Foglie rosse e fiori di ciliegio

di hikaru83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


Eccomi ancora con una long-fic che come al solito è nata per gli affaracci suoi, ma tanto voi ci siete abituate. Come avete notato è una AU, o almeno credo che sia una AU, ma presto (se davvero ve la sentite di essere catapultate un’altra volta nella mia testolina) ve ne accorgerete e mi direte. E i personaggi sono OOC, sta volta l’ho ammesso candidamente nelle note. Tengo a precisare che non voglio snaturare troppo i personaggi, io li amo così come sono, ma sicuramente qualche modifica per la trama capiterà per questo ho scelto di inserire la nota. Questa volta non ho segnalato l’inizio di un punto di vista in particolare, spero che si capirà tutto, nel caso fatemi sapere ma siate clementi vi prego. La prima parte, quella in corsivo, è narrata da una terza voce esterna (il cosiddetto narratore esterno, che poi sono io) ed è situata una decina di anni prima del liceo. Giusto per rendervi le cose un po’ più semplici e farvi capire qualcosa dall’inizio vi do’ un indizio, ho schiaffato un sacco di personaggi in più nello Shohoku le coppie, a parte Hana e Ru (non ve li aspettavate da me, lo so), sono state “gentilmente” richieste da qualcuno (Slanif ne sai qualcosa?) spero comunque che saranno amate da tutte. E ora, come al solito, non posso far altro che augurarvi una buona lettura, a dopo per note e ringraziamenti.
 

Foglie rosse e fiori di ciliegio
 

Cap 1
 

Kanagawa. Settembre. Scuola elementare Kisetsu, classe prima, sezione F. La voce di una maestra sale sicura nell’aula piena di bambini seduti composti ai loro banchi.

“Allora bambini avete capito? Quando fa caldo l’acqua diventa vapore e sale in cielo, quando il vapore si ammassa in grandi quantità si formano le nuvole, che poi si ritrasformano in gocce d’acqua che ricadono sulla Terra.”


“E la neve?” Chiede una vocetta curiosa al primo banco. La risposta sicura dell’insegnante.

“Quando fa freddo l’acqua prima di raggiungere la Terra si ghiaccia e diventa neve. Quindi bambini, quando la neve si scioglie diventa...”

“Primavera.” Risponde una terza voce, quella di un bambino seduto in disparte per essere stato messo in punizione.

“Signorino devi smetterla di prendermi in giro, vai fuori dalla classe.” Gli dice la maestra stizzita.

“Ma perché maestra? Se la neve si scioglie vuol dire che arriva la primavera!” Risponde allora la voce del bimbo, che non capisce perché la maestra si arrabbia sempre con lui,  non la sta prendendo in giro.

“Non me lo fare ripetere, subito fuori o ti metto anche una nota.” Il bimbo allora si alza, e fa come detto, anche se ancora una volta è finito in punizione senza sapere il perché. Lui i grandi non li capisce e a volte neanche i bambini della sua età. Insomma sembra quasi che tutti devono pensare allo stesso modo, nessuno può dire niente di diverso. Come questa volta. Lo sanno tutti che la neve quando si scioglie diventa acqua, ma è anche vero che se si scioglie vuol dire che fa più caldo e  quindi la primavera sta arrivando, no? Ma oramai non dovrebbe stupirsi molto, tutte le volte che prova a dire qualcosa finisce in punizione. Eppure gli dispiace non riuscire a essere come gli altri bambini, si sente sempre così solo.

Dopo qualche minuto la campanella dell’intervallo suona e i bambini escono dall’aula. Uno di loro, un bimbo bellissimo, che generalmente non permette a nessuno di avvicinarglisi, e che è stranamente, l’unico che parli con lui senza prenderlo in giro, si avvicina.

“Secondo me la maestra non doveva metterti in punizione, hai ragione tu, la neve quando si scioglie diventa primavera.” Il bimbo dai bei capelli rossi allora guarda l’amico e gli fa un bel sorriso, sdentato perché ha perso uno degli incisivi da poco, ma non per questo meno bello e sincero.

“Grazie Ede!”

“Non chiamarmi così, già il mio è un nome da femmina, così peggiori le cose.” Cerca di rispondere burbero. Difficile però esserlo per lui, soprattutto con quel suo unico amico e con le guance leggermente rosate.

“D’accordo, vorrà dire che da oggi ti chiamo... kitsune.”

“Scimmia rossa non provarci!”

“Ah si? E perché?” Il sorriso furbo su un musetto pestifero.

“Se tu mi chiami kitsune io... io ti chiamo... do’aho! Ecco, sì ti chiamo do’aho.” Improvvisamente gli occhi nocciola si fanno tristi.

“Mi dispiace.” Dice con una vocina flebile, è la prima volta che il bimbo dai capelli neri lo vede così.

“Ehi stavo scherzando.” Cerca di reagire il bimbo dagli occhi blu, non sopporta di vedere quell’espressione sul viso sempre allegro di quel bimbo che non si è mai spaventato dal suo modo un po’ brusco.

“Non per quello, è che non potremmo usare i nostri nuovi soprannomi, oggi è l’ultimo giorno che frequenterò questa scuola.”

“Perché?”

“Papà deve andare via, per lavoro, e ci porta con lui.”

“E dove andate?”

“In un posto che si chiama Los Angeles.”

“È tanto lontano?”

“Sì, devo imparare un’altra lingua.”

“Quindi mi lasci solo?” Tristezza, nella voce di quel bimbo, sa già infatti che appena il suo amico con quegli assurdi capelli rossi se ne andrà lui tornerà a rinchiudersi nel suo bozzolo di ghiaccio, non può esistere nessun’altro capace di stargli vicino come quel terremoto.

“Io non vorrei, davvero, ma noi bambini non abbiamo molta voce in capitolo.”

“Lo so.” Lo sa veramente, gli occhi nocciola non sanno mentire, e lui lo sa, quella è una delle cose che ama di più nel suo amico, la totale incapacità di mentire.

“Senti nel posto dove vado a stare giocano tutti a uno sport, il basket, e da quello che so tutti i giocatori migliori del mondo vanno lì per giocare.” Il suo sguardo si rallegra mentre gli parla.

“E allora?” Il piccolo con i capelli neri non capisce, dove vuole andare a parare.

“Se tu diventassi il miglior giocatore del Giappone potresti venire da me.” Dice sicuro. Diventare il migliore, ne sarei capace? Pensa il bimbo dai capelli scuri.

“Tu dici?” Non sembra molto sicuro, ma gli occhi pieni di fiducia del suo amico riescono a fargli tornare il sorriso.

“Sì!” Lui ci crede, è sicuro che il suo amico  possa diventare il migliore, e se ci crede lui...

“D’accordo, ma solo se tu diventi il miglior giocatore di quel posto, così potremmo giocare insieme.” Ribatte, chiedendosi il perché non riesce a non accettare nessuna sfida che gli propone, per quale maledetto motivo non riesce a dirgli mai di no?

“Affare fatto kitsune!” Gli sorride ancora tendendogli la mano.

“Patto fatto do’aho.” Gli stringe la mano. Quella mano calda che gli è sempre stata vicina.

“Ede?”

“Hn?”

“Non mi farò chiamare da nessun’altro do’aho!”

“E io non permetterò a nessuno di chiamarmi kitsune.”

“Andiamo a giocare?”

“Sì.”

“Ede?” Lo chiama un’altra volta, le guance scarlatte e gli occhi lucidi ma comunque con lo sguardo dritto in quello blu dell’amico

“Hn?”

“Ti voglio bene.” Solo un sussurro. Che riesce a far colorare di rosso anche le guance del bimbo dalla pelle candida.

“...ch’io!” Gli risponde, sa già che non lo dirà più per tanto tempo, nessuno potrà mai sostituire il suo amico dalla pelle dorata.
 

Kanagawa, dieci anni dopo. Aprile. Liceo Shohoku. Primo anno sezione settima.
 

“Ma guarda un po’ la nostra cara matricola...”

“Akira smettila.”

“E dai, siamo tornati a frequentare la stessa scuola non sei contento?”

“No!”

“Dovresti portare rispetto a un tuo senpai, e poi scusa sono o no il tuo migliore amico?”

“No!”

“Come no? Ci conosciamo da una vita, viviamo anche vicini, abbiamo imparato a giocare a basket insieme, come puoi non considerarmi il tuo migliore amico?”

“Quello che mi chiedo io è come fa a sopportarti il tuo ragazzo.”

“Kosh? Mi ama che domande. Ahia tesoruccio perché mi hai colpito?”

“Perché te lo meriti, e non chiamarmi tesoruccio. Sbrigati, non vorrai arrivare in ritardo alla lezione di matematica vero?”

“Vorrei evitarla completamente, ma non me lo permetterai.”

“Ovviamente no, non puoi permetterti una nota di demerito, sei nel quintetto base quest’anno, te la senti di far infuriare da subito il capitano e il vice?”

“Quei due colossi? No, forse hai ragione, ciao Kaede.”

“Hn”

“Scusalo Rukawa, lo sai com’è fatto.”

“Hn.” Finalmente solo. Posso lasciarmi cadere sul banco per il pisolino mattutino. Akira non lo sopporto più, simpatico va bene, ottimo giocatore, ok, ma decisamente troppo ciarliero per me. Adesso chiudo gli occhi e... no, non è possibile, non ho considerato...

“Kaede!” Trilla allegra una voce conosciuta.

“Non è possibile se ne va uno arriva l’altra.” Borbotta infastidito.

“Stai dicendo qualcosa contro di me?”

“No Ayako figurati.”

“Bene, perché sai che sono la manager della squadra e potrei far diventare la tua vita un vero inferno...”

“Come se mi spaventasse un po’ di allenamento in più.”

“Anche se ti affido alle amorevoli cure della dolce Haruko?” Puro sgomento nelle iridi blu.

“Ayako? Stai scherzando vero? Quella...quella...quella cosa è dalle medie che mi da il tormento.”

“Lo so, c’ero anch’io alle medie, tutto dipende da come ti comporti signorino.”

“Ricattatrice!”

“Stavi dicendo?”

“Niente niente...” Appena anche lei se ne va Kaede appoggia finalmente la testa sul banco e si mette a dormire, delle lezioni non gli interessa nulla, a parte a quella d’inglese, gli basta mantenere una media sufficiente per poter giocare a basket. Deve diventare il  migliore, è l’unico modo che ha per riuscire a rivedere la sua scimmia rossa, lui è sicuro che anche quel terremoto si sta impegnando, anche se il suo compito è un po’ più complicato. Perché ora Kaede sa che dove si è trasferito l’unico a cui abbia mai detto di voler bene non è altro che la patria del basket, ma è certo che il suo uragano rosso non si fermerà davanti a niente, se c’è qualcuno che può farcela è lui.

“Preparati do’aho, verrò a prenderti.” L’ultimo pensiero prima di raggiungerlo nel mondo dei sogni.
 

In quello stesso momento in un'altra parte di Kanagawa un ragazzo alto e con una capigliatura rosso fuoco si stava sistemando nella sua nuova e contemporaneamente vecchia, stanza. Nuova, perché avevano da poco traslocato, vecchia, perché il padre non aveva venduto la graziosa villetta a due piani quando anni prima si erano trasferiti, ma aveva deciso di affittarla probabilmente in cuor suo avrebbe sempre voluto tornare in Giappone, e quindi Hanamichi si era ritrovato nella stessa stanza che usava fino a quando aveva sei anni.

Erano tornati da qualche settimana, ma lui faceva ancora fatica a riabituarsi al modo di fare giapponese, tutti sempre così gentili, educati, tutti quegli inchini, per non parlare di quella usanza assurda di togliersi le scarpe prima di entrare in casa, o quella di chiamarsi per cognome anche tra compagni di scuola. Persino il cibo era strano, troppi aromi, troppe spezie, eppure aveva dei ricordi di meravigliose scorpacciate, com’era possibile che i suoi gusti fossero tanto cambiati? Una cosa non era cambiata però, costatò amaramente. Fin da piccolo era sempre stato messo da parte per il suo aspetto, troppo occidentale, con quei capelli rossi di cui andava tanto fiero e che erano dovuti a una nonna europea che adorava. E anche adesso, mentre oramai era ora di pranzo e gli operai della ditta di traslochi stavano finendo di portare gli ultimi scatoloni, rivedeva quello sguardo di disapprovazione nei loro. Era ironico, decisamente ironico, in USA aveva avuto gli stessi problemi, per il motivo opposto però, troppo orientale con quegli occhi a mandorla, per non diventare presto il ragazzino da tormentare, però aveva anche conosciuto persone che gli avevano insegnato a difendersi, e dopo aver messo ko uno dei bulli più temuti della scuola davanti a tutti si era beccato una nota di demerito, vero, ma nessuno aveva più provato a fare il bullo con lui, non apertamente almeno. Lo chiamavano tutti almond eyes, occhi a mandorla appunto, tanto che dubitava persino che conoscessero il suo nome, ma non era importante, dopo quella rissa prima e dopo essere entrato nel quintetto base come titolare dopo, nessuno aveva più provato a metterselo contro.

“Hanamichi, hai finito di sistemare le tue cose?”

“Più o meno mamma.”

“Oggi pomeriggio vai allo Shohoku?”

“Sì ho sentito l’allenatore prima, mi ha detto che oggi iniziano gli allenamenti e vorrebbe presentarmi al resto della squadra.”

“Spero che ti troverai bene con i tuoi nuovi compagni.”

“Spero anch’io. Ma infondo perché non dovrebbe essere così, I’m genius!”

“Tensai Hanamichi, ricordati qui sei un tensai.”

“Giusto mamma!”

“Che ne dici se ci facciamo un bel pranzetto americano?”

“Hamburger, hot dog una marea di patatine fritte inondato tutto dal ketchup?”

“Beh, tanto dopo giochi no?”

“Mamma tu sei una tensai!”

“Dammi una mano a sbucciare le patate.”

“Bene, mi sembra un idea perfetta, ho una fame...” la voce del padre, si intromette tra i due.

“No caro, tu niente hamburger, niente hot dog e niente patate fritte, lo sai che devi seguire una dieta precisa, petto di pollo e insalata per te.” Decreta la madre.

“Ma non è giusto!” ribatte l’uomo, senza nessuna convinzione tanto sa già come andrà a finire.

“Non discutere!”

“Hanamichi non sposarti mai, vedi cosa succede? Un momento stai con un essere angelico, l’istante successivo sei legato a vita al tuo carceriere...” Una risata cristallina, riempie la casa mentre in tre si dirigono in cucina.
 

Palestra del liceo Shohoku ore 16.00
 

“Quest’anno lo Shohoku ha una squadra imbattibile, non trovi Uozumi?”

“Sì Akagi, l’unica cosa che non capisco ancora è perché tu sei diventato capitano al posto mio.”

“Semplice mio caro, io sono più bravo.”

“Figurati, siamo costretti a sopportare due scimmioni, non ero meglio io?”

“Tu teppista? Ma se non sei in grado di occuparti di te stesso, figurati se potresti essere un capitano.”

“Fatti gli affari tuoi nanerottolo.” Il pugno già pronto, bloccato dall’arrivo di Anzai.

“Ragazzi, adesso basta, venite qui. Ho delle cose importati da dirvi.” La voce dell’allenatore Anzai, l’unico in grado di controllare la sua squadra di teste calde, grazie anche all’aiuto insostituibile della bella manager Ayako.

“Scusate il ritardo!” Arriva di corsa Akira, con la maglietta non del tutto indossata, probabilmente l’ha infilata mentre saliva le scale per raggiungere la palestra di corsa, come sempre.

“Sendoh non è possibile anche al primo allenamento?” Lo sgrida Akagi.

“Succede...” Dice, con un sorrisino insopportabile di chi sa che tanto gli verrà perdonato sempre tutto. Quando finalmente la calma torna,  il signor Anzai sorridendo placidamente, come sempre, continua da dove è stato interrotto.

“Innanzitutto voglio dare il benvenuto alle matricole, anche grazie a voi il nostro liceo volerà alto, ne sono sicuro.” Le matricole ricevono tutte uno sguardo sorridente dal vecchio allenatore. “La seconda cosa è ricordarvi che non solo dobbiamo difendere il primo posto, ma quest’anno voglio che sconfiggiate il Kainan, non voglio superare le selezioni al secondo posto come l’anno scorso, anche se alla fine abbiamo vinto.” Un brusio di assenso da parte di tutti, forte è la voglia di riscatto. “E l’ultima cosa...” L’allenatore fa cenno a qualcuno fuori dalla palestra. “Lui è Sakuragi Hanamichi, è tornato da poco dagli Stati Uniti dove si era trasferito da bambino e frequenterà lo Shohoku. Gioca a basket da quando si è trasferito a Los Angeles? Giusto?” Un cenno dal bel ragazzo entrato in palestra. “Bene, come stavo dicendo gioca da quando si è trasferito a Los Angeles e ha deciso di continuare qui, voglio che lo facciate sentire tra amici sono stato chiaro.”

“Sì mister!” La voce chiara di tutta la squadra, incuriosita da quel gigante rosso. Solo uno tra loro è rimasto immobile e lo osserva stupito. È tornato? È proprio lui?

“Do’aho?” Solo un sussurro dalle sue labbra perfette che però non sfugge al nuovo arrivato.

“Kitsune?” Un altro sussurro in risposta da parte del ragazzo dai magnifici capelli rossi, dopo aver riconosciuto nel bel ragazzo di fronte a lui gli occhi del suo unico vero amico.

L’allenamento riprende Akagi si avvicina al nuovo venuto spezzando, senza accorgersi, lo sguardo che aveva incatenato tra loro i due ragazzi. L’unico a essersi accorto di qualcosa è Akira, conosce bene il suo amico, la persona più inaccessibile del pianeta, eppure, il nuovo arrivato ha acceso una luce nei suoi occhi, una luce che non aveva mai visto prima di allora. Sorride Akira, sorride perché finalmente Kaede ha dimostrato di provare qualcosa, deve capire, assolutamente chi è il nuovo arrivato, deve sapere cos’ha di così speciale da essere riuscito a frantumare la maschera perfetta che Kaede ha cucito addosso da sempre. Comunque non c’è che dire, pensa tra se e se, Rukawa ha dei gusti difficili, ma cavoli, assolutamente condivisibili.

“Cosa stai guardando Akira?” La voce, decisamente arrabbiata, del suo ragazzo.

“Niente, figurati, cos’hai da guardarmi così? Non sarai geloso vero?”

“Tzè geloso, ma per chi mi prendi? E ora sbrigati a metterti a correre.” Sorride Akira al burbero compagno, sa quanto sia geloso, e sa quanto odi che lui glielo faccia notare, motivo per cui non può fare a meno di farlo ogni volta che gliene dà l’occasione. Adora il broncio che mette su ogni volta che è con le spalle al muro, oddio, metaforicamente, perché le volte che ce l’ha sbattuto lui al muro l’espressione del suo ragazzo era tutto tranne che imbronciata.

“Sendoh muoviti!” La voce di Uozumi lo risveglia, meglio correre, il vice non sembra di ottimo umore a quanto pare non gli è ancora andata giù non essere diventato capitano...

Intanto Hanamichi prova a districarsi tra il vero e proprio interrogatorio a cui lo sta sottoponendo il capitano della squadra, e ciò che sta succedendo nel suo cuore. Non può crederci, l’ha ritrovato, dopo tutti questi anni, e non si è scordato di lui, gioca a basket e non si è scordato di lui. Gli sembra impossibile che sia potuto accadere, ha davvero cominciato a giocare quando lui è partito? L’ha davvero fatto per lui? Non dovrebbe stupirsene, in fondo non ha forse iniziato lui stesso per quel motivo, per rispettare una promessa fatta a sei anni al suo unico amico? E non è lo stesso motivo che lo ha spinto a voler saltare sempre più in alto, a voler abbattere tutti i muri che aveva trovato essendo orientale in un mondo dove in seconda media era uno dei più bassi della squadra? Non aveva forse dovuto dimostrare il suo valore, allenandosi il doppio degli altri per far si che la resistenza fisica, sua alleata naturale, diventasse un punto fermo, indispensabile per la squadra? Non erano forse gli occhi blu del suo amico che cercava sempre nei suoi ricordi e nei suoi sogni ogni volta che aveva dovuto abbassare la testa e rimanere in panchina perché non era abbastanza per la squadra? Anche se poi nessuno conosceva il suo vero valore visto che tutti si fermavano al suo aspetto, al fatto di essere giapponese, da quand’è che i giapponesi potevano dire la loro nel mondo del basket? Negli USA poi? Nella vera patria del basket. E così Hanamichi aveva continuato ad allenarsi, più degli altri, ogni giorno con costanza fino a quando, troppo stanco delle continue angherie da parte di quegli imbecilli che purtroppo aveva come compagni di squadra, aveva sfidato apertamente il capitano, e l’aveva battuto, sotto gli sguardi increduli di tutti, allenatore compreso, diventando da quel momento un titolare del quintetto base, giocando e abbattendo uno dopo l’altro tutti gli avversari che trovava sulla sua strada. Ma alla fine, non erano stati gli occhi di Kaede ad avergli dato la forza di riuscirci? Lui non sperava tanto, non voleva sperare che fosse lo stesso per Kaede, però, però era lì, nella squadra di basket del liceo che Hanamichi aveva scelto per caso, controllando solamente che la squadra di basket ci fosse, non aveva guardato altro, neanche se fosse una squadra forte, o se avesse vinto qualcosa, bastava solo che ci fosse, ci avrebbe pensato lui a farla diventare la migliore. E mentre Akagi, il capitano, continuava a parlargli, lui non riusciva a far altro che osservare Kaede, che a sua volta non lo perdeva mai di vista.

“Sono proprio imperdonabile Sakuragi, ti sto subissando di domande ma non son neanche come te la cavi con il giapponese.”

“Nessun problema, basta che, almeno all’inizio, parliate lentamente, mi devo solo riabituare tutto qui. Avrò un po’ di problemi in più con i kanji, ma credo che basterà solo un po’ di esercizio. È da quando ho sei anni che parlo e scrivo in inglese, però con i miei genitori, a parte i primi tempi per abituarmi alla nuova lingua, ho sempre parlato giapponese e scrivevo spesso ai miei parenti di Kyoto quindi dovrei cavarmela.”

“Perfetto, ti va di allenarti un po’ con noi? Giusto per vedere come te la cavi. A proposito in che ruolo giochi?”

“Quello che serve, centro, guardia, ala grande o piccola, playmaker, nessun problema, dipende dal tipo di squadra di cui faccio parte o dal tipo che dobbiamo affrontare. Comunque quello che preferisco è il ruolo sotto canestro. Non vedo l’ora di giocare un po’, dovrei cambiarmi però.”

“L’accompagno io.” Interviene Rukawa. La palestra intera si immobilizza per un secondo, la matricola più corteggiata del liceo parla? Da quando? Una risata allegra di Sendoh riporta l’attenzione su di sé e tutto ritorna alla normalità.

“Perfetto, allora vai a cambiarti, sono proprio curioso di vedere come se la cava uno che ha imparato a giocare in America.”

Kaede voleva stare solo con lui, per questo non si era fatto sfuggire l’occasione, ma ora che c’era non sapeva cosa dire, troppe emozioni insieme, così tante domande da fare che non riusciva a decidere cosa chiedere per prima. Perché era tornato, ad esempio, o se si ricordava davvero di lui e della loro promessa, oppure se non aveva permesso a nessuno veramente di chiamarlo do’aho, o il corrispettivo inglese, o ancora cosa provava a essere ancora insieme a lui, se anche lui sentiva il cuore battere così veloce e forte da credere che si potesse sentire anche a distanza.

“Sai kitsune mi ricordavo che non amavi parlare, ma mi sembrava che con me ci riuscivi, non tantissimo ma qualcosa riuscivo a fartela dire, a meno che... kit, non è stai dormendo in piedi?”

“Do’aho, io non dormo in piedi, è successa una volta sola e non stavo dormendo neanche, stavo solo riposando gli occhi.”

“Certo, appoggiato alla teca di protezione di quel vaso millenario nel museo, neanche quando è scattato l’allarme hai mosso un muscolo, alla maestra stava venendo un colpo.” Un sorriso sboccia su quel viso che tanto era mancato al rossino, un sorriso che il proprietario di quel volto tenta di nascondere ma che Hanamichi ha visto benissimo. “Mi sei mancato Ede, mi sei mancato tanto.” Il cuore di Rukawa perde un battito, specchia il suo sguardo in quello nocciola di Hanamichi e riconosce lo stesso sguardo sincero che aveva da piccolo e a cui non può far altro che dire la verità.

“Anche tu.”  Gli dice davanti alla porta dello spogliatoio, rimandando tutte le domande che voleva fargli a dopo, tanto la cosa più importante l’ha saputa.

“Kit, abiti ancora nella stessa casa?”

“Sì.”

“Ti va se dopo torniamo insieme?”

“Sei tornato nello stesso quartiere?”

“Stessa casa.”

“Ok. Sbrigati ora, sono curioso di vedere come te la cavi scimmia rossa.”

“Sicuramente meglio di te volpe narcolettica. Cos’hai da guadarmi così?”

“Mi stavo solo chiedendo se posso lasciarti tutto solo, non vorrei che un do’aho come te non riesca più a trovare la strada per raggiungere la palestra.”

“Oh che gentile, ma non devi preoccuparti, tanto scommetto che ti troverò addormentato da qualche parte...”

“Do’aho!”

“Baka kitsune!”
 

Quando Rukawa sbucò dalla porta degli spogliatoi, i ragazzi in palestra si stavano dividendo per una partitella.

“Ehi Rukawa, giusto in tempo, facciamo un quattro contro quattro, ti va di essere sconfitto da me?” La voce allegra di Sendoh.

“Tsè, sconfiggermi? Tu?” Akira sorride allo sguardo scettico di Rukawa, quel maledetto sopracciglio alzato, l’espressione di uno che non ha la minima intenzione di accettare la sconfitta. È bravo, Sendoh lo sa bene, ma non abbastanza per superarlo, probabilmente prima o poi lo raggiungerà, ma non ancora. E così gli otto migliori giocatori dello Shohoku si affrontano. Uozumi, Sendoh, Koshino e Hasegawa nella squadra blu, Akagi, Miyagi, Rukawa e Mitsui in quella rossa.

La partita ha inizio, azione dopo azione, la bravura dei giocatori si vede, ma non c’è molta differenza tra le due squadre, Akagi e Uozumi in quanto a forza si uguagliano, Sendoh è perfetto, non sbaglia mai, ma Miyagi piccolo e veloce non è da meno, Hasegawa è un ottimo tiratore da tre, ma Mitsui non ha problemi a eguagliarlo, infine Koshino e Rukawa, la bravura di quest’ultimo lo rende quasi imbattibile nell’uno contro uno, ma il basket si sa, non è uno sport individuale ma di squadra, e Koshino lo sa bene, conosce i suoi compagni e sa come servire loro palloni eccezionali. Per questo alla fine del primo tempo il risultato è quasi in parità. Nessuno sembra essersi accorto del ragazzo dalla folta capigliatura scarlatta appoggiato alla porta che conduce agli spogliatoi, lo sguardo fisso sul campo, soddisfatto, credeva peggio, davvero peggio, eppure i ragazzi dello Shohoku giocano bene, non quanto i suoi ex compagni ma hanno superato le sue aspettative, soprattutto Kaede, è veloce, preciso, solo piccole sbavature, ma assolutamente recuperabili con un allenamento mirato, come la poca resistenza e la convinzione di poter fare sempre tutto da solo. La voglia di entrare in campo è assurda, ne ha la stessa necessità di quella che i suoi polmoni hanno dell’ossigeno, sente i muscoli pronti a scattare, i tendini tesi, vuole giocare, ne ha bisogno, dopo aver passato ogni istante libero della sua vita a correre dietro a un pallone, non riesce a contenere la voglia che lo sta assalendo, vuole entrare in campo, prendere quella maledetta e contemporaneamente adorata palla arancione, e cominciare lo spettacolo.

