Un mondo di cui non farò mai parte

di Lylawantsacracker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il peggior compleanno ***
Capitolo 3: *** Fuga ***
Capitolo 4: *** King's Cross ***
Capitolo 5: *** Una nuova vita ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Harry Potter era un bambino felice. Di lì a poco avrebbe festeggiato il compleanno, e a settembre sarebbe andato ad Hogwarts, una delle migliori scuole di magia europee.

Harry era nato quasi undici anni prima, il 31 luglio.  I suoi genitori erano James e Lily Potter, entrambi usciti dalla scuola con il massimo dei voti, ed entrambi Grifondoro. Inoltre avevano fatto parte dell’Ordine della Fenice, il gruppo di maghi che combatteva Voldemort, prima della scomparsa di quest’ultimo per mano del piccolo Neville Paciock. Harry era molto orgoglioso di loro, ed era contento che non ci avessero rimesso la pelle.

Spesso i Potter passavano il tempo con gli amici che avevano conosciuto a scuola, soprattutto con Remus e Sirius, che ormai facevano parte della famiglia. Harry li considerava come suoi zii; gli era profondamente affezionato.

La famiglia Potter viveva a Godric’s Hollow, uno dei tanti villaggi di maghi presenti in Gran Bretagna. In quel momento stavano ospitando i Weasley. Harry doveva alcuni dei suoi migliori ricordi a Ron, il figlio più giovane; erano amici ancora prima di iniziare a parlare e camminare. Avevano passato l’ultimo anno a parlare di Hogwarts, chiedendosi in quale casa sarebbero stati sorteggiati, e non vedendo l’ora di assistere alla prima partita di Quidditch del trimestre. Inoltre, stavano cercando di elaborare un piano per eludere la regola secondo cui gli studenti del primo anno non potevano entrare a far parte della squadra.

-… e poi si accorgeranno della mia grandissima abilità a Quidditch e diranno: “questa regola è proprio una cacchiata, cambiamola!” - aveva scherzato Ron. - Harry, cos’hai?

Harry era un po’ preoccupato. Quasi tutti i figli di maghi davano i primi segni di magia verso i sette-otto anni, mentre lui non aveva mai fatto nulla che rivelasse un qualche segno di potere magico. Temeva di essere un magono’, inoltre la sua lettera non era ancora arrivata. Quando aveva accennato le sue preoccupazioni a Ron, l’amico l’aveva rassicurato.

-Tranquillo Harry, mio cugino Barney ha avuto la certezza di essere un mago solo un mese prima di partire per Hogwars! Per quanto riguarda la lettera, beh, vedrai che si sarà persa. Te ne manderanno al più presto un’altra, ne sono sicuro.

Harry, un po’ più calmo, aveva chiesto a Ron di andare a giocare a scacchi magici, e i due amici si erano avviati verso il salotto.







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Allora, questa è la mia prima fanfiction su Harry Potter. Anzi, direi che è una delle mie prime fanfiction in assoluto, ho iniziato a scriverla un paio di mesi fa in contemporanea con quella su Supernatural.
Fatemi sapere cosa ne pensate, tutte le critiche sono ben accette (visto che ho ancora tanto tanto da imparara D:)

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Capitolo 2
*** Il peggior compleanno ***


La mattina del 31 luglio tutta la casa era in festa. Era piena di addobbi e festoni per il compleanno del Potter più giovane, i regali già perfettamente impacchettati e pronti sul tavolo della sala da pranzo; Lily e James erano rimasti svegli fino a tarda notte proprio per organizzare tutto.

Harry non aveva dormito molto. Si era svegliato verso le quattro del mattino e non aveva più ripreso sonno; avrebbe compiuto undici anni, e ciò significava che avrebbe finalmente raggiunto l’età per andare ad Hogwarts. Aveva passato il tempo a fantasticare sulla sua vita a scuola, ad immaginare il suo pazzo e geniale preside, Albus Silente, e ad avere già l’acquolina in bocca per il banchetto di inizio anno.

In quel momento, decise di scendere per bere un bicchiere d’acqua; l’ansia e l’eccitazione per la festa gli avevano fatto venire una gran sete.

Si alzò dal letto e si fece spazio tra i mucchi di vestiti sporchi per terra (era stato sempre piuttosto disordinato; era una delle poche cose che facevano davvero infuriare sua madre), quindi si avviò verso il piano di sotto.

Mentre percorreva il corridoio che lo separava dalle scale, udì delle voci nella stanza alla sua destra (poco più avanti della sua), quella dei suoi genitori. Curioso, decise di origliare, sapendo che se l’avessero sorpreso gli avrebbero fatto una gran predica.

