Hamish di marthiachan (/viewuser.php?uid=61784)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Ciao
a tutti!
So
cosa state pensando. Probabilmente avete già letto decine di altre
fic con questo titolo o di genere ParentLock.
Ne
ho lette diverse anche io ma mi è sembrato che siano tutte JohnLock.
Questa non lo è.
Questa
fic è il risultato di un filone che ho creato con ben altre
intenzioni, ma alla fine mi ha portato a un Sherlock papà. (Mi
capita spesso in effetti, non voglio immaginare cosa ne direbbe
Freud.)
Questa
fic chiude la serie Sherlock’s Diary quindi per capire eventuali
riferimenti dovreste aver letto le precedenti. Idem per alcuni
dettagli della trama assolutamente AU e OOC. Liberi di scegliere se
farlo o no, ovviamente.
Naturalmente,
nessun personaggio mi appartiene, neanche quello di Hamish che è, in
pratica, un Sherlock in miniatura, o almeno questo era l’intento
nella mia testa.
Mi
è piaciuto molto scrivere di Hamish, anche se è stato davvero
complesso visto che ci ho impiegato mesi, e spero che a voi piaccia
leggere di lui.
Buona
lettura.
Hamish
Le
porte scorrevoli si stavano aprendo e diverse persone ne emergevano.
Non avevo bisogno di leggere le etichette sulle loro valige per
capire che erano australiani. Era il volo giusto. Sarebbe arrivato a
momenti.
Tenevo
le mani in tasca tentando di apparire con aria rilassata, ma in
realtà le stringevo nervosamente, conficcando le unghie nei palmi.
Non sarebbe andata bene. Ho sempre saputo che eravamo diversi e che
non saremo andati d'accordo. O forse, come mi aveva detto più volte
John, il problema era l'esatto opposto.
Siamo
troppo uguali.
Alcune
rumorose famiglie avevano raggiunto l'atrio e, in mezzo a loro, un
ragazzo riccioluto. Più alto della media dei suoi coetanei, con il
viso serio e pallido, il suo vestito scuro spiccava in mezzo alla
sala luminosa e alla folla multicolore che lo circondava. Non lo
vedevo da circa un anno. Era molto cambiato, ma lo avrei riconosciuto
anche fra mille.
Mi
sono avvicinato e mi sono fermato di fronte a lui, aspettando che mi
notasse. Lo ha fatto solo due secondi dopo e quando i suoi occhi si
sono posati su di me la sua espressione denotava una certa
irritazione.
“Potevi
far venire un taxi. Non era necessaria la tua presenza.”
“Ho
preferito assicurarmi personalmente che non fuggissi in Galles come
due anni fa.”
“Era
diverso. Avevo una casa in cui tornare.”
Non
ho replicato al suo commento chiaramente provocatorio e gli ho
portato via la valigia dalle mani.
“Sono
in grado di trasportarla.”
“Lo
so, ma hai fatto un lungo viaggio.”
“E
pensi che duecento metri in più possano cambiare qualcosa? Eppure
credevo fossi un genio. O, almeno, questo è quello che Lei
ha sempre detto, ma non ne sono mai stato molto convinto.”
Avevo
deciso di non replicare. Un tempo avrei demolito quel ragazzo con due
frasi, ma le cose erano cambiate.
Io
sono cambiato.
Ho
imparato a non infierire su chi soffre. E quel ragazzo ne aveva già
passate troppe.
Camminavamo
in silenzio sino all'uscita dall'aeroporto. Ad aspettarci c'era una
berlina nera con i vetri oscurati.
“Purtroppo,
Mycroft ha insistito per accompagnarmi. Ci teneva molto a vederti. Se
fossi in te, però, non gli parlerei più del necessario. Potrebbe
usarlo contro di te in qualsiasi momento.”
“Lo
fai anche tu.” ha commentato con astio.
Senza
aggiungere altro, ho dato la valigia all'autista e siamo saliti in
auto.
“È
bello rivederti, Hamish! Come è andato il viaggio?”
“Non
posso dire lo stesso, zio Myc, e il viaggio è stato pessimo. Ero
circondato da bambini urlanti e vecchi lamentosi, e le hostess
continuavano a chiedermi se avessi bisogno di qualcosa. Senza
dimenticare che due giorni fa ho seppellito mia madre, ma a parte
questo è stato tutto meraviglioso!”
Mycroft
si è irrigidito e mi ha lanciato uno sguardo seccato, come se fosse
colpa mia. In realtà, se fossi stato al posto di Hamish, credo che
avrei detto di peggio.
“Naturalmente
sono desolato per la tua perdita, Hamish. Ma sono contento di
vederti. In tutti questi anni tuo padre ha sempre fatto del suo
meglio per evitare che ci vedessimo con regolarità.”
