lo stesso effetto, quando era andato a vedere le famose cascate dell’Iguazù. Certo lo spettacolo non era niente di minimamente paragonabile, ma la sua presenza rendeva quello spettacolo, il migliore che potesse ammirare.

- Non ero mai stata “dentro” ad una cascata!- proseguì ridendo.

Tsubasa si avvicinò e le passò un braccio sulle spalle. Lei posò istintivamente la testa sulla sua spalla e rimase a fissare ipnotizzata il muro d’acqua che li separava dal resto del mondo. Portò la sua mano sul petto del ragazzo che immediatamente la strinse nella sua. Sanae desiderò che il tempo si fermasse in quel momento tanto felice da sembrare quasi irreale.

Si parò di fronte a lui passando le mani dietro al collo e offrendogli le labbra per un altro bacio. Tsubasa si perse nuovamente in quel dolcissimo contatto e i suoi sensi presero a torturarlo piacevolmente. In preda al desiderio le accarezzò i fianchi e la strinse ancora di più a sé, avvertendo una nuova sensazione al basso ventre. Sanae si allontanò da lui e posò lo sguardo oltre la cascata, verso quel mondo in cui lei era comunque la ragazza di Yosuke Shiratori e cui suo malgrado sarebbe dovuta tornare.

Riportò lo sguardo al ragazzo che, sorpreso dal suo allontanamento, le stava chiedendo se per caso avesse fatto qualcosa di sbagliato. Posò la fronte al suo petto e sospirò. No, lui non aveva fatto niente di sbagliato, era lei ad essere in torto e non poteva continuare a nascondere la realtà, ma come poteva dire a Tsubasa che in realtà lei non lo aveva aspettato, che lei stava con una persona che non valeva nemmeno la metà di quanto valesse lui.

Si avvicinò al getto d’acqua e stese la mano. Fissò la sporgenza che la divideva dalla sponda del lago, poi si voltò verso Tsubasa. Cosa doveva fare? Non voleva fuggire, ma come poteva restare: sapeva che la passione stava prendendo il sopravvento e non avrebbe saputo arrestare l’impeto di quei sentimenti. Si guardò intorno osservando l’ambiente cha la circondava e si chiese se fosse un sogno o la realtà.

Tsubasa tese la mano verso di lei.

- Sanae, devo dirtelo, voglio confessarti quello che provo per te.-

Si sarebbe coperta le orecchie per non sentire, se avesse udito parole d’amore uscire da quella bocca dal sapore irresistibile, non avrebbe più avuto la forza di andarsene.

- Io…-

Le lacrime sgorgarono dagli occhi color ambra e Tsubasa si avvicinò per asciugare quelle gocce che illuminavano le guance della sua Sanae.

- Non riesco neanche a dirti quello che sento ora che sono qui con te. –

Le posò le mani sulle spalle.

- Lo so da tempo, ma non volevo legarti a me. Ero un ragazzino di 15 anni pieno di sogni, quando sono andato via, ma già sapevo che posto avevi nella mia vita. Ho solo tentato di ignorarlo, ma non si può fingere di non sentire il cuore che chiama l’amore con il tuo nome, angelo mio.-

Le baciò la fronte e Sanae chiuse gli occhi percependo distintamente il tocco delle sue labbra sulla pelle calda per l’emozione.

- Io ti amo.-

Lo sapeva, ma quelle parole acquistavano tutt’altra valenza, quando venivano pronunciate con un tono così dolce e deciso. Si strinse a lui, cercando di trattenere le lacrime che prepotenti volevano contrastare il sorriso gioioso che si era dipinto sul viso. Le loro labbra si unirono in un nuovo bacio, più dolce, più appassionato, che aveva il gusto dell’amore.

I can't pretend anymore
That I'm not affected, I'm not moved
I can't lie to myself, that I'm not, always thinking of you

La bocca di Tsubasa scese ad accarezzarle il collo, fino a sfiorare il decolletè. Sanae lo strinse repentinamente a sé e invitato da quel gesto a continuare le passò le mani sui fianchi e risalì ad accarezzare la curva del seno.

You make me strong
You show me I'm not weak to fall in love
When I thought I'd never need, now I can't get enough

Le mani esploravano ogni parte dei loro corpi, mentre le loro lingue s’intrecciavano in baci appassionati. Sanae affondò le mani nei suoi capelli corvini, lasciando il corpo libero di rispondere alle carezze ardenti.

I always made it on my own
I always talk that I would keep control
You changed everything I believe in
Now I just can't fight this feeling baby

Tsubasa le passò la mano dietro al collo e scese fino ad incontrare ciò che stava cercando. Sanae avvertì un brivido lungo la schiena, mentre la lampo del vestito si apriva afflosciando i tessuti, che perdevano aderenza dal suo corpo, finché aiutati dalle mani di Tsubasa non scivolarono a terra.

I raise my hands and I surrender
'Cause your love is too strong, and I can't go on
Without your tender arms around me
I raise my hands and I surrender
I don’t wanna resist, 'cause your touch and your kiss
Have shattered my defences
I surrender

Spontaneamente Sanae lo aiutò a liberarsi degli indumenti, ormai inutili, poi si lasciò guidare da lui che stringendola tra le braccia la fece adagiare delicatamente a terra. L’esperienza era nuova per entrambi, ma in quel momento l’istinto li guidò per varcare le porte del lato più fisico dell’amore.

Sanae si aggrappò ai suoi bicipiti, soffocando un grido di dolore, contro la sua spalla. Tsubasa la baciò sulla fronte e con delicatezza iniziò a muoversi.

I have to admit that I
Never thought I'd need someone this way
'Cause you opened my eyes, so that I can see so much more

La scomoda roccia non era proprio il miglior giaciglio, ma Sanae non sentiva altro che il contatto meraviglioso con il corpo di Tsubasa che esigente percorreva la sua pelle con carezze ardenti. Non le importava più di nulla, Yosuke non esisteva, c’erano solo lui e lei e il loro amore che li stava unendo in quell’atto appassionato.

I surrender to this feeling in my heart
I surrender to the safety of your arms
To the touch of your lips
To the taste of your kisses

Cullati dal dolce ritmo della cascata, esausti e felici, si stavano rilassando stretti l’uno nelle braccia dell’altro. Tsubasa seduto spalle alla solida roccia e le braccia che la stringevano, in un abbraccio protettivo.

Sospirò beandosi di quanto avevano vissuto insieme, chiedendosi ancora una volta se fosse un sogno o la realtà. Il contatto della sua schiena sul petto le permise di sentire il cuore di Tsubasa che batteva forte, proprio come il suo.

- Ti amo.- finalmente lasciò quelle parole libere dalle catene dell’orgoglio.

Tsubasa sorrise e la strinse ancora di più, affondando il viso nei suoi capelli.

- Dimmelo di nuovo.- sussurrò, quasi implorandola.

Si voltò a guardarlo negli occhi, mentre per la seconda volta le sue labbra pronunciavano le due parole più semplici, ma più belle per un innamorato.

Con la mano le afferrò delicatamente il mento e la baciò dolcemente.

I can't lie to myself that I'm not always thinking of you*

Il sole stava tramontando e con tristezza Sanae si rese conto che il sogno era finito, così come stava terminando quella bellissima giornata che le aveva fatto scoprire l’amore. Uscirono dalla rientranza e prima di ritornare al ruscello, Sanae si voltò per guardare quella cascata che avrebbe avuto per sempre un posto speciale nei suoi ricordi.

Mano nella mano, riguadagnarono il sentiero. Ripercorsero il cammino a ritroso e giunti al campo d’anemoni, Tsubasa si chinò per coglierne uno e porgerlo alla ragazza che se lo sistemò tra i capelli sorridendo. Si scambiarono un altro bacio a fior di labbra e si diressero verso l’uscita.

Sanae stava pensando a come comportarsi, forse avrebbe dovuto spiegare tutto e subito, ma avrebbe rovinato una giornata perfetta e poi come avrebbe affrontato un discorso simile dopo quello che era successo tra loro. Di certo non poteva dirgli: “Sai Tsubasa, sto con un ragazzo da ben quattro mesi, ma ho fatto l’amore con te, perché ti amo.”, anche se era vero. Il suo errore più grande era stato quello di mettersi con Yosuke: avrebbe dovuto seguire il cuore, anziché il suo stupido orgoglio.

La voce di Tsubasa la riscosse da quei contorti pensieri.

- Hai voglia di mangiare qualcosa?-

- Sì, grazie, in effetti, ho un po’ fame.- rispose.

Alla fine decise di rimandare tutto al giorno dopo. Tsubasa la amava e lei lo corrispondeva appieno, tutto il resto si sarebbe risolto.

Andarono in un ristorante di Okonomiyaki e Sanae andò al telefono pubblico per avvertire la madre, dato che dal mattino era sparita senza dire niente.

- Finalmente, Sanae, mi stavo preoccupando.- esclamò la madre rimproverandola.

- Scusa mamma, è che ho incontrato…- tanto valeva iniziare ad essere sinceri.- … Tsubasa e la giornata è passata senza che me n’accorgessi.-

- Tsubasa è qui? Salutamelo cara.- disse con un tono decisamente più addolcito.

Sanae si aspettava un’esplosione di domande a raffica che non avvenne. Si salutarono e tornò al bancone dove l’aspettava Tsubasa.

La signora Nakazawa tornò ai fornelli per dedicarsi alla cena. La sua espressione era molto soddisfatta. Shiratori non le era mai andato a genio, mentre il giovane Ozora così calmo ed educato era entrato nelle sue grazie senza troppi sforzi. Sperava quindi che il ritorno del suo favorito aiutasse la figlia ad allontanare quel ragazzino saccente e pieno di sé.

Gli occhi di Tsubasa brillarono di fronte a quel piatto colmo d’impasto condito con tutto il possibile, afferrò il tubetto di maionese sul bancone e lo strizzò sopra la pietanza sotto gli occhi meravigliati di Sanae.

- Ah, sapori di casa!- esclamò soddisfatto dopo il primo boccone.

Scoppiò a ridere divertita, scuotendo la testa.

- Con tutta quella maionese prenderai almeno tre chili, caro il mio campione.- lo punzecchiò.

Anche lui scoppiò a ridere. L’atmosfera tra loro non era mai tesa, stavano sempre bene insieme e dopo l’esperienza meravigliosa di quel pomeriggio la complicità tra di loro era inevitabilmente amplificata.

Tsubasa consumò la cena con soddisfazione e, tra un boccone e l’altro, descrisse i piatti che costituivano la dieta brasiliana. Sanae lo ascoltò, mentre esaltava la bontà dei Pao Queijo, precisando che erano in ogni caso piatti troppo calorici per uno sportivo e quasi si strozzò con il kocha, quando Tsubasa le raccontò dei fallimenti culinari di Roberto.

La serata era stata la degna conclusione di quel giorno stupendo. Dopo il ristorante, si erano fermati ad un chiosco per prendere dei dango da gustare in riva al fiume. Stretti l’uno all’altra, osservarono in silenzio la luna, scambiandosi baci e carezze.

Ora che la stava riaccompagnando a casa, Sanae iniziò ad avvertire una sorta di peso sul cuore. Tsubasa le stava parlando della selezione per la Nazionale, ma lei non stava ascoltando. Arrivarono di fronte casa sua e la strinse nuovamente in un caldo abbraccio.

- Domani pomeriggio parto per il ritiro, ma domattina voglio vederti.- le sfiorò le labbra con un bacio.

- Grazie.- le sussurrò.- Grazie, per avermi aspettato.-

Quelle parole la colpirono come una scarica elettrica, riportandola al mondo reale.

Le diede un altro bacio e si salutarono. Sanae corse dentro casa e salutò distrattamente i familiari. Andò a chiudersi in camera sua prima di scoppiare in lacrime.

Domani non avrebbe potuto aggrapparsi a niente per rimandare la verità: il sogno era finito.

* Parole tratte dal testo di “Surrender” di Laura Pausini.

Eccoci qua…spero che le fan della coppia siano contenti della mia scelta. Come vedete Tsubasa qui è tutt’altro che capra, anzi…XD

E ora i ringraziamenti:

Makichan: sei stata molto gentile a leggere e recensire, anche se so che il tipo di FF non è nelle tue corde.

Eos75: Grazie mille per i consigli e per il sostegno in questo momento delicato della mia vita.

Onlyhope: Eli ovviamente tu sei la persona che mi conosce meglio e che cerca di aiutarmi a fare le scelte giuste. Sono felice di sapere che tu mi sostieni, per me è davvero importante.

Dolcebarbara: spero con questo capitolo di farmi perdonare per il mio forfait di Bologna.

Rossy: grazie come sempre sei gentilissima.

Grazie a tutti, anche coloro che non recensiscono!




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Capitolo 19
*** Punto di rottura ***


Capitolo 19

Punto di rottura

La notte era passata tranquillamente, portandole un sonno ristoratore, dopo le emozioni travolgenti della giornata passata. Aprì gli occhi, destata dalle grida gioiose dei bambini che passavano sotto casa sua. Si alzò a sedere sul letto, ma una fitta alla testa la costrinse a sdraiarsi nuovamente. Si sentiva appesantita e tastandosi la guancia si accorse che il suo viso scottava. In preda ai brividi, si avvolse bene nelle coperte rannicchiandosi. Chiuse gli occhi, cercando di mettere a fuoco quello che era accaduto nelle ultime settimane, ma soprattutto l’esperienza unica che aveva vissuto il giorno prima. Tsubasa era rientrato nella sua vita come un ciclone a cui non aveva voluto opporsi. Per un attimo, la sua mente rivisse quegli attimi di travolgente passione dentro la cascata e il cuore iniziò a batterle forte. Il telefono la riscosse da quei pensieri e sentì sua mamma che rispondeva.

- Sanae! C’è Shiratori al telefono.- gridò dal piano terra.

Il momento era venuto, avrebbe confessato tutto a Yosuke, era inutile continuare a mentire a se stessi e al mondo: lei amava Tsubasa, non aveva smesso un attimo, aveva solo creduto di poterlo cancellare dal suo cuore.

Facendosi forza, si alzò dal letto e procedette febbricitante, appoggiandosi al muro per arrivare al cordless in corridoio.

- Pronto…-

- Ah, sua maestà ci concede udienza oggi?- domandò sarcastico.

- Ciao, Yosuke.- rispose piatta. Quei suoi modi di fare, che fino a ieri aveva difeso a spada tratta, le risultavano veramente odiosi.

- Iniziavo a pensare che sarei invecchiato aspettando…-

- Scusa Yosuke, ma non sto bene.- tagliò corto, incapace di sopportare ancora oltre la sua arroganza.

- Quando mai?- ribatté annoiato.

- Dovrei parlarti, potresti venire da me per favore?- chiese ignorando i suoi commenti acidi. Doveva chiarire la sua posizione con lui ed era inutile attendere ancora.

Yosuke scoppiò in una risata maligna.

- Non ti fai viva per una settimana e pretendi che ora io venga da te? Mi hai preso per un bamboccio?-

- Devo parlarti.- insistette.

- Certo che parleremo, ma quando ne avrò voglia, non sono il tuo burattino, Sanae, e ora ti saluto.- buttò la cornetta sulla forcella.

- Brutto idiota!- esclamò rivolta contro il ricevitore che emetteva il suono ripetitivo della linea interrotta.

Ripose il cordless sulla base e si tastò la fronte che le pulsava per l’emicrania. Il telefono squillò di nuovo. Escluse che potesse essere Yosuke: figurarsi se quel pallone gonfiato la richiamava per chiedere scusa.

- Pronto…-

- Buongiorno fiorellino, dormito bene?-

La voce dolce e pacata di Tsubasa la fece sentire già molto meglio.

- Ciao…- rispose col cuore al galoppo.

- Tutto bene?- chiese subito, sentendo la sua voce indebolita.

- Temo di avere la febbre.- rispose esausta, anche stare in piedi le dava noia.

- Ah, mi dispiace. Posso venire a trovarti?-

Sanae aspettava con ansia l’arrivo di Tsubasa, mentre pensava a come affrontare il discorso con lui. Temeva la sua reazione, ma voleva dirgli che aveva sbagliato, che aveva tentato di dimenticarlo, cedendo alle attenzioni di Yosuke. Avrebbe dovuto mettersi un cerotto sulla bocca, il giorno che gli aveva detto che accettava di diventare la sua ragazza. Ora riusciva a capire che Yosuke non era affatto il tipo giusto per lei. Le aveva telefonato per provocarla e non si era nemmeno preoccupato di chiedere come stesse o se avesse bisogno di qualcosa.

Il campanello della porta suonò e il suo cuore iniziò a battere forte di conseguenza. Sentì sua madre cinguettare allegramente per accogliere Tsubasa: decisamente, quel ragazzo era nelle grazie della signora Nakazawa. Sentendoli salire le scale, Sanae afferrò lo specchietto che teneva nel cassetto del comodino e si sistemò i capelli per cercare di apparire almeno un po’ in ordine.

- Sanae, guarda chi c’è?- esclamò felice sua mamma.

La signora li lasciò soli e richiuse la porta dietro di sé.

Tsubasa si avvicinò sorridente al suo letto e le posò un bacio sulla fronte.

- Sei bollente, piccola, hai la febbre alta?-

Annuì e tese le braccia verso di lui per stringerlo. Chiuse gli occhi aspirando il suo profumo.

- E’ colpa mia, ieri hai preso freddo.- disse, riandando con la mente a quei momenti meravigliosi.

Sanae scosse la testa.

- E’ stato bellissimo.- confessò, intuendo a cosa stesse pensando.

Prese il suo viso caldo tra le mani e la baciò memore delle sensazioni provate. Sanae si strinse di più a lui con le poche forze che aveva. Con le dita gli accarezzò il viso, mentre con gli occhi nei suoi cercava di raccogliere un po’ di coraggio e confessargli tutto.

- Tsubasa, devo…- il ragazzo le posò un altro bacio sulla bocca. Non c’era spazio per le parole in quel momento, solo per gesti d’amore che da troppo tempo attendevano di potersi compiere.

Sanae stava perdendo la determinazione, ma più fosse andata avanti più avrebbe peggiorato le conseguenze del suo silenzio. Con dolcezza lo allontanò da sé e guardandolo seria gli confessò che gli doveva assolutamente parlare.

- Ora è meglio che ti riposi. Mi dirai tutto più tardi. Devo scappare, perché ho appuntamento con Manabu e gli altri: li volevo salutare prima di andare in ritiro.- le diede un ultimo bacio, prima di congedarsi. Sanae avrebbe dovuto bloccarlo, ma le mancò il coraggio, aggrappandosi alla scusa che gli avrebbe spiegato tutto in seguito.

- Ci vediamo dopo, amore.- corse a salutare la signora Nakazawa e uscì.

Sanae si sporse per vederlo attraverso la finestra, mentre usciva dal cancello. Si morse le labbra, dove era ancora vivo il sapore della sua bocca e sbuffando per aver fallito, si ributtò nel letto.

Tsubasa arrivò al campetto della Nankatsu, dove i sostenitori della squadra lo accolsero felicissimi di poterlo riabbracciare. Normalmente, il campo sarebbe stato vuoto in quel periodo, ma notò che nell’area di rigore stava un ragazzo alto, in divisa da calcio, che da solo si stava allenando a fare tiri in porta.

- Manabu, chi è?- chiese indicando il giovane che aveva appena insaccato l’ennesima palla nella rete incustodita.

- Quello? E’ Yosuke Shiratori.-

Tsubasa si avvicinò per fare conoscenza con il ragazzo.

- Ciao..-

Shiratori si voltò scocciato e l’ira gli montò in maniera esponenziale, quando si trovò di fronte la persona che più odiava in quel momento.

- Ah, ma guarda un pò: il grande Tsubasa Ozora.-

Finse di non avvertire il tono sarcastico del ragazzo e gli porse la mano.

- Yosuke Shiratori.- si presentò, stringendo energicamente la presa.

- Il capitano della Nankatsu.- aggiunse Tsubasa.

- Ex capitano, sono stato estromesso dalla squadra. Per ora, sono solo il ragazzo di Sanae.- sentenziò con un lampo di sfida negli occhi.

Il sorriso del ragazzo si spense immediatamente, mentre si ripeteva mentalmente ciò che aveva appena sentito: sicuramente aveva capito male. Notando l’espressione incredula del rivale, Yosuke rincarò la dose.

- Ma come? Sanae non ti ha detto che stiamo insieme? Eppure sono già quattro mesi.- ghignò soddisfatto, mentre il viso di Tsubasa rivelava il turbinio di delusione e sofferenza che stava provando. Senza dire una parola, si congedò da Shiratori che soddisfatto lo vide salutare distrattamente gli altri e trascinarsi fuori della scuola come un cane bastonato.

- Questa volta ho vinto io Ozora.- bisbigliò a se stesso soddisfatto.

Tsubasa iniziò a correre, ansioso di arrivare a casa di Sanae e sentirsi dire che era tutto falso, una stupida bugia inventata per…perché non avrebbe voluto nemmeno saperlo, desiderava solo che la ragazza gli dicesse che Shiratori s’era inventato tutto. Doveva essere così, non poteva essersi presa gioco di lui.

La porta di casa Nakazawa si aprì, ma la signora non ebbe nemmeno il tempo di salutare l’ospite, perché si era lanciato verso le scale con la velocità di un fulmine. Sanae trasalì e per poco il bicchiere colmo di succo d’uva non le cadde di mano, quando la porta si spalancò e apparve uno Tsubasa sconvolto. Abbozzò un sorriso, che le morì subito sulle labbra, notando la tristezza negli occhi di lui. Non ebbe il tempo di chiedergli cosa avesse, perché il ragazzo chiarì subito il motivo della sua apparizione improvvisa.

- Tu non sei la ragazza di Shiratori, vero?- la supplicò.

Il respiro le mancò di colpo e si portò una mano al petto, non poteva averlo saputo da qualcun altro.

Tsubasa s’inginocchiò al bordo del letto, in posizione orante, ma qualcosa dentro di lui si spezzò, quando lesse la realtà negli occhi di Sanae.

- Non puoi avermi fatto una cosa simile.- la sua voce tremava per la disperazione.

Sanae cercò di trovare le parole adatte, ma le uscì un suono soffocato.

