Fabbricati di J85 (/viewuser.php?uid=51008)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forse non è stata una grande idea... ***
Capitolo 2: *** Dentro l'orrore ***
Capitolo 3: *** L'assedio e la salvezza ***
Capitolo 4: *** La fata e il manichino ***
Capitolo 5: *** Incontro con la famiglia di Parf ***
Capitolo 6: *** Lo smarrimento ed il ritrovo ***
Capitolo 7: *** Lo specchio e il bonsai ***
Capitolo 8: *** 5 creature ***
Capitolo 9: *** L'uscita ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Forse non è stata una grande idea... ***
CAPITOLO
1
“Forse non è stata una
grande idea…”
“Forse non è stata una grande
idea…”
Ecco cosa pensava Sara Silvestri
mentre parcheggiava la sua Mini Cooper. Una volta scesa dall’auto, davanti a lei
si ergeva l’enorme fabbricato di cui le aveva parlato Chiara, una sua amica. Si
trattava di un’ex-fabbrica, inattiva ormai da molto tempo. La maggior parte
delle finestre era sfondata, il portone di ferro era macchiato di ruggine, il
muro era scrostato e chiazzato da graffiti volgari di tutti i colori.
Chiara gliel’aveva presentata in
maniera molto diversa. “Ti serve parecchio spazio, no?” le aveva detto.
“Insomma, i saloni da parrucchiera hanno bisogno di belle sale grandi e luminose
e di un sacco di roba. Beh, conosco il posto che fa per te! È fuori città, un
quarto d’ora di macchina procedendo verso nord. La vecchia fabbrica di telai, ti
ricordi? Beh, non ci lavora più nessuno da secoli, ormai. Potresti rilevarla
tu.”
“Ok che a me serve parecchio
spazio, ma questo è davvero troppo!” sentenziò la ragazza.
Quel capannone nero le metteva i
brividi. La zona poi era del tutto isolata, circondata da vegetazione secca.
Tutto era avvolto da un silenzio tombale.
Sara sospirò e chiuse l’auto
“Bene… già che sono qui, diamo un’occhiata dentro”.
La bionda prese un bel respiro
per farsi coraggio e si diresse verso quella che sembra l’unica entrata
dell’edificio.
A tre passi dalla porta, uno
schianto echeggiò per tutto l’edificio. Sara trasalì, facendo un balzo
all’indietro, con il cuore in gola. I dubbi nel proseguire in questa sua
perlustrazione erano sempre maggiori.
“Non prende nemmeno il cellulare”
constatò lei, guardando la rappresentazione grafica di assenza segnale sul
piccolo display.
Alla fine, facendosi più
possibile coraggio, scelse di proseguire.
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Capitolo 2 *** Dentro l'orrore ***
CAPITOLO
2
“Dentro
l’orrore”
Purtroppo la speranza, da parte
di Sara, di trovare dentro il fabbricato un ambiente migliore rispetto a ciò che
aveva trovato fuori, fu subito spazzata via. Infatti, dentro si presentava
ancora più cupo ed orrendo, con ragnatele che decoravano l’ingresso
dell’edificio, che all’interno sembrava ancora più grande.
La nostra protagonista, tutta
infreddolita per il clima presente lì dentro, che pareva arrivarti fino alle
ossa, continuava a maledirsi per essersi imbarcata da sola in quest’avventura,
senza neanche un oggetto contundente con cui potersi difendere da qualcuno… o
qualcosa.
Mentre scrutava con occhi
spalancati da tutte le parti, notò la scritta sopra una porta, “IL DIRETTORE”,
e, incuriosita, si avviò verso questa seconda entrata.
Le due parole non erano
sicuramente stampate ma, anzi, sembravano scritte da qualcuno con la mano non
certo fermissima e, soprattutto, erano scritte sulla superficie un cartone da
pacchi.
Sara vi s’introdusse dentro,
trovandovi il buio più totale. L’unica cosa che si riusciva a vedere era una
massa informe, ma Silvestri pensò che fosse soltanto un inganno ottico
dell’oscurità stessa e non ci fece caso inizialmente.
Quasi senza pensarci, la ragazza
si mise a cercare con la mano sinistra nella parete qualcosa che assomigliasse
ad un interruttore e, dopo tanto tastare, lo trovò, premendolo subito.
Un attimo per abituarsi alla
luce, che non aveva certo una luminosità irresistibile, e si trovò davanti,
nello stesso punto in cui prima aveva intravisto una forma anomala, vi era ora
una montagna pelosa e parecchio puzzolente, che, appena accesa la lampadina,
iniziò ad emettere degli orrendi versi.
La povera fanciulla era
terrorizzata e completamente appiattita al muro, nel contempo non aveva la forza
di tirare uno dei suoi urli, limitandosi a tenere la bocca semi aperta e gli
occhi sbarrati mentre assisteva a quel nauseabondo spettacolo.
Ad un tratto, quella cosa
cominciò a girarsi e, dietro a quella che si rivelò essere un’enorme gobba,
comparì una testa umana, altrettanto enorme, anch’essa piena di peli scuri e
aggrovigliati tra loro. Dopo un attimo di silenzio, quell’essere chiese, alzando
il voluminoso sopracciglio, “Buonasera signorina, posso esserle d’aiuto?”
Sara, dopo un attimo di silenzio,
trovò il coraggio, per rispondere ironica “Mi perdoni ma… penso di avere
sbagliato ufficio… arrivederci!” e nel pronunciare quest’ultimo saluto, la
ragazza si stava voltando verso l’uscita.
Ma, si sa, nelle situazioni
assurde le cose non vanno mai come si vorrebbe e, proprio dietro le spalle della
bella bionda, la voce della bestia tuonò “Dove crede di andare
signorina!!!!!”.
Alla povera Sara toccò fare
dietrofront ed aspettare che l’orrenda creatura parlasse di nuovo: “Come mai è
qui nel Fabbricato?”.
“Fabbricato? È così che chiama
questo posto?” si chiedeva mentalmente la ragazza, mentre escogitava anche una
risposta accettabile per quella follia.
alla fine scelse di dire
solamente le cose come stavano “Beh… a dir la verità sono qui per visionare
l’impianto…”.
“Ah, capisco”, l’orco era più
ragionevole di quanto sembrasse “Lo vuole sapere come siamo arrivati qui io ed i
miei colleghi?” chiese infine.
Altri pensieri comparivano nella
psiche di Sara: Che significa questa domanda? Che intende con “suoi colleghi”?
Perché non sono rimasta a casa?!
Senza neanche aspettare la
risposta della giovane donna, l’energumeno iniziò “Vede signorina, deve sapere
che noi creature della notte, fino a poco più di un secolo fa, dominavamo
incontrastati in questo territorio, tutti ci temevano e stavano alla larga da
questa zona” a questo punto Sara, inspiegabilmente, cominciò ad interessarsi al
racconto “Poi la… come si chiama? Ah sì, la scienza rese più sicuri e cattivi
gli uomini. E noi, povere creature, fummo costrette ad abbandonare i nostri
domini per rifugiarsi nei boschi o in qualunque altro posto dove poter stare al
sicuro”.
Nel terminare questa frase,
l’orco rimase immobile con gli occhi chiusi, quasi a rimembrare ciò che aveva
appena descritto. Fu allora che Sara commentò “Però… signore… vedo che a lei non
è andata molto male, per quanto riguarda il rifugio”.
L’interpellato riaprì gli occhi,
mostrando le sue pupille scure, e rispose “Beh… sì, devi sapere che io e gli
altri abbiamo lasciato giusto una settima fa il nostro bosco-rifugio, venuti a
sapere dell’esistenza di questo paradiso incontaminato, anche perché il nostro
bosco-rifugio stava venendo a poco a poco distrutto dall’uomo, senza che noi
sapessimo perché”.
A questa rivelazione, la ragazza
ricordò tutte le lezioni scolastiche in cui venne affrontato, come argomento
principale, il disboscamento, le gravi conseguenze che esso crea e le cause
idiote che hanno portato a questa situazione. Ma quello non era il momento di
pensare a tali argomenti, visto che stava affrontando un’incredibile avventura
proprio ora.
“Ma perché allora non vi siete
difesi come ai vecchi tempi?” chiese lei.
“Perché l’uomo usava contro di
noi oggetti che facevano molto male!”.
“Ma certo! Le armi! Perché non ci
ho pensato prima!” rifletté tra sé e sé.
Dopo un momento di pausa, a Sara
tornò in mente la scritta sopra la porta e domandò “Perché allora lei è “Il
Direttore”?”.
“Semplice, perché l’ho deciso
io!”.
Stupefatta da quella risposta
ingenua, la testa di Sara era ora un enorme uragano, con una moltitudine di
domande da poter fare a quello scherzo della natura, ma la giovane temeva
l’innervosirsi di quell’energumeno ad una di queste domande e tentennò.
La creatura, in cuor suo, se ne
accorse e pronunciò la sua prima domanda rivolta alla bionda “Tu invece chi sei?
Come ti chiami?”.
Dopo un attimo di smarrimento lei
rispose “Ah… io mi chiamo Sara e… beh ero venuta qui perché mi avevano detto che
questo posto era abbandonato ed io… insomma… volevo farlo diventare il mio
negozio…”.
Una delle cose più difficili in
natura è forse spiegare qualcosa ad un orco, poiché ad un enorme testa, causata
più che altro dallo loro intera fisionomia, non è collegato un cervello di
altrettante dimensioni: questa sarà la prossima lezione imparata da
Silvestri.
“Quindi tu tagli i capelli delle
altre persone per mangiarli!”.
“No le taglio e basta!”.
“E per farci cosa?”.
“Niente! Li butto via!”.
“E questo ti fa sentire
felice?”.
“Beh… sì, in un certo senso sì.
Poi se aggiungi il fatto che vengo pagata per questo, mi da ancora più
soddisfazione…”.
“E perché ti devono pagare per
farsi tagliare i capelli?”.
“Perché sono una parrucchiera
all’ultimo grido!” ogni tanto la piccola Sara era presa da questi lampi di
superbia, seppur in maniera umoristica.
La discussione andava avanti da
un buon quarto d’ora. La ragazza si era ormai abituata alla compagnia di
quell’essere, di cui aveva sentito parlare solo nelle favole della buonanotte
per bambini.
Ad un tratto, si cominciò a
sentire un lamento disumano per tutta la stanza e Sara si ritrovò di nuovo
appiattita al muro ad urlare “Che cos’è questo verso?”.
“Non avere paura” la
tranquillizzò il mostro “è solo mio figlio…” e, detto questo, si girò con grande
lentezza, ad afferrare qualcosa con la sua enorme mano.
Sara provò a sbirciare, ma era
una cosa quasi impossibile, visto che la gigantesca figura dell’orco occupava la
maggior parte dei metri quadrati della stanza e, rinunciatovi, aspettò il
ritorno del “Direttore”.
Mentre era ancora in fase di
rotazione verso la sua ospite, portò la sua mano sinistra vicina alla ragazza
che, una volta aperta, vi trovò dentro un batuffolo di pelo rossiccio, come
quella dello stesso orco, che si rivelò essere il figlio dell’interlocutore con
cui aveva parlato finora.
Il piccolo, che poi era alto
qualche centimetro più di Sara, assomigliava parecchio al padre, odore compreso,
ed emetteva solamente dei versi disumani.
“Ti presento Grim, mio figlio!”
disse entusiasta la figura gigante.
“Ciao piccolo!” provò ad avere un
primo dialogo con l’essere, Sara.
Il bimbo salutò a suo modo la
ragazza, ma con delle parole che la giovane, pur con tutto l’impegno del mondo,
non riuscì a comprendere.
“Mi sa che gli sei simpatica,
signorina…” disse l’orco, per poter far ritornare Sara il più possibile a
proprio agio, anche dopo questa ulteriore raccapricciante scoperta.
“Beh… è carino, a me piacciono
molto i bimbi piccoli. Pensa che mi è capitato anche di fare da baby sitter,
ogni tanto…” questa affermazione, spudoratamente falsa, era la prima che era
venuta in mente a Silvestri per mostrarsi falsamente felice, alla conoscenza di
quell’orrenda cosa che ora le stava tirando una ciocca dei suoi capelli biondi e
lisci.
“Grim… comportati bene!” lo
ammonì suo padre per farlo smettere.
Il piccolo ubbidì subito senza
proteste al richiamo dell’ingombrante padre.
Così Sara aveva liberi i suoi
capelli, che controllò velocemente, una volta l’orchino ebbe mollata la presa, e
aggiunse “Grim… che bel nome! Simpatico e breve…”.
“Non lo devi temere, sai? Grim è
un bravo figlio, forse un po’ esuberante alcune volte ma, in fondo, lo eravamo
tutti alla sua età…” questo discorso ricordava a Sara i soliti discorsi fatti
dai genitori per scusare il loro figlio monello.
Poi, guardandoli giocare insieme,
la ragazza si accorse della mancanza di un membro fondamentale per qualsiasi
famiglia, forse anche per quella specie, e non resistette alla curiosità “E sua
madre dov’è in questo momento?”
Al sentire questa domanda, il
bestione si incupì di colpo, mentre Sara pensava che avrebbe fatto molto meglio
a tenere la bocca chiusa per una volta. L’energumeno guardò un attimo il
piccoletto, per poi rispondere “Vedi lei è da un po’ che non c’è più…”
Sara, visibilmente rattristata,
si scusò “Oddio scusami. È colpa della mia curiosità, molte volte parlo prima di
pensare”.
“Non ti preoccupare. La cosa che
mi fa stare sereno è il fatto che, mentre moriva, dava alla luce il piccolo
Grim. Mi chiese di promettergli che mi sarei preso cura di nostro figlio. Il suo
ultimo regalo per me e per il
mondo…” e mentre narrava questo commovente racconto, qualche lacrimona scendeva
dai suoi enormi occhi scuri.
Anche la nostra protagonista
riuscì a stento a trattenere le lacrime, che spingevano agli angoli dei suoi
occhi castani, mentre Grim, a cui suo padre aveva provveduto a tappare le
orecchie, continuava beatamente a giocare con pezzi di materiali vari raccolti
dal pavimento.
Dopo altri attimi di silenzio
Sara ebbe un ironico, vista la situazione in cui si trovava, pensiero che volle
condividere con la creatura che le stava accanto e, sorridendo, gli disse “Ed io
che credevo che gli orchi mangiassero i bambini…” mentre ancora stava osservando
i divertimenti del piccolo Grim.
“Infatti li mangiamo!”.
A questa risposta secca la
giovane sgranò gli occhi e, con una puntina di terrore che si era rifatta viva
nel suo cuore, si voltò chiedendo spiegazioni “Come?”.
Il mostro, che non aveva
minimamente intuito il nuovo stato di agitazione in cui aveva sprofondato la
ragazza, si chiarì “Cioé li mangiavamo…”.
“In che senso li mangiavate?”
chiese l’altra, alquanto incuriosita.
“Devi sapere che i bambini…” nel
pronunciare queste parole, avvicinò ulteriormente il suo enorme capo, come a
rivelarle un grande segreto, in modo tale che in pochi venissero a sapere tale
informazione, “Hanno cominciato a lavarsi!”.
Questa scoperta sconvolgente
lasciò Sara con un’aria sbigottita in volto ma pronta a replicare “Sul
serio?”.
L’orco, totalmente ignaro
dell’ironia che Sara aveva messa in quest’ultima frase, continuò “Sì. Una volta,
i ragazzini erano tutto tranne che puliti; Erano impregnati di fango, sudore e
libertà… quelli di oggi invece… PUAH!”
Quest’ultimo verso dell’orco fu
talmente forte che rimbombò per tutto la struttura.
Una volta terminato l’eco, Sara
continuò ad ironizzare “Sono i tempi che cambiano…”.
“Già!” scosse la testa in maniera
affermativa la creatura.
La ragazza provava sempre più
tenerezza per lo scherzo di natura che aveva davanti, mentre il suo unico figlio
proseguiva nel suo divertimento personale.
“Nonostante questo, noi orchi
siamo ancora abbastanza sparsi in giro per il mondo…”
“Vuol dire che qualche suo
“parente” lo posso trovare anche in altre nazioni?” chiese sorpresa la
bionda.
“Certo!”
“Beh, in effetti, di gente strana
in giro ce n’è tanta, ma francamente non ricordo proprio di aver mai incontrato
un altro orco in giro per la città…”.
“Forse perché non sono tutti
simili a me…”.
“Cioè?”.
“Per esempio, ci sono gli orchi
dei paesi freddi, loro si che sono davvero brutti…”.
“Ah! Loro sarebbero brutti…”
pensava dentro di sé Sara, cercando di non scoppiare in una fragorosa
risata.
“Dicono addirittura che
provengono direttamente dagli inferi. Devono mettere davvero paura se li
incontri…” proseguiva nella sua spiegazione la creatura.
“Un altro tipo, se non ricordo
male, sono gli orchi asiatici. Anche loro sono molto brutti ed hanno il viso
rosso, due corna sulla testa e indossano sempre degli abiti leopardati…”.
“Sono per caso quelli che
chiamano oni?” intervenne lei.
“Sì, esatto! Brava signorina! Mi
fa piacere che anche tu usi il cervello!”.
“Prendiamolo come un
complimento…” bisbigliò appena la Silvestri.
“Poi ci sono anche quelli
americani, che dovrebbero avere la pelle verde e delle antenne al posto delle
orecchie, ma purtroppo non ne so molto di questa specie…” sembrava aver concluso
l’orco, che era tornato ad osservare la sua prole che si trastullava con i suoi
balocchi.
Anche Sara tornò a squadrare
nuovamente il piccolo, se così si può chiamare. Poi gli tornò alla mente il
reale motivo per cui era giunta in quello stabilimento e, soprattutto, non
voleva di certo arrivare alla fine dei suoi giorni con quella particolare
compagnia.
“Beh… si è fatto piuttosto tardi
e visto che, da quanto ho capito, questa struttura non è per niente abbandonata,
mi secca ammetterlo ma devo rientrare a casa” spiegava con voce decisa la
bionda, mentre si affrettava a grandi passi verso la porta.
“Ooooh ma come? Te ne devi già
andar via?” chiese rammaricata l’enorme figura.
“Sì! Purtroppo ho ancora molte
cose da…” ma la ragazza non riuscì a terminare la sua scusa dato che, il piccolo
Grim, le si era avventato addosso cercando di stritolarla in quello che, per
lui, era semplicemente un tenero abbraccio di affetto.
“Lasciala Grim!” gli urlò contro
suo padre.
Ma il figlio continuava
imperterrito a ridere, sballottolando di qua e di là la povera Sara che, stretta
in quella morsa, non aveva nemmeno il fiato per gridare.
“GRIM!” tuonò ancora più forte e
minaccioso il genitore.
A quell’ultimo avvertimento,
l’orchetto lasciò andare la giovane che, per un attimo, rischiò anche di
collassare al suolo.
“Non ci si comporta così con gli
ospiti!” lo ammonì severo l’orco.
Il colpevole stava tornando al
suo angolo, con gli occhi sempre più lucidi e la bazza che traballava
pericolosamente, minacciando un pianto a dirotto.
“Non lo tratti così, è solo un
bimbo…”.
La creatura ruotò nuovamente il
suo enorme capo in direzione della bionda.
“Stai bene?” domandò
preoccupato.
“Sì certo! Mi piego ma non mi
spezzo!” rispose lei che subito raggiunse Grim.
Una volta che gli fu davanti,
accarezzandogli dolcemente la manona, gli disse “Mi ha fatto piacere conoscerti,
Grim”.
Dopo ciò, tornò ad avviarsi verso
l’uscita. Girandosi indietro mentre era ancora in moto, salutò anche il padrone
di casa “Sono felice anche di avere parlato con te!”.
“Anch’io Sara! Torna a trovarci
quando vuoi!” esclamò l’orco, visibilmente commosso da quell’inaspettata
visita.
