Sul lago dorato di germangirl (/viewuser.php?uid=228131)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 - Un caso difficile ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 - Rivelazioni ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 - Allo scoperto ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 - Sorpresa ***
Capitolo 1 *** CAPITOLO 1 - Un caso difficile ***
Si sentiva
esausto.
Poggiò la penna con la quale stava compilando i documenti
relativi alla sua
ultima fatica forense, chiuse gli occhi e vi passò sopra una
mano, fino a
stringere la parte superiore del naso fra pollice e indice, nel vano
tentativo
di lenire il mal di testa che lo tormentava da qualche giorno. Aveva
appena
concluso un caso che lo aveva messo a dura prova.
Mai prima
d’ora era stato così felice di perdere
nell’aula di un tribunale. Gli era stata
assegnata la difesa del maggiore O’Connor, un lurido bastardo
che aveva
violentato una ragazzina di 13 anni e l’aveva picchiata
riducendola in fin di
vita. I medici non avevano ancora sciolto la prognosi, ma anche se
fosse
riuscita a sopravvivere, Harm si chiedeva se mai sarebbe stata in grado
di
dimenticare quell’esperienza infernale.
Mai prima
d’ora aveva provato un impulso tanto forte di uccidere
qualcuno con le sue
stesse mani. O’Connor gli dava il voltastomaco. Aveva svolto
il suo dovere di
avvocato per rispetto al regolamento che prevedeva il diritto per
chiunque di
essere difeso, ma desiderava ardentemente vedere quell’essere
disgustoso pagare
fino in fondo per la colpa commessa, senza alcuno sconto.
Sarà perché la
vittima gli ricordava tanto Mattie, con quella cascata di riccioli
ribelli e il
corpo minuto, ma quando la giuria aveva condannato il suo cliente alla
corte
marziale si era sentito davvero sollevato.
Aveva
bisogno di una pausa. Se Mac fosse stata al JAG sarebbe andato da lei
per
invitarla a prendere un caffè insieme, ma tre giorni prima
si era affacciata
alla porta del suo ufficio e gli aveva comunicato che sarebbe andata
per un po’
a trovare Chloe, partendo quello stesso pomeriggio.
“Per
pensare” gli aveva detto.
“Per
rimettere insieme la mia vita” aveva aggiunto con quello
sguardo triste che la
accompagnava da tempo.
Gli ultimi
mesi erano stati come un viaggio sulle montagne russe per lei, con
tanto di doppio
giro della morte. Il Paraguay, l’incontro con Sadik, la
storia con Clay e la
mole di bugie che le aveva regalato, l’endometriosi e la
scoperta della sua
quasi totale incapacità di concepire, una condanna lapidaria
che aveva ricevuto
giusto poche ore prima della festa di addio dell’Ammiraglio
Chegwidden, un uomo
che per lei – e per lo stesso Harm – era stato
molto più di un semplice
superiore. Aveva rappresentato una figura paterna, severa ma giusta
(almeno
nella maggior parte dei casi… diciamo che con Rabb ci era
andato giù pesante,
ma ormai era acqua passata), che li aveva fatti crescere
professionalmente e
come persone. E il suo sostituto era nientemeno che un generale dei
marines che
aveva già incrociato la strada di Mac ai tempi di Okinawa e
in una situazione
alquanto delicata. Dietro la corazza del marine, addestrato alla guerra
e a
sopravvivere nelle situazioni più difficili, si nascondeva
Sarah, una bambina
fragile e insicura, bisognosa, anzi, affamata di affetto. Sofferente di
una
fame atavica di attenzioni, risalente alla sua infanzia e adolescenza
travagliate, che la spingeva continuamente fra le braccia del primo
uomo che le
dimostrasse interesse. Questo suo approccio naturalmente le aveva fatto
inanellare una serie di relazioni disastrose: dal primo marito a John
Farrow,
da Dalton Lowne a Mic Brumby fino a Webb, che rappresentava la
ciliegina sulla
torta. Quest’ultimo, infatti, le aveva fatto piangere la sua
morte – quando in
realtà era vivo e vegeto – e l’aveva
usata come esca, mettendola letteralmente nelle mani di un pericoloso
serial
killer.
Rabb aveva
provato in tutti i modi a stare vicino a Mac, dicendole apertamente di
voler
far parte della sua vita e offrendosi ancora una volta di onorare il
patto
stipulato anni prima di avere un figlio insieme, in qualsiasi modo. Si
era
anche prodigato a cercare informazioni a proposito
dell’endometriosi, ma Mac lo
aveva respinto, per l’ennesima volta.
Quando era venuta a salutarlo tre giorni prima, Harm le
aveva
timidamente chiesto se per caso fosse stato troppo invadente, troppo
protettivo,
poco rispettoso nei suoi confronti, ma lei lo aveva guardato negli
occhi e gli
aveva risposto, quasi sottovoce: “Harm, non sto scappando da
te. Ho solo
bisogno di un po’ di tempo per riprendere in mano la mia
vita.”
“Sei
sicura
che il viaggio non sarà troppo faticoso per te?”
era più forte di lui, si
preoccupava per lei in continuazione.
“No,
ne ho
parlato anche con la mia dottoressa e mi ha confermato che non ci sono
problemi. Il volo non dura molto e il viaggio in auto ancora meno,
quindi stai
sereno.”
“Mi
chiami
appena arrivi?” le aveva chiesto di getto, pentendosi subito
dopo per essere
entrato di nuovo in modalità protettiva.
“Sissignore.”
Gli aveva risposto lei, con un sorriso, senza mai togliere gli occhi
dai suoi.