-… no James, è troppo presto. Non è ancora pronto.- stava dicendo la madre.

-Troppo presto, Lily?- replicò James.  -Gli abbiamo mentito per undici anni, e ora subirà un enorme delusione perché lo abbiamo protetto per troppo tempo. Piuttosto, sei tu a non essere pronta. Come non lo sono io. Ma glielo dobbiamo, Lily. Lo dobbiamo a lui, e a John e Mary. Deve conoscere la sua vera identità.

Harry, piuttosto confuso e spaventato, premette ulteriormente il suo orecchio contro la serratura, per non perdersi neanche una parola di quel dicorso.

Lily sospirò, angosciata. -Lo so, hai ragione. Se i suoi genitori avessero saputo che abbiamo aspettato fino a questo momento per dirgli la verità, dopo anni e anni in cui lo abbiamo illuso di essere un mago come noi… di avergli fatto credere che ad undici anni sarebbe finalmente andato ad Hogwarts insieme ai suoi amici… Non ce la faccio James.. Non riesco a trovare il coraggio… ho paura di perderlo. 

-Lo so Lily, lo so. Ma come ho già detto, dobbiamo farlo. Abbiamo sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi. Comunque, torniamo a letto e parliamone domani sera, dopo la festa. Glielo diremo giovedì.

Harry rimase immobile davanti alla porta per almeno dieci minuti. Era pieno di orrore e confusione.

Come in trance, tornò in camera sua. Andò avanti e indietro per un’ora. Stava tremando.

Era disperato, confuso, deluso: come potevano avergli nascosto tutto questo per undici anni? Si sentiva ferito. Non sarebbe mai stato un Grifondoro; non avrebbe mai frequentato le lezioni di magia con Ron… E non sarebbe mai diventato un famoso Cercatore, cosa che aveva sognato da quando aveva quattro anni.

Era certo solo di una cosa: quel giorno non avrebbe potuto festeggiare il suo compleanno, e comportarsi come se non avesse sentito nulla. Probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a guardare in faccia i suoi genitori.

Ormai erano le sei, e stava sorgendo il sole. Un raggio illuminò un volume nella sua libreria; era il suo album di ricordi. Inferocito, lo prese e iniziò a strapparlo, buttando ciò che ne restava per terra. Voleva urlare, piangere, distruggere tutto. Ma non lo fece. Era come intorpidito.

Improvvisamente, ebbe una folle idea: fuggire. Senza fermarsi a riflettere, si precipitò a prendere uno zaino dall’armadio, e vi buttò disordinatamente alcuni suoi vestiti.

Andò in cucina, lentamente, attento a non svegliare nessuno, e prese biscotti, patatine e una bottiglia d’acqua dalla dispensa.

Stava per uscire di casa, quando si ricordò che avrebbe avuto bisogno di soldi. 

Tornò subito in camera sua, e iniziò a rovistare nel cassetto del comodino.

Trovò un paio di falci d’argento e un mucchietto di zellini di bronzo; non gli sarebbero mai bastati. Allora decise di prendere un po’ dei soldi di quelli che aveva sempre chiamato genitori. Purtroppo però, li tenevano nella loro stanza.

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Capitolo 3
*** Fuga ***


Per un istante, Harry pensò di andare alla Gringott, ma poi scartò l’idea ridendo nervosamente. Quindi fece un respiro profondo e decise di andare a prendere i soldi nella stanza dei genitori; sapeva, infatti, che tenevano un mucchio di galeoni e falci d’argento nel cassetto della biancheria. Cercando di non farsi prendere dal panico, si avviò verso la stanza dei genitori. Fortunatamente, la porta era socchiusa; Harry posò lo zaino a terra ed entrò, facendo attenzione a non fare il minimo rumore.

Lily e James dormivano profondamente, ed Harry si sentì un po’ più tranquillo. Poi, lentamente, si avvicinò al cassettone. Aprì il secondo cassetto, rovistò tra la biancheria intima, leggermente imbarazzato, e vi trovò il sacco con dentro i soldi. Ora, però, non fare rumore era diventato più difficile.

Harry sentì un colpo di tosse. Sudò freddo; pensava che si stessero svegliando. Preso dal panico, si mise il sacco di galeoni nei pantaloni, e si girò. Per fortuna, Lily e James non si erano svegliati. Sollevato, si apprestò ad uscire dalla stanza, quando improvvisamente inciampò, con un gran rimbombo di monete. I genitori si svegliarono all’istante.

