Conto alla rovescia...

di karlsonn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dieci sono le dita delle mani... ***
Capitolo 2: *** Nove: l'ombrello quando piove. ***
Capitolo 3: *** Otto è palindromo. ***
Capitolo 4: *** Sette come i vizi capitali... ***
Capitolo 5: *** Sei: asino che sei! ***
Capitolo 6: *** Cinque: i cinque sensi ***
Capitolo 7: *** Quattro: gli elementi. ***
Capitolo 8: *** Tre: la Peppina fa il caffè. ***
Capitolo 9: *** Due. ***
Capitolo 10: *** Uno qualunque. ***



Capitolo 1
*** Dieci sono le dita delle mani... ***


10. Dieci sono le dita delle mani.
 
Guarda le dita di Lestrade.
Di più, è ipnotizzato dalle dita di Lestrade.
Sono abbronzate e proporzionate, sono agili e sembrano forti. Si muovono nell’aria di fronte a lui mentre l’Ispettore parla. E’ come se dessero movimento e musicalità a ciò che Lestrade dice, è come se Lestrade fosse un direttore d’orchestra, e la sua voce, le sue parole, gli strumenti che le sue dita guidano e dirigono...
 
…“Ma che cosa vado a pensare?” si riscuote, tornando a prestare attenzione a ciò di cui stanno discutendo: un caso che gli sta molto a cuore, in cui è coinvolto suo fratello, e per il quale lui stesso ha convocato l’Ispettore… sarebbe assurdo distrarsi proprio adesso...
 Lestrade ora è in silenzio, forse in attesa di una qualche risposta, mentre le dita tamburellano sulla scrivania… poi si infilano nella tasca dei pantaloni e ne tirano fuori un pacchetto di sigarette. “Le dispiace, signor Holmes?” chiede con gentilezza. E lui sente asciugarsi la gola e riesce solo a scuotere la testa... perché quelle dita, quelle dita che pochi secondi fa si sono avvicinate all’inguine caldo di Lestrade all’interno della tasca, ora veloci e abili liberano il pacchetto dal cellophane che lo avvolge, lo aprono, prendono una sigaretta e la portano alla bocca…
 e lui non può esimersi dall’immaginare quelle dita sulla propria bocca… dal sentirle scorrere sulle proprie labbra, e forzarle, ed entrare e lasciarsi baciare, avvolgere, succhiare…
 Sente una stretta all’inguine “Basta, basta… la devo smettere”.
 “Mi pare tutto” conclude Lestrade le cui dita avvicinano ora l’accendino alla sigaretta.
“Bene” ribatte, ignaro di ciò a cui l’altro uomo si riferisce, consapevole solo della voglia improvvisa e persistente che quelle dita sicure gli sbottonino il gilet e la camicia, scendano calde e un po’ ruvide sulla pelle nuda, raggiungano e aprano la cintura e… si agita leggermente sulla sedia, scomoda all’improvviso.
  “Allora io vado” si congeda Lestrade alzandosi. “Bene, Ispettore, spero di rivederla presto. Mi perdoni se non la accompagno alla porta… conosce la strada”… non si sarebbe certo potuto alzare, adesso, con l’erezione dolorosa e imbarazzante che gli tende i pantaloni.
 Rimasto solo riesce a riprendere il controllo su di sé, riaffidandosi alla sua parte razionale per tornare a concentrarsi sul lavoro… Non prima di avere segnato, però, in una breve nota mentale, che nessuna di quelle dita indossa più la fede nuziale.
 

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Capitolo 2
*** Nove: l'ombrello quando piove. ***


9. Nove, l’ombrello quando piove…
 
…dice una vecchia filastrocca.
 
Stanotte piove. E a dirotto.
Appoggiato alla grande macchina nera, guarda l’Ispettore Detective Gregory Lestrade dare ordini e indicazioni ai poliziotti sulla scena del crimine: deve essere fradicio e congelato… gli sembra perfino di vederlo tremare.
 