Poi aveva sollevato una mano, con l’intenzione di
accarezzargli il volto, ma si
era ricordata improvvisamente che erano in ufficio, così il
gesto era rimasto a
mezzaria. Aveva chiuso la mano e se l’era portata alla bocca,
abbassando lo
sguardo e rimanendo a fissare con grande attenzione le proprie scarpe,
per
l’ennesimo episodio imbarazzante del loro strano rapporto.
Alla fine si erano
salutati e da quel momento era sparita. Lui era stato trattenuto in
ufficio per
il maledetto caso O’Connor, così che la sera,
rientrando al loft a un’ora
improponibile, aveva trovato un messaggio di Mac nella sua segreteria
telefonica in cui lo informava di essere arrivata sana e salva a
destinazione e
gli lasciava il numero della casa dei nonni di Chloe, visto che in
quella zona
il cellulare non prendeva bene.
In quei
giorni era stato tentato più di una volta di chiamarla per
sentire come se la
stesse passando, ma si era sempre trattenuto dal farlo.
Gli aveva
chiesto tempo e spazio e lui si stava sforzando di rispettare la sua
volontà.
Anche se gli
mancava terribilmente.
Anche se era
preoccupato per lei.
Anche se
avrebbe voluto averla vicina per prendersi cura di lei.
Si
alzò
dalla sedia e si avviò verso la cucina, con
l’intenzione di farsi un caffè per ritrovare
la concentrazione e terminare le scartoffie che affollavano la sua
scrivania. Non
vedeva l’ora di chiudere quel caso per potersi riposare nel
fine settimana.
Certo, se Mac fosse stata in città le avrebbe proposto di
mangiare qualcosa
insieme e di vedere un film. In mancanza di meglio, ne avrebbe
approfittato per
recuperare le ore di sonno perse e magari fare volare la sua Sarah.
“L’aereo o
il marine?” si chiese mentalmente. Poi scosse la testa, quasi
a volersi
rimproverare per quel pensiero audace. Rinfrancato dalla caffeina
appena
entrata in circolo, Rabb concluse velocemente le pratiche e si
avviò verso
casa. Aveva chiesto a Creswell di potersi allontanare
dall’ufficio al termine
della mattinata, visto che nei giorni precedenti si era trattenuto ben
oltre l’orario
di lavoro, e il suo superiore gli aveva concesso il pomeriggio libero.
Giunto a Union
Station, la mancanza di Mac si fece sentire ancora di più.
Il pensiero di lei e
di quello sguardo, che gli aveva rivolto quando si erano salutati pochi
giorni
prima, gli intossicavano il cervello. Si cambiò velocemente,
indossando un paio
di jeans e una camicia, preparò una borsa con un cambio e si
mise alla guida
della sua Corvette fiammante.
Aveva
bisogno di sapere come stava Mac.
Aveva
bisogno di Sarah.
Nota
dell’autrice
Torno a scrivere
dopo un periodo un
po’ impegnativo, nel quale sono stata lontana da EFP, e lo
faccio con una
storia su JAG. La mia prima storia in questa sezione di cui sono
autrice… che
emozione!
Questo racconto
è dedicato al mio
angelo custode che, nel suddetto periodo, mi è stata vicina
nonostante la
distanza (lo so che pare un ossimoro, ma lei capirà),
sostenendomi e
sopportandomi con affetto e dosi infinite di pazienza. Un vero dono del
cielo!
Grazie a lei in
primis e grazie a chi
di voi mi ha dedicato il proprio tempo ed è arrivato fino
qui.
Al prossimo
capitolo!
Deb
|
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Capitolo 2 *** CAPITOLO 2 - Rivelazioni ***
Guidò
per
ore, ringraziando il cielo che Mac avesse optato per un più
comodo viaggio in
aereo. Tutto quel tempo in macchina avrebbe messo a dura prova la sua
schiena
ancora dolorante. Ma lui aveva deciso all’ultimo momento, e
la cosa più
semplice gli era parsa di inforcare gli occhiali da Top Gun e saltare a
bordo
della sua auto. Non sapeva bene che tipo di accoglienza gli avrebbe
riservato
Mac, ma confidava nell’aiuto di Chloe. Quella ragazzina gli
piaceva molto,
proprio come Mattie. In quel fine settimana Mattie era con suo padre.
Harm si
accorse di sentire già la mancanza di
quell’adolescente ribelle e casinista,
che aveva colmato la sua esistenza di scapolo, regalandogli un calore
familiare
cui avrebbe rinunciato con difficoltà una volta che la
ragazza fosse riuscita a
ricostruire un rapporto sano con il genitore.
Il sole
stava tramontando quando giunse finalmente alla casa dove viveva Chloe.
Parcheggiò davanti alla costruzione e scese, sgranchendosi
le lunghe gambe e le
braccia, affaticate dal viaggio che gli era parso interminabile. Non si
era mai
fermato, se non per fare velocemente il pieno. Non voleva perdere tempo.
Una signora
anziana si affacciò sulla veranda, incuriosita
dall’arrivo di
quell’affascinante visitatore.
“Buonasera
signora, sono Harmon Rabb, stavo cercando Sarah MacKenzie.”
Si presentò,
sfoderando il suo solito sorriso brevettato, quello cui nessuna donna,
da 9 a
99 anni, era capace di resistere.
“Haaaaaaaaaaarm!”
gridò una voce argentina, proveniente dall’interno
dell’abitazione. La voce
anticipò di un nanosecondo l’arrivo
dell’uragano Chloe. La ragazzina si fiondò
ad abbracciare il visitatore, che fu quasi commosso per quel saluto
affettuoso.
“Ehy
signorina, come stai? Accidenti quanto sei cresciuta!” la
salutò allegramente.
“Bene!
Cosa
ci fai qui? Mac ti sta aspettando? Non mi aveva detto che saresti
venuto anche
tu… Strano, lei mi racconta sempre tutto. E di te parla
semprissimo! Ma quando
sei arrivato?”