“Ragazzo, ti va di entrare?” La voce dell’allenatore, lui si volta, negli occhi un muto ringraziamento.

“Sì signore.”

“Koshino esci, entra Sakuragi.” E la partita ricomincia, tutti convinti che più o meno il risultato rimarrà invariato, nessuno pronto a quello che sta per accadere.  Il rossino è inafferrabile, veloce, preciso, sempre pronto, sempre nella posizione giusta, i punti di vantaggio per i blu raddoppiano, triplicano, quadruplicano con una velocità imbarazzante, ha guardato giocare quei ragazzi per venti minuti, e ha già capito il loro gioco, smontando una a una le loro convinzioni, distruggendo tutte le loro certezze. È sempre la voce di Anzai a fermare la partita, che si sta trasformando in un martirio per la squadra rossa. “Miyagi fuori, Koshino rientra, e tu Sakuragi cambia squadra vai in quella dei rossi.” Pochi minuti per rinfrescarsi e lo spettacolo ricomincia, uguale anzi speculare a prima, ora sono i rossi che riducono lo svantaggio prima, e aumentano il vantaggio dopo. I canestri di Sakuragi sono belli, da manuale ma certo non azioni dell’NBA, che sa fare ovviamente, si è sempre divertito a copiare i suoi modelli, ma ora non serve questo alla squadra, non è lì per prenderli in giro o dimostrare la sua superiorità, è lì per far capire loro che è un buon elemento, e che può fare tanto per la squadra, che può aiutarli a diventare imbattibili. Ma non sono solo i suoi canestri a far lievitare i punti dei rossi, no, sarebbe troppo facile, saper fare canestri non è certo l’unica cosa che serve a un giocatore di basket, sono i suoi passaggi, le palle rubate o recuperate, le azioni che riesce a far compiere ai propri compagni, senza che neanche loro si rendano conto di come facciano a farle, gioca con loro come se non avesse mai fatto altro, come se fosse nella squadra da sempre, riempie le loro lacune, eleva le loro qualità. Alla fine della partita i rossi vincono per una manciata di punti, ma che equivalgono in realtà a diverse decine se si contano anche tutti quelli che hanno recuperato in poco meno di dieci minuti. I giocatori sono esausti, i loro corpi fradici di sudore, tutti meno Sakuragi, che se ne sta in mezzo al campo, palleggiando tranquillamente, senza neanche un po’ d’affanno, come se non avesse corso per venti minuti ma fosse appena arrivato dagli spogliatoi. Gli sguardi della squadra sono increduli, persino Anzai non si aspettava una cosa del genere, era sicuro che sarebbe stato un buon acquisto ma non così tanto. Quel ragazzo non era solo un giocatore eccezionale che evitava tra l’altro di atteggiarsi a prima donna, ma voleva far parte del gruppo, voleva aiutare la squadra e i suoi giocatori, ed era pronto a insegnare loro tutto quello che aveva imparato nei lunghi anni negli USA. Per questo Anzai non poté trattenersi, la sua risata si alzò alta, mentre immaginava gli sguardi che avrebbero fatto Taoka e Takato appena avrebbero visto in azione Sakuragi, a Taoka sarebbe venuto un colpo, riusciva persino a immaginare la vena sulla sua tempia pulsare dalla rabbia, e Takato ci avrebbe messo una vita a riprendersi. Oh sì si sarebbe davvero proprio divertito quest’anno...

“Assurdo, Sakuragi come hai fatto?”

“A fare cosa?”

“Cosa? Tutto direi, quei canestri, quelle azioni, tutto.”

“La maggior parte delle azioni le avete fatte voi, io vi ho solo servito la palla giusta. E i canestri, niente che voi non abbiate fatto nel primo tempo.”

“Dobbiamo sembrarti dei principianti eh?”

“Statemi bene a sentire, quando ho saputo di dover tornare in Giappone ero preoccupato, inutile negarlo. Il basket non è propriamente lo sport per cui i giapponesi sono più conosciuti. Voi non avete idea della fatica che ho fatto a farmi accettare negli USA e tornare qui temevo non mi avrebbe aiutato certo al mio futuro di giocatore, poi vi ho visto giocare e mi sono sentito subito più tranquillo. È vero non siete al livello dei miei ex compagni, non ancora almeno, ma avete talento e passione, e vi assicuro con l’allenamento giusto diventerete imbattibili. Io fra tre anni tornerò negli Stati Uniti, ed entrerò nei Lakers, e voi mi aiuterete a farlo.”

Nessuno seppe se fosse stato per quello che aveva detto o per il tono di voce che aveva usato, ma tutti in quella palestra furono assolutamente certi che ciò che quel ragazzo aveva appena detto non fosse solo un sogno impossibile di un ragazzino di sedici anni con un’ottima e del tutto invidiabile dose di autostima, ma la pura e semplice verità. Nessuno poteva conoscere il futuro, questo è ovvio, però dopo quella dichiarazione così sicura nessuno dubitava che il futuro di quel ragazzo fosse esattamente quello. Giocare nei Lakers, non era una sparata da megalomane, ma l’unica cosa possibile. E tutti in quella palestra avrebbero fatto in modo di aiutarlo in modo che quando, e non se, avesse indossato la maglia della prestigiosa squadra dell’NBA sarebbe stato come se anche loro l’indossassero con lui.
 

Continua
 

Note:  Ammetto che ho fatto un furto, quando si fa bisogna dirlo, e l’ho fatto da Fruits Basket, un manga di un po’ di anni fa. Il furto è nell’associare il fatto che la neve si sciolga alla primavera, nel manga in questione si legge in un dialogo tra i personaggi: “Secondo te cosa diventa la neve quando si scioglie? Ah... Ecco... Secondo me diventa primavera!”. Non trovate che sia bellissimo? E a chi potevo far dire una cosa del genere se non ad Hana? A nessuno, siete d’accordo? Sì? Benissimo. Per ultimo voglio ringraziare Slanif, Arcadia_SPH, mattmary15 e Pandora86 per le belle recensioni a Non è possibile, e tutte voi che siete arrivate indenni (spero) fino a qui. A venerdì prossimo con il secondo capitolo.

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Eccoci al secondo capitolo di questa mia storia, non ho molto da dire se non che i personaggi si presenteranno un po’ alla volta, non riesco a scrivere di troppi personaggi insieme, ma prometto che avranno tutti l’importanza che si meritano. O almeno io ci provo. A dopo per note e ringraziamenti.
 


Cap 2

 

Erano in strada adesso Rukawa e Sakuragi. Uno a fianco all’altro camminavano in silenzio tra le strade familiari della loro infanzia.

“In quel negozio non c’era una drogheria?” Chiese la voce allegra del rossino, mentre si guardava in giro curioso.

“Sì, ha chiuso qualche anno dopo che ti sei trasferito.”

“Mi ricordo che quando andavo con la mamma mi regalava sempre un pacchetto di caramelline alla frutta.”

“Me le ricordo, a volte le portavi a scuola e me ne davi un po’.”

“Sì e tu non volevi mai quelle al limone, ma adoravi quelle all’arancia.”

“E quelle alla fragola, che però adoravi anche tu.” Ricorda Kaede.

“Vero, quante litigate per quelle caramelle, non ho mai capito perché erano sempre di meno rispetto alle altre.”

“Già, però alla fine le dividevamo. Chissà perché litigavamo visto che tanto sapevamo che le avremmo divise.”

“Perché era divertente, io mi sono sempre divertito a litigare con te, perché sapevo che scherzavamo, eri l’unico che non mi facesse sentire diverso e sbagliato, non ti ho mai ringraziato per questo.”

“Sì che lo hai fatto.”

“E quando scusa?”

“Ogni volta che dividevamo le caramelle, quelle alla fragola erano sempre dispari e tu me ne cedevi sempre una in più, credevi che non me ne fossi accorto?”

“...beccato... ma scusa un attimo se tu te ne sei sempre accorto perché non mi hai mai detto niente?”

“E rinunciare alle mie caramelle preferite? Mai!”

“Eri una carognetta fin da piccolo allora...”

“Ero furbo fin da piccolo, in fondo non hai detto tu che sono una kitsune?”

“Allora vedi io ero un genio fin da piccolo, ti avevo inquadrato bene.”

“Tu non eri un genio, eri solo...”

“Troppo buono?”

“...un do’aho!”

“Maledetta kitsune...”

“Ti va di fermarci un po’ sulla spiaggia? Non c’è molta gente.”

“Ok, prendiamo qualcosa da bere però.” Detto questo entrarono in un piccolo chiosco vicino alla spiaggia per comprare due lattine. “Guarda un po’ kit, erano anni che non le vedevo più.” Hanamichi si avvicina al bancone con un pacchetto di caramelle alla frutta. “Prendo anche questo, questa volta offro io, e non fare storie la prossima tocca a te.” Dice al suo compagno, già pronto a ribattere.

Si sedettero sulla spiaggia, Kaede appoggiò le braccia sulle gambe leggermente piegate, osservando curioso Hanamichi, finalmente poteva farlo senza essere controllato a vista da quel rompiscatole di Akira che non aveva fatto altro che osservarli per tutto l’allenamento. Oramai lo conosceva ed era certo che lo avrebbe trovato a casa, pronto a riempirlo di domande. Già gli pareva strano che non avesse provato a unirsi a loro, anche se per quello forse avrebbe dovuto ringraziare la gelosia cronica di Koshino e il suo carattere decisamente poco accomodante. Osservò il compagno mentre appoggiava le mani sulla sabbia tiepida, lasciando che le dita venissero seppellite sotto quella marea dorata, mettere il suo peso sulle braccia e guardare un punto imprecisato nel cielo. Era bello, decisamente più bello di come potesse credere, di come in tutti quegli anni l’aveva immaginato.

Kaede sapeva oramai da tempo di non essere interessato alle ragazze, anche se nell’ultimo anno si era convinto che non fosse proprio interessato alle relazioni umane, visto che non aveva mai provato nulla per nessuno. Ma ora con Hanamichi a poche decine di centimetri, cominciò a ricredersi. Forse non era mai stato interessato a nessuno perché il suo cuore si era già impegnato quando era bambino, e Kaede non era una persona che cambiava idea, una volta presa la decisione nulla avrebbe più potuto distoglierlo da ciò che si era prefissato. E lui voleva Hanamichi, lo aveva sempre voluto, solo che quando erano stati separati erano troppo piccoli per capirlo. Si chiese cosa passasse per la testa di quel terremoto umano, a cosa stesse pensando, o per meglio dire a chi stesse pensando. Non aveva idea del perché fosse tornato, né se avesse lasciato qualcuno dall’altra parte dell’oceano, se fosse stato così sapeva già avrebbe sofferto tantissimo, Hanamichi non poteva avere avuto una relazione con qualcuno, Kaede non poteva tollerare che qualcuno avesse accarezzato la sua pelle, giocato con quei capelli che sembravano così morbidi, assaggiato le sue labbra, no, non poteva tollerarlo. Non ora che finalmente stava comprendendo ciò che lo legava a lui, quel sentimento che non sapeva neanche di poter provare. Non avrebbe mai più giudicato male Koshino per la sua gelosia, ora che aveva scoperto di esserne affetto anche lui e in maniera ancora più devastante.

 “Kit? Tutto bene?”

“Hn.”

“Sai mi era mancato anche il tuo hn, non esiste nessuno in grado di farlo uguale.” Un sorriso prima di voltarsi verso il mare. “Non credevo che sarei tornato qui, non ora almeno.”

“Ti mancano?” Non resisteva più, la sua curiosità stava raggiungendo limiti mai esplorati, doveva sapere, doveva sapere subito se esisteva una minima possibilità di stabilirsi dentro il cuore del suo rossino e rimanerci.

“Chi?”

“I tuoi compagni di squadra, i tuoi amici, la...tua...ragazza.” L’ultima parola la sputò fuori con disgusto, non voleva neanche immaginare le mani di una ragazza sulla pelle dorata che anche da quella distanza sembrava liscia e morbida.

“Ragazza?” Le guance scarlatte di Hanamichi fecero partire al galoppo il cuore di Kaede, soprattutto quando sentì il seguito della frase. “Nessuna ragazza, libero come l’aria.” Questo non voleva dire che non aveva avuto nessuna storia, però almeno sapeva che il suo cuore era libero, poca cosa visto che non sapeva se avesse mai potuto accettare ciò che sentiva per lui, ma meglio di niente. “E per gli amici, beh esiste internet no?”

“Come mai sei tornato?” Ora che il cuore era un po’ più tranquillo era davvero curioso di conoscere i motivi che l’avevano spinto a tornare.

“L’anno scorso papà ha avuto un infarto.”

“Oh mi spiace io...”

“Non preoccuparti ora sta bene, ci ha solo fatto spaventare. I medici hanno detto che se seguirà una dieta equilibrata, e cercherà di stare lontano dallo stress, insomma se si deciderà a prendersi cura di sé, basterà solo una semplice terapia e potrà avere una vita abbastanza normale.”

“Ne sono felice.”

“Già, così appena ha saputo che avrebbe potuto tornare in Giappone ha accettato subito, non credo neanche che fosse mai stato felice di dover andare negli USA, ma allora era solo un giovane impiegato senza molto diritto di parola, ora invece ha fatto carriera ed ha potuto tornare a casa.”

“Staccandoti un’altra volta dalla tua vita, però.”

“Beh, non ho fatto i salti mortali, è vero, non  dopo la fatica che avevo fatto a farmi accettare, ma sai, ora sono molto felice di essere tornato.”

“Lo sono anch’io.”

“Hai davvero iniziato a giocare quando me ne sono andato?” Ora toccava ad Hanamichi a domandare ciò che gli frullava in testa dal momento che l’aveva visto in quella palestra.

“Quell’anno ero troppo piccolo, ma l’anno dopo, mi sono iscritto in un'altra scuola e sono riuscito ad entrare in squadra, anche se penso che sia  stato solo perché Sendoh ha insistito.”

“Sendoh? Vuoi dire hedgehog?”

“Hed... che?”

“Hedgehog, quel tipo con quella pettinatura assurda, che lo fa assomigliare a un, come si dice... ah giusto porcospino.”

“Beh sì allora, lui.”

“E siete molto amici tu e quel tipo?” Kaede osservò per un attimo il volto di Hanamichi, che per la prima volta da quando si erano messi a parlare sfuggiva al suo sguardo. Gelosia? Era questo? Era davvero geloso del rapporto che potevano avere lui e Sendoh? Poteva dunque sperare?

“Lui crede di essere il mio migliore amico...”

“E non è così?”

“Il mio migliore amico è partito per Los Angeles più o meno dieci anni fa. Sendoh mi ha aiutato molto, e siamo amici è vero, ma non potrà mai prendere il posto di quell’idiota.” Un timido sorriso su quelle labbra morbide che Kaede desiderava. “E tu? Quando hai cominciato a giocare?”

“Poco dopo il mio trasferimento. All’inizio nessuno mi dava molta retta, poi dei ragazzi più grandi mi hanno preso in simpatia e mi hanno insegnato le basi. Devo molto a Michael e agli altri.”

“Michael?”

“Sì è stato il primo ad avvicinarsi e trattarmi come uno di loro.”

“Quindi siete molto legati.”

“Beh siamo amici è vero, ma non è la mia volpe, se capisci quello che intendo. Sai Los Angeles non ne ha molte, di volpi voglio dire. Così sono tornato per vedere a che punto, quella che avevo lasciato qui, era arrivata.”

“Avevo capito che era stato tuo padre a voler tornare.” Disse Rukawa per cercare di nascondere il rossore che gli aveva colorato le guance. Si sentiva un cretino, e che cavolo era Kaede Rukawa non una ragazzina alla prima cotta. Una risata cristallina di Hanamichi lo fece comunque sentire subito meglio, la vergogna provata appena aveva sentito le guance diventare calde lo abbandonò immediatamente. No, non era una ragazzina, era un ragazzo, ed era sempre stato deciso determinato e sicuro di sé, ma era indubbiamente alla prima, e unica di questo era certo, cotta, se così si poteva chiamare ciò che sentiva per la sua testa rossa. Doveva ancora capire come comportarsi, non è che poteva abbracciarlo e chiudergli le labbra con le sue assorbendo in se la sua risata che gli apparteneva di diritto. Non poteva, anche se era quello che avrebbe tanto voluto fare. Rukawa non era mai stato uno che seguiva solo il proprio istinto, lo ascoltava, questo sì, ma era uno stratega, non si sarebbe mai buttato in un’azione senza aver avuto la certezza che andasse a buon fine. Nel basket questo modo di essere lo aveva sempre ricompensato, quindi decise di adottarlo anche con Hanamichi. Conoscere l’avversario era la prima mossa da fare, conoscerlo tanto bene da riuscire a prevederne le mosse. Questo era il primo passo, e da lì sarebbe partito, anche se sospettava riuscire a prevedere cosa passasse sempre per quella testa rossa sarebbe stato molto difficile. Avrebbe affrontato un problema alla volta, almeno doveva capire se poteva essere interessato ai ragazzi, cosa non per forza garantita.

“La vuoi sempre vinta eh kit? Non solo non parli mai, ma quando lo fai vuoi avere anche l’ultima parola, dovresti però sapere che io ha la testa dura quanto la tua, e un numero di parole superiore da poter usare visto che questa volta hai parlato molto più del solito, scommetto che non hai più autonomia vero?” Rukawa fece uno sforzo tremendo per non lasciare che le sue labbra sorridessero, era assurdo quel demente lo faceva sorridere per ogni cretinata che diceva, e sembrava che fossero un numero infinito. Fu per questo che uscì dalla sua bocca il solito...

“Hn!” Una nuova risata esce da quelle labbra di corallo che Kaede sognava di poter chiudere con le sue, una risata che riscaldava il cuore di Kaede più di qualsiasi altra cosa.

“Ecco appunto!” Riuscì finalmente a dire Hanamichi mentre si teneva la pancia per il troppo ridere.

Rimasero ancora una accanto all’altro a bearsi del calore del corpo vicino, fino a quando il sole non sparì del tutto, inglobato dal mare. Fu Hanamichi a prendere la parola.

“Kitsune è meglio andare, devo sistemare delle cose a casa, sono ancora circondato da scatoloni, e mia madre mi fa la pelle se non mi decido a mettere un po’ in ordine.” Così dicendo i due si alzarono e si incamminarono verso le proprie abitazioni, Rukawa non poteva credere alla fortuna di abitare tanto vicino a Sakuragi, lo avrebbe potuto vedere tutte le mattine, ancora prima di entrare a scuola, questa cosa lo metteva così di buon umore da dimenticare per un istante l’interrogatorio che lo attendeva a casa. Era certo infatti che Sendoh non si fosse fatto scoraggiare dal fatto che non lui fosse ancora tornato, ma che anzi, la sua curiosità sarebbe stata alle stelle. Camminare fianco a fianco con Hanamichi però lo rendeva così felice e sereno che per la prima volta non pensò a niente, non agli allenamenti o a qualche azione da imparare, non alla sfida con qualche campione, non alla lezione d’inglese, l’unica per cui si preoccupasse, e sicuramente non a Sendoh e alle sue domande. Niente di tutto ciò lo sfiorava, niente che non fosse il ragazzo dai capelli rossi, la pelle dorata e lo sguardo sincero che, finalmente, gli camminava ancora a fianco.
 

In quello stesso momento un altro ragazzo camminava verso la casa di Rukawa. Uno dei ragazzi più corteggiati dell’intera Kanagawa. Sendoh aveva deciso di passare dal numero 11, per capire chi fosse il nuovo misterioso ragazzo. Ma quando li aveva visti avviarsi insieme aveva intuito che probabilmente era del tutto inutile presentarsi subito a casa dell’amico, quindi aveva preferito andare dal suo ragazzo, il quale ovviamente, ancora arrabbiato per i continui sguardi che Akira aveva lanciato al nuovo ragazzo, aveva fatto di tutto per fargli credere di essere troppo impegnato per starlo a sentire. Beh, pensò con un sorriso il ragazzo con i capelli a spazzola, lui l’aveva decisamente e piacevolmente impegnato per tutto il pomeriggio. Ma la colpa era tutta di Hiro, insomma lo sapeva quanto lo faceva impazzire quando metteva su quel broncio, e lui che aveva fatto per tutto l’allenamento? Guardato con gelosia, imbronciato come un bimbo a cui hanno appena rubato l’attenzione che riteneva solo sua. Non poteva mica credere che Akira potesse resistere no? Infondo lo conosceva, sapeva quanto poco servisse per accendere in lui quel desiderio insaziabile di possedere il suo corpo. Trattenuto a stento dal fatto che potessero esserci i genitori di Kosh a casa. Cosa che poi lo stesso Kosh gli aveva assicurato non vera appena chiusa la porta d’ingresso alle loro spalle. “Devo studiare Akira, inutile che rimani qui, per una volta che i miei sono fuori fino alle ventidue e la casa è libera e silenziosa, quando mi ricapita un’occasione del genere?” Quando? Mai pensò Akira un secondo prima di fondarsi su di lui e riempirlo di baci, non gli diede neanche il tempo di arrivare in camera quel pomeriggio, almeno non al suo primo attacco. Quanto piaceva ad Akira vedere quel broncio trasformarsi, vedere quelle belle labbra torturate dai denti candidi mentre il suo ragazzo cerca ancora di trattenersi, di non dargliela vinta, quanto amava sentire i sospiri e i gemiti che solo lui era in grado di far uscire da quella gola. Quanto gli piace sentire quella voce che gli ordina di muoversi, di farlo suo ancora una volta. Già, era stato davvero un pomeriggio magnifico. Magari fossero tutti così.

Perso nei suoi pensieri non si accorse neanche di essere arrivato a destinazione, almeno fino a quando non vide due ragazzi avvicinarsi alla porta di casa Rukawa. Appena riconosciuti decise di nascondersi, era curioso, ma non voleva ancora confrontarsi con quel tipo senza conoscere qualcosa di lui. Certo che il fatto che l’unico che potesse dargli informazioni fosse proprio Rukawa rendeva il suo lavoro decisamente più complicato. Per fortuna che in squadra aveva un alleato. Mitsui era curioso almeno quanto lui, e si era accorto degli sguardi che lanciava a Sakuragi, certo se n’era accorto anche Hasegawa, ma era certo che Mitsui sapeva come farsi perdonare, la curiosità non era l’unica cosa che avevano in comune, in certe cose loro due si assomigliavano molto, due gocce d’acqua. Dalla sua postazione riuscì a sentire il dialogo tra i due.

“Allora kitsune ci vediamo domani.” Kitsune?

“Sì.”

“Sono felice di non dover riaffrontare tutto da solo questa volta.”

“Hai un alleato dalla tua parte.”

“Ho di meglio. Ho te. Ci vediamo.” Non ci credo Rukawa è arrossito!

“Hana?” L’ha fermato, credo che le sorprese non sono ancora finite.

“Sì?”

“La mattina vado al campetto vicino alla spiaggia a fare due tiri prima di scuola, se vuoi venire anche tu...” Questa è più che una sorpresa, è un miracolo, Mr. Iceberg non ha mai invitato nessuno al campetto, non ha mai permesso neanche a me di andarci.

“Sarebbe fantastico, però ti toccherà venire a svegliarmi, e la cosa mi fa abbastanza ridere.”

“Perché?”

“Farmi svegliare da una kitsune narcolettica è abbastanza strano no?” Ok credo di aver avuto un miraggio. Kaede che sorride, dev’essere per forza un miraggio.

“E io che ti do’ anche retta do’aho.”

“Buona notte kit.”

“Notte.”

Solo quando fu sicuro che Sakuragi non avrebbe più potuto scorgerlo decise di uscire dal suo nascondiglio.

“Bene bene caro Rukawa, sono certo che sai perché sono qui.”

“Hn.”

“E sai anche che non ti lascerò in pace fino a quando non ti deciderai a rispondere alle mie domande, almeno a una parte, ho tutta la sera.”

“Andare a rompere a qualcun altro, no?”

“E a chi scusa?”

“Al tuo ragazzo?”

“Ci sono stato fin’ora e ti assicuro che è stato davvero un pomeriggio...”

“Basta, certe cose tienitele per te.”

“Ma perché? Non devi essere timido, e poi potrebbero servirti in un futuro forse non troppo lontano.”

“Cosa vuoi dire?”

“Inutile che fai lo gnorri, vi ho visti tu e il bel nuovo arrivato, quindi...” disse sedendosi comodo sul divano di casa Rukawa e continuando solo quando anche il proprietario di casa si accomodò sulla poltrona accanto. “...perché non ti decidi a dirmi chi è?”

“Perché non sono affari tuoi.”

“Rukawa da quanto ci conosciamo noi due? Avevi si e no sette anni quando arrivasti nella mia scuola e decidesti di entrare in squadra. E in quanti volevano darti fiducia? A parte i presenti ovviamente. Nessuno e lo sai. Quindi invece di chiuderti a riccio come sempre per una volta potresti anche fidarti non credi? Anche perché in questioni di cuore tu sei rimasto esattamente quel nanerottolo di sette anni che mi è capitato tra i piedi.”

“Anche se volessi, non so da che parte iniziare.”

“Allora vediamo un po’, io ti conosco da nove anni oramai e quel tipo non l’ho mai visto, quindi doveva venire a scuola con te quando la frequentavi la Kisetsu.”

“Sì.”

“È lui il motivo per cui hai deciso di cambiare scuola?”

“Sì e no.”

“Però c’entra.”

“Sì”

“Ok, almeno ho capito perché io non l’ho mai conosciuto. E cosa è successo, avete litigato forse?”

“Se n’è andato.”

“Il trasferimento, certo.”

“Non riuscivo a guardare il suo banco accanto al mio, vuoto. Poi ci hanno messo un altro bambino e io non lo tolleravo.” È la prima volta che parla senza che debba estorcergli la parola, come se questa verità stesse solo aspettando qualcuno disposto ad ascoltarlo.

“E così sei riuscito a farti trasferire nella mia scuola.”

“Già!” Mi guardo intorno conscio che non è una conversazione che i genitori di Kaede possano ascoltare, ma Rukawa mi sembra tranquillo, almeno da questo punto di vista, non sarà che...

“I tuoi non ci sono neanche questa sera?” Oramai ho fatto l’abitudine al silenzio di questa casa, chissà come fa a tollerarlo lui che qui ci vive.

“Di cosa ti stupisci? Credo che sia un miracolo il fatto di essere venuto al mondo, probabilmente avevano scritto sull’agenda ‘ricordarsi di concepire un figlio entro la tot data’ non mi sorprenderebbe granché se l’avessero fatto.” Se a dire una cosa del genere fosse stato qualcun altro, probabilmente mi sarei messo a ridere, ma Rukawa è terribilmente serio, non lo ammetterebbe neanche sotto tortura, ma il fatto che i suoi siano sempre assenti deve pesargli molto.

“Sono sempre impegnati eh?”