“Certo, volentieri! Ciao alla
prossima!” concluse sorridendo ai due, mentre chiudeva la porta.
Ora era di nuovo da sola.
Ripensando a tutto quello che le era capitato, la ragazza era quasi tentata di
riaprire nuovamente l’entrata, per controllare se tutto ciò apparteneva alla
realtà.
Ma subito vi rinunciò, scuotendo
vigorosamente la testa. Ora più che mai doveva riuscire a venire fuori dal
quell’assurdo ambiente. Immediatamente però si accorse di una cosa: non riusciva
più ad identificare l’uscita di quel capannone.
Per assurdo, uno strano pensiero
prendeva vita dentro la sua mente: Il Fabbricato la voleva ancora dentro di
lui.
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Capitolo 3 *** L'assedio e la salvezza ***
CAPITOLO
3
“L’assedio e la
salvezza”
L’oscurità predominava su buona
parte dell’ambiente attorno a lei. Inoltre vi era la presenza, a complicare
ulteriormente la deambulazione in quel fabbricato, di vari ostacoli sul
pavimento come cartoni sfondati, pezzi di legno scheggiati, cumoli di fogli di
carta ingialliti ed altri oggetti non meglio identificati. Infine, il continuo
susseguirsi di rumori sinistri, provocava in Sara uno stato di angoscia continuo
ad ogni passo che faceva, unito a repentini giramenti di capo nella direzione da
cui la bionda presumeva provenissero tali suoni.
“Oddio ne ho proprio piene le
palle di questo posto!” sussurrava appena la giovane, preoccupata di non alzare
troppo la voce per non segnalare sua presenza.
Riuscì ad avanzare ancora di
qualche metro, poi si bloccò di colpo.
Questa volta non si era trattato
di un semplice scricchiolio. Sembrava più un sibilo. Un verso animale, forse. Di
certo nulla che si potesse considerare umano.
D’un tratto, gli tornarono subito
alla mente le informazioni dategli dall’orco poco prima. L’intero stabilimento
era infestato da creature del genere. Magari anche peggiori.
Subito dopo fu il turno di un
flashback risalente a qualche giorni prima.
“Interessante! Ma sai per caso il
motivo per cui fu chiuso?” chiese Silvestri.
“Beh,… ora come ora non mi
ricordo bene. Ma immagino sia per qualche crisi economica o roba simile…”
rispose sbrigativamente Chiara.
“Davvero?” la nostra ragazza
rimase dubbiosa.
“Ma sì. Oppure la fabbrica stava
per essere comprata da un gruppo straniero e poi, poco prima di mettere le firme
al contratto di vendita, non se n’è fatto più nulla. Sai come funziona…” disse
l’altra, accompagnando la sua dichiarazione con uno sfarfallamento della mano
destra.
“No! E nemmeno tu t’intendi di
queste cose, scema!” la canzonò Sara.
“Comunque, t’interessa o no la
cosa?” e con queste ultime parole, da parte della sua amica, si concludeva il
flashback mentale.
“Crisi economica… affare con gli
stranieri andato in fumo… fanculo!” continuava ad imprecare la giovane donna,
mentre ci ripensava.
Poi un altro schianto la fece
trasalire nuovamente. Con il suo cuore che, ormai, aveva raggiunto stabilmente
il ritmo di quello appartenente ad un maratoneta.
Di colpo, cominciò a frugare
selvaggiamente dentro la sua borsetta, già un po’ ammaccata dal trattamento che
le aveva riservato poco prima Grim.
“Niente… niente… niente!”
esclamava sempre più forte, mentre proseguiva nella sua attività.
Successivamente, ormai
rassegnata, si fermò. Dopo tutto, pensò, era normale che una ragazza della sua
età non portasse torce elettriche con sé. Rimise le sue mani dentro solo per
controllare il cellulare che, come prima, proseguiva nel segnalare l’assenza di
campo.
“AAAH CAZZO!” proruppe infine con un urlo.
“Cazzo…” si sentì appena.
La bionda sobbalzò nuovamente.
Questa volta non poteva sbagliarsi. L’aveva sentito bene.
Cominciò a roteare tutta su sé
stessa, scrutando nel buio, aiutandosi con la poca luce solare proveniente dalle
finestre presenti nell’edificio.
“Chi c’è?”.
Certo non era il quesito più
intelligente da porre, però la ragazza aveva pensato che, se esisteva un essere
in grado di pronunciare parole, poteva se non altro essere qualcosa di
simil-umano.
“Io mi chiamo Sara. Te chi
sei?”.
“Sara…” fece eco il
bisbiglio.
Dopo fu il più totale silenzio.
Fino a che non iniziò l’assedio.
D’improvviso, una luce si accese
sopra di lei. Sara d’istinto guardò su, nel tentativo di controllare la lampada
che la emanava. Fu grazie a ciò che vide piombargli addosso dall’alto quella
cosa. Fu però soltanto quando lo ebbe davanti al suo viso che ne riuscì a
delineare bene la fisionomia. Si trattava di un esserino dell’altezza massima di
20-22 cm. La sua struttura fisica era pressoché identica agli uomini, nonostante
un naso e, ancora di più, degli orecchi particolarmente pronunciati. Purtroppo
altro del viso non poteva intuire dato che, l’esemplare che aveva davanti,
presentava su di esso una grezza maschera tribale, prodotta molto probabilmente
intagliando un pezzo di cartone. Inoltre, questa nuova creaturina mosse un suo
piccolo braccio, andando ad infilare un suo minuscolo dito in un occhio di lei.
La ragazza, con un riflesso incondizionato, si mise subito una mano sull’occhio
colpito, mentre il suo aggressore saltava via nell’oscurità.
“Brutto stronzo!” ebbe comunque
modo di offenderlo la giovane.
Tuttavia, nel gesto precedente,
Sara era stata costretta a lasciar cadere a terra la sua borsetta. Caduta a pochi
centimetri da lei, il suo accessorio glamour incredibilmente cominciò ad
allontanarsi dalla sua proprietaria.
Silvestri stessa rimase sorpresa
esclamando “Ma cosa?”.
Poi la borsa si sollevò appena e,
da sotto di essa, spuntò la testolina di un’altra creatura simile alla
precedente, soltanto che questa sembrava indossare sulla suo capo una specie di
cilindro fatto proprio su misura. Quest’ultimo, una volta accortosi che l’umana
lo stava osservando, si pronunciò verso di lei con la più classica delle
linguacce, per poi partire di corsa, uscendo dal cerchio di luce presente,
portandosi via con sé la borsetta della donna.
“Fermo! Piccolo schifoso!” gli
sbraitò contro lei, mentre riacquistava la giusta posizione eretta, per poi
partire all’inseguimento.
SSSSSSSSTTTTTTTTTTTTRRRRRRRRRRRRRAAAAAAAAAAPPPPPPPPP!!!!!!!!!!!!!!!
Quel suono, per niente
rassicurante, bloccò immediatamente la giovane. Sentendosi letteralmente
scivolare gli abiti di dosso, Sara si rigirò notando subito, sul pavimento
dell’edificio, una terza creatura, abbigliata con particolari braghe munite di
bretelle, armato di una scheggia triangolare di vetro. Alla fine la t-shirt
gialla che indossava atterrò al suolo, seguita quasi subito dal reggiseno
bianco. Qualche millesimo di secondo per comprendere a pieno la neo situazione e
la bionda si mise ad urlare.
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
cercando di coprire il più possibile con le mani il suo giovane seno.
Nel frattempo, i suoi sgraditi
ospiti si stavano nuovamente organizzando. Questa volta la Silvestri riuscì a
contarne almeno cinque, che si stavano posizionando uno sopra le spalle
dell’altro, a formare una micro piramide umana.
Il più in alto di tutti,
caratterizzato da un costume in stile buffone medievale, non perse tempo e punse
le dita della mano destra di Sara, utilizzando una piccola ma ben appuntita
spada. Una volta che la ragazza ebbe tirato vi la mano, si fiondò sul suo
capezzolo sinistro, cominciando a leccarlo e succhiarlo avidamente, facendolo
diventare in breve tempo turgido.
A quel punto la collera della
bionda esplose. Con un rapido movimento della mano offesa, afferrò quel
mostriciattolo e lo scaraventò dritto nel buio, facendolo inoltre passare, con
millimetrica precisione, tra uno scaffale e l’altro di fronte a lei.
“Fanculo, figlio di puttana!”
ebbe modo di urlargli contro.
Ma gli esserini tornarono alla
carica. Uno del gruppo, di cui la giovane notò soltanto un paio di luccicanti
stivali, con una qualche micro apparecchiatura che Sara non ebbe tempo di
osservare scrupolosamente, cominciò a spruzzare dell’acqua, o almeno sperava che
lo fosse, verso il suo viso. Ciò serviva da diversivo per i suoi compagni che,
grazie all’aiuto di un resistente filo ben teso, riuscirono a far inciampare la
nostra protagonista. Nella caduta la giovane sbatté violentemente la testa sul
pavimento.
Mentre cercava di riprendersi dal
trauma, ebbe la strana sensazione che i suoi piedi uscissero dalle sue scarpe
sportive. Subito dopo ebbe la stessa sensazione con i suoi jeans a vita bassa.
Di colpo, riprese pienamente conoscenza e si accorse che, realmente, aveva perso
i suoi indumenti della parte inferiore del corpo, rimanendo con soltanto le
mutandine addosso. Cosa ben peggiore, le creaturine stavano puntando dirette a
quelle. Nel tentativo di rialzarsi, sbatté con la mano su qualcosa. Voltatasi
per controllare di cosa si trattasse, scoprì che era un asse di legno trafitta
da chiodi arrugginiti.
“Niente di meglio” pensò.
Con un balzo fu nuovamente in
piedi e, proprio davanti a lei, squadrò uno dei suoi rivali mostrargli
volgarmente le terga, in un gesto di sfida universale.
Al grido di “Bastardo!” Sara lo
trafisse con la sua nuova arma. Il sangue del mostriciattolo schizzò in parte
anche sul seno di lei.
Le risatine degli esserini, che
fino ad allora avevano accompagnato come sottofondo musicale tutta la lotta,
cessarono di colpo. Silvestri, con ancora nel pugno l’asta lignea completa di
cadaverino infilzato nei chiodi, puntò i suoi occhi castani sul resto del
gruppo, che si trovava sul pavimento dell’edificio.
“Avanti, chi è il prossimo?” li
sfidò con un ghigno malefico sul volto.
Nel giro di un secondo, i suoi
minuscoli assalitori si dileguarono nell’oscurità da cui erano provenuti.
Portandosi però via con loro i suoi pantaloni.
“Che stronzi, ridatemi indietro i
miei jeans!” inveì inutilmente la bionda.
“Fai silenzio puttana!”.
Questa volta la voce era stata
ben chiara, oltre che volgare, e di certo non poteva essere riconducibile a
quegli esserini malefici che erano appena battuti in ritirata. Ricordava
decisamente di più una voce umana femminile, forse una donna di mezz’età, dato
il timbro vocale.
Tornato il silenzio, Sara si
accorse di lievi ticchettii che, ritmicamente, provenivano dal buio del
fabbricato. Cercò dunque, nonostante il suo evidente stato di deshabillé, di
seguire quella minima emissione sonora.
Dopo innumerevoli minuti di
cammino nell’oscurità più totale e, nonostante ciò, tenendosi la mano destra ben
premuta a coprirsi il seno, la ragazza notò un bagliore luminoso di fronte a lei
e, più si avvicinava ad esso, più quel sinistro ticchettio si faceva sempre più
forte. Quando ormai era a pochi metri dalla luce, iniziò a vedere delinearsi dei
profili ben precisi. La luminosità proveniva da una lampada poggiata sopra una
scrivania da ufficio.
“Un attimo e sono subito da
lei”.
La bionda sobbalzò a
quell’affermazione improvvisa. Subito diresse lo sguardo nella direzione da cui
era provenuta la voce. Di fronte a sé trovò una signora, decisamente sulla
quarantina abbondante, con in testa tanti capelli ispidi e corvini, tenuti in
ordine alla bene e meglio con una miriade di mollette e laccetti. Davanti ai
suoi occhi scuri portava degli occhiali con la montatura in tartaruga. Questa
nuova figura era del tutto presa da calcoli astratti, picchiettando sui tasti di
calcolatrici, sia da tavolo che tascabili, presenti in grande quantità sopra la
scrivania.
“Co… Come scusi?” Silvestri era
ancora sorpresa da questa singolare apparizione.
A tale quesito, la donna sbatté
seccata i palmi delle mani sul ripiano “Le ho appena detto che sarò su…”
interruppe la frase, appena alzò la testa verso la giovane “Ma come si è
conciata, signorina?”.
“Vede… ” iniziò Sara, cercando di
riacquisire naturalezza nel suo atteggiamento “Ho avuto una disavventura con dei
mostriciattoli che si trovano qui dentro…”.
“Non m’interessano le sue
scusanti, signorina, mi dica lei se le pare un abbigliamento idoneo per
presentarsi in un ufficio?”.
“Di che ufficio sta parlando?” la
ragazza era sempre più sorpresa.
“Dove pensa di trovarsi in questo
momento, signorina? In un ippodromo? E cosa pensa che stia facendo io in questo
momento? Sto giocando a ping-pong? Eh?” proseguiva la megera.
“Ma… ma questo edificio è
abbandonato da secoli!”.
“Io penso piuttosto che dovrebbe
essere lei, signorina, ad abbandonare questo ufficio, data l’enorme perdita di
tempo che mi sta facendo subire in questi minuti!”.
“Ehi, un momento, ma chi si crede
di essere? Chi è lei?” domandò infuriata Sara.
“Eh no signorina! Piuttosto chi
crede di essere lei!? Io mi chiamo Tiziana e lavoro part-time come contabile in
questo fabbricato da molto più tempo di lei, sa?” si presentò infine la
signora.
“Oh bene! Io sono Sara Silvestri,
piacere, ed ero venuta qui per acquistare questa baracca e farne un bel salone
per parrucchiere” la guerra ormai era iniziata.
“Ma come si permette? E poi via…
andiamo… signorina… non penserà seriamente che la nostra ditta le cederà il
nostro immobile per farne un misero negozio da barbiere”.
“Parrucchiera”
“Quello che è. Ma poi, mi scusi
se mi permetto, ma non credo che lei sia la persona più adatta a dare consigli
di stile a chi che sia…” indirizzò una nuova frecciatina critica alla sua
nudità.
“Ma cos’è scema o cosa? Le ho già
spiegato che sono state quelle creaturine del cazzo a fregarsi i miei vestiti, e
per fortuna che sono riuscita a tenermi le mutandine…”.
“Innanzitutto non si permetta mai
più in vita sua di offendermi! Non è di certo nella posizione più adatta per
farlo! In secondo luogo, non nutro il minimo interesse nel conoscere ciò che le
è capitato. Si fidi signorina che c’è gente che se la passa molto peggio di
lei!”.
“Perfetto. Ora comincerà a
parlarmi di quanto è difficile andare avanti potendo contare sulle proprie sole
forze, avendo poi solo uno stipendio part-time come sostegno economico perché
poi, sicuramente, una come lei non potrà di certo avere un compagno nella
propria vita sentimentale…” proseguiva, sempre più velenosa, Sara.
L’altra donna serrava sempre di
più la mascella, mentre coi pugni chiusi si appoggiava pesantemente al ripiano
della scrivania. E poi infine proruppe “Ma come ti permetti, troietta schifosa,
di criticare in questa maniera la mia vita? Cosa ne può sapere una zoccola come
te, con il corpo ed il viso che ti ritrovi, di quanta fatica ha fatto una come
me per ritrovarsi dov’è ora?”.
“Ehi stronza! Intanto smettila di
offendermi come se fossi una maiala qualsiasi” presa dalla foga, la bionda si
era imputata ella stessa con le mani sul ripiano della scrivania, lasciando le
sue tette a sobbalzare di fronte a lei. Accortasi di ciò, si ricompose e
proseguì “Io non stavo certo parlando del tuo aspetto fisico…”.
“Cosa vuoi dire?” domandò
l’altra.
“Mi riferivo al tuo carattere.
Insomma, capirai anche da te che non è certo il più semplice e affabile del
mondo…”.
“Beh carina, se vuoi sopravvivere
a questo mondo, devi formarti il carattere come il mio… ma questo una come te
non può certo capirlo”.
“E perché? Perché sono carina?
Riesci a capire cosa vuol dire che qualsiasi esemplare maschile di essere umano,
anche quello che magari sembra più innocente, se ti guarda automaticamente
pensa, anche se solo per qualche millisecondo, a come sarebbe bello
scoparti”.
“Mi dispiace signorina, ma io di
questi problemi non ne ho mai avuti”.
“Comunque non è una scusa per
potermi trattare come una zoccola ritardata”.
“Benissimo. Comunque la informo
che al momento siamo al completo e, è di questo ne sono certa, non abbiamo
alcuna intenzione di vendere il nostro immobile a potenziali compratori”.
“Non si preoccupi, dato che sto
seriamente pensando di abbandonare l’idea di acquistare questo immobile”.
“E allora come mai si trova
ancora nel nostro stabilimento?”.
“Perché, semplicemente, non
riesco più a trovarne l’uscita” rispose con tono seccato Sara.
L’altra donna, senza scomporsi
minimamente, insinuò “Non riesce o non vuole?”.
“Cosa intende dire?”.
“Beh, magari, ha ancora degli
affari in sospeso qua dentro, signorina”.
“Certo. Ad esempio ritrovare il
mio reggiseno…”.
“In fondo, non penso che le
dispiaccia mostrare un po’ delle sue generose forme…”.
“Ma mostrare a chi? Siamo solo
io, lei, quei bastardi di nanetti…”.
“Folletti”.
“Quello che sono! Ah! Non
dimentichiamoci dei due orchi nell’ufficio del direttore…”.
“E lei crede che siamo tutti
qui?”.
“In che senso?”.
“Signorina, il fabbricato è bello
grande…”.
“Oh mio dio! Ma chi me l’ha fatto
fare!” imprecò infine la bionda.
Dopo questo prolungato scambio di
battute, il silenzio piombò sulle due donne. Poi a Sara tornò alla mente
qualcosa detto in precedenza dalla contabile.
“Scusa se ti disturbo ancora… ma
prima avevi detto che lavori qui part-time?”.
“Sì esatto, è proprio così”.
“E come altro lavoro cosa
fai?”.
“Sono una strega”.
A quest’ultima affermazione, Gli
occhi castani di Silvestri si spalancarono. E poi fu nuovamente il silenzio a
farla da padrone.
La ragazza era ancora basita
della precedente risposta quando chiese “Ehm… posso farle un’ultima
domanda?”.
“Certo, basta che poi mi lascia
lavorare”.
“Come hai fatto di preciso a
diventare strega?”.
“Semplice, per
corrispondenza”.
“Davvero?”.
“Certo. Ho la scopa parcheggiata
qua fuori”.
Lo sguardo basito di Sara fece
intuire alla donna che aveva infine compreso la sua personale ironia.
“Posso farti proprio
un’ultimissima domanda?” ruppe nuovamente il silenzio la biondina.
“Oh signore!” alzò gli occhi al
cielo Tiziana “Ok però deve essere davvero l’ultima, signorina”.
“Se sei davvero una strega…”
domandò, facendosi passare la lingua sulle labbra “non potresti farmi riavere i
miei vestiti con la magia?” il tutto mentre continuava a coprirsi il seno,
tenendo incrociate le braccia.
“Certo, è semplicissimo” e con un
rapido movimento della mano sinistra pronunciò “Elata spic”.
La ragazza seminuda, d’un tratto,
sentì il contatto del proprio avambraccio con del tessuto. I suoi vestiti erano
tornati.
“Oh cazzo! Ma allora sei davvero
una strega!” esclamò sorpresa lei.
La contabile non la degnò nemmeno
di una risposta, ma anzi riprese con il picchiettare sui tasti della
calcolatrice.
“Certo che ora il reggiseno mi
sta un po’ stretto…”.