“Chloe,
tesoro,
fai respirare il nostro ospite e ricordati le buone maniere!”
la rimbrottò
bonariamente la nonna. Poi, rivolgendosi a quel bell’uomo (eh
sì, anche la
nonna di Chloe aveva gli occhi e tutto si poteva dire di Harmon Rabb,
ma non
certo che passasse inosservato, specialmente all’universo
femminile) gli disse:
“Signor Rabb, si accomodi, le offro un buon tè e
una fetta di torta, l’abbiamo
appena sfornata!”
“La
ringrazio, è davvero gentile, ma non vorrei disturbare.
Potrebbe dirmi dove è
Mac?”
“Harm,
tranquillo,
la torta l’abbiamo fatta io e la nonna, Mac non ci ha messo
nemmeno un dito.”
La rassicurazione di Chloe gli strappò un sorriso. Le
abilità culinarie di Mac
lasciavano sempre a desiderare, ma entrambi ci ridevano sopra. Infatti,
quando
la sera si ritrovavano a casa sua per discutere di lavoro o
semplicemente per
guardare un film insieme, era sempre lui a occuparsi della cucina.
Rigorosamente vegetariana, compreso il suo tanto denigrato polpettone
senza
carne. “Comunque, è appena andata a nuotare al
lago. Ci sarei voluta andare
anche io, ma la nonna ha detto che fa ancora troppo freddo e potrei
buscarmi il
raffreddore” aggiunse con aria imbronciata.
L’immagine
di Mac immersa nel lago gli riportò alla mente la visione di
lei nella vasca da
bagno in Paraguay, celata al suo sguardo solo dalla schiuma. Era
davvero
bellissima.
“Quanto
dista il lago? Magari la raggiungo e mi faccio una nuotata pure io. Mi
farà
bene dopo queste lunghe ore in macchina.” Commentò
con nonchalance, senza
mostrare loro quanto fosse impaziente di rivedere Mac.
“Una
decina
di minuti a piedi. Segui il sentiero che parte da dietro la casa, non
ti puoi
sbagliare. Se vuoi ti ci accompagno!” si offrì
Chloe.
Harm non
voleva offenderla, ma moriva dalla voglia di stare da solo con Mac
senza
intrusi intorno. Per fortuna, avendo subodorato qualcosa di strano
nell’improvvisa apparizione di questo affascinante collega di
Sarah, la nonna decise
di intervenire: “Chloe, non se ne parla. Il sole è
quasi tramontato e sul lago
spira sempre una brezza fresca, non vogliamo certo che ti venga il
raffreddore
e che tu salti la scuola, vero?”
“Ma
nonna….”
Tentò di negoziare la ragazzina, ma un’occhiata
severa dell’anziana donna le
fece capire che non c’era spazio per le trattative.
“Signor
Rabb, si goda la sua nuotata. Confido che sarà nostro ospite
per cena! Vi
aspettiamo per le sette. In punto.” Precisò.
Harm la
ringraziò e si recò subito verso il sentiero.
Solo a metà percorso si rese
conto che non aveva con sé un costume da bagno, ma si disse
che avrebbe potuto
immergersi in boxer.
Con lunghe
falcate, Rabb arrivò in pochi minuti in vista del lago. Era
un luogo
paradisiaco: l’acqua rispecchiava i colori incendiati del
cielo al tramonto e
gli alberi che lo circondavano gli conferivano un’aria
fiabesca. Come una
ninfa, una figura stava nuotando pigramente sul dorso, illuminata dagli
ultimi
raggi del sole, con bracciate languide. Ad Harm quasi mancò
il fiato.
Osservandola con attenzione, infatti, si accorse che quella
meravigliosa
creatura non indossava un costume. Il seno prosperoso di Sarah
compariva a pelo
d’acqua e si muoveva al ritmo delle sue bracciate. Rimase
incantato a godersi
quello spettacolo per qualche secondo, ipnotizzato da quelle forme
sinuose, poi
si rimproverò per la sua mancanza di rispetto nei confronti
della donna che
aveva scelto quell’angolo di paradiso proprio
perché era un luogo riparato da
sguardi indiscreti. Decise di fare rumore per avvertirla della sua
presenza.
Calpestò un ramo secco che produsse un suono netto.
Sarah si
voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire quel
rumore e scorse la
figura slanciata del suo marinaio. Un misto di vergogna, eccitazione,
felicità
e rabbia le invase il cuore. Smise di nuotare, si immerse fino alle
spalle e lo
apostrofò: “Harm? Che ci fai qui?”
“Ciao
Mac,
com’è l’acqua?” le rispose lui
sorridendo, come se trovarsi in quel luogo, a
centinaia di miglia da casa, fosse la cosa più naturale del
mondo.
“Non
rispondere a una domanda con un’altra domanda!” lo
rimbeccò subito lei. Era pur
sempre un’abile avvocatessa del JAG, sapeva bene come
interloquire.
“Sono
venuto
a vedere come stavi…. Ora puoi rispondere alla mia domanda?
Anzi, non importa, vengo
da solo a sentire come è.” Le rivolse il suo
sorriso brevettato e, senza darle
modo di replicare, dette inizio al suo striptease.
Dopo essersi
sfilato scarpe, camicia, pantaloni e calzini, Harm si stava apprestando
a
liberarsi anche dell’ultimo indumento, quando Mac gli chiese:
“Ma che stai
facendo?”
“Mi
adeguo
alle abitudini locali” le rispose serafico, indicando con un
cenno del capo la
pila ordinata degli abiti di lei, ben piegati, in cima ai quali
spiccava la sua
biancheria intima.
Mac rimase a
bocca aperta, poi decise di stare al gioco. Il marinaio voleva la
guerra?
