Fabbricati

di J85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forse non è stata una grande idea... ***
Capitolo 2: *** Dentro l'orrore ***
Capitolo 3: *** L'assedio e la salvezza ***
Capitolo 4: *** La fata e il manichino ***
Capitolo 5: *** Incontro con la famiglia di Parf ***
Capitolo 6: *** Lo smarrimento ed il ritrovo ***
Capitolo 7: *** Lo specchio e il bonsai ***
Capitolo 8: *** 5 creature ***
Capitolo 9: *** L'uscita ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Forse non è stata una grande idea... ***


CAPITOLO 1

“Forse non è stata una grande idea…”

 

 

 

“Forse non è stata una grande idea…”

Ecco cosa pensava Sara Silvestri mentre parcheggiava la sua Mini Cooper. Una volta scesa dall’auto, davanti a lei si ergeva l’enorme fabbricato di cui le aveva parlato Chiara, una sua amica. Si trattava di un’ex-fabbrica, inattiva ormai da molto tempo. La maggior parte delle finestre era sfondata, il portone di ferro era macchiato di ruggine, il muro era scrostato e chiazzato da graffiti volgari di tutti i colori.

Chiara gliel’aveva presentata in maniera molto diversa. “Ti serve parecchio spazio, no?” le aveva detto. “Insomma, i saloni da parrucchiera hanno bisogno di belle sale grandi e luminose e di un sacco di roba. Beh, conosco il posto che fa per te! È fuori città, un quarto d’ora di macchina procedendo verso nord. La vecchia fabbrica di telai, ti ricordi? Beh, non ci lavora più nessuno da secoli, ormai. Potresti rilevarla tu.”

“Ok che a me serve parecchio spazio, ma questo è davvero troppo!” sentenziò la ragazza.

Quel capannone nero le metteva i brividi. La zona poi era del tutto isolata, circondata da vegetazione secca. Tutto era avvolto da un silenzio tombale.

Sara sospirò e chiuse l’auto “Bene… già che sono qui, diamo un’occhiata dentro”.

La bionda prese un bel respiro per farsi coraggio e si diresse verso quella che sembra l’unica entrata dell’edificio.

A tre passi dalla porta, uno schianto echeggiò per tutto l’edificio. Sara trasalì, facendo un balzo all’indietro, con il cuore in gola. I dubbi nel proseguire in questa sua perlustrazione erano sempre maggiori.

“Non prende nemmeno il cellulare” constatò lei, guardando la rappresentazione grafica di assenza segnale sul piccolo display.

Alla fine, facendosi più possibile coraggio, scelse di proseguire.

 

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Capitolo 2
*** Dentro l'orrore ***


CAPITOLO 2

“Dentro l’orrore”

 

 

 

Purtroppo la speranza, da parte di Sara, di trovare dentro il fabbricato un ambiente migliore rispetto a ciò che aveva trovato fuori, fu subito spazzata via. Infatti, dentro si presentava ancora più cupo ed orrendo, con ragnatele che decoravano l’ingresso dell’edificio, che all’interno sembrava ancora più grande.

La nostra protagonista, tutta infreddolita per il clima presente lì dentro, che pareva arrivarti fino alle ossa, continuava a maledirsi per essersi imbarcata da sola in quest’avventura, senza neanche un oggetto contundente con cui potersi difendere da qualcuno… o qualcosa.

Mentre scrutava con occhi spalancati da tutte le parti, notò la scritta sopra una porta, “IL DIRETTORE”, e, incuriosita, si avviò verso questa seconda entrata.

Le due parole non erano sicuramente stampate ma, anzi, sembravano scritte da qualcuno con la mano non certo fermissima e, soprattutto, erano scritte sulla superficie un cartone da pacchi.

Sara vi s’introdusse dentro, trovandovi il buio più totale. L’unica cosa che si riusciva a vedere era una massa informe, ma Silvestri pensò che fosse soltanto un inganno ottico dell’oscurità stessa e non ci fece caso inizialmente.

Quasi senza pensarci, la ragazza si mise a cercare con la mano sinistra nella parete qualcosa che assomigliasse ad un interruttore e, dopo tanto tastare, lo trovò, premendolo subito.

Un attimo per abituarsi alla luce, che non aveva certo una luminosità irresistibile, e si trovò davanti, nello stesso punto in cui prima aveva intravisto una forma anomala, vi era ora una montagna pelosa e parecchio puzzolente, che, appena accesa la lampadina, iniziò ad emettere degli orrendi versi.

La povera fanciulla era terrorizzata e completamente appiattita al muro, nel contempo non aveva la forza di tirare uno dei suoi urli, limitandosi a tenere la bocca semi aperta e gli occhi sbarrati mentre assisteva a quel nauseabondo spettacolo.

Ad un tratto, quella cosa cominciò a girarsi e, dietro a quella che si rivelò essere un’enorme gobba, comparì una testa umana, altrettanto enorme, anch’essa piena di peli scuri e aggrovigliati tra loro. Dopo un attimo di silenzio, quell’essere chiese, alzando il voluminoso sopracciglio, “Buonasera signorina, posso esserle d’aiuto?”

Sara, dopo un attimo di silenzio, trovò il coraggio, per rispondere ironica “Mi perdoni ma… penso di avere sbagliato ufficio… arrivederci!” e nel pronunciare quest’ultimo saluto, la ragazza si stava voltando verso l’uscita.

Ma, si sa, nelle situazioni assurde le cose non vanno mai come si vorrebbe e, proprio dietro le spalle della bella bionda, la voce della bestia tuonò “Dove crede di andare signorina!!!!!”.

Alla povera Sara toccò fare dietrofront ed aspettare che l’orrenda creatura parlasse di nuovo: “Come mai è qui nel Fabbricato?”.

“Fabbricato? È così che chiama questo posto?” si chiedeva mentalmente la ragazza, mentre escogitava anche una risposta accettabile per quella follia.

alla fine scelse di dire solamente le cose come stavano “Beh… a dir la verità sono qui per visionare l’impianto…”.

“Ah, capisco”, l’orco era più ragionevole di quanto sembrasse “Lo vuole sapere come siamo arrivati qui io ed i miei colleghi?” chiese infine.

Altri pensieri comparivano nella psiche di Sara: Che significa questa domanda? Che intende con “suoi colleghi”? Perché non sono rimasta a casa?!

Senza neanche aspettare la risposta della giovane donna, l’energumeno iniziò “Vede signorina, deve sapere che noi creature della notte, fino a poco più di un secolo fa, dominavamo incontrastati in questo territorio, tutti ci temevano e stavano alla larga da questa zona” a questo punto Sara, inspiegabilmente, cominciò ad interessarsi al racconto “Poi la… come si chiama? Ah sì, la scienza rese più sicuri e cattivi gli uomini. E noi, povere creature, fummo costrette ad abbandonare i nostri domini per rifugiarsi nei boschi o in qualunque altro posto dove poter stare al sicuro”.

Nel terminare questa frase, l’orco rimase immobile con gli occhi chiusi, quasi a rimembrare ciò che aveva appena descritto. Fu allora che Sara commentò “Però… signore… vedo che a lei non è andata molto male, per quanto riguarda il rifugio”.

L’interpellato riaprì gli occhi, mostrando le sue pupille scure, e rispose “Beh… sì, devi sapere che io e gli altri abbiamo lasciato giusto una settima fa il nostro bosco-rifugio, venuti a sapere dell’esistenza di questo paradiso incontaminato, anche perché il nostro bosco-rifugio stava venendo a poco a poco distrutto dall’uomo, senza che noi sapessimo perché”.

A questa rivelazione, la ragazza ricordò tutte le lezioni scolastiche in cui venne affrontato, come argomento principale, il disboscamento, le gravi conseguenze che esso crea e le cause idiote che hanno portato a questa situazione. Ma quello non era il momento di pensare a tali argomenti, visto che stava affrontando un’incredibile avventura proprio ora.

“Ma perché allora non vi siete difesi come ai vecchi tempi?” chiese lei.

“Perché l’uomo usava contro di noi oggetti che facevano molto male!”.

“Ma certo! Le armi! Perché non ci ho pensato prima!” rifletté tra sé e sé.

Dopo un momento di pausa, a Sara tornò in mente la scritta sopra la porta e domandò “Perché allora lei è “Il Direttore”?”.

“Semplice, perché l’ho deciso io!”.

Stupefatta da quella risposta ingenua, la testa di Sara era ora un enorme uragano, con una moltitudine di domande da poter fare a quello scherzo della natura, ma la giovane temeva l’innervosirsi di quell’energumeno ad una di queste domande e tentennò.

La creatura, in cuor suo, se ne accorse e pronunciò la sua prima domanda rivolta alla bionda “Tu invece chi sei? Come ti chiami?”.

Dopo un attimo di smarrimento lei rispose “Ah… io mi chiamo Sara e… beh ero venuta qui perché mi avevano detto che questo posto era abbandonato ed io… insomma… volevo farlo diventare il mio negozio…”.

Una delle cose più difficili in natura è forse spiegare qualcosa ad un orco, poiché ad un enorme testa, causata più che altro dallo loro intera fisionomia, non è collegato un cervello di altrettante dimensioni: questa sarà la prossima lezione imparata da Silvestri.

“Quindi tu tagli i capelli delle altre persone per mangiarli!”.

“No le taglio e basta!”.

“E per farci cosa?”.

“Niente! Li butto via!”.

“E questo ti fa sentire felice?”.

“Beh… sì, in un certo senso sì. Poi se aggiungi il fatto che vengo pagata per questo, mi da ancora più soddisfazione…”.

“E perché ti devono pagare per farsi tagliare i capelli?”.

“Perché sono una parrucchiera all’ultimo grido!” ogni tanto la piccola Sara era presa da questi lampi di superbia, seppur in maniera umoristica.

La discussione andava avanti da un buon quarto d’ora. La ragazza si era ormai abituata alla compagnia di quell’essere, di cui aveva sentito parlare solo nelle favole della buonanotte per bambini.

Ad un tratto, si cominciò a sentire un lamento disumano per tutta la stanza e Sara si ritrovò di nuovo appiattita al muro ad urlare “Che cos’è questo verso?”.

“Non avere paura” la tranquillizzò il mostro “è solo mio figlio…” e, detto questo, si girò con grande lentezza, ad afferrare qualcosa con la sua enorme mano.

Sara provò a sbirciare, ma era una cosa quasi impossibile, visto che la gigantesca figura dell’orco occupava la maggior parte dei metri quadrati della stanza e, rinunciatovi, aspettò il ritorno del “Direttore”.

Mentre era ancora in fase di rotazione verso la sua ospite, portò la sua mano sinistra vicina alla ragazza che, una volta aperta, vi trovò dentro un batuffolo di pelo rossiccio, come quella dello stesso orco, che si rivelò essere il figlio dell’interlocutore con cui aveva parlato finora.

Il piccolo, che poi era alto qualche centimetro più di Sara, assomigliava parecchio al padre, odore compreso, ed emetteva solamente dei versi disumani.

“Ti presento Grim, mio figlio!” disse entusiasta la figura gigante.

“Ciao piccolo!” provò ad avere un primo dialogo con l’essere, Sara.

Il bimbo salutò a suo modo la ragazza, ma con delle parole che la giovane, pur con tutto l’impegno del mondo, non riuscì a comprendere.

“Mi sa che gli sei simpatica, signorina…” disse l’orco, per poter far ritornare Sara il più possibile a proprio agio, anche dopo questa ulteriore raccapricciante scoperta.

“Beh… è carino, a me piacciono molto i bimbi piccoli. Pensa che mi è capitato anche di fare da baby sitter, ogni tanto…” questa affermazione, spudoratamente falsa, era la prima che era venuta in mente a Silvestri per mostrarsi falsamente felice, alla conoscenza di quell’orrenda cosa che ora le stava tirando una ciocca dei suoi capelli biondi e lisci.

“Grim… comportati bene!” lo ammonì suo padre per farlo smettere.

Il piccolo ubbidì subito senza proteste al richiamo dell’ingombrante padre.

Così Sara aveva liberi i suoi capelli, che controllò velocemente, una volta l’orchino ebbe mollata la presa, e aggiunse “Grim… che bel nome! Simpatico e breve…”.

“Non lo devi temere, sai? Grim è un bravo figlio, forse un po’ esuberante alcune volte ma, in fondo, lo eravamo tutti alla sua età…” questo discorso ricordava a Sara i soliti discorsi fatti dai genitori per scusare il loro figlio monello.

Poi, guardandoli giocare insieme, la ragazza si accorse della mancanza di un membro fondamentale per qualsiasi famiglia, forse anche per quella specie, e non resistette alla curiosità “E sua madre dov’è in questo momento?”

Al sentire questa domanda, il bestione si incupì di colpo, mentre Sara pensava che avrebbe fatto molto meglio a tenere la bocca chiusa per una volta. L’energumeno guardò un attimo il piccoletto, per poi rispondere “Vedi lei è da un po’ che non c’è più…”

Sara, visibilmente rattristata, si scusò “Oddio scusami. È colpa della mia curiosità, molte volte parlo prima di pensare”.

“Non ti preoccupare. La cosa che mi fa stare sereno è il fatto che, mentre moriva, dava alla luce il piccolo Grim. Mi chiese di promettergli che mi sarei preso cura di nostro figlio. Il suo ultimo regalo per me e per  il mondo…” e mentre narrava questo commovente racconto, qualche lacrimona scendeva dai suoi enormi occhi scuri.

Anche la nostra protagonista riuscì a stento a trattenere le lacrime, che spingevano agli angoli dei suoi occhi castani, mentre Grim, a cui suo padre aveva provveduto a tappare le orecchie, continuava beatamente a giocare con pezzi di materiali vari raccolti dal pavimento.

Dopo altri attimi di silenzio Sara ebbe un ironico, vista la situazione in cui si trovava, pensiero che volle condividere con la creatura che le stava accanto e, sorridendo, gli disse “Ed io che credevo che gli orchi mangiassero i bambini…” mentre ancora stava osservando i divertimenti del piccolo Grim.

“Infatti li mangiamo!”.

A questa risposta secca la giovane sgranò gli occhi e, con una puntina di terrore che si era rifatta viva nel suo cuore, si voltò chiedendo spiegazioni “Come?”.

Il mostro, che non aveva minimamente intuito il nuovo stato di agitazione in cui aveva sprofondato la ragazza, si chiarì “Cioé li mangiavamo…”.

“In che senso li mangiavate?” chiese l’altra, alquanto incuriosita.

“Devi sapere che i bambini…” nel pronunciare queste parole, avvicinò ulteriormente il suo enorme capo, come a rivelarle un grande segreto, in modo tale che in pochi venissero a sapere tale informazione, “Hanno cominciato a lavarsi!”.

Questa scoperta sconvolgente lasciò Sara con un’aria sbigottita in volto ma pronta a replicare “Sul serio?”.

L’orco, totalmente ignaro dell’ironia che Sara aveva messa in quest’ultima frase, continuò “Sì. Una volta, i ragazzini erano tutto tranne che puliti; Erano impregnati di fango, sudore e libertà… quelli di oggi invece… PUAH!”

Quest’ultimo verso dell’orco fu talmente forte che rimbombò per tutto la struttura.

Una volta terminato l’eco, Sara continuò ad ironizzare “Sono i tempi che cambiano…”.

“Già!” scosse la testa in maniera affermativa la creatura.

La ragazza provava sempre più tenerezza per lo scherzo di natura che aveva davanti, mentre il suo unico figlio proseguiva nel suo divertimento personale.

“Nonostante questo, noi orchi siamo ancora abbastanza sparsi in giro per il mondo…”

“Vuol dire che qualche suo “parente” lo posso trovare anche in altre nazioni?” chiese sorpresa la bionda.

“Certo!”

“Beh, in effetti, di gente strana in giro ce n’è tanta, ma francamente non ricordo proprio di aver mai incontrato un altro orco in giro per la città…”.

“Forse perché non sono tutti simili a me…”.

“Cioè?”.

“Per esempio, ci sono gli orchi dei paesi freddi, loro si che sono davvero brutti…”.

“Ah! Loro sarebbero brutti…” pensava dentro di sé Sara, cercando di non scoppiare in una fragorosa risata.

“Dicono addirittura che provengono direttamente dagli inferi. Devono mettere davvero paura se li incontri…” proseguiva nella sua spiegazione la creatura.

“Un altro tipo, se non ricordo male, sono gli orchi asiatici. Anche loro sono molto brutti ed hanno il viso rosso, due corna sulla testa e indossano sempre degli abiti leopardati…”.

“Sono per caso quelli che chiamano oni?” intervenne lei.

“Sì, esatto! Brava signorina! Mi fa piacere che anche tu usi il cervello!”.

“Prendiamolo come un complimento…” bisbigliò appena la Silvestri.

“Poi ci sono anche quelli americani, che dovrebbero avere la pelle verde e delle antenne al posto delle orecchie, ma purtroppo non ne so molto di questa specie…” sembrava aver concluso l’orco, che era tornato ad osservare la sua prole che si trastullava con i suoi balocchi.

Anche Sara tornò a squadrare nuovamente il piccolo, se così si può chiamare. Poi gli tornò alla mente il reale motivo per cui era giunta in quello stabilimento e, soprattutto, non voleva di certo arrivare alla fine dei suoi giorni con quella particolare compagnia.

“Beh… si è fatto piuttosto tardi e visto che, da quanto ho capito, questa struttura non è per niente abbandonata, mi secca ammetterlo ma devo rientrare a casa” spiegava con voce decisa la bionda, mentre si affrettava a grandi passi verso la porta.

“Ooooh ma come? Te ne devi già andar via?” chiese rammaricata l’enorme figura.

“Sì! Purtroppo ho ancora molte cose da…” ma la ragazza non riuscì a terminare la sua scusa dato che, il piccolo Grim, le si era avventato addosso cercando di stritolarla in quello che, per lui, era semplicemente un tenero abbraccio di affetto.

“Lasciala Grim!” gli urlò contro suo padre.

Ma il figlio continuava imperterrito a ridere, sballottolando di qua e di là la povera Sara che, stretta in quella morsa, non aveva nemmeno il fiato per gridare.

“GRIM!” tuonò ancora più forte e minaccioso il genitore.

A quell’ultimo avvertimento, l’orchetto lasciò andare la giovane che, per un attimo, rischiò anche di collassare al suolo.

“Non ci si comporta così con gli ospiti!” lo ammonì severo l’orco.

Il colpevole stava tornando al suo angolo, con gli occhi sempre più lucidi e la bazza che traballava pericolosamente, minacciando un pianto a dirotto.

“Non lo tratti così, è solo un bimbo…”.

La creatura ruotò nuovamente il suo enorme capo in direzione della bionda.

“Stai bene?” domandò preoccupato.

“Sì certo! Mi piego ma non mi spezzo!” rispose lei che subito raggiunse Grim.

Una volta che gli fu davanti, accarezzandogli dolcemente la manona, gli disse “Mi ha fatto piacere conoscerti, Grim”.

Dopo ciò, tornò ad avviarsi verso l’uscita. Girandosi indietro mentre era ancora in moto, salutò anche il padrone di casa “Sono felice anche di avere parlato con te!”.

“Anch’io Sara! Torna a trovarci quando vuoi!” esclamò l’orco, visibilmente commosso da quell’inaspettata visita.

“Certo, volentieri! Ciao alla prossima!” concluse sorridendo ai due, mentre chiudeva la porta.