- Mi dispiace.- scoppiò in lacrime.

Tsubasa si sentiva totalmente svuotato, l’umore opposto alla gioia euforica che aveva provato fino a poco tempo prima.

Si alzò in piedi e come aveva fatto in quegli anni lasciò andare le lacrime: Sanae non lo aveva aspettato, non era vero allora tutto quello che si erano detti il giorno prima, anche quello che era successo era stato una farsa. Era tutto sbagliato!

- Tu non mi hai aspettato…- sibilò astioso.

Sanae lo guardò implorante.

- Io credevo di non contare niente per te.- cercò di giustificarsi singhiozzando.

- Non ti avevo chiesto di aspettarmi, ma cazzo, Sanae, avresti dovuto dirmelo.- ribatté ostile.

- Non ce l’ho fatta, ho provato a confessartelo, ma…-

Tese una mano tremante per chiederle di tacere.

- Tu stai già con un altro e hai fatto l’amore con me. Ti rendi conto, Sanae?- domandò furioso.

Sanae scosse la testa.

- Perdonami, io…io ti amo, come potevo respingerti?- chiese, affranta.

Tsubasa la fulminò con lo sguardo, le gote bagnate dalle lacrime che stava cercando disperatamente di frenare. Strinse i pugni.

- Come pensi che possa crederti, dopo quello che hai fatto?- domandò glaciale.

Sanae si strinse nelle spalle, mentre il pianto le scuoteva le membra.

- Non puoi dubitare dei miei sentimenti!- gridò esasperata.

- E Shiratori?- domandò, ricordandole perché stavano discutendo.

Sanae raccolse un po’ di coraggio per riuscire finalmente a spiegarsi.

- E’ vero, io e lui stiamo insieme, ma lo volevo…lo voglio lasciare. Io non provo niente per lui, amo te, ti ho sempre amato.- confessò con la voce rotta dal pianto.

- Bugiarda.- replicò astioso.

Sanae si bloccò, era odio quello che leggeva nei suoi occhi. Si voltò per concentrare lo sguardo altrove: non poteva sopportare che lui la guardasse con disprezzo.

Tsubasa sospirò.

- Tse…che idiota sono stato, tre anni a disperarmi e a smaniare per te, sperando che mi aspettassi e ora che sono tornato ho fatto anche la figura del fesso. Dovevi vedere come mi guardava tronfio il tuo ragazzo, mentre mi parlava di voi due.- puntualizzò, calcando il tono sulle due parole più odiose.

- Se mi avessi detto quello che provavi, ti avrei aspettato!- ribatté offesa dal suo tono pungente.

- Io ho sbagliato, ma credi di essere migliore di me? Mi hai preso in giro Sanae. Ti sei divertita a vedere questo bamboccio, innamorato pazzo, ai tuoi piedi?-

- Io sono stata tua. Senza un momento di esitazione. Ti ho dato anche me stessa. Come puoi accusarmi di averti preso in giro?- domandò addolorata.

- Non me lo ricordare, tu mi hai usato!- gridò.

La sua mano partì istintivamente e colpì con forza il suo volto, ma rendendosi conto del gesto, fissò per un istante il palmo che aveva schiaffeggiato il ragazzo che amava.

- Ti…ti chiedo scusa.-

Tsubasa si toccò la guancia bruciante, incredulo e umiliato.

- Ora basta, Sanae. Questo è veramente troppo. Io ti amavo e da bravo idiota ti amo ancora, ma adesso è finita. Tu hai preso la tua strada e io sparirò dalla tua vita per sempre.-

Si diresse alla porta.

- Tsubasa, ti prego…- lo trattenne tra le lacrime aggrappandosi alla sua schiena.

Si sentiva totalmente schiacciato da quella situazione, ciononostante, trovò la forza per voltarsi e guardarla un ultima volta.

- Non c’è più niente da dire. Anch’io ho un cuore e tu me lo hai fatto a pezzi.- sentenziò con voce tremante. Le prese la mano e gliela strinse forte, poi si allontanò e sparì uscendo da casa sua e dalla sua vita.

Sanae rimase imbambolata, in preda alla febbre e al dolore, poi si buttò in ginocchio accanto al letto e pianse disperata. Aveva perso Tsubasa, proprio ora che aveva capito che lui era tutto ciò che desiderava dalla vita. Lo aveva perso, perché non aveva saputo aspettare, lo aveva perso per…per cosa poi? Era stata una vigliacca.

Tsubasa corse al parco Hikarigaoka e ripercorse il cammino che aveva fatto con Sanae. Arrivò fino alla cascata, quel luogo dove i suoi sogni erano diventati realtà. La magia del giorno precedente era svanita ed ora rimirava quel luogo fiabesco con disgusto. In cuor suo, desiderò che la collina crollasse, sommergendo con le macerie, le stesse che ora battevano nel suo petto, quel luogo d’illusioni che lo aveva cullato dolcemente, per sbattergli in faccia la realtà in un modo tanto orribile.

Yosuke era tornato a casa e si stava crogiolando al sole in giardino con i capelli ancora bagnati dalla doccia. Si sentiva finalmente soddisfatto, dopo tanto tempo. La faccia addolorata di Ozora era stato quanto di più sublime i suoi occhi avessero potuto ammirare. Nel suo sadico autocompiacimento gongolava della “rivincita” su Tsubasa. Il pallone è rotondo caro Ozora. Pensò ghignando.

Si andò a preparare, perché c’era qualcuno che doveva andare a trovare.

La signora Nakazawa aveva intuito dall’espressione sconvolta di Tsubasa che qualcosa di grave doveva essere accaduto, ma preferì non fare domande alla figlia. Andò alla porta e il suo umore peggiorò, quando si vide di fronte Shiratori. Il ragazzo entrò e dopo aver salutato distrattamente la signora, si diresse in camera di Sanae senza troppe cerimonie.

Quando lo vide entrare Sanae lo squadrò torva.

- Avresti potuto bussare.- sentenziò.

- Non fare la difficile, sei la mia ragazza, non credo di aver bisogno del permesso per entrare qui.- si andò a sedere sul letto e avvicinò la bocca alla sua, ma Sanae si scostò disgustata.

Yosuke la squadrò accigliato: quel gesto lo innervosì e non poco. Sanae sostenne il suo sguardo, mentre dentro di sé la rabbia montava. Era colpa di Yosuke se Tsubasa aveva saputo tutto nel modo peggiore. Pur essendo lei la principale colpevole di quella situazione, irrazionalmente doveva incolpare lui: lui che l’aveva convinta ad essere la sua ragazza, lui che aveva rivelato come stavano le cose a Tsubasa.

- Adesso ascoltami bene- lo anticipò, prima che dalla sua bocca potessero uscire altre frasi sgradevoli.

- Ora che sei qui, posso anche dirti che tra noi è finita.- sentenziò lapidaria.

Yosuke scoppiò a ridere: il suo ego smisurato gli impediva di accettare quanto aveva appena sentito.

- Scusa non ho capito bene?- domandò ironico.

- Oh, hai capito benissimo. Ti lascio Yosuke, non provo niente per te, io amo…-

- Ozora?- chiese con un ghigno malefico sulla bocca.

Sanae lo fissò incredula, poi annuì decisa.

- Chissà come sarà felice.- rise con la stessa espressione di un demonio.- Oggi sembrava un cane bastonato.-

Sanae sentì la rabbia prendere possesso di ogni parte del suo corpo e facendo leva sulle braccia si alzò in piedi.

-VATTENE!- gridò, disperata.

- Oh, con piacere bellezza.- uscì lentamente, torturandola piano con la sua sadica espressione. Varcata la soglia si voltò e le mandò un bacio al volo.

- Grazie, tesoro. Non sai che piacere è stato cancellare quel sorriso ebete dalla faccia di Ozora.-

Si congedò lasciandola sola con il suo dolore.

Sanae si buttò sul letto affondando il viso nel cuscino per soffocare i singhiozzi. Ora capiva tutto, Yosuke provava attrazione per lei, ma niente di più, l’aveva usata per far del male a Tsubasa.

Tsubasa amore mio perdonami! Sono stata una stupida!

Le sue grida attutite dal cuscino riecheggiarono nella stanza, che era diventata ancora più vuota dopo quella visita sgradita.

Il suo unico amore era entrato ed uscito dalla sua vita come un tornado, che arriva improvviso e spazza via tutto ciò che incontra con il suo impeto.

L’amore è un castigo. Siamo puniti di non aver saputo restare soli.*

*Marguerite Yourcenar, Fuochi

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Capitolo 20
*** Prendi la mia mano ***


Capitolo 20

Prendi la mia mano

L’odore forte degli analgesici e dei disinfettanti dava alla testa, ma Kasumi ormai aveva fatto l’abitudine a quegli effluvi nauseabondi, che intaccavano l’aria dell’ospedale. Già da una settimana si divideva tra la casa e il ritiro, dove andava ad informare suo fratello sulle condizioni della madre e dei bambini.

Quando Kojiro era tornato da Okinawa, aveva cercato di mantenere le distanze da lui e suo fratello l’aveva lasciata, stranamente, in pace. Kasumi avvertiva come un cambiamento in lui, anche se, forse, il suo atteggiamento era dettato dagli impegni con la squadra e le responsabilità di trascinarla, a causa delle condizioni non proprio ottimali del capitano Ozora, che sembrava giocare con la testa altrove. Lei non aveva più visto, né sentito Wakashimazu: sapeva solo che il suo ex giocava per la Yokohama Flūgels tramite i giornali. Certo, la loro separazione era stata dolorosa e spesso sentiva un magone soffocarla, quando pensava a loro due, ma era andata così ed era inutile struggersi tanto per una storia durata il tempo di un soffio.

Kojiro, invece, stava diventando la stella delle eliminatorie asiatiche, mettendo in ginocchio le formazioni più forti del torneo con le sue giocate spettacolari, frutto degli allenamenti ad Okinawa. Kasumi era andata alle sue partite, nonostante il gelo che c’era tra loro due e aveva apprezzato moltissimo le prodezze del fratello, che giocava con una nuova luce negli occhi.

Nonostante si sentisse insoddisfatta, almeno poteva dire che attraverso lui aveva qualcosa per cui essere contenta. Anche se era stupido vivere una felicità riflessa, questo le era bastato, fino alla settimana precedente.

“Tua madre ha avuto un incidente sul lavoro Kasumi, è in coma all’ospedale”. Il tono fermo e controllato del signor Mitsui le risuonava nella testa come un martello. Rimirò la sua mano stretta in quello della piccola donna e risalendo con lo sguardo lungo il braccio, in cui brillava l’ago della flebo, si soffermò sul viso sofferente costretto dalle bende che le fasciavano la testa. Si sentiva tremendamente in colpa per quello che era accaduto, forse se fosse rimasta in Cina a finire gli studi, sua madre non si sarebbe prodigata a lavorare di più per farla studiare alla Toho, non sarebbe stata male e suo fratello non avrebbe litigato con Wakashimazu, ma era troppo tardi per pentirsi, poteva solo prendersi le responsabilità delle sue scelte e stare vicino alla sua famiglia come poteva.

In quei momenti, aveva temuto di essere sola, ma il sostegno degli amici di famiglia, dei compagni di squadra di suo fratello e, soprattutto, il prezioso aiuto di Yayoi che si occupava dei suoi fratellini erano stati di grande conforto. La manager della Musashi era una persona estremamente dolce e, nonostante la conoscesse poco, sapeva che non avrebbe potuto lasciare i bambini in mani migliori.

La sera precedente era andata a salutare suo fratello, che sarebbe partito per Jakarta. Il ghiaccio tra loro non si era ancora sciolto, ma il dolore adesso era più forte: avevano già perso il loro padre e ora la vita sembrava volerli mettere di fronte a nuove sfide. Le aveva posato le mani sulle spalle e le aveva detto con gli occhi lucidi.

- Dobbiamo essere forti, Kasumi. Per noi e per i ragazzi.-

Kasumi lo abbracciò, bisognosa del conforto di una figura maschile.

L’attrito che si era creato tra loro, non aveva più alcuna importanza, esisteva solo l’esigenza di sostenersi.

- Credevo che, dopo la morte di papà, non potesse accaderci nulla di più doloroso, ma mi sbagliavo.- lasciò andare le lacrime.

Kojiro si strinse alla sorella, anche lui piangeva. Ora si rendeva conto di quanto fossero vere le parole della madre: sfuggire al dolore era impossibile. L’allontanò e le diede un bacio in fronte.

- Ti affido la mamma, stalle vicino anche per me.- strinse ancora di più le spalle della sorella per infonderle forza.

Kasumi sollevò le mani e gli strinse i polsi delicatamente.

- Devi vincere, Kojiro, fallo per noi.-

Il ragazzo annuì e con il dorso della mano si asciugò gli occhi. Entrambi volsero lo sguardo in alto a cercare, nel cielo stellato, il conforto del defunto genitore.

- Papà aiutaci.- sospirò serrando gli occhi per non piangere.

Uno sguardo all’orologio da parete le ricordò che la partita era prossima a cominciare. Chiamò un’infermiera, chiedendo se fosse possibile avere un apparecchio radio. Voleva che la madre, sebbene incosciente, avesse la possibilità di ascoltare le prodezze del figlio.

Selezionò la stazione radio, giusto in tempo per sentir annunciare la formazione.

- Attaccanti: Shun Nitta e Kojiro Hyuga.- comunicò la gracchiante voce dello speaker.

Il cuore le bussò nel petto a sentire il nome del fratello e con un sorriso orgoglioso guardò la madre esanime e le strinse forte la mano.

“Coraggio Kojiro” lo incitò mentalmente.

La televisione era sintonizzata sulla partita. Yayoi aveva portato i piccoli Hyuga a casa sua, per permettere loro di vedere il fratellone giocare contro la Cina. Quando avevano inquadrato Misugi la piccola Naoko le aveva fatto l’occhiolino, facendola arrossire con il suo sorriso furbetto. Giunse le mani e pregò, perché il Giappone vincesse quella partita che sembrava avesse acquistato una valenza maggiore, dopo ciò che era accaduto alla signora Hyuga.

Il primo tempo si era concluso con il vantaggio dei nipponici, ma la Cina si era ripresa ed ora la Nazionale del Sol Levante era in difficoltà. Tutti i giocatori correvano per il campo, cercando di contenere le incursioni dei cinesi. Misugi aveva vinto un paio di contrasti, scatenando l’ammirazione dei piccoli spettatori che si complimentavano con Yayoi per le doti del ragazzo. Hyuga aspettava di poter sfondare verso l’area avversaria, ma la palla non arrivava, perché i centrocampisti dovevano coprire i pasticci di Tsubasa, che, evidentemente, da un po’ di tempo non era in forma.

- Recuperiamo la palla, Misaki!- gridò Matsuyama, che faceva le veci del capitano, troppo distratto per guidare la squadra.

Hyuga s’involò su un cross della wild eagle e, con una bordata magistrale, infilò la rete del portiere Jo. I compagni lo attorniarono festanti, ma lui era concentrato sul capitano che gli stava tendendo la mano per complimentarsi della splendida azione.

- Che cazzo combini, Ozora!- gridò additandolo.- Svegliati, io voglio vincerla questa partita!-

Tsubasa annuì mortificato, comprendeva che la sua condizione mentale stava pregiudicando le sue prestazioni, ma non riusciva a scacciare il pensiero doloroso di Sanae dalla sua testa. Il calcio ora era tutto ciò che aveva, non poteva rovinare la fama che si era creato per i suoi problemi di cuore. Una mano si posò sulla sua spalla e si voltò ad incontrare lo sguardo rassicurante di Matsuyama.

- Non prendertela. E’ solo preoccupato per sua madre.-

Hikaru lo aveva consigliato spesso, in passato, sui comportamenti da tenere con Sanae, ma lui non gli aveva dato retta e ne stava pagando le conseguenze, ciononostante il compagno si era dimostrato comprensivo con lui e lo aveva sostenuto continuamente. Scosse la testa e scrutò il campo: doveva concentrarsi sulla partita in quel momento, tutto il resto non contava.

Il Giappone aveva vinto, ma le condizioni della signora Hyuga non erano migliorate. Kojiro aveva fatto una breve scappata all’ospedale, per congedarsi con il cuore gonfio di dolore, dopo aver visto la madre inchiodata nel letto e la sorella prostrata dalla sofferenza. Stava tornando al ritiro, quando notò una figura famigliare sulla soglia dell’entrata all’impianto sportivo.

Si guardarono in silenzio per alcuni istanti, attimi in cui la tensione sembrò insostenibile, finché non fu Kojiro a reagire avvicinandosi piano e stendendo le braccia a cercare il conforto del suo migliore amico.

- Scusa il ritardo.- Ken gli passò un braccio attorno al collo in una stretta energica.

Kojiro si aggrappò al suo ritrovato sostegno come un naufrago in mezzo alla tempesta.

Wakashimazu ascoltò in silenzio lo sfogo del ragazzo, che cercava di dominare le lacrime con l’orgoglio che lo aveva sempre contraddistinto, limitandosi ad appoggiare la mano sulla sua spalla.

- C’è qualcosa che posso fare per te?- chiese, quando calò il silenzio.

Kojiro scosse la testa. Aveva già fatto il primo passo per recuperare la loro amicizia, dopo quell’episodio poco decoroso che li aveva visti protagonisti, cosa avrebbe potuto fare di più? Un volto balenò nella sua mente come una folgorazione.

- C’è una cosa che puoi fare.- lo guardò negli occhi e aggiunse.- Stai vicino a mia sorella, lei ha bisogno della tua presenza più di quanto voglia ammettere.-

Ken spalancò gli occhi sbalordito, non avrebbe mai pensato che proprio lui gli avrebbe dato l’occasione per tornare sui suoi passi. Era stato troppo orgoglioso per ammetterlo, ma da quando aveva lasciato Kasumi, si era pentito ogni giorno di quanto le aveva detto e avrebbe tanto voluto poter tornare con lei.

- Kojiro, ma tu…-

- Tu la ami, vero?-

Ken si limitò ad annuire, senza mutare lo sguardo perplesso rivolto al suo interlocutore. Kojiro non disse nulla, ma gli diede una pacca sulla spalla e si diresse verso le stanze del dormitorio. Quel tacito consenso fu più che sufficiente e, senza esitare, guadagnò l’uscita del ritiro per dirigersi verso l’ospedale.

Kasumi stava parlando per stimolare la madre incosciente. Ormai era normale per lei comunicare con la donna esanime, ma l’assenza di risposta da parte sua stava diventando sempre più difficile da accettare. Ken la osservò in silenzio, mentre le lacrime le sgorgavano dagli occhi. Stanca ed abbattuta, Kasumi si piegò poggiando la fronte sulla mano della donna e il suo corpo fu scosso dai singulti. Una mano le accarezzò amorevolmente la schiena che al contatto s’irrigidì.

Si drizzò immediatamente e vedendolo, la sorpresa durò il tempo di un battito di ciglia, quando lesse amore e comprensione nello sguardo del ragazzo che la strinse a sé, mentre lei sfogava lo scoramento e la stanchezza sulla sua spalla, bagnandola di lacrime.

- Sono qui, Kasumi.- sussurrò baciandole il capo.

Annuì aggrappandosi forte a lui, traendo forza da quel contatto che tanto le era mancato. I suoi occhi umidi lo guardarono con ritrovata dolcezza, prima di chiudersi ad imprimere il conforto del bacio che si scambiarono.

L’orario delle visite era terminato e Kasumi dovette lasciare la madre alle cure dei medici che consigliarono alla ragazza di tornare a casa e dormire decentemente almeno per una sera, altrimenti si sarebbe sentita male anche lei, di lì a breve. Voleva opporsi, ma anche Ken insistette per riaccompagnarla a casa, quindi lasciò che lui la portasse via e si diressero verso Meiwa.

Aggrappata a Ken che la teneva per la vita, si trascinò fino a casa. Giunti alla soglia, lo guardò intensamente scoprendo una nuova emozione dentro di sé. Normalmente, si sarebbero salutati con la promessa di rivedersi il giorno dopo, ma in quel momento si sentiva diversa, aveva un grande bisogno di lui. Gli passò le braccia attorno al collo e con la fronte appoggiata al suo petto sospirò.

- Non mi lasciare da sola.- lo supplicò.

Il ragazzo le passò le mani sulla schiena e l’attirò a sé. Non sarebbe andato via, voleva proteggerla, rimediare al male che si erano fatti e dimostrarle che lui ci sarebbe stato sempre per lei. Coccolandola come una bambina, la portò dentro casa.

L’ambiente era deserto. Kasumi andò al telefono per chiamare Yayoi e chiedere dei fratellini.

- Ciao, Yayoi, sono Kasumi. Come stanno i ragazzi?-

- Ciao Kasumi. Va tutto bene, oggi li ho portati al Luna Park per farli distrarre un po’ e dopo cena sono letteralmente crollati.-

- Ah, mi spiace che ti diano tanto disturbo.- disse mortificata.

- Non dirlo nemmeno per scherzo.- l’ammonì dolcemente.- Lascia che si riposino, poi domani con calma li porto in ospedale a trovare tua mamma.-

- Grazie Yayoi, sei una persona meravigliosa.- rispose commossa.

- Di nulla, gli amici non hanno abbandonato Jun, quando è stato male: è ora che dimostriamo un po’ di gratitudine.- spiegò. -Buonanotte, Kasumi, cerca di riposare tranquilla.-

- Grazie ancora e buonanotte anche a te.-

Ken era andato in cucina per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, sia lui che Kasumi non avevano mangiato ed ora sentiva un certo appetito. La ragazza entrò in cucina e trovò la tavola già apparecchiata per due.

- Sei un angelo.- sospirò, mentre lui frugava la credenza in cerca di qualcosa di commestibile. Spuntò un secondo per rivolgerle un sorriso e poi si rimise al lavoro, sbuffando perché non riusciva a trovare nulla. Stava quasi per arrendersi, poi emerse con un’espressione soddisfatta tenendo in mano una busta di riso al curry liofilizzato.

- Tu vai pure a rinfrescarti, ci penso io qui.-

Kasumi lo guardò sconvolta, era troppo bello per essere vero.

