Alla luce del Sole

di Mela Shapley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Sindrome ***
Capitolo 3: *** Oltre il fondo del tunnel ***
Capitolo 4: *** Niente di nuovo sotto il Sole ***
Capitolo 5: *** Rosso come il sangue ***
Capitolo 6: *** I tre vampiri ***
Capitolo 7: *** I benefici del Firewhiskey ***
Capitolo 8: *** Zucchero filato ***
Capitolo 9: *** Riflessi sull'acqua ***
Capitolo 10: *** Verbena ***
Capitolo 11: *** Castelli di carta ***
Capitolo 12: *** La Camera dei Segreti ***
Capitolo 13: *** La tempesta ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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prologo.




La Biblioteca della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts era silenziosa. Nella sezione di Storia della Magia, una delle più distanti rispetto all’ingresso, la luce della luna illuminava gli scaffali ricolmi di libri.
 
Una ragazza era seduta per terra, con la schiena appoggiata al vetro dell’ampia finestra; un Incantesimo Riscaldante era stato strategicamente scagliato a tale vetro per evitare che le temperature gelide di quel marzo scozzese la distraessero dalla lettura.
La persona che da qualche tempo la stava tenendo d’occhio sapeva che probabilmente la ragazza era arrivata in Biblioteca un paio di ore prima, che si era diretta senza indugi verso quella particolare sezione, che aveva Evocato dal nulla i cuscini rossi su cui era seduta e che poi si era messa a leggere uno di quei tomi che sembravano piacerle tanto.
Lo sapeva perché era ciò che l’aveva vista fare quasi tutte le sere da una settimana a quella parte.
 
Forse nei giorni precedenti lei si era accorta della sua presenza, ma evidentemente non aveva dato troppo peso a quello che era solo uno dei tanti studenti che popolavano la Biblioteca a qualsiasi ora del giorno e della sera, seduti ai tavoli a studiare e svolgere compiti. Del resto, sembrava che nulla potesse distrarla o scalfire la sua concentrazione.
Quella sera, in quel momento, loro due erano gli unici presenti: se ne era assicurato, così come si era accertato che nessuno venisse a disturbare la lettrice alla finestra, la quale sfortunatamente – immersa com’era nel suo stupido libro – non si era resa conto che l’ora del coprifuoco era passata da un pezzo.
 
Lumos,” sussurrò, e uscì senza fretta dal buio dello scaffale che l’aveva nascosto alla vista, senza preoccuparsi di fare silenzio. Fingendo di essere appena arrivato in Biblioteca, si avvicinò alla ragazza tenendo alta la bacchetta per illuminare la scena. Lei alzò gli occhi, contrariata per il disturbo. Benedetta ragazza, non aveva idea.

“Ma guarda, un topo di biblioteca. Stai infrangendo il coprifuoco, Miss,” la rimproverò lui.

Buffo, non aveva neppure idea di come lei si chiamasse. Aveva un’aria familiare; probabilmente l’aveva già vista camminare per i corridoi del castello in cui entrambi vivevano. Solo una settimana prima, cioè prima che lei attirasse la sua attenzione, se l’avesse incrociata fuori da Hogwarts non l’avrebbe riconosciuta. Aveva un’aria giovane, ma ad occhio e croce doveva avere al massimo uno o due anni meno di lui.
Lauren? Bonnie? Aveva un’aria da Bonnie. Ma no, non aveva senso cercare di indovinarne il nome. Sarebbe stato tutto più facile se non l’avesse saputo, se lei fosse rimasta semplicemente un’estranea.
Nel frattempo la ragazza aveva adocchiato la sua spilla da prefetto di Serpeverde e si era alzata scompostamente, con un’aria intimidita. Una a cui non piaceva infrangere le regole, ad occhio e croce.

“Ah. Io – ecco,” disse dopo aver lanciato un’occhiata veloce all’orologio da polso, “non mi ero accorta che fosse così tardi. Mi dispiace, torno subito alla Torre.”
“Non così in fretta,” ribattè l’altro. La ragazza lo guardò rassegnata, forse in attesa che lui togliesse qualche milione di punti alla sua Casa. Non le avrebbe tolto punti: se l’avesse fatto, avrebbe dovuto giustificare la cosa con i Capiscuola alla successiva riunione dei Prefetti. Molto meglio che nessuno sapesse nulla di ciò che stava per accadere.

Il ragazzo le puntò la bacchetta al viso.
Stupeficium.”




Note dell'Autrice: questa fanfiction è nata per puro intrattenimento. Avevo voglia di scrivere qualcosa e avevo una mezza idea in testa, quindi mi sono detta: perchè no?
La storia è terminata, anche se necessita di revisione, quindi prevedo di riuscire ad aggiornare a intervalli regolari.
Ammetto di non avere grandi pretese: mi sono divertita molto a scriverla, e spero solo che risulti gradevole a chi avrà la bontà di leggerla.
Alla prossima.

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Capitolo 2
*** La Sindrome ***


I - la sindrome.





La ragazza si svegliò con un urlo. Si mise a sedere sul letto scalciando via le coperte e si infilò le mani tra i capelli, cercando di resistere alla tentazione di strapparli via. Il mal di testa era talmente forte che la loro sola esistenza sul cuoio capelluto la stava facendo impazzire.
 
Dopo pochi secondi, sentì qualcuno scostare la tende del suo letto a baldacchino.
“Katerina?!”
Abigail, la sua compagna di stanza, la guardava con occhi stralunati e capelli biondi arruffati.
“Che diavolo hai?”, continuò, dato che non aveva ricevuto risposta.
Katerina si sforzò di mostrare un sorriso di scuse. Il cuore le batteva all’impazzata.
“Non è niente. Mi spiace, non volevo svegliarti,” sussurrò, spostandosi in modo da appoggiare i piedi per terra, sulla morbida moquette blu. Per un momento il mondo sembrò oscillare.
“Hai gridato,” osservò Abigail seccamente. “Pensavo che qualcuno ti stesse ammazzando… ehi, ma stai bene?” continuò con un tono lievemente più preoccupato.
“Sì, ho solo mal di testa. Devo aver avuto un incubo”.
Per un momento, la sua mente si riempì di nuovo di lampi rossi e sangue. Non ricordava i dettagli del sogno, ma chiuse gli occhi per cercare di scacciare la sensazione di terrore che le aveva lasciato. Quando si sentì pronta, si alzò in piedi, tranquillizzò le altre due compagne di stanza e si diresse verso il bagno. Si guardò allo specchio, prendendo atto con rammarico dei lunghi capelli castani spettinati e delle pesanti occhiaie che circondavano gli occhi scuri. Le tremavano le mani.
La sua immagine riflessa scosse cinicamente la testa.
"Hai un aspetto orribile, mia cara," commentò lo specchio. "Torna subito a dormire."
Katerina sospirò e fece come le era stato ordinato.
 
La mattina dopo, la Sala Grande era insolitamente silenziosa.
Il tavolo dei Professori era completamente vuoto; gli studenti presenti bisbigliavano tra loro, mentre un gruppetto di persone sembrava stretto attorno ad una ragazza del quarto anno di Grifondoro che piangeva.
“Cos’è successo a Barbara Hammond?” chiese Katerina ad Abigail mentre andavano a sedersi al tavolo di Corvonero.
Hayley Watson, la loro campagna di stanza più mattiniera, sussurrò:
“Si tratta di sua sorella. L’hanno trovata ieri sera vicino all’entrata della Sala Comune di Tassorosso.” Hayley fece una pausa. “Pietrificata.”
Costernata, Abigail appoggiò sul tavolo il bicchiere pieno di succo di zucca.
“Cosa, di nuovo la Sindrome?”
“Già.”
Katerina non disse nulla. Non conosceva personalmente le Hammond, ma sapeva che la sorella minore era solo al secondo anno. Probabilmente non aveva avuto modo di difendersi da qualunque cosa l’avesse colpita.
 

La scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts non era la scuola di magia più antica al mondo, né la più ricca, né la più stimata; ma i suoi nove secoli di storia davano lustro alla tradizione magica inglese. Ogni abitante non-Babbano della Gran Bretagna era orgoglioso di poter mandare i propri figli a studiare nel luogo dove i più colti esponenti della società magica si riunivano con lo scopo di educare, crescere e proteggere i più giovani.
Quei maghi e quelle streghe che non erano accecati dall’orgoglio, tuttavia, sapevano bene che Hogwarts non era un paradiso. Solo una decina d’anni prima la scuola era stata protagonista dello scandalo Torrence, il professore di Difesa contro le Arti Oscure dell’epoca, che aveva sfruttato alcuni studenti come cavie umane per i suoi esperimenti in materia di Maledizioni Oscure. Il professore era stato licenziato, rinchiuso nel reparto di Malattie Mentali del San Mungo e la vicenda era stata messa parzialmente a tacere.
 
E ora, pensò Katerina, il Preside di Hogwarts si ritrovava nuovamente tra le mani un problema potenzialmente distruttivo per la buona immagine della Scuola.
 
Il primo studente ad essere pietrificato era stato un Grifondoro del quinto anno, un compagno di corso di Katerina. Il suo corpo giaceva immobile da oltre tre settimane in Infermeria, senza che nessuno fosse riuscito a trovare una soluzione per risvegliarlo da quel coma magico. La cosa era stata inizialmente fatta passare sotto silenzio dai professori, anche se qualcuno di non precisato aveva diffuso la voce che il ragazzo fosse stato colpito da una malattia sconosciuta.
Quando la seconda vittima, una Tassorosso del terzo anno, era stata ritrovata in un bagno al secondo piano, la situazione era sfuggita di mano. Il ritrovamento era stato effettuato in pieno giorno, e mezza scuola aveva assistito al trasporto della ragazza in Infermeria. Nel castello si erano diffuse le voci più disparate, ma la teoria che in qualche modo era riuscita a prevalere spiegava che i due ragazzi erano stati infettati da una misteriosa malattia magica, a cui la popolazione studentesca aveva iniziato a riferirsi con il termine “la Sindrome”. E ora il numero delle vittime della Sindrome era appena salito a tre.
 
“Pensate che dopo questa notizia, gli studenti cominceranno a tornare a casa?”, chiese quietamente Katerina ai suoi compagni di Corvonero.
“Stamattina ho sentito dire che presto i gemelli Malfoy si trasferiranno nella loro villa in Francia,” annunciò Barnabas Carter.
“Non sarà mai abbastanza presto”, ribattè Hayley. “Comunque sia, io non voglio andarmene. Sono sicura che il Preside Dippet troverà una soluzione. E poi quest’anno abbiamo i G.U.F.O., non possiamo semplicemente tornare a casa come se niente fosse.”
“Voglio proprio vedere come farai a studiare per gli esami quando sarai anche tu pietrificata in Infermeria,” commentò  Barnabas in tono sarcastico. Hayley gli lanciò un’occhiata assassina.
“Secondo il suo apprendista, il Professore di Erbologia potrebbe aver trovato una soluzione. Sta cercando di sfruttare le proprietà delle Mandragole per risvegliare i ragazzi pietrificati”, dichiarò Matilda Marchbanks.
La conversazione si spostò sulle suddette proprietà magiche delle Mandragole e proseguì per tutta la durata della colazione. Nessuno dei Professori si presentò in Sala Grande per fare alcun tipo di annuncio.
 
Mentre si dirigeva alla lezione di Aritmanzia, Katerina fece del suo meglio per ignorare la  sensazione di disagio che la tormentava da quando si era svegliata dopo l’incubo. Sentiva uno strano formicolio sul collo, come se qualcuno la stesse osservando intensamente. Si voltò un paio di volte, alla ricerca di qualcosa che le motivasse quella sensazione, ma non vide nulla di fuori dall’ordinario. Quando Abigail le chiese se stesse cercando qualcuno, si limitò a scrollare le spalle e a rispondere negativamente. L’altra non indagò oltre.
 
Al termine della lezione, tuttavia, sentì che l’Aritmanzia non aveva per nulla contribuito a mitigare la sua emicrania, come del resto era ragionevole aspettarsi.
“Ancora mal di testa?”, le chiese Matilda in tono comprensivo. Katerina, con le mani che le ricoprivano la fronte e appoggiata con quasi tutto il peso del corpo sul banco, annuì sconsolata.
“Già. Credo che andrò in Infermeria a farmi dare una pozione. Se ritardo, vi scusereste con Lumacorno da parte mia?”
Alla risposta affermativa delle altre, Abigail saltò su dicendo, “Ti accompagno. Con quella pelle bianchiccia  e gli occhi iniettati di sangue fai più paura del Barone Sanguinario, e noi non vogliamo spaventare le matricole, giusto?”
Katerina la fissò interdetta per qualche istante. Abigail aveva un suo modo strano di dire ogni cosa con la massima serietà, ma dopo cinque anni di conoscenza Katerina aveva capito che era più che altro un modo per mascherare ciò che le passava davvero per la mente, o forse per nascondere un particolare senso dell’umorismo. In ogni caso per lei era sempre difficile stabilire se la ragazza scherzava o no.
Sorvolando sui commenti poco lusinghieri relativi alla sua pelle e ai suoi occhi, la ringraziò e insieme si avviarono verso l’Infermeria.
 
Nel loro percorso vennero ostacolate da una mandria composta principalmente da studenti del secondo anno, ma una volta arrivate a destinazione scoprirono che non c’era nessuno.
“Madama Wainscott?”, chiamò Katerina, ma la paffuta infermiera non si vedeva da nessuna parte. Quando si voltò verso l’amica per proporle di tornare indietro, si rese conto che l’altra non era più al suo fianco. Spostò lo sguardo sui letti bianchi e vuoti dell’Infermeria, sugli armadi alle pareti e infine verso il fondo della stanza, dove Abigail si stava dirigendo a passo sicuro. Davanti a lei erano state innalzate delle tende divisorie. Katerina vide la testa bionda scostare le tende e sbirciare con cautela dietro di esse, per poi voltarsi nuovamente verso di lei.
“Kat!”, la chiamò in tono eccitato. “Guarda qui!”
Katerina, che la stava già raggiungendo, le si affiancò curiosa e diede un’occhiata a quello che l’amica le stava indicando.
 
Davanti a loro era affiancati tre letti, disposti in modo perpendicolare alla parete. Sui letti erano stese tre forme scure, immobili e coperte interamente da un lenzuolo bianco. Quella vista le lasciò una forte sensazione di disagio nello stomaco: sapeva che non era così, ma sembrava quasi che qualcuno avesse abbandonato lì dei cadaveri.
“Gli studenti pietrificati,” disse in un soffio. Nel frattempo Abigail aveva allungato una mano e aveva bussato con decisione su quello che doveva essere il piede dello studente più vicino, come per saggiarne la consistenza. Non contenta, si avvicinò ulteriormente e abbassò le lenzuola in modo da scoprire i volti di due di loro, prima uno e poi l’altra.
Con un certo disagio, Katerina osservò i loro corpi: sembravano più statue che persone vere. I loro visi avevano qualcosa di strano, però.
“Accidenti, sembrano proprio statue di pietra,” commentò serafica Abigail, rispecchiando senza saperlo i suoi pensieri.
“Abigail, guarda le loro facce,” sussurrò Katerina. “Non ti sembra che ci sia qualcosa di strano? Ci hanno detto che la malattia li ha trasformati all’improvviso… ma allora perché Hammond e Finnigan hanno quello sguardo terrorizzato?”
Abigail soppesò le espressioni distorte dal terrore delle due vittime, e andò ad abbassare il lenzuolo anche nell’ultimo letto.
Lo sguardo della terza vittima non era rilassato, ma poteva essere descritto al massimo come di vaga sorpresa. Che strano.
 
All’improvviso sentirono dei passi giungere in lontananza, e le due ragazze si affrettarono a risistemare le lenzuola e a tornare verso il centro della stanza. Quando l’infermierà entrò, Katerina cercò di nascondere uno sguardo colpevole e le chiese prontamente la pozione che era venuta a cercare.
Mentre si dirigevano verso la lezione di Pozioni, Abigail e Katerina confabularono su quello che avevano appena visto.
“La Sindrome potrebbe causare allucinazioni prima di pietrificare la vittima. Questo spiegherebbe perché quei due sembravano così spaventati,” disse ad un certo punto Abigail.
“Oppure potrebbe non essere affatto una malattia,” ribattè pensierosa Katerina. Abigail non rispose.
 
Arrivarono in aula in contemporanea al professor Lumacorno, il quale dichiarò, con estremo disappunto della sua classe di Corvonero e Serpeverde, che quel giorno ci sarebbe stato un “amichevole” test a sorpresa per verificare le loro conoscenze sulla Pozione Rinforzante. Ringraziando mentalmente Merlino per essersi liberata dal mal di testa, Katerina si apprestò a disporre fogli e calamaio sul banco e impugnò la penna.
 
Katerina Farley, Corvonero, scrisse sul margine in alto a destra del foglio. Test Teorico di Pozioni, 5 marzo 1943.
 
 

* * *


 
Biblioteca, di nuovo. Sezione di Storia della Magia, di nuovo. La scena era quasi identica a quella della sera precedente, con una piccola differenza: la ragazza, stavolta, non stava avidamente leggendo un libro, ma sonnecchiava con la testa appoggiata al muro. Una posizione che l’avrebbe di sicuro lasciata dolorante, ma lui non sarebbe certamente andato a svegliarla.
 
Il suo nome non era né Lauren né Bonnie: era Katerina, come aveva scoperto quel giorno seguendola da una parte all’altra del castello. Era una studentessa del quinto anno di Corvonero; aveva frequentato le lezioni di Aritmanzia, Pozioni e Incantesimi, con una breve deviazione in Infermeria durante la mattinata. Chiaramente non aveva potuto tenerla d’occhio durante le lezioni, ma la sera prima le aveva lanciato contro un piccolo e utile Incanto Localizzatore che gli aveva permesso di ritrovarla senza problemi durante le pause. Prima di cena era stata in Biblioteca a fare compiti; dopo cena era ritornata in Biblioteca – che originalità – dove però si era addormentata quasi subito. Era prevedibile che fosse stanca dopo gli eventi della sera prima; non che lei potesse ricordarli, ovviamente.
 
Il Prefetto si disse per l’ennesima volta che non era strettamente necessario controllarla per tutto il tempo – però, era meglio così. Mancava ancora più di mezz’ora al coprifuoco; la Biblioteca era popolata da una ventina di studenti, e lui se ne stava seduto a un tavolo a rileggere la lezione di Trasfigurazione del giorno.
Era concentrato su un passaggio teoricamente molto complesso sugli Incantesimi Trasmutatori, quando gli capitò di lanciare distrattamente un’occhiata verso la sezione di Storia. Quello che vide lo fece sobbalzare sulla sedia.
La ragazzina era sparita.
 
Maledicendo la propria distrazione, il Prefetto fece un breve giro nei dintorni per controllare che lei non fosse nelle vicinanze. Tornato al tavolo, buttò alla rinfusa libri e quaderni dentro la borsa e si precipitò fuori dalla Biblioteca.
Guidami”, sussurrò quando giunse al primo bivio. La bacchetta gli indicò di salire le scale. Probabilmente la ragazza era troppo assonnata per studiare e aveva deciso di tornare in Sala Comune. Niente di strano, niente che presupponesse qualcosa di male. Ma sentiva il bisogno di vederla. Doveva esserne sicuro, e poi anche lui sarebbe potuto tornare nei Sotterranei e non pensarci più.
 
Forse l’aveva visto in Biblioteca? L’aveva riconosciuto? Ma no, non era possibile.
 
Sempre guidato dalla bacchetta, si affrettò lungo il corridoio deserto del terzo piano. La ragazza non poteva essere troppo distante. O forse sì? Per quanto tempo era stato assorbito dalla lettura di Trasfigurazione? Non sapeva dirlo per certo.
Svoltò l’angolo e si trovò davanti una scena che gli fece gelare il sangue nelle vene.
 
Il corridoio era poco illuminato. Delle fiaccole alle pareti creavano ombre agitate sui muri spogli: non c’erano quadri. Era la zona della vecchia aula di Pozioni, andata in disuso quando la precedente Maestra di Pozioni aveva deciso di trasferire la sua sede nei Sotterranei. In quella zona, da quanto ricordava, restavano solo aule vuote.
 
E al centro del corridoio la ragazza era stesa a terra, immobile, con gli occhi aperti e la testa reclinata su un lato. Un’orribile ferita le sfigurava una guancia, proseguendo in un impressionante squarcio sul collo. I lunghi capelli le circondavano il capo come un’aureola; l’orecchio sinistro non c’era più. Il maglione era stato strappato in due da qualcosa di appuntito, e la camicia bianca sottostante mostrava un’enorme macchia rossa. Il sangue era ovunque: sotto la ragazza, sulle pareti; era schizzato persino sulla finestra a due metri di distanza. Sul pavimento si potevano indovinare segni di trascinamento.

Anche da qualche metro di distanza, il Prefetto seppe con assoluta certezza che il cuore di Katerina non batteva più.










Note dell'Autrice: nel prossimo capitolo verranno date alcune spiegazioni relative ai vampiri nel mondo magico, cui la Rowling ha solo accennato. In questa storia, le loro caratteristiche sono liberamente tratte da fonti diversi, in particolare dal telefilm The Vampire Diaries. Sottolineo comunque che per leggere la fanfiction non è assolutamente necessario avere visto la serie: verrà tutto spiegato.
Il nome della protagonista, Katerina, è un omaggio a uno dei personaggi di TVD, Katherine Pierce; di fatto, i due personaggi condividono solo il nome.
Alla prossima.

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Capitolo 3
*** Oltre il fondo del tunnel ***



II - oltre il fondo del tunnel.





Dal capitolo precedente:

E al centro del corridoio la ragazza era stesa a terra, immobile, con gli occhi aperti e la testa reclinata su un lato. Un’orribile ferita le sfigurava una guancia, proseguendo in un impressionante squarcio sul collo. I lunghi capelli le circondavano il capo come un’aureola; l’orecchio sinistro non c’era più. Il maglione era stato strappato in due da qualcosa di appuntito, e la camicia bianca sottostante mostrava un’enorme macchia rossa. Il sangue era ovunque: sotto la ragazza, sulle pareti; era schizzato persino sulla finestra a due metri di distanza. Sul pavimento si potevano indovinare segni di trascinamento.
Anche da qualche metro di distanza, il Prefetto seppe con assoluta certezza che il cuore di Katerina non batteva più.


 
* * *



Il corpo di Katerina sussultò come percorso da una scarica elettrica, e si tirò su a sedere di scatto. La sua mano salì a toccare la parte sinistra del viso, e non appena prese contatto con la pelle dilaniata iniziò a tremare ancora più forte di prima. I suoi arruffati capelli scuri, incrostati di polvere e sangue, le ricoprivano le spalle esili; le condizioni in cui si trovava la facevano apparire come una figura tragica, molto più giovane di quel che era in realtà. Lentamente, dalla sua gola uscì un verso a metà tra un urlo di dolore e di paura. Più che un essere umano, sembrava un animale in trappola e gravemente ferito.
Il Prefetto per un momento la guardò agitarsi e sussurrare qualcosa che assomigliava a “no, no, no…”. Sospirò stancamente tra sé e sé: sarebbe stata una cosa lunga.

Si sentiva semplicemente furioso, nonché incredulo. Non era così che doveva andare: non era quello il finale che aveva previsto per quella storia. Quella ragazzina non avrebbe dovuto trovarsi lì, in quel momento, in quelle condizioni; non era giusto, non per lei e soprattutto non per lui. Aveva fatto tutto il possibile per evitare che tutto degenerasse fino a quel punto, ma non era stato in grado di gestire le cose per colpa di stupide e impreviste forze esterne. E ora entrambi erano lì, e lui era pronto a iniziare una conversazione che non aveva nessuna voglia di intraprendere; sospettava che lei avrebbe avuto ancora meno voglia di sentirla. Di certo lui non ricordava con affetto quella volta, mesi fa, in cui si era ritrovato in quello che ora era il posto di lei.
Non sapeva se essere più arrabbiato con la ragazza, per l’incredibile sfortuna che aveva dimostrato riducendosi in quello stato, o con chi effettivamente l’aveva ridotta così, chiunque fosse. Era una bella gara.

“Ehi,” disse seccamente, tanto per rendere nota la sua presenza.
Se possibile, Katerina sobbalzò ancora più violentemente di prima. Si girò a guardarlo, sistemandosi con cautela sopra i banchi dell’aula in disuso di Pozioni. Il ragazzo fece una smorfia impercettibile: il viso di lei, che normalmente era tondo e liscio, non era in un bello stato. Si appoggiò con la schiena al muro dietro di lui e incrociò le braccia, in attesa che la ragazza finisse di guardarsi intorno e di valutare la situazione.
“Chi sei?” chiese alla fine Katerina. “Cosa… cosa mi è successo?”
“Mi chiamo Louis. Sono di Serpeverde, un anno avanti a te. Forse mi hai visto in giro: sono un Prefetto. No?” disse lui, notando un’espressione calcolatrice negli occhi scuri della ragazza. Non sapeva dire se l’avesse riconosciuto o meno, e lei non disse nulla. La osservò ancora per qualche istante; prima che si risvegliasse aveva fatto giusto il minimo necessario per pulirle il volto dal sangue, e non era stato sufficiente.

“Per quanto riguarda quello che ti è successo… per quello ci vorrà un po’ di tempo. Abbiamo una lunga conversazione da fare.”
“Perché ho le mani coperte di sangue?”, chiese subito dopo Katerina. “E perché…” una mano risalì nuovamente a toccare prima lo squarcio sul collo, e poi la ferita sul viso. “…oddio. Oddio” terminò affannosamente. Ricominciò a dimenarsi per scendere dal banco.
“No, no! Non ti agitare. Le tue ferite non ti daranno nessun problema, quindi per ora ignorale. Ti fanno male?” chiese velocemente Louis.
La ragazza scosse il capo in un titubante segno di diniego. Ora lo guardava con occhioni sgranati, pieni di aspettativa. Durante il tempo trascorso ad attendere che si risvegliasse aveva messo a punto tutto il discorso che le avrebbe fatto; si era preparato parole confortanti, spiegazioni logiche e razionali, toni di speranza.
Beh, ora non si ricordava neppure mezza parola. Come procedere?
“C’è stato un attentato,” disse alla fine. Lei continuò a fissarlo, aggrottando la fronte.
“Di nuovo la Sindrome?”, sussurrò. La Sindrome? Quella malattia era sicuramente inquietante, ma non riusciva ad immaginare perché lei l’avesse associato alla parola attentato.
“Non lo so. E’ possibile,” concesse lui. “Ma stavolta la vittima è morta.”
“Cosa?”. Katerina respirò affannosamente. “Chi è morto?”
“Beh, tu.”
La ragazza lo fissò come se gli fossero spuntate due teste.
Louis sospirò. Sarebbe stata una cosa molto, molto lunga.

 
* * *



Katerina si sentì in dovere di sottolineare l’ovvio.
“Ti sbagli. Non sono morta. Non sarei di certo qui a parlare con te, se lo fossi,” disse lentamente. Sicuro, continuò tra sé, non so dove sono né perchè apparentemente sono senza mezza faccia. Ma non sono morta. Morta? Ridicolo. Quelli non erano scherzi da fare a una persona che si era appena risvegliata in un’aula sconosciuta, senza ricordare perché ci fosse arrivata e nemmeno perché fosse completamente coperta di sangue.
Quella situazione era surreale. Non si era mai sentita così confusa e impaurita, nemmeno nel peggiore degli incubi. Il sangue che le sporcava il viso e le mani era quasi sicuramente suo, lo sapeva. Moriva dalla voglia di Evocare uno specchio per controllare cosa le fosse successo al viso, ma non aveva il coraggio di farlo. E poi perché diavolo la ferita non le faceva male?

“Senti… allora, è una cosa molto lunga da spiegare, perciò devi prestare attenzione,” ricominciò Louis in tono un po’ annoiato. Si staccò dal muro e si sedette su una sedia, rivolto verso di lei.
Lo osservò per bene. Inizialmente non era riuscita ad associare la sua faccia a un nome, ma ora che si era presentato si ricordava di averlo visto qualche volta in giro per il castello. Lo conosceva, certo, come si conosce un compagno di scuola con cui non hai mai parlato: di vista. Era alto, magro, con una zazzera di riccioli color biondo scuro, ed era il Prefetto di Serpeverde che una volta aveva tolto cinque punti ad Abigail per avergli tagliato la strada. Qual era il suo cognome?
“Dimmi solo cosa mi è successo stasera, e perché sono qui,” gli ordinò Katerina. L’agitazione data da tutta quella situazione assurda la stava facendo irritare.
“Va bene, se proprio insisti. Questa parte della storia è molto breve. L’ultima volta che ti ho vista ancora in vita stavi dormendo nella sezione di Storia in Biblioteca. Mi sono distratto, e quando ad un certo punto ho alzato gli occhi non c’eri più. Allora sono uscito dalla Biblioteca e ho cominciato a cercarti. Pensavo che fossi semplicemente stanca e volessi tornare alla tua Sala Comune.”
“E’ così,” confermò debolmente lei, spostando le gambe a penzoloni sul banco. Le si erano quasi addormentate. Corrugò la fronte: si ricordava la serata in Biblioteca. Era stata una perdita di tempo, visto che effettivamente si era assopita per poi risvegliarsi con un dolore incredibile al collo. In quello che il ragazzo aveva appena detto, però, c’era qualcosa che non tornava. “Ma perché…?”
“Te lo dico dopo il perché mi sono messo a cercarti,” la interruppe sgarbatamente Louis. “Quella è la parte più interessante della storia, non voglio certo rovinartela. Riassumendo, quindi, mi sono diretto verso la Torre di Corvonero. Ti ho trovata nel corridoio appena fuori da questa stanza. Siamo nella zona delle aule abbandonate del terzo piano, nel caso non l’avessi capito. Zona che, oserei dire, non si trova affatto lungo il tragitto tra la Biblioteca e la tua Sala Comune. Che ci facevi qui?” le chiese lui. Sembrava quasi arrabbiato.
“Non sono affari che ti riguardano,” rispose di rimando lei. Terzo piano? Aule abbandonate? La verità era che non aveva idea del perché lei fosse lì. E non si fidava affatto di quel ragazzo: le aveva appena detto che lei era morta, per l’amore di Merlino. O forse era da interpretare come una minaccia?

“Come no,” Louis scrollò le spalle. “Resta il fatto che quando ti ho trovata non eri, diciamo, in un bello stato. Eri stesa per terra, coperta di sangue, con un buco sul collo e indubbiamente morta. Qualcuno o qualcosa deve averti aggredita. Cosa diavolo è stato? Non ho mai visto ferite del genere prima d’ora.”
Katerina, senza parole, si limitò a scuotere la testa. Il suo cervello continuava a non fornire risposte. Non riusciva a metabolizzare quello che Louis le stava dicendo: era come se stessero parlando di una terza persona.
“Mmm. Comunque sia, ti ho trasportata dentro quest’aula e ho pulito il macello che c’era in corridoio. Sono passate tre ore, ed eccoci qui. Fine della storia. Deludente, lo so.”
“Tre ore?” ripetè lei. Sentì l’impellente bisogno di controllare l’orologio da polso. Era vero: era mezzanotte passata. Dopo averci pensato su un attimo, controllò con un Incantesimo che non fosse stato manomesso. Non era così: era davvero mezzanotte passata, e lei aveva un buco di tre ore che non poteva spiegare. Mentre rifletteva furiosamente, le parole le uscirono da sole di bocca.

“Hai detto che sei andato verso la Torre per vedere dove fossi finita: ma allora come hai fatto a trovarmi, se davvero siamo in un posto fuori percorso? Dubito che tu mi abbia cercata per tutto il castello. E poi perché mi stavi cercando?”
Louis la fissò come interdetto per un paio di secondi.
“Ti ho appena detto che ho trovato il tuo cadavere dilaniato in mezzo al corridoio, e questo è ciò che ti ha colpita di più?”, le chiese perplesso. “Non sono storie che capita di sentire tutti i giorni, pensavo che saresti stata più impressionata. O stai cercando di cogliermi in fallo per farmi ammettere che sono tutte bugie? Ti ho detto la verità, sai. Sei davvero morta. E per la cronaca, non ti ho uccisa io.”
“Non hai risposto alla domanda.”
“Va bene, va bene. La risposta è: no, non ho perlustrato tutto il castello. Ti ho trovata subito perché ieri ti ho lanciato un Incanto Localizzatore.”
Katerina sentì una fitta di paura.
“Cosa? Perché?”
“Per sapere dove fossi, ovviamente,” rispose Louis inarcando un sopracciglio.

Questo era troppo. Katerina scese dal banco e si tirò su in piedi, guardando Louis con ostilità.
“Senti, non so cosa tu voglia da me, ma non resterò qui un secondo di più. So che sei pazzo e probabilmente anche pericoloso, ma lasciami subito in pace e forse non ti denuncerò ai professori,” gli disse seccamente.
Stava per abbassare la maniglia della porta e uscire dall’aula, ma prima che la sua mano arrivasse a destinazione si sentì spingere con forza di nuovo al centro della stanza. Cadde rovinosamente per terra. All’improvviso c’era qualcosa di spaventoso che si frapponeva tra lei e la porta.

Era Louis, ma allo stesso tempo non lo era.

Gli occhi del ragazzo ora erano rossi, iniettati i sangue. Le vene sul suo viso erano in risalto come nuove cicatrici. Dalla sua gola proveniva un basso ringhio minaccioso, e sulla sua bocca erano ora in evidenza denti innaturalmente allungati e appuntiti.
La osservò dall’alto al basso per qualche momento. Katerina non si era mossa, bloccata sul pavimento dalla sorpresa e dal terrore a guardare a bocca aperta la scena davanti a lei. Si aspettava di essere aggredita da un momento all’altro, di sentire quei denti chiudersi attorno alla sua gola e tirare.
Così com’era arrivato, il mostro improvvisamente scomparve, lasciando solo un minaccioso bagliore rosso negli occhi di Louis.
“Non così in fretta,” sibilò con voce rauca. “Abbiamo ancora un paio di cose di cui discutere. E poi non è sicuro girare per il castello senza questa.”
Dalla tasca tirò fuori la bacchetta di Katerina e cominciò a rigirarsela casualmente tra le mani.
“Cosa sei?”, balbettò Katerina appena si sentì in grado di parlare. Louis sorrise amaramente.
“Sono la stessa cosa che ora sei anche tu,” rispose, e poi alzò un sopracciglio. “Sono un vampiro.”

 
* * *



La reazione della ragazza, doveva ammetterlo, fu impagabile.
L’espressione sul suo volto, da un quarto apprensione e tre quarti paura, passò a puro e sconfinato orrore.
Quella ragazzina, pensò Louis tra sé mentre aspettava che lei si riprendesse dallo shock, aveva qualche rotella fuori posto. Qualcosa nella sua testa la faceva scivolare senza preavviso da un atteggiamento remissivo a uno più aggressivo, e viceversa. Come ora, ad esempio: nel giro di mezzo secondo non era più un animaletto spaventato e raggomitolato al centro della stanza, ma si era alzata a fronteggiarlo con un’espressione di massima serietà.

“Quello che dici,” disse lei lentamente, come se stesse parlando a una persona tarda di comprendonio, “non ha il minimo senso. Se fossi diventata un vampiro, me ne sarei accorta. Quanto a te, non so quale sia il tuo problema, ma penso che se ci fosse davvero un vampiro ad Hogwarts qualcuno l’avrebbe sicuramente scoperto e ucciso. Quindi,” concluse in tono pratico, “non vedo come… la cosa ti fa ridere?”
Sentendola parlare, Louis era sbuffato in una mezza risata.

“Per niente.” Continuò a sorridere sarcastico solo perché aveva intuito che la cosa le dava fastidio. “Ero solo compiaciuto: non mi sono mai reso conto di quanto io sia stato in gamba a sfuggire alla polizia dei vampiri per tutto questo tempo. Senti,” aggiunse in tono più serio, prima che lei lo interrompesse per insultarlo, “so che è difficile da credere, ma abbiamo molte cose di cui parlare, e alla fine della nostra chiacchierata forse le cose ti saranno un po’ più chiare. Non te ne andrai da qui fino a che non avremo sistemato i dettagli. Tra parentesi: coraggioso da parte tua cercare di andartene come se nulla fosse poco fa, ma la porta ovviamente è chiusa con un incantesimo, e come vedi la tua bacchetta è in mano mia. Morale della favola, non hai molta scelta in proposito. Ora siediti, oppure ti lego a una sedia.”
La osservò abbandonare l’atteggiamento ribelle e sedersi con un sospiro sopra il banco di prima. Distolse gli occhi da lui e abbassò il capo per osservare le sue mani ancora rosse di sangue. Ci fu un momento di silenzio.

 
* * *



“Non ha senso,” ripetè Katerina, lanciando uno sguardo veloce al ragazzo di fronte a lei. “I vampiri sono creature Oscure, prive di anima e assetate di sangue umano. Lo sanno tutti. Tu dici di essere un vampiro, ma sembri… normale. Più o meno. A parte poco fa.”
“Ti ringrazio,” commentò il ragazzo in tono sarcastico. “La verità è che le informazioni sui vampiri che come dici tu sanno tutti sono false, o a voler essere gentili interpretate male.”
“Cosa intendi dire?”
“Sveglia, Katerina,” disse tranquillamente. “La comunità di maghi e streghe non è certo famosa per avere a cuore le minoranze magiche. Sirene, elfi, lupi mannari, goblin, vampiri… dire che vengono considerati come cittadini di seconda scelta è un eufemismo. Esiste una regolamentazione, ma la verità è che chi se ne occupa non vuole affatto che le minoranze si integrino, ma semmai che se ne vadano il più lontano possibile. Nessuno è mai stato sufficientemente interessato da cercare di capire come stanno veramente le cose. Guarda tutti i pregiudizi che esistono nei confronti dei Nati Babbani, e loro sono esseri umani esattamente come i Purosangue.”

“Stai dicendo che tutte le voci che circolano sui vampiri sono mistificazioni inventate per screditarli?” domandò Katerina. Nonostante la situazione fosse surreale, la sua anima di Corvonero trovava quei discorsi interessanti.
“Non proprio,” ammise Louis. “Sto dicendo che siamo creature Oscure, prive di anima e assetate di sangue umano. Beh, forse proprio senz’anima no, anche se a volte la sensazione è quella. Ciò che voglio farti capire è che i maghi non conoscono davvero i vampiri, perché questi tendono a vivere isolati dalle comunità magiche a causa della paura che gli altri nutrono nei loro confronti. Nel corso dei secoli la paura spesso si è trasformata in caccia, odio e morte; perciò i vampiri preferiscono restare nell’ombra, spesso da soli. Un po’ come vivevano i maghi per nascondersi dai Babbani prima che entrasse in vigore lo Statuto di Segretezza.”
“Ma tu non vivi nell’ombra. Frequenti una scuola piena di persone.”
“Esatto. Ho potuto continuare a frequentare la scuola perché ho approfittato dei pregiudizi e delle leggende. Nessuno mi ha scoperto perché nessuno sa davvero come riconoscere un vampiro. Questo tornerà utile anche a te.”
Ignorando l’ultima affermazione, Katerina ragionò, “Non posso credere che mai nessuno abbia studiato seriamente i vampiri. Nel corso dei secoli sono vissuti grandi ricercatori; qualcuno di loro deve aver studiato le creature Oscure. Newt Scamander, ad esempio, è noto per…”
“Qualcuno probabilmente l’ha fatto, ma non abbastanza da scardinare il mito,” la interruppe Louis.
“Ma queste cose ce le insegnano a scuola. Li abbiamo studiati al terzo anno.”
“E in quanto Corvonero sapere che la scuola ti insegna cose sbagliate ti inorridisce. Lo so. E’ la dura realtà.”
Katerina si lasciò sfuggire un’incerta mezza risata. Louis sembrò rilassarsi.

“Dai, allora dimmi quello che sai”, la spronò incrociando le braccia.
“Beh, più o meno… più o meno quello che ho detto prima. I vampiri sono creature Oscure semiumane, più precisamente considerate non-morte. Per sopravvivere hanno bisogno di bere sangue umano, e per ottenerlo dissanguano le vittime spesso fino a ucciderle. Sono particolarmente abili a incantare i loro bersagli. Possono essere allontanati con pozioni a base di aglio e uccisi con un paletto di legno.”
Louis cominciò a contare con le dita.
“Dunque, l’alimentazione e il metodo per assassinarli corrispondono alla realtà, più o meno. Di fatto siamo morti, è giusto. Non è esattamente vero che abbiamo bisogno di sangue per sopravvivere, perché un vampiro resta comunque in vita anche senza berne, ma non è consigliabile rimanere per molto tempo senza nutrirsi. La maledizione che ci avvolge è talmente potente da renderci immortali: un vampiro non invecchia; potenzialmente, è in grado di vivere per sempre. Si dice che là fuori esistano vampiri millenari.”
Katerina lo guardò affascinata.
“Poi non è necessario dissanguare le vittime… diciamo che va a gusti personali. La storia del paletto di legno è tristemente vera. Un bel paletto impiantato nel cuore, e torni ad essere polvere nella polvere. Lo stesso effetto ha una bella decapitazione, anche se con molta meno eleganza. Infine, le pozioni a base di aglio non servono a nulla, a parte dare un tocco di ironia a tutta la storia. Ciò che fa davvero effetto è la verbena, una pianta tossica per i vampiri.”
“E come si diventa vampiri? Si nasce?” chiese con interesse Katerina.
“No. Vampiri non si nasce.” Si fermò per un momento a guardarla, come soppesando qualcosa. Poi si decise a continuare. “C’è un unico modo per diventarlo, e consiste nel morire poco dopo aver ingerito sangue di vampiro.”

 
* * *



Katerina sembrò valutare la frase, mentre probabilmente nella sua testa cominciava a suonare un campanello d’allarme. Louis la osservò mentre si faceva i metaforici due conti.
“Quindi io… mi hai detto che ora sono un vampiro. Mi hai detto che sono morta - ho ferite spaventose sul collo e sullo stomaco, e non esce sangue,” aggiunse bruscamente, come se nella sua testa qualcuno avesse sollevato un’obiezione. “Sarei un vampiro solo se fossi morta con sangue di vampiro in circolo. Perché mai avrei dovuto ingerirne?” concluse la ragazza, stringendo gli occhi. “Perché stasera mi stavi seguendo?”
Louis scommetteva che non l’avrebbe presa bene.
“Katerina, è da una settimana che ti seguo. Ti ho vista in Biblioteca qualche tempo fa e mi sono reso conto che eri sempre da sola. Stavi ore e ore a studiare per conto tuo, a volte anche dopo il coprifuoco. Ho passato un po’ di tempo per assicurarmene, ma poi ho deciso che nessuno si sarebbe accorto se tu fossi sparita per un po’.”

La ragazza lo stava guardando a bocca aperta, respirando sempre più a fatica.
“Cosa mi hai fatto?”
“Ieri sera ho aspettato che tutti uscissero. Avevo lanciato un Incanto Attenuante per fare in modo che nessuno ti disturbasse e che tu non ti rendessi conto dell’orario. Ti ho Schiantata, Disillusa e Levitata fino a una zona più nascosta.”
Katerina ora era pallidissima.
“Tu… ti sei nutrito del mio sangue?!” esclamò con voce più acuta del normale, allontanandosi di qualche passo da lui. Louis scrollò le spalle.
“Eri la vittima perfetta. Nulla di personale: se non fossi stata tu, sarebbe stato qualcun altro.”
“Ma io non ricordo nulla di tutto questo!”, gridò la ragazza mettendosi le mani tra i capelli. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. “Mi risveglio in un’aula vuota, senza sapere perché sono coperta di sangue, e tu mi dici che sono morta, che sono diventata un vampiro e… e che sono stata aggredita per due sere di fila da due persone diverse! E io non ricordo nulla!”. Gli puntò sprezzante un dito contro. “Ma non è così che è andata, vero? Nessuno è talmente sfortunato da essere attaccato per due giorni di fila da persone differenti. Sei stato tu.”
“No,” sospirò Louis. “Anche se sono d’accordo con te. E’ assurdo che qualcuno sia così sfortunato.”
“Non ti credo,” scandì rabbiosamente Katerina, mentre le lacrime cominciavano a scenderle lungo le guance. Camminò verso la porta, avvicinandosi a lui. “Perché dovrei fidarmi della parola di un vampiro? Fammi uscire! Me ne voglio andare.”
“Non vai da nessuna parte,” la contraddisse lui.
Katerina lo guardò con odio. Improvvisamente alzò i pugni e cominciò a colpirlo.
“Fammi – uscire!” Continuando ad attaccarlo, allungò una mano per cercare di afferrare la sua bacchetta, ma Louis le intercettò il polso.
“Ehi, ferma, ma che diamine fai?”
La ragazza lo colpì al volto con l’altra mano. Afferrò anche quella. Ora le teneva saldamente i polsi con entrambe le mani, ma lei cercava inutilmente di divincolarsi dalla presa.
“Ferma!” Le assestò un paio di scrolloni e lei sembrò bloccarsi. Abbassò il viso verso il suo per guardarla bene negli occhi; era più alto di lei di quasi tutta la testa.

“Senti, pazza, puoi arrabbiarti quanto vuoi, ma quel che è successo è successo. Ti ho detto la verità: ti ho aggredita la prima sera, ma non la seconda. , mi sono nutrito del tuo sangue. Non ti ricordi nulla perché sei rimasta Schiantata per la maggior parte del tempo, e quando ti sei risvegliata ho manipolato la tua mente per farti dimenticare di avermi incontrato. La cosa può anche turbare la tua anima moralista, ma vedremo come la penserai quando la sete di sangue ti annebbierà talmente tanto il cervello da farti saltare alla giugulare della prima persona che vedrai.” Le diede un’ultima scrollata e le lasciò i polsi. Lei si tirò indietro immediatamente, con uno sguardo velenoso.

“Se hai bevuto il mio sangue, perché dovrei avere ingerito il tuo?” chiese sprezzante Katerina cambiando discorso. Louis incrociò le braccia.
“Il sangue di vampiro ha proprietà altamente curative. Quando ci facciamo male, le nostre ferite guariscono alla perfezione nel giro di pochi minuti. La stessa cosa funziona sugli esseri umani, quando diamo loro il nostro sangue. Sapevo che ci sarebbero state troppe domande se ti avessi rispedita indietro con il collo lacerato e con qualche litro di sangue in meno, perciò ti ho costretta a bere un po’ del mio sangue per guarirti. Era molto più efficiente rispetto a darti decine di pozioni per rimpolpare il sangue e risanare le ferite di corpo e mente, ma dannazione, non avrei dovuto farlo.” Colpì la sedia più vicina con un calcio. La sedia si spezzò di netto. “Il sangue di vampiro resta in circolo per ventiquattro, massimo quarantotto ore. Ho semplicemente deciso di tenerti d’occhio per un paio di giorni in modo da evitare che ti accadessero improbabili incidenti e che morissi trasformandoti anche tu in vampiro. Del resto a Hogwarts non si sente spesso parlare di studenti morti. Ero sicuro che non ti sarebbe successo nulla,” disse amaramente. Ora sentiva nuovamente la stessa furia che l’aveva colpito quando aveva visto per la prima volta il corpo di Katerina a terra. “Invece tu nel giro di cinque minuti sei riuscita ad allontanarti e a farti ammazzare. Non era così che doveva andare!”

Katerina sgranò gli occhi.
“Adesso sarebbe colpa mia?”, esclamò. “Non c’entro niente se fai schifo come guardia del corpo. Non ti ho chiesto io di aggredirmi. Non ti ho fatto niente, non ti avevo nemmeno mai parlato prima! Potevi lasciarmi in pace e nulla di questo sarebbe successo!”
“Dovresti solo ringraziarmi, stupida! Non sono stato io ad ucciderti, ricordi? Quello sarebbe successo comunque. Ma senza di me adesso non saresti qui a strepitare, saresti morta e basta, e ci saremmo risparmiati un bel problema,” terminò Louis in tono cattivo.
“Fammi uscire e non sarò più un tuo problema,” ribattè gelidamente Katerina.
“Certo, come no! Non dire sciocchezze. Se scoprono te, prima o poi finiranno per scoprire anche me. I maghi non saranno capaci di riconoscerci dai dettagli, ma sono in grado di fare due più due se qualcuno comincia ad aggredirli per bere il loro sangue. Non ho nessuna intenzione di venire catturato per causa tua, quindi adesso calmati e ragiona.” Le afferrò un braccio e abbassò la voce. “So che è difficile da accettare, ma ora questo è ciò che sei. Puoi rifiutarlo e morire adesso, oppure puoi sopravvivere.”

Katerina si ammutolì per un attimo.
“Non voglio certo morire,” commentò alla fine malvolentieri.
“Allora ascoltami. Nessuno, e dico nessuno, dovrà mai venire a sapere cosa sei diventata. Non capirebbero, Katerina. Ti ucciderebbero senza pensarci su due volte. Dovrai stare attenta a qualsiasi cosa tu faccia. Promettimelo.” La ragazza non disse nulla. “Promettimi che non metterai mai in pericolo la nostra identità.”
“Lo prometto,” rispose di malavoglia.
“Allora bevi questo”, ordinò lui Evocando dal nulla una bottiglietta sigillata e porgendogliela. Katerina la afferrò e aprì. Il contenuto era un denso liquido rosso il cui odore intenso le solleticava irresistibilmente le narici.
“E’ quello che penso? … sangue?”
“Sì.”
“Di chi?”
“Non ti serve saperlo. Ora pensaci bene, Katerina. In questo momento sei in una fase di transizione tra essere umano e vampiro: è per questo che le tue ferite non si sono ancora rimarginate. Non sei né l’uno né l’altro. Bevendo sangue umano completerai la trasformazione e diventerai un vampiro vero e proprio; se non lo bevi, morirai in modo definitivo entro qualche ora. La scelta è tua.”
“Perché me lo dici solo adesso?”
“Non era un dettaglio importante,” rispose Louis scrollando le spalle. Katerina lo osservò di sottecchi.
“O forse perché, se mi avessi creduta una minaccia per il tuo segreto, non mi avresti dato il sangue e mi avresti semplicemente lasciata qui a morire,” commentò lei in tono accusatorio.
“Anche se ora lo bevi, non credere che non ti possa comunque uccidere più tardi,” rispose lui. Ma non negò.
Katerina non disse nulla. Teneva in mano l’ampolla rossa come se fosse stata una bomba, con molta cautela e un po’ di apprensione. Fece per avvicinarsela alle labbra, ma poi esitò, e la riabbassò.









Note dell'Autrice: spero che questo capitolo non sia risultato troppo noioso, con tutte le chiacchiere che contiene, e soprattutto che l'alternarsi dei punti di vista non abbia dato origine a confusione. Mi piaceva l'idea di togliere quasi tutte le spiegazioni subito via dai piedi e andare avanti.
Il nome di Louis è un omaggio a Louis de Pointe du Lac, uno dei miei personaggi preferiti delle Cronache dei Vampiri di Anne Rice.
Alla prossima.

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Capitolo 4
*** Niente di nuovo sotto il Sole ***



III - niente di nuovo sotto il sole.




 
Dal capitolo precedente:

“E’ quello che penso? … sangue?”
“Sì.”
“Di chi?”
“Non ti serve saperlo. Ora pensaci bene, Katerina. In questo momento sei in una fase di transizione tra essere umano e vampiro: è per questo che le tue ferite non si sono ancora rimarginate. Non sei né l’uno né l’altro. Bevendo sangue umano completerai la trasformazione e diventerai un vampiro vero e proprio; se non lo bevi, morirai in modo definitivo entro qualche ora. La scelta è tua.”
“Perché me lo dici solo adesso?”
“Non era un dettaglio importante,” rispose Louis scrollando le spalle. Katerina lo osservò di sottecchi.
“O forse perché, se mi avessi creduta una minaccia per il tuo segreto, non mi avresti dato il sangue e mi avresti semplicemente lasciata qui a morire,” commentò lei in tono accusatorio.
“Anche se ora lo bevi, non credere che non ti possa comunque uccidere più tardi,” rispose lui. Ma non negò.
Katerina non disse nulla. Teneva in mano l’ampolla rossa come se fosse stata una bomba, con molta cautela e un po’ di apprensione. Fece per avvicinarsela alle labbra, ma poi esitò, e la riabbassò.



 
* * *



Katerina annusò con cautela il contenuto della bottiglietta. L’odore era innegabilmente quello del sangue, seppure stranamente invitante. Eppure non riusciva a convincersi a bere, nonostante Louis fosse stato chiaro al proposito: se non l’avesse fatto sarebbe morta.
Non aveva molti ricordi di suo padre, ma in uno di questi c’era lui che la prendeva in braccio e le spiegava che, crescendo, avrebbe a volte avuto a che fare con persone o cose che avrebbero cercato di ingannarla con un’apparenza innocua o con il fascino di qualche promessa. Quell’ampolla, con il suo profumo irresistibile, conteneva entrambe le cose.
Ma suo padre non era lì a proteggerla, a spiegarle con chiarezza cosa fosse giusto e cosa sbagliato come faceva quando lei era piccola. Non era più con lei da molto tempo.
Rialzò l’ampolla verso le labbra e si arrischiò a bere un piccolo sorso: anche il sapore gridava inesorabilmente “sangue!”, però per qualche inquietante motivo non lo trovava ripugnante. Era come bere un fresco succo di frutta dopo aver dovuto sopportare l’arsura del deserto.
L’istinto le ordinò di continuare a bere, ma quando una quantità maggiore di liquido le riempì lo gola il sapore acre la fece quasi soffocare. Iniziò a tossire, sporcandosi la mano e il mento.

“Piano,” le disse Louis in tono annoiato. “Non ti preoccupare, è normale. Il tuo corpo si sta trasformando, e non è ancora abituato ad assumere sangue. Riprova.”
Quando si riprese dalla tosse, Katerina ricominciò a bere, stavolta più lentamente. Nel giro di poco, però, la bottiglietta era vuota.