Ebbene, lei era un marine addestrato, non aveva certo paura.
Sollevò un sopracciglio
e poi gli voltò le spalle, fingendo un totale disinteresse
nei suoi confronti,
anche se dentro di sé moriva dalla voglia di godersi lo
spettacolo. Dopo pochi
secondi, sentì il rumore dell’acqua e comprese che
Rabb si era tuffato. Si girò
di nuovo in direzione della riva ma di lui nemmeno l’ombra.
Osservò con
attenzione a destra e a sinistra, ma niente. “Dio mio, non si
sarà mica sentito
male?” pensò Sarah, e subito immagini angoscianti
del terribile incidente in
mare la sera delle prove per il suo (scampato) matrimonio con Brumby le
invasero la mente, facendole provare di nuovo quello stesso dolore
lancinante
che l’aveva fatta scoppiare in lacrime. Poi – per
fortuna – lo vide riemergere
poco distante da lei. I capelli bagnati, il fisico scolpito, gli occhi
azzurri
e quel dannatissimo sorriso…. Una visione che avrebbe messo
KO qualsiasi
rappresentante del gentil sesso.
“Allora?”
gli chiese Mac, cercando di non farsi sopraffare dal pensiero di avere
Harm a
pochi metri da lei, in tutto il suo adamitico splendore, letteralmente
a
portata di mano.
“Accidenti,
è freddissima! Ma come fai a resistere?” si
lamentò lui, muovendosi per evitare
di congelare.
“Oh,
povero flyboy,
l’unica acqua che sopporta è quella della vasca da
bagno…” lo prese in giro
Mac. “Forse dovresti fare una bella nuotata, ma magari non
sei molto in forma…”
“Che
ne
diresti invece se condividessimo un po’ di calore
corporeo?” le propose Rabb,
non togliendo gli occhi dai suoi e avvicinandosi pericolosamente.
“Io
non ho
freddo, Harm…”
“Ma io
sì!
Dai, Maaaac…” e così dicendo si mosse
ancora nella sua direzione, mantenendo
quel suo sorriso micidiale. L’acqua del lago non era molto
profonda e nel punto
in cui si trovavano entrambi potevano toccare agevolmente il fondo. La
situazione si stava facendo incandescente. Si ritrovarono uno di fronte
all’altra, poi il volto di Harm si fece più serio.
Le accarezzò una guancia,
quasi con timore reverenziale, e le sussurrò: “Sei
bellissima”, poi le sollevò
il mento e si abbassò fino a sfiorarle le labbra con le
proprie.
A entrambi
parve di sentire i fuochi d’artificio.
Le mani di
Mac trovarono il corpo di lui nell’acqua e percorsero
l’addome scolpito e l’ampio
torace, fino a fermarsi sulla sua nuca. Sarah dischiuse le labbra,
invitandolo
ad approfondire il bacio e lasciò che le loro lingue
danzassero insieme,
scoprendo a vicenda il sapore della bocca dell’altro,
deliziandosi di quel
contatto. Stringendola a sé, Harm non poté fare a
meno di emettere un suono
gutturale quando sentì il seno di Mac appoggiarsi al proprio
petto. Quegli
stessi capezzoli inturgiditi che aveva visto fare capolino
maliziosamente
dall’acqua del lago solo pochi minuti prima adesso erano
incollati al suo
torace. Il contatto fra la virilità prepotente di lui e il
corpo caldo di lei gli
fece perdere completamente il controllo. I baci divennero sempre
più
appassionati e le carezze sul corpo della sua Sarah sempre
più audaci. Poi,
improvvisamente, Harm si staccò da lei. Il respiro ancora
affannato, si
allontanò e disse: “Scusami, perdonami…
non volevo.”
Si
udì il
fragore di un vetro frantumarsi a terra.
Il cuore di
Sarah MacKenzie si era appena ridotto in mille pezzi.
Nota
dell’autrice
La Corvette di
Harm lo ha portato a
destinazione e qui il lago dorato gli ha fatto un regalo
splendido…
inevitabilmente la passione prende il sopravvento ma sul finale
c’è un brusco
dietrofront. E ora? Come la mettiamo?
Grazie per
l’affetto con cui avete
accolto questa storia e per avermi dedicato ancora una volta il vostro
tempo!
Al prossimo
capitolo,
Deb
|
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Capitolo 3 *** CAPITOLO 3 - Allo scoperto ***
Sarah MacKenzie
era rimasta paralizzata.
Non si era
mai sentita tanto umiliata o respinta.
Abbassò
lo
sguardo e trattenne a stento un singhiozzo, frastornata da
ciò che avevano
cominciato e incredula per come avevano smesso.
Non era
possibile che Harm l’avesse baciata, desiderata, toccata,
venerata con tutto
quel trasporto per poi fare marcia indietro tanto repentinamente.
Harm era, se
possibile, ancora più sconvolto di lei. Le si
avvicinò di nuovo e le disse,
quasi sussurrando: “Perdonami, sono stato un animale. Non ti
ho fatto male,
vero?” Aveva realizzato solo in quel momento che Mac aveva
subito una
laparoscopia giusto poche settimane prima e aveva letto da qualche
parte che
l’endometriosi poteva rendere dolorosi i rapporti sessuali.
Per fortuna era
riuscito a fermarsi in tempo. Mai e poi mai le avrebbe provocato del
dolore, ma
trovandosela lì davanti, come una Venere uscente dalle
acque, non era riuscito
a resistere. Voleva, doveva
toccarla,
accarezzarla, amarla, diventare una cosa sola con lei. E la passione
aveva
preso il sopravvento.
Mac
cominciò
di nuovo a respirare.
Non
l’aveva rifiutata!
Non si era
pentito!
