You Can't Run Forever

di Katie Who
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like Father Like Son ***
Capitolo 2: *** Too Close To Be Distant ***
Capitolo 3: *** Born from a God and a Miracle ***
Capitolo 4: *** Everything Changes Even You ***
Capitolo 5: *** A Step Closer To The Devil ***



Capitolo 1
*** Like Father Like Son ***


Bitten è finito. E io già sento la sua mancanza. Non li perdonerò mai se non avrà una meritatissima seconda stagione! Il finale è stato pazzesco!
Ma a parte ciò, veniamo alla storia. Nick è il mio personaggio preferito, così come lo era Antonio. (ancora non ho superato la cosa...) Avrei veramente voluto che lasciassero più spazio ai Sorrentino, ma non mi posso lamentare ci hanno dato molto materiale su cui immaginare! 
Devo avvisare, chiunque si vorrà prestare alla lettura della storia, che avrà una struttura un po' atipica. Ci saranno alcuni salti temporali, quindi armatevi di pazienza XD
Detto questo buona lettura e spero che vi piaccia :) 
I credits per l'icon vanno a me xP





 

 
“Sono mio padre, seconda edizione, riveduta ed ampliata.”
Valeriu Butulescu.
 






Bear Valley - Stoneheaven.
11:30 AM.
23 Aprile.

 

Jeremy Denvers ha la buona abitudine di svegliarsi presto la mattina. Di solito, ancor prima di bere un caffè, esce dal lato posteriore di Stoneheaven e corre nel grande bosco che circonda la villa, arrivando quasi ai confini della sua proprietà. Poi torna in casa ed inizia a preparare un pasto che definire abbondante, sarebbe minimizzare, sia per sé che per i tre ragazzi che al momento vivono con lui. Elena, Clay e Nick. Quella mattina però, aveva infranto la sua routine per rimanere in casa, seduto alla sua padronale scrivania, a controllare le bollette e gli arretrati. Essere un Alfa significava prendersi cura del Branco e quindi anche assicurarsi che non mancassero mai né luce né acqua calda, in quella grande casa. Il periodo non era certo dei migliori, anzi, avevano appena superato un attacco da parte dei Solitari che li aveva duramente provati, e non riuscivano a trovare Rachel, la donna che aspettava il figlio di Logan. Non era facile, soprattutto perché i suoi due più maturi compagni, gli erano stati portati via brutalmente nel giro di poche settimane. Antonio e Peter. Non c’era giorno che Jeremy non li ricordasse e che non ne sentisse la mancanza. Sentì dei rumori provenire dal piano di sopra, Elena si era svegliata. Sistemò la pila di buste e fogli sulla scrivania ed andò in cucina a salutare la ragazza. La trovò a bere un succo di frutta con indosso una delle camice di Clay.

«Buongiorno.» - gli disse la ragazza mentre lui iniziava a preparare la colazione. Di lì a poco sarebbe comparso anche Clayton, non rimaneva mai troppo a letto dopo che Elena se ne era andata. E proprio quando la ragazza stava finendo di apparecchiare, il ragazzo fece la sua comparsa in cucina, con i capelli spettinati e l’aria assonnata. 
«Nick?» - domandò Jeremy.
«Non credo si sveglierà prima di sera.» - gli rispose Clay. La notte prima non aveva sentito rincasare nessuno di loro, ma aveva smesso di preoccuparsi molto tempo fa. Elena e Clay si erano concessi un’uscita per staccare la spina dalla spirale di eventi che li aveva travolti negli ultimi mesi, e Nick aveva fatto lo stesso, ubriacandosi in chissà quale locale, se non proprio il suo. Se per Jeremy perdere Antonio aveva significato dover dire addio ad un fidato amico, per Nick il dolore aveva tutto un altro sapore. Quel ragazzo era cresciuto sempre e solo con suo padre accanto, ed aveva imparato da lui più di quanto non avesse mai voluto dimostrare. Da quando Antonio non c’era più, Nick aveva smesso di essere il ragazzo superficiale e donnaiolo, aveva preso il suo posto nel Branco, diventando il suo nuovo braccio destro. Ma le vecchie abitudini tornano a sedurti proprio quando ormai pensi di averle perse, e la sera prima doveva essere andata esattamente come immaginava. Qualche litro di alcool di troppo, una o più ragazze poco vestite, ed il resto era inutile immaginarlo, era solo grato che almeno fosse tornato a casa. Lui, Elena e Clay fecero colazione per lo più in silenzio, fatta eccezione per i sorrisi a mezza bocca che i due ragazzi si scambiavano quando credevano di non essere visti. C’erano molti argomenti che Jeremy avrebbe voluto affrontare con i ragazzi, ma tirare fuori i Solitari e Logan avrebbe rovinato quel raro momento di tranquillità. Lo squillo del cellulare arrivò provvidenziale, come a volergli suggerire di abbandonare quei pensieri. Lasciò le uova a friggere sul fuoco e raggiunse il mobile su cui aveva appoggiato il telefono, realizzando solo in quell’istante che non si trattava del suo cellulare.

«Ragazzi?» - domandò. Ma Elena aveva indosso solo una camicia e Clay i pantaloni della tuta. Lo squillo veniva dall’altra stanza, dal salone, dalla sua scrivania. C’erano due telefoni che lasciava accesi e chiusi nel primo cassetto a destra della scrivania, quelli di Peter ed Antonio. Dal suono non riusciva a dire quale dei due stesse squillando, ma avrebbe scommesso, su qualche vecchio amico di Peter. Restò quindi sorpreso vedendo che era quello di Antonio a suonare e vibrare senza sosta. Tutti loro avevano dei numeri personali, che servivano per comunicare con il Branco, o con gli alleati, i numeri che venivano dati ad altri finivano distrutti insieme a tutto il resto quando si doveva coprire una morte. Per questo era strano che ora quello di Antonio squillasse, tutte le persone che dovevano avere quel numero erano state informate dell’accaduto, non aveva senso chiamarlo.
«E’ il telefono di Antonio.» - disse Elena seguita da Clay raggiungendolo nella sala. - «Non rispondi?» - non c’era un nome, il numero era privato.
«Pronto?» - rispose Jeremy con decisione.
«Sono arrivata.» - gli disse una voce femminile al telefono. - «Ci vediamo più tardi in città, o devo venirti a prendere direttamente a Stoneheaven?» - Clay ed Elena si insospettirono sentendo che conosceva il luogo nel quale vivevano.
«Mi dispiace, mi ha confuso con Antonio.»  - rispose calmo Jeremy. - «Al momento non è disponibile, se mi dice il suo nome lo informerò della sua chiamata.»
«Ah!» - la donna era rimasta stupita. - «Il Signor Sorrentino non si trova a Bear Valley?»
«E’ partito per una vacanza e non ha portato con sé i telefoni. Non ho capito il suo nome…» - era strano che una donna avesse quel numero, ed anche Jeremy iniziava a trovare sospetta tutta quella familiarità.
«Sono Emily… Emily Howen. Avevo un appuntamento con il Signor Sorr-»  - sentendole dire il suo nome Jeremy aveva ricostruito i pezzi del puzzle. Ora era chiaro il motivo per cui avesse il numero privato di Antonio.
«Tu sei Emily?» - chiese di nuovo, quasi a volersi sincerare di aver sentito bene. Si voltò vedendo scendere Nick, assonnato e con i pantaloni del giorno prima sbottonati.
«Lo studio mi-» - Nick non si era accorto che Jeremy fosse al telefono, era entrato nel grande salone sbraitando e si ammutolì all’istante quando l’uomo gli fece cenno di tacere. Il ragazzo cercò negli sguardi di Clay ed Elena una spiegazione, ma anche loro non ne sapevano nulla.
«Incontriamoci alle quattro al bar in città. Non puoi sbagliare è l’unico.» - il fatto che Jeremy intendesse incontrarsi con lei aveva fatto crescere alle stelle la curiosità dei ragazzi.
«Di che si tratta?» - domandò subito Elena appena lo vide rimettere il cellulare di Antonio nel cassetto.
«Quello era il telefono di mio padre?» - Nick aveva chiesto di poterlo tenere lui, ma Jeremy aveva preferito non affliggergli l’ulteriore sofferenza di dover rispondere e spiegare, un numero indefinito di volte ciò che era successo. Quella conversazione però, non aveva nulla a che fare con i vecchi amici di Antonio o con il loro mondo, era una situazione completamente diversa.
«Preparati, oggi pomeriggio hai un appuntamento.» - gli disse Jeremy sedendosi alla scrivania.
«Credevo ci saresti andato tu.» - intervenne Clay.
«Lo studio legale ha mandato una mail a mio padre chiedendogli se confermava l’incontro.» - commentò il ragazzo sedendosi su una delle poltrone. - «Sembra che sia qualcosa di importante, lo ha fissato da almeno sei mesi.» - aggiunse con un sorriso amaro.
«Non possiamo evitarlo come al solito?» - domandò Elena accarezzando la schiena a Nick cercando di consolarlo da quel doloroso ricordo.
«Non questa volta. Antonio ha affidato ad Emily la gestione del vostro patrimonio, se vuoi continuare a vivere senza doverti preoccupare di nulla, devi per forza incontrarla.» - disse Jeremy. Ricordava bene quanto Antonio elogiasse le capacità di Emily. Quello di cui non era al corrente è che le avesse parlato di Stoneheaven, ma la cosa non lo stupiva.
«Considerando con cosa abbiamo a che fare ultimamente, se puoi levarti il pensiero di come gestire i tuoi soldi, magari è meglio andare.» - suggerì Elena. Nick doveva occuparsi di molte cose per il Branco, aveva trascurato gli affari di famiglia, gestendo il tutto abbastanza distrattamente e senza impegno. Se come diceva Jeremy questa donna era una persona a cui suo padre affidava quel genere di lavoro, poteva tornargli utile in quel momento.
«Vado a farmi una doccia.» - disse il ragazzo risalendo per le scale da cui era sceso poco prima. Suo padre era un uomo d’affari affermato e stimato, aveva azioni in moltissime società e quando il Branco non lo risucchiava nelle sue guerre, era sempre in giro per lavoro. Aveva girato il mondo e lui molto spesso era stato al suo fianco. Fatta eccezione per gli anni del college, che quasi non ricordava essendo stato per la maggior parte del tempo, completamente ubriaco. Aveva conosciuto moltissimi soci di suo padre, ed altrettanti collaboratori, ma questa Emily era la prima volta che la sentiva nominare. Non che fosse strano, suo padre tendeva ad evitare di farlo incontrare con le donne con cui lavorava. A differenza sua, era un uomo che preferiva mantenere separata la vita privata dal lavoro. E comunque tutte le donne con cui suo padre aveva intrattenuto rapporti di lavoro, non lo avevano mai interessato, troppo grandi, troppo noiose, o troppo serie. Jeremy aveva fissato l’appuntamento per le quattro, questo gli permise un altro paio di ore di riposo prima di essere costretto a prendere la macchina e raggiungere il centro della città. Entrò nel bar e cercò di individuare a senso chi potesse essere la donna che era riuscita a farlo uscire di casa nonostante il sonno. Conosceva i gusti di suo padre, si era già fatto un’immagine piuttosto precisa di come dovesse apparire. A parte i soliti cinque uomini di mezza età che bevevano birra, c’erano diverse donne, ma nessuna lo convinceva fino in fondo. Suo padre non avrebbe mai affidato la gestione del loro patrimonio ad una giovane in minigonna, né tantomeno ad una donna dalla discutibile permanente biondo platino. Poi ce n’era un’altra, seduta davanti alle finestre, dove tutti potevano ammirarla. Avrà avuto una quarantina d’anni ed un evidente paura d’invecchiare. Un trucco ben studiato, una scollatura provocante, unghie laccate, e la sigaretta accesa. Poteva essere lei. Si diresse deciso verso di lei, non li separavano più di una diecina di metri, ed indossò il suo miglior sorriso. Il lieve scampanellio della porta del bar che indicava l’arrivo di un nuovo cliente, una folata di profumo ed un paio di passi sottolineati dal ticchettio di un tacco, lo fecero rallentare. Era qualcosa di familiare, qualcosa di buono che non riusciva a ricordare. Nick era diretto verso la donna alla finestra, ma aveva fiutato l’arrivo di una possibile rivale alle sue spalle.

«Mi scusi sono Emily Howen, per caso qualcuno ha chiesto di me?» - domandò la donna appena entrata al barista. E quando la sentì ricordò chi era l’unica altra Emily di cui aveva mai avuto senso ricordare il nome. Dieci anni prima, nel Tennessee, il suo ultimo anno di liceo. Emily. Nick sorrise. Aveva sbagliato, la donna che avrebbe dovuto incontrare non era quella alla finestra. Si voltò per aggiornare l’immagine di lei che la sua mente ricordava. Non gli sarebbe bastata tutta l’immaginazione del mondo per indovinare i cambiamenti che il tempo aveva fatto su di lei. Aveva un tailleur nero ed un camicia bianca, perfettamente abbottonata. La gonna avvolgeva stretta le gambe fino al ginocchio e si apriva in uno spacco poco pronunciato sul retro. Le calze chiare lasciavano scoperta la gamba fino ad incontrare le scarpe, quelle si, erano proprio come le aveva immaginate, decolleté nere con un tacco vertiginoso ed un piccolo laccetto legato alla caviglia. Nick conosceva le donne, o meglio, conosceva il modo in cui le donne comunicavano al mondo i loro desideri e le loro intenzioni. Anche la donna alla finestra portava dei tacchi, ma l’intenzione era molto diversa da quella con cui li vedeva addosso ad Emily. L’intero look ed atteggiamento della ragazza dovevano supportare la sua serietà e la professionalità, non aveva intenzione di attirare le attenzioni del suo interlocutore. Non portava gioielli, solo un piccolo orologio che sbucava dalla manica del tailleur. L’aveva immaginata con i capelli legati, invece le onde marroni cadevano morbide lungo la schiena, e le coprivano per metà il volto. Ma ciò che veramente lo lasciava senza parole, era che fosse proprio lei. Dieci anni dopo, ma era lei, la sua Emily.  
 «Emily?» - la chiamò richiamandone l’attenzione. La ragazza si voltò a guardare chi fosse la persona a chiederlo, sperando con tutta se stessa, non uno degli ubriachi visti all’entrata. La voce non era la stessa che aveva sentito al telefono, e quando vide il ragazzo che glielo aveva domandato, non trattenne la sua mimica facciale, facendosi sfuggire un’espressione perplessa.
«Tu…» - dovette lasciare almeno un paio di minuti al suo cervello per immagazzinare la figura che aveva davanti. Non era assolutamente possibile che lui fosse lì. Non per incontrare lei, Antonio le aveva detto di avere un figlio, si, ma che aveva sette anni! Era stata una delle prime domande che gli aveva fatto quando aveva scoperto il suo cognome.   
«Sediamoci.» - le disse il ragazzo facendole strada verso il tavolo.
«Come è possibile?» - e di nuovo le sfuggì un’espressione dubbiosa. Per quale assurda ragione Antonio avrebbe dovuto mentirle su chi fosse suo figlio? Forse era stato proprio lui a chiederglielo.  Conosceva Antonio da anni, avevano stretto un rapporto di vera e propria amicizia, perché non le aveva mai detto che Nick era suo figlio? Avrebbe potuto rimanere scioccata a vita, ma erano passati dieci anni, non era più il momento per essere indecisa e titubante davanti a lui. Era andata lì per lavorare e quello avrebbe fatto. - «Tuo padre mi ha affidato la gestione del vostro patrimonio, ho bisogno di alcune autorizzazioni.» - Nick non le aveva tolto gli occhi di dosso. Continuava a fissarla incuriosito da tutti quei cambiamenti. Dopo dieci anni dal’ultima volta che si erano visti Emily voleva davvero parlare di lavoro? Tanto valeva assecondarla.
«E’ per questo che ti aveva dato appuntamento oggi?» - le chiese. Era difficile spiegare la natura degli appuntamenti ed in generale del rapporto che la legava ad Antonio Sorrentino. Era difficile farlo avendo scoperto che il figlio altro non era che una sua vecchia cotta, ignara quanto lei del rapporto con il padre. Emily bevve un sorso del tè ghiacciato e guardò ancora una volta Nick, doveva aver preso dalla madre, ma l’atteggiamento era sicuramente quello del padre.
«Si. Ci sono alcuni investimenti per cui ho bisogno della sua firma prima di procedere.» - disse tirando fuori dalla borsa una cartellina che passò a Nick. - «Mi aveva chiesto di preparare il tutto per questa data…» - il ragazzo non aveva assolutamente idea di cosa suo padre avesse chiesto o avesse intenzione di fare con quanto lei  gli stava mostrando. Il cerchio alla testa causato dalla sbronza della sera prima non era sparito e discutere di investimenti, finanza ed azioni non era certo la cosa migliore.
«Come hai conosciuto mio padre?» - le domandò interrompendo quella che si prospettava essere una lunga e noiosissima spiegazione a cui non aveva alcuna voglia di sottoporsi. Emily accarezzò il bicchiere gelato dal quale colarono sul tavolo alcune gocce d’acqua, sotto lo sguardo indagatore di Nick. Quella domanda confermava la sua intuizione, Antonio aveva tenuto entrambi all’oscuro della reciproca esistenza, e conoscendo il tipo d’uomo che era sicuramente l’aveva fatto per tutelare Nick.
«Al college, tenne una lezione per uno dei miei professori.» - Nick cercò di riesumare dalla memoria un qualche ricordo relativo ad un simile evento, ma il rapporto di suo padre con Emily continuava ad essere per lui una nube imperscrutabile. - «Mi chiese di scrivere una tesi su quella lezione. Quella fu la prima volta che lo incontrai.»
«E poi?» - improvvisamente lo incuriosiva scoprire di più di quella che sembrava essere una parte di vita che suo padre aveva tenuto oscurata. Si stava attaccando a quei racconti per sanare il vuoto che aveva lasciato in lui. Scoprire che suo padre aveva per anni lavorato con lei, avrebbe tormentato la sua mente per i prossimi decenni. Rimpianse di non essere mai stato più partecipe negli affari di famiglia, se lo avesse fatto forse avrebbe rivisto Emily molto prima.
«E poi è stato il mio primo cliente, appena ho iniziato a lavorare.» - rispose con un gran sorriso. - «Grazie a lui mi sono aperte molte porte.» - confessò. Suo padre doveva avere una qualche speciale simpatia per quella ragazza. Una simile a quella che aveva sentito lui per lei, ma conosceva suo padre troppo bene per sapere che non poteva essere un caso. Non si era trovato a lavorare con Emily, aveva voluto lei come sua dipendente, e come tutto ciò che Antonio Sorrentino aveva desiderato, era riuscito ad ottenerla. Emily si accorse troppo tardi che Nick aveva firmato i moduli senza che lei avesse potuto finire di spiegargli il contenuto, i rischi e le conseguenze.
«Erano solo questi?» - le domandò lui restituendole la cartella.
«Si e… Tuo padre mi ha detto che volevi aprire un locale. Mi ha chiesto di occuparmene per te, se sei d’accordo.» - il locale che avrebbe dovuto aprire e di cui non aveva avuto il coraggio di confessare l’acquisto ad Antonio fino a pochi giorni prima dello spiacevole evento.
«D’accordo, ti porto a farci un giro?» - finché Jeremy non lo richiamava a casa tanto valeva trascorrere con lei qualche ora. Infondo era più che una piacevole coincidenza averla rincontrata.  
«Certo.» - era una delle tante cose che Antonio le aveva insegnato. Mai decidere un investimento o un lavoro senza prima averlo visto da vicino. Osservò Nick durante tutto il tragitto fino al locale, era diverso dal padre, era impetuoso, aggressivo, irruento, più o meno lo stesso di dieci anni prima. Lo seguì nel palazzo in cui aveva deciso di aprire il locale, era ancora tutto da sistemare. C’erano teli di plastica ovunque, le pareti erano verniciate solo per metà, e l’impianto di illuminazione non era stato ultimato. - «Vedo che però gli alcolici sono già qui.» - disse accucciata dietro il bancone.
«Serviti pure.» - le disse lui prendendo una bottiglia.
«No grazie, sto lavorando.» - rispose abbandonando il bancone del bar e passando a controllare minuziosamente le finestre. Segnava ogni appunto su un blocco, mentre Nick la guardava bevendo. - «Antonio è andato in vacanza? Ne parlava sempre, ma non credevo avrebbe mai avuto il coraggio di prendersi una pausa…» - aggiunse guardandolo mandar giù un altro sorso prima di risponderle.
«Già… Un po’ di riposo gli farà bene.»  - continuava ad assecondare quella farsa, a fingersi due estranei quando fra di loro c’era molto, molto di più. Emily sembrava conoscere bene suo padre, al punto da meritarsi il suo numero privato e informazioni su Stoneheaven. Un trattamento sospetto per qualcuno attento e giudizioso come suo padre.
«Ama il suo lavoro, sono sicura che non resisterà a lungo senza.» - e Nick non avrebbe potuto essere più che d’accordo con lei, ma c’era una storia di copertura che doveva sostenere.
«Non ci giurerei, l’ultima volta che l’ho sentito era entusiasto… Potrebbe perfino decidere di ritirarsi.» - accompagnò quell’ennesima bugia con un altro sorso.
«Ha cambiato numero? Ho provato anche l’altro, ma lo da irraggiungibile.» - continuò lei passando accanto al ragazzo ed andando ad esaminare l’altra metà del locale.
«Non vuole che il lavoro lo raggiunga.» - le rispose Nick. Era bravo come Antonio, non lasciava trasparire nulla di quale fosse la realtà, ma Emily aveva avuto il suo stesso insegnante, ed in passato lo aveva osservato abbastanza da aver imparato a capire quando mentiva. Inoltre Antonio non si sarebbe mai assentato da un loro incontro, e non avrebbe mai mandato il figlio che le aveva tenuto nascosto ad incontrarla così all’improvviso.
«Quindi ti sei occupato tu degli investimenti ultimamente?» - domandò continuando a pungere lì dove sapeva che Nick sarebbe crollato. Entrò nei bagni del locale, erano abbastanza spettrali, ma una volta completati sarebbero stati magnifici, come tutto il resto. La sua voce raggiunse Nick portata dall’eco delle stanze vuote, era il momento della verità, qualunque risposta le avesse dato, avrebbe tradito quella facciata che stava cercando di propinarle.
«Cos’è che vuoi sapere veramente?» - le chiese arrivatole alle spalle. Emily indietreggiò di qualche passo, giusto per ristabilire una distanza accettabile fra di loro. Tentativo inutile dal momento che rimaneva comunque bloccata in un bagno.
«Mi stavo solo chiedendo perché un ragazzo capace e bello come te…» - avrebbe dovuto dire intelligente, ma il suo cervello iniziava a sabotarla. Tornava ad essere la quindicenne impedita, soprattutto se era costretta in uno spazio così piccolo proprio con lui. - «Avesse investito in titoli così evidentemente fallimentari.» - non aveva mai saputo mentire, ma Antonio le aveva insegnato come bluffare.
«A volte succede anche ai migliori.» - concluse lui lasciandola libera di uscire dal bagno in cui l’aveva imprigionata e dove per qualche istante i loro occhi avevano combattuto un guerra di resistenza. Non aveva bisogno di altro, aveva segnato tutto ciò che avrebbe dovuto fare. - «Ti consiglio di metterti d’accordo con Amanda, sarà lei a gestire il posto.»- aggiunse passandole un biglietto da visita. Jeremy lo stava chiamando, doveva tornare a Stoneheaven. Avrebbe interrogato Emily in un secondo momento.
«Perfetto la contatterò il prima possibile. Meglio non perdere altro tempo. » - disse avviandosi verso l’uscita.
«Sicura di poterti occupare di tutto?» - domandò prima di lasciarla andare via.
«Quando si lavora per tuo padre, bisogna essere in grado di fare qualunque cosa.» - rispose la ragazza salendo in macchina e salutandolo a sua volta. E se c’era qualcuna in grado di essere all’altezza delle aspettative di un Sorrentino quella era sicuramente Emily. Nick aveva intuito che sospettava qualcosa dell’improvvisa sparizione di suo padre, ma si muoveva in un terreno del tutto sconosciuto. La prima cosa da fare era cercare di capire, come quando e perché suo padre aveva allacciato dei rapporti proprio come lei. Era impossibile che non avesse messo in conto un loro incontro.  
«Sa o sospetta qualcosa!» - ripeté per l’ennesima volta a Jeremy, camminando nervosamente davanti il caminetto del salone. Aveva parlato di Emily solo a Clay, ma non gli aveva detto che si trattava della stessa persona. Sospettava invece che Jeremy lo avesse capito.
«Nik non hai alcuna prova…» - cercò di tranquillizzarlo Elena. - «Ti ha solo fatto qualche domanda.»
«Com’è possibile che Antonio la conosca da tutto questo tempo e nessuno di noi ne abbia mai sentito parlare?» - domandò Clay.
«Antonio non era tenuto a dirvi tutto.» - ribatté Jeremy. - «E finché non avremo delle prove, non sei autorizzato ad agire contro di lei.» - l’ordine di Jeremy era chiaro, Nick doveva darsi una calmata. - «Se come dici ha dei sospetti, qualunque tua azione, non farebbe altro che allarmarla di più.»
«Tu la conosci… Vero?» - chiese Nick avvicinandosi alla scrivania di Jeremy. - «Sai perché mio padre ha scelto lei. Qualunque cosa sia, devo saperla.» - Jeremy poteva immaginare quali idee avessero invaso la mente del ragazzo.
«Non è niente.» - gli rispose, ma era ovvio che vi fosse qualcosa sotto. - «Occupiamoci dei Solitari piuttosto.» - non era quello che suo padre gli aveva insegnato, non era il modo in cui lo aveva cresciuto. Nick doveva e voleva ascoltare ed ubbidire agli ordini di Jeremy, quindi se lui diceva che non c’era nulla, così doveva essere. Eppure quella sera la sua stanza gli stava stretta, il letto gli sembrava una prigione. Grazie ai sensi molto sviluppati aveva sentito l’uomo chiudere la porta della sua stanza da letto, dopo aver abbandonato il seminterrato. Jeremy era l’ultimo ad andare a dormire, faceva sempre il giro dell’intera villa, spegnendo le luci e chiudendo le finestre, ma era anche il primo a svegliarsi.  Per Nick era come uno zio, un secondo padre, avrebbe dato la vita per lui, proprio come aveva fatto suo padre. Si mosse con attenzione senza fare rumore, il cassetto della scrivania in cui Jeremy teneva i cellulari di Antonio e Peter era aperto, non c’era bisogno di chiuderlo a  chiave, perché nessuno di loro avrebbe mai disobbedito ad un suo ordine. E l’ordine che avevano era quello di non utilizzare quei telefoni. La lealtà era tutto ciò su cui si fondava quella strana ed atipica famiglia. Nick lo prese, poteva ancora sentirvi sopra l’odore del padre, ormai quasi del tutto scomparso. Scorse la rubrica, c’erano pochi numeri, tutti di persone che conosceva, altri lupi per la maggior parte, e poi c’era lei: Emily. Aveva preso ciò che gli serviva e poté tornare in camera. Il loro compito principale in quel momento era quello di rintracciare i Solitari e di assicurarsi che non potessero più nuocere al Branco. Non aveva confessato a nessuno degli altri d’aver preso il numero di Emily, non perché non si fidasse di Elena o Clay, ma perché aveva la sensazione che l’unico a sapere veramente qualcosa potesse essere Jeremy. E convincere Jeremy Denvers a parlare di qualcosa che non voleva rivelare, era presso che impossibile. Rintracciare i Solitari aveva occupato più tempo di quello che avrebbe voluto, Emily era in città da giorni e lui non era ancora riuscito a rivederla dopo il loro primo incontro. Sapeva che l’avrebbe trovata al locale, aveva fiutato il suo profumo passando per il bar della città, e poi lo aveva chiesto ad Amanda.  I lavori al locale erano ripresi e procedevano spediti, non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo, gli arrivavano solo le notifiche quando venivano utilizzati i soldi del suo conto. Era tardi, ma dalla strada vedeva le luci accese all’interno, nonostante i teli in plastica coprissero le finestre e lasciassero filtrare ben poco di quello che avveniva all’interno dell’edificio. Attraversò la strada e sentì un altro odore, meno piacevole di quello di Emily, e decisamente più pericoloso. Karl Marsten. Scostò il telo che fungeva da momentanea porta e l’odore della vernice gli bruciò nelle narici. Emily era arrampicata su una scala intenta ad appendere una delle fotografie di Elena che avrebbero arredato l’intera sala. Marsten era con lei, la guardava dal basso suggerendole come spostare il quadro per metterlo diritto ed in perfetto equilibrio.

«Marsten.» - ringhiò Nick attirandone l’attenzione. Il Solitario si era pentito e collaborava con il Branco, ma Nick non si fidava di lui, non si fidava di nessuno. Soprattutto non poteva tollerare che fosse così vicino ad Emily.
«Ecco il nostro proprietario.» - commentò l’uomo offrendo la sua mano alla ragazza come aiuto per scendere. - «Speravo di incontrarti.» - aggiunse poi. Non c’era alcun sistema di sicurezza dato che non c’era alcuna porta. Una volta superato il portone all’ingresso chiunque avrebbe potuto trovarsi lì. E per uno come Marsten sicuramente non era stato difficile.
«A quanto pare aveva ragione. E’ venuto.» - disse Emily tirando fuori dalla borsa dieci dollari ed infilandoli nel taschino dell’uomo. - «Vi lascio soli, se avete bisogno di me sono qui affianco.» - Nick e Marsten attesero che la ragazza sparisse dal loro campo visivo prima di ricominciare a parlare.
«Hai già chiamato i rinforzi?» - ironizzò l’uomo sedendosi ad uno degli sgabelli del bancone.
«Non ne vali la pena.» - commentò Nick avanzando nella sala poco illuminata. - «Se ti ritrovo qui, mi assicurerò di essere io ad onorare il desiderio di morte che Jeremy ti ha negato.» - l’uomo si lasciò sfuggire una risata, e sistemò meglio la giacca.
«Oh Nick ho sempre apprezzato la tua spavalderia… Non sono qui per le “nostre questioni”, avevo degli affari in sospeso con tuo padre, immagina quanto sono stato felice di scoprire che ora se ne occupa quel dolce bocconcino.» - Marsten era un uomo potente e scaltro, Nick se ne era sempre tenuto il più lontano possibile perché in ogni sua parola era nascosto un tranello mortale. - «Tuo padre l’ha davvero cresciuta bene.» - aggiunse sorridendo.
«Cosa vuoi dire?» - Nick aveva investigato su Emily, ma non aveva trovato nulla che potesse in qualche modo connetterla a suo padre, ad eccezione ovviamente del rapporto che aveva avuto con lui al liceo. I suoi genitori erano morti in un incidente d’auto quando lei aveva quattro anni, da allora aveva cambiato diverse famiglie affidatarie. Dopo il liceo era entrata a Yale, e da un controllo incrociato con alcuni collaboratori di suo padre aveva avuto la conferma che effettivamente aveva tenuto una lezione lì.
«Come sai non mi immischio nelle faccende del Branco.» - rispose l’uomo abbandonando lo sgabello e fermandosi a pochi passi da lui. - «Sono rimasto solo per un saluto.» - disse superandolo ed esitando ancora una volta. - «Ed anche per una scommessa. Ho provato ad estorcerle una cena, ma sembra che dovrò accontentarmi di questa banconota.» -  Nick non era sicuro di aver colto tutti i passaggi di quella conversazione, con Marsten era una cosa piuttosto comune. Ma c’era una cosa che gli ronzava in testa, ovvero il fatto che avesse descritto Emily come una questione del Branco.
«Emily!» - la chiamò facendo echeggiare la sua voce per tutto il locale. Era seduta alla scrivania dello studio ascrivere qualcosa al computer. L’aveva spaventata perché era sobbalzata.
«Il Signor Marsten se ne è andato?» - disse arrivando da lui. Non aveva l’aspetto professionale della prima volta. Aveva i capelli legati in una coda alta, delle scarpe basse che si erano macchiate di vernice, un paio di shorts ed una maglietta. Non aveva nemmeno l’aspetto della Emily che conosceva, non lo guardava più con gli occhi innamorati.
«Perché è venuto?» - le domandò.
«Voleva assicurarsi che tuo padre avesse ancora intenzione di vendergli le azioni della società-» - era una transazione di cui si era occupata mesi prima. Antonio voleva disfarsi di quella società ed il Signor Marsten era l’unico acquirente.
«No.» - disse Nick. - «Non vendo nulla a quell’uomo.»
«Non puoi tirarti indietro adesso, pagheresti una penale altissima per una società che è sull’orlo del fallimento!» - rispose lei alzando di qualche decibel il tono della voce.
«Ho detto, che non vendiamo.» - ripeté lui.
«E io ti sto dicendo che è meglio così. L’accordo è stato concluso con l’approvazione di tuo padre-» - era assurdo che volesse annullare quella vendita. Soprattutto senza conoscere nulla dei dettagli dell’accordo.
«Lavori per me ora. Quindi se io dico che non vendiamo, non vendiamo.» - la interruppe lui sedendosi su uno dei divani abbandonati a caso nella sala. Chissà se poteva sfruttare in altri modi quella sudditanza dovuta alle loro posizioni lavorative. Emily prese un profondo respiro, a volte le era capitato di discutere con Antonio su alcune scelte da prendere, ma mai nessuna era stata così smaccatamente sbagliata.
«D’accordo mi occuperò della questione.» - le ci sarebbero voluti giorni per sistemare il tutto. Senza contare che meno di un’ora fa aveva confermato la vendita al Signor Marsten, personalmente. Avrebbe veramente voluto elencare in ordine alfabetico le ragioni per cui quella scelta era delirante, ma una delle caratteristiche dei Sorrentino era la tenacia. Antonio non era mai indietreggiato di fronte a nulla una volta deciso qualcosa, ed il suo intuito le diceva che Nick aveva ereditato quel tratto dal padre. L’occhio le cadde sull’orologio a parete, non si era resa conto che fossero quasi le nove, aveva finito un’altra volta per buttare la serata dentro quel locale. - «Buonanotte.»
«Te ne vai?» - era andato lì solo per poter parlare con lei, e appena rimanevano soli lei si defilava.
«Non so tu, ma io è da stamattina alle sei che sono in piedi a lavorare, quindi si, me ne vado.» - disse lasciando Nick da solo nella grande sala. Mancava solo l’arredamento per completarla e le porte che sarebbero arrivate fra pochi giorni. Ci aveva lavorato senza sosta per settimane, perché era così che faceva quando c’era un nuovo lavoro da portare a termine. Ci si buttava a capofitto, senza orari, senza limiti, senza freni. Nick restò immobile sul divano, ascoltando Emily uscire e mettere in moto la macchina. La vecchia Emily avrebbe anelato a passare del tempo extra con lui, mentre invece ora lo aveva liquidato senza troppi problemi. Appena fu certo che la ragazza se ne fosse andata salì al secondo piano ed entrò nello studio. Collegò la sua pennetta al computer e controllò di nuovo i dati che aveva ricevuto su di lei. Era originaria del Wisconsin, da quello che ricordava né lui né suo padre c’erano neppure mai stati, l’ultima famiglia a cui era stata affidata non risultava in nessuno dei loro archivi. Il che significava che non avevano mai incrociato la strada di nessun Branco. L’ultimo anno del liceo suo padre aveva avuto molto da fare e tornava raramente a casa, era impossibile che si fosse accorto di Emily, soprattutto del fatto che aveva provato qualcosa per lei. Doveva averla incontrata per caso, e poi aveva deciso di aiutarla per ringraziarla di quello che aveva fatto per lui in passato. Ma poi c’erano le parole di Marsten, quel “l’ha cresciuta bene” che metteva in ballo un rapporto più intimo, più personale. C’era solo una cosa che avrebbe fatto quadrare tutti i pezzi di quel puzzle. Ma si rifiutava di credere che suo padre e Jeremy gli avessero nascosto una simile verità. Durante il tragitto di ritorno verso Stoneheaven, Clay lo chiamò informandolo che alcuni Solitari erano tornati in città, Elena ne aveva fiutato l’odore e seguito gli spostamenti fino a quello che doveva essere diventato il loro nuovo rifugio. Avrebbero presto organizzato un assalto per metterli definitivamente fuori gioco. Nonostante avessero sconfitto Santos ed i suoi continuavano ad essere attaccati da alcuni Solitari, anche se tutti sapevano che il vero problema era il ritorno dal mondo dei morti di Malcolm Danver.  