Fu investita da una strana sensazione. Si sentiva girare la testa: le luci nella stanza improvvisamente sembravano brillare più forte, in modo quasi fastidioso. Nelle sue orecchie cominciò a rimbombare un rumore pulsante che le impediva di concentrarsi; le sembrava quasi di udire il suo stesso sangue scorrere roboante nelle vene. La sua vista andò temporaneamente fuori fuoco, mentre una sensazione di calore le permeava il viso. I muscoli le dolevano, come se avesse appena corso una maratona. Improvvisamente si rese conto di sentirsi molto stanca e affamata. O forse aveva sete: non riusciva più a capire la differenza. Era una specie di dolore sordo che le prendeva lo stomaco e le rendeva arsa la gola.
Louis la stava guardando con occhi attenti, controllando ogni suo movimento.
"Mi sento... come se fossi al di fuori del mio stesso corpo," gli disse con preoccupazione.
"Passerà," rispose semplicemente l’altro.

Col trascorrere dei secondi, Katerina sentiva crescere dentro di sè un bisogno profondo. Cercò di ignorarlo, ma la cosa si rivelò impossibile. Non riusciva a pensare ad altro. Ogni fibra del suo corpo sembrava supplicare per un'unica cosa.
"Ho sete," disse malvolentieri. "Ne hai ancora?"
"Non qui, mi spiace. Ma ho qualcosa che andrà bene ugualmente."

Come prima, Louis Evocò un’ampolla rossa e gliela porse. Katerina ne annusò il contenuto e storse il naso: quel secondo liquido aveva un odore che il suo cervello riconosceva come innaturale, sbagliato. Ma la sete stava diventando insopportabile, perciò lo bevve comunque tutto d'un fiato.
"Quella che hai appena bevuto è una speciale versione della Pozione Rimpolpasangue. Invece di aumentare la massa sanguigna del ricevente, simula un nutrimento a base di sangue umano. Non è come quello reale, ma va più che bene per calmare temporaneamente la sete di un vampiro. Non è difficile da produrre; nei prossimi giorni ti spiegherò come farla."
"L'hai inventata tu?"
Louis sbuffò divertito.
"No, faccio schifo in Pozioni. Mi è stata insegnata."

Katerina tenne lo sguardo fisso sull'ampolla. Si sentiva estremamente stanca e confusa. Dire che la serata era stata estenuante era un eufemismo: non si era mai sentita così emotivamente a terra. La sua mente danzava in mezzo alle mille cose che Louis le aveva rivelato quella sera, sentendo di non averle veramente comprese. Aveva anche la sensazione che lo shock stesse cominciando a farsi vivo.
"Io non... c-cosa devo fare?" chiese, balbettando quando avvertì la nota di disperazione nella sua stessa voce. "Ti credo, ma questa storia è più grande di me.”
"Bevendo quel sangue hai fatto la tua scelta. Non puoi tornare alla vita che avevi prima," ribatté seccamente Louis. "Ma ti dirò cosa faremo nelle prossime ore. Tu adesso tornerai nella tua Sala Comune, prima che le tue compagne di stanza dicano a qualcuno che non sei ancora tornata. Ti comporterai in modo perfettamente normale, come se non ti fosse accaduto niente. Poi dovrai trovare una scusa che ti permetta di restare nascosta per tutto il giorno."
Katerina si limitò a guardarlo allibita.

"Come forse saprai dalla leggenda, la luce diretta del sole incenerisce i vampiri. Quella parte della storia è vera. Quello che non sai è che esistono metodi per risolvere il problema e permetterci di camminare sotto il sole come chiunque altro. Posso occuparmene io, ma mi serve del tempo per recuperare l'incantesimo giusto. Fino ad allora dovrai stare particolarmente attenta a restare sempre all'ombra, a meno che tu non voglia bruciare fino a morire. E Katerina... ti ricordo che vivi nella Torre più alta di tutto il castello. Questo significa che dovrai lasciare il dormitorio prima che sorga il sole e non tornarci fino a che non sarà tramontato."
"Non posso semplicemente stare nascosta per tutto il giorno!”, sbottò Katerina. “Lo giuro, starò attenta a non farmi colpire dalla luce del sole. Non pensi che darei nell'occhio se sparissi senza motivo?"
"Allora trova un motivo plausibile," ribatté seccamente Louis. "Daresti più nell'occhio se all'improvviso ti ricoprissi di ustioni in faccia. Fidati: evitare il sole è più difficile di quel che credi. Persino il soffitto della Sala Grande ti può uccidere, dato che riflette la situazione atmosferica esterna."
"Uccisa da un soffitto!" brontolò incredula Katerina.
“Sì, da un soffitto,” ripetè Louis in tono sarcastico. “Non vuoi morire due volte nel giro di ventiquattr’ore, vero? Se accadesse non sarei nemmeno sorpreso, visto quello che è successo stasera.”
“Tu stammi distante e di sicuro non mi succederà nulla!”
“Deciderò io quando starti distante,” sibilò Louis avvicinandosi con fare minaccioso. “Tu non sai con cosa hai a che fare. Sei tornata in vita solamente grazie a me, e ti sto facendo un grosso favore lasciandoti vivere. Se scoprono te decideranno inevitabilmente di prendere precauzioni nell’eventualità che ci sia qualche altro vampiro nelle vicinanze, e io non ho intenzione di nascondermi per tutta la vita.”
“E perché non mi hai lasciata morire allora?” lo sfidò gelidamente Katerina.
“Ammetto che la tentazione è stata grande, ma non mi conviene lasciare in giro cadaveri umani con sangue di vampiro in corpo o, ancora peggio, vampiri morti. Non vogliamo attirare l’attenzione su cose che preferiamo lasciare nascoste: è molto meglio fare in modo che nessuno si accorga che qualcosa è cambiato. Ma lo giuro su tutto ciò che c’è di sacro a questo mondo… se fai solo un passo falso, Katerina, io ti uccido,” terminò in tono mortalmente serio.

 
* * *


Da quando era ritornata al Dormitorio ore prima, Katerina continuava a rigirarsi nel letto. La sola ipotesi di addormentarsi le sembrava assurda, impossibile. Si risistemò a pancia in su, con una mano sul petto. Ma poi i morti dormivano?
Perché era questo che era: morta. Con Louis si era dimostrata scettica e incredula, e onestamente non poteva dire di essere veramente convinta che tutto ciò che lui le aveva detto fosse vero, nonostante alla fine gli avesse detto di credergli: l’idea che potesse essere tutto reale era a dir poco ridicola. In sedici anni appena compiuti non aveva mai pensato seriamente alla morte, ma tanto per cominciare aveva ragionevolmente dato per scontato che una volta deceduta non se ne sarebbe andata in giro come se niente fosse successo. Non come il professor Ruf, per dire, la cui carriera scolastica era tranquillamente continuata grazie alla sua ostinazione a non voler ammettere di essere morto. Ma lui era un fantasma, e i fantasmi non erano complicati da comprendere; per quanto strani e un po’ inquietanti, nella comunità magica facevano parte dell’ordine naturale delle cose, come i ghoul e la rivalità tra Grifondoro e Serpeverde.

Ma ora che si trovava da sola, nel suo letto, cullata nel buio totale dal lieve vento che accarezzava la Torre di Corvonero, fu costretta ad ammettere a se stessa che qualcosa che cambiato. Lei era cambiata, inaspettatamente e senza accorgersene; un istante prima andava tutto bene, un istante dopo era ferita, coperta di sangue e in balìa di un vampiro. E apparentemente ora era un vampiro anche lei. Dire che le era crollato il mondo addosso era troppo riduttivo.

La sua mano premette più forte sul petto. Quando era viva non ci aveva mai fatto troppo caso, ma ora che il suo cuore aveva smesso di battere si rendeva conto di quanto le mancasse. Era come sentire un vuoto perenne, un costante nodo allo stomaco, e Katerina per un attimo pregò il suo cuore di ripartire, di riprendere a pulsare e pompare il sangue nelle sue vene. Non successe nulla. Era morta.
Era questo il vero motivo per cui alla fine aveva creduto alle parole di Louis: aveva ascoltato il suo cuore, e non in senso metaforico.
Katerina tese le orecchie. Dal letto sentiva molto distintamente i respiri delle sue tre compagne di stanza, come se le ragazze fossero distese accanto a lei. Erano regolari, rilassati; sicuramente dormivano. Nel silenzio della stanza riusciva a sentire bene anche il battito dei loro cuori. Se si concentrava, poteva udire anche un rumore lontano che associò al mormorio delle piante nella Foresta Proibita.
Apparentemente, ora che era un maledetto vampiro, i suoi sensi si erano notevolmente acuiti.

Poche ore prima, dopo che Louis l’aveva lasciata andare con mille avvertimenti, era tornata in Sala Comune camminando come in sogno. Fortunatamente non aveva incontrato nessuno, e prima di rendersene conto aveva raggiunto la Torre. Quando era andata a dormire dopo una doccia veloce, Abigail aveva scostato le tende del suo letto e le aveva chiesto dove fosse stata fino a quell’ora.
“Mi sono addormentata in Biblioteca,” aveva risposto. Abigail apparentemente non aveva trovato nulla di sospetto, perché le aveva augurato la buonanotte ed era tornata a dormire.

Katerina tenne una mano sul cuore e con l’altra si toccò il viso e il collo. La pelle era liscia e fredda: le sue ferite si erano rimarginate pochi minuti dopo aver bevuto il contenuto della prima ampolla. Quando prima si era guardata allo specchio, non aveva notato nulla di fuori dall’ordinario. Le asperità che aveva sentito prima col tatto sembravano non essere mai esistite. Nonostante tutte le cose orribili che le erano accadute quella sera, una guarigione così rapida e perfetta era fenomenale.

Louis. I suoi pensieri corsero al ragazzo che aveva appena avuto il piacere di conoscere ufficialmente. Ricordava di averlo già visto durante i pasti o per il castello, con i suoi riccioli biondi da bravo ragazzo e la compagnia di odiosi Serpeverde. Non sapeva nemmeno quale fosse il suo cognome, solo che era un Prefetto del sesto anno. La cosa non la sorprendeva molto: conosceva molti studenti nelle altre Case, ma per quanto riguardava Serpeverde aveva avuto a che fare solo con quelli dell’attuale quinto anno, e solo perché frequentavano i suoi stessi corsi.
Se tra Serpeverde e Grifondoro c’era una forte rivalità di tipo fisico, tra Serpeverde e Corvonero esisteva una lotta di tipo intellettuale: il Cappello Parlante Smistava le persone intelligenti e curiose a Corvonero e quelle intelligenti e ambiziose a Serpeverde, quindi in generale quelle due Case tendevano a contendersi il primato accademico molto di più rispetto alle rimanenti. La classe mista di Corvonero e Serpeverde in Incantesimi e Pozioni dell’attuale sesto anno era famosa per essere in grado di arrivare a mezzi estremi pur di impedire ai membri della Casa rivale di guadagnare punti durante le lezioni, tanto che i professori si erano trovati costretti a erigere una barriera magica per impedire che i due gruppi si sabotassero le pozioni a vicenda o si dessero fuoco alle bacchette. Per la disperazione dei professori titolari di quei corsi, la disposizione delle Case nelle loro lezioni non era mai stata modificata nemmeno una volta in sei anni, sia a causa dell’orgoglio del Preside, sia per la vivace protesta del Direttore di Tassorosso che non voleva sottoporre i suoi pupilli alla presenza costante dei Serpeverde a lezione, dato che erano gli unici con cui i membri della Casa verde-argento non avevano intrapreso una guerriglia aperta.

Ma in luce a tutto quello che era accaduto quella sera, le lotte accademiche non sembravano avere più molta importanza. L’unica preoccupazione di Louis pareva fare in modo che Hogwarts non scoprisse di aver dato ospitalità a dei vampiri. Da un lato poteva capirlo: l’opinione pubblica riteneva che i vampiri fossero creature Oscure della peggior specie, mostri disumani pronti a massacrare qualunque cose si muovesse. Katerina non era ancora sicura di poter dire che l’opinione pubblica non avesse ragione, ma sapeva che il mago medio non avrebbe esitato un attimo ad uccidere un vampiro se se ne fosse trovato davanti uno.
Anche se non l’avesse fatta uccidere, di sicuro il Preside Dippet non le avrebbe permesso di continuare a frequentare Hogwarts: era troppo pericoloso per gli altri ragazzi.
Si stava comportando da irresponsabile a restare lì, in una scuola che le era improvvisamente diventata ostile, e per cui lei a sua volta rappresentava un potenziale pericolo?
Con una fitta al cuore (che continuava a restare immobile), Katerina si chiese cosa avrebbe fatto quando le fosse venuta sete. Louis le aveva dato altre ampolle della pozione Rimpolpasangue modificata da usare quando fosse giunto il momento, ma temeva ugualmente ciò che sarebbe successo. Si sentiva sola, e spaventata. Come ne sarebbe uscita se l’indomani si fosse fatta scoprire subito?

Da un punto di vista impersonale era sorpresa che Louis l’avesse lasciata “in vita”: sembrava perfettamente capace di uccidere qualcuno senza pensarci due volte. Si rendeva conto che, per lui, lei rappresentava una minaccia enorme: avere un altro vampiro in circolazione significava come minimo raddoppiare la probabilità di venire scoperti. In più lei era inesperta; il ragazzo non la conosceva, quindi non poteva sapere come avrebbe affrontato la nuova vita da essere non-morto.
Ma come lui stesso aveva detto, probabilmente lasciare in giro cadaveri con sangue di vampiro era un suicidio. Le sembrava ragionevole ipotizzare che durante un’autopsia magica si cercasse di routine la presenza di elementi Oscuri o anomali; il sangue estraneo probabilmente sarebbe saltato agli occhi dei Medimaghi come un drago in un cassetto.
La soluzione migliore, ragionò Katerina spassionatamente, sarebbe stata ucciderla subito e far scomparire per sempre il suo corpo. Ma in quel caso la sua sparizione avrebbe attirato l’attenzione di tutta la scuola; chi di dovere avrebbe fatto ricerche e indagini per capire cosa le fosse successo, rischiando di scoprire cose che per Louis era meglio lasciare nascoste.
No, effettivamente permetterle di sopravvivere era un’opzione molto rischiosa, ma allo stesso tempo c’era anche la possibilità che filasse tutto liscio come l’olio e che nessuno sentisse mai parlare di vampiri ad Hogwarts.

Pensare a Louis le suscitava una spiacevole sensazione nello stomaco, un impeto di rabbia che faticava a trattenere. Nonostante tutte le sue chiacchiere sull’essere ancora viva grazie a lui, Katerina sentiva che se in primo luogo lui non l’avesse mai tirata in mezzo allora non le sarebbe successo nulla di così terribile. Non ricordava com’era finita nel corridoio del terzo piano, ma non poteva fare a meno di pensare che il motivo fosse legato all’aggressione della sera prima. Senza contare che se non fosse stata così stanca non si sarebbe addormentata e sarebbe quindi tornata alla Torre ad un altro orario, scampando forse a ciò che l’aveva uccisa. Aveva anche detto di averla tenuta d’occhio tutto il tempo per proteggerla, ma era palese che non fosse stato in grado di portare a compimento il lavoro, forse perché non l’aveva preso molto sul serio.
Inoltre, quel suo atteggiamento a tratti scanzonato e a tratti aggressivo le dava sui nervi.

C’era anche un altro, grosso problema che le dava molto da pensare. Qualcuno o qualcosa quella sera l’aveva assassinata, forse senza volerlo o forse no.
Normalmente un’idea del genere l’avrebbe sconvolta, ma dopo la giornata che aveva passato trovava che niente sarebbe più stato lo stesso. Si sentiva cinica, e forse le conveniva continuare ad esserlo. L’ingenuità non l’aveva tenuta in vita.
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare cosa fosse successo, o a dare volto e movente al colpevole. Sapeva solo che forse l’indomani quel qualcuno o qualcosa avrebbe avuto una grossa sorpresa; sperava solo di essere in grado di gestirlo. Merlino, e pensare che normalmente le sue uniche preoccupazioni notturne erano le interrogazioni e i compiti in classe del giorno dopo.

 
* * *


Katerina sospirò, osservando il sole sorgere in lontananza. Si trovava nella Sezione di Storia della Magia in Biblioteca, il suo reparto preferito; prestò bene attenzione a restare nell’ombra, a distanza di sicurezza dall’ampia finestra. Dopotutto stava cercando di evitare la luce solare, proprio come le aveva ordinato Louis.
Era sgattaiolata via dalla Sala Comune di Corvonero molto presto, fingendo di non voler svegliare le sue compagne di stanza. Abigail, che come ben sapeva aveva il sonno leggero, le aveva prevedibilmente chiesto dove stesse andando, e Katerina le aveva risposto che si sarebbe recata in Infermeria perché si sentiva poco bene.
Chiaramente non era affatto andata in Infermeria: innanzi tutto quella stanza era fin troppo luminosa, e in più temeva che Madama Wainscott capisse subito che in lei c’era qualcosa di sbagliato. A pensarci bene, probabilmente sarebbe stata costretta a stare distante dall’Infermeria per tutto il resto della sua carriera ad Hogwarts, per evitare che il minimo incantesimo base della Medimagia rivelasse il suo segreto.

Non sapendo bene dove andare, i suoi piedi l’avevano automaticamente portata in Biblioteca. Quella dell’Infermeria era una scusa stupida, lo sapeva, ma le dava una ragione plausibile per spiegare come mai si fosse alzata così presto e le forniva inoltre le basi per saltare tutte le lezioni del giorno; avrebbe finto di stare male e incrociato le dita nella speranza che filasse tutto liscio.
In piedi e a braccia conserte, osservò la luce inondare piano piano le sale della Biblioteca, fino ad arrivare molto vicino a dove si trovava lei. Molto lentamente, allungò titubante una mano fino a sfiorare la luce.
Fu costretta a tapparsi la bocca con l’altra mano per impedirsi di gridare.
La luce le aveva bagnato le dita solo per mezzo secondo, e restò a guardare con orrore mentre si ricoprivano di dolorose vesciche. La pelle appariva improvvisamente rossa e bruciata. Mentre le fissava incredula, le dita cominciarono già a guarire poco a poco, fino a far scomparire ogni traccia di ciò che era appena accaduto. Si toccò delicatamente la pelle: il dolore era sparito.

A quanto pareva, il luogo in tutta Hogwarts che più la faceva sentire a suo agio era off-limits.
Improvvisamente aveva voglia di piangere.

Non pianse, però, perché sapeva che non sarebbe servito a nulla.
Con l’umore a terra, uscì in fretta dalla Biblioteca cercando di evitare le zone di luce, pensando tra sé a quanto il suo percorso a zig-zag sarebbe sembrato bizzarro a un osservatore casuale. Fortunatamente non c’era nessuno a guardarla; finora aveva incrociato solo il fantasma di una donna con una tunica che non l’aveva degnata di uno sguardo, come se lei fosse stata completamente invisibile.
Nei corridoi interni era al sicuro, mentre evitò quelli con finestre che davano all’esterno. Sapeva di dover stare distante dalla Sala Grande: secondo Louis la magia che permeava il soffitto era talmente ben fatta che la luce che entrava da là avrebbe avuto lo stesso effetto di quella solare.
Si risolse quindi di dirigersi verso i Sotterranei, con la vaga idea di cercare rifugio nelle cucine. Era ancora presto, ma non troppo da beccarsi una punizione se fosse stata trovata da qualcuno; comunque in giro non c’era quasi nessuno, quindi poteva spostarsi indisturbata.

Superato l’ingresso dei Sotterranei, decise all’improvviso di fare una deviazione dalla rotta principale: aveva tutto il giorno da occupare, e almeno nei Sotterranei poteva girare quanto voleva senza rischiare di trovare un filo di luce. Non conosceva bene quei luoghi, anzi, la verità era che li evitava come la peste a meno di non avere lezione di Pozioni. Forse poteva passare gli ultimi due anni e mezzo a Hogwarts preparando pozioni di giorno, se proprio non avesse più potuto vedere la luce del sole, pensò ironicamente. Si immaginava a passare le giornate preparando litri di Pozione Scacciabrufoli o qualcosa di altrettanto ameno.

Camminare le faceva bene, le permetteva di riflettere indisturbata sugli avvenimenti degli ultimi giorni mentre esplorava i corridoi polverosi. I Sotterranei erano davvero enormi, e passò una quantità indefinita di tempo a vagabondare.
Fu proprio perché era persa nei suoi pensieri che sobbalzò quando il muro di fianco a lei si aprì inaspettatamente. Sorpresa, da un’apertura sulla parete vide comparire la testa biondo scuro di Louis, che si mise un dito sulle labbra per intimarle di stare in silenzio. Alle sue spalle Katerina riusciva ad intravedere un’ampia sala in pietra e il fuoco di un camino. Deglutì; a quanto pareva, nel suo girovagare era finita senza accorgersene nelle vicinanze della Sala Comune di Serpeverde.

Louis si guardò velocemente alle spalle, le sussurrò piano uno “stai al gioco!” e poi esclamò a voce alta:
“Che sorpresa, un corvaccio solitario alla nostra porta! Pensavo che per voi che andate in giro col naso sempre per aria fosse fisicamente impossibile trovare l’entrata dei Sotterranei.”
Il suo tono sembrava volutamente sprezzante. Katerina sbatté gli occhi, incerta, e poi rispose di rimando:
“Se evitiamo i Sotterranei è solo perché ne sentiamo il fetore persino andando in giro col naso per aria.”
Alzò un sopracciglio con fare altezzoso. Per un brevissimo istante, o forse se l’era solo immaginato, le parve che la bocca di Louis si fosse piegata in un minuscolo sorrisetto di sfida. Nel frattempo, altri Serpeverde si erano affacciati all’ingresso per vedere cos’era quell’agitazione. Louis uscì in corridoio per fare spazio ai nuovi arrivati ed estrasse la bacchetta.
“Lassù sul trespolo non vi hanno insegnato che andare a casa degli altri per insultare non è da gente perbene? Cinque punti in meno a Corvonero per la tua sconcertante maleducazione, Miss,” continuò con un ghigno soddisfatto, indicando la sua spilla da Prefetto.
Katerina lo guardò a bocca aperta. Non sapeva cosa diavolo avesse in mente di fare, ma quando si parlava di togliere punti le cose si facevano serie.
Gli altri studenti intanto se la stavano ridendo alla grande, e lei si sentì arrossire per la rabbia e l’imbarazzo. Ma ora Louis la stava fissando negli occhi e stava sillabando, “maledicimi”. Ma cosa diamine…?
Beh, non aveva bisogno di farselo ripetere due volte. Katerina disse, “Purtroppo per te mi sono svegliata di cattivo umore” ed estrasse a sua volta la bacchetta.

Incendio!”, fu il primo incantesimo che le venne in mente. Louis fece una finta faccia sorpresa, ma parò facilmente il lampo infuocato che si stava dirigendo veloce verso di lui, e alzò la bacchetta verso di lei. Invece di fermarli o dargli manforte, i suoi compagni di Casa si disposero attorno a loro e cominciarono a fare rumorosamente il tifo. Katerina ebbe per un attimo la sensazione che quel genere di cose accadesse piuttosto spesso, da quelle parti.
Incarceramus!”, rispose il ragazzo con un pigro colpo di bacchetta. Katerina lo evitò senza problemi grazie ad un Incantesimo Scudo, e lo rispedì al mittente assieme ad una Fattura Orcovolante. Non era esattamente un combattimento all’ultimo sangue, e udì dei lamenti delusi provenire dal pubblico.
Continuarono a duellare per un altro minuto, fino a che, in una frazione di secondo, i loro occhi si incrociarono e qualcosa nello sguardo di Louis fece sapere a Katerina che non avrebbe dovuto difendersi dall’incantesimo successivo.
Lux Exumain”, lo sentì pronunciare.
Un lampo di luce nera la colpì in pieno nello stomaco, facendola piegare in due senza fiato. Sentì un fastidioso formicolio sulla pelle, e i Serpeverde esultare per il colpo messo a segno dal loro compagno. Fortunatamente, il professor Lumacorno scelse proprio quel momento per venire a controllare a cosa fosse dovuto tutto quel trambusto.

“Ragazzi, ragazzi, cosa succede? Non sarà ancora quel club di combattimenti illegali, spero… oh cielo,” commentò, vedendola accartocciata su se stessa. Si girò verso i suoi studenti. “E’ questo il modo di comportarsi con una fanciulla? Ora sciò, andate a fare colazione. Su, qui non c’è nulla da vedere.”
Mentre gli altri cominciavano a dirigersi malvolentieri verso la Sala Grande, il professore si voltò di nuovo verso di loro.
“Mi sembrava di averle chiaramente spiegato, Mr. Henry, che se l’avessi sorpresa a maledire nuovamente i suoi colleghi di Corvonero sarei stato costretto a prendere provvedimenti. Cos’ha fatto alla povera Miss Farley? No, non me lo dica,” lo interruppe alzando una mano. “Vedo che inizia a comparire il bagliore bluastro. Di nuovo un Incanto di Fotosensibilità, dico bene? Non capisco proprio cosa lei ci trovi di così divertente in questo incantesimo. Con rammarico devo assegnarle una punizione per questo suo atteggiamento sconsiderato: venga nel mio ufficio stasera alle sette. Mia cara,” disse poi rivolgendosi a Katerina. “temo che non ci sia molto da fare per combattere questo incanto, a parte attendere che esaurisca naturalmente il suo effetto. Se non ha familiarità, si tratta di una maledizione che rende la pelle del soggetto molto sensibile alla luce. Ma è temporanea, non si preoccupi. Venga, la accompagno nel mio ufficio: non è opportuno che lei esca dai Sotterranei, per il momento.”
“Ma professore, dovrò presentarmi alle lezioni,” gli fece osservare Katerina, che stava cominciando a capire dove andasse a parare tutta la messinscena di Louis.
“Sciocchezze,” tuonò Lumacorno agitando le mani. “Spiegherò io la situazione ai suoi professori, non si preoccupi. Che lezioni ha oggi?”. Katerina glielo disse. “Bene, bene. Si consideri giustificata… ma solo per oggi! Nel frattempo può restare nel mio ufficio. Come punizione per aver duellato nei corridoi preparerà tre calderoni di Pozione Scacciabrufoli. Quella benedetta pozione va a ruba in questa scuola,” mugugnò mentre le faceva strada.
Katerina si voltò brevemente verso Louis, che le fece un plateale inchino. Per tutta risposta lo fissò con un finto sguardo scioccato, e poi scosse la testa divertita.

 
* * *


La mattinata trascorse senza altri eventi fuori dall’ordinario, escludendo l’involontario tentativo di corrodere il calderone prestatole da Lumacorno quando quasi confuse il barattolo di lumache cornute con quello di anguille di terra.
Preparare la Pozione Scacciabrufoli era senza dubbio lungo e noioso, ma perlomeno l’Incanto di Fotosensibilità le dava la scusa adatta per restare nascosta per tutto il giorno. Il formicolio sulla pelle era ancora presente, ma non era nemmeno paragonabile all’intenso dolore che aveva provato quella mattina quando aveva tentato di sfidare la luce solare.
Ciò che la preoccupava era la fame intensa che sentiva.
Aveva saltato la colazione, ma dubitava che fosse la mancanza di tè e biscotti a provocarle quel tremore e quella voragine nello stomaco. Con un colpo di bacchetta, fece comparire una delle ampolle preparate da Louis e la scolò tutta d’un fiato.
Ora si sentiva un po’ più lucida, ma non sapeva quanto sarebbe durato.
Dopo aver terminato di imbottigliare la Scacciabrufoli, decise di passare a studiare i libri sugli scaffali dell’ufficio di Lumacorno (a cui il professore le aveva dato libero accesso prima di uscire). Erano perlopiù libri vecchi e consumati; dopo averne trovato uno che faceva al caso suo, iniziò a studiare la Pozione Rimpolpasangue e le sue varianti.

Il professore ritornò qualche ora dopo, lodò il suo lavoro e fece in modo che gli elfi domestici le portassero il pranzo. Quando le chiese come si sentiva, Katerina, che non avvertiva più l’effetto dell’Incantesimo da un’ora buona, lamentò un insopportabile fastidio alla pelle.
Lumacorno allora la invitò a rimanere fino a che non se la fosse sentita di uscire, e poi aggiunse con occhi che gli brillavano:
“Miss Farley, forse per ingannare l’attesa potrebbe provare a preparare una Pozione Rinforzante. So che non abbiamo ancora affrontato la parte pratica durante le lezioni, ma il suo test teorico di ieri è andato talmente bene che non credo avrà grossi problemi nel tentare da sola.”
Arrossendo leggermente, Katerina si mise al lavoro.

 
* * *


Quando andò via dall’ufficio di Lumacorno era finalmente calato il sole. Si diresse verso l’uscita dei Sotterranei e alla prima curva quasi andò a sbattere contro Louis, che aveva l’aria di stare aspettando proprio lei.
“Troviamoci stasera alle nove in Biblioteca. Porta un gioiello, un anello, una collana… qualcosa di tuo che tu possa indossare costantemente,” le sussurrò in velocità, per poi superarla senza aggiungere altro.
Arrivata alla Sala d’Ingresso, poté rilasciare un sospiro di sollievo. Louis era stato criptico e lei non osava sperare che avesse trovato la soluzione al suo problemino con la luce, ma la cosa positiva era che per circa tredici benedette ore avrebbe potuto fare a meno di preoccuparsene troppo.

Non rivide i suoi compagni di Casa fino all’ora di cena. Quando arrivò al tavolo di Corvonero, ciò che le era successo sembrava essere di dominio pubblico e tutti erano assolutamente scandalizzati nei confronti di Louis. Meglio così.
“Quel tipo deve proprio esserci andato giù pesante! Di solito sei una ragazza così tranquilla e riservata,” commentò Matilda.
“Se l’è meritato! Louis Henry è con me nei corsi di Incantesimi e Pozioni. E’ uno snob arrogante, lui e la sua combriccola non fanno altro che disturbarci mentre lavoriamo,” sbottò una ragazza del sesto anno, Sunday Davis.
“Una volta, l’anno scorso, mi ha lanciato la stessa fattura con cui ti ha colpita oggi… è stato un inferno. Era una lezione di Incantesimi all’aperto,” ricordò Stanley Ichabod con una smorfia.
“Giusto. Ma la Fattura Orcovolante che gli hai scagliato subito dopo è rimasta nella storia,” aggiunse Sunday con occhi sognanti. Stanley rise.
“Comunque non ti preoccupare,” interloquì Abigail rivolgendosi a Katerina. “Le lezioni che hai perso oggi sono state le più noiose di sempre.”
Katerina ridacchiò.
“Allora adesso sono felice di aver passato la giornata a distillare Scacciabrufoli e Pozione Rinforzante,” rispose scherzando. Sentì Hayley Watson trattenere il fiato.
No! La Rinforzante? Ma l’abbiamo vista solo in teoria!” esclamò la ragazza con una punta di invidia.
“Oh oh! Qualcuno qui sta per ricevere un invito esclusivo alla prossima festa del Lumaclub!”, la canzonò Abigail. Katerina la fissò interdetta per un attimo, ci pensò su e poi fece una smorfia. Ci mancava solo che il professore la presentasse a tutti i personaggi più in vista della scuola, proprio adesso che per lei era più opportuno restare nell’anonimato. Durante la prossima lezione di Pozioni avrebbe dovuto far scoppiare un calderone. O anche due, per buona misura.









 

Note dell'Autrice: non ho molto da dire, se non buone Feste a tutti!
Se avete una qualsiasi critica costruttiva, considerazione o appunto sia positivo che negativo che vorreste farmi riguardo il racconto, sentitevi pure liberi di lasciarmi una recensione: sarei molto felice di sapere cosa pensate della mia piccola storia.
Alla prossima.

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Capitolo 5
*** Rosso come il sangue ***


 

IV - rosso come il sangue.





Dal capitolo precedente:

Quando andò via dall’ufficio di Lumacorno era finalmente calato il sole. Si diresse verso l’uscita dei Sotterranei e alla prima curva quasi andò a sbattere contro Louis, che aveva l’aria di stare aspettando proprio lei.
“Troviamoci stasera alle nove in Biblioteca. Porta un gioiello, un anello, una collana… qualcosa di tuo che tu possa indossare costantemente,” le sussurrò in velocità, per poi superarla senza aggiungere altro.
Arrivata alla Sala d’Ingresso, poté rilasciare un sospiro di sollievo. Louis era stato criptico e lei non osava sperare che avesse trovato la soluzione al suo problemino con la luce, ma la cosa positiva era che per circa tredici benedette ore avrebbe potuto fare a meno di preoccuparsene troppo.

Non rivide i suoi compagni di Casa fino all’ora di cena. Quando arrivò al tavolo di Corvonero, ciò che le era successo sembrava essere di dominio pubblico e tutti erano assolutamente scandalizzati nei confronti di Louis. Meglio così.
“Quel tipo deve proprio esserci andato giù pesante! Di solito sei una ragazza così tranquilla e riservata,” commentò Matilda.


 
* * *


Quella stessa sera del duello nei Sotterranei, dopo cena, Katerina restò un po’ più tempo del solito in compagnia delle sue amiche, comodamente seduta su una delle morbide poltrone blu della Sala Comune.
Sapeva di non essere particolarmente di compagnia; a pensarci bene, le poche persone che lei considerava come amiche erano di fatto stretti conoscenti, nulla di più.
Non era mai stata molto brava a stringere e conservare legami con altri; era sempre stata silenziosa e riservata, fin da piccola. Il motivo non era che lei non volesse circondarsi di altre persone: in fin dei conti pensava che forse le sarebbe piaciuto sentirsi parte di un gruppo, essere accanto a qualcuno che le volesse bene. La semplice realtà era che lei non si sentiva portata per quel genere di cose, che lo volesse o meno. Non aveva idea di cosa gli altri si aspettassero da lei, cosa volessero sentire, quali aspetti di lei volessero realmente conoscere. Ricordava, come un sogno lontano, di essersi sentita davvero molto sola durante i primi anni ad Hogwarts, di avere addirittura pianto qualche volta da sola in bagno per la tristezza di non essere particolarmente benvoluta. Era stato allora che aveva cominciato a rifugiarsi in Biblioteca per studiare e, soprattutto, leggere libri che la portassero distante con le loro storie.
Poi, un giorno, tutto quanto il problema aveva smesso di importarle. Forse nelle persone che aveva conosciuto non aveva mai trovato quel qualcosa che riempisse il vuoto che sentiva, ma probabilmente non l’avrebbe mai trovato, quindi che senso aveva starci male?
Nello stesso periodo, una volta deciso di apprezzare ciò che aveva intorno a lei, era riuscita ad avvicinarsi alle sue compagne di stanza, che, pur con le loro stranezze, erano socievoli e disposte a considerarla una di loro, come se non si fosse mai allontanata.
 
 
In quel momento, Matilda era impegnata in una fedele imitazione del professore di Erbologia, Merry Lovegood, mentre Abigail e Hayley ridevano fino alle lacrime.
“Ragazzi, osservate la meravigliosa foggia di questa affascinante collezione di sterco di Thestral,” esclamò Matilda con voce sognante. Puntò drammaticamente un dito verso Abigail. “Fawcett, stai lontana dalla mia Erba Pipa! E’ una varietà rara, per uso puramente personale!”
Katerina rise, e mentre osservava le ragazze scherzare tra loro un pensiero improvviso la colpì.
Loro non avevano una preoccupazione al mondo: nei prossimi anni avrebbero studiato magia, si sarebbero diplomate a Hogwarts, si sarebbero innamorate di qualcuno e avrebbero messo su famiglia, o forse si sarebbero dedicate alla carriera dei loro sogni. Potevano fare quello che più desideravano, senza timore di venire rifiutate per ciò che erano, senza doversi necessariamente nascondere da tutti. Sentiva distintamente risuonare la sinfonia dei loro cuori. Erano vive.
Il suo sorriso si congelò, mentre una fame improvvisa la travolgeva e le annebbiava la vista. Si alzò di scatto, sorprendendo le altre. Si giustificò dicendo che aveva le lezioni del giorno da recuperare e scappò via dalla Sala Comune.
 
Mancava poco meno di mezz’ora all’appuntamento che Louis le aveva fissato quando si erano incrociati prima di cena, ma Katerina si diresse ugualmente verso la Biblioteca. Perlomeno sapeva con certezza che era un luogo tranquillo, senza distrazioni o persone che ridevano facendole ricordare il gusto del sangue.
Durante il tragitto, assicurandosi di non essere vista da nessuno, si fermò a trangugiare il contenuto dell’ultima ampolla di Pozione Rimpolpasangue che Louis le aveva fornito. Il sollievo la travolse: la fame si era un po’ arginata e ora si sentiva leggermente più in controllo di se stessa. Poteva farcela.
 
O almeno così credette, fino a che non incontrò un gruppetto di cinque ragazzini che andavano in direzione opposta alla sua.
Cercò di superarli camminando il più possibile distante da loro, quasi a ridosso del muro, ma il corridoio era troppo stretto per sei persone e i ragazzi non fecero alcuno sforzo per lasciarle più spazio. Il sangue che scorreva nelle loro vene la stava mandando fuori di testa. Senza pensarci due volte, dopo qualche metro si girò, estrasse la bacchetta e la sferzò velocemente verso di loro. La borsa di uno dei ragazzi si ruppe, facendo cadere a terra una quantità notevole di libri, fogli e ampolle; il contenitore di inchiostro si frantumò, riversando ovunque il suo contenuto.
Con un verso di sorpresa e disappunto, il ragazzino si fermò a raccogliere le sue cose, suggerendo ai suoi amici di andare avanti. Quando quelli sparirono dalla vista, Katerina gli si avvicinò e raccolse da terra il tomo dall’aspetto più spigoloso e pesante.
“Grazie,” le disse il ragazzo sorridendole timidamente. Katerina lo guardò per un attimo, e poi lo colpì violentemente alla testa con il libro.
 
 
* * *


Non vista da nessuno, lo trascinò senza fatica all’interno della stanza più vicina, controllando prima che fosse vuota. Sembrava una vecchia sala da lettura: c’erano alcune poltrone verdi e impolverate, un tavolino da caffè sopra un tappeto dall’aria antica, e qualche libreria mezza vuota alle pareti. Sopra il tavolino qualcuno aveva abbandonato un bicchiere a calice completamente coperto di ragnatele, e i fili del tappeto ondeggiavano come accarezzati da un vento magico, ma a parte ciò non c’erano altre cose fuori dall’ordinario.
Depositò il ragazzo per terra, tenendolo distante dal tappeto incantato, e si inginocchiò accanto a lui scostando i lunghi capelli dagli occhi. Era immobile, come morto, ma Katerina udiva il suo respiro e il battito lento del suo cuore. La sua mano andò ad accarezzargli i capelli e la fronte, dove era visibile una macchia rossa. Quando la ritrasse, le sue dita erano sporche di sangue.
 
Lentamente, mise le dita in bocca ad una ad una, gustandone il sapore.
Era decisamente migliore della Rimpolpasangue, ma superava in qualità anche il poco sangue che aveva bevuto la sera prima per completare la trasformazione, probabilmente perché questo era fresco, direttamente dalla fonte.
Sentiva i suoi canini allungarsi innaturalmente, senza alcun dolore.
Non potendo più sopportare il desiderio, alzò la testa del ragazzo con una mano, si chinò e gli mordicchiò il collo, prima con delicatezza e poi con più aggressività. I suoi denti perforarono facilmente la pelle morbida della vittima, e ben presto il sangue cominciò a colare. Katerina iniziò a bere.
Dolcezza. Oblio. Era una sensazione appagante come non aveva mai provato prima. Improvvisamente si sentiva completa, in pace con il mondo, come catapultata in un paradiso che senza saperlo si era sempre trovato a portata di mano.
La vita del ragazzo stava scorrendo dentro di lei, dando sollievo alla morte che albergava nel suo cuore. Quest’ultimo non aveva ripreso a battere, come ben sapeva, ma in quel momento sembrava quasi che l’avesse fatto. Mentre la fame si quietava, sentiva che null’altro aveva più importanza. Poteva non pensare più a nulla, e sprofondare in un limbo dove tutto era perfetto e innocente. Continuò a bere quell’estasi.
 
Il meraviglioso senso di pace si interruppe malamente quando qualcuno la tirò via a forza dalla fonte di quel piacere, costringendola ad alzarsi. Katerina non capiva cosa stesse succedendo, ma non le importava: sapeva solo che voleva a tutti i costi rituffarsi nel momento che aveva appena vissuto. Aveva bisogno di altro sangue. Non sarebbe mai stato abbastanza.
Si divincolò, ringhiò, tirò calci e pugni, ma chi la teneva non mollò di un centimetro.
“Katerina, ferma! Lo ucciderai!”
Era una voce familiare. Le sembrava di conoscere anche il nome che la voce aveva chiamato. Era il suo? Da qualche parte nel suo cervello stava violentemente suonando un campanello d’allarme.
Lentamente, la parte umana di Katerina sembrò riemergere. Si guardò intorno, di nuovo conscia della realtà. Ciò che vide la costrinse a mettersi una mano davanti alla bocca per impedirsi di singhiozzare.
Era una scena da incubo. Il corpo del ragazzino era steso scompostamente a terra, immobile. Il sangue sembrava essere ovunque: sulla sua faccia, sui vestiti, ma soprattutto sulle mani e sui vestiti di lei.
Lei, che aveva appena aggredito un bambino.
 
Cadde sulle ginocchia per lo shock. In un angolo del suo cervello registrò che ora c’era un’altra persona nella stanza, e che era chinata accanto al ragazzino. Era Louis. Fissò i suoi capelli biondo scuro, i suoi occhi grigi, le linee dure sul volto; tutto, pur di non rivolgere lo sguardo al corpo a terra. Se l’avesse fatto non sarebbe riuscita a contenere la nausea.
Con la coda dell’occhio guardò Louis tirare fuori la bacchetta e risvegliare il ragazzino con un “Innerva”. Quello si mosse debolmente, cercando invano di tirare su la testa.
“Shhh,” gli fece Louis. “Va tutto bene, tranquillo. Guardami.”
I loro occhi si incontrarono.
“Non avere paura. Non parlare, resta fermo e non ascoltare ciò che diciamo.”
Il ragazzino sembrò obbedire immediatamente. Louis si alzò e si girò a guardarla.
Katerina era ancora accucciata a terra, con le lacrime che le rigavano le guance e il volto basso per non incrociare lo sguardo accusatore di lui.
Sentì un movimento e, alzando di poco gli occhi, vide che si era inginocchiato per essere alla sua stessa altezza. Quando lo guardò in faccia non poté più trattenersi e scoppiò in lacrime.
“Mi… mi dispiace!”, singhiozzò. “Non volevo f-fargli del male! Avevo fame, ma non so perché ho fatto quelle cose… i-io non sono così.” Si mise una mano davanti alla bocca per impedirsi di continuare.
Louis sospirò e la aiutò a rimettersi in piedi, senza parlare.
 
Katerina sapeva di aver fatto una cosa terribile. Aveva aggredito uno studente, nel bel mezzo di un corridoio dove chiunque avrebbe potuto vederla. L’aveva quasi ammazzato. Anzi, non meritava il beneficio del quasi: se Louis non l’avesse bloccata, quel ragazzo sarebbe morto. Ed era talmente giovane… non poteva avere più di dodici anni.
Si chiese se dopo quel che era accaduto Louis l’avrebbe uccisa come promesso.
“Pulisciti, sei tutta sporca di sangue. Ora gli faremo bere una Pozione Rimpolpasangue tradizionale. Non gli daremo il nostro sangue per guarirlo, non ho intenzione di rischiare di avere un terzo vampiro in giro per il castello: me ne basta già uno,” disse invece. “Esci in corridoio e sistema il casino che hai lasciato, prima che qualcun altro passi e lo veda. Forza, veloce!” la spronò, dato che non si era ancora mossa.
Cercando di riprendersi dal torpore, Katerina fece come le era stato detto. Si concentrò per ripulirsi il più possibile dal sangue con un incantesimo, e poi uscì in corridoio. Dopo aver guardato a destra e a sinistra, riparò la borsa, ci infilò velocemente i libri rimasti per terra e infine ripulì con un colpo di bacchetta l’inchiostro versato. Stava cercando di non pensare a niente.
Mentre finiva, il suo udito potenziato le segnalò un rumore di passi in lontananza, perciò si affrettò a rientrare e a chiudere la porta con la magia. Louis la stava aspettando a braccia incrociate, con l’ampolla di pozione in una mano.
“Ora lo devi soggiogare,” le disse con un cenno verso il ragazzino, che era ancora come l’aveva lasciato.
“Come?” chiese debolmente Katerina.
“I vampiri possiedono poteri mentali molto forti. Li utilizziamo per controllare la volontà delle nostre vittime, in modo che facciano esattamente ciò che gli diciamo di fare. Coi Babbani funzionano alla perfezione, mentre con i maghi è più difficile, perché la magia protegge le loro menti a seconda dell’abilità del mago stesso. Un Occlumante esperto, ad esempio, è praticamente impossibile da soggiogare. Il ragazzo però in questo momento è molto debole, quindi non avrai problemi; l’ho fatto anche prima quando gli ho ordinato di stare fermo. E’ una specie di Maledizione Imperius innata nei vampiri. Avanti, soggiogalo in modo da fargli dimenticare ciò che è successo stasera; ti basta mantenere il contatto visivo e dirgli chiaramente quello che vuoi.”
 
Katerina assimilò le parole di Louis e spostò lo sguardo sul ragazzo. A parte il pallore e la ferita sul capo, sembrava in uno stato sorprendentemente buono, considerata la fine che aveva evitato per un soffio. Merlino, avrebbe mai smesso di sentirsi in colpa?
“Lo lasciamo andare così? Con la ferita sulla testa?”
Louis annuì e senza dire nulla le passò la bottiglietta di Pozione Rimpolpasangue. Katerina si chinò goffamente e fissò gli occhi del ragazzino.
“Dimmi come ti chiami,” gli ordinò con voce un po’ incerta. Mentre parlava, notò che le pupille dell’altro si erano dilatate. La guardava  rapito, con la massima attenzione. Metteva quasi a disagio.
“Arthur Creevey”, rispose prontamente. Alla domanda successiva le fece sapere di essere un Grifondoro del secondo anno.
“Bene, Arthur. Ora berrai questa pozione, poi dimenticherai di averci incontrati stasera; non saprai nulla di me o di vampiri. Ricorderai solo di aver rotto la borsa, di esserti fermato a raccogliere la tua roba, di essere scivolato e di aver battuto la testa. Sei un po’ frastornato, ma stai bene. Ora vai a raggiungere i tuoi amici.
 
Dopo che Arthur fu uscito, ci fu un lungo momento di silenzio, mentre Louis sembrava riflettere sul da farsi. Katerina gli lanciò un’occhiata, agitandosi nervosamente. Perché non le diceva nulla? Non voleva interrompere la sua concentrazione, ma quel silenzio stava diventando un peso insostenibile.
“Io non…” iniziò, ma Louis la interruppe subito.
“Katerina, devi imparare a controllarti,” le disse in tono serio. “Essere un vampiro è molto difficile, soprattutto all’inizio. La sete di sangue è terribile, e non c’è modo per eliminarla. Meno ne berrai, più diventerà insopportabile resistere; se ne berrai di più, comincerà a diventare una droga e non potrai più fermarti. Devi trovare il giusto equilibrio, sforzarti di controllare la parte dentro di te che vorrebbe solo divorare tutto e tutti. Ma soprattutto non dovrai mai più lasciarti andare come hai fatto stasera. Hai detto che tu non sei così, e ti credo, ma prima hai fatto quello che hai fatto perché l’hai permesso a te stessa. Devi restare sempre presente a te stessa, ricordarti chi sei. Aggrappati alla parte di te che è ancora umana, non lasciarla scivolare nel buio.”
Katerina annuì piano, valutando le sue parole.
“Mi hai detto di non fare passi falsi,” gli fece notare timidamente. “Pensavo l’avresti presa peggio.”
L’altro scrollò le spalle, e iniziò a camminare per la sala, osservando i mobili e prendendo in mano il bicchiere impolverato per osservarlo con sguardo critico.
“So bene quanto sia difficile all’inizio. In tutta onestà non pensavo che tentassi così presto di mangiarti qualcuno, ma immaginavo che prima o poi sarebbe successo.”
Ripose il bicchiere, la guardò bene e poi aggiunse:
“Andiamo, non avere quell’aria da funerale. Hai fatto una cosa molto stupida attaccando qualcuno in corridoio dove chiunque poteva vederti, ma non è successo nulla. Ti è andata bene.”
“Non è successo nulla? Ho quasi dissanguato un bambino,” ritorse lei duramente.
“Certo, ma ora sta bene. Ha già dimenticato tutto.”
“Solo perché lui non lo ricorda non significa che non sia mai successo, o che sia meno sbagliato,” disse incredula. Louis alzò gli occhi al cielo.
“Come vuoi. Hai portato quello che ti ho chiesto?”
Katerina fece cenno di sì con la testa e si sfilò un anello dal dito, porgendoglielo. Si trattava di un anello d’argento piuttosto spesso, decorato finemente. Aveva un’aria antica, e le piaceva molto.
“E’ tuo? Comprato o regalato?” le chiese lui esaminandolo con occhio critico.
“L’ho ereditato da mio padre quando è morto,” rispose con tono incolore. Louis sembrò approvare.
“Proprietà legata al legame di sangue, molto bene.”
Si sedette su una poltrona ed estrasse dalla borsa un foglio di pergamena spiegazzato. Le disse di rimettersi l’anello, poi puntò la bacchetta contro di esso e pronunciò alcune frasi in latino dall’aria complicata. L’anello si illuminò debolmente per un attimo per poi ritornare esattamente com’era prima, e il ragazzo sembrò soddisfatto.
 
“Ottimo. Se è andato tutto bene, cosa di cui non dubito assolutamente, fintantoché porterai quell’anello il sole non ti darà alcun fastidio. Potrai camminare alla luce del giorno come facevi prima. Ti consiglio di non perderlo, o potresti pentirtene in fretta,” concluse.
“E’ la prima volta che fai questo incantesimo? Sembrava complicato,” gli chiese Katerina un po’ scettica.
“In effetti sì, ma non preoccuparti, gli incantesimi sono il mio forte. Il mio talismano anti-Sole è stato incantato da… qualcun altro. E’ questo bracciale.” Le mostrò il polso, dove era legato un discreto bracciale con piccoli simboli runici.
“Ah, e non c’è di che per stamattina. E’ stato un piacere dare uno scopo alla tua giornata,” aggiunse sorridendo furbescamente. Katerina ricordò improvvisamente il duello nei Sotterranei.
“Giusto. Cos’era tutta quella messinscena? Non mi ero mai messa a duellare nei corridoi, prima d’ora.”
Louis scrollò le spalle.
“Ti serviva un motivo per stare lontana dalla luce e io te ne ho dato uno. Bello quell’incantesimo, vero? Sapevo che sarebbe tornato utile prima o poi. A furia di lanciarlo a tradimento sui tuoi compagni di Corvonero l’ho davvero perfezionato.”
“Grazie, anche se la parte sul lanciarlo a tradimento non mi rincuora molta,” commentò lei. “E non c’era bisogno di togliermi punti.”
“Andiamo, lì mi conoscevano tutti: non sarei stato credibile se non l’avessi fatto. Così come non sarebbe stato realistico se ti avessi attaccata per primo, visto che ti avevo già in pugno. E poi era un’occasione troppo bella per non approfittarne,” ribatté sogghignando. Lei lo guardò scuotendo la testa.
“Com’è possibile che abbiano deciso di fare te Prefetto?”
“Gli altri ragazzi del mio anno sono canaglie decisamente peggiori di me. Ero il male minore,” proclamò quasi con orgoglio.
“Se lo dici tu. E come fai a spuntarmi sempre davanti ovunque io sia? E’ quasi inquietante. Stamattina nei Sotterranei, prima di cena vicino all’Ufficio di Lumacorno, e poco fa… ma certo,” esclamò Katerina. “Ho ancora addosso l’Incanto Localizzatore, vero?”
“Ovviamente,” rispose lui in tono distratto. Ora stava guardando con interesse la pergamena che teneva in mano.
“L’incantesimo che ho usato per il tuo anello è molto antico, ma anche molto utile. Dovremmo impararlo, nel caso in cui uno di noi ne avesse bisogno per incantare qualche altro amuleto,” disse indicandolo. Katerina toccò il foglio con la punta della bacchetta e pronunciò “Geminio”. Ora le pergamene erano due, identiche in tutto e per tutto.
“Fatto,” annunciò mettendo via la seconda pergamena. Si alzò. Si sentiva sollevata all’idea di non dover più temere la luce: quell’anello le aveva decisamente migliorato la serata. Ma non voleva restare in quella stanza un minuto di più. Il ricordo di quello che era appena successo le faceva venire voglia di scappare per sempre dal castello e di non farsi più rivedere.
Non voleva la sete di sangue, non voleva perdere di nuovo il controllo di se stessa, non voleva essere un vampiro.
E non voleva stare con Louis, che le ricordava tutto quanto.
“Posso andare?”, chiese stancamente.
Louis esitò.
“Ci sono altre cose che dovresti sapere,” le disse in tono insolitamente cauto.
“Devo saperle proprio ora?”
“Non necessariamente. No, non sono urgenti.”
“Allora me le dirai un’altra volta. Per favore,” supplicò congiungendo le mani.
Louis esitò ancora, ma poi annuì. Al suo cenno, Katerina prese le sue cose e scappò via dalla stanza senza dire un’altra parola.
 
Un pensiero la bloccò mentre saliva le scale che l’avrebbero portata alla Torre di Corvonero. Estrasse la bacchetta, la puntò su di se e pronunciò “Finite”, liberandosi una volta per tutte dall’Incanto Localizzatore. Ora Louis non l’avrebbe ritrovata tanto facilmente.
 