Lui si prepara la frase.
 “Vuole condividere con me l’ombrello, ispettore?
 No, macché, condividere è patetico.”
 Uff. Che fatica.
 “Gradisce ripararsi dalla pioggia?
Che idiozia, come se uno potesse gradire di infradiciarsi!”
 Comincia a preoccuparsi seriamente di non venirne a capo, ora...
 “Prego, Ispettore, venga sotto al mio ombrello
Sì… e nella mia camera da letto! No, no è da vecchio trombone…”
 Gli suderebbero le mani se non fossero mezze congelate.
 “Posso offrirle un riparo, ispettore?
Ecco, questa forse può andare…”
 La pioggia scende, incessante. Lestrade è ancora in mezzo ai suoi uomini. Lui rimane impassibile oltre alle strisce gialle e nere della sicurezza, ancora appoggiato alla grande macchina scura, ancora immobile.
 “Bene. Allora. Adesso mi avvicino e glielo dico.
Sì, ora vado lì e glielo dico.
Ora vado.
 Mi avvicino con l’ombrello e glielo dico…
Posso offrirle un riparo, ispettore?
Sì. Ecco.
Può andare.
Ora vado.
Vado e glielo dico.
 Basta, vado”.
Fa appena in tempo a staccarsi di qualche centimetro dalla carrozzeria dell’automobile per muovere, forse, il primo passo verso Lestrade, quando lo vede.
Un poliziotto.
Giovane.
Bello.
Ha un ombrello aperto sopra alla propria testa.
E poi, all’improvviso, anche sopra a quella di Lestrade.
 Che si gira, e,
guardandolo,
gli sorride.
 Gli sorride.
 A lui. Al piccolo verme con la divisa da poliziotto…
 
Lo guarda a bocca aperta: razza di sorcio… come ha osato? Come si è permesso?? Che cosa ha fatto??? Che cosa credeva di fare??!!? Che cosa… con che cosa poi, con che cosa!!! Crede forse che sia un ombrello quel ridicolo ammasso di stoffa e ferraglia che stringe in mano??? Non ha nemmeno un ombrello come Dio comanda e pensa di fregargli Lestrade?? Piccolo, sconsiderato, impudente lombrico!!!
 “Anthea!”
“Sì, signore?”
“Nome e cognome dell’agente accanto al Detective Ispettore”
“Sì, signore.”
“E poi mi chiami al cellulare il Ministro dell’Interno: mi deve più di un piccolo favore”.
“Sì, signore.”
“E ora, andiamo”.
 
-----------
 
“John, ma non c’era la macchina di Mycroft laggiù?”
“Sì, Greg, c’era. Se ne sarà andato... Sai come sono fatti questi Holmes...”
“Ho l’impressione di saperne meno della metà di come sono fatti...”
 

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Capitolo 3
*** Otto è palindromo. ***


8. Otto è palindromo.
 
Il silenzio che lo accoglie nell’appartamento di suo fratello e John è sorprendente: eppure sono tutti in sala, compreso l’Ispettore Lestrade. Quest’ultimo siede al tavolo con John, la fronte corrugata, l’aria completamente assorta, succhiando una matita. Anche John sembra quasi non respirare, immobile e concentrato su ciò a cui stanno lavorando.
 Sherlock è davanti al computer cercando di ignorarli, anche se non deve essere semplice…  
 “Bacche odorose… mirtilli?” la frase di Lestrade suona surreale.
“Hm… e poi come verrebbe, mirtilleti?” ribatte serio John.
“No, no mirtilleti non ha senso. Allora un’altra bacca…”
 Al suo disorientato “Buon giorno” giunge in risposta solo un grugnito da parte del fratello: gli altri due sembrano non averlo neanche sentito... Incredulo si schiarisce la gola e ci riprova:
“Buon giorno, Ispettore…”
“Un momento, ho da fare”.
 Lui sgrana gli occhi e sbatte le palpebre, guardando senza capire Sherlock, che si stringe nelle spalle con rassegnazione…
 “Mirto, John, mirto e mirteti! Prova con mirteti!” esclama Letsrade sbattendo con soddisfazione i palmi delle mani sul foglio.
“Grande! E poi oscuri è tetri, tetri mirteti!”
I tetri mirteti, e vai! Spettacolo! Dammi un cinque! Un’altra, un’altra…”
 “E… ehm… Ispettore…”
“Ah, sì sì buon giorno anche a lei, Mycroft. Suo fratello sta bene, non si droga, non mi ha ancora fatto licenziare dal MET e credo che sia in giro da qualche parte. E ora mi scusi, ma partecipiamo a un concorso di enigmistica”.
“Palindromi” precisa John alzando dito indice e sguardo verso di lui, per poi tornare  a chinarsi sul foglio davanti a loro.
 “Palindromi?” chiede dubbioso Mycroft a suo fratello.
“Sono quelle frasi che rimangono uguali leggendole sia da sinistra a destra che da destra a sinistra…”
“Sì lo so, ma… partecipano a un concorso?”
“A un concorso, già…” Sherlock alza gli occhi al cielo.
C’è un momento di silenzio, in cui i due fratelli si guardano assorti.
 “Questa è difficile, Greg.
Frase ("5 1 4?", "5")
Titolo: “Preferisci le Variazioni su un tema di Hiller o la Sinfonia Spagnola?" "Le Variazioni"”
“Mhhhh… non ne ho idea, John”.
 “Ci facciamo un tè, Sherlock?” propone a un tratto Mycroft.
“E’ prima frase di senso compiuto che sento da quando mi sono alzato”.  
 
