Sul lago dorato

di germangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 - Un caso difficile ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 - Rivelazioni ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 - Allo scoperto ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 - Sorpresa ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 - Un caso difficile ***


Si sentiva esausto. Poggiò la penna con la quale stava compilando i documenti relativi alla sua ultima fatica forense, chiuse gli occhi e vi passò sopra una mano, fino a stringere la parte superiore del naso fra pollice e indice, nel vano tentativo di lenire il mal di testa che lo tormentava da qualche giorno. Aveva appena concluso un caso che lo aveva messo a dura prova.

Mai prima d’ora era stato così felice di perdere nell’aula di un tribunale. Gli era stata assegnata la difesa del maggiore O’Connor, un lurido bastardo che aveva violentato una ragazzina di 13 anni e l’aveva picchiata riducendola in fin di vita. I medici non avevano ancora sciolto la prognosi, ma anche se fosse riuscita a sopravvivere, Harm si chiedeva se mai sarebbe stata in grado di dimenticare quell’esperienza infernale.

Mai prima d’ora aveva provato un impulso tanto forte di uccidere qualcuno con le sue stesse mani. O’Connor gli dava il voltastomaco. Aveva svolto il suo dovere di avvocato per rispetto al regolamento che prevedeva il diritto per chiunque di essere difeso, ma desiderava ardentemente vedere quell’essere disgustoso pagare fino in fondo per la colpa commessa, senza alcuno sconto. Sarà perché la vittima gli ricordava tanto Mattie, con quella cascata di riccioli ribelli e il corpo minuto, ma quando la giuria aveva condannato il suo cliente alla corte marziale si era sentito davvero sollevato.

Aveva bisogno di una pausa. Se Mac fosse stata al JAG sarebbe andato da lei per invitarla a prendere un caffè insieme, ma tre giorni prima si era affacciata alla porta del suo ufficio e gli aveva comunicato che sarebbe andata per un po’ a trovare Chloe, partendo quello stesso pomeriggio.

“Per pensare” gli aveva detto.

“Per rimettere insieme la mia vita” aveva aggiunto con quello sguardo triste che la accompagnava da tempo.

Gli ultimi mesi erano stati come un viaggio sulle montagne russe per lei, con tanto di doppio giro della morte. Il Paraguay, l’incontro con Sadik, la storia con Clay e la mole di bugie che le aveva regalato, l’endometriosi e la scoperta della sua quasi totale incapacità di concepire, una condanna lapidaria che aveva ricevuto giusto poche ore prima della festa di addio dell’Ammiraglio Chegwidden, un uomo che per lei – e per lo stesso Harm – era stato molto più di un semplice superiore. Aveva rappresentato una figura paterna, severa ma giusta (almeno nella maggior parte dei casi… diciamo che con Rabb ci era andato giù pesante, ma ormai era acqua passata), che li aveva fatti crescere professionalmente e come persone. E il suo sostituto era nientemeno che un generale dei marines che aveva già incrociato la strada di Mac ai tempi di Okinawa e in una situazione alquanto delicata. Dietro la corazza del marine, addestrato alla guerra e a sopravvivere nelle situazioni più difficili, si nascondeva Sarah, una bambina fragile e insicura, bisognosa, anzi, affamata di affetto. Sofferente di una fame atavica di attenzioni, risalente alla sua infanzia e adolescenza travagliate, che la spingeva continuamente fra le braccia del primo uomo che le dimostrasse interesse. Questo suo approccio naturalmente le aveva fatto inanellare una serie di relazioni disastrose: dal primo marito a John Farrow, da Dalton Lowne a Mic Brumby fino a Webb, che rappresentava la ciliegina sulla torta. Quest’ultimo, infatti, le aveva fatto piangere la sua morte – quando in realtà era vivo e vegeto – e  l’aveva usata come esca, mettendola letteralmente nelle mani di un pericoloso serial killer.

Rabb aveva provato in tutti i modi a stare vicino a Mac, dicendole apertamente di voler far parte della sua vita e offrendosi ancora una volta di onorare il patto stipulato anni prima di avere un figlio insieme, in qualsiasi modo. Si era anche prodigato a cercare informazioni a proposito dell’endometriosi, ma Mac lo aveva respinto, per l’ennesima volta.  Quando era venuta a salutarlo tre giorni prima, Harm le aveva timidamente chiesto se per caso fosse stato troppo invadente, troppo protettivo, poco rispettoso nei suoi confronti, ma lei lo aveva guardato negli occhi e gli aveva risposto, quasi sottovoce: “Harm, non sto scappando da te. Ho solo bisogno di un po’ di tempo per riprendere in mano la mia vita.”

“Sei sicura che il viaggio non sarà troppo faticoso per te?” era più forte di lui, si preoccupava per lei in continuazione.

“No, ne ho parlato anche con la mia dottoressa e mi ha confermato che non ci sono problemi. Il volo non dura molto e il viaggio in auto ancora meno, quindi stai sereno.”

“Mi chiami appena arrivi?” le aveva chiesto di getto, pentendosi subito dopo per essere entrato di nuovo in modalità protettiva.