 
* * *
 
 
La notte prima non aveva chiuso occhio, e quella prima ancora era stata svegliata dagli incubi; di conseguenza Katerina si sentiva completamente esausta. Quindi anche da morti si ha bisogno di dormire, pensò.
Nonostante il sonno, tuttavia, quando la sveglia suonò prima dell’alba si tirò giù dal letto, si vestì in fretta e uscì dalla Torre.
Louis le aveva assicurato che l’anello l’avrebbe protetta dalla luce, ma preferiva non rischiare di finire arrosto per aver riposto la sua fiducia nella persona sbagliata. Dopotutto solo due giorni prima le aveva promesso che l’avrebbe uccisa se avesse fatto qualcosa di sbagliato, e la sera prima aveva quasi combinato un disastro. Magari la storia dell’anello era una farsa e Louis non aspettava altro che il sole la incenerisse sulla Torre, per poi poter tornare a fare il vampiro solitario di Hogwarts.
Perciò si diresse verso una finestra isolata alla base delle scale. Si vedeva già il sole fare capolino da dietro le montagne. Osservò stancamente le ombre ritrarsi piano piano, e dopo aver raccolto tutta la sua forza di volontà allungò una mano verso la luce.
 
Niente. Niente dolore, niente vesciche, niente pelle bruciata. Solo una gradevole sensazione di tepore sulla sua pelle fredda.
 
Fece un passo in avanti e si immerse completamente nei raggi luminosi del mattino. Aveva quasi voglia di piangere per il sollievo di non doversi nascondere al buio per il resto della vita.
Apparentemente Louis non la voleva morta, per ora.
 
Nell’attesa che giungesse l’ora della colazione, Katerina si trascinò in Sala Comune per recuperare le lezioni che aveva perso il giorno prima.
Quando le sue compagne di stanza scesero, le fecero qualche rimprovero sulla sua aria pallida e stanca e su “va bene che abbiamo i G.U.F.O., ma non ti ammazzare di studio”, e poi andarono insieme nella Sala Grande già affollata di studenti.
Katerina evitò accuratamente di guardare il tavolo di Serpeverde e, tanto per non rischiare, si sedette dando la schiena ai membri di quella Casa. Durante le colazione analizzò invece la tavolata di Grifondoro, fino a che non ritrovò il viso di Arthur Creevey. Fu sollevata di vedere che il ragazzo stava bene: sembrava perfettamente felice e in salute, tanto che anche la sua ferita era scomparsa. Probabilmente i suoi amici l’avevano portato in Infermeria.
 
Quando si alzò per dirigersi verso le aule, riconobbe da lontano la testa di Louis e sentì una stretta di disagio quando si accorse che la stava fissando dritta negli occhi. La sua espressione non era affatto compiaciuta, anzi: sembrava oltremodo arrabbiato. Probabilmente si era accorto del suo scherzetto con l’Incanto Localizzatore.
Katerina distolse quasi subito lo sguardo. Si assicurò di stare ben vicina ai suoi compagni di Casa e uscì dalla Sala Grande ignorandolo completamente. Mentre camminava a testa bassa, si chiese ansiosamente se quel suo gesto impulsivo avrebbe comportato conseguenze più sgradevoli di quanto avesse inizialmente immaginato.






Note dell'Autrice: nulla di particolare da segnalare, se non che il prossimo capitolo sarà raccontato per buona parte dal punto di vista di Louis. Nel frattempo vi ringrazio per aver letto fino a qui.
Alla prossima.

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Capitolo 6
*** I tre vampiri ***



V - i tre vampiri.






Dal capitolo precedente:

Quando si alzò per dirigersi verso le aule, riconobbe da lontano la testa di Louis e sentì una stretta di disagio quando si accorse che la stava fissando dritta negli occhi. La sua espressione non era affatto compiaciuta, anzi: sembrava oltremodo arrabbiato. Probabilmente si era accorto del suo scherzetto con l’Incanto Localizzatore.
Katerina distolse quasi subito lo sguardo. Si assicurò di stare ben vicina ai suoi compagni di Casa e uscì dalla Sala Grande ignorandolo completamente. Mentre camminava a testa bassa, si chiese ansiosamente se quel suo gesto impulsivo avrebbe comportato conseguenze più sgradevoli di quanto avesse inizialmente immaginato.


 
* * *



Katerina trascorse i giorni successivi cercando da un lato di adattarsi ai vari aspetti della sua nuova vita, dall’altro di ignorarli fino a che poteva permetterselo. Non tutte le sue nuove qualità erano negative: si era già accorta del suo superudito, ma col passare del tempo si rese conto di vederci molto meglio di prima. I colori avevano una nuova luce, i contorni erano più definiti, i riflessi parevano respirare; tutto ciò che osservava sembrava avere una nuova vibrante profondità, ed era bellissimo. Le cose attorno a lei apparivano più vive che mai, come se la accarezzassero dolcemente ogni volta che le guardava; ed era un bel contrasto, visto che dentro di sé si sentiva inesorabilmente morta. Un giorno, senza quasi rendersene conto, passò mezz’ora buona ad ammirare i giochi di luce sul vetro di una finestra, mentre una mattina perse quasi mezza lezione di Aritmanzia a fissare i capelli dorati della ragazza seduta davanti a lei.
 
Un aspetto che poteva rivelarsi sia positivo che negativo era l’incredibile aumento della sua forza fisica; se ne accorse quando cominciò a rompere involontariamente piatti e bicchieri a tavola, in Sala Grande. I suoi compagni di Casa trovarono la cosa molto divertente, ma da allora lei cominciò a fare tripla attenzione quando maneggiava oggetti fragili. Prevedibilmente, la prima lezione di Pozioni fu un disastro. Aveva già deciso di fare qualche danno per evitare che Lumacorno la prendesse troppo in simpatia e la invitasse a uno dei famigerati incontri del suo circolo di eletti, il Lumaclub, ma non dovette nemmeno impegnarsi tanto: appena prese in mano la fiala di Succo di Orklump quella esplose in mille pezzi, riversando metà liquido su di lei e metà dentro la pozione, dove ne servivano solo tre gocce. Lumacorno le fece Evanescere la pozione rovinata e la mandò a ripulirsi, senza degnarla di più di uno sguardo.
Insieme alla forza, aveva ora a disposizione anche il dono della velocità. Se voleva, poteva camminare e correre molto più  rapidamente rispetto a prima.
 
I vampiri, pensò, erano predatori letali.
 
La dimostrazione più evidente di questo fatto era la capacità di soggiogare le persone. Katerina non aveva più provato a controllare la mente di qualcuno, ma si rese conto che certe volte le capitava di convogliare involontariamente quel potere mentale nello sguardo. O le cose stavano così, oppure improvvisamente erano diventati tutti molto più disponibili ad assecondare le sue richieste.
Come quella volta in cui aveva guardato Matilda negli occhi e le aveva chiesto di passarle il libro di Difesa contro le Arti Oscure, ad esempio. La ragazza, che stava leggendo la sua copia, aveva immediatamente provveduto a darle il suo invece di prendere quello di Katerina, che era giusto di fianco a lei. Subito dopo, il suo viso si era modellato in un’espressione di estrema confusione, come se non riuscisse bene a capire cosa fosse appena successo.
Da allora Katerina aveva cercato di tenere a bada quel potere, perlomeno quando guardava la gente negli occhi. La metteva a disagio l’idea di poter giocare con la mente delle persone che le stavano vicino; cosa sarebbe accaduto se lei senza pensarci avesse detto qualcosa per scherzare e loro invece l’avessero messo in pratica come un ordine?
 
Nel suo tempo libero faceva ricerche su qualunque cosa le venisse in mente. Ritornò nell’aula dismessa al terzo piano (davanti alla quale era morta) per fare esperimenti sulla Pozione Rimpolpasangue; grazie alle notevoli quantità che ne assumeva ogni giorno, non fu più eccessivamente tentata di gettarsi alla gola di persone innocenti. In un paio di occasioni, tuttavia, rischiò quasi di cedere ai suoi nuovi istinti aggressivi: una volta in Sala Grande, in cui il cibo non riuscì a saziare la sua fame e fu costretta a scappare in un luogo più isolato per riprendersi, e un’altra volta a lezione di Difesa contro le Arti Oscure, quando dovette chiamare a raccolta tutta la forza di volontà che aveva per arrivare alla fine dell’ora senza aggredire i suoi vicini di banco.
 
In Biblioteca sfogliò diversi libri sui vampiri, ma a parte qualche eccezione non trovò nulla che già non sapesse. Louis aveva ragione: alcune di quelle descrizioni erano talmente fantasiose che c’era da chiedersi se gli autori non se le fossero sognate di notte. La maggior parte delle informazioni erano sbagliate, o come minimo incomplete; ad esempio, solo un paio di libri riportavano che la principale sostanza tossica per i vampiri era la verbena e non l’aglio. In un volume dall’aria sorprendentemente minacciosa trovò addirittura la ricetta del lecca-lecca per vampiri.
Tutti erano concordi nel dire che i vampiri non potessero riprodursi. Era logico, riflettè Katerina: era irragionevole pensare che una creatura considerata morta potesse dare la vita ad un figlio. Non sapendo come reagire a questa notizia, la relegò in un cassetto mentale assieme a tutte le cose che ora poteva e non poteva fare.
Mentre leggeva quei libri sui vampiri fece attenzione a non farsi vedere da nessuno: aveva la sensazione che, se l’avesse scoperta a fare una cosa così rivelatrice, Louis avrebbe dato di matto.
 
In realtà, era da quel giorno in Sala Grande che non avevano più interagito. L’aveva rivisto qualche volta durante i pasti e in un paio di casi in giro per il castello; in una di queste occasioni aveva addirittura scoperto che aveva una ragazza, una bionda di Tassorosso. Chissà se lei sapeva che genere di cosa fosse esattamente il suo fidanzato; per qualche ragione ne dubitava fortemente.
Katerina supponeva che il loro allontanamento fosse scattato quando lei si era liberata dell’Incanto Localizzatore. Non tanto perché lui ora non sapesse più dove trovarla, dato che sicuramente aveva altri assi nella manica, ma perché probabilmente l’aveva interpretato come un gesto di disprezzo. Se non poteva trovarla non poteva tenerla d’occhio o aiutarla, e lo sapevano entrambi.
Katerina sapeva di essere un po’ ingiusta nei suoi confronti: probabilmente aveva davvero bisogno del suo aiuto, per via della sua eclatante inesperienza su come sopravvivere da vampira, ma non riusciva proprio a comportarsi diversamente. Era vero, aveva già deciso che in fondo non era del tutto colpa del ragazzo se lei ora si trovava in quella situazione: fino a prova contraria non era stato lui ad ucciderla. Inoltre, la sera che le aveva impedito di fare del male ad Arthur l’aveva veramente aiutata. Ma nonostante queste cose non poteva fare a meno di considerarlo responsabile, senza contare che vederlo le riportava alla mente i brutti ricordi che tentava quotidianamente di soffocare per poter vivere il più normalmente possibile.
Finché gli stava distante, poteva far finta che nulla di quel che le era capitato fosse reale, come se si trattasse solo di una fantasia della sua mente.
 
Quando se lo ritrovò davanti in Biblioteca, un sabato nel primo pomeriggio, erano passate poco più di due settimane dall’ultima volta in cui si erano parlati.
 
 
* * *
 
 
Nonostante fosse ormai ben oltre metà marzo, le temperature erano eccezionalmente fredde e il villaggio di Hogsmeade era ricoperto da una soffice e bianca neve.
Louis distolse lo sguardo dalla finestra coperta di ghiaccio dei Tre Manici di Scopa e sorrise a Flora, che gli stava raccontando l’ultima avventurosa bravata di un gruppetto di Tassorosso del terzo anno: nello specifico, la costruzione di un’arma di distruzione di massa che lanciava fiamme magiche nei giorni dispari.
 
“Erano così orgogliosi di loro stessi che dopo averla confiscata non ho avuto cuore di togliere punti,” disse lei scuotendo la graziosa testa bionda. “Da quando Felicity Prewett è stata portata in Infermeria in attesa di essere de-Pietrificata, quei ragazzini sono stati così giù di corda. Ma per Merlino, mi piacerebbe proprio sapere perché nei giorni pari quell’aggeggio invece di fiamme spara Vermicoli.”
 “Forse erano indecisi tra fare uno scherzo a qualcuno e ucciderlo,” disse lui in tono semi-serio. “Noto con rammarico che non hai fatto il tuo dovere, Prefetto Hopkins. Sono sicuro che nelle direttive dei Capiscuola un’arma del genere valga almeno trenta punti in meno a Tassorosso. Forse dovrei provvedere io.”
Flora bevve un sorso della sua Burrobirra e alzò un sopracciglio con finto fare minaccioso.
“Fossi in te farei attenzione, Prefetto Henry. La tua ragazza è appena entrata in possesso di un pericoloso lanciafiamme, e oggi quando meno te lo aspetti potrebbe prenderti a Vermicoli in faccia.” Louis rise e alzò le mani in segno di resa.
 
Usciti dal locale, decisero di avviarsi verso Zonko. Camminare nella neve era piacevole, e Louis stava chiacchierando con Flora del più e del meno quando si ritrovò davanti un’alta figura scura.
“Ciao, Louis,” disse quietamente il nuovo arrivato.
Louis inspirò bruscamente e assunse un’espressione incredula. Dopo qualche secondo di silenzio, si costrinse a rispondere.
“Robert,” disse freddamente.
“Sono felice di rivederti. Ti trovo bene,” disse l’altro con un sorriso un po’ incerto. Flora alternava lo sguardo da uno all’altro, perplessa. Robert sembrò notare la sua curiosità e le porse la mano.
“Mi chiamo Robert, sono un amico della famiglia di Louis. Tu devi essere Flora: è un piacere conoscerti,” le disse gentilmente. Flora ricambiò la stretta e il sorriso, e si presentò a sua volta. Louis non disse nulla.
“Ero da queste parti, e sapendo che oggi avevate libera uscita a Hogsmeade ho pensato di passare a salutarti.”
Louis continuò a ignorarlo e si voltò verso Flora, guardandola negli occhi con intensità.
“Tesoro, perché non raggiungi le tue amiche da Zonko, mentre io faccio due chiacchiere con Robert?”
La ragazza sbattè gli occhi e assunse un’aria confusa.
“Sicuro?”
“Certo. Va tutto bene. Ora vai da Zonko e resta con le tue amiche. Ci rivediamo stasera a cena,” le disse lui mantenendo il contatto. Per un momento Flora sembrò resistere ancora, ma alla fine il soggiogamento fece effetto e, dopo aver salutato entrambi, si diresse senza pensieri verso il negozio di scherzi.
 
“E’ molto carina,” disse l’uomo nel silenzio che seguì. Louis aggrottò la fronte e si girò a guardarlo.
“Cosa diavolo ci fai qui?” disse freddamente.
“Ho ricevuto la tua lettera,” rispose l’altro a mo’ di spiegazione.
“Non ti ho chiesto di venire. Non mi serve il tuo aiuto,” esclamò Louis sprezzante, cercando di non alzare troppo la voce. Lanciò uno sguardo oltre le spalle dell’uomo, osservando la figura di Flora uscire dal suo campo visivo.
“Lo so,” disse l’altro alzando le mani con fare conciliatore. “Lo so che non ti serve. Ma volevo accertarmi che andasse tutto bene. Lo sai, ho promesso a tuo padre di essere presente qualora avessi bisogno di me.”
“Bisogno di te?” commentò sarcastico. Si guardò intorno nervosamente, in cerca di un’idea per liberarsi dell’indesiderato ospite.
“Per favore, Louis,” disse Robert stancamente. “Voglio solo conoscere questa ragazza, assicurarmi che non diventi un problema.”
“Sono perfettamente in grado…” cominciò lui ostinatamente, ma l’altro lo interruppe.
Louis. Davvero, voglio solo conoscerla, poi me ne andrò e non ti disturberò più.”
Louis lo fissò con disprezzo, ma di malavoglia decise di cedere alla richiesta.
“Va bene. Ma potrebbe essere ovunque, quindi mi ci vorrà del tempo per cercarla. Non pensare neanche per un secondo di avvicinarti alla mia scuola, o giuro che andrò fuori di testa. Aspettaci alla Testa di Porco.”
L’uomo annuì, con un’ombra di sollievo negli occhi. Poi parlò di nuovo.
“So che non dovrei dire nulla, ma… la tua ragazza, Flora… spero che tu non ti stia approfittando della sua fiducia.”
Louis strinse gli occhi. Sapeva esattamente di cosa l’altro lo stava implicitamente accusando.
“Quello che faccio con lei non ti riguarda,” rispose gelidamente, e si voltò per tornare al castello.
 
 
* * *
 
 
Louis aumentò lievemente la sua andatura, mentre il profilo di Hogwarts diventava più definito.
Era la prima volta dopo mesi che rivedeva Robert, ma non ne aveva sentito affatto la mancanza. Non poteva credere che quell’uomo fosse venuto lì come se nulla fosse. Aveva addirittura avuto il coraggio di presentarsi alla sua ragazza. Incredibile.
Era meglio assolvere in fretta quello spiacevole compito, così poi l’altro se ne sarebbe finalmente andato. Il titolo di quella giornata era improvvisamente diventato ‘come rovinare una perfetta uscita a Hogsmeade’, pensò stizzosamente.
Contemplò per un istante l’idea di non farsi proprio vedere alla Testa di Porco, né da solo né con Katerina, ma sapeva che Robert non avrebbe lasciato perdere tanto facilmente. La volta successiva avrebbe potuto addirittura presentarsi al castello per chiedere di lui. Gli venivano i brividi solo a pensarci.
 
Quindi, meglio trovare Katerina alla svelta. Dato che quella scriteriata aveva frantumato il suo Incanto Localizzatore, era costretto a fare a meno della magia e utilizzare la logica. Sapeva che la ragazza non era ad Hogsmeade, perché quella mattina aveva visto le amiche con cui si aggirava di solito partire senza di lei. Dunque doveva cercarla dentro il castello. Ora: l’aveva pedinata per una settimana, e poteva dire con ragionevole certezza che quel giorno l’avrebbe trovata o in Sala Comune, oppure in Biblioteca.
Si diresse quindi verso quest’ultima, rimuginando sugli eventi di due settimane prima.
Era stato tutto sommato gentile. Era stato certamente paziente. L’aveva aiutata quando non sapeva dove nascondersi per sfuggire alla luce; si era addirittura beccato una punizione per quel motivo! L’aveva fermata prima che si divorasse un Grifondoro, e Merlino sapeva che di quelli ce n’erano anche troppi in circolazione. Invece di colpevolizzarla o staccarle la testa si era dimostrato comprensivo; le aveva addirittura spiegato come soggiogare le persone e le aveva incantato l’anello perché la luce non la bruciasse.
 
E invece di essergli grata, era scappata via come una lepre e aveva tranciato i sottili fili magici che gli avevano permesso di trovarla e aiutarla tutte quelle volte. Come per fargli sapere che poteva arrangiarsi anche meglio senza di lui. E poi aveva cominciato ad evitarlo, a girare in gruppo in modo che lui non potesse sorprenderla da sola, a non guardarlo nemmeno in faccia. Era un atteggiamento che lo faceva infuriare.
Ma la cosa che lo faceva arrabbiare ancora di più era che la capiva perfettamente. Diamine, ci era passato anche lui. Tutti quei cambiamenti, la sensazione di non avere più un posto al mondo… erano cose che potevano far uscire di testa chiunque.
Certo, le aveva detto che se era ancora in vita era solo grazie a lui, ma la verità era che si sentiva in colpa. Era stato suo dovere badare a lei e controllare che non le accadesse nulla, e invece aveva platealmente fallito. Se avesse fatto il suo lavoro a quell’ora lei sarebbe stata viva perché viva, e non viva perché non-morta. Come si può perdonare una cosa del genere?
Non si può, pensò lui. Il suo stesso astio verso Robert ne era la prova.
Quando finalmente arrivò in Biblioteca, il suo umore era nero.
 
Si diresse senza esitare verso la sezione di Storia della Magia, e difatti eccola lì. Tanto per cambiare non era seduta su dei cuscini per terra ma su una sedia davanti al tavolo, come una persona normale. Seguendo un istinto improvviso si bloccò ad una certa distanza da lei, nascondendosi nella penombra dello scaffale, e inclinò il capo per osservarla minuziosamente.
I suoi lunghi capelli castani le coprivano il viso, chino a leggere con attenzione chissà quale libro. Era molto pallida e aveva pesanti ombre scure sotto gli occhi; le lunghe ciglia delle palpebre si muovevano di continuo, mentre lei le abbassava e rialzava più spesso del normale come per tenersi sveglia. Non era eccessivamente bassa o mingherlina, ma il suo portamento insicuro la faceva sembrare più esile e giovane di quello che era in realtà. I lineamenti del suo viso erano piacevoli, con quei grandi e sinceri occhi scuri, ma in generale era una ragazza che non si faceva notare, che tendeva a restare volontariamente nell’ombra e a confondersi con lo sfondo. Ma lui l’aveva notata, quasi un mese prima: era per quel motivo che ora si trovava lì, dopotutto. Aveva un che di misterioso, con quei suoi silenzi e i suoi sguardi sfuggenti, con l’amorevole delicatezza che adoperava per sfogliare le pagine dei libri. La osservò portare lentamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, rivelando un orecchino pendente blu che si intonava ai dettagli della sua uniforme. Era il colore che i Corvonero portavano sempre con orgoglio, e le si addiceva molto.
Louis si riscosse dai suoi pensieri, ricordando improvvisamente per quale motivo si trovava in quel luogo, e si diresse a grandi passi verso il tavolo.
La ragazza alzò lo sguardo quando lo sentì arrivare; sembrava lievemente sorpresa di vederlo lì. Prima che potesse dire qualcosa, Louis la fulminò:
“Metti via tutto e seguimi. Andiamo a Hogsmeade.”
Katerina sgranò gli occhi.
“No che non ci andiamo,” ribattè seccamente. “Ho da fare.”
Riabbassò ostentatamente lo sguardo sul libro, come per sottolineare che per lei quella conversazione era chiusa. Louis strinse le mani a pugno e lentamente le riaprì, cercando di mandare giù una rispostaccia.
“Senti, questa storia non piace a me come non piace a te, quindi non ti chiederei di venire se non fosse strettamente necessario,” le fece notare in malo modo. Lei sbuffò, ma a quanto pareva l’aveva convinta, perché chiuse il libro (con molta cura, e solo dopo aver infilato un segnalibro nel punto dove era arrivata) e gli chiese:
“Posso almeno andare in Torre a prendere qualcosa di più pesante da mettermi? Fuori si gela.”
“Sbrigati.”
La seguì a distanza di sicurezza mentre camminava verso la sua Sala Comune. Mentre la aspettava giù dalle scale, un giovane Corvonero di passaggio ebbe l’ardire di chiedergli saccentemente cosa stesse facendo lì. Gli tolse dieci punti per mancanza di rispetto verso un superiore, e lo sguardo scioccato del marmocchio ebbe il benefico effetto di riscaldargli un po’ il cuore.
Pochi istanti dopo Katerina era al suo fianco. Dal modo in cui stringeva gli occhi molto probabilmente l’aveva sentito, ma non fece commenti.
 
Si avviarono senza parlare verso la Sala d’Ingresso.
“Si può almeno sapere cosa c’è di così urgente?” gli chiese Katerina quando misero i piedi nella neve.
“Ti devo far conoscere una persona.”
Fecero il resto della camminata in silenzio.
 
Quando entrarono alla Testa di Porco si tirarono giù i cappucci, che li avevano protetti dal vento gelido e dagli sguardi indiscreti di chi avrebbe potuto trovare strano che loro due camminassero fianco a fianco.
Il bar era, come al solito, buio, sporco e leggermente inquietante. C’erano pochi avventori, e quasi tutti se ne stavano per conto loro davanti a un boccale di Firewhiskey o di qualcosa di più forte. Il barista puliva bicchieri e chiacchierava sottovoce con un uomo con uno strano turbante in testa. Mentre camminavano, non distolse mai lo sguardo da loro.
Riconobbe i capelli nerissimi e i lineamenti appuntiti di Robert in fondo al locale, e fece strada alla ragazza. Quando l’altro li notò si alzò in piedi, fece loro un cenno con la testa e con un gesto della mano li invitò a sedersi. Louis non fece nemmeno in tempo a togliersi le vesti pesanti che il barista era già dietro di lui, a fissarli tutti e tre a turno con uno sguardo indagatore.
“Tre Burrobirre, per favore,” ordinò Robert in tono cortese.
Il barista andò via senza dar segno di aver sentito. Robert si girò verso Katerina, che appariva evidentemente a disagio in quella situazione.
“Il mio nome è Robert. E’ un piacere fare la tua conoscenza,” le disse con gentilezza.
“Katerina,” rispose lei. Lanciò una breve occhiata verso di lui, come per chiedergli che diavolo stesse succedendo. Louis sospirò.
“Robert è… la persona che mi ha fatto diventare quel che sono adesso,” le spiegò. Vide un lampo di comprensione passare negli occhi della ragazza, mentre traduceva mentalmente la frase. Robert era il vampiro che l’aveva trasformato.
 
Erano seduti presso un tavolo quadrato, a pari distanza l’uno dall’altro. Dopo quella rivelazione, la vide incrociare le braccia in un atteggiamento difensivo, mentre continuava a fissare Robert con sguardo attento.
“E’ così. Sono qui perché Louis un paio di settimane fa mi ha mandato una lettera per chiedermi di inviargli con urgenza la formula di un particolare incantesimo,” continuò l’uomo.
Louis confermò con un cenno, mentre Katerina rigirava pensierosamente l’anello solare su cui quell’incantesimo era stato imposto.
“Devi sapere che, nonostante io gli abbia scritto almeno una volta al mese per avere sue notizie, Louis non si era mai fatto vivo prima di allora,” disse, lanciandogli un’occhiata indecifrabile. “Perciò, quando mi è arrivata quella strana richiesta, mi sono… incuriosito. Con un po’ di insistenza, Louis è stato così gentile da spiegarmi brevemente cosa ti è accaduto.”
Stava per aggiungere altro, ma proprio in quel momento comparve il barista con le Burrobirre. Nessuno parlò mentre quello appoggiava i tre boccali sul tavolo con una lentezza esasperante.
“Non credo di aver compreso esattamente perché sei qui,” disse poco dopo Katerina, rivolgendosi a Robert con tono leggermente ostile. Robert si sporse in avanti, facendo bene attenzione a non appoggiare le mani sul tavolo appiccicoso.
“Per conoscerti,” rispose semplicemente. “Per sapere se ti serve qualcosa, qualunque cosa. So che all’inizio può essere difficile, e che può essere di aiuto avere qualcuno di più esperto a cui rivolgersi.”
La ragazza non sembrava molto convinta. Louis sbuffò.
“E’ qui per assicurarsi che tu non combini casini e, soprattutto, non ci faccia uccidere. Ah, e anche per verificare che tu non sia una squartatrice. E’ il nome che diamo a quelli di noi che sono incontrollabili mostri zannuti assassini,” tradusse. Guardò Robert negli occhi, e aggiunse velenosamente, “come era lui un tempo. Quelli non piacciono a nessuno.”
Fu soddisfatto quando vide un lampo d’ira passare negli occhi di Robert.
“Ah. Ed è così interessato ad accertarsene perché…?” gli chiese Katerina, ora ignorando l’uomo e rivolgendosi direttamente a lui.
“E’ un amico di mio padre. Più che amico,” precisò Louis. Katerina alzò un sopracciglio con interesse. “Gli ha giurato di tenermi d’occhio, o una sciocchezza del genere.”
Robert si passò una mano sugli occhi con esasperazione. Apparentemente anche Katerina riusciva a dargli sui nervi, con quel suo atteggiamento in parte diffidente e in parte noncurante. Accidenti, se l’avesse saputo gliel’avrebbe fatta conoscere molto prima.
 
“Voglio solo poter dire con sincerità a tuo padre che stai bene, Louis.”
“Gliel’ho già detto io che sto bene. Dodici volte, cioè una volta per ogni lettera che a lui ho scritto negli ultimi sei mesi.”
“Sì, lo so, a lui hai scritto e a me no, l’ho capito. Mi ha mostrato le tue lettere. Se non altro sono felice che tu non abbia tagliato i ponti con lui. E’ molto preoccupato per te.”
“Non so cosa farci.”
Katerina li guardò incuriosita.
“Quindi, quello che ti è successo… è una cosa recente?”, chiese. Louis annuì.
“Sì, è stato quest’estate. Otto mesi fa”. Fece una smorfia. “E’ poco, ma sembra sia passato un secolo.”
“Oh,” fu l’unico commento della ragazza.
“Non si può dire lo stesso per il nostro Robert, qui, con i suoi trecento anni di vita” continuò sarcastico. “Così tanto esperto del mondo, eppure si mette a farci da babysitter.”
Katerina si appoggiò allo schienale della sedia e spalancò gli occhi.
Trecento anni,” ripetè colpita. Robert sembrò rilassarsi impercettibilmente davanti a quella manifestazione di interesse.
“Ma come ti è successo, Louis?” chiese poi la ragazza.
“E’ una storia lunga. Ti racconterò,” si limitò a risponderle, tamburellando le dita sul tavolo.
“E’ stato un incidente,” interloquì Robert. Lo stava fissando, come se stesse parlando direttamente a lui e non a Katerina. “Non avrei mai voluto trasformarlo, farlo diventare come me.”
Quello lo sapeva, grazie tante. Ma un incidente? Non pensava proprio.
“Una notte dell’estate scorsa, mentre mi trovavo a casa di mio padre, venne a trovarci un amico di Robert,” iniziò, ponendo l’accento sulla parola ‘amico’. L’uomo distolse lo sguardo da lui. “Mi resi conto che dopotutto non si trattava di una persona affidabile quando mi aggredì violentemente per dissanguarmi. Era uno dei vampiri squartatori con cui Robert faceva bisboccia una trentina d’anni fa. Robert lo cacciò, mi guarì col suo sangue e mi fece scordare tutto. La sera dopo quel vampiro ritornò per avere vendetta e mi spezzò il collo. E così mi trasformai.”
“E poi io gli staccai la testa,” continuò Robert freddamente.
“Ormai era un po’ troppo tardi,” fece Louis in tono incolore.
Ci fu qualche secondo di imbarazzante silenzio, mentre nessuno dei tre vampiri sapeva cosa dire.
 
“Ti trovi bene con le tue nuove abilità?”, chiese improvvisamente Robert alla ragazza spezzando il silenzio. Katerina scrollò le spalle.
“Abbastanza. Faccio ancora fatica a regolare la forza; ho rotto molti oggetti fragili, anche se fortunatamente non ho fatto male a nessuno. Ma negli ultimi giorni sono migliorata.”
“E per quanto riguarda la sete?”
“Spesso sembra insopportabile,” ammise lei. “Ma non ho più avuto grossi problemi. Assumo molte pozioni per cercare calmarla.”
“E’ brava,” interloquì Louis. “Possiede autocontrollo. Il primo giorno ha avuto un incontro particolarmente intenso con un Grifondoro, ma da allora non ha più assalito nessuno. Non che io sappia, almeno… e se non lo so, significa che l’ha nascosto bene.”
Katerina lo guardò in modo sorpreso, quasi grato. Poi scosse la testa, per fargli capire che l’episodio del primo giorno non si era più ripetuto.
“Capisco,” disse Robert guardando prima uno e poi l’altra. “E sei preoccupata per la tua magia?”
Improvvisamente Louis sentì un nodo allo stomaco. Katerina li guardò confusa.
“La mia magia?”
“Robert, non lo sa,” disse Louis a fatica. “Non ne abbiamo ancora parlato.”
“Cos’è che non so?”
“Ti ricordi quando ti ho detto che avevo altre cose da spiegarti, tu mi hai chiesto se erano urgenti, io ti ho detto di no e poi non ci siamo più parlati per due settimane? Ecco, è una di quelle cose.”
L’espressione di Robert era tesa.
“Forse è il caso che ne parliate presto,” suggerì.
“Sì, glielo dirò. Beh, non ora.”
L’uomo annuì, mentre Katerina guardava prima uno e poi l’altro con aria preoccupata.
 
“Nella tua lettera non c’erano molti dettagli. Cosa vi è successo esattamente?”
Nei dieci minuti successivi, i due ragazzi gli raccontarono da entrambi i punti di vista gli avvenimenti di quella sera, aiutandosi l’un l’altro per ricordare i vari fatti nell’ordine corretto. Quando terminarono, Robert aveva un’espressione molto attenta.
“Dunque non sapete chi o cosa ti ha uccisa,” chiarì rivolgendosi a entrambi. Katerina scosse la testa in segno di diniego.
“No, non ne ho la minima idea. Chiunque sia stato, non ci ha più riprovato. Attorno a me non ho mai notato nulla al di fuori dell’ordinario. Ma suppongo che sia ancora all’interno del castello.”
“Il fatto che fino ad oggi ti abbia lasciata stare è positivo, ma resta comunque un rischio enorme. Potrebbe essere l’unica persona a sapere che dovresti essere morta, quando invece apparentemente non lo sei.”
“Ammesso che sia una persona, naturalmente. Potrebbe essere stato un animale. Le ferite che le ho visto addosso potevano benissimo essere state provocate dalle zanne di una qualche bestia,” suggerì Louis.
“Una bestia infernale che gira indisturbata per il castello di Hogwarts? Non dico che sia impossibile, certo,” rispose Robert in tono pensieroso. Controllò l’orologio e poi disse:
“Vi lascio tornare al castello. Louis, posso parlarti da solo un secondo?”
Louis fece svogliatamente cenno di sì. Katerina si alzò in piedi e annunciò che se ne sarebbe andata.
“Mi aspetti fuori?” le chiese Louis a titolo informativo. La ragazza sembrò indecisa per un attimo, poi annuì e uscì velocemente dal locale. Louis ritornò a guardare freddamente Robert.
“Mi scriverai?”, gli chiese quello.
“No.”
“Immaginavo,” sospirò. “Riuscirai a perdonarmi? So che mi odi per averti nascosto la verità in tutti questi anni, ma non ho mai voluto che ti accadesse qualcosa di male.“
“Lo so, me l’hai già detto,” rispose a disagio. L’altro non commentò.
“E’ una ragazza sveglia. Sembra reagire bene alla trasformazione, molto meglio di altre persone che ho conosciuto. Inoltre, si fida di te,” disse invece facendo un cenno verso la porta da cui Katerina era appena uscita.
Louis sbuffò rumorosamente.
“No che non si fida. Nelle ultime due settimane si è rifiutata di rivolgermi parola. Ma da come si comporta credo che sia un suo difetto generale, quello di non fidarsi troppo degli altri.”
“Non sono così sicuro che sia un difetto. In ogni caso, posso capire che ti ferisca il fatto che lei cerchi a tutti i costi di allontanarti, ma non puoi biasimarla. La sua intera vita è cambiata nel giro di pochi istanti, e sarebbe una cosa difficile da accettare per chiunque; quello di cui ora necessita è trovare un punto fermo, un sostegno. Dalle tempo e tienitela stretta; prima o poi capirà di aver bisogno di te, così come anche tu di lei. Per quelli come noi fa sempre comodo avere un amico con cui confidarsi.”
Louis ebbe la strana sensazione che quel discorso si riferisse in parte a lui e Katerina, e in parte a lui e Robert. Annuì soltanto.
“Vai, avanti. Che non si dica che ti costringo a far aspettare una ragazza al freddo,” gli disse l’uomo in tono scherzoso. Appoggiò sul tavolo i soldi per le Burrobirre, che nessuno dei tre aveva toccato, e si alzarono in fretta. Al contrario di quanto era successo quando erano arrivati, il barista non si degnò né di alzare lo sguardo, né di ricambiare il saluto di Robert.
Quando uscirono dal buio del locale, trovarono Katerina ad attenderli accanto alla porta.
“Katerina, è stato davvero un piacere conoscerti. Sono molto più tranquillo ora che so che, nonostante quello che ti è accaduto, sei una ragazza equilibrata. Sono certo di potermi fidare di te, e spero che valga anche il viceversa. Nelle nostre vene scorre ora lo stesso sangue, e in conseguenza a questo vincolo ti estendo il mio aiuto e la mia amicizia. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, scrivimi e ti aiuterò,” le promise in tono solenne. La ragazza annuì e ringraziò, mentre l’altro si girava verso di lui.
“Louis…”
“Ci vediamo, Robert. Salutami papà,” gli disse solo. Robert annuì con un lieve sorriso, e si allontanò.
 
Dopo che se ne fu andato, tra i due ragazzi scese un silenzio imbarazzato.
“Andiamo?”, le propose poco dopo, evitando di guardarla negli occhi. L’altra risposte affermativamente, e fianco a fianco si avviarono verso il castello. Come all’andata, si tirarono su i cappucci.
Dopo qualche minuto, Louis ruppe ancora il silenzio.
“Hai un aspetto orribile,” disse. “Cioè… hai un’aria molto stanca,” si corresse velocemente quando lei lo guardò un po’ male.
“Faccio fatica a dormire di notte. In più i professori ci hanno caricati di lavoro in vista dei G.U.F.O.,” gli spiegò.
“Capisco.”
Ancora silenzio.
“Il modo in cui mi ha salutata aveva un’aria molto ufficiale,” disse lei.
“In un certo senso lo è. Mi ha spiegato che esiste una sorta di codice d’onore tra vampiri, soprattutto tra quelli che hanno lo stesso sangue in comune. Lui ha generato me e io ho generato te, quindi teoricamente facciamo parte di una stessa fratellanza. Ma è più che altro una tradizione ormai, anche perché normalmente è difficile mantenere le tracce dei vampiri in circolazione.”
“Quindi è per questo che è così preoccupato per te?” chiese lei.
“Anche, ma credo sia soprattutto perché negli ultimi anni aveva cominciato a vedermi come una specie di figlio adottivo, e si sente in colpa per quello che mi è successo. Non sapevo sarebbe venuto qui oggi. Probabilmente se mi avesse avvisato non sarei proprio uscito dal castello,” le fece sapere. “Lo conosco da tanto tempo, ma prima di quest’estate non avevo idea di che cosa lui fosse.”
L’altra annuì comprensiva.
“Come mai eri da sola in Biblioteca e non a Hogsmeade con gli altri, oggi? Ho visto che le tue amiche ci sono andate,” le chiese dopo un po’. Lei sembrò ancora più a disagio per la domanda.
“Se proprio lo vuoi sapere, non sono poi così brava a controllarmi. Avevo paura che in mezzo alla confusione, pigiata con le mie amiche in mezzo alla calca di studenti, mi venisse voglia di azzannare qualcuno,” rispose scrollando le spalle. “Perciò ho preferito restare al castello per conto mio.”
“Capito.”
Katerina gli lanciò un’occhiata incerta. Sembrava riflettere su qualcosa.
“Sai,” gli disse alla fine. “In questi giorni ho fatto un po’ di esperimenti con la Pozione Rimpolpasangue. Ho preso gli ingredienti e un vecchio calderone dal magazzino di Lumacorno e mi sono sistemata nell’aula di Pozioni al terzo piano, quella… beh, te la ricordi. Ho modificato un po’ di cose, e credo che potrei riuscire ad ottenere una versione più stabile e duratura. L’ho chiamata Pozione Antiessiccante.”
Louis la guardò di nuovo, ma stavolta nei suoi occhi c’era ammirazione.
“Accidenti. Lo sapevo che avevo fatto bene a tenerti! Ti riveli utile, dopotutto,” le disse in tono semi-serio. La vide arrossire leggermente. “Quindi sei brava in Pozioni?”
“Me la cavo,” rispose lei. “Lumacorno mi dice sempre che ho l’intuito di una pozionista, ma non la pazienza.”
“Non male! A me diceva che la Gilda dei Pozionisti dovrebbe maledire il giorno in cui sono nato.”
Katerina rise, e Louis soffocò un sorriso.

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Capitolo 7
*** I benefici del Firewhiskey ***



VI - i benefici del firewhiskey.





Dal capitolo precedente:

Katerina gli lanciò un’occhiata incerta. Sembrava riflettere su qualcosa.
“Sai,” gli disse alla fine. “In questi giorni ho fatto un po’ di esperimenti con la Pozione Rimpolpasangue. Ho preso gli ingredienti e un vecchio calderone dal magazzino di Lumacorno e mi sono sistemata nell’aula di Pozioni al terzo piano, quella… beh, te la ricordi. Ho modificato un po’ di cose, e credo che potrei riuscire ad ottenere una versione più stabile e duratura. L’ho chiamata Pozione Antiessiccante.”
Louis la guardò di nuovo, ma stavolta nei suoi occhi c’era ammirazione.
“Accidenti. Lo sapevo che avevo fatto bene a tenerti! Ti riveli utile, dopotutto,” le disse in tono semi-serio. La vide arrossire leggermente. “Quindi sei brava in Pozioni?”
“Me la cavo,” rispose lei. “Lumacorno mi dice sempre che ho l’intuito di una pozionista, ma non la pazienza.”
“Non male! A me diceva che la Gilda dei Pozionisti dovrebbe maledire il giorno in cui sono nato.”
Katerina rise, e Louis soffocò un sorriso.


 
* * *


Erano passati quattro giorni dall’uscita a Hogsmeade, quando Louis se ne uscì con un’idea che Katerina non poté fare altro che definire malsana.
“Ci ho pensato su,” cominciò in tono pigro, senza minimamente spiegare a cosa si stesse riferendo.
Si trovavano nell’aula di Pozioni al terzo piano. Katerina aveva spostato i banchi e le sedie addosso al muro, in modo da trovare lo spazio per potersi muovere attorno a un calderone. Stava sperimentando l’ennesima versione della Pozione Antiessiccante, alla ricerca della combinazione di ingredienti che le avrebbe dato il risultato voluto: una pozione in grado di soddisfare la sete di sangue abbastanza a lungo da permettere a lei e Louis di non dover necessariamente aggredire degli esseri umani per nutrirsi.
L’ultima versione, l’Antiessiccante numero sette, si era rivelata un completo disastro. Era sicura di aver azzeccato la proporzione tra lingue di sanguisuga e legno polverizzato di salice, ma evidentemente aveva sbagliato qualcosa, visto che dopo aver testato la pozione si era ritrovata a lacrimare sangue dai capelli. Doveva ammetterlo, in quell’occasione aveva quasi dato di matto.
Louis, invece, aveva avuto il coraggio di dirle sogghignando che i capelli rossi le donavano. Era quello il vero motivo per cui si trovava con lei adesso: ufficialmente per tenerle compagnia, ufficiosamente per fare da cavia inconsapevole all’Antiessiccante numero otto.
 
“A cosa hai pensato?”, gli chiese cercando di celare la curiosità, dato che l’altro non sembrava avere intenzione di continuare. Iniziò a contare il numero di giri in senso antiorario.
“A te,” fu la risposta del ragazzo. Katerina lo guardò, perdendo la concentrazione. Louis era poco elegantemente seduto sull’ampia sedia che era stata dietro la cattedra, con le gambe appoggiate su un banco e i capelli biondi che gli coprivano gli occhi. Sembrava la persona più rilassata del mondo.
“Sei interessato a darmi altri dettagli?”
Il ragazzo tirò giù le gambe e si mise a sedere più compostamente.
“Guardati,” le disse gesticolando verso di lei. Katerina abbassò lo sguardo, perplessa. “Sei sempre più pallida. Non che il pallore cadaverico non ti doni, ma prima o poi qualcuno si accorgerà che non si tratta di un colorito da G.U.F.O. ma di uno da, beh, persona morta.”
“Stavo pensando di aggiungere alla pozione qualche goccia di Succo di Orklump. Tra le varie cose dovrebbe aumentare la circolazione sanguigna e dare una carnagione più rosea a chi lo beve,” spiegò lei, fissando dubbiosa il calderone. Louis si sporse verso di lei, congiungendo le mani.
“Katerina, ammiro molto quello che stai facendo qui. Davvero, io non ci sarei mai riuscito. Ma non puoi pensare di risolvere tutto con una pozione,” le disse delicatamente.
“E allora cosa proponi?”
“Beh,” rispose lui con un scintillio malizioso negli occhi. “Propongo che tu smetta per un giorno di trangugiare questa robaccia e che, per una volta tanto, ti nutra di vero sangue umano.”
Katerina si bloccò.
“No,” disse categorica.
“Perché no?”, le chiese Louis, che sicuramente si aspettava quella risposta. “Sei un vampiro, Kat. Puoi anche continuare a fingere di essere qualcos’altro, ma prima o poi dovrai affrontare la tua vera natura di predatrice. Se continui a bere solo pozioni, finirai per indebolirti sempre di più ed essiccarti. Hai bisogno di sangue, di nutrimento vero.”
Katerina rimase in silenzio, irremovibile.
“Avanti, non ti sto chiedendo di uccidere qualcuno. Un morso, qualche sorso e poi saremo tutti contenti.”
“No, Louis. L’ultima volta non è andata bene.”
“L’ultima volta non è successo niente,” le ricordò l’altro. “Il ragazzo sta bene. Andiamo, sappiamo tutti quanto tenaci siano i Grifondoro. E non è un complimento.”
“Non è successo niente solo perché sei arrivato tu a bloccarmi, altrimenti l’avrei ucciso.”
“E sarà così anche stavolta, Kat: sarò con te, quindi se ce ne sarà bisogno ti fermerò. Preferisci provarci adesso che riesci ancora a controllarti e che sarai supervisionata da me, oppure tra qualche tempo, quando sarai da sola e non riuscirai a impedirti di azzannare a morte una tua compagna di stanza?”
Katerina ci meditò su malvolentieri. Sapeva che il ragazzo non aveva tutti i torti.
“Va bene,” cedette alla fine. “Ma ad una condizione.”
“Sentiamo.”
“Piantala immediatamente di chiamarmi Kat. Non sono un gatto,” lo redarguì stringendo gli occhi.
L’altro sorrise furbescamente e si alzò in piedi.
“Ottimo. Facciamo domani sera?”
“Meglio di no. Domani sera c’è un torneo di scacchi in Sala Comune, e ho promesso alle mie amiche che ci sarò. Mi accusano di essermi isolata dalla vita della vita comune. Se sparisco di nuovo rischio che mi lincino.”
Louis fece una smorfia quando sentì parlare di ‘torneo di scacchi’.
“Venerdì sera, allora. Sì, non male,” continuò pensandoci su. “Di venerdì il coprifuoco scatta mezz’ora dopo, e gli studenti tendono a stare fuori dalle Sale Comuni per via dell’arrivo del weekend. Meraviglioso. Il venerdì è perfetto per andare a caccia,” terminò con un luccichio sinistro negli occhi.
Katerina alzò gli occhi al cielo e sperò di aver fatto la scelta giusta.
 
Quando la pozione le sembrò pronta ne versò un po’ in un bicchiere. Il fatto positivo fu che il liquido non lo sciolse come acido, al contrario di quello che era accaduto con l’Antiessiccante numero tre. Aveva un aspetto più grumoso del previsto, però.
Lo porse allusivamente a Louis, che la guardò oltraggiato.
“Non ho nessuna intenzione di bere quella roba,” le disse incrociando le braccia.
“No? Peccato. Io invece ho appena cambiato idea per venerdì.”
L’altro fece una smorfia.
“Da’ qua, ricattatrice.”
Con cautela, il ragazzo ne prese un sorso, lo saggiò in bocca per un momento e poi lo sputò.
“Ahia! Ma cosa ci hai messo dentro, peperoncino? Brucia, è piccantissimo,” disse tossendo violentemente. “Che schifo. E’ imbevibile.”
Katerina sospirò, e nei suoi appunti tirò un bel segno sopra ‘Tentativo numero 8’.
“Pensavo che fossi brava in Pozioni,” continuò lui con le lacrime agli occhi.
“Infatti. E’ che il mio assistente fa schifo,” gli rispose pensierosamente, riflettendo su cosa modificare nella ricetta successiva.
Louis, che era piegato in due, tossì ancora e alzò gli occhi per guardarla male.
“Se ti assistessi davvero, a quest’ora sarei morto. Di nuovo.”
 
 
* * *
 
 
Venerdì sera giunse più in fretta di quanto Katerina avesse voluto.
La spiegazione che Louis le aveva dato per convincerla era perfettamente logica, ma lei era comunque restia a, come aveva detto lui, andare a caccia. Si sentiva ancora in colpa per quello che era successo con Arthur Creevey: appena ci pensava rivedeva davanti agli occhi il suo corpo pallido e inerte, così com’era stato la sera in cui l'aveva brutalmente aggredito.
Ma era innegabile che, col passare dei giorni, lei si sentisse sempre più stanca e debole. Di notte non restava più sveglia per ore a fissare il soffitto del letto a baldacchino, ma dormire non le portava quel sollievo che si aspettava. Faticava a concentrarsi durante le lezioni e il tempo che impiegava per terminare i compiti era raddoppiato. Senza contare che tutti i membri del suo immediato cerchio di conoscenze l’avevano spronata ad andare in Infermeria per farsi visitare. In quei momenti pensava che fosse un bene che, nonostante i cinque anni passati insieme, lei non avesse poi così tanta confidenza con quelle persone, perché non dubitava che altrimenti l’avrebbero portata di peso da Madama Wainscott.
Bere sangue fresco l’avrebbe fatta stare meglio e, con un po’ di fortuna, nessuno si sarebbe fatto troppo male.
 
La loro vittima fu un Corvonero del quarto anno.
Lo individuarono quasi per caso. Si stavano dirigendo, Disillusi, verso la Sala di Ingresso, quando lo videro uscire dall’aula di Difesa delle Arti Oscure. La sua aria imbronciata suggeriva che molto probabilmente era appena stato sottoposto a una delle infinite punizioni assegnate dalla Professoressa Merrythought.
La Disillusione non conferiva una perfetta invisibilità alle persone su cui era praticata, anche se in genere era sufficiente per passare inosservati davanti a un mago di media abilità. I vampiri erano però dotati di una vista finissima, e grazie ad essa Katerina era in grado di distinguere vagamente il profilo di Louis. Nel buio, tuttavia, preferiva affidarsi al suo udito vampiresco.
“Trovato,” lo udì sussurrare a voce bassissima.
Lo seguirono per un minuto, fino a che non si ritrovarono in una zona sufficientemente isolata.
Stupeficium
Senza il minimo suono, il ragazzo cadde a terra come una pera dall’albero. Il suo corpo venne poi trascinato dentro una delle numerose stanze vuote del castello.
“Accidenti, lo conosco,” fece Katerina con rammarico dopo essersi tolta la Disillusione. Fissò gli occhi grigi di Louis. “Non possiamo attaccare qualcun altro?”
“No, lui va più che bene. Non è così facile trovare qualcuno che gira da solo a quest’ora. Ah, e vorrei farti notare che uno Schiantesimo è molto più efficace ed elegante rispetto ad un libro in testa.”
“Ne prendo nota,” ribatté Katerina ripensando a quando aveva colpito Arthur, quasi tre settimane prima. Indicò il ragazzo svenuto con un gesto.
“Vuoi favorire prima tu?”, chiese leggermente incerta. Non sapeva quale fosse il corretto protocollo per casi come quello. Louis scosse la testa.
“No, io sono a posto. E’ tutto tuo,” rispose sedendosi su una poltrona. “Katerina, ricordati. So quanto bere sangue sia piacevole, ma ad un certo punto ti devi fermare. Concentrati sul tuo respiro. Non dimenticarti chi sei.”
Lei annuì e cercò di concentrarsi sui suoi consigli. Si inginocchiò di fianco al suo compagno di Casa. Il respiro lento e regolare del ragazzo, e soprattutto il rumore del suo cuore che batteva, erano irresistibili provocazioni per la sua fame.
Sentì i canini allungarsi e una sensazione di calore sul viso. Si chinò e morse il collo della sua vittima, facendo scorrere il sangue.
 
Era ancora meglio di quanto ricordava.
 
La parte dentro di lei che aveva cercato di tenere nascosta nelle ultime tre settimane emerse in tutta la sua spietata gloria. Si avvinghiò ancora più strettamente a quel collo morbido e caldo, per trarne il massimo piacere. Avrebbe voluto che quella dolcezza durasse per sempre.
Aveva perso completamente la cognizione del tempo, abbandonata com’era in quel limbo di beatitudine.
Ma all’improvviso una voce disturbò la sua quiete.
“Katerina, basta.”
Il mostro dentro di lei ringhiò sommessamente. Non voleva smettere.
La sua parte umana, invece, cominciò a lottare. Le ricordò di concentrarsi sul suo respiro, perché davanti a lei aveva un essere umano morente, un ragazzo che conosceva e che vedeva tutti i giorni in Sala Comune e durante i pasti. Un ragazzo che non doveva morire.
Con estrema difficoltà, Katerina si tirò indietro, asciugandosi la bocca sporca di sangue.
Le girava la testa, ma non si sentiva così bene da giorni. Sentiva una forte sensazione di calore in tutto il corpo, mentre il sangue del ragazzo le dava sollievo. Una piccola, umana parte di lei stava gridando in preda all’orrore per ciò che aveva appena assistito, per il mostro assassino che si era appena rivelato dentro di lei, ma fece del suo meglio per ignorarla.
Guardò prima il suo compagno di Casa, notando che il suo respiro si era fatto più irregolare, e poi guardò Louis, che era sempre seduto sulla poltrona ma con il corpo proteso in avanti, come se fosse stato in procinto di alzarsi per tirarla via a forza. Louis ricambiò il suo sguardo e annuì in modo rassicurante.
“Brava,” approvò.
 
Dopo aver soggiogato e mandato via il ragazzo, Katerina considerò l’idea di ritornare in Sala Comune. Per qualche motivo, però, non ne aveva molta voglia.
“Preparati,” le disse invece Louis sorridendo maliziosamente. “Stasera faremo le ore piccole.”
Il sangue fresco le dava una nuova euforia; si sentiva più viva che mai, pronta a conquistare il mondo. Katerina gli sorrise.