Era solo
preoccupato per il suo benessere. “No, Harm, non mi hai fatto
male… e poi la
dottoressa ha detto che non ci sono problemi… basta solo
fare le cose con
calma…” lo rassicurò, accarezzandogli
il volto. “La cosa di cui ci dovremmo
preoccupare, invece, è la nonna di Chloe. Tiene molto alla
puntualità e adesso
sono le 18.37… non manca molto alla cena.”
Nonostante
quell’incontro sconvolgente, l’orologio interno di
Mac spaccava sempre il
secondo. Scoppiarono a ridere, poi Sarah lo prese per mano e si
avviarono verso
la riva. Si asciugarono entrambi velocemente e si rivestirono, senza
parlare ma
lanciandosi sguardi che valevano più di mille parole, in
un’intimità
straordinariamente piacevole anche se appena scoperta.
Sul sentiero
che conduceva verso la casa di Chloe, Mac gli chiese: “E ora
cosa facciamo?”
Harm le prese
una mano e gliela strinse, poi le rispose: “Intanto andiamo a
cena, non
vogliamo certo far arrabbiare la nonna della tua sorellina…
poi dovremo trovare
un po’ di tempo per noi due e fare le cose per bene. Fino in
fondo.
Gentilmente, ma fino in fondo. E possibilmente in
orizzontale.” Le fece
l’occhiolino e le lasciò un bacio sui capelli
ancora umidi. Poi riprese, questa
volta seriamente: “Mac, te l’ho già
detto, voglio far parte della tua vita come
coprotagonista, non da spettatore.”
Lei gli
sorrise. Era una proposta che le piaceva. Molto. Certo, a complicare le
cose
c’era persino la loro carriera militare, ma anche per quello
si poteva trovare
una soluzione. Intanto avrebbero potuto cominciare a frequentarsi per
un po’,
senza necessariamente rendere pubblica la loro storia. Anche se sapeva
che
sarebbe stato impossibile nascondere a lungo quel sorriso che
l’arrivo del suo
flyboy le aveva fatto nascere sul volto. Senza contare le doti amatorie
del
suddetto marinaio, di cui aveva avuto solo un breve accenno ma che si
preannunciavano strepitose. Completamente immersa in questi pensieri,
Mac non
si accorse che erano giunti a destinazione, ancora mano nella mano, e
che Chloe
era sulla porta ad attenderli.
“Ecco
perché
sei venuto a trovarla, Harm! Sei il fidanzato di Mac!!! Oh, era proprio
l’ora!
Mac è innamorata di te da quando la conosco!”
gridò la ragazzina, battendo le
mani dalla contentezza e cominciando a saltellare sulla veranda.
“Chloe
Madison, non fare l’impertinente!” la
rimproverò la nonna. Poi si rivolse ai
due adulti e li invitò ad entrare: “Mac, signor
Rabb, prego, accomodatevi, la
cena è pronta.”
Si sedettero
a una tavola riccamente imbandita. La nonna di Chloe invitò
tutti a prendersi
per mano e chiese alla nipote di recitare la preghiera di
ringraziamento. La
ragazzina fece l’occhiolino a Harm, poi assunse
un’espressione compita e
iniziò: “Signore, grazie per il cibo che ci hai
donato, grazie per gli amici
che lo condividono con noi e grazie, grazie, grazie per aver dato una
mossa a
Mac e Harm che qui non ne potevamo più. Amen.”
Mac
arrossì
e Harm non riuscì a trattenere un sorriso, mentre la nonna
alzò gli occhi al
cielo, avendo perso ogni speranza di insegnare le buone maniere a
quella
nipotina in piena preadolescenza. Poi si schiarì la voce e
annunciò: “signor
Rabb”
“Harm,
la
prego” la interruppe.
Lei gli
sorrise in risposta, poi riprese: “Harm, Chloe mi ha detto
che lei è
vegetariano. Per noi avevo già preparato un roastbeef, per
lei ho solo dei maccheroni
al formaggio. Mi dispiace ma non sono riuscita a inventarmi altro con
questo
breve preavviso!”
Rabb rimase
colpito dalla delicatezza di quel pensiero e la ringraziò
per la gentilezza. Si
chiese come facesse Chloe a saperlo e si ricordò di quanto
lei stessa gli aveva
detto appena arrivato: Mac raccontava tutto alla sua sorellina e
parlava sempre
di lui. Anzi, semprissimo.
La cena
proseguì in modo sereno, mentre le leccornie preparate dalla
nonna di Chloe
vennero spazzolate fino all’ultima briciola. Una volta
terminato il pasto, Harm
e Mac si offrirono di lavare i piatti. La nonna non ne voleva sapere,
ma Rabb
le regalò la doppia combinazione di sguardo e sorriso,
dicendole che era il
minimo che potevano fare per sdebitarsi di tutto il disturbo che le
aveva
creato presentandosi all’ultimo minuto, e lei
capitolò, lasciando loro campo
libero in cucina e spostandosi sulla veranda, trascinandosi dietro una
riluttante Chloe.
I due
avvocati lavorarono in tandem, come tante volte avevano fatto in
ufficio,
dividendosi i compiti: Harm lavava e Mac asciugava e metteva in ordine.
Una
volta sbrigata l’incombenza, Rabb
l’abbracciò e la strinse a sé, senza
dire una
parola, mentre la donna si rese conto che non c’era posto
più bello al mondo:
era fra le braccia dell’uomo che amava. Poi lui interruppe il
silenzio: “Sarah,
torna a casa con me.”
Mac non
poté
fare a meno di sorridere: quanto le piaceva il suono del suo nome
pronunciato
dalla voce calda di Harm!
“Harm,
non
vorrai mica metterti in viaggio a quest’ora? E’
troppo pericoloso e tu hai
l’aria stanca. Resta a dormire qui, partiremo insieme
domani.”