«Marsten è venuto al locale, voleva parlare di una vendita.» - disse entrando in casa e raggiungendo gli altri in cucina.
«Da solo?» - gli domandò Jeremy.
«Si, ha aiutato Emily ad appendere i quadri.» - commentò il ragazzo.
«Emily? Pensi che possa essere in combutta con  i Solitari?» - chiese Elena, ma Jeremy non rispose.
«Inizia ad essere in mezzo a troppe circostanze sospette, non dovremmo farle qualche domanda?» - propose Clay.
«Concentriamoci sui loro spostamenti e cerchiamo di capire cosa li abbia fatti tornare in città.» - disse Jeremy salendo al piano di sopra.
«Sta nascondendo qualcosa.» - disse Nick.
«Probabilmente è meglio così.» - gli rispose Clay appoggiando una pacca sulla spalla. Erano amici da sempre, quasi due fratelli. Erano abituati alle omissioni di Jeremy, tanto quanto a quelle di suo padre quando ancora era in vita. Si erano sempre rivelate la scelta migliore per il Branco, per questo non avevano mai questionato. Eppure Nick voleva vederci chiaro in quella faccenda, scoprire perché suo padre si era preso così tanto disturbo per Emily. E perché Jeremy evitava di dire la verità.  
«Magari posso provare a parlarle io. Un’amichevole incontro fra ragazze.» - aggiunse Elena. E quella proposta lo rassicurò. Con una ragazza forse Emily si sarebbe lasciata sfuggire qualche informazione utile. O quantomeno avrebbe abbassato la guardia che teneva sempre alta con lui. Emily, quando non era in giro per il mondo ad occuparsi degli affari dei suoi clienti, aveva un appartamento ad Hamilton una città non troppo lontana da Toronto. Si era trasferita lì mettendo fra lei e la sua famiglia affidataria svariati chilometri ed un confine. Gli Howen non erano una brutta famiglia, anzi, non le avevano mai fatto mancare nulla, ogni suo desiderio era sempre stato esaudito, ma aveva sempre avuto la sensazione che non l’avessero tenuta con loro per affetto. Dopo qualche mese da quando l’avevano presa in affidamento il Signor Howen venne licenziato e lei fu riconsegnata ai servizi sociali. Un’abitudine fin troppo consolidata. Si stupì quando tornarono a prenderla, non chiese mai le ragioni di quel gesto, volle illudersi che fosse stato per affetto.  Da quando aveva iniziato ad occuparsi del locale di Nick aveva preso una camera in affitto nel motel di Bear Valley. Le serviva un posto nel quale potersi fare una doccia, dopo l’ennesima giornata passata ad occuparsi di quella nuova avventura imprenditoriale in cui il giovane Sorrentino sembrava volersi lanciare, senza troppa attenzione. Si domandò quanto tempo sarebbe stato in grado di farla durare. E mentre l’acqua della doccia si alternava fra il tiepido ed il freddo, pensò che Karl Marsten non sarebbe stato affatto contento di sapere del cambio di rotta che avrebbero preso i loro accordi. Ma non era la prima volta che si trovava in una situazione spiacevole, era brava nel suo lavoro, in qualche modo se la sarebbe cavata. Quello che continuava a non convincerla era l’assenza di comunicazioni da parte di Antonio. A quest’ora Nick doveva averlo avvertito del loro incontro ed era impossibile che lui non la chiamasse. Non sapendo che il ragazzo aveva fatto lo stesso con lei, aveva scavato leggermente più a fondo nei dettagli sulla partenza di Antonio e quello che aveva scoperto era che in realtà nessuno lo aveva visto né prendere effettivamente l’aereo né arrivare a destinazione. Conosceva bene il modus operandi di Antonio, si stava nascondendo, stava sparendo, ma perché e soprattutto da chi? Si buttò sul letto fissando la parete bianca del soffitto. I muri erano così sottili che se si concentrava poteva sentire la televisione accesa nella stanza accanto alla sua. Aveva dimenticato di chiudere le tende, e la luce dei lampioni della strada illuminavano per metà quella piccola camera. Guardando fuori si vedevano delle colline con alcune case, Bear Valley doveva essere proprio una cittadina tranquilla in cui vivere. Non il genere di posto in cui si aspettava di rincontrare Nick Sorrentino. La vibrazione del telefono la spaventò a morte, perché si propagò lungo tutto il mobile assomigliando ad un terremoto.

«Pronto?» - rispose tirandosi su e mettendosi a sedere sul letto.
«Nick.» -  le disse il ragazzo al telefono. - «Domani pomeriggio vediamoci al locale devo chiederti alcune cose.»
«Domani? Devo tornare allo studio per iniziare la pratica di recessione dal contratto con Marsten…» - disse arrivando alla sedia su cui aveva appoggiato la borsa e tirandone fuori la sua agenda.
«Lascia stare Marsten, vediamoci domani.» - l’avrebbe fatta impazzire. Non meno di un paio di ore fa le aveva chiaramente fatto intendere di non voler concludere quell’accordo con Marsten ed adesso sembrava non importargliene più nulla. Appena avrebbe rivisto Antonio lo avrebbe pregato di non farla lavorare mai più con lui.
«Ok allora-» - non le diede il tempo di finire. Voleva metterlo al corrente che allora avrebbe spostato a domani mattina l’arrivo dei mobili, ma Nick Sorrentino non aveva mai avuto la pazienza di farle finire una spiegazione. L’unica ragione per cui non aveva ancora piazzato una cinquina su quel viso da impertinente era l’immenso affetto che nutriva per il padre. Ed il fatto che era rimasto bello esattamente come lo ricordava, anzi forse perfino di più. Guardò lo sfondo del suo telefono rimpiangendo il giorno in cui aveva lasciato Hamilton e preparandosi psicologicamente a trascorrere l’ennesima giornata chiusa in quel locale. Prima di addormentarsi inviò una mail alla ditta dei mobili, fortunatamente a Bear Valley non c’erano molti ordini e furono ben lieti di assecondare la sua richiesta spostando l’appuntamento alla mattina dopo. I mobili vennero consegnati in orario, li scaricarono sul fondo del locale, ed Emily diede agli operai le istruzioni sulla sistemazione. Un’altra abissale differenza fra Nick ed Antonio nel campo lavorativo era la puntualità. Antonio stabiliva sempre precisamente i modi ed i tempi per ogni cosa, mentre Nick non le aveva detto a che ora si sarebbe degnato di raggiungere il locale. Lasciò che gli operai tornassero prima a casa, dal momento che li aveva richiamati all’ultimo momento e poi attese per delle interminabili ore l’arrivo del ragazzo. Quando Nick arrivò Emily lo vide dal modo in cui la guardava che c’era veramente qualcosa di serio di cui voleva discutere. Sperò con tutta se stessa che non si trattasse nuovamente di qualche investimento fallimentare.
«Vuoi?» - le disse offrendole da bere. Doveva avere una qualche dipendenza dall’alcool, forse era per quello che si era aperto un locale. - «L’orario di lavoro è finito puoi concedertelo.»
«No grazie, preferisco di no.» - era inutile cercare di spiegargli che il suo lavoro non aveva orari, e che grazie alle sue ultime, discutibili, scelte imprenditoriali, le aveva reso il tutto ancor più complicato e stressante. - «Di cosa volevi parlarmi?» - domandò sedendosi accanto a lui nei divanetti posizionati a ridosso delle vetrate.
«Marsten… Non lo avevi mai incontrato prima di ieri?» - Emily si prese qualche istante prima di rispondere. Nick aveva intenzione di chiederle quando aveva incontrato per la prima volta ogni persona con cui era in contatto? Perché la lista sarebbe stata veramente lunga.
«Ieri è stata la prima volta che l’ho incontrato di persona. Ho scambiato qualche e-mail con il suo rappresentante legale in passato, ma nient’altro.» - le capitava spesso di concludere affari senza mai dover fisicamente incontrare il suo acquirente o compratore. Faceva parte del bello delle nuove tecnologie.
«E’ stato mio padre a parlarti di Stoneheaven?» - Nick sapeva che avrebbe dovuto seguire il suggerimento di Elena e lasciare che si occupasse lei di parlare con Emily. Ma si trattava di una questione personale sua e di suo padre, e  voleva essere il primo a scoprire la verità.
«Chi altro avrebbe potuto?» - rispose la ragazza sorridendo. - «Era questo che dovevi chiedermi?» - gli occhi azzurri del ragazzo la penetrarono come due lance di ghiaccio. No, non era solo quello che voleva chiederle.
«Giù!» - le gridò spingendola a terra. Quello che accadde dopo fu molto confuso. Sentì degli spari e vide le grosse vetrate creparsi e poi frantumarsi crollandole addosso. Sarebbe stata trafitta da un numero imprecisato di vetri se Nick non le avesse fatto scudo. Fu una questione di secondi, ma a lei sembrò durare un’ora. Quando riaprì gli occhi Nick era ancora sopra di lei, aveva alcuni vetri impigliati nei capelli. Rimasero immobili, stesi sul pavimento circondati dalle vetrate fatte a pezzi dagli spari, per qualche attimo, e quando furono certi che fosse sicuro provarono ad alzarsi. Appoggiò una mano a terra senza fare troppa attenzione e si tagliò.
«Che cavolo è successo?» - chiese con la voce che le tremava.
«Ce ne dobbiamo andare.» - le disse il ragazzo. E lo mise a fuoco in quel momento che aveva la camicia azzurra impregnata di sangue. Lo avevano colpito alla spalla e diversi vetri si erano conficcati nella schiena. Emily corse a prendere la borsa che aveva lasciato appoggiata sul bancone, doveva chiamare subito un ambulanza. - «Non chiamare nessuno, portami a Stoneheaven.» - le disse Nick che cercava di alzarsi.
«Cosa? Ti hanno sparato devi andare in ospedale!» - rispose iniziando a chiamare. Il centralino dell’ospedale rispose quasi subito, ma prima che riuscisse a dare il loro indirizzo Nick le tolse il telefono dalle mani buttandolo a terra e calpestandolo.
«Stoneheaven.» - ripeté crollandole addosso. Lo sostenne evitando di cadere a terra sotto il suo peso. Era impossibile per lei riuscire a spostarlo da sola. Non solo era pesante, ma era molto più alto di lei.
«Ok, ok, Stonheaven, ma mi devi aiutare a portarti in macchina.» - gli disse cercando di fare qualche passo verso l’uscita. Nick era quasi incosciente, riusciva a malapena a muoversi. Gli teneva un braccio dietro la schiena ed a volte quando le sembrava che le stesse scivolando lo muoveva sbattendo contro i vetri conficcati nella schiena, facendolo ringhiare di dolore. La macchina era proprio davanti all’entrata del locale, pochi metri che però sembravano chilometri. Nick lasciava una scia di sangue dietro di sé ed a lei veniva da piangere. Lo mise sul sedile posteriore con la schiena rivolta verso l’alto. Poi salì al posto di guida e mise in moto, solo dopo qualche minuto realizzò di non avere la più pallida idea di dove fosse Stoneheaven. Si ricordò di quando Antonio gliene aveva parlato la prima volta, l’aveva descritta come un enorme villa, circondata da un giardino così sconfinato da essere un vero e proprio bosco. Era fuori dal centro abitato a ridosso delle colline, lontano da ogni altra abitazione. Era un luogo in cui si stava in pace, dove non andava mai nessuno. Prese allora la strada che portava verso le colline e si lasciò guidare dal suo intuito, sperando che non la tradisse. La strada alberata si concludeva davanti ad un imponente cancello, lo superò senza nemmeno fermarsi. Lesse di sfuggita le lettere incise nella pietra: SH. Potevano significare qualunque cosa, ma volle credere con tutta se stessa di aver trovato veramente Stoneheaven. La villa che si trovò davanti era effettivamente enorme e tre persone uscirono di casa proprio mentre lei arrivava.

«Portatelo dentro.» - disse il più grande ai due ragazzi che tirarono fuori Nick dalla macchina. Lo conoscevano, non aveva sbagliato posto.
«Io…Non…Ci hanno sparato… Avevo…» - tremava appoggiata allo sportello della macchina. Non riusciva nemmeno a spiegare cosa fosse successo, ma a giudicare dalla prontezza con cui quelle persone avevano reagito probabilmente non ce n’era bisogno. Tutti erano entrati in quella enorme casa, seguendo il corpo di Nick, e fece lo stesso anche lei, seguendo le gocce di sangue che macchiavano il pavimento. Arrivò nell’immensa cucina, Antonio l’aveva descritta come il cuore pulsante della casa, dove tutti si ritrovavano per fare colazione. Aveva desiderato visitarla un giorno, non si sarebbe mai aspettata che lo avrebbe fatto in circostanze simili. Nick era stato disteso sul grande tavolo di legno e lo stavano medicando, o almeno così sembrava.
«Jeremy il proiettile è ancora dentro!» - disse la ragazza dai capelli biondi. L’uomo lo estrasse usando delle pinze. E a lei salì un conato di vomito.
«Clay dobbiamo fargli una trasfusione!» - disse poi all’altro ragazzo. - «Elena occupati di lei.» - la ragazza si diresse verso di lei portandola fuori dalla cucina.
«Sei ferita?» - le chiese.
«No, io…» - trattenne ancora le lacrime. - «Se la caverà? Non è voluto andare in ospedale…»
«Starà bene, hai fatto la cosa giusta a portarlo qui.» - Elena la condusse nella stanza accanto. Un ampio salone arredato con del legno scuro, al termine del quale vi era un caminetto sormontato dalla testa di un grande cervo. - «Aspetta qui.» - le disse poi scomparendo in un corridoio. Clay e Jeremy si erano trovati spesso a dover medicare dei compagni. Nick se la sarebbe cavata con un po’ di punti e qualche giorno di riposo. Lo sparo lo aveva colpito alla spalla ed un altro gli aveva lisciato il braccio, era stato fortunato che non l’avessero preso al cuore. I vetri nella schiena una volta estratti e medicati avrebbero solo lasciato delle cicatrici, ma non avevano danneggiato nessun organo vitale.
«Sembra che te la caverai anche questa volta.» - gli disse Clay mentre lentamente tornava ad essere vigile. La trasfusione stava funzionando.
«Chi è stato?» - gli domandò Jeremy  pur conoscendo già la risposta.
«I Solitari.» - rispose il ragazzo cercando di tirarsi su. - «Lei sta bene?»
«Sta bene.» - rispose Clay aiutandolo. - «Non muoverti troppo o rovinerai le mie cuciture.» - tutti e tre gli uomini risero mentre Elena guardava Emily bere la tisana. Poteva immaginare quanto dovesse essere stato scioccante per quella ragazza trovarsi coinvolta in quella che purtroppo era invece la loro quotidianità. La guardava fissare con lo sguardo perso nel vuoto il liquido nella tazza, la stringeva come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
«Ti sei tagliata la mano? Fammi vedere.» - disse la bionda notando le gocce di sangue che cadevano sul pavimento. Era difficile capire quale di tutto il sangue che avesse addosso fosse suo e quale di Nick.
«Nick sta bene, se vuoi…» - Jeremy le aveva raggiunte nel salone, si stava pulendo le mani sporche di sangue con un asciugamano giallo. Emily lo superò quasi correndo, diretta verso la cucina. - «Immagino volesse.» - commentò l’uomo. Nick se ne stava seduto sul tavolo sporco di sangue, con ancora i tubi per la trasfusione infilati nelle vene. La spalla era completamente fasciata, e sulla schiena aveva diverse bende a coprire i tagli più profondi. Emily comparve sulla porta della cucina, spaventata e tremante.
«Stai bene?» - gli chiese con un filo di voce. - «Stupido pazzo bastardo!» - aggiunse poi scatenando la risata di Clay. Nick trattenne la smorfia di dolore per quell’abbraccio che aveva la violenza di un pugno. Aveva notato la camicetta semi aperta, sporca e stropicciata. I capelli arruffati, il trucco colato, ora era quasi come la quindicenne che aveva conosciuto. E di tutte le volte in cui Emily avrebbe  voluto veramente insultarlo, aveva scelto proprio quella. Al diavolo la professionalità, l’affetto per Antonio, la sua educazione, Nick era uno stupido, un pazzo ed un bastardo.
«Clay passami il disinfettante e la garza.» - disse tenendola ancora stretta a sé. Era un atteggiamento fin troppo confidenziale per essere una ragazza che Nick aveva appena conosciuto, ma Clay non vi prestò più di tanta attenzione.
«Mi hai distrutto il cellulare e macchiato la macchina.» - disse Emily allontanandosi da lui e cercando di ricomporsi.
«Dammi la mano.» - rispose lui prendendo il disinfettante. Le tremavano le mani, oltre che la voce e gli occhi. Non voleva dargliela. Ma Nick se la prese quasi a forza, e le aprì il pugno che teneva stretto rivelando il taglio. Non era una ferita profonda, ma sanguinava molto soprattutto perché lei continuava a voler chiudere la mano. Le bruciò un po’ il disinfettante, ma anche se provava, Nick non le lasciava possibilità di fuga. Le medicò il taglio, avvolgendole la mano nella garza bianca.
«Credevo fossi specializzato in management imprenditoriale non in medicina.» - commentò mentre il ragazzo fermava la garza, sorridendo.  Si era informata su di lui proprio come lui aveva fatto su di lei.
«Elena ti mostrerà la tua stanza.» - disse Jeremy raggiungendoli.
«Resterà qui?» - domandò di getto Clay.
«Elena…» - la ragazza le fece cenno di seguirla, ed Emily obbedì lasciando nuovamente i tre uomini da soli. - «Resterà per questa notte.» - specificò Jeremy.
«Come sapevano che sarei andato al locale oggi pomeriggio?» - domandò Nick.
«Non lo sapevano.» - disse Clay. - «Hanno colpito solo per farci avere un messaggio. Probabilmente se non fossi stato lì Emily sarebbe morta.»
«Devo proteggerla.» - biascicò a mezza bocca Nick. - «Per mio padre.» - si scambiò un lungo sguardo con Jeremy.
«Può restare…» - disse l’uomo. - «Tutto il tempo che serve.» - aggiunse per poi scendere nel seminterrato.
«Farla rimanere a Stoneheaven? Dev’essere davvero qualcuno di speciale se Jeremy le permette di restare.» - disse Clay staccando Nick dalla trasfusione.
«Era importante per mio padre. L’ha  seguita da quando i suoi genitori sono morti, se ne è preso cura.» - disse Nick confidando all’amico quanto aveva scoperto. Conti bancari, versamenti, donazioni alle scuole, non c’era nulla che Antonio sorrentino non avesse fatto per aiutare Emily.
«Antonio era un brav’uomo, ma non credevo si prendesse cura degli orfani.» - commentò Clay accompagnandolo al piano di sopra dove c’era la sua stanza.
«Ha mantenuto la famiglia che l’aveva presa in affidamento per evitare che continuasse ad essere rimandata ai servizi sociali, le ha perfino pagato il college…» - continuò Nick stendendosi sul letto. - «Ti viene in mente una ragione per cui abbia dovuto farlo?» - quello era il pezzo del puzzle che a lui era mancato quando suo padre aveva di punto in bianco deciso di trasferirsi a Nashville nel Tennessee.
«Non ne ho idea, non ne ha mai fatto parola.» - disse il ragazzo.
«Credo che possa essere mia sorella.» - alla fine Nick diede voce ai dubbi che lo avevano agitato in quei giorni.  
«Cosa?» - Clay si sedette sul letto di Nick cercando di immagazzinare la notizia appena ricevuta.
«Niente oltre questo potrebbe collegarla a mio padre.» - spiegò. - «Forse l’avventura di una notte.» - ed era una prospettiva terribile considerando quello che c’era stato fra lui ed Emily.
«E perché non te ne ha mai parlato?» - domandò giustamente Clayton.
«Forse voleva proteggerla da tutto questo.» - se fosse rimasta lontano da Bear Valley, da Stoneheaven e da lui, non si sarebbe mai trovata in mezzo ad una sparatoria. Era anche la ragione per cui lui non l’aveva mai cercata in tutti quegli anni. Le regole del Branco ed i rapporti con gli umani non andavano affatto d’accordo.
«Credi che Jeremy sappia la verità?» - chiese ancora l’amico.
«Mio padre può aver avuto dei segreti con me, ma di sicuro non nascondeva nulla a Jeremy.» - la gentilezza e la disponibilità che aveva dimostrato verso Emily erano un’altra prova a loro vantaggio.
«A lei lo hai detto?» - domandò ancora Clay.
«Non ne ho avuto il tempo… Ci hanno sparato.» - rispose sorridendo. Clay lo lasciò riposare raggiungendo Elena che lo aspettava nella loro stanza. Emily aveva preso in prestito alcuni vestiti di Elena, ed era stata sistemata nell’ex camera della ragazza. Aveva fatto una doccia liberandosi del sangue di Nick, che le si era attaccato addosso come una seconda pelle. Si addormentò appena toccò il letto, o forse semplicemente perse i sensi. 

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Capitolo 2
*** Too Close To Be Distant ***





 
“Vicino è meglio che lontano, ma non è ancora esserci."
Stephen Sondheim.