“Allora
ciò significa che posso essere grato a mio padre per qualcosa.” ha
replicato il ragazzo con il tono più freddo che possedeva.
Mycroft
mi guardava nuovamente con rabbia malcelata. A quanto pare si
aspettava che prendessi le sue difese o che sgridassi Hamish. Non ne
avevo nessuna intenzione, anzi, trovavo tutto ciò molto divertente.
“Naturalmente,
Hamish, spero tu sappia che puoi contare su di me per qualsiasi cosa.
Spesso tuo padre perde di vista alcune priorità legate alla
sicurezza, quindi se dovessi sentirti in pericolo o...”
“Sono
cintura nera da quando avevo otto anni e so maneggiare una pistola e
un pugnale con la precisione di un cecchino. In cosa dovresti essermi
utile, esattamente, zio Myc?”
Finalmente,
Mycroft si è dichiarato sconfitto e si è zittito con la sua
peggiore smorfia di disgusto. Mi guardava con fastidio e riuscivo a
leggergli in viso che aveva sperato che non mi somigliasse così
tanto.
Quando
finalmente siamo arrivati a Baker Street, Hamish è uscito
immediatamente dall'auto senza nemmeno salutare Mycroft, e devo dire
che ero tentato di non commentare, ma poi mi sono ricordato che Molly
tiene molto alla buona educazione.
“Hamish,
dovresti ringraziare. Tuo zio ci ha offerto un passaggio.”
“Grazie,
zio Myc.” ha detto rivolgendogli un sorriso fasullo di mezzo
secondo, prima di andare a prendere la sua valigia.
Decisamente
è mio figlio.
“Spero
farai qualcosa per limare questi lati rudi della sua educazione.”
“Io
li trovo affascinanti.”
“Non
avrai intenzione di permettergli di crescere così arrogante e
spocchioso!”
“Non
voglio rischiare di farlo assomigliare a te.”
“Sherlock,
non...”
“Ciao
Mycroft, salutami il Primo Ministro russo oggi pomeriggio.” l'ho
salutato scendendo dall'auto e raggiungendo Hamish che mi aspettava
con aria impaziente di fronte alla porta del 221b.
“Ho
suonato ma nessuno ha aperto. Che fine ha fatto quella brava
signora?”
“Mrs.
Hudson? Vive in campagna ora. Da più di un anno. Lì il clima è più
adatto a lei.”
“Peccato.
Era l'unica persona con cui si potesse parlare in questa casa.”
“Juliet
e Kenneth sono più grandi ora. Potrai parlare con loro.”
“Sono
solo dei bambini.”
“Hanno
solo un anno e mezzo meno di te.”
“Venti
mesi. Sono quasi due. E alla mia età è come essere di un'altra
generazione.”
Non
gli ho dato corda e ho aperto il portone. La casa era al buio. Hamish
si guardava intorno fingendosi annoiato, ma era evidente che era
curioso.
“La
casa è diversa.”
“Sì,
abbiamo fatto fare dei cambiamenti.”
“Perché?
A me piaceva come era prima.”
“Abbiamo
pensato fosse meglio avere una camera da letto in più per quando
saresti arrivato.”
“Tutto
questo per me? Sono commosso.” ha commentato con sarcasmo. “E
dove sono tutti?”
“Molly
è in obitorio, Juliet e Kenneth sono a scuola. Torneranno tutti tra
un paio d'ore.”
“Spero
non vorrai usare queste ore per socializzare o per farmi parlare
della mia
perdita,
perché non ne ho nessuna intenzione.”
“Non
ne ho mai dubitato, Hamish. Ti mostro la tua stanza.”
Siamo
saliti al piano di sopra e superata la porta, come
ogni volta che lo faccio nell'ultimo anno,
sono rimasto perplesso nel vedere come la ristrutturazione ha
cambiato la fisionomia della casa.
La
sala è stata dimezzata e lo spazio recuperato è diventato una
camera da letto, mentre la cucina è stata trasformata in un secondo
bagno. Sembra passata un'eternità da quando occupavo questo piano
con John e in seguito con Molly.
Ho
scortato Hamish e la sua valigia oltre la porta della nuova camera da
letto. Molly si era occupata di acquistare tutto il necessario per
renderla confortevole per un ragazzo di dodici anni, ma l'espressione
di Hamish era di disgusto.
“Non
mi piace.”
“Non
ci sono altre stanze.”
“Neanche
al piano di sotto?”
“No.”
“E
il seminterrato? Perché è chiuso a chiave? Hai anche tu una stanza
dei giochi come la aveva Lei?”
Ho
trattenuto un commento crudele e ho fatto un profondo respiro prima
di rispondere.
“È
il mio laboratorio. È chiuso a chiave per sicurezza.”