“Almeno non potrai togliertelo
con facilità”.
Dopo quest’ultima frecciatina
ironica, Sara Silvestri decise di proseguire con la sua odissea “Grazie di tutto
Tiziana”.
L’altra nuovamente non proferì
parola, ma piegò leggermente la bocca in un timido sorriso.
Così la nostra protagonista,
tornata ad indossare completamente degli abiti, s’incamminò verso una nuova
direzione, leggermente illuminata dalla lampada di Tiziana.
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Capitolo 4 *** La fata e il manichino ***
CAPITOLO
4
“La fata e il
manichino”
Sara continuava il suo percorso
nel buio, seguendo una direzione di cui nemmeno lei era sicura. Anche la
postazione di Tiziana era ormai sparita nel nulla alle sue spalle. D’un tratto,
come in soccorso della biondina, una piccola sfera di luce azzurrognola cominciò
a rischiarare l’ambiente.
“Però, questa mi può far davvero
comodo…” pensò tra sé Silvestri, mentre si avvicinava ad essa.
Ma il globo di luce, quando la
ragazza non lo distanziava che di pochi passi, iniziò a muoversi, lì per lì
facendo anche sobbalzare la nostra protagonista. Prima si diresse per circa un
metro in linea retta poi, quasi volesse tornare indietro, proseguì in linea
obliqua, guadagnando qualche centimetro in altezza.
Tornata nuovamente immobile, Sara
cercò di allungare la sua mano destra verso quel bagliore. Ma, proprio in quel
momento, la lucina sembrò come impazzita. Infatti cominciò a spostarsi a gran
velocità prima dal basso verso l’alto, poi da sinistra verso destra. Sembrava
come se qualcuno si stesse divertendo utilizzando una torcia elettrica, con Sara
Silvestri nella parte del gattino che tenta inutilmente di afferrare il
cerchietto luminoso.
Sara tentò in tutte le maniere di
stare dietro, con i suoi occhi castani, alle sempre più rapide evoluzioni della
luminescenza, finché non sbottò.
“Ora basta!”.
Come un monello cattivo appena
rimproverato, la sfera azzurra si bloccò di colpo.
La giovane sembrò
tranquillizzarsi, mentre si avvicinava nuovamente ad essa. Ad ogni passo, però,
le sembrava di sentire come un lieve singhiozzio.
“Chi c’è? Chi è che sta
piangendo?” domandò d’istinto Sara.
Come d’incanto, si fermò anche
quello. La cosa che però la preoccupava di più era che sembrava in tutto e per
tutto il pianto di un infante. O almeno così sperava.
Sara tornò a fissare il piccolo
globo luminoso, questa volta però percependo una presenza nelle vicinanze.
“Scusami se prima ho gridato…”
provò un nuovo approccio l’umana.
Il bagliore reagì illuminandosi
un pochino di più. Fu solo allora che la ragazza notò qualcosa d’interessante.
Sotto a quella specie di lucciola azzurra, vi era come un sostegno, o per lo
meno parte di esso, su cui si rifletteva la luce emanata. A prima vista poteva
sembrare un piccolo bastone.
“Io mi chiamo Sara e sono venuta
qui per dare un’occhiata a questo fabbricato…” si presentò, speranzosa in una
qualche reazione.
La luce s’illuminò ancora di più
e allora la giovane donna riconobbe subito che, sotto di essa, non vi era un
bastone, ma bensì un minuscolo braccio. Di certo questa scoperta non fece
particolarmente piacere alla bionda che si ritrasse di scatto. Intanto la luce
aveva iniziato ad abbracciare, con il suo fascio luminoso, anche un volto. Con
un crescente sgomento, Sara notò che si trattava di un viso minuscolo,
ovviamente in proporzione con il braccio, simil-umano, se non fosse per
l’estrema spigolosità del mento, quest’ultimo piuttosto pronunciato, e le
orecchie di elfica forma a punta. D’istinto la catalogò come forma femminile,
forse per l’innocenza che vedeva traspirare da due piccoli occhi a mandorla.
Infine notò che la stessa pelle della creaturina aveva un colore azzurro chiaro,
anche se risaltava molto grazie alla luce del bagliore.
Silvestri, senza neanche
pensarci, s’inginocchiò accanto all’esserino, tenendo sempre il suo braccio
destro proteso in avanti. Inizialmente questo nuovo ospite sembrava dubbiosa,
sempre che si trattasse di una femmina, verso la sua nuova conoscenza poi,
passato qualche attimo, sembrò ella stessa avvicinarsi titubante alla
ragazza.
Sara, in tutta risposta, le
sorrise dolcemente, come poche oltre lei sapevano fare. Questo sembrò fare molto
piacere alla creatura che, senza alcuno sforzo, fece irradiare un gran bagliore
dalla sua sfera magica. In questo modo la ragazza ebbe modo di vedere il resto
del suo corpo, altrettanto minuto e grazioso. Ormai le due erano molto vicine
tra di loro e, con grande sorpresa dell’umana, la creaturina le stava porgendo
il suo globo luminoso. Solo allora notò che la sfera non si trovava esattamente
tra le mani minute dell’esserino, ma fluttuava qualche centimetro sopra di esse.
Per qualche secondo si trasferì anche sopra quelle di Sara per poi,
improvvisamente, esplodere come fosse una bolla di sapone.
Ripiombati nuovamente
nell’oscurità, la giovane riconobbe subito la risatina divertita dell’esserino
che, una volta terminata, ricreò dal nulla un nuovo globo illuminante. Al che,
anche la bionda era piuttosto divertita da tutta la sua nuova situazione.
La creaturina allora, presa
dall’euforia, iniziò a danzare, con la sfera di luce che ritornò a fare i
movimenti repentini eseguiti in precedenza. Sara, sempre più attratta da essa,
riprese a seguirla nei suoi spostamenti sempre più verso destra. Di colpo, un
rumore improvviso emesso da sinistra attirò l’attenzione della bionda che,
completamente abbagliata, fu colpita da un raggio di luce solare proveniente,
molto probabilmente, dall’esterno. Lo stesso fascio andò a colpire diretto anche
l’esserino. Grazie a ciò, Silvestri riuscì a scrutare per bene la creatura
azzurrina che, una volta emesso un terribile grido di dolore, si liquefò, come
fosse la strega malvagia dell’ovest dal “Mago di Oz”.
Dopo quanto accaduto, la giovane
donna rimase bloccata ad osservare quella minuscola pozzanghera sul pavimento.
Ancora non riusciva a capacitarsi di ciò che era appena accaduto.
“Ma cosa? Ehi, piccolina?” tentò
di chiamarla accucciandosi più vicina possibile a quel liquido “Ci sei,
piccolina? Rispondimi!”.
“Non può farlo, è morta”.
Sara fece un vistoso scossone, a
causa di questa voce improvvisa, voltandosi verso la direzione da cui
proveniva.
“Cosa?” domandò preoccupata.
“Era una fata delle fontane”
riprese la voce, questa volta accompagnata anche dal rumore di passi leggeri “la
luce del sole le uccide”.
La bionda era sempre più sulla
difensiva mentre, a poco a poco, il raggio solare andava ad illuminare il suo
nuovo interlocutore. Quest’ultimo sembrava in tutto e per tutto un manichino da
grandi magazzini. Il suo abbigliamento, fatto perfettamente su misura,
consisteva in calzoni di velluto bianchi, camicia di jeans scura, sopra di essa
vi era un gilet marrone scuro e, per finire, sul collo aveva annodato un papion
rosso, cosparso di piccoli cerchi verdi. Il suo viso era caratterizzato da vispi
occhi dipinti di marrone e capelli plastificati del medesimo colore.
“Ciao, piacere di
conoscerti”.
Sara, nonostante dovesse essersi
abituata a quegli strani eventi, eseguì un grande balzo all’indietro e cacciò un
forte urlo di spavento.
L’essere di plastica, come
qualsiasi umano avrebbe fatto, si portò di scatto le mani sulle orecchie.
“Ehi! Se urli così mi perforerai
i timpani!”.
La bionda, di nuovo avvolta
dall’oscurità, tentava di riprendere fiato mentre, come le capitava spesso, la
curiosità cominciò ad insinuarsi dentro di lei “C-che co-cosa sei?”.
La creatura artificiale si mosse
nel buio più totale per raggiungere qualcosa. Premette l’interruttore e una
lampadina rischiarò l’ambiente con la sua tenue luce. Grazie ad essa Silvestri
constatò quanto aveva visto poco prima, attraverso il raggio di luce solare che
aveva ucciso la fatina.
“Io, cara signorina, come potrai
facilmente intuire osservandomi, sono un manichino vivente!” le rispose
cordialmente lui.
“Un manichino vivente?” domandò
sempre più perplessa lei.
“Esatto! Sono nato come qualsiasi
manichino poi, all’improvviso, dei sentimenti hanno cominciato ad insinuarsi nel
mio corpo di plastica. Forse provenienti dalla cura della persona che mi ha
creato, oppure dall’amore della commessa che mi vestiva con gli abiti che aveva
all’occorrenza”.
Sara ascoltò colpita il racconto
del suo nuovo interlocutore “In effetti, avevo sentito che certe religioni
credono in queste possibilità…”.
Il volto plastificato,
caratterizzato da un immobile sorriso, parlò nuovamente “Sono contento che
qualcuno sia venuto finalmente a farmi visita, meglio ancora se si tratta di una
bella ragazza come te! Per curiosità, posso sapere come ti chiami?”.
“Mi chiamo Sara, Sara Silvestri.
E te? Hai per caso un nome o qualcosa di simile?”.
“Oh beh se vuoi, per metterti a
tuo agio, puoi semplicemente chiamarmi manichino vivente. Anche se, ultimamente,
mi piace essere identificato come Leroy”.
“Leroy?”.
“Sì esatto. Sai, sono nato in
Inghilterra…”.
“Ok, Leroy…” accettò la bionda
ripensando, d’un tratto, a quanto avvenuto poco prima “Prima hai detto che
quella creaturina era una fata delle fontane, giusto?”.
“Sì infatti, sono spiritelli
formati d’acqua che, purtroppo, quando vengono a contatto con i raggi solari, o
altre fonti di calore, si sciolgono per diventare semplici pozzanghere”.
“Davvero?” chiese rapita la
giovane donna.
“Certo! Hai presente quando trovi
per strada delle inspiegabili pozzanghere isolate?”.
“Mmm, in effetti…” ci pensò su
lei.
“Ora che ci penso…” riprese il
filo del discorso Leroy “Cosa ci fai qui dentro il Fabbricato?”.
“Ah… dunque…” Sara dovette fare
un attimo mente locale “Sono qui perché ero interessata a farne un negozio da
parrucchiera… ma a quanto pare questo capannone è più occupato di prima!”.
“Peccato, mi sarebbe piaciuto
farmi fare un nuovo taglio di capelli! ahahahah” rise di gusto il manichino,
pensando all’impossibilità di quanto detto.
“Bah non dire così Leroy! Il tuo
taglio attuale è molto alla moda!” ci scherzò su anche l’umana.
“Certo, per essere un manichino
sono piuttosto richiesto…” verso la fine dell’affermazione, nella voce magica
comparse un velo di tristezza.
“Cos’hai Leroy? Non dirmi che non
ti piace la tua situazione?” la biondina aveva già intuito tutto.
L’interpellato alzò nuovamente la
testa “E come potrebbe piacermi, Sara? Anche se provo dei sentimenti umani, la
plastica non potrà mai sostituire la carne!”.
“Sono i sentimenti a fare l’uomo
e non la pelle! Ci sono persone che hanno in corpo più plastica che carne,
eppure riescono ad amare di più rispetto a gente che è solo carne ed ossa”.
“Certo, è vero. Ma so che il
calore emanato da un vivo abbraccio non potrà mai superare un freddo abbraccio
di plastica”.
“Il calore deve prima di tutto
provenire dal cuore, Leroy. Che poi la tua pelle sia fredda o calda, credimi,
non ha importanza!”.
I due si scrutarono intensamente
negli occhi, o almeno così sembrò a Sara.
“Francamente non so se il mio si
possa considerare amore, ma di certo una volta provai un sentimento che gli si
avvicinava molto” esordì nuovamente il fantoccio.
“Davvero? E con chi?” domandò
curiosa la ragazza.
“Si trattava di un manichino da
vetrina che arrivò qui verso la fine degli anni ’70. Oppure era l’inizio degli
anni ’80?” si chiese dubbioso l’uomo di plastica.
“E com’era fatta? Era
carina?”.
“Era stupenda! Con il suo candido
bianco…”.
“Candido bianco?”.
“Sì, lei era un manichino meno
dettagliato rispetto a me. Ma quel suo candido bianco, unito alla sua splendida
linea corporea, creavano un fascino a cui era impossibile resistere!” la voce di
Leroy tornò a brillare.
“Sicuramente è meglio di uno
spaventapasseri. Ma sei riuscito a parlarci?” Silvestri era sempre più rapita da
questa fantastica storia.
“Beh, sì. Anche se ho dovuto
aspettare un po’, da quanto ero sconvolto la prima volta che la vidi arrivare in
questo fabbricato”.
“Ti capisco…” annuì la
bionda.
“Decisi di chiamarla Snow”.
“Come mai Snow?”.
“Per il suo colore,
ovviamente”.
“Ah, giusto!”.
“Dopo un po’ di tempo, sono
riuscito anche a farmi concedere un appuntamento con lei!”.
“Ma dai! E com’è andata?”.
“E’ stata una delle notti più
romantiche che si possano mai immaginare…” proseguì nel racconto, con tono
sognante “Quando tutte le operaie erano tornate a casa, uscimmo silenziosamente
da una finestra sul retro con la chiusura difettosa…”.
“Però! Quest’informazione
potrebbe tornarmi utile… se solo sapessi dove sia il retro in questo luogo al di
fuori del mondo!” pensò Sara, mentre ascoltava il resoconto del manichino.
“Camminando tenendoci mano nella
mano, anche se non potevamo stringerle, arrivammo ad un laghetto che, a quel
tempo, era qui nelle vicinanze”.
“Figurati! Io non sapevo nemmeno
che ci fosse un lago in queste zone” rimuginò la giovane.
“Fu proprio in quell’occasione
che conoscemmo le fate delle fontane le quali, grazie ai loro piccoli globi
luminosi, diedero a tutto l’ambiente un’aria ancora più magica…”.
“Che bello! E vi siete anche
baciati?” ormai la curiosità aveva preso il sopravvento nella mente della
ragazza.
“Beh…” rispose lui con una voce
alquanto imbarazzata “direi di sì, per quanto sia possibile a due oggetti
inanimati come noi…”.
“Non dire così Leroy…” poi Sara
decise di porgli ciò che temeva essere uno scomodo quesito “Senti Leroy, forse
farei meglio a non chiedertelo, ma… come mai fino ad ora hai sempre parlato al
passato?”.
“Perché Snow, purtroppo, non è
più qui tra noi” rispose senza emozioni l’essere artificiale.
La giovane donna sentiva già la
commozione afferrargli la gola “Cos’è successo?”.
“Una sera, qui dentro il
fabbricato, sono entrati dei vandali…”.
Già soltanto quelle poche parole
misero l’ansia nel cuore di Sara.
“La mia speranza, una volta che
capii che erano entrati nel fabbricato, era che non si accorgessero della mia
amata, piuttosto che riversassero la loro rabbia su di me. Per un po’ si
dilettarono in altre attività. Poi si accorsero di lei…”.
“Oddio” sospirò la ragazza,
mentre continuava ad ascoltare silenziosamente l’accaduto.
“Avrei dato qualsiasi cosa perché
rovinassero me e non lei, ma la vita non ti permette certe scelte”.
“E te non potevi intervenire?
Certo, facendo così avrebbero scoperto il tuo segreto ma, a quel punto, cosa ti
sarebbe importato?”.
“Ero rinchiuso dentro un
magazzino e potevo solo assistere da una finestrella sulla porta. Ed è quello
che feci. Mentre la sporcavano simulando su di lei posizioni indecenti,
continuavamo a guardarci negli occhi. Sono sicuro che, con la mente, eravamo di
nuovo insieme al laghetto. Sotto lo sguardo silenzioso della luna, con attorno a
noi le luci delle fate delle fontane ad abbracciarci”.
“Ma quei bastardi poi che fine
hanno fatto?” domandò Silvestri, con le guance rigate da lacrime amare.
“Dopo aver concluso il loro
lurido spettacolo, hanno deciso di staccarle la testa ed un braccio, come
reliquie della loro infima impresa”.
D’istinto, la giovane donna poso
una mano sulla spalle fredda di lui.
“Avrei preferito sciogliermi con
tutta la mia inutile plastica, piuttosto che continuare a vivere una vita senza
di lei, vuota” concluse infine il manichino.
“Mi dispiace Leroy” disse
singhiozzando Sara.
“Ma sai perché ho deciso di
continuare a vivere? Perché voglio essere la testimonianza del nostro amore,
dentro questo assurdo fabbricato. Spero che anche Snow la pensi così…”.
“Ne sono certa, Leroy” lo
assicurò la bionda.
L’umana ed il fantoccio furono
avvolti dal silenzio che il mondo aveva creato attorno a loro.
“Ciò che resta del suo corpo non
è più qui?” chiese la giovane.
“No. Ho ritenuto che fosse
inutile tenerlo qui con me. Lei era scomparsa insieme al suo splendido viso” fu
la risposta di Leroy.
Improvvisamente, la creatura
voltò la sua testa di plastica verso Sara “Nonostante questo, sono felice che,
tra voi esseri umani, ci sia anche gente splendida quanto lo era Snow”.
“Ti ringrazio Leroy, per me è un
piacere aver conosciuto una persona speciale come te” gli disse sorridendo
Sara.
“Beh persona… non esagererei così
tanto… preferisco rimanere un semplice manichino”.
“Credo che quello non lo sei mai
stato, Leroy, ma, anzi, può darsi che, un giorno, potresti essere la sola ed
unica speranza dell’umanità”.
“Cavolo! Ora stiamo proprio
andando nell’assurdo” commentò ridacchiando lui “Se non altro potrei salvare il
mondo utilizzando la mia breakdance!”.
“Davvero? Te la cavi bene?”.
“Non mi lamento… vuoi
vedere?”.
“Oh sì! Assolutamente!”.
Il manichino vivente non se lo
fece ripetere due volte e, con grande sorpresa da parte di Sara Silvestri, le
mostrò davvero una grande abilità in questo complesso stile di ballo, cose da
far impallidire un esperto b-boy.
Alla fine dell’esibizione, alla
ragazza non rimase che complimentarsi “Sei fantastico Leroy! Ma dove hai
imparato così bene?”.
“Tra le varie persone che hanno
lavorato qui dentro, c’era un apprendista che ne era grande appassionato. Io non
ho fatto altro che guardarlo mentre si allenava per le gare”.
“Però ti giuro che hai davvero
del talento!”.
“Grazie Sara, anche Snow adorava
le mie performance”.
La ragazza non aveva mai sentito
tanto rispetto per una persona come in quel momento. Forse come non gli era mai
capitato con gli essere umani.
Il manichino tornò a fissarla con
i suoi occhi tondi e dipinti dicendole “È giunto il momento che tu prosegua il
tuo cammino Sara”.
La bionda, lì per lì, fu sorpresa
di quest’ultima frase della sua nuova conoscenza, poi annuì con il capo e lo
salutò “Grazie di tutto Leroy”.
“Grazie a te Sara”.
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Capitolo 5 *** Incontro con la famiglia di Parf ***
CAPITOLO
5
“Incontro con la famiglia di
Parf”
L’incontro con Leroy, il
manichino vivente, l’aveva davvero colpita nel profondo.
“Può davvero un amore, che non è
nemmeno umano, superare certe tragedie che, alle volte, uno stesso essere umano
non riesce a superare?” ciò si chiedeva la bionda mentre proseguiva il suo
cammino nell’oscurità, stando ovviamente attenta a dove metteva i piedi.