La prima cosa che Nick vide aprendo gli occhi fu Emily. In piedi davanti alla finestra della sua camera a guardare il panorama di Stoneheaven. Riconobbe i vestiti di Elena su di lei, quel maglioncino bianco, abitava in quella casa da anni.
«Già sveglia?» - le domandò attirandone l’attenzione. Il riverbero del sole sul vetro della finestra accarezzava le iridi ambrate della ragazza illuminandole e facendole sembrare quasi d’orate.
«E’ un miracolo che sia riuscita a dormire.» - disse lei sedendosi ai piedi del letto. Sapeva che la stava fissando, ma non riusciva a farne a meno. Cercava di individuare su quel volto i lineamenti di suo padre. Qualcosa che glielo ricordasse. Una conferma alla sua terribile intuizione. - «Ti accompagno a fare colazione.» - gli disse poi, tirandogli una maglietta. E lo sostenne fino alla cucina, tenendolo come aveva fatto la sera prima fino alla macchina, sorreggendolo nonostante fosse così minuta e piccola rispetto a lui. Riusciva a camminare anche da solo, ma non glielo disse, quella vicinanza gli concedeva di poterla sbirciare molto da vicino.
«Buongiorno, come vanno le ferite?» - domandò Jeremy sollevando Emily dal peso di Nick e facendolo sedere.
«Bene, fra qualche giorno sarò completamente guarito. Clay ed Elena?» - domandò non vedendoli in giro.
«Hanno portato la macchina di Emily a lavare.» - rispose Jeremy mettendo in tavola i pancake. Nick li aveva sentiti mettere in moto la macchina diverse ore prima, a quell’ora avrebbero dovuto già essere di ritorno, ma probabilmente erano andati a correre. Amava fare colazione a Stoneheaven, suo padre di solito si occupava di cuocere la carne, faceva sempre il bacon e le salsicce e Pete era quello che ne mangiava più di tutti. Senza di loro quel tavolo era incredibilmente più vuoto, per fortuna davanti aveva Emily, lei e la sua mela, che erano quanto di più lontano dalle abitudini alimentari di suo padre si potesse immaginare. Quello forse però dipendeva anche dal fatto che Emily era umana, non aveva il loro stesso appetito.  E non era affatto abituata alle abbondanti colazioni in famiglia, di solito la mattina usciva di casa prendendo al volo qualcosa da mangiare. Si sentiva sempre un ospite, anche se quelli con cui conviveva avrebbero dovuto essere i suoi genitori. Come se si fosse improvvisamente risvegliata da un sonno Emily ricordò la sua vita, i suoi impegni ed il suo lavoro.
«Oddio!» - esclamò spaventando sia Jeremy che Nick. - «Devo chiamare lo studio, oggi avevo una riunione a Toronto e nel pomeriggio dovevo occuparmi di Marsten.»
«Puoi usare il telefono.» - le disse Jeremy indicandole il telefono all’ingresso.
«Di Marsten me ne occupo io.» - aggiunse Nick scambiandosi un’occhiata con Jeremy. Mentre la ragazza iniziava il giro di telefonate, Jeremy lasciò Nick ed Emily in casa  raggiungendo Clay ed Elena nei boschi.  Nick doveva solo stare attento che Emily non li vedesse al loro ritorno, sarebbe veramente stato un problema. La sorprese nel bel mezzo di un’accesa discussione, sembrava veramente essere sul punto di andare fuori di sé, ma rispondeva all’uomo con cui parlava con un’educazione glaciale. Un po’ la stessa che riservava a lui quando le mandava a monte i suoi piani. Quando attaccò il telefono sembrò che lo volesse distruggere per la violenza con cui lo mise giù.
«Che palle!» - esclamò girandosi e trovando Nick appoggiato alla porta a fissarla divertito.
«Problemi al lavoro?» - le domandò lui.
«Già… Mi sono presa due giorni di ferie, la mia macchina tornerà in tempo?» - avrebbe voluto rispondergli che il suo problema era lui e le sue discutibili scelte imprenditoriali, ma dalla felpa smanicata usciva la garza che gli copriva mezzo braccio. E non se la sentì di infierire su qualcuno che aveva appena preso un proiettile.  No, la verità è che non se la sentiva di infierire su qualcuno con quelle braccia, com’era possibile che fossero ancora perfette come le ricordava? Sembrava che l’avessero aspettata solo per dimostrarle che neppure il tempo ha potere su Nick Sorrentino. Doveva aver continuato a fare sport perché altrimenti era impossibile che si fosse mantenuto così in forma.
«Ti va di vedere un film?» - le domandò non sapendo esattamente cosa rispondere. Non era sicuro di poterla mandare via fra due giorni, ma nemmeno trovava una scusa decente per farla rimanere.
«Si!» - accettò immediatamente quella proposta. Anche perché l’unica altra alternativa era riflettere su quanto lavoro avrebbe dovuto recuperare una volta ritornata. E poteva già sentire il mal di testa arrivare. - «La polizia ha idea su chi possa aver sparato l’altra sera?» - domandò sistemandosi nel grande letto. Quella situazione le ricordava molto le loro vecchie abitudini, e non era affatto un comportamento sano.
«Le indagini potrebbero essere lunghe.» - le rispose Nick accendendo il dvd. Era uno dei film preferiti di suo padre. - «Ti piace l’Italia?»
«La famiglia di tuo padre ha origini italiane, vero? Mi ricordo che ogni volta che tornava da un viaggio in Italia era sempre di ottimo umore.» - quando erano tornati a Stoneheaven Antonio aveva preso un diretto da Napoli. Si stava godendo la costiera Amalfitana dopo aver concluso i suoi affari nel bel paese. Nick ricordava come se fosse accaduto ieri quando era andato a prenderlo in aeroporto e tutti i racconti sulla meraviglia di quel paese. C’era stato anche lui, decine di volte, eppure raccontata da suo padre sembrava quasi una terra magica. E realizzò quanto fosse assurda quella situazione. Si trovava steso a letto con quella che poteva essere la sua sorellastra ed era anche una sua ex, a guardare uno dei film preferiti del loro padre. Sarebbe stato già difficile dirle questo, aggiungere il fatto che Antonio era venuto a mancare, rendeva il tutto veramente impossibile. - «Tu sembri proprio un italiano effettivamente.»
«In che senso?» - le chiese sorridendo, mentre sotto al loro chiacchiericcio il film cominciava.
«Uhm nel senso che…» - doveva scegliere con attenzione le parole. - «Hai fascino e gli italiani sono famosi per questo.»
«Mi trovi affascinante?» - le domandò lui avvicinandosi e scrutandola attentamente con le sue pozze azzurre.
«Non ho detto che io ti trovo affascinante, ho detto che lo sei!» - e quello era un complimento eccessivo per il tipo di relazione che avrebbe dovuto esserci fra di loro, ma che soprattutto la metteva incredibilmente a disagio trovandosi nel letto con lui. Aveva peggiorato la situazione invece di migliorarla.
«Oh grazie! Anche tu non te la passi male.» - commentò lui, allontanandosi. I suoi pensieri ed i suoi dubbi erano tornati ad assalirlo prima che cercasse di fare qualcosa di terribilmente inappropriato. Avrebbe voluto dirle che era bellissima e poi baciarla annullando ogni distanza fra di loro, cancellando anche tutti quegli anni senza di lei. Quando i loro occhi si riposarono sul televisore il film era già nel vivo della storia, ma Emily preferì non fare domande. Forse perché preso a metà non era riuscita a capirne la trama, o forse perché in realtà i film d’epoca non le piacevano più di tanto, finì con l’addormentarsi. Non si accorse di Elena che aprì la porta della stanza di Nick, né di lui che uscì.
«Ti porti a letto pure tua sorella?» - domandò scherzando la ragazza. - «Diventa eccessivo perfino per te!»
«Falla finita, com’è andata la corsa?» - chiese lui.
«Bene, non ci sono tracce dei Solitari nella nostra proprietà, credo se ne terranno alla larga per un po’.» - gli rispose Elena.
«La macchina di tua sorella sarà pronta domani.» - disse  Clay raggiungendoli. - «Ti prego dimmi che non ce l’hai nel letto…»  
«Volete farla finita o no?.» - era tipico di loro prendersi in giro su qualunque cosa. - «Comunque non sono sicuro che debba andare via. Marsten sa del suo legame con mio padre, voglio capire come e perché.» - disse Nick.
«Falla restare, possiamo insegnarle come difendersi.» - li interruppe Jeremy arrivato anche lui alla riunione strategica che si stava consumando proprio fuori dalla stanza del ragazzo.
«Dici sul serio?» - chiese Clay.
«Perché no. E’ brava in quello che fa, tuo padre l’ha istruita bene, potrebbe tornarci utile averla qui.» - Jeremy doveva saperlo.
«Sai del suo legame con mio padre?» - gli domandò Nick.
«Certo che lo so.» - rispose l’uomo appoggiandogli la mano sulla spalla ferita.
«Che succede?» - domandò Emily uscendo dalla stanza e ritrovandosi i quattro a parlare sul pianerottolo.
«Noi…» - cercò di risponderle Clay.
«Pensavo di insegnarti qualche tecnica di autodifesa, che ne dici?» - irruppe Elena salvando la situazione.
«A me? Sono completamente negata per qualunque tipo di sport… Rischierei di uccidermi da sola.» - le spiegò la ragazza.
«Sei comunque bloccata qui senza niente da fare, perché non provare?» - Elena aveva ragione, e poi sarebbe sicuramente stato meglio dei film di Nick.
«Ok…» - annuì lasciandosi trascinare verso il cortile.
«Assicuratevi che non si faccia male.» - disse Jeremy lasciando che anche Clay e Nick seguissero le ragazze.
«Ne parliamo un’altra volta.» - gli disse il ragazzo scendendo le scale. Nel giardino sul retro della villa, si erano allenati tutti quanti loro. Su quella terra avevano preso più botte di quante non gliene servissero in realtà. Elena era diventata incredibilmente brava nella lotta corpo a corpo, ma non aveva mai insegnato a nessuno prima d’ora. Emily aveva passato gran parte della sua vita a cambiare famiglie affidatarie ed a studiare sui libri. Perfino al liceo non aveva mai seguito nessuno dei corsi extra che prevedevano la pratica di uno sport. Non aveva mai ingaggiato un litigio con nessuno, o almeno non uno che fosse finito con l’uso delle mani. Il suo forte era la dialettica.
«Ok cosa devo fare?» - chiese ad Elena.
«Cerca di non farti colpire!» - le rispose quella assestandole un pugno allo stomaco. Emily si piegò su se stessa. Per qualche interminabile secondo pensò di non riuscire più a respirare.
«Dannazione Elena!» - la riprese Nick raggiungendo subito la sorella. - «Stai bene?» - le domandò vedendole gli occhi pieni di lacrime.
«Benissimo… Solo che non me lo aspettavo.» - rispose quella alzandosi e massaggiandosi la parte colpita.
«Lezione numero uno. Tenersi sempre pronti.» - Elena si stava divertendo, ed anche a Clay non dispiaceva lo spettacolo. - «Ok dai, prova a colpirmi tu ora.»
«Ti devo colpire?» - voleva restituirle il favore, ma al massimo sarebbe stata in grado di spingerla.
«Avanti prova.» - la incitò quella.
«Tiene sempre scoperto il lato sinistro.» - le suggerì Nick prima di allontanarsi e tornare accanto a Clay.
«Puoi darle tutti i consigli che vuoi, non ha speranze…» - commentò divertito l’amico. Emily cercò di avvicinarsi quel tanto che le bastava per provare a colpirle un braccio. Il colpo oltre ad essere evidente, era troppo lento e debole, Elena lo schivò senza alcuna difficoltà. Allora ci riprovò andando a vuoto ogni volta.
«Mi arrendo non ce la faccio.» - disse sedendosi a terra con il fiatone. Aveva praticamente rincorso Elena per tutto il giardino senza mai riuscire nemmeno a sfiorarla.
«Noi vi lasciamo, Nick deve cambiarsi le fasciature.» - Clay sarebbe volentieri rimasto a guardare, ma vedeva Nick innervosirsi ad ogni colpo mancato da Emily. Probabilmente nel giro di qualche altro minuto sarebbe andato lui stesso ad atterrare Elena. Lasciarono le ragazze a continuare l’allenamento dirigendosi all’interno per disinfettare le ferite di Nick. Nonostante ogni tanto Elena le assestasse alcuni colpi dolorosissimi, nonostante le facessero male gambe e braccia, in qualche modo anche Emily iniziava a divertirsi. Scaricava lo stress, la frustrazione, l’ansia e la paura in ogni colpo che andava a vuoto. Quando Elena le disse di fermarsi si era ormai fatto tardi, erano entrambe molto sudate, ma se Elena riusciva comunque ad essere incantevole, lei invece a stento riusciva a parlare tanto era forte il fiatone. Salire la rampa di scale per raggiungere il secondo piano fu una vera e propria tortura.
«Come se la cava?» - domandò Jeremy quando Elena li raggiunse nel seminterrato.
«E’ debole, ma impara in fretta!» - disse sorridendo verso Nick. - «E non fare quella faccia la tua sorellina sta bene!»
«Non sto facendo nessuna faccia!» - le rispose il ragazzo. Emily era sotto la doccia, era stata un intero giorno senza cellulare. C’era davvero qualcosa di magico a Stoneheaven. Pensò che con un posto del genere Antonio non avesse alcuna ragione di voler andare in vacanza in qualche sperduta isola tropicale. Quella era un’oasi di pace perfetta. Elena le aveva lasciato diversi cambi da poter usare, perché i suoi vestiti erano stati buttati. Le aveva detto che quella in cui si trovava era stata per molto tempo la sua stanza, ed infatti ancora c’erano le sue cose. Non aveva aperto nessun cassetto o curiosato in giro, ricordava di averlo fatto quando era una bambina, e la sua madre adottiva di allora le aveva dato così tanti schiaffi da farle gonfiare il viso. Dubitava che Elena avrebbe potuto reagire in modo così eccessivo se l’avesse beccata a sbirciare fra le sue cose, ma preferì comunque non rischiare.
«Nick!?» - gli disse incrociandolo al volo uscendo dalla camera. - «Ti posso parlare?» - strinse la mano intorno al braccio del ragazzo. Portava un braccialetto in pelle, lo aveva notato dal loro primo incontro, non lo toglieva mai. Forse era un ricordo della madre. Antonio le aveva detto che era morta quando Nick era appena nato, lo aveva cresciuto da solo, e questo aveva collaborato a farle ammirare quell’uomo ancora di più. Nick acconsentì ed uscirono in giardino sedendosi su una panchina.
«Se hai delle recriminazioni per i modi di Elena, io non posso farci nulla!» - le disse il ragazzo accarezzando il livido che aveva sul braccio. Era uno dei contatti casuali che tanto li avevano incasinati in passato.
«No, no, lei è perfetta sono io che sono un caso disperato!» - gli rispose la ragazza. Sottraendosi a quella carezza così inaspettatamente gentile. Per lui era veramente difficile credere che fosse sua sorella, forse perché non le ricordava affatto suo padre, se non nella professionalità al lavoro, o forse perché avrebbe preferito non avere con lei quel legame di sangue che gli impediva di trattarla come ogni altra donna che gli fosse mai piaciuta. - «Riguarda Antonio…» - Emily notò il cambio di sguardo di Nick.
«Dimmi.» - sebbene all’apparenza continuasse a rimanere sereno, lo innervosiva dover riprendere quel discorso. Dover continuare a mentire su una ferita che in lui continuava a sanguinare.
«So che non è andato in vacanza.» - disse la ragazza che bloccò immediatamente il suo tentativo di ribattere. - «E non provare a dirmi il contrario.» - ed allora Nick stette in silenzio. - «Mi ha insegnato come ci si nasconde quando non si vuole venir trovati ed è esattamente quello che sta facendo lui.» - il ragazzo sorrise, confermandole la sua intuizione. - «Voglio solo potergli parlare.»
«Perché?  Cosa ha da dirgli di così importante la sua tutto fare?» - Nick appoggiò la schiena alla panchina allargando le braccia su di essa. La spalla gli faceva male, e gli scappò un sibilo di dolore.
«Lo so che sembra stupido, ma è stato come un padre per me. Voglio solo dirgli che...» - Emily fece una pausa, Nick la vide prendere un profondo respiro. - «Insomma se ha bisogno di qualunque cosa, può contare su di me.» -  ed era combattuto fra l’istinto a baciarla e quello a dirle la verità.
«Lasciamici pensare.» - rispose infine prendendo altro tempo per la sua bugia. - «Si sta facendo buio torniamo dentro.» - la lasciò in cucina a cenare con Clay ed Elena, mentre lui raggiunse Jeremy che era ancora nel seminterrato a studiare le mosse dei Solitari. - «Dobbiamo parlare di Emily.» - gli disse mettendo un mano a coprire il foglio che stava leggendo.
«Cosa vuoi sapere.» - rispose Jeremy mettendosi a sedere. Aveva pensato molto a quale fosse la cosa giusta da fare, Antonio aveva tenuto nascosta la verità su Emily a Nick per molti anni, e forse lui avrebbe solo dovuto continuare a fare lo stesso. Ma per qualche ragione quella ragazza turbava Nick, lo scuoteva, in un modo diverso da come preoccupava Antonio che era sempre lucido e consapevole. No, Nick agiva d’istinto, senza pensare.  
«La verità Jeremy, qualunque essa sia.» - gli disse il ragazzo. Ed ora la scelta spettava a lui. Il figlio del suo migliore amico gli chiedeva la verità, e non aveva mai discusso con Antonio su cosa fare in una circostanza del genere. Perché semplicemente aveva sempre pensato che se ne sarebbe occupato lui. Che prima o poi avrebbe lasciato che Emily sparisse dal suo orizzonte, che tornasse ad essere una comune umana che non significava niente per lui. Ma il debito che Antonio aveva verso quella ragazza non si era estinto nemmeno alla sua morte, era stato il destino o forse una giustizia più grande di loro a fargli fissare quell’appuntamento con lei. Un appuntamento a  cui Antonio non aveva potuto essere presente ed a cui lui aveva scelto di inviare Nick.  Quello che né lui né Antonio sapevano era quanto profondo fosse il legame che legava Nick ed Emily.
«Più o meno vent’anni fa tuo padre era uscito a correre, credeva che fosse una zona sicura, ma una coppia lo vide mentre si trasformava.» - Jeremy si prese qualche istante prima di continuare. Alla fine aveva optato per la verità, perché probabilmente anche Antonio sarebbe stato onesto con il figlio di cui tanto andava fiero.  - «Le regole del Branco sono chiare, gli umani non devono sapere e chiunque venga a conoscenza deve morire.» - le conosceva fin troppo bene quelle regole che lo avevano costretto a vivere senza madre. -  «Gli venne ordinato di eliminare quella coppia, e nonostante fosse sempre stato restio a questo genere di compiti dovette obbedire. L’alternativa era quella di vivere come ripudiato, e tu eri solo un bambino.»
«Cosa c’entra questo con Emily?» - domandò Nick.
«Tuo padre organizzò la morte delle persone che lo avevano scoperto. Staccò i freni della loro auto. Finirono fuori strada morendo sul colpo. Non si perdonò mai quelle morti.» - improvvisamente Nick iniziò a capire. - «Se solo fossero andati più piano forse avrebbero potuto salvarsi, ma avevano una figlia, con la febbre alta, stavano correndo all’ospedale della città. Tuo padre salvò la bambina prima che le fiamme divampassero dalla macchina.»
«Emily…» - sussurrò Nick. Conosceva a memoria il fascicolo della polizia sull’incidente dei genitori della ragazza. Diceva che la bambina venne ritrovata a qualche metro dall’auto in fiamme da un passante, pensarono che fosse stata buttata fuori dall’auto durante l’incidente, ma invece era stato suo padre.
«Si, Emily.» - gli confermò Jeremy.
«Quindi non è mia sorella?» - domandò il ragazzo.
«Tua sorella? Come ti è venuto in mente?» - gli domandò l’uomo cercando di capire in che modo potesse essere giunto a quella conclusione. - «Tuo padre ha amato solo tua madre e tu sei l’unico figlio che ha avuto.» - aggiunse alzandosi e raggiungendolo per guardarlo negli occhi. - «Antonio si è preso cura di quella ragazza, perché non si è mai perdonato la morte dei suoi genitori. Emily è la cosa a cui teneva di più, dopo di te. E lei non dovrà mai sapere la verità.» - e dove mai lo avrebbe trovato il coraggio per potergliela dire. Emily adorava suo padre, ignorando che fosse l’assassino dei suoi genitori. Conoscere la verità portava sempre con sé un peso da sostenere, avrebbe voluto tornare agli anni del liceo, viversi Emily senza tutta quella nuova consapevolezza, avrebbe voluto non avere rimorsi.
«Non può restare qui.» - disse Nick.
«Probabilmente anche i Solitari credono che sia tua sorella per questo l’hanno presa di mira, se la mandi via ora, non saremo in grado di proteggerla.» - spiegò Jeremy.
«Mio padre la voleva lontana da tutto questo, ecco perché non me ne ha mai parlato.» - per colpa sua  e delle sua famiglia Emily si ritrovava non solo orfana ma anche ad essere il bersaglio di un gruppo di assassini. O come amava definirsi lui stessi: i migliori predatori. - «I suoi genitori sono morti per mano di mio padre, non permetterò che lei muoia per colpa mia.» - Nick lasciò il seminterrato andando a chiudersi nella sua stanza. Evitò Clay che doveva aver sentito quello che lui e Jeremy si erano detti. Non aveva voglia di parlare con nessuno, c’erano troppe cose con cui fare i conti. Aveva trovato difficile riuscire a convivere con l’idea di avere una sorella, ma rispetto alla verità quella era una meravigliosa favola che si era raccontato. In quel momento Logan avrebbe saputo come fare per sistemare tutto, era il suo lavoro aiutarli quando tutto sembrava mettersi male. Gli avrebbe sicuramente dato qualche brillante consiglio su come evitare di distruggere la vita della donna che suo padre aveva protetto con così tanta cura. Il giorno dopo Emily avrebbe riavuto la sua macchina e sarebbe ripartita, forse fu proprio per questo che Nick incurante delle ferite ancora non cicatrizzate si trasformò andando a correre nei boschi. Liberare la loro natura li riportava ad essere in pace con loro stessi. Soprattutto gli ricordava la regola che era stata il principio cardine della sua esistenza: mai affezionarsi ad un umano. Il Branco era l’unica famiglia, al Branco andava tutta la loro lealtà e solo ai membri del Branco si poteva donare del vero affetto. Tutti gli altri dovevano essere solo attori di passaggio nelle loro vite, mantenuti ad una distanza di sicurezza senza permettergli di entrare veramente nelle loro vite. Suo padre non aveva mai dimenticato sua madre, lui era stato uno spettatore passivo di quel dolore, ed aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai commesso lo stesso errore. E sino ad allora non aveva mai sbagliato, ma c’aveva pensato Antonio Sorrentino a commettere due volte lo stesso errore. Aveva tenuto a quella ragazza, le aveva raccontato di Stoneheaven, l’aveva cresciuta come se fosse sua figlia, aveva lasciato a lui in eredità il compito di pareggiare il debito che avevano con quella famiglia. Forse per questo lo aveva mandato al suo stesso liceo, forse voleva che fra loro si creasse quel legame. Quando rientrò dalla corsa trovò Clay ad aspettarlo sul retro.
«Sei impazzito? Non mi diverte mica farti il taglia e cuci!» - gli disse l’amico tirandogli i pantaloni della tuta. Mentre Nick si rivestiva, le ferite sulla schiena avevano ricominciato a grondare sangue, fortunatamente la spalla sembrava aver risentito di quella bravata.
«Sono saltati solo un paio di punti, ci sono stato attento.» - gli rispose stringendo l’elastico dei pantaloni. Tornarono in casa e Clay cercò di rimediare al casino che aveva combinato.
«Vedi di starci attento questi sono più sottili degli altri.» - gli disse passando con ago e filo fra le ferite.
«Se questo era il tuo piano per evitare i saluti è miseramente fallito Emily è ancora di sopra.» - gli disse Elena. - «Si è svegliata con il mal di testa non è prudente farla mettere in viaggio.»
«L’hai colpita in testa?» - domandò Nick inarcando la schiena mentre Clay lo ricuciva.
«Ti si è infettata la ferita…» - gli disse l’amico. - «Te la devo incidere per farla spurgare, vedi di non urlare.»
«No che non l’ho colpita in testa!» - gli rispose la ragazza dandogli un leggero schiaffo sulla schiena proprio dove gli faceva più male.
«Non è che per caso avete un’aspirina?» - domandò Emily arrivando nella cucina.
«Come vedi qui si fanno medicare senza antidolorifici, l’aspirina non sanno nemmeno cosa sia.» - le disse Elena lavando i piatti.
«Sapete come estrarre un proiettile, ma non come curare un mal di testa… Interessante.» -  si sedette sul tavolo proprio accanto a Nick, mentre Clay continuava attentamente l’operazione. - «Stamattina ero passata a vedere come stavi, ma non ti ho trovato.» - disse cercando di distrarlo dal dolore.
«Sono andato a fare una passeggiata.» - rispose sbrigativo lui.
«E ti sei rotolato nel fango?» - domandò lei togliendogli un po’ di terra dal viso.
«Nick ha un modo tutto suo di passeggiare.» - commentò Elena.
«Ok fatto.» - disse Clay coprendo anche l’ultimo dei tagli.
«Hai fatto a botte con un lupo? Come ti sono saltati i punti?» - domandò ancora Emily guardando il graffio lasciato sul braccio dalla pallottola che lo aveva sfiorato.
«Quando parti? Credevo avessi del lavoro da fare.» - ribatté lui.
«Appena mi passa il mal di testa leverò il disturbo.» - rispose lei, ricevendo il sorriso benevolo di Clay.
«Puoi restare finché non ti sentirai meglio, non c’è fretta.» - disse Jeremy entrando in cucina. Lui e Nick non si erano più parlati dalla sera prima.
«Ho già approfittato troppo della tua ospitalità.» - disse lei. - «Mi auguro che la polizia riesca a trovare quei criminali il prima possibile, farò tutto ciò che è in mio potere per favorire le indagini anche se non sarò qui.»
«Non hai intenzione di tornare?» - le domandò Clay.
«Ho ordinato le nuove vetrate e per il resto il locale è concluso, Nick deve solo decidere quando aprirlo al pubblico.» - Emily era stata più che efficiente. Era per questo che Jeremy credeva che potesse rivelarsi una preziosa alleata per il Branco. Ma d’altra parte Nick era stato chiaro e su quella faccenda l’ultima parola spettava ai Sorrentino.
«Hai finito con queste fasciature?» - domandò Nick.
«La garza non è esattamente il mio forte, amico.» - rispose quello, che stava per la terza volta cercando di fasciare la spalla al ragazzo.
«Faccio io.» - dissero in coro Emily e Jeremy. - «Oh no, fai paure, sei sicuramente più esperto di me.» - aggiunse poi la ragazza.
«Ma tu sarai sicuramente più gentile. Noi vi aspettiamo di là.» - né Emily né Nick riuscirono a dire nulla per opporsi all’affermazione di Jeremy. Elena e Clay lo avevano seguito senza battere ciglio.
«Ok…» - sibilò la ragazza sistemandosi alle spalle di Nick. Sebbene le ferite fossero state medicate e richiuse, le sembrava di guardare un campo minato. C’erano almeno tre grossi tagli fermati dai punti neri, ed un numero imprecisato di piccole ferite ormai cicatrizzate, ma molto rosse. Lei a parte il piccolo taglio sulla mano non aveva avuto nessun altra ferita, proprio perché Nick le aveva fatto da scudo. - «Credo di non averti mai ringraziato per avermi protetta quella sera.» - disse ripiegando i metri di garza che Clay aveva lasciato appallottolati lì vicino.
«Non ce n’è bisogno.» - borbottò lui.
«Nick…» - disse Emily fissandogli la schiena martoriata. -  «Dico davvero, ma ti sei rotolato per terra?» - aveva pezzi di terra e polvere su tutta la schiena. Fatta eccezione per le ferite che Clay aveva ripulito attentamente ogni altro centimetro di pelle era sporco di terra.
«Vuoi mettermi la garza si o no?» - domandò spazientito il ragazzo.
«Stai fermo!» - gli ordinò. La guardò riempire di acqua tiepida una bacinella e poi prendere una spugna e degli asciugamani dal bagno lì vicino.
«Che pensi di fare?» - le chiese non muovendosi però di un millimetro dal tavolo.
«Ti levo la terra da dosso e poi ti metto la garza.» - disse lei mentre iniziava a passare delicatamente la spugna imbevuta di acqua calda sulla schiena nuda di lui. Quei gesti morbidi, attenti e precisi avevano un che di soporifero, Nick avrebbe potuto addormentarsi sotto quelle carezze umide e bollenti. Emily iniziò dall’alto, dall’attaccatura del collo e notò che aveva della terra anche fra i capelli. Davvero non riusciva a capire cosa avesse potuto fare per ridursi in quello stato. Fece attenzione a non bagnare le ferite, non era un’esperta di medicina, ma immaginava non fosse una buona cosa umidificare dei tessuti che dovevano cicatrizzarsi. Passò attentamente fra i tagli pulendo con certosina attenzione ogni centimetro di pelle sana. Nick ciondolava con la testa, quel “bagno” lo aveva rilassato. Dopo aver finito la schiena gli arrivò davanti. Il ragazzo aprì le gambe facendole spazio per arrivargli più vicino. Respiravano l’aria l’uno dell’altro e ci sarebbe voluto veramente poco per abbracciarla e dirle tutto. Emily passò con la spugna sulle spalle larghe di Nick, cercando di concentrarsi sul lavoro che stava facendo e di non incrociare il suo sguardo. Lo guardò tirare indietro la testa incastrando gli occhi sul soffitto. Il pomo d’Adamo in bella vista saliva e scendeva ad ogni suo respiro. Il foro del proiettile era chiaramente delineato, un cerchio perfetto che aveva squarciato l’altrettanto perfetta pelle del ragazzo. Vi passò la spugna intorno, e poi scese a rimuovere la terra dagli addominali. Avrebbe dovuto farsi una doccia, per togliersela definitivamente da dosso, sembrava averla ovunque.
«Penso che possa bastare.» - le disse lui allontanandole la mano con la spugna.
«Mettiti in piedi così ti bendo la spalla.» - aggiunse lei andando a buttare l’acqua ormai divenuta marrone. Iniziò a girare la benda bianca intorno alla spalla e al punto dove il proiettile lo aveva colpito. Al college aveva aiutato il coach a fasciare i giocatori per evitare che si lussassero le spalle durante i violenti scontri, quindi se la cavava piuttosto bene. Ma a distanza di anni l’imbarazzo era rimasto lo stesso. - «Hai pensato a quello che ti ho chiesto?» - gli domandò mentre fissava la benda in modo che non si slegasse tutta la fasciatura.
«Non puoi parlarci. Smettila anche di indagare.» - le disse avviandosi verso il piano superiore. 
«Perché? Glielo hai chiesto?» - lo stava praticamente rincorrendo su per le scale.
«Emily, mio padre non è una cosa che ti riguarda. Se non ti va bene, considerati licenziata.» - disse Nick fermandosi a pochi passi dalla sua stanza.
«Ok, perfetto. Licenziami. In questo modo avrò molto più tempo libero per cercarlo.» - Antonio c’era stato per lei quando nessun’altro le aveva teso una mano. Per qualcuno cresciuto cambiando genitori dalle due alle tre volte l’anno, trovare una figura degna, da poter identificare come genitoriale, significava molto più di quanto non riuscisse ad esprimere a parole. Antonio si stava nascondendo dagli uomini che avevano sparato a Nick probabilmente, e non le importava sapere come potesse essere finito in un qualcosa del genere, perché i figli sono sempre pronti a perdonare i genitori. E soprattutto lottano per loro. Nick aveva ragione, era invadente ed irrispettoso da parte sua intromettersi così prepotentemente nelle questioni di una famiglia che non era la sua. Ma Antonio era la sua famiglia.
«Mio padre ti ha trattato come una figlia e quello che vuole è che tu ora torni a lavorare e ti faccia una vita serena.» - le rispose Nick afferrandole un braccio e bloccandola contro il muro.
«Peccato che io non sia veramente sua figlia e quindi non sia obbligata ad obbedirgli!» - ribatté lei. E le sue parole si infilarono in Nick sconvolgendone la ragione. E se non l’avesse soffocata in un bacio famelico, probabilmente avrebbe continuato a rispondergli fino ad urlarsi contro. Si spinse contro di lei con così tanto slancio da farle sbattere la testa al muro retrostante. L’emicrania sarebbe sicuramente peggiorata, ma in quel momento non gli importava. Le lasciò andare il braccio solo per portare entrambe le mani sulle sue cosce ed invitarla ad aggrapparsi a lui, a cingergli la vita con le gambe. Erano segnali di una lingua universale, e loro avevano già fatto le prove generali molti anni prima, Emily si aggrappò a lui infilando le mani nei capelli sporchi di terra, scombinando e spettinandoli, e si lasciò trasportare fin dentro la stanza. Nick poteva muoversi ad occhi chiusi in quella stanza, la conosceva come le sue tasche. Si abbandonò sul letto sopra di lei, continuando a morderle le labbra, perché baciarla non era più abbastanza. Lei si lasciava torturare, lo lasciava sfogare su di sé, quella inspiegabile fame, rabbia, nervosismo, non lo capiva cosa stesse succedendo, inebriata ed appannata dal profumo del sapone alla lavanda con cui lo aveva lavato e dalle mani di lui. Le liberò le labbra per un solo brevissimo istante, spingendola al centro del letto e poi tornando a sovrastarla. Stavolta riuscì a fargli prendere un respiro prima che ricominciasse quella insaziabile tortura, riuscì a baciarlo lei per prima, con dolcezza, calma, serenità, senza fame. I baci caldi e morbidi che gli lasciava lungo il collo fino alle clavicole, e le mani che scivolavano lungo la sua schiena solleticandogli la pelle sensibile intorno alle ferite, non facevano che accrescere l’eccitazione che già lo aveva conquistato. Le strappò via la maglietta di Elena lanciandola verso la tv, si era già spogliato una volta quella mattina, e questa seconda si prospettava perfino migliore. Nick scese a baciarle il collo, beandosi dei respiri sempre più profondi che sfuggivano dalle labbra di Emily. Continuò a scendere appoggiando una scia di baci lungo tutto il petto evitando i seni ancora coperti dall’intimo nero, che già non vedeva l’ora di far scomparire, fino ad arrivare a lambire con la lingua ed i denti il bordo degli slip. Emily lo ritirò a sé incastrando di nuovo le loro labbra. Non era affatto professionale, Nick era il suo attuale datore di lavoro, Antonio non avrebbe affatto approvato. Ma era difficile fermarsi a ragionare, a prendere aria quando l’erezione di lui si strusciava sulla sua coscia, e la sua mano le scansava gli slip facendosi largo in lei fino a penetrarla con due dita. - «Nicholas…» - sussurrò al suo orecchio inarcando la schiena. Era la prima volta che lo chiamava per nome e non c’era momento più bello di quello per farlo. La voce tremula, un sibilo quasi impercettibile impastato di piacere, sentirsi chiamare da quelle labbra rosse che non smetteva di torturare rendeva il suo nome ancora più bello da ascoltare. Le sorrise, mentre le guardava gli occhi ormai sempre più languidi di piacere. Uscì da lei con le dita umide, voleva di più aveva bisogno di molto di più. Emily si slacciò il reggiseno, e lui avrebbe voluto far scomparire i loro vestiti in un attimo per assecondare l’urgenza che lo comandava.  Quasi in contemporanea con il click del gancetto arrivò il ringhio del ragazzo.
«Ahh!» - Nick si rigirò mordendosi le labbra e buttandosi con la schiena sul letto.
«Nick? Che hai?» - chiese lei.
«Mi sono di nuovo saltati i punti.» - disse lui a mezza bocca. La risata di Emily riempì la stanza quasi quanto i suoi brontolii di dolore. Il ragazzo provò ad alzarsi, lasciando intravedere le coperte sporche di sangue, ma ogni movimento rischiava di peggiorare la situazione.  Era destino l’universo non aveva in programma quell’unione.
«Resta fermo vado a chiamare Clay.» - disse lei rivestendosi alla bene e meglio. Clay arrivò in camera dopo pochi minuti, trovandolo buttato nel letto.
«Giuro che questa volta te li fermo con la spillatrice!» - gli disse l’amico aiutandolo a  girarsi di schiena.
«Avresti dovuto farlo prima, si sono aperti proprio sul più bello!» - gli rispose Nick ritrovandosi con la faccia contro il materasso e Clay a cucirgli per l’ennesima volta la schiena.
«Ammettilo che non ti è mai piaciuta l’idea che fosse tua sorella!» - lo schernì l’amico. Ed il bellissimo sorriso di Nick tornò a fare capolino sul suo viso. Era un po’ che Clay non glielo vedeva.
«Era così evidente?» - domandò tirandosi su e rivestendosi per l’ennesima volta in quella mattina. Riusciva a sentire Emily parlare al telefono con qualcuno al piano di sotto, qualche cliente la stava nuovamente facendo arrabbiare.
«Abbastanza, non le toglievi gli occhi di dosso…» - disse lui. - «Senza contare che ogni scusa era buona per metterle una mano addosso!» - doveva essere stato fin troppo chiaro per qualcuno che lo conosceva così bene.
«Lei è Emily.» - disse. - «Quella Emily.» - e la risata di Clay significava tutto. Significava che erano guai, significava che aveva fatto una enorme stronzata a farla di nuovo avvicinare così tanto.
«Problemi?» - chiese Clay tornando al piano terra e vedendola sbuffare attaccando.
«Devo tornare allo studio. Elena e Jeremy sono usciti?» - domandò incrociando lo sguardo di Nick.
«Probabilmente sono in giardino, vado a chiamarli.» - disse Clay lasciandoli di nuovo da soli.
«Sicura di voler partire? Hai preso una bella botta…» - ironizzò Nick seguendola fino in ingresso dove aveva appoggiato la borsa.
«Anche i clienti migliori a volte si ficcano nei guai.» - rispose lei cercando nella borsa le chiavi della macchina. L’azienda di un suo vecchio cliente era appena stata dichiarata in bancarotta e nessuno riusciva a contattare il proprietario.
«Ci sentiamo.» - le disse Nick appoggiandole un bacio sulla tempia.
«Prima dovrò ricomprarmi un telefono.» - disse lei. Era stata una fortuna nella sfortuna, se quei punti non si fossero aperti, probabilmente si sarebbe pentita di quello che stava per accadere. Lui le teneva nascosta la ragione della scomparsa di Antonio, ed era il figlio dell’uomo che le aveva fatto da padre. Avrebbe dovuto vederlo come un fratello non come… insomma nel modo in cui lo vedeva. Era colpa dei rimorsi, delle occasioni perdute, di un qualcosa che credeva essersi lasciata alle spalle molto tempo prima. Elena, Jeremy e Clayton la salutarono sul portico di Stoneheaven e vi rimasero finché non la video sparire fuori dal muro di cinta della proprietà.
«Hai preso una saggia decisione.» - disse Jeremy a Nick rientrando in casa.
«Non ne sono più tanto sicuro.» - sussurrò lui così piano da non farsi sentire. Ma l’unico a dover essere consapevole di quell’incertezza era proprio lui. Emily sarebbe stata più al sicuro lontana da Bear Valley, proprio come suo padre l’aveva sempre tenuta. Non aveva potuto fare nulla per lui prima che gli venisse portato via così all’improvviso, non aveva potuto dimostrargli di essere un figlio di cui andare veramente fieri, ma avrebbe tenuto fede alla missione che suo padre aveva così tenacemente portato avanti in tutti quegli anni. Si sarebbe preso cura di Emily, anche se questo significava tenerla il più lontana possibile da lui e da tutto il mondo di cui faceva parte. 

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Capitolo 3
*** Born from a God and a Miracle ***


 

 

 

 

“Dio si è riservato la distribuzione di due o tre piccole cose sulle quali non
può nulla l’oro dei potenti della terra: il genio, la bellezza e la felicità.”
Théophile Gautier.














Nashville, Tennessee.
Anno accademico 2002-2003 e 2003-2004.


Ci sono cose alle quali si finisce col fare l’abitudine.
Le persone che premono il tubetto del dentifricio a metà, gli automobilisti che parcheggiano occupando due posti,  il cellulare che si scarica proprio quando ne hai più bisogno, l’influenza il primo giorno di vacanza, e cambiare famiglia. Forse quest’ultima non accomuna proprio tutti, ma sicuramente è una delle costanti nella vita di Emily.
Una costante che questa volta sembra essersi interrotta. La famiglia a cui era stata data in affidamento, la seconda in quell’anno,  l’aveva rimandata indietro, come se fosse un pacco postale, ma lei non gliene faceva una colpa. Non era ancora abbastanza grande da capire tutto, ma il signor Howen aveva perso il lavoro e come aveva sentito urlare alla moglie, non potevano permettersi pure una figlia. Solo che poi l’avevano ripresa, ci avevano ripensato, erano tornati indietro proprio per lei. Nessuno lo aveva mai fatto prima d’ora. Ed Emily ne aveva passate troppe per potersi definire fiduciosa, ma quel gesto l’aveva sorpresa. Era tornata a vivere con loro, in un modo completamente diverso da prima. Adesso lei era diventata la loro benedizione, ogni suo capriccio veniva prontamente accontentato. Nella nuova casa aveva una camera tutta per sé, arredata come una casa delle bambole. Emily a quattordici anni, aveva finalmente un posto da poter chiamare casa. E qualcuno a farle da quasi-genitore. Si perché gli Howen si assicuravano solo che a lei non mancasse il cibo, i vestiti ed un luogo in cui tornare, ma al di fuori di questi ambiti, le rivolgevano a stento la parola. Troppo concentrati sulla loro nuova macchina, o sul loro prossimo viaggio. Da qualche parte aveva sentito dire che la felicità è contagiosa, eppure lei sembrava esserne immune. Di lì a poco avrebbe iniziato la scuola superiore, ora che l’adozione era definitiva non doveva più temere un improvviso trasferimento, poteva finalmente cercare degli amici. La Nashville High School raccoglieva per la maggior parte gli studenti provenienti dalla sua Middle School, con il risultato che fra di loro gli studenti si conoscevano già tutti. Era inutile cercare di entrare a far parte dei gruppi più popolari, lei era la nuova arrivata, troppo anonima per venir notata. Riuscì però a trovare alcuni ragazzi con cui fare amicizia, nel gruppo che da tutto il resto della scuola veniva classificato come quello degli “sfigati”. Sfigati perché meno attraenti, ma incredibilmente intelligenti, e si sa che a quattordici quindi anni un QI sviluppato è tutto tranne che un pregio. Gin, Steve e Clarke. Emily non era affatto intelligente quanto loro, né tantomeno aveva avuto in passato occasione di coltivare i suoi interessi specializzandosi in qualcosa. Quando cambi famiglia tre volte l’anno hai altre priorità. Però loro l’avevano accolta, l’avevano messa in guardia dai pericoli che si nascondevano per quei corridoi ed erano diventati il suo nido. Gin un giorno sarebbe diventata un fenomeno della fisica, Clarke programmava da solo il suo computer, ed hackerava con incredibile facilità il sistema di sicurezza della scuola, riempiendo la homepage di foto photoshoppate del preside. E poi c’era Steve, quello che in altri tempi sarebbe stato definito un poeta maledetto. Le aveva fatto leggere alcune delle sue poesie, e perfino l’abbozzo di una sceneggiatura teatrale.  Erano un gruppo unito ed affiatato, la loro amicizia aveva traballato solo in un istante, quando lei aveva confessato il peccato mortale. Non era stata colpa sua, non l’aveva voluto, anzi lo aveva combattuto, eppure era accaduto lo stesso. Lo aveva incrociato solo per qualche istante nel corridoio della mensa, e se ne era innamorata a prima vista. Aveva ignorato la vistosa uniforme della squadra di basket, aveva ignorato i due scimmioni che gli camminavano ai lati, aveva ignorato tutti gli evidenti segnali che lo inserivano in una classe gerarchica intoccabile per lei. Nick Sorrentino. Il numero due della squadra di pallacanestro della scuola. L’apice della catena alimentare, il faraone ai tempi dell’Antico Egitto, il Giulio Cesare della storia di Roma. Insomma, una sorta di creatura mistica, che doveva essere nata dall’incrocio di un dio con un miracolo, perché Emily non si riusciva a spiegare come tanta perfezione potesse essere stata concentrata in un solo essere umano. La squadra di basket era oggetto delle arringhe più feroci da parte del suo gruppo, ma sapevano anche di dover assolutamente evitare di venir sentiti. Erano adorati dall’intera scuola per aver vinto il campionato due anni consecutivi, ed ora si accingevano a fare tripletta. Emily lo sapeva che era impossibile, Nick cambiava ragazza forse anche più di una volta al giorno, ma tutte appartenevano al suo livello. Nemmeno le vedeva le altre, quando passava per i corridoi era come se i suoi occhi censurassero in automatico chiunque non fosse degno di un loro sguardo. Gin, la povera e dolce Gin, era stata costretta a subire i suoi drammi sentimentali per oltre un anno, continuando sempre a ripeterle la stessa cosa: lascia stare.  Perché se anche per errore uno come Nick Sorrentino le avesse mai rivolto la parola, le ragazze dell’ultimo anno l’avrebbero scuoiata viva. Steve da vero amico le aveva sintetizzato la sua situazione sentimentale, su una mappa concettuale.