--------
 
h. 21.00
Messaggio inviato a: Gregory Lestrade
Credo che sia:
"Reger o Lalo?" "Reger". MH.
 
 


h. 21.11
Messaggio inviato a: Mr. Holmes
Davvero? Grazie. GL.
 
 


h. 21.14
Messaggio inviato a: Gregory Lestrade
“Recai piacer?” MH.
 
 


h. 21.18
Messaggio inviato a: Mr. Holmes
Non avevo capito che le interessassero i palindromi… GL.
 
 


h. 21.21
Messaggio inviato a: Gregory Lestrade
Alcuni.
“E’ l’amore vero male?” MH.
 
 


h. 21.25
Messaggio inviato a: Mr. Holmes
“O no.
E non è, non è.” GL.
 
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NOTA: non ho inventato nessuno degli enigmi né delle frasi palindrome, sono tutte prese dalla rete!
 
Il primo palindromo a cui John e Lestrade stanno lavorando è: Frase (1 5 7) Titolo:
Le oscure distese di arbusti dalle bacche odorose. Soluzione: I tetri mirteti.
 
Il primo SMS di Mycroft: "Reger o Lalo?" "Reger" è la soluzione di: Frase ("5 1 4?", "5") Titolo: “Preferisci le Variazioni su un tema di Hiller o la Sinfonia Spagnola?" "Le Variazioni".
 
 

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Capitolo 4
*** Sette come i vizi capitali... ***


7. Sette vizi capitali.

E anche oggi, all’improvviso, mi sento solo...
Si vede che sto invecchiando perché non mi era mai capitato fino a qualche tempo fa.
Be’, sì, qualche volta, ma di rado...
Di solito ho cura di riempire ogni angolo di tempo libero con il lavoro, cosicché non ci sia spazio per la solitudine o le malinconie.
Negli ultimi tempi, però, questo stratagemma non funziona più, e un senso di vuoto e di pesantezza, in modo subdolo e sottile, riesce spesso ad insinuarsi nelle pieghe delle mie giornate e delle mie ore, per quanto abilmente sia riuscito a rimpinzarle di cose da fare o a cui pensare.    
 Quando mio fratello mi tormenta,
dicendomi che sono troppo solo,
ora che lui ha i suoi amici e anche un amore,
io gli rispondo che nessuno è alla mia altezza, che non c’è nessuno che io desideri, perché non c’è nessuno che non trovi seccante, lento e noioso.
Ma la verità non è questa…
 Quel Gregory Lestrade, lui mi piace.
Mi piace perché è allegro, spontaneo, intelligente, bello…
Ma soprattutto mi sorprende e mi piace per lo sguardo che ha sulle cose e sul mondo.
Lui guarda il mondo con bontà, e sembra un po’ meno brutto, il mondo, per come lo guarda lui.
Io lo so perché è stata la prima persona, e l’unica, fino a qualche tempo fa, a non guardare mio fratello come un mostro.
Mio fratello è diventato diverso… grazie a John certo, ma prima ancora grazie a lui: è stato il primo che ha creduto che in lui ci fosse qualcosa di buono.
 Così mi chiedo, per puro esercizio accademico, che cosa vedrebbe Lestrade se alzasse su di me quello stesso sguardo buono che ha usato con Sherlock.
 Con me però non lo fa.
Forse sono un caso disperato, cento volte più grave di mio fratello.
 Sherlock mi guarda e mi vede pigro, accidioso.
John di me sembra conoscere, e detestare, solo la superbia.
Chi lavora con me teme la mia ira.
Mamma in me ha sempre visto il figlio geloso e invidioso. 
Papà mi ha etichettato come quello egoista e avaro.
Io stesso so di non essere mai stato capace di voler bene a qualcuno, di non aver mai avuto amicizie, né tantomeno un amore… anche se sovente mi sono concesso il sesso… la lussuria.
 E non so perché mi prende questa disperazione, e non so perché vorrei che in me ci fosse anche dell’altro, qualcosa di buono, qualcosa che lo sguardo di Lestrade potesse scorgere in mezzo a tutta questa spazzatura…
qualcosa che lui potesse vedere
e magari, addirittura…
 amare.
 Ma non so che cosa altro potrebbe vedere,
al di là di un magnifico completo in tre pezzi e di una maschera di indifferenza glaciale,
se non l’intera collezione dei vizi capitali.