 

Ora era di nuovo da sola. Ripensando a tutto quello che le era capitato, la ragazza era quasi tentata di riaprire nuovamente l’entrata, per controllare se tutto ciò apparteneva alla realtà.

Ma subito vi rinunciò, scuotendo vigorosamente la testa. Ora più che mai doveva riuscire a venire fuori dal quell’assurdo ambiente. Immediatamente però si accorse di una cosa: non riusciva più ad identificare l’uscita di quel capannone.

Per assurdo, uno strano pensiero prendeva vita dentro la sua mente: Il Fabbricato la voleva ancora dentro di lui.

 

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Capitolo 3
*** L'assedio e la salvezza ***


CAPITOLO 3

“L’assedio e la salvezza”

 

 

 

L’oscurità predominava su buona parte dell’ambiente attorno a lei. Inoltre vi era la presenza, a complicare ulteriormente la deambulazione in quel fabbricato, di vari ostacoli sul pavimento come cartoni sfondati, pezzi di legno scheggiati, cumoli di fogli di carta ingialliti ed altri oggetti non meglio identificati. Infine, il continuo susseguirsi di rumori sinistri, provocava in Sara uno stato di angoscia continuo ad ogni passo che faceva, unito a repentini giramenti di capo nella direzione da cui la bionda presumeva provenissero tali suoni.

“Oddio ne ho proprio piene le palle di questo posto!” sussurrava appena la giovane, preoccupata di non alzare troppo la voce per non segnalare sua presenza.

Riuscì ad avanzare ancora di qualche metro, poi si bloccò di colpo.

Questa volta non si era trattato di un semplice scricchiolio. Sembrava più un sibilo. Un verso animale, forse. Di certo nulla che si potesse considerare umano.

D’un tratto, gli tornarono subito alla mente le informazioni dategli dall’orco poco prima. L’intero stabilimento era infestato da creature del genere. Magari anche peggiori.

Subito dopo fu il turno di un flashback risalente a qualche giorni prima.

 

“Interessante! Ma sai per caso il motivo per cui fu chiuso?” chiese Silvestri.

“Beh,… ora come ora non mi ricordo bene. Ma immagino sia per qualche crisi economica o roba simile…” rispose sbrigativamente Chiara.

“Davvero?” la nostra ragazza rimase dubbiosa.

“Ma sì. Oppure la fabbrica stava per essere comprata da un gruppo straniero e poi, poco prima di mettere le firme al contratto di vendita, non se n’è fatto più nulla. Sai come funziona…” disse l’altra, accompagnando la sua dichiarazione con uno sfarfallamento della mano destra.

“No! E nemmeno tu t’intendi di queste cose, scema!” la canzonò Sara.

“Comunque, t’interessa o no la cosa?” e con queste ultime parole, da parte della sua amica, si concludeva il flashback mentale.

 

“Crisi economica… affare con gli stranieri andato in fumo… fanculo!” continuava ad imprecare la giovane donna, mentre ci ripensava.

Poi un altro schianto la fece trasalire nuovamente. Con il suo cuore che, ormai, aveva raggiunto stabilmente il ritmo di quello appartenente ad un maratoneta.

Di colpo, cominciò a frugare selvaggiamente dentro la sua borsetta, già un po’ ammaccata dal trattamento che le aveva riservato poco prima Grim.

“Niente… niente… niente!” esclamava sempre più forte, mentre proseguiva nella sua attività.

Successivamente, ormai rassegnata, si fermò. Dopo tutto, pensò, era normale che una ragazza della sua età non portasse torce elettriche con sé. Rimise le sue mani dentro solo per controllare il cellulare che, come prima, proseguiva nel segnalare l’assenza di campo.

“AAAH CAZZO!”  proruppe infine con un urlo.

“Cazzo…” si sentì appena.

La bionda sobbalzò nuovamente. Questa volta non poteva sbagliarsi. L’aveva sentito bene.

Cominciò a roteare tutta su sé stessa, scrutando nel buio, aiutandosi con la poca luce solare proveniente dalle finestre presenti nell’edificio.

“Chi c’è?”.

Certo non era il quesito più intelligente da porre, però la ragazza aveva pensato che, se esisteva un essere in grado di pronunciare parole, poteva se non altro essere qualcosa di simil-umano.

“Io mi chiamo Sara. Te chi sei?”.

“Sara…” fece eco il bisbiglio.

Dopo fu il più totale silenzio. Fino a che non iniziò l’assedio.

D’improvviso, una luce si accese sopra di lei. Sara d’istinto guardò su, nel tentativo di controllare la lampada che la emanava. Fu grazie a ciò che vide piombargli addosso dall’alto quella cosa. Fu però soltanto quando lo ebbe davanti al suo viso che ne riuscì a delineare bene la fisionomia. Si trattava di un esserino dell’altezza massima di 20-22 cm. La sua struttura fisica era pressoché identica agli uomini, nonostante un naso e, ancora di più, degli orecchi particolarmente pronunciati. Purtroppo altro del viso non poteva intuire dato che, l’esemplare che aveva davanti, presentava su di esso una grezza maschera tribale, prodotta molto probabilmente intagliando un pezzo di cartone. Inoltre, questa nuova creaturina mosse un suo piccolo braccio, andando ad infilare un suo minuscolo dito in un occhio di lei. La ragazza, con un riflesso incondizionato, si mise subito una mano sull’occhio colpito, mentre il suo aggressore saltava via nell’oscurità.

“Brutto stronzo!” ebbe comunque modo di offenderlo la giovane.

Tuttavia, nel gesto precedente, Sara era stata costretta a lasciar cadere a  terra la sua borsetta. Caduta a pochi centimetri da lei, il suo accessorio glamour incredibilmente cominciò ad allontanarsi dalla sua proprietaria.

Silvestri stessa rimase sorpresa esclamando “Ma cosa?”.

Poi la borsa si sollevò appena e, da sotto di essa, spuntò la testolina di un’altra creatura simile alla precedente, soltanto che questa sembrava indossare sulla suo capo una specie di cilindro fatto proprio su misura. Quest’ultimo, una volta accortosi che l’umana lo stava osservando, si pronunciò verso di lei con la più classica delle linguacce, per poi partire di corsa, uscendo dal cerchio di luce presente, portandosi via con sé la borsetta della donna.

“Fermo! Piccolo schifoso!” gli sbraitò contro lei, mentre riacquistava la giusta posizione eretta, per poi partire all’inseguimento.

SSSSSSSSTTTTTTTTTTTTRRRRRRRRRRRRRAAAAAAAAAAPPPPPPPPP!!!!!!!!!!!!!!!

Quel suono, per niente rassicurante, bloccò immediatamente la giovane. Sentendosi letteralmente scivolare gli abiti di dosso, Sara si rigirò notando subito, sul pavimento dell’edificio, una terza creatura, abbigliata con particolari braghe munite di bretelle, armato di una scheggia triangolare di vetro. Alla fine la t-shirt gialla che indossava atterrò al suolo, seguita quasi subito dal reggiseno bianco. Qualche millesimo di secondo per comprendere a pieno la neo situazione e la bionda si mise ad urlare.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” cercando di coprire il più possibile con le mani il suo giovane seno.

Nel frattempo, i suoi sgraditi ospiti si stavano nuovamente organizzando. Questa volta la Silvestri riuscì a contarne almeno cinque, che si stavano posizionando uno sopra le spalle dell’altro, a formare una micro piramide umana.

Il più in alto di tutti, caratterizzato da un costume in stile buffone medievale, non perse tempo e punse le dita della mano destra di Sara, utilizzando una piccola ma ben appuntita spada. Una volta che la ragazza ebbe tirato vi la mano, si fiondò sul suo capezzolo sinistro, cominciando a leccarlo e succhiarlo avidamente, facendolo diventare in breve tempo turgido.

A quel punto la collera della bionda esplose. Con un rapido movimento della mano offesa, afferrò quel mostriciattolo e lo scaraventò dritto nel buio, facendolo inoltre passare, con millimetrica precisione, tra uno scaffale e l’altro di fronte a lei.

“Fanculo, figlio di puttana!” ebbe modo di urlargli contro.

Ma gli esserini tornarono alla carica. Uno del gruppo, di cui la giovane notò soltanto un paio di luccicanti stivali, con una qualche micro apparecchiatura che Sara non ebbe tempo di osservare scrupolosamente, cominciò a spruzzare dell’acqua, o almeno sperava che lo fosse, verso il suo viso. Ciò serviva da diversivo per i suoi compagni che, grazie all’aiuto di un resistente filo ben teso, riuscirono a far inciampare la nostra protagonista. Nella caduta la giovane sbatté violentemente la testa sul pavimento.

Mentre cercava di riprendersi dal trauma, ebbe la strana sensazione che i suoi piedi uscissero dalle sue scarpe sportive. Subito dopo ebbe la stessa sensazione con i suoi jeans a vita bassa. Di colpo, riprese pienamente conoscenza e si accorse che, realmente, aveva perso i suoi indumenti della parte inferiore del corpo, rimanendo con soltanto le mutandine addosso. Cosa ben peggiore, le creaturine stavano puntando dirette a quelle. Nel tentativo di rialzarsi, sbatté con la mano su qualcosa. Voltatasi per controllare di cosa si trattasse, scoprì che era un asse di legno trafitta da chiodi arrugginiti.

“Niente di meglio” pensò.

Con un balzo fu nuovamente in piedi e, proprio davanti a lei, squadrò uno dei suoi rivali mostrargli volgarmente le terga, in un gesto di sfida universale.

Al grido di “Bastardo!” Sara lo trafisse con la sua nuova arma. Il sangue del mostriciattolo schizzò in parte anche sul seno di lei.

Le risatine degli esserini, che fino ad allora avevano accompagnato come sottofondo musicale tutta la lotta, cessarono di colpo. Silvestri, con ancora nel pugno l’asta lignea completa di cadaverino infilzato nei chiodi, puntò i suoi occhi castani sul resto del gruppo, che si trovava sul pavimento dell’edificio.

“Avanti, chi è il prossimo?” li sfidò con un ghigno malefico sul volto.

Nel giro di un secondo, i suoi minuscoli assalitori si dileguarono nell’oscurità da cui erano provenuti. Portandosi però via con loro i suoi pantaloni.

“Che stronzi, ridatemi indietro i miei jeans!” inveì inutilmente la bionda.

“Fai silenzio puttana!”.

Questa volta la voce era stata ben chiara, oltre che volgare, e di certo non poteva essere riconducibile a quegli esserini malefici che erano appena battuti in ritirata. Ricordava decisamente di più una voce umana femminile, forse una donna di mezz’età, dato il timbro vocale.

Tornato il silenzio, Sara si accorse di lievi ticchettii che, ritmicamente, provenivano dal buio del fabbricato. Cercò dunque, nonostante il suo evidente stato di deshabillé, di seguire quella minima emissione sonora.

 

Dopo innumerevoli minuti di cammino nell’oscurità più totale e, nonostante ciò, tenendosi la mano destra ben premuta a coprirsi il seno, la ragazza notò un bagliore luminoso di fronte a lei e, più si avvicinava ad esso, più quel sinistro ticchettio si faceva sempre più forte. Quando ormai era a pochi metri dalla luce, iniziò a vedere delinearsi dei profili ben precisi. La luminosità proveniva da una lampada poggiata sopra una scrivania da ufficio.

“Un attimo e sono subito da lei”.

La bionda sobbalzò a quell’affermazione improvvisa. Subito diresse lo sguardo nella direzione da cui era provenuta la voce. Di fronte a sé trovò una signora, decisamente sulla quarantina abbondante, con in testa tanti capelli ispidi e corvini, tenuti in ordine alla bene e meglio con una miriade di mollette e laccetti. Davanti ai suoi occhi scuri portava degli occhiali con la montatura in tartaruga. Questa nuova figura era del tutto presa da calcoli astratti, picchiettando sui tasti di calcolatrici, sia da tavolo che tascabili, presenti in grande quantità sopra la scrivania.

“Co… Come scusi?” Silvestri era ancora sorpresa da questa singolare apparizione.

A tale quesito, la donna sbatté seccata i palmi delle mani sul ripiano “Le ho appena detto che sarò su…” interruppe la frase, appena alzò la testa verso la giovane “Ma come si è conciata, signorina?”.

“Vede… ” iniziò Sara, cercando di riacquisire naturalezza nel suo atteggiamento “Ho avuto una disavventura con dei mostriciattoli che si trovano qui dentro…”.

“Non m’interessano le sue scusanti, signorina, mi dica lei se le pare un abbigliamento idoneo per presentarsi in un ufficio?”.

“Di che ufficio sta parlando?” la ragazza era sempre più sorpresa.

“Dove pensa di trovarsi in questo momento, signorina? In un ippodromo? E cosa pensa che stia facendo io in questo momento? Sto giocando a ping-pong? Eh?” proseguiva la megera.

“Ma… ma questo edificio è abbandonato da secoli!”.

“Io penso piuttosto che dovrebbe essere lei, signorina, ad abbandonare questo ufficio, data l’enorme perdita di tempo che mi sta facendo subire in questi minuti!”.

“Ehi, un momento, ma chi si crede di essere? Chi è lei?” domandò infuriata Sara.

“Eh no signorina! Piuttosto chi crede di essere lei!? Io mi chiamo Tiziana e lavoro part-time come contabile in questo fabbricato da molto più tempo di lei, sa?” si presentò infine la signora.

“Oh bene! Io sono Sara Silvestri, piacere, ed ero venuta qui per acquistare questa baracca e farne un bel salone per parrucchiere” la guerra ormai era iniziata.

“Ma come si permette? E poi via… andiamo… signorina… non penserà seriamente che la nostra ditta le cederà il nostro immobile per farne un misero negozio da barbiere”.

“Parrucchiera”

“Quello che è. Ma poi, mi scusi se mi permetto, ma non credo che lei sia la persona più adatta a dare consigli di stile a chi che sia…” indirizzò una nuova frecciatina critica alla sua nudità.

“Ma cos’è scema o cosa? Le ho già spiegato che sono state quelle creaturine del cazzo a fregarsi i miei vestiti, e per fortuna che sono riuscita a tenermi le mutandine…”.

“Innanzitutto non si permetta mai più in vita sua di offendermi! Non è di certo nella posizione più adatta per farlo! In secondo luogo, non nutro il minimo interesse nel conoscere ciò che le è capitato. Si fidi signorina che c’è gente che se la passa molto peggio di lei!”.

“Perfetto. Ora comincerà a parlarmi di quanto è difficile andare avanti potendo contare sulle proprie sole forze, avendo poi solo uno stipendio part-time come sostegno economico perché poi, sicuramente, una come lei non potrà di certo avere un compagno nella propria vita sentimentale…” proseguiva, sempre più velenosa, Sara.

L’altra donna serrava sempre di più la mascella, mentre coi pugni chiusi si appoggiava pesantemente al ripiano della scrivania. E poi infine proruppe “Ma come ti permetti, troietta schifosa, di criticare in questa maniera la mia vita? Cosa ne può sapere una zoccola come te, con il corpo ed il viso che ti ritrovi, di quanta fatica ha fatto una come me per ritrovarsi dov’è ora?”.

“Ehi stronza! Intanto smettila di offendermi come se fossi una maiala qualsiasi” presa dalla foga, la bionda si era imputata ella stessa con le mani sul ripiano della scrivania, lasciando le sue tette a sobbalzare di fronte a lei. Accortasi di ciò, si ricompose e proseguì “Io non stavo certo parlando del tuo aspetto fisico…”.

“Cosa vuoi dire?” domandò l’altra.

“Mi riferivo al tuo carattere. Insomma, capirai anche da te che non è certo il più semplice e affabile del mondo…”.

“Beh carina, se vuoi sopravvivere a questo mondo, devi formarti il carattere come il mio… ma questo una come te non può certo capirlo”.

“E perché? Perché sono carina? Riesci a capire cosa vuol dire che qualsiasi esemplare maschile di essere umano, anche quello che magari sembra più innocente, se ti guarda automaticamente pensa, anche se solo per qualche millisecondo, a come sarebbe bello scoparti”.

“Mi dispiace signorina, ma io di questi problemi non ne ho mai avuti”.

“Comunque non è una scusa per potermi trattare come una zoccola ritardata”.

“Benissimo. Comunque la informo che al momento siamo al completo e, è di questo ne sono certa, non abbiamo alcuna intenzione di vendere il nostro immobile a potenziali compratori”.

“Non si preoccupi, dato che sto seriamente pensando di abbandonare l’idea di acquistare questo immobile”.

“E allora come mai si trova ancora nel nostro stabilimento?”.

“Perché, semplicemente, non riesco più a trovarne l’uscita” rispose con tono seccato Sara.

L’altra donna, senza scomporsi minimamente, insinuò “Non riesce o non vuole?”.

“Cosa intende dire?”.

“Beh, magari, ha ancora degli affari in sospeso qua dentro, signorina”.

“Certo. Ad esempio ritrovare il mio reggiseno…”.

“In fondo, non penso che le dispiaccia mostrare un po’ delle sue generose forme…”.

“Ma mostrare a chi? Siamo solo io, lei, quei bastardi di nanetti…”.

“Folletti”.

“Quello che sono! Ah! Non dimentichiamoci dei due orchi nell’ufficio del direttore…”.

“E lei crede che siamo tutti qui?”.

“In che senso?”.

“Signorina, il fabbricato è bello grande…”.

“Oh mio dio! Ma chi me l’ha fatto fare!” imprecò infine la bionda.

Dopo questo prolungato scambio di battute, il silenzio piombò sulle due donne. Poi a Sara tornò alla mente qualcosa detto in precedenza dalla contabile.

“Scusa se ti disturbo ancora… ma prima avevi detto che lavori qui part-time?”.

“Sì esatto, è proprio così”.

“E come altro lavoro cosa fai?”.

“Sono una strega”.

A quest’ultima affermazione, Gli occhi castani di Silvestri si spalancarono. E poi fu nuovamente il silenzio a farla da padrone.

La ragazza era ancora basita della precedente risposta quando chiese “Ehm… posso farle un’ultima domanda?”.

“Certo, basta che poi mi lascia lavorare”.

“Come hai fatto di preciso a diventare strega?”.

“Semplice, per corrispondenza”.

“Davvero?”.

“Certo. Ho la scopa parcheggiata qua fuori”.

Lo sguardo basito di Sara fece intuire alla donna che aveva infine compreso la sua personale ironia.

“Posso farti proprio un’ultimissima domanda?” ruppe nuovamente il silenzio la biondina.

“Oh signore!” alzò gli occhi al cielo Tiziana “Ok però deve essere davvero l’ultima, signorina”.

“Se sei davvero una strega…” domandò, facendosi passare la lingua sulle labbra “non potresti farmi riavere i miei vestiti con la magia?” il tutto mentre continuava a coprirsi il seno, tenendo incrociate le braccia.

“Certo, è semplicissimo” e con un rapido movimento della mano sinistra pronunciò “Elata spic”.

La ragazza seminuda, d’un tratto, sentì il contatto del proprio avambraccio con del tessuto. I suoi vestiti erano tornati.

“Oh cazzo! Ma allora sei davvero una strega!” esclamò sorpresa lei.

La contabile non la degnò nemmeno di una risposta, ma anzi riprese con il picchiettare sui tasti della calcolatrice.

“Certo che ora il reggiseno mi sta un po’ stretto…”.