- E non guardarmi così, sono le doti del figlio unico.- esclamò strizzando l’occhio.

Scoppiò a ridere divertita: dopo tanto tempo riusciva a ritrovare il sorriso.

Andò in bagno e si crogiolò sotto la doccia calda. Appagata dal rilassante getto d’acqua uscì e si asciugò velocemente. Spostò il fusuma dell’armadio e sfilò dai suoi indumenti un vecchio yukata di sua mamma. Mentre si allacciava la cintura, andò in cucina, dove trovò Ken ai fornelli che sapientemente stava rimestando il contenuto della busta in una pentola. Si appoggiò allo stipite della porta e lo guardò divertita con le braccia conserte e lui sentendosi osservato, si voltò.

- Sei bellissima!- esclamò, ammirandola, cinta da quell’indumento costellato di ibiscus stampati su una tinta color crema, che risaltava la lucentezza dei suoi capelli corvini che ricadevano morbidamente sulle spalle.

Si avvicinò a lui, posando la mano sulla sua che teneva le hashi. Ken le cinse la vita con un braccio inspirando il dolce profumo fiorito che emanava. Si guardarono teneramente e si baciarono, mentre lei tirava le hashi dalla sua parte per togliergliele. Risero ancora persi in quel bacio, lottando per il possesso delle bacchette. Ken gliele lasciò e si allontanò alzando le mani in un gesto di resa, mentre lei prendeva posizione di fronte ai fornelli.

Dopo cena, andarono in camera di Kasumi. Seduti accanto alla finestra da cui filtrava la luce della luna, rimasero abbracciati a parlare di loro, della loro separazione e di quanto entrambi avrebbero voluto che tra loro fosse andata diversamente. Ken le confessò quello che gli aveva detto Kojiro al ritiro.

- Mio fratello ha qualcosa di diverso.- sentenziò, prendendosi il mento tra le dita. Strizzò gli occhi e si morse il labbro, nello sforzo di riflettere sul cambiamento di posizione di Kojiro.

- L’importante è che adesso non ci metterà più i bastoni fra le ruote.- le baciò il capo stringendola a sé.

Kasumi rise, nascondendo il viso contro la sua spalla.

- Sarà meglio che andiamo a dormire.- si alzò e aprì il fusuma comunicante con la camera di Kojiro, ma lei lo trattenne.

- No.- disse lei e buttandogli le braccia al collo lo baciò con passione.

Ken fece scorrere le mani lungo i fianchi e andò ad accarezzarle la schiena, mentre sentiva che lei lo tirava verso di sé. Invitato dal suo abbandono, la prese in braccio, la posò sul futon e si liberò della maglietta restando a torso nudo, poi riprese a baciarla, mentre con le mani le afferrò la cintura. Si rovesciò sulla schiena e il suo volto fu accarezzato dalla pioggia di ciocche corvine di Kasumi che succube della passione gli stava calando la lampo dei pantaloni. Le accarezzò le spalle e fece scivolare via lo yukata, sfiorando la pelle liscia della sua schiena facendola rabbrividire. Voltandosi nuovamente la fece adagiare sul morbido materasso. Le scostò i capelli dalla fronte e le sussurrò quelle parole che avrebbe voluto dirle da tanto tempo. I suoi occhi scuri brillarono, illuminando il dolce sorriso che lui aveva imparato ad amare sopra ogni cosa e gli si offrì senza più timori o esitazioni.

Dei passi veloci lo fecero sussultare, ma prima che si rendesse conto di dove si trovasse e di che ore fossero, Ken si trovò faccia a faccia con Kojiro che stava impalato sulla soglia come pietrificato. L’attaccante, passato lo stupore iniziale, si ritirò imbarazzato nella sua stanza, maledicendosi per il suo brutto vizio di non bussare.

Ken avrebbe voluto sprofondare e si girò a guardare Kasumi che sdraiata su un fianco e con un braccio steso sul suo torace, dormiva beata e ignara di tutto. Scivolò piano fuori dalle coperte e afferrò velocemente i suoi indumenti per rivestirsi, poi si voltò e, vedendo la sua ragazza mezza nuda, prese lo yukata e glielo sistemò come poté sulle spalle e andò a cercare suo fratello.

Kojiro stava in cucina con una tazza piena di ocha fumante, sconvolto per quello che aveva appena visto. Quando Ken entrò nessuno dei due aveva il coraggio di guardarsi in faccia.

- Ehm, Kojiro…-

Hyuga stese una mano per invitarlo al silenzio e lui obbedì immediatamente, temendo che un’altra lite violenta fosse nell’aria.

- Non c’è bisogno che mi spieghi.- tagliò corto in evidente imbarazzo.

- Vedi noi...-

- Lo so cosa è successo, non ho due anni. –

Kasumi comparì sulla porta e guardò entrambi, cercando di capire la situazione, ma prima che potesse chiedere spiegazioni il telefono squillò e lei si affrettò a rispondere.

- Signorina Hyuga, sua madre si è risvegliata.- il tono rassicurante del dottore, rese la notizia ancora più piacevole.

Con le lacrime agli occhi Kasumi ringraziò il medico che cercò di minimizzare, ricordandole che era un dovere della sua professione. Corse in cucina e si buttò felice nella stretta di Ken, poi si voltò verso Kojiro che sorridente le tese le braccia e l’accolse nel suo abbraccio. Le asciugò le lacrime e lasciò che andasse a prepararsi per andare tutti insieme in ospedale.

Ken sentì una mano sulla spalla e vide l’amico che lo guardava con un’espressione insolita.

- Grazie.-

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Capitolo 21
*** Sogno a metà ***


Capitolo 21

Sogno a metà

Era al quinto bicchiere, ma il dolore non accennava a diminuire. Da quasi un mese, la frustrazione era sua sgradita compagna e nemmeno la qualificazione alla finale della Coppa d’Asia leniva il dolore per il suo amore tormentato per Sanae. Dopo quello che aveva scoperto, tutte le certezze, delle risposte d’amore dimostrategli, erano state spazzate via. Come ricevere una coltellata alla schiena dalla persona attorno alla quale girava il suo mondo. Il calcio era parte della sua vita, ma le sue scarse prestazioni al torneo gli avevano dimostrato come senza di lei, nemmeno il suo amato sport fosse di conforto.

Perché gli aveva fatto una cosa simile? Voleva vendicarsi? Sì, probabilmente era una rivincita presa per punirlo di essersene andato via in quel modo, lasciandola sola, umiliata e con il cuore infranto. Non riusciva più a dare un senso a nulla. Sanae: la ragazza che ricordava lui era dolce e generosa, completamente diversa dalla persona che lo aveva illuso e ingannato con tanta facilità. Quelle parole sussurrate, mentre era tra le sue braccia, i suoi baci, le sue carezze. “Ti amo” . Chiuse gli occhi tentando di scacciare il volto bellissimo che gli dichiarava i propri sentimenti. Passandosi la mano sul viso sudato per il caldo indotto dall’alcool, ordinò il sesto bicchiere, sperando che la sbronza gli annebbiasse la mente cancellando il pensiero di lei.

- Caspita! Stai tentando il suicidio, dolcezza?-

Tsubasa si voltò distrattamente a guardare la donna al suo fianco che lo scrutava ammiccante. Le schifezze che stava ingurgitando iniziavano a fare effetto e, cercando di mettere a fuoco, notò una sorridente nera dai lunghi capelli mossi e una provocante scollatura, mentre con la mano incerta afferrava il bicchiere che il barista gli porgeva.

- Solo i turisti possono bere il mojito d’inverno.- sentenziò divertita, indicando con la mano, su cui brillava una french manicure, il liquido verdognolo.

- Ti faccio compagnia, tesoro.- insistette, nonostante il mutismo del ragazzo.

Ancora non sapeva come, ma in quel momento stava seguendo Florencia al suo appartamento. La donna gli aveva fatto capire chiaramente di essere attratta da lui e aveva accettato le sue avance, anche grazie ai freni inibitori indeboliti dal rum. Ora che l’aria della notte gli aveva fatto acquisire un po’ di lucidità, iniziava a sentirsi imbarazzato per la vicinanza della procace trentenne il cui profumo dolciastro lo stava stuzzicando.

Arrivarono alla zona di Sao Lourenço e scesero dal taxi. Florencia lo prese per mano e lo condusse al suo appartamento al quinto piano di uno stabile non lontano dalla spiaggia. Tsubasa si guardò intorno, spaesato da tanto lusso. Lei rise e gli spiegò che l’appartamento era il regalo di un dentista italiano di cui era diventata l’amante, mettendolo ancor più a disagio. Per un attimo si voltò a guardare la porta, pensando di aprirla e andarsene, ma il suo orgoglio ferito lo trattenne. Voleva sfogare il dolore in qualche modo e se l’alcool non aveva sortito gli effetti desiderati, probabilmente buttarsi tra le braccia di Florencia gli avrebbe permesso di non pensare a Sanae, almeno per quella notte.

La donna non perse tempo e accarezzandogli la testa s’impossessò avidamente delle sue labbra, mentre con le mani lo spogliava della giacca della tuta da calcio. Tsubasa la lasciò fare, crogiolandosi in quel piacere effimero, ma non appena chiuse gli occhi l’immagine della sua ossessione abbandonata tra le sue braccia prese a torturarlo.

- Sanae…- sospirò, mentre una lacrima gli scendeva dagli occhi.

La brasiliana si ritrasse disgustata, non che si aspettasse che il ragazzo cadesse ai suoi piedi, ma che pensasse ad un’altra, mentre stava con lei, era un’idea che non le andava proprio a genio. Lo spinse indietro e gli porse la giacca.

- Vai fuori di qui, io non ci sto a fare la controfigura, ragazzino.- sentenziò risentita.

Tsubasa le tolse l’indumento di mano e si trascinò a testa bassa fino alla porta. Come un automa uscì in strada e si diresse in spiaggia, mentre con la mente cercava di rielaborare quanto era appena successo. Che idiota era stato a pensare che buttarsi a fare sesso con una mantenuta, gli avrebbe tolto il peso che gli gravava sul cuore. Ora si sentiva anche peggio. Lo stomaco iniziò a ribellarsi e inginocchiatosi sulla rena lo vuotò di tutto lo schifo che si era bevuto nel vano tentativo di trovare un po’ di pace. Sfinito, si trascinò sui gomiti, mentre le lacrime gli bagnavano il viso. Sdraiato sulla sabbia, volse lo sguardo alla luna che rischiarava il mare con i riflessi argentati dei suoi raggi. La sua mente associò quell’immagine alla sera in cui lui e Sanae stavano lungo il fiume, innamorati e felici, rubandosi i dango a vicenda e scambiandosi baci. Batté un pugno sulla sabbia e con tutto il fiato che riuscì a cavare dall’addome, gridò il suo nome sciogliendosi in un pianto disperato.

- Che ne dici di questo, Sanae?- domandò Yoshiko misurandole addosso un vestitino blu con delle margherite stampate. La ragazza si limitò a guardarsi allo specchio e a scuotere la testa, poco convinta. Si allontanò cercando un posto a sedere nel reparto calzature e si passò una mano sulla fronte in preda ad un giramento di testa. L’amica la raggiunse subito, preoccupata dal suo viso pallido e da quei giramenti di testa che la colpivano da quando si erano svegliate a casa di Yayoi. Si sedette accanto a lei e stava per prenderle la mano, ma Sanae scattò in piedi coprendosi la bocca e scappando verso le toilette.

Yoshiko entrò poco dopo di lei e sentì che stava dando di stomaco, chiusa in uno dei bagni. Attese lì fuori, finché non uscì barcollando e con gli occhi rossi dalle lacrime. L’aiutò ad avvicinarsi ai lavelli e le carezzò la testa impietosita dal suo viso stravolto.

- Da quanto non stai bene, Sanae?-

- E’ da qualche giorno che do di stomaco e ho delle fitte al basso ventre.- spiegò, mentre si bagnava il collo e si lavava il viso.

- Forse, sono i sintomi del ciclo.- ipotizzò poco convinta.

- Mi è saltato questo mese.- disse con voce tremante.

All’improvviso tutto le fu più chiaro, ora capiva perché avesse chiesto a Yayoi di parlare con il medico presso il quale svolgeva il tirocinio per fissarle un appuntamento.

Il dott. Maeda le aveva prescritto delle analisi del sangue, in modo da fugare ogni dubbio, anche se i sintomi parlavano chiaro. Dopo la visita, aveva cercato di rincuorare la sua giovane paziente, evitando di fare domande troppo esplicite e personali, ma quando era uscita gli era sembrata una bambina smarrita.

- La sua amica ha 18 anni e mezzo, vero Aoba?-

- Sì, dottore, ha solo qualche mese più di me.- rispose sommessamente Yayoi.

- E’ ancora così giovane.- sospirò con fare paterno.

Quando era tornata con le analisi, Sanae aveva chiesto che Yayoi e Yoshiko fossero lì con lei, mentre il dottore le spiegava i risultati.

Il medico scorse veloce il foglio fino ad arrivare al valore più rilevante, poi, tentando di conservare la sua professionalità, si tolse gli occhiali e si massaggiò le palpebre con le dita.

- Il valore Beta-HCG è positivo, signorina Nakazawa.-

Un silenzio di tomba calò nella stanza. Sanae cercò lo sguardo di Yayoi per comprendere il mistero celato dietro quella dichiarazione in linguaggio medico e notò un velo di apprensione nei suoi occhi. Le si avvicinò e tenendole la mano, le regalò uno dei suoi migliori sorrisi per alleggerire il peso di ciò che stava per dirle.

- Aspetti un bambino, Sanae.-

Da una settimana si trascinava in quel dubbio ora diventato certezza, ma saperlo non rendeva la realtà più semplice. Un senso di pesantezza all’addome prese a tormentarla e sentiva una gran voglia di piangere. Alzandosi aiutata da Yayoi, ringraziò il dottore e si trascinò fuori dello studio. Le sue amiche, preoccupate, la seguirono a ruota e la trovarono all’entrata dell’ambulatorio, impalata e con lo sguardo perso nel vuoto. Yoshiko le posò una mano sulla spalla e la strinse forte, mentre lei singhiozzava e Yayoi le massaggiava la schiena.

- Cosa faccio adesso?- ripeté scossa dal pianto.

Aveva passato l’intero pomeriggio a piangere tormentata dai dubbi, la situazione era più grande di lei e sapeva benissimo che non poteva gestirla da sola. Yayoi l’aveva aiutata a fare gli esami di nascosto, ma ai suoi genitori non avrebbe potuto celare altro.

- Forse dovrei abortire…- sospirò.

- Oh, no, Sanae!- esclamò Yoshiko.- Ti prego, non dire una cosa così brutta.-

- E cosa dovrei fare secondo voi?- gridò disperata.- Tsubasa mi odia ed io non posso occuparmi di un bambino da sola.-

- Andiamo, Tsubasa non ti odia.- intervenne Yayoi per sdrammatizzare.

- In ogni caso, lui non lo deve sapere.- esclamò.

Yayoi le si parò davanti con un’espressione ammonitrice.

- Ancora bugie Sanae? Non vi siete già fatti male abbastanza?-

- Tu non sai come mi sento io!- urlò facendole trasalire.

Sanae abbassò il capo, rendendosi conto di avere esagerato.

- Scusatemi.- sospirò, mentre le lacrime ripresero a scenderle sulle gote.- E’ che vorrei tanto che tutto fosse andato diversamente, aver spiegato subito la situazione a Tsubasa. Forse ora non sarei in questo guaio. Non posso dirgli niente, sembra che io voglia ricattarlo per farlo tornare con me.- nascose il volto tra le ginocchia in preda alle lacrime.

Yoshiko le carezzò la schiena resistendo all’impulso di piangere anche lei.

- Sanae, non agire in modo avventato, dormici su e poi prendi una decisione a mente lucida.- le spiegò dolcemente.

Yayoi annuì e si avvicinò anche lei per abbracciarla.

- Sappi che non sono d’accordo sul nascondere la verità a Tsubasa, ma rispetterò la tua volontà. Ti prego di pensarci bene, lui ha il diritto di sapere una cosa simile.- le spiegò con calma.

Sanae annuì e imitando le due amiche scivolò sotto le coperte, sperando che il sonno l’aiutasse a calmare il tumulto che aveva dentro. I suoi pensieri andarono immediatamente a Tsubasa: lo rivide nella cascata, quando le aveva dichiarato il suo amore. Due lacrime le scesero spontanee e il sonno s’impadronì piano piano di lei.

Yoshiko si alzò e quasi le venne un infarto, quando trovò il letto di Sanae vuoto, ma si calmò non appena lesse il biglietto che le aveva lasciato.

Cara Yoshi,

non preoccuparti, se non mi trovi in casa. Sono uscita perché ho bisogno di fare chiarezza e riflettere da sola su quello che sta succedendo. Voglio fare la scelta più giusta.

Ti voglio bene

Sanae

I giardinetti erano pieni di bambini che giocavano felici tra le altalene, la sabbia e la giostrina rincorrendosi allegramente. Sanae guardava quelle creature che ridevano e sembravano tanti piccoli angeli. Istintivamente si accarezzò il ventre, pensando alla piccola vita che stava crescendo dentro di lei e per la prima volta sorrise.

- Le dispiace se mi siedo qui?- si voltò e vide una ragazza dal viso dolce che portava una carrozzina azzurra sorridendo radiosa.

Annuì e si spostò per farle spazio. Quando la donna raddrizzò il passeggino, Sanae poté vedere il fagottino che vi giaceva beatamente addormentato. Con gli occhi lucidi ammirò quel piccolo essere che con i pugnetti stretti alla copertina masticava con la sua boccuccia a cuore, perso a sognare la deliziosa pappa che si sarebbe gustato.

- E’ bellissimo, vero?- le chiese orgogliosa.

Sanae le sorrise dal cuore, ma ad un tratto il piccolo iniziò a lamentarsi, probabilmente infastidito dal caldo estivo. La madre lo prese tra le braccia gentilmente, passandogli una salvietta sulla pelle delicata, per detergerlo dal sudore e vezzeggiandolo con parole dolci.

- Come si chiama?-

- Il suo nome è Toshio.- rispose senza staccare lo sguardo amorevole dal figlio, poi si rivolse a lei con quello sguardo dolce e fiero di madre.

- Vuole tenerlo in braccio?-

Sanae stese le braccia istintivamente e si accoccolò il bambino contro il petto, avvertendo come un brivido e con l’indice andò a sfiorargli le guance morbide, provocando i sorrisi vispi del piccolo.

- Sembra che si trovi bene in braccio a lei, deve avere un ottimo istinto materno.-

- Io?- domandò sorpresa, mentre la signora sorridente annuiva.

Tornò a guardare dolcemente il piccolo che gorgheggiando si scrutava curiosamente le manine paffute, poi il suo sguardo si fece serio.

- Scusi la mia domanda, ma non ha mai paura di non poter essere una buona madre?- si morse il labbro, capendo quanto la sua domanda fosse inopportuna, ma la signora contro ogni aspettativa rise divertita.

- Certamente, ogni giorno.- rispose sinceramente, poi riprese in braccio il figlio che rideva felice.- Ma per questa risata sono pronta a correre il rischio.- schioccò un bacio sul nasino del bimbo che batté le mani gioiosamente.

- Somiglia a suo padre, quando ride.- proseguì.- E’ bello guardarlo e scoprire quello che ha preso da lui.- rise di sé- Sa, io sono molto innamorata di mio marito.-

Il cuore iniziò a batterle e come se una luce l’avesse illuminata, le ombre che oscuravano la sua mente sparirono lasciando il posto ad un’improvvisa chiarezza. Si alzò lentamente e carezzò la testolina del bambino.

- Le faccio i miei complimenti signora, ha un bambino bellissimo.- sorrise e si congedò salutando entrambi, felice di aver finalmente capito cosa voleva il suo cuore.

Il sole caldo di mezzogiorno picchiava insistente e Sanae incedeva adagio, approfittando delle zone d’ombra per trovare ristoro. Arrivò a casa di Yayoi accolta dalla sue amiche che la rimproveravano a rotazione per averle fatte preoccupare. Chiese loro un attimo di tregua per poter spiegare con calma la decisione che aveva preso.

- Domani torno a casa.-

Yoshiko tese il braccio ad afferrare la sua mano, ricevendo in cambio un sorriso colmo d’affetto e gratitudine. Lei e Yayoi la scrutavano preoccupate dal suo volto sibillino. Prese il fiato, prima di rivelare la decisione che aveva preso.

- Terrò il bambino.- dichiarò con un luminoso sorriso.

- E’ stupendo Sanae!- batté le mani Yayoi.- Allora lo dirai a Tsubasa, vero?-

Un’ombra di tristezza oscurò l’espressione distesa del suo viso. Chiuse gli occhi e scosse la testa.

- No, la mia decisione non cambia la realtà: Tsubasa non mi vuole più ed è ingiusto che lo tenga legato a me.-

- Lascia che sia lui a decidere.- la interruppe Yoshiko, poco convinta anche lei sulla correttezza di una simile decisione.

- Credimi Yoshiko, è meglio così.- sospirò e si portò le mani al ventre.- Sapete, da quando ho capito di amare Tsubasa, il mio desiderio più grande è sempre stato di dividere la mia vita con lui e dargli dei figli. Questo bambino è il coronamento di un sogno, anche se a metà.- sorrise bonariamente con gli occhi lucidi.

Yoshiko non poté fare a meno di abbracciarla con gli occhi umidi per l’emozione. Yayoi, imbronciata per l’idea di non mettere al corrente Tsubasa, rimase un po’ sulle sue, ma vedendo Sanae guardarla per cercare la sua approvazione, si sciolse completamente unendosi all’abbraccio delle sue migliori amiche.

Alla stazione Yayoi e Yoshiko, l’aiutarono a caricare il bagaglio sul treno, ma prima di lasciarla andare le dettero mille raccomandazioni.

- Mi raccomando, bevi molto.- le disse Yoshiko.

- E non dimenticarti di assumere carboidrati, ma soprattutto ricordati il magnesio, ti aiuterà per le nausee.- spiegò con fare sapiente Yayoi.