Di nuovo un altro misterioso
rumore e Sara alzò d’istinto la testa. Tutto ciò che vide fu soltanto tenebra.
Ripartì con la sua marcia senza meta quando qualcosa andò storto.
Nell’effettuare il primo passo, dopo essersi bloccata guardinga, urtò con la
punta del piede destro su qualcosa appoggiato a terra. La rovinosa caduta in
avanti fu inevitabile.
“Aaaahhhh! Oddio che male!”
protestò sommessa la ragazza che, sdraiata al suolo, non riusciva a decidersi se
a farle più male era il capo o il ginocchio, e di quest’ultimo non riusciva a
mettere a fuoco di quale dei due si trattasse.
“Beh, conosco il posto che fa per
te…” nello stato confusionale in cui si trovava, le tornarono in mente le parole
della sua amica Chiara. “È fuori città, un quarto d’ora di macchina procedendo
verso nord…” la giovane Silvestri non avrebbe mai detto che, per cercare di
trovare una semplice bottega da parrucchiera, si sarebbe trovata a vivere un
incubo ad occhi aperti “La vecchia fabbrica di telai, ti ricordi?”. Al momento,
tutto ciò che ricordava, erano
queste parole.
Un potente fischio la risvegliò
di colpo. I suoi grandi occhi castani, ora spalancati, si trovarono di fronte il
buio ormai familiare. Eppure lei era certa di averlo sentito quel suono.
Dopo qualche secondo per
riprendersi, capì che la sua priorità al momento era un’altra: rimettersi in
posizione eretta.
Poggiò i palmi delle mani sul
pavimento umido, per cause su cui non era meglio indagare e, a stento, riuscì a
sollevare il busto e piegare le ginocchia, per ritrovarsi in posizione
rannicchiata. Tenendosi abbracciata alle sue gambe piegate, aspettava che il suo
cranio smettesse di pulsare in maniera esagerata.
Un secondo e più potente fischio
ruppe il silenzio. Questa volta sembrava accompagnato da una sorta di
sbuffo.
Il nuovo spavento per Silvestri
fu notevole quando però, d’un tratto, si accorse di qualcosa. A metterla in
guardia fu questa volta la sensibilità del suo invidiabile fondoschiena. Si
accorse infatti di essere seduta sopra a dei piccoli corpuscoli che, al tatto
delle proprie natiche, le ricordavano decisamente dei sassi. Inoltre, questa
volta constatandolo manualmente, sembrava che, ai lati di essi, fossero state
poggiate delle piccole travi di legno.
Nel cercare di darsi delle
spiegazioni, Sara mosse leggermente la gamba sinistra e, questa volta con il
tacco basso della scarpa, urtò nuovamente qualcosa. Intuì che potesse essere la
stessa cosa che poco prima l’aveva fatta precipitare a terra e, sempre con le
sue dita affusolate, andò ad indagare. Sembravano curiosamente delle sbarre
d’acciaio.
Subito dopo ciò, la ragazza
ricollegò tutti i pezzi del puzzle. Ma, proprio quando era arrivata alla
spiegazione dell’arcano, un fascio di luce la illuminò, facendola sussultare.
Ora sì che quel terzo fischio ululante aveva un motivo: lei si trovava su delle
rotaie e quello che le stava venendo contro era un treno.
Accettando sempre di più
quell’assurda idea, la giovane donna vide comparire, a poco a poco, il sinistro
profilo di quella che le sembrava un’antica locomotiva.
Con l’enorme muso della macchina
ormai completo, sopra di esso iniziò a comparire un comignolo, e da esso
cominciò a fuoriuscire del preoccupante fumo.
Sara, quasi del tutto shockata
dallo spettacolo che le si stava svolgendo davanti agli occhi, sentì la paura
afferrargli l’anima. Subito ridiede potenza ai suoi muscoli corporei per uscire
da quella pericolosa traiettoria. Non riuscì a muoversi di un centimetro. Con la
paura che continuava a salire, era come se qualcosa la bloccasse sulla strada di
ferro. Ora il fumo iniziò a fuoriuscire anche da sotto la motrice e le ruote di
essa, anche se non visibili, fecero sentire la loro attività meccanica.
“Fanculo! Dai alzati! Cazzo!”
furono gli unisci sproloqui emessi dalla bocca della donna.
Ma il corpo sembrava incollato al
suolo, mentre il treno acquistava sempre più velocità verso la sua possibile
vittima.
“AIUTOOOOO!!!!!!!!!!!!!” fu
l’urlo disperato di Sara, sperando che magari Leroy, oppure anche l’orco, la
sentissero. A quel punto accettava una mano anche da Tiziana o da un
folletto.
La locomotiva era sempre più
vicina. Tanto da poterne quasi intuire la marcatura scritta sul davanti. “Nesis.
O qualcosa del genere” constatò nel
panico più totale la giovane.
Con la morte negli occhi, la
bionda notò del movimento dentro la cabina di guida della locomotiva a vapore.
Come un’inquietante visione, da essa spuntò fuori un teschio umano. Attaccato
aveva anche tutto il resto del corpo, agghindato come un vero macchinista, con
annesso cappellino sopra il cranio.
Lo spettro, accortosi
immediatamente della presenza dell’essere vivente, spalancò le fauci in un
ghigno malefico, facendo aumentare la marcia della macchina.
Sara si era infine rassegnata a
subirne in pieno l’impatto. Impatto che puntualmente non avvenne. Il treno passò
attraverso la giovane donna, procurandole un brivido freddo in tutto il corpo.
Mentre ancora il mezzo era in moto, lei cercò di riaprire leggermente gli occhi.
Ciò che vide, oppure le sembrò di vedere, furono tra le più svariate figure
umane evanescenti: da donne con le ampie gonne ad uomini con i giubbotti di
pelle.
Nel giro di qualche secondo,
tutta questa complessa manifestazione extraterrena scomparve, rotaie comprese.
In tutta risposta, i sensi della ragazza vennero meno.
Dopo ore, o forse giorni chissà,
una tenue luce iniziò a rischiarare l’oscurità. Le palpebre di Sara erano ancora
molto pesanti ma la bionda, una volta ricordatasi la sua situazione, cercò di
tenere ben aperti i suoi occhi, per capire dove si trovasse in quel momento.
La prima cosa di cui si accorse
era che il soffitto era notevolmente abbassato, tanto che, ne era certa, se
avesse alzato un braccio, l’avrebbe toccato per lo meno con la punta delle dita.
Voltato il capo, notò inoltre che la luce dell’ambiente proveniva da una
semplice torcia elettrica.
“Penso che si sia svegliata”.
Lì per lì, quando la ragazza udì
questa flebile voce, pensava fosse ancora un eco lontano dovuto al dormiveglia.
Poi, una volta sentito dei piccoli passi provenire dalla sua destra, alzò di
scatto il busto il più possibile, trovandosi davanti altre novità.
Una coppia di esserini, alti non
più di una ventina di centimetri, dalle sembianze nettamente umane.
Essi erano vestiti con scarpe
dalla punta molto pronunciata, calzoni di stoffa marroni, tenuti su da una
cintura con fibbia dorata, una maglia di lana blu e, sulle sommità delle loro
teste, un tipico cappello a punta rosso.
“Voi…” tentò di esordire Sara,
facendo mente locale “siete… nani?”.
I due spalancarono gli occhi,
sorpresi forse dal fatto che quella creatura si esprimesse a parole.
“No…” iniziò quello che si
trovava a sinistra.
“Siamo gnomi, signorina” concluse
quello a destra.
Dopo questa iniziale
conversazione, i tre rimase in silenzio a fissarsi per qualche attimo.
D’improvviso, quello a manca scattò via attraverso un buco rettangolare sulla
parete, gridando cose del tipo “Mamma! Papà! Si è svegliata”.
Sara sembrò quasi non stupirsi,
mentre seguiva con lo sguardo la fuga dello gnomo, per poi tornare a squadrare
il piccolo essere che era rimasto di fronte a lei.
“Ma dove sono? Sono ancora nel
fabbricato?” domandò fiduciosa, mentre con le pupille molto mobili cercava di
ispezionare la stanza.
“Oh sì, certo! Vedi noi ti a…”
rispose lui prima di essere interrotto.
“Lascia figliolo, da qui in
avanti proseguo io”.
Questa nuova voce, in un certo
senso più anziana delle altre due, attirò l’attenzione della ragazza come il
miele con le api.
“Ben svegliata, signorina.
Perdoni per il giaciglio di fortuna in cui si trova ma, come potrà ben capire, è
difficile che un’umana si presenti qua dentro, dopo tutti gli anni in cui questo
capannone è stato abbandonato”.
A parlare fu una creaturina
alquanto simile ai precedenti: identico nell’abbigliamento, ma con una folta
barba bianca a coprirgli buona parte del viso.
“Oh non si preoccupi…” rispose
cortese Sara “Ma… ora dove mi trovo?”.
“Stia tranquilla, si trova sempre
dentro al fabbricato”.
Saputo ciò, ebbe un effetto
tutt’altro che rassicurante.
“Ora si trova dentro la nostra
umile dimora. L’abbiamo trovate ieri, mentre eravamo a caccia, esanime a terra.
Inizialmente eravamo indecisi sul da farsi poi, vedendola ferita, abbiamo deciso
di portarla qui da noi”.
“Ferita?” domandò preoccupata
Silvestri.
“Tranquilla, è solo un graffio
sulla sua gamba sinistra” la calmò immediatamente lo gnomo.
Lei andò subito a controllare
l’arto e, con suo grande sollievo, vide confermato quanto le era stato appena
detto.
“Che fortuna! Forse è stata
qualche lamiera schezzata. Meno male che ho da poco rifatto l’antitetanica”.
“Piuttosto” riprese l’esponente
del piccolo popolo “mi perdoni se non mi sono ancora presentato: il mio nome è
Parf, e questi” indicando la coppia che aveva accolto la bionda al suo risveglio
“sono i miei figli Fanem e Dihal…”.
“Piacere di conoscerla!” salutò
in coro la coppia.
“Infine…” concluse Parf “Di là si
trova mia moglie Dolan. La perdoni ma è un po’ timida…”.
Sara rimase estasiata dalla
presentazione di quel particolare nucleo familiare. Poi si ricordò delle buone
maniera.
“Oh! Mi scusi, io mi chiamo Sara
Silvestri. Ero venuta qua dentro per cercare un luogo da utilizzare come salone
da parrucchiera ma, a quanto ho visto finora, questo posto è anche troppo
affollato!”.
“Sì beh, la capisco. Ma lei deve
capire, signorina, che questo è uno degli ultimi rifugi per noi creature
fantastiche…”.
“Sì lo so, mi ha già detto tutto
il direttore…”.
“Il direttore?”.
“Cioè… l’orco!” si corresse
infine Silvestri.
“Ah… giusto… il nostro
“direttore”…” sembrò corrucciarsi l’esserino.
“Non le sta particolarmente
simpatico, per caso?” chiese incuriosita la giovane donna.
“E come potrebbe? Così sporco,
così rozzo…” mentre diceva queste parole, il capofamiglia stringeva forte i
minuscoli pugni.
“A me non è sembrato tanto male.
Sì, certo, va saputo prendere…” disse l’umana.
La ragazza interrupe il suo
pensiero, notando il quarto elemento della famiglia fare capolino dall’apertura
sulla parete.
L’altezza era simile a quella del
marito, che a sua volta era leggermente più alto della sua prole. Indosso aveva
una lunga gonna rossa, un elegante maglia lilla e lo stesso copricapo degli
altri, con l’unica differenza che il suo era di colore verde. Il viso era molto
dolce e delicato, con occhi a mandorla e i capelli scuri raccolti in due
simpatiche trecce.
“Buongiorno signora” la salutò
Sara, facendola sobbalzare dalla sorpresa.
“Oh cara! Vieni pure! Non essere
timida con la nostra nuova ospite!” la incoraggiò il coniuge.
Lei si fece coraggio ed entrò
nella stanza e, solo allora, la nostra protagonista notò che Dolan portava in
mano un vassoio con un misterioso bicchierino fumante.
Il padrone di casa fece le dovute
presentazioni “Cara, ti presento Sara. Sara, lei è la mia splendida moglie
Dolan”.
La nuova arrivata arrossì
timidamente, stringendosi al marito.
“Questo è per te Sara” disse lo
gnomo mentre le porgeva il recipiente, grande quanto un ditale.
“Che cos’è?”.
“È una tisana di alghe e radici,
ti aiuterà a rimetterti in sesto!” esclamò felice Parf.
Sara era inizialmente molto
titubante poi, tenendo il calice tra il pollice e l’indice, buttò giù tutto d’un
fiato. Si accorse, con somma sorpresa, che il sapore era tutt’altro che
sgradevole, quasi fruttato.
I suoi ospiti la guardavano tutti
e quattro sorridenti. Dunque la bionda riprese il dialogo.
“Mi piace questa casa! È molto
più accogliente di altre”.
“Ti ringrazio” fu sempre il
capofamiglia a risponderle “ho praticato io stesso i buchi alle pareti, per
guadagnare via via qualche stanza in più. Non per vantarmi ma noi gnomi, come
minatori, ce la caviamo egregiamente, quasi come i nani…”.
La conversazione proseguì sempre
più allegramente, coinvolgendo tutti i membri della famiglia gnomesca. Anche la
riservata Dolan finalmente si sbottonò un po’. In particolare Silvestri
insisteva sulla differenza tra gnomi e nani come argomento principale.
“… Insomma in questo video c’è
questa creatura, che tutti chiamano “lo gnomo”, che è alta quanto un uomo
accucciato, e già qui mi fa venire dei sospetti… comunque quindi, se proprio
dobbiamo, andrebbe più correttamente chiamato “il nano”, dato che i veri gnomi
siete voi… che però assomigliate tanto ai nani da giardino, che appunto vengono
chiamati nani…”.
Il nucleo familiare fissava a
bocca aperta la giovane umana, quest’ultima sparava a raffica parole una dopo
l’altra. Poi, finalmente, fu la stessa ragazza ad accorgersi che stava
esagerando.
“Scusatemi. Se inizio a parlare
di congetture pressoché inutili, non la finisco più!” confessò imbarazzata.
“Tranquilla figliola” la
rassicurò il padre di famiglia “Fa sempre piacere vedere dei giovani con così
tante idee, gnomi o umani che siano”.
“Ti ringrazio Parf ma, se volete,
potete raccontarmi anche voi altre vostre esperienze. M’incuriosiscono
molto!”.
“Oh beh… fammi pensare… cosa
potrei narrarti…” iniziò a pensare lo gnomo, strusciandosi con le dita il
mento.
Di colpo s’intromise Fanem, il
più grande dei due figli “Padre, raccontagli del tuo incontro con il
basilisco!”.
Parf ascoltò la proposta del
figliolo “Oddio ma quella è una storia che conoscete praticamente a
memoria…”.
“Dai Papà! Anch’io ho voglia di
risentirla!” insistette anche il figlio minore, Dihal.
Sara guardava divertita la carica
dei due pargoli. Poi decise di dire la sua “Visto l’enfasi delle richieste,
farebbe molto piacere anche a me sentirla”.
“E va bene!” acconsentì infine
l’oratore, mettendosi comodo su di una minuscola sedia in legno, portata poco
prima dalla moglie Dolan “Come desiderate. Dunque, successe tutto non molti anni
fa. A quel tempo mi trovavo ancora dentro un’enorme grotta sotterranea. Come ti
ho detto prima, Sara, la nostra razza è caratterizzata da ottimi scavatori e,
quella volta, il cunicolo che avevo appena terminato di scavare, si era
improvvisamente aperto su un vasto ambiente dalla volta altissima.
Dal soffitto scendevano imponenti
stallatiti, la cui mole faceva supporre che la grotta fosse molto antica. Tutto
era immerso in una profonda penombra, appena rischiarata da un leggerissimo
bagliore verdastro. D’improvviso, mi accorsi che qualcosa si muoveva
nell’oscurità. Era un movimento lento, sinuoso, viscido, come di un serpente, ma
un serpente enorme. Al buio non potei distinguere le fattezze della bestia, che
si trovava ad una decina di metri da me: vidi forse delle ali, o delle zampe, o
una cresta, non so; di certo ebbi una gran paura e mi rifugia dietro una grande
stalagmite. Sporsi un occhio e vidi che la bestia stava voltando il capo verso
di me; tornai dietro la stalagmite e poi non ricordo più nulla”.
Tutti gli ascoltatori presenti
rispettavano il più totale silenzio, presi com’erano dall’enfasi che Parf
riusciva a dare al suo racconto.
“… Dopo qualche giorno, fui
ritrovato con parte del corpo gravemente ustionata. Mentre lo stalagmite, dietro
cui avevo trovato riparo, era ridotto in mille pezzettini”.
Sara, con gli occhi sbarrati
fissi e la bocca spalancata, domandò “E allora… c-che cos’era?”
Lo gnomo si voltò e, con sguardo
sinistro, rispose all’umana “Non vi era alcun dubbio: Si trattava per certo di
un basilisco!”.
“La creature che riduce tutti in
cenere?” chiese di rimando la bionda.
“Esattamente”.
Silvestri rimase nuovamente senza
parole. Per poi effettuare un altro quesito “Ma non è che, anche qua dentro, ci
sono creature del genere, giusto?”.
“No… o per lo meno non credo…”
ipotizzò dubbioso il padrone di casa.
Di colpo, qualcosa risuonò
nell’aria. Era l’inconfondibile suono di una sirena che, già solo d’istinto,
invitava chiunque ad uscire dalla sala.
“Che diavolo è!?” urlò impaurita
Sara.
“Oh tranquilla Sara” disse il
capofamiglia, indicandogli poi in fondo alla stanza “È il nostro orologio che ci
dice che si è già concluso un altro giorno”.
La giovane girò il capo verso il
punto indicatole, scoprendo per l’appunto il quadrante di un orologio,
installato in un rettangolo di plastica, affiancato dalla bocca di un megafono.
Scendendo più nel particolare, la ragazza notò che i numeri presenti nel cerchio
erano divise in tre fasce orarie di otto ore ciascuna. Fu allora che gli balenò
un ragionamento.
“Quindi… per voi un giorno
corrisponde ad otto ore, giusto?”.
“Esattamente”.
“Dunque, in fin dei conti, ho
dormito soltanto per poco più di otto ore” si rassicurò Sara, ripensando al
fatto che fu ritrovata, secondo il resoconto di Parf, il giorno prima.
Mentre proseguiva nei suoi
ragionamenti, i due figli si avvicinarono a lei per salutarla quasi all’unisono,
tra uno sbadiglio e l’altro “Noi andiamo a dormire Sara. Ci ha fatto molto
piacere conoscerti!”.
“Sogni d’oro piccoli! Anche a me
ha fatto molto piacere conoscervi”.
Subito dietro a loro, comparve
anche Dolan, con un piccolo fagotto tra le mani.
“Tieni Sara. Capisco che non sia
molto, ma almeno avrai qualcosa da mangiare durante il tuo viaggio”.
“Grazie Dolan, sei davvero una
madre fantastica!”.
Ricevendo questo complimento
improvviso, la gnometta arrossì vistosamente e si ritirò rapida nell’altra
stanza.
Per i saluti finali, l’umana e la
creaturina si fissarono dritti negli occhi.
“Che il tuo cuore ti guidi per la
via più saggia, Sara”.
“Grazie a te e a tutta la tua
famiglia per la vostra ospitalità, Parf”.
I due si scambiarono un forte
abbraccio, o comunque erano quelle le loro intenzioni. Infine la bionda si
voltò, pronta ad uscire carponi attraverso un’apertura, sufficientemente grande
per lei, presente sulla parete.
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Capitolo 6 *** Lo smarrimento ed il ritrovo ***
CAPITOLO
6
“Lo smarrimento ed il
ritrovo”
Una volta risalutato Parf
scuotendo rapidamente la mano, mentre quest’ultimo si trovava nell’entrata della
sua minuscola abitazione, Sara si ritrovò nell’ormai familiare oscurità del
fabbricato.