Tu – 14 anni – Emily – sfigata - Howen
Lui – 17 anni – NICK –SONO DIO – SORRENTINO


L’aveva appesa sullo specchio che teneva in camera e l’aveva guardata ogni giorno per tutto il primo anno di liceo e seguente estate. E la stava guardando anche quel giorno, il primo del suo secondo anno.  
Non si fermava mai a fare colazione, preferiva uscire ed andare dalle uniche persone che veramente le volevano bene. Gin, Clarke e Steve l’aspettavano alla fermata dell’autobus, euforici e felici per quel giorno che segnava la fine del loro anno da matricole della scuola. Sfigati lo sarebbero sempre rimasti, ma almeno non più matricole. Nick era seduto all’entrata principale, accanto alle colonne che decoravano l’ingresso, e come ogni altro giorno della sua vita, era meraviglioso. Gin teneva il braccio incastrato nel suo, e dovette quasi trascinarla via per evitare che rimanesse lì imbambolata a guardarlo. Accanto a lui c’era Rebekah Miller, un’altra creatura divina, mandata lì per ricordare ai comuni mortali la loro infinita miseria. Nick e Rebekah stavano insieme dalla fine dello scorso anno, ma lei e tutta la scuola, erano a conoscenza delle distrazioni che il ragazzo si era concesso nel frattempo.
«Il giorno che si sposerà sarà dichiarato lutto nazionale!» - disse mentre insieme a Gin prendevano i libri dagli armadietti. Ma tanto lei quel giorno non l’avrebbe visto, lei sarebbe morta alla fine di quell’anno quando Nick si sarebbe diplomato lasciando la scuola. Se non le fosse stato vietato avrebbe indossato il velo di lutto già quel giorno.
«Gli alunni del secondo e del quarto anno condivideranno le ore di laboratorio, così come quelli del primo e del terzo…» - l’annuncio veniva urlato ad un volume indecente dagli altoparlanti disseminati lungo tutti i corridoi. - «In modo da far proseguire i lavori di ristrutturazione ed agevolare i professori.»
«Noi siamo con quelli dell’ultimo anno?» -domandò Clarke togliendo le cuffiette dalle orecchie.
«Wow ed io che pensavo che l’anno peggiore sarebbe stato il primo!» - rispose Gin. - «Emy ci sei? Sei ancora fra noi?» - no, era morta e risorta, e poi morta di nuovo. Ora si trovava in un limbo.
«Pronta ad un anno di lezioni con il tuo amato?» - Steve avrebbe potuto scrivere un poema sulla faccia che stava facendo l’amica.
«N-n-noi…» - balbettò. - «Nella stessa classe?!» - lo scorso anno la volta che Emily era stata più vicina a Nick era stata  in palestra durante una partita. La palla era finita fra gli spalti, tre file sotto di lei e lui era corso a prenderla. Solo cinque metri li avevano divisi, ed almeno una quindicina di persone, ma quello era irrilevante.
«Ehi principessa, ci pensi dopo, abbiamo letteratura in prima ora!» - Gin la trascinò nell’aula. Era una tragedia, lei era inguardabile ed avrebbe diviso una stanza con Nick Sorrentino. Non c'era alcuna possibilità che riuscisse a superare quell'esperienza. Invece per sua fortuna l’inevitabile fu evitato, perché il primo giorno sarebbero state le matricole ad usare il laboratorio. Emily ci passò davanti uscendo da scuola con Steve, avrebbe potuto farlo saltare in aria, così il problema sarebbe sparito. Ma le ore di laboratorio con la classe di Nick arrivarono, nonostante lei avesse pregato più o meno ogni entità conosciuta, aveva perfino inventato una nuova religione con tanto di nuova divinità apposta per l’occasione. Sino a quel momento il suo rapporto con il trucco era stato conflittuale ed altalenante. Non aveva mai avuto abbastanza tenacia per imparare a truccarsi bene, ma non era abbastanza bella da poterne fare del tutto a meno.
«Ti sei messa il lucidalabbra per il laboratorio di chimica?» - non ci aveva sperato nemmeno mezzo istante che qualcuno sveglio ed intelligente come Gin non notasse quel dettaglio.
«Gin, se mi vuoi bene, avvelenami, non farmi soffrire ancora.» - le ragazze seguite da Clarke e Steve arrivarono in classe prendendo i posti. Quelli dell’ultimo anno arrivarono poco dopo, ma Nick ed il suo gruppo entrò perfino dopo l’arrivo del professor Baer.
«Non abbiamo perso le cattive abitudini Signor Sorrentino.» - disse l’uomo mentre i ragazzi prendevano posto.
«Ehi James, non è la stessa maglietta che avevi l’ultima volta quella? Sei rimasto chiuso in laboratorio tutta l’estate?» - Gin si voltò verso di lei con uno sguardo più che scandalizzato.
«Divertente, davvero divertente. Quasi quanto il darti l’insufficienza per l’ennesimo anno.» - disse il professore sedendosi alla cattedra e chiudendo quel dibattito. - «Cominciamo.»
«Professore mi scusi, ho una domanda.» - disse Clarke alzando la mano dal banco accanto al suo. Tutta l'attenzione delle due classi era concentrata sul suo amico, anche lo sguardo di Nick.
«Dica pure Signor Hale.» - rispose l’uomo avvicinandosi alle prime file.
«Come faremo a fare lezione insieme? Loro sono due anni avanti rispetto al nostro programma e-» - l’uomo sollevò la mano facendo segno al ragazzo di interrompersi.
«Grazie per averlo chiesto.» - disse gentilmente. - «Questa è sicuramente un’osservazione corretta, a differenza di altre fatte poco prima…» - aggiunse lanciando un’occhiata verso Nick. - «Voi siete una delle migliori classi che questa scuola abbia mai avuto.» - si glielo diceva sempre. - «Mentre loro, sono forse la peggior classe di cui il sistema scolastico americano abbia memoria.» - concluse generando una sommessa risata da parte di tutti gli studenti. - «I programmi combaciano perfettamente e semmai saranno loro a dover recuperare qualcosa. » - fatta quella precisazione la lezione poté iniziare, il programma riprendeva esattamente dal punto dove loro avevano interrotto qualche mese fa. Ogni tanto, nascosta da Gin, Emily cercava di guardare verso Nick, il ragazzo era sempre proteso all’indietro a parlare con uno dei suoi amici.
«Guarda come si tiene in equilibrio solo con la forza del braccio…» - sussurrò all’orecchio dell’amica, più interessata all’esperimento che stavano conducendo che alle perverse fantasie di Emily.
«Si Em, ma se non vuoi far crollare la media della nostra classe, è meglio che torni a concentrarti.» - in chimica andava benissimo. Il Professor Baer aveva una predilezione per lei, poteva anche concedersi quella celestiale distrazione.
«Quale composto otteniamo addizionando dell’acqua ad un alchene?» - domandò il professore, vedendo sollevarsi almeno quattro o cinque mani fra gli studenti del secondo anno, e nessuna fra quelli del quarto.
«Sorrentino? E’ una delle poche risposte a cui sono certo perfino lei è in grado di rispondere.» - Gin la stava di nuovo guardando sconvolta. Decisamente non correva buon sangue fra Nick ed il professore.
«Che ha detto?» - domandò il ragazzo, lasciando andare la presa che lo teneva in equilibrio. Il rumore della sedia che tornava ad appoggiarsi a terra con tutte e quattro le gambe sembrò quasi uno sparo, seguito poi dalle risate dei ragazzi.
«Le sto dando l’occasione di mostrarmi i risultati del suo ripasso estivo…» - disse l’uomo generando risate ancor più incontrollate di quelle di prima.
«Si fidi, non ha idea di quante ne ho ripassate quest’estate!» - disse il ragazzo. Il professor Baer tornò a sedersi alla cattedra.
«Dal momento che non sa rispondere, sarà contento di ricevere la sua prima insufficienza.» - disse prendendo la penna ed aprendo il registro. - «E come lei finiranno i suoi compari.»
«Alcool!» - rispose lei attirandone l’attenzione e prendendosi una gomitata da Gin.
«Chi ha risposto?» - domandò l’uomo. E lei alzò la mano.
«Emily.» - era incredibile come fosse mutato il suo tono di voce. - «Ovviamente la risposta è corretta.» - disse richiudendo il registro. - «Ma non l’avevo chiesto a te.» - non era importante, aveva evitato che mettesse un’insufficienza a Nick.
«Mi scusi.» - disse lei sovrastata dal suono della campanella.
«Grande Emy!» - le disse Clarke uscendo dall’aula correndo in direzione della sala computer.
«La nostra coraggiosa eroina ha sfidato il terribile professor Baer per il suo amato!» - aggiunse Steve sorridendo insieme a Gin.
«Piantatela!» - li rimproverò lei. Il loro tavolo all’ora di pranzo era in fondo alla mensa proprio vicino ad una finestra. Il secondo piano era territorio esclusivo degli studenti dell’ultimo anno e di quei pochi, ritenuti degni di mangiare in loro compagnia.
«Nick Sorrentino è pregato di recarsi in presidenza appena finita l’ora di pranzo.» - l’avviso ammutolì l’intera sala mensa. Era un’abitudine, Nick veniva sempre chiamato in presidenza.
«La Mitchell deve aver sentito la tua mancanza!» - urlò qualcuno al secondo piano. Lo scorso anno aveva perfino rischiato la sospensione, evitata all’ultimo solo perché la sua presenza è indispensabile per la squadra. Gli altoparlanti non si erano spenti ed un leggero campanello avvisò gli studenti che c'era un altro annuncio.
«Emily Howen è pregata di recarsi in presidenza appena finita l’ora di pranzo.» - avrebbe voluto sentirlo un’altra volta, per esserne certa. Il suo nome aveva davvero risuonato per ogni angolo della scuola?
«Baer non può averla presa così male…» - disse Gin.
«Non è che non hai pagato le tasse d’iscrizione?» - domandò Steve.
«Ha davvero detto il mio nome?» - chiese lei.
«Si!» - risposero in coro i due. Poco dopo li raggiunse Clarke, lui di solito mangiava nell’aula di informatica, mentre usava i computer, ma quando aveva sentito il nome di Emily nell’avviso si era precipitato lì.
«Guarda il lato positivo…» - le disse Gin. - «Farai anticamera con il tuo amato.» - se possibile quello peggiorava ancora di più la faccenda. Aveva paura, una paura che non riusciva a spiegare a nessuno di loro. Le era già successo di venir chiamata in presidenza, ed ogni volta il motivo era sempre e solo uno:  trasferimento. Finì di mangiare il più in fretta possibile e raggiunse l’ufficio della preside. Le sedie su cui attese erano davanti alla segreteria i cui telefoni non avevano smesso un attimo di squillare. L’ora del pranzo era finita da dieci minuti, ma la porta restava chiusa. Vide Nick arrivare appena svoltò nel corridoio, e neppure vedere lui riuscì a distrarla dalla sua paura. Prima che il ragazzo potesse sedersi la preside aprì la porta.
«Oh siete arrivati! Bene. Entrate.» - disse la donna lasciando la porta aperta e tornando a sedersi alla scrivania. Emily rimase seduta qualche istante in più, il tempo che Nick la superasse. Li aveva fatti entrare insieme, quindi era davvero per quello che era successo nel laboratorio. Entrò nell’ufficio della preside ed incrociò lo sguardo del professor Baer.
«Emily, siediti.» - le disse l’uomo con il suo solito tono cordiale ed affabile.
«Nicholas, cedevo che questo atteggiamento ce lo fossimo lasciato alle spalle.» - iniziò la donna. Emily si sentì in imbarazzo sentendo chiamare il ragazzo con il suo nome completo, non lo faceva nessuno. - «Sai perfettamente che per ricevere la raccomandazione per il college devi concludere l’anno con il massimo dei voti.» - Nick continuava a pretendere di non ascoltare. - «Hai già un’insufficienza in storia, ed oggi stavi per prenderne un’altra in chimica. Suppongo che tu voglia ringraziare la ragazza che te l’ha evitata.»
«N-» - stava per dire qualcosa, neppure lei sapeva esattamente cosa, ma Nick la sovrastò.
«Non si può essere perfetti in tutto. Chimica e storia non fanno per me. Se vuole posso pagare per avere una A, i soldi non mi mancano.» - Emily non riusciva a credere a ciò che stava sentendo.
«Devi ringraziare l'immensa stima che nutro per tuo padre se ancora non ho sporto denuncia.» - disse la donna. - «E’ nel tuo interesse migliorare.»
«E’ ovvio che da solo non puoi farcela. Fra gli allenamenti e le lezioni curricolari, ti resta veramente poco tempo da dedicare allo studio.» - disse il professor Baer. - «Per questo abbiamo fatto venire anche Emily.» - si era immaginata tante volte come sarebbe stata la prima volta che i suoi occhi avrebbero incontrato quelli blu oceano di Nick. Aveva fantasticato su un colpo di fulmine, o su uno sguardo timido, o magari uno malizioso. Ed invece avvenne in quel momento, nell’ufficio della preside, e fu uno sguardo di pura perplessità.
«Emily tu sei senza dubbio una delle migliori studentesse della nostra scuola.» - spiegò la preside. - «E sei anche l’unica che non svolge alcun corso pomeridiano.» - aveva un brutto rapporto con i corsi supplementari. Avendo in passato cambiato scuola molto di frequente, ogni volta che se ne andava lasciava nei guai le persone che avevano lavorato con lei, quindi aveva semplicemente smesso di iscriversi.
«Per questo abbiamo pensato che potresti aiutare Nick a recuperare.» - concluse il professore. E lei ebbe un microinfarto. - «Riceveresti dei crediti extra. Parlane con i tuoi e-»
«E’ fuori questione che io prenda ripetizioni!» - disse il ragazzo.
«Emily, grazie per essere venuta. Torna pure in classe.» - le disse la preside. Era confusa, disorientata ed abbastanza sotto shock, quindi ubbidì e li lasciò a parlare fra di loro. Gin, Steve e Clarke fecero con lei tutto il tragitto fino al portico di casa. La decisione era sua, agli Howen non cambiava nulla perché non c’erano mai quando tornava da scuola. In realtà, non c’erano mai, praticamente sempre.
«Mi ha chiamato la preside.» - disse Antonio appena Nick tornò a casa, rigorosamente più tardi dell’orario che gli aveva imposto.
«Non ti preoccupare.» - disse lui superando il padre. - «Com’era l’Italia?»
«Bella come sempre, devo ripartire domani, ma prima vorrei essere sicuro che tutto sia veramente a posto.» -  Antonio lavorava tanto e sempre, non c’era quasi mai in casa. Nick veniva servito e riverito da una schiera di domestici che badavano a tutto per lui. Il padre tornava almeno una volta al mese e quando ne aveva l’occasione si fermava per qualche weekend con il figlio. Si erano trasferiti a Nashville solo per far fare lì il liceo a Nick, il ragazzo non era mai stato entusiasto dell’idea, ma aveva accettato la decisione paterna. Andava a correre quasi tutte le notti, sentiva la mancanza di Clay e del suo Branco, correre con loro era molto più divertente che da solo. Tutto sommato però ormai si era abituato a quella città, conosceva i suoi boschi i suoi profumi, e soprattutto si era abituato al divieto di caccia ai lupi. Ormai erano passati cinque anni da quando si erano trasferiti lì, era stato anche lui il nuovo arrivato, ma a differenza di Emily si era subito integrato. Appena finito il liceo sarebbe andato al college, lontano e da solo, totalmente questa volta. Era stata una sua scelta, un suo desiderio, la su aprova di libertà. - «Ti serve la raccomandazione dei tuoi professori per entrare, non basteranno i tuoi risultati sportivi.»
«Lo so, l’avrò.» - la Mitchell e Baer erano stati piuttosto chiari, c’era un solo modo per avere quella lettera ed era migliorare in chimica e storia.
Gli alunni del secondo anno avevano appena finito l’ora di ginnastica, Emily era esausta, lei e Gin sembravano aver appena corso la maratona alle Olimpiadi. Si divisero da Clarke e Steve solo per andare a farsi la doccia e a cambiarsi negli spogliatoi. Considerando il grado di intimità che c'era fra loro quattro nessuno avrebbe battuto ciglio a vederli entrare nello stesso spogliatoio, ma le regole volevano che quello maschile si trovasse all'estremità opposta del corridoio.
«Oddio, oddio!» - disse una delle sue compagne di classe mentre lei, si frizionava i capelli con l’asciugamano.
«Avete visto?» - domandò un’altra.
«Cosa?» - chiese Gin inascoltata.
«Guarda quanto è bello!» - le risposero due delle ragazze che sbirciavano qualcuno nel corridoio.
«Ma chi?» - continuò ancora Gin.
«Nick!» - le risposero in coro quelle come se fosse una risposta ovvia. E per lei lo era, ma non per Gin che aveva tutt'altri gusti.
«Sta appoggiato qui davanti. Oddio!» - la lista delle spasimanti di Nick era lunga quanto il censimento. Emily lo sapeva, era l’unico “interesse” in comune che aveva con le altre sue compagne di classe.
«Ciao! Aspetti qualcuno?» - domandò una di quelle che era riuscita a farsi coraggio per approfittare dell’occasione di parlargli.
«Sei del secondo anno?» - gli chiese lui, e dato che nello spogliatoio si erano tutte ammutolite, la sua domanda risuonò amplificata. - «Emily.» - disse.
Una morsa allo stomaco così forte da farla quasi piegare su se stessa.
«Ok... te la chiamo.» - la ragazza tornò dentro chiudendosi la porta alle spalle ed ansimando come se fosse stata in apnea per tutto il tempo. Non importa quanto duramente si oppose all’idea di uscire lì fuori a parlare con lui, la scaraventarono nel corridoio con ancora l’asciugamano bagnato in mano. Nick la squadrò da cima a fondo e lei avrebbe voluto sprofondare negli abissi del pianeta.
«Mi hai salvato l’altro giorno a chimica.» - disse a bruciapelo. Era un nuovo record, erano più vicini ora che nell’ufficio della preside. Cercò nella sua testa una risposta divertente, intelligente ed affascinante da dare, ma l’unica cosa che vi trovò fu il nulla. - «Hai sentito quello che ha detto la Mitchell ieri, no? Mi serve la media alta per andare al college.» - gli avrebbe volentieri ceduto la sua, e non c’era bisogno di specificare che pensava alla media, perché gli avrebbe dato qualunque cosa. - «Ti sta bene darmi una mano dopo scuola?» - il fischio di una pentola a pressione sarebbe impallidito al cospetto del grido interno che quella domanda le provocò.
«Certo!» - rispose immediatamente. Per nulla affascinante.
«Ok. Allora ci vediamo dopo gli allenamenti in palestra.» - Nick sparì nei corridoi lasciando una scia di profumo dietro di sé, e lei imbabolata a fissare il muro su cui era appoggiato. Sapeva che Gin aveva ascoltato ogni singola parola, così come il resto delle ragazze della sua classe. Era appena diventata la donna più invidiata del Nashville.
«Emy respira!» - le disse Gin scuotendole le spalle. Ora poteva morire. Ora che aveva parlato con Nick Sorrentino poteva lasciare il mondo terreno perché non aveva più alcun desiderio.
«Quindi starete da soli in palestra quando la scuola è deserta?» - le domandò Steve facendole di nuovo sentire quella morsa atroce alla bocca dello stomaco.
«La conosci la sua fama…» - aggiunse Clarke, e di nuovo la morsa.
«Secondo me è lui che deve stare attento. Gli sbava dietro da un anno, è capace di  tutto!» - disse Gin.
«Che cosa gli dico? Come gli parlo?» - chiese lei persa nel panico più totale.
«Cerca di capire di che livello di ignoranza stiamo parlando e poi ti fai un piano di recupero.» - le suggerì l’amica.
«No intendo, come faccio a parlargli se lui mi guarda? E se mi chiede qualcosa che non so? E se porta la felpa smanicata? Oddio io se gli vedo le braccia muoio!» - mancava ancora un’ora alla fine degli allenamenti. Clarke aveva il suo club di informatica e Steve quello di letteratura, quindi dovettero abbandonarla nel mare della sua preoccupazione. Gin stava cercando con tutta se stessa di non dirle che sembrava proprio una delle mille deficienti che andavano dietro a Nick, ma lei glielo leggeva in faccia.
«Emy tu sei mille volte più intelligente di lui, dovrebbe essere lui a tremare all’idea di parlarti non il contrario!» - la superiorità della specie. - «Se porta la felpa smanicata però, arrenditi, perché contro quelle braccia non c’è niente da fare!» - si sentirono solo le loro risate nei corridoi vuoti della scuola. Ridere le faceva scaricare la tensione.
«Ti chiamo quando torno a casa.» - le disse. Si stava facendo tardi e Gin doveva comunque prendere due autobus per tornare a casa. Era rimasta solo per supportare lei, perché non aveva il laboratorio di fisica quel pomeriggio. Quando entrò in palestra i ragazzi avevano già sistemato tutto ed erano nei camerini. Si sistemò su uno degli spalti, quello più in alto e guardò la palestra vuota. Nick era davvero bravo negli sport, era il miglior tiratore della squadra. Non si era persa nessuna partita lo scorso anno, aveva perfino studiato le regole del basket, per riuscire a capire meglio il gioco. Vide uscire la squadra e le ragazze cheerleader. Rebekah era meravigliosa anche con la piega fatta usando i phon degli spogliatoi.
«Andiamo a bere qualcosa!» - disse il capitano.
«Ho un impegno.» - gli rispose Nick guardando verso di lei, e quella fastidiosa morsa allo stomaco tornava a torturarla. Quando tutti furono usciti e rimasero solo loro Nick la raggiunse in cima agli spalti. - «La Mitchell mi ha dato fino a metà anno per migliorare, altrimenti mi scordo l’entrata al college.» - Emily era ambiziosa, avere un termine entro il quale riuscire a fare qualcosa, la stimolava a dare il meglio. Purtroppo però Nick aveva la felpa smanicata che catalizzava totalmente la sua attenzione.
«Ok.» - disse prendendo un lungo respiro. - «Quante volte a settimana e per quante ore…» - aveva la salivazione a mille e non riusciva a parlare bene.
«Tutte quelle che servono. Possiamo fare anche ogni giorno, il martedì ed il venerdì non ho gli allenamenti quindi abbiamo più tempo.» - Emily voleva urlare. Avrebbe voluto baciare la Mitchell e Baer per averlo costretto a prendere ripetizioni da lei. Lui stava davvero dicendole che poteva vederlo ogni giorno, tutto il giorno, per tutto il tempo che voleva. Come avrebbe detto Gin: sound like a porn.
«Dipende da quanto hai da recuperare…» - doveva essere professionale.
«Fai conto che di chimica non so di che stia parlando e storia pure grossomodo.» - perfetto, quindi doveva recuperare cinque anni di liceo, in più o meno qualche mese. Per fortuna la sua classe era molto indietro con i programmi rispetto ai normali ultimi anni, quindi anche per lei non sarebbe stato troppo lavoro.
«Allora dobbiamo cominciare il prima possibile!» - disse arrossendo. No non lo diceva solo perché era troppo bello poterlo guardare senza altre persone intorno, e nemmeno perché voleva continuare ad annegare in quegli occhi. C’era veramente tanto da fare.
«Quanti anni hai?» - le chiese stendendosi sui gradoni della palestra. Era arrivato il momento che Emily temeva più di tutti, le domande fuori programma, lo spazio libero, la reciproca conoscenza.
«Quindici.» - rispose.
«Cazzo sono messo proprio male se mi hanno mandato una bambina come insegnante.» - se quella frase non fosse stata pronunciata dal ragazzo che sognava da oltre un anno ogni notte, con le sue bellissime labbra, probabilmente l’avrebbe offesa. - «Sei fidanzata?» - era stata brava sino a quel momento, ma a quella domanda il suo corpo reagì da solo scivolando malamente sulla panca dove era sdraiato Nick. Gli cadde dritta sulle gambe ed entrambi si fecero male.
«Aia!» - esclamarono. Non era fidanzata, non lo era mai stata, ed aveva una gigantesca cotta proprio per lui. - «Scusa.»
«Ho preso botte peggiori.» - disse lui tirandosi su con quelle braccia che in torsione diventavano ancora più belle.
«Allora cominciamo domani?» - disse alzandosi e raccogliendo le sue cose. Aveva aspettato quasi tre ore solo per quei dieci minuti che Nick le stava dedicando, ma non era né arrabbiata né dispiaciuta. Anzi probabilmente dall’agitazione non avrebbe chiuso occhio.
«Ok domani dopo gli allenamenti.» - aggiunse prendendo il suo borsone da basket. Lui prese l’uscita verso i parcheggi mentre lei quella per il cortile. Appena fu a casa chiamò Gin raccontandole dei dieci minuti più belli della sua vita e dopo iniziò a buttare giù uno schema per le ripetizioni. Storia non sarebbe stata difficile, anche se lei era indietro rispetto al suo programma, alla fine si trattava solo di studiare, di mettersi su un libro ed imparare. Mentre chimica poteva essere un problema. Andando avanti gli argomenti diventavano più complicati e per arrivare al livello di un ultimo anno di liceo, non sarebbe stato semplice. Il giorno dopo fu uno di quei maledetti giorni in cui non intravide mai Nick. Non passarono mai per lo stesso corridoio né avevano lezioni insieme. Per fortuna c'era la mensa che le permetteva di sentirlo parlare e poi le ripetizioni. Si ritrovarono in palestra esattamente come il giorno prima. Non aveva mai insegnato nulla a nessuno prima d’ora, quindi non era sicura di come fare con lui. Nick era più sicuro, più tranquillo, molto meno complessato di lei, eppure il destino aveva voluto che qualcosa che lui desiderava ardentemente fosse messo nelle sue mani. Aveva organizzato gli argomenti in modo da fare un’ora di chimica ed un’ora di storia, ma Nick faceva domande continuamente e a lei piaceva così tanto il suono della sua voce che abbandonò lo schema. Era bello avere le risposte alle sue domande, risposte che non la mettevano in difficoltà, ma che le permettevano di avere con lui lunghissime conversazioni. Non lo stava conoscendo, perché parlare di atomi, guerre e date non era esattamente la base di una conoscenza, ma parlavano a lungo e quello era già più che sufficiente. Quando ebbero finito era molto più tardi del previsto. La scuola rimaneva aperta perché c’erano dei corsi serali, ma perfino quegli studenti stavano lasciandola e dietro di loro iniziavano a venir spente le luci.
«A domani.» - gli disse crogiolandosi in quel saluto così informale ed intimo.
«Esci di qua ti riporto a casa.» - le disse lui. Non riusciva proprio ad immaginare quanto dovesse essere stanco dopo tre ore di allenamenti ed altrettante di studio. Era massacrante considerando che si sarebbe anche dovuto occupare di non rimanere indietro sui compiti assegnategli in quei giorni. Accettò il passaggio, perché era tardi, era stanca e soprattutto perché era lui ad offrirlo. L’anno prima aveva fatto un incidente distruggendo la vecchia macchina, ma ne aveva subito ricomprata un’altra. Era stato una settimana in ospedale per gli accertamenti e lei aveva perfino pianto quando lo aveva saputo. Il sedile del passeggero, alla destra di Nick, ci aveva viste sedute solo le ragazze più belle della scuola. Notò che c'era di tutto dentro quella macchina. Dalle scarpe a delle maracas.  Ma era comunque bellissimo poter essere riaccompagnata a casa da lui. Se avesse avuto un diario avrebbe iniziato scrivendo: “Caro Diario, OH MIO DIO SENTO IL SUO PROFUMO OVUNQUE MADONNA QUANTO E’ BELLO!”
«Eccola!» - gli disse facendolo fermare davanti al vialetto di casa. - «Grazie.» - aprì lo sportello e scese, mentre lui abbassava il finestrino.
«Emily?» - la chiamò. E lei immaginò di vederlo scendere dall’auto e venire a baciarla proprio lì a due metri dalla sua porta d’ingresso. - «Fossi in te mi laverei bene le mani.» - le disse ridendo e poi mettendo in moto. Effettivamente la mano con cui aveva aperto lo sportello la sentiva umida ed appiccicosa, ma era una sensazione con cui stava imparando a convivere da quanto trascorreva ore con Nick. Il giorno dopo sarebbe stato venerdì, ovvero il primo giorno senza allenamenti da quando aveva iniziato a dargli ripetizioni. Avrebbero avuto l’intero pomeriggio a disposizione per poter recuperare. Nick era molto intelligente, imparava in fretta,  il suo unico problema era la concentrazione. Lo annoiava a morte stare fermo sui libri, soprattutto se una cosa non la capiva al primo colpo la sola idea di doverla rileggere lo nauseava. Infatti spesso era lei a rileggere, rileggere e rileggere interi paragrafi, si sentiva come una madre che racconta le storie ad un bambino fino a che questo non si è addormentato. Lei leggeva di guerre, conquiste e scoperte, e Nick doveva poi riassumere i punti fondamentali. Qualunque cosa detta da lui era sempre più bella. Finite le lezioni andò in palestra, immaginando di trovarlo lì.
«Quelli dell’ultimo anno sono usciti un’ora prima oggi.» - le disse Gin raggiungendola. - «Mi sa che ti ha dato buca.» - il suo venerdì da sogno era appena naufragato.
«Ehi secchia!» - urlò uno dei ragazzi della squadra di basket. Secchia, era l’affettuoso diminutivo di secchiona, che nelle loro teste era anche sinonimo di brutta. - «Nick è andato a casa ti aspetta lì.»
«A casa sua?» - domandò Gin, rivolgendo con riluttanza la parola a quell’essere da lei considerato infinitamente inferiore.
«Tieni.» - il ragazzo le diede un foglio dove sopra era scarabocchiato l’indirizzo. Assomigliava ad un incantesimo elfico più che ad un indirizzo, ma Emily avrebbe decifrato anche il sanscrito se questo l'avesse condotta da lui.
«Il mio venerdì da sogno è appena diventato incredibilmente più stupendo.» - disse prendendo Gin e correndo alla fermata degli autobus.
«Lo sai vero che non sei tenuta ad andare a casa sua?» - disse l’amica che aspettava con lei l’autobus. - «Non mi rispondere è un'osservazione inutile, lo so.»
«Arriva devo prendere questo!» - disse mentre la salutava e saliva sull’autobus che l’avrebbe portata vicino all’indirizzo segnato. Aveva immaginato casa di Nick tante di quelle volte che non le sembrava possibile riuscire finalmente a vederla. Sapeva che spesso ci aveva organizzato delle feste, a cui lei e nessuno dei suoi amici, erano mai stati invitati, e che era grandissima. Realizzò quanto grande fosse, solo dopo aver camminato dieci minuti per riuscire a superare il giardino ed arrivare al cancello d’ingresso. Si aprì come per magia senza che le dessero il tempo di citofonare e un signore sulla cinquantina la condusse in casa indicandole la stanza in cui avrebbe trovato Nick. Un principe, era davvero un principe. Attraversò il grande salone, facendo attenzione a non colpire nessuno dei preziosi soprammobili che vi erano disseminati ed arrivò sul retro, dove c’era la grande piscina. L’enorme vetrata del salone che terminava con una porta finestra per accedere all’area esterna le permetteva una vista completa del paesaggio. Notò una chioma bionda su una delle sdraio e poi vide anche Nick. Era con Rebekah, e decisamente non era pronto a mettersi a parlare di chimica o storia. Si voltò immediatamente dandogli le spalle e rimase seduta per terra nel salone per minuti e minuti. Definire quella situazione incredibilmente imbarazzante era poco, si chiese dove fossero i genitori di Nick per permettere che portasse a casa quella ragazza e facesse certe cose in piena libertà con tutti i domestici che giravano per casa.
«Eccola qui!» - disse Rebekah aprendo la porta.
«Ehi quando sei arrivata?» - domandò Nick salutando la ragazza con un bacio.
«Ora…» - rispose incerta lei, tradendo così l’intera verità.
«Non divertitevi troppo voi due!» - disse Rebekah prima di uscire, facendola sentire ancora di più in imbarazzo. Nick fece un cenno ad uno dei domestici che scomparve nella grande sala.
«Allora, abbiamo tutto il pomeriggio!» -  quella inaspettata serietà e dedizione al lavoro, erano forse la cosa che più aveva colpito Emily. Nick voleva davvero migliorare per riuscire ad andare al college, doveva veramente essere importante per lui. Iniziarono subito riprendendo dalle parti che era stato più difficile capire il giorno prima. Il domestico tornò portando succhi e tramezzini, lei aveva appena mangiato quindi bevve solo qualche cosa mentre leggeva per evitare che le si seccasse la gola, mentre Nick ripulì l’intero vassoio. Dove lo mettesse tutto quel cibo lo sapeva solo lui. Da quel giorno in poi quella diventò la loro routine, Nick aveva smesso di fermarsi in palestra dopo gli allenamenti, la prendeva a la portava a casa e poi la riaccompagnava quando avevano finito. Per lui era piacevole avere qualcuno con cui parlare quando non c’era suo padre, ed Emily non era poi così male come aveva immaginato. L’aveva capito subito che aveva un cotta per lui, lo aveva usato per poterla sfruttare al massimo, nessun altro avrebbe mai accettato di dargli ripetizioni tutti i giorni per tutte quelle ore senza avere nulla in cambio. Lui la ricambiava sorridendole, a volte sfiorandole non casualmente la mano, si forse la illudeva, ma infondo era a fin di bene. Quando non era troppo intimidita aveva persino dimostrato un lato simpatico e volitivo, che di solito veniva nascosto dall’imbarazzo di parlargli. Tutto sommato la apprezzava, non come ragazza, quasi come amica, e per questo aveva iniziato a trascorrere con lei più tempo di quello necessario allo studio. Si divertiva con lei come non si divertiva di sicuro con i suoi amici o con Rebekah. Ed Emily lo aveva capito fin troppo bene che stava venendo relegata nell’invalicabile zona dell’amicizia, ma per qualcuno che non aveva mai avuto nemmeno la speranza di riuscire a fargli sapere il proprio nome, potersi considerare quasi una sua amica era un dono del cielo.
Era un pomeriggio qualsiasi, anzi no, era uno die pochi pomeriggi in cui non dava ripetizioni a Nick che era andato ad un concerto con quelli della squadra. Era con i suoi amici al bar a prendersi un gelato, perché nonostante il freddo, non si diceva mai di no ad un gelato.
«Si accettano scommesse su quante se ne sarà fatto sino ad ora.» - disse Clarke.
«Ma la smetti? Non è mica un animale, prima le-» - Steve la interruppe.
«Nick è l’animale del sesso per eccellenza.» - disse il ragazzo.
«Non se ne fa scappare una.» - aggiunse Gin raggiungendoli al tavolo.
«Veramente una si…» - borbottò lei sentita solo da Clarke che le pizzicò la guancia.
«Avete visto chi c’è al tavolo lì dietro?» - Gin indicò un tavolo a cui erano seduti tre ragazzi. Erano della Berrytown High School, ovvero la scuola rivale della Nashville nel campionato di basket.
«Shhhh!» - disse Emily cercando di sentire cosa stessero dicendo. Era strano che fossero così vicini alla loro scuola.
«…sarà ubriaco... Lo pestiamo fino a farlo piangere!» - disse uno dei ragazzi.
«Voglio proprio vedere come lo centra il canestro dopo che gli avrò fratturato le mani!» - aggiunse un altro.
«Si è portato a letto la mia ragazza solo perché si crede il migliore.» - Emily si guardò con gli altri, non c’erano molti dubbi su chi fosse l’oggetto di quella discussione, anche perché la notizia che Nick si era passato quasi tutte le ragazze dei Berrytown era un fatto piuttosto noto.
«State parlando di Nick?» - proprio come quel giorno nell’aula di chimica Emily aveva agito in modo inaspettato lasciando Gin e gli altri impreparati.
«Lo conosci?» - le domandò uno di quelli che aveva un tatuaggio sul collo.
«Spero proprio che non siate così codardi da volerlo picchiare quando è ubriaco…» - rincarò la dose.
«Ehi bambolina ricordami chi è che ti ha interpellata.» - uno di quei ragazzi si era alzato dal tavolo e le era arrivato davanti. La gente che usciva dal bar li guardava cercando di capire se fosse il caso o meno di intervenire. Anche gli altri tre si alzarono e quando Clarke e Steve provarono a frapporsi li spinsero via senza troppi complimenti.
«Dico solo che se non riuscite a batterlo sul campo forse dovreste accettare il fatto che vi è superiore.» - Gin sapeva che Emily poteva essere capace di grande coraggio, ma in quel momento temeva seriamente che potesse costarle caro.
«Emy lascia stare.» - le disse cercando di portarla via. Il ragazzo con i tatuaggi rise ed uno degli altri le diede una spinta mandandola a sbattere proprio contro il tavolo su cui era seduta. Cadde male, molto male perché si storse la caviglia ed il manico di una delle sedie le colpì lo zigomo. - «Cazzo brutti deficienti!»
«Ragazzi?» - disse una voce alle loro spalle facendoli allontanare. - «E’ una ragazza quella?» - chiese un ragazzo da una macchina.
«No, no niente.» - i tre salirono in macchina andandosene mentre Gin aiutava Emily a rialzarsi.
«Quello era Gabriel?» - domandò Steve a Clarke mentre si assicuravano che Emily stesse bene.
«Si proprio lui.» - Gabriel era il nuovo acquisto del Berrytown, un ragazzo arrivato da Los Angeles che stava letteralmente trascinando la squadra su per la classifica. Emily non si era fatta nulla di grave, la botta sullo zigomo si sarebbe tradotta in un brutto livido che sarebbe scomparso nel giro di una al massimo due settimane. E la caviglia non era rotta, si trattava solo di una brutta storta che l’avrebbe costretta all’uso di una stampella per camminare.
«Ehi! Ed io che pensavo che quando non eri occupata con me passassi i tuoi pomeriggi a studiare con i tuoi amichetti.» - le disse Nick incrociandola in un corridoio a scuola.
«Già…» - fino a  qualche secondo prima sembrava che nessuno avesse notato le fasciature, ma ora che Nick le parlava sentiva addosso gli sguardi di tutta la scuola.
«Veramente se è ridotta così è perché ha difeso te.» - tuonò alle sue spalle Clarke, che aveva un cerotto sulla fronte.
«Come dici amico?» - chiese Nick.
«Niente, niente!» - si voltò verso Clarke fulminandolo con lo sguardo. I rapporti fra Nick e la squadra di Berrytown erano notoriamente un campo pericoloso. Quando aveva rischiato la sospensione era successo perché si era menato con due degli avversari, ed ogni volta che si incrociavano erano scintille. Non c’era affatto una sana e leale competizione fra di loro ed era meglio non aggiungere carne al fuoco.
«L’hanno spinta quelli di Berrytown.» - disse Gin chiudendo l’armadietto. E se Nick non le avesse appoggiato una mano sul viso rigirandola verso di lui e facendola perdere nei suoi occhi, avrebbe tirato la stampella all’amica.
«Stai bene?» - era la prima volta che lo vedeva così. Era un tocco leggero e delicato, una carezza morbida che le delineava il profilo del viso. Un contatto nuovo, sconosciuto, inaspettato. E poi c’era la sua voce, rotta, esitante, increspata. Gli occhi tormentati, lucidi, scossi. Nick Sorrentino era autenticamente preoccupato per lei. Non aveva più una morsa all abase dello stomaco, c'era direttamente il cracken e risucchiarle gli organi interni uno ad uno.
«Si, sto bene.» - e lei riuscì a parlare nonostante lo avesse così vicino, nonostante tutto ciò che riuscisse a notare era la bellezza di quel gesto.
«Niente ripetizioni finché non ti sei ripresa, ok?» - ed ora aveva aggiunto a tutto quello anche un sorriso che svelava i denti bianchissimi. - «Andiamo al campetto oggi pomeriggio.» - disse Nick ai ragazzi che lo seguivano. - «Non ti preoccupare, me ne occupo io.» - e la carezza finì e con essa anche l’ipnosi che aveva su di lei. Sentiva la pelle orfana di quel contatto tornare ad avere la temperatura dell’ambiente circostante.
«Oddio li vuole menare!» - esclamò tutto d’un tratto.
«Beh mi pare il minimo!» - le disse Clarke. Non lo poteva assolutamente permettere, non ora che Nick aveva ricevuto un ultimatum dalla preside e si stava impegnando così tanto per migliorare. In quelle settimane aveva fatto passi da gigante, tra poco ci sarebbero stati i primi test e lei era sicura che sarebbe andato molto meglio. Ma tutto quello sarebbe stato polverizzato se avesse fatto a botte con quelli del Berrytown. Gin l’aiutò a capire cosa fosse “il campetto” si trattava del campo dove si allenavano i loro avversari, Nick ci avrebbe trovato l’intera squadra. Viste le sue condizioni gli Howen le avevano alzato la paghetta, per farle prendere il taxi per tornare ed andare a scuola. Appena le lezioni finirono si fece portare lì accompagnata da Gin e Steve. Clarke aveva il corso di informatica e non se lo sarebbe mai perso per salvare quelli del Berrytown. Arrivarono appena in tempo, perché Nick stava scendendo in quell’istante dalla macchina.
«Ehi ehi ehi guarda un po’ chi ho perso la strada di casa!» - disse Gabriel vendolo. - «Il tuo palazzo è di là, principino.» - almeno su quello lei e Gabriel erano d'accordo, Nick era un principe.
«Che siete degli incapaci lo ha provato il campo tutte le volte che vi abbiamo battuto. Ma prendersela con una ragazza? » - Nick aveva letteralmente sollevato Gabriel da terra prendendolo per il colletto della maglietta.
«Di che cavolo stai parlando?» - gli ringhiò quello così vicino che se non fossero sul punto di azzannarsi avrebbero potuto baciarsi.
«Nick!» - camminare su un prato con una stampella non era semplice neppure se c’erano due amici ad aiutarti. - «Lascialo stare è stato un incidente.» - la presa sul colletto del ragazzo si fece più leggera e quello si liberò.
«Quella…» - disse lui. - «Non è la ragazza che ho visto ieri?» - domandò ad alcuni dei suoi compagni.
«Quindi lo ammetti!» - Nick gli piazzò un pugno in pieno stomaco ed un altro sul viso. Emily e Gin quasi gridarono. E poi lei lasciò andare la stampella e nonostante appoggiare il piede a terra le facesse malissimo raggiunse Nick.
«Non è stato lui fermati Nick! Devi pensare al college!» - e Nick si fermò, lo lasciò andare prima di continuare a torturarlo di pugni. Il resto della squadra si era avvicinata, ma Gabriel gli disse di stare fermi.
«Dimmi chi è stato.» - era tornato a guardarla con quello sguardo preoccupato che le faceva sciogliere le viscere.
«Sono caduta da sola, dico davvero.» - Gabriel si era rialzato ed aveva sputato un po’ di sangue a terra.
«Lo so io chi è stato.» - disse poi avvicinandosi a lei finché Nick non si frappose. - «E ti prometto che se ne pentiranno.»
«Torniamo a scuola, hai gli allenamenti.» - e lei doveva essere a casa già da oltre mezz’ora. Nick tornò a scuola, si allenò come se nulla fosse accaduto. Emily aveva ragione, sarebbe finito nei guai se si fosse fatto coinvolgere in una rissa con gli avversari. Eppure aveva ancora voglia di fargliela pagare. Come avevano potuto spingerla e farla cadere, lei che era così piccola, così delicata, così fragile. Lei che esitava nel parlare perché si imbarazzava a guardarlo dritto negli occhi. Se non fosse stata male probabilmente sarebbe andato a prenderla per passare la serata a sentirla rileggere anche dieci volte lo stesso pezzo di libro fino a che non glielo aveva fatto entrare in testa. Quando alla fine dell’anno avrebbe lasciato quella scuola e quello Stato, Emily sarebbe sicuramente stata fra le persone che gli sarebbero mancate. Gli sarebbero mancati quegli occhi pieni d'amore con cui lo guardava, la dedizione che gli dedicava, e l'infinita pazienza. Ma era una regola del Branco quella di non mantenere rapporti fissi e duraturi con chi non era come loro. Una volta tornato a casa, corse, corse fino a farsi perdere il fiato, e poi si allenò nella palestra finché non gli bruciarono tutti i muscoli. Faceva così quando era arrabbiato, era l'unico modo perché quel fuoco che gli bruciava dentro si spegnesse.
Emily doveva fare attenzione nei corridoi, perché rischiava che le persone le andassero addosso facendole cadere la stampella. Schivare le decine e decine di studenti che distrattamente correvanoe  si muovevano lungo quegli intricati passaggi, era un'impresa titanica, e lei era già quasi caduta un paio di volte.
«Se vuoi posso portarti in braccio.» - le disse cogliendola di sorpresa dietro l’anta dell’armadietto. Lei aveva riconosciuto tutto di lui, anche senza vederne il viso.
«E se inciampi ed il mio apocalittico peso ti schiaccia rompendoti qualche osso?» - eccola lì la Emily spiritosa che ogni tanto veniva fuori.
«Suppongo che allora ci servirà un’altra stampella.» - disse lui. Il suono della campanella li costrinse ad affrettarsi nelle aule, alle ultime due ore avrebbero avuto il laboratorio di chimica ed il loro primo compito in classe.
«E insomma…» - le disse Gin mentre il professore di matematica era con le spalle alla classe. - «Com’è che il principe Sorrentino fa tutto l’amicone? Sento puzza di-» - si interruppe vedendo il professore girarsi, e riprese appena tornò a non guardare. - «Di cotta!»
«Si sente in colpa grazie a te e a Clarke!» - rispose. Ed anche se non era giusto, le piaceva il modo in cui la trattava. A chimica Nick fece spostare due suoi compagni finendo al fianco di Gin, ad un solo posto di distanza da lei. Non ebbe il coraggio di chiedere alla ragazza di spostarsi, perché Gin gli avrebbe sicuramente rifilato una delle sue risposte al vetriolo.
«Sorrentino se vuoi copiare da Howen, ti informo che i vostri test sono diversi.» - disse il professor Baer. Si scambiarono solo uno sguardo veloce, in cui c’era tutta la sua sicurezza. Nick avrebbe fatto bene quel test, lei lo sapeva. Quando la campanella li liberò permettendogli di uscire, tutte e due le classi si fermarono a discutere dei risultati. Nick era seduto su un muretto con Rebekah fra le gambe e le baciava il collo mentre di tanto in tanto si ricordava qualche parte del compito. Lei era più in là, con Steve, Gin e Clarke a confrontare le loro risposte. La maggior parte erano identiche, solo sulla parte finale c’erano delle differenza, ma erano tutti convinti della propria versione. Emily non aveva il fiuto di Nick, né conosceva cosa fosse in realtà, altrimenti avrebbe sicuramente notato il cambiamento. Aveva smesso di baciare Rebekah ed aveva proteso la testa in avanti. Se fosse stato un lupo, le orecchie a punta si sarebbero flesse in avanti ed il naso umido, avrebbe inspirato vistosamente l’avvicinarsi di un nemico. La macchina blu scolorito che si fermò davanti all’entrata della scuola, ma soprattutto il ragazzo che ne scese, sorprese tutti allo stesso modo. Gabriel.
«Che ci fa lui qui?» - domandò Gin guardando gli altri.
«Emily?» - andava verso di lei. Aveva le nocche fasciate, e si vedeva ancora il sangue sotto le garze.
«S-si?» - rispose titubante.
«Come stai oggi?»  - i ragazzi erano accanto a lei tutti con la stessa faccia perplessa. La stessa che aveva anche lei. - «Che c’è? Non posso preoccuparmi di te?» - quella seconda domanda peggiorò la situazione facendole spalancare gli occhi. Emily era sicura che se il professor Baer non si fosse trovato lì, Nick si sarebbe già lanciato sul ragazzo.
«No!» - rispose lei. - «Cioè si…» - si corresse. - «Nel senso che non ti devi preoccupare per me, ma se vuoi lo puoi fare…» - Gabriel la guardava confuso e divertito. - «Sto bene.» - concluse sentendosi una scema.
«A nome della squadra del Berrytown mi scuso per quello che è successo.» - aveva perfino accennato un piccolo inchino. - «E se me lo permetti vorrei poterti riaccompagnare a casa.»
«Non ce n’è bisogno, davvero. Accetto le scuse.» - che dovevano essere state prese col sangue. - «Non vedo l’ora di vedervi giocare.»
«Non accetto un no come risposta.» - le aveva preso la borsa dal braccio e se l’era messa a tracolla. - «Ti prego.» - le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire. Sentiva lo sguardo di Nick su di loro, e le sembrava di andare a fuoco.
«Ok?» - più che una risposta era una domanda, ma Nick non poteva dire o fare nulla, non sotto l’occhio del professore. Gabriel la accompagnò alla macchina aprendole lo sportello e poi mise in moto. Non credeva che sarebbe mai stato possibile, ma era più imbarazzata in quel momento di quando era stata in macchina con Nick. E poi le cadde l’occhio nel vano portaoggetti della macchina. - «Ti piacciono i Thirty Seconds To Mars?»
«Li conosci?» - disse lui sorpreso.
«Li amo!» - infilò subito il cd selezionando la sua traccia preferita. Lo conosceva a memoria quell’album, non vedeva l’ora che ne facessero un altro. Il testo di Oblivion riusciva a cantarlo quasi perfettamente, ma non davanti a qualcuno. Per fortuna a toglierla da quell’imbarazzo ci pensò Gabriel attaccando a cantare fermo ad un semaforo. Il loro viaggio di ritorno fu così, sulle note di 30 Seconds To Mars, tutto fino alle ultime canzoni ascoltate fermi a pochi metri da casa sua perché metterlo in pausa era un crimine. - «Grazie del passaggio!» - disse scendendo.
«Ci abbiamo messo di più che se fossi andata a piedi, ma ehi, sono i Mars!» - commentò lui. - «Ehi vuoi l’album? Me lo ridai la prossima volta che ci vediamo.»