“Almeno non potrai togliertelo con facilità”.

Dopo quest’ultima frecciatina ironica, Sara Silvestri decise di proseguire con la sua odissea “Grazie di tutto Tiziana”.

L’altra nuovamente non proferì parola, ma piegò leggermente la bocca in un timido sorriso.

Così la nostra protagonista, tornata ad indossare completamente degli abiti, s’incamminò verso una nuova direzione, leggermente illuminata dalla lampada di Tiziana.

 

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Capitolo 4
*** La fata e il manichino ***


CAPITOLO 4

“La fata e il manichino”

 

 

 

Sara continuava il suo percorso nel buio, seguendo una direzione di cui nemmeno lei era sicura. Anche la postazione di Tiziana era ormai sparita nel nulla alle sue spalle. D’un tratto, come in soccorso della biondina, una piccola sfera di luce azzurrognola cominciò a rischiarare l’ambiente.

“Però, questa mi può far davvero comodo…” pensò tra sé Silvestri, mentre si avvicinava ad essa.

Ma il globo di luce, quando la ragazza non lo distanziava che di pochi passi, iniziò a muoversi, lì per lì facendo anche sobbalzare la nostra protagonista. Prima si diresse per circa un metro in linea retta poi, quasi volesse tornare indietro, proseguì in linea obliqua, guadagnando qualche centimetro in altezza.

Tornata nuovamente immobile, Sara cercò di allungare la sua mano destra verso quel bagliore. Ma, proprio in quel momento, la lucina sembrò come impazzita. Infatti cominciò a spostarsi a gran velocità prima dal basso verso l’alto, poi da sinistra verso destra. Sembrava come se qualcuno si stesse divertendo utilizzando una torcia elettrica, con Sara Silvestri nella parte del gattino che tenta inutilmente di afferrare il cerchietto luminoso.

Sara tentò in tutte le maniere di stare dietro, con i suoi occhi castani, alle sempre più rapide evoluzioni della luminescenza, finché non sbottò.

“Ora basta!”.

Come un monello cattivo appena rimproverato, la sfera azzurra si bloccò di colpo.

La giovane sembrò tranquillizzarsi, mentre si avvicinava nuovamente ad essa. Ad ogni passo, però, le sembrava di sentire come un lieve singhiozzio.

“Chi c’è? Chi è che sta piangendo?” domandò d’istinto Sara.

Come d’incanto, si fermò anche quello. La cosa che però la preoccupava di più era che sembrava in tutto e per tutto il pianto di un infante. O almeno così sperava.

Sara tornò a fissare il piccolo globo luminoso, questa volta però percependo una presenza nelle vicinanze.

“Scusami se prima ho gridato…” provò un nuovo approccio l’umana.

Il bagliore reagì illuminandosi un pochino di più. Fu solo allora che la ragazza notò qualcosa d’interessante. Sotto a quella specie di lucciola azzurra, vi era come un sostegno, o per lo meno parte di esso, su cui si rifletteva la luce emanata. A prima vista poteva sembrare un piccolo bastone.

“Io mi chiamo Sara e sono venuta qui per dare un’occhiata a questo fabbricato…” si presentò, speranzosa in una qualche reazione.

La luce s’illuminò ancora di più e allora la giovane donna riconobbe subito che, sotto di essa, non vi era un bastone, ma bensì un minuscolo braccio. Di certo questa scoperta non fece particolarmente piacere alla bionda che si ritrasse di scatto. Intanto la luce aveva iniziato ad abbracciare, con il suo fascio luminoso, anche un volto. Con un crescente sgomento, Sara notò che si trattava di un viso minuscolo, ovviamente in proporzione con il braccio, simil-umano, se non fosse per l’estrema spigolosità del mento, quest’ultimo piuttosto pronunciato, e le orecchie di elfica forma a punta. D’istinto la catalogò come forma femminile, forse per l’innocenza che vedeva traspirare da due piccoli occhi a mandorla. Infine notò che la stessa pelle della creaturina aveva un colore azzurro chiaro, anche se risaltava molto grazie alla luce del bagliore.

Silvestri, senza neanche pensarci, s’inginocchiò accanto all’esserino, tenendo sempre il suo braccio destro proteso in avanti. Inizialmente questo nuovo ospite sembrava dubbiosa, sempre che si trattasse di una femmina, verso la sua nuova conoscenza poi, passato qualche attimo, sembrò ella stessa avvicinarsi titubante alla ragazza.

Sara, in tutta risposta, le sorrise dolcemente, come poche oltre lei sapevano fare. Questo sembrò fare molto piacere alla creatura che, senza alcuno sforzo, fece irradiare un gran bagliore dalla sua sfera magica. In questo modo la ragazza ebbe modo di vedere il resto del suo corpo, altrettanto minuto e grazioso. Ormai le due erano molto vicine tra di loro e, con grande sorpresa dell’umana, la creaturina le stava porgendo il suo globo luminoso. Solo allora notò che la sfera non si trovava esattamente tra le mani minute dell’esserino, ma fluttuava qualche centimetro sopra di esse. Per qualche secondo si trasferì anche sopra quelle di Sara per poi, improvvisamente, esplodere come fosse una bolla di sapone.

Ripiombati nuovamente nell’oscurità, la giovane riconobbe subito la risatina divertita dell’esserino che, una volta terminata, ricreò dal nulla un nuovo globo illuminante. Al che, anche la bionda era piuttosto divertita da tutta la sua nuova situazione.

La creaturina allora, presa dall’euforia, iniziò a danzare, con la sfera di luce che ritornò a fare i movimenti repentini eseguiti in precedenza. Sara, sempre più attratta da essa, riprese a seguirla nei suoi spostamenti sempre più verso destra. Di colpo, un rumore improvviso emesso da sinistra attirò l’attenzione della bionda che, completamente abbagliata, fu colpita da un raggio di luce solare proveniente, molto probabilmente, dall’esterno. Lo stesso fascio andò a colpire diretto anche l’esserino. Grazie a ciò, Silvestri riuscì a scrutare per bene la creatura azzurrina che, una volta emesso un terribile grido di dolore, si liquefò, come fosse la strega malvagia dell’ovest dal “Mago di Oz”.

Dopo quanto accaduto, la giovane donna rimase bloccata ad osservare quella minuscola pozzanghera sul pavimento. Ancora non riusciva a capacitarsi di ciò che era appena accaduto.

“Ma cosa? Ehi, piccolina?” tentò di chiamarla accucciandosi più vicina possibile a quel liquido “Ci sei, piccolina? Rispondimi!”.

“Non può farlo, è morta”.

Sara fece un vistoso scossone, a causa di questa voce improvvisa, voltandosi verso la direzione da cui proveniva.

“Cosa?” domandò preoccupata.

“Era una fata delle fontane” riprese la voce, questa volta accompagnata anche dal rumore di passi leggeri “la luce del sole le uccide”.

La bionda era sempre più sulla difensiva mentre, a poco a poco, il raggio solare andava ad illuminare il suo nuovo interlocutore. Quest’ultimo sembrava in tutto e per tutto un manichino da grandi magazzini. Il suo abbigliamento, fatto perfettamente su misura, consisteva in calzoni di velluto bianchi, camicia di jeans scura, sopra di essa vi era un gilet marrone scuro e, per finire, sul collo aveva annodato un papion rosso, cosparso di piccoli cerchi verdi. Il suo viso era caratterizzato da vispi occhi dipinti di marrone e capelli plastificati del medesimo colore.

“Ciao, piacere di conoscerti”.

Sara, nonostante dovesse essersi abituata a quegli strani eventi, eseguì un grande balzo all’indietro e cacciò un forte urlo di spavento.

L’essere di plastica, come qualsiasi umano avrebbe fatto, si portò di scatto le mani sulle orecchie.

“Ehi! Se urli così mi perforerai i timpani!”.

La bionda, di nuovo avvolta dall’oscurità, tentava di riprendere fiato mentre, come le capitava spesso, la curiosità cominciò ad insinuarsi dentro di lei “C-che co-cosa sei?”.

La creatura artificiale si mosse nel buio più totale per raggiungere qualcosa. Premette l’interruttore e una lampadina rischiarò l’ambiente con la sua tenue luce. Grazie ad essa Silvestri constatò quanto aveva visto poco prima, attraverso il raggio di luce solare che aveva ucciso la fatina.

“Io, cara signorina, come potrai facilmente intuire osservandomi, sono un manichino vivente!” le rispose cordialmente lui.

“Un manichino vivente?” domandò sempre più perplessa lei.

“Esatto! Sono nato come qualsiasi manichino poi, all’improvviso, dei sentimenti hanno cominciato ad insinuarsi nel mio corpo di plastica. Forse provenienti dalla cura della persona che mi ha creato, oppure dall’amore della commessa che mi vestiva con gli abiti che aveva all’occorrenza”.

Sara ascoltò colpita il racconto del suo nuovo interlocutore “In effetti, avevo sentito che certe religioni credono in queste possibilità…”.

Il volto plastificato, caratterizzato da un immobile sorriso, parlò nuovamente “Sono contento che qualcuno sia venuto finalmente a farmi visita, meglio ancora se si tratta di una bella ragazza come te! Per curiosità, posso sapere come ti chiami?”.

“Mi chiamo Sara, Sara Silvestri. E te? Hai per caso un nome o qualcosa di simile?”.

“Oh beh se vuoi, per metterti a tuo agio, puoi semplicemente chiamarmi manichino vivente. Anche se, ultimamente, mi piace essere identificato come Leroy”.

“Leroy?”.

“Sì esatto. Sai, sono nato in Inghilterra…”.

“Ok, Leroy…” accettò la bionda ripensando, d’un tratto, a quanto avvenuto poco prima “Prima hai detto che quella creaturina era una fata delle fontane, giusto?”.

“Sì infatti, sono spiritelli formati d’acqua che, purtroppo, quando vengono a contatto con i raggi solari, o altre fonti di calore, si sciolgono per diventare semplici pozzanghere”.

“Davvero?” chiese rapita la giovane donna.

“Certo! Hai presente quando trovi per strada delle inspiegabili pozzanghere isolate?”.

“Mmm, in effetti…” ci pensò su lei.

“Ora che ci penso…” riprese il filo del discorso Leroy “Cosa ci fai qui dentro il Fabbricato?”.

“Ah… dunque…” Sara dovette fare un attimo mente locale “Sono qui perché ero interessata a farne un negozio da parrucchiera… ma a quanto pare questo capannone è più occupato di prima!”.

“Peccato, mi sarebbe piaciuto farmi fare un nuovo taglio di capelli! ahahahah” rise di gusto il manichino, pensando all’impossibilità di quanto detto.

“Bah non dire così Leroy! Il tuo taglio attuale è molto alla moda!” ci scherzò su anche l’umana.

“Certo, per essere un manichino sono piuttosto richiesto…” verso la fine dell’affermazione, nella voce magica comparse un velo di tristezza.

“Cos’hai Leroy? Non dirmi che non ti piace la tua situazione?” la biondina aveva già intuito tutto.

L’interpellato alzò nuovamente la testa “E come potrebbe piacermi, Sara? Anche se provo dei sentimenti umani, la plastica non potrà mai sostituire la carne!”.

“Sono i sentimenti a fare l’uomo e non la pelle! Ci sono persone che hanno in corpo più plastica che carne, eppure riescono ad amare di più rispetto a gente che è solo carne ed ossa”.

“Certo, è vero. Ma so che il calore emanato da un vivo abbraccio non potrà mai superare un freddo abbraccio di plastica”.

“Il calore deve prima di tutto provenire dal cuore, Leroy. Che poi la tua pelle sia fredda o calda, credimi, non ha importanza!”.

I due si scrutarono intensamente negli occhi, o almeno così sembrò a Sara.

“Francamente non so se il mio si possa considerare amore, ma di certo una volta provai un sentimento che gli si avvicinava molto” esordì nuovamente il fantoccio.

“Davvero? E con chi?” domandò curiosa la ragazza.

“Si trattava di un manichino da vetrina che arrivò qui verso la fine degli anni ’70. Oppure era l’inizio degli anni ’80?” si chiese dubbioso l’uomo di plastica.

“E com’era fatta? Era carina?”.

“Era stupenda! Con il suo candido bianco…”.

“Candido bianco?”.

“Sì, lei era un manichino meno dettagliato rispetto a me. Ma quel suo candido bianco, unito alla sua splendida linea corporea, creavano un fascino a cui era impossibile resistere!” la voce di Leroy tornò a brillare.

“Sicuramente è meglio di uno spaventapasseri. Ma sei riuscito a parlarci?” Silvestri era sempre più rapita da questa fantastica storia.

“Beh, sì. Anche se ho dovuto aspettare un po’, da quanto ero sconvolto la prima volta che la vidi arrivare in questo fabbricato”.

“Ti capisco…” annuì la bionda.

“Decisi di chiamarla Snow”.

“Come mai Snow?”.

“Per il suo colore, ovviamente”.

“Ah, giusto!”.

“Dopo un po’ di tempo, sono riuscito anche a farmi concedere un appuntamento con lei!”.

“Ma dai! E com’è andata?”.

“E’ stata una delle notti più romantiche che si possano mai immaginare…” proseguì nel racconto, con tono sognante “Quando tutte le operaie erano tornate a casa, uscimmo silenziosamente da una finestra sul retro con la chiusura difettosa…”.

“Però! Quest’informazione potrebbe tornarmi utile… se solo sapessi dove sia il retro in questo luogo al di fuori del mondo!” pensò Sara, mentre ascoltava il resoconto del manichino.

“Camminando tenendoci mano nella mano, anche se non potevamo stringerle, arrivammo ad un laghetto che, a quel tempo, era qui nelle vicinanze”.

“Figurati! Io non sapevo nemmeno che ci fosse un lago in queste zone” rimuginò la giovane.

“Fu proprio in quell’occasione che conoscemmo le fate delle fontane le quali, grazie ai loro piccoli globi luminosi, diedero a tutto l’ambiente un’aria ancora più magica…”.

“Che bello! E vi siete anche baciati?” ormai la curiosità aveva preso il sopravvento nella mente della ragazza.

“Beh…” rispose lui con una voce alquanto imbarazzata “direi di sì, per quanto sia possibile a due oggetti inanimati come noi…”.

“Non dire così Leroy…” poi Sara decise di porgli ciò che temeva essere uno scomodo quesito “Senti Leroy, forse farei meglio a non chiedertelo, ma… come mai fino ad ora hai sempre parlato al passato?”.

“Perché Snow, purtroppo, non è più qui tra noi” rispose senza emozioni l’essere artificiale.

La giovane donna sentiva già la commozione afferrargli la gola “Cos’è successo?”.

“Una sera, qui dentro il fabbricato, sono entrati dei vandali…”.

Già soltanto quelle poche parole misero l’ansia nel cuore di Sara.

“La mia speranza, una volta che capii che erano entrati nel fabbricato, era che non si accorgessero della mia amata, piuttosto che riversassero la loro rabbia su di me. Per un po’ si dilettarono in altre attività. Poi si accorsero di lei…”.

“Oddio” sospirò la ragazza, mentre continuava ad ascoltare silenziosamente l’accaduto.

“Avrei dato qualsiasi cosa perché rovinassero me e non lei, ma la vita non ti permette certe scelte”.

“E te non potevi intervenire? Certo, facendo così avrebbero scoperto il tuo segreto ma, a quel punto, cosa ti sarebbe importato?”.

“Ero rinchiuso dentro un magazzino e potevo solo assistere da una finestrella sulla porta. Ed è quello che feci. Mentre la sporcavano simulando su di lei posizioni indecenti, continuavamo a guardarci negli occhi. Sono sicuro che, con la mente, eravamo di nuovo insieme al laghetto. Sotto lo sguardo silenzioso della luna, con attorno a noi le luci delle fate delle fontane ad abbracciarci”.

“Ma quei bastardi poi che fine hanno fatto?” domandò Silvestri, con le guance rigate da lacrime amare.

“Dopo aver concluso il loro lurido spettacolo, hanno deciso di staccarle la testa ed un braccio, come reliquie della loro infima impresa”.

D’istinto, la giovane donna poso una mano sulla spalle fredda di lui.

“Avrei preferito sciogliermi con tutta la mia inutile plastica, piuttosto che continuare a vivere una vita senza di lei, vuota” concluse infine il manichino.

“Mi dispiace Leroy” disse singhiozzando Sara.

“Ma sai perché ho deciso di continuare a vivere? Perché voglio essere la testimonianza del nostro amore, dentro questo assurdo fabbricato. Spero che anche Snow la pensi così…”.

“Ne sono certa, Leroy” lo assicurò la bionda.

L’umana ed il fantoccio furono avvolti dal silenzio che il mondo aveva creato attorno a loro.

“Ciò che resta del suo corpo non è più qui?” chiese la giovane.

“No. Ho ritenuto che fosse inutile tenerlo qui con me. Lei era scomparsa insieme al suo splendido viso” fu la risposta di Leroy.

Improvvisamente, la creatura voltò la sua testa di plastica verso Sara “Nonostante questo, sono felice che, tra voi esseri umani, ci sia anche gente splendida quanto lo era Snow”.

“Ti ringrazio Leroy, per me è un piacere aver conosciuto una persona speciale come te” gli disse sorridendo Sara.

“Beh persona… non esagererei così tanto… preferisco rimanere un semplice manichino”.

“Credo che quello non lo sei mai stato, Leroy, ma, anzi, può darsi che, un giorno, potresti essere la sola ed unica speranza dell’umanità”.

“Cavolo! Ora stiamo proprio andando nell’assurdo” commentò ridacchiando lui “Se non altro potrei salvare il mondo utilizzando la mia breakdance!”.

“Davvero? Te la cavi bene?”.

“Non mi lamento… vuoi vedere?”.

“Oh sì! Assolutamente!”.

Il manichino vivente non se lo fece ripetere due volte e, con grande sorpresa da parte di Sara Silvestri, le mostrò davvero una grande abilità in questo complesso stile di ballo, cose da far impallidire un esperto b-boy.

Alla fine dell’esibizione, alla ragazza non rimase che complimentarsi “Sei fantastico Leroy! Ma dove hai imparato così bene?”.

“Tra le varie persone che hanno lavorato qui dentro, c’era un apprendista che ne era grande appassionato. Io non ho fatto altro che guardarlo mentre si allenava per le gare”.

“Però ti giuro che hai davvero del talento!”.

“Grazie Sara, anche Snow adorava le mie performance”.

La ragazza non aveva mai sentito tanto rispetto per una persona come in quel momento. Forse come non gli era mai capitato con gli essere umani.

Il manichino tornò a fissarla con i suoi occhi tondi e dipinti dicendole “È giunto il momento che tu prosegua il tuo cammino Sara”.

La bionda, lì per lì, fu sorpresa di quest’ultima frase della sua nuova conoscenza, poi annuì con il capo e lo salutò “Grazie di tutto Leroy”.

“Grazie a te Sara”.

 

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Capitolo 5
*** Incontro con la famiglia di Parf ***


CAPITOLO 5

“Incontro con la famiglia di Parf”

 

 

 

L’incontro con Leroy, il manichino vivente, l’aveva davvero colpita nel profondo.

“Può davvero un amore, che non è nemmeno umano, superare certe tragedie che, alle volte, uno stesso essere umano non riesce a superare?” ciò si chiedeva la bionda mentre proseguiva il suo cammino nell’oscurità, stando ovviamente attenta a dove metteva i piedi.