“Ora almeno ho un altro angelo
custode” pensava la biondina riferendosi all’Orco, a Leroy ed ora anche a Parf.
E perché no anche a Tiziana.
Un altro rumore sinistro. Lì per
lì pareva un barattolo di latta vuoto che cadeva a terra, ma Silvestri aveva
ormai imparato a non fidarsi di quell’ambiente. Per esserne certa puntò il
fascio di luce emanato dalla torcia elettrica, regalo da parte degli gnomi,
verso la presunta direzione di provenienza.
Almeno per questa volta, le cose
sembravano essere come aveva ipotizzato la ragazza.
“Oh, grazie al cielo!” sospirò
tranquillizzata.
Qualcosa iniziò a muoversi dietro
il contenitore. La faccia di Sara tornò immediatamente a farsi tesa, una volta
che scoprì di cosa si trattava: Un piccolo topo grigio.
La giovane donna sapeva di essere
ormai pronta a qualsiasi inquietante creatura potesse incontrare lì dentro,
tranne l’innocuo roditore che aveva davanti. Per qualche secondo rimase
completamente impietrita, successivamente tentò di allontanarsi iniziando ad
effettuare dei piccoli passi laterali. L’animale non sembrava prestare
particolare attenzione all’umana, preferendo ispezionare il pavimento del
capannone. D’un tratto, le suole delle scarpe sportive della bionda
scricchiolarono appena. Fu allora che il topo diresse il musetto verso di
lei.
A Sara non occorse altro. Scattò
via nel buio più totale, nonostante tenesse ben salda la pila nella sua mano
sinistra. Era quasi scontato che, fatto qualche metro in quelle condizioni
proibitive, sarebbe volata per un’altra manciata di metri a terra.
“Ti serve parecchio spazio,
no?”.
Questo le ricordava la sua amica
Chiara nel dormiveglia in cui si era, letteralmente, catapultata.
Silvestri non seppe bene quanto
tempo fosse passato ma, a risvegliarla totalmente, ci pensò un’orrenda
sensazione di viscido sul suo braccio destro.
La giovane digrignò nervosamente
i denti, trattenendo a stento le lacrime agli angoli degli occhi, prima di
trovare infine il coraggio di controllare.
Il cerchio di luce illuminò
un’altra delle creature che l’umana non era decisamente pronta ad affrontare:
Una lucertola verdastra.
“BASTA!!!”.
Urlando scattò in piedi, facendo
volare il rettile nelle tenebre, per poi impegnarsi in una corsa disperata senza
una meta precisa. Una volta terminate le energie della disperazione, la ragazza
si fermò. Piegata in due, con il fiatone e gli occhi chiusi, cercava di dare
pace al suo corpo. Riaperti i suoi occhi color castano chiaro ebbe un’altra
sorpresa: un minuscolo ragno era sceso, appeso alla sua ragnatela, proprio di
fronte al suo sguardo.
“Che schifo!” urlò la fanciulla,
mentre colpì l’aracnide usando la torcia elettrica come fosse una mazza da
baseball.
“E ora… anf… dove sono finita?
Anf…” chiese senza fiato all’oscurità.
Dopo qualche attimo di silenzio,
il trillo di un campanello attirò la sua attenzione. Voltando lentamente la
testa, notò che la parete al suo fianco si stava aprendo, rivelando ciò che a
tutti gli effetti pareva essere un comune ascensore.
“Ma che diavolo? Come fa a
funzionare ancora?” ripeteva i suoi quesiti Sara, mentre si avvicinava ad
esso.
Affacciando appena la sua testa
bionda, squadrò per bene ogni angolo all’interno dell’elevatore, constatando che
non sembrava presentare alcun pericolo. La fanciulla azzardò anche un passo
dentro di esso, pur proseguendo a muovere il capo in tutte le direzioni
possibili. Sempre più tranquilla entrò anche con l’altra gamba per controllare,
tramite il pannello di controllo, di quanti piani era composto l’intero
edificio. Fu questo il suo tragico errore.
Una volta dentro, il portello si
richiuse violentemente.
“Porca puttana! Che cazzo ci sono
venuta a fare qui dentro?!” imprecò battendo i pugni contro l’uscio.
Come a dargli una risposta, il
macchinario si avviò, raggiungendo in pochi secondi una velocità elevata. In
questa situazione, Sara era sempre più schiacciata verso il pavimento, con lo
sguardo fisso verso strane visioni.
D’improvviso si ritrovò
all’interno di una chiesa. Tutti attorno a lei vi erano dei preti, o almeno è
quello che credeva fossero quegli individui, il cui volto era nascosto da un
candido cappuccio. Tra di loro comunicavano con una lingua che, a quanto poteva
intuire, doveva essere latino antico. Una volta che la visione ebbe spostato la
sua visuale, uno di loro, armato con un macabro pugnale, si avventò verso di
essa.
Il corpo di Silvestri fece un
grande scossone, risvegliandosi da questa trance. Purtroppo, una volta
ripresasi, constatò che l’ascensore non aveva ancora terminato la sua marcia
verticale.
Questa volta, al suo fianco, vi
era una uomo che la sua mente identificava come un dottore. Abbassato lo
sguardo, trovò distesa la straziante figura di un bambino affetto da una
terribile malattia. Un suggerimento invisibile le indicò il vaiolo.
Il piccolo paziente tese il suo
braccio scheletrico verso la donna che, con le lacrime che gli bagnavano gli
occhi, si ritrovò nuovamente dentro la capsula infernale.
“Ma si può sapere cosa vuoi da
me?” urlò disperata verso l’ignoto.
Tutto attorno a lei, le pareti si
fecero sempre più incorporee, per poi infine scomparire del tutto. Sara riuscì,
con sua somma sorpresa, a rialzarsi senza alcuna fatica. Di fronte a lei si
presentava la meraviglia dell’universo: Milioni di stelle che facevano capolino
nel buio più totale dello spazio infinito. Quasi non si accorse che, nonostante
si trovasse in quell’assurda situazione, riusciva comunque a respirare
tranquillamente. Tese le braccia davanti a sé, con la speranza di ritrovare
quelle pareti che aveva tanto odiato fino a poco prima. Le sue speranze si
avverarono. Le barriere erano ancora presenti, anche se invisibili.
“È stupendo…” sussurrò tra sé e
sé, con gli occhi spalancati verso quello spettacolo.
Ora avevano fatto la loro
comparsa anche pianeti ben più vicini. La ragazza pensò di trovarsi di fronte
proprio al suo natio sistema solare, o è questo ciò che sperava.
Nel suo fluttuare nell’infinito,
l’ascensore si girò giusto appunto per mostrarle l’astro più luminoso, per il
quale la bionda dovette schermarsi gli occhi con una mano sulla fronte.
Purtroppo il suo moto non sembrò fermarsi lì. Il cabinato iniziò, di fatti, a
discendere proprio verso il sole.
“Che cosa fa?” la Silvestri intuì
il pericolo “Fermati! Ti prego fermati!” riprendendo a colpire con sempre più
forza i muri invisibili.
Come si poteva tristemente
immaginare, il meccanismo non sembrò darle retta.
Ormai le alte fiamme sprigionate
dalla sue superficie sfioravano l’elevatore, mentre Sara aveva le lacrime che le
rigavano le guance ed il corpo completamente compresso contro la parete
immateriale.
Infine avvenne il fragoroso
schianto.
“Oddio!” urlò la giovane, mentre
riprendeva i sensi.
Subito constatò che il suo corpo
stesse bene in tutte le sue parti, palpandolo con frenesia. Poi si voltò di
scatto alla sua destra, riconoscendo immediatamente l’entrata nella trappola
infernale.
“Grazie al cielo era tutto un
sogno!” constatò, mettendosi le mani sul viso “Oppure un incubo…” aggiunse
infine, spostando i palmi ai lati del suo volto.
Mentre finiva di riprendere il
controllo di sé, individuò al suo fianco la sua fedele torcia elettrica.
L’afferrò, si rialzò e proseguì la sua odissea.
“Ed io che volevo soltanto fare
la parrucchiera…” esordì con il suo ragionamento “dopo tutta questa esperienza,
se mai riuscirò ad uscire di qui ovviamente, stai certa che eviterò qualsiasi
capannone o simili” esclamò con un lieve sorriso nella sua bocca “compresi gli
ascensori!”.
A passo svelto, percorse un
numero imprecisato di metri quando, alla sua sinistra, incontrò una finestra che
dava sull’esterno.
“Che sia un nuovo miraggio?” si
domandò dubbiosa.
Con sempre più circospezione, si
avvicinò verso l’apertura. Facendo un capolino appena accennato, notò una verde
e tranquilla collina. Su di essa vi era poggiato uno scrigno in legno. Ma, la
cosa che colpiva di più, era lo splendente contenuto presente al suo
interno.
Aguzzando il più possibile la
vista, a Sara parve di riconoscere svariate monete dorate, calici dello stesso
materiale, qualche collana di perle, le parve anche una corona, impreziosita da
smeraldi ed altre pietre preziose incastonate su di essa e, addirittura,
un’armatura dagli sgargianti colori rosso, verde e giallo.
“Ma stiamo scherzando?” proruppe
la giovane, sempre più incantata da tale visione.
Forse per questo non sembrò dare
peso al rumore lontano che, via via, si faceva sempre più vicino. Erano rumori
secchi ed intervallati tra loro, come di panni sbattuti.
A quel punto anche lei fece più
attenzione, per poi scoprire che si trattava dello sbattere di gigantesche ali.
Questa volta, di fronte a lei, una leggenda stava riprendendo vita. Un enorme e
potente drago atterrò con grazia nelle vicinanze del tesoro.
Sara era letteralmente a bocca
aperta.
Le squame presenti nel suo corpo
rilucevano con riflessi verdastri, dandogli un’aria ancora più maestosa. La
ragazza aveva il volto sempre più premuto contro il vetro, totalmente rapita
dalla creatura che aveva davanti.
Il dragone, una volta ripiegate
le ali ai fianchi, stirò per bene il collo e spalancò le colossali fauci. Di
colpo da esse sputò fuori una lunga fiammata. Sara seguì il suo istinto di
sopravvivenza e si buttò a terra, nonostante quel colpo caloroso non fosse
indirizzato verso la finestra.
“Oh vi prego! Tutto ma un drago
vero no!” supplicava verso ignoti.
CLANC
Quel sinistro rumore metallico
non era proprio la risposta che si aspettava. La giovane, temendo un nuovo attacco da
parte dei folletti, iniziò a puntare il fascio di luce della torcia in tutte le
direzioni possibili. Non sembrava esserci niente di apparentemente ostile.
Nel tentativo di rimettersi in
piedi, si mise spalle alla stessa parete dove era presente la finestra e,
evitando allo stesso tempo di farsi notare attraverso di essa, vi strusciò sopra
facendosi guidare verso l’alto.
CLANC
Il ritorno di quel frastuono fece
sobbalzare la bionda che, se non altro, ora sapeva perfettamente dove puntare la
pila.
Tutte cianfrusaglie. Tutto
immobile. Sara tirò un profondo sospiro di sollievo. Per tutta risposta, il
clangore metallico riprese più forte e più duraturo di prima.
“Che cos’è?” urlò disperata lei,
con le gambe che le tremavano, seguendo il ritmo terrificante con cui il suolo
si muoveva.
La torcia elettrica le cadde di
mano ma, nonostante questo, intravide un’enorme sagoma, dalla grandezza quasi di
un orco, prendere posto nelle vicinanze. Dopo qualche minuto, tutto si
placò.
Silvestri, tornata con il sedere
per terra, si precipitò nel recupero più rapido possibile della sua fonte di
luce artificiale.
“Tu umano?”.
Un nuovo sobbalzo percosse il
corpo della giovane donna, facendole nuovamente cadere sul pavimento la
pila.
“Tu umano?” ripeté la voce.
“Cosa significa?” controbatté lei
“A cosa ti serve saperlo? Sì, ok, sono umana e allora? Tu chi sei? O meglio,
cosa sei?”.
Tutto tacque.
Mentre Sara cercava per lo meno
d’intuire da dove provenisse quella voce, il suo fascio luminoso cominciò a
funzionare ad intermittenza. Per poi spengersi del tutto.
“Oddio ti prego no! Di nuovo al
buio no!” supplicò la nuovamente indifesa fanciulla, temendo che l’ultimo volo
effettuato dall’apparecchio elettrico gli fosse stato fatale.
Poi un nuovo cerchio luminoso si
accese. E poi un altro. E un altro ancora. Nel giro di pochi secondi l’umana si
trovò a fissare due grandi tondi abbaglianti, formati entrambi da molte torce
messe insieme.
“Tu umano?”.
Ora sì che poteva vedere il volto
del suo nuovo ospite. Quegli enormi fari erano identificabili, seppur per
assurdo, come suoi occhi. A fare le veci del naso vi era invece quello che
sembrava un’anta di un armadietto metallico. Infine la sua bocca, o presunta
tale, era caratterizzata da strisce di stoffe bianche, che cadevano dall’alto
una accanto all’altra, dandogli l’aria di avere un perenne sinistro sorriso.
“Sì, ti ho già risposto. Sono un
umana e mi chiamo Sara. Tu chi sei?” cercò un convincente dialogo.
“Tutto ciò che la società umana
non riesce a consumare o che ha consumato fino all’esaurimento” fu la risposta
sibillina della cosa.
“Oddio un po’ lungo come nome…”
ironizzò la biondina.
“Tu umano hai mai buttato via
qualcosa?”.
“Certo che mi è capitato! Ma
guarda che è una cosa che capita a tutti”.
“Ahimè, lo so purtroppo. Voi
umani avete a cuore solo i vostri interessi, ignorando completamente lo spirito
che alberga in un qualsiasi oggetto il quale, una volta abbandonato, si sente
tradito e sprofonda in un oblio di disperazione”.
“Mi dispiace per tutto ciò, ma
questo fa parte della vita. Anche noi umani, arrivati ad un certo punto,
lasciamo questa terra con la morte”.
“Ciò è giusto. Solo in rari casi
un umano è rimasto per sempre fedele al suo oggetto e, quest’ultimo, lo ha
accompagnato sia nella vita che nella morte”.
“Sono contenta per lui! Se non
altro non avrà rimpianti…”.
“Tu umano hai dei
rimpianti?”.
“Ancora con questa storia
dell’umano? Io mi chiamo Sara! E comunque è ovvio che ho dei rimpianti
anch’io”.
“Ad esempio?”.
“Beh, questo di certo non lo
vengo a dire a te!”.
“Ad esempio questo?”.
Dicendo ciò, l’enorme mano della
cosa, formata da vari tubi idraulici, si aprì, rivelando un piccolo oggetto al
suo interno.
Sara, incuriosita da ciò, si
avvicinò guardinga per controllare meglio. Dopo una prima occhiata, riconobbe
qualcosa di familiare. Si trattava di un singolare peluche. Nello specifico, era
la raffigurazione di un cane antropomorfo vestito come Babbo Natale.
“Aspetta un attimo…” gli occhi
castani della giovane brillarono di colpo “Ma questo è Natalino!” proruppe
afferrando veloce il giocattolo.
La creatura osservava la ragazza
in assoluto silenzio.
“Oh mio dio! Ma come hai fatto a
trovarlo?” domandò pervasa da una felicità infinita, proseguendo a baciare e
coccolare il balocco “Bello Natalino mio!”.
“Vedo che a lui tieni ancora
molto” osservò l’essere.
“Certo! Non sapevo che fine
avesse fatto, forse era finito disperso in qualche trasloco. Non mio ma del mio
ex…” proseguiva nella spiegazione la bionda, accarezzandogli il muso peloso.
Il suo interlocutore sprofondò
nuovamente in un assoluto mutismo. Sara se ne accorse e lo scrutò
pensierosa.
“Da quanto tempo sei qua
dentro?”.
“Mi sono insinuato qua dentro da
molto tempo ormai, insieme a tutti gli altri. All’inizio mi sono fuso con
l’essenza di una piccola lampadina, per poi progredire sempre più, cercando di
dare un po’ di pace ad altre anime disperate”.
“Se non altro qua hai trovato un
po’ di compagnia…”.
“Difficile che un umano possa
comprendere tali cose ma, sì, certo, qua dentro ho sicuramente trovata molta più
fedeltà di quanto voi mi abbiate mai dato”.
“Posso sapere il tuo nome?”.
“Non occorre un nome”.
“Capisco. Ma era solo per sapere
chi devo ringraziare…”.
“Se vuoi ringraziare qualcuno,
ringrazia il tuo compagno” concluse la creatura “È lui che non aveva perso la
voglia di rincontrarti”.
La giovane tornò a sorridere,
mentre fissava dolcemente il ritrovato Natalino.
“Credo” riprese la parola
l’entità “che con il suo apporto riuscirai a trovare l’uscita”.
“Te sai per caso dove si trova?”
chiese fiduciosa Silvestri.
“Non ne sento l’esigenza” rispose
secco l’interpellato.
La ragazza annuì, comprendendo a
pieno le motivazioni di quelle parole. Poi fece mente locale ed esclamò “Ma poi
come faccio? La torcia che mi ha dato Parf si è rotta” scuotendola nell’altra
sua mano.
L’essere non parve inizialmente
dargli importanza poi, toccando quasi l’apparecchio con un suo dito metallico,
fece tornare la luce.
“Fantastico! Pensavo di essere
persa senza di essa! Grazie davvero di cuore!” esultò la ragazza, più raggiante
che mai.
Passato qualche attimo, rinforzò
saldamente la presa sul peluche, indirizzando nel contempo il fascio di luce
della pila in avanti, per riprendere il suo viaggio.
D’un tratto, si voltò per
ringraziare nuovamente l’essere, accorgendosi purtroppo che i suoi occhi si
erano spenti completamente.
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Capitolo 7 *** Lo specchio e il bonsai ***
CAPITOLO
7
“Lo specchio e il
bonsai”
La torcia elettrica magicamente
riparata funzionava anche meglio di prima. Se non altro, grazie a ciò, Sara
procedeva con maggior sicurezza nelle tenebre che la facevano da padrone dentro
il fabbricato.
“Mi sembra sia diventato troppo
tranquillo tutto attorno a me…” sentenziò a voce alta, tenendo sempre le
orecchie all’erta ad ogni minimo rumore.
E fu proprio ciò che avvenne. Un
frastuono improvviso le fece immediatamente puntare il fascio di luce verso la
sua destra. Purtroppo, questo s’infranse contro il buio totale dell’ambiente. A
causa di questa disattenzione, la giovane donna andò a sbattere contro una
parete spuntata dal nulla.
“Ahia!” si lamentò dolorante la
biondina “Che cavolo è questo?”.
Andandolo ad esaminare sotto la
luce artificiale si trovò di fronte un semplice, misero muro, adornato da una
gran quantità di muffa su tutta la superficie.
Di colpo, si accorse di una
mancanza “Fanculo! Mi è caduto Natalino!”.
Subito dunque iniziarono le
ricerche relative al peluche scomparso. Tutto il pavimento, nel raggio di due
metri attorno a Silvestri, venne ispezionato minuziosamente. Fortuna volle che
il balocco fosse precipitato a poca distanza da lei.
“Povero il mio Natalino! Pensavi
che ti avrei perso di nuovo? Ma, stai tranquillo, ci siamo ripromessi che non ci
lasceremo mai più e così sarà!” coccolava il cucciolo come fosse un infante.
Il suono di uno sgocciolamento
remoto mise un termine all’angolo della tenerezza. Stretto saldamente a sé il peluche, la ragazza tornò ad
ispezionare il muro che aveva davanti. Proseguendo con il cerchio luminoso verso
sinistra, scoprì una nuova oscurità. Affacciatavisi davanti vide come un lungo
corridoio e, alla fine di esso, della luce.