  

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Capitolo 5
*** Sei: asino che sei! ***


6. Sei, asino che sei.
 
“Sei testardo come un asino, Mycroft!”
“Mulo.”
“Cosa?”
“Si dice testardo come un mulo.”
“E’ la stessa cosa…”
“No, un asino è un asino, mentre il mulo è il frutto di un incrocio tra un asino e una caval…”
Si ammutolisce, perché i grandi occhi di Lestrade fiammeggiano fissandolo...
“Sei testardo come un’intera stirpe di asini e di muli, Mycroft Holmes, sei il più testardo tra i testardi, il più mulo tra gli asini e il più asino tra i muli!”
Se ne va sbattendo la porta, tra gli sguardi ammutoliti e terrorizzati dei collaboratori di Mycroft Holmes, uomini scelti tra quelli più silenziosi e obbedienti dell’intera nazione.
“Cocciuto di un Lestrade”, sbotta una volta rimasto solo “e poi il mulo sarei io”.
 
E ora è notte fonda. E gli torna in mente Lestrade.
Lestrade che si è esasperato, Lestrade che ha perso la pazienza, Lestrade che si è infuriato...
Lestrade che è uscito quasi di corsa dal suo ufficio.
Lestrade che non chiama.
Non riesce proprio a dormire: prova una strana irrequietezza, un senso di disagio e di inquietudine mentre ripensa alla discussione di qualche ora prima.
Mycroft Holmes non è certo tipo da andare per il sottile, soprattutto nelle questioni in qualche modo connesse al suo lavoro: ciò che conta per lui è il raggiungimento dei propri obiettivi, e la reazione dei suoi interlocutori (quelli che non sono indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi stessi) è cosa di ben poco interesse per lui, rappresentando, tuttalpiù, un piccolo danno collaterale.
 Ma questa volta è diverso.
Lestrade è diverso.
E lui si gira e si rigira tra le lenzuola.
 
----------
 
“Sì, pronto”. Il tono della voce è freddo, ma educato.
“Lestrade? Sono Mycroft Holmes”.
“ Sì. Buon giorno.”
“Lestrade, riguardo a ieri…”
“Sì?”
“Sono disposto a rivedere in parte la mia posizione, se ti interessa ancora. Sono disposto a riparlarne con più calma”.
“Credevo che la tua risposta fosse… come hai detto? De-fi-ni-ti-va.” Ribatte, cercando di riprodurre il tono freddo e altezzoso dell’altro. Il quale nell’ascoltarlo sospira…
“Sei interessato a incontrarci oppure no, Lestrade?”
“Sì. A patto che lo facciamo a cena.”
Lui tace qualche secondo. Una serie di domande si affastellano nella sua mente l’una sull’altra. Come riesce Lestrade a porgli delle condizioni anche quando è lui che gli sta facendo un favore? E perché vuole vederlo a cena? E’ il suo modo di scusarsi per avergli dato dell’asino e del mulo? O ha una sera libera di troppo? Oppure…
“Mycroft?”
“Sì, sì, certo, va bene per la cena. Ti mando un’auto alle sette e mezza… Ispettore Bardotto.”
“Bardotto?”
“E’ l’incrocio tra un’asina e un cavallo...”
Può sentire la risata trattenuta di Lestrade prima del suo “A stasera” e mentre chiude la telefonata prova una leggerezza e un’allegria che nemmeno ricorda più quando può aver provato l’ultima volta…

 

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Capitolo 6
*** Cinque: i cinque sensi ***