- Va bene, va bene, l’ho sentito anch’io il medico, mi riguarderò non preoccupatevi.- accompagnò le parole con una carezza al ventre, gesto che faceva molto spesso da quando aveva accettato nella sua vita, l’esistenza di quella creatura.

Le porte del treno si chiusero portando Sanae verso la prova più difficile. Le sue amiche guardarono preoccupate il mezzo sparire in lontananza.

- Sono preoccupata, chissà come reagiranno i suoi?- chiese Yoshiko sommessamente.

- A me preoccupa di più che non voglia dir nulla a Tsubasa, non è giusto tenerglielo nascosto: lui è il padre!- esclamò, sentendo un tumulto interiore.

- Temo che la verità salterà fuori comunque.- sospirò Yoshiko. – Ad ogni modo, io la voglio aiutare, non è una decisione facile la sua. Non riesco a capire cos’abbia fatto per non meritarsi un po’ di serenità.-

Yayoi annuì e mentre uscivano dalla stazione, un’idea iniziò a farsi strada nella sua mente.

Hikaru la stava aspettando all’uscita del J-Village con i capelli ancora bagnati dalla doccia di fine allenamento. Yoshiko gli corse tra le braccia, felice di poter passare del tempo con lui: a causa della Coppa d’Asia non avevano avuto molto tempo per stare insieme. Le prese il viso tra le mani e la baciò con dolcezza, ma un fischio di scherno alle loro spalle li disturbò.

- Muori, Ishizaki!- sibilò scocciato.

Yoshiko rise con il viso nascosto contro la sua spalla, fingendo di non sentire le battute ironiche del difensore, mentre il suo ragazzo la trascinava via, mostrando il dito medio al compagno di squadra che continuava a sghignazzare da solo delle proprie battute pietose.

Quando riuscirono a guadagnare un angolino tranquillo, Hikaru la strinse nuovamente a sé accarezzandola dolcemente come se la stesse modellando con la creta. Le mancava molto poterla anche solo sfiorare, abituato a condividere lo stesso tetto con lei e poter godere d’istanti di tenerezza ogni qualvolta ne sentisse il desiderio. Yoshiko gli scostò le ciocche di capelli umidi dalla fronte, studiando il suo viso, su cui posò le sue dita per accarezzargli le guance. Il ragazzo si mosse leggermente e con le labbra sfiorò la mano che lo toccava.

- Come stai tesoro mio?- gli chiese persa nei suoi occhi.

- Meglio adesso.- rispose stringendola forte a sé.

Seduta sul letto a gambe incrociate, Yayoi era pronta per la notte nel suo delicato pigiama di seta rosa. Tuttavia, non sarebbe andata a dormire, finché non avesse parlato con Tsubasa. Certo, non avrebbe rivelato che Sanae era incinta di suo figlio, questo non spettava a lei, ma quantomeno si sentiva in dovere di far capire a quello zuccone che stava sbagliando.

“Tsubasa è il padre!” : parole che le erano uscite spontanee e che l’avevano scossa profondamente. La sua prima cotta, il suo migliore amico, il giocatore che aveva spronato il suo Jun a non arrendersi: tutto questo faceva di Tsubasa una persona speciale nel suo cuore.

Fissò un ultimo istante il cordless tra le sue mani, poi alternando lo sguardo dalla tastiera al bigliettino che si era fatta dare da Misaki, tramite Jun, compose il numero. Articolando qualche parola in inglese, riuscì a farsi passare l’amico che rispose incuriosito.

- Ciao, Tsubasa, sono Yayoi.-

Il ragazzo rispose in tono incolore, era contento di sentire la sua amica, ma era ancora amareggiato per la lite con Roberto che, dopo averlo visto tornare all’alba in preda ai postumi della sbronza, lo aveva escluso dall’amichevole contro il Palmeiras.

- Senti, ti ho chiamato per parlarti di Sanae.-

Tsubasa s’irrigidì.

- Scusa, Yayoi, non ho tempo…-

- Invece devi starmi a sentire: è importante!- esclamò, scandendo bene le ultime parole.

Sbuffò piegandosi al suo volere.

- So cosa è successo tra di voi e capisco che tu possa essere rimasto male, ma non credi di aver esagerato?-

- Esagerato? Yayoi: lei mi ha preso in giro, lo ha fatto per vendicarsi di me.- rispose piccato.

Strinse le lenzuola nel suo pugno, pensando che se fosse stato lì di fronte a lei, un bel manrovescio non glielo avrebbe tolto nessuno.

- Certo, che hai una bella considerazione di Sanae, se pensi che abbia sprecato la sua prima volta per una stupida vendetta.- sentenziò sarcastica.

La sentì sbuffare nella cornetta.

- Sanae ha fatto bene a cercare di scordarti. Un leone in campo e un coniglio nella vita, è questo quel che sei.- lo provocò per smuovere il suo orgoglio.

Tsubasa accolse quelle parole come una doccia ghiacciata e rivedendosi ubriaco in casa di quella sconosciuta si rese conto di quanto fossero vere.

- Peccato, che quella povera ragazza non riesca a dimenticarti.- sospirò dopo l’ultima stoccata.- Ti saluto, Tsubasa.-

La linea s’interruppe e Tsubasa ripose il ricevitore con fare meccanico. Le parole di Yayoi parlavano chiaro: in tutti quegli anni era scappato, nascondendo i propri sentimenti dietro inutili scuse e quando era tornato, Sanae non lo aveva respinto come si sarebbe meritato, anzi gli aveva donato tutto, anche se stessa. Chissà come aveva sofferto e come stava soffrendo a causa sua.

“Peccato che non riesca a dimenticarti”, nemmeno lui poteva dimenticarla. Ma a chi lo raccontava? Lui non voleva dimenticarla: Sanae era parte di lui e niente avrebbe cambiato i sentimenti che provava per lei, nemmeno il suo stupido orgoglio.

Ciao a tutti. So che sto andando su un terreno minato, ma spero che qualcuno condivida le mie scelte. Sto trattando argomenti difficili e non vorrei apparire banale e scontata.

Ringrazio come sempre tutte coloro che leggono la mia FF con entusiasmo, ma soprattutto le mie carissime recensitrici.

Un ringraziamento speciale a Scandros che nonostante gli impegni si è ritagliata del tempo per me.

Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 22
*** L'ultima speranza ***


Capitolo 22

L’ultima speranza

Il respiro divenne affannato, le dita delle sue mani s’intrecciavano nervosamente e il suo sguardo si spostò alternatamene dal volto del padre a quello della madre. Atsushi era stato mandato in camera sua, dal momento che l’argomento era troppo delicato per essere affrontato in sua presenza. La signora Nakazawa con le mani sul petto che minacciava di scoppiare, guardò timorosa il marito che strinse i lembi della camicia nello sforzo di non alzarsi per andare a schiaffeggiare la figlia.

- Il padre è Tsubasa, vero?- chiese la donna, spezzando il silenzio pesante come un macigno.

Sanae annuì tremante per la paura. Suo padre sembrava freddo come il ghiaccio, ma la sua rabbia aleggiava gravemente nella stanza.

- Quel buono a nulla!- sbottò all’improvviso facendole trasalire. – Sa almeno del pasticcio che ha combinato?!-

Strinse la stoffa della gonna con le unghie che stridevano contro il tessuto per contenere la rabbia.

- No, io e lui non stiamo insieme ed io non voglio coinvolgerlo né legarlo a me in nome della responsabilità.- sentenziò decisa.

Sua madre si asciugò gli occhi lucidi per la commozione, quanto coraggio c’era in quella sua figlia, ma temeva la reazione del marito che esplose violenta.

- Ma sentitela! Sei solo una sciagurata! - scattò in piedi, poi si rivolse alla moglie.- La colpa è anche tua, l’hai sempre incoraggiata a perder tempo dietro a quel ragazzino senza arte né parte.-

La donna chinò la testa umiliata e incapace di rispondere alle accuse del marito.

- Ora basta papà non ti permetto di offenderlo!- gridò rizzandosi a sua volta. – Tsubasa è un grande giocatore e sono stata io con il mio comportamento ad allontanarlo, quindi prenditela solo con me.- lo sfidò.

- Fai silenzio! Sei un disonore e un pessimo esempio per tuo fratello! Mi hai deluso, Sanae. Credevo di averti trasmesso dei sani principi morali. Che grande fallimento!- esclamò esasperato allargando le braccia.

Sanae sentì le guance umide, ma si asciugò subito gli occhi. Non poteva perdere quel testa a testa contro suo padre.

- Adesso ascoltami bene: domani contatterò un dottore, mio caro amico e prenderemo appuntamento per interrompere la gravidanza.-

Sanae incrociò le braccia sul ventre come a voler proteggere la piccola vita dentro di lei da quelle parole odiose.

- Ma Shigeru…- cercò d’intervenire la moglie, inorridita al solo pensiero della figlia sottoposta ad una simile tortura.

- Non voglio!- gridò con tutte le forze.

- Fate silenzio! Ascoltami bene, Sanae: una ragazza madre non ha futuro, se proprio vuoi rovinarti non aspettarti aiuto da me, quindi o accetti di abortire o vai fuori da questa casa.- sentenziò perentorio. Il suo sguardo gelido non ammetteva replica.

Sanae, bloccata di fronte un simile bivio, non ebbe la forza di reagire. Una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco la spinse a correre al bagno per sfogare la nausea.

Spossata e incapace di accettare l’idea di essere completamente sola, si sedette mollemente in ginocchio lasciando andare le lacrime di disperazione. Una mano l’accarezzò gentile e voltandosi incontrò gli occhi lucidi e velati di tristezza di sua madre. L’aveva sempre considerata una donna forte, ma la caparbietà del marito era riuscita a piegare anche lei relegandola a spettatrice di quella condanna assurda. Sanae si aggrappò alla madre sfogando tutta la sua disperazione.

- Non voglio uccidere il mio bambino, non voglio…- ripeté interrotta dai singhiozzi.

Le braccia che fin da piccola l’avevano sorretta, la strinsero a sé con l’affetto e l’istinto di protezione che solo una madre sa provare. La cullò dolcemente baciandole il capo, ritornando ai tempi in cui la sua bambina si svegliava per un brutto incubo e la chiamava per essere rassicurata dalla sua presenza. Allora bastava qualche carezza e una ninnananna per calmarla, ma gli anni erano passati, la sua bambina era una donna ormai e il dolore che la prostrava era un tormento per il suo cuore di madre.

Fuori il caldo era asfissiante, ma era sempre meglio che starsene in casa con quell’atmosfera tesa e ostile: sua madre si rifiutava di parlare col marito, suo padre non parlava con lei, se non per definire i dettagli della visita in clinica e il piccolo Atsushi si trascinava ignaro sui motivi dell’astio tangibile che serpeggiava per casa.

Si sentiva svuotata e priva di ogni volontà, non aveva dormito pensando ad una soluzione. Sarebbe andata via di casa se fosse servito, ma come avrebbe cresciuto il suo bambino: non lavorava e non aveva soldi da parte ed un figlio non si accontenta del solo amore materno. Passò distrattamente di fronte all’entrata del parco Hikarigaoka, poi si bloccò. Come ipnotizzata entrò e si avviò nella direzione che la sua mente ben conosceva. Ripercorse adagio il cammino, rivivendo come in un sogno ogni singola emozione provata con Tsubasa. Quando arrivò allo scalino si sedette, oscillando le gambe nel vuoto per darsi la spinta sufficiente e pensando con rammarico che lui non era più lì a prenderla tra le braccia. Saltò e si accostò alla riva del laghetto con lo sguardo perso nella cascata. Istintivamente si toccò le labbra al ricordo dei caldi baci di Tsubasa, delle sue mani su di lei, del suo calore e della passione con cui l’aveva amata. La sua mano scese a carezzare il luogo che ne custodiva il frutto, mentre le lacrime le rigavano il viso all’idea di dover perdere anche l’unica cosa che le era rimasta di lui.

- Ti rendi conto, Yoshi!?- esclamò Yayoi costernata.- Non le ha dato alcuna possibilità, non riesco a crederci!-

Yoshiko si morse il labbro soprappensiero, il signor Nakazawa era fondamentalmente una brava persona, ma il suo modo di pensare troppo tradizionale stava giocando un ruolo molto triste nella situazione di Sanae.

- Chissà cosa succederebbe se Tsubasa lo sapesse? – si chiese nonostante fosse un’ipotesi alquanto remota.

- Sanae mi ha confessato di essere stata tentata di dirglielo…-

Yayoi si voltò verso di lei, ma Yoshiko scosse la testa sconsolata. Sospirò e imboccarono l’uscita della metropolitana.

- Allora succederà oggi?-

- Già.- rispose in tono piatto.

- Non immagini nemmeno che razza di barbarie sia.- sospirò Yayoi.

- Per non parlare delle conseguenze psicologiche.- aggiunse Yoshiko.

Lungo la strada per il J- Village, tenendosi per mano come quando erano bambine, pregarono in silenzio, perché succedesse qualcosa che impedisse alla loro migliore amica di soffrire ancora.

Tsubasa aveva dormito pochissimo, era arrivato a Tokyo il giorno prima e aveva passato metà della notte a parlare con Misaki e Wakabayashi. Il portiere aveva ascoltato pazientemente gli sfoghi dei suoi due amici in preda a dubbi e incertezze sulle proprie situazioni sentimentali. Alla fine, stanco per l’orario indecente a cui lo avevano costretto e annoiato da quei discorsi li aveva liquidati.

- Misaki, faresti meglio a guardarti intorno e tu, Tsubasa, impara un po’ a crescere.- si congedò sbadigliando e lasciandoli più sconsolati di prima.

- Non prendertela Tsubasa, lo sai come ragiona.- lo consolò Taro.

I tre ragazzi stavano andando verso il campo da calcio, ma il capitano notò una figura familiare da lontano.

- Che cavolo ci fa quello qui?- domandò tra i denti Taro, che aveva seguito la direzione dello sguardo perplesso dell’amico.

- Salve, Misaki…Ozora.- lo apostrofò accennando un inchino.

- Cosa vuoi da me, Shiratori?- domandò senza troppi preamboli il numero 10.

- Niente, farti i complimenti per le tue ultime prestazioni.- ridacchiò diabolicamente.

Taro poteva sentire il respiro di Tsubasa accelerare gradualmente, mentre nei suoi occhi lesse una rabbia che non gli aveva mai visto.

Yayoi e Yoshiko varcarono l’entrata e uno squillo dalla tasca della rossa interruppe il silenzio. Yayoi estrasse il pocket bell e si coprì la bocca con la mano per soffocare il singhiozzo che le uscì spontaneo. Girò lo schermo verso Yoshiko che con la vista annebbiata dalle lacrime rilesse più volte quelle semplici parole.

Ho tanta paura…

Una voce familiare attirò l’attenzione di Yayoi che velocemente corse in direzione del terreno di gioco, avrebbe seguito l’istinto questa volta, non c’era più tempo per i dubbi.

- Se sei venuto per provocarmi tornatene pure da dove sei venuto.- cercò di liquidarlo.

- Con calma, Ozora, forse c’è una spiegazione ai tuoi problemi e credo che abbia anche un nome…mmm vediamo…- proseguì sadicamente. – Ah sì, Sanae..- rise beffardo.

Istintivamente gli afferrò il bavero stringendo con forza, mentre Taro cercava invano di calmarlo: una rissa in ritiro sarebbe stata l’ultima cosa di cui avevano bisogno.

- Tsubasa, lascia perdere!- il grido disperato di Yayoi attirò la sua attenzione.

Tutti i presenti si voltarono verso di lei che trafelata stava correndo nella loro direzione, seguita a ruota da Yoshiko.

- Devi venire con noi: Sanae ha bisogno di aiuto.- esclamò agitata.

Shiratori sorrise malignamente e disse.

- Sì, vai dalla tua puttanella, Ozora.- sibilò tagliente.

Tsubasa non riuscì più a tenersi e caricò il destro, pronto a colpirlo.

- Vieni via Tsubasa: Sanae sta per subire un aborto!- esclamò tutto d’un fiato.

Con il pugno fermo a mezz’aria si voltò incredulo a fissare Yayoi che con le lacrime agli occhi gli tendeva la mano per invitarlo a seguirla.

- Sanae aspetta il vostro bambino, Tsubasa.- spiegò Yoshiko.

Come ipnotizzato lasciò la presa e si mosse verso di loro, ma Shiratori non soddisfatto lo provocò un’ultima volta.

- E chi ti assicura che sia tuo, Ozora?-

Sguardi glaciali si posarono su quell’odioso personaggio che fissava con spregio il capitano della nazionale.

- Potrebbe anche essere mio.- incalzò.

- Non ascoltarlo.- gli ripeteva Yayoi.

Shiratori era deciso a continuare quella disgustosa commedia, ma fu Yoshiko a metterlo a tacere.

- Finiscila! Sei pietoso e insulso come i discorsi che porti avanti. Se c’è una cosa di cui Sanae è pentita, è proprio di aver ceduto alla corte di un essere viscido come te.-

Prese Tsubasa sotto braccio e aiutata da Yayoi, trascinò via il capitano.

Misugi correva come un pazzo per le strade di Tokyo, sperando di arrivare in tempo e di non incontrare pattuglie di polizia. Tsubasa non riusciva neanche a focalizzare la situazione, tutto quello a cui riusciva a pensare era che voleva arrivare in tempo per impedire l’ennesima sofferenza alla ragazza che amava.

Sanae, amore mio, se solo me lo avessi detto…capisco perché mi hai tenuto all’oscuro di tutto. Sono solo un cretino egoista: non ne ho mai fatta una giusta con te.

Sanae entrò nell’ambulatorio stringendo a sé la borsetta come una bimba smarrita. I suoi occhi erano rossi, perché da due giorni non faceva che piangere. Ad accoglierla stavano due dottori e lei si sentì ancora più imbarazzata dalla presenza di due uomini. Il più anziano la fece accomodare dietro il paravento per invitarla a spogliarsi e indossare il camice.

- Nakazawa. Isterosuzione.- lesse da una cartellina il più giovane.

Sanae si sentì ferita dal tono tranquillo di quel dottore, mentre lei si sentiva come se stessero per strapparle il cuore. S’infilò il camice e si passò la mano sul ventre per dire addio al bambino cui stava per rinunciare.

Si stese sul lettino e vide il medico preparare la siringa con l’anestetico. La vista si annebbiò, perché le lacrime avevano ripreso a scorrere sul suo viso.

Jun frenò di colpo arrivando a due centimetri dalla sbarra. Tsubasa e Yayoi saltarono fuori della macchina, dirigendosi come due furie all’entrata della clinica. Nella hall riconobbero due figure che vedendoli entrare scattarono in piedi e corsero verso di loro.

La madre di Sanae lo guardava come se fosse un’apparizione miracolosa, ma lo sguardo irato di Tsubasa era rivolto al signor Nakazawa che a sua volta lo fissava con sdegno.

- Ringrazi il cielo che ho troppo rispetto della sua età per darle ciò che si meriterebbe.- sibilò.

Gli occhi dell’uomo si allargarono dallo stupore, ma non ebbe tempo di replicare, perché Yayoi trascinò via il ragazzo ricordandogli quanto avessero fretta in quel momento. La signora sospirò felice e ringraziò mentalmente che le sue preghiere fossero state esaudite.

Yayoi si muoveva sicura per i meandri della clinica, dal momento che aveva svolto spesso tirocinio in quel luogo, e guidò Tsubasa agli ambulatori di ginecologia. Arrivati all’area giusta, il ragazzo la superò percorrendo come un fulmine il lungo corridoio, ma si arrestò, quando riconobbe la ragazza seduta accanto alla porta dell’ultimo ambulatorio.

Con il viso nascosto contro le ginocchia, Sanae era scossa da violenti singulti. Due mani calde si posarono sulle sue spalle e lei alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Tsubasa.

- Ti prego, dimmi che non è troppo tardi.- la supplicò con la voce rotta.

Sanae scosse la testa e vinta dalle forti emozioni che stava provando gli buttò le braccia al collo.

- Non potevo. Io voglio questo bambino.-

Yayoi arrivò poco dopo e si commosse nel vedere Tsubasa cullare dolcemente Sanae che stretta a lui sfogava tutta l’ansia e il dolore che aveva provato in quei giorni. Si allontanò silenziosamente, sentendo che la sua presenza non era più necessaria.

- Non devi più preoccuparti, Sanae, mi occuperò io di te.- le disse dolcemente.

Sanae lo allontanò delicatamente da sé.

- Non devi sentirti obbligato…-

- Ma cosa dici?- la ammonì bonariamente.

- Io ho provato a dimenticarti, ma credimi, ogni singola parte di me si rifiuta di farlo. Non posso e non voglio stare senza di te.- le disse asciugandole le lacrime.

Sorrise e le posò un tenero bacio sulle labbra.

- Io ti amo, Sanae e amo anche il nostro bambino, voi siete la mia famiglia ora.- le sussurrò con la fronte appoggiata alla sua.

Il cuore minacciò di esploderle per la gioia e con uno slancio lo baciò con foga, spazzando via la tristezza di quelle giornate infernali.

La tensione era nettamente palpabile nella camera d’albergo dei signori Nakazawa.

Shigeru scrutava il giovane di fronte a lui con acre disprezzo: era già inammissibile che quel ragazzino avesse approfittato di sua figlia mettendola incinta, oltretutto quel pomeriggio aveva anche osato minacciarlo.

La signora Nakazawa era all’opposto del marito e guardava Tsubasa con dolcezza e gratitudine. Quel ragazzo era arrivato nel momento giusto a salvare la sua bambina dall’esperienza peggiore che una donna potesse provare.

Sanae fissava il padre e Tsubasa, temendo una lite furibonda. Non aveva la benché minima idea del perché il suo ragazzo avesse chiesto di vedere i suoi genitori, inoltre aveva saputo del piccolo scontro che avevano avuto in clinica e sentiva come l’astio aleggiasse nella stanza.

- Le chiedo scusa per il mio comportamento di oggi, temo di aver esagerato.- ruppe il silenzio Tsubasa.

Il signor Nakazawa grugnì squadrandolo da capo a piedi.

- Ma deve anche capirmi, lei voleva costringere Sanae a rinunciare a mio…- si voltò a guardarla.

- Nostro figlio.- sentenziò deciso.