“I casi sono due” ipotizzò la
fanciulla, sorpresa “O sono morta e quindi vedo un tunnel verso la luce. Oppure
quella potrebbe davvero essere l’uscita da questo inferno!”.
Il dubbio le bloccava le gambe.
Tornò dunque a comunicare con il pupazzo “Te che dici Natalino? Vogliamo tentare
comunque?”.
Gli occhi dolci disegnati nella
plastica, presenti sul suo muso, fu l’unica risposta che ottenne. Ma fu quanto
le bastava.
“Ok, si va!”.
Il rumore ritmato delle suole
delle scarpe sportive di lei facevano eco dentro la strettoia. Sara era tentata
di affrettare il passo ma, dopo tutta quell’esperienza che stava ancora vivendo,
preferiva non bruciare le tappe. Le sembrava quasi di essere arrivata a metà
percorso quando, con la coda dell’occhio, vide un rapido scintillio provenire
dalla sua destra. Allora la voglia di mettersi a correre era sempre più
impellente ma, alla fine, mantenendo un inaspettato sangue freddo, si voltò per
capire di cosa si trattasse.
“Ma cosa?” esclamò sorpresa,
quando la luce della torcia andò a riflettersi contro un grande specchio dalla
forma circolare.
“Ok, è solo uno specchio. Quindi
ora posso prose…” la giovane fu bruscamente interrotta da un essere, sbucato
all’improvviso dal tondo riflettente.
La creatura aveva un volto
allungato, simile a quello di un serpente, e due occhi corrucciati e minacciosi
che l’umana non aveva mai visto in vita sua. Ancora paralizzata dall’improvviso
spavento, Sara si sentì afferrare saldamente le spalle e, con la stessa forza,
trascinare in avanti. Rassegnata ormai allo schianto contro il vetro, chiuse gli
occhi e attese l’impatto. Tale destino sembrò ritardare sempre più, finché non
udì una voce.
“Apri gli occhi Sssara”.
I suoi iridi castani tornarono
visibile, mentre la pupilla metteva a fuoco la stessa inquietante figura di poco
prima.
“Benvenuta nel mio regno” la
accolse, allargando due braccia snelle in un ambiente totalmente colorato di
grigio argentato.
“E te adesso chi diavolo sei?”
tagliò corto la prigioniera.
“Non essssere sssgarbata
sssignorina” la riprese il mostro “Comunque, io sssono un demone degli
ssspecchi, come puoi ben vedere”.
Ad attirare maggiormente la sua
attenzione era però la sgusciante lingua biforcuta che, come un’anguilla nella
sua tana, usciva ed entrava dalle fauci oblunghe del nuovo arrivato.
“E allora ora dove mi trovo?”
proseguì con le domande la ragazza.
“Te l’ho detto, sssei nel mio
regno. Non essssere disssattenta” la richiamò nuovamente il padrone di casa.
“Oh no! Proprio ora che avevo
trovato l’uscita!” cercò di ricacciare immediatamente in dietro la rassegnazione
“Come faccio a fuggire di qui?”.
“Mi ssstupisssce che tu me lo
chieda. Come anche il fatto che tu sssperi che io possssa risssponderti”.
“Ascoltami bene!” la bionda si
faceva via via sempre più furiosa “Ne ho piene le palle di questo fottuto
fabbricato! Pensare che ero venuta qui solo per la mia ambizione di fare la
parrucchiera! Ma sai che ti dico? Ora piuttosto preferirei essere una
barbona!”.
“Non perdere la calma sssignorina
ed assssumiti le tue resssponsssabilità!”.
“Responsabilità un cazzo! Io
voglio tornare a casa!” con le lacrime sempre più vicine, Sara Silvestri si
lanciò contro il demone.
Purtroppo, grazie alla sua forma
viscida, qualsiasi attacco fisico da parte dell’umana venne facilmente evitato.
Al termine di questo assurdo balletto fra i due, la ragazza dovette fermarsi per
rifiatare.
L’altro, che per tutto il duello
non aveva mai abbandonato un ghigno beffardo dipinto sul volto, le si avvicinò
“Intuisssco dunque che tieni davvero tanto ad ussscire da qui”.
L’interessata, ancora a bocca
aperta nel tentativo di riprendere una respirazione regolare, squadrò rabbiosa
l’interlocutore “Ci sei arrivato da solo o ti hanno suggerito?”.
“Ebbene” riprese lui, evitando di
raccogliere l’ultima frecciatina ironica “Dato che non ho certo bisssogno di una
sssignorina talmente volgare ed intransssigente, posssso proporti un metodo
rapido ed indolore per andartene dal mio regno”.
“E sarebbe?”.
“Sssemplicemente basssterà che
ssscrivi quanto di detterò”.
Con un schiocco delle sue dita
trasparenti, comparvero dal nulla una pergamena srotolata ed una penna a sfera,
fluttuanti proprio davanti alla ragazza.
Tuttavia, quest’ultima rimase
ancora scettica da questo particolare gioco di prestigio. Poi prese una
decisione.
“Ok, proviamo”.
“Bene. Allora iniziamo: Io
sssottossscritta Sssara Sssilvessstri…”.
“Io sottoscritta Sara Silvestri”
ripeté lei, evitando tutte quelle esse, commentando “Non voglio neanche sapere
come fai a conoscere il mio nome…”.
“Dichiaro ufficialmente di non
esssser degna della ssstraordinaria occasssione nel poter vivere al fantassstico
regno degli ssspecchi…”
“Quante cazzate” sussurrò appena
la scrittrice.
“Pertanto, rinuncio ad ogni mio
privilegio e chiedo di poter far ritorno al mio luogo d’origine”.
“Finita?”.
“Manca sssolo la tua firma in
fondo”.
Sara appose il suo autografo e
rimise la penna a levitare nel vuoto.
“E ora che succede?”.
“Posssso controllare un attimo il
documento?” gli domandò il demone degli specchi, indicandogli con uno scatto di
un suo lungo dito il manoscritto.
“Cosa c’è? Non ti fidi? Comunque
leggilo pure”.
La pergamena planò verso la
creatura che, una volta gettata una rapida occhiata, urlò “Come immaginavo! C’è
un errore! Avevo intuito qualcosssa, vedendoti ssscrivere con la mano
sssbagliata…”.
“Che cosa stai dicendo? Ma quale mano sbagliata? Ho scritto
esattamente tutto quello che mi hai detto di scrivere!”.
“Quesssto è vero, però non ti
sssei accorta che hai ssscritto tutto al contrario?” le rivelò, porgendole
nuovamente il manoscritto.
“Scritto al contrario? Ma che
stai dicendo?” insistette lei, una volta riguardato il testo, che per lei
rimaneva compilato correttamente.
Poi ebbe l’illuminazione. In fin
dei conti, si trovava dentro uno specchio, dunque per loro il verso corretto in
cui scrivere è da destra verso sinistra. Quel demone stava tentando di
truffarla, ma lei ora sapeva come ritorcergli contro il suo stesso inganno.
“Mi dispiace tesoro ma sei te che
hai torto, dato che sei te che lo stai leggendo nel modo sbagliato”.
“Cosssa ssstai dicendo?”.
Nel frattempo, la mano destra di
Sara si stava insinuando nella tasca anteriore dei suoi jeans, trovando ed
afferrando qualcosa.
“Sto dicendo che per leggerlo
devi usare questo!”.
Con una velocità degna del
miglior pistolero del west, estrasse dalla tasca quelle che inizialmente parvero
soltanto le chiavi della sua auto. In effetti era proprio così, ma era proprio
nel portachiavi attaccato ad esse che risiedeva l’arma vincente: uno specchietto
rettangolare che, in questo caso, rifletté il documento nella versione corretta
vigente in quel regno.
“NNNNNNNNNNNOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” fu
l’urlo disperato del demone che mandò letteralmente in frantumi tutto
l’ambiente.
Sara, che per proteggersi si era
coperta il viso con le braccia, una volta tornato il silenzio, si affacciò da
dietro di esse. Si trovava nuovamente nel corridoio e lo specchio maledetto era
ridotto in piccole schegge sul pavimento.
“Uff! beh devo ringraziare
Tiziana che ha ricreato perfettamente i miei adorati jeans, comprese le chiavi
che avevo in tasca”.
Come a richiamare nuovamente la
sua attenzione, la luce ricomparve nel sul campo visivo. A metà del suo stretto
percorso, Sara fu assalita da una miriade di dubbi. Proseguire o tornare
indietro? Di certo, il rischio di trovare altri trabocchetti magici era
decisamente alto.
“Fanculo! Ormai sono qui e, se
poi avessi fortuna, potrebbe essere l’uscita da questo postaccio”.
La giovane dunque partì a passo
spedito verso la stanza illuminata. Dieci metri, ancora niente. Cinque metri,
quattro, tre, due…
Con suo grande stupore, la meta
fu raggiunta. Con un po’ di fiatone, dovuto più al nervosismo che alla reale
fatica fisica, la bionda scrutò con avidità l’interno della stanza. In pochi
attimi, si accorse che, a dominare dentro di essa, era il colore bianco. Il
pavimento, i muri e il soffitto erano tutti del medesimo candido colore. Tutto
ciò ampliava la luce che proveniva dall’alto.
Una volta che i suoi occhi color
nocciola si furono abituati a tutto quel bagliore, la ragazza notò un piccolo
tavolo al centro della sala. Su di esso era posato un vaso che, a sua volta,
conteneva un esemplare di bonsai. Senza rinunciare ad un minimo di
circospezione, Silvestri si avvicinò lentamente alla pianta.
“E te che ci fai tutta sola,
piccolina?” tentò un assurdo dialogo.
Affascinata da quella piccola ma
forte esponente della natura, Sara si ritrovò, senza nemmeno accorgersene, ad
accarezzare i rami sottili della pianta. Nel farlo, si era piegata sulle
ginocchia, tenendo appoggiati i gomiti sulla superficie piana che aveva a
disposizione.
“Tu me lo sapresti dire come si
fa ad uscire di qui?” proseguì nel comunicare con l’altro essere vivente.
Quest’ultima, com’era di norma
facilmente prevedibile, non rispose all’umana ma, in compenso, rimase a farle
compagnia finché non si addormentò.
Il sogno che fece non fu certo
dei migliori. Come in una qualsiasi delle sue giornate, si trovava a casa sua.
Durante tutta la rappresentazione onirica, si presentavano a lei i vari membri
della sua famiglia: suo padre Alessandro, sua madre Alessandra, suo fratello
maggiore Jacopo e sua sorella minore Roberta. L’aspetto di tutti i suoi parenti
più stretti era il solito di sempre. L’unica cosa che stonava con la realtà era
il fatto che, nonostante aprissero in maniera naturale le proprie bocche, dalle
loro labbra la figlia più grande non percepiva alcun tipo di suono, ben che meno
le parole.
Tutto quel silenzio innaturale la
fece svegliare di colpo. Appena ripresi i sensi, notò subito di trovarsi
sdraiata, quindi in una posizione ben differente da quella adottata prima di
abbandonarsi alle braccia di Morfeo. Concentrando maggiormente la sua attenzione
verso il senso del tatto, percepì del materiale ligneo sotto tutto il suo corpo.
Facendo ancora più attenzione, sentì qualcosa di viscido scivolargli sul braccio
sinistro. Con inquietudine, girò il capo verso di esso. Un sinuoso serpente le
stava accarezzando la pelle.
Stringendo inizialmente i denti
per il disgusto, alla fine la bionda cacciò un forte urlo, nel mentre tolse con
gran rapidità l’arto da sotto il rettile. Allontanandosi il più possibile,
strisciando il fondoschiena sopra quello che, in tutto e per tutto, pareva un
ramo di albero. Udendo un rumore di fronte a lei, Silvestri si trovò ad
osservare ad occhi sbarrati la testa, e il relativo lungo collo, di una giraffa
che la squadrava curiosa.
“Una giraffa?” chiese allibita
l’umana.
Tale sorpresa durò soltanto pochi
secondi, dato che la ragazza rammentò l’altra compagnia animale nelle sue
vicinanze. Pressata dall’essere strisciante, si decise a mettere in atto una
fuga tanto improvvisata quanto rocambolesca. Saltò verso il quadrupede e,
afferrandosi al suo collo chiazzato, usandolo a sua volta come un palo dei
pompieri, si ritrovò seduta sulla sua groppa.
Tale attività però non piacque
all’animale che, scuotendosi un po’, mandò la giovane a cadere rovinosamente a
terra.
Togliendosi dai jeans la polvere
accumulata nel tonfo, Sara imprecò “Scusami se mi sono salvata la vita
approfittandomi di te! Stronza!”.
Fatto qualche passo indietro, la
giovane poté controllare meglio l’ambiente in cui si era risvegliata. Anche se
le dimensioni erano notevolmente aumentate rispetto a prima, il tronco
sproporzionatamente corto gli fece subito riconoscere il bonsai che, giusto
qualche minuto prima, tanto l’aveva affascinata.
“Speravo di poter uscire dal
Fabbricato in una maniera migliore. Magari, anche se forse era chiedere troppo,
ritrovandomi proprio nel mio vecchio mondo” commentò l’umana, fissando
sconsolata il nuovo panorama.
Purtroppo la ritrovata quiete
durò poco, dato che la terra iniziò di colpo a tremare. Da sotto la folta chioma
dell’albero, vide comparire due paia di grosse zampe grigie. Il barrito acuto,
che venne emesso di lì a breve, non lasciava dubbi sulla specie animale a cui
apparteneva il nuovo venuto. Di fatti, un grosso elefante africano si mise a
brucare docilmente le foglie della pianta.
“Oddio anche un elefante!
Cos’altro arriverà ora? Un tirannosauro magari? Oppure un bel leone? Anzi, quasi
quasi è meglio una tigre…”.
“Roar!”.
L’ironia che era comparsa sul suo
volto, scomparì tutta in una volta dopo quel ruggito. Sara si maledì un miliardo
di volte in un nanosecondo per quello che, assurdo a dirlo, sembrava la
realizzazione di un desiderio.
Appollaiata pigramente su di un
ramo, vi era infatti uno splendido esemplare di tigre. I suoi occhi,
apparentemente sonnacchiosi, erano però ben fissati sul bipede umano.
Quest’ultima era ferma come una colonna di pietra.
“Questa volta è davvero la fine!”
pensò la bionda, con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi.
Il felino rimase a fissarla
ancora per qualche minuto poi, come se avesse infine perso interesse per quella
nuova creatura, voltò il suo muso peloso verso l’altro versante della zona.
La giovane tornò a respirare.
Passato qualche attimo ancora, iniziò ad effettuare dei brevi passi laterali,
allargando via via sempre più il raggio d’azione delle sue gambe. Lo sguardo era
sempre vigile su quel variegato assembramento faunistico.
Malauguratamente, ciò provocò una
mancanza di attenzione in quello che stava attualmente compiendo. Fu solo grazie
ad un fortuito gioco di equilibrio che la ragazza non sprofondò nell’abisso.
Appena tornata stabile, notò che metà di una sua scarpa era sospeso nel vuoto. A
metri e metri di profondità vi era una versione gigantesca del pavimento bianco
di prima. Sara ebbe dunque la conferma che non era stato il bonsai a diventare
un baobab, ma lei a rimpicciolire notevolmente le sue dimensioni.
“Fuori dai coglioni!”.
Nonostante la volgarità, l’umana
non si sarebbe mai aspettata alcun tipo di frase proveniente dalla fauna locale.
Appena voltatasi verso il luogo di provenienza di tali parole, ciò che vide la
lasciò incredula. Un esemplare davvero massiccio di rinoceronte la fissava
minacciosa. A dare un tocco di ulteriore assurdità alla scena, vi era la
presenza di un grosso sigaro che pendeva dalle labbra del quadrupede.
“Fuori dai coglioni!”.
Ora la giovane ebbe la certezza
che a parlare era stato proprio l’animale.
“Perché?” si azzardò a rispondere
la bionda.
“Fuori dai coglioni!” questa
volta il corrazzato aveva accompagnato il tutto con lo strusciare della zampa
sul terreno sabbioso.
Silvestri cominciò a sudare
freddo “Ma si può sapere che ti ho fatto? Cosa credi che sia venuta qui di mia
spontanea volontà?”.
L’altro, per tutta risposta,
effettuò un’altra strusciata.
“Forse, se scatto ora, non mi
prenderà…” si trovò a pensare la ragazza “Ma può anche essere che, se rimango
ferma, lui mi lascerà stare”.
Ma il rinoceronte si apprestava
sempre di più alla carica.
“Magari è meglio se mi butto
direttamente di sotto. Almeno sarà una morte migliore che farsi incornare da
quel bestione” proseguì con le sue congetture.
Poi non fu più tempo di esitare.
L’animale partì con un rombo di tuono e Sara, messa ormai alle strette, optò
infine per la terza soluzione finale. Mentre volava nel vuoto, vedeva il bianco
delle gigantesche mattonelle avvicinarsi sempre di più. Quello fu il medesimo
colore che l’accolse al risveglio, con Natalino disteso poco più in là.
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Capitolo 8 *** 5 creature ***
CAPITOLO
8
“5 creature”
Appena toccate le fredde
mattonelle del pavimento, Sara iniziò a voltarsi freneticamente in tutte le
direzioni possibili per poi, infine, sdraiarsi supina a riprendere fiato. Era
finalmente tornata a grandezza naturale.
“D’ora in poi, se mi troverò un
rinoceronte davanti, lo metterò sotto con la macchina!” esclamò la giovane,
tirando su il busto puntellandosi con i gomiti.
Tornata in piedi, scrutò
nuovamente il bonsai stregato. Nonostante preferisse rimanere ad una distanza di
sicurezza, non notava alcuna presenza degli animali selvaggi che l’avevano
appena scacciata via.
ZZZZZ
Di colpo udì un ronzio che la
fece sobbalzare impaurita. Nella parete alla sua destra vi era un’apertura
coperta da una tenda di seta. Sopra di essa lampeggiava rumorosamente un’insegna
al neon, simile nello stile a quelle dei night club.
Le lettere blu luminose dicevano:
FREAK SHOW.
“E questo cosa c’entra in un
fabbricato?” si chiese perplessa la bionda.
Come una mosca attratta dalla
luce, si avvicinò sempre più all’entrata. Ormai era preparata a qualsiasi entità
presente in quel capannone.
Scostata appena la tenda, si
ritrovò in un’enorme stanza, illuminata a malapena da delle lampadine
ciondolanti dal soffitto. L’aria di chiuso presente in essa non invitava certo a
proseguire, cosa che Silvestri fece comunque.
Fatto qualche passo, la giovane
notò che, alla sua destra, erano presenti varie colonne atte a reggere in piedi
tutta quella sala. Le vere attrazioni erano allocate invece alla sua sinistra.
Sempre più catturata dal fascino surreale che quell’ambiente emanava, Sara
proseguì nel cammino, fermandosi davanti alla prima di esse.
“Oh mio dio...” esclamò,
tenendosi una mano davanti alla bocca.
Ciò che si trovò davanti ben
meritava il suo grande stupore. Accomodato sulla seduta in paglia di una sedia
di legno vi era, infatti, un grasso e sudato minotauro.
Gli occhi color nocciola della
ragazza erano spalancati nell’osservare stupefatta quella creatura mitologica,
viva e vegeta proprio di fronte a lei. Di rimando, l’essere metà uomo e metà
toro la squadrava con uno sguardo assente, sbuffando ad intervalli regolari
piccole quantità di fumo bianco dalle enormi narici.
”M-Mi puoi capire? I-Io mi chiamo
Sara…” tentò di comunicare con lui l’umana.
Per tutta risposta, l’essere
biascicò le fauci bovine.
Lo stupore della bionda andava
via via scemando, soprattutto a causa della totale immobilità che caratterizzava
quell’attrazione.
“Ma è possibile che non abbia
neanche un minimo di ferocia?” si mise a riflettere Silvestri “A questo punto,
era molto più minaccioso il rinoceronte con il sigaro di poco fa”.