 
* * *
 
 
Louis la condusse al settimo piano, in un corridoio che dava sulla facciata principale di Hogwarts. Attraverso una porticina seminascosta si ritrovarono su una piccola balconata esterna, nella gelida aria nera della notte. Katerina pensava che fosse quella la loro destinazione, ma dovette ricredersi quando Louis le indicò una scala in pietra ai margini della balconata. Facendo attenzione a non scivolare, salirono fino a raggiungere un’area pianeggiante riparata dal vento. Osservò ciò che la circondava: si trovavano proprio sul tetto del castello. Quando guardò giù, l’altezza le fece mozzare il fiato. Era straordinario.
Dopo qualche incantesimo ripulente e riscaldante, si sedettero sulla pietra a gambe incrociate. Era una notte tersa: nonostante la distanza impressionante, riuscivano a distinguere bene i giardini sottostanti e i riflessi del Lago Nero in lontananza.
Il vero spettacolo, però, era in cielo. Sopra di loro ammiccava una distesa sconfinata di stelle, miliardi di puntini luminosi che li osservavano dall’alto. Katerina era incantata; sotto quello spazio infinito si sentiva minuscola, una piccola creatura con problemi improvvisamente diventati irrilevanti.
“E’ bellissimo qui sopra,” sussurrò felice.
“Ho trovato questo passaggio qualche mese fa, per puro caso. E’ pericoloso stare quassù, soprattutto quando si rischia di scivolare, ma ne vale la pena,” fu d’accordo Louis. “A meno che non si soffra di vertigini; in quel caso sarebbe un suicidio.”
Con un gesto complicato della bacchetta, il ragazzo Evocò un oggetto scuro che appoggiò di fianco a sé. Katerina allungò il collo per cercare di decifrare al buio di cosa si trattasse, e quando lo capì strabuzzò gli occhi.
“Una bottiglia di Firewhiskey?!”
Louis ridacchiò.
“Non è una semplice bottiglia di Firewhiskey! E’ una bottiglia di Firewhiskey del 1921, un’annata spettacolare. L’ho confiscata qualche mese fa a un gruppetto di Grifondoro. Non potevo certo lasciare a loro quest’opera d’arte,” spiegò. “L’ho conservata per l’occasione giusta.”
“Io non bevo mai quella roba, è troppo forte,” gli disse lei metà divertita e metà contrariata. “Non sono neanche maggiorenne.”
“Neanche io, per un paio di mesi ancora. Ma a chi importa? Avremo tutta l’eternità per essere maggiorenni. Non fa alcuna differenza se ci prendiamo un po’ avanti.”
“Quindi l’hai portata per festeggiare il successo della nostra piccola battuta di caccia?” scherzò Katerina.
“Più o meno.”
Restarono per un po’ in silenzio, nel piacevole calore creato dagli incantesimi, due vampiri e una bottiglia di Firewhiskey sul tetto del mondo.
 
Louis si schiarì la gola.
“Lo sai che ho alcune cose da dirti, vero?”
Katerina rispose affermativamente: ricordava gli strani riferimenti che aveva fatto Robert alla Testa di Porco. Avvertì una punta d’ansia, come se la quiete stesse per essere disturbata da un pericolo imminente.
“In realtà ci troviamo qui proprio per quel motivo. Speravo che questo posto ti piacesse abbastanza da, beh, tenerti calma quando io ti avessi detto quelle cose. Quando Robert le ha dette a me, ho praticamente distrutto il salotto di mio padre.”
“Questo posto mi piace molto,” disse solo, in attesa di quel che sarebbe seguito.
“Ne sono contento.”
Ci fu ancora silenzio, mentre Louis cercava le parole. Katerina si accorse che stava evitando accuratamente di guardarla.
“E’ così terribile?” chiese lei sorridendo debolmente.
“So che li hai studiati al terzo anno, ma hai letto dei libri sui vampiri, vero? Dopo che ti sei trasformata,” le chiese lui di rimando. Katerina ne fu un po’ spiazzata. In ogni caso, l’altro non le diede il tempo di rispondere.
“Certo che l’hai fatto, che domanda stupida: sei una Corvonero. Per voi leggere è come respirare. Ma sto divagando.” Sospirò. “Allora ti ricorderai che i vampiri sono stati classificati dal Ministero della Magia come esseri senzienti semiumani e non come maghi. Te ne sei chiesta il motivo?”
“Non proprio,” ammise lei.
“Va bene,” ricominciò lui. “Katerina, il motivo per cui i vampiri non sono classificati come maghi è che in genere un vampiro adulto non possiede poteri magici.”
 
Entrambi tacquero, mentre lei assimilava l’informazione, lo sguardo fisso sulle fronde degli alberi lontani.
“Non capisco,” disse lentamente.
“Per trasformarsi in vampiro, come sai, un mago deve necessariamente morire con sangue vampiresco nelle vene. La maledizione che domina il sangue è talmente potente che, all’inizio, la magia nativa del mago non si rende conto che il suo corpo è morto. Ma la magia non può sopravvivere in un cadavere: non è nella sua natura. Perciò, quando se ne accorge, comincia ad affievolire fino a scomparire quasi del tutto.”
“Stai dicendo… stai dicendo che perderemo la nostra magia?”, gli chiese Katerina con un nodo in gola. Sperò ardentemente di aver capito male, o che ci fosse una scappatoia, un lieto fine; oppure che Louis le stesse solo facendo uno scherzo di pessimo gusto.
Ma Louis annuì, e le sue speranze si frantumarono.
“Sì. Perderemo la nostra magia,” confermò a bassa voce.
“Quando?”, sussurrò lei.
“Non lo so. Potrebbe succedere domani, oppure tra dieci anni. E’ difficile da prevedere. Robert mi ha detto che più si è giovani quando si viene trasformati, più tempo si ha a disposizione. Poi, un giorno, i nostri poteri cominceranno a indebolirsi fino a scomparire del tutto.”
“Ti prego, Louis,” si girò a guardarlo, con le lacrime che minacciavano di scendere. “Non può essere vero. La magia è tutto quello che ho.”
L’altro la guardò con tristezza.
“Robert non è un mago; ha perso i suoi poteri quasi subito. Quando l’ho conosciuto mi ha addirittura detto di essere un Magonò,” disse con un sorriso addolorato.
 
L’euforia e la voglia di vivere e divertirsi erano sparite nel nulla. Katerina non riusciva credere che fino a pochi momenti prima si fosse sentita felice. Quella notizia aveva cancellato tutto il buono che aveva costruito negli ultimi cinque anni a scuola.
“Quando l’ho saputo ho quasi deciso di non tornare a Hogwarts. Che senso ha? Tanto nel giro di pochi anni tutto quello che ho imparato qui non servirà più a niente. Ma poi mi sono reso conto che avrei buttato via la mia unica occasione per… per essere giovane. Per essere normale,” raccontò Louis in tono incerto. “Finché avremo la nostra magia, continueremo a crescere come ragazzi qualunque. Poi, dopo che sarà sparita, smetteremo per sempre di invecchiare e saremo considerati vampiri adulti.”
“E vivremo per l’eternità,” continuò Katerina in tono incolore, le lacrime che le bagnavano le guance. “Senza magia.”
Louis annuì. Dopo qualche secondo, Katerina vide che le stava porgendo in silenzio la bottiglia di Firewhiskey. Lei la prese e cominciò a bere.
 
 
* * *
 
 
“Ti dico che l’ho vista,” insistette Louis.
“Ma no! Non esiste, ti stai inventando le cose.”
“Invece è la verità. Ero andato nel suo ufficio per riportarle la mappa celeste rubata da un marmocchio del primo anno, e la professoressa era fuori in corridoio. A fare cose che non posso certo ripetere davanti a una quindicenne.”
“Con un elfo domestico?”
“Proprio così.”
“Sai benissimo che ne ho sedici, idiota!”, esclamò Katerina dopo averci pensato su. Sentì che qualcosa le veniva tirato via dalla mano. “Ehi – ridammi la bottiglia!
 
“In fondo i Babbani vivono tutta la vita senza magia,” rifletté Katerina, mentre Louis fissava con sconcertante intensità la bottiglia mezza vuota che aveva in mano. “E se la cavano bene lo stesso. Noi possiamo fare come loro.”
“Eccetto che saremo molto più fighi,” ribadì lui puntandole il dito contro. “Perché siamo vampiri.”
“Giusto. E’ una cosa proprio forte,” annuì lei con serietà. “Siamo più forzuti, più veloci, più immortali.”
“Più belli,” continuò Louis. Lei cercò di colpirlo sulla spalla, ma forse lo mancò. Il mondo girava.
“Sai che ti dico,” aggiunse il ragazzo dopo aver bevuto un altro sorso di Firewhiskey. “Siamo proprio fortunati a perdere i nostri poteri. Perché altrimenti tutti gli altri maghi vorrebbero essere come noi.”
Katerina trovò la cosa eccezionalmente divertente.
 
Avevano entrambi abbandonato la posizione seduta e si erano distesi sulla pietra, fianco a fianco. Le stelle erano ancora più belle di prima.
“Siamo proprio in alto,” commentò lei in tono sognante.
“Sì, ma anche se ci buttassimo giù dal castello non moriremmo. Perché siamo già morti. Probabilmente ci spezzeremmo tutte le ossa, ma dopo poco tempo saremmo come nuovi. Sai che noia.”
“Potremmo provare,” propose. “Cosa direbbe Robert se saltassimo giù?”
“Ci ammazzerebbe per la frustrazione, e poi scapperebbe verso il tramonto con mio padre.”
“Romantico,” sospirò lei beatamente. Si appoggiò la bottiglia alle labbra per bere un altro goccio.
 
“Sai, sono felice che tu abbia ricominciato a parlarmi,” le disse Louis ad un tratto. “Anche se sei librosa e per nulla divertente.”
“Librosa non è nemmeno una parola.”
“E pedante,” continuò lui facendo un gesto con la mano come per dire ‘appunto’. “Però quando sono con te non mi sento più così diverso dal resto del mondo.”
“Oh. Credo sia la cosa più carina che qualcuno mi abbia mai detto. Nonostante gli insulti,” sorrise lei.
“Non ti ho insultata.”
“Lo dici tu. Nel dizionario delle parole inventate, librosa è di sicuro un insulto.”
“Comunque è stato un piacere,” le rispose lui per poi sorridere furbescamente, “Kat.
Lei cercò di colpirlo con la prima cosa che si ritrovò in mano, cioè la bottiglia di Firewhiskey. Il problema fu che sbagliò leggermente la mira e mandò l’improvvisato oggetto contundente giù dal tetto. Costernata, guardò la bottiglia allontanarsi sempre di più verso il basso, fino a scomparire in un inevitabile schianto letale. Louis si tirò su a sedere.
“Hai appena buttato giù dal tetto la mia bottiglia di Firewhiskey del 1921?”, le chiese stringendo gli occhi.
“E non l’avevamo nemmeno finita,” si lamentò lei.
 
“Perché odi così tanto Robert?”
“Non lo odio poi così tanto.”
“A me sembrava di sì.”
“Beh, ok, l’ho odiato per un bel po’ di tempo. Ne avevo tutto il diritto! Mi ha nascosto di essere un vampiro, non mi ha protetto quando avevo bisogno di lui e ha messo in pericolo me e papà. Lo vedevo come un secondo padre, invece non si fidava abbastanza di me da dirmi la verità su se stesso. Papà sapeva tutto da anni, invece a me per tutto il tempo ha raccontato solo bugie. E poi ha indirettamente causato la mia trasformazione in vampiro. Ma non posso più odiarlo per quest’ultima cosa, no?, dopo tutto il casino che ho fatto trasformando te. Sarebbe da ipocriti.”
“Quindi tuo padre e Robert vivono insieme?”
“Già. I miei genitori si sono separati quando ero molto piccolo, non erano fatti per stare insieme. Mio padre non è mai stato il tipo che mette su famiglia e resta in un posto per tutta la vita. E’ un avventuriero. Voglio dire, guardalo: è finito con un vampiro. Non è mai stato molto presente mentre crescevo, ma so che mi vuole bene. Sono sempre stato con mia madre, a parte qualche settimana in estate da lui. Lei non sa niente di vampiri, non ho avuto il coraggio di dirglielo.”
“Ma se ti vuole bene ti accetterà anche così. Non è stata colpa tua.”
“Sì, certo, ma forse non voglio scoprirlo. Forse non voglio dirle che suo figlio è morto.”
“Io non ricordo i miei genitori,” gli disse lei. “Mio padre è mancato quando avevo cinque anni, mentre mia madre se n’è andata subito dopo la mia nascita. So solo che era originaria della Bulgaria, non so nemmeno se fosse una strega o no. E’ stata mia zia a crescermi, la sorella di mio padre. E’ stato bello vivere con lei; mi vuole molto bene. Ma ti capisco, non so se avrò mai il coraggio di dirle cosa sono diventata. Non potrei mai superare un rifiuto.”
Ci fu silenzio per un po’.
“Mi spiace di averti messa in questa situazione. Di averti trasformata.”
“Lo so.”
 
Quando furono sicuri di sentirsi fermi sulle gambe, scesero con cautela le ripide scale di pietra fino a raggiungere il settimo piano. L’orologio le disse che erano circa le tre e un quarto di notte.
Augurò la buonanotte a Louis, che aveva molta più strada da fare rispetto a lei per raggiungere la sua Sala Comune. Il ragazzo la salutò sbadigliando, e lei lo guardò allontanarsi.
Quando giunse al Dormitorio, utilizzò i suoi sensi da vampira per fare meno rumore possibile e non svegliare le altre. Appena toccò il letto cominciò a riflettere sulle tante cose che erano state dette quella sera, ma nel giro di cinque minuti era già caduta in un sonno profondo.
 
 
* * *
 
 
Era una fortuna che la brutta notizia le fosse stata data di venerdì, perché Katerina ebbe bisogno dell’intero weekend per rimettere in ordine le idee e decidere cosa fare della sua vita. Era sicura che altrimenti non sarebbe mai riuscita a presentarsi alle lezioni, adesso che sapeva che ciò che stava imparando non le sarebbe mai servito in futuro. Perciò utilizzò il sabato e la domenica per superare lo shock il più in fretta possibile.
L’idea di perdere i suoi poteri era troppo orribile per essere vera. La magia era stata dentro di lei fin da quando era nata, e sapere che un giorno sarebbe scomparsa per sempre la faceva sentire ancora più morta di quello che era. Era come se un caro amico le avesse appena annunciato di avere pochi mesi di vita davanti a sè. Si sentiva sull’orlo di un baratro ricolmo di disperazione: un solo passo in avanti, e non sarebbe mai più riuscita a risalire.
 
Essere un vampiro aveva i suoi lati positivi, certo, ma erano totalmente oscurati da quelli negativi: la perenne sete di sangue, la violenza, il desiderio costante di uccidere. Ma quelle erano cose che, con un po’ di volontà e ottimismo, sapeva di poter combattere. Come diamine si faceva a lottare quando persino la propria magia decideva di abbandonarti?
Si mise a considerare seriamente l’idea di lasciare Hogwarts, ma la scartò quasi subito. Dove sarebbe mai potuta andare? Hogwarts era la sua casa. Studiare e imparare erano le cose che le riuscivano meglio, e il pensiero di rinunciarvi la faceva cadere nello sconforto. Inoltre, Louis aveva ragione: quella era la loro ultima possibilità di comportarsi come normali giovani maghi. Non aveva senso lasciarsela sfuggire. E quando quella vita sarebbe finita, avrebbe trovato il modo per costruirsene un’altra di totalmente differente.
Katerina pregò la sua magia di restare con lei almeno fino al diploma.
 
Perciò, dopo qualche giorno di lezioni in cui proprio non riuscì ad applicarsi con la consueta concentrazione, ritornò faticosamente alla routine che aveva prima di quel weekend. Era inutile perdere la testa su qualcosa che non poteva cambiare, decise.
Ad inizio aprile i corsi del quinto anno diventarono più duri che mai, e non aver mentalmente seguito per qualche giorno le lezioni si rivelò molto controproducente.
E quella tazza che, beffarda, si ostinava a non volersi trasfigurare in teiera ne era la prova concreta.
 
Era un giovedì e si trovava a una lezione pratica di Trasfigurazione. Non aveva ascoltato una singola parola della parte teorica spiegata dal Professor Silente due giorni prima, quindi ora non aveva la minima idea di come far funzionare quel dannato incantesimo.
Remverto,” riprovò con poca pazienza. La tazza saltò in alto e ricadde sul tavolo senza rompersi. Ora non aveva più una decorazione floreale, ma una che ricordava in maniera un po’ inquietante croci e teschi neri. Sperò che nessuno ci facesse caso. Sospirò: comunque non assomigliava ad una teiera neanche per sbaglio.
“Stai sbagliando il movimento,” le disse una voce maschile accanto a lei. Si girò a guardare con aria perplessa il suo vicino di banco.
“Nella parte finale devi ruotare il polso in modo da ottenere una forma a otto, non a… qualunque cosa fosse quella di prima,” continuò il ragazzo, scuotendo la testa piena di folti capelli neri. Katerina si ritrovò a fissarlo a bocca aperta. Era umiliante che qualcuno si fosse reso conto dei suoi fallimenti, e soprattutto non si era mai accorta che l’altro avesse degli occhi blu così belli.
“Oh,” disse imbarazzata dopo un po’. Si rendeva conto di avere un’aria molto stupida. “Così?”
Replicò il movimento che il compagno di classe le aveva appena descritto. La tazzina, per tutta risposta, si incrinò.
“Più delicatamente.”
Inaspettatamente, il ragazzo le afferrò con delicatezza il polso e le insegnò il movimento corretto. Lei si sentì arrossire. Dopo pochi istanti, l’altro aveva già tolto la mano.
Katerina si schiarì la gola e replicò da sola il movimento.
Remverto!
Davanti a lei c’era adesso una teiera con decorazione di teschi e croci.
“Ben fatto, Miss Farley,” le disse il professor Silente con uno scintillio negli occhi azzurri. “Quegli ornamenti a forma di teschio sono davvero notevoli. Credo di poter addirittura vedere un minaccioso bagliore rosso nelle orbite oculari.”
Katerina avvampò per l’imbarazzo. Quando il professore si fu allontanato, si girò di nuovo verso il suo compagno di banco.
“Grazie per l’aiuto, Riddle,” gli disse in tono grato.
Tom Riddle le rivolse un affascinante sorriso e le rispose, “Di nulla.”






Note dell'Autrice: ta-daaan! In questa storia non poteva certo mancare Tom Riddle, dico bene?
Grazie per aver letto fino a qui. Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Zucchero filato ***


 

VII - Zucchero filato






Dal capitolo precedente:

Inaspettatamente, il ragazzo le afferrò con delicatezza il polso e le insegnò il movimento corretto. Lei si sentì arrossire. Dopo pochi istanti, l’altro aveva già tolto la mano.
Katerina si schiarì la gola e replicò da sola il movimento.
“Remverto!”
Davanti a lei c’era adesso una teiera con decorazione di teschi e croci.
“Ben fatto, Miss Farley,” le disse il professor Silente con uno scintillio negli occhi azzurri. “Quegli ornamenti a forma di teschio sono davvero notevoli. Credo di poter addirittura vedere un minaccioso bagliore rosso nelle orbite oculari.”
Katerina avvampò per l’imbarazzo. Quando il professore si fu allontanato, si girò di nuovo verso il suo compagno di banco.
“Grazie per l’aiuto, Riddle,” gli disse in tono grato.
Tom Riddle le rivolse un affascinante sorriso e le rispose, “Di nulla.”




* * *



Erano trascorse poche ore dalla fatidica lezione in cui Katerina aveva dimostrato la sua scarsa attitudine a trasfigurare tazzine, quando in Sala Comune Abigail si sedette davanti a lei con un sorriso sornione.
“Cos’era quel momento intimo con Riddle a Trasfigurazione?”, le chiese l’amica in tono malizioso, alzando allusivamente un sopracciglio. Mancava solo che iniziasse a mimare uno sbaciucchiamento virtuale, si ritrovò a pensare Katerina, e poi il quadretto sarebbe stato completo.
“Non so di cosa tu stia parlando. Non c’è stato alcun momento intimo,” negò lei distogliendo l’attenzione da due ragazzi del secondo anno che bisticciavano tra loro (ma soprattutto con le rispettive armate) sopra una scacchiera.
“A chi la vuoi dare a bere? Eri rossa come un peperone. E stai arrossendo anche adesso,” disse Abigail in tono trionfante. Katerina cercò invano di nascondere il proprio imbarazzo.
“Non so cosa tu voglia insinuare, Abbie. Negli ultimi cinque anni ho parlato con lui sì e no quattro volte.”
“Eppure da qualche settimana si siede sempre accanto a te durante le lezioni in comune,” insistette la bionda. “A quanto pare qualcuno ha attirato l’attenzione del più bel Prefetto della scuola.”
“State parlando di Tom Riddle?” chiese Matilda mentre sprofondava pigramente nella poltrona accanto a loro.
“In persona. Hai visto come oggi ha spontaneamente dato una mano a Katerina con la sua teiera demoniaca? Proprio lui, che normalmente non aiuta gli altri studenti durante le lezioni neanche sotto minaccia di tortura.”
“Forse ha cominciato a sedersi accanto a me perché a quanto pare sono l’unica ragazza della classe a non morirgli dietro,” fece Katerina in tono sostenuto. Le altre due la ignorarono completamente.
“Certo che ho visto,” rispose Matilda alla domanda di Abbie. “L’ha visto tutta la classe.”
Katerina la guardò con costernazione.
“Ma nessuno aveva di meglio da fare che guardare me e Riddle?”
“Stavamo trasformando delle tazze in teiere. Tu cosa dici?”
“Non so di cosa ti lamenti, davvero,” le fece Abigail. “Molte ragazze avvelenerebbero il tuo succo di zucca in cambio di un casuale contatto fisico con lui come quello che hai avuto oggi. Io lo farei di sicuro.”
“Allora vi consiglio di lasciar stare il mio succo di zucca e di procurarvi teschi e croci: a quanto pare su di lui fanno colpo. E anche su Albus Silente, nel caso foste interessate,” replicò Katerina, scoppiando a ridere davanti ai finti conati di vomito delle amiche.
 
 
* * *
 
 
“Proprio non capisco cosa ci trovi di affascinante nella Sezione di Storia della Magia,” le disse Louis qualche giorno dopo la storia della teiera, apparendo improvvisamente davanti al tavolo a cui si era seduta. La sua espressione era genuinamente perplessa, i riccioli scompigliati come se fosse appena rientrato dai cortili.
“Davvero, ti trovo sempre qui. Non hai altri posti dove stare? La Biblioteca è grande, sai. Senza contare che dovresti fare più attenzione. Qualche malintenzionato potrebbe rendersi conto che i tuoi spostamenti sono prevedibili e approfittarsene.”
A quella battuta così platealmente scorretta, Katerina si ritrovò senza volerlo ad emettere uno sbuffo divertito. Perplessa, lo guardò appoggiare la borsa, sedersi sulla sedia di fronte a lei e tirare fuori libri e quaderni come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Adesso ci facciamo vedere in pubblico insieme?”, gli chiese inarcando un sopracciglio. “Non sapevo fossimo già arrivati a quel punto.”
“A volte capita, nelle relazioni felici,” rispose lui con un sorrisetto. Katerina non commentò quell’affermazione e disse invece, abbassando di nuovo lo sguardo sul libro di Trasfigurazione:
“Mi piace stare qui, è silenzioso. Le altre sezioni della Biblioteca sono sempre piene di studenti, mentre qui non viene mai nessuno.”
“Non me la dai a bere, sorella. Ti ho vista leggere libri di Storia della Magia, la materia notoriamente più noiosa di tutto l’universo,” la accusò puntandole il dito contro.
Katerina alzò le mani in segno di resa.
“Va bene, va bene. Ho cercato di glissare, ma mi rendo conto di non poter nascondere la verità a un investigatore astuto come te. Lo ammetto, mi piace Storia della Magia. La trovo addirittura affascinante.”
“Ti piace? Affascinante?” ripeté incredulo il ragazzo.
“Spesso vengo qui solo per leggere i libri di storia. Volontariamente.”
Louis scosse la testa tristemente.
“Mi dispiace, ma la nostra relazione non può più funzionare. Sei un caso disperato.”
 
Dopo una mezz’ora trascorsa a studiare in silenzio ad eccezione dell’occasionale frecciatina, una ragazza bionda si avvicinò con passo sicuro al loro tavolo. Katerina ci mise qualche istante per capire dove l’avesse già vista, ma poi la riconobbe: era la fidanzata di Louis, una dei Prefetti di Tassorosso.
“Ciao,” disse la ragazza con un sorriso rivolto a entrambi. Louis alzò lo sguardo e la vide.
“Ehi,” rispose. Le strinse affettuosamente una mano.
“Non ci siamo mai presentate: sono Flora Hopkins,” si presentò la nuova arrivata guardando lei.
“Katerina Farley,” rispose ricambiando il sorriso. L’altra le fece l’occhiolino.
“Lo so. Louis mi ha detto tutto di te,” fece. Per un momento a Katerina si mozzò il respiro.
“Come vanno le ripetizioni di Trasfigurazioni?” proseguì tranquillamente Flora.
Ripetizioni di Trasfigurazioni? Era quella la versione ufficiale? Katerina fissò Louis leggermente incredula. Lo vide nascondere un ghigno.
“Molto bene, grazie,” rispose alla fine, in tono che sperava fosse convincente. “Louis mi stava giusto per spiegare le basi teoriche della Trasfigurazione Mutua,” continuò inventando di sana pianta, indicando il libro che stava leggendo fino a pochi istanti prima. Flora sembrò approvare.
“Il materiale del quinto anno è molto complesso,” disse gentilmente. “Ma tranquilla, vedrai che gli argomenti per i M.A.G.O. saranno molto più interessanti. Spero piuttosto che Louis non sia troppo irritante. Ha modi di fare un po’ fastidiosi per chi non lo conosce, ma non è cattivo. Se hai bisogno di aiuto per rimetterlo in riga chiedimi pure,” concluse con un sorrisone, mentre accarezzava i capelli biondo scuro del suo ragazzo. Louis la guardò oltraggiato.
“Sono qui anche io, sai.”
“Ma certo,” rispose Flora dolcemente. Katerina sorrise. “Comunque sono qui per dirti che la riunione dei Prefetti è stata anticipata a stasera per colpa di Rosier, che domani ha un impegno.”
“Cosa c’è, deve farsi bello per gli allenamenti di Quidditch?”
“Secondo Davis e me ha un appuntamento segreto con la Caposcuola nel ripostiglio delle scope al settimo piano. Stiamo organizzando le ronde in modo che passino nelle vicinanze, così forse la smetterà di comportarsi come un insopportabile cafone. Vuoi partecipare?”
“Per Merlino, no,” esclamò schifato il ragazzo. Abbassò la voce in modo cospiratorio. “Piuttosto, avrò bisogno del tuo aiuto per, uhm, creare un imprevisto durante la ronda di mercoledì prossimo, in modo che nessuno controlli l’ala est dei Sotterranei.”
“Ancora quei tornei di Biliardo Volante?” sbuffò Flora. “Te l’ho detto, usare Bolidi come palle da biliardo non è molto…”
“Ehi, ehi,” la interruppe lui. “Io ti ho coperto le spalle quando i Prefetti di Grifondoro volevano denunciare metà Tassorosso per via di quel lanciafiamme, no?”
“Va bene,” accondiscese la ragazza. Si accorse che Katerina li stava fissando con aria perplessa. “Tranquilla, si tratta di normali lotte di potere tra Prefetti. Tu non hai sentito niente.”
Le fece l’occhiolino. Salutò cordialmente entrambi, diede un bacio sulla guancia a Louis e si allontanò.
 
“E’ simpatica,” gli disse dopo un po’ Katerina sorridendo.
“Mh-mm,” fece Louis annuendo. “E’ anche carina, intelligente e divertente. Infatti sto pensando di lasciarla.”
Katerina strabuzzò gli occhi.
“Cosa? Perché?”
Louis sospirò e mise giù la penna. Si guardò intorno per assicurarsi che Flora si fosse effettivamente allontanata, e sembrò prendersi qualche istante per trovare le parole giuste.
“Quando mesi fa mi sono accorto che era interessata a me, mi sono detto: perché no? Ma ora mi rendo conto che non può funzionare. Lei non sa cosa sono, e se lo scoprisse scapperebbe via orripilata. E se anche non scappasse e mi accettasse per quello che sono, non avrebbe comunque senso continuare. Lei è umana, io no. Lei invecchierà e morirà, mentre io resterò così per sempre. Non posso darle quello che cerca. E’ meglio finirla qui, prima che sia troppo tardi.”
“Non credi di fare un po’ troppe supposizioni sul futuro? Forse dovresti basarti di più su quello che avete adesso, nel presente,” gli disse delicatamente.
“Sono solo realista.”
Dopo qualche secondo di silenzio, Katerina si decise a fargli la domanda che la incuriosiva da qualche tempo.
“Hai mai - voglio dire, ti capita mai di… bere il suo sangue?”
L’occhiata che le lanciò il ragazzo era semplicemente furiosa.
“Perché tutti pensano che io mi stia approfittando di lei? Anche Robert mi ha chiesto la stessa cosa,” disse arrabbiato. “E’ la mia ragazza, non la mia sacca di sangue personale!”
“Scusa, non volevo offenderti. Dimentica la domanda,” si affrettò a dire lei.
“E’ accaduto solo una volta,” borbottò il ragazzo dopo qualche minuto. “Non volevo farle del male, ma è successo. Non sono riuscito a controllarmi. Va bene, a dirla tutta, quella è stata la seconda volta; la prima l’ho aggredita proprio come ho fatto con te, per nutrirmi di una sconosciuta. Nei giorni successivi ovviamente ho dovuto assicurarmi che non si facesse male, e tra una cosa e l’altra siamo diventati più che amici.”
“Capisco.”
“Qualche tempo fa mi è capitato di pensare che se la trasformassi forse la nostra storia potrebbe continuare. Se anche lei fosse un vampiro sarebbe costretta ad accettare quello che sono,” disse tetramente. “E’ un pensiero orribile, vero?”
Katerina guardò la sua espressione abbattuta.
“Sì, è piuttosto orribile,” confermò.
“Quindi capisci perché devo lasciarla.”
 
 
***

 
 
“Come mai, dopo aver aggiunto la polvere di salice, hai mescolato due volte in senso antiorario invece che quattro in senso orario?”, le chiese un giorno Tom con curiosità.
Katerina alzò lo sguardo dal suo calderone. Si trovavano a lezione di Pozioni, e poco prima dell’inizio il ragazzo si era diretto senza esitare alla postazione di fianco alla sua. Lei l’aveva lasciato fare; ormai si era abituata ad averlo accanto durante le lezioni condivise di Corvonero e Serpeverde. La sua presenza non la infastidiva; era diligente, intelligente e, beh, obiettivamente un gran bel ragazzo, con i suoi lineamenti raffinati, il suo fisico slanciato, i suoi capelli neri come la pece e gli occhi blu.
Non riusciva proprio ad immaginare come mai il suo interesse fosse stato attirato proprio da lei; era però innegabile che, negli ultimi tempi, poter parlare con lui durante le lezioni fosse diventata per Katerina una piacevole attrattiva.
 
“Ho letto in un manuale che in questo modo la polvere cede alla pozione le sue proprietà magiche in modo molto più efficiente,” gli spiegò gentilmente.
Quella era solo una mezza verità: non l’aveva scoperto da un manuale, ma grazie ai suoi esperimenti sulla Pozione Antiessiccante. Non poteva certo dirglielo, però, altrimenti avrebbe dovuto rivelargli che sì, stava segretamente sperimentando una pozione che sostituisse un nutrimento a base di sangue umano. Katerina pensò ironicamente che dopo una notizia del genere non si sarebbe più avvicinato a meno di dieci metri da lei.
“Buono a sapersi, grazie,” rispose Tom sorridendole, immagazzinando l’informazione in mezzo alle enormi conoscenze che aveva dimostrato di possedere riguardo le pozioni.
A Katerina venne un’idea.
“Tom,” iniziò. Il ragazzo la guardò con la massima concentrazione, come se fosse pronto a dare la massima importanza a qualunque cosa lei gli avesse detto. “Supponiamo, per pura ipotesi, che tu voglia aumentare la proprietà nutritive del fegato di Doxy combinandole con la polvere di salice e il succo di Orklump. Aggiungeresti anche le uova?”
“Dunque,” rispose il ragazzo pensieroso. Si prese qualche istante per riflettere, osservando la lavagna davanti a lui senza mettere a fuoco. “Le uova di Doxy sono velenose, ma suppongo che in piccola quantità non nuocerebbero, ed effettivamente darebbero un contributo nutritivo importante. Più che altro, se per pura ipotesi volessi fare un cosa del genere,” continuò, lanciandole un’occhiata divertita (Katerina mantenne la sua migliore aria innocente), “sostituirei la polvere di salice con qualcos’altro, probabilmente radice di asfodelo. Secondo il Dagworth-Granger, il salice interagisce male con il fegato di Doxy.”
Katerina annuì, pensierosa. Ora che Tom ne aveva parlato, ricordava effettivamente di aver letto una cosa del genere.
“Sembrerebbe un’ottima soluzione. Grazie,” gli disse sorridendo. Le aveva dato un ottimo suggerimento per la sua Antiessiccante numero tredici: dopo la dodicesima tragica versione aveva esaurito le idee.
Il ragazzo ricambiò il sorriso, e continuò a guardarla negli occhi. Katerina si sentì arrossire leggermente, ma sostenne lo sguardo.
“Non ci posso credere!”, tuonò una voce dietro di loro. Katerina sussultò per lo spavento, tanto che per puro istinto si mise la mano sul cuore. In un pensiero veloce come un lampo constatò privatamente l’ironia di quel gesto: era come se avesse voluto controllare che il suo cuore battesse ancora, quando invece sapeva bene che non era così.
“Un Serpeverde e una Corvonero che interagiscono costruttivamente durante una delle mie lezioni!”, continuò il professor Lumacorno. Appoggiò le mani sulle loro spalle, e sospirò felice. “Non credevo che sarei mai vissuto fino a vedere questo giorno. Ragazzi, prendete tutti esempio da Miss Farley e Mr. Riddle.”
Katerina avrebbe voluto sotterrarsi. Lanciò un’occhiata a Abigail, Matilda ed Hayley, le sue compagne di stanza, e dal modo in cui ridacchiavano e si scambiavano gomitate seppe che entro sera sarebbe stata nuovamente costretta a sostenere una conversazione sull’incredibile fascino di Tom Riddle.
 
Al termine della lezione, Tom si chinò per sussurrarle qualcosa all’orecchio.
“Ti dispiace restare indietro un momento? Dovrei parlarti,” le disse. Il suo sguardo era indecifrabile, e Katerina ne fu sinceramente incuriosita. Rispose con un cenno affermativo e riprese a mettere via le sue cose molto più lentamente rispetto a prima.
Quando tutti gli altri studenti furono andati per la loro strada, Tom e Katerina uscirono dall’aula e si diressero fianco a fianco verso la Sala Grande per il pranzo.
“Di cosa si tratta?”, chiese lei, aspettandosi una richiesta inerente lo studio o le lezioni. Quello che invece seguì la colse completamente di sorpresa.
“Come probabilmente sai, sabato prossimo c’è libera uscita a Hogsmeade,” iniziò Tom, cercando le parole adatte. Sembrava insolitamente insicuro, in un modo che suscitava simpatia. “Mi chiedevo se volessi andarci assieme a me.”
“Oh,” fu tutto ciò che Katerina riuscì a dire. Tom Riddle, il Prefetto più desiderato di tutta la scuola, le stava chiedendo un appuntamento?
Si aspettava quasi che il ragazzo scoppiasse a ridere, dicendole che era solo uno scherzo, o che in realtà stava parlando con qualcun altro. Poco importava che in quel momento ci fossero solo loro due in corridoio.
Ma nessuna di quelle eventualità sembrava essere in procinto di realizzarsi, e Katerina si rese conto che Tom stava ancora attendendo una sua risposta.
“Beh, sì. Sì, mi piacerebbe molto,” rispose in tono più timido di quello che avrebbe voluto.
Tom sorrise come se la sua giornata avesse appena preso una piega meravigliosa.
“Fantastico. Non vedo l’ora,” le disse. Avevano ormai raggiunto la Sala Grande, e dopo essersi salutati in modo leggermente imbarazzato si separarono per raggiungere le rispettive tavolate.
Mentre camminava verso il tavolo di Corvonero, Katerina sentì spuntare un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
 
 
* * *
 
 
Nonostante le poco convincenti proteste di Katerina il venerdì si era trasformato nell’ufficiale serata di caccia, e quella sera lei osservava con testa inclinata la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.
“Non saprei,” commentò dubbiosa a voce bassissima. Sentì un movimento di fianco a sé, e seppe che Louis si era spostato al suo fianco. Nella parziale oscurità riusciva appena a distinguere il suo profilo, dato che erano entrambi Disillusi.
“Io dico che sarebbe perfetto. Poetico, quasi,” proclamò, anche lui a volume basso. Non che la coppietta davanti a loro, impegnata com’era in baci passionali ed effusioni di vario tipo, avesse la minima possibilità di udirli parlare.
“Guardali,” continuò Louis. Katerina pensò di intravedere il suo braccio distendersi per indicare suggestivamente la scena. “Guarda come sono giovani, innamorati e appassionati. Non fanno scattare dentro di te il desiderio di stritolare i loro cuoricini amorosi?”
“No,” rispose seccamente Katerina. “E per la cronaca, ti trovo inquietante. Inoltre comincio a sentirmi leggermente a disagio.”
“Lasciami almeno togliere una ventina di punti a ciascuno. Sono una Grifondoro e un Corvonero, è come Natale arrivato in anticipo.”
Katerina scosse la testa, pur sapendo che probabilmente l’altro non poteva vederla.
“Non abbiamo mai attaccato due persone nello stesso momento,” osservò pensierosa.
“Dov’è il divertimento se facciamo sempre le stesse cose? Ogni tanto ci vuole una bella sfida.”
“Non lo stiamo facendo per divertimento,” lo redarguì lei. Lo sentì bofonchiare qualcosa che assomigliava a ‘noiosa’.
“Ti prego, almeno prendi una decisione prima che lui si tolga le mutande,” sospirò poi.
“Va bene, facciamolo,” cedette lei. “Io però prendo la ragazza.”
“Ci avrei scommesso.”
Qualche istante dopo, da un punto apparentemente vuoto partirono due Schiantesimi paralleli.
 
“Cosa fai domani? Vai a Hogsmeade?”, le chiese Louis più tardi, all’interno dell’aula in disuso di Pozioni. Non era un luogo magico come quella sera sul tetto, ma Katerina aveva davvero bisogno di arrivare a capo dei suoi tentativi con la Pozione Antiessiccante, dato che con l’avvicinarsi degli esami la mole di studio stava risucchiando tutto il suo tempo libero.
“Sì, ci vado,” gli rispose distrattamente, mentre leggeva i consigli sul tempo di infusione delle uova di Doxy. Per Merlino, ma due pozionisti si erano mai messi d’accordo su qualcosa?
“Con le tue amiche?”
“In realtà no,” fece lei. “Ci vado con Tom Riddle.”
Sentì un rumore e osservò Louis con la coda dell’occhio. Il ragazzo aveva trascinato indietro la sedia e la stava guardando stupefatto.
“Con Tom Riddle?!”
“E’ quello che ho detto.”
“Misericordia,” bofonchiò. “Non posso crederci. Io sto cercando di racimolare il coraggio per lasciare la mia ragazza, e tu invece ti dai alla pazza gioia.”
“Non mi sto affatto dando alla pazza gioia,” ribatté lei guardandolo perplessa. “E non vedo come le due cose siano collegate.”
“Sul serio? Te lo devo spiegare?”, rispose l’altro con aria incredula. “Sai benissimo per quale motivo voglio lasciare Flora, e oserei dire che quel motivo vale anche per te.”
“Solo perché tu hai paura del futuro non significa che io non possa vivere la mia vita,” gli disse, cominciando ad arrabbiarsi. Un peso sgradevole cominciò a infiltrarsi nel suo cuore. “Quello che tu fai con Flora non ha niente a che vedere con me e Tom.”
“Invece è la stessa cosa. Se non può funzionare tra me e Flora, non funzionerà nemmeno per voi due.”
“Non hai alcun diritto di venire a dirmi cosa fare con lui, quando tu stai con la tua ragazza da mesi senza aver ancora trovato il coraggio di lasciarla!”
“Scusa tanto se trovo difficile lasciar andare la prima persona che mi è stata vicina in questi mesi,” rimbeccò l’altro incollerito alzandosi in piedi.
“Per l’amore del cielo, provo solo a uscire con lui una volta, non ho intenzione di sposarlo o di spezzargli il cuore,” esclamò Katerina allargando le braccia.
“E’ un atteggiamento egoista,” la accusò lui. “Se fossi furba impareresti la lezione e troncheresti la storia prima di iniziarla.”
“Non dirmi cosa devo fare!” Ora si trovavano faccia a faccia, uno più arrabbiato dell’altra. “Ma che diavolo ti prende? Ti comporti come se fossi geloso!”
“Va bene, Katerina,” sputò lui sprezzante. “Fai quello che ti pare. Ricordati solo di controllare la tua sete di sangue quando quel ragazzo ti ficcherà due metri di lingua in gola.”
E con quell’ultimo commento velenoso, Louis si diresse a grandi passi verso la porta e se ne andò.
 
 
* * *
 
 
Il litigio con Louis era stato breve e inaspettato come un fulmine a ciel sereno, e i suoi strascichi si fecero sentire fino al giorno dopo. Katerina dubitava che l’altro le avrebbe rivolto parola tanto presto.
Le sue parole l’avevano ferita più di quanto le piacesse ammettere, e allo stesso tempo saperlo arrabbiato con lei la riempiva di disagio. Si era abituata alla sua presenza, all’amicizia che le aveva offerto durante quelle settimane; quasi senza rendersene conto, avevano cominciato a trascorrere insieme ogni momento libero che avevano a disposizione. Continuava tuttavia a pensare che la reazione di lui fosse stata esagerata: non aveva davvero alcun diritto a dirle come vivere la sua vita, questioni vampiresche a parte.
Le sue accuse continuavano a ripetersi all’infinito dentro la sua testa.
La mattina dopo, quindi, si svegliò molto meno eccitata alla prospettiva di uscire con Tom rispetto al giorno precedente.
 
Era inutile dire che le sue compagne di stanza avevano minuziosamente espresso ogni loro singola opinione riguardo quell’uscita, a partire da che ragazza fortunata fosse fino a come doveva vestirsi. Fortunatamente, dopo qualche occhiataccia da parte sua le altre si erano date un contegno.
“Chissà se Rosier ti troverà interessante,” le disse Abigail ad un certo punto, col mento appoggiato sul palmo della mano. Katerina, che si stava pettinando, la guardò riflessa nello specchio.
“Chi diamine è Rosier?”, le chiese perplessa.
“Non lo sai? E’ il Prefetto di Serpeverde del settimo anno. Pensavo fosse il prossimo nella lista, dopo Louis Henry e Tom Riddle, rispettivamente Prefetti del sesto e quinto.”
Quella presa in giro la fece un po’ arrabbiare, ma onestamente supponeva che fosse più per l’inaspettato accenno a Louis che per l’ironia vera e propria.
“Ah, quel Rosier. No, si dice che abbia una tresca con la Caposcuola,” rispose alla fine. “E per la cronaca, come vi ho già detto, tra me ed Henry non c’è assolutamente nulla. Mi dà solo ripetizioni di Trasfigurazione ogni tanto.”
“Certo, come se un qualunque Serpeverde fosse disponibile ad aiutare qualcuno senza ricevere nulla in cambio,” si intromise Hayley.
“Credo che, dopo l’ultima bravata, come punizione Lumacorno l’abbia costretto a fare qualcosa di utile per gli altri studenti,” inventò Katerina. Davvero, basta parlare di Louis.
“Però ammettilo, hai un debole per le figure di potere di Serpeverde.”
Katerina si girò a guardarle, un sorriso diabolico sul viso.
“Infatti il prossimo della lista sarà Lumacorno in persona,” scherzò. Le altre risero.
 
Quando scese nella Sala di Ingresso alle undici in punto trovò Tom ad aspettarla, impeccabile come sempre.
Il ragazzo la salutò con un bacio sulla guancia, le fece qualche complimento e la condusse verso l’uscita, cercando per tutto il tempo di metterla a suo agio. Mentre camminavano fianco a fianco, Katerina sentì l’agitazione sciogliersi, soprattutto perché fortunatamente non aveva ancora detto o fatto qualcosa di terribilmente imbarazzante.
Dopo qualche minuto, però si rese conto che qualcosa non andava.
Tom era più cordiale che mai, ma sotto la sua aria rilassata sembrava nascondersi qualche misteriosa preoccupazione. Il suo primo pensiero fu che si fosse pentito di averle chiesto di uscire, ma lo scartò subito: le sembrava realmente interessato a lei, e se anche così non fosse stato era troppo gentiluomo per farglielo pesare.
“Tom, mi sembri preoccupato per qualcosa. Va tutto bene?”, gli chiese quindi. L’altro sospirò e le sorrise.
“Sì. Beh, in realtà no,” si corresse. “Senti, non dovrei dirtelo, però devi sapere che circa un’ora fa è stata richiamata d’urgenza una riunione di Prefetti. A quanto pare c’è stato un altro episodio della Sindrome.”
“Oh no,” disse lei preoccupata. Era il primo caso dopo oltre un mese – dal giorno in cui lei si era trasformata in vampiro, a dir la verità – e tutti avevano cominciato a pensare che la malattia (o qualunque cosa fosse) fosse stata debellata. “Di chi si tratta stavolta?”
“Un Serpeverde del quarto anno. Ma c’è dell’altro,” rispose Tom, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno li stesse ascoltando. “Stavolta c’è un elemento fuori dall’ordinario.”
“Cosa intendi dire?”
“Sul muro accanto al corpo pietrificato del ragazzo c’era una scritta in vernice magica rossa. I Professori hanno dovuto faticare per tirarla via.”
“Cosa diceva?”, gli chiese lei, pendendo dalle sue labbra.
’La Camera dei Segreti è stata aperta’.”
 
 
* * *
 
 
Durante il tragitto, Tom le raccontò la storia della Camera dei Segreti, che lei non aveva mai sentito nominare.
“E’ una vecchia leggenda che viene tradizionalmente raccontata ai nuovi Serpeverde la prima sera dell’anno scolastico. Si narra che Salazar Serpeverde, in disaccordo con gli altri Fondatori su come gestire gli studenti di origini non magiche, prima di andarsene fece costruire una stanza nascosta, detta appunto Camera dei Segreti, contenente degli orrori che una volta liberati avrebbero cacciato i Nati Babbani dalla scuola. La Camera tuttavia non può essere aperta da chiunque, ma solamente dal vero Erede di Serpeverde.”
Katerina assimilò l’informazione.
“Hammond, Finnigan e gli altri ragazzi pietrificati…” cominciò lei.
“Hanno tutti almeno un genitore Babbano,” terminò Tom. “Il Serpeverde colpito oggi è un Nato Babbano. Un abominio, per le idee del Fondatore.”
“Questa storia è assurda,” disse lei scuotendo la testa. “Così assurda che potrebbe anche avere senso. Chi mai potrebbe essere questo Erede di Serpeverde?”
“Impossibile saperlo senza coglierlo con le mani sul fatto,” commentò il ragazzo. “Non è nemmeno detto che sia di Serpeverde, potrebbe appartenere a qualunque Casa. Potrebbe addirittura essere un professore. Chiunque, davvero.”
“E questi orrori contenuti nella Camera…”
“Una maledizione, forse, visto lo stato in cui sono state ritrovate le vittime. Qualche incantesimo Oscuro che pietrifica chi viene colpito.”
“Oppure un mostro. Una bestia,” fece lei pensierosamente, ricordando il genere di ferite che Louis le aveva descritto dopo averla trovata morta. Quell’idea le faceva venire i brividi. Non era sicura che fosse stata la Sindrome a colpirla quella sera, ma senza saperlo forse Tom le aveva appena rivelato il modo e il motivo per cui era stata uccisa.
Il ragazzo le scoccò un’occhiata penetrante.
“Esatto,” disse solo.
“E’ orribile,” commentò lei tristemente. “Era già abbastanza brutto che quei ragazzi fossero pietrificati, ma sapere che qualcuno l’ha fatto di proposito a causa di stupide idee sul sangue rende la cosa ancora peggiore.”
“Mi dispiace, non volevo inquietarti,” si scusò Tom. “Ma nonostante i professori ci abbiano chiesto di tenere gli occhi aperti e non diffondere la notizia, preferivo che tu ne fossi a conoscenza. E’ più facile difendersi quando si ha almeno una vaga idea di ciò contro cui si sta combattendo.”
Nonostante tutto, Katerina si sentì lusingata dalla preoccupazione che il ragazzo aveva dimostrato per lei con quelle parole.
 
La giornata con Tom fu davvero piacevole: più trascorrevano il tempo insieme, più le sembrava di conoscerlo da sempre. Era spesso serio e gentile, ma ogni tanto se ne usciva con un luccichio negli occhi e una battuta arguta, e la faceva ridere.
Pranzarono ai Tre Manici di Scopa ad un’ora tarda, in modo che il locale si fosse in parte svuotato dalla massa ingombrante di studenti. Sorseggiando la sua Burrobirra, Katerina ripensò all’ultima volta che si era trovata un boccale di quella bevanda davanti, quel giorno dell’incontro alla Testa di Porco con Louis e Robert. Scacciò subito quel ricordo: pensare a Louis la metteva ancora a disagio, e lei voleva godersi la giornata con Tom. Certo, l’altro vampiro la trovava egoista per il modo in cui stava illudendo il ragazzo. Ma lo stava poi davvero illudendo? Tom le piaceva sul serio, e la trasformazione in vampiro le aveva portato via talmente tante cose che lei non aveva intenzione di rinunciare anche a quella.
 
Nel pomeriggio decisero di fare una passeggiata e girare i negozi di Hogsmeade. La prima tappa fu prevedibilmente in libreria, l’habitat naturale per entrambi, dove trascorsero un’ora buona a confrontarsi sulle loro ultime letture e sulle novità appena uscite. Katerina fu entusiasta di trovare una vecchia edizione in buono stato di Storia del Nuovo Mondo, La Colonizzazione Magica delle Americhe, un volume raro che non era mai riuscita a trovare da nessuna parte.
Successivamente visitarono Mielandia, dove Tom le comprò un delizioso bastoncino di zucchero filato che cambiava magicamente forma ogni volta che qualcuno diceva ‘bacon’, e per un po’ si divertirono a trovare il modo di includere quella parola in ogni frase. Si fermarono brevemente anche da Zonko (“Devo aggiornarmi sulle ultime diavolerie che mi toccherà sequestrare a quei piccoli mangiabacon,” disse Tom. Lo zucchero filato prese la forma di un drago), e da Scrivenshaft, a comprare nuovo materiale scolastico.
Prima che potessero rendersene conto cominciò a farsi buio, e i due ragazzi decisero di concludere l’uscita e ritornare al castello. Il tempo con lui era davvero trascorso come un fulmine, pensò Katerina. Camminando in un piacevole silenzio, Tom l’accompagnò fino ai piedi delle scale che portavano alla Sala Comune di Corvonero.
Katerina gli sorrise timidamente.
“Eccoci qui,” gli disse. “Grazie di tutto, Tom. E’ stata davvero una bella giornata.”
“Molto bella,” concordò lui, con voce più bassa del normale. Katerina sentì dei brividi correrle su per la schiena. “Spero di poterla ripetere presto.”
Si chinò a darle un bacio sulla guancia e poi, dopo una breve esitazione, invece di tirarsi indietro scostò il viso e appoggiò morbidamente le sue labbra a quelle di lei.
Istintivamente, Katerina si ritrovò a ricambiare il bacio. Si sentì piacevolmente avvolta dalla pressione delle sue labbra, dal suo profumo, quasi protetta e al sicuro. Sentì le mani di lui appoggiarsi delicatamente sulla sua schiena e attirarla a sé, e poi non pensò più a niente.
 
“Ci vediamo domani,” le sussurrò lui dolcemente qualche tempo dopo. Katerina lo salutò con un sorriso, non fidandosi troppo della sua voce.
Mentre entrava in Sala Comune, pensò di non essersi mai sentita così felice.






Note dell'Autrice: capitolo leggermente più corto, giusto per approfondire i rapporti tra i personaggi principali. Grazie per aver letto fino a qui!
Alla prossima.

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Capitolo 9
*** Riflessi sull'acqua ***



VIII - riflessi sull'acqua.






Dal capitolo precedente:

“Eccoci qui,” gli disse. “Grazie di tutto, Tom. E’ stata davvero una bella giornata.”
“Molto bella,” concordò lui, con voce più bassa del normale. Katerina sentì dei brividi correrle su per la schiena. “Spero di poterla ripetere presto.”
Si chinò a darle un bacio sulla guancia e poi, dopo una breve esitazione, invece di tirarsi indietro scostò il viso e appoggiò morbidamente le sue labbra a quelle di lei.
Istintivamente, Katerina si ritrovò a ricambiare il bacio. Si sentì piacevolmente avvolta dalla pressione delle sue labbra, dal suo profumo, quasi protetta e al sicuro. Sentì le mani di lui appoggiarsi delicatamente sulla sua schiena e attirarla a sé, e poi non pensò più a niente.
 
“Ci vediamo domani,” le sussurrò lui dolcemente qualche tempo dopo. Katerina lo salutò con un sorriso, non fidandosi troppo della sua voce.
Mentre entrava in Sala Comune, pensò di non essersi mai sentita così felice.



 
* * *



Quando la mattina successiva i primi raggi del sole illuminarono la sua stanza, Katerina si sentiva ancora leggera come una nuvola. Aprì di scatto entrambi gli occhi, e come per magia la sua mente visualizzò nei minimi particolari il modo in cui Tom l’aveva salutata la sera precedente. Si ritrovò a sorridere follemente come un’idiota; fortunatamente, finché era stesa nella privacy del suo letto con le tende tirate, non c’era nessuno che poteva vederla.
L’inevitabile terzo grado delle sue amiche era già avvenuto la sera prima, e lei aveva a malincuore raccontato i dettagli salienti della giornata appena trascorsa. Le altre erano sembrate quasi più emozionate di lei: c’erano stati molti risolini, parecchi sospiri e addirittura qualche pacca sulla spalla. Era stato molto imbarazzante.