- Cosa diamine è stato?- chiese James, ancora mezzo addormentato.

- Non ne ho id… Harry! Cosa ci fai lì a terra?! - esclamò Lily.

- Ehm… sono inciampato, scusate…

- Ma cosa ci fai qui sveglio? E’ prestissimo!- intervenne James.

-Ehm… scusatemi… è che ero così eccitato per la festa che mi sono svegliato, e non sono riuscito a riaddormentarmi! Pensavo che… ecco… pensavo che foste svegli anche voi, magari… volevo controllare! - mentì Harry, balbettando, mentre si rialzava e cercava di nascondere con le braccia il rigonfio causato dal sacco di galeoni.

Ma è prestissimo! - ripeté James, esasperato.

- Va bene, tesoro, ti perdoniamo solo perché oggi è il tuo compleanno. Ma… cosa c’è che non va? Hai mail di pancia?- chiese Lily, notando la posizione di Harry.

- Ehm, sì, in effetti dovrei proprio correre in bagno… ci vediamo più tardi!- rispose Harry. Poi si allontanò a passi veloci. Aveva il cuore a mille.

Ricordandosi di essersi dimenticato il cappotto, lo andò a prendere in camera. Poi, con lo zaino in spalla, scese le scale più velocemente che poteva senza fare rumore, ed uscì di casa.

L’aria gelida del mattino lo colpì come una coltellata sul viso. Camminò per un po’, per mettere più distanza possibile tra lui e la casa. Poi, stanco, si sedette su un marciapiede, aspettando che arrivasse il Nottetempo. Infatti, una decina di minuti dopo, l’autobus magico arrivò sfrecciando. Si fermò con una brusca frenata, e scese un ragazzo con un evidente problema di acne.

- Buongiorno, sono Stan Picchetto, il bigliettaio del Nottetempo, e… Cavolo, ma tu non sei il figlio dei Potter? Cosa ci fai qui tutto solo? Non è che stai scappando di casa? - chiese questi, sospettoso.

- Assolutamente no, sto solo andando a trovare un amico al Paiolo magico. - rispose Harry alla sfilza di domande del bigliettaio, mentendo con disinvoltura.

- Va be’, va be’, sali pure. Tanto non sono fatti miei.

Harry pagò il biglietto, e si accomodò sul letto, mentre l’autobus ripartiva a tutta velocità. Prese dallo zaino l’unico libro che aveva portato con sé, il suo preferito, ed iniziò a leggere. Tuttavia, non riusciva a concentrarsi.

La consapevolezza di tutto quello che aveva origliato lo travolse. Sentiva un gran peso sullo stomaco. Per un istante, pensò che sarebbe potuto rimanere, chiedere informazioni sui suoi veri genitori, e continuare a vivere con le persone che gli avevano sempre voluto bene, nonostante tutto… Ma poi si riprese. Avrebbe sempre avuto davanti quel mondo magico e stupefacente, senza mai poterlo toccare con le sue mani. Quel mondo di cui non avrebbe mai fatto parte. Avrebbe ascoltato Ron e i suoi amici sulle loro avventure ad Hogwarts, mentre lui sarebbe andato ad una banale scuola babbana. Non avrebbe sopportato tutto questo, ne era sicuro.

Iniziò a sentirsi stanco e assonnato, quindi ripose il libro nello zaino. Si stese sul letto, canticchiando “Tanti auguri a me, tanti auguri a me”. Poi si addormentò.

***

- Sveglia, quattrocchi! Siamo arrivati! - lo svegliò Stan Picchetto, scuotendolo.

- Va bene, va bene, ho capito. Sono sveglio. - disse Harry scocciato, mentre raccoglieva le sue cose.

L’autobus si era fermato esattamente davanti il Paiolo Magico. Harry scese dal Nottetempo, ed entrò subito nella locanda, dove ordinò una stanza.

L’oste lo scortò alla sua stanza. Harry vi entrò, e si gettò immediatamente sul letto, e si addormentò nuovamente.

Si svegliò a mezzogiorno passato. Si fece portare il pranzo in camera, poi decise di andare a Diagon Alley. Una sorta di addio a quel mondo che stava per lasciare per sempre. Osservò pieno di invidia e di tristezza le vetrine piene di manici di scopa, ingredienti per le pozioni, libri di incantesimi. Amareggiato, andò all’Emporio del Gufo, dove comprò una bellissima civetta. “Avrei proprio bisogno di un po’ di compagnia” pensò. L’animale era candido come la neve, e i suoi occhi erano di un bel giallo brillante. Decise di chiamarla Edvige.