“Non
vorrei
recare ulteriore disturbo alla nonna di Chloe… le sono
piombato qui come un
fulmine a ciel sereno e si è anche prodigata per cucinarmi
un piatto
vegetariano… non vorrei che mi odiasse”
“Oh,
Harmon
Rabb Jr, non conosco nessuna donna che ti odi. Forse giusto quelle che
hai
respinto… ma posso dire con certezza che il tuo sorriso e i
tuoi occhioni hanno
conquistato anche la nonna di Chloe, quindi sono sicura che le
farà piacere
ospitarti anche per la notte.”
Harm si
abbassò e le sussurrò sensualmente in un
orecchio: “Nel qual caso potremmo riprendere
il discorso cominciato al lago…” Poi le
baciò il collo e un brivido percorse la
spina dorsale di Mac e le fece venire la pelle d’oca.
Una volta
ripreso possesso delle sue facoltà mentali, lei gli rispose:
“Non credo
proprio, flyboy. Io divido il letto con Chloe e a te
toccherà la stanza degli
ospiti. In fondo al corridoio. Accanto alla camera della nonna. E
ricordati che
questa è una vecchia casa, con i pavimenti di legno che
cigolano… Dovremo
rimandare.” Poi gli dette un bacio sulla guancia, quasi a
volersi far perdonare
per la ferale notizia che gli aveva appena comunicato, e si
allontanò da lui
per recarsi sulla veranda e avvertire tutti che Harm sarebbe rimasto
anche per
la notte.
Dopo essersi
sistemati ognuno nella propria stanza (e dopo che Mac ebbe risposto
all’interrogatorio di Chloe), Morfeo accolse tutti fra le
proprie braccia e il
silenzio regnò sulla casa.
Durante la
notte, Harm rifletté sulla proposta – egoista
– che aveva fatto a Mac di
rientrare insieme: non poteva sottoporla allo stress del lungo tragitto
in
auto. La mattina a colazione le disse dunque che lui sarebbe tornato in
macchina, mentre lei avrebbe dovuto mantenere fede al suo programma di
viaggio
prestabilito. Avevano resistito tanti anni, potevano aspettare qualche
altro
giorno.
Si baciarono
a lungo, poi Harm saltò a bordo della Corvette e dette
inizio al suo viaggio di
ritorno. In meno di 24 ore la sua esistenza era stata rivoluzionata:
adesso il
cuore era colmo dell’amore per la sua Sarah.
Nota
dell’autrice
OK, niente
panico. Il dietrofront di
Harm era dettato solo dal suo grande amore per Mac: semplicemente non
voleva
farle del male!
Con la preghiera
di Chloe ho voluto
dare voce al pensiero di tutti i fan di JAG, mentre, purtroppo, i
nostri amanti
non riescono a portare a termine quanto iniziato sul lago dorato.
Toccherà aver
pazienza… fino al prossimo capitolo.
Grazie ancora
per l’affetto con cui seguite
questa storia e per avermi dedicato il vostro tempo arrivando fino qui.
Al prossimo
capitolo,
Deb
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Capitolo 4 *** CAPITOLO 4 - Sorpresa ***
Appena
giunto a casa, Harm si versò una birra e
controllò i messaggi nella segreteria
telefonica che lampeggiava minacciosa. Il primo era di Bud, che lo
invitava a
pranzo per la domenica, e l’altro era di sua madre che voleva
sapere dove fosse
finito, visto che negli ultimi giorni aveva provato più
volte a mettersi in
contatto con lui ma era sempre irraggiungibile. Scosse la testa. Dopo
tanti
anni in marina, Trish Burnett ancora non si era abituata
all’idea di avere un
figlio militare, che poteva essere spedito in missione in giro per il
mondo
senza grossi preavvisi. Per non parlare del fatto che detto figlio
aveva
raggiunto l’età della ragione ormai da tempo
immemore e pertanto aveva il sacrosanto
diritto di sparire per un po’ senza fornire spiegazioni.
Cancellò entrambi i
messaggi, poi compose il numero della nonna di Chloe e parlò
con Mac. Gli
sembrò di essere tornato un adolescente alla prima cotta.
Chiacchierano a
lungo, anche se si erano salutati solo poche ore prima, poi Harm si
mise a
lavorare su alcuni documenti relativi a un vecchio caso che doveva
ancora
finire di controllare. Non era certo un’attività
da sabato sera, ma aveva
voglia di starsene per conto suo a crogiolarsi nel ricordo di
ciò che era
avvenuto e a fantasticare su quello che sarebbe potuto succedere.
La domenica
mattina si alzò di buon’ora e telefonò
a Bud e Harriett per ringraziarli del
loro invito e confermare la sua presenza. La famiglia Roberts gli
piaceva molto
e Bud era uno dei suoi più cari amici.
Lo ammirava
sinceramente
per il modo con cui era riuscito ad affrontare l’incidente.
Lo invidiava
per lo splendido rapporto che aveva con Harriett e per la famiglia che
avevano
costruito insieme, nonostante gli eventi dolorosi che avevano
condiviso, come
la menomazione di Bud e, ancora prima, la perdita della loro piccola
Sarah. Ma
adesso sembravano più forti di prima e con due figli piccoli
(e i gemelli in
arrivo) rappresentavano un’oasi di quiete nel caos della vita
militare. Al loro
primogenito, AJ, era particolarmente legato. Lui e Mac ne erano i
padrini e non
mancavano mai di viziarlo. E il piccolo era perdutamente innamorato
della zia
Mac. Del resto, come dargli torto?