Era ancora presto per una domenica mattina, ma, dopo un tempo indefinito trascorso a sognare ad occhi aperti, pensò finalmente di alzarsi dal letto e dirigersi da sola verso la Sala Grande per fare colazione, senza attendere che le sue compagne di svegliassero. Era una giornata stupefacente, decise; si sentiva talmente ottimista e piena di energie da concludere su due piedi che più tardi, volente o nolente, avrebbe cercato Louis per dirgli della connessione che riteneva esistesse tra la sua morte e la Camera dei Segreti.  
Non le importava affatto che fosse ancora arrabbiato con lei: quella era un’informazione di cui dovevano assolutamente discutere.

Poco dopo aver formulato questo pensiero il destino parve decidere di farle uno scherzo, perchè mentre percorreva il corridoio all’altezza del quinto piano si imbatté proprio in Louis. Il ragazzo stava camminando nella direzione opposta alla sua, e quando la vide fece una faccia sorpresa e strinse le labbra. 
Entrambi rallentarono gradatamente il passo, fino a che non si furono avvicinati a sufficienza da fronteggiarsi. Lei incrociò le braccia; improvvisamente ricordava ogni singolo dettaglio della loro conversazione del giorno precedente, dai suoi occhi infuriati alle parole gratuitamente aspre che le aveva rivolto.
“Ciao,” gli disse più seccamente del normale.
“Ciao,” ricambiò lui più o meno sullo stesso tono. “Stavo giusto venendo a cercarti.”
“Perché?”
“Perché sì,” rispose senza elaborare. “Com’è andata ieri?”
“Bene.”
Louis la scrutò a fondo, facendola sentire sotto esame.
“Vedo,” commentò alla fine in un tono che risuonava come un’accusa. Katerina ignorò l’affermazione: non sapeva cosa l’altro avesse visto, e non voleva saperlo.
“Perché mi stavi cercando?”
Il ragazzo sospirò, e distolse brevemente lo sguardo.
“Per scusarmi, suppongo.”
Katerina alzò un sopracciglio, sorpresa. Decisamente non era quello che si aspettava.
“Mi dispiace per quello che ti ho detto l’altra sera,” continuò il ragazzo con aria metà sostenuta e metà sincera. “Resto sempre dell’idea che tu stia facendo uno sbaglio colossale con Tom Riddle, ma immagino che non siano affari miei. Sei mia amica, e dovrei appoggiare le tue scelte, invece di riversare su di te i miei errori.”
Katerina rimase per un momento senza parole, confusa com’era. Non avrebbe mai pensato che Louis sarebbe stato capace di fare una cosa come chiedere scusa per primo – riteneva che fosse un po’ troppo permaloso per il suo bene - ma non poteva negare che le facesse piacere, per quanto strano le suonasse.
“Grazie. Dispiace molto anche a me. E’ davvero gentile da parte tua dire queste cose,” replicò alla fine. Scorse un’ombra soddisfatta passare velocemente negli occhi del ragazzo. “Fin troppo gentile, a dire la verità. E’ stata Flora a suggerirtelo?”
Louis fece una smorfia scocciata, ma poi sorrise e scrollò le spalle.
“Mi hai beccato. Mi ha chiesto cos’avessi, quindi le ho raccontato che avevamo litigato per via di una divergenza di opinioni su Trasfigurazione, e lei mi ha fatto una ramanzina lunga un chilometro. La spinta a scusarmi è stata sua, ma comunque il dispiacere è tutto mio.”
Davanti alla sua aria divertita Katerina scosse la testa, ma gli sorrise.
“Per la cronaca, volevo cercarti anche io. Ti devo parlare.”
“Spara.”

Aprì la bocca, ma poi prese in considerazione il corridoio e i quadri appesi alle pareti. Sembrava che nessuno dei loro occupanti fosse in ascolto, ma decisamente non valeva la pena rischiare.
Afferrò Louis per un braccio e lo trascinò dietro un arazzo, dove come ben sapeva c’era un passaggio nascosto che portava direttamente al secondo piano. In caso di bisogno, sarebbe stata in grado di udire l’arrivo di qualcuno lungo il corridoio.
“Molto intimo qui dietro,” commentò lui, guardandosi intorno con aria interessata.
“Penso di aver scoperto qualcosa su come sono morta,” gli disse concitata. “Tom mi ha raccontato che alla riunione dei Prefetti di ieri vi è stato detto di un nuovo attentato. Mi ha parlato della Camera dei Segreti.”
Il ragazzo annuì, per segnalarle che sapeva di cosa stava parlando.
“Ci era anche stato raccomandato di tenere la bocca chiusa, ma non mi sorprende che Riddle il Perfetto abbia deciso di spifferare tutto alla prima persona che gli è capitata sottomano,” fece lui in tono leggermente ostile. Katerina lo guardò stringendo gli occhi, momentaneamente distratta dall’argomento di conversazione principale.
“Vuoi dirmi che tu non ne hai parlato con nessuno?”
“Ne ho parlato con tutti, ovviamente,” rispose Louis roteando gli occhi in modo altezzoso. “Non aveva senso tenere i miei compagni di Casa all’oscuro; noi di Serpeverde dobbiamo restare uniti contro i pericoli del mondo. Ma scommetto che lui l’ha fatto solo per impressionarti.”
“Non c’è nulla di meglio di un attentato per fare colpo su una ragazza,” commentò lei in tono sarcastico.
“Su una ragazza come te,” la corresse lui con un sorrisetto furbo. Lei lo fissò in modo ostile per qualche secondo, e poi disse:
“Come ti stavo dicendo, credo che la cosa che ha pietrificato gli studenti sia la stessa che mi ha uccisa, e che riguardi in qualche modo la Camera.”
“Probabilmente hai ragione,” rifletté lui, tornando serio. “Non avevamo prove che la Sindrome e la tua morte fossero collegate, ma a questo punto non ha senso supporre qualcosa di diverso. Qualcuno sta cercando di portare il terrore dentro questa scuola, e tutti questi eventi fanno parte della stessa serie di attentati. Vorrei davvero sapere perché.”
“Pensi che l’Erede di Serpeverde sappia di avermi uccisa?”
“Non lo so,” le rispose pensieroso. “Dovremmo capire come mai tutti gli altri sono stati pietrificati e tu no, e bisognerebbe sapere fino a che livello è in grado di controllare la sua arma. Se questa si scatena anche senza la sua presenza potrebbe non essersene reso conto. Se invece è lui in prima persona ad attivarla…”
“Allora lo sa,” concluse lei. Fissò lo sguardo su una delle torce alla parete, valutando le due alternative.
“Da quando è successo hai notato qualcosa di strano? Qualche comportamento fuori dal normale? Qualcuno che si è interessato a te in modo particolare?”
“No, non mi sembra,” rispose lei scuotendo la testa. “Beh, ovviamente a parte…”
Si bloccò, mentre un pensiero sgradevole le fulminava la mente.
“A parte?”, la incalzò Louis.
“A parte Tom,” fece lei lentamente.
 
Ci fu un lungo momento di silenzio, mentre entrambi riflettevano privatamente su quella nuova possibilità. Nonostante la luce scarsa Louis dovette leggere nel suo sguardo almeno una parte di quello che le stava passando per la testa, perché le appoggiò una mano sulla spalla come per tranquillizzarla.
“Katerina, non credo proprio che Tom Riddle possa essere l’Erede di Serpeverde. Lo conosco da anni, e non mi sembra il tipo da organizzare una serie di attentati terroristici giusto per passare il tempo. Per quanto irritante io possa trovarlo, è una brava persona, non un assassino. E non penso che arriverebbe ad avvicinarsi così tanto a te se non fosse realmente interessato.”
“Spero che tu abbia ragione,” disse lei. Si sentiva stordita. “Ma non c’è modo per esserne sicuri, vero? Non posso fidarmi.”
“No,” ammise l’altro. “Ascoltami, ecco quello che faremo. Tu cercherai di non dare troppo peso a queste supposizioni, perché è solo questo che sono, per ora: supposizioni. Decidi tu fino a che punto approfondire il vostro rapporto, ma con lui ti comporterai sempre normalmente, come se non fosse successo niente. Se fosse colpevole sospetterebbe qualcosa, se non lo fosse tratteresti ingiustamente un ragazzo innocente. Tieni sempre gli occhi aperti, evita di trovarti troppo spesso da sola con lui, fai caso a ogni domanda o richiesta che ti sembri strana. Io farò il possibile per controllarlo, in Sala Comune e fuori. Se è lui l’Erede, prima o poi commetterà un passo falso. Non ti preoccupare, ne verremo a capo.”
Katerina annuì, leggermente rassicurata dal piano d’azione esposto da Louis.
“Grazie, Louis.”
“Figurati. Non so proprio cosa faresti senza di me.”
 
 
* * *
 
 
Dopo essere usciti dal passaggio dietro l’arazzo, Katerina aveva salutato Louis e aveva fatto dietrofront per ritornare in Sala Comune. Quella discussione le aveva completamente fatto perdere l’appetito, senza contare che non pensava di riuscire ad affrontare Tom in quel momento. Trascorse quella domenica nascosta in Dormitorio a studiare, con l’occasionale visita alle cucine per mangiare qualcosa. Si accorse che le sue amiche le lanciarono più volte guardi sospetti, ma non commentarono la sua strana riluttanza a uscire dalla Torre di domenica – almeno, non con lei - e Katerina ne approfittò per tenersi a distanza.
Non voleva pensare a nulla che non facesse parte di un Teorema di Trasfigurazione o degli ingredienti per il Distillato Soporifero, davvero. Se avesse permesso a suoi pensieri di vagare si sarebbe ricordata come si era svegliata felice quella mattina, e poi le sarebbe venuto in mente tutto il resto. Era ridicolo immaginare che proprio Tom, tra tutti, fosse implicato nella vicenda della Camera dei Segreti: bastava conoscerlo, anche solo di vista, per sapere che era impossibile. Nei suoi cinque anni a Hogwarts era sempre stato un ragazzo educato, rispettoso con tutti e molto intelligente; non c’era assolutamente nulla che non andasse in lui. Lo ammiravano tutti, professori compresi.
Ma lei non si sentiva brava a gestire i rapporti con le altre persone; non sapeva come affrontare qualcuno che sembrava pienamente degno della sua fiducia ma che forse invece non lo era, e quel dubbio era sufficiente per farle desiderare la solitudine, almeno per il momento. Le serviva tempo.

Il giorno successivo prese un bel respiro e uscì dal suo rifugio. Non erano in programma lezioni in comune con i Serpeverde, ma era poco credibile pensare che sarebbe riuscita a sfuggire a Tom per sempre.
Subito dopo pranzo, scoprì che la stava aspettando in Sala d’Ingresso.
Appena lo vide si sentì una stupida. Non era semplicemente possibile che dietro a quei sereni occhi blu si nascondesse l’anima di un assassino. Del resto, il motivo per cui aveva iniziato a sospettare di lui era molto debole: solo perché si era interessato a lei nell’ultimo periodo non doveva avere per forza cattivi propositi. Giusto? Era una supposizione ridicola. Quando parlava con lui non notava nulla che potesse sembrare falso, o forzato: pareva assolutamente genuino in tutto ciò che diceva.
Perciò gli fece un sorriso sincero, e guardò il suo volto illuminarsi come se lei fosse la cosa più bella che gli fosse capitata quel giorno. Non le chiese come mai il giorno prima non si fosse fatta vedere in giro, e lei non fornì alcuna spiegazione.
“Ho un’ora libera. Ti andrebbe una passeggiata vicino al Lago Nero?”, le domandò, impeccabilmente cortese come sempre.
“Certamente,” disse lei con entusiasmo.
Quell’ora in compagnia passò molto piacevolmente, e lei rise ai suoi racconti sulle strane cose che potevano accadere durante le riunioni del Lumaclub. Finché rimasero insieme, però, Katerina fece in modo di restare sempre in una zona visibile dal castello e in prossimità degli altri studenti all’aperto.
 
I giorni successivi trascorsero nello stesso modo: Tom e Katerina passavano le lezioni in comune sempre vicini, e si cercavano anche fuori dall’orario scolastico in modo da passare del tempo insieme. Era bello aspettare con ansia i corsi di Trasfigurazione e Pozioni per potersi sedere accanto a lui in un silenzio complice, mentre ascoltavano i professori parlare; per sentirsi vicini non avevano bisogno di eclatanti gesti d’affetto, perché uno casuale sfioramento di mani o uno sguardo più lungo del solito erano più che sufficienti per riempirle il cuore. Se ne stavano quasi sempre da soli e in disparte, ma Katerina sentiva l’attenzione degli altri studenti accendersi come un Incantesimo di Luce costantemente scagliato sulle loro teste. Era inevitabile, si disse; Tom era un ragazzo in apparenza così tranquillo che trascorrendo del tempo con lui ci si dimenticava quanto fosse in realtà popolare a scuola. L’assaliva il disagio, non appena si ritrovava a pensarci; ma Katerina si limitò a ignorare la cosa, e col passare del tempo finalmente il resto della scuola sembrò non trovare più così eccezionale che Tom Riddle stesse con una ragazza di cui fino a poco tempo prima non era nemmeno nota l’esistenza. Ciò che resistette più a lungo fu il luccichio estasiato negli occhi di Lumacorno ogni volta che il professore di Pozioni posava lo sguardo su di loro, e quella buffa gioia così manifesta non faceva altro che evidenziare il sorriso impassibile che compariva sul volto di Albus Silente quando la fissava negli occhi. Il modo in cui il professore di Trasfigurazione le si rivolgeva durante le lezioni era cortese come sempre, ma Katerina percepiva chiaramente i muscoli del suo volto contrarsi in una fredda maschera, e non poteva fare a meno di pensare che il motivo risiedesse nel suo nuovo rapporto con Tom. Aveva accennato quell’ipotesi al ragazzo, ma il suo sorriso non si era incrinato di un millimetro mentre le diceva di non aver notato nulla di fuori dall’ordinario.
Era raro che lei e Tom si vedessero al di fuori delle lezioni e delle brevi passeggiate insieme: il carico di compiti era più enorme che mai e, nonostante si stessero entrambi preparando per i G.U.F.O., non studiavano quasi mai insieme. Lei riusciva a concentrarsi al meglio solamente quando era circondata dai libri della Biblioteca, mentre lui preferiva la fredda comodità della sua Sala Comune.
Louis le aveva riferito di non aver osservato assolutamente nulla di strano o equivoco nel comportamento del suo collega Prefetto. L’aveva persino sentito difenderla in Sala Comune, le disse, dopo un commento particolarmente volgare di un loro compagno di Casa.
Negli ultimi tempi non c’erano più stati altri attacchi.
 
Frequentandolo, Katerina non potè fare altro che confermare l’impressione che era lentamente nata nelle ultime settimane, da quando Tom aveva iniziato a sedersi accanto a lei in classe.
Era un ragazzo molto, molto riservato.
La cosa la sorprendeva parecchio, perché non era ciò che si aspettava prima di conoscerlo meglio. Non si era mai accorta che quel ragazzo educato, spesso circondato da amici di Serpeverde o comunque da persone disposte a tutto pur di piacergli, non fosse in realtà così aperto come sembrava. Eppure i segni erano tutti lì: nel modo in cui pareva assaporare il silenzio tra di loro quando passeggiavano in riva al lago oppure, al contrario, nel modo in cui certe volte sembrava cercare a tutti i costi di riempirlo di parole. In quelle occasioni le raccontava di tutto – il Lumaclub, l’ultima pozione che aveva teorizzato,  le costellazioni che quella sera sarebbero state visibili in cielo; ma non le parlava mai di sé, dei suoi progetti, delle sue opinioni o paure. Quando lei cercava delicatamente di fargli una domanda più personale, Tom si rinchiudeva dietro il suo sorriso cortese e deviava il discorso in base alle sue preferenze.
Oltre alle parole, Katerina dovette imparare a calibrare anche i gesti. Non gli piaceva essere toccato o sfiorato all’improvviso: se ne rese conto dai piccoli sussulti e dal modo in cui le sue spalle si irrigidivano quando lei gli si avvicinava senza che lui se lo aspettasse.
 
Non sapeva perché ne fosse tanto sorpresa; forse era perché nessun altro, oltre a lei, sembrava essersi accorto di quel lato stonato di una persona così popolare. Era un lato che le piaceva, però. Le piaceva il blu dei suoi occhi quando si girava a guardarla durante le lezioni, le piaceva il suono sicuro della sua voce quando il lago inghiottiva il sole al tramonto. Le piaceva il tocco leggero che riservava ai sui capelli quando la stringeva a sé per baciarla. Le piaceva il modo in cui il suo cuore batteva, perfettamente udibile dalle sue orecchie di vampiro: sempre lento, regolare, preciso.
Poteva essere il cuore di un assassino? Katerina non lo sapeva, ma sperava di riuscire ad arrivare a fidarsi completamente di lui, un giorno.
 
 
* * *
 
 
Era come un sogno.
Katerina risistemò la schiena appoggiata al tronco e ammirò pigramente la superficie liscia del Lago Nero. Si trattava di una delle prime belle giornate di maggio, e lei si concentrò con soddisfazione sul calore che le accarezzava la pelle fredda.
Avrebbe voluto che quel giorno si ripetesse così, uguale, all’infinito. Si sentiva serena, senza una preoccupazione al mondo. Probabilmente quella sensazione aveva molto a che fare con la caccia della sera prima – nutrirsi di sangue vero la lasciava sempre rilassata ed euforica, come se le difficoltà della vita non potessero niente contro di lei – ma in quel momento non voleva pensarci. La brezza alzò lievemente una delle pagine del libro di Aritmanzia che giaceva abbandonato sul suo grembo, per poi toccare i sottili fili d’erba.
Era la luce, decise Katerina. Era la luce che rendeva l’erba così verde, che creava quei riflessi meravigliosi sull’acqua. L’azzurro del cielo era stupefacente, e lei era sicura che il suo occhio da vampiro stesse cogliendo sfumature di colori che da umana non aveva nemmeno mai immaginato esistere.
Seduto accanto a lei, Tom sembrava non avere tempo per frivolezze come ammirare la bellezza di quella giornata. Stava leggendo con concentrazione il suo libro di Trasfigurazione, borbottando qualcosa tra sé di tanto in tanto.
Non era stato semplice invitarlo a uscire, poco prima. Aveva preso la decisione su due piedi, subito dopo colazione: uno sguardo al soffitto della Sala Grande, uno al tavolo di Serpeverde e poi si era diretta a passo sicuro verso il suo ragazzo.
Le persone sedute accanto a Tom l’avevano guardata con profonda diffidenza.
Non era inusuale che gli studenti, Serpeverde compresi, decidessero di andare a mangiare presso tavolate diverse dalla propria, anche se per qualche ignota ragione questo avveniva principalmente durante il pranzo e quasi mai a colazione e a cena. Era invece raro che uno studente non verde-argento andasse a sedersi a quel tavolo: se proprio desideravi pranzare assieme a un Serpeverde, era buona norma che fosse lui a spostarsi.
Perciò Katerina si era guardata bene dal sedersi sulla panca accanto a Tom e si era limitata a proporgli una sessione di studio presso il Lago, cercando di ignorare la sensazione che decine di sguardi ostili stessero cercando di trapanarle il cranio. Il suo sguardo era scivolato lungo la tavolata fino a incontrare quello di Louis, poco più in là, che si era limitato a ricambiarlo con un sopracciglio pigramente alzato.
Tom aveva impercettibilmente esitato – se lei in quel momento non avesse riportato l’attenzione su di lui non se ne sarebbe accorta - ma poi aveva modellato il viso in un’espressione piacevolmente sorpresa e l’aveva seguita.
 
In quel momento, sotto l’albero, Katerina lo udì mormorare una considerazione riguardante la Trasfigurazione Liquida. Si voltò a osservarlo: era davvero un bel ragazzo, notò per l’ennesima volta. Aveva lineamenti raffinati che avrebbero trovato il loro giusto posto su un principe delle fiabe. Mentre leggeva aveva un’espressione rapita negli occhi, ma questo non gli impedì di captare lo sguardo di lei e di lanciarle un’occhiata incuriosita con la coda dell’occhio. Katerina distolse subito il viso per timore di averlo disturbato, ma poi una forza irresistibile la spinse a spiarlo di nuovo per controllare se lui la stava ancora guardando. Lo stava facendo. I loro sguardi si incrociarono, e il ragazzo le fece un sorriso divertito. Lei ricambiò istantaneamente, sentendosi un po’ sciocca. Tom abbassò il libro.
“Mi sembri particolarmente rilassata, oggi,” le disse, lanciando un’occhiata ironica al suo libro di Aritmanzia aperto su una pagina casuale.
“E’ una mattinata troppo bella per studiare,” ribatté lei. Ora che lo guardava bene, si accorse che aveva una foglia tra i capelli neri. Allungò una mano e la tirò via. Mentre gli sfiorava la testa, avvertì Tom irrigidirsi lievemente. Fece ricadere la mano in grembo, senza dire nulla.
“Troppo bella?”
“Certo,” riprese lei, guardandosi intorno. “Il sole, il vento, il cielo azzurro, gli altri studenti che chiacchierano… oh no. No, fermo, non ti girare.”
Riportò lo sguardo direttamente sul viso di Tom. Stava per afferrargli il braccio per impedirgli di voltarsi a vedere chi aveva attirato la sua attenzione, ma ci ripensò.
“Alla nostra destra, in fondo, abbiamo una delle tue ammiratrici più accanite,” gli spiegò lei davanti alla sua espressione perplessa. “Mi sta guardando con aria ostile. Omicida, anzi. Oserei dire che vorrebbe essere qui con te al posto mio.”
“Non sapevo di avere più di una ammiratrice in particolare,” commentò guardandola con un sorriso.
“Lo sai benissimo, invece, sei solo troppo modesto per dirlo apertamente.”
Tom rise.
“Forse hai ragione. Ma non dovresti preoccuparti, di solito si tratta di ragazze molto tranquille. Chi è?”
Katerina sbirciò nuovamente. La ragazza dai capelli rossi non aveva minimamente smesso di osservarli con aria maligna.
“Rosemary Cotton,” rispose, riconoscendo la Serpeverde del quarto anno. Tom rabbrividì.
“Oh. Allora in questo caso sì, dovresti preoccuparti. Quella ragazza è un po’ strana. Ma ci penserò io.”
“Sarà meglio,” rispose lei divertita. Il ragazzo la osservò per qualche istante.
“Anche se forse dovrei essere io a preoccuparmi dei tuoi ammiratori,” fece in tono leggero. Katerina inclinò la testa, guardandolo incuriosita.
“Quali ammiratori?”, gli domandò con aria innocente, mentre un’idea ben precisa cominciava a formarsi nella sua mente.
“Qualche giorno fa è accaduta una cosa bizzarra,” raccontò Tom pensieroso. “Mercoledì sera, nella ronda dei Prefetti, sono stato appaiato a Louis Henry. Il che è strano, visto che come ben sai non è considerata buona norma far perlustrare la stessa zona a due Prefetti provenienti dalla stessa Casa.”

(“Ho dovuto fare i compiti di Storia della Magia di Flora per convincerla a modificare le ronde. Dico, i compiti di Storia,” aveva commentato Louis con una smorfia sofferta quando le aveva raccontato l’episodio, la sera precedente. Fino a quel momento, lei non ne aveva saputo nulla.
“Perché l’hai fatto?”, gli aveva chiesto sbalordita. Louis aveva scrollato le spalle.
“Per fare due chiacchiere in privato con lui. E poi perché mi piace infastidirlo.”)


Katerina fece un cenno di assenso rivolto verso Tom.
“Strano, in effetti. Ma questo cosa c’entra con me?”
“Henry sembrava particolarmente ansioso di parlare di te.”
“Davvero?” fece lei fingendo un'aria sorpresa. “Non ci conosciamo così bene, si limita a darmi ripetizioni di Trasfigurazione ogni tanto.”
“Lo so,” disse semplicemente lui, scrutandole il viso. “Ha iniziato a parlare di stupidaggini come il Quidditch, e poi ad un certo punto ha fatto qualche riferimento a te. Credo che le sue esatte parole siano state, cito, ‘cerco di far entrare qualche nozione nella testa di quel caso perso della tua ragazza’.”
“Ha un senso dell’umorismo molto particolare,” fece Katerina. Louis le aveva taciuto quel particolare commento, ma non poteva dire di esserne sorpresa. “Vi conoscerete abbastanza bene ormai, no? Non andate d’accordo?”
“Non particolarmente. Chiacchiera troppo, per i miei gusti,” rispose Tom inarcando un sopracciglio.
“Hai ragione. Che altro ti ha detto?”
“Nulla di significativo. Ha continuato a parlare di ragazze, perlopiù,” le disse mantenendo un’aria superiore.

(“Gli ho chiesto quante ragazze fossero passate per il suo letto. Si è imbarazzato tantissimo. Mi sono divertito un mondo,” le aveva riferito Louis con uno scintillio gioioso negli occhi.)

Se li immaginava a camminare l’uno di fianco all’altro: Tom con la sua aria seria e affidabile, Louis con la sua solita espressione scanzonata, ognuno a cercare di provocare una qualche reazione nell’altro per capire se celasse qualcosa di interessante. La loro doveva essere stata una di quelle criptiche conversazioni in cui ogni parola ha cento significati nascosti e ogni silenzio un’implicazione ben precisa. A lei veniva mal di testa solo a pensarci, ma probabilmente tra Serpeverde un dialogo del genere era la norma, rifletté. Doveva essere stata una scena memorabile. Certo, avrebbe preferito che Louis fosse stato un tantino più discreto.
“Poi mi ha chiesto cosa mai ci trovo in te.”
“Questo se lo chiedono in tanti,” commentò Katerina lanciando un’altra occhiata distratta verso Rosemary Cotton. La Serpeverde stava strappando con zelo un filo d’erba dopo l’altro. Riportò lo sguardo sul ragazzo, e proseguì con voce più incerta. “Me lo sono chiesta anche io, onestamente.”
Tom la guardò intensamente, e con delicatezza le afferrò un mano.
“Non è ovvio?” le chiese. Il suo viso ora era vicino, e Katerina si sentì irresistibilmente imprigionata da quegli occhi magnetici. Le sue parole erano come un incantesimo. “Tu sei diversa, diversa in senso positivo. Sei una boccata di aria fresca. Sei bella, intelligente, spiritosa. In tutti questi anni, a scuola, sono stato circondato da gente sciocca e falsa, ed è un sollievo aver trovato una persona come te. Mi piace stare con te.”
Katerina lo guardava a bocca aperta, conscia del rossore che le stava risalendo sul viso. Colmò la breve distanza tra loro e appoggiò le labbra a quelle di lui; quando si tirò indietro gli sorrise.
“Anche tu non sei così male,” gli disse timidamente. Lui rise e le accarezzò i capelli.
E così la considerava una ragazza diversa in senso positivo? Mentre si rimettevano silenziosamente a leggere i loro libri, Katerina avvertì un senso di colpa grande quanto il segreto che gli stava nascondendo.
 
 
* * *
 
 
Qualche giorno dopo Katerina si stava dirigendo verso il suo posto preferito nella Sezione di Storia, quando udì qualcuno chiamare il suo nome in modo concitato. Voltandosi, le apparve davanti una sorridente Flora.
“Ciao,” le disse vivacemente la ragazza. Erano all’incirca alte uguali, anche se i luminosi ricci biondi dell’altra le davano qualche centimetro in più. “Scusa se ti disturbo, ma sei qui per studiare? Louis ed io siamo seduti a quel tavolo laggiù. Mi farebbe davvero piacere se ti unissi a noi.”
Katerina cercò di celare la sorpresa, e per guadagnare tempo afferrò più saldamente la borsa dei libri. Quella richiesta le suonava un po’ strana: lei e Flora si erano effettivamente rivolte parola più di qualche volta, ma non erano entrate in confidenza.
“Non vorrei disturbarvi,” rispose, incerta su come declinare l’invito.
“Non disturberesti affatto,” fece l’altra scuotendo la testa. “Al contrario, mi salveresti la vita. Con noi ci sono altri tre compagni di Casa di Louis, e sto cercando di trattenermi dal maledirli tutti con una Fattura Orcovolante. Sono una persona paziente, ma ti giuro, quattro Serpeverde tutti insieme sono davvero una tortura intollerabile. Se ci fossi anche tu sono sicura che ci lascerebbero stare.”
Katerina sorrise davanti alla sua espressione implorante.
“Non puoi svignartela?”
“E darla vinta al mio ragazzo? Mai,” fece l’altra ridendo.
Alla fine, Katerina acconsentì alla sua richiesta e la seguì mentre le faceva strada verso il tavolo. Louis sembrò leggermente sorpreso di vederla sedersi con loro, ma non contrariato. I suoi compagni di classe le lanciarono un’occhiata che lei giudicò calcolatrice: sembrarono riconoscerla, dopodiché la ignorarono completamente per tutto il resto del tempo.
 
Erano trascorse un paio d’ore, e i tre Serpeverde si erano dileguati da un bel po’. Osservando i fogli di pergamena ricoperti dalla sua calligrafia che aveva davanti, Katerina si stiracchiò e annunciò agli altri la sua intenzione di andarsene a dormire.
Flora, che da una decina di minuti teneva la testa appoggiata alla spalla di Louis e gli occhi chiusi, si riscosse improvvisamente, guardò l’ora e disse che avrebbe seguito il suo esempio. Louis chiuse il libro di scatto e si dichiarò d’accordo.
Perciò tutti e tre si alzarono come un sol uomo, radunarono in silenzio le loro cose e si avviarono fuori dalla Biblioteca, che stava ormai per svuotarsi. Nonostante le parole rassicuranti di Katerina, Flora si rifiutò categoricamente di lasciarla andare via da sola, insistendo fermamente perché si facesse accompagnare da lei e da Louis fino alla sua Sala Comune per evitare che, coi tempi che correvano, le succedesse qualcosa di male. Per un istante Katerina incrociò gli occhi di Louis, ma distolse subito lo sguardo e accettò con un sorriso grato di farsi scortare.
Erano ad un paio di corridoi di distanza dalle scale della Torre di Corvonero, quando improvvisamente il mondo esplose loro addosso.
 
Tutto ciò che Katerina sentì fu un rumore assordante, e pochi istanti dopo il muro alle loro spalle sembrò accartocciarsi su se stesso. La forza dell’esplosione la spinse in avanti, facendola sbattere violentemente a terra. Le pietre caddero, evitandola per un soffio e dando origine a un fitto strato di polvere che la fece tossire violentemente. Sentì una fitta lancinante alla gamba destra, ma durò solo pochi istanti. Non vedeva più nulla. Distingueva vagamente solo le sagome scure di Louis e Flora, che erano da qualche parte vicini a lei; Louis sembrava chino sulla ragazza, probabilmente per proteggerla da ciò che stava accadendo.
Cercò di spostarsi a tentoni, e raggiunse una zona libera dalle pietre. Nello stesso momento in cui si rendeva conto che sul pavimento c’era qualcosa di rosso e bagnato, udì Flora parlare a stento.
“C’è - c’è qualcuno per terra!”
Faticosamente Katerina si rialzò e si appoggiò di peso a ciò che restava del muro, mentre la polvere si diradava. Sentiva un profumo invitante invaderle il cervello, un odore che avrebbe riconosciuto ovunque.
Con orrore, sollevò i palmi delle mani davanti al viso e li vide sporchi di rosso. C’era del sangue per terra, e ce n’era tanto. Ed era proprio ai suoi piedi.
Richiamò tutta la sua forza di volontà per resistere dal gettarsi sul corpo sanguinolento davanti a lei, per concentrarsi sul suo respiro e non sulla sete che l’aveva improvvisamente travolta. Strinse i pugni e chiuse di scatto gli occhi, ma l’assenza della vista non fece altro che intensificare gli altri sensi. Quello non era il momento per rivelare la sua vera natura da vampiro, si ammonì disperatamente: Flora era lì, e senza dubbio il rumore dell’esplosione avrebbe presto attirato qualcuno.
Ma non fu abbastanza. Terrorizzata, avvertì gli occhi bruciare, le vene del viso ingrossarsi e i canini allungarsi. Si stava trasformando nel mostro. Doveva respirare, ricordò. Voleva scappare il più lontano possibile da lì, ma sentiva che se avesse mosso le gambe sarebbe stato solo per gettarsi sul sangue e non certo per allontanarsi da quel disastro.

“Louis? Stai bene?”
La voce di Flora suonava disperata, e Katerina seppe con assoluta certezza che, come lei, nemmeno Louis riusciva a resistere alla presenza di così tanto sangue intorno a loro. Vide Flora girarsi improvvisamente verso di lei e prendere atto a occhi sgranati di ciò che era comparso sul suo viso; cercò di voltarsi, ma era troppo tardi.
Katerina?!
Concentrandosi sul suo respiro e raccogliendo le forze, si spostò velocemente a fianco di Louis, lo afferrò per un braccio e lo tirò indietro con lei, lontano dalla pozza di sangue. Louis respirava a fatica ed era piegato su se stesso, i suoi denti allungati ben visibili nella luce delle torce. Gli appoggiò una mano sulla schiena, non avendo idea di cosa fare per aiutarlo.
Flora invece rimase dov’era. La vide gettare un’occhiata spaventata prima al corpo in corridoio e poi di nuovo verso di loro, come se non sapesse cosa fare. Fece un passo nella loro direzione.
“Ragazzi,” disse con voce sottile. Katerina non distolse lo sguardo da lei, ma la sua bocca era priva di parole. A qualche metro dal lago di sangue sentiva che il suo volto stava finalmente ritornando normale. Continuando a osservarla, si rese conto di quale fu l’esatto momento in cui Flora mise insieme i pezzi e ricostruì la verità.
Vampiri?”, la udì sussurrare, la voce carica di orrore inespresso.





 
Note dell'Autrice: questo capitolo non mi soddisfaceva per nulla, tanto che sono arrivata a riscriverlo completamente. Non so se ne sia valsa la pena, dato che continua a non convincermi, ma eccolo qui. Non è facile esaminare la psiche di Tom attraverso gli occhi inesperti di Katerina, ma mi sembrava doveroso provarci; spero che la cosa risulti plausibile.
Non sono ancora sicura di quanti capitoli manchino alla fine (è già tutto scritto, ma alcune parti gridano pietà, quindi probabilmente andranno pesantemente modificate), ma direi che abbiamo ampiamente superato la metà. Ebbene sì, la fanfiction non è lunghissima.
Un'ultima cosa: ho iniziato a tradurre questa storia in inglese. Lo so, sono pazza. Non è che creda che meriti di essere diffusa (anzi); è solo per fare un pochino di esercizio, ed è molto divertente vedere come certe parti cerchino di riscriversi da sole quando le riprendo in mano.
Grazie per aver letto fino a qui!
Alla prossima.

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Capitolo 10
*** Verbena ***



IX - verbena.





Dal capitolo precedente:

“Louis? Stai bene?”
La voce di Flora suonava disperata, e Katerina seppe con assoluta certezza che, come lei, nemmeno Louis riusciva a resistere alla presenza di così tanto sangue intorno a loro. Vide Flora girarsi improvvisamente verso di lei e prendere atto a occhi sgranati di ciò che era comparso sul suo viso; cercò di voltarsi, ma era troppo tardi.
“Katerina?!”
Concentrandosi sul suo respiro e raccogliendo le forze, si spostò velocemente a fianco di Louis, lo afferrò per un braccio e lo tirò indietro con lei, lontano dalla pozza di sangue. Louis respirava a fatica ed era piegato su se stesso, i suoi denti allungati ben visibili nella luce delle torce. Gli appoggiò una mano sulla schiena, non avendo idea di cosa fare per aiutarlo.
Flora invece rimase dov’era. La vide gettare un’occhiata spaventata prima al corpo in corridoio e poi di nuovo verso di loro, come se non sapesse cosa fare. Fece un passo nella loro direzione.
“Ragazzi,” disse con voce sottile. Katerina non distolse lo sguardo da lei, ma la sua bocca era priva di parole. A qualche metro dal lago di sangue sentiva che il suo volto stava finalmente ritornando normale. Continuando a osservarla, si rese conto di quale fu l’esatto momento in cui Flora mise insieme i pezzi e ricostruì la verità.
“Vampiri?”, la udì sussurrare, la voce carica di orrore inespresso.

 
* * *


Flora fece qualche passo indietro, uno sguardo terrorizzato sul viso. La luce delle torce si rifletteva crudelmente sulla pozza di sangue in corridoio, mentre il corpo dello studente ferito restava inesorabilmente immobile. Non era morto, si rese conto con sollievo Katerina; udiva perfettamente i battiti del suo cuore, anche se il significato del loro progressivo indebolimento era fin troppo chiaro. Non potevano permettersi di perdere tempo.
 
“Flora,” iniziò con urgenza Katerina, ma l’altra non le diede la possibilità di continuare.
“Voi due siete vampiri!”, esclamò con voce leggermente isterica.
La vide gettare un’occhiata angosciata a Louis, che stava cercando di riprendersi dall’intossicante odore di sangue. La mano di Katerina era ancora appoggiata lievemente sulla schiena del ragazzo, ma sembrava che lui non potesse – o non volesse – ancora muoversi.
Flora,” la richiamò lei in tono fermo. La ragazza sussultò. “Per favore, ascoltami.”
“Siete stati voi ad attaccare tutte quelle persone?”
Quelle parole spaventate lasciarono Katerina a bocca aperta, mozzandole il fiato. Quindi era questo che si sarebbero chiesti tutti, se mai li avessero scoperti? Se persino la persona a loro più vicina credeva plausibile quell’ipotesi assurda non avevano tante possibilità di dimostrare la loro innocenza.
“No,” si affrettò a dire, alzando le mani con fare pacificatore. Non fu una buona idea: troppo tardi realizzò che erano ancora intrise di sangue. Sentì Flora emettere un gemito e le riabbassò subito. “Devi credermi, non siamo stati noi. Non c’entriamo nulla con questa storia.”
“Ma voi siete vampiri.”
Si limitò ad annuire, mentre il viso dell’altra si contraeva in una smorfia di sfiducia.
 
Katerina aprì nuovamente la bocca per parlare, per dire qualunque cosa che potesse convincere Flora che loro non erano il nemico, quando udì un movimento accanto a sé. Louis si era rimesso in piedi, i vestiti completamente impolverati e uno sguardo teso sul viso.
“Flora,” la chiamò lui. Aveva un’aria vulnerabile che lei non gli aveva mai visto prima. Il ragazzo fece un passo verso Flora, che però si tirò velocemente indietro aumentando la distanza tra loro.
“Non osare avvicinarti,” esclamò la ragazza rabbiosamente. Il volto di Louis si contrasse in un’espressione sofferta che durò solo qualche istante prima di essere nascosta da una maschera impassibile, e Katerina si sentì stringere il cuore.
 
C’era solo una cosa che potevano fare, e il battito sempre più lento del ragazzo ferito le indicava chiaramente che andava fatta subito.
 
Perciò, mentre Flora distoglieva brevemente lo sguardo da loro per osservare con ansia il corpo a terra, Katerina toccò lievemente il braccio di Louis e gli sussurrò piano:
“Dobbiamo soggiogarla prima che arrivi qualcuno.”
Louis si irrigidì, continuando a fissare dritto davanti a sè, ma non diede altro segno di averla sentita.
Katerina si avvicinò lentamente a Flora, alzando nuovamente le mani quando l’altra fece per allontanarsi.
“Non voglio farti del male,” le disse per placarla. “E il ragazzo è ancora vivo.”
“A me non sembra. Come lo sai?”, chiese la ragazza sospettosa.
“Sento battere il suo cuore,” ammise. “Ma dobbiamo fare qualcosa il prima possibile.”
Mise gentilmente ma con fermezza una mano sulla spalla di Flora, per impedirle di allontanarsi. L’altra sussultò, ma non cercò di divincolarsi.
“Louis,” lo chiamò Katerina in tono piatto. Il ragazzo era ancora fermo dove l’aveva lasciato. “Se non lo fai tu, lo farò io.”
“Fare cosa?”, esclamò Flora, spaventata. Katerina sperò che non si mettesse a gridare, perché in tal caso sarebbe stata costretta a Schiantarla, e non sapeva se Louis gliel’avrebbe mai perdonato.
 
Fortunatamente, in quel momento Louis decise di avvicinarsi. Si fermò a due passi di distanza dalla sua ragazza, lanciando un breve sguardo indecifrabile alla mano che Katerina le teneva sulla spalla.
“Flora, lascia che ti spieghi,” ritentò con gli occhi grigi pieni di urgenza, ma l’altra lo stroncò subito.
“No, Louis. No, questo no.”
La voce di lei era piena di paura e di tristezza, ma non c’era davvero tempo per raccontarle tutto e pregarla di mantenere il loro segreto.
Louis,” sibilò Katerina, continuando a tenere ferma la ragazza. Lui annuì rapidamente e guardò Flora dritto negli occhi.
Dimentica quello che hai visto,” iniziò a soggiogarla.
Con enorme stupore di entrambi, Flora si divincolò in modo talmente improvviso che Katerina quasi perse la presa. Furiosa, l’afferrò anche con l’altra mano, costringendola a fermarsi.
“Louis, avanti, concentrati!”
“Non capisco, dovrebbe funzionare,” fece il ragazzo, stupefatto. “Flora, guardami.”
Katerina notò che le pupille della ragazza non si erano dilatate, segno che il soggiogamento non era avvenuto. La fece velocemente ruotare verso di lei e la fissò negli occhi a sua volta.
Dimentica,” disse solo. Niente. Non accadeva nulla.
“Cosa mi state facendo?”, gridò Flora scoppiando a piangere.
Louis si voltò verso Katerina, e lei ricambiò sconvolta il suo sguardo spaventato.
 
Il ragazzo tenne lo sguardo fisso su di lei, mordendosi un labbro come se stesse pensando intensamente. Katerina sperò che arrivasse presto ad una soluzione, perché lei non aveva la più pallida idea del motivo per cui il soggiogamento non avesse avuto effetto.
“Flora, tesoro, ascoltami. Hai preso della verbena ultimamente?”, le chiese Louis improvvisamente, sforzandosi in modo visibile di parlare in tono calmo.
“Verbena? No! Perché avrei dovuto?,” singhiozzò la ragazza, la lacrime che le rigavano le guance.
“Penso che sia la verbena,” disse lui velocemente, di nuovo rivolto a Katerina. “E’ l’unica cosa che rende completamente immuni al soggiogamento di un vampiro. E non è esattamente una cosa che assumi per caso. Qualcuno deve avergliela data.”
“Cosa facciamo?”, gli chiese, senza fiato. Louis scosse la testa, confuso. Katerina abbassò la voce, in modo che solo lui potesse sentirla.
“Louis, se lei parla, siamo finiti. Ci uccideranno. Dobbiamo pur fare qualcosa. Si tratta di scegliere: o lei, o noi.”
Louis le lanciò un’occhiata stupefatta, dopodiché si girò e si rivolse a Flora, appoggiandole le mani sulle spalle in modo rassicurante. La guardò intensamente negli occhi, ma stavolta non c’era traccia di malia nella sua voce.
“Flora, mi dispiace. Non volevo che andasse così. Ma devi credermi: io e Katerina non c’entriamo affatto con tutto questo. E’ vero, siamo vampiri: abbiamo nascosto la nostra vera natura per evitare che la gente ci cacciasse. Ma non siamo mostri.”
“Sta arrivando qualcuno,” sussurrò Katerina, udendo l’inconfondibile suono di passi veloci in lontananza.
“Fidati di me,” continuò l’altro con urgenza, mentre Flora lo guardava senza parlare, un’espressione scioccata sul viso pallido e le lacrime congelate sulle guance. “Per favore, fidati. Dei vampiri non potrebbero in alcun modo aver pietrificato quelle persone. E non possiamo nemmeno aver fatto questo disastro, perché eravamo di fianco a te. Flora, ti prego, non dire a nessuno quello che siamo. Se lo fai ci uccideranno.”
Le accarezzò i riccioli biondi. La ragazza continuò a tacere.
Louis sembrò in procinto di aggiungere qualcos’altro, ma ormai non c’era più tempo: dall’angolo più vicino sbucarono le figure di tre professori.
 
 
* * *
 
 
Albus Silente, Horace Lumacorno e Galatea Merrythought corsero trafelati verso di loro e iniziarono subito ad agitare le bacchette per stabilizzare il muro con degli incantesimi. La professoressa di Difesa si piegò sulle ginocchia centenarie per osservare da vicino il ragazzo a terra.
“E’ vivo,” annunciò. “Ma non per molto. Lo porto subito in Infermeria,” e dopo quelle parole, caricò il corpo su una barella comparsa da nulla e marciò via con passo insolitamente arzillo.
Albus Silente si girò lentamente a osservare con uno sguardo penetrante i tre ragazzi rimasti. Dovevano avere un’aria terribile, si rese conto Katerina: lei con le mani e i polsi chiazzati di sangue, Louis livido di  polvere e Flora con l’aria vacua di chi ha appena visto la morte in faccia.
“State bene? Cos’è successo qui?”
Visto che i due Prefetti non sembravano aver intenzione di aprire bocca, fu Katerina a rispondere.
“Flora e Louis mi stavano accompagnando alla mia Sala Comune, quando improvvisamente il muro dietro di noi è come esploso. Credo che quel ragazzo fosse poco più indietro di noi. Deve essere stato colpito in pieno.”
Non l’aveva visto, ma aveva sentito qualcuno camminare alle loro spalle. Non ci aveva dato troppo peso: a quell’ora, molti studenti tornavano ai propri Dormitori.
“Non avete notato cosa ha provocato l’esplosione?”
“No, signore,” rispose rispettosamente. Con la coda dell’occhio, vide Louis scuotere la testa.
“Quanto accaduto è molto grave,” intervenne Lumacorno con aria preoccupata. “E’ senza dubbio un evento doloso. Il responsabile doveva essere nei paraggi per lanciare un incantesimo del genere,” proseguì, guardandoli con una punta di sospetto.
“Non è stato nessuno di noi, signore,” ribatté finalmente Louis.
“Certo, certo. Non intendevo...”, borbottò il professore di Pozioni, senza terminare la frase.
“Miss Hopkins, si sente bene? C’è qualcosa che vuole aggiungere?”, chiese improvvisamente Silente, scrutando con attenzione il volto di Flora bagnato dalle lacrime.
La ragazza era piedi tra Katerina e Louis. Mentre entrambi si voltavano a guardarla, si scambiarono un veloce sguardo nervoso. Katerina non sapeva dire se Silente se ne fosse accorto.
“No, signore. Sono solo un po’ sconvolta,” disse alla fine Flora, dopo una breve esitazione. Katerina cercò di mascherare il sospiro di sollievo che minacciava di uscire. Forse dopotutto Flora aveva deciso di non denunciarli.
 
La mezz’ora successiva trascorse come un lampo. I due professori fecero qualche altra domanda, si assicurarono che non fossero feriti e li mandarono in Infermeria, per poi apprestarsi a ripulire la polvere e il sangue a terra. Nel giro di qualche minuto, il corridoio era tornato come nuovo. Katerina tenne lo sguardo inchiodato a terra, con la strana sensazione che la magia di Hogwarts stesse cercando di riparare non solo la realtà ma anche le pietre insanguinate fissate nei suoi ricordi.
Dopo aver ricevuto il permesso di allontanarsi, i tre ragazzi si guardarono bene dal dirigersi davvero in Infermeria. Andarono invece verso i Sotterranei, per accompagnare Flora alla sua Sala Comune. Il tragitto fu silenzioso, carico di disagio e di ansiosa aspettativa. Dopo un tempo che parve infinito Katerina cominciò a riconoscere i corridoi che portavano verso la Sala Comune di Tassorosso, e come di comune accordo si fermarono di botto in una zona riparata vicino all’arazzo di un mago con in mano una tartaruga.
“Grazie per non aver detto niente,” disse Louis a Flora, con voce bassa per non farsi udire da voci indiscrete. Non c’era nessuno nei dintorni – l’udito sensibile dei due vampiri lo confermava – ma non sarebbe stato prudente sentirsi troppo al sicuro, non quando qualche forza sconosciuta aveva appena cercato di farli saltare in aria senza che se ne rendessero conto.
Flora teneva lo sguardo basso e dava le spalle alla parete. Louis le stava direttamente bloccando il passaggio, anche se cercava di far apparire la sua posa meno minacciosa possibile; non si poteva però dire che avesse successo. Dato che la ragazza si limitava a scuotere la testa, Katerina chiese discretamente a Louis:
“Vuoi che me ne vada, così le puoi parlare in privato?”
Il ragazzo le lanciò una sguardo indecifrabile.
“No, resta,” le disse. Quando si voltò di nuovo verso Flora, lei aveva alzato il viso e lo stava guardando duramente negli occhi.
“Non posso credere che siate davvero - quelle cose,” sussurrò nervosamente Flora, facendo oscillare lo sguardo tra loro due. “E’ ridicolo. Louis, stiamo insieme da cinque mesi. E’ stata tutta una bugia? Prima avete tentato di controllarmi la mente, l’ho capito,” continuò sprezzante. “Ho mai fatto qualcosa di mia spontanea volontà?”
“Non ti ho mai costretta a fare niente,” le rispose Louis con urgenza. “Non era una bugia, Flora.”
“Ti sei nutrito del mio sangue?”
Louis sospirò. Per un folle momento Katerina sperò che le mentisse, che coprisse la verità per non far arrabbiare Flora più del necessario.
“Due volte,” rispose invece il ragazzo. “Una prima di metterci assieme, e una dopo.”
Flora scosse violentemente la testa, furiosa.
“Sei un bugiardo, e un traditore. Non posso credere di essermi fidata di te. Da quanto tempo sei un vampiro? Dimmi la verità.”
“Da quest’estate.”
“E lei?”, chiese Flora con un cenno del capo verso Katerina.
“Un paio di mesi. L’ho presa per nutrirmi, come con te. Ma qualcosa è andato storto e si è trasformata.”
“E’ così per colpa tua?”, fece incredula. Si rivolse a Katerina. “Lo sapevo che c’era qualcosa di strano in te, eri troppo tranquilla.”
Katerina si mordicchiò un labbro, e le disse in tono conciliatore:
“Hai tutte le ragioni per essere arrabbiata, Flora, ma se non ti abbiamo detto la verità è stato solo per proteggerci. Se la scuola scoprisse cosa siamo saremmo spacciati. Vogliamo solo vivere una vita normale.”
“Una vita normale?”, rispose l’altra, col tono di chi non credeva che la loro vita sarebbe mai potuta essere anche solo lontanamente classificabile con quel termine. “E nel frattempo andate in giro a bere il sangue di gente innocente, giocando con la fiducia delle persone per poi aggredirle alle spalle? Tu per prima ci hai rimesso, Katerina. Sei diventata un vampiro per colpa di Louis.”
“Se non fosse stato per lui sarei morta,” ribatté Katerina. “E’ una lunga storia. Flora, per favore, non faremo niente, ma tu non dire a nessuno quello che hai visto.”
Flora li osservò per bene, prima e uno e poi l’altro, riflettendo con un’espressione calcolatrice negli occhi.
“Non lo racconterò a nessuno,” disse alla fine. “Tanto nessuno mi crederebbe. Ma se scoprirò che avrete fatto ancora del male a qualcuno andrò dritta dal Preside.”
E con quello, si fece spazio tra loro due e se ne andò senza guardarsi indietro.
 
 
* * *
 
 
Louis e Katerina rimasero da soli, silenziosi e immobili, a guardarla prima allontanarsi e poi sparire dentro la sua Sala Comune.
“Com’è possibile che sia successo un disastro così in fretta?”, borbottò Katerina. “Pensi che ci tradirà?”
“Non lo so. Conoscendola, non avrebbe promesso di mantenere il segreto se non avesse avuto sul serio intenzione di farlo.”
“Magari proprio in questo momento sta rivelando tutto agli altri Tassorosso,” fece lei mordendosi un labbro. Louis si girò di scatto a fronteggiarla. Ora che lo guardava bene in viso, sembrava furioso.
“E a te che diavolo prende? ‘O lei, o noi’? Hai davvero cercato di convincermi a ucciderla per tapparle la bocca?”
“Non necessariamente ucciderla,” commentò Katerina sulla difensiva. Louis scosse la testa, incredulo.
“E’ difficile cercare di convincere qualcuno che non siamo dei mostri se tu te ne salti su con discorsi del genere,” sbottò. “Per Merlino, non aveva nemmeno tirato fuori la bacchetta. Ma che ti prende? Da quando sei così crudele? Due mesi fa quasi scoppiavi in lacrime ogni volta si parlava di mordere qualcuno, e adesso proponi un omicidio come se niente fosse!”
Katerina lo fissò, sentendo montare la rabbia.
Io sarei crudele? Il giorno in cui ci siamo conosciuti tu hai minacciato di uccidermi se avessi messo a rischio il tuo segreto. E’ la stessa identica situazione!”
“Invece no, perché tu non sei Flora!”
Katerina aprì la bocca per parlare, ma non trovò parole per replicare a quell’affermazione. Il cervello apparentemente le era andato in corto circuito, perché si stava addirittura dimenticando di farla respirare.
Anche Louis si era bloccato, quasi come se fosse rimasto sorpreso dalle sue stesse parole. Vide passare un’ombra sul suo viso – era rammarico?
“Quello che intendevo dire,” ricominciò, parlando a voce più bassa senza mai staccare gli occhi dai suoi, “è che ormai era troppo tardi per te. Ti stavi già trasformando in un vampiro, e non potevo fare niente per impedirlo. So bene quello che ti ho detto, Katerina, ma non ti avrei mai uccisa. Ti ho detto quelle cose solo per spaventarti.”
Katerina annuì, mentre una voce interiore le diceva che in fondo l’aveva capito già molto tempo prima. Si massaggiò una tempia, cercando di riprendersi. Non sapeva spiegarsi perché le parole di Louis l’avessero ferita; dopotutto aveva perfettamente ragione. Lei non era Flora, non era la ragazza che Louis voleva proteggere – anche da lei, se fosse stato necessario. Doveva essere stata la stanchezza, nonché l’ansia per tutto quello che era accaduto quella sera, a farla sragionare.
Aveva davvero, per alcuni brevi eterni secondi, desiderato che Flora morisse pur di difendere il loro segreto?
“Hai ragione,” disse alla fine. “Non avrei dovuto nemmeno pensarci. Non so cosa mi sia preso. Immagino sia stata la paura di farci scoprire.”
“Fai attenzione, perché la prossima volta potresti non limitarti a pensare. Il nostro è un genere di vita che corrompe,” le rispose Louis. Il suo tono era gentile, ma la guardava ancora un po’ a disagio.
Katerina annuì, e cambiò frettolosamente discorso.
“Cos’hai detto prima della verbena? Pensi davvero che qualcuno gliel’abbia data di nascosto per impedirci di soggiogarla?”, gli chiese.
“Sì, credo di sì. Non può essere una coincidenza. L’esplosione, tutto quel sangue a terra, noi che ci facciamo scoprire, l’impossibilità di far dimenticare tutto a Flora –“
“Qualcuno sa di noi,” concluse Katerina spalancando gli occhi. Louis annuì piano.
“E ha voluto mandarci un messaggio.”
 