5.  Cinque: i cinque sensi.
 
Chiude la porta di casa e si appoggia allo stipite, ansimando. “Muoio”, pensa, “ora muoio”. Si porta una mano al petto, invaso da qualcosa di così strano e intenso che sembra potergli scoppiare dentro.
 Certo la sua reazione non è stata un granché, e di quel bacio non ha sentito praticamente nulla, sopraffatto dalle proprie emozioni. Appena Lestrade ha avvicinato le labbra alle sue, appena ve le ha appoggiate, lui ha sentito tutto il suo corpo bloccarsi e irrigidirsi, ha distolto il viso e, borbottando un frettoloso “Buonanotte”, si è rifugiato in casa... Ed ora è lì, incredulo e ansimante.
E ora sente bussare alla porta. Vorrebbe far finta di niente, fingere di non averlo sentito, ma Lestrade lo chiama e la sua voce suona quasi disperata: apre, e si ritrovano in piedi uno di fronte all’altro, Lestrade evidentemente confuso e imbarazzato, lui che cerca di controllarsi e ritrovare la propria impassibilità... “Mycroft… mi dispiace… ho frainteso tutto… volevo solo chiederti scusa. Credevo che tu… comunque spero che questo non rovini il rapporto tra noi…”. Lui rimane in silenzio, chiedendosi che fine possa aver fatto tutta la sua intelligenza visto che non riesce a pensare nemmeno a una frase sensata... “Hai il mio numero di telefono Mycroft, se pensi che possiamo continuare a frequentarci, per lavoro, almeno, mi puoi chiamare. Non ti importunerò più”.
 No, non riesce a parlare, ma riesce almeno a fermarlo, prima che se ne vada, appoggiandogli una mano sul braccio. Lestrade si blocca e lo guarda con intensità, dritto negli occhi, prima di riprendere a parlare “Tu sapevi che mi piacciono gli uomini, Mycroft?” Lui annuisce, la mano sempre intorno all’avambraccio del poliziotto. “E avevi capito di piacermi?” scuote la testa: certo che no, come avrebbe mai potuto anche solo immaginarlo? Lestrade sorride. “Io credevo che tu lo sapessi e pensavo di piacerti anche io, per questo ti ho baciato”.
 Si rende conto di stringergli il braccio quasi in uno spasmo, per trattenerlo, forse, ma molto di più perché si sente precipitare nel vuoto, senza fine, senza paracadute… Poi lo tira, con lentezza, verso di sé.
 Sono così vicini da confondere quasi i loro respiri quando Lestrade porta due dita a sfiorargli le labbra. “Posso?” sussurra piano, e la voce roca dell’ispettore gli arriva dritta dentro alla pancia... Lui annuisce appena, prima di perdersi in quei grandi occhi scuri come laghi di montagna, prima di abbassare le palpebre...
Inspira il profumo di Lestrade, che è muschio e legno fruttato, mischiati all’odore lontano dell’ultima sigaretta fumata... e la sente, questa volta, la bocca di Lestrade sopra alla sua, le sue labbra calde e umide contro le sue, due labbra morbide che lo baciano, e una lingua più morbida ancora che entra dentro di lui.
Gli ricambia il bacio, leccandogli la lingua e la bocca, ed è sopraffatto dal sapore di Lestrade: sapore di caffè, di birra, e poi di qualcosa di più profondo e indecifrabile, che deve essere il suo sapore, il sapore buono di Gregory Lestrade. 

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Capitolo 7
*** Quattro: gli elementi. ***


4.  Quattro: i quattro elementi.
 
Fuoco terra acqua aria…
Ecco che cosa è Lestrade a letto.
Ecco che cosa era stato fare sesso con lui…
 
Il fuoco del desiderio, come prima cosa: quel fuoco inarrestabile che Lestrade gli aveva trasmesso attraverso il tocco sicuro e possessivo delle mani brucianti sul suo corpo, della pelle bollente contro la sua, del vigore avido ed esigente contro il suo… il fuoco che lo aveva invaso, a sua volta, divampando feroce anche in lui, senza possibilità di fuga né di scampo.
 