Uno sguardo astioso si posò su Tsubasa che per nulla intimorito si apprestò a fare la sua richiesta.

- Sono qui per chiederle la mano di Sanae.- lo fissò dritto negli occhi, facendogli capire che la sua non era una richiesta, ma una semplice dichiarazione.

L’uomo scattò in piedi furibondo.

- Tu…come ti permetti di assumere questo atteggiamento arrogante con me. Hai messo incinta mia figlia e sei sparito ed ora ricompari per accaparrare diritti su di lei?-

Tsubasa non si scompose, aveva previsto una reazione simile e lasciò che si sfogasse.

- Tu l’hai disonorata, come puoi solo pensare che io…-

- Ora basta, Shigeru!- intervenne sua moglie. – Il ragazzo si sta solo prendendo le sue responsabilità.-

- No, signora Nakazawa.- la corresse Tsubasa.- Io amo Sanae.- le prese la mano.- E l’avrei sposata comunque, quindi non voglio sentir parlare per nessun motivo di matrimonio riparatore.- sentenziò deciso. Sanae si voltò a guardarlo con la mente confusa da una miriade di sensazioni meravigliose e indescrivibili, mentre le sue dita s’intrecciarono con quelle di lui.

Il signor Nakazawa si sentì improvvisamente solo come mai in vita sua. La moglie si era ribellata platealmente alle sue decisioni, Sanae era distante anni luce ormai e infine Tsubasa Ozora, un diciottenne che lo sfidava per amore di sua figlia.

- Credo che a questo punto il mio rifiuto valga ben poco.- disse rassegnato.

- Affatto, la sua opinione conta molto per me.-

Le parole di Tsubasa furono l’ennesimo schiaffo morale, un colpo tale da far vacillare tutte le sue convinzioni e da fargli comprendere come avesse sbagliato a trattare la figlia come una delle peggiori prostitute ed averla costretta ad una scelta tanto orribile, mentre lei gli aveva chiesto solo un po’ di comprensione. Nei suoi occhi leggeva una miriade di emozioni bellissime, ora che stava guardando il suo ragazzo chiedere il suo permesso per poterle vivere accanto tutta la vita.

- Sanae, tu cosa vuoi?- chiese stupendo tutti.

La ragazza lo guardò decisa negli occhi e con un gran sorriso gli disse.

- Io voglio passare il resto della mia vita col padre di mio figlio.-

Sospirò e cercando il consenso della moglie, si rivolse a Tsubasa stendendo la mano per deporre le armi.

- Allora sia.-

Eccomi qui…certo le mie scelte sono un po’ stile “kamikaze”, ma da tempo avevo deciso la piega che dovevano prendere gli eventi ed è giusto che due persone innamorate trovino un po’ di pace.

Ringrazio tutti per la costanza e l’affetto con cui continuate a seguirmi, vi assicuro che non c’è nulla di più gratificante. Ringrazio come sempre le mie recensitrici:

- Dolcebarbara: piccola sei sempre così carina e gentile con me e sono contenta che la mia storia ti piaccia.

- Rossy: grazie del tempo che mi dedichi, ti faccio un in bocca al lupo per i prossimi esami.

- Eos75: tesoro spero che il mio appuntino su Genzo non ti abbia offesa *schiva mattone* vedrai che prossimamente recupererà ;-). Grazie ancora per domenica: era da tempo che non passavo una giornata così.

- Onlyhope: tesssora, nonché mia prima amica in questo universo folle…spero che il tuo pc non dia più i numeri, perché la sottoscritta ha molto da raccontarti.

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Capitolo 23
*** Realizzazione ***


Capitolo 23

Realizzazione

Il suo sguardo percorreva a rotazione ogni singolo oggetto della stanza ed ogni volta che i suoi occhi si posavano sul vestito bianco, una strana inquietudine s’impadroniva di lei. Quella sensazione quasi sgradevole le aveva impedito di dormire serenamente. Non era la solita ansia da sposina, ma piuttosto un timore che aveva celato dal momento in cui Tsubasa aveva chiesto la sua mano. Perché la sposava? Era questo a spaventarla e ad impedirle di attendere con gioia il giorno più bello della sua vita. Si voltò a rimirare il sonno beato delle sue testimoni, che la sera precedente l’avevano intrattenuta chiacchierando allegramente assieme a Yukari, Kasumi e la neo-fidanzata del fratello Kojiro: Maki. Sorrise ricordando quanto avesse trovato insolito che Hyuga le chiedesse se poteva invitare qualcuno al matrimonio e quasi si bloccò per lo stupore, quando vide la gemella del ragazzo arrivare a casa sua con la potenziale cognata. Elena non era passata, non si sentiva in vena di unirsi alle ragazze, ma il suo tutore le aveva promesso che l’avrebbe portata alla cerimonia anche di peso, se necessario.

Persa in quei ragionamenti, non si accorse che Yoshiko si era svegliata e stava scuotendo gentilmente Yayoi, per invitarla ad imitare la sua solerzia. Erano decisamente su di giri e non avevano mancato di esprimerle tutto l’entusiasmo per quell’evento felice. Yayoi le aveva ripetuto fino alla nausea di ricordarsi di lei durante il lancio del bouquet, mentre Yoshiko le aveva dato consigli sulla futura vita assieme al marito, data l’esperienza che stava maturando tramite la convivenza con Hikaru.

- Sei bellissima!- esclamarono in coro le due ragazze, vedendola nello splendido abito nuziale.

- Grazie, anche voi.- rispose abbozzando un sorriso. Le sue amiche sembravano due rose di maggio: Yayoi vestiva un abitino rosa con scollo a barchetta e gonna svasata, i suoi capelli ramati erano acconciati in riccioli che le ricadevano morbidi sulle spalle, mentre Yoshiko aveva un vestito azzurro a tubino senza maniche, che lasciava la schiena coperta solo dai capelli semiraccolti ornati da brillanti.

Un colpo di tosse le riscosse e vedendo il signor Nakazawa sulla soglia, capirono che era giunto il momento. Sanae e il padre si fissarono per un istante lunghissimo. Gli occhi di Shigeru si fecero lucidi di fronte all’avvenente sposa che stava di fronte a lui, ritornando al momento in cui l’aveva stretta tra le braccia la prima volta. Nei suoi occhietti di neonata aveva letto stupore e smarrimento, una richiesta di protezione implicita che lui aveva accolto cercando di ricoprire quel ruolo nel miglior modo possibile. Aveva riflettuto molto sugli ultimi eventi e per la prima volta in tanti anni si era sentito inadeguato, ma nonostante tutto sua figlia aveva potuto perdonarlo. Tuttavia, nel profondo dei suoi occhi nocciola lesse quello stesso smarrimento di allora.

- Cosa ti preoccupa, raggio di sole?-

Il magone le salì alla gola, sentendo quel nomignolo che ricordava appartenere alla sua infanzia, quando la sera attendeva con ansia il ritorno del suo papà in fondo alle scale per essere la prima ad abbracciarlo.

- Ho paura, papà.- si sciolse, cercando di trattenere le lacrime per non rovinare il trucco.

Le scostò dolcemente i capelli dalla fronte tentando di trasmetterle sicurezza.

- Lo so.-

- Non voglio che mi sposi solo perché sono incinta.- confessò finalmente quel dubbio che la stava rodendo come un tarlo.

Le sue braccia forti la strinsero saldamente e Sanae vi si abbandonò dimenticando tutte le incomprensioni che avevano avuto.

- Io non sono stato in grado di capire, ma il tuo ragazzo mi ha sfidato e mi ha fatto comprendere quanto il mio amore di padre fosse limitato di fronte al suo.-

Sanae si allontanò leggermente per fissarlo negli occhi.

- Ti chiedo perdono bambina mia: ho messo al primo posto l’onore e la reputazione, dimenticandomi l’importanza che tu hai nella mia vita.-

Gli coprì la bocca con la mano inguantata e scosse la testa. I suoi occhi erano prossimi al pianto, ma in essi si poteva leggere l’amore e l’ammirazione per quell’uomo che nonostante tutto era stato la roccia su cui si era poggiata fin da quando era al mondo.

- Sei tu che devi perdonarmi, papà, io ti ho deluso.- ammise.

Le posò un bacio sulla fronte e cedendo alle lacrime le prese le mani tra le sue.

- Tu non mi hai mai deluso. Nonostante la rabbia, io sono orgoglioso di te.- confessò.

Sanae capì che le sue parole erano sincere e non dettate dalla circostanza. Gli buttò le braccia al collo, sentendosi per un attimo come quel terremoto che gli correva incontro appena varcata la soglia di casa.

- Non ti abbandonerò mai più.- le promise con le guance ancora rigate dal pianto.

La chiesa si stava riempiendo di gente. Taro e Genzo erano già al loro posto, proprio alle spalle di Tsubasa che osservava col cuore in gola i suoi amici che sorridendo e salutandolo con la mano occupavano i posti. Roberto teneva a bada il piccolo Daichi e ogni tanto lo rassicurava strizzandogli l’occhio.

- Cara ti prego! Se inizi a piangere ora, cosa farai durante la cerimonia?- disse il signor Ozora alla moglie che già stava singhiozzando commossa.

Taro osservava il portale con ansia crescente e ogni tanto gettava un occhio qua e là per assicurarsi che non fosse entrata senza che lui se ne accorgesse.

- Impossibile!- l’esclamazione di Wakabayashi attirò la sua attenzione su Hyuga che stava entrando a braccetto di una deliziosa sconosciuta, seguito a ruota dalla sorella che sorrideva accanto a Wakashimazu.

- Hyuga con una donna?! Ed io che ho sempre pensato che fosse gay!-

Taro scosse la testa imbarazzato, Genzo non si smentiva mai quando si trattava dell’attaccante: quei due erano proprio nemici giurati.

- Un attimo…chi è quella fata che sta entrando?- lo prese per un braccio e Taro sentì il cuore che accelerava i battiti.

Al braccetto di Davide, vestita di un abito modello sottoveste color indaco e i capelli dorati annodati in un’elaborata acconciatura, Elena incedeva aggraziata lungo la navata centrale. Il fiato gli mancò e non sentì minimamente i commenti di Wakabayashi su quella “visione celestiale”, come la stava definendo.

- Elena…- sospirò sognante.

Genzo associò subito il nome alle pene d’amore dell’amico e, sentendosi un emerito cretino, gli chiese scusa imbarazzato.

L’entrata della signora Nakazawa, seguita dalle testimoni fu il segnale che mise a tacere i presenti che si rivolsero tutti al portale per vedere l’entrata della sposa.

Sanae scese dall’elegante macchina straniera aiutata dal padre. Deglutendo osservò con timore la facciata della chiesa. Le gambe le tremavano, mentre saliva i gradini. Accanto al portale si sentì quasi mancare, ma il padre la prese velocemente per sostenerla. Sorrise per rassicurarlo e lui le prese il braccio.

- Papà è qui.- le sussurrò.

Le note della marcia nuziale si levarono alte riempiendo la chiesa e la sposa fece il suo ingresso sotto gli sguardi ammirati degli invitati. Avvertì la stretta rassicurante del padre che intrecciò le dita con le sue. Con un sospirò sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi di Tsubasa. I sentimenti che vi lesse erano talmente belli e intensi da regalarle nuova forza e con passo deciso si avvicinò allo sposo che estasiato stese il braccio per prendere la sua mano dal signor Nakazawa.

«Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo»*

Sanae osservava sorridente gli invitati che festeggiavano allegramente, brindando anche per le cose più stupide. Poco distante da loro, Wakabayashi si divertiva con Ishizaki a fare battute su Hyuga, il quale, stretto a Maki, non gli dava la soddisfazione di uno sguardo talmente era preso da lei che gli stava parlando. Yayoi le lanciava sorrisini ammiccanti, con la testa appoggiata alla spalla di Jun che le accarezzava i morbidi capelli, sperando dentro di sé di essere la prossima protagonista di un evento simile.

Kasumi parlava fitto fitto col suo ragazzo, sorridendo radiosa e prendendogli ogni tanto la mano, sotto lo sguardo un po’ invidioso di Sorimachi e Sawada che lamentavano la penuria di ragazze libere al ricevimento.

Istintivamente si voltò a guardare Elena che non si era mai staccata un secondo dal suo tutore, a parte quando Izawa e Morisaki l’avevano invitata a ballare, poi si rivolse verso Taro, che incastrato tra i due amici visibilmente brilli, non aveva tolto gli occhi di dosso alla sua ex, sospirando di continuo.

- Perché non la inviti a ballare?- gli chiese.

- Credi che accetterebbe, Sanae?- domandò poco convinto.

La musica di un lento aleggiò nell’aria e Sanae vide Davide accompagnare la figlia adottiva in pista per farla ballare.

- Vieni!- lo trascinò con sé.

Taro la lasciò fare, anche se non aveva intuito cosa avesse in mente la sua amica e prendendola delicatamente per la vita iniziarono a muoversi al ritmo lento della musica.

- Un brindisi al testimone!- sentirono gridare Ishizaki, che fu subito incenerito dallo sguardo severo di Sanae.

Davide vide l’espressione eloquente di lei e capendo al volo le sue intenzioni si fermò.

- Ah, la sposa!- esclamò.- Spero che mi permetterai...- disse, scambiando le dame con la velocità di un fulmine.

Taro ringraziò mentalmente Sanae e le sue idee assurde, perché ora Elena era tra le sue braccia. La ragazzina teneva lo sguardo basso, impacciata. Avrebbe potuto abbandonare le danze, ma non lo fece, anzi lasciò che Taro le passasse la mano sulla schiena provocandole dei piacevoli brividi.

- Un brindisi….- ma stavolta la voce sguaiata di Ishizaki fu interrotta da Wakabayashi, che con una gomitata lo fece tacere per non rovinare l’atmosfera.

Taro la guardava rapito: la sua timidezza la rendeva anche più affascinante e se avesse potuto l’avrebbe portata via come Paride fece con Elena a Sparta. Sorrise, pensando a quanto il nome di lei fosse azzeccato e si chiese se la splendida ragazza che teneva tra le braccia non fosse proprio il mitico personaggio della tradizione greca.

- Ti stai divertendo?- chiese lei, che non riusciva più a sostenere quel silenzio imbarazzante.

Lui annuì sorridente e quel semplice gesto bastò a mandarla in confusione. Per tutta la giornata aveva finto indifferenza, ma in chiesa lo aveva visto subito e aveva notato quanto fosse affascinante con l’abito da cerimonia. Tremò come una foglia, sentendo la sua mano accarezzarle la pelle nuda della schiena e risalire a sistemarle una ciocca ribelle dietro l’orecchio.

- Sei così bella.- le sussurrò.

Le guance le divennero rosse e sentendo che la musica era finita si sciolse dal suo abbraccio ringraziandolo, poi ritornò a passo spedito al tavolo, lasciandolo solo sulla pista vuota. Taro rimase immobile osservando le sue mani che fino a poco prima la stringevano con un senso di vuoto nel cuore. Lo sguardo comprensivo di Davide lo raggiunse, mentre una mano gentile gli sfiorava la spalla.

- Grazie, Sanae.- le disse posando la mano sulla sua.

Hikaru e Yoshiko passeggiavano mano nella mano tra gli splendidi roseti del giardino. Il ragazzo era rimasto letteralmente a bocca aperta, quando l’aveva vista incedere in chiesa in tutto il suo splendore. Quell’abito delineava perfettamente le curve armoniche del suo corpo ed i capelli morbidi che danzavano ad ogni suo cenno del capo, lo rendevano succube del fascino ipnotico che sprigionava, per non parlare del colore che risaltava i suoi occhi: quelle due pietre preziose erano la sua dolce ossessione.

Da quando Tsubasa gli aveva detto che si sarebbe sposato, si sentiva strano e, se non fosse che la felicità del suo capitano aveva contagiato anche lui, avrebbe capito che la sua era tristezza e una punta d’invidia. Si voltò a guardare la sua ragazza chinata su una bellissima rosa rossa. Quel giorno l’aveva vista ridere e commuoversi per i loro amici. Quando gli sposi si erano scambiati la promessa nuziale i loro sguardi si erano incontrati e lei gli aveva sorriso radiosa.

L’attirò a sé per stringerla tra le braccia, con un gesto dolce e possessivo al tempo stesso. Lei rispose passando le mani con una carezza dietro al suo collo, stuzzicandolo piacevolmente con le dita.

- Ti amo, Hikaru.- sussurrò con la guancia premuta contro il suo petto.

Le sue labbra scesero ad accarezzarle la bocca cercando di trasmetterle tutto il sentimento che aveva da darle. La strinse ancora di più a sé con disperazione, lasciando che i gesti parlassero al posto delle parole.

Il contatto con le mani di Tsubasa era ancor più piacevole, ora che sentiva il freddo metallo della fede nuziale scorrere sulla sua pelle.

- Sanae…- sospirò inebriato dal piacere.

Si sdraiò ansimante sopra di lei che gli accarezzava la testa con dolcezza. Col mento appoggiato alla mano la scrutò curioso. Durante la cerimonia sembrava raggiante, ma ogni tanto l’aveva colta con lo sguardo quasi triste. Lei sospirò toccandosi il ventre.

- Stai bene, tesoro?- chiese allarmato.

Annuì accarezzandogli una guancia, ma la sua espressione si fece grave e distolse lo sguardo. Tsubasa le prese il mento tra le dita per costringerla a guardarlo negli occhi.

- Qualcosa non va? Sembri sofferente.-

Sanae prese la sua mano e intrecciò le loro dita, fissando le fedi ai loro anulari.

- Tsubasa sii sincero…- i loro occhi s’incontrarono.- …mi avresti sposata lo stesso se non fossi rimasta incinta?-

Il suo sguardo si fece serio e lei temette di essersi inoltrata in un argomento troppo scomodo, ma la sua espressione mutò in un sorriso dolce e rassicurante.

- Sì, forse non subito.- precisò.

La mano di Tsubasa la accarezzò percorrendo la linea del fianco su e giù.

- Quando sono tornato in Brasile soffrivo come un cane e avrei fatto qualsiasi cosa pur di dimenticarti.- confessò, poi alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi.- Ma più andavo avanti, più mi rendevo conto di non riuscirci.-

Le prese la mano e la baciò.

- Ho capito che i miei sentimenti per te sono più forti, anche del mio stupido orgoglio e quando sono tornato, avevo deciso di venire da te dopo la finale.-

La sua mano tornò ad accarezzarla delicatamente sulla pancia.

- Ma questo piccolino ha sconvolto i miei piani.- rise felice.

Sanae sentì i suoi occhi farsi lucidi e aggrappandosi a lui gli posò un bacio sulle labbra.

- Ti amo.-

Tsubasa le sorrise e posò la propria guancia sul ventre.

- Qui c’è il nostro bambino, ancora mi sembra incredibile.- confessò emozionato.

Tutto il trambusto della finale della Coppa d’Asia e dei preparativi del matrimonio lo aveva tenuto talmente impegnato da non dargli nemmeno il tempo di pensare che sarebbe diventato padre di lì a otto mesi circa.

Anche lei, che aveva fin da subito accettato il ruolo che quel bambino l’avrebbe chiamata a ricoprire, pensò che adesso avrebbe avuto una famiglia tutta sua con il suo Tsubasa, l’amore della sua vita. Accoccolata tra le braccia del marito, si addormentò, pensando con gioia che ogni sogno avesse accompagnato il suo riposo sarebbe stato superfluo, dal momento che il suo più grande desiderio era diventato realtà.

Maki si svegliò all’improvviso. Si guardò attorno allibita, quando comprese dov’era e perché. Il posto al suo fianco era vuoto. Si passò una mano tra i capelli, coprendosi il petto con il lenzuolo. La sera precedente, dopo la cerimonia lei e Kojiro erano stati insieme. Le sue guance erano calde al ricordo della passione che avevano condiviso.

Il rumore della porta del bagno che si apriva attirò la sua attenzione e sulla soglia vide Kojiro vestito di un semplice asciugamano arrotolato in vita. Si sentì avvampare e cercò di mantenere la calma, ignorando la forte attrazione che il suo ragazzo le suscitava.

- Buongiorno.- disse semplicemente.

Kojiro si sedette sul letto e sfiorò le sue labbra con un bacio.

- Ben svegliata.-

Notando il suo imbarazzo, non poté impedirsi di ridere divertito. Maki lo scrutò indispettita: come poteva essere così tranquillo, proprio non riusciva a spiegarselo. Lo vide disfarsi dell’asciugamano e scivolare nuovamente sotto le coperte. Le si avvicinò furtivo e la strinse a sé posandole un bacio sul collo.

- Sei proprio un ragazzaccio, Kojiro Hyuga.- sbuffò tentando di spingerlo via, ma la stretta di lui si fece serrata e scivolando sopra di lei le sigillò la bocca con un bacio.

- Mi fai impazzire, Akamine.- sussurrò.

Maki gli sorrise, poi la sua espressione si fece quasi scocciata.

- Ma io e te non dovevamo essere solo al primo appuntamento?- chiese ricordandogli delle parole dette a Okinawa.

Si fissarono seri per pochi secondi prima di scoppiare a ridere divertiti, finché i loro corpi non risposero al richiamo della passione che esigente li aveva coinvolti nuovamente nelle sue spirali infuocate.

*Dal Cantico dei Cantici 2, 8-10.14.16a; 8, 6-7°: Forte come la morte è l’amore.

Eccomi qua con questo capitolo che spero sia gradito a tutte coloro che speravano nell’happy ending tra Sanae e Tsubasa. Spero che apprezziate lo spazio che ho dato alle altre coppie e che continuiate a seguirmi, perché la storia non è finita!

Un ringraziamento a tutti, ma soprattutto alle persone che recensiscono e che continuano a sostenermi.

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Capitolo 24
*** Rivelazione ***


Capitolo 24

Rivelazione

Dopo il matrimonio, Elena si era sempre ripromessa di andare a far visita alla neosposa, che risiedeva a Tokyo con il suo capitano che faceva la spola dal Brasile al Giappone. Dato lo stato di Sanae, i due ragazzi avevano preferito accontentarsi di quella sistemazione per il momento. Tsubasa lasciava sempre Sanae in buone mani: Yoshiko e Yayoi erano i suoi angeli custodi, mentre gli ex giocatori della Nankatsu andavano a turno a trovarla, per non parlare della due future nonne.