L’idea la lasciò senza fiato.
“Pensi che dovremmo andarcene? Scappare?”, gli chiese stancamente, mentre osservava la tartaruga disegnata sull’arazzo. Aveva occhi stranamente luminosi. Intorno a lei, sentiva le fredde mura in pietra incombere minacciosamente su di loro.
“Forse,” rispose lui. “Non lo so. Sarebbe la cosa più sicura da fare.”
“Ma non vuoi,” completò lei. Il ragazzo annuì. “Nemmeno io. L’unico modo in cui desidero andarmene da qui è con un diploma in mano. Voglio scoprire chi diavolo c’è dietro tutto questo. E voglio anche sapere chi mi ha uccisa, e perché.”
Louis la guardò attentamente.
“Sì, anche io voglio infilare su un palo la testa di chi ci ha fatto questo scherzetto. Deve trattarsi del nostro amico Erede di Serpeverde. Siamo sempre stati attenti a nasconderci, e lui – o lei - è l’unico che potrebbe avere avuto la possibilità di sapere di noi.”
Il ragazzo fissò un punto dietro le spalle di Katerina.
“Non so quando l’abbia presa e in che quantità, ma la verbena cesserà di fare il suo effetto in uno o due giorni. Dopo di allora potremo soggiogare Flora e farle dimenticare quello che ha scoperto. E’ troppo pericoloso lasciarle la memoria, e ormai è arrivato il momento di lasciarla andare. Se solo l’avessi fatto prima non sarebbe mai stata coinvolta nell’esplosione. Non era questo che avevo in mente quando pensavo a come avrei potuto rompere con lei, ma è andata così,” sospirò.
Lei non disse nulla, ma si limitò a fargli un sorriso triste. La stava guardando ancora un po’ a disagio, come se temesse di dire la cosa sbagliata; poi, improvvisamente, le afferrò una mano tra le sue. Lei non se l’aspettava, e sentì un brivido di sorpresa correrle su per la schiena.
“Katerina,” le disse Louis con intensità. “Promettimi che al primo accenno di pericolo ce ne andremo da scuola. Non resterò qui per essere sottoposto a una caccia al vampiro, e tu verrai con me.”
Lei annuì e ricambiò la stretta.
 
 
* * *
 
 
Quella stessa sera, quando Katerina rimise piede nella Torre, trovò ad attenderla decine di volti pallidi e spaventati. Molti di essi fissarono lo sguardo su di lei, ma la maggior parte sembrò non notarla nemmeno, come se fosse stata invisibile. Rimase sulla porta a guardarsi intorno con aria sperduta, fino a che non si sentì prendere per mano e trascinare verso le poltrone.
Era Matilda; e la sua mano era calda, e le stava gentilmente sussurrando parole incomprensibili, e nella Sala c’erano dei ragazzini che piangevano.
Ci hanno detto dell’esplosione, Come stai?, le stava dicendo Matilda,  Ma c’è dell’altro, e poi Katerina capì come mai l’intera Torre di Corvonero era in lutto.
 
Era la prova che collegava l’Erede di Serpeverde all’attentato del corridoio al settimo piano, disse qualcuno; era ridicolo pensare che nella stessa sera ci fossero stati ben due incidenti separati. Il secondo attacco era inequivocabilmente collegato alla Camera dei Segreti, ergo doveva esserlo anche l’esplosione.
La vittima, le dissero, era una Corvonero del quarto anno; sopra il suo cadavere freddo, ritrovato in un bagno al secondo piano, campeggiava in rosso la scritta ‘Per la gloria dell’Erede di Serpeverde’.
Si chiamava Mirtilla.
Katerina guardò intorno a sé i suoi compagni di Casa sconvolti, e sentì qualcuno dall’altro capo della stanza sussurrare a un vicino che sì, Mirtilla era stata la prima a morire a causa della Sindrome, ma chissà quanti ne sarebbero seguiti.
Non è stata la prima, pensò amaramente Katerina. E forse non sarebbe nemmeno stata l’ultima.
 
Il solo pensiero la faceva infuriare.
Era ingiusto, si disse mentre restava seduta su una delle poltrone della Sala Comune, a testa china. Erano trascorse un paio d’ore da quando era rientrata, ma la stanza circolare era ancora colma di persone sedute come lei, o in piedi, o appoggiate ai muri. I Corvonero erano tutti lì, meno la compagna che era tragicamente venuta a mancare. Il silenzio totale era rotto solamente dalle parole che fluivano dalla bocca di una dei Prefetti del settimo anno, e dai singhiozzi di alcune delle ragazze più giovani. Quando il Prefetto faceva una pausa per decidere come proseguire il suo difficile discorso, si udiva solo il vento scuotere la torre, e nient’altro.
Katerina non stava ascoltando. Che importanza aveva? Sapeva benissimo cosa il Prefetto avrebbe detto, e per la maggior parte sarebbero state solo falsità. Mirtilla non era una ragazza benvoluta; era presa di mira da molti studenti per la sua aria ingenua, per i suoi occhiali, per il modo in cui tirava su il naso quando gli altri la facevano piangere. Era terribile, a ripensarci adesso. Molti, dentro quella stanza, stavano cercando di combattere contro i sensi di colpa, chiedendosi se le cose sarebbero potute andare diversamente se loro l’avessero trattata meglio. Finché era in vita non era mai importato, ma Mirtilla era una di loro, e adesso era morta.
Katerina non aveva mai scambiato più di due parole con lei, ma sapeva che non si era mai integrata, come lo sapevano tutti gli altri. Avrebbe potuto intervenire, avrebbe dovuto. Ma soprattutto avrebbe dovuto fare qualcosa, qualunque cosa, per impedire che qualcun altro venisse ucciso dopo che lei stessa era morta.
Lei era stata la prima vittima, e il Fato o chi per lui le aveva dato la straordinaria possibilità di essere ancora lì per raccontarlo. Contrariamente ad ogni logica, era caduta a terra morta e si era rialzata da vampira. Le era stata data una seconda vita. Cosa aveva fatto lei per meritarsela? Cos’aveva lei che Mirtilla non aveva?
Si rendeva conto solo in quel momento di aver ricevuto la responsabilità di fermare quella serie di attacchi, e di aver fallito. Peggio, non aveva neanche provato. Quel discorso funebre ne era la triste prova.
 
Katerina appoggiò il mento sulla mano e guardò fuori dalle ampie vetrate della Torre, mentre le parole fluivano e fluivano nell’aria; le stelle erano luminose. Si chiese distrattamente cosa sarebbe accaduto se quella fatidica sera lei fosse morta e basta, invece di trasformarsi in vampiro. Le avrebbero tenuto un piccolo elogio funebre come quello che stavano ora dedicando a Mirtilla? La scena sarebbe stata identica, con tutti i Corvonero riuniti nella Sala ad ascoltare in silenzio? E cosa avrebbero detto di lei? Ci sarebbe stato, nella folla, qualcuno sufficientemente triste da chiedersi cosa avrebbe potuto fare per evitare la sua morte? Forse qualcuno dei Corvonero sì. Al di fuori della Torre, Louis non l’avrebbe mai conosciuta, e quindi non avrebbe versato alcuna lacrima per lei. Tom sarebbe rimasto sconvolto dalla morte improvvisa di una sua compagna di classe, ma nulla di più. A sua zia Agatha si sarebbe spezzato il cuore.
Anche Mirtilla doveva avere genitori, amici, parenti fuori da quella Torre che l’avrebbero dolorosamente pianta. E le persone con cui in futuro Mirtilla avrebbe legato se quel giorno non fosse morta – i suoi Louis, i suoi Tom - non avrebbero mai più avuto la possibilità di conoscerla.
Se solo Katerina avesse fatto qualcosa.
 
Continuò a pensarci anche dopo essere andata a letto, stesa immobile sul materasso senza il minimo accenno di sonno. Non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione di essere venuta meno ad un’importante responsabilità; era una sensazione dolorosa che le martellava rabbiosamente il cuore.
Si mise ad ascoltare i rumori della stanza, come spesso faceva prima di dormire. Tre respiri, tre distinti battiti cardiaci. Le sue compagne sembravano profondamente addormentate. Tenendo per abitudine una mano sul petto, fece scorrere lo sguardo sulle vivide tende blu scuro, sui ricami color bronzo, sulle ombre che sembravano soffocarla. Non sarebbe mai riuscita a prendere sonno, decise. Cercando di non fare rumore, scivolò fuori dal letto e si diresse verso il bagno, afferrando i suoi vestiti lungo il tragitto. Si cambiò velocemente e uscì dalla stanza, scendendo le scale che portavano in Sala Comune.
“Dove stai andando?”
Katerina sussultò e si girò di scatto. Dietro di lei, sulla cima delle scale, c’era Abigail, con i capelli biondi raccolti in una treccia e il pigiama. Evidentemente nemmeno lei era riuscita ad addormentarsi, e Katerina, immersa com’era nei suoi pensieri, non se n’era resa conto.

La ragazza la scrutava con sguardo indagatore.
“Stai uscendo, vero?”, le fece in tono accusatore. Katerina sospirò.
“Non riuscivo a dormire. Volevo solo fare due passi per schiarirmi le idee,” le rispose in tono conciliatore, pregandola silenziosamente di tornare a dormire e lasciarla in pace. Abigail la guardò incredula.
“Alle tre di notte?” Scese le scale per portarsi davanti a lei. “Che diavolo ti salta in mente? E’ pericoloso. Rischi di essere sorpresa da un professore, o, ancora peggio, da quello che ha -” improvvisamente serrò le labbra e i suoi occhi si scurirono.
“Starò attenta. Con un Incanto di Disillusione non mi vedrà nessuno,” fece Katerina a disagio, per riempire il silenzio che seguì. L’altra spalancò gli occhi.
“Ne sei capace?”
Katerina annuì, rendendosi conto troppo tardi che sarebbe stato meglio tenere quel dettaglio per sé. Era stato Louis a insegnarle come Disilludersi, ovviamente, ma non faceva esattamente parte del bagaglio scolastico di una studentessa del suo anno.
Abigail alzò le braccia, esterrefatta.
“Non è la prima volta che esci di soppiatto la notte, vero?”
“Abigail…”
“Ma cosa ti prende?”, la interruppe la ragazza. Il suo tono era mortalmente serio, gli occhi lampeggiavano, e Katerina pensò improvvisamente che era la seconda volta nel giro di poche ore che si sentiva rivolgere quella stessa domanda. “Da qualche tempo non sei più tu. Non stai più con noi, sparisci sempre. Hai cominciato a frequentare non uno, ma due ragazzi allo stesso tempo,” fece, con aria di disapprovazione. “Lo so, Henry ti dà solo ripetizioni. Come no, basta guardarvi per capire che c’è qualcosa di più. Pensavo fossimo amiche, Katerina. Devi dirmi se c’è qualcosa che non va, altrimenti non posso aiutarti.”
Katerina non sapeva cosa dire. Non pensava che Abigail avesse percepito che qualcosa in lei era cambiato; non pensava nemmeno che le interessasse, a dirla tutta. Quell’improvviso sfoggio di preoccupazione era totalmente inaspettato.
Considerò l’idea di soggiogarla per costringerla a dimenticare quell’episodio e lasciarla stare, ma non sarebbe stato giusto. Non aveva alcun diritto di giocare con la sua mente in quel modo, quando tutto quello che stava facendo era dimostrare che teneva a lei.
Sentì le parole ‘Hai ragione, non sono più io. Il fatto è che sono morta e sono diventata un vampiro’ formarsi sulla punta della lingua. Sarebbe stato facile, davvero facile, pronunciarle e poi aspettare trepidante la reazione. In un lampo, davanti ai suoi occhi si materializzò il ricordo recente del viso sconvolto di Flora quando aveva scoperto la verità, poche ore prima. Non pensava che Abigail l’avrebbe presa così male, tutto sommato. Aveva sempre un’aria così imperturbabile.
“Non so cosa mi succeda,” le rispose invece. “Ma mi dispiace che tu sia preoccupata. Sono sempre io, Abbie.”
“Speriamo,” commentò la bionda scrutandola. “Vuoi ancora uscire?”
Katerina esitò. Quello che veramente voleva era parlare con qualcuno di ciò che le passava per la mente. Voleva vedere Louis, perché era l’unico con cui potesse liberamente farlo. Ma Louis a quell’ora era probabilmente nella sua Sala Comune, e lei non aveva alcun modo per contattarlo. Improvvisamente nella testa le risuonò la sua voce tagliente che le diceva “Tu non sei Flora!”, e cercò invano di scacciarla.
Cos’avrebbe fatto se fosse uscita dalla Torre? Si immaginò a camminare senza meta per il castello vuoto, invisibile agli occhi di tutti, sola.
“Credo che resterò qui a leggere,” rispose alla fine, indicando con un gesto le ampie librerie della Sala Comune. Abigail emise quello che le parve un sospiro sollevato.
“Ti faccio compagnia,” le disse, e insieme andarono a sedersi sulle loro poltrone preferite.




 
Note dell'Autrice: anche questo capitolo ha subito violenti rimaneggiamenti e lunghe torture, poverino. Spero ne sia valsa la pena.
Tom Riddle chiede umilmente perdono per la sua assenza, ma da quanto ho capito era troppo indaffarato ad agitare acque e a tessere trame nell'ombra per fare un'apparizione.
Grazie per aver letto fino a qui, e non dimenticatevi di fatemi sapere la vostra opinione sulla storia.
Alla prossima.
 

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Capitolo 11
*** Castelli di carta ***


 

X - castelli di carta.






Dal capitolo precedente:

Era la prova che collegava l’Erede di Serpeverde all’attentato del corridoio al settimo piano, disse qualcuno; era ridicolo pensare che nella stessa sera ci fossero stati ben due incidenti separati. Il secondo attacco era inequivocabilmente collegato alla Camera dei Segreti, ergo doveva esserlo anche l’esplosione.
La vittima, le dissero, era una Corvonero del quarto anno; sopra il suo cadavere freddo, ritrovato in un bagno al secondo piano, campeggiava in rosso la scritta ‘Per la gloria dell’Erede di Serpeverde’.
Si chiamava Mirtilla.
Katerina guardò intorno a sé i suoi compagni di Casa sconvolti, e sentì qualcuno dall’altro capo della stanza sussurrare a un vicino che sì, Mirtilla era stata la prima a morire a causa della Sindrome, ma chissà quanti ne sarebbero seguiti.
Non è stata la prima, pensò amaramente Katerina. E forse non sarebbe nemmeno stata l’ultima. [...] Si rendeva conto solo in quel momento di aver ricevuto la responsabilità di fermare quella serie di attacchi, e di aver fallito. Peggio, non aveva neanche provato. Quel discorso funebre ne era la triste prova.


 
* * *


Dopo la morte di Mirtilla, la vita ad Hogwarts mutò radicalmente.
Il pericolo era rimasto sottinteso per mesi, nascosto sotto un apparenza ostentatamente tranquilla. Le strane pietrificazioni avevano messo a disagio la popolazione della scuola, ma era stato un disagio simile a una giornata di pioggia: una faccenda provvisoria che, se ignorata sufficientemente a lungo, sarebbe passata da sola, fino a che non fosse giunto il momento di godersi i primi raggi di sole e dimenticarsi del vecchio grigiore. Ma la pioggia non era passata; anzi, si era trasformata in un disastroso uragano che aveva gettato nel panico gli studenti e massacrato la loro fiducia nelle autorità scolastiche.
 
Il sentimento predominante era la paura, per sé e per i propri amici. Percorrere corridoi deserti significava occhieggiare nervosamente ogni angolo per chiedersi se ci sarebbe stato qualcuno nascosto dietro; salutare i compagni di Casa per poi dirigersi verso la Guferia a spedire una lettera voleva dire leggere nei loro occhi il dubbio che non saresti più tornato indietro; lo scetticismo dipinto sui visi di chiunque incrociassi per strada chiedeva a gran voce se eri tu, proprio tu, lo psicopatico che voleva sterminare chiunque non gli andasse a genio.
Ciò che rendeva la situazione ancora più terrificante era che il colpevole non aveva occhi, non aveva faccia, non aveva un corpo; aveva solo mani che scrivevano sui muri frasi del colore del sangue, un potere antico che dispiegava contro la scuola, e un’ideologia che – sebbene condivisa da molti – non era sufficiente per mascherare l’orrore di cui era capace.
L’intolleranza verso i Mezzosangue e i Nati Babbani era aspra e vivida: lo era sempre stata, ma negli ultimi decenni la politica mondiale, con i maghi che si immischiavano nelle guerre Babbane, aveva contribuito a peggiorare le cose. Era un odio che veniva fatto fermentare per anni nelle menti dei Purosangue fin da quando erano piccoli; i loro genitori insegnavano a temere e disprezzare tutto ciò che proveniva dal lercio mondo Babbano, e quando ad essi subentrava l’educazione scolastica quella convinzione veniva solamente esacerbata. I Mezzosangue erano diversi da loro, lo si notava subito; i loro sguardi si meravigliavano fastidiosamente per le cose più banali, come se fossero bestie ignoranti. Facevano domande che mai nessun buon mago si sarebbe sognato di porre. Costringevano i loro compagni Purosangue ad adeguarsi al loro lento passo durante le lezioni. Avevano una mentalità estranea, un paio d’occhi che guardavano il mondo in modo diverso, sbagliato. Avevano meno potere, meno magia nelle loro vene, meno possibilità di trovare la loro strada presi com’erano dal tentativo di vivere in due mondi separati. Erano penetrati nella comunità magica di soppiatto, rubando un posto per cui non erano degni.
Che qualcuno avesse deciso di resuscitare il potere di Salazar Serpeverde per depurare la magia di Hogwarts da quella corrotta dei Nati Babbani e Mezzosangue era perciò crudele, ma non sorprendente. Ciò che invece destava il terrore dei Purosangue era che il ragazzo di Corvonero che era quasi rimasto ucciso nell’esplosione del quinto piano non aveva una goccia di sangue Babbano in corpo; proveniva, anzi, da una delle famiglie più nobili della comunità magica.
La cruda verità era quindi chiara a tutti: si trovavano davanti a un profeta che intendeva assicurare la caduta dei Sanguesporco nella polvere, ma che non si sarebbe fermato davanti a niente pur di raggiungere il suo obiettivo – nemmeno davanti al più puro dei Purosangue. Improvvisamente, la sua ideologia era diventata molto più pericolosa e meno condivisibile.
 
Nessuno usciva più dalle proprie Sale Comuni se non strettamente necessario, mentre alcuni ragazzi si rifiutarono addirittura di frequentare le lezioni in blocco. Ogni singolo studente doveva essere accompagnato da qualcuno, preferibilmente un professore, persino per andare in bagno.
Nonostante le parole di conforto, le autorità di Hogwarts non sembravano fare passi avanti nella ricerca dell’Erede di Serpeverde e della Camera dei Segreti. Correva addirittura voce che presto la Scuola sarebbe stata chiusa per garantire la sicurezza degli studenti.


* * *


Il giorno dopo gli attentati le prime lezioni furono cancellate, e Tom Riddle venne fino alla Torre di Corvonero per chiedere di Katerina.
Mentre si alzava per raggiungerlo, Katerina si ritrovò a pensare che doveva assolutamente prendere una decisione definitiva riguardo la loro relazione. Gli avvenimenti della sera precedente avevano gettato una nuova luce su tutto. Le facce serie dei suoi compagni di Casa le ricordavano costantemente che Mirtilla era morta, che era stata uccisa perché lei non aveva fatto nulla per fermare il suo assassino.
Era come essersi improvvisamente svegliati dopo un sogno meraviglioso e ricordare che la realtà è molto più difficile, intricata e pericolosa di quanto si è sognato.
Onestamente non sapeva se Tom fosse davvero l’Erede di Serpeverde, ma poteva davvero permettersi il lusso di restare con il dubbio? Per Merlino, una parte di lei aveva ricominciato a pensare che il suo ragazzo fosse responsabile di tutto ciò che stava accadendo, e lei continuava a stare con lui come se nulla fosse, senza fare nulla per accertarsene. Non era normale.
Il tarlo del dubbio le aveva infastidito la mente per settimane, nutrendosi delle sue insicurezze e dei suoi pensieri negativi, fino a trasformasi in un grasso mostro maligno che ora non poteva più far finta di ignorare.
D’altro canto, riflettè mentre allungava una mano verso il pomello della porta di ingresso della Sala Comune - se Tom era davvero pericoloso, allora nessuno meglio di lei poteva stargli vicino e tenerlo d’occhio: la sua natura di vampira la rendeva più forte, più veloce e più letale di qualunque altra ragazza attualmente a Hogwarts.
 
Se invece si fosse trattato di un malinteso, beh, un giorno forse gli avrebbe chiesto perdono.
 
Mentre apriva la porta, Katerina si chiese dove fossero finiti i sentimenti che fino a poco tempo prima aveva sentito bruciare per quel ragazzo. Erano esistiti, lo sapeva; se li ricordava come pennellate di un quadro dipinto da qualcun altro. Erano ancora da qualche parte dentro di lei, ma l’ansia per ciò che stava accadendo ad Hogwarts e il senso di colpa per la morte di Mirtilla sembravano averli spenti di colpo. Forse Louis aveva ragione: anche quando era ancora umana era sempre stata fredda nei confronti delle altre persone, ma la vita da vampiro la stava trasformando in una persona crudele e insensibile.
 
Se qualcuno, pochi mesi prima, le avesse rivelato che di lì a poco Tom Riddle sarebbe diventato il suo ragazzo, lei ci avrebbe riso su. Eppure eccolo lì, fermo alla base della Torre con le spalle dritte e il viso rivolto verso l’alto, a osservarla attentamente scendere le scale. Ora capiva; ora si rendeva conto di cosa fosse in lui ad attirare la gente, come se vederlo dall’alto aiutasse a diramare la foschia che si infilava nella mente di chi gli parlava da vicino.
Anche in quella semplice posa, la sua postura rivelava una eleganza e una sicurezza di sé raramente riscontrabile in ragazzi della loro età; ma erano soprattutto gli occhi a colpire. Non si trattava di semplice carisma: il potere che si riversava dal suo sguardo faceva correre brividi nelle schiene di coloro su cui si posava; li rendeva consapevoli che tutto ciò che desideravano dalla vita era vedere la sua bocca distendersi in un sorriso di approvazione, e i suoi occhi illuminarsi di benevolenza nei loro confronti. Era come se Tom, con la sua sola presenza, promettesse un mondo colmo di magiche meraviglie di cui tutti volevano avere almeno un assaggio.  
 
Quando finalmente lo raggiunse, Tom non esitò a sfiorarle i capelli con una mano, per poi stringerla a sé in un abbraccio. Rimasero così per qualche istante, in silenzio, fino a che Tom non abbassò lo sguardo su di lei.
“Katerina,” sussurrò, e in quelle poche sillabe c’erano mille sfumature di ansia, preoccupazione e – e qualcos’altro che lei non sapeva bene come identificare. Sentire il suo nome pronunciato in quel modo da lui era un Ardemonio acceso sotto la pelle.
“Come ti senti? Louis Henry mi ha riferito che sei rimasta coinvolta nell’attentato di ieri sera,” le chiese piano, riprendendo ad accarezzarle i capelli.
Katerina gli sorrise tristemente, assorbendo il conforto fornito dal calore delle sue braccia.
“Sto bene, non ti preoccupare. L’esplosione ci ha solo presi di striscio.”
“Sono terribilmente dispiaciuto per la tua compagna di Casa,” riprese Tom, guardandosi discretamente intorno. “Purtroppo nessuno sa cosa possa esserle accaduto. Noi Prefetti abbiamo solamente ricevuto l’ordine di stare più attenti che mai. I Capiscuola non sanno cosa consigliarci, e i professori sono nel caos. Dicono che forse la scuola verrà chiusa.”
“Ho sentito,” ammise lei. “Forse è la scelta giusta. E’ pericoloso lasciare tutti questi ragazzi in balia di un pazzo.”
Tom annuì, pensieroso.
“Hai ragione. Se penso a quanto sei andata vicina a restare ferita, o peggio, io –“
Non terminò la frase, ma lei vide il suo volto impallidire lievemente. Gli strinse una mano come per rassicurarlo.
“Non hai notato nulla?”, continuò di getto il ragazzo. Lei scosse la testa, rammaricata; la stessa domanda le era già stata posta da molte persone. “Chi ha lanciato l’incantesimo doveva essere molto vicino. E poi, perché ha preso di mira proprio voi, e perché in quel modo?”
Perché vuole dimostrare che sa che siamo vampiri, era la risposta che avrebbe dovuto dargli.
“Perché Mirtilla?”, fu invece ciò che disse Katerina, in un tono che le uscì più veemente di quanto avesse voluto. “Perché uccidere una ragazzina sola e indifesa, che si era solamente nascosta in bagno per piangere?”
Gli occhi di Tom brillarono di un sentimento indefinito.
“L’hai detto tu stessa,” fece lui dolcemente. “E’ un pazzo, e non saremo al sicuro fino a che non verrà fermato. Katerina, perdona la mia insistenza – so che è un momento molto difficile per te, ma cerca di riflettere su ogni dettaglio che riesci a ricordare a proposito di quanto è accaduto ieri sera. Tu, Henry e Hopkins siete le uniche vittime ancora in grado di parlare, e oltretutto questo vi rende un bersaglio a rischio. Non mi interessa se la scuola viene chiusa – l’unica cosa che voglio è sapere che tu stai bene.”
La sua voce era pura musica che si insinuava nella mente, più carezzevole della mano calda posata sui suoi capelli.
Lei gli sorrise, di un sorriso triste.
“Non temere, Tom,” gli disse guardandolo negli occhi. “Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio. Il colpevole potrebbe aver lasciato dietro di sé qualche traccia di cui non si è ancora reso conto.”
Sapeva benissimo che non era così, ma il colpevole invece non poteva averne l’assoluta certezza, di chiunque si trattasse. Attese di vedere una qualsiasi reazione nel volto di Tom che fosse diversa dall’ansia che ostentava per lei, ma non accadde nulla.
“Spero che tu abbia ragione, tesoro,” si limitò a sorriderle, e poi appoggiò delicatamente le labbra sulle sue. Era un bacio casto, ma la vicinanza e il profumo di Tom lo rendevano incredibilmente seducente, carico di promesse taciute.
 
Osservandolo allontanarsi, Katerina si chiese se la sensazione di aver appena avuto una conversazione a doppio senso fosse solo un parto della sua mente. Scosse la testa, cercando invano di scacciare la confusione che le annebbiava i pensieri.
 
 
* * *
 
 
La questione da sistemare con più urgenza era Flora, l’unica altra abitante nota della scuola a conoscenza del segreto di Katerina e Louis. Katerina non aveva mancato di notare che nessuna folla urlante li aveva ancora assaliti con paletti di legno, e l’unica spiegazione possibile era che la ragazza dopotutto avesse rispettato il loro patto.
 
Katerina non sapeva quale fosse la ragione che aveva convinto Flora a non dire a tutti che ad Hogwarts c’erano due vampiri; forse si era resa conto che, con l’imperversare di quella caccia al colpevole, due capri espiatori non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivere al clima attuale. Forse i suoi sentimenti per Louis erano stati abbastanza forti da non volerlo gettare in pasto alle belve alla prima occasione; o forse si trattava di entrambe le cose. Qualunque fosse il motivo, Katerina ne era grata. Ma si sarebbe sentita molto più al sicuro non appena il problema fosse stato sistemato: così come ora stavano le cose, Flora era un rischio enorme, un peso nel petto che andava a sommarsi all’oppressione che avvertiva da quando Mirtilla era morta.
A tal proposito, due giorni dopo l’attentato Katerina si alzò dal tavolo di Corvonero in Sala Grande e si diresse a passo sicuro verso quello di Tassorosso. Individuò una nota testa bionda e le si chinò accanto, parlandole in modo che fosse l’unica a udirla.
“Louis ed io ti vorremmo parlare,” disse a Flora in un orecchio. “Potresti seguirmi? Di’ agli altri che mi stai accompagnando in bagno.”
Sentì Flora irrigidirsi. La ragazza aveva un’aria guardinga e molto meno solare del solito, e il suo viso era segnato da pesanti ombre scure sotto gli occhi come se negli ultimi giorni non avesse dormito a sufficienza. Rimase immobile per un momento, ma dopo la breve esitazione annuì brevemente e fece come Katerina le aveva suggerito.
 
Il bagno delle ragazze del secondo piano era chiaramente off-limits dopo il ritrovamento del cadavere di Mirtilla, e Katerina fece scena di dirigersi verso quelli del primo. Appena fu sicura di non essere vista, però, deviò verso un corridoio secondario poco frequentato. Louis era là ad attenderle, appoggiato al muro con le braccia incrociate.
“Ciao, Flora,” le disse quietamente. La ragazza alzò gli occhi dal pavimento e lo vide, guardandolo con più tristezza e meno rabbia dell’ultima volta che si erano parlati.
“Non ho detto a nessuno del vostro segreto,” disse subito, scuotendo la testa. “Non credo siate stati voi ad aprire la Camera dei Segreti, e anche se non mi piace l’idea di avere due vampiri in mezzo a dei ragazzi innocenti… non volevo che dessero la colpa a voi per quegli attentati.”
“Grazie. Sapevo di potermi fidare di te,” le disse pacatamente Louis.
“Allora perché mi avete portata qui?”, ribattè Flora, mentre un improvviso lampo di sfida le animava gli occhi.
Katerina e Louis si scambiarono uno sguardo veloce, senza rispondere alla domanda. Poi Katerina fece qualche passo verso il muro e si appoggiò ad esso con la schiena, per restare in disparte, mentre Louis al contrario si avvicinava lentamente a Flora, che non aveva staccato per un secondo lo sguardo da lui.
Guardami,” disse lui prendendole delicatamente il mento tra le dita, e Katerina vide il viso di Flora rilassarsi, le sue pupille dilatarsi e i suoi occhi guardare Louis con concentrata attenzione.
Il significato di quell’evento fece rilasciare a Katerina il respiro che non si era accorta di trattenere. L’effetto della verbena era svanito; la mente di Flora era di nuovo controllabile.
 
Louis sembrò giungere alle stesse conclusioni e strinse le labbra in una linea dura, mentre Flora sbatteva gli occhi come per liberarsi da un’allucinazione e faceva un passo indietro.
“Un momento,” disse nervosamente, alternando lo sguardo dall’uno all’altra. “Volete fare quello che non siete riusciti a farmi l’altro giorno, vero? Volete farmi dimenticare quello che ho visto.”
“E’ meglio per tutti,” le disse gentilmente Louis. “Non è prudente per te sapere queste cose.”
“Non è prudente per voi, intendi dire. E per quanto riguarda noi due?”, ribattè Flora, guardandolo negli occhi.
“Non ci sarà più nessun ‘noi due’. Non può continuare, Flora. Rischierei solo di farti del male. Non sono la persona giusta per te.”
“No,” sussurrò la ragazza. “Louis, ci ho pensato. Io – io non posso credere di non aver mai capito cosa sei. Mi dispiace. Avrei dovuto accorgermene prima, e forse mi ci vorrà tempo per accettare quello che sei, ma non voglio lasciar perdere tutto così.”
Davanti a quelle parole Louis esitò, e nei suoi occhi si infilò una traccia di dubbio.
 
Katerina sentì il suo stesso respiro accelerare, e appoggiò la nuca alla parete. Lo sapeva, sapeva perfettamente che Louis nel suo cuore sperava che Flora gli tendesse la mano e lo accettasse per quello che era; sapeva che non desiderava altro che il suo perdono. Batté nervosamente le dita sulle pietre fredde del muro, chiedendosi se, dopo quello che la ragazza gli aveva appena detto, lui avrebbe ceduto alla tentazione di lasciarle la memoria.
Katerina avrebbe voluto staccarsi da lì, avvicinarsi come una furia agli altri due e strappare via personalmente i ricordi dalla testa di Flora, perché sapeva che era la cosa migliore da fare – forse non la più giusta, ma la migliore per loro sì.
Ma non era suo diritto intromettersi. O forse sì? Il segreto era anche suo, dopotutto. Ma non se la sarebbe mai sentita di costringere l’altro vampiro a lasciar perdere Flora contro la sua volontà.
Louis avrebbe presto fatto la sua scelta, e lei in quel momento decise che l’avrebbe rispettata a qualunque costo, senza fare altro in proposito.
Scrutò attentamente l’espressione preoccupata di Louis, la sua bocca serrata, gli occhi grigi che a loro volta esaminavano il volto della ragazza davanti a lui. Era serio, quasi impassibile, ma si potevano ancora riconoscere gli indizi che rivelavano la sua indecisione.
 
Poi inaspettatamente i loro occhi si incrociarono, come se si fosse ricordato in quel momento che anche Katerina era lì, e lui la esaminò intensamente come se la risposta alla sua domanda fosse scritta nei lineamenti del viso di lei. Katerina gli restituì l’occhiata cercando di non lasciar trapelare nulla di quello che pensava, e dopo qualche eterno istante Louis distolse lo sguardo da lei e lo fissò nuovamente su Flora. In quel breve tragitto i suoi occhi sembravano aver guadagnato qualcosa di diverso, un’ombra di risoluzione.
Katerina lo vide avvicinarsi a Flora, e qualcosa in quella scena le fece inspiegabilmente stringere il cuore. Poi, dopo qualche secondo che le sembrò interminabile, osservò mentre Louis dava a Flora un bacio sulla fronte, e le si spezzò il fiato.
“Non è colpa tua. Non avresti mai potuto accorgertene,” lo udì sussurrare. Flora gli sorrise timidamente, e poi…
Dimentica che Katerina ed io siamo vampiri,” ricominciò il ragazzo, guardando Flora con fermezza. Lo sguardo della ragazza si rilassò di nuovo e Katerina chiuse gli occhi, ascoltando con sollievo le parole di Louis e cercando calmare il respiro.
Dimentica di aver visto la nostra trasformazione di due giorni fa. Non ricorderai di aver dubitato di noi. Oggi, io e te ci siamo lasciati di comune accordo perché ci siamo resi conto di non essere compatibili. Ti sentirai un po’ triste per la fine della nostra storia, ma poi volterai pagina e andrai avanti, sapendo che è stato meglio così.
 

Più tardi, dopo essersi assicurati che Flora ritornasse in Sala Grande sana e salva, Katerina si voltò a scrutare Louis.
“Stai bene?”, gli chiese con tono di voce un po’ incerto.
Il ragazzo scrollò le spalle.
“Sì, penso di sì. Sono contento che non sia più implicata in questa storia. Lei merita di avere al suo fianco una persona decente, qualcuno che non sia sempre sull’orlo di abusare del suo sangue e della sua mente – non uno come me. Chissà, forse, se non fossi mai diventato quello che sono, Flora sarebbe stata quella giusta. Ma non è così che è andata, no?”
 
Louis parlava in tono tranquillo, ma un sottile velo di tristezza gli scuriva gli occhi, e le sue ultime parole avevano una sfumatura di rimpianto. Katerina gli toccò delicatamente il braccio per fargli capire che non era solo, che lei capiva perfettamente quanto bruciava la sensazione di non poter più avere qualcosa che desiderava.
Louis sembrò rilassarsi impercettibilmente al suo tocco, e proseguì il discorso.
“Sai, da un lato so di aver preso la decisione più sensata, ma dall’altro comincio a capire perché non ti piace controllare la mente delle persone. Con gli estranei non mi è mai importato, ma Flora… cancellandole la memoria le ho completamente tolto la libertà di scegliere. Lei avrebbe voluto ricordare tutto,” continuò gravemente, lanciandole un’occhiata quasi colpevole.
Abbiamo,” lo corresse lei in tono fermo. “La responsabilità è anche mia. Louis, avremmo anche potuto decidere di lasciarle la memoria, ma sai bene che… che sarebbe stato un problema. Non solo per noi: anche per lei. Almeno da adesso sarà al sicuro da chi cerca di fare del male a noi.”
Alle sue parole, Louis prima fece una smorfia e poi le sorrise furbescamente.
“Da chi cerca di farci del male, eh? Già, tutte queste chiacchiere mi avevano fatto dimenticare che in circolazione c’è un Erede di Serpeverde sul piede di guerra. Per Merlino, il solo pensiero mi fa venire voglia di darmi all’alcool. Sai, una volta avevo una bottiglia di Firewhiskey del 1921, ma poi qualcuno l’ha buttata giù dal tetto. Proprio non riesco a ricordare chi sia stato; i miei ricordi sono un po’ confusi.”
Nonostante la situazione, Katerina rise. Louis la osservò con aria divertita, poi il suo sorriso si spense lentamente.
“In tutti questi mesi non ho mai trovato il coraggio di lasciare Flora perché ero convinto che, una volta arrivato il momento di scegliere tra lei e il mio segreto, avrei scelto lei. Invece stasera è stato difficile come pensavo, ma alla fine non ho scelto lei, ho scelto -”
Louis si bloccò di colpo con la bocca leggermente socchiusa, come se avesse improvvisamente realizzato qualcosa di così sorprendente da impedirgli di terminare la frase, e poi i suoi occhi corsero su di lei – sulle sue iridi scure, sul suo naso, sulle sue labbra – senza aggiungere nient'altro.
Katerina alzò un sopracciglio, cercando di nascondere quanto quel silenzioso esame la mettesse a disagio.
“Hai scelto il tuo segreto,” terminò lei, alla disperata ricerca di qualcosa da dire.
Per un istante fu come se non l’avesse sentita, ma poi Louis annuì piano.
“Il segreto, sì,” mormorò a voce più bassa, con qualcosa nella voce che assomigliava a ironia.
Inspiegabilmente, Katerina sentì un lieve rossore colorarle il viso.
 
 
* * *
 
 
Un paio di giorni dopo, Katerina stava camminando speditamente verso l’aula di Pozioni in disuso del terzo piano. Era tarda sera ed era riuscita senza troppi problemi a lasciare la Sala Comune di nascosto; stavolta si era accertata che Abigail e le altre fossero davvero addormentate.
Se qualcuno l’avesse trovata in giro a quell’ora sarebbe finita in guai seri, ma dubitava che sarebbe accaduto: ufficialmente la sorveglianza doveva essere più stretta che mai, ma avevano tutti talmente paura dell’Erede di Serpeverde che la maggior parte degli abitanti della scuola si guardava bene dal mettere piede fuori dalla zona sicura di notte. Al contrario, Katerina non era eccessivamente preoccupata; anzi, non le sarebbe nemmeno dispiaciuto troppo se fosse stata vittima di un attacco, perché in tal modo avrebbe avuto l’occasione per scoprire chi si nascondeva dietro quel clima di paura. Era uno dei vantaggi dell’essere vampiri, dopotutto: non puoi morire se sei già morto.
 
Nelle giornate normali Hogwarts pulsava di vita, come se la magia che permeava quelle sale la rendesse un essere senziente e felice di accogliere i suoi figli al sicuro dentro di sè. Lo si sentiva nella solidità nelle mura, nella lieve brezza che riempiva i corridoi come un respiro, nei guizzi di magia che crepitavano nell’aria.
Ma ora si era trasformata in una madre morente, lentamente uccisa da una malignità che strisciava nascosta agli occhi di tutti. La paura aveva indebolito la magia, incanutito la fredda luce che entrava dalle finestre e avvizzito l’aria, come mille nuove rughe di disperazione sul volto di una vecchia.
Ora Hogwarts sembrava solo un castello abbandonato.
 
Improvvisamente Katerina sentì il rumore di qualcuno di molto vicino a lei e, un istante dopo, un braccio la cinse da dietro.
Presa,” sussurrò una voce maschile a qualche millimetro dal suo orecchio.
Katerina non sussultò. Quasi scoppiò a ridere al pensiero che sì, era in attesa di un attacco, ma non certo di uno di quel genere. Il suo misterioso assalitore era invisibile, possedeva una voce e un profumo che in realtà conosceva benissimo e, cosa ancora più importante, non aveva battito cardiaco.
“Ciao Louis,” disse solo, cercando di resistere alla tentazione di appoggiarsi a lui in cerca di conforto.
Il ragazzo tolse lentamente il braccio, sfiorando la sua schiena un po’ più del necessario, e apparve di fianco a lei con un sorriso ironico. Nei suoi occhi c’era una luce divertita che Katerina non riuscì a interpretare.
“Per quale ragione te ne vai a spasso in piena notte senza Disilluderti, Miss Farley? Potresti attirare l’attenzione di qualcuno,” le disse alzando un sopracciglio in modo severo. Di tacito accordo, i due ripresero a camminare fianco a fianco lungo il corridoio.
“Magari è esattamente quello che voglio fare,” ribatté lei ricambiando il sorriso.
“Siamo temerari, uh? Non mi sembra un atteggiamento prudente.”
Il sorriso di Katerina si spense.
“Sono solo stanca di tutta quest’ansia, di dovermi preoccupare che qualcuno possa assalirmi con un paletto di legno da un momento all’altro. Vorrei solo che questa storia finisse.”
“Basta che tu dica una sola parola, mia cara, e taglieremo la corda verso lidi più felici. Nel caso, propongo che la prima tappa sia la Francia.”
“Magari Parigi? Molto romantico,” scherzò lei. “Io ho sempre desiderato andare in Bulgaria.”
“Bulgaria? Ah, è il Paese dove è nata tua madre, vero?”
Katerina annuì semplicemente.
“Affare fatto. Allora prima visiteremo ogni angolo della Francia e poi andremo in Bulgaria. Abbiamo tutta l’eternità davanti, tanto vale impiegarla viaggiando in lungo e in largo per il mondo,” continuò lui in tono scherzoso.
Erano ormai arrivati a destinazione. Katerina occhieggiò pensierosamente la parte di corridoio in cui era morta, mentre Louis apriva la porta della vecchia aula di Pozioni e poi si faceva galantemente da parte per farla passare. Lei roteò gli occhi per prendere in giro la sua finta aria da gentiluomo, poi si diresse verso un particolare punto della stanza, tolse l’Incantesimo di Occultamento e diede un’occhiata alla pozione che sobbolliva pacificamente.
 
“Direi che ci siamo,” annunciò. Louis si avvicinò per dare un’occhiata al contenuto del calderone.
“Quindi era questa la cosa che dovevi mostrarmi?”, chiese con interesse.
“Esatto. Dubito di riuscire a fare meglio di così, perciò incrociamo le dita. Louis, ti presento l’Antiessiccante numero sedici,” disse lei raccogliendo con cautela una cucchiaiata di liquido e riversandolo in un bicchiere. Porse il contenitore al ragazzo, che fece una smorfia e lo prese.
“Salute,” disse, e bevve la poca pozione tutto d’un fiato. Corrugò la fronte e fece una smorfia.
“Devo dire che come cuoca fai schifo. Questa roba ha un sapore davvero orribile,” dichiarò. “Però sento una sensazione di calore e la sete è leggermente calata. Il che non è male, visto che con tutte queste precauzioni anti-terrorismo è diventato pressoché impossibile trovare qualcuno da aggredire.”
Lei sospirò di sollievo e gli fece un sorrisone, iniziando a parlare a raffica.
“Le proporzioni tra gli ingredienti sono ben bilanciate, e ho aggiunto qualche seme di papavero per rendere gli effetti un po’ più duraturi. Se le mie stime sono corrette, bevendone ogni giorno almeno un quarto di litro saremo in grado di resistere alla tentazione di saltare al collo del primo che passa. Non avrà tutti gli effetti benefici del sangue umano, ma perlomeno è più efficace della Pozione Rimpolpasangue che mi hai dato il primo giorno.”
“Straordinario. Adesso puoi smettere di vantarti, geniaccio,” la prese in giro l’altro.
Lei gli fece la linguaccia, riempì due bicchieri e gliene restituì uno.
“Cin cin,” disse, e diede delicatamente un colpetto al bicchiere di Louis.
 
 “Ho visto Flora, oggi,” disse lei ad un certo punto. Erano seduti sopra i banchi, uno di fianco all’altra. Le loro braccia si sfioravano. “Ci siamo incrociate a pranzo e mi ha salutata in modo amichevole, come se non fosse successo niente. E’ stato surreale. Mi ha chiesto se avevo sentito della vostra rottura. Mi ha ripetuto esattamente lo stesso concetto che le hai detto tu: sai, ‘abbiamo capito di non essere compatibili, ho voltato pagina e sono andata avanti’. Era convinta che fossero parole sue, mentre invece gliele abbiamo messe in testa noi. Mi sono venuti i brividi.”
Louis sospirò e abbassò lo sguardo.
“Già, l’ho vista anche io. E’ venuta da me per restituirmi un braccialetto che le avevo comprato durante la nostra prima uscita a Hogsmeade. Anzi, dovrei averlo ancora qui con me.”
Cominciò a frugare nelle tasche fino a che non estrasse un sottile bracciale in argento. Glielo porse, e Katerina lo prese per esaminarlo. Il metallo brillò riflettendo la luce. Quando fece per restituirlo, Louis scosse la testa.
“Sai che ti dico? Tienilo, buttalo, fondilo per farne proiettili, quello che vuoi. Non lo voglio rivedere mai più.”
Katerina insistette e discussero per un po’, ma alla fine lei cedette e lo mise in una tasca della borsa.
“E come sta il tuo ragazzo-barra-maniaco omicida?”, le chiese Louis alzando un sopracciglio.
“Ultimamente l’ho visto solo a lezione, per ovvie ragioni. Non so cosa dirti, si comporta sempre in modo normale.”
“Non mi sembri molto entusiasta di sapere che il tuo ragazzo probabilmente non è il tuo assassino,” osservò l’altro corrugando la fronte. Katerina sorrise tra sé.
“Tom è irreprensibile, affascinante. E’ perfetto. Forse un po’ troppo,” meditò lei. “Quando sono con lui è come se non esistesse nient’altro al mondo. Poi, se non lo vedo per un po’, mi tornano in mente tutti i dubbi possibili e immaginabili. Mi piace, ma non credo di provare davvero qualcosa per lui - oh, non lo so. Forse non è il momento giusto. Ho troppe cose per la testa.”
Louis la ascoltò in silenzio, tenendo sempre lo sguardo fisso sul pavimento. Dopo qualche istante si girò per guardarla intensamente, le sue labbra piegate in una linea pensierosa. Durò solo un istante, però, perché appena vide la sua espressione preoccupata le mostrò un sorrisetto ironico.
“La metà femminile della scuola ti vede come la ragazza più fortunata di Hogwarts; lo sai, vero? E tu invece snobbi così il povero Riddle. Insensibile da parte tua, mia cara,” fece lui dandole una gomitata.
Katerina ricambiò con una spallata.
“Forse dovrei lasciarlo. Al di là di quello che provo quando sono con lui, mi sento in colpa a nascondergli che in realtà sono un vampiro. Lui crede che io sia una persona completamente differente, e non è giusto. Ma l’idea di raccontargli tutto…”
Katerina scosse la testa, senza completare la frase.
“Sì, beh, io te lo avevo detto,” fece subito Louis. Poi la guardò meglio e proseguì in tono più morbido. “Lo so, è difficile quando tieni a qualcuno che è totalmente diverso da te. In ogni caso sì.”
“Sì cosa?”
“Dovresti lasciarlo. Meriti di meglio di quel manichino impomatato.”
Lei si lasciò sfuggire una mezza risata, ma quando lo guardò non c’era nulla di scherzoso nei suoi occhi. Esitò un istante, non sapendo bene come replicare.
“Gli ho casualmente chiesto dove fosse la sera dell’esplosione,” disse velocemente, cambiando discorso. “Mi ha detto qualcosa a proposito di una sessione di studio in Sala Comune con i suoi amici.”
“Difficile dimostrare il contrario,” commentò lui. “I suoi amici sono Serpeverde della peggior specie, e vedono Riddle come il loro idolo. Non lo contraddirebbero nemmeno sotto tortura.”
“Stavo pensando di soggiogarlo per farmi dire la verità. Sarebbe la soluzione più semplice,” ammise Katerina.
“Te lo sconsiglio. Volevo farlo quella sera in cui abbiamo pattugliato i corridoi insieme, ma alla fine aveva un’aria così inalberata che ho avuto l’impressione che, se ci avessi provato, sarebbe stato lui a soggiogare me. Più il mago è potente, più è in grado di resistere al controllo mentale, e Riddle dispone indubbiamente di molto potere. Dal modo in cui si atteggia potrebbe essere addirittura un Occlumante. L’unica via per costringerlo a dire qualcosa e poi farglielo dimenticare è indebolirlo in qualche modo, ad esempio attaccarlo e privarlo di un po’ di sangue. No, è comunque rischioso. Però potremmo soggiogare un messaggero innocente, mandarlo ad accusare Riddle e poi vedere se torna indietro vivo.”
Katerina fece una smorfia.
“Mi immagino la scena. ‘Ehi, Tom, non è che la Camera l’hai aperta tu?’
“E fu così che la più grande strage del Mondo Magico fu evitata grazie a una semplice domanda. Diventeremo eroi. Parleranno di noi su Storia di Hogwarts.”
 
Dopo qualche tempo decisero di andarsene a dormire. Louis scivolò elegantemente giù dai banchi e le porse una mano per aiutarla a scendere. Camminarono silenziosamente fino al bivio in cui avrebbero dovuto separarsi, entrambi non Disillusi.
Al momento di salutarsi Louis si voltò verso di lei, un’espressione insolitamente seria sul viso. Era molto vicino, si rese conto d’un tratto Katerina. Se solo avesse allungato le dita avrebbe potuto prendergli la mano. Se si fosse alzata in punta di piedi e si fosse avvicinata con la testa avrebbe potuto sfiorargli le labbra con le sue…
Katerina sbattè gli occhi, sorpresa dalle immagini che si stavano formando nella sua stessa mente.
Era un tratto buio di corridoio e non riusciva a capire a cosa Louis stesse pensando, ma il ragazzo non si era mosso. Poi, improvvisamente, Louis alzò una mano e le scostò con delicatezza una ciocca di capelli dal volto.
“Stai attenta. Non metterti nei guai mentre sei distante da me,” le disse, fissandola intensamente.
“Vale anche per te,” sussurrò lei. La mano di Louis rimase ferma sulla sua guancia per qualche altro secondo. Il ragazzo annuì.
“Buonanotte,” mormorò.
Nel giro di pochi istanti se n’era andato, e Katerina ritornò verso la Sala Comune con una buffa sensazione nel petto.
 
 
* * *
 
 
Il giorno successivo era sabato e, dopo pranzo, più di metà studenti rimasero in Sala Grande per studiare. Il Preside aveva dichiarato la Biblioteca off-limits e aveva ordinato che i ragazzi studiassero solamente nelle proprie Sale Comuni oppure in Sala Grande, dove era più semplice tenerli tutti d’occhio. Era inusuale vedere la Sala Grande così piena e contemporaneamente così silenziosa, dato che normalmente risuonava delle chiacchiere e risate delle ore dei pasti.
Le misure di sicurezza avevano contribuito a mantenere la scuola aperta per quei pochi giorni, ma non era una soluzione definitiva; al contrario, se quella faccenda non si fosse risolta al più presto Hogwarts sarebbe inesorabilmente stata chiusa. Alcuni genitori avevano già ritirato i propri figli.
Anche la zia di Katerina, nella sua ultima lettera, si era offerta di venirla a prendere e riportarla a casa. Le aveva risposto di non preoccuparsi.
 
Quel pomeriggio, studiare in Sala Grande si rivelò particolarmente noioso. Katerina si limitava a fissare i libri davanti a lei senza davvero leggere nulla. Concentrarsi era impossibile: la presenza di così tante persone lì vicino la rendeva irrequieta. Fece vagare lo sguardo sugli altri tavoli, alla ricerca di facce note. Louis non c’era; stranamente, era dall’ora di colazione che non lo vedeva. Non si era nemmeno presentato a pranzo, ricordò improvvisamente.
Non voleva restare lì dentro un minuto di più; era solo una perdita di tempo. Mise via le sue cose e, approfittando della sua posizione isolata e della perenne distrazione del professore di Erbologia che doveva sorvegliare il suo tavolo, si Disilluse e sgattaiolò via dalla Sala Grande. Appena fuori, rimosse la Disillusione e si diresse verso le scale, pensando vagamente di andare a cercare Louis oppure di nascondersi in Biblioteca a leggere.
“Katerina?”, la chiamò una voce dietro di lei.
Era Tom, dall’arco d’ingresso che conduceva ai Sotterranei. Katerina si fermò sulle scale in attesa che l’altro la raggiungesse, chiedendosi come mai non avesse notato la sua assenza in Sala Grande.
Quando la raggiunse, il ragazzo aveva sul viso un’espressione decisamente contrariata.
“Dove stai andando da sola? E’ pericoloso,” esclamò il ragazzo in tono d’accusa.
“Sto tornando alla Torre. Ero stanca di studiare in Sala Grande,” si giustificò lei con un sorriso innocente. Tom le lanciò un’occhiataccia.
“Come sei riuscita ad uscire senza che nessuno ti vedesse? Non importa,” fece poi con un sospiro. “Avanti, ti accompagno io.”
Normalmente Katerina avrebbe esitato davanti all’idea di restare da sola con Tom nei corridoi deserti di Hogwarts, ma quella poteva rivelarsi l’occasione perfetta per una lunga conversazione onesta, perciò continuò a sorridergli come se non avesse per nulla in mente di aggredirlo e poi soggiogarlo.
“Ti ringrazio, Tom. Andiamo?”, gli disse. Lo prese per mano e insieme si avviarono verso il cuore del castello.
 