“Amano il loro lavoro, tutto qui.” La sua voce è atona mentre risponde, parlare dei suoi genitori lo ha fatto tornare il Rukawa totalmente distaccato che conosco fin troppo bene, esiste solo un argomento, solo una persona, che lo rende terribilmente impacciato, e quindi terribilmente umano, ed è il nuovo arrivato.

“Beh allora ritorniamo al nostro discorso, tu ti sei trasferito nella mia scuola e hai deciso di giocare a basket per riempirti le giornate?” Non è tutto chiaro, però comincio a capire qualcosa in più di questo mio silenzioso amico.

“Gliel’avevo promesso.”

“Una promessa? Hai iniziato a giocare a basket per una promessa fatta a lui?” Tutto è cominciato per via di una promessa, una promessa fatta da due bambini, scommetto che questa promessa sia lo stesso motivo che ha spinto Sakuragi a iniziare a giocare a basket. Quanto in realtà sono legati questi due?

“Hn.” Rukawa mi sembra davvero strano, sento che c’è qualcosa che non ho ancora capito del tutto. Erano amici da bambini, si sono dovuti separare ma non si sono scordati l’uno dell’altro, aggrappandosi a una promessa per andare avanti, perché una cosa e sicura, visto quanto Kaede ha lavorato per arrivare a migliorarsi di giorno in giorno si è letteralmente aggrappato a quella promessa. E Sakuragi? Per lui dev’essere stato anche più difficile, visto dove si trovava, non credo che l’abbiano accettato subito, deve aver dimostrato il suo valore, deve aver lottato e deve averlo fatto per Kaede, o forse è solo che lo spero con tutte le mie forze, visto quello che ho improvvisamente capito. Ho afferrato quella cosa che non mi era chiara, ora lo so.

“Rukawa, tu sei innamorato di lui, vero?” Distoglie lo sguardo, tentando di nascondere il viso, ma l’ho visto, il rossore sulle sue guance, l’ho visto bene. “Bene, è deciso.” Dico battendo le mani sulle ginocchia e alzandomi di scatto.

“Cosa?”

“Ti aiuterò a conquistare il bel rossino.”

“Tu non farai un bel niente.”

“Forse non ti è chiaro un concetto semplice, non ho bisogno che tu mi dia il permesso. Bene ho fatto prima del previsto, credo che tornerò a trovare Kosh, intanto però chiamo Mitsui, ho bisogno di alleati.”

“Mitsui?”

“Già, per prima cosa dobbiamo trovare il modo di sapere se al tuo amico interessano solo le ragazze o ha la mente un po’ più aperta, a proposito sai se è libero?”

“Non ha lasciato nessuno in America se è quello che vuoi sapere. Ma perché vuoi mettere in mezzo anche Mitsui?”

“Perché tanto si impiccerà sicuramente, lo sai com’è fatto. Vedrai presto tu e il tuo rosso sexy sarete una coppia. Forse avrò anche bisogno del consiglio di una ragazza, chiederò ad Ayako, sono certo che mi aiuterà volentieri. Ora vado, buona notte Rukawa.” Chiudo la porta dietro di me, lasciandomi un Rukawa basito alle spalle e sorrido mentre cerco il numero di Mitsui sulla rubrica del cellulare. È la prima volta che vedo quello sguardo in Rukawa, è la prima volta che la sua attenzione è per qualcosa esterno al basket, ed è la prima volta che mi ha permesso di conoscere davvero una parte di sé. Finalmente quel nanerottolo che mi porto dietro dalle scuole elementari sta crescendo e sta diventando un uomo.
 

In quello stesso momento un cellulare cominciò a vibrare insistentemente nelle tasche dei jeans di Hisashi. Jeans che erano appallottolati sul pavimento della stanza di Kazushi.

“Hisa, il tuo cellulare...” La voce di Hasegawa mentre tenta di svegliare il suo ragazzo. Quante volte gli ha detto di spegnere il cellulare quando sono insieme? Mille, no, sicuramente di più, anche perché quel maledetto aggeggio sembrava risvegliarsi quando erano solo loro due. A volte sospettava che Mitsui avvertisse tutti quando andava da lui, perché non era possibile che a tutti, compresa una vecchia zia che abitava in un paesino sperduto in Hokkaido e che non sentiva da anni, venisse in mente di telefonargli sempre quando erano insieme da soli a casa. Per fortuna questa volta almeno non li avevano interrotti sul più bello come l’ultima.

“Mmm...” rispose Mitsui, il viso appoggiato alla sua spalla e nessunissima voglia di muoversi.

“Hisa se non rispondi lo butto dalla finestra.” Solo allora il suo ragazzo di decise a muoversi, sapeva che Kazushi non scherzava e che avrebbe buttato di sotto anche i jeans per fare in fretta.

“Mmm... ma chi cavolo è che rompe...” borbotta Mitsui recuperando il cellulare incastrato nella tasca dei jeans, e alzando gli occhi al cielo appena visto chi era il rompiscatole in questione. “Sendoh, chi altri... non ti ha mai detto nessuno che sei inopportuno?” Ringhia al telefono.

“Ops ho interrotto qualcosa?”

“Non ci sei riuscito, questa volta...”

“Dovevo intuirlo, l’altra volta in effetti la tua voce era...”

“Mi hai chiamato solo per rompere o c’è una ragione valida?”

“Più che valida, sei seduto? Che domande sarai a letto spalmato su Kazushi.”

“Akira, perché hai chiamato?”

“Sono appena uscito da casa di Rukawa e indovina?”

“Akira? Ti sembra davvero che abbia voglia di perdere tempo?”

“Che antipatico, comunque il nostro Ru è innamorato perso del nuovo tipo.”

“COSA!!!!!!” Urla Hisashi saltando a sedere di scatto, Kazushi lo osserva sorpreso prima di decidere di stare molto attento a ciò che si stanno dicendo, quei due separati sono pericolosi, insieme sono molto peggio.

“Ti dico che è così, lo ha ammesso. Hanno anche dei soprannomi, non molto romantici a dir la verità ma in fondo chi sono io per giudicare? Ti rendi conto il cuore del piccolo Ru batte, è vivo, da non crederci. Bisogna inoltre ammettere che ha degli ottimi gusti, hai visto che razza di fisico si ritrova il rossino? Ha certi muscoli che sembrano gridare ‘mordimi’ un bocconcino niente male.”

“Akira non sei con Koshino vero?”

“Come fai a saperlo?”

“Intuizione.”

“Ah già c’è Kazushi che ti ascolta? Beh comunque basta un sì, insomma ammettilo è o no un bel bocconcino?”

“Sì, decisamente hai ragione.”

“Vedi, dobbiamo assolutamente aiutare Rukawa, insomma lo sai che la sua capacità di districarsi nelle relazioni umane e inversamente proporzionale a quella che ha di giocare a basket.”

“Compito di matematica imminente?”

“Lascia perdere. Allora mi dai una mano?”

“Certo, insomma è un nostro compagno di squadra, è il minimo che due senpai possono fare per aiutare una matricola che è sotto la loro ala protettiva.”

“Sapevo che avrei potuto contare su di te. Senti secondo te Ayako ci aiuterà?”

“Scherzi è dalle medie che sta tentando di accasare Rukawa, ci andrà a nozze.”

“Perfetto, domani ci mettiamo d’accordo sul da farsi, ora ti saluto, sono arrivato da Kosh, sai i suoi non ci sono fino alle ventidue e io vorrei proprio provare...”

“Akira io non ti vengo a raccontare cosa faccio con il mio ragazzo, ti sarei quindi grato se potessi fare altrettanto.”

“Ma perché? Secondo me dovremmo confrontarci, insomma potremmo imparare parecchio...”

“Sei un maniaco.”

“Sei retrogrado, la mia idea era niente male.”

“A domani.”

“Ok a domani. Comunque nel caso in cui tu cambi idea io sono disposto a metterti a parte di alcuni giochetti che...”

“Notte Akira.” Mitsui non lo fece neanche finire chiudendo la telefonata. Rukawa innamorato? Non voleva perderselo.

“Cosa voleva?”

“A quanto pare Rukawa ha una cotta per il nuovo tipo, e Sendoh vuole aiutare l’iceberg ha mettercisi insieme.”

“E ti ha chiesto una mano?”

“Già.”

“Mi spieghi perché non potete semplicemente lasciare che se la cavi da solo?”

“Rukawa alle prese di un problema di cuore? Se non gli diamo una mano non riuscirà a cavare un ragno dal buco.”

“E il fatto che voi due siete peggio di due portinaie pettegole non c’entra niente?”

“Va beh forse un pochino. Ma lo facciamo per Rukawa, davvero.”

“Sì sì certo. Piuttosto in che cosa Akira ha decisamente ragione?”

“Non capisco di cosa parli.”

“L’hai capito benissimo. C’entra il nuovo arrivato vero? Dimmi tutto o ti butto fuori da questo letto.”

“Ok ok non scherziamo, ti dico tutto.”

“Sarà meglio.”

“Mi ha detto che è un bel bocconcino, e non potevo certo mentire, e poi lo sai gli occhi sono fatti per guardare.” Hisashi si sentì sbattere rudemente sul materasso e schiacciare dal corpo del suo ragazzo. L’attrito tra due corpi nudi fece nascere una scossa elettrica che accese i sensi di entrambi i ragazzi.

“I tuoi occhi devono guardare solo me. ” Gli occhi scuri di Kazushi non gli permettevano di rispondere a tono, riuscì solo a deglutire mentre sentiva il cuore in gola, conosceva il suo ragazzo e sapeva perfettamente cosa sarebbe successo da lì a qualche istante. “Credevo che una cosa così semplice l’avevi capita oramai, ma visto che non è così mi toccherà punirti, così forse riuscirà ad entrarti in testa.” Continuò Kazushi con una voce calma che però non ammetteva repliche. “Questo però ora lo spegniamo, sarà una punizione lunga e non voglio essere interrotto.” Il cellulare, ormai spento di Hisashi finì vicino ai jeans dimenticati. Le mani di Kazushi cominciarono ad accarezzare la pelle, già bollente di Hisashi. “Lo sai che devo farlo vero?”

“Sì, devi punirmi, devi farlo fino a quando non sarai sicuro che abbia capito la lezione.”

“Molto bene.” Le ultime parole prima di scendere su quel corpo che richiedeva le sue attenzioni. Hisashi adorava quel lato di Kazushi, sembrava fra i due il più pacato e tranquillo, ma in certe occasioni, e possedere il suo ragazzo era una di quelle, sapeva essere molto autoritario e sicuro di sé. Appena sentì le dita del suo ragazzo scivolare in lui Hisashi fu certo che neanche per quella notte avrebbe dormito a casa, anzi, probabilmente non avrebbe dormito affatto, ma non era colpa di Kazushi, era lui a doversi far perdonare parecchie cose, ne avrebbe inventate se fosse stato necessario.
 

Continua
 

Note: Ok ho presentato anche gli altri, vi è piaciuta come presentazione? Spero di sì. Come sempre ringrazio Arcadia_SPH, Slanif e Pandora86 per le belle recensioni al primo capitolo (e anche per averla messa direttamente tra le preferite Pandora e nelle seguite slanif e saruccia), a settimana prossima.

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Eccomi ancora qui per il terzo capitolo. Non chiedetemi di quanti perché non ne ho idea, ma comunque sia arriverò alla fine, non temiate, non voglio lasciare niente di incompiuto. I personaggi non sono miei e non guadagno nulla a scrivere questa fic (mi sono scordata di dirlo nell’altro capitolo mi perdonate?). Bene ci vediamo come il solito dopo per note e ringraziamenti, buona lettura.
 

Cap 3
 

È mattina, e un ragazzo molto assonnato si dirige a casa del suo migliore amico. Quanto era passato dall’ultima volta? Una vita. A Rukawa sembrava strano, ma anche terribilmente bello fare la corta strada che separava le loro case. Non aveva dormito molto durante la notte, un po’ perché l’idea di Sendoh e Mitsui alleati per aiutarlo a conquistare Hanamichi lo terrorizzava, e un po’ perché ogni volta che riusciva a rilassarsi e ad addormentarsi i suoi sogni erano popolati da rossini terribilmente sexy che si divertivano a torturarlo, torture che sarebbe stato ben felice di ricevere dal rossino in carne e ossa ad essere del tutto sincero.

Arrivò davanti alla porta di casa Sakuragi e si chiese se era il caso di bussare, insomma erano le sei non voleva disturbare, non era per niente sicuro che Hanamichi avesse avvisato i suoi dell’allenamento al campetto, anzi, non era neanche certo che l’avesse preso sul serio. Per fortuna la madre di Sakuragi aprì la porta d’ingresso proprio in quel momento.

“Cercavi qualcuno ragazzo?”

“Sì signora sono Rukawa, io e...”

“Rukawa? Quel Rukawa? Mamma mia quanto sei cresciuto, l’ultima volta che ti ho visto eri un nanerottolo che mi arrivava si e no alla vita e ora... beh ma di che mi stupisco Hanamichi è un gigante, perché tu no? Sei venuto per quel pelandrone di mio figlio? Ce l’aveva detto ieri a cena che ti aveva ritrovato al liceo, non sai come sono felice, non hai idea quante volte ho sentito parlare di te in questi anni, Rukawa di qua, Rukawa di là, Kaede di su, Kaede di giù, per non parlare di  tutte le volte che ti chiamava kitsune, praticamente era come se vivessi a Los Angeles anche tu.” Kaede non poté nascondere un sorriso a quelle parole. “Ma entra, Hanamichi dorme ancora, la stanza è sempre quella, vai pure se riesci a svegliarlo tu...” Il moretto entrò in casa, lasciò le scarpe all’ingresso, accettò le pantofole che la madre di Hanamichi gli aveva porto, salì le scale e camminò nel corridoio che lo portò alla piccola scala per la mansarda, stanza che Hanamichi aveva deciso sua perché vedeva le stelle comodamente sdraiato a letto. Entrò nella stanza, ancora in penombra e lo vide, sdraiato a pancia in giù in un letto da una piazza e mezza. La schiena nuda sembrava risplendere colpita da un raggio di sole, che creava dei disegni quasi magici sui capelli rossi del compagno. Un solo lenzuolo candido gli copriva le gambe. Kaede sentì la sua gola incredibilmente secca e dovette deglutire un paio di volte prima di fare un passo verso quel corpo statuario che lo invitava a stendersi su di lui e a baciarlo fino allo sfinimento. Riuscì a controllarsi, almeno abbastanza da non saltargli addosso, ma non poté impedirsi di accarezzare i capelli morbidi di Hanamichi. 

“Mmmm” Hanamichi si stava per svegliare, quel suono fece venire la pelle d’oca a Kaede che non riuscì comunque a separare la sua mano dai capelli di Hanamichi. Quel ragazzo lo avrebbe fatto impazzire ne era certo, riuscì a togliere la mano dalla sua testa un secondo prima che quegli occhi dorati si aprissero. “Ede sei tu?” Quella voce roca mandò in tilt i poveri e già sovraeccitati ormoni di Kaede che non disse una sola parola. “È già ora dell’allenamento?”

“Hn”

“Mi sembri più assonnato di me, perché non vieni a letto anche tu, ci facciamo una bella dormita e poi se salti una mattinata di lezioni non è la fine del mondo, no?” Kaede strabuzzò gli occhi, cosa gli aveva appena chiesto?

“Hn?”

“Ma sì, il mio letto è abbastanza grande per starci entrambi, guarda, mi sposto un po’ e ci stai comodo anche tu, non è abbastanza invitante? Preferisci davvero un campetto da basket a questo?” Kaede non riusciva a capire se si fosse svegliato o meno, e se quello fosse uno dei suoi sogni? No perché poteva anche non essere una cima su certi argomenti, ma Hanamichi, che per quanto sapeva poteva anche dormire nudo, cosa che fece perdere un battito al suo cuore, gli aveva appena chiesto se preferiva un campo da basket rispetto a passare la mattinata a letto con lui? Dov’è che doveva mettere la firma? Ci avrebbe passato la vita a letto con lui. Peccato che Hanamichi ignaro di quello che stava passando per la testa di Kaede interpretò il silenzio come una risposta negativa e quindi continuò il monologo, infatti Kaede non stava collaborando granché. “Ok ok kit mi alzo.” Per un istante Kaede non seppe cosa sperare, se dormisse nudo o meno, ma non fece in tempo a domandarsi cosa fosse meglio perché Hanamichi fu più svelto si alzò e Kaede si trovò davanti un rossino sexy con indosso solo un boxer nero attillato, che si infilò una vecchia maglietta logora prima di riprendere a parlare. “Io però devo fare colazione, mi fai compagnia?”

“Hn”

“La mattina sei ancora più loquace del solito sai?” Rukawa lo seguì in silenzio, ringraziando la sua buona stella che gli permetteva di rifarsi gli occhi senza che il padrone di quel corpo potesse accorgersene.

 
Qualche ora dopo Rukawa sonnecchiava come sempre sul suo banco, molto più soddisfatto del solito. Era talmente di buon umore che aveva salutato persino i compagni di classe prima di appoggiare la testa sul banco, senza fare in tempo però a notare gli sguardi allucinati dei suddetti compagni. Aveva passato una mattinata fantastica, Hanamichi e il basket, la sua unica compagnia per quasi due ore, non poteva chiedere di meglio. Giocare contro Hanamichi era stimolante, aveva infatti notato che se quando stavano insieme, come durante la colazione o come durante il tragitto fino al campetto, Hanamichi fosse allegro solare e sempre pronto a scherzare, appena entrato in campo si trasformava, metteva tutto se stesso nel basket e non si risparmiava neanche se era solo un allenamento tra amici, si impegnava seriamente. Gli aveva visto fare certe azioni che aveva potuto osservare solo nelle partite NBA che registrava sul canale satellitare, e che era sicuro Hanamichi non avrebbe mai fatto durante un allenamento con la squadra. Si era perso nell’osservarlo mentre spiccava salti altissimi e sbatteva la palla nel canestro, aveva sentito il cuore impazzire quando per bloccarlo sentiva il suo corpo a contatto con quello dell’altro. Probabilmente prima o poi avrebbe lasciato perdere il pallone, l’avrebbe sbattuto a terra e gli avrebbe fatto capire che non era il caso di strusciarsi così su di lui. Probabilmente era un miracolo che non fosse già successo.

Pensava di essere al sicuro Rukawa. Quella mattina nessuno l’aveva riempito di domande come invece si aspettava. Quasi certamente aveva esagerato a preoccuparsi, questo pensò, e lo pensò sul serio almeno fino all’intervallo quando, Sendoh, Mitsui, Ayako e rispettivi compagni lo avevano rapito e portato in terrazza, dovevano parlare e sapere tutto il prima possibile. Per fortuna Hanamichi non aveva ancora iniziato la scuola, che avrebbe cominciato all’inizio della settimana successiva, ma solo gli allenamenti.

“Ti ha chiesto di andare a letto con lui? Benedetto ragazzo e tu che cavolo ci fai fuori da quel letto? Ce lo dovevi legare. Ma possibile che devo insegnarti tutto?” La voce di Sendoh totalmente stupita.

“Non intendeva in quel senso.” Cerco di ribattere, ben sapendo quanto sia inutile.

“Intendeva, non intendeva ma chi se ne frega, te l’ha chiesto è questo è un fatto. Se uno così mi chiede di andare a letto con lui io mi ci fiondo.”  Continua al posto di Akira l’altro maniaco del gruppo.

“Perfettamente d’accordo!” da manforte Sendoh all’amico Mitsui.

“Ma davvero?” La voce di Kazushi e Hiroaki alle loro spalle li fece saltare di scatto come bimbi scoperti a rubare dal barattolo della marmellata.

“Ehm volevo dire, se non fossi felicemente fidanzato con il ragazzo più sexy del pianeta.” Cerca di giustificarsi Hisashi.

“Infatti, io sono innamorato perso del mio meraviglioso ragazzo, e quindi non ho bisogno d’altro, ma se non fosse così, beh...”

“Lascia perdere Akira potresti solo peggiorare le cose.” La voce cupa del suo ragazzo gli fa capire che è meglio starsene zitto, ci riuscissi anch’io a farlo tacere ogni tanto...

“Ragazzi non siamo qui per voi, ma per aiutare il nostro Ru Ru, quindi diamoci da fare.” Interviene Ayako.

“Ru Ru?” Chiede Ryota mentre io, che sarei il diretto interessato, sono rimasto immobile ad osservarla completamente interdetto.

“Sì Ru Ru è carino no?”

“Bello, approvato!” Le diede manforte Akira, riesco quasi a leggere nella sua mente contorta so benissimo quanto qualsiasi cosa possa sconvolgermi diventa per Akira una assoluta regola di vita, si diverte a torturarmi da quando eravamo bambini e quello sguardo allucinato che sicuramente deve avere letto nei miei occhi per lui dev’essere uno spasso, e poi  c’è un altro motivo, Akira adora Ayako, quindi è assolutamente sicuro che le dia manforte.

“D’accordo, soprannomi a parte, come diamine facciamo ad aiutare Ru Ru, sai che hai ragione è uno spasso, comunque come lo aiutiamo?”  Chiede Hisashi, un’altra faccia da schiaffi.

“Il fatto che io non vi abbia chiesto nulla non vi sembra rilevante?”

“No, e ora lasciaci lavorare.” Mi zittisce Sendoh. In realtà dopo quella risposta me ne potrei anche andare, mandandoli tutti al diavolo, tanto non sembra che io abbia molto diritto di parola, anche se stanno, praticamente, giocando con la mia vita. Ma l’idea di lasciare carta bianca a quei tre dementi, perché sono conscio che Hasegawa, Koshino e Miyagi sono qui solo per controllare i rispettivi fidanzati, mi inquieta non poco. Anche se non posso fermarli almeno saprò a cosa andiamo incontro, sia io che Hanamichi. “Hisashi ha ragione, da dove iniziamo?”

“Forse dal capire se è gay o no?” Interviene Miyagi. “Ragazzi, lo sapete come la penso, siete miei amici e non ci vedo proprio nulla di male, ma non è detto che Sakuragi sia gay, insomma so che voi sperate che tutti i ragazzi carini lo siano, ma non funziona proprio così.”

“Ryota ha ragione, dobbiamo capire questa cosa, o almeno cosa ne pensa a proposito.” Continua Kazushi. Oramai è in ballo anche lui, e so che come ogni sfida a cui ha preso parte vuole vincerla e lavorerà seriamente per riuscirci. Anche perché se qualcuno aspetta serietà da Akira e Hisashi, stiamo freschi, e questo Kasushi lo sa.

“E come vuoi fare? Cos’è andiamo da lui e gli diciamo:  ‘Ehi Sakuragi sei un bel tipo, non è che per caso sei gay?’ Ora, anche se sono certo che qualcuno qui ne sarebbe perfettamente capace...” Dice Koshino guardando direttamente il suo ragazzo. “...non mi sembra il caso.”

“Hiro ha toccato il punto dolente, però forse ho una soluzione.”

“Perché la cosa mi preoccupa?”

“Ru Ru stai a cuccia e lascia lavorare i grandi.” Come al solito vengo zittito. “Diciamogli di noi.”

“In che senso?” Continua interessata Ayako.

“Beh che io sto con Kosh e Mitsui sta con Hasegawa lo sanno tutti in squadra, e anche a scuola, persino i professori e il preside, anche se fanno finta di non saperlo, quindi non rischieremo nulla. In più si allena con noi, prima o poi se ne accorgerebbe, meglio affrontare subito la questione.”

“Ammettendo che non sia un omofobo o un completo imbecille, cosa che non mi sembra proprio, potrebbe non avere alcun problema, come non c’è l’ho io, ma questo non assicura il fatto che sia gay.”

“Lo so, Ryota, ma almeno possiamo cominciare a sondare il terreno. Ma se preferite io glielo posso chiedere direttamente.” Continua Sendoh guardandomi di sbieco.

“No!” Questa volta sono irremovibile, e che cavolo, altro che aiutarmi, questi così me lo fanno scappare.

“Ok, questa volta faremo come vuoi tu, gli diremo di noi e poi vediamo come si mettono le cose. Tutti d’accordo?” Un cenno d’intesa. “Bene ragazzi ora dobbiamo entrare in classe, alla prossima ora ho il compito di quella arpia di matematica, e vorrei ripassare un po’.”

“Ok, ci vediamo in pausa pranzo per decidere il da farsi, e oggi agli allenamenti lo affronteremo.”

“Oggi?”

“Ru Ru fai il bravo, meglio uno strappo deciso. Fidati.” Li odio, li odio tutti.
 

La pausa pranzo è passata troppo velocemente, così come il resto della giornata, non è possibile che sia già ora degli allenamenti. Sono euforico, perché so che lo rivedrò ovviamente, ma il fatto che quegli imbecilli che si sono autoeletti miei mentori abbiano deciso di intromettersi sul serio mi rende molto nervoso. Comunque sia mi dirigo in palestra e noto che fuori dalla porta ci sono tutti e sei i deficienti che hanno deciso di rendermi la vita un inferno più altri ragazzi della squadra. Mi avvicino e sento il ribalzare ritmico della palla sul parquet, qualcuno si sta già allenando. Prima che i ragazzi si accorgano di me sento la voce di Ayako.

“Sai Akira? Se non fossi felicemente fidanzata spererei che fosse etero, insomma un fisico del genere ti fa venire voglia...”

“So perfettamente come ti senti.” Le risponde Akira.

“Io direi che lo sappiamo tutti.” Interviene Hisashi.

“Ma perché non entrate?” Chiedo fingendo di non aver sentito di cosa stavano parlando, anche perché temo di sapere chi è il protagonista della discussione, mi affaccio alla porta e lo vedo, i capelli rossi, la pelle dorata, un fisico da urlo, con indosso un paio di pantaloncini blu notte e una canottiera bianca, oramai semitrasparente visto che è fradicia dal sudore, ma da quand’è che è qui? Corre verso il canestro vicino alla porta e spicca un salto, tanto alto che credo impossibile, finendo l’azione con una schiacciata fenomenale che fa vibrare il canestro, e non solo il canestro. Solo quando i suoi piedi toccano terra sembra accorgersi di noi.

“Ehi, cosa fate lì? Non entrate?”

“Sì subito, ma tu...”

“Visto che non ho molto da fare il signor Anzai mi ha dato il permesso di venire prima in palestra per allenarmi. Kit mi puoi passare la bottiglietta d’acqua che è vicino a te?” Mi volto e vedo la bottiglietta d’acqua sulla panchina accanto alla porta, gliela lancio senza dire una sola parola. “Grazie mille.” Un sorriso stupendo tutto per me. “Non mi ricordavo facesse tanto caldo in Giappone ad aprile.” Dice sfilandosi la canottiera ormai fradicia, e facendo venire le palpitazioni a tutti i presenti. “Per fortuna che ne ho portate più d’una.” Dice indicando il borsone appoggiato sulla panchina, prima di dire altro apre la bottiglietta d’acqua e comincia a bere, alcune piccole gocce riescono a sfuggire alla sua bocca scivolando impudenti sul suo corpo e mischiandosi al sudore. Cosa che mi porta a chiedermi perché diamine non ci siamo solo noi in questo momento. Coraggio fate i bravi e sparite tutti. “Ci voleva proprio.” Dice asciugandosi la bocca con il dorso della mano.

“Co...come mai non l’hai lasciato negli spogliatoi?” Gli domanda Ayako indicando il borsone e tentando di riprendere le sue capacità mentali.