…To be continued

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Capitolo 4
*** Everything Changes Even You ***


“Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle.”
D
enis Waitely.








«Ce l’ho! L’ho comprato appena uscito.» - rispose lei e lui sorrise.
«Prendilo lo stesso. La parte importante era quella dopo.» - le disse infilandole nella borsa l’album. Emily era sveglia in tante cose, ma non in quell’ambito. Ci mise qualche minuto a capire che le aveva dato il suo CD per avere una scusa e rivedersi. Lo appoggiò sulla scrivania della sua camera e tirò fuori il suo. Quello di Gabriel aveva la case tutta rigata, mentre il suo sembrava appena uscito dal negozio. Adorava i suoi CD, li teneva in rigoroso ordine nell'apposito scomparto della sua libreria. Era una delle sue tante fissazioni, come quella per i libri che dovevano essere ordinati cronologicamente.
Un paio di giorni più tardi il professor Baer riportò i test, la A rossa posizionata nell’angolo in alto a destra sul suo compito e su quello degli altri suoi amici era una piacevole costante. Il suo sguardo volò subito verso Nick, da quando aveva smesso di incontrarlo per le ripetizione le sembrava di nuovo lontano anni luci. Aveva il compito appoggiato sul banco, ma continuava a parlare con Rebekah ignorandolo completamente. Non sembrava interessargli molto, o sicuramente non abbastanza da catturar e la sua attenzione più dei lunghi e lucenti capelli biondi della ragazza. Gabriel era venuto tutti i giorni a prenderla, tornare con lui era decisamente molto più divertente che farlo da sola, avevano scoperto una inusuale affinità di gusti musicali. Era un ragazzo simpatico, un tipo apposto, non lo avrebbe mai detto. Se non avesse rischiato di scatenare una rissa ogni volta che si presentava davanti all’entrata della scuola, non lo avrebbe costretto ad aspettarla in una delle vie limitrofe, praticamente nascosto dietro a dei cassonetti. Gin, Steve e Clarke la accompagnavano fino a quando non la vedevano salire nella macchina di Gabriel, le portavano la borsa ed il cappotto, erano veramente i migliori amici che si potesse desiderare.
«Quanto hai preso?» - le domandò Nick intercettandola a pranzo prima di salire al secondo piano.
«A.» - disse lei improvvisamente incapace di deglutire correttamente. Lo vide sorridere e tirare fuori dalla tasca dei pantaloni un foglio piegato e pieno di orecchie.
«Ci crederesti se vedessi una B?» - le mostrò il foglio con il voto, se non avesse avuto la caviglia dolorante sarebbe saltata sul posto gioendo come una scema. Era sicura che Nick avrebbe superato il test, era sicura che non avrebbe preso un’altra insufficienza, ma B? B era un risultato che meritava quantomeno un abbraccio. O forse semplicemente lei voleva recuperare quella distanza che era tornata ad esserci fra di loro.
«Se perfino Nick Sorrentino può prendere una B dopo le tue ripetizioni, sei decisamente un fenomeno!» - le disse Gin.
«Lo sapevo! Sapevo che lo avresti passato…» - fece per alzarsi, ma lui ricominciò a camminare diretto al suo tavolo.
«Grazie Em. Ci vediamo.» - niente abbraccio, niente confidenza, di nuovo solo tanta distanza. La delusione doveva essere stata così evidente da farsi notare anche agli altri, che la guardavano con la classica espressione di chi: te lo aveva detto. Anche quel giorno all'uscita c’era Gabriel ad aspettarla appoggiato alla macchina. Mentre lo raggiungeva si chiedeva se nella sua scuola lui fosse un po' come Nick, irraggiungibile, superiore, distante, e se non ci fosse una Emily anche al Berrytown, che avrebbe venduto l'anima al diavolo per passare con lui i pomeriggi che invece rubava lei. Era stupido sentirsi ferita dal comportamento di Nick, perché sapeva di essere nella posizione di non poter pretendere nulla da uno come lui. Troppo lontano, troppo perfetto, inarrivabile, eppure quelle lezioni pomeridiane le avevano dato l’idea di potersi avvicinare, di poterlo conoscere meglio di quanto non fosse concesso agli altri.
«Dove stai andando?» - disse notando che Gabriel aveva svoltato a destra invece che a sinistra all’incrocio per casa sua.
«Non ti ricordi? Ieri mi hai detto che saremmo usciti.» - lo aveva completamente rimosso. Perché tutto quello che il suo cervello ricordava era sempre e solo riguardante Nick. Di lui ricordava perfino le cose più stupide, i dettagli più insignificanti, e rimuoveva tutto il resto per far spazio a lui. Era il suo primo, quasi appuntamento con Gabriel, avrebbe dovuto esserne entusiasta, invece era lì a pensare a come Nick l’avesse liquidata. - «Avanti spara… Dimmi che è successo.»
«Niente.» - e lo sapeva anche lei che non c’era verso che le credesse.
«Allora non me ne sono mai accorto e la faccia da depressa è la tua solita faccia?» - le chiese sorridendo. - «Come sono finito ad uscire con te?» - le strappò una risata.
«Veramente quello dovrei chiedermelo io!» - erano arrivati al bar dove i compagni di squadra di Gabriel l’avevano spinta. - «Andiamo qui?»
«Non ti piace l’ironia?» - le disse aprendole lo sportello e aiutandola ad uscire. No, l’ironia andava bene, solo che c’erano alcuni dei ragazzi della squadra del Nashville e riusciva già a sentire le voci che si sarebbero sparse il giorno dopo. Lei e Gabriel avrebbero tranquillamente potuto essere fratelli, avevano gli stessi gusti in ogni cosa, perfino nel gelato. Ed aveva un dono, un dono che Nick non possedeva, stranamente. Gabriel riusciva a farla essere tranquilla, non era mai agitata, non le mancava mai la risposta, dava il meglio di sé come quando era con Gin. Quanto avrebbe voluto riuscire a mostrare quella parte di sé anche a Nick, sicuramente non sarebbe cambiato nulla, le mancavano due taglie di seno, tre anni e decisamente molte esperienze, per poter essere presa in considerazione da lui. Il dottore le aveva detto che ci sarebbero volute all’incirca due settimane per rimettersi del tutto. Due settimane senza ripetizioni a Nick, dopo averlo avuto per giorni in una dose completa, erano una vera tortura.
«E quindi te la fai con il capitano dei Berrytown?» - le domandò Rebekah nell’intervallo fra la terza e la quarta ora. Quel giorno aveva notato come veniva guardata, la voce di lei e Gabriel che uscivano insieme era volata da bocca a bocca.
«Non-» - una presa salda, forte e decisa le prese il braccio tirandola in una delle aule vuote. Lo aveva riconosciuto dalle mani, grandi con le dita lunghe ed affusolate, perfette come il resto di lui. Nick l’aveva toccata, di nuovo, di solito accadeva per lo più casualmente. Mentre studiavano e si sfioravano per errore, ma nella sua testa ognuno di quei piccoli contatti era catalogato nell’archivio dei miracoli. Avrebbe voluto amputarsi il braccio per sentire che odore aveva lasciato la sua mano sulla sua pelle.
«Eri con Gabriel ieri?» - le domandò destandola dai suoi propositi autolesionistici.
«Si abbiamo-» - era in un’aula vuota con il suo sogno proibito. Si era appoggiata ad uno dei banchi perché non era riuscita a prendere la stampella mentre Nick la trascinava.
«Perché? Cosa vuole?» - Nick, come buona parte del resto della scuola, era all'oscuro del fatto che Gabriel l'avesse riaccompagnata a casa per giorni. Che avessero parlato, si fossero conosciuti, ed in un certo senso, che fossero più o meno diventati amici.
«Me lo ha chiesto…» - rispose a disagio perché sembrava qualcosa che non era. Si ok, aveva passato un pomeriggio con Gabriel a mangiare schifezze, parlare di musica, di viaggi e di scemenze, e per un attimo quando l’aveva riaccompagnata a casa, l’atmosfera si era fatta un po’… Ambigua, ma non era così. O forse era esattamente quello che sembrava, aveva avuto un appuntamento con Gabriel, e lui non era di certo il genere di ragazzo che esce con qualcuna per passatempo. Ma nemmeno tutti i ragazzi erano come Nick. Le bruciava il cervello a forza di pensare.
«Ti ha chiesto un appuntamento e tu lo hai accettato? Da quanto tempo vi vedete? Quante volte lo hai visto?»  - la campanella coprì parzialmente la serie di domande che Nick le stava facendo, ma non coprì lo stupido sorriso che fece capolino sul suo viso. Possibile che a Nick desse fastidio?
«Dobbiamo andare in classe…» - azzardò un movimento verso la porta, ma la mano di Nick le afferrò di nuovo il braccio.
«Non ti azzardare ad uscire da questa classe, Emily Howen.» - il suo nome era sempre stato così bello? Aveva sempre avuto un suono così sensuale? Sarebbe morta portandosi nella tomba il modo in cui Nick aveva pronunciato il suo nome. Il modo in cui le sue labbra lo avevano fatto.
«Dato che mi riporta sempre a casa-» - se solo l’avesse fatta finire, probabilmente gli avrebbe detto che aveva accettato solo per cortesia. Ma Nick peccava d’irruenza, in tutte le cose.
«Tutti questi giorni sei tornata a casa con lui?» - cercò di nuovo di muoversi, sperando che lui l’afferrasse di nuovo, ma stavolta Nick non si mosse. - «Incredibile.» - sussurrò prima di uscire dall’aula lasciandola lì. Le conseguenze di quella conversazione iniziarono ad esserle chiare solo il giorno dopo, quando durante la prima ora, gli altoparlanti della scuola diffusero un messaggio.
«Nick Sorrentino è pregato di raggiungere immediatamente l’ufficio del preside.» - e poi a mensa lo vide. Con lo zigomo tumefatto ed una camminata sbilenca. Superò il suo tavolo senza nemmeno guardarla, mentre il suo sguardo non riusciva a staccarsi da lui. Più o meno nelle stesse condizioni trovò Gabriel all’uscita da scuola.
«Cos’è successo?» - lo chiese anche se era tutto piuttosto evidente. O lui e Nick avevano deciso di cadere dalle scale nello stesso pomeriggio, o se le erano date di santa ragione.
«Niente.» - rispose lui passandosi una mano sulle labbra spaccate.
«Quindi sono sempre uscita con uno ridotto come un cadavere e non me ne sono mai accorta?» - domandò facendogli il verso.
«Lascia stare Emy, io e Nick avevamo diverse cose da sistemare, tu ci hai solo dato l’occasione.» - era ingiusto e crudele da parte sua che il suo pensiero volasse a Nick. Che immaginasse cosa la preside potesse avergli detto quella mattina. Eppure non riuscì a farne a meno, ci pensò tutto il giorno e tutta la notte. A scuola Nick la evitava, cioè la trattava come normalmente facevano quelli come lui con quelle come lei. Avrebbe veramente voluto chiedergli perché. Quando poté tornare a camminare e sollevò Gabriel dall’impegno di venirla a prendere ogni giorno, un po’ le dispiacque. Gli aveva promesso che sarebbe andata a vedere qualcuna delle sue partite, ma che non voleva essere accusata di gufare nel caso avessero perso. Prese coraggio ed aspettò che Nick finisse gli allenamenti per intercettarlo in palestra. Aspettò finché non vide uscire tutta la squadra, tranne Nick, ma era impossibile che avesse saltato un allenamento. Aspettò seduta sui gradoni, la sua macchina era fuori nel cortile quindi lui doveva essere a scuola e sarebbe sicuramente passato di lì prima di andare. Lo vide uscire dagli spogliatoi, con un’ora di ritardo, insieme ad una ragazza. E la morsa allo stomaco che tanto spesso la tormentava quando c’era lui tornò a piegarla. Si nascose fra gli spalti della palestra sperando di non essere vista. Aveva aspettato tutto quel tempo per poi non avere il coraggio di parlargli. Eppure stavolta era diverso, lo aveva già visto con Rebekah diverse volte, il modo in cui la stringeva e baciava, quello che non avrebbe mai fatto con lei, ma non l'aveva mai turbata. Stavolta invece piangeva sull’autobus che la riportava a casa, piangeva perché in qualche modo, prendendo qualche via traversa, aveva sperato. Sperato in quel qualcosa che nemmeno lei riusciva ad ammettere, si era illusa e le faceva male. Le mancava il coraggio per affrontare Nick, ma poteva avere tutte le informazioni necessarie dal professor Baer. L’uomo era sempre molto disponibile con i suoi studenti, alla fine dell’ora si fermava a rispondere alle loro domande e non fece eccezione per la sua.
«Cos’ha detto la preside a Nick?» - chiese quando gli altri lasciarono la classe.
«Non posso dirti nulla. Ma non è più necessario che tu perda il tuo tempo con lui.» - peccato che “perdere il suo tempo con lui” fosse la cosa più bella che potesse accaderle.
«Perché? Ha preso una B, di sicuro non gli basterà per avere la lettera!» - disse. E poi il suo compito era far si che i suoi voti migliorassero nella pagella del primo bimestre per gli esami di metà anno. - «A meno che non abbia deciso di non fargliela avere.» - e la faccia del professor Baer confermò la sua intuizione. Uscì dal laboratorio senza salutare l’uomo diretta verso l’ufficio della preside. Avrebbe saltato l’ora di storia, ma l’idea che Nick non potesse più ricevere la lettera per entrare nel college che sognava, la feriva perfino più profondamente che vederlo baciare Rebekah nel corridoio prima della segreteria. - «Posso entrare?» - domandò quando ormai aveva già spalancato la porta costringendo la preside ad abbandonare la lettura dei documenti a cui si stava dedicando.
«Signorina Howen, certo si sieda. Mi dica tutto.» - la donna si richiuse la giacca del tailleur e tornò a sedersi composta sulla grande sedia.
«Non farà la lettera di raccomandazione per Nick Sorrentino non è vero?» - chiese vedendo il sopracciglio della donna sollevarsi facendole assumere un’aria interrogativa.
«La condotta del Signor Sorrentino non è degna di alcuna raccomandazione.» - le rispose. - «E’ venuta qui solo per questo?»
«Ma stava migliorando ha preso una B in chimica!» - rispose lei ignorando il velato invito ad andarsene.
«Bisogna tener conto anche delle attività svolte, nel tempo libero, per così dire, e quelle del Signor Sorrentino non sono degne di rappresentare la nostra scuola.» - la rissa con Gabriel, era sicuramente quella la ragione. - «So che aveva preso molto seriamente il suo compito con il ragazzo, ed indubbiamente la sua vicinanza ha avuto un effetto positivo su di lui.» - considerando che probabilmente era colpa sua se ora si ritrovava in quella situazione, no decisamente non era stata un’influenza positiva. - «Ma le sue cattive abitudini hanno radici molto profonde. Ora se vuole scusarmi…»
«Non c’è niente che possa fare per riguadagnarsi quella possibilità?» - se si fosse trattato di se stessa non avrebbe mai insistito tanto, ma per Nick avrebbe venduto l’anima al diavolo.
«Signorina Howen, sono piuttosto sicura che lei abbia lezione a quest’ora. Non lasci che il Signor Sorrentino rovini anche la sua carriera accademica.» - lasciò l’ufficio della preside non per tornare in classe, ma per chiudersi in bagno. Vi rimase per ore, uscì per riprendere le sue cose e tornare a casa.
«Ehi ma si può sapere dove eri finita?» - le domandò Clarke. - «Gin e  Steve credevano ti avessero rapito gli alieni.» - erano andati tutti via.
«Scusate proprio non ce la facevo a seguire il Signor Martik oggi.» - disse prendendo la borsa dall’armadietto. - «Hai il corso d’informatica?»
«Si, sicura di stare bene Emy?» - doveva avere un aspetto terribile.
«No. Nick ha perso la possibilità di andare al college che desiderava perché ha fatto a botte con Gabriel, e credo che in realtà la colpa sia mia.» - doveva vomitare addosso a qualcuno tuta quella situazione.
«Il tuo unico e vero amore che fa a botte con il tuo unico e solo spasimante, e perché non sei felice?» - vista da quel punto di vista era divertente effettivamente. - «A chi hanno assegnato la borsa di studio?»
«Eh?» - la domanda di Clarke la coglieva impreparata.
«Se Nick non la riceverà deve esserci qualcun altro, no?» - aveva ragione, come sempre d’altra parte.
«Non lo so. Nick è l’unico che aveva i requisiti… Non è che-» - non dovette nemmeno chiederlo che Clarke era già entrato nell’archivio della scuola.
«Ecco guarda. Non c’è nessun candidato oltre Nick.» - la casella era vuota ed il nome di Nick sbarrato.
«Dato che non c’è nessun altro, lui deve solo convincere la Mitchell di poterla avere, no?» - aveva ripreso colore, ed il suo cervello viaggiava come una locomotiva.
«Non lo so Emy, si forse si.» - baciò Clarke sulla fronte e poi corse in palestra. La squadra si stava allenando, Nick era ancora più bello quando giocava. Nonostante il sudore, la maglia larga e senza cuciture. I pantaloni che sembravano sull’orlo di scivolargli a terra. Il modo in cui si muoveva nel campo, quando palleggiava la grande palla da basket, con quelle mani perfette, capaci di pugni tanto violenti e di carezze dolci come quella che aveva fatto a lei. E poi c’erano le sue braccia. Lunghe, muscolose, sembravano le pennellate di un pittore rinascimentale, una scultura di Michelangelo. Se lo avesse conosciuto sicuramente l’avrebbe voluto come modello.
«Nick!» - era corsa in mezzo al campo, lei piccola, con l’aria sconvolta, dopo aver saltato ben tre ore di lezione, ed il pranzo, era piombata nel campo da basket chiamandolo. In mezzo alle divise arancioni della squadra, e a quelle bianche delle cheerleader, lei sembrava un puntino d’inchiostro. E se non fosse stato un reato, il coach l’avrebbe picchiata per aver interrotto la partita. Erano solo allenamenti, ma li prendevano tutti esageratamente sul serio.
«Emily?!» - Nick sembrava più scioccato di tutti gli altri. - «Che ci fai qui?»
«Time!» - gridò il coach facendo tornare i ragazzi a sedersi e a prendere fiato. - «Nick levala dal campo!»
«Muoviti!» - si spostarono in un angolo della palestra, lei aveva adocchiato una goccia di sudore, che lenta stava colandogli dalla fronte. Sembrava essere dotata di una vita propria, perché c’era un che di sadico nel modo in cui si soffermava sui diversi centimetri del viso del ragazzo. Sembrava non volerlo lasciare, voler rimanere lì attaccata a lui, appartenergli per sempre. Ma la gravità la spingeva ad andare giù, e poi il suo braccio la scacciò via. - «Che vuoi?» - le chiese.
«Ho parlato con la Mitchell!» - disse.
«Bene allora sai già che non ho più bisogno di te.» - Gin avrebbe detto che era uno stronzo, ed effettivamente anche lei lo stava pensando. Per la prima volta un aggettivo diverso da “meraviglioso” aveva raggiunto la prima posizione in quelli da ricondurre a Nick.
«Stai zitto!» - non era Emily quella che gli stava parlando, non la Emily che lui aveva conosciuto. Quella era lei, completamente sopraffatta dai sentimenti che provava per lui. E non le tremava la voce, non esitava nei movimenti. - «Sei l’unico della scuola che può ricevere la raccomandazione.» - Nick stava per dire una cosa, ma prima che potesse farlo, come se ci fosse un marionettista a guidare le sue mosse, gli portò la mano sulla bocca. La sua mano, che sfiorava quelle labbra peccaminose. Oltre il braccio, ora c’era un’altra parte di sé che avrebbe voluto amputare. - «Quindi non hai rivali, l’unico tuo ostacolo sei tu. Ma io sono sicura che se ti impegni puoi riuscire ad averla. La Mitchell ti adora chiaramente, altrimenti ti avrebbe già espulso, ed il professor Baer ti darà sicuramente un’altra possibilità.» - soprattutto se glielo avesse chiesto lei. - «Devi solo smetterla di fare il deficiente e ricominciare a studiare, come prima!» - aveva lasciato che la sua mano restasse sulle sue labbra per tutto il tempo. Non l’aveva allontanata, l’aveva lasciata lì mentre lui in silenzio la ascoltava. Quel contatto le fece avvertire il sorriso che non vedeva. E poi gliela scansò con la sua, grande e sudata.
«Il deficiente?» - di tutto quello che aveva detto lui si soffermava su quel piccolo insulto scappatole senza nemmeno realizzarlo?
«Nick!? Ne hai per molto?!» - il coach stava perdendo la pazienza.
«Il punto è che puoi ancora avere la borsa di studio!» - ripeté lei. Nick le teneva ancora la mano, e nell’attimo in cui lo realizzò sentì scemare l’euforia e tornare la timidezza. - «Devo andare…» - doveva anche sbrigarsi o una nota disciplinare l’avrebbe presa lei per aver interrotto gli allenamenti della squadra.
«Emily?» - la chiamò Nick - «Resta. Guardami.» - due semplicissime parole. Eppure le sembrò di essere appena finita contro un albero a trecento chilometri orari. Come se uno tsunami si fosse infranto proprio contro la sua gabbia toracica, comprimendola lasciandola capace di non fare altro che annaspare per un semplice respiro. Perché Nick le mozzava il fiato, Nick le tagliava il respiro. E lui lo sapeva, e non cercava nemmeno di farci attenzione, perché sebbene fosse infinito il numero di ragazze che lo corteggiavano, era avido di quelle attenzioni. Avido di quei sentimenti così ingenui, così onesti. E gli piaceva l’idea che ora in quella palestra, Emily stesse guardando solo lui, proprio lui, e che lo stesse guardando con quelle magiche lenti che si attaccano alla pupilla quando inizi a provare certi sentimenti per qualcuno. Quelle lenti che ti permettono di vedere il suo lato migliore anche quando non ce ne è, quelle che trasformano ogni suo difetto in una particolarità che lo rende unico. Quelle che avrebbero giustificato ogni suo canestro mancato con la sfortuna ed ogni suo punto come un talento naturale. E lui non aveva bisogno di guardarla per sapere che non gli avrebbe tolto gli occhi di dosso, perché la cotta che Emily aveva per lui l’aveva portata a cercare di risolvere un suo problema, a fare qualcosa per lui, ad essere felice per un’opportunità che a lei non avrebbe portato nulla. Emily era esattamente il tipo di essere umano da cui Jeremy lo avrebbe messo in guardia di stare alla larga. E lui lo avrebbe fatto, avrebbe preso le distanze da tutti loro, e se lei aveva ragione se ne sarebbe andato al college a vivere la sua libertà.
«Allora domani riprendiamo le lezioni?» - le disse mentre andavano verso il parcheggio. La ragazza con cui lo aveva visto qualche sera prima era una delle cheerleaders amiche di Rebekah. Si sentiva in imbarazzo lei per loro, ma Rebekah sembrava non sapere nulla, altrimenti avrebbe staccato la testa della mora con un solo colpo. A lei non diceva nulla, era troppo insignificante perché potesse avvertirla come una minaccia.
«Si!» - sembrava che non vedesse l’ora che lui le facesse quella domanda.
«Sei sicura che mi terranno di nuovo in considerazione?» - chiese mettendo in moto.
«Non hanno altri candidati. Nessuno ha i tuoi voti e le tue capacità, sei il solo pretendente.» - non era una risposta lusinghiera, ma era la verità.
«Ok, sei tu quella con la media da capogiro…» - era successo di nuovo, un altro di quei contatti che non avrebbe mai scordato. Nick le aveva spostato una ciocca di capelli e poi aveva riportato la mano sul cambio della macchina. Quella sera gli Howen erano a casa, lo capì vedendo le finestre al primo piano illuminate. Scese ed aspettò che Nick rimettesse in moto prima di entrare. Un saluto veloce, nessuna domanda, e poi dritta nella sua stanza. Quel fine settimana c’era la partita di Gabriel, ma anche una del Nashville. Dal momento che aveva promesso al ragazzo che sarebbe andata a vederlo si sarebbe persa una delle partite di Nick, le faceva male il cuore solo al pensiero. Almeno però ora poteva di nuovo vederlo ogni giorno, poteva di nuovo diminuire la distanza che c’era fra loro. Non avrebbe detto nulla a professor Baer, avrebbe lasciato che lui e la Mitchell si rendessero conto da soli dei miglioramenti di Nick. Il giorno dopo disse ai ragazzi che avrebbe di nuovo dato ripetizioni a Nick e Gin non risparmiò nessuna battuta del suo repertorio, le diede perfino della stalker. E si forse un po’ lo era, ma era abituata a che la sua vita andasse a pezzi, non che lo facesse quella di qualcun altro per causa sua. Era eccessivamente lusinghiero attribuirsi la colpa della rissa fra Gabriel e Nick, perché fra di loro non c’erano mai stati buoni rapporti, si sarebbero comunque scontrati prima o poi, ma la faceva sentire importante. Con la partita alle porte gli allenamenti di Nick finivano sempre più tardi e lui era sempre più stanco quando iniziavano a studiare. Fortunatamente i professori tendevano ad essere comprensivi con lui quando doveva affrontare una gara nel weekend, ma lo stesso non poteva dirsi del coach, che lo distruggeva con sessioni aggiuntive di allenamenti. Era decisamente uno dei ragazzi più resistenti che avesse mai visto in vita sua, ma d’altra parte era stato generato da un dio ed un miracolo, non poteva essere altrimenti. - «Perché non ti fermi a dormire? Non ce la posso proprio fare a riportarti a casa…» - aveva lasciato un biglietto in cucina, nel caso gli Howen si fossero domandati dove fosse. Aveva scritto che sarebbe rimasta a casa di Nick per le ripetizioni fino a tardi, ma erano le dieci e mezza passate e loro avevano fatto solo metà del programma di recupero fissato per quel giorno.
«Posso chiamare un taxi, adesso però finiamo questo capitolo.» - lo implorava, bramava la sua attenzione, quella che le stava negando da quando erano arrivati. Si distraeva per qualunque cosa, continuava a muoversi su quella sedia come se fosse incandescente.
«Dai Em facciamo una pausa.» - la televisione ed il divano li stavano chiamando. E lei proprio non ce la faceva a negargli qualcosa, soprattutto se la guardava con quegli occhi imploranti.
«Ok…» - alla fine cedette e lo vide schizzare sul divano. Era comprensibile che fosse stanco, lo era anche lei, con la differenza che non aveva corso e fatto piegamenti per tre ore. Probabilmente Nick si era addormentato nell’esatto istante in cui aveva toccato il cuscino morbido del divano, Emily se ne accorse solo dopo diversi minuti e non lo svegliò. Riassunse i capitoli che mancavano da studiare, e terminò anche alcuni esercizi di matematica che Nick non aveva concluso. Era la prima regola delle ripetizioni quella di non fare i compiti al posto della persona che doveva recuperare, lo sapeva perfino lei, ma Nick dormiva, ed era troppo bello per disturbarlo.
«E’ ancora qui?» - le domandò uno dei domestici vedendola riprendere le sue cose.
«Si avevamo molto da studiare.» - rispose lei. - «Il taxi è arrivato, buonanotte ed arrivederci.» - Nick dormiva, ma sentiva il profumo di Emily nella stanza, era un sonno vigile attento ad ogni movimento che la ragazza faceva. Lo svegliò l’improvvisa assenza della sua presenza e si precipitò in ingresso vedendola andare via su un taxi.
«Cazzo!» - esclamò.
«La signorina-» - provo a dirgli il domestico.
«Si lo vedo se ne è andata.» - disse lui. - «Buonanotte.» - aveva una cosa da dirle, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento.