“Sissignore.” Gli aveva risposto lei, con un sorriso, senza mai togliere gli occhi dai suoi. Poi aveva sollevato una mano, con l’intenzione di accarezzargli il volto, ma si era ricordata improvvisamente che erano in ufficio, così il gesto era rimasto a mezzaria. Aveva chiuso la mano e se l’era portata alla bocca, abbassando lo sguardo e rimanendo a fissare con grande attenzione le proprie scarpe, per l’ennesimo episodio imbarazzante del loro strano rapporto. Alla fine si erano salutati e da quel momento era sparita. Lui era stato trattenuto in ufficio per il maledetto caso O’Connor, così che la sera, rientrando al loft a un’ora improponibile, aveva trovato un messaggio di Mac nella sua segreteria telefonica in cui lo informava di essere arrivata sana e salva a destinazione e gli lasciava il numero della casa dei nonni di Chloe, visto che in quella zona il cellulare non prendeva bene.

In quei giorni era stato tentato più di una volta di chiamarla per sentire come se la stesse passando, ma si era sempre trattenuto dal farlo.

Gli aveva chiesto tempo e spazio e lui si stava sforzando di rispettare la sua volontà.

Anche se gli mancava terribilmente.

Anche se era preoccupato per lei.

Anche se avrebbe voluto averla vicina per prendersi cura di lei.

Si alzò dalla sedia e si avviò verso la cucina, con l’intenzione di farsi un caffè per ritrovare la concentrazione e terminare le scartoffie che affollavano la sua scrivania. Non vedeva l’ora di chiudere quel caso per potersi riposare nel fine settimana. Certo, se Mac fosse stata in città le avrebbe proposto di mangiare qualcosa insieme e di vedere un film. In mancanza di meglio, ne avrebbe approfittato per recuperare le ore di sonno perse e magari fare volare la sua Sarah. “L’aereo o il marine?” si chiese mentalmente. Poi scosse la testa, quasi a volersi rimproverare per quel pensiero audace. Rinfrancato dalla caffeina appena entrata in circolo, Rabb concluse velocemente le pratiche e si avviò verso casa. Aveva chiesto a Creswell di potersi allontanare dall’ufficio al termine della mattinata, visto che nei giorni precedenti si era trattenuto ben oltre l’orario di lavoro, e il suo superiore gli aveva concesso il pomeriggio libero.

Giunto a Union Station, la mancanza di Mac si fece sentire ancora di più. Il pensiero di lei e di quello sguardo, che gli aveva rivolto quando si erano salutati pochi giorni prima, gli intossicavano il cervello. Si cambiò velocemente, indossando un paio di jeans e una camicia, preparò una borsa con un cambio e si mise alla guida della sua Corvette fiammante.

Aveva bisogno di sapere come stava Mac.

Aveva bisogno di Sarah.

 

Nota dell’autrice

Torno a scrivere dopo un periodo un po’ impegnativo, nel quale sono stata lontana da EFP, e lo faccio con una storia su JAG. La mia prima storia in questa sezione di cui sono autrice… che emozione!

Questo racconto è dedicato al mio angelo custode che, nel suddetto periodo, mi è stata vicina nonostante la distanza (lo so che pare un ossimoro, ma lei capirà), sostenendomi e sopportandomi con affetto e dosi infinite di pazienza. Un vero dono del cielo!

Grazie a lei in primis e grazie a chi di voi mi ha dedicato il proprio tempo ed è arrivato fino qui.

Al prossimo capitolo!

Deb

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 - Rivelazioni ***


Guidò per ore, ringraziando il cielo che Mac avesse optato per un più comodo viaggio in aereo. Tutto quel tempo in macchina avrebbe messo a dura prova la sua schiena ancora dolorante. Ma lui aveva deciso all’ultimo momento, e la cosa più semplice gli era parsa di inforcare gli occhiali da Top Gun e saltare a bordo della sua auto. Non sapeva bene che tipo di accoglienza gli avrebbe riservato Mac, ma confidava nell’aiuto di Chloe. Quella ragazzina gli piaceva molto, proprio come Mattie. In quel fine settimana Mattie era con suo padre. Harm si accorse di sentire già la mancanza di quell’adolescente ribelle e casinista, che aveva colmato la sua esistenza di scapolo, regalandogli un calore familiare cui avrebbe rinunciato con difficoltà una volta che la ragazza fosse riuscita a ricostruire un rapporto sano con il genitore.

Il sole stava tramontando quando giunse finalmente alla casa dove viveva Chloe. Parcheggiò davanti alla costruzione e scese, sgranchendosi le lunghe gambe e le braccia, affaticate dal viaggio che gli era parso interminabile. Non si era mai fermato, se non per fare velocemente il pieno. Non voleva perdere tempo.

Una signora anziana si affacciò sulla veranda, incuriosita dall’arrivo di quell’affascinante visitatore.

“Buonasera signora, sono Harmon Rabb, stavo cercando Sarah MacKenzie.” Si presentò, sfoderando il suo solito sorriso brevettato, quello cui nessuna donna, da 9 a 99 anni, era capace di resistere.

“Haaaaaaaaaaarm!” gridò una voce argentina, proveniente dall’interno dell’abitazione. La voce anticipò di un nanosecondo l’arrivo dell’uragano Chloe. La ragazzina si fiondò ad abbracciare il visitatore, che fu quasi commosso per quel saluto affettuoso.

“Ehy signorina, come stai? Accidenti quanto sei cresciuta!” la salutò allegramente.

“Bene! Cosa ci fai qui? Mac ti sta aspettando? Non mi aveva detto che saresti venuto anche tu… Strano, lei mi racconta sempre tutto. E di te parla semprissimo! Ma quando sei arrivato?”