“Sono chiusi a chiave, ma non c’è problema, l’avevo immaginato ed ero già pronto. Forse però posso lasciarlo nello spogliatoio ora, che ne dite?” Ci guarda e vorrei davvero sapere cosa diamine stia pensando, probabilmente dobbiamo sembrargli strani, completamente immobili che lo fissiamo, ma è difficile rimanere indifferenti a tutto questo ben di dio...

“Ma certo. Vieni con noi.” Riesce a dirgli Akira.

Gli allenamenti passano, Akagi gongola come un matto mentre vede quello che è in grado di fare Hanamichi e io mi chiedo quanto si dev’essere allenato in questi anni, quanti sacrifici abbia dovuto fare per arrivare a giocare così. La cosa meravigliosa, beh una delle cose meravigliose di Hanamichi, è che riesce a farci lavorare come una squadra, senza alcuna fatica, sì avete capito bene anche io faccio gioco di squadra e tutto in due allenamenti, vi rendete conto? Il momento peggiore, o migliore dipende dai punti di vista, è nelle docce dopo l’allenamento. Ora, io posso capire di avere gli ormoni a mille e di trovare sensuale qualsiasi dannata cosa che faccia, ma da come Sendoh e Mitsui stanno facendo fatica a mantenere i loro occhi all’interno delle orbite e le mascelle ancorate alla bocca, direi che non lo trovo sexy solo io. Senza contare che né Hasegawa né tantomeno Koshino sembrano riuscire a trovare il modo di distrarli e solo perché non ci stanno neanche provando, almeno non sbavano senza vergogna come i loro ragazzi. Il fatto che poi quest’idiota non si accorge di nulla rende tutto ancora più eccitante. Ho la certezza che mi farà impazzire presto, molto presto. Siamo oramai fuori dalla palestra quando Akira decide che è venuto il momento di capire quello che pensa dell’argomento gay.

“Senti un po’ Sakuragi, ma tu questa sera hai qualcosa da fare?”

“No perché?”

“Beh noi sette volevamo andare in un nuovo pub in centro e visto che Ru Ru è l’unico single...”

“Ru Ru?” Lo sguardo divertito di Hanamichi si posa su di me, scusalo è un cretino vorrei potergli dire, non lo faccio ma credo che mi abbia capito anche se non ho aperto bocca.

“Sì idea di Ayako non è carino? Comunque visto che è l’unico single non volevamo fargli passare la serata a reggere il moccolo, se mi intendi, sai io tendo un tantino a dimenticare gli amici quando sono in giro con Kosh e lo stesso Hisashi, e poi ci farebbe piacere se ti unissi a noi, siamo tutti molto curiosi di sapere come era la tua vita a Los Angeles.”

“Tu e Kosh?”

“Già io e Kosh e Mitsui e Hasegawa, e poi ci sono Ayako e Miyagi. Oh ma nessuno te l’aveva detto, noi siamo gay, spero non sia un problema.” Una risata cristallina esce dalle labbra carnose di Hanamichi.

“Un problema? Ma figurati per chi mi hai preso? E poi ci sono diverse ragioni per cui non mi da nessun fastidio.”

“Ah sì? E quali?” Chiede fintamente disinteressato Akira.

“Beh ad esempio perché non sono un omofobo senza cervello.”

“Solo per questo?”

“Akira, no, vero qui si usano i cognomi scusa, Sendoh io sono stato a Los Angeles in questi dieci anni, non hai la minima idea di quello che ho visto, e ti assicuro che avere dei compagni di squadra gay non fa parte delle cose assurde.”

“Puoi chiamarci anche per nome, nessun problema. Quindi è solo per questo che non ti da fastidio?”

“In realtà no, è che...” la voce di un professore si intromette.

“Sakuragi?”

“Sì signore?”

“Ah bene sei ancora qui, il preside ha bisogno di parlarti, deve darti altri documenti da far firmare ai tuoi, puoi seguirmi?”

“Certo. Ragazzi scusatemi devo andare, ci vediamo dopo ok?” Mi dice direttamente.

“Hn!” Un’altra risata mentre mi scompiglia i capelli.

“Perfetto!”

Ma quel tipo non poteva aspettare altri due minuti, ci eravamo quasi, quello che stava per dire sembrava una cosa importante e invece ora...Sendoh non è però del mio stesso avviso.

“Perfetto, è gay è sicuramente gay.”

“E da cosa l’avresti dedotto scusa?” Ecco appunto per fortuna che Ayako usa il cervello e fa la domanda giusta.

“Ho un radar per certe cose, e non sbaglia mai, è gay, fidatevi, gay fino al midollo.” Perché lo sguardo soddisfatto di questo pazzo non mi rassicura per niente? “Bene per ora possiamo lasciarlo in pace, Ru Ru vieni a casa con me o aspetti il rosso?” Sollevo il sopracciglio come risposta, secondo te? “Ok ok, risposta ovvia. A dopo Ru Ru!” Io lo uccido, prima Ayako per aver inventato questo nomignolo odioso e poi lui che si diverte tanto ad usarlo.

Per fortuna però mi lasciano davvero in pace tutti e se ne vanno, in attesa di questa sera hanno tutti qualcosa da fare, Ayako vuole andare a fare delle compre e Miyagi è pronto a seguirla ovunque, come faccia non ne ho idea, io alla solo parola shopping rischio l’orticaria, dallo sguardo di Mitsui deduco che i genitori di Hasegawa sono ancora in giro per lavoro, e Sendoh, beh sono certo che si stabilirà da Koshino anche se i suoi sono in casa, Akira e Hisashi sono dei maniaci, anche se... se devo essere del tutto sincero l’idea di passare del tempo solo con Hanamichi, magari in versione sexy di questa mattina, la pelle dorata della schiena nuda, le braccia intrecciate sotto il cuscino, e solo quel leggerissimo lenzuolo bianco a nascondere il resto di quel corpo da favola che si ritrova... beh credo che potrei diventare peggio di quei due messi insieme.

Mi sistemo acconto al cancello dello Shohoku e lo aspetto. Non ho intenzione di perdere un minuto che posso passare solo con lui. Non devo attendere molto però prima di sentire la sua voce.

“Ehi kit mi stavi aspettando?”

“Hn!”

“Non ti sei dimenticato che odio fare la strada di casa da solo.”

“No.”

“Beh allora andiamo?”

“Hn”

“Sei impossibile lo sai?” Mi viene da ridere, ma cerco di resistere cambiando discorso.

“Inizi lunedì?”

“Sì, il preside mi ha appena detto che sono nella settima sezione, tu conosci qualcuno in quella classe?”

“Settima? È la mia.”

“Fantastico, mi dovrai sopportare in classe come da piccoli.”

“Ma guarda te che fortuna.” Dico alzando gli occhi al cielo e cercando di aggiungere un po’ di sarcasmo in questa frase che altro non è che la verità. Ho una fortuna incredibile, in classe con me, dovrò dire addio ai miei sonnellini, ma potrò bearmi della sua presenza. Saltellerei come un cretino spargendo coriandoli in giro se potessi.

“Antipatico!” Mi dice, mettendo su un broncio adorabile. Un broncio adorabile? Oddio mi sto proprio rincoglionendo. “A parte il fatto che sei davvero antipatico, i tuoi sono sempre in giro per lavoro vero?”

“Come fai a dirlo?”

“Perché ieri quando ci siamo salutati davanti casa tua, era tutto chiuso e poi non hai ancora detto una parola su di loro. Dove sono adesso? Tokyo?”

“Sì Tokyo, lo sai la loro azienda è il loro vero figlio.”

“Non dire così, tu vali mille volte una stupida azienda!”

“Non credo, non per loro almeno.”

“Per me sì!” Mi dice, con un tono che non ammette repliche. Chissà se riesce a capire davvero quanto queste sue parole siano importanti per me.

“Almeno adesso non sono costretto a sopportare una tata che mi assilla per farmi giocare.”

“Sì, me la ricordo, poverina non sapeva mai come prenderti.”

“Hanamichi ti sembra che io fossi un bambino che potesse divertirsi a pitturarsi la faccia e giocare agli indiani?”

“No, quello ero io. Le davo sicuramente più soddisfazioni di te. Anche se alla fine con me giocavi anche agli indiani.”

“Lascia perdere.”

“Sai ho ancora delle foto a casa, in qualche scatolone, perché non vieni da me a cena? I miei saranno felici.”

“Ma non vorrei disturbare.”

“Ma che disturbo, baka kitsune. Facciamo così passiamo da te così scegli cosa metterti per stasera, poi andiamo da me.” Tempo in più con Hanamichi? Dovrei preoccuparmi di tutta questa fortuna, ma visto per quanto ho aspettato di poter trascorrere del tempo con lui direi che mi sono guadagnato ogni attimo.

Arriviamo davanti a casa mia, apro la porta e lo faccio accomodare sul divano blu in soggiorno. Vederlo in casa mia è così strano, lo osservo mentre si guarda intorno.

“Kit, non è cambiato nulla, tutto in perfetto ordine, casa tua è l’unica in cui i libri non sono sistemanti a caso, o divisi per autore o argomento, ma seguendo la scala cromatica.”

“Certe cose non cambiano mai, mia madre, anche se non c’è quasi mai, è intransigente sull’ordine, viene ancora la signora Soeki, tre volte a settimana per sistemare la casa, e probabilmente vedere se sono ancora vivo.”

“La signora Soeki? Me la ricordo, la facevo impazzire poverina, quando venivo a trovarti doveva lavorare il doppio.”

“Non se n’é mai lamentata, anzi diceva che quando c’eri tu la casa era più viva.”

“È sempre stata troppo buona, e preparava delle torte magnifiche.”

“Aspetta che le dico che sei tornato e stai sicuro che te ne farà una solo per te.”

“Andiamo in camera tua?”

“Perché?” Cosa vuole fare in camera mia? No, perché io un paio di ideuzze ce l’ho.

“Per scegliere cosa metterti, che altro?” Già, che altro? Te lo spiego io che altro.

“Certo, vieni.” Cerco di riprendermi mentre salgo le scale, lo sento seguirmi ed è difficile non lasciare vincere la fantasia e non immaginarmi io e lui salire questa scala con ben altre intenzioni che scegliere dei vestiti. Mi sa che ho passato troppo tempo in compagnia di Akira, non ci sono altre spiegazioni. A meno che è questo quello che sentono tutti gli adolescenti in tal caso mi chiedo come facciano comportarsi normalmente e non passare la giornata a fare i conigli con i propri o le proprie partner. Perché, sarà che io sono rimasto immune da tutto quello che gli altri provavano durante la crescita, primi batticuori, non ricordarsi neanche il proprio nome davanti alla persona che ti fa girare la testa facendo quindi immancabilmente figure terribili, e sentirsi eccitato nei momenti meno opportuni, ma ora, con lui a casa mia, una casa completamente deserta, non riesco a pensare altro che chiuderlo a chiave nella mia stanza e non farlo uscire più. Al diavolo il pub, al diavolo la paura di non essere corrisposto, al diavolo tutto. Lo voglio, è una consapevolezza strana ma istintiva e forte, devastante tanto è forte, so di desiderarlo come mai ho desiderato qualcosa, come mai potrei desiderare altro. L’unica cosa che mi blocca è la paura di perderlo, rischiare di farlo sparire definitivamente dalla mia vita. Non potrei sopportarlo, non ora che l’ho ritrovato. Per la prima volta sono sollevato dal fatto che quei pazzi hanno deciso di aiutarmi, anche se so che mi pentirò di questo pensiero appena li vedrò questa sera, ma per ora, lontani da me posso ammettere che in questo caso io non so proprio dove sbattere la testa.

Recupero un pantalone scuro e una camicia azzurra e mi cambio, cosa alquanto imbarazzante con lui in camera, ma mi sembra abbastanza stupido chiedergli di uscire visto che meno di un’ora fa eravamo nudi entrambi nello spogliatoio. Se sono riuscito a non saltargli addosso lì e a controllarmi con lui nudo dovrei riuscirci anche ora. Anche se ora siamo in una casa deserta e lui si è seduto sul mio letto e si guarda intorno come a voler memorizzare ogni singolo oggetto. Non ha guardato neanche una volta dalla mia parte, come a voler lasciarmi comunque un po’ di privacy, cosa che io sicuramente non farò a casa sua, starò attento a non farmi sgamare ma un’occhiata gliela do’. Visto la serata nel caos più assoluto che mi aspetta direi che rifarmi gli occhi sia il minimo.


In quello stesso momento Hanamichi fissava la stanza dell’amico riconoscendo qualche oggetto, non avrebbe mai detto che la volpastra fosse uno che conservava le cose. Ma quello appeso alla parete, tra un poster di Jordan e uno di Belinelli, era senz’altro l’aquilone che avevano fatto insieme all’asilo, non era esattamente un capolavoro, e non aveva neanche mai volato granché, ma si erano divertiti tantissimo a costruirlo, litigando ovviamente per tutto, colore compreso, e ridendo come matti. All’inizio l’aveva tenuto lui, poi quando il trasferimento era diventato reale si era fatto accompagnare a casa di Kaede e gliel’aveva portato, non voleva buttarlo, ma non sarebbe sopravvissuto a un viaggio come quello che dovevano affrontare. Ricordava ancora gli occhi di Kaede quando gliel’aveva mostrato, come se quel gesto volesse dire che il momento della partenza era davvero arrivato, la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto era finita sulle spalle di quel bimbo dagli occhi blu, e i suoi occhi si erano riempiti di lacrime, che aveva tentato in tutti i modi di ricacciare indietro con scarsi risultati. Quell’ultima volta gli aveva ricordato della promessa, sarebbero diventati i migliori e avrebbero giocato insieme, questa fu l’unica cosa che fece alzare lo sguardo alla kitsune, si fissarono negli occhi e allungò le mani per prendere l’aquilone. Hanamichi ricordava ancora le parole di Kaede. ‘vedi di ricordarti la promessa do’aho, perché io verrò a prenderti e se non sarai davvero il migliore dovrai vedertela con me!’. Rise Hanamichi a quel ricordo, dimenticandosi per un momento di non essere solo.

“Do’aho devo cominciare a preoccuparmi e chiamare la neuro?”

“No kit, tutto a posto.” Gli disse senza aggiungere altro, come avrebbe potuto dirgli che il ricordo del suo sguardo serio a quella promessa così assurda l’aveva fatto ridere? Come minimo si sarebbe beccato un calcio negli stinchi.

Mentre stavano per uscire riconobbe una foto appoggiata sulla scrivania. Sorrise Hanamichi al pensiero che la stessa foto, che li ritraeva insieme durante la festa dei bambini, si trovava sulla sua scrivania,

“Kit, ti ricordi che risate quel giorno?”

“Come potrei?” Hanamichi non capì, come poteva non ricordare quanto si divertivano insieme? “Voglio dire, che con te ridevo sempre, eri l’unico che ci riusciva, e le cose non sono cambiate.” Il cuore di Hanamichi riprese a battere, per un istante l’idea che Kaede non si ricordasse di quella giornata l’aveva stretto in una morsa gelata. Kaede si rese conto di non aver solamente pensato l’ultimo pezzo quindi cercò di rimediare come meglio poté. “Insomma di do’aho del tuo calibro non se ne trovano molti in giro.” Hanamichi ridacchiò e ribatté.

“Solo perché sono perfetto, e la perfezione non si può imitare, o sei perfetto o non lo sei, io ovviamente lo sono.” Si era scordato di quanto la sua kitsune potesse essere infima quando voleva. Sua, poi era ancora solo un sogno, ma almeno con sé stesso poteva dirlo. Quando nel pomeriggio Sendoh gli aveva detto che era impegnato con quella specie di orso perennemente incazzato, certo lo aveva visto solo due volte ma quella era l’impressione che dava, e che Mitsui stava con Hasegawa, gli era venuto da ridere, era vero Kaede gli aveva detto che erano solo amici ma non poteva essere sicuro che quel porcospino non avesse mire sulla sua kitsune, come quel numero 14, erano entrambi molto belli anche se continuavano a guardarlo in maniera inquietante, a volte gli pareva che volessero mangiarselo vivo, e Hanamichi temeva che se uno di loro si fosse messo in mezzo per lui sarebbe stato tutto più difficile. Per fortuna erano entrambi occupati e il sollievo di quella notizia l’aveva messo incredibilmente di buon umore. Tanto da stare per ammettere candidamente di essere gay a dei perfetti estranei o quasi estranei. Ma era stato interrotto da quel professore, cosa per cui non sapeva se ringraziare Kami o meno.

Dopo poco decisero di andare a casa di Hanamichi. Appena arrivati Rukawa venne letteralmente preso d’assalto dalle mille domande della signora Sakuragi e del marito. Volevano sapere tutto quello che aveva fatto, e cosa era successo nel quartiere in quegli anni. E volevano saperlo da lui, cosa dell’altro mondo. Hanamichi si divertì un mondo a vederlo doversi districare da quelle mille domande per tutta la cena e lo lasciò cuocere nel suo brodo almeno fino a quando non si fu vendicato a sufficienza per il colpo che gli aveva fatto prendere prima. Poi si intromise e lo liberò trascinandolo in camera sua. Cosa che la kitsune accettò con molto entusiasmo, ovviamente senza darlo a vedere. Sapeva che Hanamichi si stava vendicando per prima. Lui aveva provato a fare finta di non ricordarsi quella giornata, ma lo sguardo ferito della sua testa rossa l’aveva fatto arrendere, come poteva essere così bastardo con lui? Non poteva questa era la verità, e alla fine aveva parlato più del previsto. Ora però era inutile pensarci, mancava poco e si sarebbero dovuti incontrare con gli altri, e lui aveva bisogno di rifarsi gli occhi prima. Cosa che, per fortuna, il suo, presto, ragazzo, perché oramai era certo che avrebbe tirato fuori gli artigli se fosse stato necessario per far si che lo diventasse, gli permetteva di fare, e così Kaede si beava di quel corpo dorato e magnifico che totalmente ignaro si prestava al suo sguardo. Dopo aver indossato un paio di jeans chiari e estremamente attillati, cosa per cui Kaede non sapeva se gioire, e una maglietta a maniche corte nera, anch’essa attillata, una gioia per gli occhi della kitsune, un po’ meno per il suo fegato visto le occhiate rivolte ad Hanamichi che avrebbe dovuto sopportare, decisero che era arrivato il momento di uscire. Prima di lasciare la stanza Kaede notò la stessa foto che Hanamichi aveva visto in camera sua e gli venne da sorridere. A quanto pare non era l’unico per cui i ricordi che condividevano erano considerati un tesoro.
 

Continua
 

Note: Innanzi tutto Hanamichi non è un maniaco, non ancora comunque, io l’ho sempre visto come moooolto ingenuo, e quindi il suo invito alla kitsune a dividere il letto è senza doppi sensi, per ora almeno, e dopo non avrà bisogno di doppi sensi per averlo  nel proprio letto quindi... la stessa cosa vale per la palestra quando si toglie la maglia, ha caldo, è sudato, la toglie semplice, no? Nella stanza di Kaede oltre il poster di Jordan, suo assoluto mito da sempre, ho voluto mettere un campione italiano che gioca nell’NBA (insieme a Gallinari – Denver Nuggets, Bargnani – New York Knicks e Datome –Detroit Pistons )  nei San Antonio Spurs e che il 16 febbraio di quest’anno ha vinto la gara dei tiri da tre nel corso della All Star week end. So che non si ritrova con il tempo del manga che teoricamente si svolge negli anni novanta, ma noi questa linea temporale non importa granché vero? Ho citato la festa dei bambini (kodomo no hi), che si festeggia il 5 maggio, giorno in cui cerimonie e feste in cui si augurano felicità e prosperità a tutti i maschietti si tengono in tutto il Giappone, una delle tante tradizioni è quella di esporre fuori dalle case, pali di bambù che recano stendardi colorati a forma di carpa (koinobori), tanti quanti sono i figli maschi e di grandezza proporzionata all’età dei ragazzi di casa. Tradizionalmente l'ordine in cui vengono sistemate è: una carpa nera, rappresentante il padre, una carpa rossa per la madre, e carpe più piccole, una per ogni figlio. La carpa che risale la corrente è infatti simbolo di resistenza e di forza e i ragazzi devono imitarla, affrontando con coraggio e ottimismo le difficoltà della vita (c’è anche una festa per le bambine che si celebra il terzo giorno del terzo mese chiamata hinamatsuri), per chiunque fosse interessato vi consiglio il sito giapponeinitalia.org dove troverete un sacco di informazioni utili e da cui io ho preso in prestito queste notizie. Ok credo di aver detto tutto, a parte i ringraziamenti d’obbligo a Pandora86, Arcadia_SPH e Slanif per le belle recensioni al capitolo precedente, a nala_2000, Alexis77 e fliss90 che l’hanno aggiunta tra le preferite (ragazze sono proprio contenta di rivedervi) e ladymask2012 e krikka86 per averla messa tra le seguite. Al prossimo capitolo.

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Siamo arrivati al quarto capitolo, i personaggi continuano a non essere miei e continuo a non guadagnarci nulla, come sempre. In questo capitolo conosceremo un po’ di più le storie dei personaggi, ho lasciato Hana e Ru solo alla fine, finalmente conosceremo un po’ anche della vita di Hana in USA, ma principalmente in questo capitolo ho voluto soffermarmi sulle altre coppie, spero che vi piaceranno le idee che ho avuto per loro. E ora non posso far altro che augurarvi una buona lettura, come sempre ci vediamo dopo per note e ringraziamenti.
 

Cap 4
 

Quello stesso pomeriggio Sendoh si era auto invitato dal suo ragazzo e aveva deciso di tormentarlo, grazie all’aiuto dei genitori di quest’ultimo. Era sempre andato d’accordo con i genitori di Hiro, due persone solari e divertenti, c’era di chiedersi da dove il suo ragazzo avesse preso il suo delizioso e accomodante caratterino, così diverso da quello dei suoi fratelli, entrambi più grandi e che ormai iscritti alla stessa università, anche se in facoltà diverse, vivevano a Tokyo. Era uno spasso torturarlo quando c’erano anche loro. Hiroaki fin da piccolo era sempre stato più chiuso e schivo degli altri. Quando Akira l’aveva conosciuto era stato per diversi minuti ad osservarlo prima di provare ad avvicinarsi. Tutti i bambini correvano come matti al parco, o giocavano con la sabbia, Hiro invece se ne stava seduto sulla panchina di fianco alla madre senza muovere un muscolo, con il suo solito broncio stampato in faccia. Inutile dire che Akira, voleva assolutamente capire il perché. Era sempre stato estremamente curioso, e tutto ciò che lo incuriosiva lo legava a sé almeno fino a quando non riusciva a capirne tutti i segreti. Fino a quel momento solo il basket era riuscito nell’intento di tenere il diciassettenne legato a sé, il basket e Hiro, che per quanto seguisse, da quel lontano pomeriggio al parco, riusciva sempre a sorprenderlo. Era lui a capirlo meglio di chiunque altro, lui a sapere senza alcuna eccezione quello che aveva per la testa, o quello che provava, prima che Akira stesso se ne rendesse conto, era stato Hiro a capire per primo cosa era quel sentimento che li legava, a capire che non era una semplice amicizia, e Akira aveva rischiato di rovinare tutto quella volta, per fortuna che Hiro con lui aveva una pazienza infinita, anche se la nascondeva molto bene. Era sempre Kosh che, senza eccezione, lo leggeva dentro senza alcuna fatica. Per Akira Hiro era ancora un’incognita, e sospettava lo sarebbe stato sempre. Ma a lui andava benissimo così, non voleva niente di diverso da quel musone, misantropo e intollerante a qualsiasi contatto umano, a parte quelli che aveva con lui ovviamente, del suo ragazzo. Quando poi aveva conosciuto un altro musone misantropo appena trasferito nella sua scuola, si domandò se fosse del tutto normale. Insomma se la sua testa funzionava come doveva. Perché con tutte le persone allegre e divertenti che gli erano intorno, che lo lusingavano, e volevano averlo come amico, lui si era scelto probabilmente quelli con il carattere peggiore dell’intero Giappone. Fatto sta che oramai erano anni che li conosceva e non poteva certo lamentarsi, non si era annoiato un solo secondo in loro compagnia. Adesso poi che era arrivato il rossino in squadra, era certo che la noia non si sarebbe mai neppure avvicinata a loro. A parte il fisico e l’aspetto che non passavano certo inosservati, caratterialmente il nuovo arrivato gli piaceva un sacco, aveva l’aria di uno con cui combinare qualsiasi stupidata, da quello che aveva intuito di lui, e Akira era uno che inquadrava bene le persone, Sakuragi non si sarebbe mai tirato indietro, anche Mitsui la pensava così. Già solo con il teppista, Miyagi, e Rukawa, che non era mai stato uno che prendeva ordini, di teste calde ce n’erano a sufficienza, con l’arrivo di Hanamichi, probabilmente lo Shohoku aveva al suo interno il maggior numero di teste calde, se non di tutta la nazione, sicuramente di tutta la prefettura. Non invidiava proprio Akagi che doveva tenerli a bada.

Dopo aver torturato Kosh per quasi tutto il pomeriggio si trasferirono nella camera di Hiro per prepararsi a uscire. I genitori di Hiro sono usciti per una cena tra amici, oramai sanno del loro rapporto, per questo Akira ha lasciato qualche suo abito dal suo ragazzo, visto che capita spesso che si auto inviti anche per dormire, va beh, dormire è un modo di dire, ma tanto di questo immagino non vi sorprenderete, vero?

“Mi spieghi perché non sei andato a casa tua Akira?” Gli dice con un tono fintamente annoiato il suo adorabile ragazzo.

“Kosh Kosh, è ovvio, se posso passare del tempo solo con te io lo passo.”

“Ma dovrai pure cambiarti, o hai intenzione di venire al pub conciato così?” Continua come se non sapesse che nel suo armadio ha pantaloni e camicie perfettamente adatte per un uscita tra amici.

“Perché non sto bene, forse?” Lo sguardo di Akira è la migliore espressione da cucciolo abbandonato che conosce.

“Perché sei più vanitoso di una ragazza, generalmente quando usciamo ci metti più di Ayako a prepararti.” Colpo basso Kosh, pensa Akira, basso ma anche vero.

“Voglio solo essere perfetto per te, non sei contento?”

“Come se a me interessasse che tutti non facciano altro che guardarti.”

“Oh che bello, sei ancora geloso, ma lo sai che degli altri non mi interessa un fico secco. Non li guardo nemmeno.” Continua con addosso probabilmente la migliore faccia da schiaffi del suo repertorio.

“Io non sono geloso. E poi non dire stupidaggini, oggi ad esempio mi è sembrato di vedere la tua mandibola toccare il pavimento o sbaglio?” Akira gongola adora farlo ingelosire.

“Nello spogliatoio dici? Beh, ma il nuovo arrivato è diverso dagli altri, insomma anche tu non puoi non ammettere che è un bel ragazzo.”

“Infatti non lo nego, ha un fisico niente male.” Cosa cosa? Sendoh osserva il suo ragazzo mentre sta tirando fuori gli artigli.

“Ehi signorino, con questo cosa vorresti dire?”

“Quello che ho detto, infondo tu stesso hai ammesso che non è come tutti gli altri no? Hai visto che razza di pettorali, e bicipiti, per non parlare degli addominali, ti viene quasi voglia di accarezzarli per vedere se...” Ma guarda te cosa devo sentire, pensa Akira.

“Vuoi farmi arrabbiare per caso?”

“Dipende, funziona?” Ora la faccia da schiaffi ce l’ha lui, una signora faccia da schiaffi.