“Hai
un laboratorio in casa? Davvero? Posso vederlo?” ha chiesto con un
tono che non gli avevo mai sentito.
Faticavo
a crederlo, ma sembrava essere entusiasta.
“Non
è un posto per bambini.”
“Io
non sono un bambino!”
“No,
Hamish.”
“D'accordo...”
ha sbuffato lanciando la sua giacca sul letto. “Per un attimo ho
pensato che fossi interessante.”
Avrei
voluto replicare, ma poi ho rinunciato. Non sarebbe stato facile e io
non avevo idea di come comportarmi con una versione adolescente di
me.
Il
suono del campanello mi ha salvato dal dover affrontare la questione
nell'immediato.
Sono
sceso al piano di sotto e ho aperto la porta trovandomi di fronte
John.
“Finalmente.
Ho bisogno d'aiuto.”
“Non
mi dire! Siete già ai ferri corti?”
“Non
riesco... Non so come fare con lui. Kenneth non è così.”
“Certo,
perché quel ragazzo assomiglia a quella santa di tua moglie. Hamish
invece è il tuo ritratto e non solo nell'aspetto.”
“Non
ne hai idea. Avresti dovuto vedere come ha trattato Mycroft, anche se
devo dire che in quel momento sono stato molto orgoglioso di lui.”
ho detto trattenendo a stento una risata.
“Sherlock,
cerca di dargli il buon esempio!” mi ha rimproverato con aria
scioccata.
“L'ho
fatto! Te lo assicuro, ma avresti riso anche tu.”
“Non
ho dubbi. Comunque, ora dov'è?”
“Di
sopra, nella sua camera che non gli piace.”
“Davvero?
Come mai?”
“Non
ne ho idea.”
“Andiamo, siete uguali. A te piacerebbe quella
stanza?”
“No.”
“Perché?”
“Troppo
vicina alle scale, troppo di passaggio, troppa luce. Ed è arredata
in maniera troppo femminile.”
“Ecco,
hai appena risposto a ogni tuo quesito. Forza, accompagnami. Voglio
vederlo, scommetto che è diventato un gigante.”
“Credo
che sia alto quasi quanto te. Non è una grande altezza.”
“Grazie
per avermelo ricordato, Sherlock. Comunque, è tanto per un
dodicenne.”
Ho
alzato le spalle mentre lo guidavo su per le scale. Come me, anche
lui si guarda intorno sorpreso ogni volta che apriamo quella porta.
La camera di Hamish è chiusa, tento di aprirla ma è stata
girata la chiave. Trattengo un moto d'esasperazione e busso.
“Non
disturbare!” replica la voce di mio figlio dall'altra parte.
“Hamish,
John vuole vederti. Potresti uscire a salutare?”
La
porta si è aperta il tanto necessario da far passare la sua testa
riccioluta.
“Ciao,
zio John. Vedo che tua moglie è di nuovo incinta. Cos'è, il
quarto?”
John
ha sussultato, sorpreso, e mi ha guardato in maniera
interrogativa.
“Ciao Hamish. Sì, è il quarto. Sono curioso, da
cosa lo hai capito?”
“Tua
moglie ti ha vomitato sulle scarpe stamattina. Salutami la prole. Io
vado a riposare.” ha concluso richiudendo la porta a chiave in
maniera fulminea.
“Hamish!”
l'ho chiamato pur sapendo che non mi avrebbe mai ascoltato.
“Lascialo
stare, Sherlock. Dagli tempo.” mi ha consigliato John dandomi una
pacca sulla spalla.
Siamo
scesi di sotto e, prima ancora che me ne rendessi conto, lui aveva
preparato il tea e lo stavamo bevendo nelle nostre poltrone.
Sì,
le stesse.
Le avevamo portate nel salotto del piano di sotto quando avevamo
ristrutturato. Non ce la siamo sentita di buttar via quei cimeli.
“Ha
detto niente su sua madre?”
“No.
L'ha nominata un paio di volte ma in maniera molto distaccata. Solo
con Mycroft ha lasciato intendere che ne abbia sofferto, ma sospetto
fosse più che altro per irritarlo.”
“Ha passato l'ultimo anno
a vederla morire. Non deve essere stato facile. Devi essere
comprensivo.”
“Non
è questo. Lui era così anche prima. L'ultima volta che ci siamo
visti, lui ancora non sapeva che Irene aveva il cancro. Ti assicuro
che il suo atteggiamento era identico.”
“Questo
dipende dal fatto che ha ereditato il gene della sociopatia degli
Holmes. Non puoi certo fargliene una colpa.”
“Non
lo faccio. Temo solo che non andremo mai d'accordo.”