“Chloe, tesoro, fai respirare il nostro ospite e ricordati le buone maniere!” la rimbrottò bonariamente la nonna. Poi, rivolgendosi a quel bell’uomo (eh sì, anche la nonna di Chloe aveva gli occhi e tutto si poteva dire di Harmon Rabb, ma non certo che passasse inosservato, specialmente all’universo femminile) gli disse: “Signor Rabb, si accomodi, le offro un buon tè e una fetta di torta, l’abbiamo appena sfornata!”

“La ringrazio, è davvero gentile, ma non vorrei disturbare. Potrebbe dirmi dove è Mac?”

“Harm, tranquillo, la torta l’abbiamo fatta io e la nonna, Mac non ci ha messo nemmeno un dito.” La rassicurazione di Chloe gli strappò un sorriso. Le abilità culinarie di Mac lasciavano sempre a desiderare, ma entrambi ci ridevano sopra. Infatti, quando la sera si ritrovavano a casa sua per discutere di lavoro o semplicemente per guardare un film insieme, era sempre lui a occuparsi della cucina. Rigorosamente vegetariana, compreso il suo tanto denigrato polpettone senza carne. “Comunque, è appena andata a nuotare al lago. Ci sarei voluta andare anche io, ma la nonna ha detto che fa ancora troppo freddo e potrei buscarmi il raffreddore” aggiunse con aria imbronciata.

L’immagine di Mac immersa nel lago gli riportò alla mente la visione di lei nella vasca da bagno in Paraguay, celata al suo sguardo solo dalla schiuma. Era davvero bellissima.

“Quanto dista il lago? Magari la raggiungo e mi faccio una nuotata pure io. Mi farà bene dopo queste lunghe ore in macchina.” Commentò con nonchalance, senza mostrare loro quanto fosse impaziente di rivedere Mac.

“Una decina di minuti a piedi. Segui il sentiero che parte da dietro la casa, non ti puoi sbagliare. Se vuoi ti ci accompagno!” si offrì Chloe.

Harm non voleva offenderla, ma moriva dalla voglia di stare da solo con Mac senza intrusi intorno. Per fortuna, avendo subodorato qualcosa di strano nell’improvvisa apparizione di questo affascinante collega di Sarah, la nonna decise di intervenire: “Chloe, non se ne parla. Il sole è quasi tramontato e sul lago spira sempre una brezza fresca, non vogliamo certo che ti venga il raffreddore e che tu salti la scuola, vero?”

“Ma nonna….” Tentò di negoziare la ragazzina, ma un’occhiata severa dell’anziana donna le fece capire che non c’era spazio per le trattative.

“Signor Rabb, si goda la sua nuotata. Confido che sarà nostro ospite per cena! Vi aspettiamo per le sette. In punto.” Precisò.

Harm la ringraziò e si recò subito verso il sentiero. Solo a metà percorso si rese conto che non aveva con sé un costume da bagno, ma si disse che avrebbe potuto immergersi in boxer.

Con lunghe falcate, Rabb arrivò in pochi minuti in vista del lago. Era un luogo paradisiaco: l’acqua rispecchiava i colori incendiati del cielo al tramonto e gli alberi che lo circondavano gli conferivano un’aria fiabesca. Come una ninfa, una figura stava nuotando pigramente sul dorso, illuminata dagli ultimi raggi del sole, con bracciate languide. Ad Harm quasi mancò il fiato. Osservandola con attenzione, infatti, si accorse che quella meravigliosa creatura non indossava un costume. Il seno prosperoso di Sarah compariva a pelo d’acqua e si muoveva al ritmo delle sue bracciate. Rimase incantato a godersi quello spettacolo per qualche secondo, ipnotizzato da quelle forme sinuose, poi si rimproverò per la sua mancanza di rispetto nei confronti della donna che aveva scelto quell’angolo di paradiso proprio perché era un luogo riparato da sguardi indiscreti. Decise di fare rumore per avvertirla della sua presenza. Calpestò un ramo secco che produsse un suono netto.

Sarah si voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire quel rumore e scorse la figura slanciata del suo marinaio. Un misto di vergogna, eccitazione, felicità e rabbia le invase il cuore. Smise di nuotare, si immerse fino alle spalle e lo apostrofò: “Harm? Che ci fai qui?”

“Ciao Mac, com’è l’acqua?” le rispose lui sorridendo, come se trovarsi in quel luogo, a centinaia di miglia da casa, fosse la cosa più naturale del mondo.

“Non rispondere a una domanda con un’altra domanda!” lo rimbeccò subito lei. Era pur sempre un’abile avvocatessa del JAG, sapeva bene come interloquire.

“Sono venuto a vedere come stavi…. Ora puoi rispondere alla mia domanda? Anzi, non importa, vengo da solo a sentire come è.” Le rivolse il suo sorriso brevettato e, senza darle modo di replicare, dette inizio al suo striptease.

Dopo essersi sfilato scarpe, camicia, pantaloni e calzini, Harm si stava apprestando a liberarsi anche dell’ultimo indumento, quando Mac gli chiese: “Ma che stai facendo?”

“Mi adeguo alle abitudini locali” le rispose serafico, indicando con un cenno del capo la pila ordinata degli abiti di lei, ben piegati, in cima ai quali spiccava la sua biancheria intima.