“Sì, molto.”

“Bene, allora se vuoi continuo ad apprezzare il nuovo arrivato, dov’ero rimasto? Ah sì agli addominali, hai mai visto degli addominali più sexy? Pensa un po’ come sarebbe passarci la lingua sopra, devo ammetterlo se Rukawa ci si mette insieme lo invidierò un po’.” Akira lo sbatte sul letto.

“Adesso basta. Tu non invidierai nessuno. Tu hai me.” Gli ringhia a pochi millimetri dalla bocca.

“Mi sembrava che anche tu amassi soffermarti sul nuovo arrivato, mi sbaglio?” Hiro lo guarda, gli occhi pieni di un sadico divertimento.

“Devo ammetterlo Hiro, hai imparato molto bene a vendicarti. Ora mi toccherà fare in modo di non farti pensare ad altro che al mio di corpo.”

“E come intendi fare, sentiamo?”

“Adesso vedrai.” Le mani di Akira sono dappertutto, il corpo sotto il suo manda in tilt ogni brandello di lucidità. Lo spoglia e spoglia anche sé in pochi secondi, mentre Hiro rimane immobile ad osservarlo con gli occhi carichi di sfida ma anche di lussuria. Si sdraia su di lui,  e sente le sue mani scivolare lungo la schiena e fermarsi sul sedere. Kosh lo spinge contro di sé. “Sei un demonio.” Gli dice Akira, cercando di resistere alla voglia di farlo subito suo.

“Non è questo uno dei motivi per cui mi ami?”

“Sì, e lo sai.” Le ultime parole prima di perdersi nel piacere più  profondo.
 

Intanto a casa di Hasegawa Mitsui e Kazushi avrebbero dovuto iniziare a prepararsi per uscire. In realtà sarebbero stati pronti da diverso tempo se non fosse che si erano trovati a letto nudi senza riuscire a fare nulla per fermarsi. Anche se poi, ad essere del tutto sinceri, nessuno dei due aveva provato a fermarsi. Quando i signori Hasegawa erano fuori per lavoro, cosa che per Hisashi non capitava mai abbastanza frequentemente, lui e Kazushi vivevano praticamente insieme. Il rapporto tra Hisashi e i suoi genitori non era dei più idilliaci, anche se le cose lentamente stavano migliorando, e solo perché il suo ragazzo era molto più paziente e pragmatico di lui e, a volte, Hisashi aveva l’impressione che i suoi genitori si fidassero più di Kazushi che di lui, anche dopo aver scoperto cosa lo legava al loro unico figlio. I genitori di Hasegawa invece erano persone abbastanza aperte, certo non erano stati molto felici di scoprire il loro rapporto, ma avevano imparato ad accettarlo. Il padre era un professore universitario, quella settimana era stato invitato per delle conferenze a Kōbe e la moglie l’aveva accompagnato, lasciando campo libero ai due piccioncini.

Mitsui a volte faticava ancora a credere di essere davvero ciò che Kazushi desiderava. Il primo anno di liceo dopo un infortunio che gli aveva strappato ogni speranza di poter realizzare il suo sogno di diventare uno dei migliori giocatori del Giappone, si era trovato a frequentare un brutto giro. Una sera, mentre era in giro a far lo stupido con quei teppisti che frequentava si era trovato Hasegawa davanti. Era andato a cercarlo per farlo ragionare, Mitsui però non era esattamente molto recettivo in quel periodo, l’aveva trattato davvero male quella sera, ma Kazushi non si era arreso, lo recuperava ogni volta in cui si ubriacava e i teppisti con cui andava in giro lo abbandonavano da qualche parte. Una di quelle volte era talmente conciato male che Kazushi non se la sentì di portarlo a casa, sapeva quanto fossero ridotti male i rapporti con i genitori e quindi l’aveva portato da sé, gli era stato vicino per tutta la notte, senza chiudere occhio. Quando il mattino Hisashi aveva aperto gli occhi, percepì solo due cose, un mal di testa lancinante e gli occhi preoccupati di Kazushi. Quella mattina gli raccontò tutto, il suo dolore, le sue paure, i suoi errori, non si nascose e non nascose nulla. Quando gli confidò di sentirsi solo e soprattutto che temeva lo sarebbe stato sempre, si sentì trascinare sul petto forte di Kazushi, le sue braccia lo stringevano e la sua bocca a pochi millimetri dal orecchio gli diceva che non era solo, che c’era lui e che se avesse voluto ci sarebbe stato sempre. E aveva rispettato quella promessa, da quel giorno gli rimase sempre affianco, aiutandolo in tutto, a riprendere gli studi, alla riabilitazione per il ginocchio, era con lui anche quando a capo chino era andato a scusarsi con la squadra e l’allenatore per aver creato tanti problemi al club per il suo comportamento. E mai, aveva chiesto qualcosa in cambio. Hisashi ricordava come fosse ieri la paura di essere lasciato solo dopo aver capito quello che provava davvero per Kazushi, cercava di nasconderlo in tutti i modi, ma una sera non riuscì a trattenersi e si ritrovò incollato alle sue labbra, ancora non sapeva quale dio doveva ringraziare, per avergli mandato il suo ragazzo, ricordava perfettamente la gioia pura che aveva preso il posto nella paura quando sentì Kazushi rispondere al bacio. Con Kazushi accanto tutto era tornato al posto giusto, l’infortunio solo un brutto ricordo e l’anno che ormai dava per perso, recuperato.

“Com’è possibile che mi ritrovo sempre nudo su di te quando siamo soli?” Gli chiese Kazushi mentre gli accarezzava i capelli corvini.

“Perché non puoi farne a meno, o forse perché sono tanto bravo a istigarti.” Sorrise Hisashi, completamente soddisfatto delle carezze del suo ragazzo. Adorava sentirsi
vezzeggiato e amato anche dopo aver fatto l’amore, come se a Kazushi non bastasse mai la sua pelle nuda sotto le dita.

“Tu sei uno specialista a istigarmi, ti diverti proprio vero?”

“Visto il risultato direi di sì.”

“Ora però è meglio se ci vestiamo, fra mezz’ora dovremmo incontrarci con gli altri al pub.”

“Io preferirei rimanere qui.” Dice, stringendolo ancora a sé.

“L’idea se non sbaglio è stata tua e di Akira, quindi smettila di lamentarti, e poi...”

“Poi?”

“Prima andiamo e prima potremmo tornare.” Lo sguardo malizioso di Kazushi procura sempre dei brividi, e non certo di freddo a Hisashi.

“Sai essere molto convincente sai?”

“Sì, dai vestiamoci.”

“Abbiamo fatto bene a passare prima da me, così abbiamo avuto più tempo per stare soli.” Erano passati da Mitsui giusto il tempo per prendere qualcosa da indossare. Hisashi cominciò a pensare che forse avrebbe dovuto fare come Akira e lasciare qualcosa di suo dal suo ragazzo, in modo da non perdere un secondo e stare insieme ogni istante.

“Lo so, l’idea è stata mia.”

“Sei davvero modesto.” Gli dice divertito.

“Sono realista.”

Dopo poco sono pronti ad uscire, prima di aprire la porta di casa Hisashi gli ruba un ultimo bacio, che rischia come sempre di degenerare, ma per fortuna, in realtà dal suo punto di vista purtroppo, Kazushi è decisamente più bravo di lui a controllarsi, si stacca dalle sue labbra e gli sussurra:

“Dopo, ricominceremo proprio da dove ci siamo interrotti.”

“Promesso?” Gli chiede, per niente felice di doversi separare da lui.

“Certo, credi che io non lo voglia?” Così dicendo si separano, escono e si dirigono verso il pub, che per fortuna che è abbastanza vicino.
 

Nel frattempo Ayako e Miyagi stavano percorrendo la strada per il pub. Avevano passato quello che era rimasto del pomeriggio dopo gli allenamenti in giro per la città, entrando in una quantità mostruosa di negozi, ma a Ryota non importava, tutto ciò che rendeva felice Ayako per lui era un piacere fare. Aveva passato tutto il primo anno a corteggiarla. Si era innamorato di quella furia dai capelli ricci il primo anno delle medie. L’aveva vista durante una partita della sua squadra contro quella in cui lei faceva da manager ed era stato colpito dal classico colpo di fulmine. Aveva fatto di tutto per avvicinarsi a lei, persino cercare di entrare nella cerchia di amicizie della ragazza, e per farlo aveva trascinato persino Mitsui con sé. Si ricordava ancora quando quel matto, che era diventato il suo più grande amico dopo una rissa che li aveva mandati in ospedale entrambi, l’aveva assecondato andando a sfidare direttamente Sendoh e Rukawa dopo gli allenamenti, e tutto perché quei due insieme a Koshino erano senz’altro quelli a cui Ayako era più legata. Quel giorno, oltre a essersi fatto finalmente notare da lei, aveva guadagnato anche degli amici, Akira e Hisashi avevano trovato subito un intesa perfetta, e aveva scoperto che Rukawa e Koshino, se si aveva la pazienza, molta pazienza,  di conoscerli bene, erano davvero dei ragazzi eccezionali. Quando per liceo Mitsui aveva scelto lo Shohoku, perché idolatrava l’allenatore Anzai, trascinandosi dietro anche Sendoh, grazie alla promessa che gli aveva estorto di seguirlo l’anno successivo, e quindi Koshino, e Ayako aveva rivelato che si sarebbe iscritta anche lei lì per controllare i suoi ragazzi, ovviamente Ryota non ci pensò neanche un secondo a svelare che lui aveva sempre voluto entrare allo Shohoku, mai pensato a un liceo diverso, anche se fin da piccolo sognava di entrare nel Kainan, ma per amore tutto era lecito. E lì Mitsui aveva trovato l’amore, dopo un periodo terribile, Hasegawa gli era stato vicino ed era riuscito dove neanche Ryota aveva potuto fare molto. Miyagi ricordava ancora gli occhi sfuggenti di Hisashi quando gli rivelò di aver baciato Kazushi, non l’aveva mai visto così nervoso, ma era contentissimo che si fosse fidato di lui al punto di parlargli di una cosa che probabilmente lo spaventava a morte. Ryota si era fatto una risata dandogli pacche sulle spalle e rivelandogli che non credeva che fosse così tardo da aver aspettato tutto quel tempo, Hasegawa gli stava dietro da una vita e se non se n’era accorto era proprio una frana. Inutile dire che era scoppiata una rissa, come succedeva spesso tra loro, ma quello era il loro modo di sentirsi vicini, di far capire all’altro che non sarebbe cambiato nulla che ci sarebbero sempre stati. E ora toccava anche a Rukawa, non avrebbe mai detto che quel ghiacciolo potesse perdere la testa per qualcuno, da quando lo conosceva l’aveva sempre visto inseguire gli avversari, voler battere i migliori senza fermarsi mai. Vincere e diventare il migliore era l’unico suo pensiero. Da quando era arrivato Sakuragi invece, l’aveva visto per la prima volta giocare a basket, giocare e divertirsi.

“Ryota è da cinque minuti che ti sto chiamando, mi vuoi dire a cosa diamine stai pensando?”

“Scusa Ayakuccia, stavo solo pensando a nuovo tipo e a Rukawa, tu credi che andrà tutto bene? Insomma secondo te facciamo bene a intrometterci?”

“Oh ma che carino sei preoccupato per il nostro Ru Ru?”

“Non sono preoccupato per lui, ma per noi, insomma già il suo carattere allegro e gioviale è quello che è, se poi le cose non dovessero andare bene...”

“Oh, piantala, tanto lo so che ti preoccupi per lui, chissà perché voi maschi non volete mai ammettere quello che provate. Comunque andrà tutto bene, ne sono certa.”

“Come fai a essere così sicura?”

“Perché io ho una cosa che a voi caproni, per ovvie ragioni, manca ed è l’intuito femminile.”

“Quindi secondo te anche Sakuragi è interessato a Rukawa.”

“Sì’, e molto anche, lo guarda con degli occhi. Riconoscerei quello sguardo da triglia ovunque, è lo stesso che Akira rivolge a Koshino, e Hisashi a Hasegawa.”

“Ma davvero, spero che lo vedi anche in quello di Kazushi e Hiroaki.”

“Sì, certo stesso sguardo da triglia.”

“E nel mio?”

“Il tuo batte tutti.”

“E tu?”

“Io non avrò mai uno sguardo da triglia, ma questo è solo perché sono più carina di tutti voi, anche se sono innamorata.” Sorride Miyagi alla sua ragazza, senza aggiungere nulla, anche  perché rimedierebbe sicuramente una sventagliata, e non vuole certo rovinare un momento così. Allunga solo la mano verso di lei e stringe la sua. Quando li capita di essere soli? Tra la scuola, gli allenamenti e il padre superprotettivo, praticamente mai e vuole godersi ogni secondo...

“Piccioncini avete preso il tavolo, bene.” Ecco appunto, la voce di Akira distrugge in un secondo questa bolla di felicità e romanticismo in cui esistevamo solo lui e lei. Maledetto guastafeste, quando vuole ha un tempismo, pensa Ryota sconsolato.

“Non ci credo, siete i primi ad essere arrivati, come hai fatto Koshino, lo hai sbattuto fuori casa?” Chiede Miyagi con una punta di acidità ai ragazzi appena arrivati.

“Beh, è l’unico metodo che funziona.” Interviene una voce alle loro spalle.

“Mitsui anche voi in orario? A quanto pare c’è davvero una possibilità che quel musone di Ru Ru non ci dia buca.” La voce divertita di Ayako continua al suo posto.

Dopo qualche minuto infatti Rukawa entra nel pub, seguito dal nuovo arrivato. Li raggiungono e si siedono al tavolo, uno accanto all’altro. Miyagi li osserva tentando di vedere quello sguardo di cui parla Ayako. Non nota niente di così eclatante, ma probabilmente sarà perché è una cosa che riescono a vedere solo le ragazze, o almeno così pensa. Quello che vede però è come Rukawa non si perda una sola parola della testa rossa, e di come Sakuragi non si allontani mai troppo dal Kaede. Poco dopo il loro arrivo si avvicina una cameriera per prendere le ordinazioni, le altre cameriere la guardano con odio, è probabile che ci sia stata una vera e propria lotta nelle cucine per decidere chi si sarebbe presa questo tavolo. C’è da capirle tra Sendoh, Mitsui, Rukawa, Hasegawa e Sakuragi c’è né per tutti i gusti. Ci sono ottime probabilità inoltre che Ayako sia la ragazza più invidiata del pub.

Sakuragi è bravo a glissare le domande, e anzi si fa raccontare parecchie cose da Akira, su come ha conosciuto Rukawa ad esempio, e come sette ragazzi così diversi siano diventati un gruppo di amici. Mitsui interviene divertito quando si comincia a parlare del periodo delle medie, che è quello in cui lui e Ryota si sono aggiunti. La testa rossa invece non ha ancora detto una parola della sua vita negli Stati Uniti, probabilmente perché, almeno all’inizio , non dev’essere stato molto semplice, ma Akira non gliela farà passare liscia, lo conoscono tutti a quel tavolo, dire che è curioso è poco, da piccolo doveva essere uno di quei bambini che tormentava i grandi con mille perché al giorno. Infatti alla fine del racconto di come, secondo Akira e Hisashi, il loro apporto sia stato essenziale nell’aiutare Miyagi a conquistare Ayako, Sendoh gli domanda:

“Ma adesso basta parlare di noi, sei tu quello che è vissuto all’estero in questi anni, raccontaci qualcosa, come ti sei trovato? Com’era la scuola? Com’è stato imparare a giocare a basket nella patria del basket? Insomma raccontaci un po’ di te.”

“Non c’è molto da raccontare, mi sono trasferito che avevo sei anni, e mi sembravano tutti degli alieni. Parlavano una lingua incomprensibile, mangiavano cose assurde, e dopo neanche due minuti che li incontravi ti trattavano come se fossero i tuoi più cari amici. Per il primo mese ero convinto che fossi finito in un manicomio. Poi le cose sono un po’ migliorate, la lingua diventò meno incomprensibile, il cibo meno assurdo e mi ero abituato a chiamare tutti per nome.”

“E il basket?”

“Il basket mi ha aiutato tantissimo. C’era un campetto dietro casa e ci passavo tutti i pomeriggi, anche se all’inizio ho dovuto lottare per avere il diritto di giocare.”

“Lottare?”

“Certo, c’erano una marea di bambini, e un gruppo di ragazzi più grandi che monopolizzava il campo.”

“E come hai fatto?”

“All’inizio recuperavo le palle, era l’unica occasione che avevo di poterle sfiorare, non mi permettevano di fare altro. Poi mi sono fatto comprare un pallone da papà e mentre loro giocavano cercavo di imitarli. Uno di loro alla fine mi prese in simpatia e cominciò a insegnarmi le basi, come il palleggio. Loro giocavano e io palleggiavo per la maggior parte del pomeriggio, poi mi insegnò a passare nel modo giusto, a trovarmi nella parte di campo più utile e così via. Quando l’anno dopo riuscii a entrare al secondo anno delle elementari avevo assimilato le basi del basket.”

“Sarai entrato subito nel club scolastico.”

“Non proprio, all’inizio non mi consideravano molto, in realtà ho iniziato a frequentare il club solo dalle medie, fino alla fine delle elementari giocavo solo vicino a casa con i ragazzi di cui vi ho parlato. Non era proprio basket, o meglio le regole principali sono sempre quelle, ma a parte, appunto, quelle principali, nello street basket non ci sono tutte quelle regole che ci sono nel basket ufficiale.”

“Ad esempio?”

“Ad esempio i falli di sfondamento che, in pratica, non esistono, fondamentalmente è un gioco molto più istintivo e basato principalmente sulla forza fisica. Se vuoi sopravvivere devi essere forte, oltre che veloce. Quando in prima media sono riuscito a passare i provini per la squadra facevo una media di tre falli a partita durante gli allenamenti, e solo perché giocavo poco. Però la mia forza e i miei canestri avevano fatto in modo di farmi notare dall’allenatore, anche se per giocare nelle partite vere ho dovuto aspettare parecchio.”

“Provini? Per entrare nel club?”

“Eravamo circa cinquanta matricole, siamo passati solo in dieci e all’ultimo anno di quelli che erano entrati in squadra con me, eravamo rimasti in tre.”

“Tre?”

“Sì, i primi cinque non avevano retto i ritmi dell’allenamento già il primo anno, comunque quest’anno nel primo trimestre eravamo rimasti solo in due.”

“Quest’anno? Quindi hai in iniziato il liceo lì?”

“Il liceo cioè l’high school si inizia a 14 anni, quest’anno prima di trasferirmi ho iniziato quello che si chiama 11th grade, anche se la scuola è un po’ diversa, è per questo che non ho potuto iniziare l’anno con voi, ho dovuto sostenere qualche esame, per vedere se fossi riuscito a starvi dietro, per fortuna che i miei hanno continuato a farmi parlare e scrivere in giapponese e che mia madre non mi ha mai permesso di servirmi della regola non scritta di tutte le scuole americane, ma mi abbia obbligato sempre a studiare, altrimenti non avrei mai superato i test.”

“Regola non scritta?” Chiede curioso Akira.

“Sì, vedete anche negli Stati Uniti bisogna avere almeno la sufficienza per poter frequentare i club, anche se si calcola in maniera differente, ma, soprattutto in quelli sportivi, sarebbe praticamente impossibile. La maggior parte dei giocatori, specialmente quelli della prima squadra, si allenano in media cinque, sei ore al giorno, e le matricole, almeno quelle che vogliono davvero entrare in campo, non sono da meno. Ovviamente il tempo per studiare diventa minimo, anzi praticamente nullo e molti non ci provano neanche più, accontentandosi di sufficienze regalate, stiamo parlando di campioni, quelli in grado di cambiare le sorti di una partita che hanno uno stuolo di fan e che grazie alla loro popolarità riescono a far arrivare un sacco di iscrizioni per quella data scuola, non tutti i professori sono molto d’accordo con questa scelta, ma a volte il coach della squadra, soprattutto se è una squadra che vince, vale di più del professore di scienze o inglese o matematica o storia, che sono le quattro materie fondamentali.”

“Sei ore? Ti allenavi sei ore al giorno?” Hisashi non crede alle sue orecchie.

“No, non sei, almeno otto.” Rivela Hana con un sorriso.

“Cosa? Ma come facevi?” L’ovvia domanda di Ryota.

“Sveglia alle 5 corsa fino a scuola, poi attrezzi vari e tiri fino alle 8, seguivo le lezioni fino alle 16 e gli allenamenti con la squadra erano fino alle 20. Poi di corsa a casa cenavo con i miei e andavo al campetto vicino a giocare a street basket fino a quando mia madre non veniva a recuperarmi armata di scopa. Era uno spasso, il terrore dei teppisti del quartiere, arrivava lei sparivano loro.”

“E ti veniva a prendere per farti studiare?” Chiede tra il divertito e l’incredulo Akira. 

“Già, molte volte recuperava anche altri ragazzi che abitavano vicini, dei nippoamericani che mi piacerebbe farvi conoscere, sono quattro dementi ma sono insostituibili. Comunque, quando ci riusciva, li trascinava a casa con me e ci faceva studiare tutta notte, non avete idea di quante notti in bianco ci ha fatto passare. Però rimaneva sveglia con noi fino a quando non era sicura che fosse entrato qualcosa nella nostra testa dura.”

“E dopo la notte in bianco ricominciava il tran tran di tutti i giorni?”

“Sì, a volte facevo solo una doccia e correvo a scuola. Non potete sapere che dormite spettacolari mi sono fatto sulle panche degli spogliatoi dopo l’allenamento pomeridiano con la squadra, ormai il custode prima di chiudere tutto passava sempre a vedere se non fossi su una panca a dormire. Soprattutto nel periodo dei test più duri.”

“Certo che dal tuo racconto sembra davvero che tu abbia lavorato davvero molto per riuscire a trovare il tuo posto e non solo nella squadra.” Afferma Kazushi.

“Non è stato semplice, ma alla fine ce l’ho fatta.”

“Immagino che tu abbia un ottimo rapporto con i ragazzi della squadra, visto la fatica che hai fatto per inserirti e le ore che avete passato insieme.” Interviene Akira.

“Un ottimo rapporto, certo.”

“E come sono le cheerleader?” Ecco qui, con un’abile mossa Akira sta portando il discorso su quello interrotto nel pomeriggio, Kaede si irrigidisce alla domanda apparentemente innocente di Akira, lo odia.

“Beh, fanno parte del tifo.”

“Sì ma è vero che le cheerleader fanno coppia sempre con quelli della squadra?” Insiste Akira.

“Dipende, non eravamo l’unica squadra, c’era anche quella di football, e quella di baseball, anche loro sono molto popolari.”

“E tu sei mai uscito con una di loro?” Domanda Hisashi, non può lasciare tutto in mano di Sendoh.

“Ehm, dipende cosa vuol dire per te uscito. Voglio dire a tutte le feste scolastiche quelli della squadra devono presenziare, e sono caldamente invitati a presentarsi accompagnati, se si vuole avere una minima possibilità di essere lasciato in pace.”

“E così sei andato al ballo con una di loro.” Chiede Ayako, oramai sono in ballo, meglio ballare.

“Alle feste con una di loro, solo come amici, e mai con la stessa.”

“Perché mai con la stessa?” Continua l’interrogatorio Hisashi.

“Perché se esci per due volte di seguito con la stessa ragazza si aspetteranno tutti che state insieme, sai com’è camminare mano nella mano per i corridoi, regalarle il tuo giubbotto della squadra, cose così.”

“E non hai mai trovato nessuna per cui vale la pena provarci?” Insiste Akira.

“Mettiamola così, sarò sincero visto che voi lo siete stati con me anche se è una consapevolezza che ho preso solo nell’ultimo anno, la probabilità che potessi trovare una ragazza per cui vale la pena provarci è la stessa che potevate avere voi quattro.” Dice indicando Akira, Hisashi e i loro compagni.

“Lo sapevo, lo sapevo, l’avevo detto io, il mio fiuto è infallibile per queste cose.” Trilla gioioso Akira.

“Perché tanto felice? Credevo che fossi felicemente sistemato.”

“Oh, certo non è per me è che... ahia che dolore!!!” Akira si abbassa afferrandosi una gamba mentre Kaede lo guarda con due occhi che ormai sono solo due fessure.

“Che cosa è successo?” Chiede Hanamichi innocentemente, non sa che Kaede ha appena assestato un calcio sotto il tavolo ad Akira che ha quasi le lacrime agli occhi, mentre il resto della tavolata guarda la scena rassegnata con sul viso stampata la frase ‘te la sei cercata’.

“Un crampo, un dolorosissimo crampo.”

“Non è normale, sei un atleta, potresti avere una carenza di potassio.” Continua Hanamichi guardandolo preoccupato.

“Ah si, davvero, beh mi toccherà rimediare.” Dice Sendoh massaggiandosi lo stinco, gli verrà un livido grande come una casa, si era scordato di quanto potesse essere vendicativo Ru.

“Dovresti mangiare tanta frutta, soprattutto banane.” Continua innocentemente Hana.

“Banane?” Chiede dopo una risata con cui ha praticamente fatto una doccia ai vicini, Hisashi.

“Sì, sono ricche di potassio, ma che avete da ridere?” Continua del tutto ignaro del doppio senso appena detto Hanamichi.

“Akira...banane...” Hisashi non resiste più si tiene lo stomaco con le mani, e in poco tempo l’intera tavolata, sì anche Akira, e perfino Ru, si uniscono alla risata. L’ultimo ad aggiungersi, strano a dirsi è Hanamichi, non capisce cosa abbia detto di così divertente ma le risate incontrollate degli altri sono contagiose. 
 

Continua
 

Note:  Negli USA l’anno scolastico inizia settembre e gli anni della scuola dell’obbligo (nella maggior parte degli stati è obbligatorio andare a scuola fino a diciott’anni, in alcuni è sedici) si dividono in Elementary school che dura cinque anni e inizia dai sei/sette anni ai dieci/undici anni (i primi cinque gradi di istruzione), la Middle school  che dura tre anni dagli undici/dodici ai tredici/quattordici anni (dal sesto all’ottavo grado) e High school che dura quattro anni dai quattordici/quindici anni ai diciassette/diciotto anni (dal nono al dodicesimo grado). In pratica a parte il liceo che ha un anno in meno, la scuola è divisa come la nostra, materie escluse. Infatti le materie obbligatorie per il liceo sono solo quattro: storia, scienze, inglese e matematica, poi ci sono tutte quelle opzionali che formano il curriculum scolastico di ogni allievo. Per essere promossi bisogna avere un numero di crediti che sono la somma dell’andamento scolastico, test superati e quant’altro. Non so bene se in Giappone un allievo straniero deve fare degli esami di ammissione, ma non credo sia tanto strano, in Italia, almeno quando frequentavo io il liceo, si facevano anche se uno decideva di cambiare liceo (ad esempio quando frequentavo l’artistico al secondo anno si è aggiunto un ragazzo dallo scientifico che ha dovuto fare un esame per integrarsi nella classe), quindi direi che sia quantomeno probabile. Come vediamo anche grazie ai film e telefilm, negli USA gli studenti con grandi meriti sportivi hanno sempre un aiuto da parte dei professori che chiudono un occhio (a volte anche due) sui rendimenti più o meno disastrosi che questi allievi hanno. Ma tanto lo spiega anche Hanachan quindi su questo non mi soffermo oltre. Come sempre ringrazio Arcadia_SPH, Pandora86, Slanif per le belle recensioni al capitolo precedente, manuella93, misk per averla inserita tra le preferite e le seguite e Atman che l’ha inserita tra le seguite, a venerdì prossimo.