Di nuovo un altro misterioso rumore e Sara alzò d’istinto la testa. Tutto ciò che vide fu soltanto tenebra. Ripartì con la sua marcia senza meta quando qualcosa andò storto. Nell’effettuare il primo passo, dopo essersi bloccata guardinga, urtò con la punta del piede destro su qualcosa appoggiato a terra. La rovinosa caduta in avanti fu inevitabile.

“Aaaahhhh! Oddio che male!” protestò sommessa la ragazza che, sdraiata al suolo, non riusciva a decidersi se a farle più male era il capo o il ginocchio, e di quest’ultimo non riusciva a mettere a fuoco di quale dei due si trattasse.

“Beh, conosco il posto che fa per te…” nello stato confusionale in cui si trovava, le tornarono in mente le parole della sua amica Chiara. “È fuori città, un quarto d’ora di macchina procedendo verso nord…” la giovane Silvestri non avrebbe mai detto che, per cercare di trovare una semplice bottega da parrucchiera, si sarebbe trovata a vivere un incubo ad occhi aperti “La vecchia fabbrica di telai, ti ricordi?”. Al momento, tutto  ciò che ricordava, erano queste parole.

Un potente fischio la risvegliò di colpo. I suoi grandi occhi castani, ora spalancati, si trovarono di fronte il buio ormai familiare. Eppure lei era certa di averlo sentito quel suono.

Dopo qualche secondo per riprendersi, capì che la sua priorità al momento era un’altra: rimettersi in posizione eretta.

Poggiò i palmi delle mani sul pavimento umido, per cause su cui non era meglio indagare e, a stento, riuscì a sollevare il busto e piegare le ginocchia, per ritrovarsi in posizione rannicchiata. Tenendosi abbracciata alle sue gambe piegate, aspettava che il suo cranio smettesse di pulsare in maniera esagerata.

Un secondo e più potente fischio ruppe il silenzio. Questa volta sembrava accompagnato da una sorta di sbuffo.

Il nuovo spavento per Silvestri fu notevole quando però, d’un tratto, si accorse di qualcosa. A metterla in guardia fu questa volta la sensibilità del suo invidiabile fondoschiena. Si accorse infatti di essere seduta sopra a dei piccoli corpuscoli che, al tatto delle proprie natiche, le ricordavano decisamente dei sassi. Inoltre, questa volta constatandolo manualmente, sembrava che, ai lati di essi, fossero state poggiate delle piccole travi di legno.

Nel cercare di darsi delle spiegazioni, Sara mosse leggermente la gamba sinistra e, questa volta con il tacco basso della scarpa, urtò nuovamente qualcosa. Intuì che potesse essere la stessa cosa che poco prima l’aveva fatta precipitare a terra e, sempre con le sue dita affusolate, andò ad indagare. Sembravano curiosamente delle sbarre d’acciaio.

Subito dopo ciò, la ragazza ricollegò tutti i pezzi del puzzle. Ma, proprio quando era arrivata alla spiegazione dell’arcano, un fascio di luce la illuminò, facendola sussultare. Ora sì che quel terzo fischio ululante aveva un motivo: lei si trovava su delle rotaie e quello che le stava venendo contro era un treno.

Accettando sempre di più quell’assurda idea, la giovane donna vide comparire, a poco a poco, il sinistro profilo di quella che le sembrava un’antica locomotiva.

Con l’enorme muso della macchina ormai completo, sopra di esso iniziò a comparire un comignolo, e da esso cominciò a fuoriuscire del preoccupante fumo.

Sara, quasi del tutto shockata dallo spettacolo che le si stava svolgendo davanti agli occhi, sentì la paura afferrargli l’anima. Subito ridiede potenza ai suoi muscoli corporei per uscire da quella pericolosa traiettoria. Non riuscì a muoversi di un centimetro. Con la paura che continuava a salire, era come se qualcosa la bloccasse sulla strada di ferro. Ora il fumo iniziò a fuoriuscire anche da sotto la motrice e le ruote di essa, anche se non visibili, fecero sentire la loro attività meccanica.

“Fanculo! Dai alzati! Cazzo!” furono gli unisci sproloqui emessi dalla bocca della donna.

Ma il corpo sembrava incollato al suolo, mentre il treno acquistava sempre più velocità verso la sua possibile vittima.

“AIUTOOOOO!!!!!!!!!!!!!” fu l’urlo disperato di Sara, sperando che magari Leroy, oppure anche l’orco, la sentissero. A quel punto accettava una mano anche da Tiziana o da un folletto.

La locomotiva era sempre più vicina. Tanto da poterne quasi intuire la marcatura scritta sul davanti. “Nesis. O qualcosa del genere”  constatò nel panico più totale la giovane.

Con la morte negli occhi, la bionda notò del movimento dentro la cabina di guida della locomotiva a vapore. Come un’inquietante visione, da essa spuntò fuori un teschio umano. Attaccato aveva anche tutto il resto del corpo, agghindato come un vero macchinista, con annesso cappellino sopra il cranio.

Lo spettro, accortosi immediatamente della presenza dell’essere vivente, spalancò le fauci in un ghigno malefico, facendo aumentare la marcia della macchina.

Sara si era infine rassegnata a subirne in pieno l’impatto. Impatto che puntualmente non avvenne. Il treno passò attraverso la giovane donna, procurandole un brivido freddo in tutto il corpo. Mentre ancora il mezzo era in moto, lei cercò di riaprire leggermente gli occhi. Ciò che vide, oppure le sembrò di vedere, furono tra le più svariate figure umane evanescenti: da donne con le ampie gonne ad uomini con i giubbotti di pelle.

Nel giro di qualche secondo, tutta questa complessa manifestazione extraterrena scomparve, rotaie comprese. In tutta risposta, i sensi della ragazza vennero meno.

 

Dopo ore, o forse giorni chissà, una tenue luce iniziò a rischiarare l’oscurità. Le palpebre di Sara erano ancora molto pesanti ma la bionda, una volta ricordatasi la sua situazione, cercò di tenere ben aperti i suoi occhi, per capire dove si trovasse in quel momento.

La prima cosa di cui si accorse era che il soffitto era notevolmente abbassato, tanto che, ne era certa, se avesse alzato un braccio, l’avrebbe toccato per lo meno con la punta delle dita. Voltato il capo, notò inoltre che la luce dell’ambiente proveniva da una semplice torcia elettrica.

“Penso che si sia svegliata”.

Lì per lì, quando la ragazza udì questa flebile voce, pensava fosse ancora un eco lontano dovuto al dormiveglia. Poi, una volta sentito dei piccoli passi provenire dalla sua destra, alzò di scatto il busto il più possibile, trovandosi davanti altre novità.

Una coppia di esserini, alti non più di una ventina di centimetri, dalle sembianze nettamente umane.

Essi erano vestiti con scarpe dalla punta molto pronunciata, calzoni di stoffa marroni, tenuti su da una cintura con fibbia dorata, una maglia di lana blu e, sulle sommità delle loro teste, un tipico cappello a punta rosso.

“Voi…” tentò di esordire Sara, facendo mente locale “siete… nani?”.

I due spalancarono gli occhi, sorpresi forse dal fatto che quella creatura si esprimesse a parole.

“No…” iniziò quello che si trovava a sinistra.

“Siamo gnomi, signorina” concluse quello a destra.

Dopo questa iniziale conversazione, i tre rimase in silenzio a fissarsi per qualche attimo. D’improvviso, quello a manca scattò via attraverso un buco rettangolare sulla parete, gridando cose del tipo “Mamma! Papà! Si è svegliata”.

Sara sembrò quasi non stupirsi, mentre seguiva con lo sguardo la fuga dello gnomo, per poi tornare a squadrare il piccolo essere che era rimasto di fronte a lei.

“Ma dove sono? Sono ancora nel fabbricato?” domandò fiduciosa, mentre con le pupille molto mobili cercava di ispezionare la stanza.

“Oh sì, certo! Vedi noi ti a…” rispose lui prima di essere interrotto.

“Lascia figliolo, da qui in avanti proseguo io”.

Questa nuova voce, in un certo senso più anziana delle altre due, attirò l’attenzione della ragazza come il miele con le api.

“Ben svegliata, signorina. Perdoni per il giaciglio di fortuna in cui si trova ma, come potrà ben capire, è difficile che un’umana si presenti qua dentro, dopo tutti gli anni in cui questo capannone è stato abbandonato”.

A parlare fu una creaturina alquanto simile ai precedenti: identico nell’abbigliamento, ma con una folta barba bianca a coprirgli buona parte del viso.

“Oh non si preoccupi…” rispose cortese Sara “Ma… ora dove mi trovo?”.

“Stia tranquilla, si trova sempre dentro al fabbricato”.

Saputo ciò, ebbe un effetto tutt’altro che rassicurante.

“Ora si trova dentro la nostra umile dimora. L’abbiamo trovate ieri, mentre eravamo a caccia, esanime a terra. Inizialmente eravamo indecisi sul da farsi poi, vedendola ferita, abbiamo deciso di portarla qui da noi”.

“Ferita?” domandò preoccupata Silvestri.

“Tranquilla, è solo un graffio sulla sua gamba sinistra” la calmò immediatamente lo gnomo.

Lei andò subito a controllare l’arto e, con suo grande sollievo, vide confermato quanto le era stato appena detto.

“Che fortuna! Forse è stata qualche lamiera schezzata. Meno male che ho da poco rifatto l’antitetanica”.

“Piuttosto” riprese l’esponente del piccolo popolo “mi perdoni se non mi sono ancora presentato: il mio nome è Parf, e questi” indicando la coppia che aveva accolto la bionda al suo risveglio “sono i miei figli Fanem e Dihal…”.

“Piacere di conoscerla!” salutò in coro la coppia.

“Infine…” concluse Parf “Di là si trova mia moglie Dolan. La perdoni ma è un po’ timida…”.

Sara rimase estasiata dalla presentazione di quel particolare nucleo familiare. Poi si ricordò delle buone maniera.

“Oh! Mi scusi, io mi chiamo Sara Silvestri. Ero venuta qua dentro per cercare un luogo da utilizzare come salone da parrucchiera ma, a quanto ho visto finora, questo posto è anche troppo affollato!”.

“Sì beh, la capisco. Ma lei deve capire, signorina, che questo è uno degli ultimi rifugi per noi creature fantastiche…”.

“Sì lo so, mi ha già detto tutto il direttore…”.

“Il direttore?”.

“Cioè… l’orco!” si corresse infine Silvestri.

“Ah… giusto… il nostro “direttore”…” sembrò corrucciarsi l’esserino.

“Non le sta particolarmente simpatico, per caso?” chiese incuriosita la giovane donna.

“E come potrebbe? Così sporco, così rozzo…” mentre diceva queste parole, il capofamiglia stringeva forte i minuscoli pugni.

“A me non è sembrato tanto male. Sì, certo, va saputo prendere…” disse l’umana.

La ragazza interrupe il suo pensiero, notando il quarto elemento della famiglia fare capolino dall’apertura sulla parete.

L’altezza era simile a quella del marito, che a sua volta era leggermente più alto della sua prole. Indosso aveva una lunga gonna rossa, un elegante maglia lilla e lo stesso copricapo degli altri, con l’unica differenza che il suo era di colore verde. Il viso era molto dolce e delicato, con occhi a mandorla e i capelli scuri raccolti in due simpatiche trecce.

“Buongiorno signora” la salutò Sara, facendola sobbalzare dalla sorpresa.

“Oh cara! Vieni pure! Non essere timida con la nostra nuova ospite!” la incoraggiò il coniuge.

Lei si fece coraggio ed entrò nella stanza e, solo allora, la nostra protagonista notò che Dolan portava in mano un vassoio con un misterioso bicchierino fumante.

Il padrone di casa fece le dovute presentazioni “Cara, ti presento Sara. Sara, lei è la mia splendida moglie Dolan”.

La nuova arrivata arrossì timidamente, stringendosi al marito.

“Questo è per te Sara” disse lo gnomo mentre le porgeva il recipiente, grande quanto un ditale.

“Che cos’è?”.

“È una tisana di alghe e radici, ti aiuterà a rimetterti in sesto!” esclamò felice Parf.

Sara era inizialmente molto titubante poi, tenendo il calice tra il pollice e l’indice, buttò giù tutto d’un fiato. Si accorse, con somma sorpresa, che il sapore era tutt’altro che sgradevole, quasi fruttato.

I suoi ospiti la guardavano tutti e quattro sorridenti. Dunque la bionda riprese il dialogo.

“Mi piace questa casa! È molto più accogliente di altre”.

“Ti ringrazio” fu sempre il capofamiglia a risponderle “ho praticato io stesso i buchi alle pareti, per guadagnare via via qualche stanza in più. Non per vantarmi ma noi gnomi, come minatori, ce la caviamo egregiamente, quasi come i nani…”.

La conversazione proseguì sempre più allegramente, coinvolgendo tutti i membri della famiglia gnomesca. Anche la riservata Dolan finalmente si sbottonò un po’. In particolare Silvestri insisteva sulla differenza tra gnomi e nani come argomento principale.

“… Insomma in questo video c’è questa creatura, che tutti chiamano “lo gnomo”, che è alta quanto un uomo accucciato, e già qui mi fa venire dei sospetti… comunque quindi, se proprio dobbiamo, andrebbe più correttamente chiamato “il nano”, dato che i veri gnomi siete voi… che però assomigliate tanto ai nani da giardino, che appunto vengono chiamati nani…”.

Il nucleo familiare fissava a bocca aperta la giovane umana, quest’ultima sparava a raffica parole una dopo l’altra. Poi, finalmente, fu la stessa ragazza ad accorgersi che stava esagerando.

“Scusatemi. Se inizio a parlare di congetture pressoché inutili, non la finisco più!” confessò imbarazzata.

“Tranquilla figliola” la rassicurò il padre di famiglia “Fa sempre piacere vedere dei giovani con così tante idee, gnomi o umani che siano”.

“Ti ringrazio Parf ma, se volete, potete raccontarmi anche voi altre vostre esperienze. M’incuriosiscono molto!”.

“Oh beh… fammi pensare… cosa potrei narrarti…” iniziò a pensare lo gnomo, strusciandosi con le dita il mento.

Di colpo s’intromise Fanem, il più grande dei due figli “Padre, raccontagli del tuo incontro con il basilisco!”.

Parf ascoltò la proposta del figliolo “Oddio ma quella è una storia che conoscete praticamente a memoria…”.

“Dai Papà! Anch’io ho voglia di risentirla!” insistette anche il figlio minore, Dihal.

Sara guardava divertita la carica dei due pargoli. Poi decise di dire la sua “Visto l’enfasi delle richieste, farebbe molto piacere anche a me sentirla”.

“E va bene!” acconsentì infine l’oratore, mettendosi comodo su di una minuscola sedia in legno, portata poco prima dalla moglie Dolan “Come desiderate. Dunque, successe tutto non molti anni fa. A quel tempo mi trovavo ancora dentro un’enorme grotta sotterranea. Come ti ho detto prima, Sara, la nostra razza è caratterizzata da ottimi scavatori e, quella volta, il cunicolo che avevo appena terminato di scavare, si era improvvisamente aperto su un vasto ambiente dalla volta altissima.

Dal soffitto scendevano imponenti stallatiti, la cui mole faceva supporre che la grotta fosse molto antica. Tutto era immerso in una profonda penombra, appena rischiarata da un leggerissimo bagliore verdastro. D’improvviso, mi accorsi che qualcosa si muoveva nell’oscurità. Era un movimento lento, sinuoso, viscido, come di un serpente, ma un serpente enorme. Al buio non potei distinguere le fattezze della bestia, che si trovava ad una decina di metri da me: vidi forse delle ali, o delle zampe, o una cresta, non so; di certo ebbi una gran paura e mi rifugia dietro una grande stalagmite. Sporsi un occhio e vidi che la bestia stava voltando il capo verso di me; tornai dietro la stalagmite e poi non ricordo più nulla”.

Tutti gli ascoltatori presenti rispettavano il più totale silenzio, presi com’erano dall’enfasi che Parf riusciva a dare al suo racconto.

“… Dopo qualche giorno, fui ritrovato con parte del corpo gravemente ustionata. Mentre lo stalagmite, dietro cui avevo trovato riparo, era ridotto in mille pezzettini”.

Sara, con gli occhi sbarrati fissi e la bocca spalancata, domandò “E allora… c-che cos’era?”

Lo gnomo si voltò e, con sguardo sinistro, rispose all’umana “Non vi era alcun dubbio: Si trattava per certo di un basilisco!”.

“La creature che riduce tutti in cenere?” chiese di rimando la bionda.

“Esattamente”.

Silvestri rimase nuovamente senza parole. Per poi effettuare un altro quesito “Ma non è che, anche qua dentro, ci sono creature del genere, giusto?”.

“No… o per lo meno non credo…” ipotizzò dubbioso il padrone di casa.

Di colpo, qualcosa risuonò nell’aria. Era l’inconfondibile suono di una sirena che, già solo d’istinto, invitava chiunque ad uscire dalla sala.

“Che diavolo è!?” urlò impaurita Sara.

“Oh tranquilla Sara” disse il capofamiglia, indicandogli poi in fondo alla stanza “È il nostro orologio che ci dice che si è già concluso un altro giorno”.

La giovane girò il capo verso il punto indicatole, scoprendo per l’appunto il quadrante di un orologio, installato in un rettangolo di plastica, affiancato dalla bocca di un megafono. Scendendo più nel particolare, la ragazza notò che i numeri presenti nel cerchio erano divise in tre fasce orarie di otto ore ciascuna. Fu allora che gli balenò un ragionamento.

“Quindi… per voi un giorno corrisponde ad otto ore, giusto?”.

“Esattamente”.

“Dunque, in fin dei conti, ho dormito soltanto per poco più di otto ore” si rassicurò Sara, ripensando al fatto che fu ritrovata, secondo il resoconto di Parf, il giorno prima.

Mentre proseguiva nei suoi ragionamenti, i due figli si avvicinarono a lei per salutarla quasi all’unisono, tra uno sbadiglio e l’altro “Noi andiamo a dormire Sara. Ci ha fatto molto piacere conoscerti!”.

“Sogni d’oro piccoli! Anche a me ha fatto molto piacere conoscervi”.

Subito dietro a loro, comparve anche Dolan, con un piccolo fagotto tra le mani.

“Tieni Sara. Capisco che non sia molto, ma almeno avrai qualcosa da mangiare durante il tuo viaggio”.

“Grazie Dolan, sei davvero una madre fantastica!”.

Ricevendo questo complimento improvviso, la gnometta arrossì vistosamente e si ritirò rapida nell’altra stanza.

Per i saluti finali, l’umana e la creaturina si fissarono dritti negli occhi.

“Che il tuo cuore ti guidi per la via più saggia, Sara”.

“Grazie a te e a tutta la tua famiglia per la vostra ospitalità, Parf”.

I due si scambiarono un forte abbraccio, o comunque erano quelle le loro intenzioni. Infine la bionda si voltò, pronta ad uscire carponi attraverso un’apertura, sufficientemente grande per lei, presente sulla parete.

 

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Capitolo 6
*** Lo smarrimento ed il ritrovo ***


CAPITOLO 6

“Lo smarrimento ed il ritrovo”

 

 

 

Una volta risalutato Parf scuotendo rapidamente la mano, mentre quest’ultimo si trovava nell’entrata della sua minuscola abitazione, Sara si ritrovò nell’ormai familiare oscurità del fabbricato.