Mac rimase a bocca aperta, poi decise di stare al gioco. Il marinaio voleva la guerra? Ebbene, lei era un marine addestrato, non aveva certo paura. Sollevò un sopracciglio e poi gli voltò le spalle, fingendo un totale disinteresse nei suoi confronti, anche se dentro di sé moriva dalla voglia di godersi lo spettacolo. Dopo pochi secondi, sentì il rumore dell’acqua e comprese che Rabb si era tuffato. Si girò di nuovo in direzione della riva ma di lui nemmeno l’ombra. Osservò con attenzione a destra e a sinistra, ma niente. “Dio mio, non si sarà mica sentito male?” pensò Sarah, e subito immagini angoscianti del terribile incidente in mare la sera delle prove per il suo (scampato) matrimonio con Brumby le invasero la mente, facendole provare di nuovo quello stesso dolore lancinante che l’aveva fatta scoppiare in lacrime. Poi – per fortuna – lo vide riemergere poco distante da lei. I capelli bagnati, il fisico scolpito, gli occhi azzurri e quel dannatissimo sorriso…. Una visione che avrebbe messo KO qualsiasi rappresentante del gentil sesso.

“Allora?” gli chiese Mac, cercando di non farsi sopraffare dal pensiero di avere Harm a pochi metri da lei, in tutto il suo adamitico splendore, letteralmente a portata di mano.

“Accidenti, è freddissima! Ma come fai a resistere?” si lamentò lui, muovendosi per evitare di congelare.

“Oh, povero flyboy, l’unica acqua che sopporta è quella della vasca da bagno…” lo prese in giro Mac. “Forse dovresti fare una bella nuotata, ma magari non sei molto in forma…”

“Che ne diresti invece se condividessimo un po’ di calore corporeo?” le propose Rabb, non togliendo gli occhi dai suoi e avvicinandosi pericolosamente.

“Io non ho freddo, Harm…”

“Ma io sì! Dai, Maaaac…” e così dicendo si mosse ancora nella sua direzione, mantenendo quel suo sorriso micidiale. L’acqua del lago non era molto profonda e nel punto in cui si trovavano entrambi potevano toccare agevolmente il fondo. La situazione si stava facendo incandescente. Si ritrovarono uno di fronte all’altra, poi il volto di Harm si fece più serio. Le accarezzò una guancia, quasi con timore reverenziale, e le sussurrò: “Sei bellissima”, poi le sollevò il mento e si abbassò fino a sfiorarle le labbra con le proprie.

A entrambi parve di sentire i fuochi d’artificio.

Le mani di Mac trovarono il corpo di lui nell’acqua e percorsero l’addome scolpito e l’ampio torace, fino a fermarsi sulla sua nuca. Sarah dischiuse le labbra, invitandolo ad approfondire il bacio e lasciò che le loro lingue danzassero insieme, scoprendo a vicenda il sapore della bocca dell’altro, deliziandosi di quel contatto. Stringendola a sé, Harm non poté fare a meno di emettere un suono gutturale quando sentì il seno di Mac appoggiarsi al proprio petto. Quegli stessi capezzoli inturgiditi che aveva visto fare capolino maliziosamente dall’acqua del lago solo pochi minuti prima adesso erano incollati al suo torace. Il contatto fra la virilità prepotente di lui e il corpo caldo di lei gli fece perdere completamente il controllo. I baci divennero sempre più appassionati e le carezze sul corpo della sua Sarah sempre più audaci. Poi, improvvisamente, Harm si staccò da lei. Il respiro ancora affannato, si allontanò e disse: “Scusami, perdonami… non volevo.”

Si udì il fragore di un vetro frantumarsi a terra.

Il cuore di Sarah MacKenzie si era appena ridotto in mille pezzi.

 

Nota dell’autrice

La Corvette di Harm lo ha portato a destinazione e qui il lago dorato gli ha fatto un regalo splendido… inevitabilmente la passione prende il sopravvento ma sul finale c’è un brusco dietrofront. E ora? Come la mettiamo?

Grazie per l’affetto con cui avete accolto questa storia e per avermi dedicato ancora una volta il vostro tempo!

Al prossimo capitolo,

Deb

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 - Allo scoperto ***


Sarah MacKenzie era rimasta paralizzata.

Non si era mai sentita tanto umiliata o respinta.

Abbassò lo sguardo e trattenne a stento un singhiozzo, frastornata da ciò che avevano cominciato e incredula per come avevano smesso.

Non era possibile che Harm l’avesse baciata, desiderata, toccata, venerata con tutto quel trasporto per poi fare marcia indietro tanto repentinamente.

Harm era, se possibile, ancora più sconvolto di lei. Le si avvicinò di nuovo e le disse, quasi sussurrando: “Perdonami, sono stato un animale. Non ti ho fatto male, vero?” Aveva realizzato solo in quel momento che Mac aveva subito una laparoscopia giusto poche settimane prima e aveva letto da qualche parte che l’endometriosi poteva rendere dolorosi i rapporti sessuali. Per fortuna era riuscito a fermarsi in tempo. Mai e poi mai le avrebbe provocato del dolore, ma trovandosela lì davanti, come una Venere uscente dalle acque, non era riuscito a resistere. Voleva, doveva toccarla, accarezzarla, amarla, diventare una cosa sola con lei. E la passione aveva preso il sopravvento.

Mac cominciò di nuovo a respirare.

Non l’aveva rifiutata!

Non si era pentito!