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


Eccomi per il quinto capitolo, come slanif sa bene è stata un impresa, quindi non prendetevela se è un po’ più corto degli altri, ok? Come sempre i personaggi non sono miei e non ci guadagno nulla a scrivere. A dopo per note e ringraziamenti.
 

Cap 5
 

La serata scorre tranquilla, va beh tranquilla è un modo di dire, diciamo che i ragazzi si divertono molto, soprattutto ai danni di Akira, e della sua presunta carenza di potassio. Presto arriva il momento dei saluti, si sono divertiti così tanto da non essersi neanche accorti del tempo che passava.

Le coppie si dividono, ognuno va per la propria strada, anche se Sendoh all’inizio, aveva provato a seguire Rukawa e Hanamichi ma era stato bloccato dallo sguardo di ghiaccio di Kaede.

“Non guardarmi male Ru Ru, ti ricordo che abito anch’io nel vostro quartiere, non posso mica traslocare... Ok ok vado da Kosh, ma ho una domanda, prima o poi potrò tornare a casa?”

“Hn!”

“Se poi ti degnassi di rispondere con le parole una volta ogni tanto...” Continua Akira fintamente irritato mentre si allontana da loro con le mani in tasca raggiungendo Koshino.

“Ma davvero abita nel nostro quartiere?” Chiede Hanamichi appena gli altri spariscono dalla visuale.

“Purtroppo!”

“Ma quanto sei cattivo!” Continua il rossino con un sorriso. “Perché gli hai impedito di tornare con noi?” Gli chiede poi.

Ma quanto sei ingenuo, vorrebbe rispondergli Kaede ma non sa se è davvero pronto a sentirsi dire la verità. Doveva ammettere che appena aveva sentito la sua confessione al tavolo agli altri ragazzi dentro di sé aveva iniziato a saltare felice come un demente anche se da fuori non trapelava nulla.

“Aveva bisogno di una scusa per invitarsi di nuovo da Koshino, tutto qui.” Inventò su due piedi, anche se poi gli pareva una balla del tutto plausibile.

“Allora non sei cattivo, al contrario sei un buon amico!” Kaede si sentì un po’ in colpa nel far credere a quell’ingenuo del do’aho di essere migliore di quello che fosse in realtà, ma come aveva letto una volta da qualche parte, in amore e in guerra tutto era lecito.

Camminarono uno a fianco all’altro, in silenzio, probabilmente Kaede era l’unico a sapere quanto Hanamichi si trovasse a suo agio nel silenzio. Quello che ancora non poteva sapere però era che Hanamichi si trovava a suo agio solo perché erano insieme, solo perché con Kaede a fianco non aveva bisogno d’altro. Ma come detto questa è una cosa che Kaede non può sapere, non ancora almeno. Raggiunsero in fretta, troppo in fretta per entrambi, la casa di Rukawa. Quella casa che lo aspettava come sempre vuota e buia.

“Beh do’aho ci vediamo domani. Se vuoi passo a svegliarti per l’allenamento mattutino, anche se è sabato io vado comunque.” Gli dice, con un tono di voce di chi non vorrebbe separarsi dall’altro ma non trova una scusa plausibile per rimanere in sua compagnia. E poi cosa avrebbe dovuto fare? Invitarlo per bere qualcosa? Avevano sedici anni cosa gli poteva offrire? Un tea alle 23? Inoltre sicuramente a casa di Hanamichi lo stavano aspettando.

Hanamichi osservò prima la casa, poi Kaede e ancora un’altra volta la casa, poi il suo sguardo si illuminò. Gli era venuta un’idea per non separarsi da Kaede, perché neanche lui voleva separarsi dalla sua kitsune, ma al contrario di quest’ultimo lui era un tensai, e i tensai hanno sempre idee geniali, che tensai sarebbero altrimenti?

“Senti un po’ kitsune.” Iniziò con voce sicura, con il tono di uno che butta lì un’idea, come se non avesse cercato di trovare una scusa qualunque per tutto il tragitto dal pub all’ingresso della casa di Rukawa per stare con lui ancora. “Che ne dici se vieni a dormire da me?”

“Cosa?”

“Ma sì che c’è di male? Casa tua è deserta, i tuoi sono a Tokyo e poi domani non c’è neanche scuola. Dai non dirmi che preferisci rimanertene tutto solo quando puoi passare il tuo tempo con il mitico tensai!” Ti prego fa che dica sì, fa che dica sì,  si ripeteva intanto nella testa Hanamichi.

“Ma i tuoi?”

“Per i miei non c’è problema. E poi il mio letto è grande per poterci stare entrambi, prometto che ti faccio scegliere il lato su cui dormire e cercherò di non agitarmi troppo durante il sonno, anche se questa cosa non è che posso controllarla molto. Sarà come quando eravamo piccoli e litigavamo fino a pochi secondi prima di dormire sul nome delle costellazioni.” Era certo che Kaede non poteva essersi dimenticato delle innumerevoli volte che avevano condiviso il letto da piccoli. Lo sguardo di Rukawa era indeciso, ma non perché non sapeva se accettare o meno, figurarsi se avesse potuto si sarebbe stabilito vita natural durante a casa di Hanamichi, più precisamente nel suo letto, ma non sapeva cosa dire, non era mai stato bravo ad esprimere ciò che provava, nessuno gliel’aveva mai insegnato. “Dai, se non vuoi dividere il letto abbiamo anche un futon. Insomma, se è per quello che ho detto al bar...” gli occhi si intristirono cosa che ovviamente Rukawa non avrebbe mai permesso, il fatto che fosse la sua reazione ad aver fatto credere a quel do’aho quella cosa così scema, e ad aver messo nei suoi occhi quel velo di tristezza era una cosa che non si sarebbe mai perdonato. Figurarsi, lui che non voleva stare da Hanamichi perché quest’ultimo era gay certo, come no? E lui cos’era? Anzi quello era un motivo ancora più ragionevole per passare la notte da Hana, ma ancora Kaede non sapeva come dirglielo, in questo momento malediceva il suo rapporto tremendo con le parole, ma non sapeva proprio come fare.

“Non è per questo, figurati.” Riuscì almeno a dire. Ma che futon e futon, Kaede nel letto di Hanamichi ci sarebbe stato benissimo, magari in futuro non solo per dormire, ma per ora si sarebbe accontentato anche di quello. Lo sguardo di Hanamichi tornò allegro, la tristezza già dimenticata. La sua kitsune non lo giudicava male, non era una gran consolazione visto che per quello che ne sapeva era etero, ma almeno non l’aveva allontanato.

“Perfetto allora entriamo, prendi lo spazzolino, il borsone per gli allenamenti di domani mattina, e giusto l’occorrente per passare una notte fuori casa e andiamo da me.”  Rukawa guardò gli occhi di Hanamichi e non trovò nessun motivo per rifiutare l’offerta, anche perché poi passare del tempo con lui non era forse quello che desiderava di più al mondo?

Fece come detto, l’unica azione in più fu quella di lasciare un messaggio alla segreteria del cellulare della madre, non chiamavano mai, ma meglio evitare crisi di panico inutili. E così, in men che non si dica si ritrovarono in strada, ancora una volta, uno accanto all’altro.  La casa di Hanamichi al contrario di quella di Rukawa era illuminata.  La luce dell’ingresso accesa e dalla finestra che probabilmente dava sul salotto si vedeva la classica luce bluastra di una tv accesa.

“Quanto ci scommetti che staranno facendo finta di ronfare sul divano? O per meglio dire mia madre fa finta, mio padre ronfa beatamente. Gli dico sempre di non aspettarmi in piedi, ma niente, tutte le volte fanno di testa loro.”

“Beh, io non sono un esperto, ma non è così che si comportano i genitori?”

“Già!” Superano il cancelletto, e aprono la porta d’ingresso. “Sono a casa!” Quasi subito la madre di Hanamichi si presenta all’ingresso con uno sbadiglio teatrale che sa di finto lontano a un miglio, prima di accorgersi che c’è anche Kaede con suo figlio. Non che se ne stupisse granché, a dire il vero, quando erano piccoli non riuscivano mai a separarli, e ora che si erano ritrovati sembravano aver ripreso da dove erano stati interrotti da bambini.

“Ben tornato caro, oh ma non sei solo vedo.”

“Kacchan era solo a casa e così l’ho invitato, non ti dispiace vero mummy?”  Due occhioni da cucciolo indifeso e il modo di chiamarlo che aveva cominciato ad usare in USA erano le armi che Hanamichi usava spesso contro la madre, ben sapendo che dopo non gli avrebbe negato nulla.

“Certo che no! Ci pensate da soli a sistemarvi vero?”

“Nessun problema, mamma!” Dal divano Hanamichi vide sollevarsi un ben più addormentato padre che con  passo stanco si avvicinò a loro.

“Oh bene sei tornato, che piacere Kaede ci sei anche tu. Cara...” dice praticamente ad occhi chiusi alla moglie. “...adesso che è tornato sano e salvo possiamo andare a letto, per favore?” La madre di Hanamichi si guarda intorno imbarazzata, quante volte ha detto al marito di non far capire ad Hanamichi che stava in piedi perché era preoccupata?

“Ma certo, insomma mica devi chiedermi il permesso, sei un adulto no? Che sciocchezza, come se io l’avessi obbligato.” Dice mentre sale le scale, non c’è niente da fare pensa Hanamichi mentre la guarda sparire al piano di sopra, sua madre doveva fare l’attrice. “Mi raccomando controlla che sia chiuso tutto prima di salire, non ti dispiace vero? Sono così stanca...” gli dice con sguardo malevolo, della serie adesso vai a farti un giro che quando vieni di sopra ti spiego cosa puoi dire e quando aprire bocca.

“Hanamichi ti ricordi quello che ti ho detto ieri a pranzo?” Gli chiede il padre.

“Sì papà.” Rispose con un sorriso suo figlio.

“Segui quel consiglio, non sposarti mai, ricordatelo sempre, altrimenti sarai legato a vita con il tuo aguzzino e quando te ne renderai conto sarà troppo tardi!”

“Tesoro quanto ci vuole a controllare, coraggio non vorrai dormire sul divano, vero?” La voce della moglie fece mettere sull’attenti il padre.

“Arrivo subito cara!” Poi si voltò un’altra volta verso il figlio, e con un’aria melodrammatica. “Ricordatelo, mai!” Hanamichi osserva il padre salire le scale lentamente, come se stesse andando al patibolo.

“I tuoi sono una forza sai?” Gli disse Rukawa che era rimasto fino a quel momento in silenzio a osservare quella famiglia, con un misto di invidia e curiosità.

“Sì lo so!” Rispose Hanamichi con un sorriso, poi però il suo sguardo divenne malinconico.

“Cosa c’è?” Kaede non riusciva a sopportare di vedere lo sguardo del suo do’aho incupirsi, era più forte di lui, lo voleva vedere sempre felice.

“Mi è venuto in mente quando la mamma è venuta a prendermi l’anno scorso appena l’avevano avvertita del malore di papà, non hai idea della paura che avevamo, abbiamo rischiato di perderlo, capisci, ho rischiato di perdere mio padre.”

“Dev’essere stato molto difficile, io non so immaginarmelo. Lo sai il rapporto con i miei è quello che è però l’idea che possa perderli, mi spaventa. Ma alla fine è andato tutto bene per tuo padre, e ora siete tornati.”

“Sì hai ragione. Senti andiamo su di sopra, comincio ad essere un po’ stanco, ho ancora gli orari sballati.”

“Certo, in fondo ho sonno anch’io.”

“Ma dai? Una kitsune narcolettica che ha sonno, non l’avrei mai detto.”

“Do’aho! Muoviamoci.”

Salirono le scale quasi di corsa, come se entrambi non vedessero l’ora di ritrovarsi da soli nella mansarda, cosa del tutto vera del resto, anche se nessuno dei due aveva il coraggio di ammetterlo con l’altro. Rukawa fu il primo a essere pronto per sprofondare nelle braccia di Morfeo, visto che non poteva certo sperare di finire in quelle di Hana per il momento. E aspettava il compagno in camera sua osservando con curiosità ciò che lo circondava, e che in serata non aveva potuto guardare con calma.

Hanamichi era sempre stato caotico, fin da piccolo, perché tendeva a conservare tutto, l’unica cosa vuota nella sua stanza era, generalmente, il cestino della spazzatura. Si ricordava ancora quando da piccolo lo aveva visto conservare le carte colorate di caramelle e cioccolatini, e alla sua domanda sul perché le conservasse ricordava ancora di come lo avesse guardato stranito e di come Hanamichi invece di parlare ne scelse una un bel rosso rubino, e un’altra azzurra, e ancora una verde smeraldo, lo avesse preso per mano e portato in giardino gli avesse passato quella verde dicendogli di guardare il mondo attraverso quella carta colorata. L’aveva fatto, anche se non ne capiva il motivo, all’improvviso Kaede si era ritrovato in una foresta pluviale, riusciva quasi a sentire il canto degli uccelli esotici, poi Hanamichi gli diede la carta rossa e gli chiese di fare lo stesso, e Kaede si trovò su Marte a capo della missione spaziale. Fu il turno di quella azzurra, e venne catapultato in una spiaggia poco prima dell’alba, quando la luce azzurrina colpisce la sabbia, il mare e gli scogli rendendo tutto della stessa sfumatura. Si era voltato verso Hanamichi incredulo. ‘Ora hai capito?’ Gli aveva chiesto con un sorriso soddisfatto. E sì, Kaede aveva capito, anche se sospettava che la magia non fosse in quelle carte colorate, ma in Hanamichi. Erano passati anni ma era divertente notare che, mentre la scrivania e praticamente ogni superficie piana fosse già piena di roba, il cestino dei rifiuti fosse comunque immancabilmente vuoto.

“Kit pronto per andare a nanna?” La voce di Hanamichi alle sue spalle lo fece voltare di scatto. “Io di solito dormo solo con i boxer, abitudine presa a Los Angeles, sai non ho mai sopportato il caldo, ma se per te è un problema...”

“Nessun problema!” Coprire il corpo di Hanamichi, soprattutto visto e considerato che era l’unico a poterselo godere, era un eresia. 

Si sistemarono nel letto e Kaede fu colpito dal profumo di Hanamichi, non avrebbe dormito molto quella notte ne era certo, ma non gli importava minimamente. La cosa importante era evitare di perdere il sangue dal naso, non sarebbe stato molto carino.
Il fatto di essere sdraiato a pochi centimetri da Hanamichi, tanto vicino da poterlo stringere a sé faceva battere forte il cuore di Rukawa. Il calore del corpo così vicino al suo lo faceva sentire in pace con il mondo, in un bozzolo di calore solo per loro.

“Kit, non trovi che sia lo spettacolo più bello del mondo?”

“Hn?”

“Il cielo stellato, a Los Angeles non se ne vedevano tante di stelle. Insomma Kanagawa è una città, ma le luci artificiali non sono le stesse di Los Angeles. Secondo me questo è lo spettacolo più bello del mondo da poter guardare prima di addormentarsi, non trovi anche tu?”

“Sì, è davvero il più bello, non sai quanto vorrei poterlo vedere tutte le notti.” Gli rispose Kaede che non stava affatto guardando il cielo che potevano osservare dalla finestra proprio sopra le loro teste, ma il profilo di Hanamichi, che ignaro gli rispose.

“Basta che vieni a dormire qui, per me puoi farlo quando vuoi.” Basterebbe dormire con te in qualsiasi parte del mondo, pensò Rukawa. “Piuttosto, non mi hai raccontato molto su di te, cosa hai fatto in questi anni?”

“Ho giocato a basket!” Gli rispose Kaede, era ovvio no?

“Ok, e oltre al basket?” Disse Hana con un sorriso, non c’era niente da fare, la sua kitsune e le parole non andavano proprio d’accordo.

“Oltre al basket cosa?”

“Non so, amici, ragazze, avrai fatto qualcosa no?”

“I miei amici, se così li vuoi chiamare, li hai incontrati, le ragazze non mi sono mai interessate, l’unica degna della mia fiducia è Ayako, e il basket mi ha decisamente affascinato.”

“In pratica hai vissuto come me! Ayako sembra una tipa a posto, mi piace il suo modo di fare, schietta, sincera, allegra, Ryota è proprio fortunato.”

“Sono certo che lo sa.”

“Quindi non ti interessano le ragazze? Intendi dire che sei troppo impegnato per interessartene o che proprio non ti interessano?”

“Non mi interessano.”

“E quindi al posto di chiederti delle ragazze, dovrei chiederti dei ragazzi?” La voce era quasi un sussurro, non voleva credere di essere tanto fortunato, a Kaede non interessavano le ragazze!

“Non c’è proprio nessun ragazzo di cui parlare.” A parte te. Quanto avrebbe voluto trovare il coraggio per parlare e dirglielo, in fondo ormai sapeva che era gay e dalle domande che gli stava ponendo sembrava interessato, ma se non fosse così? Se fosse semplicemente interessato per l’amicizia che li legava?

“Allora siamo proprio uguali io e te. Ora smetto di rompere, è mezzanotte passata e se vuoi davvero che domani mattina alle sei io mi svegli è meglio se ci mettiamo a
dormire, sei d’accordo?”

“Sì. Buona notte do’aho!”

“Good night fox!” Gli rispose Hanamichi, in quella lingua che Kaede conosceva per averla studiata a scuola, ma in un certo modo un po’ diversa. Hanamichi quando parlava in quell’inglese americano non aveva nessun accento giapponese, parlava quella lingua come se fosse la propria, con la sicurezza di chi è abituato ad usarla sempre. Hanamichi chiuse gli occhi, Kaede avrebbe voluto fare lo stesso, ma non riusciva proprio a decidersi a farlo. Il profilo di Hanamichi non riusciva a bastargli, ne voleva sempre di più, voleva riempirsi la mente di quell’immagine. E così lo osservò mentre il sonno lentamente lo trascinava con sé. Quando fu certo che si fosse addormentato accarezzò il profilo perfetto di quel viso tanto amato con un dito. L’indice sfiorò la pelle tesa della fronte, le curve del naso, le labbra morbide, il mento e il collo.  Hanamichi si mosse nel sonno e si girò verso di lui accoccolandosi contro il suo petto e nascondendo il viso nella curva del collo. Il respiro caldo di Hanamichi sulla sua pelle, il modo così semplice e naturale in cui il suo corpo si era adattato al proprio, fecero sentire Kaede terribilmente felice, non sapeva come avrebbero fatto la mattina dopo, era certo che si sarebbero imbarazzati, soprattutto la sua testa rossa, ma non gli interessava in quel momento. Ora voleva solo godersi quell’istante perfetto, al domani ci avrebbe pensato dopo.

Quando la luce tenue della mattina lo svegliò, Kaede si rese conto di essere ancora il cuscino di Hanamichi. Sapeva che era meglio separarsi da quel caldo abbraccio ma non ne trovava la forza. Era difficile separarsi da lui, ma doveva farlo o il respiro di Hanamichi sul suo collo lo avrebbe portato a fare qualche pazzia, come ad esempio alzargli il viso e rubargli un bacio. E lui non voleva rubarglielo, voleva che il loro primo bacio, perché oramai era certo che sarebbe riuscito ad averlo, fosse voluto da entrambi e quindi entrambi dovevano essere svegli. Così a malincuore si sciolse da quell’abbraccio, operazione decisamente complicata visto come persino le loro gambe si fossero intrecciate, ma per fortuna ci riuscì senza svegliare il compagno. Decise di andare a farsi una doccia fredda per svegliasi e calmarsi, ma prima di lasciare la stanza accarezzò un’ultima volta il volto di Hanamichi che riposava ancora. Una volta chiusa la porta della mansarda scese con cautela e in silenzio la scala e andò verso il bagno, per fortuna che quella casa la conosceva come la sua e che i signori Sakuragi non l’avevano stravolta, si avvicinò alla porta del bagno quando sentì le voci dei genitori di Hanamichi provenire dalla porta della stanza patronale. Non avrebbe mai ascoltato, non gli piaceva che si impicciava degli affari degli altri, però la frase che aveva sentito aveva svegliato la sua curiosità, curiosità che prima del ritorno di Hanamichi non sapeva neanche di possedere, si avvicinò con cautela alla porta e ascoltò in silenzio.

“Non trovi che Hanamichi sia più felice?”

“Sì, l’ho notato anch’io, è da quando aveva sei anni che non avevo più visto quell’espressione felice sul suo viso, solo quando giocava a basket, quando riusciva a superare le partire più difficili o battere gli avversari più forti aveva un espressione del genere, ma mai come quella che ha ora.”

“Sarà merito di quel ragazzo?”

“Certo non è merito mio, o tuo caro. È ovvio che quel ragazzo centri qualcosa.”

“Vorrei tanto che Hanamichi si confidasse con noi, insomma siamo i suoi genitori, non crederà che non ce ne siamo accorti?”

“Non lo so caro, ma non puoi biasimarlo, non è certo un argomento facile con cui parlare con i genitori.”

“Lo so, ma vorrei poterlo aiutare, non voglio che abbia paura di parlare con noi, è nostro figlio e vorrei che capisse che noi non possiamo fare altro che amarlo.”

“Il nostro bambino, lo capirà vedrai.”

“Forse non puoi più chiamarlo bambino cara.”

“Hanamichi sarà sempre il mio bambino.”

“Non discuto!”

“Vorrei solo che si decidesse a parlare con quel ragazzo, sono così carini insieme.”

“Non cominciare ad impicciarti tesoro, seguiranno i loro tempi, lasciali in pace.”

“Io non mi impiccio! Solo che vorrei vedere quello sguardo felice negli occhi di Hanamichi sempre, è una cosa tanto sbagliata? E quel ragazzo sembra l’unico in grado di farlo.”

“Lo so cara, lo so. E non è affatto una cosa sbagliata, lo voglio anch’io, ma oramai è abbastanza grande, deve prendere le sue decisioni, fare i suoi sbagli, e ha bisogno di capire e riconoscere i suoi tempi per rispettarli, e questo vale anche per quel ragazzo.”

“Beh sai che mi è venuta voglia di preparare una bella colazione americana, chissà se a quel ragazzo piace.”

“Tesoro nessuno può resistere ai tuoi pancake, nessuno!”

“Allora mi metto al lavoro.” Kaede si allontanò veloce dalla porta e si nascose giusto in tempo per non essere scoperto. Ritornò nella stanza di Hanamichi con il cuore in gola. Se quello che aveva sentito era vero, e doveva esserlo, non poteva avere le traveggole, Hanamichi provava qualcosa per lui, forse non ne era ancora cosciente, però quel sentimento c’era, doveva trovare il modo di dichiararsi, doveva assolutamente trovare le parole giuste. Questo lo portò a un'unica possibile soluzione, aveva bisogno di aiuto. Akira, Ayako e Hisashi erano la sua unica possibilità per non rischiare di arrivare al momento clou e cominciare a boccheggiare come un pesce fuori dall’acqua. Cazzo, non si sarebbe mai liberato di loro appena avrebbero capito di essergli indispensabili.

“Ede dov’eri andato?” Gli chiese Hanamichi che si doveva essere svegliato da poco. Lo guardava con negli occhi confusione e tristezza, si era sentito solo in quel letto senza Kaede, gli era piaciuto un sacco usarlo come cuscino. Quando la notte prima aveva sentito il suo viso sfiorato dalle dita leggere di Kaede si era sentito morire, e aveva fatto finta di essersi addormentato per potersi stringere a lui, nascondere il viso sul suo collo e perdersi nel calore e nel profumo di Kaede. Non era stato molto onesto, ma cavoli quale altra possibilità aveva? Non poteva credere che potesse essere davvero quello che Kaede voleva, non riusciva a vedersi come Kaede lo vedeva, come l’intera Kanagawa lo vedeva, ma degli altri ad Hanamichi non interessava. Non si era mai considerato bello, neanche lontanamente carino, visto come lo avevano fatto sentire fin da piccolo, il massimo che poteva dire di sé è che era strano, differente dagli altri, e che questo fosse un bene era una cosa per cui doveva ancora trovare qualcuno che lo convincesse. Quando si era svegliato senza Kaede si era sentito perso, solo e abbandonato e aveva creduto di aver solo sognato. Poi Kaede era rientrato in camera e non aveva potuto far a meno di chiedergli dove fosse andato.

Kaede si perse in quello sguardo smarrito e prese la sua decisione, non gli importava un fico secco di non potersi più liberare di loro, voleva Hanamichi e questo bastava per sopportare tutto, lui valeva qualsiasi prezzo.
 

Continua

 
Note: Non ho molto da dire su questo capitolo, a parte come sempre ringraziare slanif, Pandora86 e Arcadia_SPH per le belle recensioni al capitolo precedente,  Clarabella che l’ha inserita tra le preferite, ricordate e seguite, reginaveleno89 che l’ha inserita tra le seguite, Zakurio  che l’ha messa tra le ricordate, e tutte voi per essere giunte fino a qui.

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Eccomi qui, siamo quasi alla fine, ancora un capitolo oltre a questo, stavate cominciando a temere vero? Come sempre i personaggi  sono di Inoue, e non guadagno nulla a scrivere queste storie, a parte i vostri commenti! A dopo, come sempre, per note e ringraziamenti.
 

Cap 6
 

Quella stessa mattina Mitsui guardava riposare al suo fianco Kazushi. Lo stava osservando da un po’, si era svegliato, come sempre nel suo abbraccio, e non voleva perdersi neanche un istante di quel momento così speciale. Di solito era il suo ragazzo a svegliarlo, Hisashi non amava molto la mattina, preferiva rintanarsi sotto le coperte fino a quando il suo ragazzo, in un modo o nell’altro, lo svegliava. Anche quando dormivano separati era sempre Kazushi la sua sveglia personale. Cominciava a mandargli messaggi dal momento in cui si alzava lui, fino ad arrivare a telefonare quando era quasi sotto casa se non riceveva nessuna risposta. Cosa che avveniva più o meno ogni santissima mattina. Più o meno funzionava così:

Ore sei e un quarto, prima sveglia: ‘Amore sveglia una nuova giornata inizia.’

Ore sei e mezza, seconda sveglia: ‘Coraggio Hisa io mi sono già fatto la doccia.’

Ore sei e quarantacinque, terza sveglia: ‘Pelandrone vuoi deciderti a muovere almeno i muscoli delle dita e degnarti di rispondermi?’

Ore sette, quarta sveglia: ‘Razza di imbecille io ho fatto colazione e sto per uscire, spero che tu ti sia almeno buttato sotto la doccia o te la faccio io quando arrivo!’

Ore sette e un quarto, prima telefonata... senza risposta

Ore sette e diciotto, seconda telefonata... senza risposta

Ore sette e venti, terza telefonata sen... ah no qui Hisa risponde con un: ‘mmmm *sbadiglio* ghnghhn *altro sbadiglio* gnhffhng *terzo sbadiglio*’

A cui molto pacatamente Kazushi risponde con: ‘Porca puttana non dirmi che sei ancora a letto! Se non sarai pronto fra cinque minuti, che è il tempo che ci metto io ad arrivare, ti assicuro che su un letto tu potrai solo dormire per almeno un mese chiaro!’