Stavano attraversando la scorciatoia segreta che dal secondo piano sbucava dietro ad un arazzo del quinto, quando Tom improvvisamente la bloccò.
Il cuore di Katerina fece un sussulto, ma prima di girarsi verso il ragazzo cercò di nascondere il sospetto e di mostrare solo una perplessa curiosità.
“Tom?”
Sempre tenendola per mano, l’altro l’attirò prepotentemente a sé. La luce della torcia appesa al muro illuminava il suo volto dai lineamenti nobili; i suoi occhi sembravano più scuri che mai. Mentre le osservava con concentrazione il viso, la sua espressione rimase indecifrabile.
Le scostò i capelli dal volto. A quel tocco, Katerina ebbe un vivido ricordo di Louis fare la stessa cosa la sera precedente. Al contrario di quella del vampiro, la mano di Tom era calda sulla sua fredda pelle.
“Mi sei mancata,” sussurrò dolcemente il ragazzo. “Ci siamo visti talmente poco, ultimamente, per colpa di questa faccenda della sicurezza. Senza contare che tra qualche giorno chiuderanno la scuola, e chissà quando potremo rivederci.”
Katerina lo guardò negli occhi, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia. Per quanto galante e premuroso, era raro che Tom si mostrasse così affettuoso con lei. E la sua gola era così vicina… era il momento giusto? Sarebbe bastato un morso sul collo.
La sola idea la faceva sentire una persona orribile.
“Ma forse ho la soluzione,” continuò il ragazzo con un sorrisetto.
“Cosa intendi dire?”
L’altro scosse la testa e poi, all’improvviso, chinò il capo per baciarla appassionatamente sulle labbra. Era un bacio da far perdere i sensi. Tutta quell’irruenza la colse alla sprovvista, e Tom le mise una mano su un fianco per stabilizzarla. L’altra mano, invece…
Di colpo Katerina sentì un dolore lancinante invaderle la schiena e lo stomaco, e lanciò un grido. Era una cosa atroce, qualcosa non aveva mai provato prima. La vista cominciò ad oscurarsi, mentre sentiva le forze abbandonarla; cadde sulle ginocchia, e sentì Tom fare qualche passo indietro.
Le sue mani corsero a coprirsi lo stomaco, in un disperato tentativo di arginare quel dolore, e toccarono una forma appuntito che non doveva essere lì.
Abbassò tremante lo sguardo, mentre il sangue le ricopriva le mani e i vestiti: profondamente impiantato nel suo stomaco, c’era un grosso paletto di legno.
 
Lo fissò intorpidita per qualche lungo secondo e poi, raccogliendo le ultime forze rimaste, impugnò il paletto rozzamente intagliato e cercò di estrarlo con mani tremanti. Il dolore divenne ancora più intenso, tanto da farla quasi svenire. Stringendo i denti, continuò a tirare e sentì l’oggetto uscire finalmente dal suo corpo e rotolare per terra. Lo sforzo la fece finire sul pavimento, mentre dal foro sulla pancia il sangue usciva copiosamente.
Fu solo allora che alzò gli occhi increduli verso Tom, che la stava osservando impassibile.
“Ah, Katerina,” le disse, mentre un sorriso crudele gli deturpava il volto. “Avresti dovuto davvero stare più attenta. Te l’avevo detto che era pericoloso.”
“Perché l’hai fatto?”, sputò Katerina, cercando disperatamente di fare pressione sulla ferita con una mano e di arginare la sensazione di tradimento che l’aveva invasa. Dov’era la sua bacchetta? La vide lontana, ai piedi di Tom.
“Perché io so cosa sei,” le rispose Tom gelidamente. “Dovresti ringraziarmi per non averti colpita all’altezza del cuore, cara la mia vampira.”
“Non avresti dovuto,” fece lei rabbiosamente. Si sentiva un animale in trappola. Cercò di alzarsi, ma le ginocchia cedettero.
“Ferma,” le ordinò il ragazzo in tono quasi carezzevole. Le puntò contro la bacchetta.
Incarceramus,” pronunciò, e Katerina fu immobilizzata da corde apparse dal nulla. Tom torreggiava su di lei, un sorriso tronfio sul viso.
“Vedi, io non penso che dei vampiri dovrebbero stare ad Hogwarts. E’ sbagliato permettere a dei mostri di girare liberi in mezzo a ragazzi innocenti. Qualcuno potrebbe finire per farsi male,” disse lui in tono noncurante.
“Cosa vuoi fare?”, gli chiese lei, tradendo un’inflessione di paura nella voce.
“Questo,” rispose Tom. Il ragazzo si chinò su di lei e le puntò allusivamente la bacchetta sul cuore. Katerina sgranò gli occhi e cercò disperatamente di spostarsi, ma le corde la tenevano bloccata.
Avada Kedavra,” sentì, e un lampo verde fu l’ultima cosa a riempirle gli occhi.





Note dell'Autrice: mancano ancora 2/3 capitoli per finire la storia. Nel frattempo, fatemi pure sapere cosa ne pensate.
Grazie per aver letto fino a qui e alla prossima.

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Capitolo 12
*** La Camera dei Segreti ***


 

XI - la camera dei segreti.







Dal capitolo precedente:

Di colpo Katerina sentì un dolore lancinante invaderle la schiena e lo stomaco, e lanciò un grido. Era una cosa atroce, qualcosa non aveva mai provato prima. La vista cominciò ad oscurarsi, mentre sentiva le forze abbandonarla; cadde sulle ginocchia, e sentì Tom fare qualche passo indietro.
Le sue mani corsero a coprirsi lo stomaco, in un disperato tentativo di arginare quel dolore, e toccarono una forma appuntita che non doveva essere lì.
Abbassò tremante lo sguardo, mentre il sangue le ricopriva le mani e i vestiti: profondamente impiantato nel suo stomaco, c’era un grosso paletto di legno.
[...]
“Perché io so cosa sei,” le rispose Tom gelidamente. “Dovresti ringraziarmi per non averti colpita all’altezza del cuore, cara la mia vampira.”
“Non avresti dovuto,” fece lei rabbiosamente. Si sentiva un animale in trappola. Cercò di alzarsi, ma le ginocchia cedettero.
“Ferma,” le ordinò il ragazzo in tono quasi carezzevole. Le puntò contro la bacchetta.
“Incarceramus,” pronunciò, e Katerina fu immobilizzata da corde apparse dal nulla. Tom torreggiava su di lei, un sorriso tronfio sul viso.
“Vedi, io non penso che dei vampiri dovrebbero stare ad Hogwarts. E’ sbagliato permettere a dei mostri di girare liberi in mezzo a ragazzi innocenti. Qualcuno potrebbe finire per farsi male,” disse lui in tono noncurante.
“Cosa vuoi fare?”, gli chiese lei, tradendo un’inflessione di paura nella voce.
“Questo,” rispose Tom. Il ragazzo si chinò su di lei e le puntò allusivamente la bacchetta sul cuore. Katerina sgranò gli occhi e cercò disperatamente di spostarsi, ma le corde la tenevano bloccata.
“Avada Kedavra,” sentì, e un lampo verde fu l’ultima cosa a riempirle gli occhi.

 
* * *


Katerina si tirò su di scatto, tenendosi una mano sul petto, mentre l’aria le entrava prepotentemente nei polmoni. Si ritrovò ad annaspare e a tossire, cercando di ricordarsi come si faceva a respirare normalmente. Ogni angolo del suo corpo le doleva, ma piano piano la tosse cominciò a scemare.
Era un incubo. Doveva esserlo, pensò, perché ogni altra ipotesi era semplicemente irragionevole.
Con mani tremanti si scostò i lunghi capelli dagli occhi, e si guardò attorno.
Non era mai stata in quel posto. A prima vista pensò di trovarsi in una caverna, un antro dalle alte pareti, così alte che non riusciva a vedere il soffitto. Tutto intorno a lei si ergevano pietre gocciolanti. Era buio, ma la flebile luce delle torce permise ai suoi occhi non umani di adattarsi velocemente all’oscurità. Ora distingueva anche la presenza di un’enorme statua in fondo alla sala, e della sua borsa coi libri abbandonata a qualche metro di distanza. Il pavimento era sporco, umido e polveroso, come se nessuno avesse messo piede in quel posto da secoli.

E a poca distanza da lei c’era Tom, il ragazzo che l’aveva prima trapassata con un paletto e poi colpita con la Maledizione Che Uccide. Sentì una fitta di paura. Lui era in piedi e la stava guardando con blando interesse.

“Dunque avevo ragione,” commentò il ragazzo con aria scientifica. Il suo aspetto era curato come sempre; non un filo dei suoi capelli neri era fuori posto. I suoi occhi blu riflettevano una luce spregiudicata e intelligente. “Un Avada Kedavra non può ucciderti, se sei già morto. Abbiamo corso un bel rischio, ma devo dire che è stato molto istruttivo. Sei il primo caso noto a sopravvivere a quell’incantesimo.”

“Fa un male cane,” borbottò lei con voce roca. “Dove siamo?”

“Benvenuta nella Camera dei Segreti, Katerina,” annunciò il ragazzo facendo rigirare distrattamente la bacchetta tra le dita. “Potresti almeno fare lo sforzo di sembrare sorpresa?”

Katerina non disse nulla. Stava cercando di mettere a tacere il terrore che si agitava nel suo stomaco. Si tirò faticosamente su in piedi, avvertendo una fitta intensa di dolore dove lui l’aveva colpita, e studiò la situazione. Tom era a pochi metri da lei, ed erano soli nella grande sala vuota. Riusciva a intravedere la punta del legno coperto di sangue che gli fuoriusciva dalla tasca della divisa. Lui aveva una bacchetta, ma non gliela stava puntando contro. Se lei avesse fatto uno scatto improvviso e gli avesse piantato i denti nel collo…

“Non ci pensare neanche,” la redarguì pigramente lui. “Mi sono lanciato addosso tre diversi incantesimi di protezione. Se solo provi a toccarmi te ne pentirai immediatamente. Avanti, voglio solo fare due chiacchiere con te. Perché non ci sediamo?”

Tom agitò la bacchetta e due poltrone dai cuscini verdi apparvero una di fronte all’altra. Mentre l’altro si accomodava su quella più vicina, Katerina le guardò con sospetto. Sembravano morbide, affidabili, perfettamente innocenti; non sarebbero sembrate fuori posto in una sala da tè, pronte ad accogliere avventori infreddoliti in un dolce tepore. Ma la loro presenza dentro quella caverna era surreale.

Il ragazzo le fece un gesto come per invitarla a sedersi, e Katerina obbedì con riluttanza. Fino a che non avesse trovato una scappatoia era opportuno assecondarlo. Si lasciò sprofondare tra i cuscini, e con un grosso sforzo alzò il viso per fissarlo negli occhi.

Ora la stava guardando con un’aria che si poteva definire famelica.

“Ti chiederai qual è il senso di tutto questo,” cominciò Tom con un gesto vago della mano, dato che lei continuava a rimanere in silenzio.

“Sei davvero tu l’Erede di Serpeverde?”, gli chiese finalmente Katerina.

Il senso di oppressione che sentiva nel petto era insopportabile. Il solo fatto di stare lì seduta, quando invece avrebbe voluto scappare a miglia di distanza, era uno sforzo impossibile. Non aveva mai visto quell’espressione sul viso di Tom, non aveva mai udito una voce del genere uscire dalla sua bocca. Tutto quello le rendeva difficile respirare.

“Così sembra,” confermò lui. “Non ne ero sicuro prima di quest’anno, ma a quanto pare sono riuscito ad aprire la Camera. Da quanto tempo sapevi che ero io?”

“Non ne ho mai avuto la certezza,” rispose lei. La sua voce risuonò estranea alle sue orecchie. “Altrimenti ti avrei fermato molto tempo fa.”

Tom annuì, e appoggiò la testa su una mano con fare pensieroso.

“Certo, ma qualche dubbio lo avevi. Cosa mi ha tradito?”, le chiese, gli occhi scintillanti di curiosità. Era come se stessero facendo una delle loro solite conversazioni riguardo i compiti o le pozioni. Katerina scrollò le spalle con finta indifferenza.

“Era solo una sensazione, unita al tuo alquanto improvviso interesse per me.”

“Capisco. Ho semplicemente pensato che, conquistando il tuo cuore e la tua fiducia, sarei riuscito ad avvicinarmi a te e convincerti a rivelarmi i tuoi segreti. Di solito con le ragazze funziona, ma avrei dovuto immaginare che tu avresti avuto più di un motivo per fare attenzione. Ma non importa, quel che è stato è stato. Ora siamo qui e possiamo parlare.”

“E’ davvero necessario, Tom? Tutto questo,” fece lei indicando con un gesto la Camera dei Segreti. “Pietrificare la gente, gettare la scuola nel terrore. Hai ucciso delle persone, Tom. Pare che tu abbia ucciso persino me,” terminò, mentre la voce le si spezzava. Una parte di lei sperava ancora che fosse solo un gigantesco equivoco.
“Non mi sembra che la cosa ti abbia creato grossi problemi,” fece lui con un lieve sorriso che accentuò la crudeltà nel suo volto. “Ma per rispondere alla tua domanda, no, non era esattamente necessario.”

“E allora perché?”, chiese lei con una nota di disperazione nella voce.

“Perché no?”, ribatté lui appoggiandosi allo schienale della poltrona. “Avevo a disposizione questo enorme potere e sarebbe stato stupido da parte mia non approfittarne, e da vigliacchi. E ti assicuro che non sono un vigliacco. Ho il coraggio e le dedizione di fare le cose che vanno fatte.”

“Quali cose? Di cosa stai parlando?”, chiese stancamente Katerina.

“Migliorare la Comunità Magica, ad esempio,” rispose lui. La bocca che lei aveva trovato così seducente si aprì in un altro sorriso, un’espressione quasi ispirata. “Donare ai maghi la libertà e un posto nel mondo. Relegare i Babbani nelle fogne che si meritano. Siamo più potenti di loro, eppure siamo noi a doverci nascondere. Non ti sembra assurdo?”

“E’ per questo che hai iniziato ad attaccare i Mezzosangue e i Nati Babbani? Perché ti senti superiore?”

“Te l’ho detto, l’ho fatto perché potevo. Non ho niente contro di loro, a patto che decidano di rinnegare le loro origini e di unirsi al mio nuovo ordine. Ogni goccia di sangue magico deve essere valorizzata, dopotutto. Quella degli ultimi mesi è stata perlopiù una dimostrazione di forza; la vedo come una nota da inserire nel mio curriculum quando sarò pronto a rivelarmi al mondo. Ho sempre saputo di essere destinato a grandi cose, fin da quando all’orfanotrofio ho scoperto di possedere poteri che nessuno degli altri bambini aveva.”

Tom le aveva parlato in precedenza della sua vita all’orfanotrofio, ma lei non aveva mai sentito tanto astio nella sua voce. Si morse un labbro, cercando di mettere ordine tra i pensieri. Le sembrava incredibile dover sostenere quel tipo di conversazione, in quel luogo, in quel momento. Nuove considerazioni si facevano largo nella sua mente, perdendosi subito nella nebbia della confusione. Doveva restare concentrata. Doveva trovare un modo per uscire di lì.

“Può essere sensato che tu abbia un… un programma politico per la comunità magica, Tom, ma non otterrai nulla con la violenza. E’ un’idea folle.”

“Non si tratta di violenza, mia cara. Si tratta di essere più forti degli altri, per proteggere ciò che è nostro e le persone che ci sono care. E tu, come ti ho già detto in passato, sei certamente tra le persone che più mi sono care,” le disse con voce di seta. Scostò il busto per avvicinarsi a lei, come se gli premesse di farle capire come stavano le cose. “Non dire che non mi comprendi, Katerina. So bene cosa sei, ormai. La popolazione magica ti ucciderebbe senza pensarci due volte, se potesse mettere le mani su di te. Ti vedrebbe solo come un mostro; non ti capirebbero.” Scosse la testa, come sconfortato dalla pochezza degli altri maghi. “Ma io ti capisco, Katerina. So che sei ancora la ragazza onesta e intelligente che eri mesi fa. Ti sono stato vicino in tutti questi mesi perché volevo conoscerti meglio. Volevo trovare un modo per dimostrarti cosa potresti diventare, se solo lo volessi. Ma gli altri sono ciechi. La verità è che non si accorgono di che razza di meravigliosa creatura tu sia, e la loro incomprensione non ti consentirà mai di avere la libertà che meriti. La violenza che sembri disprezzare non è qualcosa che utilizziamo perché ci piace: è solo un mezzo necessario per aprire i loro occhi. Tu stessa, per la tua natura, sei costretta a usare la forza per nutrirti delle tue vittime. Non è né giusto, né sbagliato: è semplicemente necessario. Non ti piacerebbe vivere in un mondo in cui non dovrai essere costretta a nascondere quello che sei? Quel mondo diventerà una realtà, quando avremo finito di costruirlo. Se resterai con me, io ti terrò al sicuro.”

Katerina pensò improvvisamente di essere finita in un universo parallelo. Non poteva credere che il ragazzo che conosceva, così serio e diligente, il ragazzo che le aveva comprato lo zucchero filato a Hogsmeade e che ogni tanto le teneva la mano sotto il banco a lezione, le stesse davvero dicendo quelle parole, con quegli occhi da fanatico.

“Perché io? Perché starmi vicino per tutto questo tempo? Cosa vuoi da me?”, domandò rabbiosamente. Tom si accigliò, forse infastidito per non aver ottenuto col suo discorso gli effetti desiderati.

“Da te voglio una cosa ben precisa,” commentò. “Ma ci arriveremo. Perché prima non mi dici come sei diventata un vampiro?”

“Perché prima tu non mi dici quello che sai?”

Tom rise, di una risata vuota. Katerina rabbrividì, agitandosi sui cuscini.

“Sempre così poco fiduciosa. Va bene,” acconsentì. “Comincio scusandomi per il tuo piccolo incidente. Quando ho aperto la Camera dei Segreti volevo solo dare una dimostrazione, non uccidere davvero qualcuno, Mezzosangue o meno. A dir la verità non sono certo del tuo status di sangue, anche se da quanto mi risulta Farley è un cognome da Purosangue.”

“Non lo so nemmeno io,” ammise lei con riluttanza. “Sai che non so nulla di mia madre.”

Tom la guardò con una strana luce negli occhi.

“Siamo davvero simili,” disse, la sua voce morbida come una carezza. “Nemmeno io ho mai conosciuto i miei genitori, anche se mi hanno fatto il grande dono del sangue di Serpeverde.”

Katerina si agitò di nuovo sulla poltrona, a disagio.

“Cosa mi ha uccisa?”

“Perdonami, ma non credo che te lo dirò,” le rispose con un finto sorriso di scuse. “Preferisco che i segreti della Camera restino tali. Sappi solo che si tratta del famoso orrore contenuto qui dentro. La maggior parte delle volte si tratta di un potere che mi obbedisce ciecamente, ma possono sempre capitare incidenti. Immagina la mia sorpresa quando una sera mi ha detto di aver aggredito e ucciso una ragazza. E’ stata colpa mia, ovviamente. Non avrei dovuto lasciarlo libero dopo mille anni di prigionia.”

“Te l’ha detto?”, fece lei, incredula. Che genere di maleficio era mai quello?

“Oh, sì, può parlare. E’ piuttosto chiacchierone, a dire la verità. Mi racconta spesso di quello che gli piacerebbe uccidere o mutilare,” commentò lui, lanciando un’occhiata verso la grande statua in fondo alla sala.

“Il giorno successivo alla notizia, mi aspettavo di trovarmi in una Hogwarts sconvolta dal caos e dalla paura, un po’ come è effettivamente successo dopo la morte di Mirtilla,” continuò. “E invece nulla. Nessun cadavere smembrato a macchiare la reputazione della scuola. Nessuno era morto, almeno in apparenza.”

Le fece un sorriso ironico.

“Come hai scoperto che si trattava di me?” gli chiese lei, tormentandosi le mani.

“Per qualche giorno sono rimasto molto perplesso. Ero tentato di dubitare delle parole del mio servo, ma perché mai avrebbe dovuto mentire su una cosa del genere? Perciò gli ho ordinato di indagare, di ritrovare la sua vittima e di portarmela. L’ho lasciato libero più spesso, intimandogli di non aggredire nessuno per non attirare ancora più attenzione del dovuto. Lui dispone di sensi molto sviluppati. Pensa un po’, ti ha riconosciuta dall’odore,” le spiegò con un sorrisetto. “Nel giro di tre o quattro giorni ti ha trovata e ti ha indicata a me. Gli ho ordinato di non fare altro. A me sembravi decisamente viva, ma il mio servo mi ha assicurato che il tuo cuore non batteva più. L’ho trovato davvero curioso. Capisci, non avresti dovuto essere sopravvissuta, e io volevo sapere come ci eri riuscita. Allora ho iniziato a tenerti d’occhio per capire cos’eri. E’ stato molto semplice. Stavi sempre da sola a studiare, isolata dagli altri, ogni giorno più pallida. Poi, un giorno, mi sono accorto che stavi leggendo libri sui vampiri, ed è stato tutto più chiaro. Si è trattata di una mossa davvero poco prudente da parte tua.”

“Lo so,” fece Katerina con aria depressa. Negli ultimi mesi ne aveva davvero fatte troppe, di cose poco prudenti. Lui rise.

“I vampiri mi hanno sempre affascinato in modo particolare. Siete potenti creature Oscure, inarrestabili e immortali,” le disse. “Avevi la mia completa attenzione. Dopo averli studiati con tanto interesse, mi sembrava una fortuna incredibile averne uno a disposizione a Hogwarts. E poi, sempre grazie all’aiuto del mio servo, ho addirittura scoperto che i vampiri erano due.” Scosse la testa divertito.

Katerina si sentì mancare il fiato. No, pensò. Ti prego, no.

“Avvicinarmi a Louis Henry, però, mi sembrava troppo difficoltoso. Lo conosco da anni e so che non si sarebbe lasciato ingannare tanto facilmente. Ritenevo che con te valesse la pena fare un tentativo.”

Sentendolo nominare Louis, Katerina aveva chiuso gli occhi e cercato di calmarsi. Quando li riaprì, disse:

“Quindi hai deciso di avvicinarti a me. Hai cominciato a sederti di fianco a me durante le lezioni, hai attaccato bottone con una scusa, mi hai fatto credere di essere un amico. Mi hai invitata a Hogsmeade.”

Tom annuì.

“Già. Come ti ho detto, credevo che fosse un modo come un altro per conquistare la tua fiducia. Inoltre non ti conoscevo bene, e non sapevo cosa aspettarmi né da te, né dal tuo lato di vampiro. Non potevo semplicemente aggredirti e costringerti a dirmi tutto: i rischi che le cose andassero male erano troppo elevati. Dovevo prima scoprire le tue debolezze. Mi sono reso conto che non ti conoscevo affatto: per cinque anni abbiamo condiviso alcune lezioni, ma non ci siamo quasi mai parlati. Se devo essere sincero, ti ho sempre trovata piuttosto insignificante; una ragazza silenziosa, poco carismatica, che sta per conto suo e non attira l’attenzione. Pensavo che saresti stata facilmente malleabile, pronta a rivelarmi ogni tuo segreto alla prima sollecitazione. Quel giorno a Hogsmeade ero convinto di essere nella strada giusta. Invece non hai mai parlato di te stessa, non mi hai mai confidato i tuoi pensieri, ti sei sempre comportata come una qualunque ragazzina con una cotta. Non ti sei mai davvero fidata di me. Tutto il tempo in cui siamo stati insieme non è servito affatto a conoscerti meglio. Ti ho sottovalutata. Ma ora non ha importanza, come ti ho detto; valeva la pena fare un tentativo. Se non altro, il lavoro si è rivelato piacevole,” terminò Tom, un guizzo irriverente negli occhi. Katerina ricordò le sue mani accarezzarle i capelli, il calore delle sue braccia sulla schiena, le sue labbra muoversi sulle sue con passione. Dovette faticare per contenere la nausea.

“Non sapevo che ti sentissi così riguardo alla nostra relazione, Tom,” fece lei, sforzandosi di usare un tono sarcastico. “Forse ci sarebbe servita della terapia di coppia.”

Lui rise in modo crudele, forse divertito dalla battuta, o forse perché sapeva benissimo quanto lei stesse solo cercando di dissimulare l’umiliazione e il disgusto per essere stata usata.

“E cosa mi dici dell’esplosione di qualche tempo fa? Cosa doveva significare?”, chiese improvvisamente Katerina.

“Nulla di particolare,” le rispose con un guizzo malefico negli occhi. “Ero annoiato e arrabbiato perché non cedevi di un millimetro, perciò ho deciso di spaventare te ed Henry. Ho lanciato una Maledizione Imperio sulla Hopkins…”

“Cosa?”, lo interruppe strabuzzando gli occhi. “Flora ha causato l’esplosione?”

Tom alzò un sopracciglio, compiaciuto.

“Proprio così, brava. Le ho dato la verbena e le ho ordinato di fare il possibile per restare da sola con te e il suo fidanzato. Al momento opportuno, avrebbe dovuto fare un po’ di confusione e lanciare una maledizione a un passante innocente in modo che quello grondasse sangue ai vostri piedi. Volevo vedere quanto sareste stati capaci di resistere alla tentazione. Era un piccolo esperimento.”

Katerina era sbalordita. Flora non aveva alcuna colpa, ma non riusciva a credere di non aver pensato che la ragazza potesse essere stata coinvolta in qualche modo.

“E la verbena?”, sussurrò. “Come facevi a sapere della verbena?”

“Un altro dei miei esperimenti,” rispose lui alzando le spalle. “Volevo sapere se esistevano sostanze in grado di ostacolare i vostri poteri, come la strozzalupo per i lupi mannari. I vari libri che ho letto suggerivano parecchie idee diverse, prima tra tutte ovviamente l’aglio, e tra queste c’era anche la verbena. Ho iniziato a scartare le sostanze inefficaci provandole su di te. Quel giorno a Pozioni in cui credevi di esserti bruciata la mano toccando il calderone, era stata la verbena,” terminò soddisfatto.

Katerina si nascose gli occhi con una mano. Non c’erano giustificazioni; avrebbe dovuto accorgersene.

“L’ho data alla Hopkins solo per farvi capire che qualcuno era a conoscenza del vostro piccolo segreto. Avevo voglia di giocare un po’ con voi. Mi sarebbe tanto piaciuto vedere le vostre facce quando ve ne siete resi conto. Volevo anche vedere come avreste reagito nei confronti della ragazza, se l’avreste uccisa oppure no. Lo ammetto, sono rimasto un po’ deluso quando ho capito che avevate deciso di fidarvi di lei, ma suppongo siate riusciti a fare in modo che non parlasse.”

“Quindi è per questo che sono qui? Perché ti sei stancato di aspettare, di farmi inutilmente la corte?”

“Lo sai, Katerina, la scuola sta per essere chiusa. Forse l’anno prossimo non riaprirà nemmeno. Non potevo davvero permettermi il lusso di attendere che tu un giorno decidessi di fidarti di me. E io ho bisogno di risposte.”

Si chinò in avanti e la fissò negli occhi. L’aria era carica di aspettativa.

“Come hai visto so già molte cose, ma ci sono due aspetti che mi interessano particolarmente: il modo in cui sei diventata un vampiro e la tua immortalità. Comincia pure a spiegare.”

“Non vedo perché dovrei,” ribatté lei. Tom sospirò.

“Dovresti, perché se non lo fai di tua spontanea volontà ti costringerò con la forza. Inoltre non vuoi davvero farmi arrabbiare, Katerina. Potrei fare cose di cui io stesso poi mi pentirei.”

Tirò fuori dalla tasca il paletto di legno con cui prima l’aveva colpita e se lo rigirò tra le mani.

“Dubito che te ne pentiresti. Da come parlavi poco fa, non sembri molto affezionato a me,” disse lei seccamente, tenendo lo sguardo fisso sull’arma. Tom sgranò gli occhi. Allungò un braccio come se volesse afferrarle una mano, ma sembrò ripensarci.

“Ti sbagli, invece. Sarei assolutamente devastato dalla tua perdita. E’ vero, all’inizio ero solo interessato al potere che potevi offrirmi, ma nelle ultime settimane sei diventata qualcosa di più. Sei la mia ragazza, dopotutto; ti ho avuto vicina come mai nessuno. Non concedo facilmente il mio affetto, ma sento che tu saresti una delle poche persone degne a riceverlo; forse l’unica. Non ti offrirei un posto al mio fianco nel nuovo ordine mondiale, se così non fosse,” disse con tono suadente.

Per un attimo, a Katerina parve di intravedere nei suoi occhi magnetici il ragazzo che aveva conquistato i suoi sentimenti. Ma quel ragazzo non era mai esistito, dovette ricordarsi. E i suoi sentimenti non erano stati guadagnati onestamente, ma rubati con l’inganno.

“In effetti, immagino che nel tuo nuovo ordine mondiale sarebbe molto utile disporre di qualcuno pronto a creare un esercito di vampiri su tua richiesta,” commentò lei, infondendo quanto più gelo possibile nella voce.

Tom fece una smorfia come se non potesse credere a tutta quella sfiducia nei suoi confronti, ma poi sorrise.

“Quindi, in base a quello che hai appena detto, i nuovi vampiri sono generati da altri vampiri. Buono a sapersi, anche se lo sospettavo già. Come funziona questo passaggio, precisamente?”

Katerina si morse il labbro, ma non disse altro.

Dopo aver atteso qualche secondo, Tom sospirò di nuovo e alzò la bacchetta.

Crucio.”

Katerina urlò. Mille aghi di legno le trafiggevano ogni millimetro del corpo, cercando di farla a brandelli. Aveva pensato che il paletto nello stomaco fosse la cosa più dolorosa che potesse accaderle, ma non era nulla in confronto a questo. Era dieci, cento, mille volte peggio. La tortura parve andare avanti all’infinito, mentre la sua mente si perdeva nel dolore.

Di colpo, tutto cessò. Sentendo il pavimento freddo sotto di sé, capì di essere scivolata a terra.

“Non farmelo rifare.” La voce annoiata di Tom proveniva da un punto imprecisato. “Come si crea un vampiro? E dimmi la verità. Me ne accorgerò se mentirai.”
Katerina cercò di riprendere fiato. Vide il ragazzo alzare di nuovo la bacchetta.

“Bisogna morire con sangue di vampiro in circolo,” rispose velocemente. La bacchetta ritornò giù.

“Sembra semplice. Mi permetto di fare qualche deduzione: tu lo sei diventata perché per qualche ragione, quando il mio servo ti ha uccisa, avevi il sangue di Henry in circolo?”

Lei annuì e si tirò faticosamente a sedere sulla poltrona, gettandogli uno sguardo di puro astio.

“Per quale motivo avevi il suo sangue?”

“Mi aveva attaccata per nutrirsi e mi aveva dato il suo sangue per guarirmi le ferite,” disse lei.

“Interessante. Va bene, per ora può bastare. Adesso, se ti garba, passiamo al discorso immortalità.”

Il ragazzo si prese il mento tra le dita. Tutto, nel suo atteggiamento, irradiava massima concentrazione.

“Cosa vuoi sapere? Sono un vampiro da poco tempo, non ho esattamente avuto modo di scoprire cosa può uccidermi e cosa no. Anche se il discorso Avada Kedavra l’abbiamo già chiarito,” dichiarò lei sprezzante.

“Ma certo,” le sorrise. “Abbiamo già visto che l’Avada Kedavra non ti uccide, e questo è davvero degno di nota. Si dice anche che i vampiri non invecchino e non muoiano di vecchiaia, o per malattia,” continuò con aria inquisitoria.

“Per quanto ne so io, è vero. Ma non posso esserne certa,” disse lei con cautela. “Perché ti interessa tanto? Vuoi diventare un vampiro anche tu?”

Dal modo terribile in cui le sorrise, Katerina capì di esserci andata molto vicina. Sussultò, mentre nella sua mente nasceva vivida l’immagine di un bellissimo ragazzo, dai capelli neri come l’inchiostro e gli occhi blu profondi come il mare, con una carnagione più pallida del più pallido essere vivente e lunghi denti aguzzi che facevano capolino dalla bocca sensuale. L’idea di un Tom Riddle vampiro era al contempo troppo affascinante e troppo spaventosa per essere vera. Poi ricordò i suoi discorsi sul potere e sulla violenza, e sul costruire un mondo nuovo. Ricordò l’astio che traspariva dalle sue parole mentre parlava di Babbani. Tutto quel potere nelle mani di una creatura così intrisa di odio? Regalare immortalità, forza e potenza sovraumani a chi voleva la distruzione del prossimo? Al ragazzo che aveva voluto a tutti i costi il suo cuore per strapparlo in mille pezzettini piccoli come coriandoli?

No, si disse. Non finché lei sarebbe vissuta.

Tom Evocò dal nulla un bicchiere e glielo porse.

“Versaci il tuo sangue,” le ordinò. Katerina esitò, guardando prima il bicchiere e poi lui.

“Perché?”

Il ragazzo alzò il paletto di legno con fare minaccioso.

“Fallo e basta, altrimenti lo farò io al posto tuo,” disse spazientito.

Senza smettere di fissarlo, Katerina alzò lentamente il polso e lo portò davanti alla bocca. Sentì i suoi denti allungarsi e con decisione morse la sua stessa pelle. Dal braccio, il sangue cominciò a gocciolare copiosamente nel bicchiere, che si riempì fino a metà prima che la ferita fosse guarita.

Tom stava osservando il suo polso, liscio come lo era stato pochi secondi prima.

“Straordinario,” sussurrò.

Katerina, guardandolo con odio, gli restituì il bicchiere in malo modo.

“Ecco qui. Avanti, bevilo,” gli disse in tono di sfida. Incrociò le braccia, mentre quelle parole sarcastiche lo facevano visibilmente esitare. Con finta noncuranza, Tom versò il sangue in un’ampolla, la richiuse e poi la guardò di nuovo.

“Cos’è che non so?”, le chiese. Il suo tono era tranquillo, ma Katerina poteva vedere una minacciosa ombra scura dietro i suoi occhi.

“Non è niente,” fece lei alzando un sopracciglio. “Nulla di cui tu ti debba preoccupare.”

Di colpo, il volto di Tom fu deturpato da una smorfia di rabbia.

Crucio!

Stavolta lei era pronta, e sfruttò la sua velocità vampiresca per spostarsi. Quando il lampo di luce rossa colpì la poltrona, lei non era più lì: era di fianco a Tom, pronta per spezzargli il collo.

Non appena il suo dito sfiorò la pelle del ragazzo, venne catapultata a quattro metri di distanza da una forza invisibile. L’impatto col pavimento le spezzò il respiro e la lasciò inerte.

Tom assunse un’aria scioccata, ma dopo qualche secondo la sostituì con una risata di scherno. Gli aveva fatto paura, però: pur essendo distante e stesa a terra, lei sentiva il suo cuore battere più forte di prima, con un rimbombo cupo che pareva provenire da tutte le pareti della stanza.

Era una magra consolazione, ma in qualche modo il suo spirito di vendetta si sentiva un po’ più soddisfatto.

Nel giro di qualche secondo se lo ritrovò sopra. Il ragazzo posò i piedi sul pavimento vicino ai fianchi di lei, e poi piegò le gambe in modo da avvicinare il viso a poca distanza dal suo. Una mano teneva ancora il paletto di legno bene in vista, ma con l’altra le scostò qualche ciocca di capelli spettinati dal volto - una carezza che contrastava con la minaccia contenuta nell’altra mano come il giorno contrastava con la notte.

Katerina sussultò e chiuse gli occhi, aspettando si sentire di nuovo la stessa reazione violenta di quando l’aveva toccato poco prima. Ma non accadde nulla, e lei aprì gli occhi, ritrovandosi di nuovo a fissare quelli di lui da più vicino di quanto si credesse in grado di sopportare. Era troppo. Lei era così esausta, così dolorante, mentre lui sembrava inarrestabile. Lei non poteva toccarlo; lui invece poteva ucciderla senza alcuno sforzo, e ora la sua mano calda era scesa a sfiorarle le labbra, e poi il mento, e il collo, e poi di nuovo le labbra. Aveva un’espressione indecifrabile sul viso.

“Te lo richiedo,” disse piano. “Cosa c’è che non so?”

Katerina avrebbe voluto mostrargli un sorriso malevolo, ma più di tutto avrebbe voluto che quelle dita ingannatrici smettessero di accarezzarle in quel modo il viso.

“Perderai i poteri,” sussurrò lei. “Se bevi quel sangue e ti trasformi in vampiro, perderai i tuoi poteri magici.”

Nel giro di un attimo, la situazione era cambiata. La sua espressione non era più indecifrabile, ma rivelava sorpresa e rabbia, oltre a confusione. Il ragazzo si spostò di lato.

“Cosa? Bugiarda!”

Tom alzò il paletto di legno, forse per colpirla, ma lei era già scivolata via.

“Non è una bugia,” lo canzonò, spuntando un paio di metri dietro le sue spalle. “E’ ciò che succederà a me, a Louis e a tutti gli altri vampiri, te compreso, se vorrai diventarlo. La verità è che la magia è una forza legata alla vita e all’energia di un individuo. La si può imporre su un oggetto, ma prima o poi si affievolirà fino a svanire nel nulla. Allo stesso modo, non può restare in un corpo morto; sarebbe contro natura. E’ un processo lento, incontrollabile, ma inevitabile. Prima o poi, un vampiro perde ogni suo potere.”

Tom la fissò con disprezzo.

“Il mio potere è troppo grande per dissiparsi come fumo,” fece lui, ma lei colse una sfumatura di dubbio nella sua voce, e agitò una mano per schernirlo.

“Se ne sei convinto.”

Il ragazzo continuò a fissarla con rabbia, come se stesse aspettando una ritrattazione, ma poi abbassò il paletto.

“Questa è davvero una circostanza sfortunata,” disse alla fine, mentre rughe pensierose gli solcavano la fronte. Le lo guardò, scuotendo lentamente la testa.

“Quindi era questo quello che volevi fin dall’inizio. Tutta la messinscena di avvicinarti a me e scoprire i segreti dei vampiri… era perché vuoi renderti immortale?”

Tom sospirò. Con eleganza, si portò alle spalle della poltrona su cui era seduto prima, e si appoggiò con le braccia allo schienale, come se il peso di quella rivelazione fosse troppo pesante da sopportare.

“Si può dire così, sì. E’ stato un chiodo fisso per anni. Non trovi che sia assurdo sapere di essere destinati a grandi cose, ma anche di dover morire un giorno? E’ uno spreco, una cosa ridicola. Non posso accettarlo. Diventare un vampiro mi sembrava un compromesso accettabile, anche se è buffo che per farlo si debba morire, che è esattamente ciò che voglio evitare. Ma mettere in pericolo la mia magia non è assolutamente proponibile. Dovrò cercare un’altra soluzione,” disse malvolentieri. La fissò, i lineamenti congelati in una smorfia di irritazione.

“Mi dispiace di essere stata un fallimento per te,” fece lei freddamente. “Siamo in un vicolo cieco, dunque; per tutti questi mesi, hai solo sprecato il tuo tempo. Ora quale sarà la tua prossima mossa? Eliminarmi?”

La bocca di Tom si piegò in un altro sorriso divertito, e lui scosse la testa come per rimproverarla di aver fatto una domanda sciocca.

“La mia offerta era seria, Katerina. Tutto ciò che ti ho detto è vero. Non ti senti anche tu sollevata da un peso enorme, ora che entrambi abbiamo rivelato i nostri più profondi segreti? Finalmente siamo stati sinceri l’uno con l’altra. Abbiamo gettato le basi per creare un rapporto vero e onesto, basato sulla fiducia. Fidati di me. Posso tenerti al sicuro, puoi restare al mio fianco e mettere i tuoi poteri al tuo servizio. Non dovrai mai più preoccuparti di nulla, perché penserò a tutto io. So che ora sei arrabbiata con me, ma sforzati solo per un momento di intravedere il futuro che sto immaginando io. E’ un futuro grandioso, e lo costruiremo io e te, insieme.”

Tom sembrò sottolineare l’ultima parola, i suoi occhi che si tingevano di sfumature di speranza. Falso, pensò lei. E bugiardo.

“Continuo a pensare che più che a me, tu sia interessato al vampiro che è in me,” replicò lei. Incrociò le braccia, mentre Tom non si scompose di un millimetro.

“E’ te che voglio, Katerina. Se così non fosse, mi cercherei un vampiro qualsiasi. Che ne dici? Forse potrei chiedere a Louis Henry.”

Ora il sorriso di Tom si era allargato, ma era un’espressione tutt’altro che piacevole. Katerina inclinò la testa, mentre una fitta gelata le colpiva il cuore.

“Non ti azzardare, Tom. Louis non ti può aiutare,” gli disse, sforzandosi di parlare con calma. Dentro di sé ribolliva di rabbia e paura.

Tom batté lievemente le mani, come rammaricato.

“Troppo tardi,” fece lui con noncuranza.

Katerina sentì il suo respiro incepparsi di nuovo e la sua bocca aprirsi nel tentativo di assumere più aria. Davanti ai suoi occhi balenò, per un momento, l’immagine di Louis come l’aveva visto la prima volta: misterioso, sconosciuto, con lampi di ira e ironia negli occhi. Quella scena si trasformò subito nell’attimo in cui si erano salutati la sera precedente, quando, nel corridoio buio, si era avvicinato a lei e l’aveva pregata di fare attenzione. Al suono della risata vuota di Tom, Katerina si riscosse.

“Sai, la tua espressione disperata rivela molte cose. Avevo sospettato che tra di voi ci fosse qualcosa, dopo che quel ficcanaso ha improvvisato un interrogatorio durante la ronda dei Prefetti. Ma non ha importanza. Per tua fortuna, non sono un tipo geloso.”

Mentre diceva quelle parole, però, il viso di Tom si contorse in un’espressione di odio e rabbia che lo rese quasi repellente, e molto più spaventoso di quanto fosse mai stato. La sua maschera era resistente, ma non così tanto da nascondere la verità celata dietro quelle parole e il baratro nero nascosto dietro quegli occhi.

Katerina fece un passo indietro, spaventata, e subito si ammonì per aver mostrato ancora una volta la sua paura.

“Non so di che rapporto parli, Tom,” si ritrovò a dire con voce sottile, e di nuovo si odiò per essersi sentita costretta a giustificarsi davanti a chi l’aveva tradita, ferita e umiliata.

“Non c’è bisogno di mentire,” esclamò lui, con tono di colpo più sereno. “Te l’ho detto, non ha importanza. Non più, almeno.”

“Cos’è successo a Louis?”, sussurrò lei, pensando che Tom si sarebbe arrabbiato per la sua insistenza. Il ragazzo invece le sorrise, e lei si rese conto che lui aveva atteso con ansia di sentirsi porre quella domanda.

“Lo saprai presto,” rispose, sibillino. “Prima vorrei che mi togliessi una curiosità. Tutte le fonti sono concordi nel dire che i vampiri non possono camminare sotto la luce del sole, ma tu ed Henry non avete mai avuto problemi. Come mai?”

Katerina rifletté velocemente, spiazzata da quell’inaspettato cambio di argomento. Sembrava quasi che, di lì a poco, Tom si sarebbe messo a gongolare.

“Perché non è vero. E’ solamente una leggenda,” gli rispose alla fine. Sapeva che non era prudente mentire, ma l’espressione del ragazzo le faceva provare una forte sensazione di pericolo.

“Ma davvero?” chiese lui con sarcasmo, e il suo sorriso si allargò. “Quindi, se io adesso cercassi dei talismani incantati per difendere dalla luce, su di te non troverei nulla?”

Lei si accorse di aver fatto un passo falso, ma mantenne un’aria impassibile.

“Esatto.”

Tom liberò una risata di gola, un suono alto e sgradevole.

“Sei una pessima bugiarda, mia cara.”

Mentre parlava, estrasse dalla tasca un oggetto di piccole dimensioni e glielo buttò ai piedi. Lo sguardo di Katerina seguì tutta la traiettoria dell’oggetto, ma fu solo quando quello ricadde a terra con un rumore appena percepibile dal suo udito affinato che si rese conto di cosa si trattava. Il cuore le balzò in gola, mentre ogni sospetto che le era passato per la mente prendeva di nuovo vita. All’improvviso sentì di nuovo un freddo intenso avvolgerle la pelle e annebbiarle il cervello.

A terra, ai suoi piedi, si trovava immobile il braccialetto runico di Louis, la sua unica protezione contro la luce solare.

Il monile brillava sotto la luce riflessa delle torce. Incapace di distogliere lo sguardo, Katerina vide che era spezzato. Facendosi forza per alzare il capo, incrociò lo sguardo crudele di Tom.

“Cosa gli hai fatto?”, chiese piano.

“Nulla, per ora,” rispose l’altro. Ora non riusciva più a contenere l’espressione di gioia ingorda sul viso. “Beh, quasi. L’ho Schiantato nei Sotterranei e l’ho portato in un posto più tranquillo. Credo non si sia nemmeno accorto di chi sia stato ad aggredirlo. Ma è vivo, se è questo che ti preoccupa.”

“Perché l’hai fatto?”, gli chiese, stringendo le mani a pugno. Percepì un lieve pizzicore quando le sue unghie scavarono la pelle, ma lo ignorò.

“L’ho fatto unicamente per Hogwarts, mia cara. Henry è la chiave, la soluzione a tutti i nostri problemi. Sei stata tu stessa a dirlo: se non verrà trovato un colpevole, la scuola sarà chiusa, e ammetto che la cosa mi dispiacerebbe molto.”

Lei scosse la testa, incredula.

“E’ assurdo. Nessuno ti crederà, Tom,” lo contraddisse. “Un vampiro non potrebbe in nessun modo aver pietrificato tutte quelle persone. La storia non sta in piedi.”

Lui si lasciò sfuggire una risatina acuta.

“Per Merlino, sei così ingenua. Pensi davvero che al Preside importerà un dettaglio del genere? L’unica cosa che può tenere aperta la scuola è catturare qualcuno, Katerina. Chiunque. Avevo in mente di dare la colpa a uno stupido Grifondoro che ho sorpreso in compagnia di una bestia piuttosto spaventosa, ma un vampiro farà decisamente più colpo presso il Consiglio dei Governatori. Soprattutto se, dopo la sua cattura, tutti gli attacchi finiranno per sempre.”

“Lo uccideranno!”, esclamò lei, dimenticandosi di nascondere la disperazione. “Louis sa che sei stato tu. Io lo so. Lo diremo a tutti, non riuscirai a cavartela.”

“Henry non lo sa,” la contraddisse lui, rigirandosi la bacchetta tra le dita. “Certamente sospetta di me, ma non mi ha visto aggredirlo, e non ha prove. Quanto a te,” qui fece una pausa, la sua bocca piegata in una piega di rammarico. “Mi duole davvero che tu non voglia unirti a me, ma sono una persona ottimista. Confido che una notte qui dentro ti farà cambiare idea, soprattutto visto che quando uscirai sarà già troppo tardi per salvare il tuo amico. Se ti dimostrerai troppo testarda, beh, potrò almeno dire di averci provato. E alla fine il Preside scoprirà che dopotutto i mostri erano due.”

Katerina rimase come congelata.

“Cosa significa che quando uscirò sarà troppo tardi?”

“Tutte queste domande stanno cominciando a diventare irritanti,” osservò Tom dopo un sospiro spazientito. “E’ molto semplice, puoi arrivarci persino tu. Significa che all’alba andrò dal Preside dicendogli di aver catturato l’Erede di Serpeverde. Vedi, Louis Henry mi ha improvvisamente attaccato nella nostra Sala Comune, ma dopo una dura lotta ho avuto la meglio e sono riuscito a metterlo fuori gioco. Per evitare di mettere a rischio la sicurezza degli altri studenti, l’ho trasportato in un luogo isolato, in una zona buia. Chiederò a Dippet di seguirmi e lo porterò dove si trova Henry. Non credo sarà troppo difficile provocare Henry. A quel punto, appena verrà colpito dalla luce del sole, il Preside ed io assisteremo sbigottiti alla sua morte. Una fine davvero tragica, ma l’aspetto positivo è che Hogwarts sarà salva. Dippet mi conferirà un premio o un’onorificenza e mi pregherà di tenere per me tutta la storia, ma a quel punto sarà tutto finito.”

Incrociò le braccia con aria soddisfatta ed esaminò a fondo il viso di lei.

“Mi dispiace solo di non aver seguito il piano alla lettera. La mia intenzione era mettere fuori gioco entrambi, portare te al sicuro per fare quattro chiacchiere, e subito dopo liberarmi di Henry una volta per tutte. Ma tu hai impiegato una quantità di tempo davvero imbarazzante per risvegliarti dall’Avada Kedavra; se devo essere onesto, cominciavo a pensare di aver tirato troppo la corda e di averti uccisa sul serio. Ormai è ora di cena e fuori sarà buio, quindi sono costretto ad attendere le prime luci dell’alba,” sospirò. “Beh, non può sempre filare tutto liscio come l’olio.”

Fu solo un attimo. Con un movimento della bacchetta le lanciò contro una scia di luce rossa, e Katerina stavolta non riuscì ad evitarlo. Sentì i suoi muscoli irrigidirsi fino a immobilizzarsi del tutto, mentre Tom si avvicinava a lei con passo tranquillo.

“Aspetta qui, mia cara. Domani mattina verrò a prenderti e rivaluteremo la tua posizione.”

Lei avrebbe voluto gridargli che se ne sarebbe pentito, che gliel’avrebbe fatta pagare; avrebbe desiderato sputargli in faccia, rovinargli per sempre quell’espressione compiaciuta. Ma non poteva muoversi. Tom, tuttavia, sospirò con aria seccata, come se avesse intuito quello che le passava per la mente.

“Devi davvero migliorare il tuo atteggiamento nei miei confronti, Katerina.”

Lo vide impugnare il paletto di legno, e solo l’incantesimo immobilizzante le impedì di tremare. Il ragazzo si mise a girarle intorno, con fare pensieroso.

“Questo è per ricordarti chi è più forte tra noi due,” disse con deliberata lentezza, e con violenza le infilzò il legno nella schiena, all’altezza dei reni. La magia soffocò il suo grido.

“Questo invece è per insegnarti ad avere più rispetto nei miei confronti.”

Il paletto infilato nella schiena sembrò scaldarsi per un attimo, e la metà rimasta all’esterno si spezzò, mentre l’altra rimaneva incastrata nella sua schiena. Tom le fece passare sotto gli occhi il moncone di legno, e le graffiò il viso con la punta aguzza. Poi, con uno scatto, lo infilò a forza nella sua spalla. Il grido che era costretta a contenere sembrò riversarsi nel suo cervello annebbiato di dolore.

Improvvisamente l’incantesimo immobilizzante che la sosteneva cessò, e lei cadde per terra gemendo. In mezzo a confusi lampi rossi di dolore, vide l’altro allontanarsi e dirigersi verso una zona di muro compresa tra due torce. Lo udì dire qualcosa, e un passaggio aprirsi. Nel giro di pochi istanti, Tom se n’era andato, abbandonandola nella Camera.





 
Note dell'Autrice: ed eccoci qua, dopo, uhm, un po' di tempo dall'ultimo capitolo ^^" chiedo scusa per il ritardo. Spero che almeno le spiegazioni di Tom abbiano gettato un po' di luce sulla vicenda.
Grazie per aver letto fino a qui, e alla prossima!

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Capitolo 13
*** La tempesta ***



xii - la tempesta.






Dal capitolo precedente:

“Mi dispiace solo di non aver seguito il piano alla lettera. La mia intenzione era mettere fuori gioco entrambi, portare te al sicuro per fare quattro chiacchiere, e subito dopo liberarmi di Henry una volta per tutte. Ma tu hai impiegato una quantità di tempo davvero imbarazzante per risvegliarti dall’Avada Kedavra; se devo essere onesto, cominciavo a pensare di aver tirato troppo la corda e di averti uccisa sul serio. Ormai è ora di cena e fuori sarà buio, quindi sono costretto ad attendere le prime luci dell’alba,” sospirò. “Beh, non può sempre filare tutto liscio come l’olio.”

[...]

Il paletto infilato nella schiena sembrò scaldarsi per un attimo, e la metà rimasta all’esterno si spezzò, mentre l’altra rimaneva incastrata nella sua schiena. Tom le fece passare sotto gli occhi il moncone di legno, e le graffiò il viso con la punta aguzza. Poi, con uno scatto, lo infilò a forza nella sua spalla. Il grido che era costretta a contenere sembrò riversarsi nel suo cervello annebbiato di dolore.

Improvvisamente l’incantesimo immobilizzante che la sosteneva cessò, e lei cadde per terra gemendo. In mezzo a confusi lampi rossi di dolore, vide l’altro allontanarsi e dirigersi verso una zona di muro compresa tra due torce. Lo udì dire qualcosa, e un passaggio aprirsi. Nel giro di pochi istanti, Tom se n’era andato, abbandonandola nella Camera.

 
* * *

Dopo un tempo che le sembrò eterno, Katerina riuscì faticosamente a stendersi a pancia in giù sul pavimento sporco della Camera dei Segreti, stringendo i denti per non urlare dal dolore intenso che le provocavano i pezzi di legno incastrati nella schiena.

Girò la testa in modo da appoggiare una guancia sulla fredda pietra e chiuse gli occhi. Aveva voglia di gridare e di rompere qualcosa, ma, soprattutto, aveva voglia di piangere. Sentiva quasi sollievo all’idea di rimanere lì per sempre, immobile in quell’umida oscurità, senza dover affrontare la vergogna di ciò che aveva causato.

Non poteva credere di essere stata così stupida. Il suo istinto le aveva fatto sospettare che Tom fosse implicato in tutta quella storia, ma lei aveva scioccamente deciso di seguire la logica e aspettare di scoprire prove concrete che lo inchiodassero, come se non avesse avuto altri mezzi a disposizione per farsi dire la verità. Era stata superficiale, e ingenua. Lei era un vampiro, per l’amor del cielo: perché aveva atteso tanto prima di provare a soggiogarlo? E non c’era nemmeno riuscita, pensò amaramente. Quel giorno aveva deciso di aggredirlo, ma l’aveva fatto prima lui. Che bella coppia che erano stati.