Il pranzo
dai Roberts rappresentò un piacevole intermezzo domestico
che aiutò Harm a non
sentire troppo la mancanza di Sarah, anche perché AJ la
nominò circa centomila
volte e si fece promettere solennemente dallo zio che la prossima volta
avrebbe
portato anche lei. Rabb sorrise fra sé al pensiero di una
vita quotidiana con Mac
fatta di piccole cose: svegliarsi l’uno a fianco
dell’altra, fare la spesa
insieme, andare a pranzo dagli amici, occuparsi dei figli. Gli si
strinse il
cuore all’idea di quanto potesse soffrire Sarah per
l’esito della laparoscopia,
ma era convinto che insieme ce l’avrebbero fatta. Che fosse
biologicamente loro
o meno, non c’era niente di cui fosse più sicuro:
avrebbe avuto un figlio con
lei. Avrebbe fatto di tutto per coronare quel sogno.
Il
lunedì
trascorse in modo convulso: appena arrivato al JAG, il Generale
Creswell gli assegnò
un nuovo caso, che prevedeva una breve gita a Leavensworth per
interrogare il
suo nuovo assistito. Tirò un sospiro di sollievo:
fortunatamente questa volta
non c’erano bambini coinvolti. Il colonnello Smithson,
infatti, era stato
accusato di aver ucciso l’amante della moglie. Praticamente
una passeggiata
rispetto all’abominio di cui si era occupato la settimana
precedente.
Rientrò
a Washington
mentre il sole stava tramontando e il pensiero gli andò allo
stesso orario di
pochi giorni prima e a ciò che era successo in quel lago
incantato. Il ricordo
del corpo sinuoso di Mac, della sua pelle morbida e vellutata, delle
sue labbra
succose, della sensazione che aveva provato quando aveva potuto
finalmente
stringerla fra le braccia gli inondò il cervello, tanto che
rischiò seriamente
di andare fuori strada e danneggiare la sua preziosa Corvette. Ne
riprese il
controllo e la parcheggiò con attenzione, per poi dirigersi
verso il loft. Fece
per inserire la chiave nella serratura quando si accorse che,
dall’interno
dell’appartamento, proveniva della musica. La cosa lo
turbò. Mattie sarebbe
dovuta rientrare l’indomani dal lungo fine settimana con il
padre. Che le fosse
successo qualcosa? A ben sentire, però, quello non era il
genere di musica che
ascoltava Mattie. Una quieta speranza si fece spazio nel suo cuore.
Aprì la
porta e fu inondato dalla calda luce delle candele. Non si ricordava di
possederne
tante. Erano ovunque!
Poggiò
il
cappello e la ventiquattrore sul mobile accanto all’ingresso
e quando si voltò
la trovò davanti a sé, come se si fosse
materializzata da un suo sogno:
indossava un lungo négligé nero che con un gioco
sapiente di pizzi, seta e veli
nascondeva, mostrava e faceva presagire cosa ci fosse sotto.
Mac era
splendida.
Lo era
sempre stata, ma stasera i suoi occhi brillavano di una luce speciale.
O forse
lui la vedeva per la prima volta in tutta la sua bellezza. La visione
di lei lo
aveva ipnotizzato. Proprio come era successo su quel lago dorato.
“Ciao
marinaio” lo salutò con voce sensuale.
“Ciao
a te…”
“Ho
usato la
mia copia della chiave del tuo appartamento, spero non ti
dispiaccia…”
“No…
no…”
Non solo era immobile, aveva perso anche l’uso della parola!
Lei gli si
avvicinò, si mise in punta di piedi e gli baciò
delicatamente le labbra. Harm
parve risvegliarsi dallo stato di intontimento in cui era caduto. La
abbracciò
e le mostrò quanto fosse felice per quella sorpresa,
baciandola a lungo e
lasciando vagare le sue mani sul volto, fra i capelli, sul collo, sulle
braccia
e sulla schiena della sua Sarah, quasi a volersi assicurare di averla
davvero
davanti a sé, in carne, curve ed ossa. Poi si
staccò da lei e le chiese: “Ma
non dovevi rientrare domani?”
“Sai,
Harm,
se telefoni alla compagnia aerea e chiedi di cambiare volo è
possibile
anticipare il rientro” gli spiegò lentamente Mac,
come si fa con i bambini.
“Ah,
vero…”
non riuscì ad articolare altro. Il cervello di Rabb era
ormai andato, inebriato
dal profumo di vaniglia sprigionato dalle candele e preso totalmente
dalla
contemplazione della meravigliosa creatura che stringeva fra le braccia.
“Sarah,
sei
così bella” le sussurrò, prima di
accarezzarle di nuovo il volto, scendere
sulle spalle, sfiorarle i seni e appoggiarle le mani sui fianchi. Gli
sembrava
di avere di fronte un’opera d’arte e temeva di
romperla se solo l’avesse
sfiorata con più forza. Il solo tocco delle sue mani fece
rabbrividire Mac,
che, senza dire altro, cominciò a sbottonare
l’uniforme del suo marinaio. Non era
più tempo per le chiacchiere: ora bisognava passare
all’azione.
Una volta
liberato dalla giacca e dalla camicia, Rabb prese in braccio Sarah e la
portò
nella sua camera. La depositò in piedi accanto al letto,
finì di spogliarsi e
fece scivolare il négligé sul corpo di Mac. Le
accarezzò delicatamente un seno
con i polpastrelli, giocando con il capezzolo, ancora incredulo di
fronte alla
sua statuaria bellezza, poi la fece stendere vicino a sé e
percorse con le
labbra lo stesso tragitto tracciato dalle sue dita, lambendo la sua
pelle di
seta. Si dedicò a lei, ad ogni centimetro del suo corpo,
amandola con un misto
di venerazione e passione, assicurandosi di non farle male, gemendo di
piacere
ad ogni tocco delle calde mani di Mac, che seppero restituirgli il
godimento
che lui stesso le aveva provocato. Raggiunsero l’acme insieme.