La terra… non aveva potuto che lasciarsi andare… si era lasciato fare, e prendere e toccare ed amare e penetrare da quel corpo caldo e pesante sopra di lui, si era lasciato guidare e dominare dai suoi muscoli tesi, dalla potenza delle sue spinte, sorpreso dal piacere oscuro e antico che quel corpo riusciva a risvegliare nel suo, richiamandolo dalle sue profondità: perché Lestrade era la terra, la terra da accogliere e in cui essere accolti, in cui sprofondare e radicarsi, e fondersi, e ritrovarsi.
 
E poi erano arrivate le ondate travolgenti  e devastanti dell’orgasmo: l’orgasmo di Lestrade dentro di lui, e il suo contro il corpo dell’amante, onde potenti, incontrollabili e incontenibili,  che rompendo gli argini e dilagando in lui erano riuscite finalmente a spegnere il fuoco che lo aveva incendiato, lasciandolo svuotato di sé e pieno di un piacere conosciuto e del tutto nuovo, nello stesso tempo.
 
Infine la pace, la pace come mai l’aveva provata, come in un tempo e in un luogo sospeso, lontano da tutto e da tutti: lontano da se stesso persino, e nello stesso tempo ricondotto proprio al centro di se stesso… Una pace senza pesi, una leggerezza del cuore, dell’anima e del corpo, di tutto il suo essere che ora sembrava navigare un cielo chiaro,  sospinto solo dal fiato caldo, dal respiro ritmato e profondo di Lestrade addormentato vicino a lui.
 

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Capitolo 8
*** Tre: la Peppina fa il caffè. ***


3.  Tre: la Peppina fa il caffè…
 
Profumo di caffè, dalla cucina: è un odore troppo intenso perché gli possa piacere di prima mattina, ma è parte della sua vita, adesso che nella sua vita ha lasciato entrare Gregory Lestrade. Rimane a letto ancora qualche minuto, godendosi il calore buono delle lenzuola e l’odore di Lestrade addosso al proprio corpo...
Guarda il suo completo in tre pezzi già pronto dalla sera prima sulla stampella cercando di portare l’attenzione sulle incombenze della mattinata, ma lo scrosciare della doccia e la voce del compagno che inizia a canticchiare lo distraggono. Gregory è felice. È felice con lui: lui, l’uomo di ghiaccio, sta facendo felice un altro uomo... E' un pensiero nuovo, e incredibile, e così luminoso da rischiarare questa mattina nuvolosa e la giornata intera.
 Gregory entra in camera, un lungo asciugamano lo avvolge dalla cintola in giù, ma il petto è nudo e bagnato. Quanto è bello… “La doccia è libera, e io sono di nuovo in ritardo per il lavoro”, gli comunica stampandogli un bacio sulla fronte. Due ovvietà, pensa, ma ha imparato che per qualche strana ragione nelle relazioni occorre dirsi le ovvietà.
 Una volta sotto la doccia cerca di direzionare i pensieri verso qualcosa di utile, verso la mattina che lo aspetta. Ma i pensieri scivolano via, come il sapone sulla pelle bagnata e la sua mente torna a riempirsi di Gregory.
Ovvietà...
Gregory pretende che gli dica un sacco di ovvietà. Come quelle di poco prima:
“My, mi vuoi bene?”
“Per l’amor del cielo, Gregory, certo che ti voglio bene, che domanda stupida... perché vuoi che ti dica quello che è ovvio?”
Aveva alzato lo sguardo su Lestrade ed era rimasto interdetto: i suoi profondi occhi neri scintillavano, dardeggiavano, lanciavano strali… Mycroft aveva fatto un velocissimo dietrofront: “Scusami, Gregory, certochetivogliobenetivogliobenetivogliobenetivogliobenetivogliobene…” glielo aveva ripetuto allo sfinimento e aveva visto l’altro illuminarsi per tutte quelle piccole parole sciocche che rotolavano dalla sua bocca…
 Profumo di caffè, ovvietà, e parole sciocche: a Mycroft Holmes  mai la vita è sembrata così bella.
  