Era stata troppo cauta. Il potere di controllare la mente che le era stato donato con la trasformazione in vampiro l’aveva sempre messa a disagio: lo trovava un modo disonesto per approfittare delle vite degli altri. In quei mesi l’aveva usato solo per farsi dimenticare dalle sue vittime, non l’aveva mai esercitato sulle persone che le stavano attorno. Soprattutto non su Tom, visto che si sentiva già in colpa per la sua freddezza nei suoi confronti.

Che ingenua. I suoi sospetti erano giusti, e se si fosse mossa prima non si sarebbe trovata in quel posto orrendo. Non avrebbe messo in pericolo la vita di tutti gli abitanti del castello, ragazzi innocenti che non meritavano di finire preda delle follie di uno psicopatico. Louis non avrebbe rischiato di morire.

Pensare a Louis rischiava di farle sfuggire le lacrime che stava cercando di trattenere. Solo pochi giorni prima le aveva proposto di scappare da quella scuola infernale, ricordò. Le aveva fatto capire che non se ne sarebbe andato senza di lei. Se solo lei gli avesse detto di sì…

Non sapeva quando esattamente avesse iniziato a provare quei sentimenti che sentiva per Louis. Erano nati delicatamente, come fili d’erba nel deserto, così inaspettati che lei quasi non se n’era accorta. Lo conosceva da poco, ma era stato la persona che le aveva sconvolto radicalmente la vita, il primo a cui si fosse sentita libera di dire tutto quello che le passava per la mente. Dopotutto lui era già a conoscenza della parte peggiore di lei, e non l’aveva rifiutata né tradita. Al contrario, l’aveva sempre aiutata, fin dall’inizio. In tutto quel tempo le aveva offerto talmente tanta protezione e amicizia che lei non riusciva a immaginare come avrebbe fatto a sopravvivere senza di lui.

Tom l’aveva uccisa, mentre Louis, seppure per sbaglio, l’aveva fatta tornare in vita come vampiro. Era in debito con lui, e Katerina decise che era giunta l’ora di ripagarlo. Louis aveva tutta l’eternità davanti a sé, e lei non avrebbe permesso a un adolescente megalomane di portargliela via.

Perciò strinse di nuovo i denti e allungò la mano dietro la schiena. Riusciva a toccare il primo paletto, ma era talmente affondato nella sua carne che non poteva afferrarlo. Ne sfiorò la superficie ruvida, sentendo le vesti inzuppate di sangue. Contorse il busto e andò faticosamente alla ricerca del secondo, quello incastrato nella sua spalla, riuscendo a circondarlo con la mano. Non aveva molta scelta: se voleva fare qualcosa doveva per prima cosa rimuovere quegli aggeggi infernali dal suo corpo, altrimenti non sarebbe nemmeno riuscita a stare in piedi.

Contò fino a tre e poi, con un verso a metà tra un urlo e un grugnito, estrasse il pezzo di legno. Si accasciò di nuovo a terra, tremante, e con un gesto secco lo lanciò lontano da sé.

Dopo un paio di respiri profondi ritornò all’unico paletto rimasto, quello spezzato. Rimuovere quello sarebbe stato decisamente problematico. Spostò l’altro braccio in modo che fosse direttamente sotto il suo viso, e poi con un gesto deciso infilò le dita dentro la ferita sulla schiena, cercando di afferrare il corpo estraneo incastrato nella carne.

Era un dolore terribile. Ci vollero un paio di tentativi, ma finalmente la sua mano fece presa sul legno scivoloso e riuscì a tirarlo via. Rialzò il viso e tremando lanciò via anche quel paletto. Il suo braccio portava i segni del morso sanguinolento che gli aveva dato per impedirsi di urlare, ma Katerina immaginava che la sua schiena fosse in condizioni ancora peggiori.
 
Rimase stesa per un tempo indefinito, cercando di riprendere fiato. Dopo qualche minuto sentì le ferite cominciare a rimarginarsi, ma capì che qualcosa che non andava. Toccò nuovamente le zone colpite e sentì alcuni oggettini appuntiti sotto le dita. Ne estrasse uno e lo guardò: era una scheggia di legno.

Imprecò. Fece il possibile per rimuovere il maggior numero possibile di pezzi, ma alcuni di essi erano troppo in profondità. Alla fine mosse con cautela il busto: il dolore c’era, ma non era insopportabile. Poteva farcela.

Barcollando si rimise in piedi, e valutò la situazione.
Era imprigionata nella Camera dei Segreti, e incrociando le dita i suoi orrori non avrebbero improvvisamente deciso di uscire e ucciderla di nuovo; era da sola, con molta fretta e senza sapere come uscire. Non aveva la minima idea di dove fosse finita la sua bacchetta. Aveva a disposizione la sua borsa di scuola, ma i libri che vi erano contenuti non l’avrebbero aiutata ad andarsene da lì. In ogni caso la raccolse: non aveva intenzione di lasciare nulla di suo in quel luogo, ad eccezione del sangue sul pavimento che Tom le aveva fatto versare. Avrebbe pagato anche per quello.

Katerina andò ad esaminare il muro attraverso il quale il ragazzo aveva abbandonato la sala, trovandolo liscio al tatto e privo di maniglie o fessure. L’unica effigie presente era quella di Salazar Serpeverde, un serpente con occhi di smeraldo. Provò a toccarlo, colpirlo, graffiarlo; non accadde nulla.

Magari c’era un’altra uscita; doveva esserci. Per qualche minuto si dedicò a ispezionare la sala, sobbalzando al minimo rumore dell’umidità che sgocciolava. Trovò un tunnel che sembrava fungere da vera e propria entrata principale della camera, ma alla fine di esso non c’era alcun passaggio. Ritornò dentro e studiò la grande statua in fondo. Tra i suoi piedi sembrava esserci un’apertura, ma Katerina sospettava che lì dietro fosse nascosto il servo che Tom aveva menzionato. Se tendeva le orecchie riusciva a distinguere dei lievi rumori. Meglio starne alla larga.

Perciò ritornò davanti al passaggio usato da Tom, sconfitta. Lo osservò meditabonda. Il ragazzo sembrava sicuro che non sarebbe mai riuscita a trovare il modo di uscire dalla Camera, ma nella sua mania di grandezza aveva dimostrato di averla sottovalutata già una volta.

Credeva di sapere tutto di lei e dei vampiri, soprattutto dopo la loro ultima conversazione, ma c’erano cose di cui ancora non aveva idea. Ad esempio, non sapeva della sua vista perfetta e del suo udito finissimo. Quando Tom aveva pronunciato la parola d’ordine, lei l’aveva sentita molto chiaramente. Quello che la faceva esitare era che non si trattava di una lingua a lei nota.

I suoni che aveva udito sembravano quasi disumani; erano apparentemente composti da sibili e sputi, versi che sembravano essere riuniti in brevi parole – sempre che potesse definirle parole. Concentrandosi, chiuse gli occhi e cercò, con un po’ di difficoltà, di ripetere i suoni che aveva udito.

Niente.

Forse il meccanismo che regolava la porta rispondeva solo al vero Erede di Serpeverde?

Katerina graffiò il muro, disperata. Quella era la sua unica possibilità. Anche la seconda volta la porta rimase immobile. Provò a rimodulare il suono di quella che considerava come terza parola, e fece un salto indietro quando il muro davanti a lei cominciò a scorrere davanti ai suoi occhi. Incredula, si affrettò ad attraversare la soglia, e liberò un sospiro di sollievo quando si ritrovò in uno dei corridoi di Hogwarts. Avrebbe voluto andare ad abbracciare una parete o baciare il pavimento, invece si girò verso il muro dietro di lei, che aveva emesso un breve suono stridulo. Non c’era più traccia del passaggio che aveva appena attraversato; era come se non fosse mai esistito. Katerina ripetè la parola d’ordine ad alta voce, ma non accadde nulla. Probabilmente, pensò, quella non era davvero l’ingresso principale della Camera, ma solo un’uscita di servizio magica in grado di depositare i passeggeri in punti casuali del castello. La vera entrata doveva essere da qualche altra parte.

Osservò il lungo corridoio deserto e illuminato. Le era familiare: calcolò di essere al settimo piano, a poca distanza dalle scale che portavano alla Torre di Corvonero. Era una fortuna che nessuno fosse in giro a vederla, perché sporca di polvere e sangue e con le vesti rovinate avrebbe sicuramente attirato parecchia attenzione.
Sul viso di Katerina spuntò un sorrisetto amaro. Era ora di vendetta.
 
 
* * *
 
 
Come prima cosa, Katerina si diresse senza esitare alla Sala Comune. Sospettava che non sarebbe stato molto facile restare direttamente da sola con Tom per farsi dire dove teneva imprigionato Louis, e senza bacchetta non poteva Disilludersi. Se era tenuta a farsi vedere in giro per il castello, era meglio darsi prima una bella ripulita. Fortunatamente tutti i suoi compagni di Casa erano a cena, quindi nessuno la vide entrare di soppiatto, recuperare una divisa di riserva e dirigersi verso il bagno. Il suo riflesso allo specchio sembrava molto trasandato e alquanto di cattivo umore. Ma non aveva tempo da perdere per contemplarsi, quindi si lavò furiosamente via lo sporco e il sangue dal viso e da tutte le zone visibili del suo corpo, si legò i capelli castani in una coda di cavallo e indossò velocemente i vestiti puliti, contorcendosi in moto tale che le schegge di legno sulla schiena le facessero meno male possibile. Aveva davvero bisogno di procurarsi una bacchetta, e in fretta.
 
Corse a rotta di collo dal settimo piano fino al piano terra, percorrendo tutte le scorciatoie che le venivano in mente e pregando che le scale non decidessero di cambiare al suo passaggio. Fu fortunata. Si fermò brevemente nel corridoio nascosto dietro l’arazzo dove Tom l’aveva attaccata, per vedere se il ragazzo aveva lasciato la sua bacchetta là dove le era caduta, ma non trovò nulla. Non che si fosse aspettata il contrario.

Infine giunse davanti alle porte della Sala Grande, dove tutta la scuola era riunita per cenare. Prese un bel respiro ed entrò. Rimase un attimo a contemplare la grande sala gremita di persone vocianti, nessuna delle quali sembrò accorgersi della sua presenza. Poi, per la prima volta in più di cinque anni, non andò a sedersi presso il tavolo di Corvonero. Scrutò invece la tavolata di Serpeverde e, individuata una testa piena di folti capelli neri che conosceva bene, si diresse a passo sicuro verso il suo obiettivo e si sedette nel posto libero accanto.

“Ciao, tesoro,” disse con tono allegro.

L’intera tavola di Serpeverde si congelò e la osservò con stupore, come un gigantesco animale selvatico alle prese con un essere ostile.

L’espressione scioccata di Tom Riddle durò solo pochi secondi. Subito dopo ricambiò il suo sorriso smagliante con uno dei suoi, apparentemente onesti e sinceri. Che ottimo bugiardo.

 “Katerina, che piacere vederti qui,” disse con aria tranquilla. Corrugò la fronte. “Credevo non te la sentissi di cenare.”

Il ragazzo lanciò uno sguardo veloce attorno a sé, e quasi tutti gli altri smisero immediatamente di fissarli.

“Mi sento molto meglio, ti ringrazio,” rispose lei continuando a sorridere. Era lì per innervosirlo, dopo tutto. Con soddisfazione, lo vide deglutire e udì il suo cuore accelerare.

“Ne sono lieto. Hai fatto qualcosa di particolare per risolvere il tuo problema?”

Come diavolo sei uscita dalla Camera dei Segreti?, diceva il suo sguardo.

“Sono una ragazza piena di risorse,” si limitò a dire, alzando un sopracciglio come l’aveva visto fare tante volte. Tom non parve contento della risposta, ma fu solo un istante.

“Certo che lo sei,” fece lui galantemente. Lo vide lanciare una rapida occhiata verso il tavolo dei Professori. Katerina aveva già controllato: il Preside Dippet non c’era, probabilmente era rimasto nel suo ufficio come ultimamente faceva spesso.

“Tom, mi chiedevo se sapessi dirmi dove posso trovare Louis.”

“Mi dispiace,” fece l’altro scuotendo la testa. “E’ da stamattina che non lo vedo.”

Va bene, ci aveva provato.
 
I due ragazzi rimasero a osservarsi in cauto silenzio,  in attesa che l’altro facesse la mossa successiva. Katerina poteva immaginare cosa sarebbe accaduto da lì in poi: Tom sapeva che tutto quello che lei voleva era trovare Louis e in secondo luogo uccidere lui, e avrebbe quindi fatto il possibile per impedirglielo. Non poteva rischiare di essere esposto come autore degli attacchi del mostro di Serpeverde. Le uniche soluzioni possibili erano metterla di nuovo a tacere – ma lei non aveva intenzione di lasciarsi colpire un’altra volta – oppure anticipare tutto e andare immediatamente ad avvertire Dippet, invece di aspettare l’alba e lasciarle tutta la notte a disposizione per cercare il ragazzo. Era a quel punto che lei sarebbe dovuta intervenire.

Moriva dalla voglia di infilargli la mano nel petto e strappargli via il cuore, ma si impose di restare calma. Doveva prima salvare Louis.

La cena era ormai giunta al termine, ma molti studenti sembravano avere deciso di restare in Sala Grande a chiacchierare. Lei e Tom non si erano detti altro; erano semplicemente rimasti seduti fianco a fianco, con le braccia che ogni tanto si sfioravano. Mentre osservava un gruppo di studenti uscire per tornare alle proprie Sale Comuni accompagnati dai professori, le venne un’idea.

Si girò improvvisamente verso Tom e gli sorrise nuovamente.

“Credo che tornerò in Sala Comune. Mi sento molto stanca. Ci vediamo domani,” gli disse, e lo baciò sulle labbra. Tom non se lo aspettava, e rimase rigido. Lei gli morse violentemente il labbro inferiore. Al sussulto di lui, Katerina sentì il sapore del suo sangue, bruciante come lava. Associò quell’effetto alla verbena: Tom doveva averne assunta un po’ per evitare di essere morso o soggiogato. Con un ultimo sorriso rivolto alla sua espressione furiosa, Katerina si alzò e uscì dalla Sala Grande.
 
 
* * *
 
 
Non le era andata male, pensò Katerina toccando distrattamente la sua nuova bacchetta. Era di pioppo, conteneva un crine di unicorno ed era un po’ troppo corta nella sua mano, ma era sempre meglio che andare in giro disarmata.

Si trovava vicino alle porte della Sala Grande, Disillusa, in attesa che Tom si alzasse dal tavolo di Serpeverde e uscisse. Il ragazzo avrebbe avuto sicuramente un numero improbabile di incantesimi protettivi su di sé: lo aveva visto mormorare tra sé e sé fin da quando era tornata indietro. Controllò che non facesse nulla di sospetto, come parlare con qualcuno o lanciare incantesimi su altre persone.

Poi, finalmente, con un’ultima occhiata al tavolo dei Professori, Tom salutò i suoi compagni e si diresse verso di lei, guardandosi intorno con attenzione. Non poteva vederla, o così Katerina sperava.

Quando lui le passò di fianco cominciò a seguirlo. Temeva che il ragazzo si Disilludesse e si rendesse inattaccabile da un suo Incanto Localizzatore, ma lungo il tragitto che conduceva fino all’Ufficio del Preside non fece nulla di tutto ciò. Forse pensava che lei fosse andata a cercare Louis per tutto il castello? O più probabilmente era talmente sicuro che lei non fosse una minaccia da non curarsi di dettagli così insignificanti.

Lo pedinò fino a che non arrivarono all’ufficio del Preside, al terzo piano; dopodiché si appoggiò al muro vicino al gargoyle che proteggeva l’ingresso e cominciò ad aspettare.
 
Dieci minuti dopo il passaggio si aprì, e due uomini con mantelli rossi uscirono a passo deciso. Uno dei due mormorò all’altro, “Trasfigura qualcosa in un paletto di legno. La strada fino alla Torre di Astronomia è lunga.”

Erano Auror? Aggrottando la fronte, Katerina mosse un passo per seguirli. Era quello che aveva in mente di fare: scoprire dove Tom teneva Louis pedinando le persone mandate a ucciderlo. Non vedeva altro modo per trovare l’altro vampiro in tempi brevi.

Un pensiero improvviso la bloccò su due piedi.

E’ una trappola, pensò. Era ovvio: Tom sapeva che lei era fuori da qualche parte, perciò doveva almeno provare a fare qualcosa per depistarla. Non era improbabile che il ragazzo non fosse andato con loro, perché nessun professore lo avrebbe mai messo in una situazione pericolosa come la cattura di un vampiro, ma il Preside? Quel megalomane di Dippet avrebbe fatto in modo di essere in prima fila in un momento così delicato della vicenda, pronto a prendersene il merito.

O forse no? Forse ci stava rimuginando troppo. E intanto gli Auror si stavano dirigendo a passo sicuro verso la Torre di Astronomia. Doveva prendere una decisione.
Immobile al centro del corridoio, guardò esitante i due uomini svoltare l’angolo e scomparire dalla vista.
Era in trepidazione. Stava correndo un rischio enorme, ma rimase dov’era.
 
Un’eternità dopo – stava quasi per mettersi a correre verso la Torre di Astronomia – sentì il passaggio guardato dal gargoyle aprirsi di nuovo, e vide uscire un gruppo formato da altri sei Auror e infine dal Preside. Dippet corrugò le folte sopracciglia bianche, si guardò intorno con circospezione e, con un tuonante “Di qua,” guidò la piccola squadra di Auror nella direzione opposta a quella presa dai primi due uomini. Con un impercettibile sospiro, Katerina si avviò dietro di loro.
 
 
* * *
 
 
Katerina sapeva di essere invisibile e silenziosa, ma cercò comunque di fare il meno rumore possibile mentre camminava dietro la formazione di Auror. Se il suo cuore non fosse stato da mesi immobile come pietra, in quel momento le sarebbe uscito dal petto.

Salirono al quarto piano e poi al quinto. Una volta giunti al sesto, non aveva ancora nessuna idea di quale fosse la loro destinazione. Cosa c’era in quella zona? Aule, ricordò. La sede ufficiale del club di Gobbiglie. La Guferia…

Sì, doveva essere la Guferia: era in una torre, l’unica zona esposta al sole nelle vicinanze. Tom aveva parlato di luce solare: non poteva essere un luogo al chiuso. Decise di rischiare: più andavano avanti, meno probabilità aveva di salvare Louis. Ora toccava a lei.
 
Bombarda!

L’attacco piovve improvviso sugli Auror come una pioggia infuocata. Gli uomini si fermarono ed estrassero le bacchette, in una concitata ricerca del bersaglio.

Expelliarmus! Confringo!

La parete esplose, riversando mille pezzi di pietra sugli occupanti del corridoio, che dovettero ripararsi dietro gli Scudi per non essere sommersi. Gli Auror meno coinvolti risposero a loro volta con degli incantesimi offensivi, ma non sapevano verso cosa mirare, dato che Katerina lanciava maledizioni da punti continuamente diversi sfruttando la sua velocità di spostamento vampiresca. Inoltre, l’Incantesimo di Disarmo le aveva fatto arrivare in mano un’altra bacchetta.

Homenum Revelio,” pronunciò con voce sicura il Preside alzando la bacchetta verso il soffitto.

Katerina sentì la Disillusione svanire, e apparve dal nulla vicino a due Auror. Come un sol uomo, tutti fissarono gli occhi su di lei e sulla torcia infuocata che teneva saldamente in mano.

“Niente di personale,” disse, e lanciò la torcia verso i loro vestiti. Quando i due iniziarono a gridare, lei si era già spostata.

Non aveva tempo di lanciare una nuova Disillusione su se stessa, quindi ricominciò a correre verso la Guferia. Lanciò un altro Incanto Esplosivo, ma stavolta colpì il soffitto, che iniziò a rovinarsi sotto la potenza della maledizione. Con il secondo Incanto il soffitto venne giù.

Non si fermò a vedere il risultato del suo lavoro; era troppo impegnata a cercare di deviare gli incantesimi che la squadra le stava lanciando contro nell’inseguimento. Evitò un Avada Kedavra solo per un pelo, e dovette lanciarsi contro il muro quando sentì arrivare uno Schiantesimo da dietro. Fortunatamente gli Auror, per quanto bene addestrati, non potevano sostenere la sua velocità non umana.

Finalmente, girato un altro angolo, le apparvero alla vista le scale che conducevano alla Guferia. Katerina si lanciò su di esse e chiuse la porta con un Incantesimo Sigillante, ben sapendo che sarebbe resistito per poco tempo. Salì più in fretta che poté. Quando giunse nella Guferia vera e propria, fu assalita da un centinaio di gufi nel caos.

Li scacciò via con un’onda d’urto di puro potere e si guardò intorno freneticamente. Louis, Louis, Louis… non c’era nessuno lì dentro! Le si bloccò il cuore il gola mentre l’assaliva il terrore di avere sbagliato tutto. Agitò ansiosamente la bacchetta per rimuovere un eventuale Incantesimo di Occultamento… eccolo là!

Louis era in fondo alla stanza, immobilizzato da corde e messo a tacere da una benda sulla bocca. I suoi occhi erano vigili, e quando la videro si ingrandirono dallo stupore.

Corse verso di lui, ringraziando chiunque la stesse a sentire di averlo lì, ancora vivo.

“Louis! Morgana, Merlino, grazie,” sussurrò appoggiandogli le mani sullo spalle. Il ragazzo rispose con un mugugno incomprensibile, ma nei suoi occhi c’era un’espressione di urgenza.

“Hai ragione, scusa,” gli rispose, e con mano tremante puntò verso di lui la bacchetta presa in prestito.

Finite.

Il ragazzo emise un grugnito di sollievo quando le corde e il bavaglio caddero a terra scomparendo dall’esistenza.

“Verbena,” sputò lui. “Le dannate corde ne erano piene.”

La guardò bene.

“Grazie al cielo, Katerina…”

Lei si inginocchiò accanto a lui e lo aiutò a rialzarsi.

“Sì, sono contenta anche io di vederti. Ma potrai ringraziarmi dopo, adesso siamo un po’ di fretta.”

Appena finì la frase, dal basso giunse un rumore di esplosione. Gli Auror avevano rinunciato ad aprire la porta con la magia e stavano cercando di sfondarla.
Appoggiato al muro per riprendere fiato, Louis la guardò metà incredulo e metà divertito.

“Hai portato qui la festa?” le chiese debolmente.

“Più o meno, nel senso che la festa la vogliono fare a noi. Abbiamo sei Auror alle calcagna. Otto, forse, se sono arrivati anche i due che prima hanno cercato di depistarmi.”

“Otto Auror,” ripeté lui. Lei annuì, e gli tolse delicatamente una piuma di gufo che era rimasta attaccata alla sua spalla.

“Più il Preside, a meno che non sia rimasto indietro quando per sbaglio gli ho dato fuoco alle sopracciglia.”

Louis la fissò ancora più incredulo di prima, e poi scoppiò a ridere. Lei lo guardò presa di contropiede: Tom gli aveva forse arrecato qualche danno permanente al cervello?

“Oh, Katerina,” disse solo, e con un movimento improvviso l’attirò a sé e la baciò. Le mise entrambe le mani sulle guance mentre approfondiva il bacio, e Katerina rispose con passione.

Al rumore della seconda esplosione, si separarono di qualche centimetro.

“Finirò di ringraziarti dopo, se mai usciremo da questo pasticcio,” disse lui con una nuova luce negli occhi. “Adesso facciamo saltare le scale. Siamo in una posizione più elevata rispetto a loro e questo è un piccolo punto a nostro favore. Non hai una bacchetta per me?”

Katerina gli diede quella che aveva sottratto a uno degli Auror, e immediatamente iniziarono a lanciare maledizioni sui gradini. A parte rompere qualche pezzo di pietra, però, non ottennero il risultato sperato. Pochi istanti dopo sentirono la porta rompersi.

Glisseo!”, urlò disperatamente Katerina. Le scale a chiocciola si trasformarono in un ripidissimo scivolo.
 
Gli Auror entrarono di corsa nella sala sottostante al piano dove erano loro, ma quando videro le scale si bloccarono. Subito dopo iniziarono a scagliare incantesimi verso l’alto, cercando di colpirli attraverso l’apertura.

Louis spinse Katerina in una zona più riparata, e la guardò mentre la stringeva a sé.

“Dimmi che hai un piano di fuga,” sussurrò. Lei si limitò a fare una smorfia impotente.

Il ragazzo fece per aggiungere altro, ma non ne ebbe la possibilità.

Lumos Solem!” giunse dal basso, e una luce abbagliante li colpì.

Louis sobbalzò come ferito da un’arma, e poi iniziò ad urlare.

“No!”, gridò Katerina. No, non la luce solare, si disse disperatamente. Louis non aveva più il suo braccialetto…

Cercò di spostarsi in modo da proteggerlo e tenerlo in ombra il più possibile, ma era difficile ripararlo completamente. Lo guardò terrorizzata mentre la sua pelle si tingeva di rosso e nero e cominciava a screpolarsi come bruciata.

 “Fatelo anche voi! Lumos Solem!”, udì, e gridando corse alla soglia delle scale lanciando disperatamente delle maledizioni verso il basso. Non cambiò nulla; gli Auror ora erano difesi da un tetto di Incantesimi Scudo, e lei rischiò di farsi colpire da uno Schiantesimo.

Si girò a guardare Louis, che era raggomitolato su se stesso in un angolo, e andò di nuovo a stringerlo forte per proteggerlo. Doveva fare qualcosa, prima che…
 
Un ricordo si materializzò nella sua mente. L’immagine lontana di un incantesimo contro la luce scritto su un foglietto di pergamena. Un incantesimo che le aveva salvato l’esistenza solo pochi mesi prima, e a cui non aveva più pensato.

Disperatamente, si mise a frugare con mani tremanti dentro la borsa dei libri che aveva portato con sé fino a lì. L’aveva messo in una delle tasche interne, ne era certa. Non l’aveva tirato fuori, lei non tirava mai fuori nulla dalla borsa, tendeva sempre ad accumulare tutto…

Louis continuava a urlare in modo straziante.

Finalmente la sua mano si strinse attorno alla pergamena che aveva duplicato una vita fa, quando Louis  aveva incantato il suo anello solare. Ma non era sufficiente: le serviva anche qualcosa che appartenesse a lui, un oggetto su cui lanciare l’incantesimo.

Nella tasca della borsa, la sua mano si strinse attorno a qualcosa di freddo e duro: il bracciale d’argento che Louis aveva regalato a Flora e che aveva dato a lei affinchè lo buttasse.

Spalancò gli occhi. Doveva funzionare.

Richiuse il bracciale attorno al polso ormai nero del ragazzo, gli puntò contro la bacchetta e con voce tremante iniziò a recitare le parole dell’incantesimo vergato sulla pergamena. Era lungo e il braccio di Louis era in preda agli spasmi, ma Katerina cercò di mantenere la concentrazione.

Aex… aere… noctem recanto,” terminò. Trattenne il respiro.

Louis aveva smesso di gridare.
 
Con un singhiozzo, Katerina si tirò indietro per osservare il corpo martoriato di Louis. Voleva toccarlo, stringerlo, fare qualunque cosa per alleviare il suo dolore, ma l’unica cosa che poteva fare era aspettare che la magia del sangue di vampiro lo guarisse.

Guardare quelle orribile ferite le mozzava il fiato. Perché?, si chiese sentendo gli occhi bruciare. Quale era la ragione di tutto quell’accanimento? La risposta era facile: loro due erano vampiri, dei mostri assetati di sangue, e avevano fatto del male a delle persone per poter sopravvivere. Meritavano una punizione. Ma non meritavano tutto ciò che quella gente stava loro facendo. Erano stati studenti, solo pochi mesi prima; normali ragazzi che la scuola aveva giurato di proteggere e difendere. Perché ora quella stessa scuola li voleva vedere morti?

Distolse lo sguardo dal corpo di Louis. Almeno erano ancora entrambi vivi. L’aveva salvato.

E per cosa?, pensò lei amaramente. Era riuscita a impedire che Louis bruciasse vivo, ma restavano comunque imprigionati lì senza alcuna via di fuga. Presto sarebbero riusciti a catturarli. Si appoggiò una mano sulla fronte per coprirsi gli occhi. Non aveva mai chiesto nulla di tutto quello: né il sangue, né la morte, né l’odio della gente normale. Ma non aveva importanza ormai, perché presto sarebbe tutto finito.

“Sono morti?”, sussurrò una voce dal basso. La luce abbagliante scomparve improvvisamente.

“Non lo so, ma dovremmo provare a polverizzarli col fuoco.”

“Usiamo l’Ardemonio.”

Katerina non mosse un muscolo, mentre gli Auror continuavano a parlottare tra loro. Non c’era modo di sfuggire all’Ardemonio. Il fuoco magico li  avrebbe inesorabilmente divorati fino a restituire le loro ceneri, e loro avrebbero cessato di esistere. Aveva fallito, dopotutto, e Tom aveva vinto. Louis sarebbe morto assieme a lei. Gli si avvicinò di nuovo e gli prese forte la mano.

“Perché piangi?”, le chiese il ragazzo con voce talmente flebile che rischiò di sfuggire persino al suo udito fine. Katerina cercò di sorridere, e scosse la testa.

“Non è niente. Solo, pare che in fondo non riusciremo a visitare la Francia,” mormorò asciugandosi le lacrime.

“E la Bulgaria?”, domandò Louis chiudendo gli occhi.

“Nemmeno.”

Sentì il ragazzo ricambiare la stretta di mano.






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ote dell'Autrice: no, non mi sono dimenticata di questa storia ^^ manca solo un capitolo. Nel frattempo, lasciatemi una recensione!

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Capitolo 14
*** Epilogo ***



xiii - epilogo.





Dal capitolo precedente:

Distolse lo sguardo dal corpo di Louis. Almeno erano ancora entrambi vivi. L’aveva salvato.
E per cosa?, pensò lei amaramente. Era riuscita a impedire che Louis bruciasse vivo, ma restavano comunque imprigionati lì senza alcuna via di fuga. Presto sarebbero riusciti a catturarli. Si appoggiò una mano sulla fronte per coprirsi gli occhi. Non aveva mai chiesto nulla di tutto quello: né il sangue, né la morte, né l’odio della gente normale. Ma non aveva importanza ormai, perché presto sarebbe tutto finito.
“Sono morti?”, sussurrò una voce dal basso. La luce abbagliante scomparve improvvisamente.
“Non lo so, ma dovremmo provare a polverizzarli col fuoco.”
“Usiamo l’Ardemonio.”
Katerina non mosse un muscolo, mentre gli Auror continuavano a parlottare tra loro. Non c’era modo di sfuggire all’Ardemonio. Il fuoco magico li  avrebbe inesorabilmente divorati fino a restituire le loro ceneri, e loro avrebbero cessato di esistere. Aveva fallito, dopotutto, e Tom aveva vinto. Louis sarebbe morto assieme a lei. Gli si avvicinò di nuovo e gli prese forte la mano.
“Perché piangi?”, le chiese il ragazzo con voce talmente flebile che rischiò di sfuggire persino al suo udito fine. Katerina cercò di sorridere, e scosse la testa.
“Non è niente. Solo, pare che in fondo non riusciremo a visitare la Francia,” mormorò asciugandosi le lacrime.
“E la Bulgaria?”, domandò Louis chiudendo gli occhi.
“Nemmeno.”
Sentì il ragazzo ricambiare la stretta di mano.


 
* * *


Ardem… aah!

Dopo il silenzio, il caos completo.

Katerina udì gli Auror gridare, mentre una tempesta magica scoppiava improvvisamente all’interno della piccola Guferia. Vide lampi colorati esplodere sopra la sua testa, e una sferzata di vento caldo la trascinò quasi via con la forza di un gigante. Attorno a lei si alzarono in volo fogli, piume e oggetti che prima erano sul pavimento. Ovunque guardasse spuntavano migliaia di scintille; ma nel giro di qualche istante si alzò anche una nebbia innaturale, biancastra, che coprì ogni cosa. Katerina dovette aguzzare gli occhi per distinguere gli oggetti intorno a lei; si aggrappò più forte alla mano di Louis, l’unico punto fermo.

Ad un tratto, parlò una voce molto vicina a loro.

Scendete, veloci,” sussurrò qualcuno in tono concitato.

Katerina non capiva cosa stesse accadendo, ma decise di seguire il suo istinto. Aiutò Louis ad alzarsi e insieme scivolarono giù da quelle che precedentemente erano state scale. Ai suoi piedi, in mezzo alla fitta nebbia, distinse vagamente otto corpi: erano gli Auror, ed erano vivi. Li sentiva respirare.

Di qua,” disse di nuovo la voce, e Katerina si diresse verso l’ingresso, calpestando la porta distrutta sul pavimento. Fece da sostegno a Louis, che per fortuna riusciva a camminare abbastanza bene. Lo prese per un braccio e lo tirò a forza fuori da lì, in corridoio. La nebbia si era propagata anche lì, e le ci volle qualche secondo per riuscire ad orientarsi. Non riusciva a vedere chi c’era con lei.

Andate nell’Aula di Trasfigurazione,” sussurrò la voce, e Katerina e Louis obbedirono senza fiatare. Man mano che passavano i secondi, le sembrava che il ragazzo stesse riguadagnando le forze. Si sentì prendere per mano: adesso era lui a trascinarla via da quel luogo infernale.

Corsero fino all’Aula di Trasfigurazione, che era poco distante, e spalancarono la porta. Poco dopo una figura entrò chiudendo la porta dietro di sè, e Katerina si girò di scatto per guardarla bene in faccia. Ciò che vide le tolse il poco fiato che le era rimasto.

Davanti a loro, con le vesti viola immacolate ma la barba stranamente bruciacchiata, c’era Albus Silente.
 
 
* * *
 
 
Katerina alzò lo sguardo, cogliendo i particolari di quell’aula che conosceva così bene, il luogo dove per cinque anni aveva seguito le lezioni di Trasfigurazione impartite dallo stesso uomo che ora era seduto alla cattedra. Era come essere a lezione, in effetti: il professore che faceva domande, e lei e Louis seduti in prima fila che cercavano di dare risposte.

“Con me siete al sicuro. Non vi farò del male,” era stata la prima cosa che aveva detto il professor Silente. “A patto che voi non cerchiate di farne a me.”
Loro avevano annuito, e poco dopo lui li aveva invitati a sedersi.
 
Katerina guardò Louis, che le stava tenendo la mano come se avesse paura che scappasse via. La sua pelle era ancora in parte rossa e rovinata, ma era in uno stato decisamente migliore rispetto a come l’aveva visto poco prima. Allungò il pollice per accarezzare il sottile bracciale d’argento che gli ornava il polso, e il ragazzo si girò a guardarla.

Si scambiarono un muto cenno di assenso e poi si voltarono contemporaneamente verso Silente, che li stava osservando con rapita attenzione da sopra gli occhiali a mezzaluna.

“La sua guarigione ha un che di prodigioso, Mr. Henry. Avrei giurato che fino a pochi minuti fa le sue condizioni fossero alquanto allarmanti,” dichiarò in tono tranquillo, come se quella situazione non fosse per nulla straordinaria.

“E’ uno dei vantaggi dell’essere un vampiro, signore,” ribatté Louis ricambiando lo sguardo con aria di sfida.

“Non ne dubito,” fece Silente con un brillio negli occhi. Congiunse le dita davanti a sé. “Ammetto che questa sera non avevo in programma nulla di più pericoloso di una sana rilettura di Storia di Hogwarts, ma i miei piani sono stati brutalmente accantonati quando una studentessa di Tassorosso è venuta da me a raccontarmi una storia apparentemente molto fantasiosa. Sto parlando di Miss Hopkins, ovviamente.”

“Flora?”, esclamò Louis stupefatto.

Katerina sentì il cuore farsi piccolo piccolo. Si mordicchiò un labbro: ricordava bene quello che fino a poco tempo prima c’era stato tra Louis e Flora. Ma non era quello il momento per pensarci, si disse.

“Esatto,” rispose Silente in tono serio. “Forse Miss Farley sa darci qualche spiegazione in proposito?”
 
Mentre gli altri due la fissavano in attesa, Katerina si scostò i capelli dagli occhi, riflettendo.

“Stasera, mentre ero a tavola con Tom Riddle, ho visto Flora uscire dalla Sala Grande assieme agli altri studenti. Quello che forse non sa, professore, è che Flora per qualche giorno è stata a conoscenza della nostra natura,” raccontò lei scambiando un’altra occhiata con Louis. “Ma non appena è stato possibile, le abbiamo fatto dimenticare tutto sfruttando i poteri di controllo mentale che ogni vampiro possiede. Stasera, sapendo che Louis si trovava in grave pericolo, sono andata da lei e, grazie a questi poteri, le ho ordinato di ricordare tutto ciò che avevamo cancellato.” Udì Louis sussultare lievemente. “Poiché sapevo che Tom Riddle si sarebbe presto recato del Preside, ho ordinato a Flora di andare dal Vicepreside – cioè, da lei – e di raccontargli tutto ciò che sapeva di noi, e di avvisarlo che Tom Riddle era l’Erede di Serpeverde, non Louis. A proposito, questa bacchetta è di Flora: l’ho costretta a cederla a me, dato che ero disarmata. Sarei felice se volesse restituirgliela assieme alle mie scuse.”

Separando la sua mano da quella di Louis, tirò fuori dalla tasca la bacchetta di pioppo e la porse a Silente. Appena rimise giù la mano, Louis la afferrò di nuovo.
Il professore osservò pensierosamente prima la bacchetta e poi il gesto del ragazzo.

“Lo farò senz’altro,” disse cortesemente. “Le posso assicurare, tuttavia, che Miss Hopkins sembrava più preoccupata che in collera. Se posso chiedere, come mai l’ha mandata da me e non dal nostro Preside?”

“Perché mi è sembrata la scelta più logica. Tom stava andando a parlare con il Preside, e sapevo che la sua storia sarebbe stata molto più attendibile rispetto a quella di Flora. Speravo che lei, avendo udito per prima la nostra versione, riuscisse perlomeno a convincere il Preside a darci una possibilità. Senza contare che ho avuto l’impressione, nei mesi scorsi, che lei non fosse così… affascinato da Tom come gli altri professori.”

“Una valutazione senza dubbio corretta,” commentò Silente annuendo. “Anche se, ahimè, quando sono giunto nell’ufficio del professor Dippet era già troppo tardi. Mr. Riddle però fortunatamente era lì, e mi ha gentilmente indirizzato verso la Guferia.” I suoi occhi assunsero un bagliore minaccioso. “Una volta constatata la scioccante distruzione che aveva coinvolto il sesto piano, nonché la battaglia che imperversava in Guferia, ho dovuto ovviamente fare una scelta tra salvarvi o lasciarvi morire. Ora, normalmente sono restio a sacrificare i miei studenti, per quanto… curiosa possa essere la loro natura. Fortunatamente ho fatto in modo che i vostri aggressori non potessero riconoscermi, e va da sé che questo nostro piccolo incontro dovrà restare un segreto. Spero che contravvenire ad un ordine diretto del Preside non sia stata una mossa sbagliata da parte mia.”

“No, signore,” rispose lei. Arrossì lievemente. “E mi scuso per lo stato del sesto piano. Temo che sia colpa mia.”

Con la coda dell’occhio, vide Louis fare un sorrisetto.

“Non si preoccupi,” fece Silente con un rassicurante gesto della mano. “Hogwarts ha un modo tutto suo per riparare ciò che è rotto. Sono sicuro che nel giro di qualche ora tornerà tutto come prima. Temo di non poter dire lo stesso per quei poveri gufi, tuttavia. Tendono a reagire in modo spropositato quando vengono traumatizzati,” commentò con un sospiro.

“Signore,” intervenne Louis. “Sa dirci cosa esattamente ha raccontato Riddle al Preside?”

Albus Silente appoggiò le mani sul tavolo.

“Tom Riddle, come lui stesso mi ha riassunto quando l’ho visto prima, ha spiegato al Preside di essere stato aggredito dal vampiro responsabile degli attacchi che Hogwarts ha dovuto affrontare in questi ultimi mesi.”

“Non siamo stati noi, professore. Un vampiro non è in grado di pietrificare le persone,” lo interruppe Louis con rabbia.

“Me ne rendo conto, Mr. Henry. Se così non fosse, le posso assicurare che ora non ci troveremmo qui,” rispose Silente con sguardo penetrante. “Avete prove concrete per testimoniare che il vero colpevole sia Tom Riddle?”

Katerina e Louis si guardarono, e poi scossero lentamente la testa. A conti fatti, non avevano nulla contro di lui, a parte le cose che avevano visto; ma sarebbe stato da ingenui aspettarsi che la loro testimonianza avesse un qualche valore.

“Sono stata dentro la Camera dei Segreti,” disse improvvisamente Katerina.

Gli altri assunsero, a gradi diversi, un’espressione più o meno sconvolta.

“Tu cosa?”, esclamò Louis. “Ti ci ha portata Riddle?”

“Sì, mi ha attaccata e colpita con una Maledizione che Uccide. Quando mi sono risvegliata ero nella Camera.”

Louis la guardò a bocca aperta.

“Gli staccherò la testa,” minacciò furioso.

“Meglio di no, Mr. Henry,” commentò Silente. Si rivolse poi a Katerina. “La prego, continui.”

Nei minuti successivi, Katerina raccontò tutto quello che era accaduto all’interno della Camera: il risveglio, i dettagli della conversazione con Tom, ciò che il ragazzo voleva da lei, il punto del settimo piano dove era uscita. Quando accennò al modo in cui lei era diventata una vampira, Louis si unì al racconto per spiegare tutta la storia completa. Quando alla fine tacquero, il professore di Trasfigurazione aveva un’idea di tutto ciò che era accaduto nei mesi precedenti.

“Quindi non sa ritrovare l’ingresso della Camera. Non sa che genere di creatura o potere vi sia contenuto,” concluse Silente. Katerina scosse la testa, sentendosi un po’ inutile per non essere riuscita a raccogliere informazioni più utili.
 
“E’ davvero un peccato, ma sarebbe stato sciocco da parte di Mr. Riddle svelare tutti i suoi trucchi. Ora credo sia opportuno parlare del vostro prossimo futuro,” disse il professore alzandosi in piedi. “Non potete rimanere a Hogwarts, questo è chiaro. Anche se non foste accusati di aver ucciso una persona e di averne pietrificate altre quattro, non potrei mai minare la sicurezza degli studenti permettendo a due vampiri di vivere liberamente in mezzo a loro. Non voglio sapere cos’abbiate fatto negli ultimi mesi, o chi abbiate attaccato per nutrirvi: non posso cambiare quello che è già successo. Ma, per quanto mi dispiaccia perdere così due miei studenti, il vostro posto non è più qui.”

Il suo sguardo era duro, inflessibile.

“Inoltre, dobbiamo anche considerare le accuse a vostro carico,” proseguì. “Non voglio darvi illusioni. Tom Riddle è uno dei migliori studenti che siano mai passati per questa scuola. E’ intelligente, zelante, potente e benvoluto dalla maggioranza dei professori. Nessuno crederà mai alla vostra storia, soprattutto considerando che proviene dalla bocca di due vampiri.”

“Ma lei ci crede,” affermò Louis.

“Credo che non stiate mentendo, questo sì. Ma la mia parola non vi sarà di nessun aiuto. Sono solo un professore, dopotutto; se appoggiassi pubblicamente la vostra versione verrei semplicemente preso per pazzo.” Per un istante, Silente si limitò a fissarli con sguardo penetrante. “Ma posso promettervi che farò tutto ciò che è in mio potere per fermare Tom Riddle ed evitare che riaccada una tragedia simile.”

I due ragazzi annuirono, insoddisfatti. Le parole del vicepreside erano difficili da digerire, ma non erano certamente inaspettate.

“Dobbiamo andarcene subito?”, chiese piano Louis. Silente esitò, ma poi fece un cenno affermativo con la testa.

“In questo momento c’è una caccia al vampiro per tutta Hogwarts. Ci vorrà un po’ prima che vengano a cercarvi qui, ma a mio avviso ritardare la vostra partenza è troppo rischioso. Vi mostrerò un passaggio sicuro per uscire dal castello.”
 
 
* * *
 
 
Da una zona collinare nei pressi del villaggio di Hogsmeade, Katerina osservava le luci del castello brillare in lontananza contro un cielo via via sempre più chiaro. Il suo cuore era pesante.

Nella sua mente si susseguivano mille immagini di tutti gli anni che aveva passato in quel luogo. Rivide i volti di Abigail, di Matilda, di Hayley e di tutti i loro compagni di Corvonero, che di lì a poche ore si sarebbero risvegliati in una scuola di cui lei non faceva più parte. Cosa avrebbero pensato di lei? Il Preside avrebbe rivelato a tutti la verità raccontatagli da Riddle, oppure avrebbe messo a tacere la vicenda in seguito alla sua inefficienza nel catturarli? Non lo sapeva, ma non poteva sopportare che le persone che le erano state accanto in tutti quegli anni non avessero avuto occasione di ascoltare la sua versione. Avrebbe fatto in modo di risolvere quel problema, pensò, con una lettera o qualcosa di simile.

Rivide le classi, la sezione di Storia in Biblioteca, i corridoi, il soffitto della Sala Grande, il cielo stellato sopra la sua testa quella notte sul tetto del castello. I riflessi sul Lago, le gite a Hogsmeade, i falsi sorrisi di Tom. Rivide lo sguardo di Flora quando aveva capito che loro due erano vampiri, la Guferia avvolta dalla nebbia magica evocata di Silente, Louis che urlava nella luce abbagliante creata dagli Auror.

Louis che minacciava di ucciderla per spaventarla la prima sera che si erano conosciuti, Louis che le passava la bottiglia di Firewhiskey, Louis che le dava la mano per aiutarla a scendere dai banchi, Louis che la baciava in Guferia come se lei fosse stata più importante della sua stessa vita.
 
“Avevo così tante speranze, la prima volta che ho messo piede a Hogwarts.” Louis, in piedi al suo fianco, spezzò il silenzio. “Sentivo di avere trovato il mio posto nel mondo. Difficile credere a come sono riuscito a rovinare tutto quanto.”

“A chi lo dici,” sospirò lei. “Nessun lieto fine per noi. Non possiamo nemmeno dire di essere vivi, solo non-morti.”

Louis fece un sorrisetto.

“Siamo stati proprio ingenui a pensare di poter sopravvivere in una scuola dove ogni singolo abitante va in giro portando sempre in tasca una bacchetta di legno.”

Lei rise.

“Non hai tutti i torti. Sai che ti dico? Siamo stati bravi ad arrivare fino a quasi la fine dell’anno.”

“Puoi dirlo. Anche se, a onor del vero, se non fosse stato per te probabilmente quel bastardo non mi avrebbe mai scoperto e non mi avrebbe tirato dentro questa storia. Chissà, magari sarei addirittura arrivato al giorno del diploma,” fece Louis in tono scherzoso.

“Ma non avresti mai avuto il piacere della mia compagnia,” rispose lei con un mezzo sorriso. L’altro si girò a guardarla pensierosamente.

“Hai ragione,” le disse in tono inaspettatamente serio. “Non sarebbe stato poi un grande affare avere Hogwarts ma non te. La scuola ormai faceva parte del mio passato, ma ero troppo ingenuo e orgoglioso per capirlo, e mi sono ostinato ad aggrapparmi alla vita di prima come se non fosse successo nulla. Era inevitabile che prima o poi la realtà mi sarebbe stata sbattuta in faccia. E per quanto triste sia l’idea di dover lasciare Hogwarts per sempre, sono felice di averti qui con me. So che tu avresti preferito non avermi mai incontrato, e sei libera di maledirmi quanto vuoi, ma dal mio egoistico punto di vista non posso che essere contento che le cose siano andate così.”

Katerina assimilò le sue parole e si girò, dando le spalle al castello. Il discorso insolitamente a cuore aperto di Louis le aveva toccato il cuore. Guardò negli occhi quel ragazzo a cui in così breve tempo era arrivata ad affezionarsi, e molto probabilmente anche qualcosa di più.

Cosa avrebbe mai potuto dirgli? Non era brava a esprimere i suoi sentimenti, ma l’elettricità che improvvisamente sentiva nell’aria le faceva capire che molto sarebbe dipeso da quello che lei gli avrebbe risposto in quel momento.

“Quindi tutto questo bel discorso farebbe parte del ringraziamento che mi hai promesso prima?”, gli disse optando per una domanda. Sotto la sguardo indagatore di Louis, mantenne un tono leggero e un sorriso appena accennato. Lui fece un sorriso scanzonato come se non stessero parlando di qualcosa di tremendamente importante, ma dietro i suoi occhi Katerina poteva distinguere una richiesta ben precisa.

“Anche. Mi hai salvato la vita, e non lo dimenticherò tanto presto,” fece lui. Poi proseguì: dopotutto, non era quella la domanda a cui Katerina voleva una risposta, e lo sapevano entrambi. “Prima… è stato un impulso del momento. Eravamo in pericolo e non sapevo se avrei mai avuto un’altra occasione per farlo. Ma lo rifarei mille volte ancora. Sei diventata molto importante per me, Katerina.”

“Anche tu sei importante per me, e non sai quanto,” replicò lei di getto. I lineamenti di Louis si distesero visibilmente. “Non riesco nemmeno a ricordare com’era la vita prima di conoscerti. Non ero un vampiro, ma non avevo niente per cui sopravvivere; mi limitavo ad andare avanti sperando che un giorno le cose sarebbero state diverse. La mia vita era priva di significato, ma l’ha acquistato quando all’improvviso mi è stata tolta. Tu mi hai fatto capire che non era troppo tardi per me. Questa non era certo l’esistenza che volevo, ma forse era quella di cui avevo bisogno.”

“Starai al mio fianco?”, le chiese brutalmente lui, l’incertezza e la speranza che emergevano dalla voce. Lei lo fissò, mordendosi un labbro, e poi gli afferrò la mano.
“Abbiamo tutta l’eternità davanti,” iniziò lei.

“Fino a che lo vorrai,” continuò precipitosamente l’altro. 

“L’eternità è davvero tanto, tanto tempo,” disse lei dolcemente. “Tempo a sufficienza per vivere infinite vite, per percorrere mille strade diverse che potrebbero anche portarci distanti l’uno dall’altra. Ma qualunque cosa accada, non me ne andrò da nessuna parte. Finchè lo vorrai, sarò al tuo fianco.”

Louis continuò a guardarla, senza dire nulla, con un sorriso in volto. Allora lei si avvicinò lentamente, fissando lo sguardo sulla sua divisa lacerata in alcuni punti, e poi alzandolo verso il suo volto. Era incredibilmente vicino, e c’era un riflesso luminoso nei suoi occhi grigi. Titubante, Katerina appoggiò una mano sul petto di lui. Il cuore di Louis non batteva, esattamente come il suo. Così vicini, si sentiva avvolta dall’odore di lui, un misto di sangue e delle scariche della tempesta che poco prima li aveva salvati.

Katerina si alzò sulle punte dei piedi, chiuse gli occhi e lo baciò.

Louis ricambiò con trasporto, le labbra che si muovevano sulle sue in un morbido bacio. Le mani del ragazzo si posarono sui suoi fianchi, e Katerina si abbandonò nel suo abbraccio, mentre le dita andavano ad accarezzargli il collo. Lui la strinse ancora di più contro il suo corpo e approfondì il bacio, facendole dimenticare dove si trovavano e tutto ciò che li aveva portati fino a lì.

Quando si separarono, rimasero stretti in un abbraccio. Katerina appoggiò la testa sul petto di lui.
 
“Cosa pensi della proposta che ci ha fatto Silente prima di salutarci?”, le sussurrò Louis all’orecchio dopo un po’.

“Penso sia da pazzi,” rispose Katerina con sincerità, senza muoversi da quella comoda posizione. Il sole stava ormai facendo capolino dall’orizzonte. “Chiedere a due minorenni di aiutarlo nella guerra contro Grindelwald? Deve proprio essere disperato.”

“E’ da anni che corre voce che Grindelwald abbia radunato un esercito di vampiri alle sue dipendenze,” commentò Louis accarezzandole i capelli. “Infiltrarsi nelle sue file non sarebbe nemmeno troppo difficile, per due giovani vampiri inglesi arrabbiati appena espulsi da Hogwarts. Se davvero Silente ha bisogno di spie per aiutarlo ad attirarlo in uno scontro aperto, è naturale che abbia pensato a noi.”

“Pensi che il vero motivo per cui Silente ci ha salvati sia questo? Per usarci per i suoi scopi?”

“Non solo lo penso, ne sono piuttosto sicuro. In ogni caso, qualunque sia la ragione, sono contento che l’abbia fatto.”

“Sto cominciando a capire come mai i vampiri tendono a vivere isolati dal resto della comunità magica,” disse lei con un sospiro.

“Certo: perchè gli umani sono così noiosi,” scherzò lui.

Katerina esitò un attimo, poi si scostò leggermente da lui per poterlo guardare in viso.

“Dicono che Grindelwald si nasconda in Bulgaria,” commentò casualmente. Louis la guardò con un sorriso malizioso.

“Bulgaria, uh? La seconda tappa del nostro ipotetico viaggio?”

“Proprio quella,” confermò lei ricambiando il sorriso.

“Avanti,” disse lui indicandole il bicchiere abbandonato sull’erba. “La Passaporta che ci ha dato Silente non aspetterà ancora a lungo, e dall’altra parte ci sono Robert e mio padre impazienti di darci una bella lavata di capo. Pronta a venire con me?”

Le porse la mano, e Katerina la prese.

“Prontissima.”

Come di comune accordo, si voltarono per dare un’ultima occhiata al castello di Hogwarts; poi, avvolti in una luce azzurrina, svanirono nel nulla.







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Note dell'Autrice: E con questo ultimo capitolo arriviamo alla fine di Alla Luce del Sole! Mi sono divertita a scriverla, e spero sia un po' piaciuta a voi che siete giunti fino in fondo... in ogni caso lasciatemi una piccola recensione, ci terrei tanto ^^ Nella parte finale ho lasciato qualche traccia per un eventuale seguito, per cui avrei qualche idea non ancora del tutto sviluppata. Sareste interessati a leggere una continuazione di questa storia? Fatemi sapere... nel frattempo, grazie e alla prossima!

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