In quel preciso
istante, quando erano l’uno dentro l’altra, fu come
se ogni cosa avesse
finalmente trovato il suo posto.
Per Mac, fu
come se il caos della sua esistenza avesse appena trovato pace.
Non si era
mai, MAI, sentita così appagata con un uomo.
E per Harm
fu lo stesso. Aveva avuto ben più di una donna nella sua
vita: i suoi occhi cerulei
e la sua avvenenza gli avevano spalancato più di una camera
da letto di qualche
compiacente accompagnatrice, ma anche se finora si era sempre divertito
a letto
con le sue conquiste, mai aveva provato una sensazione tanto intensa.
Appena
ripresero a respirare normalmente, Mac si sollevò su un
fianco, sorreggendosi
su un gomito, e lo guardò dritto negli occhi:
“Harm, ti amo da morire!”
“Sarah,
ti
amo anche io. L’ho sempre fatto, probabilmente sin dal nostro
primo incontro
nel giardino delle rose della Casa Bianca. Dovevo solo ammetterlo a me
stesso e
a te.”
Non
togliendo gli occhi l’uno dall’altra, si sorrisero
nell’oscurità. Finalmente,
dopo tante occasioni mancate, dopo tanti fraintendimenti e
complicazioni, dopo
essersi rincorsi ed evitati per anni, Mac e Harm si erano svegliati dal
torpore
e avevano scoperto il vero amore. Poi si addormentarono l’uno
nelle braccia
dell’altro.
La mattina
successiva Mac fu la prima a riemergere
dall’oscurità del sonno. Il suo
precisissimo orologio interno le disse che erano le 6.42 e che mancava
poco
alla sveglia. Prendendo coscienza di ciò che la circondava,
si rese conto di
non trovarsi nella sua camera e di avere qualcosa che le impediva di
muoversi.
Aprendo gli occhi scorse il braccio di Harm appoggiato possessivamente
sul suo
stomaco. Lui era disteso a pancia sotto e il lenzuolo gli lasciava
scoperta
tutta la schiena, arrivando a malapena a celare i suoi glutei sodi, che
Sarah
aveva avuto modo di apprezzare durante i loro incontri notturni.
Scrutò con
attenzione la figura dell’uomo accanto a lei: era bellissimo.
Aveva un fisico
da urlo, indubbiamente, ma ciò che l’aveva stupita
quella notte era stato il
modo in cui avevano fatto l’amore. Giunse alla consapevolezza
che proprio
questo le era successo: per la prima volta in tutta la sua vita non
aveva fatto
sesso. Aveva fatto l’amore con l’uomo che amava.
Con
delicatezza si liberò dalla presa di Harm, si
alzò dal letto e andò in bagno.
Fece una doccia veloce e, ritornando in camera, si fermò di
nuovo ad osservare
il suo marinaio, che aveva cambiato posizione ma continuava a dormire
serenamente. Adesso era supino e Sarah indugiò con lo
sguardo sul suo profilo
greco, sull’ampio torace, sulle braccia possenti che
l’avevano stretta nella
notte.
Poi
cominciò
a pensare a cosa avrebbero fatto. Non era ancora pronta a sbandierare
la loro
relazione ai quattro venti. Ne avrebbero dovuto parlare con il loro
superiore,
visto che il regolamento non prevedeva che le coppie lavorassero
insieme, ma
per ora voleva andarci con i piedi di piombo. Non che avesse qualche
dubbio:
erano adulti, si conoscevano da anni, sapevano a memoria pregi e
difetti l’uno
dell’altra. E il sesso… oh, quello era andato alla
grande. Anzi, era stato
un’esperienza mistica.
Miracolosa.
Indubbiamente
da ripetere.
E molto,
molto spesso.
Mentre il
suo cervello si perdeva in queste considerazioni, non smise un secondo
di
fissare il corpo di Harm. L’oggetto delle sue attenzioni non
tardò a
svegliarsi. Sbatté gli occhi un paio di volte per mettere a
fuoco ciò che aveva
davanti a sé e poi un sorriso gli illuminò il
volto. “Buongiorno bellissima!”
le disse con la voce ancora impastata dal sonno.
“Buongiorno
a te, bello addormentato!” gli rispose sorridendo a sua volta
e stendendosi di
nuovo accanto a lui.
“Come
fai a
essere così piena di energia?”
“Ho
trascorso una notte fantastica con un uomo meraviglioso” gli
confessò. “Mi hai
fatto volare.”
Rabb
cominciò a ridacchiare. Sarah gli rifilò
un’occhiata interrogativa e lui spiegò:
“Sai, venerdì scorso pensavo che nel fine
settimana avrei voluto far volare
Sarah. E mi sono chiesto se intendevo l’aereo o
tu…”
“Oh,
con me
ci sei riuscito, Harmon Rabb. Te lo assicuro.”
Harm la
strinse a sé e le dimostrò ancora quanto la
amasse, nonostante fosse già l’ora
di alzarsi per andare al lavoro. Sarebbe arrivato in ritardo e avrebbe
beccato
la sfuriata di Creswell, ma ne sarebbe valsa sicuramente la pena.
Nota
dell’autrice
Eccoci giunti al
termine di questa
storia. Il proposito iniziale di Harm è stato realizzato: ha
davvero fatto
volare la sua Sarah e chiaramente non si trattava dell’aereo!
Desidero dire
grazie, di cuore, a chi
di voi ha letto la mia prima avventura da autrice in questa sezione, a
chi lo
ha fatto in silenzio, a chi ha lasciato una recensione e a chi ha messo
la
storia fra le seguite, le ricordate e le preferite.
E grazie, come
sempre, al mio prezioso
angelo custode.
Un abbraccio,
Deb
|
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