Il giorno dopo avrebbe avuto la partita nel pomeriggio, l’intera scuola era diventata una celebrazione dell’evento, tutti li davano già per vincitori. Erano i primi nella classifica del campionato, e viaggiavano spediti verso il loro terzo titolo consecutivo. Nick sapeva in quale corridoio era l’armadietto di Emily, ma sapeva anche che lei sarebbe passata di lì per guardarlo da lontano come faceva sempre. Se c'era una certezza nella sua vita era che Emily sarebbe sempre andata da lui, ed infatti la vide arrivare accompagnata da Gin. Se non avesse saputo chi era, se non avesse avuto una qualche rilevanza per lui, probabilmente sarebbe stata invisibile, lo era stata per un intero anno. Chissà quanti di quegli sguardi pieni di affetto, premura e dolcezza si era perso. La guardò mentre quello sguardo diventava ansioso, incerto e preoccupato ad ogni passo che lui faceva nella sua direzione.
«Buongiorno.» - le disse gustandosi il suo terrore, ogni volta che le si avvicinava a scuola.
«Ciao.» - disse lei. Parlare con Nick era come salire su un palco e mettersi sotto la luce più brillante, faceva sì che le attenzioni di tutti i presenti si concentrassero su di te. Il che non era proprio il massimo.
«Dopo la partita facciamo una festa a casa mia…» - lo sapeva, la squadra organizzava sempre una festa dopo ogni partita. Celebravano le loro vittorie, e quelle rare volte che non era così, esorcizzavano le sconfitte con litri e litri di alcool. - «Vieni?» - si voltò verso Gin per assicurarsi di non essere la sola ad aver avvertito lo scoppio nucleare. Ed anche l’amica aveva la sua stessa faccia perplessa. Nick l’aveva appena invitata ad una festa a casa sua? Probabilmente ora si sarebbe alzata di venti centimetri, avrebbe preso due taglie di seno, ed i suoi capelli sarebbero improvvisamente diventati perfetti e setosi. Era l’effetto che faceva andare alle feste di Nick Sorrentino, tutti lo sapevano. E poi c’era la risposta che doveva dare, anche se nessuno e nemmeno lui si aspettava che dovesse essercene una. Perché tutti sarebbero andati ad una di quelle feste, soprattutto una sfigata del secondo anno che aveva ricevuto la grazia di venir invitata.
«Non posso…» - più tardi si sarebbe punita. Si perché meritava di essere punita per aver dato il suo primo rifiuto a Nick.
«Non puoi? Non dirmi che sei in punizione per ieri notte!» - solo Gin, Steve e Clarke sapevano la verità sulla notte di cui Nick parlava. Tutto il resto della scuola che aveva le orecchie sintonizzate sulla loro conversazione e che bisbigliava come nemmeno un esercito di cicale, aveva appena dato il via alle speculazioni.
«No, non è per quello!» - ma tanto avrebbe potuto negare e spiegare fino alla sua morte che non aveva passato la notte con lui, nessuno le avrebbe creduto. Anche perché se si fosse trattato veramente del tipo di notte che tutti stavano immaginando, ce l’avrebbe passata eccome. - «Ho un altro impegno. Con i miei.»
«Allora a lunedì!» - dopo lo scoppio della bomba ora aveva anche sentito il suo cuore frantumarsi. Quarantotto ore senza vederlo. Avrebbe dovuto comprare delle bombole dell’ossigeno e riempirle di lui, dell’aria che lui respirava per riuscire a sopravvivere a tutto quel tempo. Quello fu il momento in cui un post-it indelebile si piazzò sulla sua coscienza ad eterna memoria. Mai più saltare una partita di Nick. E solo perché Gabriel era praticamente il suo gemello perduto alla nascita quel pomeriggio non fu il più grande rimpianto di tutta la sua vita. Se le avessero detto che sarebbe tornata a casa sorridendo come una scema, e con un po’ di riluttanza nel far concludere quell’uscita probabilmente non ci avrebbe creduto. Ma Gabriel era così, migliorava l’impossibile. Non avevano mai parlato veramente di cosa fosse successo fra lui e Nick, erano rivali nello sport, e si erano cordialmente antipatici nella vita. Probabilmente se Nick non avesse dovuto rigare dritto per il college avrebbe continuato a farci a botte ogni giorno.
Il lunedì arrivò, si fece attendere, la fece soffrire, pregare e supplicare, ma alla fine arrivò. E probabilmente lei era l’unico essere sul pianeta che desiderava l’inizio di una settimana così ardentemente. La squadra aveva vinto, c’erano ancora alcuni palloncini sparsi per la scuola e lei si stava facendo raccontare da Gin la partita, minuto per minuto. Quasi non credé ai suoi occhi vedendo Nick appoggiato al suo armadietto. Poteva esserci un lunedì migliore? Poteva esserci una vita più degna di essere vissuta? No, perché se la prima persona che incontri a scuola il lunedì mattina è Nick Sorrentino, allora sai per certo di essere in paradiso e che non c'è altro da desiderare. 
«Ehi.» - lo salutò. - «Complimenti per la partita av-» - l’aveva afferrata per le spalle rovesciandola contro l’armadietto, che con lo scontro emise un forte rimbombo. Il rumore aveva dato a quel gesto una forza che in realtà non aveva, Nick non l’aveva sbattuta per farle male, ma comunque la teneva premuta contro l’armadietto.
«Un impegno con i tuoi era andare alla partita del Berrytown ed uscire con Gabriel?» - avrebbe veramente voluto essere una brava bugiarda per salvarsi da quella catastrofe. Ma non lo era.
«Nick…» - si sentiva come se lo avesse tradito, ma sapeva razionalmente che non era così.
«No Emily, lascia stare.» - e contemporaneamente la lasciò andare. Nick aveva una specie di allergia alle bugie, odiava che gli venisse mentito. Anche se lui non faceva altro, doveva nascondere a tutti la verità su ciò che era, su ciò che suo padre era. Forse per quello apprezzava le persone oneste. Che a mentirgli fosse stata proprio Emily poi era perfino più irritante. Gabriel non aveva imparato la lezione, forse avrebbe dovuto dargli una ripassata e giocarsi così del tutto la possibilità di avere la raccomandazione dei suoi professori. Emily non era la sua ragazza, non lo sarebbe mai stata, non era il suo tipo, eppure in qualche modo la considerava sua. Un desiderio narcisistico, un affetto esclusivamente egoista che però non poteva evitare di sentire. Lui non le dava nulla e non avrebbe mai potuto darle altro, ma in cambio voleva tutto. 
La fine del trimestre era vicina e così gli esami di metà anno, era un momento fondamentale che avrebbe deciso probabilmente le sorti della sua borsa di studio. Non poteva evitare di incontrarla ogni giorno della settimana, aveva bisogno di lei per recuperare e per passare gli esami, ma Emily lo sentiva che l’aveva di nuovo tagliata fuori. Non si distraeva più, restava concentrato e terminavano il recupero sempre in perfetto orario. Non c’erano più le pause che tanto le piacevano, quel trascinare per le lunghe i loro incontri e fare di tutto divertendosi come due bambini.
«Credo che morirò se continua a trattarmi così.» - disse completamente buttata sul tavolo della mensa. Era diventata avida, lo sapeva.
«Così come? Così come tratta tutti?» - le domandò Gin. Era peggio di come trattava gli altri, perché loro non avevano assaggiato il frutto proibito delle sue attenzioni. Non si era più persa una partita, ma non aveva mai più ricevuto inviti alle feste. Con il break natalizio non lo avrebbe visto per ben due settimane, fino all’arrivo dell’anno nuovo. Più gli stava lontano più iniziava ad innervosirla il suo atteggiamento. Poteva capire che non andasse d’accordo con Gabriel, ma perché prendersela tanto? Nemmeno a  lei era simpatica Rebekah e loro facevano decisamente di più che andare a prendere qualche gelato o guardare qualche partita! Ma tanto poi a dispetto di qualunque cosa pensasse, a fine giornata era sempre lì a fissare il soffitto della sua camera e contare i giorni che mancavano al ritorno a scuola. Aveva sperato di poter passare con lui anche quelle vacanze, con la scusa delle ripetizioni, ma lui le aveva fatto preparare un programma da seguire ed era partito con la sua famiglia. Non le aveva neppure detto com’erano andati i risultati dei compiti che avevano fatto sino ad ora. Gli Howen erano partiti per una vacanza che sarebbe durata qualche settimana, lasciandola da sola ad affrontare il ritorno a scuola. Era sicura che potesse considerarsi abbandono di minore, ma nel giro di pochi mesi avrebbe compiuto sedici anni, e loro la ritenevano abbastanza grande da poter stare da sola a casa. Le prime settimane di scuola del nuovo anno, Nick per lei fu una specie di mistica visione, riusciva ad intravederlo solo durante l’ora di pranzo ed alle partite. Non le aveva detto nulla circa una ripresa delle loro ripetizioni. Era sicuramente una sua impressione, ma se su di lei le vacanze di Natale avevano avuto un effetto disastroso, si era abboffata di dolci e depressa, lui sembrava essere perfino più diabolicamente magnifico. Non c’era nulla da fare, esistevano due grandi schieramenti che dividevano il mondo, quello degli esseri umani, e quello della specie superiore a cui apparteneva senza ombra di dubbio Nick. Non dovendo dare ripetizioni a lui, con Gin, Steve e Clarke occupati con i corsi pomeridiani e Gabriel impegnato con gli allenamenti ed i recuperi, tornava a casa presto. Avere la casa tutta per sé aveva il vantaggio di lasciarle la completa libertà nel trascurarsi. Gli unici momenti in cui riconquistava la forma umana erano le brevissime visite della vicina che la teneva d'occhio. Le aveva lasciato una teglia con uno stufato di pasta con cui fare cena davanti alla tv facendo zapping. Quando suonò il campanello di casa immaginò che si trattasse proprio della donna venuta a riprendersi la teglia. Guardo dallo spioncino e tutto ciò che vide, fu un foglio sfocato a coprire la visuale.
«Chi è?» - domandò. Un altro suono e di nuovo guardò dallo spioncino, ma stavolta vide lui. Dovette controllare ben tre volte prima di essere sicura di aver visto bene e poi realizzò di avere addosso dei pantaloni a pois ed una maglietta con un coniglio ed un fiocco applicato sopra. Non c’era tempo per cambiarsi, non che avrebbe poi fatto chissà quale differenza quindi tanto valeva umiliarsi ed aprire. Non le parlava da quasi un mese ed ora era lì sulla soglia di casa sua. Aprì e si ritrovò davanti il foglio che aveva visto in precedenza, ma stavolta lo vide bene. Erano i risultati del primo bimestre, aveva tutte A una B+ in chimica ed una C in storia. Erano miglioramenti eccezionali considerando che partiva da una F. Quando Nick rimosse il foglio da davanti alla sua faccia poté vedere il sorriso ricolmo di orgoglio che Emily stava sfoggiando, ed anche la maglietta con il coniglio. - «Ce l’hai fatta!!! Sei ad un passo dal riprenderti la borsa di studio!» - era così felice che avrebbe voluto saltare sul posto.
«In realtà la Mitchell mi ha già detto che sono di nuovo fra i candidati, se alla fine dell’anno la mia media sarà idonea, avrò la lettera.» - le disse lui sorridendole. Il sibilo che sfuggì alle labbra di Emily fu più sottile dello stridio di un vetro sulla lavagna.
«Oddio lo sapevo!» - adesso stava veramente saltando sul posto. - «Certo che la tua media sarà idonea! Sono sicura che diventeranno delle A nel giro di pochissimo!» - e poi successe l’inaspettato, l’incalcolabile, l’imprevedibile. Nick la tirò verso di sé e le appoggiò un bacio a fior di labbra, lì, metà dentro casa e metà fuori. E quando si allontanò, se quei tre o quattro centimetri che aveva messo fra le loro bocche potevano considerarsi distanza, Emily aveva le labbra socchiuse desiderose di molto di più che quella semplice carezza. Il respiro fermo, congelato nell’istante in cui lui l’aveva baciata e la gola secca. Così arida che poteva sentire le pareti interne raggrinzirsi ed incresparsi e le fece male deglutire.
«Grazie Em.» - le disse, ed ora quei centimetri aumentavano e lui tornava ad una distanza di sicurezza, che le faceva improvvisamente sentire freddo. E poi lo guarda mentre si volta e riprende la macchina, come se nulla fosse successo. “Grazie Em” aveva detto. Lei non sarebbe più riuscita a vivere da quel momento in avanti, ma lui era stato così educato da ringraziarla per i suoi voti scolastici. L’aveva ringraziata prendendosi un bacio, il suo primo bacio. Fissandosi per sempre indelebile fra le sue memorie.
«Grazie Em?» - le domandò Gin parafrasando la frase che Nick le aveva detto la sera prima. - «Ti ha preso per un distributore automatico di baci?»
«Senza lingua non è un bacio. Soprattutto se è da Sorrentino che arriva.» - disse Clarke senza nemmeno sollevare gli occhi dallo schermo del suo computer.
«Qualunque cosa diremo sarà inutile, ormai è infetta.» - Steve la guardava con autentica pietà mentre si teneva la testa con le mani. Le lezioni sarebbero iniziate fra pochi minuti, ma lei non aveva il coraggio di entrare. Avrebbero anche avuto il laboratorio di chimica quel giorno, il che significava dover condividere con lui un’aula. Anche se ormai doveva rivedere la classifica dei momenti in cui le era stato più vicino. L’anno nuovo era iniziato così, nessun anno sarebbe mai potuto iniziare meglio. Durante l’ora di lingua straniera Nick comparve nella sua classe chiedendo di farla uscire. Le professoresse non erano immuni al suo fascino, doveva essere per quello che le sue uniche insufficienze erano in materie insegnate da uomini.
«Oggi saltiamo gli allenamenti, ci vediamo da me dopo scuola?» - le disse nel corridoio davanti alla sua aula. Nella sua testa continuava a riprodursi come un film la scena della sera prima.
«Ok.» - rispose a mezza bocca ributtandosi subito in classe. Era difficile guardarlo, soprattutto se lui era così incredibilmente calmo, mentre lei sul punto di esplodere.
Era successo altre volte, altre decine di volte che mentre lei arrivava, Rebekah usciva da casa di Nick, eppure quella volta vederli baciarsi sull’uscio della porta, proprio come aveva fatto con lei, la disgustò. Definire il comportamento di Nick contraddittorio, era farne un elogio di rettitudine. Prima la ignorava, poi si arrabbiava se usciva con Gabriel, poi la ignorava di nuovo,  poi si arrabbiava di nuovo, la ignorava ancora e poi la baciava. Era a lei che servivano delle ripetizioni, un corso intensivo per capire cosa dovesse farne di quella marea di sentimenti confusi che le si agitavano nello stomaco. Prima o poi li avrebbe vomitati.
«Stasera vengono i ragazzi, ti va di rimanere?» - oggi l’aveva portata in cucina ed aveva ricoperto il tavolo di pacchi di patatine e snacks vari. - «Anche se sei ancora troppo piccola per l’alcool.»
«Significa che sono perdonata?» - domandò appoggiando i libri fra i pacchi di patatine e popcorn.
«Uh?» - come al solito Nick mangiava una quantità enorme di cibo.
«Non mi hai parlato per un mese ed ora mi inviti a stare con i tuoi amici…» - Emily non poteva saperlo, ma averla tenuta a distanza non era stato facile neppure per lui. Lei era drogata di lui, della sua presenza e delle ore che trascorrevano insieme, lui era assuefatto alle attenzioni, agli sguardi ed alle accortezze che lei gli dedicava.
«Davvero?» - le chiese facendo finta di nulla. Emily aveva aperto il pacco delle patatine che sapeva essere le sue preferite, lo faceva sempre e poi lo lasciava lì vicino a lui. Ed allora lui le versò un po' d'acqua nel bicchiere. Ed era scattata una molla, nell’esatto istante in cui l’aveva di nuovo accidentalmente sfiorata passandole l’acqua.
«Non ce la faccio!» - disse Emily alzandosi ed uscendo dalla cucina. Era stata in quella casa decine di volte, eppure ancora si perdeva cercando l’uscita.
«Em? Dove vai?» - e Nick la ritrovava sempre, sembrava avere un GPS attaccato addosso.
«Non ce la faccio più con le ripetizioni e tutto!» - disse lei cercando di superarlo. - «Ti lascio i capitoli da studiare con gli appunti nell’armadietto…» - disse camminando lungo il corridoio che era sicura l’avrebbe condotta fuori. - «Fra le dichiarazioni d’amore ed i preservativi.» - aggiunse con un pizzico di cattiveria.
«Ti vuoi fermare un attimo o devo correrti dietro per tutta casa?» - le disse lui afferrandole il braccio e vedendosi bruscamente allontanare. Stava anche seminando patatine lungo tutte le stanze della casa, perché se le era portate dietro.
«Non posso, perché se mi fermo poi ti guardo e se ti guardo…» - finisco di nuovo incastrata in quegli occhi bellissimi. Ma non lo disse. Tenne per sé la fine della frase perché anche se non aveva voluto era comunque finita a guardarlo.
«Se mi guardi?» - le domandò lui.
«No! No! No! Dico davvero no!» - aveva ricominciato a camminare e stavolta stava tornando sui suoi passi, ma Nick non era nemmeno sicuro che sapesse dove volesse andare. - «Io non ce la posso fare ed è colpa mia!»
«Ma cosa non puoi fare?» - nonostante le avesse detto di fermarsi era lì ad inseguirla, non le lasciava mai un vantaggio superiore a qualche metro.
«Continuare a venire qui, a vederti, a vederti con Rebekah e con ogni altra ragazza dello Stato!» - l’aveva detto. - «Non ce la faccio perché non ti capisco, non capisco i segnali che mi dai, sempre che siano dei segnali… Perché mi allontani, ma sei geloso, poi mi ignori e poi vieni a casa mia e mi baci. Anche se lo so che se non c’è lingua non c’è bacio… Insomma tu sei tu e io sono io, e tu non baci me. Eì tipo la prima legge della natura.» - eccola finalmente la porta d’ingresso. Nick era dietro di lei e la sentiva blaterare confusamente tutte quelle cose. Alla fine Emily era esplosa.
«Mi dispiace se hai frainteso.» - le disse. E mentì, perché in realtà la descrizione che Emily aveva fatto dei suoi comportamenti era a dir poco accurata. Ma grazie a lei sarebbe andato al college, le doveva troppo e lei era troppo diversa dalle sue solite ragazze per rischiare e prendersi davvero tutto quello che voleva. Eppure quelle parole risuonarono nel padiglione auricolare di Emily ferendola più di una cannonata in pieno stomaco. Aveva frainteso, quello era ovvio, però sentirselo dire da lui, lo rendeva reale. Non avrebbe mai dovuto sentirsi allontanata, perché non l’aveva mai avvicinata. Uscì dalla casa dei Sorrentino e non vi fece mai più ritorno. Per tutti i mesi che li separarono dalla chiusura dell’anno scolastico Emily tornò a guardare Nick dal tavolo della mensa, nel corridoio od alle partite. Gli lasciava nell’armadietto i pochi argomenti rimasti da recuperare e quando finirono, semplicemente smise di andarci. Gli esami di metà anno misero tutti a dura prova e resero ancora più radi gli incontri fortuiti con Nick. Non alzava mai lo sguardo quando lo incrociava nei corridoi, voleva smettere di chiedersi se l’avrebbe guardata, o interrogarsi se quello sguardo che aveva rivolto nella sua direzione fosse proprio indirizzato a lei. Aveva anche smesso di passare lungo il corridoio dove lui aveva l'armadietto, allungava la strada per la sua classe, ed era un'abitudine stupida. Dopo gli esami di fine anno, l’ultimo evento a cui lo avrebbe visto partecipare prima della sua partenza per Stanford sarebbe stata l’ultima partita del campionato, proprio contro la squadra di Gabriel. Il titolo era già loro, ma la partita andava comunque disputata, senza contare che tutti i giocatori delle rispettive squadre non vedevano l’ora di incontrarsi sul campo. La squadra di Nick vinse per pochi punti, confermando ancora una volta la sua superiorità, ma Gabriel aveva il prossimo anno per rifarsi. D’altra parte Nick non era umano, aveva una concentrazione ed una tenuta di gioco da NBA. Questo non glielo disse, ma nel tentativo di tirarlo su dalla sconfitta, in macchina lasciò andare di nuovo Oblivion, la canzone che avevano ascoltato e cantato insieme la prima volta.
«Non sono triste!» - le disse fingendo di asciugarsi una lacrima. - «Il prossimo anno vinceremo noi!»
«Solo perché Nick non ci sarà più!» - Gabriel mimò il suono di uno sparo. Lo aveva colpito ed affondato. Parcheggiò come al solito davanti casa sua. - «Emy, magari ci vediamo qualche volta durante l’estate ok?»
«Certo!» - rispose lei regalandogli il miglior sorriso che aveva. Nick sarebbe partito fra pochi giorni. Da quello che si diceva a scuola aveva già spedito i suoi pacchi al college, e la casa era già stata messa in vendita. Probabilmente quella sera avrebbero festeggiato l’ultima vittoria ed anche la sua partenza. Gli Howen le avevano lasciato un biglietto, dicevano di non aspettarli sveglia, come se lo avesse mai fatto e che erano a teatro. Un giorno anche lei sarebbe andata al college, esattamente a due anni da quel momento. Yale era la sua meta, drammaticamente dall’altra parte del continente americano rispetto a Stanford, non che si aspettasse di rivedere mai più Nick in vita sua, ma comunque una constatazione triste da fare. Non era abbastanza innamorata da scegliere lo stesso college del ragazzo che le piaceva, o forse semplicemente non era più una stalker, come diceva Gin. Quasi morì di paura sentendo bussare alla porta. - «Esiste il campanello!» - bisbigliò fra se e se andando a controllare chi fosse.
Lui non doveva essere lì, doveva essere seminudo nella piscina di casa sua a festeggiare con i suoi amici la sua ultima vittoria. E Nick lo aveva fatto, aveva giocato ed aveva vinto, e l’aveva anche vista andare via con Gabriel. Si era tuffato in piscina aveva bevuto e quando ormai la festa era nel suo vivo, se ne era andato arrivando sul suo portico bagnato ed un po’ ubriaco. Emily rimase appoggiata alla porta sentendola tremare sotto i colpi del ragazzo.
«Em!» - gridò ad un certo punto. - «Lo so che ci sei sento il tuo odore!» -disse. E lei si allontanò annusando la maglietta e cercando di capire se non emanasse qualche strano odore. Come faceva a sentirla da dietro una porta? - «Apri o la butto giù!» - decisamente la sua porta non era fatta per ricevere tutti quei colpi da qualcuno forte come Nick. L’avrebbe buttata giù davvero. Aprì piano, fu lui a spalancare piombando nel suo salotto come un ciclone. Le afferrò la testa e la baciò di nuovo, stavolta c’era anche la lingua, e nello slancio la mandò a sbattere un po’ contro qualunque cosa vi fosse nella stanza. E poi raggiunsero il frigorifero, unico oggetto in grado di fermare quell’avanzata confusionaria e cieca. Era bagnato, l’acqua che colava dai capelli gli aveva chiazzato la maglietta verde e le mani di Emily erano diventate umide toccandolo. La liberò da quel bacio solo per sollevarla e portarla al piano di sopra, come se fosse casa sua, come se quelle stanze le avesse visitate ogni giorno. Non aveva esitazione, sapeva perfettamente dove andare ed Emily era troppo confusa dalla vicinanza che quel corpo le causava per chiedersi come fosse possibile. Era l’odore, Nick non aveva sentito altro per tutta la sera, anche nella palestra quando c’erano centinaia di altre persone, lui sentiva solo lei. E dentro quella casa era la stessa cosa, seguiva l’odore di Emily fino ad entrare nella sua camera e rovesciarla nel letto sotto di sé. Nel giro di pochi giorni ci sarebbero state oltre duemila miglia fra di loro, ed un divieto ancor più categorico impostogli dalle regole del suo Branco. Ma quella sera poteva stare sopra di lei, poteva accarezzarle il viso, poteva ancora farsi guardare da quegli occhi innamorati. Poteva sfiorarle le labbra sentendola fremere a quel leggero contatto, poteva prendersi Emily e poi dirle addio per sempre. Perché lei non lo fermava, era incerta sotto di lui, insicura su cosa dovesse o non dovesse fare. Ed era quello a renderla ancora più bella, perché Emily non sapeva mai cosa fare, quello lo avrebbe imparato, ma faceva sempre ciò di cui lui aveva bisogno. E lui in quel momento aveva solo bisogno di lei, del suo profumo, del modo in cui gli passava la mano sul petto accarezzandolo. - «Credevo che ti avrei trovata con Gabriel…» - le disse.
«Eri venuto per lui? Se  vuoi posso richiamarlo!» - rispose lei privando il suo petto di una carezza ed allungando la mano verso il telefono. E quella stessa mano venne imprigionata in quella di lui, e poi baciata da suo sorriso. Quante volte l’aveva vista scrivere i suoi riassunti con quella stessa mano? Quante volte gliel’aveva sfiorata solo per vederla arrossire? Era stupito dalla sua stessa stupidità, dal tempo che c’aveva messo a realizzare di volerla e per tutto il tempo che era riuscito a resistere a quel desiderio.  Non era nella sua natura, se fosse partito senza averla avuta vicino un’ultima volta non era sicuro che sarebbe riuscito a vivere la vita che si era immaginato. E poi si accorse dello sguardo di terrore comparso sul viso di Emily. Guardava alle sue spalle, ma lui non aveva sentito tornare nessuno.
«Che c’è?» - disse girandosi.
«No, no, no, non guardare!» - Emily era scappata da sotto di lui lanciandosi contro lo specchio che aveva in camera.
«Cosa non devo guardare? Uno specchio?» - e poi notò il foglio che teneva fra le mani e divenne curioso. - «Fammi vedere cos’è.»
«No!» - rispose ferma lei strappandolo a metà. Nick le impedì di proseguire imprigionandole i polsi. Sapeva perfettamente come farle lasciare la presa e ci volle solo un istante prima che i fogli cadessero a terra e poi nelle sue mani.
«Tu, quattordici anni, Emily, sfigata, Howen. Lui, diciassette anni, Nick, sono dio, Sorrentino?» - non era previsto nei piani dell’universo che Nick Sorrentino avrebbe mai messo piede nella sua stanza, per questo non aveva mai nemmeno lontanamente pensato di dover rimuovere il biglietto che le aveva fatto Steve. - «Cos’è? E perché lo tieni sullo specchio?» - un’operazione ai polmoni senza anestesia sarebbe stata meno dolorosa.
«Serve a ricordarmi che ci sono cose al di sopra delle nostre potenzialità.» - rispose rassegnata, cercando di infarcire quell’evidente esempio di disagio adolescenziale con un pizzico di filosofia di vita.
«Io sarei al di sopra delle tue potenzialità?» - quello sarebbe stato il momento perfetto per spiegare a Nick l’idea che aveva sulla sua nascita e le sue origini. Era sicura che se gli avesse detto di reputarlo il figlio di un dio con un miracolo, avrebbe chiamato i servizi sociali per farla internare. - «Devi davvero smetterla di sottovalutarti.» - aveva buttato il foglio nel cestino ed era tornato da lei. La fissava di nuovo, e lei non riusciva a non pensare a quanto sarebbero stati fortunati gli studenti di Stanford ad averlo per i prossimi quattro lunghissimi anni. E se lui non avesse cominciato a baciarle il collo si sarebbe goduta di più quel complimento. Ma andava bene anche sentire la sua bocca torturare ogni centimetro della sua pelle. Era come cadere in trans, seguire i movimenti circolari della sua lingua, i baci i morsi, erano una melodia silenziosa scritta su uno spartito fatto di carne che ribolliva ad ogni nuova nota. Erano di nuovo stesi a letto e Nick le aveva sollevato la maglietta scoprendole l’addome. Le cingeva il fianco scoperto con una mano, mentre l’altra continuava ad accarezzarle il viso, come a volerla rassicurare.  E poi sentì la pelle del suo collo intrappolata fra i suoi canini, risucchiata in quel vortice caldo che era la sua bocca.  Quando la liberò le sembrò di bruciare, un misto di dolore e piacere, Nick si avvicinò ancora di più scivolandole fra le gambe e tornando a baciarla. Era arresa, perché sapeva che tra poco avrebbe suonato la sveglia, perché decisamente doveva per forza essersi addormentata. - «Em?» - le bisbigliava proprio accanto all’orecchio facendole il solletico, non era un sogno, c’era veramente. - «Mi devi fermare se non vuoi…» - e immediatamente le salì l’imbarazzo. Ci aveva pensato, qualche volta, insomma se fai parte del club di quelle povere sfigate che vanno dietro a Nick Sorrentino ti capita di chiederti come debba essere farlo con lui, ma nelle fantasie era facile essere coraggiosi e cogliere l’occasione. Così come era facile quando faceva le peggiori battute che le venissero in mente insieme a Gin. Trovarcisi veramente era tutta un’altra storia.
«Ok…» - lo disse così piano che fu quasi impercettibile.
«Ok? Sei sicura?» - Nick sorrideva, per lui non era niente di nuovo, nulla che non avesse già provato o fatto in precedenza, quindi come sempre era lei quella intimidita e lui quello calmo.
«No…» - di nuovo un sibilò. No, non era sicura, no non era ok, no non era vero che non volesse. Erano tutte considerazioni contrastanti, ma tutte egualmente vere. Si, assolutamente si, avrebbe voluto farlo con lui, ma no, non in quel momento. Forse era troppo da digerire in una sola notte, o forse era la prospettiva che sarebbe partito e che non lo avrebbe più rivisto. O forse semplicemente aveva quindici anni ed era un po’ spaventata. E lui che continuava a ridere non migliorava la situazione.
«Non fa niente.» - e invece faceva tutto. Come poteva essere così scema? Le avrebbero dedicato una festività nazionale per ricordare alle future generazioni che non c’era limite alla stupidità umana. Sarebbe passata alla storia come colei che non l’aveva data a Nick Sorrentino, avrebbe portato il marchio della vergogna e del rimpianto per il resto della sua vita. Ma nonostante tutto questo non ci riusciva, era bloccata, non riusciva a sentirsi sicura.
«Mi dispiace.» - disse allontanandosi da lui. Era insostenibile tutta quella vicinanza e lei sapeva di essere ridicola.
«Non è colpa tua… Avrei dovuto pensarci prima.» - se lo sarebbe ricordato fino all’ultimo giorno della sua vita quanto era stato stupido negarsi qualcosa che desiderava. Eccolo lì, divorato dal desiderio di avere quella ragazza, ed aver sprecato mesi e mesi di tempo evitandola. Ed era normale che lei non si sentisse sicura, era normale perché era quello che succedeva quando si provavano dei sentimenti. Dio quanto avrebbe rimpianto Emily. - «Credo che i tuoi siano tornati.» - disse avendo sentito una macchina fermarsi proprio davanti alla casa. Nick ruzzolò sotto il letto.
«Che stai facendo?» - gli domandò lei.
«Evito che tuo padre mi uccida? Hai pur sempre solo quindici anni!» - le disse lui. E sarebbe stato lungo spiegargli che l’uomo e la donna che erano appena rientrati non erano i suoi genitori, che non si interessavano di cosa facesse o di chi vedesse. Che non avevano mai controllato nemmeno una volta se fosse effettivamente nella sua stanza, nel suo letto. Ma aspettò che entrassero nella loro stanza ignorandola completamente per vedere Nick tornare accanto a lei.
«Visto?» - gli passò un cuscino, ma lui si appoggiò su di lei. Nell’incavo fra il collo e la spalla, con i capelli che le solleticavano la guancia.
«Ti verrà il segno.» - le disse baciandole il collo dove l’aveva “morsa” poco prima. - «Resterà solo qualche giorno, quando se ne sarà andato, mi devi promettere che smetterai di essere innamorata di me.» - ad Emily venne da ridere, mentre Nick invece era serissimo. - «Che hai da ridere? Dico sul serio, non mi rivedrai mai più in vita tua.» - ed anche se lo avesse rincontrato non avrebbe comunque potuto stare con lei.
«Va bene come vuoi.» - lo assecondò, perché anche lei aveva bisogno di credere che nel giro di qualche giorno non avrebbe sentito la sua mancanza, non avrebbe sperato di vederlo tornare indietro. Non avrebbe girato per i corridoi della scuola nella speranza di vedere un’ombra che glielo ricordasse, ma lo sapeva benissimo, che ci sarebbe voluto qualcosa in più.
«Devo andare a concludere la mia festa.» - già la festa che aveva lasciato per precipitarsi da lei.
«Già.» - lo accompagnò fino alla porta e sentiva già di voler piangere. - «Buona fortuna per il college.» - disse.
«Addio Em.» - si perché il loro non era un arrivederci, ma un addio vero e proprio. C’era il Branco da cui sarebbe tornato, suo padre, e tutte le responsabilità che comportava l’essere un Sorrentino.
«Ciao Nick.» - e per lei invece era un semplice ciao che lui sentì quando ormai le dava già le spalle. Perché Emily immaginava che nella vita tutto può succedere, e che magari fra settant’anni si sarebbero incrociati per sbaglio in un bar di una cittadina sconosciuta. Non c’era motivo di dirsi addio se ancora si era vivi. Lei non sapeva del Branco, non sapeva cosa Nick nascondesse e quale fosse la sua vera vita, lei vedeva quella situazione con gli occhi di una quindicenne. E non c'era motivo di non sperare che il destino un giorno le avrebbe regalato nuovamente la celestiale visione di Nick. Se allora avesse avuto la sicurezza che si sarebbero davvero incontrati di nuovo in un bar, forse non avrebbe pianto così tanto e forse non le avrebbe fatto così male dimenticarlo.