La bionda italiana aveva approfittato di un viaggio di affari di Davide per unirsi a lui e raggiungere la capitale. Prima di andare da Sanae, si fermò da un fioraio per acquistare un mazzo di azalee: aveva letto su una rivista che nella cultura orientale sono simbolo di femminilità e una sorta di portafortuna.

Il taxi la portò fino a Nezu e, durante il tragitto, Elena notò i grandi spazi verdi che caratterizzavano la zona: Tsubasa aveva scelto proprio un bel posto per la loro prima casa. Il tassista fissava dallo specchietto la giovane, convinto che fosse una delle tante fan che si recavano nelle vicinanze della casa per riuscire a vedere il giovane campione e la sua invidiatissima moglie, ma rimase di stucco, quando la guardia al cancello la fece entrare sotto lo sguardo attonito di un gruppo di fanatiche cui era appena stato intimato di allontanarsi.

Elena attese, sistemandosi la gonna del vestitino. Udì dei passi svelti avvicinarsi e la serratura aprirsi, prima d’incontrare lo sguardo pensieroso di Yoshiko, che vedendola s’incupì ancora di più.

- Tutto bene?- chiese a bruciapelo non distogliendo lo sguardo da lei, mentre varcava la soglia.

Preoccupata, si diresse alla ricerca di Sanae che trovò sul divano con la testa fra le mani. Si avvicinò spaventata e Sanae sussultò, quando la vide avvicinarsi.

- Sanae che cos’hai?- chiese con la voce tremante.

La ragazza cercò l’aiuto di Yoshiko che stava entrando nella stanza.

- E’ meglio che ti siedi, Elena.- le disse posandole le mani sulle spalle.

Le sue dita disegnavano cerchi sulle tempie, il respiro stava accelerando, si sentiva come in procinto di affogare. Si premette la mano sul petto che si alzava e abbassava sempre più velocemente, concentrandosi per regolarizzare il respiro. Chinò il capo in avanti e Sanae, che le teneva la mano vide brillare una goccia dal suo viso.

- Ti prego, tesoro, non piangere.- le disse baciandole una tempia, ma con la voce tremante.

Il telefono squillò e Yoshiko andò a rispondere.

- Pronto, qui Ozora…signor Katagiri! Ci sono novità?- chiese preoccupata.

Elena allungò la mano, con sguardo implorante e Yoshiko le passò immediatamente la cornetta.

- Signor Katagiri sono Elena, come sta?-

L’uomo si schiarì la voce. La tensione della ragazza era talmente forte da traspirare anche attraverso l’apparecchio.

- Lo stavano portando in sala operatoria.- cercò di controllare il tono di voce, cercando di non agitarla ulteriormente.

- Sto andando a Sendai.- aggiunse.

- Vengo con lei.- sentenziò senza pensarci due volte.

- D’accordo, tra qualche minuto sarò lì.- rispose, chiudendo la comunicazione.

Elena posò il telefono e raccolse in fretta le sue cose, salutando distrattamente le due ragazze.

- Elena, ma dove…?- chiese Sanae.

Si voltò e nei suoi occhi ora brillava una sorta di luce nuova. Le lacrime non avevano più posto in quel viso dall’espressione decisa.

- Voglio andare da lui.- disse con i pugni serrati e lo sguardo che andava da Yoshiko a Sanae, le quali annuirono assecondando quell’improvvisa decisione.

Katagiri stava già attendendo al cancello ed Elena si precipitò a salire sulla sua Lamborghini, che, sigillata la portiera, sfrecciò sul viale in direzione della stazione ferroviaria.

Elena si accomodò sui posti di prima classe a fianco dell’uomo. In quel momento, si guardò attorno e l’imbarazzo cominciò a farsi strada in lei. Aveva deciso senza rifletterci su di unirsi a quell’uomo che conosceva appena e stava andando a Sendai, senza che nessuno glielo avesse chiesto. Ad un tratto si ricordò di Davide, che la sapeva ancora a Tokyo.

- Mi scusi, signor Katagiri. Potrei chiedere in prestito il suo cellulare? Non ho avvertito il mio tutore.- chiese timidamente.

L’uomo sfilò di tasca il sottile starTAC e glielo porse con un sorriso. La osservò attentamente, mentre parlava al telefono torcendo una ciocca dorata attorno al dito. La sua voce era ferma e limpida e gli occhi non avevano più alcuna traccia di lacrime. Gli restituì l’apparecchio, ringraziandolo e passò il resto del viaggio senza dire una parola, persa nei suoi pensieri, mentre il paesaggio scorreva veloce fuori dal finestrino del treno.

Due ore dopo, riuscirono a raggiungere l’ospedale Izumi. Di fronte all’entrata, Elena ebbe un secondo di esitazione.

- Cosa c’è?- le chiese Katagiri che l’aveva superata con un paio di falcate.

Scosse la testa e serrò i pugni: non era il momento di farsi perseguitare dai fantasmi e seguendolo con passo spedito, arrivarono alle sale operatorie, dove trovarono il signor Misaki e la famiglia della ex moglie in attesa.

- Elena!- esclamò l’uomo, visibilmente provato dalla situazione. Mossa dalla tenerezza lo abbracciò per infondergli un po’ di coraggio.

- Com’è successo?- chiese rivolgendo lo sguardo al resto dei presenti.

La sorellastra di Taro, scoppiò a piangere.

- E’ colpa mia, non ho guardato prima di attraversare la strada!- spiegò con la voce rotta dai singhiozzi.

Si accucciò di fronte alla bimba e con fare rassicurante le posò le mani sulle spalle.

- Non devi sentirti in colpa.- le disse con un tono di voce dolce.- Lui ti vuole bene ed è normale che ti volesse proteggere.- le spiegò con un sorriso, in cui era velata una punta di tristezza.

La signora Yamaoka la guardava con un’espressione indecifrabile ed Elena ebbe timore che la sua presenza non fosse gradita. La porta scorrevole della sala operatoria si aprì e il dottore si sfilò sbuffando la mascherina dal viso, mentre i presenti si avvicinavano a lui.

- Siamo riusciti a salvargli la gamba, ma dovrà affrontare una lunga degenza e sedute di fisioterapia.-

Katagiri annuì: era chiaro che Taro non avrebbe partecipato al World Youth. Si congedò e uscì per accendersi una sigaretta. Elena sospirò, sapeva quanto dolore avrebbe provato il ragazzo per una simile notizia, mentre i genitori potevano già ritenersi soddisfatti che non avesse perso l’uso della gamba.

- Lei è Elena?- le chiese il dottore.

Annuì e non dovette nemmeno chiedersi come facesse a saperlo.

- Gli infermieri mi hanno detto che ha continuato a chiamare il suo nome, finché non ha perso conoscenza.-

Nel frattempo, il lettino mobile su cui era sdraiato Taro passò a fianco a loro. Elena sentì il cuore stringersi, notando l’espressione sofferente sul volto del ragazzo e senza un minimo di esitazione seguì gli infermieri che lo stavano portando nella stanza a lui destinata, sorda ai richiami del dottore e del signor Misaki. Quando poté avere accesso prese una sedia e si accomodò accanto al letto, senza perdere mai di vista il volto del ragazzo.

- Elena, è ancora sotto anestetici, sarebbe meglio…-

- Io resto con lui.- sentenziò interrompendo il dottore, sopraggiunto per indurla ad attendere fuori. L’uomo sospirò cercando il sostegno dei parenti del ragazzo. Il signor Misaki annuì, dando il suo tacito consenso. La signora Yamaoka la guardava con dolcezza: nonostante non stessero più insieme quella ragazzina era saltata sul primo treno per raggiungere Sendai e stare vicino a suo figlio, con che coraggio avrebbe potuto dire al medico di mandarla via?

Uscirono lasciandola sola accanto al ragazzo dormiente. Con un gesto delicato gli scostò la frangia dalla fronte e accarezzando il profilo con le dita, scese a sfiorargli il collo e il braccio, fino a prendere la sua mano.

Il suo cuore percepì una sorta di calore e, intrecciando le loro dita, riassaporò il gusto di quel gesto che tanto le era mancato. Attendeva con ansia il suo risveglio: desiderava stringerlo a sé e proteggerlo, così come lui aveva fatto tante volte con lei. Nella sua mente risuonarono le parole che aveva detto a Yoshiko: una frase che lei stessa aveva pronunciato e che aveva sciolto tutte le sue inquietudini.

Ad un tratto, la porta scorrevole si aprì e la signora Yamaoka scivolò all’interno della stanza. Elena sentì la mano della donna posarsi sulla sua spalla.

- Mi sento una stupida.- era la prima volta che vedeva la madre di Taro e, pur non avendo la minima confidenza con lei, sentiva l’esigenza di sfogarsi con una presenza femminile, che le era sempre mancata.

- Sei stata molto coraggiosa, mia cara.- le disse in tono amorevole.- Ichiro mi ha raccontato di te e so quanto tutto questo possa essere doloroso, soprattutto nella tua situazione.-

- Io ho sbagliato: l’ho allontanato quando l’unica cosa che lui voleva era starmi vicino.- sentì le guance bagnarsi, ora che finalmente si sentiva libera di piangere.

La donna gli accarezzò la testa.

- Gli errori servono ad imparare, lo hai allontanato credendo che fosse la soluzione migliore, ma…- si abbassò per guardarla negli occhi.- …come tu stessa hai detto, quando amiamo qualcuno è normale volerlo proteggere.-

Elena annuì strizzando gli occhi e stringendo i denti per soffocare il dispiacere, mentre le lacrime scorrevano sulle sue guance. La signora estrasse un fazzoletto dalla borsa e le deterse il viso premurosamente, ricevendo in cambio un sorriso colmo di gratitudine.

- L’ho capito solo adesso: lui voleva starmi accanto per proteggermi dal dolore e sostenermi, perché mi vuole bene.-

- Perché ti ama.- la corresse la donna. Elena si voltò a guardarla meravigliata. La donna sorrise e annuì. – Quando abbiamo paura o siamo in difficoltà, chiamiamo sempre la persona che abbiamo nel cuore. - le posò nuovamente una mano sulla spalle stringendola delicatamente, ma con decisione, prima di uscire.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato da che era lì a rimirarlo. Aveva riflettuto sulle parole della signora Yamaoka e sugli ultimi eventi. Strinse con più intensità la mano del ragazzo, formulando una promessa nel suo cuore. Avvertì le dita che si muovevano e un mugolio l’avvertì che l’effetto dell’anestesia era terminato.

Taro aprì gli occhi, ma i sensi ancora intorpiditi gli impedirono di percepire subito la presenza al suo fianco. Sentì il suo tocco accarezzargli il volto, una mano troppo giovane e sottile per essere quella di sua madre. Andò ad afferrarla e riconoscendo la voce amata nel confuso suono che udì, sorrise.

- Elena?- riuscì ad articolare, sentendo che il torpore lo stava abbandonando. Le labbra che andarono a sfiorare la sua fronte furono un gesto più che sufficiente per fargli stendere le braccia e richiedere quell’agognato contatto che non osava nemmeno più sperare.

Durò troppo poco, perché la ragazza dovette chiamare gli infermieri per gli accertamenti post-operatori. Terminate tutte le visite di routine, fu dato libero accesso ai visitatori che attendevano fuori della stanza. Il dottore precisò subito quanto detto a Katagiri, riguardo al campionato e Taro annuì senza perdere il sorriso sereno che aveva sul volto. Elena lo guardava con affetto e ammirazione: sapeva benissimo che quella notizia era terribile per lui, ma ciononostante l’accettava stoicamente.

Quando il medico consigliò a tutti di lasciar riposare il paziente, Taro espresse il desiderio che Elena rimanesse lì con lui e, come prima, il dottore si arrese, pensando che la vicinanza della ragazza ora fosse la migliore medicina. La stanza si svuotò, lasciando i due ragazzi soli, incatenati con lo sguardo l’uno all’altra. Taro la invitò a sedersi sul letto e come fu vicina l’abbracciò di nuovo.

- Grazie di essere venuta.- sussurrò al suo orecchio.

Elena si sciolse dall’abbraccio e lo guardò con tutto il sentimento che aveva finto di dimenticare.

- Dovevo venire.- rispose mentre sentiva l’emozione agitarla. – Io ti amo.- confessò finalmente.

Taro si slanciò per baciarla, ignorando l’impedimento della gamba, felice di averla di nuovo per sé.

Il primo mese passò e Taro stava già facendo fisioterapia con il dottore. Per comodità, Davide si era accordato col signor Misaki, perché il ragazzo potesse stare in casa da loro, dato che abitavano su un piano unico e Elena avrebbe potuto così prendersi cura di lui.

La ragazza era serena, continuava la terapia, ma già il medico le aveva sospeso i farmaci e i sonniferi notando dei netti miglioramenti. Davide era fiero di lei, il giorno che era partita improvvisamente per Sendai aveva dimostrato un coraggio inconsueto, una forza che solo l’amore può dare ed ora era felice di constatare come i due ragazzi traessero giovamento reciproco dalla vicinanza.

Elena lo ricopriva di ogni premure e spesso stava in stanza con lui a dormire, quando Davide era fuori. Taro si lasciava coccolare come un bimbo, ancora incredulo di quanto nel dolore di non poter partecipare alla competizione che attendeva da una vita, avesse potuto riavere quel piccolo tesoro che con la sua premura e la sua dolcezza lo faceva sentire al centro del mondo.

- Come stai, Misaki?- gli aveva chiesto Tsubasa al telefono. Di tutti i suoi compagni era sicuramente lui il più dispiaciuto di non poter condividere quell’esperienza internazionale fantastica. La loro amicizia era unica, inoltre tutto ciò che il ragazzo aveva fatto per sua moglie era encomiabile.

- La terapia funziona, anche se devo sempre tenere il tutore.-

- Ah, Sanae mi chiede come sta Elena?-

- Tutto bene grazie, è impegnata a viziarmi.- rise allegro.

Elena stava per entrare in camera sua, dopo aver preparato la torta di verdure che ora stava cocendo nel forno, ma si arrestò sentendo alcune parole.

- Sai starle così vicino adesso mi fa un altro effetto. La desidero terribilmente ed ora che non ho più dubbi, c’è questo maledetto aggeggio che mi impedisce.-

Sentì il cuore balzarle violentemente nel petto e allontanandosi rientrò in cucina, agitata e in qualche modo felice per quanto aveva sentito. Si sedette al tavolo e afferrò un tovagliolo per farsi aria, sentendo il viso andare a fuoco. Rimase imbambolata ridendo tra sé e sé e si riscosse, quando sentì il telefono dello studio di Davide suonare.

Quando riagganciò la cornetta il suo cuore era in tumulto: Davide l’aveva avvertita che non sarebbe tornato a casa quella sera, perché un suo grosso cliente lo aveva invitato a trattenersi a Tokyo e quindi non sarebbe potuto tornare prima di domani. Andò in cucina e spense il forno, togliendo meccanicamente la teglia, mentre con la testa pensava a quello che il suo cuore voleva in quel momento, che sarebbe stato superfluo definire propizio.

Lentamente si avvicinò alla stanza di Taro. Fece scattare la maniglia discretamente ed entrò accolta da un sorriso. Lui percepì una luce diversa nei suoi occhi: era qualcosa di indefinito, ma al tempo stesso disarmante. Si sedette sul letto, senza staccare gli occhi da lui.

- Davide non torna questa sera.- la sua voce era poco più di un mero sussurro.

Taro sentì il cuore mancargli un battito. La vide sfilare lentamente il fermaglio dai suoi capelli dorati che ricaddero morbidi sulle sue spalle ed avvicinare i loro volti, alla ricerca di un bacio che da delicato divenne sempre più profondo. Lo sentì affondare le mani nei suoi lunghi capelli e proseguire lungo la schiena in una carezza decisa. Scese a lambirle il collo con la lingua, strappandole dei gemiti di piacere, mentre lei intrecciava le dita dietro alla sua nuca per invitarlo a continuare. Il tessuto del suo abitino estivo le carezzò la pelle che si scopriva lentamente, lasciandola con i soli slip. Intimidita si strinse a lui per coprire la sua nudità e lui le accarezzò la schiena, facendola rabbrividire e proseguendo a baciarle il collo, mentre con la mano le sfiorava delicatamente il seno.

Con fatica si liberò dei suoi indumenti e per un istante si guardarono negli occhi un po’ imbarazzati per la situazione insolita in cui si trovavano. Elena sorrise e con delicatezza si sedette sopra di lui, che stringendola a sé cercò di essere più delicato possibile. La sentì mugolare per il dolore spingendo la fronte contro il suo petto, mentre si mordeva le labbra. Le accarezzò la guancia e lei rispose con un sorriso. Si aggrappò a lui e iniziò a muoversi nonostante il fastidio che avvertiva, ma che andava lentamente scomparendo per lasciare posto alla passione che sentivano bruciante nei loro corpi uniti in un abbraccio dolce e violento al tempo stesso, come l’immagine di Amore e Psiche.

Il sole stava tramontando e Taro si buttò sul morbido materasso, col fiatone e la fronte imperlata di sudore. Elena si accoccolò al suo fianco, circondata dal suo braccio protettivo.

- Mi dispiace che sia andata così.- disse mortificato.

- Così come?- chiese incuriosita.

- Così…così.- indicò il tutore che avvolgeva la sua gamba.

Elena si sistemò col mento sul suo petto.

- E’ così che l’ho sempre sognato.- gli sorrise, ma Taro alzò un sopracciglio, confuso dalla sua dichiarazione.

- Questo momento, lo ricorderò per tutta la vita.- confessò dolcemente.

Cari fan della coppia Elena-Taro: questo capitolo è dedicato a voi con tutto il cuore, soprattutto alla cara Eos che mi sta sostenendo come un pilastro in questo periodo bruttissimo.

Ringrazio anche Rossy, Dolcebarbara e Gaara4ever(spero di averlo scritto correttamente), per le loro recensioni: è sempre un piacere per me leggere la vostra opinione.

Un ultimo pensiero alla mia cara Onlyhope che purtroppo sento sporadicamente a causa di problemi tecnici…tesoro, spero di sentirti presto.

Un caro saluto a tutti!

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Capitolo 25
*** Un grido dal cuore ***


Capitolo 25

Un grido dal cuore

Il corridoio sembrava interminabile, come un tunnel di cui non poteva vedere l’uscita. Il ronzio nelle sue orecchie gli permetteva solo di sentire il proprio cuore battere al ritmo dell’angoscia e i tonfi che le sue falcate provocavano sul pavimento di linoleum. Gli sguardi affranti di Yayoi e Sanae che attendevano in corridoio, gli confermarono di essere giunto a destinazione.

Le due ragazze lo videro prendere un lungo respiro prima di entrare nella stanza di ospedale. Si mosse lentamente come se dietro la porta fosse ad attenderlo una bestia feroce, ma quando nella penombra riuscì a distinguere il profilo della ragazza sdraiata sul letto, un dolore più acuto di quanto potesse provare gli artigliò il cuore.

Intontito da quella dura emozione, si avvicinò lentamente al capezzale. Il tubo soffiava aria nei polmoni immobili, producendo un rumore agghiacciante, cui si accompagnava il suono metallico e ripetitivo dell’elettroencefalogramma. Hikaru alzò lo sguardo timoroso ad incontrare il volto cereo della sua ragazza, fasciato dalle bende e deturpato dai graffi provocati dal colpo sull’asfalto della strada. Sembrava che la vita stesse meditando di abbandonare il suo corpo e il ragazzo crollò disperato ad abbracciarla per evitare che la morte se la portasse via.

- Yoshiko, amore mio, che ti è successo…- esclamò in un grido soffocato e si accasciò su di lei scosso dalle lacrime.

Sbatté un pugno sull’ampio guanciale, irato contro il destino che aveva ridotto la sua ragazza in quello stato. C’era sempre qualcosa che voleva portargliela via: prima il trasferimento negli Stati Uniti ed ora quel brutto incidente. Sapeva che era irrazionale, ma odiava l’autista che l’aveva investita e se lei fosse morta, si sarebbe vendicato. Sì, questo aveva pensato durante la folle corsa all’ospedale, ma adesso che la sua ragazza era tra le sue braccia lottando tra la vita e la morte riusciva solo a pensare che lei non doveva lasciarlo, non poteva andarsene dove lui non avrebbe potuto più averla.

Alzò il volto rigato dalle lacrime e con la mano le accarezzò il volto pallido.

- Tesoro mio, io cosa devo fare? Cosa posso fare?- domandò disperato, sperando che lei si svegliasse e con il suo sguardo rassicurante lo sostenesse come sempre, ma Yoshiko era in coma e non poteva rispondergli in quel momento.

Sanae seduta in corridoio si accarezzava la pancia ormai cresciuta e ogni tanto posava una mano sulla spalla di Yayoi che piangeva silenziosamente. Non riusciva nemmeno a capacitarsi di quanto era successo: si era sentita con la sua amica poco prima per darsi appuntamento, ma non vedendola arrivare aveva provato a telefonare all’albergo dove alloggiava e lì l’avevano informata che la signorina Fujisawa era uscita da più di un’ora. Lo stupore, la paura e poi il dolore, quando dall’ospedale l’avevano chiamata per comunicarle che la sua amica era stata investita da un camionista distratto ed era in pericolo di vita. Con una forza d’animo che nemmeno sospettava aveva preso il telefono per chiamare il J- Village e avvertire Matsuyama di quanto era successo. La reazione di lui fu come una coltellata in pieno petto, non avrebbe mai voluto avere quel ruolo così ingrato, ma nonostante tutto non riusciva a piangere.

- Non morirà, vero Sanae?- chiese Yayoi. La sua voce era quasi un bisbiglio e per un attimo la riportò alla loro infanzia al primo giorno in cui la vide all’asilo.

Era una bimba graziosa con il suo grembiulino rosa e le treccine legate da due nastrini che le ricadevano morbide sulle piccole spalle. L’aveva notata entrare alla mano di un bella signora che si congedò dandole un bacio, poi la vide sedersi su un seggiolino dell’aula da disegno e piangere con le gambe raccolte al petto.