Tornò al Paiolo Magico, nella sua stanza. All’ora di cena scese al piano inferiore. Harry impallidì; aveva scorto i suoi genitori che parlavano con l’oste al bancone. Quindi corse in camera sua, e decise di scappare dal balcone. Per fortuna, non si trovava troppo in alto, tuttavia avrebbe dovuto fare attenzione. Per prima cosa, gettò la gabbia di Edvige. Quest’ultima fischiò, furiosa. 

-Scusa, Edvige. - sussurrò Harry, anche se non poteva sentirlo. Poi prese lo zaino, e si calò dal balcone. Scalò il muro, e saltò a terra. 

Si stava massaggiando le ginocchia, che gli facevano un po’ male dopo l’impatto, quando all’improvviso sentì i suoi genitori gridare il suo nome, alle sue spalle. Senza voltarsi, Harry iniziò a correre. Corse per ore; o almeno così gli sembrava. Dopo un po’ si fermò, e si accorse di averli seminati. 

Iniziò a guardarsi intorno; era in una grande piazza. Di fronte a lui c’era un palazzo, con un enorme orologio. “Si chiama Big Ben o qualcosa di simile” rifletté. ” E’ un monumento babbano, l’ho visto una volta in foto.”

Harry si sedette su un marciapiede, con la gabbia della civetta accanto a lui.

- E adesso che faccio?- disse, tra sé e sé.

Edvige fischiò, come per rispondergli. Harry sorrise debolmente.

Intanto i passanti lo guardavano perplessi, a causa della civetta.

Harry pensò che ci fosse troppa gente, quindi si incamminò di nuovo, alla ricerca di un luogo più appartato.

Prese un autobus, e scese ad una fermata vicino ad un parco. Vi entrò; non c’era nessuno. Si sistemò come meglio poté su una panchina. Poi, sfinito, si addormentò.











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Sì, lo so, questa storia è parecchio improbabile :'D 

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Capitolo 4
*** King's Cross ***


Il mattino dopo si svegliò presto, sentendosi picchiettare sulle spalle. Aprì gli occhi, e vide un gufo reale con una lettera tra le zampe. Osservandolo, capì subito chi fosse il mittente. Infatti l'animale era Dandelion, il gufo che avevano a casa. 

Harry aprì la busta, ed iniziò a leggere la lettera.

Caro Harry,

dove sei? Per quale motivo sei scappato di casa?

Ti prego, rispondi a questa lettera. Io e tuo padre siamo molto in ansia.

Qualsiasi problema tu abbia, possiamo aiutarti. Dicci solo dove sei, e ti verremo a prendere.

Con amore

tua madre Lily.

Harry si sentì molto triste, per un momento. Poi utilizzò il retro della lettera per rispondere.

Tu non sei mia madre. E James non è mio padre.
Lo sapete benissimo.

Tanti saluti.

Poi riconsegnò la lettera al gufo, che ripartì.

Ora si sentiva di pessimo umore. Controvoglia, prese un paio di biscotti dallo zaino, ed iniziò a mangiucchiarli, a mo' di colazione.

Non si accorse del custode del parco, che lo osservava già da un po'.

- Ehi, ragazzino.- esordì questi. - Cosa ci fai qui tutto solo? Dove sono i tuoi genitori? Ho visto che stavi dormendo sulla panchina. Lo sai che è vietato?

Harry, ancora assonnato e confuso, non rispose a quella raffica di domande. Si limitò a prendere le sue cose, e ad avviarsi verso l'uscita. Si lasciò dietro solo la gabbia di Edvige, poiché aveva liberato la civetta, che lo seguiva in volo.

Il custode, però, non demordeva. Gli afferrò il braccio. - Eh no, tu ora mi rispondi, o devo segnalarti alla polizia per vagabondaggio. 

Harry riuscì a liberarsi dalla sua stretta, ed iniziò a correre. Sembrava che stesse diventando un'abitudine.

L'altro lo inseguì per un breve tratto, ma poi vi rinunciò.

- Sì, sì, corri pure!- gli urlò dietro. - Se ti rifai vivo, sono guai seri!