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Capitolo 9
*** Due. ***


2. Due.
 
Due. Vuol dire odore di caffè appena sveglio.
Vuol dire pantofole spaiate e tubetti del dentifricio aperti.
Vuol dire pizza quando mi andrebbe il filetto in crosta, e birra invece di vino italiano.
Vuol dire sentire troppo freddo e capire di non avere coperte dal mio lato, o troppo caldo e scoprire che sono tutte buttate addosso a me.
Vuol dire partite di calcio, e pub, e i tuoi amici rumorosi.
Vuol dire sforzarmi di pensare per entrambi e di non decidere più per me solo.
Vuol dire equilibrio instabile e continuo compromesso.
Vuol dire ansia quando fai tardi, angoscia quando la parola tardi non dice nemmeno la metà di quel che sta accadendo, e che io conosco.
Vuol dire incomprensioni, e litigi e silenzi a cui non so che significato attribuire…
 
Eppure due, senza il minimo dubbio, due è ciò che voglio, ora che lo conosco.
Perché non rinuncerei mai, per niente al mondo, ai tuoi ti amo, di cui non mi darò mai una spiegazione,  ai tuoi tentativi di fare di me una persona migliore, contro ogni ragionevolezza, alla tua saggezza, alla tua generosità... Al tuo testardo tenermi testa.
Non rinuncerei mai ai tuoi occhi grandi fatti per riempirsi di felicità, al tuo sorriso che è incredibile quando si illumina solo per me, al calore della tua presenza dentro al letto, ai tuoi buongiorno impastati di sonno, alle tue telefonate impreviste e inopportune, al tuo respiro contro il mio, alla tua passione.
Non rinuncerei mai alla gioia di saperti a casa, o in qualunque altro punto della mia vita, unico che abbia mai saputo riportarmi al centro di me stesso, a dare, finalmente, per la prima volta, un senso.
A tutto.
 

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Capitolo 10
*** Uno qualunque. ***


1.Uno: uno qualunque.
 
“Perché io?”
“Gregory, ti prego…”
E’ un sabato mattina pigro: nonostante l’ora tarda sono ancora a letto, abbracciati. Anche se adesso, all’improvviso, vorrebbe alzarsi e scappare, prima di trovarsi sotto al fuoco di fila delle domande senza né capo né coda del suo compagno...
Lestrade ridacchia: è divertente mettere a disagio Mycroft… almeno un po'...
“Voglio saperlo davvero: perché hai scelto uno qualunque, come me?”
“Non sei uno qualunque, sei Gregory Lestrade.”
“E perché non sono uno qualunque?”
“Santo cielo!” Agonizza Mycroft… ma non ha scampo: perché Gregory lo tiene stretto a sé… e anche se non lo facesse la sua fuga avrebbe conseguenze nefaste per almeno mezza giornata. Forse tre quarti, ripensando alle ultime esperienze. Sospira prima di rispondere.
“Perché sei perfetto per me” ed è sincero.
“Davvero?”
“Davvero. Ora se qui abbiamo finito possiamo cambiare argomen.. ouch!”
Lo guarda sbigottito: Lestrade lo ha morsicato, ad una spalla, e gli ha fatto anche male…
“No, non abbiamo finito. Sei sicuro di quello che hai detto?”
Ora comincia a chiedersi se non sarebbe preferibile che una qualche catastrofe naturale, una dichiarazione di guerra all’Inghilterra da un paese dell’Est, o addirittura una visita improvvisa di suo fratello interrompessero quella conversazione penosa… e tuttavia sa, con ragionevole certezza, che niente di tutto questo accadrà almeno nella prossima mezz’ora. Tanto vale rassegnarsi.
“Sì, sicuro.”
“E per quanto tempo?”
“Che domanda è questa? La perfezione è un concetto assoluto, Gregory, anche nel tempo.”
“Quindi… per sempre?”
Lui alza un momento lo sguardo sul compagno e vede un viso serio e concentrato, dai lineamenti tesi: Lestrade sembra attendere la sua risposta con intensità, con trepidazione, forse.
“Sì, Gregory, per sempre” sussurra stringendolo un po’ più forte e posandogli un piccolo bacio sul collo.
“Lo giureresti? Magari davanti a dei testimoni?”
“Certo che lo giu… Gregory? Dove vuoi arrivare?”
Il silenzio del compagno dura solo un brevissimo istante:
“Ti sto chiedendo di sposarmi, Mycroft Holmes.”
“…”
“My?”
“…”
“Stai…?”
“…”
“Stai piangendo, My?”
Mycroft annuisce, stringendosi con forza al petto del compagno.
“Ma… mi sposerai?”
Annuisce di nuovo, senza la forza di parlare, né il coraggio di guardarlo, mentre l’abbraccio di Lestrade, a sua volta, diventa così forte da toglierli quasi il respiro.

 

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