“Ora almeno ho un altro angelo custode” pensava la biondina riferendosi all’Orco, a Leroy ed ora anche a Parf. E perché no anche a Tiziana.

Un altro rumore sinistro. Lì per lì pareva un barattolo di latta vuoto che cadeva a terra, ma Silvestri aveva ormai imparato a non fidarsi di quell’ambiente. Per esserne certa puntò il fascio di luce emanato dalla torcia elettrica, regalo da parte degli gnomi, verso la presunta direzione di provenienza.

Almeno per questa volta, le cose sembravano essere come aveva ipotizzato la ragazza.

“Oh, grazie al cielo!” sospirò tranquillizzata.

Qualcosa iniziò a muoversi dietro il contenitore. La faccia di Sara tornò immediatamente a farsi tesa, una volta che scoprì di cosa si trattava: Un piccolo topo grigio.

La giovane donna sapeva di essere ormai pronta a qualsiasi inquietante creatura potesse incontrare lì dentro, tranne l’innocuo roditore che aveva davanti. Per qualche secondo rimase completamente impietrita, successivamente tentò di allontanarsi iniziando ad effettuare dei piccoli passi laterali. L’animale non sembrava prestare particolare attenzione all’umana, preferendo ispezionare il pavimento del capannone. D’un tratto, le suole delle scarpe sportive della bionda scricchiolarono appena. Fu allora che il topo diresse il musetto verso di lei.

A Sara non occorse altro. Scattò via nel buio più totale, nonostante tenesse ben salda la pila nella sua mano sinistra. Era quasi scontato che, fatto qualche metro in quelle condizioni proibitive, sarebbe volata per un’altra manciata di metri a terra.

“Ti serve parecchio spazio, no?”.

Questo le ricordava la sua amica Chiara nel dormiveglia in cui si era, letteralmente, catapultata.

Silvestri non seppe bene quanto tempo fosse passato ma, a risvegliarla totalmente, ci pensò un’orrenda sensazione di viscido sul suo braccio destro.

La giovane digrignò nervosamente i denti, trattenendo a stento le lacrime agli angoli degli occhi, prima di trovare infine il coraggio di controllare.

Il cerchio di luce illuminò un’altra delle creature che l’umana non era decisamente pronta ad affrontare: Una lucertola verdastra.

“BASTA!!!”.

Urlando scattò in piedi, facendo volare il rettile nelle tenebre, per poi impegnarsi in una corsa disperata senza una meta precisa. Una volta terminate le energie della disperazione, la ragazza si fermò. Piegata in due, con il fiatone e gli occhi chiusi, cercava di dare pace al suo corpo. Riaperti i suoi occhi color castano chiaro ebbe un’altra sorpresa: un minuscolo ragno era sceso, appeso alla sua ragnatela, proprio di fronte al suo sguardo.

“Che schifo!” urlò la fanciulla, mentre colpì l’aracnide usando la torcia elettrica come fosse una mazza da baseball.

“E ora… anf… dove sono finita? Anf…” chiese senza fiato all’oscurità.

Dopo qualche attimo di silenzio, il trillo di un campanello attirò la sua attenzione. Voltando lentamente la testa, notò che la parete al suo fianco si stava aprendo, rivelando ciò che a tutti gli effetti pareva essere un comune ascensore.

“Ma che diavolo? Come fa a funzionare ancora?” ripeteva i suoi quesiti Sara, mentre si avvicinava ad esso.

Affacciando appena la sua testa bionda, squadrò per bene ogni angolo all’interno dell’elevatore, constatando che non sembrava presentare alcun pericolo. La fanciulla azzardò anche un passo dentro di esso, pur proseguendo a muovere il capo in tutte le direzioni possibili. Sempre più tranquilla entrò anche con l’altra gamba per controllare, tramite il pannello di controllo, di quanti piani era composto l’intero edificio. Fu questo il suo tragico errore.

Una volta dentro, il portello si richiuse violentemente.

“Porca puttana! Che cazzo ci sono venuta a fare qui dentro?!” imprecò battendo i pugni contro l’uscio.

Come a dargli una risposta, il macchinario si avviò, raggiungendo in pochi secondi una velocità elevata. In questa situazione, Sara era sempre più schiacciata verso il pavimento, con lo sguardo fisso verso strane visioni.

D’improvviso si ritrovò all’interno di una chiesa. Tutti attorno a lei vi erano dei preti, o almeno è quello che credeva fossero quegli individui, il cui volto era nascosto da un candido cappuccio. Tra di loro comunicavano con una lingua che, a quanto poteva intuire, doveva essere latino antico. Una volta che la visione ebbe spostato la sua visuale, uno di loro, armato con un macabro pugnale, si avventò verso di essa.

Il corpo di Silvestri fece un grande scossone, risvegliandosi da questa trance. Purtroppo, una volta ripresasi, constatò che l’ascensore non aveva ancora terminato la sua marcia verticale.

Questa volta, al suo fianco, vi era una uomo che la sua mente identificava come un dottore. Abbassato lo sguardo, trovò distesa la straziante figura di un bambino affetto da una terribile malattia. Un suggerimento invisibile le indicò il vaiolo.

Il piccolo paziente tese il suo braccio scheletrico verso la donna che, con le lacrime che gli bagnavano gli occhi, si ritrovò nuovamente dentro la capsula infernale.

“Ma si può sapere cosa vuoi da me?” urlò disperata verso l’ignoto.

Tutto attorno a lei, le pareti si fecero sempre più incorporee, per poi infine scomparire del tutto. Sara riuscì, con sua somma sorpresa, a rialzarsi senza alcuna fatica. Di fronte a lei si presentava la meraviglia dell’universo: Milioni di stelle che facevano capolino nel buio più totale dello spazio infinito. Quasi non si accorse che, nonostante si trovasse in quell’assurda situazione, riusciva comunque a respirare tranquillamente. Tese le braccia davanti a sé, con la speranza di ritrovare quelle pareti che aveva tanto odiato fino a poco prima. Le sue speranze si avverarono. Le barriere erano ancora presenti, anche se invisibili.

“È stupendo…” sussurrò tra sé e sé, con gli occhi spalancati verso quello spettacolo.

Ora avevano fatto la loro comparsa anche pianeti ben più vicini. La ragazza pensò di trovarsi di fronte proprio al suo natio sistema solare, o è questo ciò che sperava.

Nel suo fluttuare nell’infinito, l’ascensore si girò giusto appunto per mostrarle l’astro più luminoso, per il quale la bionda dovette schermarsi gli occhi con una mano sulla fronte. Purtroppo il suo moto non sembrò fermarsi lì. Il cabinato iniziò, di fatti, a discendere proprio verso il sole.

“Che cosa fa?” la Silvestri intuì il pericolo “Fermati! Ti prego fermati!” riprendendo a colpire con sempre più forza i muri invisibili.

Come si poteva tristemente immaginare, il meccanismo non sembrò darle retta.

Ormai le alte fiamme sprigionate dalla sue superficie sfioravano l’elevatore, mentre Sara aveva le lacrime che le rigavano le guance ed il corpo completamente compresso contro la parete immateriale.

Infine avvenne il fragoroso schianto.

“Oddio!” urlò la giovane, mentre riprendeva i sensi.

Subito constatò che il suo corpo stesse bene in tutte le sue parti, palpandolo con frenesia. Poi si voltò di scatto alla sua destra, riconoscendo immediatamente l’entrata nella trappola infernale.

“Grazie al cielo era tutto un sogno!” constatò, mettendosi le mani sul viso “Oppure un incubo…” aggiunse infine, spostando i palmi ai lati del suo volto.

Mentre finiva di riprendere il controllo di sé, individuò al suo fianco la sua fedele torcia elettrica. L’afferrò, si rialzò e proseguì la sua odissea.

“Ed io che volevo soltanto fare la parrucchiera…” esordì con il suo ragionamento “dopo tutta questa esperienza, se mai riuscirò ad uscire di qui ovviamente, stai certa che eviterò qualsiasi capannone o simili” esclamò con un lieve sorriso nella sua bocca “compresi gli ascensori!”.

A passo svelto, percorse un numero imprecisato di metri quando, alla sua sinistra, incontrò una finestra che dava sull’esterno.

“Che sia un nuovo miraggio?” si domandò dubbiosa.

Con sempre più circospezione, si avvicinò verso l’apertura. Facendo un capolino appena accennato, notò una verde e tranquilla collina. Su di essa vi era poggiato uno scrigno in legno. Ma, la cosa che colpiva di più, era lo splendente contenuto presente al suo interno.

Aguzzando il più possibile la vista, a Sara parve di riconoscere svariate monete dorate, calici dello stesso materiale, qualche collana di perle, le parve anche una corona, impreziosita da smeraldi ed altre pietre preziose incastonate su di essa e, addirittura, un’armatura dagli sgargianti colori rosso, verde e giallo.

“Ma stiamo scherzando?” proruppe la giovane, sempre più incantata da tale visione.

Forse per questo non sembrò dare peso al rumore lontano che, via via, si faceva sempre più vicino. Erano rumori secchi ed intervallati tra loro, come di panni sbattuti.

A quel punto anche lei fece più attenzione, per poi scoprire che si trattava dello sbattere di gigantesche ali. Questa volta, di fronte a lei, una leggenda stava riprendendo vita. Un enorme e potente drago atterrò con grazia nelle vicinanze del tesoro.

Sara era letteralmente a bocca aperta.

Le squame presenti nel suo corpo rilucevano con riflessi verdastri, dandogli un’aria ancora più maestosa. La ragazza aveva il volto sempre più premuto contro il vetro, totalmente rapita dalla creatura che aveva davanti.

Il dragone, una volta ripiegate le ali ai fianchi, stirò per bene il collo e spalancò le colossali fauci. Di colpo da esse sputò fuori una lunga fiammata. Sara seguì il suo istinto di sopravvivenza e si buttò a terra, nonostante quel colpo caloroso non fosse indirizzato verso la finestra.

“Oh vi prego! Tutto ma un drago vero no!” supplicava verso ignoti.

CLANC

Quel sinistro rumore metallico non era proprio la risposta che si aspettava.  La giovane, temendo un nuovo attacco da parte dei folletti, iniziò a puntare il fascio di luce della torcia in tutte le direzioni possibili. Non sembrava esserci niente di apparentemente ostile.

Nel tentativo di rimettersi in piedi, si mise spalle alla stessa parete dove era presente la finestra e, evitando allo stesso tempo di farsi notare attraverso di essa, vi strusciò sopra facendosi guidare verso l’alto.

CLANC

Il ritorno di quel frastuono fece sobbalzare la bionda che, se non altro, ora sapeva perfettamente dove puntare la pila.

Tutte cianfrusaglie. Tutto immobile. Sara tirò un profondo sospiro di sollievo. Per tutta risposta, il clangore metallico riprese più forte e più duraturo di prima.

“Che cos’è?” urlò disperata lei, con le gambe che le tremavano, seguendo il ritmo terrificante con cui il suolo si muoveva.

La torcia elettrica le cadde di mano ma, nonostante questo, intravide un’enorme sagoma, dalla grandezza quasi di un orco, prendere posto nelle vicinanze. Dopo qualche minuto, tutto si placò.

Silvestri, tornata con il sedere per terra, si precipitò nel recupero più rapido possibile della sua fonte di luce artificiale.

“Tu umano?”.

Un nuovo sobbalzo percosse il corpo della giovane donna, facendole nuovamente cadere sul pavimento la pila.

“Tu umano?” ripeté la voce.

“Cosa significa?” controbatté lei “A cosa ti serve saperlo? Sì, ok, sono umana e allora? Tu chi sei? O meglio, cosa sei?”.

Tutto tacque.

Mentre Sara cercava per lo meno d’intuire da dove provenisse quella voce, il suo fascio luminoso cominciò a funzionare ad intermittenza. Per poi spengersi del tutto.

“Oddio ti prego no! Di nuovo al buio no!” supplicò la nuovamente indifesa fanciulla, temendo che l’ultimo volo effettuato dall’apparecchio elettrico gli fosse stato fatale.

Poi un nuovo cerchio luminoso si accese. E poi un altro. E un altro ancora. Nel giro di pochi secondi l’umana si trovò a fissare due grandi tondi abbaglianti, formati entrambi da molte torce messe insieme.

“Tu umano?”.

Ora sì che poteva vedere il volto del suo nuovo ospite. Quegli enormi fari erano identificabili, seppur per assurdo, come suoi occhi. A fare le veci del naso vi era invece quello che sembrava un’anta di un armadietto metallico. Infine la sua bocca, o presunta tale, era caratterizzata da strisce di stoffe bianche, che cadevano dall’alto una accanto all’altra, dandogli l’aria di avere un perenne sinistro sorriso.

“Sì, ti ho già risposto. Sono un umana e mi chiamo Sara. Tu chi sei?” cercò un convincente dialogo.

“Tutto ciò che la società umana non riesce a consumare o che ha consumato fino all’esaurimento” fu la risposta sibillina della cosa.

“Oddio un po’ lungo come nome…” ironizzò la biondina.

“Tu umano hai mai buttato via qualcosa?”.

“Certo che mi è capitato! Ma guarda che è una cosa che capita a tutti”.

“Ahimè, lo so purtroppo. Voi umani avete a cuore solo i vostri interessi, ignorando completamente lo spirito che alberga in un qualsiasi oggetto il quale, una volta abbandonato, si sente tradito e sprofonda in un oblio di disperazione”.

“Mi dispiace per tutto ciò, ma questo fa parte della vita. Anche noi umani, arrivati ad un certo punto, lasciamo questa terra con la morte”.

“Ciò è giusto. Solo in rari casi un umano è rimasto per sempre fedele al suo oggetto e, quest’ultimo, lo ha accompagnato sia nella vita che nella morte”.

“Sono contenta per lui! Se non altro non avrà rimpianti…”.

“Tu umano hai dei rimpianti?”.

“Ancora con questa storia dell’umano? Io mi chiamo Sara! E comunque è ovvio che ho dei rimpianti anch’io”.

“Ad esempio?”.

“Beh, questo di certo non lo vengo a dire a te!”.

“Ad esempio questo?”.

Dicendo ciò, l’enorme mano della cosa, formata da vari tubi idraulici, si aprì, rivelando un piccolo oggetto al suo interno.

Sara, incuriosita da ciò, si avvicinò guardinga per controllare meglio. Dopo una prima occhiata, riconobbe qualcosa di familiare. Si trattava di un singolare peluche. Nello specifico, era la raffigurazione di un cane antropomorfo vestito come Babbo Natale.

“Aspetta un attimo…” gli occhi castani della giovane brillarono di colpo “Ma questo è Natalino!” proruppe afferrando veloce il giocattolo.

La creatura osservava la ragazza in assoluto silenzio.

“Oh mio dio! Ma come hai fatto a trovarlo?” domandò pervasa da una felicità infinita, proseguendo a baciare e coccolare il balocco “Bello Natalino mio!”.

“Vedo che a lui tieni ancora molto” osservò l’essere.

“Certo! Non sapevo che fine avesse fatto, forse era finito disperso in qualche trasloco. Non mio ma del mio ex…” proseguiva nella spiegazione la bionda, accarezzandogli il muso peloso.

Il suo interlocutore sprofondò nuovamente in un assoluto mutismo. Sara se ne accorse e lo scrutò pensierosa.

“Da quanto tempo sei qua dentro?”.

“Mi sono insinuato qua dentro da molto tempo ormai, insieme a tutti gli altri. All’inizio mi sono fuso con l’essenza di una piccola lampadina, per poi progredire sempre più, cercando di dare un po’ di pace ad altre anime disperate”.

“Se non altro qua hai trovato un po’ di compagnia…”.

“Difficile che un umano possa comprendere tali cose ma, sì, certo, qua dentro ho sicuramente trovata molta più fedeltà di quanto voi mi abbiate mai dato”.

“Posso sapere il tuo nome?”.

“Non occorre un nome”.

“Capisco. Ma era solo per sapere chi devo ringraziare…”.

“Se vuoi ringraziare qualcuno, ringrazia il tuo compagno” concluse la creatura “È lui che non aveva perso la voglia di rincontrarti”.

La giovane tornò a sorridere, mentre fissava dolcemente il ritrovato Natalino.

“Credo” riprese la parola l’entità “che con il suo apporto riuscirai a trovare l’uscita”.

“Te sai per caso dove si trova?” chiese fiduciosa Silvestri.

“Non ne sento l’esigenza” rispose secco l’interpellato.

La ragazza annuì, comprendendo a pieno le motivazioni di quelle parole. Poi fece mente locale ed esclamò “Ma poi come faccio? La torcia che mi ha dato Parf si è rotta” scuotendola nell’altra sua mano.

L’essere non parve inizialmente dargli importanza poi, toccando quasi l’apparecchio con un suo dito metallico, fece tornare la luce.

“Fantastico! Pensavo di essere persa senza di essa! Grazie davvero di cuore!” esultò la ragazza, più raggiante che mai.

Passato qualche attimo, rinforzò saldamente la presa sul peluche, indirizzando nel contempo il fascio di luce della pila in avanti, per riprendere il suo viaggio.

D’un tratto, si voltò per ringraziare nuovamente l’essere, accorgendosi purtroppo che i suoi occhi si erano spenti completamente.

 

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Capitolo 7
*** Lo specchio e il bonsai ***


CAPITOLO 7

“Lo specchio e il bonsai”

 

 

 

La torcia elettrica magicamente riparata funzionava anche meglio di prima. Se non altro, grazie a ciò, Sara procedeva con maggior sicurezza nelle tenebre che la facevano da padrone dentro il fabbricato.

“Mi sembra sia diventato troppo tranquillo tutto attorno a me…” sentenziò a voce alta, tenendo sempre le orecchie all’erta ad ogni minimo rumore.

E fu proprio ciò che avvenne. Un frastuono improvviso le fece immediatamente puntare il fascio di luce verso la sua destra. Purtroppo, questo s’infranse contro il buio totale dell’ambiente. A causa di questa disattenzione, la giovane donna andò a sbattere contro una parete spuntata dal nulla.

“Ahia!” si lamentò dolorante la biondina “Che cavolo è questo?”.

Andandolo ad esaminare sotto la luce artificiale si trovò di fronte un semplice, misero muro, adornato da una gran quantità di muffa su tutta la superficie.

Di colpo, si accorse di una mancanza “Fanculo! Mi è caduto Natalino!”.

Subito dunque iniziarono le ricerche relative al peluche scomparso. Tutto il pavimento, nel raggio di due metri attorno a Silvestri, venne ispezionato minuziosamente. Fortuna volle che il balocco fosse precipitato a poca distanza da lei.

“Povero il mio Natalino! Pensavi che ti avrei perso di nuovo? Ma, stai tranquillo, ci siamo ripromessi che non ci lasceremo mai più e così sarà!” coccolava il cucciolo come fosse un infante.

Il suono di uno sgocciolamento remoto mise un termine all’angolo della tenerezza. Stretto saldamente a sé  il peluche, la ragazza tornò ad ispezionare il muro che aveva davanti. Proseguendo con il cerchio luminoso verso sinistra, scoprì una nuova oscurità. Affacciatavisi davanti vide come un lungo corridoio e, alla fine di esso, della luce.