- Perché piangi?- le aveva chiesto.

- La mia mamma non mi vuole più, mi ha lasciato qui.-

Scoppiò nella sua risata cristallina di bimba e, estraendo dalla tasca il suo fazzolettino di Doraemon, lo porse alla piccolina perché si asciugasse le lacrime.

- La tua mamma tornerà a prenderti nel pomeriggio.- le spiegò e dopo che l’ebbe calmata, la portò sul dondolo nel cortile e giocò con lei tutto il giorno.

Yayoi si era così divertita con la sua nuova amica che, quando il signor Aoba si presentò all’asilo per riaccompagnarla a casa, dovette prometterle almeno una decina di volte che l’avrebbe riportata il giorno seguente per riuscire a convincerla a separarsi da Sanae.

Sanae sorrise bonariamente e circondandole le spalle col braccio la strinse a sé, come aveva sempre fatto nei loro momenti di sconforto. Facendo leva sulle braccia si alzò e andò a raggiungere Matsuyama che era dentro ormai da più di due ore.

Il ragazzo non si mosse, tanto era concentrato sul volto di Yoshiko, sperando di poter captare qualche movimento. La sera si stava avvicinando e lui non si era mai allontanato da quel letto, non voleva lasciarla, non finché lei non avesse riaperto gli occhi.

Avvertì il tocco gentile di una mano sulla spalla.

- Matsuyama non hai nemmeno mangiato, perché non vai a prenderti qualcosa al bar al piano terra, resto io con lei.- disse gentilmente, ma fu inutile perché il ragazzo si limitò a scuotere la testa e stringere con entrambe le mani quella piccola e delicata di Yoshiko. Sanae riaprì la porta e chiese a Yayoi di andare a comprare qualcosa, aveva deciso che in ogni caso Hikaru doveva almeno metter qualcosa nello stomaco. Prese una sedia e con calma si sedette dall’altra parte del letto proprio di fronte a lui.

- Non è digiunando che la farai risvegliare.- lo ammonì dolcemente.

Matsuyama abbassò lo sguardo imbarazzato, rendendosi conto di essere stato un po’ scortese a rifiutare la proposta di Sanae.

- Ti spiace se resto qui?- chiese timidamente.

- No, assolutamente.- rispose finalmente, rendendosi conto che aveva bisogno di un sostegno e forse Sanae era la persona più adatta. Yoshiko parlava sempre di lei e della loro amicizia, non che non volesse bene a Yayoi, ma la moglie del suo capitano era speciale.

La ragazza rimase in silenzio a rimirare quel volto scosso dal dolore e dall’impotenza.

- Dov’ero io, quando è successo?- spezzò il silenzio con quella domanda retorica. Sanae poteva percepire il suo stato d’animo piagato dal senso di colpa per qualcosa di cui si sentiva in parte responsabile.

- Stavi facendo ciò che più ami al mondo.- gli disse semplicemente.

Due lacrime scesero silenziose dalle sue guance.

- Ed è questo che mi fa stare male: io amo il calcio, ma soprattutto perché è tramite questo sport che ho potuto incontrare Yoshiko. Lei è tutto per me e io non le ho dato niente in cambio.-

- Non dire così…- lo interruppe.

- E’ la verità!- esclamò affranto.- Mi sono accorto di amarla, quando se n’è dovuta andare e anche adesso non sono in grado di darle tutto ciò che si merita.-

Sanae allungo la mano per posarla sulle sue. Quel ragazzo stava soffrendo terribilmente. Alzò lo sguardo incontrando quello gentile e comprensivo di lei.

- Da quando Tsubasa ci ha annunciato il vostro matrimonio, ho iniziato a sentirmi un fallito. Vedo voi e soffro per quello che vorrei dare a Yoshiko. Quando è tornata ho dovuto limitarmi a chiederle di convivere, ma solo Dio sa quanto avrei voluto sposarla subito.- sospirò guardando la sua ragazza ancora inerme. – Ma cosa potrei darle io? - chiese disperato.

Non riuscì più a trattenere le lacrime e con la voce rotta cercò come poté di consolarlo.

- Non sentirti in colpa Matsuyama. Da quando conosco Yoshiko, non posso dire di averla mai vista più felice di adesso che può stare con te. Sa che vorresti darle di più, lo ha capito.- vedendo lo sguardo interrogativo del ragazzo, sorrise.- Me lo ha confidato dopo il matrimonio. Lei ti aspetterà. Credo che tu lo sappia già, ma è la persona più buona e sensibile che io conosca.- disse rivolgendo lo sguardo all’amica dormiente e carezzandole il viso con la punta delle dita.

- Sai quando ho conosciuto Yoshiko, sembrava un cucciolo smarrito. Si era appena trasferita dagli Stati Uniti e capiva poco il giapponese, quindi i nostri compagni d’asilo l’avevano praticamente emarginata, ma io e Yayoi volevamo essere sue amiche e dopo poco tempo siamo diventate inseparabili. Io ero un diavolo, Yayoi era la piccolina del gruppo e Yoshiko era la bimba buona che mi teneva a bada.- raccontò sorridendo con gli occhi lucidi al ricordo della loro infanzia.

Matsuyama l’ascoltava attentamente, trovando un po’ di conforto in quei semplici ricordi. Pensare alla sua Yoshiko bambina lo fece sorridere, in quella giornata che lasciava poco spazio alla serenità.

- Ricordo che una volta, Yayoi portò all’asilo la sua bambola preferita per mostrarcela. C’era una bambino molto dispettoso: Kintaro Nakamura, che non perdeva mai occasione di fare brutti scherzi agli altri bimbi, ma non dava mai fastidio a noi, perché mi temeva.- riuscì a strappargli una risata.

- Bè, te l’ho detto che ero un diavolo.- gli sorrise.- Quel giorno mia mamma mi aveva portato più tardi, perché dovevo vaccinarmi e quando ho raggiunto il cortile ho visto Yayoi che piangeva e Yoshiko che cercava di calmarla, mentre Kintaro correva via con la sua bambola. L’ho rincorso e dopo averlo raggiunto l’ho fatto cadere e ho riportato la bambola a Yayoi.-

Matsuyama sorrise immaginando la scena.

- La maestra si arrabbiò molto e stava per mettermi in punizione, se non fosse intervenuta Yoshiko a prendere le mie difese.- Rivolse uno sguardo dolce alla sua amica, pregando dentro di sé che di lei non le rimanessero solo quei bei ricordi.

Vedendola passarsi una mano sul ventre, Matsuyama si preoccupò.

- Sanae, forse è meglio che vai a riposarti, nelle tue condizioni non dovresti strapazzarti troppo.- le disse in ansia. – Vai pure, non preoccuparti.- insistette vedendola titubante.

Annuì e fece per alzarsi, ma improvvisamente si bloccò e prese la mano di Yoshiko per accostarsela al ventre.

- Lo senti, Yoshi. Si sta muovendo.- disse emozionata. – Ha sempre desiderato sentire il bambino muoversi.- spiegò.

- Credi che lo abbia sentito?- chiese sconsolato.

Sanae sorrise.

- Penso proprio di sì. Parlale Matsuyama, falle sentire la tua presenza, vedrai che l’aiuterà a tornare da te.- gli carezzò la testa come ad un bambino e uscì.

Si appoggiò al muro, sentendo le lacrime scendere dalle sue guance e si accarezzò il ventre prominente, percependo nuovamente i movimenti della piccola vita dentro di lei. Sorrise grata a quella creatura che la stava inconsapevolmente sostenendo in quel momento terribile.

Sospirò chiudendo gli occhi per qualche secondo. Era enormemente provato e fisicamente distrutto. L’indomani il Giappone avrebbe dovuto disputare l’incontro contro la Svezia, una delle squadre più temute del torneo, ma lui non riusciva minimamente a pensare al calcio in quel momento.

Spense la luce e si sdraiò accanto a lei, circondandola col braccio. Rimirò la dolcezza dei suoi tratti come era solito fare la notte nei momenti d’insonnia. Chiuse gli occhi ripensando all’ultima volta passata insieme, quando lui l’aveva svegliata per cercare i suoi baci e le sue carezze prima di dover tornare in ritiro. Le posò un bacio sulla guancia scostandole i capelli dal viso.

- Amore mio, non ti lascerò andare. Io ho bisogno di te e di tutto quello che solo tu sai darmi.- sussurrò. Dalla tasca estrasse la sua preziosa hachimaki e iniziò a passarsela tra le dita. La scritta I love you sfilò di fronte ai suoi occhi, stringendogli il cuore.

- Ti ricordi quando me l’hai regalata, amore. Eravamo talmente timidi e impacciati allora. Non ti ho mai detto quanto sia stato felice di trovare questa scritta. In quel momento ho capito che non volevo perderti: è per questo che ho rincorso quel taxi, pur sapendo che non lo avrei mai raggiunto.- con la mano accarezzava delicatamente i tratti del suo viso, sforzandosi di non cedere nuovamente alle lacrime.

- Quando sei partita ho giurato che se mai fossi tornata da me, non ti avrei mai più lasciata andare via.- strinse la mano tra le sue e la baciò.

- Lotta con me amore non ti arrendere, ti prego.- la supplicò stringendosi al suo corpo immobile, mentre cedeva alle lacrime. I singhiozzi echeggiarono nella stanza, finché non crollò addormentato, sfinito da quella giornata da incubo.

L’entrata del dottore nella stanza lo fece sussultare e guardandosi attorno ricordò come una doccia fredda, dove si trovava e il motivo per cui era sdraiato su un letto d’ospedale. Imbarazzato, chiese scusa per essere stato colto in quel modo poco decoroso, ma il dottore si limitò a sorridere bonariamente.

- La comprendo benissimo, signor Matsuyama. La prego vada a rinfrescarsi, mentre visito la signorina Fujisawa.- lo invitò.

Non voleva andarsene, ma l’infermiera che lo trascinava via gentilmente riuscì a convincerlo ad uscire. Fissò attraverso il vetro il medico che con gli strumenti testava le reazioni di Yoshiko. Chinò la testa vedendo l’uomo scuotere il capo e lentamente si trascinò ai servizi igienici.

Lo specchio restituiva l’immagine di un volto stravolto, gli occhi cerchiati dal sonno travagliato e rossi per il pianto, la pelle che portava le tracce della barba leggermente incolta. Non era possibile che quel ragazzo vinto dal dolore fosse lui, la Wild Eagle che non si arrende di fronte agli ostacoli. Aprì il rubinetto e si spruzzò l’acqua addosso. Si rispecchiò, il volto bagnato e gli occhi che fiammeggiavano: non avrebbe perso quella sfida.

Tsubasa giocava nervosamente col cellulare seduto nel sedile posteriore del taxi. Sapeva benissimo che il suo viaggio sarebbe andato a vuoto, ma almeno avrebbe parlato di persona con Matsuyama per sentire dalle sue labbra la decisione presa in merito alla partita contro la Svezia.

Sanae alzò lo sguardo ad incontrare quello del marito, che dolcemente si chinò su di lei per baciarla.

- Come sta?- chiese con lo sguardo rivolto alla porta sigillata.

- Non si è mai mosso di lì, ha dormito e mangiato poco.- spiegò lei.

- E tu come stai?- domandò notando la tristezza nei suoi occhi.

- Cerco di essere forte.- rispose semplicemente.

Tsubasa l’abbracciò affettuosamente e prima di entrare, le accarezzò la pancia.

Dentro la stanza il silenzio regnava sovrano, spezzato solo dalle parole di Matsuyama sul cui volto era visibile una determinazione pari a quella che aveva sempre mostrato in campo. Tsubasa comprendeva quanto fosse difficile dirle, ma la decisione era presa e non era certo andato da lui convinto di fargli cambiare idea.

L’espressione di Tsubasa era sufficientemente eloquente per farle capire che Matsuyama non avrebbe partecipato alla partita. Il capitano guardò sua moglie e pensò che anche lui avrebbe agito allo stesso modo, se la splendida creatura che aveva di fronte fosse stata nelle condizioni di Yoshiko. Delicatamente le cinse la vita stringendola a sé.

- Vorrei che non fosse successo.- sussurrò con la voce rotta dall’emozione.

- Yoshiko ce la farà.- la rassicurò baciandole il capo.

I suoi occhi neri la guardavano con infinita dolcezza e Sanae si alzò sulle punte per sfiorare delicatamente le sue labbra. Tsubasa sorrise e si chinò per baciare il ventre di lei, che gli accarezzò la testa commossa da quel gesto semplice e dolcissimo.

Dentro la stanza Matsuyama ripensò a quanto aveva appena dichiarato al capitano: parole che dolevano, ma che sentiva con tutto se stesso. Yoshiko era la sua priorità in quel momento e la squadra doveva fare a meno di lui.

- Yoshiko- prese ad accarezzarle la mano.- Resto con te, non posso andare a giocare, non voglio lasciarti così.-

Con la mano libera le sistemò i capelli della frangetta e le accarezzò la guancia, con il dito indice indugiò sulle labbra e sentì nuovamente l’impulso di piangere. Sospirò trattenendole, perché non voleva più cedere allo sconforto: se voleva che Yoshiko si risvegliasse lui doveva essere il primo a crederci.

- Amore mio, apri gli occhi. Torna da me, Yoshiko.-

Rimirò la sua mano sinistra focalizzando lo sguardo sul suo anulare affusolato.

- Tesoro, voglio essere felice con te. Voglio darti tutto ciò che meriti, ma tu aiutami. Svegliati amore!- implorò.

La televisione sintonizzata sulla partita mostrava a turno i singoli giocatori che cantavano sulle note dell’inno nazionale giapponese. Matsuyama concentrò la sua attenzione sul numero 23, che lo sostituiva. Mentalmente pregò, perché i suoi compagni non soffrissero troppo per la sua assenza e col cuore in gola udì il fischio che diede il via alla partita.

Seguiva il gioco attentamente, per quanto possibile, dato che il suo sguardo rimbalzava da Yoshiko allo schermo e rammaricato vide i compagni uscire per la fine di un primo tempo che aveva visto la Svezia dominare.

La ripresa non migliorò certo la situazione, perché gli avversari sfoderarono una nuova tattica che lasciò spiazzati i difensori nipponici. Akai cercò di contenere le incursioni di Levin, ma, a suo discapito, il capitano svedese lo bombardò letteralmente con il suo tiro micidiale. Matsuyama dovette assistere impotente a quel massacro in diretta che mostrò al Mondo, perché Stephan Levin fosse soprannominato il distruttore del campo. Irato per quel comportamento altamente scorretto imprecò contro l’immagine del capitano dallo sguardo di ghiaccio, che guardava impassibile la sua vittima sbattuta a terra dall’ennesima bordata.

Ad un tratto un movimento tra le sue mani lo fece trasalire: Yoshiko stava muovendo piano piano le dita. Strizzò le palpebre prima di aprire delicatamente gli occhi e incontrare l’espressione stupita del suo ragazzo. Con un ennesimo sforzò allargò le labbra in un sorriso, poi tentò di chiamarlo per nome, ma la voce sembrava non uscirle dalla gola.

Hikaru cedette alle lacrime e chiamò a gran voce il dottore e la amiche per annunciargli la buona notizia. Il medico si precipitò con le infermiere per verificare lo stato della paziente, mentre Yayoi e Sanae abbracciate sfogavano la gioia per il risveglio della loro amica.

Quando finalmente furono di nuovo da soli, Hikaru si sedette sul letto e si chinò per baciarla. Felice di averla di nuovo.

- Non mi scappi più adesso.- scherzò con la voce ancora rotta dall’emozione.

Yoshiko sorrise, ma un boato dalla televisione rimasta accesa attirò la sua attenzione. Vide il risultato sul tabellone e per quanto possibile riuscì a focalizzare la situazione. Rivolse uno sguardo significativo al suo ragazzo, che capendo si congedò dandole un ultimo bacio e si diresse allo stadio.

Il numero 23 fu trasportato fuori del campo sulla barella, mentre terminava il secondo tempo della partita. I giocatori raggiunsero gli spogliatoi, stanchi e sfiduciati. Tsubasa cercò di ridar loro la carica, ma anche lui capiva che solo un miracolo avrebbe potuto cambiare le sorti della partita. Aprendo la porta un sorriso si allargò sul volto del capitano.

- Andiamo a vincere questa partita!- esclamò Matsuyama stringendo il nodo dell’hachimaki.

Al fischio gli svedesi si fecero subito avanti, ma Levin fu bloccato immediatamente dal numero 12 che come una furia scatenata dribblò Lazon e Brolin che gli si facevano incontro. Federicks gli si parò davanti, ma Matsuyama passò a Tsubasa che smarcato andò in progressione verso la porta. Al limite dell’area, il capitano schivò un tackle, rispedendo la sfera al compagno che con precisione sfoderò il suo radente Eagle Shot. Il portiere si tuffò, ma invano, perché la palla schizzò veloce oltre la linea prima che lui potesse afferrarla.

Lo stadio esplose inneggiando ai due giocatori che avevano reso possibile il Golden Goal che regalava l’accesso alla semifinale, un passo in più verso l’agognata Coppa del Mondo. Matsuyama corse verso le telecamere togliendosi l’hachimaki e sventolandola come una bandiera. Arrivato di fronte all’obiettivo, gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.

- Yoshikoooooooo ti amooooooooo.- la voce di Matsuyama attraverso il televisore echeggiò nella stanza dell’ospedale, facendola trasalire. Sorrise col cuore in gola, mentre due lacrime di commozione le rigavano il volto.

Premetto che ho volutamente tratto spunto dall’episodio che successe anni fa e che vide protagonista Gabriel Omar Batistuta, giocatore che stimo moltissimo e con quell’episodio fece sognare tante ragazzine. Ho preferito ridare spazio alla mia coppia preferita rivisitando l’episodio dell’incidente, cercando di analizzarlo nel suo lato più umano e spero proprio di esserci riuscita.

Ringrazio tutte le persone che hanno avuto la pazienza di leggermi e vi annuncio che il prossimo sarà l’ultimo capitolo della storia.

Un caro saluto a Dolce Barbara, Rossy ed Eos e un abbraccio a tutti.

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Capitolo 26
*** La vittoria più bella ***


Capitolo 26

La vittoria più bella

Il cuore le batteva forte, unito al ritmo degli applausi, dei tamburi e dello scalpitare dei tifosi sulle tribune variopinte: bandiere, striscioni e volti truccati con i colori delle due squadre che entro pochi istanti si sarebbero contese la Coppa del Mondo. Vide suo marito posizionarsi per le foto di gruppo, assieme ai compagni e dopo l’ennesimo scatto notò alcuni di loro alzare lo sguardo verso l’alto per salutare le fidanzate che come lei osservavano la partita dalla zona VIP, protette dal caos del tifo che di lì a poco si sarebbe scatenato.

- Grazie per averci dato la possibilità di seguire la partita da qui, signor Katagiri.- disse Sanae.

- Ritenevo che fosse doveroso che la moglie del nostro capitano assistesse alla partita, nonostante le tue condizioni.- disse indicando il ventre cresciuto nei nove mesi ormai trascorsi.

- Grazie per aver invitato anche noi.- gli disse Yayoi cui si accompagnarono i sorrisi di Elena, Maki e Kasumi.

L’uomo annuì e tornò a rimirare orgoglioso la squadra che aveva contribuito a creare, mentre si stava posizionando in campo, pronta per cominciare a giocare la finale.

Le ostilità iniziarono, accendendo il tifo che faceva tremare le gradinate. Le ragazze seguivano attentamente i movimenti dei ventidue giocatori in campo, scatenandosi in un tifo sfrenato ogni qualvolta uno dei giapponesi si avvicinava alla porta avversaria. Ogni tentativo da ambo le parti era puntualmente sventato dagli ottimi difensori e la situazione di stallo contribuì a riscaldare notevolmente gli animi.

Sanae tirò un sospiro dopo l’ennesimo fallo sul capitano, ma subito una gentile stretta di mano la confortò. Si voltò per sorridere grata a Yayoi e istintivamente pensò a Yoshiko che in quel momento stava seguendo la partita dalla sua stanza d’ospedale a causa della degenza.

La giovane seduta sul letto osservava attentamente lo scontro, girandosi nervosamente la fedina all’anulare sinistro di tanto in tanto. Quando il cameraman inquadrò il suo fidanzato pronto a rimettere il fallo laterale, lei sorrise e la sua mente la riportò alla sera della partita contro la Svezia. Hikaru si era presentato in ospedale con un mazzo di rose rosse, aumentando la sua agitazione dopo quella splendida dedica di fronte a tutto il mondo, ma niente fu più emozionante di vedersi consegnare dal ragazzo la scatolina di velluto blu contenente la promessa più dolce.

“Sposami, Yoshiko” le aveva detto semplicemente accompagnando le parole ad un tenero bacio a fior di labbra, che lei aveva reso più profondo e sensuale rapita dall’estasi del momento. Si era poi stretta a lui ripetendo più volte il suo assenso ad unirsi a lui in matrimonio, finiti i mondiali.

Avrebbe tanto voluto essere anche lei allo stadio con le amiche, ma purtroppo non era ancora nelle condizioni adatte a lasciare l’ospedale, anche se aveva ripreso a camminare e le sue ferite si stavano progressivamente rimarginando. Pensò intensamente a Sanae e al suo stato, in effetti una donna che ha finito il tempo avrebbe dovuto stare a casa tranquilla, anziché allo stadio seppure in una zona protetta.

Sanae si massaggiò il ventre a causa di una piccola fitta a cui diede poca importanza, dato che erano diventate la prassi nei nove mesi che aveva condiviso con la sua creatura e tornò a concentrarsi sulla partita che ormai era agli sgoccioli. Il Giappone stava soffrendo enormemente a causa del nuovo entrato nelle fila del Brasile, Natureza, che stava dando parecchio filo da torcere anche a Tsubasa. La partita era agli sgoccioli e prima del fischio dell’arbitro, il nuovo entrato segnò un goal, portando il risultato al pareggio. Le ragazze esclamarono in coro tutta la loro delusione: ormai erano convinte che il Giappone avesse la vittoria in pugno.

Sanae si massaggiò la schiena, avvertendo un forte dolore ai reni. Una mano le si posò sulla spalla per rassicurarla.