La frase che sottintende in maniera così poco evidente, tanto che oramai l’intero quartiere sa della loro relazione, quello che sta per perdere Hisa lo fa svegliare completamente. Si getta nella doccia con addosso ancora i  boxer mentre si lava i denti e cerca disperatamente di ricordarsi dove diamine ha messo il quaderno di inglese, o una qualsiasi altra materia, che il suo ragazzo gli ha prestato per permettergli di copiare i compiti che ovviamente lui non ha fatto e che ovviamente non ha neanche copiato perché è rimasto esattamente dove l’ha messo appena tornato a casa. Il problema è capire dove esattamente lo ha messo. Scende le scale di corsa cercando di infilarsi un calzino che ha deciso che proprio non vuole collaborare, saltellando e rischiando di rompersi l’osso del collo. Raggiunto il piano di sotto ancora miracolosamente illeso, becca con il maledetto quinto dito del piede lo spigolo della porta della cucina, non c’è niente da fare il suo dito e quel fottutissimo spigolo hanno una relazione, non c’è altra spiegazione... dopo aver serenamente fatto l’appello di tutti i santi in paradiso, con le lacrime agli occhi entra in cucina trangugia qualcosa (meglio non specificare cosa, anche perché lui non ne ha idea) rischiando di soffocare, mentre la madre sta bevendo tranquillamente una tazza di tea e il padre legge pacificamente il giornale. Un saluto veloce, le solite raccomandazioni e il campanello di casa annuncia che è arrivato Kazushi, afferra la cartella, in cui ovviamente riposa il quaderno prestato da Hasegawa e mai tolto e tutti i libri della giornata, o meglio una volta a settimana ha tutti i libri della giornata, i restanti giorni grazie al cielo ha il suo personale santo protettore travestito dal suo ragazzo. Alla fine riescono a prendere l’autobus delle sette e ventotto che li porta allo Shohoku la cui fermata, per fortuna, è davanti la porta di casa. Capite bene che godersi la mattina è davvero difficile per Hisashi.

Ora, invece, é comodamente attorcigliato con Kazushi, sente il suo cuore battere tranquillamente sotto l’orecchio, il suo profumo che gli riempie le narici, e la pelle liscia sotto si sé, che adora baciare. Comincia ad accarezzarlo, lentamente, godendosi lo spettacolo della pelle d’oca che le sue carezze leggere fanno comparire sulla pelle bianca del petto del suo ragazzo. Scivola senza seguire nessuno schema sui suoi addominali, e ritorna a giocare con i suoi capezzoli, godendosi ogni espressione che il viso ancora addormentato di Kazushi gli regala. Accarezza quel viso tanto amato, gli occhi allungati, gli zigomi, la pelle del collo, le labbra. E lì la sua corsa finisce, le sue dita vengono intrappolate dalla bocca di Kazushi, solleva lo sguardo Hisashi e incontra gli occhi neri che tanto ama, che lo osservano, completamente svegli. Non ha bisogno di molte parole, il desiderio che prova è così evidente che sarebbe impossibile da nascondere, avvicina le labbra alla sua bocca, e si lascia catturare, offrendo tutto se stesso, come sempre, lascia a lui il comando del bacio, perché sa quanto questa sua immobilità, lo ecciti, e sia mai che Hisashi si lasci scappare l’occasione. Ci vuole molto poco, infatti, per sentire le mani di Kazushi ancorarsi alla sua testa, stringersi tra i suoi capelli, e ancora meno per ritrovarsi sotto il suo corpo, Kazushi lo osserva come se stesse guardando la cosa più bella al mondo.

“Come mai così arrendevoli questa mattina?”

“Devo farmi perdonare per tutte le mattine che ti faccio arrabbiare.”

“Ah davvero? E cosa saresti disposto a fare o a farti fare per avere il mio perdono?”

“Tutto ciò che vuoi...”

“Potrebbero volerci ore, tutta la mattina almeno...”

“Allora è meglio cominciare subito...”

“Voltati Hisa.”
 

Ryota dormiva beatamente. Sua madre era uscita, il fratello aveva deciso di andare a pesca con il padre, la sorellina, che frequentava ancora le medie, il giorno prima era andata a dormire da un’amica e i nonni erano alle terme per rinfrancare le ossa, o per meglio dire per riprendersi da quei guai che prendevano il nome di: nipoti. La casa dei Miyagi era silenziosa e tranquilla, come non succedeva da tempo immemore. Probabilmente da prima che i genitori dessero alla luce quel rompiballe di Kiyoshi, l’adorato fratello maggiore, quello bravo a scuola, bravo negli sport, bello ma simpatico, quello che non si era mai messo nei guai nella sua vita, quello che ci provava con Ayako da quando l’aveva portata a casa la prima volta, quello alto un metro e settantasei. Quello che Ryota odiava dal profondo. Il suo sonno però fu interrotto da un bussare insistente, che ovviamente lui ignorò, almeno fino a quando oltre al delicato toc toc, che faceva vibrare la porta d’ingresso, si aggiunse una voce angelica che gli disse:

“Ryota Miyagi alza le chiappe dal letto e vieni immediatamente ad aprire, altrimenti giuro che accetterò l’invito di tuo fratello e andrò a cena con lui stasera stessa!” Ho detto voce angelica? Ops scusate ho sbagliato fic.

Ayako si era alzata presto quella mattina, come sempre del resto, essere l’unica donna oltre alla madre in casa ed essere la più piccola di cinque fratelli, tutti maestri di arti marziali, come il padre, le aveva insegnato che se voleva avere un minimo di intimità, e trovare l’acqua calda, doveva fare lo sforzo di svegliarsi prima di tutti. La sua famiglia gestiva da generazioni una palestra, il nonno insegnava ancora, ed era capace di mettere al tappeto ragazzi di vent’anni senza alcuno sforzo apparente. L’unico esempio femminile che aveva era la madre. Cintura nera di karate a 12 anni, e maestra nell’uso della spada. Quando aveva portato Ryota la prima volta a casa, aveva avuto paura di non trovane più neanche un pezzetto. Forse fu davvero la prova d’amore più grande che potesse farle. Quale dite? Semplice avere il coraggio di invitarla ancora ad uscire dopo quel giorno, accettando tutte le stranezze della sua famiglia. Compresa quella di far finta di non notare il nonno, o il padre, o uno dei fratelli maggiori che li seguivano più o meno sempre, aveva persino avuto il coraggio di baciarla. Il giorno dopo era arrivato agli allenamenti con un occhio nero e per due settimane il coach non l’aveva fatto giocare per punizione ma, anche se Ayako sapeva perfettamente che era dovuto dall’incontro ravvicinato con il pugno di uno di famiglia, lui non aveva mai voluto svelare com’erano andate le cose. Quella stessa sera Ayako aveva fatto un discorsetto al nonno, al padre e ai fratelli che non si può trascrivere ma, vi assicuro, era molto ma molto convincente. La madre era davvero orgogliosa della sua prediletta.

La porta venne aperta da un trafelato Ryota.

“Buongiorno amore” Trilla tutta allegra Ayako entrando in casa e lasciando un ragazzo basito all’ingresso. “Dormito­ bene?”

“Ayakuccia adorata, per quale motivo hai deciso di buttarmi giù dal letto all’alba?”

“Alba? Ma se sono le 8.30?”

“Le 8.30 di un sabato mattina, l’unico in cui ho la casa libera e potevo dormire fino a mezzogiorno senza nessuno che rompeva.” Dice sconsolato seguendola in cucina.

“Vuoi dire che preferisci dormire che passare del tempo con me?”

“Mai ovviamente!”

“Ti sei salvato in corner.” Sorride Ayako, mentre lo vede sedersi su una sedia, appoggiare il gomito sul tavolo e la testa sulla mano. Lei rimane in piedi, appoggiandosi solo al tavolo a fianco a lui.

“Bene, ora come mai qui così presto luce dei miei occhi?”

“Dobbiamo aiutare quei due, sono troppo carini insieme.”

“Quei due? Intendi Rukawa e Sakuragi?”

“Sì, non li trovi carini?”

“Carini?”

“Come Hisa e Kazushi, o Akira e Kosh!”

“Hisashi carino? No senti Ayako sono miei amici, voglio loro un bene dell’anima, e spaccherei il muso a chiunque provi solo a denigrarli, ma non dirò mai che sono carini.”

“Che esagerato sono molto carini invece, come quei due e quindi ho decido che dobbiamo fare di tutto per aiutarli.”

“Ma non  avevate deciso, d’accordo d’accordo avevamo, che ce ne occupavamo tutti insieme?”

“Si ma adesso non posso mica andare a disturbare Akira o Hisa, staranno facendo i coniglietti in calore con i rispettivi compagni non credo apprezzerebbero venire interrotti.” Lo sguardo di Ryota divenne improvvisamente molto sveglio.

“Ayako? I tuoi sono fuori da casa a spiarci in questo momento?” Domandò, senza una logica apparente.

“No, non lo fanno più oramai. E comunque c’è un torneo o roba simile, non ci sono tutto il giorno, perché?” Risponde alla domanda Ayako.

“Quindi ricapitoliamo, siamo in una casa vuota, i tuoi sono troppo impegnati per sfondarmi la porta e preparare la mia esecuzione, e non possiamo fare niente fino a quando gli altri non saranno rintracciabili, quindi almeno fino alle 10. Giusto?” Cerca di rimanere con un tono di voce distaccato, non riuscendoci molto, Miyagi.

“Tutto giusto.” Risponde sorniona la sua ragazza, che ha capito dove vuole andare a parare.

“Allora perché non andiamo di là sul divano? Si sta molto più comodi, scommetto che troveremo un modo molto piacevole di passare il tempo soli.” Chiede con finta indifferenza.

“Perché andare di là? Ti dimostro che per passare il tempo piacevolmente una sedia è più che sufficiente.” Disse prima di sedersi a cavalcioni su di lui e mettergli le braccia intorno al collo.

“Hai ragione, molto piacevole anche qui.” Disse Ryota prima di avvicinare le labbra a quelle di lei.

“E se mi sbaglio e i miei sono qui fuori?” Si blocca Ayako, fintamente preoccupata.

“Tu vali il rischio.” Soffia sulle labbra di lei.
 

Akira intanto si stava godendo il risveglio con il suo adorato ragazzo. O per meglio dire, aveva appena finito di godere per altro, con il suo adorato ragazzo, ma quella era un’altra storia. Era assurdo quanto fosse legato a Kosh, quanto il bisogno fisico che avevano l’uno per l’altro non sembrava avere fine, quanto avrebbero potuto ricominciare anche subito a rotolarsi tra le lenzuola, se non fosse appena entrata quel terremoto umano alto un metro e cinquanta (con i tacchi) della madre di Kosh, che oramai non si faceva più alcun problema a vedere il figlio avvinghiato, e senza alcun dubbio nudo, a quel bel pezzo di ragazzo che si era scelto. Ragazzo che la signora Koshino aveva visto crescere con il proprio figlio, e se per il marito fu comunque uno choc quando i due ragazzi avevano confessato la loro relazione, o meglio quando Akira era andato da loro ammettendo candidamente che era innamorato di  Hiro e non voleva nascondere la loro relazione, per lei non c’era nessuna sorpresa, sen’era uscita con un “Perché non stavate già insieme?” che aveva fatto quasi svenire il marito, allargare a dismisura il sorriso di Akira, e fatto diventare bordeaux il figlio che si era chiuso in camera e c’erano volute due ore di preghiera da parte di Akira per farlo uscire di nuovo. Hiro era convinto che dovevano essere stati scambiati da piccoli, lui si sentiva molto più simile alla madre di Akira, una donna pacata, elegante e perennemente seria, rispetto alla sua. Che anche ora se ne stava tranquilla a parlargli come se fosse la cosa più normale del mondo. Erano a letto, nudi e con la faccia abbastanza sconvolta da essere ovvio cosa stessero facendo, e lei se ne stava lì, a conversare cortesemente con Akira. Hiro non capiva, era lui ad essere strano? O sua madre e il suo ragazzo erano da ricovero? Quando si aggiunse anche il padre però la sua pazienza fu completamente spezzata.

“Scusatemi sarebbe così strano se potesse aspettare un momento fuori dalla stanza?”

“Perché, caro sai quanti pannolini ti abbiamo cambiato? Lo sappiamo come sei fatto.”

“FUORIIIIIII!!!!!!!!!! E tu smettila di ridere, sono circondato da pazzi, pazzi non è possibile altrimenti!” Dopo dieci minuti era di sotto con i suoi genitori e il suo ragazzo a far colazione, li osservava conversare amabilmente, come se non fosse successo niente. Lui beveva il latte in silenzio, mentre Akira si stava sbafando la terza fetta di torta che sua madre aveva preparato. Quel ragazzo era un pozzo senza fondo, ovvio che poi non si stancava mai, aveva una resistenza quando voleva. Diventò rosso al pensiero di ciò che era appena successo in camera, il risveglio con i baci di Akira, quelle labbra che solleticavano la sua pelle, quella lingua dispettosa che lo faceva tremare, basta, non doveva pensarci altrimenti...

“Tesoro tutto bene? Sei rosso, non è che hai un po’ di febbre.” Ma come faceva sua madre, neanche lo stava guardando.

“Tutto bene, tutto bene. Tu, hai finito di divorare la torta che mia madre ha fatto per me?”

“Ma se non l’hai neanche assaggiata?”

“E come facevo, te la sei messa affianco.”

“Esagerato. Comunque se la vuoi...” disse passandogliela.

“Ora non mi va più.” Gli disse con un broncio da bambino, Akira stava per fare una delle sue solite battute quando ricevette un messaggio. Sgranò gli occhi appena vide il mittente, e rischiò di lasciarci la pelle quando lo lesse. Il messaggio era di Ru Ru (aveva cambiato il nome appena Ayako aveva coniato questo soprannome che Akira adorava) e diceva testuali parole: ‘Ho bisogno di voi, mi dovete aiutare a trovare le parole giuste, ma ti avviso prova a dire ‘te l’avevo detto’ e ti faccio la pelle.’ Ma fu il secondo messaggio che arrivò sempre dal caro Ru Ru a farlo ridere come un demente. Il messaggio diceva: ‘E smettila di gongolare!’
 

Alle dieci si ritrovarono tutti a casa di Miyagi, per sua somma gioia. Neanche Hisashi era stato molto contento di abbandonare le faccende in cui erano affaccendati lui e Hasegawa, ma alla fine non aveva avuto molta scelta.  Una richiesta di aiuto tanto palese da Rukawa era una cosa più unica che rara, non solo aveva bisogno di loro ma lo aveva ammesso. In fondo non erano stati loro a offrirsi di aiutarlo quando lui non voleva neanche che loro si avvicinassero al nuovo arrivato? Ora era venuto il momento di dimostrare che cosa voleva dire essere amici.

“Non ci credo non ci credo” Trillava tutta contenta Ayako, che era in visibilio da quando aveva letto i messaggi di Ru Ru. “Cosa facciamo? Come gli aiutiamo, sono carinissimiiiiii.”

“Ancora con questa storia?” Interviene Miyagi seccato

“Sono carini e non rompere, come sono carini Akira e Kosh e Hisa e Kazushi, naturalmente!”

“Grazie Ayako, davvero gentile.”

“Figurati Aki è la verità.”

“Scusate potremmo tornare al motivo per cui mi avete invaso casa, per favore?” Ryota non sopportava quando si mettevano a fare i cascamorti con Ayako, anche se il cascamorto in questione era Akira ed era del tutto innocuo.

“E che in  definitiva cosa possiamo fare? Insomma sono entrambi attratti, ne sono certo, ma come facciamo ad aiutarli.” Chiese Hasegawa centrando il problema.

“Secondo me dovremmo capire cosa può essere successo questa notte per far decidere quel testone ad ammettere che ha bisogno del nostro aiuto.” Disse sicura Ayako.

“E dai, cosa può essere successo in una notte?” Domandò Miyagi.

“In una notte può succedere di tutto!” Rispose Sendoh.

“Akira, se fosse successo quello che credi, non dovrebbe avere bisogno di noi ora.” Disse sicuro Koshino.

“E che ne so, non ero lì, magari è successo qualcosa e ora non sa cosa fare.”

“Certo, me lo vedo a scappare dopo lasciando quel bel pezzo di... Sakuragi da solo, oppure il contrario, il rossino ce l’ha proprio la faccia di uno da una botta e via.” Disse la voce sarcastica di Hisashi. “Comunque non possiamo fare niente se non sappiamo cosa è successo veramente.”

“Ru Ru arriverà tra poco, mi ha scritto mentre venivo qui dicendo che Hanamichi deve andare con i genitori allo Shohoku per consegnare qualche altro modulo, o boh, qualcosa del genere.” Continua Akira.

“Perfetto, non possiamo continuare a teorizzare.”

Dopo una mezzoretta alla porta di Miyagi si presentò Rukawa. In realtà era da dieci minuti buoni che era davanti al cancelletto del giardino, ci aveva messo cinque minuti per fare i pochi metri che separavano il cancelletto e la porta d’ingresso facendo due passi avanti e uno indietro, e altri cinque a convincere il suo indice a posarsi sul campanello e a spingere. Il tutto mentre Akira lo controllava dalla finestra nascosto dietro alla spessa tenda blu. Incredulo osservava il suo fratellino, così lo considerava, combattere contro se stesso, diviso tra ciò che desiderava e quello che temeva. Avrebbe tanto voluto poter uscire, prenderlo per un braccio, trascinarlo in casa e cercare di fargli capire che doveva smettere di farsi quei problemi, erano amici, nessuno in quella stanza l’avrebbe giudicato, erano tutti lì per lui, e non perché fossero curiosi come delle portinaie, d’accordo, lo erano ma non era l’unico motivo.  Volevano davvero aiutarlo, volevano davvero vederlo felice.
Per fortuna dopo dieci minuti il campanello di casa Miyagi suonò, Akira sospirò e ricompose il suo solito sorriso prima di aprire la porta.

“Ben venuto Ru Ru, allora vuoi spiegarci cosa cavolo è successo?”

“Hn!”

“Ok credo che la cosa sarà abbastanza lunga, perché non ci mettiamo comodi in salotto?” Dice Miyagi.

“Forse è meglio.” Assentì Ayako. Si disposero tutti nel salotto, Rukawa su una poltrona, sul divano Hisashi in braccio a Kazushi e Akira che ha tentato di prendere Koshino in braccio, ma dopo la quarta gomitata ha desistito e si è accontentato di averlo affianco, mentre Miyagi con Ayako, si sistemarono sull’altra poltrona. Rukawa prese fiato e decise di parlare chiaro, non poteva sprecare tempo, doveva raccontare tutto, lo sapeva che di loro poteva fidarsi, erano degli idioti, ma erano suoi amici.

“Questa notte ho dormito da Hanamichi. Akira buono dormito e basta. Non interrompetemi e vi dico tutto.” E fu così che gli raccontò quello che era successo, l’invito di Hanamichi, i ricordi di quando erano piccoli, la notte passata con lui, e di ciò che aveva sentito dalla voce dei signori Sakuragi. “Devo trovare il modo di parlargli, non posso sbagliare, non posso permettermelo.”

“Kaede, per quale motivo ti sei innamorato di Hanamichi?” Chiede Ayako all’improvviso.

“Come?”

“Non mi sembra una domanda molto difficile.” Disse Ayako. “Allora Kaede, perché ti sei innamorato di Hanamichi?”

 “...perché con lui sono felice, perché lo voglio rendere felice, semplicemente perché è lui.”

“Non credo che tu abbia bisogno di noi.” Decretò Ayako.

“Cosa?”

“Hai capito bene. Non hai bisogno di noi. E lo sai perché?” Continua cercando di far capire a quel testone una cosa tanto ovvia.

“No!”

“Perché tu hai paura di far soffrire lui non te, tutto il coraggio che ti c’è voluto per raccontarci quello che è successo e chiederci aiuto, è tutto quello che ti serve per affrontarlo.”

“Ma cosa gli posso dire?”

“Ru, tu lo vorresti diverso da quello che è?” Continua esasperata. Come fa a non capire? Pensa.

“No!”

“Allora perché credi che lui ti voglia diverso da quello che sei?” 

“Lui lo conosce il tuo pessimo rapporto con le parole, lo sa, ti conosce meglio di chiunque altro, credi che si aspetti un discorso ricco di belle parole? Lui ti vuole musone, misantropo e taciturno, non diverso.” Continua per lei Akira.

“Non sei tipo da mille parole, se non ti ci trovi usa le azioni.” Aggiunge Koshino.

“E poi se proprio vuoi parlargli digli quello che hai appena detto a noi, e basterà.” Ribatte Ryota.

“Fatemi capire, quando non vi volevo tra i piedi, inciampavo in voi continuamente, e ora che vi chiedo aiuto decidete che posso cavarmela da solo?”

“Kaede tu non sei solo, qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi errore farai, noi siamo qui. Credi che noi non sbagliamo? Sai quante volte faccio perdere la pazienza a Kosh, al giorno? Sbagliare fa parte del gioco, è così che si cresce, e tu hai appena dimostrato di essere diventato grande. Lui è l’unico di cui ti preoccupi tra voi. Come se solo tu potrai farlo soffrire, come se lui non fosse in grado di far soffrire te, o come se non ti importasse. Litigherete? Ne sono certo. Direte, o non direte, cose per cui vi pentirete dopo mezzo secondo? Ovvio. Ma se imparerete l’uno dall’altro diventerete sempre più forti, e supererete tutto.” Cerca di farlo ragionare Akira.

“Non pensare a cosa dire, o a quando farlo, è del tutto inutile. Goditi ogni momento che vivi con lui, e quando meno te lo aspetti le parole arriveranno da sole.” Aggiunge Kazushi.

“Oppure fai come me, bacialo e vedi come va, a me è andata bene, e non credo che tu rischi un rifiuto.” Interviene Hisashi.

“Voi, voi, voi...”

“Un grazie basta Ru Ru.” Un sopracciglio alzato fu l’unica risposta che Sendoh e gli altri ricevettero. “...di niente Ru Ru, di niente.” Concluse la conversazione con un sorriso Akira.

Kaede si guardò intorno, le facce sorridenti dei suoi amici lo circondavano, ringraziò la sua faccia impassibile, ma sentì gli occhi pungere, per fortuna che nessuno se ne accorse, o che tutti fecero finta di non accorgersene.
 

Kaede decise di seguire i consigli dei ragazzi. Godersi ogni istante con Hanamichi senza preoccuparsi di dover per forza trovare le parole giuste, rimanendo se stesso, scoprendo, e a volte riscoprendo, ogni giorno lati di quel ragazzo che lo facevano impazzire. Come le sparate da megalomane che ogni tanto gli uscivano, per fortuna quasi sempre in inglese cosa che permetteva a pochi in squadra e a scuola di riuscire a capire cosa diceva. Oppure l’assoluta innocenza con cui si spogliava davanti ai  suoi occhi, senza malizia, aggiungendo ancora più pepe nelle notti della kitsune.

Il primo giorno di scuola di Hanamichi poi, era stato assurdo. Era passato a prenderlo, per l’allenamento mattutino come sempre, una bellissima abitudine che avevano preso in quei primi giorni in cui si erano ritrovati. Appena aveva bussato alla porta si era trovato un Hanamichi in divisa scolastica, i pantaloni scuri e la giacca che a chiunque stava male, persino a lui, ad Akira o a Hisashi che erano tra i più corteggiati dello Shohoku, quella maledetta giacca stava male, cadeva troppo larga e assomigliavano tutti a dei manichini rigidi. Ad Hanamichi, invece, ad Hanamichi cadeva perfettamente, le sue spalle larghe facevano in modo che quella divisa scura assomigliasse a un abito elegante, uno di quelli che si trovano nei negozi di alta classe. E poi i pantaloni, com’era possibile che quei pantaloni dritti, che sembravano tagliati male, senza forma, su Hanamichi invece stessero così bene? Fasciavano alla perfezione le sue gambe muscolose, e gli risaltavano quel fondoschiena da favola che si ritrovava. Kaede aveva ringraziato il fatto che Hanamichi non si accorgesse di nulla, e soprattutto che fosse abituato al suo silenzio perenne, perché aveva avuto un bel po’ di difficoltà a articolare i pensieri, figurarsi le parole.

“Kit mi spiace, ma mia madre ha preteso di vedere come mi stava la divisa.”

“Hn”

“Ben venuto Kaede, visto com’è carino il mio Hanamichi?”

“Hn”

“MAMMA!!!!!”

“Cosa c’è? Voglio farvi una bella foto, perché non la indossi anche tu?” Si rivolse direttamente a Kaede la signora Sakuragi

“Ti prego kit, mia madre è fissata con le foto, non ti dico com’è andare in vacanza con lei, si blocca davanti ai piedi quando meno te lo aspetti, oppure le stai parlando, ti volti e non c’è perché si è fermata davanti a qualche scorcio meraviglioso, che ovviamente nessun’altro ha visto. In genere lei decide e noi la seguiamo senza discutere.”

“Che esagerato mi fai sembrare una dittatrice, allora Kaede indosseresti la divisa, per favore?”

“Fa come dice kit, o non ce la caviamo più.”

Avevano passato quelle ore della mattina, invece che al campetto, a fare i modelli per la madre di Hanamichi e, anche se ovviamente non poteva ammetterlo, Kaede si era divertito un sacco. Arrivati a scuola, furono il centro dell’attenzione di tutti. Dopo la presentazione alla classe Hanamichi si era seduto accanto a lui e non si era più mosso. A turno i suoi compagni si erano avvicinati prima i più coraggiosi, poi un gruppetto sempre più consistente, la risata e l’allegria di Hanamichi fecero sciogliere anche quelli più chiusi, in poco tempo intorno al loro banco c’erano molti ragazzi che scherzavano con lui. Kaede osservava la scena tra lo stupefatto e il geloso. Stupefatto perché Hanamichi ci aveva messo meno di due ore a farsi accettare dalla classe, e geloso perché le risate di Hanamichi appartenevano solo a lui, ma per quella volta avrebbe lasciato correre, si godeva lo spettacolo del do’aho, che rendeva persino la grigia aula scolastica in un posto colorato e allegro.

E così i giorni passavano ed erano già tre settimane che Hanamichi era tornato nella sua vita. Tre settimane in cui Kaede aveva memorizzato ogni gesto, ogni espressione del suo futuro ragazzo.

Quella mattina, come tutte le altre mattine, Kaede arrivò a casa Sakuragi all’alba. Questa mattina però non dovette bussare. La madre di Hanamichi infatti uscì come un razzo da casa.

“Kaede, caro, buon giorno, scusa se non mi fermo ma mio marito si è scordato questi documenti a casa, e oggi c’è una riunione molto importante, devo correre, ma tanto tu lo sai dov’è Hanamichi.”

Kaede salì le scale in silenzio. Per la prima volta quella casa caotica dalle prime ore era silenziosa,  e calma. Si affacciò alla porta della stanza di Hanamichi, e come sempre rimase imbambolato a osservarlo. Dormiva supino, il lenzuolo attorcigliato vicino ai piedi, e il corpo dorato che risplendeva in tutto quel bianco. Rukawa non sapeva se quello che stava per fare fosse dovuto al fatto che fossero soli e che quindi nessuno avrebbe potuto disturbarli, o se invece era semplicemente perché i suoi ormoni oramai erano al limite, ma non riuscì a fermare il suo corpo. Si ritrovò accanto ad Hanamichi, la sua mano cominciò ad accarezzare i capelli soffici e sottili del suo meraviglioso do’aho, la pelle morbida del viso, del collo, il petto, gli addominali, scendeva lentamente, riverendo quel corpo, mentre il cuore gli martellava nel petto. Era arrivato oramai all’elastico dei boxer quando si bloccò, cosa stava facendo? Non poteva, non doveva, non era giusto, però... però era dannatamente irresistibile quel corpo inerte sotto le sue mani, ma non poteva fare niente se Hanamichi stava dormendo. Del resto era riuscito a non baciarlo, anche se lo desiderava tanto, quando avrebbe potuto farlo proprio perché Hanamichi riposava tranquillo tra le sue braccia e lui non voleva perdere la fiducia che il suo do’aho gli aveva dato. Stava per staccare la mano da quel corpo caldo, quando una voce lo fermò.