 

Iniziarono così i suoi giorni da vagabondo. Ben presto si accorse che con i suoi galeoni, falci e zellini non avebbe potuto acquistare nulla nel mondo babbano. Aveva intenzione di andare alla Gringott per cambiarli, ma per quanto si sforzasse a chiamare il Nottetempo, l'autobus non arrivava mai. Non riusciva ad andarci da solo, perché non aveva idea di come orientarsi. Inoltre, si era anche rotto gli occhiali, e con una lente sola tenuta insieme dallo scotch era difficile vedere bene.

Quando le sue scorte di viveri terminarono, iniziò a elemosinare cibo a ristoranti e pub, e nei giorni più miseri era costretto a frugare nei cassonetti. 

Nonostante la pessima vita che conduceva, aveva smesso di pentirsi della sua scelta. Certo, c'erano momenti in cui provava una nostalgia atroce per la sua vecchia vita. Le partite di Quidditch improvvisate in cortile, le festività magiche, la prospettiva di frequentare Hogwarts con Ron. Per non parlare di quella volta che erano andati a trovare Charlie in Romania, ed Harry aveva quasi rischiato di farsi arrostire da un drago! Il bambino sorrise, ripensandoci.

Ma quei tempi erano finiti. Ora doveva pensare alla sua sopravvivenza, visto che procurarsi da mangiare stava diventando sempre più arduo. Harry continuava a dimagrire, al contrario di Edvige, che era in gran forma grazie alla sua dieta di grandi e piccoli roditori. 

Come se non bastasse, Harry si stava preoccupando per l'arrivo imminente dell'autunno. Era già il primo di settembre, e il freddo sarebbe arrivato molto presto. Il tempo britannico non è uno dei migliori.

"Oh già, oggi parte l'Espresso per Hogwarts. Peggio per loro. Gli aspettano sette anni di studi e infinite ore di noia, mentre io sono qui a godermi la libertà, ha!" pensò Harry, mentre si toglieva una pulce dai capelli.

All'improvviso, riconobbe chiaramente la zona in cui si trovava. Era vicino la stazione di King's Cross. C'era andato tante volte con i suoi genitori, quando i figli dei loro amici dovevano andare ad Hogwarts. 
Erano le dieci e mezza, e il treno per la scuola di magia sarebbe partito alle undici e cinque.  Decise di andare a dare un occhiata; tanto chi l'avrebbe riconosciuto con quei vestiti laceri, e tutto quel sudiciume che aveva addosso? Inoltre, la sua magrezza era impressionante. Sembrava un'altra persona.

Quindi, tranquillamente, Harry si diresse verso la stazione dei treni, con Edvige in spalla.

***

Harry individuò subito i Weasley. Poco lontano da loro, c'erano James e Lily, che prendevano qualcosa alla macchinetta delle bibite. Avevano l'aria piuttosto provata.

Harry si avvicinò, coprendosi il volto per sicurezza, mentre la civetta faceva un giro della stazione.

-... no, davvero, non capisco quale sia stato il senso di venire qui. - stava dicendo James, esausto. - Probabilmente avrà anche scoperto di essere un babbano. Quindi non credo che si presenterebbe mai qui.

-Nel dubbio, è meglio controllare. - ribatté Lily, guardandosi intorno. Vide solo un bambino appoggiato ad una colonna, col volto seminascosto da una sciarpa. Era magrissimo e coperto di stracci. Turbata, gli si avvicinò.

-E tu cosa ci fai qui tutto solo?- gli chiese. -Come mai hai il volto coperto?

-Ho un gran mal di denti, signora. Non posso fare altro che coprirmi, perché non ho i soldi per curarmi. - mentì Harry tranquillamente, mascherando la voce.

- Lily, dovremmo andare. Arthur e gli altri sono già al binario. -la esortò James, incurante del bambino cencioso che si ritrovava davanti.

-Va bene, va bene, arrivo. -rispose Lily. Poi si rivolse ad Harry, e gli mise in mano una banconota da cinquanta sterline. - Tieni, piccolo. Con questi potrai prenderti qualcosa da mangiare, e magari darti anche una lavata. Ciao, e buona fortuna.

Lo guardò con tenerezza, e se ne andò.

Passato un primo momento di tristezza, Harry esultò. Innanzitutto aveva rimediato cinquanta sterline; poi, i suoi genitori non l'avevano riconosciuto! Soddisfatto, decise di andare a comprarsi un bel pranzetto al Mc Donald's. Non sarà stato il massimo del salutare, ma almeno era economico.

"Ma perché andarmene proprio adesso?" pensò. "A questo punto, potrei dare un'occhiata al binario. Il Mc Donald's può aspettare.

Quindi, deciso, corse verso il muro che separava i binari nove e dieci. La corsa, però, terminò con un tonfo fragoroso. Harry era a terra, confuso e dolorante.