- Vedrai che vinceremo, Sanae.- il confortante sorriso di Elena le scaldò il cuore, ma la sua attenzione era disturbata da quella fitta insistente che non la lasciava in pace.

Il gioco riprese con l’inizio del primo tempo supplementare e Tsubasa fin da subito puntò verso Natureza, deciso a vincere il contrasto con lui.

Durante la pausa aveva rincuorato i suoi compagni chiedendo loro di non mollare, perché il loro sogno era vicino ad avverarsi. Genzo, costretto a ritirarsi a causa delle sue mani, nuovamente infortunate, lo guardò con ammirazione: cos’era a dare tanta carica al suo capitano? Capì quando lo vide alzare lo sguardo e fare un cenno alla moglie che sorridente lo osservava attraverso il vetro della zona VIP. Wakabayashi sorrise a sua volta, ricordando l’infanzia, la partita contro Tsubasa e la grande amicizia che nacque in seguito. Era incredibile pensare che quell’uomo prossimo a diventare padre, fosse quello scricciolo di ragazzino che lo aveva sfidato dalla terrazza del tempio. Si calcò il berretto sulla fronte e fece un cenno con la mano bendata.

- Verso la vittoria, capitano.-

La risposta di Tsubasa fu un semplice assenso.

Gli occhi del capitano giapponese scintillavano per l’eccitazione della contesa: Natureza era un vero fuoriclasse, ma proprio questo era ciò che stimolava di più Tsubasa, che, nonostante fosse altamente concentrato sui movimenti dell’avversario, non poteva evitare di pensare che Sanae lo stava guardando.

Nostro figlio potrebbe nascere da un momento all’altro, ma tu hai voluto venire qui a vedere la partita, a vedere me, perché tu lo sai che è questo ciò di cui ho più bisogno. Vincerò, Sanae, devo dimostrarti, quanto la tua presenza sia importante.

Con l’agilità di un gatto, Tsubasa approfittò dell’unico spiraglio lasciato dall’avversario e vinse il contrasto con il brasiliano. Il pubblicò scattò in piedi totalmente estasiato dall’abilità del numero 10, che s’involò verso la porta come se gli fossero spuntate le ali.

- Vai, Tsubasa!- urlò Yayoi, sovrastando le grida eccitate delle amiche.

Sanae si teneva una mano sul petto, che minacciava di esplodere: conosceva Tsubasa e sapeva benissimo che non avrebbe fallito, infatti lo vide giungere al limite dell’area e apprestarsi al tiro. La palla schizzò alta a colpire la traversa e un boato di delusione si levò dagli spalti, ma non era ancora finita: il capitano scattò in avanti e avvitandosi agilmente balzò a colpire la palla con una rovesciata. Il tempo parve sospeso in quell’istante. Sanae chiuse gli occhi per un secondo e quando li riaprì vide la palla insaccarsi nella rete con la velocità di un siluro.

Lo stadio esplose e i giocatori circondarono festanti il loro capitano, autore del goal della vittoria. Yayoi si asciugò le lacrime che le facevano capolino, mentre Elena batteva le mani felice e Maki e Kasumi si abbracciavano saltellando felici. Sanae cercò di alzarsi, ma una fitta più forte delle altre la rimise a sedere e una sensazione di umido alle gambe attirò la sua attenzione verso il basso.

- Oh, santo cielo!- fu la sua esclamazione.

- Ti si sono rotte le acque!- esclamò Yayoi, cercando di conservare la calma.

Katagiri chiamò immediatamente la sicurezza per far arrivare i soccorsi dalle ambulanze parcheggiate fuori dello stadio e come un fulmine si precipitò giù all’entrata del terreno di gioco, mentre Yayoi seguì Sanae che veniva portata all’ambulanza.

Tsubasa, ignaro, si presentò sul palco e si apprestò a ricevere la medaglia d’oro con i complimenti del presidente della FIFA. La Coppa del Mondo venne elevata in alto dal ragazzo che con gli occhi lucidi ammirava quel simbolo di vittoria e con il cuore che batteva come un tamburo si voltò verso il giornalista che gli chiedeva a chi volesse dedicare il trofeo che stringeva tra le braccia.

- Dedico tutto a mia moglie Sanae…- esclamò ansimante- …e a nostro figlio, che nascerà a breve.- proseguì e con lo sguardo cercò il volto della ragazza nella zona VIP, ma con sua grande sorpresa non incontrò lo sguardo pieno di ammirazione che apparteneva solo a lei. Smarrito si guardò attorno e così poté accorgersi del signor Katagiri che da bordo campo si sbracciava per richiamare la sua attenzione. Tsubasa intuì che doveva essere accaduto qualcosa e come ipnotizzato scese dal podio, porgendo distrattamente la coppa a Hyuga.

Tsubasa correva attraverso i corridoi dell’ospedale come una furia, era preoccupatissimo per Sanae: non avrebbe mai dovuto permetterle di venire allo stadio, non in quelle condizioni. Arrivò trafelato e notò Yoshiko seduta sulla sedia a rotelle che si massaggiava il polso bendato di fronte alla sala parto.

- Capitano- esclamò come se avesse visto un miraggio.

- Da quanto è dentro?- chiese concitato.

- Non lo so, sono arrivata che le infermiere avevano già chiuso la porta. L’ortopedico mi ha detto che aveva sentito degli inservienti giurare di aver visto la moglie di Tsubasa Ozora, allora mi sono fatta accompagnare fin qui.- spiegò con calma. In quel momento un infermiere uscì dalla stanza e riconoscendo il campione, lo afferrò e lo condusse dentro la stanza, passandogli con poca grazia camice, cuffia e mascherina.

Quando lo vide avvicinarsi, Sanae rossa in viso e con la fronte imperlata di sudore, tese una mano verso di lui, come un naufrago che si aggrappa al relitto, concentrandosi per non perdere il ritmo della respirazione. Il ragazzo prese la mano e rispose alla stretta con estremo calore.

- Adesso tocca a te, amore.- le sussurrò all’orecchio.

Yoshiko giocava nervosamente con i lembi della vestaglia, in ansia per quello che stava accadendo dietro l’uscio verde della sala parto. La sua attenzione venne attirata da numerosi passi che si avvicinavano come una mandria di cavalli al galoppo e vide avvicinarsi mezza nazionale giapponese con le fidanzate al seguito e un claudicante Misaki che procedeva sorretto dalla sua Elena.

- Tsubasa è già dentro?- chiese Matsuyama, mentre con una mano accarezzava la guancia della futura moglie che sorridendogli annuì.

- Kojiro, smettila! Non sei tu il padre, ti vuoi calmare!- esclamò Kasumi.

- Per la miseria sono tre ore che sono lì dentro!- tuonò, scatenando una richiesta di silenzio da parte degli altri presenti.

Ad un tratto le grida di Sanae risuonarono ovattate dietro la porta.

- Santo cielo! Ma è così doloroso?- chiese Elena, impressionata.

- Di sicuro non ti uccide, altrimenti mia madre non lo avrebbe fatto per quattro volte.- le strizzò l’occhio Kasumi, che si strinse ancora di più a Ken.

La battuta strappò una risata generale, che però venne interrotta dal dolce suono dei vagiti del neonato.

- Finalmente.- sospirò Yayoi, che già sentiva gli occhi inumidirsi per la commozione.

- E’ una femmina.- esclamò sorridente il ginecologo, che passò la neonata alle infermiere perché le tagliassero il cordone e la ripulissero.

Sanae si lasciò andare sul lettino, completamente distrutta, mentre Tsubasa le accarezzava la testa.

- Sei stata bravissima.- le disse sfiorandole la fronte con un bacio.

La neomamma prese la sua creatura tra le braccia e avvertì come una scarica elettrica. Socchiuse gli occhi, concentrando l’attenzione sul calore del corpicino tra le sue braccia e del braccio di Tsubasa che teneramente l’avvolgeva. Loro erano tutto il suo mondo: la sua famiglia, i suoi due gioielli.

- Come chiamiamo questa principessina?- chiese l’infermiera più anziana sfoggiando il più dolce dei sorrisi.

Sanae guardò suo marito negli occhi e sorridente disse:- Miharu.-

La donna prese il pennarello e segnò su una targhetta MIHARU OZORA, mentre Sanae invitò un impacciatissimo Tsubasa a prendere in braccio la bambina.

Il cuore del ragazzo si riempì di una nuova emozione, un misto di agitazione e gioia, qualcosa di diverso da ogni sensazione avesse mai provato. La bambina con gli occhietti ancora chiusi si accoccolava tra le sue braccia con fiducia, rendendolo ancora più smarrito.

- Complimenti per la vittoria, signor Ozora. Ha fatto un goal straordinario.- si complimentò il dottore.

- Sì.- disse Tsubasa.- Ma il premio più bello ce l’ho tra le braccia.- aggiunse non staccando gli occhi dalla figlia.

Eccomi qui, temevo di non farcela. Spero che questo capitolo non vi sembri troppo affrettato, ma non ho voluto dilungarmi troppo sulla partita o su altri particolari per me superflui. E’ stato molto duro proseguire: purtroppo la mia situazione negli ultimi tempi non è delle più rosee, ma qualcuno mi ha “ ricaricato le batterie” ultimamente, spronandomi così a prendere la mia vita in mano.

Ringrazio tutte le persone che mi sono state e mi stanno ancora vicine in questo periodo, i lettori e soprattutto tutte le persone che mi hanno recensito:

Eos: tesoro sei stata buona e ricca di consigli con me, grazie mille per tutto quello che hai fatto e fai per me.

Dolcebarbara: piccola sei proprio dolcissima, grazie per tutte le belle parole che hai speso per me.

Rossy: grazie di aver trovato il tempo di seguire la mia storia, nonostante l’università.

Onlyhope: tesoro sei tornata fra noi, sono felicissima, ti dedico il personaggio di Miharu solo per farti capire quanto sia importante la tua presenza nella mia vita.

Grazie a tutti e alla prossima!

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


Epilogo

Manchester, un anno dopo…

Yoshiko posò a terrà il pesante scatolone e, sospirando, vi si abbandonò. Si guardò attorno, spossata e abbastanza sconsolata di fronte alla baraonda di pacchi che s’infoltiva progressivamente con l’andirivieni dei corrieri.

Hikaru con in mano una bottiglietta d’acqua si avvicinò alle spalle della moglie e, dopo averle passato la bibita, iniziò a massaggiarle le spalle.

- Stanca?- le chiese amorevolmente.

Yoshiko si rilassò appoggiandosi al ragazzo.

- Un po’.- alzò lo sguardo per sorridergli ricevendo in cambio un bacio sulle labbra.

- Fai una pausa, continuo io.- disse e uscì dalla stanza per continuare i lavori del trasloco.

La ragazza tese le braccia verso l’alto per tirare i muscoli, poi si rilasciò totalmente sospirando. Si alzò per raggiungere la borsa abbandonata su uno cartone semiaperto ed estrasse il telefono portatile. Selezionò il numero e attese una risposta.

Barcellona…

- Pronto, qui Ozora.- rispose Sanae allegramente.

- Ciao, tesoro!- esclamò Yoshiko, felice di sentire la sua cara amica.

- Yoshi! Da dove mi chiami?- chiese, sapendo che l’amica e il marito dovevano essere in viaggio per Manchester, dove il ragazzo avrebbe firmato un contratto di due anni con la squadra dei red devils.

- Siamo già a Manchester, siamo arrivati ieri e Hikaru ha firmato il contratto con la società.- spiegò brevemente la ragazza.

- Che bello! Allora sei già qui in Europa.- rispose gioiosa la ragazza. Nonostante fosse felicissima di poter vivere accanto al ragazzo che amava da sempre e di crescere con lui la loro bambina, Sanae non poteva impedirsi di sentire nostalgia di casa, ma soprattutto degli amici, quindi sapere che almeno la sua cara amica d’infanzia andasse a vivere in un luogo non troppo distante da dove si trovava lei la confortava.

- Come sta la piccola?- chiese Yoshiko.

- Benissimo grazie, ora è di sopra che fa il riposino con suo padre.- disse con gli occhi che le brillavano al solo pronunciare parole così dolci.

- Tsubasa come si trova nel ruolo di papà?- chiese ridendo.

- E’ totalmente preso dalla bambina. La sera quando torna dall’allenamento, mi dà un bacio veloce e scappa di sopra a salutarla.- un sorriso commosso le si allargò sul viso.- Dovresti vederlo, quando la bimba si addormenta: sta lì a rimirarla per ore come in adorazione.- spiegò con gli occhi lucidi.

Yoshiko sospirò immaginando divertita il capitano della nazionale in visibilio per la sua piccolina.

- Se non fosse mia figlia potrei essere quasi gelosa.- ironizzò Sanae.

Dall’altro capo del telefono squillò una sonora risata.

- Ma dimmi degli altri? Cosa stanno combinando?- domandò curiosa.

- Ah, le novità si sprecano, cara mia…- esordì.

Sanae attese le notizie con gioia: la telefonata di Yoshiko era giunta in uno di quei momenti in cui, da sola, si ritrovava a pensare con nostalgia agli amici e a tutto ciò che aveva condiviso con loro.

- Tra qualche mese, credo ci aspetterà una bella rimpatriata…Misugi si è deciso a fare il grande passo.-

Dopo un silenzio di qualche secondo, Sanae esclamò: - Finalmente! E dire che ero sempre stata convinta che Yayoi sarebbe stata la prima a sposarsi.-

- Sì, anch’io.- sorrise- Dopo il matrimonio, forse si trasferiranno anche loro qui in Europa: Misugi ha ricevuto offerte da ben tre società.-

Il cuore di Sanae sobbalzò a quella notizia: dopo Yoshiko, anche Yayoi stava per accorciare la distanza che le divideva e proprio nel momento migliore, quando Miharu era ancora piccola e poteva avere l’occasione di crescere accanto alle persone che tanta importanza avevano nella vita dei suoi giovani genitori.

- Sai, Yoshi.: ieri ha telefonato Taro e ci ha detto che non appena Elena compirà i 18 anni*, si trasferiranno in Francia, dove sarà ingaggiato dal Paris Saint- Germain.- esclamò entusiasta.

- Ah, davvero? Allora sembra proprio che ci ritroveremo tutti in Europa.- rispose divertita.

A questa affermazione seguì un lungo silenzio, in cui Sanae si preparò a ricevere un’altra gradita sorpresa.

- Debbo dedurre che non sai nulla.- rise al mutismo dell’amica.

- Non tenermi sulle spine: cosa sai che io non so?!- domandò sbuffando.

- Kojiro Hyuga si è trasferito in Italia…-

- Cheee?-

Yoshiko allontanò il ricevitore dal telefono, assordata dal tono acuto della domanda.

- E’ già un mese che è successo, Sanae. Mi sembra strano che non abbia detto nulla proprio a voi.- insistette un po’ sorpresa.

- Ozora…che marito svampito!- esclamò scatenando un allegra risata da parte dell’amica. – Maki come l’ha presa?- continuò, ricordando con tristezza il giorno in cui aveva scoperto che Tsubasa se n’era andato.

- Insomma, per quanto possa essere felice del salto di carriera del suo ragazzo, non è facile convivere con il fatto di vivere su due continenti diversi: io e te sappiamo bene come si sta.- precisò Yoshiko, rivivendo nel cuore i la propria personale esperienza.

- In ogni caso, lei sta cercando un ingaggio da una squadra di softball italiana, anche se, da quanto mi ha detto, le regole del gioco sono un po’ diverse.- concluse.

- Certo, sarebbe la soluzione migliore. Non riesco a immaginare quei due troppo lontani, sinceramente non mi sarei mai aspettata di vedere Kojiro Hyuga così preso da una donna.-

- Stanno così bene insieme. Pensare che sua sorella non fa che ripetere che Maki è una santa a sopportare un tipo coriaceo come lui.- rise.

Sanae si unì all’ilarità dell’amica, poi, dato che erano entrate in argomento, chiese a Yoshiko di Kasumi e Wakashimazu.

- Lui gioca ancora per la Yokohama Flugels, ma presto firmerà un contratto con la FC Tokyo, anche se voci indiscrete dicono che alla Juventus qualcuno lo stia tenendo d’occhio.- abbassò la voce come se stessero parlando di questioni segretissime.

- Sarebbe stupendo se anche lui ci raggiungesse in Europa, ovviamente con Kasumi.- precisò Sanae.

- Lei adesso è impegnata a cercare una casa per loro due: vorrebbero provare a convivere, prima di pensare al matrimonio.-

- Credo che la convivenza li condurrà sicuramente in quella direzione.- rispose Sanae.- Per te e Hikaru è stato così, giusto?-

- Bè sì.- rispose semplicemente, mentre nelle sua testa l’immagine di quel ragazzo che correva a braccia aperte verso le telecamere gridando il suo amore per lei, le scaldò il cuore con la stessa intensità di allora.

- A proposito: come va la vita da sposina?- chiese dolcemente.

- In questo momento male.- sentenziò lanciando uno sguardo inceneritore verso i pacchi che la circondavano. Sanae rispose con una fragorosa risata, immaginando l’amica al centro di una stanza vuota con attorno montagne di cartoni traboccanti di vestiti e complementi d’arredamento.

- Per fortuna che ho Hikaru, mi sta dando un grandissimo aiuto.-ammise.

- Ah, ti capisco perfettamente. Quando siamo venuti qui a Barcellona è stato un incubo: il trasporto delle nostre cose, la sistemazione e Miharu da allattare. Se ci ripenso, mi sembra incredibile che non mi sia venuto un bell’esaurimento.- sbuffò al ricordo delle giornate estenuanti che aveva passato.

- Ultimamente, poi, sono un po’ fiacca.- proseguì Yoshiko.

- Forse è lo spostamento, un diverso fuso orario…- spiegò Sanae.

Yoshiko rimase in silenzio con il cuore che le batteva forte: la sua migliore amica era la persona più adatta per confidarle i suoi sospetti.

- Sanae, io…- esitò- …sono in ritardo di un mese.-

Le labbra della ragazza si allargarono in un sorriso.

- Hai fatto qualche analisi?- indagò cautamente.

- Per ora ho fatto il test di gravidanza domiciliare ed è risultato positivo, appena mi sistemerò andrò da un dottore.-

- Devi andarci subito e dirlo a Matsuyama!- gridò Sanae. – Dico sul serio Yoshiko, non ti trascurare: aspettare un figlio è un’esperienza meravigliosa, goditela più che puoi.- le suggerì.

- Grazie, Sanae. Ti prometto che mi riguarderò, anzi quando sarò sicura sarai la prima a saperlo.-

- Ovviamente, dopo Matsuyama.- precisò Sanae.

Sanae ripose il cordless sulla base e rimase assorta nei suoi pensieri. Si dondolò con le ginocchia al petto e sorrise tra sé e sé per i suoi amici che come lei stavano costruendo i loro sogni.

Yoshiko ripose il portatile nella borsa e si voltò a guardare la stanza indecisa da dove cominciare. Sbuffò portandosi le mani ai fianchi, ma due dolci mani l’avvolsero gentilmente in vita e un bacio delicato si posò sulla sua guancia. Si voltò a guardare negli occhi suo marito e avvertì il piacevole contatto della sua grande mano sul ventre. Quel gesto così abituale aveva tutt’altro significato, sebbene inconscio, e commossa sfiorò le sue labbra con un bacio.

- Ti amo, Hikaru.- sussurrò prima di accoccolarsi tra le sue braccia.

Il sole stava calando oltre il profilo del Mont Juic inondando Barcellona di un barlume rossastro che si rifletteva sulle onde del mare, illuminando per gli ultimi istanti la città. Sanae si riscosse dai suoi pensieri e con passo felpato salì i gradini che portavano alle stanze da letto. Si accostò delicatamente alla porta della sua camera e gli occhi le brillarono per la commozione: Tsubasa dormiva sdraiato sul letto col volto coperto dal braccio destro, mentre con l’altro teneva Miharu che placidamente si era appisolata sul ventre del padre. Dopo la telefonata con Yoshiko, aveva riflettuto sul corso che stava prendendo la sua vita e quella dei suoi amici. Fino a qualche anno prima, era disperata e prostrata dall’idea di non contare nulla per l’unica persona che avesse mai amato, invece ora era lì a guardare quel ragazzo dormiente, il suo grande amore, che teneva tra le braccia la loro bambina. Percepì un piccolo movimento della piccola e capì che era prossima al risveglio. Con premura si accostò al letto e la prese in braccio, cullandola, mentre si strofinava gli occhietti ancora insonnolita. Tsubasa si svegliò subito dopo, avvertendo un senso di vuoto, che sparì subito non appena vide la figlia in braccio a Sanae.

- Scusa mi sono addormentato.- le disse.

Lei si limitò a sorridergli, mentre col dito accarezzava la guancia della piccina che si stava riaddormentando invitata dal dolce cullare materno. Sanae l’adagiò delicatamente del lettino e la coprì con premura, poi si voltò nuovamente verso di lui

- Vieni qui, amore.- allungò le braccia nella sua direzione. Lei incedette piano piano e quando fu abbastanza vicina, Tsubasa la strinse a sé, posando la guancia sul suo ventre. Si accucciò di fronte a lui, posando le mani sul su ginocchio. L’uomo le prese una mano e se la portò alle labbra.

- Ti stavo sognando lo sai?- le confessò.

- Ah, sì e cosa sognavi?- chiese maliziosamente.

- Di fare l’amore con la donna dei miei desideri.- rispose con un sorriso.

Sanae si alzò e sdraiandosi accanto a lui, lo attirò a sé per baciarlo.

- I sogni si realizzano, amore.- gli sussurrò all’orecchio.



* In Giappone la maggior età si raggiunge a 20 anni, ma l’affido di Elena è sotto la giurisdizione italiana, quindi compiuti i 18 anni scadono i termini.

Sorpresaaaaaaa! Eccomi con l’epilogo. Devo prostrarmi umilmente per il tempo che ho impiegato a scriverlo, ma mi è mancato il tempo e lo stato d’animo giusto.

Spero che vi faccia piacere…questo è davvero tutto.

Grazie a tutti i lettori/trici che mi hanno sostenuto in questi mesi.

Un caro saluto a tutti e alla prossima FF! Grazie EOS75!

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