“I casi sono due” ipotizzò la fanciulla, sorpresa “O sono morta e quindi vedo un tunnel verso la luce. Oppure quella potrebbe davvero essere l’uscita da questo inferno!”.

Il dubbio le bloccava le gambe. Tornò dunque a comunicare con il pupazzo “Te che dici Natalino? Vogliamo tentare comunque?”.

Gli occhi dolci disegnati nella plastica, presenti sul suo muso, fu l’unica risposta che ottenne. Ma fu quanto le bastava.

“Ok, si va!”.

Il rumore ritmato delle suole delle scarpe sportive di lei facevano eco dentro la strettoia. Sara era tentata di affrettare il passo ma, dopo tutta quell’esperienza che stava ancora vivendo, preferiva non bruciare le tappe. Le sembrava quasi di essere arrivata a metà percorso quando, con la coda dell’occhio, vide un rapido scintillio provenire dalla sua destra. Allora la voglia di mettersi a correre era sempre più impellente ma, alla fine, mantenendo un inaspettato sangue freddo, si voltò per capire di cosa si trattasse.

“Ma cosa?” esclamò sorpresa, quando la luce della torcia andò a riflettersi contro un grande specchio dalla forma circolare.

“Ok, è solo uno specchio. Quindi ora posso prose…” la giovane fu bruscamente interrotta da un essere, sbucato all’improvviso dal tondo riflettente.

La creatura aveva un volto allungato, simile a quello di un serpente, e due occhi corrucciati e minacciosi che l’umana non aveva mai visto in vita sua. Ancora paralizzata dall’improvviso spavento, Sara si sentì afferrare saldamente le spalle e, con la stessa forza, trascinare in avanti. Rassegnata ormai allo schianto contro il vetro, chiuse gli occhi e attese l’impatto. Tale destino sembrò ritardare sempre più, finché non udì una voce.

“Apri gli occhi Sssara”.

I suoi iridi castani tornarono visibile, mentre la pupilla metteva a fuoco la stessa inquietante figura di poco prima.

“Benvenuta nel mio regno” la accolse, allargando due braccia snelle in un ambiente totalmente colorato di grigio argentato.

“E te adesso chi diavolo sei?” tagliò corto la prigioniera.

“Non essssere sssgarbata sssignorina” la riprese il mostro “Comunque, io sssono un demone degli ssspecchi, come puoi ben vedere”.

Ad attirare maggiormente la sua attenzione era però la sgusciante lingua biforcuta che, come un’anguilla nella sua tana, usciva ed entrava dalle fauci oblunghe del nuovo arrivato.

“E allora ora dove mi trovo?” proseguì con le domande la ragazza.

“Te l’ho detto, sssei nel mio regno. Non essssere disssattenta” la richiamò nuovamente il padrone di casa.

“Oh no! Proprio ora che avevo trovato l’uscita!” cercò di ricacciare immediatamente in dietro la rassegnazione “Come faccio a fuggire di qui?”.

“Mi ssstupisssce che tu me lo chieda. Come anche il fatto che tu sssperi che io possssa risssponderti”.

“Ascoltami bene!” la bionda si faceva via via sempre più furiosa “Ne ho piene le palle di questo fottuto fabbricato! Pensare che ero venuta qui solo per la mia ambizione di fare la parrucchiera! Ma sai che ti dico? Ora piuttosto preferirei essere una barbona!”.

“Non perdere la calma sssignorina ed assssumiti le tue resssponsssabilità!”.

“Responsabilità un cazzo! Io voglio tornare a casa!” con le lacrime sempre più vicine, Sara Silvestri si lanciò contro il demone.

Purtroppo, grazie alla sua forma viscida, qualsiasi attacco fisico da parte dell’umana venne facilmente evitato. Al termine di questo assurdo balletto fra i due, la ragazza dovette fermarsi per rifiatare.

L’altro, che per tutto il duello non aveva mai abbandonato un ghigno beffardo dipinto sul volto, le si avvicinò “Intuisssco dunque che tieni davvero tanto ad ussscire da qui”.

L’interessata, ancora a bocca aperta nel tentativo di riprendere una respirazione regolare, squadrò rabbiosa l’interlocutore “Ci sei arrivato da solo o ti hanno suggerito?”.

“Ebbene” riprese lui, evitando di raccogliere l’ultima frecciatina ironica “Dato che non ho certo bisssogno di una sssignorina talmente volgare ed intransssigente, posssso proporti un metodo rapido ed indolore per andartene dal mio regno”.

“E sarebbe?”.

“Sssemplicemente basssterà che ssscrivi quanto di detterò”.

Con un schiocco delle sue dita trasparenti, comparvero dal nulla una pergamena srotolata ed una penna a sfera, fluttuanti proprio davanti alla ragazza.

Tuttavia, quest’ultima rimase ancora scettica da questo particolare gioco di prestigio. Poi prese una decisione.

“Ok, proviamo”.

“Bene. Allora iniziamo: Io sssottossscritta Sssara Sssilvessstri…”.

“Io sottoscritta Sara Silvestri” ripeté lei, evitando tutte quelle esse, commentando “Non voglio neanche sapere come fai a conoscere il mio nome…”.

“Dichiaro ufficialmente di non esssser degna della ssstraordinaria occasssione nel poter vivere al fantassstico regno degli ssspecchi…”

“Quante cazzate” sussurrò appena la scrittrice.

“Pertanto, rinuncio ad ogni mio privilegio e chiedo di poter far ritorno al mio luogo d’origine”.

“Finita?”.

“Manca sssolo la tua firma in fondo”.

Sara appose il suo autografo e rimise la penna a levitare nel vuoto.

“E ora che succede?”.

“Posssso controllare un attimo il documento?” gli domandò il demone degli specchi, indicandogli con uno scatto di un suo lungo dito il manoscritto.

“Cosa c’è? Non ti fidi? Comunque leggilo pure”.

La pergamena planò verso la creatura che, una volta gettata una rapida occhiata, urlò “Come immaginavo! C’è un errore! Avevo intuito qualcosssa, vedendoti ssscrivere con la mano sssbagliata…”.

“Che cosa stai dicendo?  Ma quale mano sbagliata? Ho scritto esattamente tutto quello che mi hai detto di scrivere!”.

“Quesssto è vero, però non ti sssei accorta che hai ssscritto tutto al contrario?” le rivelò, porgendole nuovamente il manoscritto.

“Scritto al contrario? Ma che stai dicendo?” insistette lei, una volta riguardato il testo, che per lei rimaneva compilato correttamente.

Poi ebbe l’illuminazione. In fin dei conti, si trovava dentro uno specchio, dunque per loro il verso corretto in cui scrivere è da destra verso sinistra. Quel demone stava tentando di truffarla, ma lei ora sapeva come ritorcergli contro il suo stesso inganno.

“Mi dispiace tesoro ma sei te che hai torto, dato che sei te che lo stai leggendo nel modo sbagliato”.

“Cosssa ssstai dicendo?”.

Nel frattempo, la mano destra di Sara si stava insinuando nella tasca anteriore dei suoi jeans, trovando ed afferrando qualcosa.

“Sto dicendo che per leggerlo devi usare questo!”.

Con una velocità degna del miglior pistolero del west, estrasse dalla tasca quelle che inizialmente parvero soltanto le chiavi della sua auto. In effetti era proprio così, ma era proprio nel portachiavi attaccato ad esse che risiedeva l’arma vincente: uno specchietto rettangolare che, in questo caso, rifletté il documento nella versione corretta vigente in quel regno.

“NNNNNNNNNNNOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” fu l’urlo disperato del demone che mandò letteralmente in frantumi tutto l’ambiente.

Sara, che per proteggersi si era coperta il viso con le braccia, una volta tornato il silenzio, si affacciò da dietro di esse. Si trovava nuovamente nel corridoio e lo specchio maledetto era ridotto in piccole schegge sul pavimento.

“Uff! beh devo ringraziare Tiziana che ha ricreato perfettamente i miei adorati jeans, comprese le chiavi che avevo in tasca”.

Come a richiamare nuovamente la sua attenzione, la luce ricomparve nel sul campo visivo. A metà del suo stretto percorso, Sara fu assalita da una miriade di dubbi. Proseguire o tornare indietro? Di certo, il rischio di trovare altri trabocchetti magici era decisamente alto.

“Fanculo! Ormai sono qui e, se poi avessi fortuna, potrebbe essere l’uscita da questo postaccio”.

La giovane dunque partì a passo spedito verso la stanza illuminata. Dieci metri, ancora niente. Cinque metri, quattro, tre, due…

Con suo grande stupore, la meta fu raggiunta. Con un po’ di fiatone, dovuto più al nervosismo che alla reale fatica fisica, la bionda scrutò con avidità l’interno della stanza. In pochi attimi, si accorse che, a dominare dentro di essa, era il colore bianco. Il pavimento, i muri e il soffitto erano tutti del medesimo candido colore. Tutto ciò ampliava la luce che proveniva dall’alto.

Una volta che i suoi occhi color nocciola si furono abituati a tutto quel bagliore, la ragazza notò un piccolo tavolo al centro della sala. Su di esso era posato un vaso che, a sua volta, conteneva un esemplare di bonsai. Senza rinunciare ad un minimo di circospezione, Silvestri si avvicinò lentamente alla pianta.

“E te che ci fai tutta sola, piccolina?” tentò un assurdo dialogo.

Affascinata da quella piccola ma forte esponente della natura, Sara si ritrovò, senza nemmeno accorgersene, ad accarezzare i rami sottili della pianta. Nel farlo, si era piegata sulle ginocchia, tenendo appoggiati i gomiti sulla superficie piana che aveva a disposizione.

“Tu me lo sapresti dire come si fa ad uscire di qui?” proseguì nel comunicare con l’altro essere vivente.

Quest’ultima, com’era di norma facilmente prevedibile, non rispose all’umana ma, in compenso, rimase a farle compagnia finché non si addormentò.

Il sogno che fece non fu certo dei migliori. Come in una qualsiasi delle sue giornate, si trovava a casa sua. Durante tutta la rappresentazione onirica, si presentavano a lei i vari membri della sua famiglia: suo padre Alessandro, sua madre Alessandra, suo fratello maggiore Jacopo e sua sorella minore Roberta. L’aspetto di tutti i suoi parenti più stretti era il solito di sempre. L’unica cosa che stonava con la realtà era il fatto che, nonostante aprissero in maniera naturale le proprie bocche, dalle loro labbra la figlia più grande non percepiva alcun tipo di suono, ben che meno le parole.

Tutto quel silenzio innaturale la fece svegliare di colpo. Appena ripresi i sensi, notò subito di trovarsi sdraiata, quindi in una posizione ben differente da quella adottata prima di abbandonarsi alle braccia di Morfeo. Concentrando maggiormente la sua attenzione verso il senso del tatto, percepì del materiale ligneo sotto tutto il suo corpo. Facendo ancora più attenzione, sentì qualcosa di viscido scivolargli sul braccio sinistro. Con inquietudine, girò il capo verso di esso. Un sinuoso serpente le stava accarezzando la pelle.

Stringendo inizialmente i denti per il disgusto, alla fine la bionda cacciò un forte urlo, nel mentre tolse con gran rapidità l’arto da sotto il rettile. Allontanandosi il più possibile, strisciando il fondoschiena sopra quello che, in tutto e per tutto, pareva un ramo di albero. Udendo un rumore di fronte a lei, Silvestri si trovò ad osservare ad occhi sbarrati la testa, e il relativo lungo collo, di una giraffa che la squadrava curiosa.

“Una giraffa?” chiese allibita l’umana.

Tale sorpresa durò soltanto pochi secondi, dato che la ragazza rammentò l’altra compagnia animale nelle sue vicinanze. Pressata dall’essere strisciante, si decise a mettere in atto una fuga tanto improvvisata quanto rocambolesca. Saltò verso il quadrupede e, afferrandosi al suo collo chiazzato, usandolo a sua volta come un palo dei pompieri, si ritrovò seduta sulla sua groppa.

Tale attività però non piacque all’animale che, scuotendosi un po’, mandò la giovane a cadere rovinosamente a terra.

Togliendosi dai jeans la polvere accumulata nel tonfo, Sara imprecò “Scusami se mi sono salvata la vita approfittandomi di te! Stronza!”.

Fatto qualche passo indietro, la giovane poté controllare meglio l’ambiente in cui si era risvegliata. Anche se le dimensioni erano notevolmente aumentate rispetto a prima, il tronco sproporzionatamente corto gli fece subito riconoscere il bonsai che, giusto qualche minuto prima, tanto l’aveva affascinata.

“Speravo di poter uscire dal Fabbricato in una maniera migliore. Magari, anche se forse era chiedere troppo, ritrovandomi proprio nel mio vecchio mondo” commentò l’umana, fissando sconsolata il nuovo panorama.

Purtroppo la ritrovata quiete durò poco, dato che la terra iniziò di colpo a tremare. Da sotto la folta chioma dell’albero, vide comparire due paia di grosse zampe grigie. Il barrito acuto, che venne emesso di lì a breve, non lasciava dubbi sulla specie animale a cui apparteneva il nuovo venuto. Di fatti, un grosso elefante africano si mise a brucare docilmente le foglie della pianta.

“Oddio anche un elefante! Cos’altro arriverà ora? Un tirannosauro magari? Oppure un bel leone? Anzi, quasi quasi è meglio una tigre…”.

“Roar!”.

L’ironia che era comparsa sul suo volto, scomparì tutta in una volta dopo quel ruggito. Sara si maledì un miliardo di volte in un nanosecondo per quello che, assurdo a dirlo, sembrava la realizzazione di un desiderio.

Appollaiata pigramente su di un ramo, vi era infatti uno splendido esemplare di tigre. I suoi occhi, apparentemente sonnacchiosi, erano però ben fissati sul bipede umano. Quest’ultima era ferma come una colonna di pietra.

“Questa volta è davvero la fine!” pensò la bionda, con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi.

Il felino rimase a fissarla ancora per qualche minuto poi, come se avesse infine perso interesse per quella nuova creatura, voltò il suo muso peloso verso l’altro versante della zona.

La giovane tornò a respirare. Passato qualche attimo ancora, iniziò ad effettuare dei brevi passi laterali, allargando via via sempre più il raggio d’azione delle sue gambe. Lo sguardo era sempre vigile su quel variegato assembramento faunistico.

Malauguratamente, ciò provocò una mancanza di attenzione in quello che stava attualmente compiendo. Fu solo grazie ad un fortuito gioco di equilibrio che la ragazza non sprofondò nell’abisso. Appena tornata stabile, notò che metà di una sua scarpa era sospeso nel vuoto. A metri e metri di profondità vi era una versione gigantesca del pavimento bianco di prima. Sara ebbe dunque la conferma che non era stato il bonsai a diventare un baobab, ma lei a rimpicciolire notevolmente le sue dimensioni.

“Fuori dai coglioni!”.

Nonostante la volgarità, l’umana non si sarebbe mai aspettata alcun tipo di frase proveniente dalla fauna locale. Appena voltatasi verso il luogo di provenienza di tali parole, ciò che vide la lasciò incredula. Un esemplare davvero massiccio di rinoceronte la fissava minacciosa. A dare un tocco di ulteriore assurdità alla scena, vi era la presenza di un grosso sigaro che pendeva dalle labbra del quadrupede.

“Fuori dai coglioni!”.

Ora la giovane ebbe la certezza che a parlare era stato proprio l’animale.

“Perché?” si azzardò a rispondere la bionda.

“Fuori dai coglioni!” questa volta il corrazzato aveva accompagnato il tutto con lo strusciare della zampa sul terreno sabbioso.

Silvestri cominciò a sudare freddo “Ma si può sapere che ti ho fatto? Cosa credi che sia venuta qui di mia spontanea volontà?”.

L’altro, per tutta risposta, effettuò un’altra strusciata.

“Forse, se scatto ora, non mi prenderà…” si trovò a pensare la ragazza “Ma può anche essere che, se rimango ferma, lui mi lascerà stare”.

Ma il rinoceronte si apprestava sempre di più alla carica.

“Magari è meglio se mi butto direttamente di sotto. Almeno sarà una morte migliore che farsi incornare da quel bestione” proseguì con le sue congetture.

Poi non fu più tempo di esitare. L’animale partì con un rombo di tuono e Sara, messa ormai alle strette, optò infine per la terza soluzione finale. Mentre volava nel vuoto, vedeva il bianco delle gigantesche mattonelle avvicinarsi sempre di più. Quello fu il medesimo colore che l’accolse al risveglio, con Natalino disteso poco più in là.

 

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Capitolo 8
*** 5 creature ***


CAPITOLO 8

“5 creature”

 

 

 

Appena toccate le fredde mattonelle del pavimento, Sara iniziò a voltarsi freneticamente in tutte le direzioni possibili per poi, infine, sdraiarsi supina a riprendere fiato. Era finalmente tornata a grandezza naturale.

“D’ora in poi, se mi troverò un rinoceronte davanti, lo metterò sotto con la macchina!” esclamò la giovane, tirando su il busto puntellandosi con i gomiti.

Tornata in piedi, scrutò nuovamente il bonsai stregato. Nonostante preferisse rimanere ad una distanza di sicurezza, non notava alcuna presenza degli animali selvaggi che l’avevano appena scacciata via.

ZZZZZ

Di colpo udì un ronzio che la fece sobbalzare impaurita. Nella parete alla sua destra vi era un’apertura coperta da una tenda di seta. Sopra di essa lampeggiava rumorosamente un’insegna al neon, simile nello stile a quelle dei night club.

Le lettere blu luminose dicevano: FREAK SHOW.

“E questo cosa c’entra in un fabbricato?” si chiese perplessa la bionda.

Come una mosca attratta dalla luce, si avvicinò sempre più all’entrata. Ormai era preparata a qualsiasi entità presente in quel capannone.

 

Scostata appena la tenda, si ritrovò in un’enorme stanza, illuminata a malapena da delle lampadine ciondolanti dal soffitto. L’aria di chiuso presente in essa non invitava certo a proseguire, cosa che Silvestri fece comunque.

Fatto qualche passo, la giovane notò che, alla sua destra, erano presenti varie colonne atte a reggere in piedi tutta quella sala. Le vere attrazioni erano allocate invece alla sua sinistra. Sempre più catturata dal fascino surreale che quell’ambiente emanava, Sara proseguì nel cammino, fermandosi davanti alla prima di esse.

“Oh mio dio...” esclamò, tenendosi una mano davanti alla bocca.

Ciò che si trovò davanti ben meritava il suo grande stupore. Accomodato sulla seduta in paglia di una sedia di legno vi era, infatti, un grasso e sudato minotauro.

Gli occhi color nocciola della ragazza erano spalancati nell’osservare stupefatta quella creatura mitologica, viva e vegeta proprio di fronte a lei. Di rimando, l’essere metà uomo e metà toro la squadrava con uno sguardo assente, sbuffando ad intervalli regolari piccole quantità di fumo bianco dalle enormi narici.

”M-Mi puoi capire? I-Io mi chiamo Sara…” tentò di comunicare con lui l’umana.

Per tutta risposta, l’essere biascicò le fauci bovine.

Lo stupore della bionda andava via via scemando, soprattutto a causa della totale immobilità che caratterizzava quell’attrazione.

“Ma è possibile che non abbia neanche un minimo di ferocia?” si mise a riflettere Silvestri “A questo punto, era molto più minaccioso il rinoceronte con il sigaro di poco fa”.