Era solo preoccupato per il suo benessere. “No, Harm, non mi hai fatto male… e poi la dottoressa ha detto che non ci sono problemi… basta solo fare le cose con calma…” lo rassicurò, accarezzandogli il volto. “La cosa di cui ci dovremmo preoccupare, invece, è la nonna di Chloe. Tiene molto alla puntualità e adesso sono le 18.37… non manca molto alla cena.”

Nonostante quell’incontro sconvolgente, l’orologio interno di Mac spaccava sempre il secondo. Scoppiarono a ridere, poi Sarah lo prese per mano e si avviarono verso la riva. Si asciugarono entrambi velocemente e si rivestirono, senza parlare ma lanciandosi sguardi che valevano più di mille parole, in un’intimità straordinariamente piacevole anche se appena scoperta.

Sul sentiero che conduceva verso la casa di Chloe, Mac gli chiese: “E ora cosa facciamo?”

Harm le prese una mano e gliela strinse, poi le rispose: “Intanto andiamo a cena, non vogliamo certo far arrabbiare la nonna della tua sorellina… poi dovremo trovare un po’ di tempo per noi due e fare le cose per bene. Fino in fondo. Gentilmente, ma fino in fondo. E possibilmente in orizzontale.” Le fece l’occhiolino e le lasciò un bacio sui capelli ancora umidi. Poi riprese, questa volta seriamente: “Mac, te l’ho già detto, voglio far parte della tua vita come coprotagonista, non da spettatore.”

Lei gli sorrise. Era una proposta che le piaceva. Molto. Certo, a complicare le cose c’era persino la loro carriera militare, ma anche per quello si poteva trovare una soluzione. Intanto avrebbero potuto cominciare a frequentarsi per un po’, senza necessariamente rendere pubblica la loro storia. Anche se sapeva che sarebbe stato impossibile nascondere a lungo quel sorriso che l’arrivo del suo flyboy le aveva fatto nascere sul volto. Senza contare le doti amatorie del suddetto marinaio, di cui aveva avuto solo un breve accenno ma che si preannunciavano strepitose. Completamente immersa in questi pensieri, Mac non si accorse che erano giunti a destinazione, ancora mano nella mano, e che Chloe era sulla porta ad attenderli.

“Ecco perché sei venuto a trovarla, Harm! Sei il fidanzato di Mac!!! Oh, era proprio l’ora! Mac è innamorata di te da quando la conosco!” gridò la ragazzina, battendo le mani dalla contentezza e cominciando a saltellare sulla veranda.

“Chloe Madison, non fare l’impertinente!” la rimproverò la nonna. Poi si rivolse ai due adulti e li invitò ad entrare: “Mac, signor Rabb, prego, accomodatevi, la cena è pronta.”

Si sedettero a una tavola riccamente imbandita. La nonna di Chloe invitò tutti a prendersi per mano e chiese alla nipote di recitare la preghiera di ringraziamento. La ragazzina fece l’occhiolino a Harm, poi assunse un’espressione compita e iniziò: “Signore, grazie per il cibo che ci hai donato, grazie per gli amici che lo condividono con noi e grazie, grazie, grazie per aver dato una mossa a Mac e Harm che qui non ne potevamo più. Amen.”

Mac arrossì e Harm non riuscì a trattenere un sorriso, mentre la nonna alzò gli occhi al cielo, avendo perso ogni speranza di insegnare le buone maniere a quella nipotina in piena preadolescenza. Poi si schiarì la voce e annunciò: “signor Rabb”

“Harm, la prego” la interruppe.

Lei gli sorrise in risposta, poi riprese: “Harm, Chloe mi ha detto che lei è vegetariano. Per noi avevo già preparato un roastbeef, per lei ho solo dei maccheroni al formaggio. Mi dispiace ma non sono riuscita a inventarmi altro con questo breve preavviso!”

Rabb rimase colpito dalla delicatezza di quel pensiero e la ringraziò per la gentilezza. Si chiese come facesse Chloe a saperlo e si ricordò di quanto lei stessa gli aveva detto appena arrivato: Mac raccontava tutto alla sua sorellina e parlava sempre di lui. Anzi, semprissimo.

La cena proseguì in modo sereno, mentre le leccornie preparate dalla nonna di Chloe vennero spazzolate fino all’ultima briciola. Una volta terminato il pasto, Harm e Mac si offrirono di lavare i piatti. La nonna non ne voleva sapere, ma Rabb le regalò la doppia combinazione di sguardo e sorriso, dicendole che era il minimo che potevano fare per sdebitarsi di tutto il disturbo che le aveva creato presentandosi all’ultimo minuto, e lei capitolò, lasciando loro campo libero in cucina e spostandosi sulla veranda, trascinandosi dietro una riluttante Chloe.

I due avvocati lavorarono in tandem, come tante volte avevano fatto in ufficio, dividendosi i compiti: Harm lavava e Mac asciugava e metteva in ordine. Una volta sbrigata l’incombenza, Rabb l’abbracciò e la strinse a sé, senza dire una parola, mentre la donna si rese conto che non c’era posto più bello al mondo: era fra le braccia dell’uomo che amava. Poi lui interruppe il silenzio: “Sarah, torna a casa con me.”

Mac non poté fare a meno di sorridere: quanto le piaceva il suono del suo nome pronunciato dalla voce calda di Harm!

“Harm, non vorrai mica metterti in viaggio a quest’ora? E’ troppo pericoloso e tu hai l’aria stanca. Resta a dormire qui, partiremo insieme domani.”