-Giovanotto! Cosa si fa qui, ci si sollazza?*-esordì il proprietario dei piedi che si ritrovava davanti. Harry alzò lo sguardo. Era un uomo piuttosto attempato, dallo sguardo severo e con un paio di baffi degni di un vecchio tricheco. Indossava la divisa delle guardie della stazione. 

Intanto, si avvicinò un'altra guardia. -Ehi, Tom, ma questo non è il ragazzino pulcioso che se ne va in giro per Londra come se niente fosse? -disse. Poi si rivolse ad Harry. -Hai attirato un sacco di attenzione, bimbo. Ci hanno inviato almeno una cinquantina di segnalazioni.

Tom lo squadrava. -Bene. -esordì. -Tu vieni con noi, giovanotto.

Quindi gli afferrò il braccio, e iniziò a trascinarlo via.  Harry, disperato, fischiò per chiamare Edvige, ma era sparita.

Lo stomaco, intanto, si lamentava per la mancanza di cibo. Ma doveva rassegnarsi.
Non ci sarebbe stato alcun pranzo al Mc Donald's, quel giorno.

 

 

 

 

 

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*Sì, lo so, nessuno parla così al giorno d'oggi. Ma quando ho scritto la battuta ho riso come un'idiota, quindi l'ho lasciata così.

 

Ragazzi, mi fa molto piacere che seguiate questa storia e che la mettiate tra i preferiti! Ma non abbiate paura di lasciare qualche commento, mi farebbe molto piacere :3

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Capitolo 5
*** Una nuova vita ***


31 luglio 2005, Londra.

Era il venticinquesimo compleanno di Harry, che si stava crogiolando nel letto nonostante fossero le dieci di mattina. Va detto, però, che era domenica.
Harry sapeva che non avrebbe fatto nulla di speciale quel giorno, si sarebbe limitato a passare la giornata nel suo modesto appartamento, a dipingere e a suonare. Erano le due cose che preferiva fare in assoluto, sebbene non lo facessero guadagnare granché. In effetti il suo lavoro principale era quello di cameriere, durante la settimana, che lo impegnava tutta la giornata. La paga, però, era misera, e spesso nei weekend si arrangiava con altri lavoretti.
Squillò il cellulare. Harry, sbuffando, prese gli occhiali che stavano sul comodino accanto al letto e li indossò. Poi cercò il cellulare ovunque, mentre suonava in modo assordante. Alla fine lo trovò sotto l'armadio (chissà come era finito lì?) e rispose.

- Ce l'hai fatta a rispondere, dormiglione! - disse un'accesa voce femminile dall'altra parte del telefono. - Sono ore che ti chiamo!
- Astrid, è il mio compleanno, avrò diritto a dormire un po', no? - disse con voce assonnata, passandosi una mano fra i suoi capelli perennemente arruffati.
Astrid rise allegramente. - È per questo che ti ho chiamato! Tanti auguri, idiota! - esclamò vivacemente. - Inoltre, volevo invitarti fuori. Che ne dici di andare a festeggiare in un bel ristorantino italiano vicino casa mia? Ti offro io la cena, il compleanno è tuo.

Harry sospirò. Astrid aveva un debole per lui da anni, ma Harry non aveva mai ceduto alle sue avances. Lui non era tipo da storie serie, e teneva troppo a lei per farci sesso senza impegni. La vedeva più come una sorella; per questo, negli ultimi tempi, cercava di non darle troppo corda in modo che le passasse.
Ma a quanto pare, non le passava.

- Mi dispiace Astrid, oggi ho parecchio da fare. Sai, oggi che non lavoro vorrei dedicarmi a dipingere e a suonare la chitarra, se ci riesco. Sarà per un'altra volta.
- Va bene. - rispose la ragazza, avvilita. - Ci sentiamo, Harry. Tanti auguri ancora.