“Ma sei vivo?” provò a domandargli seccata.

Il mostro rimase impassibile.

“Eppure dovrebbero piacerti le belle fanciulle come me!” insistette lei.

Ancora nessuna reazione.

La ragazza perse infine la pazienza “Beh direi che come tour è iniziato davvero male! Se queste devono davvero essere le attrazioni principali sono alquanto scadenti!” si lamentò ad alta voce verso una qualche identità ignota.

Il taurino si rimise a biascicare, così che l’umana si allontanò spazientita a grandi falcate.

 

Ancora infuriata per quanto avvenuto, o meglio non avvenuto, poco prima, Sara non si accorse quasi di stare transitando davanti ad un nuovo recinto in legno. Fatto ancora qualche passo, la giovane tornò in sé. Sbuffando, si appoggiò con entrambe le mani alla trave dipinta di bianco per osservare la nuova attrazione.

L’ambiente che si trovò davanti presentava un verde lussureggiante ovunque guardasse. Arbusti, cespugli ed altre piante la facevano da padrone. Tutte questa facevano come da corteo alla grande pianta che si trovava al centro di esse. Dalla forma ricordava un po’ un enorme carciofo. Un corto ma robusto stelo reggeva un capo ovoidale di colore verde scuro.

“Però! Se ne sono presi davvero molta cura! Guarda quanto è cresciuto!” esclamò sorpresa Silvestri.

Ma anche in questo caso, tutto era fermo e tranquillo.

“Meno male che non ho pagato il biglietto per vedere tutta questa noia!” tornò a lamentarsi la ragazza insoddisfatta.

Tutto quel tedio gli fece abbassare la guardia. A causa di ciò, ella non si accorse della radice strisciante che le si stava, lentamente e silenziosamente, attorcigliando alla caviglia sinistra.

Stufata da quella nuova delusione, la bionda si apprestava a proseguire oltre quando, com’era prevedibile, la trappola vegetale scattò.

“Ma che ca…” Sara non riuscì a terminare l’imprecazione che si ritrovò in aria a testa in giù.

A tenerla in quella condizione era la radice che, come un cobra in procinto di attaccare, si era alzata a tre metri di altezza.

“C-Che succede?” urlò la persona capovolta, con il sangue che le sta arrivando velocemente alla testa.

Come a risponderle, l’enorme pianta curvò il suo bocciolo verso di lei. Fatto ciò, lo aprì di colpo, rivelando una gigantesca bocca piena di bava, denti affilati ed una viscida lingua violacea che sbatteva contro il palato.

“Oh merda! Ma cos’è? “La piccola bottega degli orrori”?” l’umana riuscì ad ironizzare anche in un momento tanto drammatico.

L’appendice avvicinò ulteriormente la preda alle fauci del suo padrone. La giovane stava già arrendendosi alla sua fine, che qualcosa bloccò la marcia mortale. La trave più in basso del recinto contrastava infatti contro la stessa radice.

“Che culo!” esultò la bionda, ancora sottosopra.

Ostinatamente, la pianta tentò più volte di raggiungere il suo possibile pasto. Fortunatamente per la Silvestri, il legno imbiancato era ben resistente.

“Ti vuoi decidere a lasciarmi!” gli urlò contro lei, mentre colpiva quella sottospecie di braccio vegetale a pugni chiusi, strappando anche dei fiori che sbocciavano sopra di esso.

Le fauci letali continuavano a chiudersi a vuoto, provocando boati sordi che si disperdevano in tutto l’ambiente.

“Lasciami stupida pianta!” sbottò Sara.

Quel fiore famelico sembrò di colpo placarsi, richiudendo finalmente la bocca. Sorpresa, anche la ragazza smise di dimenarsi, tornando a scrutare il nemico sotto di lei.

“Che succede?” provò a domandargli, senza tante speranze di ricevere risposte.

La radice riprese a muoversi, questa volta però nella direzione opposta. Con una sorprendente delicatezza, adagiò gentilmente al suolo la sua preda.

Lei, appena ebbe la caviglia nuovamente libera, si mise a massaggiarsela per alleviare il più possibile il dolore dovuto alla potente stretta.

Stringendo ancora i denti per il male, tornò a conversare con il suo avversario “Non mi dirai che sei una pianta permalosa…”.

Il vegetale aveva ripreso la stessa posizione con cui aveva inizialmente accolto il suo ospite umano: totalmente immobile e senza dare alcun segno di vita.

Sara si rimise in piedi, testando la condizione della sua caviglia. Una volta accortasi del miglioramento all’articolazione del piede, alzò il capo per dare un’ultima occhiata di controllo a quel fiore abnorme. Constatando come tutto fosse apparentemente calmo, fuggì come un razzo verso il recinto contiguo.

 

Tenendo sempre lo sguardo fisso verso il vegetale, mentre era ancora in moto percepì con la coda dell’occhio un bagliore sempre più intenso. Tutto ciò non fece che attirare completamente la sua attenzione e, una volta voltatasi, rimase altrettanto stupefatta.

Una figura umana, caratteristica che di certo non si aspettava di trovare in quel freak show, risplendeva abbagliante come una sfolgorante stella. Una volta abituatasi a tutta quella lucentezza, schermando parte di essa con una mano sulla fronte, la ragazza notò la totale nudità di quest’ultima e, proprio grazie a questa sua particolarità, scoprì di trovarsi davanti ad un’altra femmina. L’altezza era pressoché identica alla sua. Il viso, ancora più splendente, aveva su di esso due occhi allungati a mandarla, un piccolo naso all’insù ed un sorriso che poteva spiazzare qualsiasi individuo le fosse capitato davanti. Ad incoronarla aveva dei lunghi e svolazzanti capelli color biondo platino.

“Ciao Sara…”.

L’interpellata, con la bocca aperta già da qualche minuto, sì ridestò come d’incanto, una volta sentitasi chiamare per nome.

“C-Ciao” riuscì a salutarla a malapena.

“Speravo tanto di fare la tua conoscenza” rivelò quella soave visione, tornando a sorriderle felice.

Gli occhi color nocciola spalancati della giovane, stavano ora passando da un dettaglio all’altro del suo volto. Fu proprio facendo così che Sara notò la particolare forma dei suoi orecchi: estremamente appuntiti.

“T-Tu sei…” tentò l’inizio di un dialogo la nuova venuta.

“Un’elfa, esatto!” le confermò, mostrandole nuovamente i suoi denti bianchi quanto la sua stessa carnagione.

L’umana era completamente allibita. Dopo qualche secondo di silenzio tornò ad esprimersi “Come fai a sapere il mio nome?”.

L’interpellata, raggiante di poter riprendere il discorso, le rispose “Dentro questo fabbricato le novità corrono veloci”.

“Posso sapere il tuo nome?”.

“Per un’umana esso sarebbe alquanto complicato, ma te puoi chiamarmi Wip”.

“Wip?” chiese conferma la bionda “Davvero carino come nome!”.

“Ti ringrazio”.

“Da quanto sei qua dentro, Wip? Come ci sei finita?”.

“Noi elfi non diamo tanta importanza al tempo. Mi ci sono rifugiata scappando dal mio villaggio”.

“E come mai sei scappata dal tuo villaggio?”.

“Non approvavo il mestiere che era stato scelto per me”.

“Posso sapere quale fosse?” Silvestri non riusciva a resistere alla sua curiosità.

“Quella che voi umani classificate come prostituta”.

La giovane rimaste un’altra volta a bocca aperta “Cioè i tuoi compaesani ti avevano scelto per fare la prostituta? Ma io credevo che voi elfi pensaste esclusivamente alle arti e alla musica”.

La creatura sorrise mestamente “Non è così purtroppo. Inoltre, fra di noi, vi sono anche valorosi arcieri”.

Dopo quelle ultime rivelazioni, Sara si trovò a pensare che, quel mestiere, le poteva essere stato designato per via della sua splendida forma fisica. La bionda avvampò mentre si soffermava con lo sguardo verso i suoi seni piccoli ma sodi.

Tornando a pensare ad altro, le domandò “Scusami Wip se te lo chiedo, ma te sai come poter uscire di qui?”.

L’elfa le sorrise dolce, portandosi vicina a lei e alla recinzione che le divideva. Una volta lì, la fissò attentamente negli occhi e le accarezzò leggermente una guancia.

“Sei molto più vicina all’uscita di quanto pensi, Sara”.

La ragazza strinse a sé Natalino, come se stesse vivendo il più bel sogno della sua vita. Improvvisamente, come ridestata, seguì in silenzio il consiglio di Wip e procedette verso un nuovo recinto.

 

La Silvestri aveva ancora in testa le ultime parole sussurratele dall’elfa.

“Sei molto più vicina all’uscita di quanto pensi, Sara”

Ogni volta che le rimembrava, il suo cuore era più leggero e lei stessa si sentiva più tranquilla.

Si accorse appena di trovarsi davanti al penultimo recinto presente in quel lato della sala. Finché un clangore metallico la fece sobbalzare.

“Chi è ora?”urlò spaventata.

Un essere meccanico si fece avanti. Era alto nemmeno un metro, con un esile corpo d’acciaio che sembrava reggere a mala pena il grosso capo ovale di cui era munito. Su di esso erano stati piazzati, al posto degli occhi, due quadranti circolari di orologi, con annesse relative lancette, ognuno dei quali dava però orari differenti. Sopra di essi, attaccato alla testa come fosse una sorta di cilindro da sera, vi era invece una clessidra, senza neanche un granello di sabbia al suo interno.

“Che simpatico! E te come ti chiami?”.

Il robottino le rispose gridando “È tardi! È tardi! È tardi!”.

La bionda si allontanò all’istante, una volta che fu investita da quella stridula voce metallica.

“Per cosa è tardi?” provò a domandargli.

“È tardi! È tardi! È tardi!” fu la monotona risposta dell’androide.

“Te non sei messo bene, giusto?” lo schernì la giovane.

“È tardi! È tardi! È tardi!”.

“Forse dovresti coordinare i due orologi che hai lì” gli consigliò lei, indicandoglieli.

“È tardi! È tardi! È tardi!”.

L’umana squadrava schifata quell’inquietante essere. Poi tornò a sorridere.

“Sai chi sembri? Sembri il fratellino di quella creatura che mi ha ridato Natalino…”.

“È tardi! È tardi! È tardi!”.

Ripensando a quanto aveva appena detto, Sara riprese il suo peluche e, portatoselo vicino al viso, gli domandò “Te che ne pensi, amore?”

“È tardi! È tardi! È tardi!”.

Tutto accadde in un attimo. Il droide alzò il suo braccio destro mostrando così che, attaccato ad esso, aveva una larga ed affilata falce. Con uno scatto incredibile, fece sibilare la lama ricurva ad appena qualche millimetro dal naso dell’umana.

Quest’ultima, che aveva visto appena quanto accaduto, sbraitò “Che cazzo fai?”.

A causa del movimento che il suo corpo aveva effettuato nell’infamare quella creatura, la testa del pupazzetto rotolò sulle sue spalle e cadde silenziosamente sul pavimento.

Sara ci mise qualche secondo per concepire quanto appena successo. Una volta compreso tutto, invece che mettersi ad una distanza di sicurezza da quell’arma pericolosa, le si scaraventò furente contro.

“Brutto figlio di puttana! Come hai osato fare questo a Natalino! Sai da quanto lo stavo cercando!? Ed ora arrivi te e me lo rompi così!”.

Preda di una rabbia cieca, afferrò al volo il braccio armato e, tirandolo con entrambe le mani, mentre lo bloccava tra la suola della sua scarpa, tenendo la gamba alzata, e la trave superiore della recinzione, glielo staccò di netto dal corpo.

“E ora dimmi che è tardi!” lo minacciò con la sua nuova arma.

“È tardi! È tardi! È tardi!” urlava l’androide mentre controllava il suo moncherino.

Poi, come se avesse finalmente intuito il pericolo a cui stava andando incontro, il robot batté in ritirata, scappando verso il lato più lontano del recinto.

“Cosa fai ora? Scappi?” proseguì nel minacciarlo Sara “Se ti uccido, vendicherò Natalino!”.

Nell’enfasi dell’azione, la ragazza si ritrovò nell’atto di scavalcare il recinto. Ripreso il controllo su di sé, tornò con entrambi i piedi per terra, per poi chinarsi e recuperare tutti i pezzi del suo povero peluche. Lanciò un’ultima occhiata omicida al robot-orologio per poi, alla fine, scegliere di proseguire nella sua visita.

 

Stringendo il pupazzo falciato al seno, osservava incuriosita il largo tavolo che si trovava dietro alla solita recinzione bianca.

“Che diavolo è?” chiese perplessa.

Sporgendosi il più possibile per controllare meglio, si tirò rapidamente indietro, per evitare la comparsa di altre creature pericolose. Trascorsi una decina di minuti, nessuno si fece vivo.

“Sembra che questa volta non ci dovrebbero essere sorprese…” ipotizzò la bionda.

Fatto passare ancora qualche secondo, si decise infine a scavalcare. Lasciando i vari pezzi di Natalino sopra la trave in legno, sì avvicinò guardinga al ripiano.

Già ad un paio di metri di distanza, s’intuiva che su di esso vi era una specie di modellino. Fattasi più vicina, la giovane iniziò col riconoscere qualche monumento, ovviamente riproposto in scala ridotta.

“Non mi dire… questa è la città!” esclamò estasiata.

Ora che c’era praticamente attaccata, Sara comprese che la larghezza del tavolo era dovuto al fatto che, su di esso, era rappresentata l’intera cittadina. Ogni suo angolo era stato riprodotto fedelmente. Avvicinando il viso per controllare meglio, si spaventò nello scoprire dei minuscoli esseri che camminavano su di esso. Passata la paura iniziale, la ragazza rimase meravigliata nell’intuire che, quegli esserini tanto minuscoli, erano niente meno che l’altrettanto fedele riproduzione in scala ridotta degli stessi abitanti del paese. Con essi, vi erano anche le varie minuscole macchine che sfrecciavano sopra le strade.

“Non… ci… credo…” sillabò appena l’umana, con gli occhi che balenavano da un settore all’altro, cercando nel contempo di riconoscere qualcuno delle micro persone presenti.

Come per istinto, la giovane allungò la mano verso uno di essi. Fu allora che scoprì l’esistenza di una specie di campo di forza che, com’era facilmente prevedibile, copriva tutto il modellino.

“Ahi!” si lamentò, sentendo la punta delle sue dita bruciare appena.

Passato subito il dolore, Sara si rimise ad ispezionare tutto quel piccolo capolavoro “Vediamo se ci sono anch’io…”.

Orientandosi brevemente nella ricerca della sua attuale posizione, in un attimo riconobbe una minuscola copia della sua automobile, parcheggiata esattamente come l’aveva lasciata fuori dal fabbricato. Cercò di scrutare meglio all’interno di esso, avvicinandosi fin dove possibile.

Da quanto era concentrata in tale azione, sobbalzò nel sentire uno scricchiolio sinistro nei paraggi.

Voltandosi, notò una porta comparsa come dal nulla. Oltre erano ben visibili dei gradini che salivano verso l’alto.

Ormai Sara aveva imparato a seguire tutte le indicazione che quel lugubre luogo le dava, perciò tornò brevemente indietro per recuperare i pezzi di Natalino e, facendosi forza con il suo vecchio balocco, effettuò il primo passo verso la scala.

 

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Capitolo 9
*** L'uscita ***


CAPITOLO 9

“L’uscita”

 

 

 

Sara proseguiva, un passo dopo l’altro, nel salire i gradini una volta bianchi, scorrendo leggermente con la mano sul corrimano di ferro polveroso. Era ormai giunta a metà scala e tutto proseguiva normalmente. La cosa la preoccupava alquanto.

La bionda si mise inconsciamente a canticchiare un motivetto allegro, che risuonava come un vero e proprio concerto, nel silenzio più totale dell’ambiente.

“È  tutto troppo facile…” sussurrava, mantenendo il ritmo musicale.

Di colpo, si sentì spingere in avanti. Fortunatamente riuscì a proteggersi con le braccia contro i gradini che le stavano davanti. Voltandosi indietro si accorse che aveva fatto tutto da sé, mettendo in fallo uno dei suoi piedi.

“Cazzo!” imprecò infuriata.

Una volta spolveratasi i jeans, riprese la sua marcia verso l’alto. Natalino, con la testa ancora staccata, le teneva fedelmente compagnia.

“Se davvero questa è l’uscita, siamo a cavallo Natalino!” esclamò, in un impeto di gioia e fiducia.

“Può darsi che lo sia, oppure è solo un vicolo cieco”.

All’udire quella voce, la ragazza si bloccò impietrita.

“C-Chi ha parlato?” tentò con il dialogo la giovane.

“Io ho parlato”.

“Io chi?”.

“Ah sì, hai ragione scusami…”.

Mentre Silvestri scrutava per bene tutt’attorno, per quello che poteva vedere nell’oscurità, improvvisamente comparve davanti a lei una luminescenza bluastra, proveniente dal muro a cui si appoggiavano i gradini alla sua sinistra. Passato qualche secondo, notò che tale luce stava mutando forma, assumendo sempre di più un aspetto antropomorfe. Tale era il panico in lei che non tentava nemmeno di cacciare un urlo spaventata.

“Perdonami se non mi sono materializzato prima ma, sai com’è, gli umani non hanno mai delle buone reazioni appena mi vedono…” proseguì il discorso l’essere.

“C-Chi sei tu?” si espresse appena l’umana.

“Mi chiamo Ernest e, come avrai di certo intuito, sono un fantasma”.

Tra i due personaggi, cadde un silenzio di tomba.

L’ectoplasma aveva assunto un volto umano a cui difficilmente si poteva attribuire un’età anagrafica. A caratterizzarlo aveva soltanto dei capelli ricci presenti esclusivamente sulle tempie.

“È da un po’ che seguo le tue avventure Sara” riprese il trapassato “oh, scusami, spero ovviamente di poterti chiamare per nome…”.

L’altra fece appena cenno di sì con il capo.

“Perfetto. Sai, finora non ho potuto mai intervenire perché, tra di noi, non amiamo particolarmente aver alcun genere di rapporto”.

La fanciulla era ancora con la bocca serrata e gli occhi sbarrati.

Lo spettro la fissò per qualche istante in attesa “Comunque, mi fa davvero piacere che tu sia riuscita a ritrovare Natalino, anche se recentemente gli è capitato qualcosa di spiacevole”.

“G-Già” sussurrò appena l’interlocutrice.

Ancora silenzio tra i due.

“Tornando al discorso di prima” riprese la parola il fantasma “Hai detto che qua su potrebbe esserci l’uscita. Dunque, tecnicamente è possibile ma, fidati, non è l’uscita che ti aspetteresti”.

“In che senso?”.

“Vedi, se vuoi davvero uscire di qui, devi passare da una zona che si trova al di là dei mondi e al di là del tempo”.

“E come posso fare per attraversarla?”.

“A dir la verità, ci sei già passata una volta…”.

“Davvero? E quando?”.

“Mentre eri dentro l’ascensore”.

“Cosa?! Quel posto assurdo?! Con tutti quegli orrori?!”.

“Esattamente”.

“Oddio! E come dovrei fare per andarci?”.

Il fantasma questa volta non parlò, ma indicò direttamente la semplice porta a cui portavano quelle scale.

Sara tenne lo sguardo alto verso la sua meta per qualche secondo. Poi, ricominciò a salire.