“Non vorrei recare ulteriore disturbo alla nonna di Chloe… le sono piombato qui come un fulmine a ciel sereno e si è anche prodigata per cucinarmi un piatto vegetariano… non vorrei che mi odiasse”

“Oh, Harmon Rabb Jr, non conosco nessuna donna che ti odi. Forse giusto quelle che hai respinto… ma posso dire con certezza che il tuo sorriso e i tuoi occhioni hanno conquistato anche la nonna di Chloe, quindi sono sicura che le farà piacere ospitarti anche per la notte.”

Harm si abbassò e le sussurrò sensualmente in un orecchio: “Nel qual caso potremmo riprendere il discorso cominciato al lago…” Poi le baciò il collo e un brivido percorse la spina dorsale di Mac e le fece venire la pelle d’oca.

Una volta ripreso possesso delle sue facoltà mentali, lei gli rispose: “Non credo proprio, flyboy. Io divido il letto con Chloe e a te toccherà la stanza degli ospiti. In fondo al corridoio. Accanto alla camera della nonna. E ricordati che questa è una vecchia casa, con i pavimenti di legno che cigolano… Dovremo rimandare.” Poi gli dette un bacio sulla guancia, quasi a volersi far perdonare per la ferale notizia che gli aveva appena comunicato, e si allontanò da lui per recarsi sulla veranda e avvertire tutti che Harm sarebbe rimasto anche per la notte.

Dopo essersi sistemati ognuno nella propria stanza (e dopo che Mac ebbe risposto all’interrogatorio di Chloe), Morfeo accolse tutti fra le proprie braccia e il silenzio regnò sulla casa.

Durante la notte, Harm rifletté sulla proposta – egoista – che aveva fatto a Mac di rientrare insieme: non poteva sottoporla allo stress del lungo tragitto in auto. La mattina a colazione le disse dunque che lui sarebbe tornato in macchina, mentre lei avrebbe dovuto mantenere fede al suo programma di viaggio prestabilito. Avevano resistito tanti anni, potevano aspettare qualche altro giorno.

Si baciarono a lungo, poi Harm saltò a bordo della Corvette e dette inizio al suo viaggio di ritorno. In meno di 24 ore la sua esistenza era stata rivoluzionata: adesso il cuore era colmo dell’amore per la sua Sarah.

 

Nota dell’autrice

OK, niente panico. Il dietrofront di Harm era dettato solo dal suo grande amore per Mac: semplicemente non voleva farle del male!

Con la preghiera di Chloe ho voluto dare voce al pensiero di tutti i fan di JAG, mentre, purtroppo, i nostri amanti non riescono a portare a termine quanto iniziato sul lago dorato. Toccherà aver pazienza… fino al prossimo capitolo.

Grazie ancora per l’affetto con cui seguite questa storia e per avermi dedicato il vostro tempo arrivando fino qui.

Al prossimo capitolo,

Deb

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 - Sorpresa ***


Appena giunto a casa, Harm si versò una birra e controllò i messaggi nella segreteria telefonica che lampeggiava minacciosa. Il primo era di Bud, che lo invitava a pranzo per la domenica, e l’altro era di sua madre che voleva sapere dove fosse finito, visto che negli ultimi giorni aveva provato più volte a mettersi in contatto con lui ma era sempre irraggiungibile. Scosse la testa. Dopo tanti anni in marina, Trish Burnett ancora non si era abituata all’idea di avere un figlio militare, che poteva essere spedito in missione in giro per il mondo senza grossi preavvisi. Per non parlare del fatto che detto figlio aveva raggiunto l’età della ragione ormai da tempo immemore e pertanto aveva il sacrosanto diritto di sparire per un po’ senza fornire spiegazioni. Cancellò entrambi i messaggi, poi compose il numero della nonna di Chloe e parlò con Mac. Gli sembrò di essere tornato un adolescente alla prima cotta. Chiacchierano a lungo, anche se si erano salutati solo poche ore prima, poi Harm si mise a lavorare su alcuni documenti relativi a un vecchio caso che doveva ancora finire di controllare. Non era certo un’attività da sabato sera, ma aveva voglia di starsene per conto suo a crogiolarsi nel ricordo di ciò che era avvenuto e a fantasticare su quello che sarebbe potuto succedere.

La domenica mattina si alzò di buon’ora e telefonò a Bud e Harriett per ringraziarli del loro invito e confermare la sua presenza. La famiglia Roberts gli piaceva molto e Bud era uno dei suoi più cari amici.

Lo ammirava sinceramente per il modo con cui era riuscito ad affrontare l’incidente.

Lo invidiava per lo splendido rapporto che aveva con Harriett e per la famiglia che avevano costruito insieme, nonostante gli eventi dolorosi che avevano condiviso, come la menomazione di Bud e, ancora prima, la perdita della loro piccola Sarah. Ma adesso sembravano più forti di prima e con due figli piccoli (e i gemelli in arrivo) rappresentavano un’oasi di quiete nel caos della vita militare. Al loro primogenito, AJ, era particolarmente legato. Lui e Mac ne erano i padrini e non mancavano mai di viziarlo. E il piccolo era perdutamente innamorato della zia Mac. Del resto, come dargli torto?