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Capitolo 5
*** A Step Closer To The Devil ***


“Ma solo per iscritto, lascia che rimanga così. Con la speranza di avere entrambi la forza di combattere ancora le seduzioni della realtà.”
David Grossman.







Bear Valley – Stonehaven
17 Agosto
16:30 PM

Nick e Clay stavano tornando dalla corsa di quel pomeriggio mentre Jeremy ed Elena erano rimasti in casa per un allenamento privato che, a giudicare dalle condizioni in cui li aveva ridotti, doveva essere stato alquanto faticoso.

«Logan ce la farà a venire?» - domandò Nick con il fiato ancora corto. Fra tre giorni avrebbe inaugurato il locale, nonostante la situazione con Malcolm e i Solitari che ancora minacciavano il Branco, aveva deciso finalmente di far partire il progetto.
«Ha detto di sì, ma non si fermerà.» - gli rispose Jeremy asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Hai trovato il coraggio per chiamare Emily o te le fai ancora sotto, cucciolotto?» - lo derise Elena. Da quando Emily era partita per tornare a casa non l’aveva più sentita. Si era fatto dare il suo nuovo numero dall’ufficio legale per cui lavorava, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiamare.
«Fatti gli affari tuoi piccoletta, o dovrò prendere a sculacciate questo culetto sodo!» - le rispose il ragazzo pizzicandole il sedere sotto lo sguardo divertito sia di Jeremy che di Clay.
«Ehi amico, vacci piano con quelle mani!» - gli disse il ragazzo.
«Sei geloso?» - domandò Nick saltandogli sulle spalle. - «Tu rimani il mio preferito.»
«Speriamo di non avere nessuna sorpresa.» - disse Jeremy sorseggiando del caffè bollente.

La famiglia Denvers, ed in generale tutti coloro che abitavano a Stonehaven non avevano la fama di essere dei grandi filantropi. Per lo più se ne stavano rinchiusi nella loro gigantesca proprietà evitando quanto più possibile ogni contatto con il resto della città. Ma all’evento di Nick avrebbero partecipato tutti. Le loro speranze erano che nessuno dei loro nemici decidesse di farsi vedere durante la festa. O quantomeno che nessuno decidesse di compiere qualche azione sconsiderata proprio davanti agli occhi di centinaia di umani. Nick scrollò la rubrica del telefono indugiando sul nome di Emily. Non aveva mai avuto problemi a chiamare una donna ed invitarla da qualche parte, ma con lei era diverso. Lei andava tenuta al sicuro. Era il suo pensiero costante, la missione che suo padre gli aveva lasciato come eredità. Probabilmente era occupata in qualche importante impiego oltreoceano e non avrebbe comunque potuto partecipare all'evento, quindi che differenza faceva chiamarla? La verità, non era poi così diversa dai pensieri che Nick aveva elaborato. Infatti Emily era stata dall’altra parte del mondo fino a qualche ora prima, era da poco atterrata all’aeroporto di New York ed a breve sarebbe ripartita per Toronto. Aveva ricevuto l’invito al party d’apertura con diversi giorni di anticipo, proprio perché Amanda, teneva particolarmente alla sua presenza e per sua fortuna aveva anche una persona da portare come suo “plus 1”. Non aveva cercato di contattare Nick, soprattutto perché nonostante le avesse esplicitamente detto che si sarebbe occupato lui di risolvere la questione con il Signor Marsten alla fine era toccato a lei incontrarlo per evitare che li denunciasse alle autorità competenti. Era stata un’operazione lunga e complessa, ma alla fine era riuscita a risolvere il problema della vendita, concordando una penale inferiore a quella dovuta. Aveva perfino trovato che la compagnia di quell’uomo era meno spiacevole di quello che si poteva immaginare. Durante i loro incontri le aveva fatto molte domande su Nick e sul loro rapporto, non le aveva nascosto di avere degli affari con i Denvers e quindi probabilmente voleva avere delle informazioni su quel ragazzo che così inaspettatamente aveva mandato a monte un affare da milioni di dollari. Però non c’era molto che Emily avesse potuto dirgli, non vedeva Nick da quando si era diplomato, non sapeva nulla di lui ad eccezione delle informazioni ricavate grazie ai giusti contatti. Quanto fosse capace nel suo lavoro e come intendesse indirizzare ora gli affari del padre, erano questioni su cui lei non si interrogava, doveva solo limitare gli eventuali danni. E non aveva nemmeno smesso di cercare Antonio, Nick poteva sbraitare quanto voleva, ma lei, in un modo o nell'altro, lo avrebbe trovato, avrebbe scavato fino a scoprire dove fosse finito. I chilometri che l’avevano divisa per mesi da lui, l'avevano anche aiutata a realizzare quanto assurdo sarebbe stato finirci a letto, una debolezza che le avrebbe tolto un rimorso e lasciato probabilmente molte più scorie radioattive. Sicuramente il mondo era pieno di donne abbastanza intelligenti e furbe da intrattenere relazioni di solo sesso con uomini prestanti e benestanti, ma lei era nata con una capacità di controllo sulle sue emozioni decisamente bassa. Gli uomini con cui era stata li aveva amati, o creduto di, e poi Nick era un terreno pericoloso, troppi ricordi che era impossibile controllare. E pensare che aveva parlato di lui anche con Antonio, ignorando la loro parentela gli aveva detto di quanto ne fosse stata perdutamente innamorata. L'uomo l'aveva ascoltata raccontare quella cotta adolescenziale, l'aveva sentita appellare suo figlio con inusuali complimenti ed altrettanti insulti. Antonio la capiva, forse perché nel cuore portava ancora l'amore per la madre di Nick, o forse semplicemente perché era quello il suo modo di rapportarsi a lei; con calma, gentilezza, comprensione ed amicizia. Erano rarissime le volte in cui lo aveva sentito parlare della donna che amava, l’avevano persa quando Nick era ancora un ragazzino e lui lo aveva cresciuto da solo cercando di fare il meglio per quel ragazzo. Ora capiva perché non lo aveva mai incrociato quando viveva a Nashville, Antonio non faceva altro che lavorare e viaggiare. Chissà se sarebbe stato presente alla festa di Nick, probabilmente no, ma sperare non le costava nulla.
Il giorno dell’apertura del locale, Logan varcò  le porte di Stonehaven di prima mattina. Da quando Rachel era stata rapita, non si faceva vedere spesso da quelle parti, perché aveva raggiunto Jorge a Vancouver per rintracciare Malcolm e riprendersi la madre di suo figlio. Anche Jeremy e gli altri avevano continuato a tenere aperti occhi ed orecchie sperando di intercettare l'ormai ex Alfa, e riuscire così a riportare la ragazza fra le braccia di Logan.
«Credevi davvero che fosse tua sorella?» - domandò il giovane psicologo a Nick mentre finivano di sparecchiare la tavola.
«Tu che cosa avresti pensato?» - rispose lui tirando un po’ d’acqua all’amico.
«Ma dai era assurdo! Io avrei pensato ad una storia d’amore.» - disse il ragazzo.
«A quella ci pensa lui.» - commentò Clayton passandogli dei bicchieri con un po’ di whiskey.
«Quindi ti viene più normale pensare che mio padre possa essere una specie di pedofilo, piuttosto che un uomo con una figlia?» - domandò Nick facendo riflettere Logan su quanto male avesse formulato il suo pensiero.
«Non era questo che intendevo dire…» - disse il ragazzo mandando giù un sorso di whiskey. - «Non vedo l’ora di conoscerla. Attirare le attenzioni di entrambi i Sorrentino non è cosa da tutti i giorni, e poi...Emily Sorrentino, non suona per niente male, no?» - continuò a scherzare cercando anche l’appoggio di Clay. Stonehaven ed i suoi fratelli gli regalavano qualche attimo di sollievo nell’incubo che era iniziato dopo l’attacco da parte dei Solitari e che oggi ancora non si era concluso.
«Direi che è perfetto. Dovresti pensare di adottarla Nick!» - disse Clay schivando il cuscino lasciato da Nick. Elena era al piano di sopra al telefono con la sorella di Philip, il senso di colpa per quello che era accaduto al suo ex fidanzato la tormentava incessantemente, ed alimentava la sua voglia di vendetta, mentre Jeremy era nel seminterrato a leggere. Riusciva a sentire i passi dei ragazzi sopra di lui e perfino i loro schiamazzi. Avrebbe fatto di tutto per riportare Rachel ed il bambino da Logan, avrebbe punito suo padre come meritava. Nessuno poteva minacciare il suo Branco, la sua famiglia, in quel modo e passarla liscia, soprattutto non Malcolm.
Amanda aveva minacciato di morte Nick qualcosa come trenta volte ricordandogli di non tardare e fortunatamente per lui, grazie soprattutto alla precisione di Elena, arrivarono puntuali alla festa. Nessuno di loro aveva mai visto il locale completo e per Nick quella era la prova generale della futura apertura al pubblico. Era perfino meglio di quello che si era immaginato. Il biliardo che era stato danneggiato dalla sparatoria, era stato riparato e riposizionato in un angolo della sala. Alcuni dei presenti erano clienti di suo padre, molti altri erano uomini d'affari con cui non aveva mai nemmeno scambiato una parola. Avendo seguito rigidamente le regole del Branco, Nick non aveva molti amici, aveva invitato qualcuno del college solo per preservare le apparenze, ma non condivideva con loro alcun vero legame. Amanda accoglieva gli ospiti all’entrata, aveva invitato il sindaco ed alcuni politici locali, nella speranza di accaparrarsene i favori. Era una ragazza abile e capace, oltre che incredibilmente sexy, erano stati insieme qualche volta, una distrazione che sarebbe stato felice di concedersi ancora. Magari proprio quella sera, quando il locale si sarebbe svuotato e loro sarebbero di nuovo rimasti soli. Quelli erano i suoi pensieri quando non doveva concentrarsi sulle questioni del Branco, e poi avvertì quel profumo perfino prima di Elena e non ci volle crederci finché lo sguardo della ragazza non gliene diede conferma.
Dopo qualche minuto, all’entrata vide Emily, avvolta in un vestito rosa senza spalline che lasciava l’intero decolleté nudo, coperto solo dalle onde castane. Aveva in braccio incastrato in quello di un ragazzo, un tipo alto, qualcuno che non avrebbe dovuto esserle così vicino.
«Alla fine l’hai invitata.» - disse Elena passandogli accanto. No, non l’aveva fatto, ma era contento di vederla lì.
«Emily!» - la salutò Amanda. Nick guardò quell'abbraccio e quel saluto così amichevole con notevole divertimento. Se Emily avesse saputo probabilmente non sarebbe stata così gentile con Amanda, perché da qualche parte la quindicenne innamorata di lui doveva ancora essere sepolta. Si crogiolò in quell'illusione, vedendo le due donne chiacchierare complimentandosi l'una con l'altra per l'ottimo lavoro svolto.
«Grazie per avermi invitata.» - disse la ragazza accarezzando il braccio dell’altra. Sia Jeremy che Nick stavano ascoltando da lontano quella conversazione.
«Sapevi che sarebbe venuta?» - gli chiese l’uomo.
«No, credevo fosse dall’altra parte del mondo.» - rispose lui.
«Quindi è lei?» - domandò Logan raggiungendolo. - «Effettivamente se potessi scegliermi una sorella, perché non prenderne una carina!» - Nick lo avrebbe ucciso. E lo avrebbe fatto lì in quell’esatto istante se solo non ci fosse stata una sala piena di gente a guardarli.
«Andiamo.» - disse Jeremy prendendo Logan e trascinandolo verso Clayton.
«Scusatemi.» - Emily si divincolò da una conversazione con Luke ed alcuni suoi conoscenti. - «Ehi, gran bella festa.» - aggiunse abbracciando Nick ed appoggiandogli un bacio sulla guancia.
«Probabilmente avevi qualcosa di più importante da fare che essere qui stasera.» - le rispose il ragazzo.
«Scherzi? C’è letteralmente il mio sangue in questo locale, non mi sarei persa l’inaugurazione per nulla al mondo!» - aveva ancora delle lievi cicatrici a ricordargli di quella notte.
«Emily Howen?» - domandò un uomo alle loro spalle attirando l’attenzione della ragazza. - «Non posso credere ai miei occhi!»
«Derek? Oh mio dio sono anni che non ti vedo!» - disse lei salutandolo.
«Sembra che sia tu la stella della serata.» - intervenne Nick presentandosi all’uomo. - «Nick Sorrentino.»
«Derek Ronald, un amico di Amanda.» - e senior di Emily a Yale, ma per qualche ragione evitò di palesare la verità a Nick tornando a concentrare la sua attenzione ed i suoi occhi sulla ragazza. Nick si allontanò intrattenendo alcuni brevi conversazioni con alcuni amici e colleghi. Di tanto in tanto tornava a controllare Emily ormai circondata da tre o quattro uomini che gli oscuravano la visuale. Sembrava essere come il miele per le api.
«Nick Sorrentino dico bene?» - lo sorprese il ragazzo che era entrato con Emily.
«In persona.» - rispose lui stringendogli la mano.
«Emily non ha avuto occasione di presentarci, ma mi ha parlato molto della tua famiglia.» - Nick sorrise. - «Luke Harvey.»
«Piacere. Sei un collega dello studio?» - domandò continuando a parlare con il ragazzo e cercando di scorgere Emily con lo sguardo.
«No, mia sorella lavora con lei.» - spiegò. - «Io sono un semplice fotografo.»
«Nick.» - Elena lo aveva allontanato dal ragazzo. - «Non lo senti?» - domandò.
«Cosa?» - chiese lui. Sentiva i complimenti che quegli uomini rivolgevano ad Emily, e sentiva la ragazza assecondarli padrona di quel gioco. Sentiva anche la necessità di portarla via, ma nient'altro.
«Sono qui.» - disse voltandosi verso l’entrata appena superata da Marsten e Malcom. Jeremy ordinò immediatamente a Clay di portare Logan fuori dalla stanza, la sola vista del’uomo che con tutta probabilità teneva prigioniera la sua ragazza poteva causargli un’immediata trasformazione. E se fosse accaduto ci sarebbe stato un vero e proprio bagno di sangue. Marsten aveva collaborato con loro per ritracciare Malcolm e sembrava aver avuto successo, l’abilità maggiore di quell’uomo era proprio quella di riuscire a stare sempre con il piede in due scarpe. Eccolo lì a fare il suo ingresso trionfale con l'uomo a cui il Branco dava la caccia e nessuno di loro poteva avere la certezza che Marsten fosse effettivamente dalla loro parte. Jeremy non aveva dato segnali, dovevano rimanere tutti calmi, niente attacchi improvvisi. I due uomini si diressero spediti verso Emily, era Marsten che l’aveva indicata a Malcolm appena entrati.
«Stai provando a nasconderti?» - domandò Karl raggiungendo Emily e facendole fare un giravolta. - «Credevo fossimo d’accordo per una cena non appena fossi tornata dalla Cina.»
«Sbaglio o quel bastardo di un Solitario sta flirtando con la tua non-sorella?» - disse Elena osservandoli.
«In realtà ufficialmente non sono ancora tornata. Il mio viaggio doveva terminare domani.» - disse Emily.
«Lascia che ti presenti James, un mio vecchio amico.» - aggiunse Marsten lasciando che l’uomo si presentasse alla ragazza con un elegante baciamano.
«Incantata davvero. Karl ha sempre amicizie invidiabili.» - disse lei.
«E sbaglio ancora o la tua non-sorella non lo sta affatto respingendo?» - domandò ancora Elena.
«Li faccio smettere io.» - ringhiò Nick facendo un passo nella loro direzione e venendo prontamente trattenuto da Jeremy.
«Non davanti a tutta questa gente.» - disse l’uomo. - «Ricordati dove sei.» - proprio in quel momento Amanda lo raggiunse presentandogli alcuni giornalisti che volevano scrivere un articolo sull’apertura del nuovo locale e per questo avrebbero voluto fargli qualche domanda. Nick acconsentì, ma continuava ad avere nelle orecchie solo la voce di Emily e quella nauseante di Marsten.
«Dimmi che ti fermi per qualche giorno a Bear Valley.» - le disse l’uomo continuando a stringerle la mano.
«Sfortunatamente no, riparto per Hamilton immediatamente.» - Emily fece un cenno a Luke che la raggiunse. - «Abbiamo piani per il weekend.» - disse tornando ad intrecciare il suo braccio in quello del ragazzo. Nick non riusciva a vederli perfettamente, ma aveva notato la cosa.
«Vorrà dire che aspetterò ancora per quella cena.» - concluse Marsten congedandosi da lei e ripercorrendo a ritroso lo stesso tragitto fatto in precedenza. 
Jeremy era stato messo al corrente dal Solitario che era stato proprio Malcolm ad indirizzarlo verso Emily ed a suggerirgli quella vendita con Sorrentino per avvicinarsi alla ragazza. Suo padre non si era mai lasciato sfuggire i suoi piani per quella ragazza, ma era evidente che doveva essere al corrente di qualcosa se voleva che Marsten intrattenesse con lei dei rapporti così amichevoli.
«Arrivederci Signorina.» - disse Malcolm congedandosi a sua volta e seguendo Marsten. Accennò un leggero movimento  del capo passando davanti a Jeremy ed i ragazzi.
«La classica dimostrazione di spavalderia di Malcolm.» - commentò Clay tornando nella sala dopo aver calmato Logan. Il ragazzo aveva preferito restare nella sala accanto fino a quando i due lupi non se ne fossero andati. Conosceva bene il genere di reazione che la vista di Malcolm gli scatenava.
«Già.» - disse Jeremy andando verso Emily e Luke. - «E’ davvero un piacere rivederti!»
«Jeremy!» - esclamò la ragazza. - «Dio, con tutto il casino della festa ancora non sono riuscita a venire a salutarvi!»
«Figurati, Karl è un accentratore.» - disse mentre Elena e Clay lo raggiungevano salutando la ragazza. Nick continuava a rispondere automaticamente alle domande dei giornalisti, ora che Emily era con Jeremy e gli altri poteva tornare a respirare serenamente.
«Lo conosci?» - chiese sorpresa.
«Certamente. Vecchi affari con Antonio.» - le rispose Jeremy. - «E l’uomo che era con lui?»
«Oh il Signor James? Mai visto prima d’ora, ma decisamente un tipo carismatico.» - disse ridacchiando e notando le espressioni contrariate sui volti di Elena e Clay.
«Se vogliamo essere a casa in tempo dobbiamo andare.» - le ricordò Luke.
«Hai ragione, saluto Amanda e Nick e ti raggiungo in macchina.» - passò la pochette al ragazzo con le chiavi della macchina, appoggiandogli un bacio sulla guancia.
«State insieme?» - le domandò a bruciapelo Elena intercettandola prima che raggiungesse Amanda.
«Se riuscissi a rimanere in uno Stato per più di quattro giorni al mese, forse si, ma al momento… Ci stiamo solo frequentando.» - rispose un po’ imbarazzata. Elena non era il tipo di ragazza che girava introno alle cose quando voleva saperle, ma non poteva fare a meno di trovarla un po' troppo invadente. La salutò in fretta, sperando così di evitare altre domande imbarazzanti e continuò a cercare Amanda fra tutta la gente presente nella sala. La trovò a parlare con alcuni degli ospiti e la ringraziò nuovamente per l’invito. Nick invece sembrava essere del tutto scomparso. Fece il giro dell’intero locale due volte, ma non riusciva a trovarlo. Si rassegnò all’idea di andare via senza salutarlo.
Ci volevano all’incirca quattro ore per tornare ad Hamilton da Bear Valley, sia lei che Luke avevano messo in conto di arrivare alle prime luci dell’alba e quindi avere solo poche ore per dormire, ma quel pomeriggio la attendeva una importante riunione a cui non sarebbe assolutamente potuta mancare. Non poteva passare la notte ad aspettare che Nick si degnasse di ricomparire, per poi magari venir liquidata in due minuti, come era solito fare. Inoltre per il weekend avevano organizzato una gita sui laghi insieme alla sorella di Luke ed al marito, era dunque assolutamente impensabile fermarsi lì. Luke la accompagnò fino sotto casa, rimanendo a guardare finché non fu sicuro che fosse entrata nel palazzo. L’appartamento di Emily era al quarto piano, ed era eccessivamente grande per una persona sola. Lo aveva comprato qualche anno dopo essersi trasferita in città con i primi risparmi che era riuscita ad accumulare grazie al lavoro. C’erano tre stanze, due delle quali completamente inutilizzate, due bagni, un’ampia cucina collegata alla sala da pranzo, un salotto nel quale era finita a dormire più spesso che nel suo letto, ed un piccolo studio. Scese dai sandali che aveva indossato quella sera lasciandoli distrattamente lungo il percorso per arrivare in camera. Buttò a terra anche la piccola borsa, salvando solo il cellulare che finì nel letto con lei. No, non si sarebbe rialzata per spegnere le luci e nemmeno per cambiarsi e mettersi il pigiama. Quarantotto ore prima si trovava a Shangai a concludere un importante investimento con alcune società cinesi in rapida ascesa sul mercato internazionale. Dire che aveva fatto i salti mortali carpiati per riuscire ad andare alla festa di Nick, era minimizzare, ed ora ne pagava le conseguenze. Prima che se ne rendesse conto aveva già preso sonno, un sonno disturbato da un incubo, stava sognando di scappare da una qualche bestia feroce, aveva il cuore che le tamburellava nel petto così forte, da assordarla. Aprì gli occhi, salvandosi dall’attacco della bestia e realizzò che non era il suo cuore a battere, ma qualcuno che evidentemente aveva tutta l’intenzione di sfondare a pugni la porta. Impiegò qualche istante per trovare la lucidità ed alzarsi dal letto. La violenza con cui veniva colpita la porta sembrava far tremare i muri dell'intera casa, si avvicinò per controllare chi fosse ed istintivamente prese uno dei vasi da fiori, nel caso avesse dovuto difendersi.
«Nick?!» - disse spalancando la porta. Effettivamente aveva un vago ricordo dell’irruenza con cui era solito accanirsi contro le porte. Doveva avere un qualche trauma infantile perché ogni volta che aveva bussato alla sua porta aveva rischiato di abbatterla, ora come in passato. Il ragazzo entrò senza quasi senza guardarla ed anzi le urtò violentemente la spalla. - «Cosa ci fai qui?» - avrebbe dovuto essere alla festa o a casa, non aveva idea di che ore fossero, ma sicuramente lui non doveva trovarsi lì.
«Ti avevo detto di lasciar perdere Marsten!» - le stava urlando contro, in casa sua ad un’ora indefinita della notte. Lei aveva ancora il vaso in mano e probabilmente avrebbe finito col tirarglielo davvero.
«Se tu te ne fossi occupato io non avrei dovuto intercedere!» - gli rispose, urlando anche lei.
«Sei diventata una sua amica? Sei per caso impazzita o innamorata?» - Nick continuava ad avere un tono di voce eccessivamente alto. Si era appoggiato al bancone della cucina e le dava le spalle.
«Sei ubriaco?» - gli domandò allibita da quelle domande.
«Non abbastanza da farmi passare l’incazzatura!» - disse lui. Doveva posare quel vaso, doveva. Perché iniziava veramente a diventare allettante l’idea di tirarglielo e lui era pur sempre un suo cliente. Ma soprattutto era il figlio di Antonio.
«Ascolta, non so che problemi tu abbia con Karl-» - le arrivò addosso in mezzo istante, la sovrastava guardandola dall’alto con quelle iridi blu che sembravano un mare in tempesta.
«Karl? Lo chiami addirittura per nome!» - le disse continuando ad avanzare mentre lei indietreggiava sempre di più.
«Marsten, ok, Marsten!» - ripeté esasperata spingendolo via. - «Insomma non so che problemi tu abbia, ma non mettermi in mezzo. E tanto perché tu lo sappia, non lavoro per lui.» - effettivamente quell’informazione lo calmava, ma non era abbastanza. Emily non poteva sapere, ma il fatto che Malcolm avesse chiesto a Marsten di presentargliela era solo il preludio di una sciagura. Aveva lasciato la festa del suo locale nemmeno un’ora dopo che lei se n’era andata, non c’era stato verso che riuscisse a resistere ancora. Nemmeno tutto l’alcool che aveva ingerito aveva diluito la sua preoccupazione. Non aveva avvisato Jeremy di quell’improvvisato viaggio ad Hamilton, sicuramente si sarebbe preso una bella strigliata al ritorno.
«Che diavolo vuole da te? Perché ti invita a cena? Perché sa che eri in Cina?» - la vera domanda era come faceva lui a sapere quelle cose. Del suo viaggio in Cina poteva averlo informato qualcuno dello studio, ma delle cene con Marsten?
«Mi spii?» - domandò mentre lui buttava la giacca sul suo divano.
«Senti facciamo una cosa...» - le disse il ragazzo sedendosi. - «Se tieni a mio padre, stai lontana da Marsten e da tutti i suoi amici.» - soprattutto dai suoi amici.
«Comodo tirare fuori Antonio solo quando ti torna utile. Perché invece prima non mi ci fai parlare?» - ribatté lei notando i sandali che aveva lasciato disordinate nella sala. Non aspettava visite per quella sera. Il cellulare di Nick iniziò a squillare, ma lui non sembrava voler rispondere così fu lei a tirarlo fuori dalla giacca. - «E’ Jeremy.» - disse passandogli il telefono.
«Dove sei?» - domandò l’uomo appena Nick prese la chiamata.
«Avevo delle cose urgenti da sistemare a New York.» - disse facendole segno di tacere. E lei non capì per quale ragione stesse mentendo.
«Nick non costringermi a venirti a cercare. Dove sei.» - ripeté. Era inutile mentire a Jeremy, così come infondo sapeva che sarebbe stato inutile seguire Emily fino a casa. Averla vista parlare con Marsten e Malcolm gli aveva fatto perdere lucidità.
«Sono da Emily.» - disse finalmente ammettendo le sue colpe. Il respiro di Jeremy si fece più lungo.
«Stai facendo il suo gioco.» - disse poi. -«Esattamente come quel giorno al locale. Ti isoli dal Branco e diventi un bersaglio facile.» - sapeva che Jeremy aveva ragione. Paradossalmente seguire Emily l’aveva forse messa in pericolo più di quanto non sarebbe stata se lui se ne fosse stato alla larga. Ma il rapimento di Rachel era ancora troppo fresco, Malcolm era capace di qualunque cosa e lui non si sarebbe mai fidato di Marsten. - «Torna subito indietro.» - guardò verso la ragazza che stava raccogliendo le sue scarpe e la borsa dal pavimento.
«Tornerò domani.» - disse concludendo la telefonata ed Emily lo aveva sentito perfettamente. - «Posso?» - domandò poi più per prenderla in giro che per avere veramente il suo permesso.
«Certo. Fa come fossi a casa tua!» - rispose lei aprendo una delle stanze da letto che non usava mai. Non era cambiato di una virgola, prima agiva e poi si disturbava a chiedere il permesso. Anzi forse doveva ritenersi perfino fortunata che avesse sentito l'esigenza di chiederle se poteva restare da lei per quella notte, probabilmente normalmente non si scomodava così tanto.  Erano solo poche ore e poi se ne sarebbe andato, il cielo fuori iniziava già a schiarirsi per l'imminente alba.
Sgattaiolò nella sua stanza chiudendosi la porta alle spalle, sperando che le sue intenzioni a non avere più alcun tipo di conversazione con lui risultassero chiare. Ormai il sonno era completamente svanito quindi si cambiò e poi andò a spegnere le luci. La stanza che aveva indicato a  Nick aveva la porta socchiusa, nel silenzio totale della casa poteva quasi sentirlo respirare. Tornò a letto accendendo la piccola luce sul comodino e riprendendo a leggere il libro che aveva cominciato prima della partenza per la Cina. Fuori le luci dei lampioni erano ancora accese, l’orologio segnava le cinque e tre quarti e lei non riusciva a staccarsi da quella lettura. Alla riunione si sarebbe presentata con delle occhiaie da record, ma per fortuna aveva il weekend al lago che l'avrebbe aiutata recuperare le energie. Negli ultimi sei anni erano più le notti che aveva trascorso insonni di quelle in cui aveva propriamente dormito. Lavorava per giorni senza prendersi mai una pausa, interrompeva solo quando il suo organismo arrivava al limite di sopportazione. Le tornò in mente una volta che Antonio si era presentato alla sua porta, esattamente come Nick, nel cuore della notte. Non per urlarle contro, ma portandole alcuni sandwich e delle medicine per il mal di testa e l'insonnia. Le aveva ancora da qualche parte nel mobile del bagno. L'arrivo di Nick sulla soglia della sua porta fu preceduto da alcuni scricchiolii del parquet, che la distrassero dalla lettura e dai suoi pensieri. Avrebbe dovuto rispedirlo da dove era venuto, ma non ne ebbe la forza. Non era cambiato di una virgola, era contraddittorio come sempre, le incasinava tutto. Il ragazzo si stese accanto a lei, in silenzio, la fissava riuscendo a mala pena a tenere gli occhi aperti dal sonno. Lei lo intravedeva con la coda dell'occhio fra una riga e l'altra del romanzo, era ancora il frutto dell’incontro fra un dio ed un miracolo, aveva conservato la spregiudicatezza nello sguardo di quando aveva diciotto anni, ma aveva guadagnato il fascino della maturità. Con lui lì accanto era volersi prendere in giro continuare a cercare di leggere qualche riga, concentrandosi veramente su ciò che veniva raccontato. Avrebbe ripreso a leggere un altro giorno, quando quella distrazione ambulante non sarebbe stata candidamente abbandonata nel suo letto. Era semi addormentato con i capelli scombinati a coprirgli il viso, glieli scostò, in un gesto più dolce ed intimo di quello che avrebbe dovuto essere, sembrò quasi una carezza. Antonio non avrebbe approvato quella situazione. Ed a giudicare da come Nick aveva cercato di nascondere la cosa a Jeremy, neppure lui. Guardarlo adesso, mentre il viso si distendeva in un sonno sereno, le dava l'impressione di avere davanti a sé  una persona del tutto sconosciuta. Non era il Nick arrogante e pretestuoso che era piombato in casa sua urlandole contro e non era nemmeno lo stesso con cui aveva avuto a che fare a Stonehaven. No, quello che aveva davanti era finalmente un Nick che le ricordava Antonio. Calmo sereno, con un leggero sorriso abbozzato sul viso. Con il respiro lento e ritmico. Si era tolto la camicia, ma aveva, fortunatamente, tenuto i pantaloni della festa. Prese una coperta dall’armadio lì vicino e lo coprì lasciandone un po’ anche per sé. Non riuscì propriamente a dormire, era troppo preoccupata che un movimento incontrollato avrebbe potuto farla finire addosso a lui per concedersi la rilassatezza di un riposo, ma si appisolò per qualche minuto. Nick invece, si era svegliato solo quando il suo cellulare aveva iniziato a squillare fra le coperte, lo aveva raggiunto prima che potesse farlo lei e senza chiederle il permesso lo aveva spento e messo sul comodino tornando a dormire. Erano uno di fronte all’altra con i respiri sincronizzati all’unisono, intrappolati in un onirico stadio di serenità. Era molto meglio che litigare. 
«Buongiorno.» - le sussurrò accarezzandole la fronte. Emily avrebbe aggiunto un’altra medaglia accanto a quella, ricevuta anni prima, per aver rifiutato di stare con lui per la sua prima volta. Quella mattina avrebbe avuto la medaglia al disvalore per essere probabilmente l’unica donna al mondo ad aver passato la notte con Nick Sorrentino ed aver effettivamente solo dormito.
«Buongiorno.» - rispose lei dandogli le spalle. Nick guardò le ciocche castane scivolarle lungo la spalla scoprendole una porzione di collo. Si avvicinò fino quasi a far collidere i loro corpi ed appoggiò una mano sul suo fianco. Aveva il viso immerso nei suoi capelli, nel suo profumo e se ne doveva andare prima che le cose finissero per prendere la piega dell’ultima volta. - «Vado a fare colazione.» - la Emily che ricordava era quella che tremava quando lui la sfiorava, che smetteva di respirare e lo guardava con gli occhi tremanti. Era cambiata e lui non esercitava più tutto quel potere su di lei. Adesso poteva gestire alla pari quel gioco, poteva scegliere di sottrarsi a lui.  Non l'avrebbe più avuta in pugno con una semplice carezza, se la voleva, doveva giocare come gli adulti che erano.
«Resta.» - ed era diventato lui quello che stava quasi implorando per le sue attenzioni, per qualche minuto in più, per un contatto anche solo fortuito. Rinforzò la presa sul suo fianco impedendole di fuggire. Ma lui era fatto così, rischiava, correva sempre incontro al pericolo.
«No, davvero è-» - Emily aveva cercato di divincolarsi dalla quella stretta, ma per quanto tentasse Nick restava comunque troppo forte per lei. Da quando era tornata da Stonehaven c’era una cosa che aveva iniziato a fare. Soprattutto dopo tutte le botte prese da Elena in quel pomeriggio sul retro della villa. Si era iscritta ad un corso di autodifesa ed era probabilmente la peggior allieva del mondo dato che in oltre quattro mesi era riuscita a seguire si e no tre lezioni in croce, ma una cosa l’aveva imparata. Sapeva come liberarsi da una presa non voluta proprio sfruttandone la sua forza. Era stata brava e veloce nell’eseguire la torsione che li aveva ribaltati facendola finire sopra di lui, ma non era riuscita a bloccarlo perché il corpo di Nick reagiva automaticamente a quelle provocazioni. Il suo istruttore avrebbe comunque potuto essere fiero di lei.
«Tu guarda chi è che ha imparato a difendersi!» - le disse il ragazzo mettendosi a sedere ed arrivandole a pochi centimetri con un sorriso divertito in viso. - «Posso solo consigliarti di non finire così su ogni uomo di cui vuoi liberarti. Non hanno tutti il mio autocontrollo.» - non che le capitasse poi così spesso di avere qualcuno con cui dover lottare in un letto, per fortuna. Ma Nick Sorrentino che si descriveva come qualcuno dotato di autocontrollo, sarebbe probabilmente diventata la battuta dell’anno. Evitò di farglielo notare, lasciandolo soddisfatto per quella mezza vittoria. Aveva ragione però, si era liberata, ma restava comunque ancora troppo vicina. Anzi forse perfino più vicina di quanto non lo fosse in precedenza. Notò la cicatrice del proiettile che lo aveva colpito. Un cerchio quasi perfetto leggermente più scuro del resto dell’incarnato. Si soffermò a guardare quella piccola macchia, piuttosto che incrociare lo sguardo di Nick che la sfidava a tentare ancora una volta di metterlo a terra. Lui la guardava, col trucco del giorno prima che le anneriva gli occhi e le labbra su cui era rimasto un filo del rossetto. E poi c’era il suo collo, quello che aveva visto scoprirsi dai capelli e che ora era così terribilmente vicino a lui. Lo stesso su cui anni prima aveva lasciato un marchio ormai del tutto scomparso. Ed Emily sembrava proprio aver mantenuto la promessa che era riuscito a strapparle. Non era più innamorata di lui, se lo era lasciata alle spalle, adesso usciva con un fotografo, cinguettava con Marsten e permetteva a Malcolm di baciarle la mano. La avvicinò di più a sé affondando la testa nell’incavo della spalla. E finalmente le sue labbra sfiorarono la sua pelle regalando un brivido ad entrambi. Le tornarono in mente tutti i discorsi fatti quando si era lasciata alle spalle Stonehaven e continuavano ad essere tutti assolutamente giusti. Tutte le ragioni per cui avvicinarsi a Nick Sorrentino non era una buona idea, restavano assolutamente valide, ma insieme a quelle ragioni riaffioravano anche i ricordi, le sensazioni, la ragazzina di quindici anni che lo aveva amato per anni.
«La colazione.» - disse interrompendo la carezza che stava lasciando sulla sua cicatrice trasformandola in una leggera spinta che li allontanò nuovamente. - «E devo prepararmi per il lavoro.» - scivolò via da lui scappando in cucina. La colazione, un rituale che non le era mai appartenuto. Non sapeva nemmeno da dove iniziare per prepararne una decente dal momento che quando viveva con gli Howen non si era mai fermata a casa la mattina. Il telefono di Nick emise un beep, distogliendo la sua attenzione dal frigorifero. Un altro beep mentre beveva un bicchiere di succo di frutta, ed un altro ancora mentre sistemava la giacca del ragazzo su una sedia. A quel punto la curiosità ebbe la meglio e lo tirò fuori dal taschino, non era scarico. Sullo schermo compariva la notifica di alcune chiamate ricevute. Aveva studiato legge, conosceva bene quali fossero i diritti di privacy delle persone eppure non riuscì a contenere un pensiero. Sicuramente Nick aveva il numero di Antonio e lei stava per fare una cosa sbagliatissima. Sbloccò lo schermo trovandosi davanti al puzzle da risolvere per poter accedere al menù. Ovviamente non conosceva la soluzione, non riusciva nemmeno ad immaginare quale forma Nick avesse potuto scegliere.
«Una clessidra.» - le disse il ragazzo facendola sobbalzare.
«Volevo solo capire perché continuasse a fare beep!» - si giustificò passandogli il telefono. - «Prendi quello che vuoi, il frigo è pieno.» - aggiunse superandolo e tornando in camera a cambiarsi. Nick controllò le chiamate, erano, prevedibilmente, tutte di Jeremy. Avrebbe dovuto essere a Stonehaven già da diverse ore ed invece era ancora lì. Preferì chiamare Clay piuttosto che affrontare il suo Alfa.
«Ehi!» - gli rispose l’amico. - «Dimmi che stai per arrivare.» - a giudicare dai rumori che sentiva Clay doveva essere appena uscito di casa, forse per non farsi sentire da Jeremy.
«Non sono neppure partito.» - confessò. Molte volte si era trovato lui nella posizione in cui ora aveva messo l'amico. A coprire e giustificare i ritardi o le mancanze degli altri del Branco, quindi capiva perfettamente quanta pressione Jeremy stesse esercitando.
«Nicky dannazione!» - sbottò Clayton. - «Mi devi davvero costringere a venirti a prendere?!» - avevano tutti smesso di chiamarlo Nicky, ma a Clay lo lasciava fare.
«Ho solo dormito più del dovuto, tranquillo. Parto subito.» - lo rassicurò.
«Preparati a prenderle.»  - aggiunse quello ridacchiando mentre attaccava. C’era anche una chiamata di Amanda, probabilmente anche lei aveva qualcosa da rimproverargli, come ad esempio la fuga dalla festa. Di lei si sarebbe occupato una volta tornato a Bear Valley, di sicuro non quella mattina e non con quel mal di testa. Seguì il suggerimento di Emily prendendo qualcosa da mangiare, era la colazione più magra e povera che faceva da diverso tempo. Mentre stava seduto in cucina sentendo dei rumori provenire dalla stanza di Emily, avvertì la mancanza delle corse per i boschi di Stonehaven. Non c'era nulla come la sensazione di libertà che provava quando usciva a correre, con la terra che si attaccava alle sue zampe, ed i mille odori e rumori della natura tutti intorno a lui. La casa della ragazza era ordinata fino all’inverosimile, girovagò per le stanze, soffermandosi nello studio accanto alla libreria. Ricordava vagamente che anche al liceo le piaceva leggere, lei e quei suoi strani amici si scambiavano libri o comunque ne parlavano in continuazione. Lui aveva apprezzato la lettura solo in età più adulta, ma non era mai veramente diventato un suo hobby. Continuava a preferire attività più fisiche. Emily tornò a raggiungerlo nel salone completamente rimessa a nuovo, aveva di nuovo il suo look professionale che rendeva giustizia alla sua intelligenza e bravura.
«La riunione è di Burberry?» - le chiese squadrandola più volte dalla testa ai piedi mentre lei spostava da una borsa ad un’altra, tutti i suoi oggetti personali.
«Davvero molto spiritoso…» - commentò lei. - «Devo uscire fra poco quindi è meglio se ti rivesti.» - aggiunse poi passandogli la giacca.
«Quanto ti fermi?» - le chiese Nick mentre l’ascensore li portava al piano terra.
«Dipende dalla riunione di questo pomeriggio.» - c'erano poche alternative per la verità, o l'avrebbero subito fatta tornare sul campo, costringendola nuovamente a girare come una trottola, o le avrebbero affidato qualche caso dello studio, concedendole una tregua dai fusi orari. Non aveva tenuto il conto delle miglia percorse solo negli ultimi mesi, ma poteva quasi giurare di aver fatto il giro del mondo più di una volta. - «Dovresti pensare di andare a fare un viaggio in Russia prossimamente. Tuo padre ci va almeno una volta l’anno per incontrare gli investitori.»
«Non te ne puoi occupare tu?» - non gli sarebbe dispiaciuto cambiare aria per qualche tempo, ma non era pensabile lasciare Stonehaven, non ora che Malcolm era tornato a minacciarli.
«Finalmente avrò l’onore di incontrare personalmente Ermak Knyazev!» - quell’uomo aveva delle possibilità economiche praticamente illimitate. Era molto difficile avvicinarlo, perché sempre circondato da una infinità di guardie del corpo e trascorreva la maggior parte del suo tempo nelle sue lussuose ville. Era più semplice incontrare il Papa o il Presidente degli Stati Uniti che lui. Se fosse riuscita a farlo diventare un suo cliente, lo studio le avrebbe fatto costruire una statua in oro zecchino.
«Knyazev?» - era uno di loro, un Alfa. - «Credo che andrò io.» - aggiunse guardando  la smorfia di disapprovazione che comparve sul viso di Emily.
«Immagino che tu sappia ritrovare la strada per casa.» - disse lei salendo in macchina.
«Dico davvero Em, stai lontana da Marsten.» - aveva infilato la testa nel finestrino, guardandola dritta negli occhi.
«Em?» - aveva dimenticato che lui era l’unico a chiamarla così. Gli altri le storpiavano il nome in un più classico Emy, ma Nick era sempre diverso. - «Non ho in programma di incontrarmi con Ka…» - si interrupe da sola ricordandosi la reazione della notte prima quando aveva chiamato l’uomo per nome. - «Marsten.» - Nick però sapeva che non era così semplice impedire ad un uomo come quello di raggiungerla, soprattutto se Malcolm glielo avesse ordinato. Una volta che Emily si fu allontanata tornò subito a prendere la macchina e si rimise in viaggio per Stonehaven. Quando varcò i cancelli della villa vide immediatamente Jeremy ad aspettarlo sul portico, si chiese se lo avrebbe fatto a pezzi a mani nude o avrebbe usato qualche attrezzo del giardino. L’uomo però entrò in casa lasciandogli aperta la porta. Non c’era traccia né di Elena né di Clay, ma non erano poi molto lontani.
«Emily sta bene?» - gli chiese rompendo il silenzio che li avvolgeva.
«Si.» - rispose lui sedendosi su uno dei divani del salone.
«Te ne sei andato senza avvisare.» - aggiunse Jeremy senza incrociare lo sguardo del ragazzo che teneva la testa bassa come se da un momento all’altro dovesse arrivargli uno schiaffo.
«Ho agito d’impulso, Marsten e Malcolm le avevano parlato alla festa-» - cosa avesse temuto esattamente era difficile spiegarlo, ma anche piuttosto ovvio.
«Non puoi lasciare il Branco senza dire dove vai.» - lo interruppe bruscamente Jeremy.
«Non mi fido di Marsten, non mi piace il suo doppio gioco! Malcom è pericoloso, lo sai bene.» - gli disse il ragazzo che ora aveva alzato lo sguardo e fissava il suo Alfa dritto negli occhi. - «Dobbiamo trovarlo e farlo fuori una volta per tutte!» - ringhiò.
«Non è così facile Nick, lo sai anche tu.» -  gli disse Elena arrivata sulla porta insieme a Clay. - «Malcolm è riuscito a far credere a tutti di essere morto per anni, pensi che si farà trovare solo perché noi lo stiamo cercando?» - e lei desiderava vendetta su quel bastardo proprio quanto loro.
«Dovremmo cercare di attirarlo allo scoperto, ma non abbiamo niente che lo interessi, ci ha già preso tutto.» - aggiunse il ragazzo. Logan non era lì, era ripartito quella mattina, non c’era sosta alla tenacia con cui cercava Rachel.
«Abbiamo ancora una cosa che lo interessa.» - proferì enigmatico Jeremy. Istintivamente lo sguardo di Clay e quello di Nick saettarono verso Elena. Jeremy voleva davvero usarla per attirare Malcolm? - «Elena, Nick, la prossima settimana andrete a prendere Emily, portatela a Stonehaven.»
«Cosa? E perché?» - domandò lui perplesso.
«E’ la miglior esca che abbiamo al momento.» - gli rispose Jeremy.
«Non puoi fare sul serio. Emily non deve essere coinvolta!» - si era alzato dal divano arrivando a poca distanza da Jeremy. Non che l'idea di usare Elena la preferisse, ma in un certo senso era meno terribile di Emily. Probabilmente se Jeremy non fosse stato qualcuno per cui nutriva così tanto rispetto ed ammirazione lo avrebbe anche preso a pugni.
«Sospetterebbe di chiunque altro.» - disse l’uomo indirizzando lo sguardo verso la giovane lupa, che per ovvie ragioni sarebbe stata molto più comoda di quella ragazza come esca. - «E’ un ordine.» - non lo diceva molto spesso, di solito perché non si trovava mai costretto ad imporre il suo punto di vista sugli altri. Soprattutto non con Nick, ma ormai aveva preso la sua decisione. Malcolm stava giocando con Emily per rendere instabile Nick, sfruttare a loro vantaggio quella situazione era la loro migliore opportunità per evitare che ciò che era accaduto con Philip ed in misura diversa con Rachel potesse accadere ancora.