Dopo aver riagganciato, Harry decise di fare colazione. Andò in cucina, passando davanti alla fotografia che ritraeva lui a dodici anni. Era piuttosto teso in quella foto; a quei tempi viveva in un orfanotrofio. Dopo aver raccontato la sua infanzia, fu trasferito in una clinica psichiatrica poco tempo dopo. A quanto pare, i suoi genitori non l'avevano allevato nel migliore dei modi; anzi, gli avevano somministrato spesso droghe che hanno alterato la sua visione della realtà.
Dopo cure sempre più pesanti, era uscito dalla clinica a diciassette anni. Ormai non ricordava nulla della sua infanzia. Trascorse un altro anno in orfanotrofio, fino al compimento della maggiore età. Poi fu costretto a trovarsi un lavoro, ed andare a vivere da solo.
Harry vide che il frigo era quasi completamente vuoto, tranne per un paio di birre, una barretta di cioccolata ed un cartone di latte. Sospirando prese una sorsata di latte direttamente dal contenitore, ed iniziò a mangiare la cioccolata.
Si sedette al minuscolo e sporco tavolo. Pensò distrattamente che fosse l'ora di dargli una ripulita, poi guardò fuori. Era una splendida giornata di sole, e faceva piuttosto caldo. Una giornata di quelle che non si vedono spesso in Inghilterra, dove piove continuamente anche d'estate.
Harry decise che ne avrebbe approfittato. Ripose metà baretta nel frigo, e andò a farsi una doccia.

Si vestì, prese la chitarra da sotto il letto ed il portafoglio, ed uscì di casa.
Dopo aver preso l'autobus, scese alla fermata vicino l'Hyde Park, uno dei più grandi parchi della città. C'erano molte famiglie e gruppi di amici radunati sul prato; anche loro si stavano godendo la bella giornata.
Harry trovò un punto un po' meno affollato, e vi si sedette. Prese la chitarra ed iniziò a suonare ad occhi chiusi, canticchiando a bassa voce. Era in pace con se stesso.