“Ma sei vivo?” provò a
domandargli seccata.
Il mostro rimase impassibile.
“Eppure dovrebbero piacerti le
belle fanciulle come me!” insistette lei.
Ancora nessuna reazione.
La ragazza perse infine la
pazienza “Beh direi che come tour è iniziato davvero male! Se queste devono
davvero essere le attrazioni principali sono alquanto scadenti!” si lamentò ad
alta voce verso una qualche identità ignota.
Il taurino si rimise a
biascicare, così che l’umana si allontanò spazientita a grandi falcate.
Ancora infuriata per quanto
avvenuto, o meglio non avvenuto, poco prima, Sara non si accorse quasi di stare
transitando davanti ad un nuovo recinto in legno. Fatto ancora qualche passo, la
giovane tornò in sé. Sbuffando, si appoggiò con entrambe le mani alla trave
dipinta di bianco per osservare la nuova attrazione.
L’ambiente che si trovò davanti
presentava un verde lussureggiante ovunque guardasse. Arbusti, cespugli ed altre
piante la facevano da padrone. Tutte questa facevano come da corteo alla grande
pianta che si trovava al centro di esse. Dalla forma ricordava un po’ un enorme
carciofo. Un corto ma robusto stelo reggeva un capo ovoidale di colore verde
scuro.
“Però! Se ne sono presi davvero
molta cura! Guarda quanto è cresciuto!” esclamò sorpresa Silvestri.
Ma anche in questo caso, tutto
era fermo e tranquillo.
“Meno male che non ho pagato il
biglietto per vedere tutta questa noia!” tornò a lamentarsi la ragazza
insoddisfatta.
Tutto quel tedio gli fece
abbassare la guardia. A causa di ciò, ella non si accorse della radice
strisciante che le si stava, lentamente e silenziosamente, attorcigliando alla
caviglia sinistra.
Stufata da quella nuova
delusione, la bionda si apprestava a proseguire oltre quando, com’era
prevedibile, la trappola vegetale scattò.
“Ma che ca…” Sara non riuscì a
terminare l’imprecazione che si ritrovò in aria a testa in giù.
A tenerla in quella condizione
era la radice che, come un cobra in procinto di attaccare, si era alzata a tre
metri di altezza.
“C-Che succede?” urlò la persona
capovolta, con il sangue che le sta arrivando velocemente alla testa.
Come a risponderle, l’enorme
pianta curvò il suo bocciolo verso di lei. Fatto ciò, lo aprì di colpo,
rivelando una gigantesca bocca piena di bava, denti affilati ed una viscida
lingua violacea che sbatteva contro il palato.
“Oh merda! Ma cos’è? “La piccola
bottega degli orrori”?” l’umana riuscì ad ironizzare anche in un momento tanto
drammatico.
L’appendice avvicinò
ulteriormente la preda alle fauci del suo padrone. La giovane stava già
arrendendosi alla sua fine, che qualcosa bloccò la marcia mortale. La trave più
in basso del recinto contrastava infatti contro la stessa radice.
“Che culo!” esultò la bionda,
ancora sottosopra.
Ostinatamente, la pianta tentò
più volte di raggiungere il suo possibile pasto. Fortunatamente per la
Silvestri, il legno imbiancato era ben resistente.
“Ti vuoi decidere a lasciarmi!”
gli urlò contro lei, mentre colpiva quella sottospecie di braccio vegetale a
pugni chiusi, strappando anche dei fiori che sbocciavano sopra di esso.
Le fauci letali continuavano a
chiudersi a vuoto, provocando boati sordi che si disperdevano in tutto
l’ambiente.
“Lasciami stupida pianta!” sbottò
Sara.
Quel fiore famelico sembrò di
colpo placarsi, richiudendo finalmente la bocca. Sorpresa, anche la ragazza
smise di dimenarsi, tornando a scrutare il nemico sotto di lei.
“Che succede?” provò a
domandargli, senza tante speranze di ricevere risposte.
La radice riprese a muoversi,
questa volta però nella direzione opposta. Con una sorprendente delicatezza,
adagiò gentilmente al suolo la sua preda.
Lei, appena ebbe la caviglia
nuovamente libera, si mise a massaggiarsela per alleviare il più possibile il
dolore dovuto alla potente stretta.
Stringendo ancora i denti per il
male, tornò a conversare con il suo avversario “Non mi dirai che sei una pianta
permalosa…”.
Il vegetale aveva ripreso la
stessa posizione con cui aveva inizialmente accolto il suo ospite umano:
totalmente immobile e senza dare alcun segno di vita.
Sara si rimise in piedi, testando
la condizione della sua caviglia. Una volta accortasi del miglioramento
all’articolazione del piede, alzò il capo per dare un’ultima occhiata di
controllo a quel fiore abnorme. Constatando come tutto fosse apparentemente
calmo, fuggì come un razzo verso il recinto contiguo.
Tenendo sempre lo sguardo fisso
verso il vegetale, mentre era ancora in moto percepì con la coda dell’occhio un
bagliore sempre più intenso. Tutto ciò non fece che attirare completamente la
sua attenzione e, una volta voltatasi, rimase altrettanto stupefatta.
Una figura umana, caratteristica
che di certo non si aspettava di trovare in quel freak show, risplendeva
abbagliante come una sfolgorante stella. Una volta abituatasi a tutta quella
lucentezza, schermando parte di essa con una mano sulla fronte, la ragazza notò
la totale nudità di quest’ultima e, proprio grazie a questa sua particolarità,
scoprì di trovarsi davanti ad un’altra femmina. L’altezza era pressoché identica
alla sua. Il viso, ancora più splendente, aveva su di esso due occhi allungati a
mandarla, un piccolo naso all’insù ed un sorriso che poteva spiazzare qualsiasi
individuo le fosse capitato davanti. Ad incoronarla aveva dei lunghi e
svolazzanti capelli color biondo platino.
“Ciao Sara…”.
L’interpellata, con la bocca
aperta già da qualche minuto, sì ridestò come d’incanto, una volta sentitasi
chiamare per nome.
“C-Ciao” riuscì a salutarla a
malapena.
“Speravo tanto di fare la tua
conoscenza” rivelò quella soave visione, tornando a sorriderle felice.
Gli occhi color nocciola
spalancati della giovane, stavano ora passando da un dettaglio all’altro del suo
volto. Fu proprio facendo così che Sara notò la particolare forma dei suoi
orecchi: estremamente appuntiti.
“T-Tu sei…” tentò l’inizio di un
dialogo la nuova venuta.
“Un’elfa, esatto!” le confermò,
mostrandole nuovamente i suoi denti bianchi quanto la sua stessa carnagione.
L’umana era completamente
allibita. Dopo qualche secondo di silenzio tornò ad esprimersi “Come fai a
sapere il mio nome?”.
L’interpellata, raggiante di
poter riprendere il discorso, le rispose “Dentro questo fabbricato le novità
corrono veloci”.
“Posso sapere il tuo nome?”.
“Per un’umana esso sarebbe
alquanto complicato, ma te puoi chiamarmi Wip”.
“Wip?” chiese conferma la bionda
“Davvero carino come nome!”.
“Ti ringrazio”.
“Da quanto sei qua dentro, Wip?
Come ci sei finita?”.
“Noi elfi non diamo tanta
importanza al tempo. Mi ci sono rifugiata scappando dal mio villaggio”.
“E come mai sei scappata dal tuo
villaggio?”.
“Non approvavo il mestiere che
era stato scelto per me”.
“Posso sapere quale fosse?”
Silvestri non riusciva a resistere alla sua curiosità.
“Quella che voi umani
classificate come prostituta”.
La giovane rimaste un’altra volta
a bocca aperta “Cioè i tuoi compaesani ti avevano scelto per fare la prostituta?
Ma io credevo che voi elfi pensaste esclusivamente alle arti e alla musica”.
La creatura sorrise mestamente
“Non è così purtroppo. Inoltre, fra di noi, vi sono anche valorosi arcieri”.
Dopo quelle ultime rivelazioni,
Sara si trovò a pensare che, quel mestiere, le poteva essere stato designato per
via della sua splendida forma fisica. La bionda avvampò mentre si soffermava con
lo sguardo verso i suoi seni piccoli ma sodi.
Tornando a pensare ad altro, le
domandò “Scusami Wip se te lo chiedo, ma te sai come poter uscire di qui?”.
L’elfa le sorrise dolce,
portandosi vicina a lei e alla recinzione che le divideva. Una volta lì, la
fissò attentamente negli occhi e le accarezzò leggermente una guancia.
“Sei molto più vicina all’uscita
di quanto pensi, Sara”.
La ragazza strinse a sé Natalino,
come se stesse vivendo il più bel sogno della sua vita. Improvvisamente, come
ridestata, seguì in silenzio il consiglio di Wip e procedette verso un nuovo
recinto.
La Silvestri aveva ancora in
testa le ultime parole sussurratele dall’elfa.
“Sei molto più vicina all’uscita
di quanto pensi, Sara”
Ogni volta che le rimembrava, il
suo cuore era più leggero e lei stessa si sentiva più tranquilla.
Si accorse appena di trovarsi
davanti al penultimo recinto presente in quel lato della sala. Finché un
clangore metallico la fece sobbalzare.
“Chi è ora?”urlò spaventata.
Un essere meccanico si fece
avanti. Era alto nemmeno un metro, con un esile corpo d’acciaio che sembrava
reggere a mala pena il grosso capo ovale di cui era munito. Su di esso erano
stati piazzati, al posto degli occhi, due quadranti circolari di orologi, con
annesse relative lancette, ognuno dei quali dava però orari differenti. Sopra di
essi, attaccato alla testa come fosse una sorta di cilindro da sera, vi era
invece una clessidra, senza neanche un granello di sabbia al suo interno.
“Che simpatico! E te come ti
chiami?”.
Il robottino le rispose gridando
“È tardi! È tardi! È tardi!”.
La bionda si allontanò
all’istante, una volta che fu investita da quella stridula voce metallica.
“Per cosa è tardi?” provò a
domandargli.
“È tardi! È tardi! È tardi!” fu
la monotona risposta dell’androide.
“Te non sei messo bene, giusto?”
lo schernì la giovane.
“È tardi! È tardi! È tardi!”.
“Forse dovresti coordinare i due
orologi che hai lì” gli consigliò lei, indicandoglieli.
“È tardi! È tardi! È tardi!”.
L’umana squadrava schifata
quell’inquietante essere. Poi tornò a sorridere.
“Sai chi sembri? Sembri il
fratellino di quella creatura che mi ha ridato Natalino…”.
“È tardi! È tardi! È tardi!”.
Ripensando a quanto aveva appena
detto, Sara riprese il suo peluche e, portatoselo vicino al viso, gli domandò
“Te che ne pensi, amore?”
“È tardi! È tardi! È tardi!”.
Tutto accadde in un attimo. Il
droide alzò il suo braccio destro mostrando così che, attaccato ad esso, aveva
una larga ed affilata falce. Con uno scatto incredibile, fece sibilare la lama
ricurva ad appena qualche millimetro dal naso dell’umana.
Quest’ultima, che aveva visto
appena quanto accaduto, sbraitò “Che cazzo fai?”.
A causa del movimento che il suo
corpo aveva effettuato nell’infamare quella creatura, la testa del pupazzetto
rotolò sulle sue spalle e cadde silenziosamente sul pavimento.
Sara ci mise qualche secondo per
concepire quanto appena successo. Una volta compreso tutto, invece che mettersi
ad una distanza di sicurezza da quell’arma pericolosa, le si scaraventò furente
contro.
“Brutto figlio di puttana! Come
hai osato fare questo a Natalino! Sai da quanto lo stavo cercando!? Ed ora
arrivi te e me lo rompi così!”.
Preda di una rabbia cieca,
afferrò al volo il braccio armato e, tirandolo con entrambe le mani, mentre lo
bloccava tra la suola della sua scarpa, tenendo la gamba alzata, e la trave
superiore della recinzione, glielo staccò di netto dal corpo.
“E ora dimmi che è tardi!” lo
minacciò con la sua nuova arma.
“È tardi! È tardi! È tardi!”
urlava l’androide mentre controllava il suo moncherino.
Poi, come se avesse finalmente
intuito il pericolo a cui stava andando incontro, il robot batté in ritirata,
scappando verso il lato più lontano del recinto.
“Cosa fai ora? Scappi?” proseguì
nel minacciarlo Sara “Se ti uccido, vendicherò Natalino!”.
Nell’enfasi dell’azione, la
ragazza si ritrovò nell’atto di scavalcare il recinto. Ripreso il controllo su
di sé, tornò con entrambi i piedi per terra, per poi chinarsi e recuperare tutti
i pezzi del suo povero peluche. Lanciò un’ultima occhiata omicida al
robot-orologio per poi, alla fine, scegliere di proseguire nella sua visita.
Stringendo il pupazzo falciato al
seno, osservava incuriosita il largo tavolo che si trovava dietro alla solita
recinzione bianca.
“Che diavolo è?” chiese
perplessa.
Sporgendosi il più possibile per
controllare meglio, si tirò rapidamente indietro, per evitare la comparsa di
altre creature pericolose. Trascorsi una decina di minuti, nessuno si fece
vivo.
“Sembra che questa volta non ci
dovrebbero essere sorprese…” ipotizzò la bionda.
Fatto passare ancora qualche
secondo, si decise infine a scavalcare. Lasciando i vari pezzi di Natalino sopra
la trave in legno, sì avvicinò guardinga al ripiano.
Già ad un paio di metri di
distanza, s’intuiva che su di esso vi era una specie di modellino. Fattasi più
vicina, la giovane iniziò col riconoscere qualche monumento, ovviamente
riproposto in scala ridotta.
“Non mi dire… questa è la città!”
esclamò estasiata.
Ora che c’era praticamente
attaccata, Sara comprese che la larghezza del tavolo era dovuto al fatto che, su
di esso, era rappresentata l’intera cittadina. Ogni suo angolo era stato
riprodotto fedelmente. Avvicinando il viso per controllare meglio, si spaventò
nello scoprire dei minuscoli esseri che camminavano su di esso. Passata la paura
iniziale, la ragazza rimase meravigliata nell’intuire che, quegli esserini tanto
minuscoli, erano niente meno che l’altrettanto fedele riproduzione in scala
ridotta degli stessi abitanti del paese. Con essi, vi erano anche le varie
minuscole macchine che sfrecciavano sopra le strade.
“Non… ci… credo…” sillabò appena
l’umana, con gli occhi che balenavano da un settore all’altro, cercando nel
contempo di riconoscere qualcuno delle micro persone presenti.
Come per istinto, la giovane
allungò la mano verso uno di essi. Fu allora che scoprì l’esistenza di una
specie di campo di forza che, com’era facilmente prevedibile, copriva tutto il
modellino.
“Ahi!” si lamentò, sentendo la
punta delle sue dita bruciare appena.
Passato subito il dolore, Sara si
rimise ad ispezionare tutto quel piccolo capolavoro “Vediamo se ci sono
anch’io…”.
Orientandosi brevemente nella
ricerca della sua attuale posizione, in un attimo riconobbe una minuscola copia
della sua automobile, parcheggiata esattamente come l’aveva lasciata fuori dal
fabbricato. Cercò di scrutare meglio all’interno di esso, avvicinandosi fin dove
possibile.
Da quanto era concentrata in tale
azione, sobbalzò nel sentire uno scricchiolio sinistro nei paraggi.
Voltandosi, notò una porta
comparsa come dal nulla. Oltre erano ben visibili dei gradini che salivano verso
l’alto.
Ormai Sara aveva imparato a
seguire tutte le indicazione che quel lugubre luogo le dava, perciò tornò
brevemente indietro per recuperare i pezzi di Natalino e, facendosi forza con il
suo vecchio balocco, effettuò il primo passo verso la scala.
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Capitolo 9 *** L'uscita ***
CAPITOLO
9
“L’uscita”
Sara proseguiva, un passo dopo
l’altro, nel salire i gradini una volta bianchi, scorrendo leggermente con la
mano sul corrimano di ferro polveroso. Era ormai giunta a metà scala e tutto
proseguiva normalmente. La cosa la preoccupava alquanto.
La bionda si mise inconsciamente
a canticchiare un motivetto allegro, che risuonava come un vero e proprio
concerto, nel silenzio più totale dell’ambiente.
“È tutto troppo facile…” sussurrava,
mantenendo il ritmo musicale.
Di colpo, si sentì spingere in
avanti. Fortunatamente riuscì a proteggersi con le braccia contro i gradini che
le stavano davanti. Voltandosi indietro si accorse che aveva fatto tutto da sé,
mettendo in fallo uno dei suoi piedi.
“Cazzo!” imprecò infuriata.
Una volta spolveratasi i jeans,
riprese la sua marcia verso l’alto. Natalino, con la testa ancora staccata, le
teneva fedelmente compagnia.
“Se davvero questa è l’uscita,
siamo a cavallo Natalino!” esclamò, in un impeto di gioia e fiducia.
“Può darsi che lo sia, oppure è
solo un vicolo cieco”.
All’udire quella voce, la ragazza
si bloccò impietrita.
“C-Chi ha parlato?” tentò con il
dialogo la giovane.
“Io ho parlato”.
“Io chi?”.
“Ah sì, hai ragione
scusami…”.
Mentre Silvestri scrutava per
bene tutt’attorno, per quello che poteva vedere nell’oscurità, improvvisamente
comparve davanti a lei una luminescenza bluastra, proveniente dal muro a cui si
appoggiavano i gradini alla sua sinistra. Passato qualche secondo, notò che tale
luce stava mutando forma, assumendo sempre di più un aspetto antropomorfe. Tale
era il panico in lei che non tentava nemmeno di cacciare un urlo spaventata.
“Perdonami se non mi sono
materializzato prima ma, sai com’è, gli umani non hanno mai delle buone reazioni
appena mi vedono…” proseguì il discorso l’essere.
“C-Chi sei tu?” si espresse
appena l’umana.
“Mi chiamo Ernest e, come avrai
di certo intuito, sono un fantasma”.
Tra i due personaggi, cadde un
silenzio di tomba.
L’ectoplasma aveva assunto un
volto umano a cui difficilmente si poteva attribuire un’età anagrafica. A
caratterizzarlo aveva soltanto dei capelli ricci presenti esclusivamente sulle
tempie.
“È da un po’ che seguo le tue
avventure Sara” riprese il trapassato “oh, scusami, spero ovviamente di poterti
chiamare per nome…”.
L’altra fece appena cenno di sì
con il capo.
“Perfetto. Sai, finora non ho
potuto mai intervenire perché, tra di noi, non amiamo particolarmente aver alcun
genere di rapporto”.
La fanciulla era ancora con la
bocca serrata e gli occhi sbarrati.
Lo spettro la fissò per qualche
istante in attesa “Comunque, mi fa davvero piacere che tu sia riuscita a
ritrovare Natalino, anche se recentemente gli è capitato qualcosa di
spiacevole”.
“G-Già” sussurrò appena
l’interlocutrice.
Ancora silenzio tra i due.
“Tornando al discorso di prima”
riprese la parola il fantasma “Hai detto che qua su potrebbe esserci l’uscita.
Dunque, tecnicamente è possibile ma, fidati, non è l’uscita che ti
aspetteresti”.
“In che senso?”.
“Vedi, se vuoi davvero uscire di
qui, devi passare da una zona che si trova al di là dei mondi e al di là del
tempo”.
“E come posso fare per
attraversarla?”.
“A dir la verità, ci sei già
passata una volta…”.
“Davvero? E quando?”.
“Mentre eri dentro
l’ascensore”.
“Cosa?! Quel posto assurdo?! Con
tutti quegli orrori?!”.
“Esattamente”.
“Oddio! E come dovrei fare per
andarci?”.
Il fantasma questa volta non
parlò, ma indicò direttamente la semplice porta a cui portavano quelle
scale.
Sara tenne lo sguardo alto verso
la sua meta per qualche secondo. Poi, ricominciò a salire.