“Non lasciarmi Ede, ti prego non lasciarmi.”

Kaede alzò lo sguardo e trovò gli occhi lucidi e caldi di Hanamichi fissarlo.

“Hana...”

“Non fermarti...”
 


Continua
 


Note: Sono l’assistente di hikaru83, che mi ha chiesto di ringraziare slanif, Pandora86  e Arcadia_SPH per le belle recensioni al capitolo precedente. Lei non è potuta rimanere perché doveva prendere un aereo o un qualsiasi mezzo che le permettesse di scappare lontano e nascondersi dalle possibili ritorsioni. Comunque la settimana prossima avrete l’ultimo capitolo, che è già pronto! Grazie per la cortese attenzione.
 
 

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


Siamo giunte alla fine... non ci posso credere e credo neanche voi. Come sempre non posso prendermi il merito della creazione di questi personaggi che sono tutti di Inoue...io non ho guadagnato nulla da questa fic se non i vostri commenti. Vi chiedo scusa fin'ora per le parti scritte in inglese... ci ho provato spero apprezzerete, comunque di fianco ho messo ciò che volevo dicessero, spero che almeno ci si avvicinino...Ora vi lascio all’ultimo capitolo, a dopo come sempre per note e ringraziamenti.
 

Cap 7
 

Hanamichi era sveglio da un po’, aveva sentito il telefono di casa squillare e aveva capito, grazie all’urlo sovraumano della madre dalle scale, che il padre si era scordato qualcosa di importante. Ovviamente di quell’urlo lui non aveva capito granché,  ma non se n’era preoccupato, molto probabilmente gli aveva detto oltre che usciva a portare i documenti al padre anche di non fare tardi. Hanamichi rimase a godersi quel momento di pace assoluta, amava il momento del risveglio, quando è ancora presto e ci si può rigirare pigramente nel letto. Si girò sulla schiena, e guardò il cielo sereno sopra la sua testa. Poteva stare tranquillo, tanto la sua sveglia personale sarebbe arrivato a momenti. In quelle settimane il suo risveglio era sempre stato con Kaede, ogni mattina si presentava a casa per andarsi ad allenare insieme, anche se sembrava sempre di più una scusa, era un modo per poter stare da soli, loro due, il campetto deserto, e solo il rumore del mare e del pallone che rimbalza ritmico sul terreno. Gli occhi blu di Kaede lo osservavano, lo studiavano, e lui ci si voleva solo perdere dentro. Tutte le mattine lo sentiva salire le scale e affacciarsi alla porta. Tutte le mattine, faceva finta di dormire e apriva gli occhi solo quando era sicuro che avrebbe incontrato quelli blu di Kaede, esisteva forse risveglio migliore? E tutte le mattine lo sentiva osservarlo in silenzio per qualche minuto prima di avvicinarsi.

Hanamichi chiuse gli occhi, aveva sentito qualcuno salire le scale, probabilmente Kaede aveva incontrato sua madre che l’aveva fatto entrare. Come tutte le mattine sentì la porta aprirsi. Come tutte le mattine si offrì immobile allo sguardo di Kaede, ma questa mattina non sentì solo il suo sguardo addosso, me anche la sua mano, che lentamente lo accarezzava. Brividi caldi percorsero il suo corpo, seguendo quella mano leggera, fino a quando questa non si fermò poco prima dell’elastico dei boxer. La sentì tremare come se il proprietario avesse capito quello che stava per fare, e stava per decidersi a separarla dal contatto con la sua pelle bollente, ma Hanamichi non voleva, Hanamichi non poteva permetterlo, Hanamichi aveva capito che non avrebbe avuto un occasione migliore neanche fra cent’anni. Era innamorato di Kaede, inutile negarlo, innamorato da sempre, cosciente di esserlo solo dal primo momento in cui l’aveva rivisto. Lo amava, lo desiderava e non voleva che si separasse da lui e quindi con tutto il coraggio che aveva aprì gli occhi, vide lo sguardo combattuto di Kaede e glielo disse.

“Non lasciarmi Ede, ti prego non lasciarmi.”

Hanamichi vide Kaede alzare lo sguardo e si perse in quegli oceani blu che lo fissavano.

“Hana...”

“Non fermarti...”

“Sei sicuro?”

“Non sono sicuro di nulla ora, tranne che di te.”Disse solo, sperando che capisse. Lo voleva, voleva che continuasse, lo desiderava da tanto. Non era solo il suo corpo a desiderarlo, anche il suo cuore, la sua mente, tutto di lui desiderava Kaede, tutto. Per questo lui che si vergognava per qualsiasi cosa non provò nessuna vergogna a sentire Kaede salire su di lui, nessuna vergogna mentre le mani bianche gli tolsero i boxer e gli occhi blu lo osservavano pieni di desiderio, nessuna vergogna quando quella mano scese e cominciò ad accarezzarlo. Solo amore, che straripò dal suo cuore, amore e fiducia incondizionata. Le labbra di Kaede scesero sulle sue, si aggrappò alle spalle forti, strinse i capelli neri tra le mani, non pensò a niente se non a quell’amore troppo grande. Fu così dannatamente naturale per Hanamichi lasciarsi andare alle mani di Kaede, così tanto naturale spogliarlo e cercare di dare a Kaede lo stesso piacere che lui gli stava dando.  Quanto era facile lasciarsi amare da Kaede, fidarsi ciecamente di lui, affidarsi alle sue carezze. Hanamichi non era pronto per fare l’amore, insomma quello che si erano scambiati era il suo primo bacio e già erano nudi nello stesso letto, già si erano dati piacere a vicenda, troppe emozioni, troppo intense, tutt’e insieme.

Kaede sapeva che Hanamichi non era pronto, ma ora, mentre riposavano abbracciati, gli sembrò lo stesso di aver fatto l’amore con lui, in fondo cos’era quello che avevano appena condiviso, se non amore?

“Ede ti dispiace se questa mattina non ci alleniamo?” Chiese sottovoce Hanamichi, come se avesse paura di spezzare la quiete che li circondava.

“No.” Disse con un sorriso Kaede, stringendo il suo ragazzo, non c’era alcun dubbio in proposito ora.

“Possiamo stare così?”

“Tutto il tempo che vuoi.”
 

Quando arrivarono al cancello dello Shohoku, si comportarono normalmente. Non avevano parlato di ciò che era successo, si erano sistemati, avevano indossato l’uniforme e si erano incamminati verso la scuola. Hanamichi mentre si abbottonava la divisa, gli aveva rivolto un sorriso meraviglioso, timido, con le guance rosse e gli occhi felici. Kaede prima di uscire gli aveva dato un bacio lieve sulle labbra, per rimarcare che quello che era successo non era stato un momento di follia. Ma avevano bisogno di riprendersi, tranquillizzarsi, passare delle ore in mezzo agli altri come sempre era la scelta migliore, avevano pensato entrambi. Peccato che nessuno dei due aveva considerato le due comari che li aspettavano per decidere l’uscita di quel venerdì, altra abitudine che Kaede aveva preso da quando era tornato Hanamichi. Appena i loro sguardi incrociarono quelli di Akira e Hisashi i due furono presi per un braccio e trascinati di corsa in terrazza.

“Cosa avete fatto?” Chiede Mitsui senza alcun problema.

“Di cosa state parlando?” Dice Kaede, mentre Hanamichi osserva la scena immobile, con le guance incandescenti.

“Hisa ci prendono per scemi?” La voce sorpresa di Akira.

“Sì, probabilmente.” Risponde la voce tranquilla di Hisashi.

“E dai ti sei deciso finalmente?” Continua Akira chiedendo direttamente a Rukawa.

“Ma...come...” Hanamichi è assolutamente interdetto.

“Beh Hanamichi ve lo leggo in faccia, solo che non so fino a che punto si è spinto. È stato bravo vero? Non so perché ma sono certo che il ragazzo se la sia cavata bene per essere la prima volta...”

“Akira! Zitto!” Una gomitata di Kaede al fianco di Akira

“Uffiiiii!!!!!! Perché non vuoi dirmi niente voglio sapere.”

“Dai Akira fai il bravo, tanto che stiano insieme era palese a tutti, solo che ora lo sanno anche loro.” Gli dice con un sorriso Hisashi, era davvero felice per quel rompiscatole musone di Kaede.

“Ragazzi che cosa fate?” La voce di Koshino che sbuca dalla porta della terrazza con Kazushi al seguito.

“Niente e che si sono decisi e volevamo sapere come era successo ma non ci vogliono dire nulla.”

“Volete dire che li state assillando di domande? Oddio ragazzi scusateli, sono buoni ma sono anche tanto scemi. Comunque siamo felici per voi.” Dice Kazushi trascinandosi il suo ragazzo per le scale seguiti da Koshino e Sendoh.

“Sono tutti matti.”

“Vero do’aho.”

“Da quando?”

“Da quando sono matti? Da sempre temo.”

“Da quando sanno quello che provi, anzi proviamo l’uno per l’altro.”

“Da subito.”

“Era davvero così chiaro?”

“Per loro sì. Ma è facile per chi non è tirato in causa. Ma do’aho, ora esattamente cosa siamo? Perché io so cosa vorrei, ma non so cosa ne pensi tu.”

“Non so dare ancora un nome a ciò che siamo, ma so che voglio scoprirlo con te giorno dopo giorno. Per ora ti basta?”

“Giorno dopo giorno? Mi basta, do’aho, per ora mi basta!” Un bacio lieve prima di ritornare in classe.

Le ore di lezione scivolarono via totalmente inascoltate, più del solito, erano troppo felici, e la loro mente era decisamente troppo occupata a rivivere quello che avevano condiviso quella mattina, per stare a sentire la voce noiosa e monotona dei professori.

“Senti do’aho questa sera ti va di venire a casa mia invece si uscire con gli altri? Magari potresti rimanere  a dormire, se vuoi ovviamente.” Gli chiede Kaede mentre si stavano sistemando prima di raggiungere la palestra.

“Sì.”

“Allora vado ad avvisare gli altri, così magari durante gli allenamenti non si comporteranno come degli imbecilli, non più del solito almeno.”

“Ok, intanto avviso i miei che mi fermo da te, e poi vi aspetto in palestra.” Un sorriso e si separarono, del tutto ignari di quello che stava per succedere.
 

Hanamichi camminava verso la palestra fischiettando allegro, la madre non aveva fatto nessuna difficoltà, e gli aspettava una serata e una nottata solo con la sua kitsune. La cosa da un lato lo spaventava un po’, ma dall’altro, dall’altro era solo impaziente che gli allenamenti finissero il prima possibile, era la prima volta nella sua vita che li avrebbe volentieri saltati, e tutto per poter andare di corsa a casa della sua kitsune. Quando raggiunse la palestra c’era un ragazzo alto di spalle, fisico muscoloso, ma non tozzo, anzi era alto e slanciato e con un assurda capigliatura bionda ossigenata.

“Michael? What are you doing here?” Michael? Che ci fai qui?

“Hana, I finally found it!” Hana, finalmente ti ho trovato!
 

Intanto Rukawa era stato fermato dagli altri ragazzi.

“Dai Kaeduccio non volete uscire con noi oggi?” Cominciò a cantilenare Akira più idiota del solito.

“Promettiamo che non te lo consumiamo il tuo ragazzo, davvero...” Continuò Hisashi, idiota come l’amico.

“Oggi non verremo con voi e non azzardatevi a fare battute in palestra che ve la dovete vedere con me chiaro?”

“Ma che carino vuoi difendere il tuo ragazzo.”

"Nessuna battuta chiaro?"

“Chiaro chiaro. Ehi chi è quel tipo?” Dice Akira, che nota il nuovo tipo vicino al loro numero dieci. Si avvicinarono senza farsi vedere e ascoltarono la conversazione in inglese tra i due ragazzi.

“You came here for me?” Sei venuto qui per me?

“Of course, the best team in the league has abandoned us, as captain I must try to bring you back.” Certo, il migliore della squadra ci ha abbandonato durante il campionato, come capitano devo cercare di riportarti indietro.                                                                               

“The best, and since when?” Il migliore, e da quando?

“Hana you know you’re important to the team and not just for basketball, we miss you,  come home with me, all you expert, then your parents will find a way, you can stay with me, my parents  are in complete agreement .”  Hana tu sei importante per la squadra e non solo per il basket, ci manchi, torna a casa con me, ti aspettiamo tutti, poi con i tuoi genitori troveremo il modo, puoi stare da me, I miei sono assolutamente d’accordo.

Kaede non resistette oltre, era combattuto, da una parte avrebbe voluto farsi vedere e allontanare quel tipo dal suo ragazzo, pestandolo a sangue se fosse necessario, ma dall’altro come poteva impedire ad Hanamichi di tornare in America, dove il suo talento lo avrebbe portato lontano, come poteva? Fu per questo che si allontanò in silenzio, non ascoltò neanche i ragazzi che cercarono di fermarlo, se ne andò di corsa, cercando di trovare un posto dove poter essere lasciato in pace.

Kaede correva, senza una meta precisa, non voleva credere a ciò che aveva visto, a ciò che aveva sentito, non aveva nessuna speranza, non ora che quel maledetto tipo era venuto direttamente dall'America per riprendersi Hanamichi. Aveva sperato, quella mattina, dopo quello che aveva condiviso con il rossino, ci aveva sperato davvero, quel corpo caldo, voleva lui, aspettava lui. I gemiti, il piacere e tutto quel calore erano suoi erano solo suoi. Ora invece? Come poteva chiedere ad Hanamichi di rimanere in Giappone per lui? In una terra dove il basket professionistico era solo all'inizio, quando poteva avere l'America e dei compagni di squadra che rispetto a loro erano già dei campioni, dove avrebbe potuto imparare dai migliori, dove avrebbe potuto avere le occasioni che si meritava. Come poteva guardarlo negli occhi e chiedergli di scegliere lui.

Arrivò alla scogliera. Quel posto gli ricordava tantissimo Hanamichi, il colore del cielo rosso fuoco, le onde del mare che forti si infrangevano sulla roccia. Quante volte da bambini erano corsi lì, affascinati da quel luogo pericoloso che i genitori non volevano loro frequentassero da soli, e per questo ancora più irresistibile. Si sedette su una roccia e cercò di riprendere fiato. Non si accorse di non essere solo almeno fino a quando il vento non cambiò direzione portando con sé il profumo tanto amato di Hanamichi.

Non si voltò, non sapeva cosa dire, non voleva dovergli dire addio, non ce la faceva proprio.

"Posso sedermi accanto a te?"

"È un paese libero!" Lo sentì sedersi tanto vicino da sfiorarlo, ma non si mosse, se quello era un addio avrebbe preso tutto quello che gli permetteva. Fu Hanamichi a rompere il silenzio.

"Sbaglio o hai ascoltato una conversazione di nascosto."

"Me ne sono andato subito"

"Non abbastanza in fretta per non farti un'idea tutta tua di quello che stava succedendo però."

"Prima o poi l'avrei saputo lo stesso, a meno che non avessi deciso di andartene senza salutare."

"Sai perché è sbagliato ascoltare di nascosto le conversazioni altrui?"

"..."

"Perché chi origlia, generalmente non sente tutto, non sente l'inizio, o non aspetta di sentire la fine, e questo lo porta a non capire nulla!"

"Non c'è molto da capire, è venuto a riprenderti no?"

"Vero, ma se avessi ascoltato tutto avresti capito che non dovevo scegliere tra il Giappone o gli USA, e neanche tra Michael o te."

"È un tipo carino..." Disse senza nessuna logica Kaede.

"Christie sarà felice di saperlo."

"Christie?"

"Già, la sua ragazza!"

"Ragazza?"

"Kit, non so cosa ti abbia insegnato Akira, ma non tutti i ragazzi carini sono gay!"

"Sei sicuro che stia con questa Christie?"

"Più che sicuro, quest'anno fanno il secondo anniversario, e tutto grazie al tensai qui presente! Comunque non mi sembra il caso di parlare di questo, non credi?"

"Hn"

"Kit... Kaede, quando oggi Michael si è messo a raccontarmi di tutto quello che avevamo fatto insieme, della fatica che avevo fatto per entrare in squadra, per farmi accettare e del fatto che la mia casa mi aspetta, sai cosa vedevo nella mia mente?"

"Cosa?"

"Non vedevo la mia casa qui, né quella a Los Angeles, non vedevo la palestra, o il campetto dove ho sputato sangue, non vedevo niente di diverso dagli occhi blu di un bambino di sei anni che accettava la mia sfida e mi chiedeva di diventare il migliore. Non vedevo altro che i tuoi occhi. E sai perché?"

"N-no."

"Perché sei tu la mia casa."

"Ma l'America..."

"L'America sarà lì anche fra tre anni o quattro o tutto il tempo che mi servirà."

"Che ti servirà per cosa?"

"Per convincerti a partire con me."

"Hanamichi io..."

"Sai Ede, mentre correvo fino a qui per raggiungerti mi è venuta in mente la domanda che mi hai fatto questa mattina, ricordi? Quella su cosa eravamo ora io e te."

"E ora hai la risposta Hana? Cosa siamo io e te?"

"Non esiste nessun io, nessun tu, esiste solo un noi, e chissà forse è sempre stato così. Sempre che tu mi voglia ancora."

"Vedi che faccio bene a chiamarti do'aho? Come può venirti un dubbio simile?"

"Beh siamo solo noi su questa scogliera, con un paesaggio mozzafiato, un tramonto che più romantico non si può e stiamo parlando..."

"Hn?"

"Non mi hai ancora baciato kitsune narcolettica, devo spiegarti tutto io?"

"Se è per questo non mi hai baciato neanche tu do'aho."


"Certo, ma ti ho appena rivelato quello che provo, ma guarda te, devo fare tutto io, quasi quasi torno da Michael e gli dico che ho cambiato ide..." le sue labbra vennero sigillate da quelle di Kaede, in un bacio dolce, ma anche passionale. Un bacio che rimarcava la sua appartenenza, il suo posto, il loro posto. "Allora non sei una kitsune narcolettica quando vuoi!"  Riuscì a dire Hanamichi quando le loro labbra si staccarono di qualche millimetro, la risposta che ricevette fu un altro bacio senza fine.


Da quel bacio sulla scogliera sono passate quattro settimane, Michael il lunedì successivo era tornato negli USA invitando tutti a andare a trovarli, perché era proprio curioso di giocare con la sua squadra contro di loro, per somma gioia di Kaede che aveva dovuto dividere il suo do’aho con quel tizio che si era stabilito da lui per quei giorni impedendogli di passarli soli.

Ma ora, da quel meraviglioso venerdì erano passati altre meravigliose giornate. Quella sera avevano deciso di passarla soli, e stranamente i ragazzi non avevano interferito, probabilmente perché tutti volevano passare del tempo solo con la propria metà. Hanamichi e Kaede avrebbero passato la serata a casa di quest’ultimo. Kaede era felice, davvero felice, non solo stare con Hanamichi era ogni giorno più bello, ma aveva convinto quel testone a chiarirsi con i genitori, e avevano finalmente smesso di nascondersi.

Dopo aver cenato erano sdraiati sul divano, come succedeva sempre quando potevano, e si stavano coccolando come sempre. Kaede aveva scoperto di adorare le coccole, ed era stata una vera e propria scoperta visto che prima solo al suono della parola coccole gli veniva l’orticaria, ma da quando stava con Hanamichi aveva imparato che adorava farsele fare e anche farle.

“Ede oggi è il nostro mesiversario!” Disse all’improvviso Hanamichi seguendo il filo logico dei suoi pensieri. Filo che Kaede ancora non riusciva a seguire del tutto...

“Hn?”

“Massì è un mese che ci siamo dichiarati, dovremmo festeggiare, uffi se me lo fossi ricordato prima ti avrei fatto un regalo...”

“Non ho bisogno di niente do’aho, a parte di te su di me o, come in questo caso, io su di te.” Mentre gli diceva questa frase però Kaede pensava che c’era una cosa che avrebbe voluto, avrebbe tanto voluto, ma non sapeva se il suo ragazzo fosse pronto.

“A cosa pensi kit?” Chiese Hanamichi che stava giochicchiando con i capelli di Kaede mentre lo stringeva forte a sé. Gli piaceva da matti starsene così, tenere il suo ragazzo stretto nel suo abbraccio, tutto il suo corpo lo abbracciava, persino le gambe stringevano quelle della kitsune, il suo corpo creava una culla perfetta per quello di Kaede. Probabilmente era nato per stare così con lui. Eppure quando stavano così vicini, e i baci si susseguivano uno dietro l’altro senza fine, Hanamichi aveva cominciato a desiderare di più, voleva Kaede, voleva tutto di lui, desiderava poter entrare in quel corpo meraviglioso e farlo diventare suo. Ma Hanamichi come Kaede, anche se non si sarebbe detto, aveva un brutto rapporto con le parole, almeno con questi argomenti, cosa doveva fare chiedere se per caso avesse voglia di fare l’amore con lui? Che lui era pronto e sapeva benissimo cosa voleva, certo ci si vedeva proprio, sarebbe morto solo all’inizio della frase.

“A una cosa che desidero molto.” Decise di rivelare Rukawa.

“Una cosa che desideri molto? Oltre me?” Chiede scherzando Hanamichi, va beh non proprio scherzando...

“In realtà tu c'entri eccome.”

“Non capisco.”

“Lascia stare, ti va di andare di sopra?”

“Ok!”

Oramai dormire insieme era una bella abitudine, tutti i weekend Kaede era ospite fisso dai Sakuragi, anche se quella era la prima volta, dopo aver ammesso con l’altro i propri sentimenti, che si ritrovavano in una casa completamente vuota. E la cosa creava un certo nervosismo ad entrambi, perché la tensione erotica tra loro era palmabile, Hanamichi conosceva ogni segreto del corpo di Kaede, senza che questi li avesse mai detto nulla, e Kaede sapeva come fare impazzire Hanamichi, come fargli perdere la testa, e gli piaceva da morire vederlo completamente in suo potere, vedere i suoi occhi farsi liquidi, il corpo imperlarsi di sudore, sentire i respiri soffocati, il petto che si espande in cerca di ossigeno, e le labbra torturate dai denti bianchi nel tentativo del tutto inutile di fermare i gemiti. E quella dannata lingua che scivolava sulle sue labbra e che gli faceva desiderare di sentirla scendere per tutto il suo corpo, quella dannata lingua che ora lottava con la sua, la lambiva, la cercava, la vezzeggiava. Erano sul suo letto, attorcigliati come sempre, non poteva resistere più, lo voleva, e non aveva intenzione di aspettare ancora, insomma sentiva l’erezione di Hanamichi e non sembrava meno eccitato di lui. Si aggrappò al suo collo e lo trascinò sopra di lui. Le sue mani scesero lungo la lunga schiena di Hanamichi, accarezzando ogni muscolo scolpito di quel corpo che era suo, era tutto suo. Arrivò al bordo dei pantaloni della tuta, e scivolò all’interno. Hanamichi si bloccò sopra di lui e si mise a fissarlo.

“Kit?”

“Ti voglio Hana, voglio essere tuo, fammi diventare tuo.”

“Tu...io... sei sicuro?”

“Non esiste al mondo niente di cui sono più sicuro.” Hanamichi lo guardò negli occhi e poi scese su di lui, Kaede non si pentì un secondo di essersi offerto a lui, Hanamichi lo guardava come fosse l’ottava meraviglia del mondo, e lo trattava con delicatezza e rispetto. Lo preparò a lungo, cosa che fece impazzire il diretto interessato, aveva paura che se avesse continuato ancora sarebbe venuto prima che Hanamichi cominciasse, e lui non voleva, voleva Hanamichi dentro di sé, era un desiderio tanto forte che faceva quasi male, fu per questo che a un certo punto tirò i capelli di Hanamichi e gli disse a chiare lettere che o si sbrigava o gli avrebbe fatto vedere lui come si faceva. Ciò portò a due risultati, il primo fu che Hanamichi avvampò diventando ancora più adorabile il secondo che si decise a lasciarsi andare e cominciare ad entrare in lui. Il dolore c’era, era inevitabile, ma nulla rispetto a tutto il piacere che arrivò, per entrambi.

Kaede accarezzava la testa di Hanamichi che si era profondamente addormentato sul suo petto. Lui al contrario non riusciva a dormire, era ancora troppo piacevolmente sconvolto per quello che era successo. Si era donato al suo do'aho, senza paura né incertezza, come era nel suo carattere, e per questo non si sentiva meno forte, o meno uomo, anzi, era vero proprio il contrario. Se fosse stato uno a cui piaceva scommettere l'avrebbe fatto. Avrebbe scommesso ogni cosa che possedeva sul fatto che non si sarebbe mai stancato a sentire il peso del corpo di Hanamichi su di sé, soprattutto dopo aver fatto l'amore come in quel momento. Gli vennero in mente le parole del suo ragazzo quando, dopo aver visto Michael in palestra che chiedeva al suo Hanamichi di tornare in America, era corso con il cuore gonfio di dolore alla scogliera e Hanamichi l'aveva raggiunto. Ricordava l'angoscia di perderlo ora che lo sentiva così vicino, il fatto che potesse tornare in America con quel tipo ossigenato, lo mandava in bestia. Ma non era successo niente di tutto quello che temeva, anzi, finalmente aveva avuto la sua risposta. Non erano più un io e un tu, ma erano un noi. Un noi che Kaede e Hanamichi avrebbero difeso sempre, un noi che avrebbero costruito giorno per giorno rendendolo sempre più forte e che avrebbero rispettato per il resto della loro vita.
 

Fine

 
Note: Chiedo umilmente perdono per le parti in inglese, non lo so, non l’ho mai saputo e non mi piace neanche. Per farvi capire che livello di odio ho per questa lingua vi basti pensare che il mio prof al liceo consigliava sempre le vacanze studio in Inghilterra, a me mi disse testuali parole: “Se tu andassi in Inghilterra ci sarebbero buone probabilità che in un mese gli inglesi cominciassero a parlare l’italiano”. Dovrei chiedere immensamente perdono anche per la parte scritta in italiano, ma per quella non ho nessuna scusa plausibile.
Cominciamo con i mille ringraziamenti, per primi alle mie recensioniste(come sempre parola inventata...): slanif, Pandora86, e Arcadia_SPH che mi hanno accompagnata per tutti i capitoli, grazie mille ragazze. Grazie mille anche a: Alexis77, Clarabella, fliss90, manuella93, misk, nala_2000, Pandora86, Reginaveleno89 che l’hanno inserita tra le preferite ^///////^, a Clarabella, Reginaveleno89,  Zakurio, che l’hanno  messa tra le ricordate e Atman, Clarabella, Dark_lady88, dome, krikka86, ladymask2012, manuella93, misk, Reginaveleno89, Saruccia, slanif, che l’hanno inserita tra le seguite. Non vi abbandono del tutto lo sapete, sono un tormento e come tale continuerò a rompere, quindi alla prossima!

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