Poi posò lo strumento, e prese un pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans logori. Non aveva molti soldi, ma quello era uno dei pochi vizi che si concedeva.
Si mise una sigaretta in bocca, ma non riusciva a trovare l'accendino. Sbuffando, si alzò, e decise di chiedere alle persone più vicine.
Accanto a lui c'erano un gruppo di ragazzi, probabilmente imparentati tra loro. Infatti avevano tutti capelli rosso acceso, ed il volto cosparso di lentiggini. Avevano qualcosa di vagamente familiare.
Si avvicinò a loro, insicuro. Notò che stavano facendo girare uno spinello tra loro.
Ogni tanto li fumava anche lui, gli spinelli, ma solo nei rari casi in cui riusciva a racimolare i soldi.
- Scusate ragazzi, avreste un accendino? Non trovo il mio.
- Certo. - rispose prontamente l'unica ragazza del gruppo, porgendogli l'accendino. Lo guardava in modo decisamente focoso. - Senti, ti va di sederti qui con noi?
Harry non seppe cosa rispondere. - Sì, dai, ti abbiamo sentito mentre suonavi. Suoni da Dio, cavoli! - esclamò uno dei ragazzi, seduto vicino ad un altro completamente identico a lui.
La ragazza gli sorrise, notando la sua esitazione. - Dài, non fare storie. È da prima che ti stiamo ascoltando. Suona per noi.
Harry le sorrise di rimando, timidamente. - Okay. - disse. Andò a recuperare la chitarra e si mise in cerchio con loro.
La ragazza si presentò subito. - Io sono Ginny Weasley, piacere.
La seguirono anche gli altri, che si chiamavano rispettivamente Fred, George, Bill, Charlie e Ron.
- Saremmo i fratelli Weasley al completo, se ci fosse anche quello zuccone di Percy. - disse Fred (o George?).
- Già, quell'idiota dice di essere troppo impegnato per trascorrere una domenica con noi. - intervenne George (o Fred?).
Harry non sapeva bene come rispondere, quindi si limitò a dire il suo nome. - Beh, in ogni caso i sono Harry.
- I tuoi capelli sono sempre così arruffati? - chiese Ron all'improvviso.
- Beh, sì. Non ci si può fare niente, rimangono sempre così disordinati. - gli rispose Harry sorridendo. Quel ragazzo aveva qualcosa di familiare, più di tutti gli altri.
Harry iniziò a suonare una canzone dei Beatles.
- Is there anybody going to listen to my story, all about the girl who came to stay... - iniziò a cantare. *
Ginny lo ascoltava con gli occhi chiusi e con la schiena poggiata all'albero dietro di lei.
Intanto il gruppo si era acceso un altro spinello, e Bill lo stava passando ad Harry.
- Vuoi?
- No, no, grazie, sto bene cos.. - disse, ma venne interrotto da Fred che glielo infilò in bocca di forza.
Harry aspirò profondamente, e subito si sentì più calmo e rilassato. Continuò a cantare.
- She's the kind of girl you want so much it makes you sorry, still you don't regret a single day...
Passò l'intero pomeriggio con loro, cantando, suonando e fumando a più non posso. Quando appresero che era il suo compleanno, gli cantarono "Tanti auguri" per circa una ventina di volte.
La sera arrivò presto, così come il momento dei saluti.
- Beh, noi dovremmo tornare a casa a cenare. Comunque siamo su facebook, aggiungici pure. – disse Charlie dandogli una forte pacca sulla spalla.
I Weasley andarono via, tranne Ginny, che disse loro che avrebbe cenato fuori. Ron apparve piuttosto seccato, ma Fred e George le fecero l'occhiolino all'unisono.
- Beh... - iniziò a dire lei, passandosi una mano fra i capelli. - Io avrei una certa fame. Ti va di mangiare fuori?
- Certamente. Offro io. - disse subito Harry, pentendosi all'istante. Non aveva che spiccioli. - Purtroppo non posso permettermi nulla di troppo costoso...
Ginny gli sorrise. - Tranquillo, ti capisco benissimo. Neanch'io posso permettermi nulla più di un McDonald, in questo periodo. Comunque tranquillo, non c'è bisogno che tu mi offra la cena.
- Mi dispiace, ma non voglio sentire proteste. - rispose Harry irremovibile, facendo ridere Ginny.
Si diressero al Burger King più vicino.
- Cosa mi racconti di te, Harry? Oggi siamo stati troppo impegnati a cantare e a farci senza parlare sul serio. - disse Ginny addentando un paio di patatine. - Non so nemmeno quale sia il tuo cognome.
- È Potter. - rispose Harry sorridendo.
Ginny assunse un'aria pensierosa. - Uhm. Degli amici di famiglia avevano un figlio di nome Harry, e facevano anche loro di cognome Potter. Scomparve quando aveva undici anni.
Harry alzò le spalle. - Che coincidenza. Anch'io me ne sono andato di casa quando ero piccolo. I miei erano dei delinquenti che mi somministravano varie droghe, e hanno alterato tutta la mia versione della realtà durante l'infanzia, che dopo molte cure non ricordo praticamente più. - disse con aria indifferente. Poi notò lo sguardo attonito di Ginny. - Scusa. Di solito non dico queste cose in giro, deve essere la droga che sta facendo ancora effetto.
Ginny gli mise una mano sul braccio, piena di tristezza. - Mi dispiace, Harry.
Harry gli sorrise, mettendo una mano sulla sua. - Tranquilla, non è niente. Ormai è passato.
Poi iniziarono a parlare del più e del meno, della facoltà di lettere che arebbe voluto frequentare lei, ma che era troppo povera per permettersi, e dei lavoretti che faceva lui per sostenersi.
Piena di allegria, Ginny descrisse la sua famiglia. Era un po' caotica e folle, ma la adorava. Le persone con cui stava meglio erano i due gemelli Fred e George, ed i suoi amici Hermione, Luna e Neville.
Harry notò che era molto attraente, con quegli occhi castano scuro e i capelli rossi illuminati dalle luci del locale. Una ciocca ribelle le cadde sul viso, e di istinto lui gliela scansò.
Lei gli sorrise imbarazzata, arrossendo leggermente.
Ben presto arrivò il momento di andarsene.
Dopo essersi scambiati i numeri di telefono , i due uscirono dal locale, ridendo allegramente.
- Vuoi che ti accompagni a casa? - chiese Harry.
- Non ce n'è bisogno, abito qui vicino. - rispose Ginny.
Harry si grattò la testa, imbarazzato. - Beh, allora buonanotte.
Ginny si sollevò e diede un leggero bacio sulla guancia di Harry. - Buonanotte.
Poi lo guardò andare via con le mani in tasca, e i capelli scompligliati dal vento.
Sorrise, e svanì nel nulla.









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* La canzone è Girl dei Beatles.

Allora, è da un po' che non aggiorno. Non la vedo proprio seguitissima, questa storia, quindi ho deciso di dare la precedenza alle altre che sto scrivendo. In ogni caso ho intenzione di finirla, non mi piace lasciare le cose a metà è,è

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26/06/2014

Mi fa molto piacere che la seguiate, per questo sono davvero mortificata di non riuscire ad aggiornare più spesso. È che adesso non ho troppe idee su questo fandom, avendo altre tre serie da portare avanti.
Quindi mi prendo un attimo di pausa, e mi dispiace davvero, perché il fatto che piaccia a qualcuno significa davvero tanto per me. 
Comunque la continuerò di sicuro, non mi piace lasciare le cose interrotte.

A presto, speriamo.

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