Il pranzo dai Roberts rappresentò un piacevole intermezzo domestico che aiutò Harm a non sentire troppo la mancanza di Sarah, anche perché AJ la nominò circa centomila volte e si fece promettere solennemente dallo zio che la prossima volta avrebbe portato anche lei. Rabb sorrise fra sé al pensiero di una vita quotidiana con Mac fatta di piccole cose: svegliarsi l’uno a fianco dell’altra, fare la spesa insieme, andare a pranzo dagli amici, occuparsi dei figli. Gli si strinse il cuore all’idea di quanto potesse soffrire Sarah per l’esito della laparoscopia, ma era convinto che insieme ce l’avrebbero fatta. Che fosse biologicamente loro o meno, non c’era niente di cui fosse più sicuro: avrebbe avuto un figlio con lei. Avrebbe fatto di tutto per coronare quel sogno.

Il lunedì trascorse in modo convulso: appena arrivato al JAG, il Generale Creswell gli assegnò un nuovo caso, che prevedeva una breve gita a Leavensworth per interrogare il suo nuovo assistito. Tirò un sospiro di sollievo: fortunatamente questa volta non c’erano bambini coinvolti. Il colonnello Smithson, infatti, era stato accusato di aver ucciso l’amante della moglie. Praticamente una passeggiata rispetto all’abominio di cui si era occupato la settimana precedente.

Rientrò a Washington mentre il sole stava tramontando e il pensiero gli andò allo stesso orario di pochi giorni prima e a ciò che era successo in quel lago incantato. Il ricordo del corpo sinuoso di Mac, della sua pelle morbida e vellutata, delle sue labbra succose, della sensazione che aveva provato quando aveva potuto finalmente stringerla fra le braccia gli inondò il cervello, tanto che rischiò seriamente di andare fuori strada e danneggiare la sua preziosa Corvette. Ne riprese il controllo e la parcheggiò con attenzione, per poi dirigersi verso il loft. Fece per inserire la chiave nella serratura quando si accorse che, dall’interno dell’appartamento, proveniva della musica. La cosa lo turbò. Mattie sarebbe dovuta rientrare l’indomani dal lungo fine settimana con il padre. Che le fosse successo qualcosa? A ben sentire, però, quello non era il genere di musica che ascoltava Mattie. Una quieta speranza si fece spazio nel suo cuore. Aprì la porta e fu inondato dalla calda luce delle candele. Non si ricordava di possederne tante. Erano ovunque!

Poggiò il cappello e la ventiquattrore sul mobile accanto all’ingresso e quando si voltò la trovò davanti a sé, come se si fosse materializzata da un suo sogno: indossava un lungo négligé nero che con un gioco sapiente di pizzi, seta e veli nascondeva, mostrava e faceva presagire cosa ci fosse sotto.

Mac era splendida.

Lo era sempre stata, ma stasera i suoi occhi brillavano di una luce speciale. O forse lui la vedeva per la prima volta in tutta la sua bellezza. La visione di lei lo aveva ipnotizzato. Proprio come era successo su quel lago dorato.

“Ciao marinaio” lo salutò con voce sensuale.

“Ciao a te…”

“Ho usato la mia copia della chiave del tuo appartamento, spero non ti dispiaccia…”

“No… no…” Non solo era immobile, aveva perso anche l’uso della parola!

Lei gli si avvicinò, si mise in punta di piedi e gli baciò delicatamente le labbra. Harm parve risvegliarsi dallo stato di intontimento in cui era caduto. La abbracciò e le mostrò quanto fosse felice per quella sorpresa, baciandola a lungo e lasciando vagare le sue mani sul volto, fra i capelli, sul collo, sulle braccia e sulla schiena della sua Sarah, quasi a volersi assicurare di averla davvero davanti a sé, in carne, curve ed ossa. Poi si staccò da lei e le chiese: “Ma non dovevi rientrare domani?”

“Sai, Harm, se telefoni alla compagnia aerea e chiedi di cambiare volo è possibile anticipare il rientro” gli spiegò lentamente Mac, come si fa con i bambini.

“Ah, vero…” non riuscì ad articolare altro. Il cervello di Rabb era ormai andato, inebriato dal profumo di vaniglia sprigionato dalle candele e preso totalmente dalla contemplazione della meravigliosa creatura che stringeva fra le braccia.

“Sarah, sei così bella” le sussurrò, prima di accarezzarle di nuovo il volto, scendere sulle spalle, sfiorarle i seni e appoggiarle le mani sui fianchi. Gli sembrava di avere di fronte un’opera d’arte e temeva di romperla se solo l’avesse sfiorata con più forza. Il solo tocco delle sue mani fece rabbrividire Mac, che, senza dire altro, cominciò a sbottonare l’uniforme del suo marinaio. Non era più tempo per le chiacchiere: ora bisognava passare all’azione.

Una volta liberato dalla giacca e dalla camicia, Rabb prese in braccio Sarah e la portò nella sua camera. La depositò in piedi accanto al letto, finì di spogliarsi e fece scivolare il négligé sul corpo di Mac. Le accarezzò delicatamente un seno con i polpastrelli, giocando con il capezzolo, ancora incredulo di fronte alla sua statuaria bellezza, poi la fece stendere vicino a sé e percorse con le labbra lo stesso tragitto tracciato dalle sue dita, lambendo la sua pelle di seta. Si dedicò a lei, ad ogni centimetro del suo corpo, amandola con un misto di venerazione e passione, assicurandosi di non farle male, gemendo di piacere ad ogni tocco delle calde mani di Mac, che seppero restituirgli il godimento che lui stesso le aveva provocato. Raggiunsero l’acme insieme.