“Sara…” la richiamò Ernest.

Lei si girò indietro, verso quella sua nuova ed assurda conoscenza.

“Tranquilla. Se rischierai di perderti, verrò io stesso a riprenderti”.

La bocca della ragazza si piegò in un lieve sorriso “Sicuro che facendo così potrò uscire di qui?”.

“È l’unico modo” le rispose lo spettro “Oppure hai deciso di rimanere qui con noi?”.

“Non ci penso nemmeno!” rispose secca lei.

I due si fissarono ancora per qualche attimo. Infine la bionda si rigirò e riprese il suo cammino. Con un ultimo passo, il più pesante, raggiunse il piccolo pianerottolo di fronte l’uscita. Dopo un’iniziale esitazione, la giovane afferrò saldamente la maniglia annerita dal tempo.

Tornò a fissare la luminescenza.

“Forza Sara!” la incoraggiò a voce bassa lui.

Con un impeto improvviso spalancò l’uscio, finché fu tutto buio.

 

Riaperti gli occhi, si ritrovò seduta su di una panchina. Sotto i suoi piedi vi era una banchina ferroviaria e, proprio davanti a lei, dei binari del treno.

“Non mi dire che ci risiamo con il treno fantasma” esclamò la bionda, girando la testa verso entrambe le direzioni del tracciato.

Non ebbe tempo di aggiungere altro che una forte luce, come un vero e proprio treno ad alta velocità, le sfrecciò davanti.

Sara richiuse gli occhi urlando.

 

Riapertili nuovamente, vide comunque tutto nero. Allontanando però leggermente il viso, scoprì di trovarsi davanti ad una lavagna scolastica.

“Si decide a concludere, signorina Silvestri?”.

Voltatasi di soprassalto, si trovò davanti un uomo di circa mezza età, con occhiali dalla montatura di tartaruga e la classica faccia da professore antipatico.

Ruotato leggermente il suo corpo, vide un’intera aula universitaria ricolma di studenti, tutti intenti ad osservarla attentamente.

“Dunque, signorina Silvestri?”.

Lei per qualche secondo fissò il docente, per poi tornare con lo sguardo su quanto era scritto sulla pietra scura.

 

 

La giovane non aveva la minima idea di cosa significasse quella curiosa formula, con tutte quelle strane lettere.

Picchiettando nervosamente il gesso sulla superficie nera, sempre più nervosa, le cominciarono a sudare le tempie. Alla fine, come se fosse stata folgorata dall’ispirazione, alzò in aria la mano, da cui lasciò cadere sul pavimento il gessetto, e la strinse a pugno. Senza attendere l’intervento di qualcuno dei presenti, la sbatté violentemente contro di essa, mandandola letteralmente in mille pezzi.

 

Nell’evitare che tali frantumi le finissero sul volto, la ragazza si girò di scatto. Trovandosi a finire quasi contro le sbarre di una cella.

“E ora dove mi trovo?” urlò, aggrappandosi con forza ai tubi d’acciaio.

“Silenzio, prigioniera!” la zittì un soldato, puntandole contro la mitraglietta che aveva appesa a tracollo.

Sara, impaurita da quella mortale minaccia, si allontanò immediatamente il più che poté, battendo la schiena contro il muro di mattoni alle sue spalle.

Di colpo, l’attenzione del militare fu attirata dall’arrivo di un suo commilitone. Appena i due si scambiarono le prime battute, l’italiana capì subito che essi non stavano parlando la sua lingua madre. Dopo qualche altro secondo di ascolto, ipotizzò che parlassero in tedesco. Finché non notò un particolare piuttosto inquietante sulle uniformi dei suoi carcerieri: Una svastica nera dentro ad un tondo bianco su di una fascia rossa al braccio.

“Oh no! Ci mancavano pure i nazisti!” imprecò rassegnata, facendosi scivolare a terra.

Passato qualche minuto, iniziò a sentire una lieve voce che la chiamava “Sara… Sara… Sara…”.

Giratasi alla sua destra, trovò il volto incorporeo di Ernest che sbucava dalla parete.

“Erny! Allora mi hai davvero seguita!” esclamò, con una felicità improvvisa.

“Certo Sara, avevi qualche dubbio?” la bacchettò ironico lui “Ora dammi la mano, che il tuo viaggio non è ancora terminato”.

L’umana ubbidì e, appena stretta la mano dello spettro, fu nuovamente tutto bianco.

 

Un nuovo colpo alla schiena la fece ridestare. Mentre con le mani si teneva la parte dolorante, un scroscio d’acqua le bagnò tutta la parte destra del corpo. Sentendo in bocca che quel liquido era salato, si alzò in piedi più in fretta possibile. Come nel peggiore degli incubi, si trovava dentro una nave da pesca nel bel mezzo di una tempesta marina.

“Signorina stia giù!” urlò una voce nella tormenta.

“Cosa?” urlò di rimando lei, vedendo a mala pena il suo interlocutore.

“Ho detto stia giù!” le rispose un uomo, vestito con una delle più classiche tenute marinare “Che c’è il rischio, con questa tormenta, di finire in mare!”.

“Dove siamo?” cercò di informarsi la bionda.

“Nel bel mezzo dell’inferno!” tagliò corto lui.

Un’altra violenta sciabordata e la giovane si ritrovò nuovamente distesa sul pavimento del ponte. Tra i forti rombi dei tuoni, lei urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

 

Tornato il silenzio, Silvestri riaprì i suoi occhi color nocciola, sentendosi ancora tutti i vestiti bagnati. Tutto il suo corpo dondolava dolcemente. Aprendo i palmi delle mani, riconobbe dei tronchi di legno disposti sotto di lei. Tirandosi su con il busto, vide subito un’immensa distesa azzurra.

“Sono ancora in mare?” si chiese tra sé e sé.

Rimettendosi faticosamente in piedi, rigirò in pochi secondi tutta la zattera sopra cui si trovava, cercando di orientarsi il più possibile. Lo spettacolo era sempre il medesimo: cielo ed acqua che s’incontravano in un tripudio di celeste.

“Chissà ora quanto mi toccherà aspettare…”.

Come a dare risposta alla giovane, la zattera si arenò su di una spiaggia comparsa dal nulla.

“E questa? Per lo meno la fortuna gira anche un po’ dalla mia” disse Sara, sbarcando su quella misteriosa isola.

L’aspetto era del tutto simile agli ambienti tropicali, con alte palme a svettare su una vegetazione bassa e fitta.

“Lassù c’è del cocco. Almeno non morirò di fame” osservò la bionda, mettendosi una mano sopra gli occhi per pararsi dal sole.

“Sara!”.

Quella voce era diventata familiare all’umana.

“Erny! Ma come diavolo ti sei conciato?”.

L’affermazione dell’amica era dovuta alla pesante armatura che, con sua gran sorpresa, il fantasma stava indossando, completa anche di gambali e calzari.

“Almeno ora ti vedo anche le gambe…” scherzò lei, indicandogli le relative appendici.

“È da tanto che aspetti?”

“No, dai. Temevo peggio”.

“Qualcosa mi dice che sei a metà del tuo percorso” la informò l’ectoplasma.

“Davvero? E poi potrò uscire?” domandò esultante la ragazza.

“Penso di sì. Però non arrenderti proprio ora”.

 

“Stai tran…” ma le parole gli morirono in gola, dato che tutto attorno a lei era tornato a farsi buio e silenzioso.

“Ancora non si decide ad andarsene, signorina?”.

L’interessata si girò, trovandosi davanti un’altra persona conosciuta recentemente.

“Tiziana? Anche te sei qui? Allora sai come si esce da qui?”.

“Devi solo proseguire nel tuo cammino, giovane Sara” s’intromise uno gnomo.

“Parf! Sono felice di rivederti! Aiutami ad uscire di qui, ti prego”.

Poi l’attenzione dell’umana fu catturata da delle flebili risatine sataniche. Era già infuriata prima ancora di voltarsi.

“Brutti figli di puttana! Con voi non ho ancora finito!” sbraitò come impazzita, mentre tentava inutilmente d’inseguire un quartetto di folletti dispettosi.

D’un tratto, come fosse un gatto che gioca, si mise a cercare di afferrare una piccola fonte luminosa che danzava nell’aria.

“Sei la fata della fontane!” gridava euforica “Allora stai bene! Non sei morta!”.

Nel bel mezzo di questa sua danza gioiosa, fu afferrata violentemente al braccio. Preoccupata, la bionda si voltò di scatto, trovandosi davanti un essere dal viso di serpente.

“Sssara, resssta con noi!”.

“Col cazzo, brutto stronzo! E ora lasciami!”.

Ma lo spettro degli specchi obbedì soltanto al gran frastuono provocato dall’orco.

“IO DIRETTORE!” urlò rabbioso l’enorme creatura.

Con una nuova scossa del terreno sotto ai suoi piedi, Sara si ritrovò inizialmente a barcollare, per poi perdere definitivamente l’equilibrio.

Per sua fortuna, delle braccia snelle ma toniche l’afferrarono al volo.

“Come stai Sara? Ti sei fatta male?” le domandò preoccupato il manichino vivente.

“Leroy!” gridò felice la ragazza, accarezzandogli le guance di plastica “Tranquillo, sto bene e te?”.

“Anch’io sto bene. Vai Sara, prosegui che sei quasi alla fine!”.

L’umana lasciò a malincuore il suo prezioso amico, per poi trovarsi d’innanzi ad un ammasso di rottami. Questo, nel giro di qualche secondo, si animò.

“Dimentichi un fedele compagno” l’ammonì esso, facendo comparire, per la seconda volta, un peluche a lei molto caro.

“Natalino!” lo strinse forte al petto “Speravo di ritrovarti anche dentro questo mondo assurdo!” poi rivolse il suo sguardo verso la creatura “Grazie ancora di tutto!”.

I suoi piedi fecero automaticamente qualche passo in avanti, mentre lei proseguiva con l’accarezzare affettuosamente il suo balocco.

“Fuori dai coglioni!”.

Quello sproloquio la mise subito sull’attenti. Voltatasi a scatti, si ritrovò davanti il rinoceronte volgare e con sigaro. Senza dire altro quest’ultimo la caricò. la giovane fuggì più veloce che poteva, trovandosi di colpo in un dirupo che, da quella stramba isola, dava sul vuoto assoluto.

Sara Silvestri non ci pensò su un attimo e si buttò.

 

Una voce molto familiare la risvegliò questa volta. Lì per lì non credette alle sue orecchie: quella voce era proprio la sua. Spalancò immediatamente gli occhi e si vide. Era più grande, vestita con un lungo camice bianco e, attorno a lei, vi erano nove persone vestite di giallo e rosso. Quando quella decina si voltò improvvisamente verso di lei, tutto fu nuovamente buio.

 

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


CAPITOLO 10

“Epilogo”

 

 

 

Aria fresca. Dopo così tanto tempo tornava a respirarla. Aperti leggermente gli occhi, Sara vide l’azzurro del cielo. Temendo di essere vittima di un nuovo incubo, tirò su rapidamente il busto, provocandosi delle leggere vertigini al capo.

“Oddio la mia testa” si lamentava la giovane, tenendosi il viso tra le dita.

Muovendo appena la gamba destra, andò ad urtare contro qualcosa di leggero. Subita rivolta l’attenzione su essa, un sorriso spuntò sulla bocca della ragazza.

“Natalino!” lo chiamò, afferrandolo saldamente tra le sue mani “Ce l’abbiamo fatta, amore mio!” concluse il tutto con un sonoro bacio sul suo musetto peloso.

Felice più che mai, si mise a controllare l’enorme spiazzo in cui aveva finalmente fatto ritorno. Subito notò la sua Mini, parcheggiata esattamente dove l’aveva lasciata un tempo indefinito fa, e dove era collocata anche nel modellino vivente della città.

Con ancora un po’ di fatica, si rimise in piedi, portandosi dietro con sé il suo adorato peluche.

“Sono davvero fuori!” esclamò ancora incredula, finché il suo sguardo si rabbuiò.

Infatti, alla sua sinistra, svettava la minacciosa sagoma del fabbricato. Silvestri sembrò vederlo per la prima volta. Buio, sporco e, apparentemente, così inospitale.

Inconsciamente, una lacrima scese dall’occhio destro di lei “Che strano. Ora che ne sono uscita, inizio a sentire la mancanza di tutta quella gente”.

“Stai tranquilla bionda, è naturale che sia così”.

All’udire una nuova voce, la ragazza spalancò gli occhi, nel girarsi di colpo.

Vicino a lei vi era un essere umano. Il suo corpo, come anche i suoi vestiti, erano in un alto stato di decomposizione.

Tutto l’ossigeno nuovo che aveva inalato nei polmoni fu espulso in uno dei più potenti gridi che lei avesse mai fatto in vita sua. Come una lepre in fuga, Sara scattò verso la sua automobile, facendo librare in aria dietro di sé il suo pupazzo, tenuto ancora ben stretto con una mano. Arrivata alla sua meta, si mise nervosamente a tirare la maniglia, inutilmente. Proseguendo freneticamente a dare veloci occhiate verso il cadavere ambulante, si mise a tastare da fuori le tasche dei suoi jeans, alla disperata ricerca delle chiavi dell’auto.

“Forse cerchi queste?”.

Pietrificata da quelle ultime parole, la bionda indirizzò nuovamente il suo viso in direzione del morto vivente. Tra le sue dite cadaveriche era presente proprio il mazzo con la chiave ricercata.

“C-Come fai ad avercele te?” gli chiese infuriata la ragazza.

“Perché te le ho prese prima”.

“C-Chi sei tu?”.

“Ha davvero importanza il mio nome?”.

“Allora ridammele! Sbrigati!”.

“Ok, aspetta che te le porto” appena terminato di parlare, il non morto iniziò una marcia claudicante.

“No no no no no, rimani fermo lì dove sei!”gli ordinò l’essere vivente che, se proprio c’era una cosa che non sopportava, erano gli zombi.

La creatura gli obbedì “Ma allora come faccio a darti le chiavi, se devo stare fermo qui?”.

La giovane era sempre più titubante “A-Aspetta che v-vengo io da te”.

Detto ciò, però, lei non si mosse minimamente.

“Quanto devo aspettare ancora?” domandò l’altro, apparentemente seccato.

“Un attimo! Cazzo!” gli urlò contro l’umana.

Ma, ancora per parecchi minuti, entrambi rimasero completamente immobili. Nell’attesa, era già passata una decina di minuti.

“Allora? Ti decidi o no?” la spronò finalmente il mostro.

Sara questa volta non replicò. Con tanta forza di volontà, eseguì un primo passo incerto.

“Meno male” sospirò la creatura.

Passato ancora qualche minuto, Silvestri mise il piede sinistro, che era rimasto indietro, davanti a quell’altro. Ogni secondo che passava, come se fosse stata in discesa, i piedi iniziarono a muoversi con maggior rapidità, sempre più sicuri.

Cercando di fissare la sua nuova conoscenza il meno possibile, Sara si fermò infine ad una decina di metri da esso.

“Ed ora che facciamo?” chiese lui, di nuovo impaziente.

“Dunque…” l’umana cercava di guadagnare qualche secondo ancora, poi arrivò l’idea “Facciamo così! Getta le chiavi davanti a te”.

Il morto vivente, sorpreso, piegò il capo da un lato, facendo scricchiolare rumorosamente il collo rinsecchito.

“Sei sicura?”.

“Assolutamente sì”.

“Beh, come vuoi” lui si decise ad obbedirle.

Inaspettatamente, nell’atto del lancio, a staccarsi dallo zombi fu l’intero arto, che volò poco più avanti del suo proprietario.

Sara, inizialmente rimasta a bocca aperta, cercò poi di strozzare una risata divertita da tutta quell’assurda e macabra scena.

“Oh merda!” imprecò la creatura, mentre si apprestava a riprendere quanto perso.

“No no aspetta fermo!” lo bloccò l’umana.

“Cosa c’è ora?”.

“L-Lascia. Faccio io” lo informò, temendo ancora di essere vittima di una risata.

Per fortuna della giovane, urtando il terreno, la presa delle dita sul mazzo era venuta meno, portando l’oggetto a ricadere più avanti del braccio staccato. A passi brevi ma rapidi, nel giro di un attimo, la ragazza raggiunse il suo obiettivo.

Con altrettanta velocità, fletté le gambe e raccolse con un affondo della mano, come una beccata di gallina, le chiavi al suolo. Tornata subito in posizione eretta, squadrò minacciosa il cadavere ambulante.

Quest’ultimo, a quanto pare divertito, le mostrò un sorriso marcio e sdentato, provocandole un senso di rigetto immediato.

“Contenta ora?”.

“D-Direi di sì” gli rispose a muso duro “Immagino che tu faccia parte di tutto il pacchetto…”.

“Diciamo che sono una specie di guardiano del posto…”.

“Tu saresti il guardiano? E allora perché non mi hai fermato quando mi hai visto arrivare?”.

“Beh diciamo che ti vedevo particolarmente motivata. Quindi ero certo che saresti stata in grado di uscirne”.

“Ah davvero! Ma lo sai cosa ho dovuto affrontare entrando lì dentro?!”.

“Certo che lo so, cosa credi?”.

Sara rimase sorpresa da quella nuova risposta.

“Li ho visti arrivare tutti, uno dopo l’altro. Orchi, fate, streghe, folletti e gnomi. Ed altre cose varie ed eventuali”.

“Allora eri qui fin dall’inizio?”.

“Non saprei. Penso sia stata la magia di questo posto che mi abbia portato qui, riportandomi in vita”.

“Ma allora da quanto esiste questo posto?”.

“Chi può dirlo. Non usiamo calendari qui”.

“Io sapevo che prima era una sartoria, o almeno così mi ha detto Leroy…”.

“Può darsi! Ma ora è soltanto un rifugio per creature infelici”.

“E te ne saresti il guardiano?”.

Lo zombi fece spallette, facendo rumoreggiare ancora le sue vecchie ossa.

La bionda, ormai a suo agio, fissava l’essere in maniera davvero seria.

“Credo che ora me ne andrò”.

“Come preferisci” le rispose brevemente il cadavere.

Passato ancora qualche attimo, Sara abbassò lo sguardo e fece dietrofront. Con passo sicuro, raggiunse la portiera della macchina. Appena infilate le chiavi nella serratura, tornò a guardarsi dietro le spalle. Il non morto era ancora lì, che la scrutava tristemente. Dopo passò il suo sguardo verso il fabbricato, per l’ultima volta.

Appena seduta la posto guida, si sentì richiamare.

“Non dimenticarti di noi, Sara” la salutò il morto.

La ragazza rispose con un lieve sorriso, mentre nel contempo metteva in moto l’auto. Una breve manovra in retromarcia e, messa la prima, ripartì verso l’umanità.

Con un rapido movimento degli occhi, fissò per qualche secondo lo specchietto retrovisore. Il suo lunotto posteriore sembrava la cornice di un quadro con, al suo interno, quell’assurdo ambiente che si era rivelato essere il fabbricato.

Immessasi nella strada principale, solo un lungo dirizzone la divideva dalla sua adorata abitazione.

D’un tratto si accorse che, più proseguiva con il suo veicolo, più davanti a lei si presentava un minaccioso banco di nebbia. Nel giro di pochi secondi, tutto attorno a lei era diventato etereo.

Era davvero tutto finito?

 

 

 

FINE

 

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