Dopo la riunione allo studio Emily era tornata a casa a prepararsi per la lezione serale di autodifesa. Margaret Wilson, ovvero colei che decideva della vita e della morte di ogni avvocato dello studio, le aveva pubblicamente fatto i complimenti per il numero di clienti d’alto livello che era riuscita a portare, ed oltre ad un cospicuo aumento nella sua busta paga le aveva concesso ben due settimane di vacanza. Un lusso che non ricordava essere mai stato garantito a nessuno prima di lei e che la rendeva ancora più tronfia. Si sarebbe goduta in tutta serenità il weekend al Lago Erie con Luke e Melissa. La donna, era sposata da qualche anno, ed era stata una delle poche ad averla accolta con gentilezza durante i primi anni nello studio. Avevano da tempo organizzato quel weekend per visitare il parco nazionale di Long Point e godere di un po’ di natura. La telefonata di Marsten l’aveva sorpresa proprio durante una passeggiata sulle rive del lago. Aveva risposto avendo ancora nella testa il suono della voce di Nick che le intimava di stare lontana da quell’uomo. Purtroppo però non le sarebbe stato così facile evitarlo dal momento che stando a quanto le diceva, James Williams, l’uomo che gli aveva presentato alla festa, era interessato ad entrare nel suo parco clienti. C’era sicuramente uno schema nel modo in cui Karl Marsten gestiva i suoi affari ed ormai le era chiaro che per qualche motivo era interessato ad averla fra le sue conoscenze. Ma per Emily il lavoro veniva prima di tutto, era ciò in cui riusciva meglio, ed un nuovo cliente come il Signor Williams, era un'esca fin troppo allettante per lasciarsela sfuggire, solo per assecondare le ingiustificate paranoie di Nick. E poi non c'era possibilità che lo scoprisse, non si sarebbero mai trovati seduti allo stesso tavolo. Luke era poco lontano da lei, scattava delle foto al paesaggio ed alle persone sulla spiaggia. Lavorava come fotografo per diverse riviste, la macchina fotografica era praticamente il prolungamento del suo braccio. Fissò l’appuntamento con Marsten, si sarebbero incontrati a cena in un ristorante in cui erano già andati una volta in passato e poi tornò a godersi la sua vacanza. Nonostante fosse in ferie, non c’era mai una volta che si fosse rifiutata di assecondare la richiesta di un cliente. Era uno dei suoi peggiori difetti, ma le piaceva pensare di aver ereditato da Antonio quella totale dedizione al lavoro.
Marsten aveva prenotato il tavolo per due nell’area vip, che gli concedeva una maggiore riservatezza. Aveva portato con sé diversi documenti che dovevano convincerla a prendere in seria considerazione l’offerta di Malcolm. Accettò l’ennesimo bicchiere di vino per suggellare le conclusioni a cui erano faticosamente giunti, ma rifiutò il passaggio a casa che tanto gentilmente le aveva offerto. Aveva lasciato la macchina nel parcheggio lì vicino, e nonostante il vino, era perfettamente in grado di guidare. Quando Malcolm aveva ordinato a Marsten di proporlo ad Emily come suo cliente, l’uomo aveva, come sempre, fatto buon viso a cattivo gioco. Il fatto che Malcolm lo coinvolgesse ancora nei suoi piani era l'unica fonte di informazioni rimasta a Jeremy e gli altri. Li aveva immediatamente avvertiti del desiderio dell'uomo nel diventare uno dei clienti di Emily, ma non aveva potuto dare alcuna spiegazione alle azioni dell'uomo, e chiedere era decisamente fuori discussione. Se Malcolm avesse fiutato il suo tradimento, Marsten non avrebbe avuto il tempo neppure di esalare un ultimo respiro. Mentre si dirigeva verso il parcheggio, Emily pensò alla reazione che avrebbe potuto avere Nick se avesse scoperto che ora, non solo Marsten, ma perfino suo amico, erano a tutti gli effetti dei suoi clienti, e rabbrividì. Infilò la mano nella borsa alla ricerca delle chiavi andando alla cieca. Nel parcheggio c’era solo un lampione funzionante ed ovviamente era quello più lontano da lei. Era incredibile come un luogo che di giorno era pieno di vita e di bambini che correvano nel vicino parco, di notte potesse diventare così spettrale. Era in piedi davanti allo sportello della sua auto da ormai due minuti buoni ed ancora non aveva trovato le chiavi nella borsa, eppure agitandola sentiva il rumore. Un rumore diverso fu invece quello che le sembrò di sentire alle sue spalle. Si voltò istintivamente senza però che i suoi occhi riuscissero a vedere nulla. Non c'era nulla, solo delle macchine parcheggiate.
 

Nick ed Elena erano arrivati sotto casa di Emily circa un’ora prima e ci volle tutta la buona volontà di Elena per allontanare Nick dalla porta dell’appartamento che ormai stava quasi per scardinarsi sotto i suoi pugni. I colpi del ragazzo fecero si che il vicino di casa uscisse a chiedere cosa stesse succedendo, dicendogli poi di aver visto Emily uscire qualche ora prima.
«La chiamo.» - disse Elena prendendo il telefono dalla giacca di Nick mentre quest’ultimo continuava ad essere appoggiato alla porta dell’appartamento. Sentiva il profumo di Emily, doveva essere uscita per una qualche specie di appuntamento. - «Emily?» - nessuno di loro avrebbe mai saputo se Marsten aveva volontariamente o meno omesso di informarli del loro appuntamento a cena. Probabilmente qualcuno come lui, così abituato a sopravvivere a qualunque catastrofe, aveva fiutato il pericolo e preferiva non stuzzicare la gelosia di Nick.
«E-Elena?» - domandò rispondendo al telefono sorpresa di sentire la voce della ragazza. Non aveva ancora trovato quelle maledette chiavi e si era spostata sotto la luce del lampione per rovesciare il contenuto della borsa.
«Dove sei?» - chiese trascinandosi dietro Nick lungo le rampe di scale.
«Bloccata in un parcheggio alla disperata ricerca delle chiavi della macchina.» - rispose lei sedendosi sul muretto del parcheggio.
«Dammi l’indirizzo.» - disse mentre Nick metteva in moto.
«Sono abbastanza sicura di avere i soldi per un taxi…» - rispose quando ormai il contenuto della sua borsa era tutto per terra e delle chiavi della macchina non c’era traccia. Cercò di ricordare dove altro poteva averle messe, ma era certa che dovessero  essere nella borsa. Poi ebbe un flash, prima di entrare nel ristorante la borsa le era scivolata a terra, forse le chiavi erano finite fuori.
«Io e Nick eravamo passati a casa tua, dimmi dove sei arriviamo in un attimo.» - insisté la ragazza. Emily ne rimase sorpresa, andava a cena con Marsten e Nick ed Elena improvvisamente comparivano in città.
«Sono sulla Queensdale all’angolo con la Upper Sherman, vicino al parco, ma davvero posso prendere un taxi… » - ebbe la sensazione di non essere più sola in quel parcheggio, di nuovo. Si alzò per guardare se fosse arrivato qualcuno, ma non vide nulla. Nel frattempo Nick era partito per raggiungerla e si era fatto passare il telefono.
«Dieci minuti e arriviamo, mettiti dove posso vederti.» - disse svoltando sulla strada principale.
«Sono nel parcheggio sotto l’unico lampione funzionante…» - disse rassegnata ad aver perso le chiavi della macchina.
«Quanto prendi all'ora?» - scherzò il ragazzo al telefono strappandole una risata. E poi di nuovo quel rumore. C’era qualcosa in quel parcheggio. Stavolta aveva visto un’ombra.
«Nick…» - disse. Il coraggio non era esattamente la sua dote più spiccata. - «Non è che potresti fare prima?» - fece qualche passo fiancheggiando le macchine parcheggiate.
«Improvvisamente hai voglia di vedermi?» - domandò lui mentre Elena alzava gli occhi al cielo.
«Sento dei rumori…» - disse. Ed immediatamente i due ragazzi si allarmarono. - «Come se ci fosse qualcuno…» - continuò a dire sporgendosi di poco a guardare. Poteva essere qualunque cosa, eppure sia Nick che Elena temerono il peggio.
«Emily vai verso la strada, in mezzo alla gente!» - le ordinò la ragazza riprendendo il telefono. Lei e Nick sarebbero arrivati a destinazione fra pochi minuti, almeno così diceva il navigatore. - «Emily?»
«Si… ci sono.» - bisbigliò, non aveva potuto vedere chiaramente cosa stesse emettendo quei rumori, ma le era sembrato un cane. Si stava dirigendo verso l’uscita quando questa volta sentì chiaramente un ringhio alle sue spalle. Non era un cane, o se lo era doveva aver mangiato un elefante. La bestia era salita sul tettuccio di una delle auto e le ringhiava con i denti in bella vista. Anche Elena e Nick sentirono il ringhio dell’animale, seguito poi da un urlo di Emily ed alcuni rumori indecifrabili.
«Emily? Emily!» - Elena continuò a chiamarla, mentre Nick rischiò di colpire in pieno un’altra macchina ad uno degli incroci. - «Ci siamo!» - disse poi scendendo di corsa per raggiungere il parcheggio.
«Em!» - urlò Nick.
«Nick!» - lo chiamò Elena che aveva trovato le cose di Emily sparse a terra. - «Non sono lontani.» - continuò poi la ragazza muovendosi fra le macchine. Trovarono una scia di sangue, era di Emily.
«Marsten.» - disse Nick sfiorando con i polpastrelli l’asfalto accertandosi che si trattasse di una traccia fresca.
«No è qualcuno di nuovo. Da questa parte.» - Elena era il miglior segugio del Branco. Rintracciò immediatamente l’odore del Solitario e lo seguì fuori dal parcheggio. - «L’ha trascinata.» - disse analizzando i segni sul terreno.
«Emily!» - Nick l’aveva vista. Il lupo la stava trascinando nel parco, fuggì appena li vide. - «Em? Ehi, Emily!» - le scuoteva la testa cercando di farle riprendere conoscenza. Era svenuta e perdeva sangue.
«Ha solo una ferita superficiale alla testa.» - disse Elena controllandola. - «Portiamola a casa.» - Nick l’aveva sollevata per portarla in macchina. Era priva di sensi probabilmente il colpo alla testa l’aveva preso cadendo. La base dei pantaloni era perforata, era il punto usato dall’animale per fare leva e trascinarla, ma non aveva toccato la pelle. Nel viaggio di ritorno fu Elena a guidare mentre Nick sul sedile posteriore puliva ed asciugava la ferita di Emily. Per buona parte del viaggio la ragazza restò incosciente, e quando recuperò lucidità finì col riaddormentarsi quasi immediatamente. Jeremy e Clay erano stati avvisati dell’accaduto e li attendevano a Stonehaven.
«Portala in infermeria.» - gli disse Jeremy vedendolo scendere con Emily in braccio.
«Dovrebbe riprendersi in fretta, il peggio credo sia stato lo spavento.» - gli disse Elena rivivendo l’incubo di quello che era accaduto a Philip. L’infermeria era una sala della villa con diversi letti e piena di medicine. In nessuna casa normale c’era una stanza come quella, ma a loro era tornata utile più di una volta. Le grandi finestre tutte su un lato, davano proprio sul fronte della villa, permettendo di ammirare il giardino e poi, fin oltre le mura di cinta. Emily riprese i sensi solo il giorno dopo, il sole che entrava dalle finestre le aveva trafitto gli occhi costringendola a svegliarsi. Le faceva male la testa e si toccò la fasciatura, ricordando la sera prima. Guardandosi intorno non capì immediatamente dove si trovasse, ma appena uscì dalla sala, riconobbe i corridoi e le scale di Stonehaven. Scese le scale trovando al piano terra solo Jeremy.
«Buongiorno.» - disse con una mano alla testa. - «Come ci sono arrivata qui?» - Jeremy lasciò immediatamente i documenti di cui si stava occupando e la raggiunse facendola sedere.
«Cosa ricordi di ieri sera?» - domandò.
«Una specie di gigantesco cane mi ha aggredita mentre aspettavo Nick ed Elena in un parcheggio.» - ricordava anche d’aver perso le chiavi della macchina.
«Ti hanno trovata priva di sensi e ti hanno portato qui.» - le disse Jeremy portandole un bicchiere d’acqua. - «Abbiamo già allertato la polizia per cercare di individuare l’animale.» - non la stupiva il fatto che l’avessero portata a Stonehaven. Sembravano avere una sorta di astio verso gli ospedali. E pensare che da piccola avrebbe tanto desiderato un cane, una volta era stata in una famiglia che ne possedeva uno e perfino quello l'aveva morsa. Nick, Elena e Clay entrarono dalla porta principale semivestiti, probabilmente si erano di nuovo allenati.
«Ehi ti sei svegliata.» - le disse Nick raggiungendola.
«Già… A quanto pare ultimamente non sono per niente fortunata.» - rispose cercando di alzarsi.
«Te l’avevo detto di stare lontana da Marsten.» - Emily notò lo sguardo che Jeremy si scambiò sia con Elena che con Clay, ma più di ogni altra cosa si chiese come faceva Nick a sapere dell’incontro con Marsten.
«Come fai a sapere che l’ho incontrato? Ma soprattutto pensi che sia colpa sua se un randagio mi ha attaccata?» - disse sorridendo. Le sembrava veramente eccessivo attribuire all’uomo l’attacco di un animale.
«Non importa qui sei al sicuro.» - le disse accarezzandola.
«Al sicuro? Non è che sia sotto la minaccia di qualche gruppo terroristico!» - disse allontanandolo. - «Ho avuto una brutta esperienza, ma nulla per cui debba essere tenuta nella vostra fortezza!» - continuò dirigendosi verso le scale. - «Senza offesa…» - aggiunse. Gli era grata per averla soccorsa, ma Stonehaven le dava un senso di claustrofobia, un po’ come la casa degli Howen. Sentiva che c’erano dei segreti, cose non dette e nascoste e lei aveva dovuto vivere in una casa del genere per anni, non poteva immaginare di passarci un altro giorno.
«Beh intanto se non fossimo arrivati chissà in che stato saresti stamattina!» - le rispose Elena.
«Giusto, ecco, grazie per avermi soccorsa. Ma adesso me ne vado.» - cercò il telefono nella borsa, ma non lo trovava.
«Cosa cerchi?» - le domandò Clay appoggiato alla ringhiera delle scale.
«Il mio telefono.» - lei gli dava le spalle quindi non vide che il ragazzo si era girato a guardare Jeremy e Nick.
«Ce l'ho io.» - confessò poi Nick.
«Tu cosa?» - quello era decisamente troppo. - «Non importa, ridammelo.»
«Non fino a quando non starai meglio.» - disse lui. Ed eccolo di nuovo il Nick che al liceo picchiava Gabriel per delle ragioni a lei incomprensibili, comportarsi come se potesse decidere tutto della sua vita.
«Sono abbastanza sicura che guarirò allo stesso modo a casa mia.» - disse allungando al mano aspettando che le venisse restituito il telefono.
«Casa tua non è sicura.» - rispose Nick.
«Hai mai pensato di farti visitare perché sei paranoico.» - Jeremy avrebbe voluto intervenire, ma Nick lo precedette.
«Te l’ho detto per il momento devi rimanere qui, è l’unico posto dove sei al sicuro.» - ribadì il ragazzo.
«Il tuo comportamento non ha alcun senso!» - esplose lei. - «Non fingere di preoccuparti, siamo praticamente degli sconosciuti.» - si fermò un attimo per notare le reazioni dei presenti e quando le sembrò che Nick volesse ribattere lo interruppe sul nascere. - «La mia sicurezza non è un tuo problema, non lo è mai stata e mai lo sarà!»
«Non lo capisci? Sto facendo quello che ha sempre fatto mio padre.» - le rispose lui.
«Oh non ci provare! Non tirare fuori tuo padre quando ti fa comodo! E poi Nick, notizia flash:  tu non sei tuo padre.» - istintivamente aveva fatto due passi verso di lui, perché quando un litigio inizia a diventare troppo violento, il corpo umano tende istintivamente a cercare la fisicità dell’altro. - «E dato che non posso andarmene perché ho perso le chiavi della macchina e non posso nemmeno chiamare un taxi, se ai miei carcerieri non dispiace vado a fare una passeggiata nel giardino. Tanto finché rimango nei confini della proprietà dovrebbe andare bene, no?» - non aspettò la loro risposta perché in realtà quella non era una vera domanda. La forza con cui si chiuse alle spalle la porta d'ingresso della villa fece tremare perfino i vetri delle finestre.
«Vado con lei.» - disse il ragazzo togliendosi la maglietta.
«Sta attento che non ti spari a vista.» - gli disse Clay.
Nick si trasformava da quando era un adolescente. Essendo nato per metà umano e per metà lupo per lui non era traumatico come per Elena. Le sue due nature non erano mai state in lotta fra di loro, l’una non cercava di prevalere sull’altra. Correre insieme ad Elena e Clay era divertente, rintracciare il loro odore, rincorrerli e giocare come quando era un ragazzino, lo faceva sentire libero. Ma poteva accontentarsi anche di seguire Emily da una distanza di sicurezza. Il bosco che circondava Stonehaven non era un luogo pericoloso, da diversi anni nemmeno i cinghiali si fermavano più su quel terreno. Era solo una immensa distesa di foglie, rami ed alberi caduti, era lì in mezzo che avevano disperso le ceneri di tanti loro amici e di suo padre. Emily camminava in direzione sud-ovest aveva tenuto un ritmo sostenuto per poi rallentare e sedersi su uno dei tronchi caduti. Restò seduta forse per due ore, immersa nel silenzio rumoroso della foresta che la circondava. Non si era accorta del grosso lupo marrone che a distanza la osservava e seguiva, così come non si accorse dei vestiti di Nick lasciati vicino all’entrata di casa, quando tornò indietro. Aveva tirato dritta verso il secondo piano, tornando nell’infermeria.
«Puoi usare la solita stanza!» - le urlò Elena dal piano di sotto. E seguì quel consiglio, trovando già pronti dei cambi. Quanto a lungo avrebbe dovuto restare lì? E che razza di psicosi di massa avevano per lasciare che Nick la trattenesse in quella casa contro la sua volontà? Le brontolava lo stomaco dalla fame, ma era nervosa e non voleva incrociare nessuno di loro, quindi non scese a mangiare.
«Considerando il suo attuale umore, non credo che ci aiuterà con Malcolm.» - disse Clay a cena.
«Domani le sarà passata.» - gli rispose Elena. 
«Piuttosto possiamo fidarci di Marsten? Era con lei quando è stata attaccata, perché non ce lo ha detto?» - incalzò Clay.
«Non credo che avrebbe fatto del male ad Emily se fosse veramente stato lì.» - rispose Elena. Ricordava come l'aveva salvata il giorno dell'attacco, a modo suo aveva un codice d'onore.
«Abbiamo sentito il suo odore! Era lì!» - ringhiò Nick.
«Lo abbiamo sentito, ma il lupo che trascinava Emily era qualcun’altro!» - Nick non si sarebbe mai fidato di Marsten, non aveva alcuna importanza quello che Elena diceva.
«Marsten dovrà darci delle spiegazioni, ma credo che non fosse al corrente dell'attacco. Probabilmente Malcolm ha iniziato a sospettare di lui.» - disse Jeremy prendendo un’altra fetta di carne. E suo padre aveva sempre un piano B. Emily sarebbe dovuta morire in quel parco, ma anche se le cose non erano andate come previsto, lui poteva sempre raggiungerla.
«E’ l’ultima stronzata che fa quel figlio di puttana.» - commentò Nick. Jeremy gli appoggiò la mano sulla spalla invitandolo a rimettersi a sedere, non era il momento per dei gesti irragionevoli. Fu lui ad alzarsi ed ad allontanarsi di qualche passo per chiamare Marsten.
«Dov'eri ieri sera?» - domandò l'Alfa.
«Ho la sensazione che tu lo sappia già.» - rispose l'uomo al telefono.
«Emily è stata attaccata.» - disse Jeremy.
«Cosa? Quando? L'ho vista andare verso la macchina, sta bene?» - Nick era indeciso se lo irritasse di più quella preoccupazione per Emily o il tono della voce dell'uomo. Ciò di cui era sicuro era che le due cose insieme erano totalmente intollerabili.
«Se sei tanto preoccupato per lei perché non vieni a controllare come sta di persona. Sarò felice d'aprirti la porta io stesso!» - urlò quasi con l'intenzione di strappare il telefono dalle mani di Jeremy.
«Tieni a cuccia il tuo cucciolo, io non c'entro niente!» - disse Marsten.
«Chiariremo questa faccenda.» - Jeremy gli credeva, fondamentalmente perché Elena credeva nell'innocenza del Solitario. - «Tienimi aggiornato.»
«Sta mentendo.» -
sibilò Nick.
«Non hai alcuna prova.» - disse Elena.
«Dammi un'ora con quel bastardo e ti darò tutte le provi che desideri.» - e probabilmente anche qualche organo  dell'uomo.
«Adesso basta. Andiamo a  riposare.» - i nervi di Nick erano all'orlo della rottura. Aveva perso troppo in quella guerra per pretendere da lui lucidità.
Nessuno di loro lasciò Stonehaven quella notte, niente passeggiate notturne né uscite per schiarirsi le idee. Il Branco doveva essere unito più che mai, perché Malcolm aveva iniziato a muovere le pedine sulla sua scacchiera, per questo Jeremy chiamò Logan chiedendogli di raggiungerli. Il mattino dopo Emily uscì di casa molto presto, Jeremy era ancora nei boschi per la sua solita corsa quando ne avvertì l’odore proprio verso l’entrata principale della villa. Dovette correre in casa, rivestirsi e prendere la macchina per raggiungerla quando ancora era lungo la strada alberata che portava alla città sottostante.
«Non è un po’ troppo come semplice passeggiata mattutina?» - le domandò abbassando il finestrino accostandosi con la macchina sul ciglio della strada.
«Wow mi chiedevo quanto ci avreste messo ad accorgervi della mia fuga.» - rispose la ragazza continuando a camminare.
«Se vuoi andare in città posso accompagnarti.» - le disse cominciando a camminare per raggiungerla.
«No grazie. Non sto andando in città, ma a casa.» - non si era girata nemmeno una volta. Era ancora arrabbiata con tutti loro.
«Capisco che il comportamento di Nick possa sembrarti incomprensibile.» - le disse accelerando il passo e fermandola per un braccio. - «Ma sta solo cercando di fare quello che ritiene più giusto. » - Non aveva mai avuto modo di parlare con Jeremy così a lungo, le poche volte che aveva scambiato con lui qualche parola lo aveva trovato un uomo intelligente e carismatico. Antonio glielo aveva descritto come un vero amico, ed era probabilmente la persona di cui si fidava di più al mondo. Doveva essere per quello che Nick sembrava ascoltare solo ciò che Jeremy ordinava. - «Sei libera di andartene quando vuoi, ma prima almeno guarisci del tutto.» - le passò un dito sulla fronte poco sotto la fasciatura che aveva alla testa e le mostrò il sangue.
«Ieri non sembrava che fossi così libera di andarmene…» - rispose sorridendo lasciandosi condurre verso la macchina.
«Ieri Nick non mi ha lasciato parlare.» - le disse l’uomo aprendole lo sportello ricambiando il suo sorriso.
«Lo fanno tutte le mattine?» - domandò  quando tornarono alla villa vedendo Nick, Elena e Clay allenarsi sul retro della casa.
«Quasi…» - rispose Jeremy accompagnandola dagli altri.
«Ehi come ti senti stamattina?» - le chiese Elena interrompendo il suo incontro con Clay.
«Bene.» - rispose lei.
«Perfetto perché intendo suonartele.» - aveva cercato di darle un calcio prima ancora di finire la frase, era stata pura fortuna riuscire a schivarlo.
«Bel tentativo.» - le disse lei ricambiando con una spinta.
«Nick dice che sei migliorata, fammi vedere!» - l’ultima volta che era stata con Elena sul retro di Stonehaven aveva preso più botte che in tutta la sua vita. Ma aveva anche scaricato rabbia e tensione, cosa che sarebbe stata molto utile in quel momento.

 


Bitten rinnovato e quindi, nuovo capitolo XD
Spero vi sia piaciuto =)

 

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