In quel preciso istante, quando erano l’uno dentro l’altra, fu come se ogni cosa avesse finalmente trovato il suo posto.

Per Mac, fu come se il caos della sua esistenza avesse appena trovato pace.

Non si era mai, MAI, sentita così appagata con un uomo.

E per Harm fu lo stesso. Aveva avuto ben più di una donna nella sua vita: i suoi occhi cerulei e la sua avvenenza gli avevano spalancato più di una camera da letto di qualche compiacente accompagnatrice, ma anche se finora si era sempre divertito a letto con le sue conquiste, mai aveva provato una sensazione tanto intensa.

Appena ripresero a respirare normalmente, Mac si sollevò su un fianco, sorreggendosi su un gomito, e lo guardò dritto negli occhi: “Harm, ti amo da morire!”

“Sarah, ti amo anche io. L’ho sempre fatto, probabilmente sin dal nostro primo incontro nel giardino delle rose della Casa Bianca. Dovevo solo ammetterlo a me stesso e a te.”

Non togliendo gli occhi l’uno dall’altra, si sorrisero nell’oscurità. Finalmente, dopo tante occasioni mancate, dopo tanti fraintendimenti e complicazioni, dopo essersi rincorsi ed evitati per anni, Mac e Harm si erano svegliati dal torpore e avevano scoperto il vero amore. Poi si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.

La mattina successiva Mac fu la prima a riemergere dall’oscurità del sonno. Il suo precisissimo orologio interno le disse che erano le 6.42 e che mancava poco alla sveglia. Prendendo coscienza di ciò che la circondava, si rese conto di non trovarsi nella sua camera e di avere qualcosa che le impediva di muoversi. Aprendo gli occhi scorse il braccio di Harm appoggiato possessivamente sul suo stomaco. Lui era disteso a pancia sotto e il lenzuolo gli lasciava scoperta tutta la schiena, arrivando a malapena a celare i suoi glutei sodi, che Sarah aveva avuto modo di apprezzare durante i loro incontri notturni. Scrutò con attenzione la figura dell’uomo accanto a lei: era bellissimo. Aveva un fisico da urlo, indubbiamente, ma ciò che l’aveva stupita quella notte era stato il modo in cui avevano fatto l’amore. Giunse alla consapevolezza che proprio questo le era successo: per la prima volta in tutta la sua vita non aveva fatto sesso. Aveva fatto l’amore con l’uomo che amava.

Con delicatezza si liberò dalla presa di Harm, si alzò dal letto e andò in bagno. Fece una doccia veloce e, ritornando in camera, si fermò di nuovo ad osservare il suo marinaio, che aveva cambiato posizione ma continuava a dormire serenamente. Adesso era supino e Sarah indugiò con lo sguardo sul suo profilo greco, sull’ampio torace, sulle braccia possenti che l’avevano stretta nella notte.

Poi cominciò a pensare a cosa avrebbero fatto. Non era ancora pronta a sbandierare la loro relazione ai quattro venti. Ne avrebbero dovuto parlare con il loro superiore, visto che il regolamento non prevedeva che le coppie lavorassero insieme, ma per ora voleva andarci con i piedi di piombo. Non che avesse qualche dubbio: erano adulti, si conoscevano da anni, sapevano a memoria pregi e difetti l’uno dell’altra. E il sesso… oh, quello era andato alla grande. Anzi, era stato un’esperienza mistica.

Miracolosa.

Indubbiamente da ripetere.

E molto, molto spesso.

Mentre il suo cervello si perdeva in queste considerazioni, non smise un secondo di fissare il corpo di Harm. L’oggetto delle sue attenzioni non tardò a svegliarsi. Sbatté gli occhi un paio di volte per mettere a fuoco ciò che aveva davanti a sé e poi un sorriso gli illuminò il volto. “Buongiorno bellissima!” le disse con la voce ancora impastata dal sonno.

“Buongiorno a te, bello addormentato!” gli rispose sorridendo a sua volta e stendendosi di nuovo accanto a lui.

“Come fai a essere così piena di energia?”

“Ho trascorso una notte fantastica con un uomo meraviglioso” gli confessò. “Mi hai fatto volare.”

Rabb cominciò a ridacchiare. Sarah gli rifilò un’occhiata interrogativa e lui spiegò: “Sai, venerdì scorso pensavo che nel fine settimana avrei voluto far volare Sarah. E mi sono chiesto se intendevo l’aereo o tu…”

“Oh, con me ci sei riuscito, Harmon Rabb. Te lo assicuro.”

Harm la strinse a sé e le dimostrò ancora quanto la amasse, nonostante fosse già l’ora di alzarsi per andare al lavoro. Sarebbe arrivato in ritardo e avrebbe beccato la sfuriata di Creswell, ma ne sarebbe valsa sicuramente la pena.

 

Nota dell’autrice

Eccoci giunti al termine di questa storia. Il proposito iniziale di Harm è stato realizzato: ha davvero fatto volare la sua Sarah e chiaramente non si trattava dell’aereo!

Desidero dire grazie, di cuore, a chi di voi ha letto la mia prima avventura da autrice in questa sezione, a chi lo ha fatto in silenzio, a chi ha lasciato una recensione e a chi ha messo la storia fra le seguite, le ricordate e le preferite.

E grazie, come sempre, al mio prezioso angelo custode.

Un abbraccio,

Deb

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