“Sara…” la richiamò Ernest.
Lei si girò indietro, verso
quella sua nuova ed assurda conoscenza.
“Tranquilla. Se rischierai di
perderti, verrò io stesso a riprenderti”.
La bocca della ragazza si piegò
in un lieve sorriso “Sicuro che facendo così potrò uscire di qui?”.
“È l’unico modo” le rispose lo
spettro “Oppure hai deciso di rimanere qui con noi?”.
“Non ci penso nemmeno!” rispose
secca lei.
I due si fissarono ancora per
qualche attimo. Infine la bionda si rigirò e riprese il suo cammino. Con un
ultimo passo, il più pesante, raggiunse il piccolo pianerottolo di fronte
l’uscita. Dopo un’iniziale esitazione, la giovane afferrò saldamente la maniglia
annerita dal tempo.
Tornò a fissare la
luminescenza.
“Forza Sara!” la incoraggiò a
voce bassa lui.
Con un impeto improvviso spalancò
l’uscio, finché fu tutto buio.
Riaperti gli occhi, si ritrovò
seduta su di una panchina. Sotto i suoi piedi vi era una banchina ferroviaria e,
proprio davanti a lei, dei binari del treno.
“Non mi dire che ci risiamo con
il treno fantasma” esclamò la bionda, girando la testa verso entrambe le
direzioni del tracciato.
Non ebbe tempo di aggiungere
altro che una forte luce, come un vero e proprio treno ad alta velocità, le
sfrecciò davanti.
Sara richiuse gli occhi
urlando.
Riapertili nuovamente, vide
comunque tutto nero. Allontanando però leggermente il viso, scoprì di trovarsi
davanti ad una lavagna scolastica.
“Si decide a concludere,
signorina Silvestri?”.
Voltatasi di soprassalto, si
trovò davanti un uomo di circa mezza età, con occhiali dalla montatura di
tartaruga e la classica faccia da professore antipatico.
Ruotato leggermente il suo corpo,
vide un’intera aula universitaria ricolma di studenti, tutti intenti ad
osservarla attentamente.
“Dunque, signorina
Silvestri?”.
Lei per qualche secondo fissò il
docente, per poi tornare con lo sguardo su quanto era scritto sulla pietra
scura.
La giovane non aveva la minima
idea di cosa significasse quella curiosa formula, con tutte quelle strane
lettere.
Picchiettando nervosamente il
gesso sulla superficie nera, sempre più nervosa, le cominciarono a sudare le
tempie. Alla fine, come se fosse stata folgorata dall’ispirazione, alzò in aria
la mano, da cui lasciò cadere sul pavimento il gessetto, e la strinse a pugno.
Senza attendere l’intervento di qualcuno dei presenti, la sbatté violentemente
contro di essa, mandandola letteralmente in mille pezzi.
Nell’evitare che tali frantumi le
finissero sul volto, la ragazza si girò di scatto. Trovandosi a finire quasi
contro le sbarre di una cella.
“E ora dove mi trovo?” urlò,
aggrappandosi con forza ai tubi d’acciaio.
“Silenzio, prigioniera!” la zittì
un soldato, puntandole contro la mitraglietta che aveva appesa a tracollo.
Sara, impaurita da quella mortale
minaccia, si allontanò immediatamente il più che poté, battendo la schiena
contro il muro di mattoni alle sue spalle.
Di colpo, l’attenzione del
militare fu attirata dall’arrivo di un suo commilitone. Appena i due si
scambiarono le prime battute, l’italiana capì subito che essi non stavano
parlando la sua lingua madre. Dopo qualche altro secondo di ascolto, ipotizzò
che parlassero in tedesco. Finché non notò un particolare piuttosto inquietante
sulle uniformi dei suoi carcerieri: Una svastica nera dentro ad un tondo bianco
su di una fascia rossa al braccio.
“Oh no! Ci mancavano pure i
nazisti!” imprecò rassegnata, facendosi scivolare a terra.
Passato qualche minuto, iniziò a
sentire una lieve voce che la chiamava “Sara… Sara… Sara…”.
Giratasi alla sua destra, trovò
il volto incorporeo di Ernest che sbucava dalla parete.
“Erny! Allora mi hai davvero
seguita!” esclamò, con una felicità improvvisa.
“Certo Sara, avevi qualche
dubbio?” la bacchettò ironico lui “Ora dammi la mano, che il tuo viaggio non è
ancora terminato”.
L’umana ubbidì e, appena stretta
la mano dello spettro, fu nuovamente tutto bianco.
Un nuovo colpo alla schiena la
fece ridestare. Mentre con le mani si teneva la parte dolorante, un scroscio
d’acqua le bagnò tutta la parte destra del corpo. Sentendo in bocca che quel
liquido era salato, si alzò in piedi più in fretta possibile. Come nel peggiore
degli incubi, si trovava dentro una nave da pesca nel bel mezzo di una tempesta
marina.
“Signorina stia giù!” urlò una
voce nella tormenta.
“Cosa?” urlò di rimando lei,
vedendo a mala pena il suo interlocutore.
“Ho detto stia giù!” le rispose
un uomo, vestito con una delle più classiche tenute marinare “Che c’è il
rischio, con questa tormenta, di finire in mare!”.
“Dove siamo?” cercò di informarsi
la bionda.
“Nel bel mezzo dell’inferno!”
tagliò corto lui.
Un’altra violenta sciabordata e
la giovane si ritrovò nuovamente distesa sul pavimento del ponte. Tra i forti
rombi dei tuoni, lei urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Tornato il silenzio, Silvestri
riaprì i suoi occhi color nocciola, sentendosi ancora tutti i vestiti bagnati.
Tutto il suo corpo dondolava dolcemente. Aprendo i palmi delle mani, riconobbe
dei tronchi di legno disposti sotto di lei. Tirandosi su con il busto, vide
subito un’immensa distesa azzurra.
“Sono ancora in mare?” si chiese
tra sé e sé.
Rimettendosi faticosamente in
piedi, rigirò in pochi secondi tutta la zattera sopra cui si trovava, cercando
di orientarsi il più possibile. Lo spettacolo era sempre il medesimo: cielo ed
acqua che s’incontravano in un tripudio di celeste.
“Chissà ora quanto mi toccherà
aspettare…”.
Come a dare risposta alla
giovane, la zattera si arenò su di una spiaggia comparsa dal nulla.
“E questa? Per lo meno la fortuna
gira anche un po’ dalla mia” disse Sara, sbarcando su quella misteriosa
isola.
L’aspetto era del tutto simile
agli ambienti tropicali, con alte palme a svettare su una vegetazione bassa e
fitta.
“Lassù c’è del cocco. Almeno non
morirò di fame” osservò la bionda, mettendosi una mano sopra gli occhi per
pararsi dal sole.
“Sara!”.
Quella voce era diventata
familiare all’umana.
“Erny! Ma come diavolo ti sei
conciato?”.
L’affermazione dell’amica era
dovuta alla pesante armatura che, con sua gran sorpresa, il fantasma stava
indossando, completa anche di gambali e calzari.
“Almeno ora ti vedo anche le
gambe…” scherzò lei, indicandogli le relative appendici.
“È da tanto che aspetti?”
“No, dai. Temevo peggio”.
“Qualcosa mi dice che sei a metà
del tuo percorso” la informò l’ectoplasma.
“Davvero? E poi potrò uscire?”
domandò esultante la ragazza.
“Penso di sì. Però non arrenderti
proprio ora”.
“Stai tran…” ma le parole gli
morirono in gola, dato che tutto attorno a lei era tornato a farsi buio e
silenzioso.
“Ancora non si decide ad
andarsene, signorina?”.
L’interessata si girò, trovandosi
davanti un’altra persona conosciuta recentemente.
“Tiziana? Anche te sei qui?
Allora sai come si esce da qui?”.
“Devi solo proseguire nel tuo
cammino, giovane Sara” s’intromise uno gnomo.
“Parf! Sono felice di rivederti!
Aiutami ad uscire di qui, ti prego”.
Poi l’attenzione dell’umana fu
catturata da delle flebili risatine sataniche. Era già infuriata prima ancora di
voltarsi.
“Brutti figli di puttana! Con voi
non ho ancora finito!” sbraitò come impazzita, mentre tentava inutilmente
d’inseguire un quartetto di folletti dispettosi.
D’un tratto, come fosse un gatto
che gioca, si mise a cercare di afferrare una piccola fonte luminosa che danzava
nell’aria.
“Sei la fata della fontane!”
gridava euforica “Allora stai bene! Non sei morta!”.
Nel bel mezzo di questa sua danza
gioiosa, fu afferrata violentemente al braccio. Preoccupata, la bionda si voltò
di scatto, trovandosi davanti un essere dal viso di serpente.
“Sssara, resssta con noi!”.
“Col cazzo, brutto stronzo! E ora
lasciami!”.
Ma lo spettro degli specchi
obbedì soltanto al gran frastuono provocato dall’orco.
“IO DIRETTORE!” urlò rabbioso
l’enorme creatura.
Con una nuova scossa del terreno
sotto ai suoi piedi, Sara si ritrovò inizialmente a barcollare, per poi perdere
definitivamente l’equilibrio.
Per sua fortuna, delle braccia
snelle ma toniche l’afferrarono al volo.
“Come stai Sara? Ti sei fatta
male?” le domandò preoccupato il manichino vivente.
“Leroy!” gridò felice la ragazza,
accarezzandogli le guance di plastica “Tranquillo, sto bene e te?”.
“Anch’io sto bene. Vai Sara,
prosegui che sei quasi alla fine!”.
L’umana lasciò a malincuore il
suo prezioso amico, per poi trovarsi d’innanzi ad un ammasso di rottami. Questo,
nel giro di qualche secondo, si animò.
“Dimentichi un fedele compagno”
l’ammonì esso, facendo comparire, per la seconda volta, un peluche a lei molto
caro.
“Natalino!” lo strinse forte al
petto “Speravo di ritrovarti anche dentro questo mondo assurdo!” poi rivolse il
suo sguardo verso la creatura “Grazie ancora di tutto!”.
I suoi piedi fecero
automaticamente qualche passo in avanti, mentre lei proseguiva con l’accarezzare
affettuosamente il suo balocco.
“Fuori dai coglioni!”.
Quello sproloquio la mise subito
sull’attenti. Voltatasi a scatti, si ritrovò davanti il rinoceronte volgare e
con sigaro. Senza dire altro quest’ultimo la caricò. la giovane fuggì più veloce
che poteva, trovandosi di colpo in un dirupo che, da quella stramba isola, dava
sul vuoto assoluto.
Sara Silvestri non ci pensò su un
attimo e si buttò.
Una voce molto familiare la
risvegliò questa volta. Lì per lì non credette alle sue orecchie: quella voce
era proprio la sua. Spalancò immediatamente gli occhi e si vide. Era più grande,
vestita con un lungo camice bianco e, attorno a lei, vi erano nove persone
vestite di giallo e rosso. Quando quella decina si voltò improvvisamente verso
di lei, tutto fu nuovamente buio.
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Capitolo 10 *** Epilogo ***
CAPITOLO
10
“Epilogo”
Aria fresca. Dopo così tanto
tempo tornava a respirarla. Aperti leggermente gli occhi, Sara vide l’azzurro
del cielo. Temendo di essere vittima di un nuovo incubo, tirò su rapidamente il
busto, provocandosi delle leggere vertigini al capo.
“Oddio la mia testa” si lamentava
la giovane, tenendosi il viso tra le dita.
Muovendo appena la gamba destra,
andò ad urtare contro qualcosa di leggero. Subita rivolta l’attenzione su essa,
un sorriso spuntò sulla bocca della ragazza.
“Natalino!” lo chiamò,
afferrandolo saldamente tra le sue mani “Ce l’abbiamo fatta, amore mio!”
concluse il tutto con un sonoro bacio sul suo musetto peloso.
Felice più che mai, si mise a
controllare l’enorme spiazzo in cui aveva finalmente fatto ritorno. Subito notò
la sua Mini, parcheggiata esattamente dove l’aveva lasciata un tempo indefinito
fa, e dove era collocata anche nel modellino vivente della città.
Con ancora un po’ di fatica, si
rimise in piedi, portandosi dietro con sé il suo adorato peluche.
“Sono davvero fuori!” esclamò
ancora incredula, finché il suo sguardo si rabbuiò.
Infatti, alla sua sinistra,
svettava la minacciosa sagoma del fabbricato. Silvestri sembrò vederlo per la
prima volta. Buio, sporco e, apparentemente, così inospitale.
Inconsciamente, una lacrima scese
dall’occhio destro di lei “Che strano. Ora che ne sono uscita, inizio a sentire
la mancanza di tutta quella gente”.
“Stai tranquilla bionda, è
naturale che sia così”.
All’udire una nuova voce, la
ragazza spalancò gli occhi, nel girarsi di colpo.
Vicino a lei vi era un essere
umano. Il suo corpo, come anche i suoi vestiti, erano in un alto stato di
decomposizione.
Tutto l’ossigeno nuovo che aveva
inalato nei polmoni fu espulso in uno dei più potenti gridi che lei avesse mai
fatto in vita sua. Come una lepre in fuga, Sara scattò verso la sua automobile,
facendo librare in aria dietro di sé il suo pupazzo, tenuto ancora ben stretto
con una mano. Arrivata alla sua meta, si mise nervosamente a tirare la maniglia,
inutilmente. Proseguendo freneticamente a dare veloci occhiate verso il cadavere
ambulante, si mise a tastare da fuori le tasche dei suoi jeans, alla disperata
ricerca delle chiavi dell’auto.
“Forse cerchi queste?”.
Pietrificata da quelle ultime
parole, la bionda indirizzò nuovamente il suo viso in direzione del morto
vivente. Tra le sue dite cadaveriche era presente proprio il mazzo con la chiave
ricercata.
“C-Come fai ad avercele te?” gli
chiese infuriata la ragazza.
“Perché te le ho prese
prima”.
“C-Chi sei tu?”.
“Ha davvero importanza il mio
nome?”.
“Allora ridammele!
Sbrigati!”.
“Ok, aspetta che te le porto”
appena terminato di parlare, il non morto iniziò una marcia claudicante.
“No no no no no, rimani fermo lì
dove sei!”gli ordinò l’essere vivente che, se proprio c’era una cosa che non
sopportava, erano gli zombi.
La creatura gli obbedì “Ma allora
come faccio a darti le chiavi, se devo stare fermo qui?”.
La giovane era sempre più
titubante “A-Aspetta che v-vengo io da te”.
Detto ciò, però, lei non si mosse
minimamente.
“Quanto devo aspettare ancora?”
domandò l’altro, apparentemente seccato.
“Un attimo! Cazzo!” gli urlò
contro l’umana.
Ma, ancora per parecchi minuti,
entrambi rimasero completamente immobili. Nell’attesa, era già passata una
decina di minuti.
“Allora? Ti decidi o no?” la
spronò finalmente il mostro.
Sara questa volta non replicò.
Con tanta forza di volontà, eseguì un primo passo incerto.
“Meno male” sospirò la
creatura.
Passato ancora qualche minuto,
Silvestri mise il piede sinistro, che era rimasto indietro, davanti a
quell’altro. Ogni secondo che passava, come se fosse stata in discesa, i piedi
iniziarono a muoversi con maggior rapidità, sempre più sicuri.
Cercando di fissare la sua nuova
conoscenza il meno possibile, Sara si fermò infine ad una decina di metri da
esso.
“Ed ora che facciamo?” chiese
lui, di nuovo impaziente.
“Dunque…” l’umana cercava di
guadagnare qualche secondo ancora, poi arrivò l’idea “Facciamo così! Getta le
chiavi davanti a te”.
Il morto vivente, sorpreso, piegò
il capo da un lato, facendo scricchiolare rumorosamente il collo
rinsecchito.
“Sei sicura?”.
“Assolutamente sì”.
“Beh, come vuoi” lui si decise ad
obbedirle.
Inaspettatamente, nell’atto del
lancio, a staccarsi dallo zombi fu l’intero arto, che volò poco più avanti del
suo proprietario.
Sara, inizialmente rimasta a
bocca aperta, cercò poi di strozzare una risata divertita da tutta quell’assurda
e macabra scena.
“Oh merda!” imprecò la creatura,
mentre si apprestava a riprendere quanto perso.
“No no aspetta fermo!” lo bloccò
l’umana.
“Cosa c’è ora?”.
“L-Lascia. Faccio io” lo informò,
temendo ancora di essere vittima di una risata.
Per fortuna della giovane,
urtando il terreno, la presa delle dita sul mazzo era venuta meno, portando
l’oggetto a ricadere più avanti del braccio staccato. A passi brevi ma rapidi,
nel giro di un attimo, la ragazza raggiunse il suo obiettivo.
Con altrettanta velocità, fletté
le gambe e raccolse con un affondo della mano, come una beccata di gallina, le
chiavi al suolo. Tornata subito in posizione eretta, squadrò minacciosa il
cadavere ambulante.
Quest’ultimo, a quanto pare
divertito, le mostrò un sorriso marcio e sdentato, provocandole un senso di
rigetto immediato.
“Contenta ora?”.
“D-Direi di sì” gli rispose a
muso duro “Immagino che tu faccia parte di tutto il pacchetto…”.
“Diciamo che sono una specie di
guardiano del posto…”.
“Tu saresti il guardiano? E
allora perché non mi hai fermato quando mi hai visto arrivare?”.
“Beh diciamo che ti vedevo
particolarmente motivata. Quindi ero certo che saresti stata in grado di
uscirne”.
“Ah davvero! Ma lo sai cosa ho
dovuto affrontare entrando lì dentro?!”.
“Certo che lo so, cosa
credi?”.
Sara rimase sorpresa da quella
nuova risposta.
“Li ho visti arrivare tutti, uno
dopo l’altro. Orchi, fate, streghe, folletti e gnomi. Ed altre cose varie ed
eventuali”.
“Allora eri qui fin
dall’inizio?”.
“Non saprei. Penso sia stata la
magia di questo posto che mi abbia portato qui, riportandomi in vita”.
“Ma allora da quanto esiste
questo posto?”.
“Chi può dirlo. Non usiamo
calendari qui”.
“Io sapevo che prima era una
sartoria, o almeno così mi ha detto Leroy…”.
“Può darsi! Ma ora è soltanto un
rifugio per creature infelici”.
“E te ne saresti il
guardiano?”.
Lo zombi fece spallette, facendo
rumoreggiare ancora le sue vecchie ossa.
La bionda, ormai a suo agio,
fissava l’essere in maniera davvero seria.
“Credo che ora me ne andrò”.
“Come preferisci” le rispose
brevemente il cadavere.
Passato ancora qualche attimo,
Sara abbassò lo sguardo e fece dietrofront. Con passo sicuro, raggiunse la
portiera della macchina. Appena infilate le chiavi nella serratura, tornò a
guardarsi dietro le spalle. Il non morto era ancora lì, che la scrutava
tristemente. Dopo passò il suo sguardo verso il fabbricato, per l’ultima
volta.
Appena seduta la posto guida, si
sentì richiamare.
“Non dimenticarti di noi, Sara”
la salutò il morto.
La ragazza rispose con un lieve
sorriso, mentre nel contempo metteva in moto l’auto. Una breve manovra in
retromarcia e, messa la prima, ripartì verso l’umanità.
Con un rapido movimento degli
occhi, fissò per qualche secondo lo specchietto retrovisore. Il suo lunotto
posteriore sembrava la cornice di un quadro con, al suo interno, quell’assurdo
ambiente che si era rivelato essere il fabbricato.
Immessasi nella strada
principale, solo un lungo dirizzone la divideva dalla sua adorata
abitazione.
D’un tratto si accorse che, più
proseguiva con il suo veicolo, più davanti a lei si presentava un minaccioso
banco di nebbia. Nel giro di pochi secondi, tutto attorno a lei era diventato
etereo.
Era davvero tutto finito?
FINE
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