“Siete
troppo uguali, in effetti. Ma cerca di vedere le cose da un altro
punto di vista. Il fatto che voi siate così uguali ti può
permettere di capirlo meglio. Devi solo immedesimarti in lui. Sono
certo che potreste sfruttare i punti che avete in comune invece che
farli diventare un ostacolo.”
“Vuole
vedere il mio laboratorio. Credi che dovrei permetterglielo?”
“Oddio,
quello che temevo... Un altro che farà esplodere le cose, vero?”
ha esclamato alzando gli occhi al cielo. “Sì, certo che puoi
permetterglielo, ma solo in tua presenza e solo se prometti di non
fargli fare esperimenti potenzialmente pericolosi.”
“Credi
che lo lascerei rischiare la vita?”
“Credo
solo che tu abbia difficoltà a capire la differenza tra un
esperimento innocuo e uno pericoloso.”
“Grazie,
John, la tua fiducia in me è sempre gratificante.”
“Di
nulla.” ha replicato lui ridendo. “Ora vado. Come tuo figlio ha
brillantemente dedotto, ho una donna incinta che mi aspetta a casa.
Salutami Molly e i ragazzi.”
“Certo.
Anche tu.” ho risposto vago alzandomi in piedi e raggiungendo
l'angolo della sala dove poggia il mio violino.
L'ho
imbracciato e ho iniziato a suonare, immediatamente assorto nei miei
pensieri. Non ho nemmeno sentito chiudere la porta quando John è
andato via.
Quando
ho finito di suonare, mi sono voltato per riporre il violino e Hamish
era lì, che mi osservava.
“Non
ti avevo mai sentito suonare. Ero arrivato a credere che
Lei se
lo fosse inventato.”
“Vuoi
provare?” gli ho proposto notando come stringeva nervosamente le
mani.
“Io
non suono più. Lei
non te lo ha detto?”
“No.
Non mi aveva detto neanche che lo facessi, ma so che ti manca farlo.”
“Ho
giurato che non avrei più suonato e non ho intenzione di rimangiarmi
il giuramento.” ha dichiarato prima di tornare di sopra di corsa.
Ho
sentito sbattere la porta della sua camera proprio un attimo prima
che il portone di ingresso si aprisse e che Molly, Juliet e Kenneth
entrassero in casa.
I
ragazzi mi sono corsi incontro e mi hanno baciato brevemente, prima
di trasportare i sacchetti della spesa in cucina.
“Vedo
che tu ed Hamish andate d'amore e d'accordo come sempre.” ha
commentato mia moglie raggiungendomi e dandomi un bacio sulla
guancia.
“Non
va bene, in effetti.” ho sussurrato rassegnato.
“Jules,
Kenny, andate a salutare Hamish. E siate carini con lui.” ha
ordinato Molly ai nostri figli con un sorriso.
Loro
le hanno obbedito senza neanche battere ciglio. Così arrendevoli,
socievoli, solari, affettuosi. Esattamente come Molly. Così diversi
da me ed Hamish.
“Non
so se posso farcela.”
“Devi
solo avere pazienza. È un adolescente, e se questo non fosse già
fin troppo complicato, ha appena subito un tragico lutto. Senza
contare che è testardo come te... Andrà bene, ma devi dargli
tempo.”
“Anche
tu credi che mi somigli tanto?”
“Certo.
Quando ti ho conosciuto eri esattamente così, solo più alto. Poi,
quando hai incontrato John ti sei ammorbidito. Certo, anche la tua
morte
ha aiutato. E anche il fatto che sia venuta a letto con te. Ma queste
non sono cose che suggerirei per un dodicenne.”
Involontariamente,
sono scoppiato a ridere. Oh,
Molly. Cosa farei senza di te?
L'ho
abbracciata e l'ho baciata sulla fronte. Lei si è stretta a me e mi
ha messo le mani fra i capelli che ormai iniziano a imbiancarsi.
“Hamish
ha solo bisogno di trovare l'affetto e la famiglia che merita. Tu
l'hai trovata da adulto, ma non deve andare per forza così. Facciamo
in modo che lui si senta amato.”
Ho
annuito e l'ho stretta a me, sentendomi immediatamente meglio.
Siamo
rimasti abbracciati per un una decina di minuti e poi nostra figlia
ha deciso di interromperci.
“Mamma,
posso cambiare anche io stanza?”
“Come,
tesoro?”
“Hamish
e Kenny hanno fatto a cambio. Voglio cambiare anche io!”
Io
e Molly ci siamo guardati perplessi per qualche secondo.
“Puoi
controllare tu? Ti raggiungo fra qualche minuto.” mi ha chiesto
Molly con un sorriso comprensivo.
Sinceramente,
avrei preferito andare a cercare uno spillo in una fogna, ma
ho acconsentito.
Sono
salito al piano di sopra e ho aperto la porta della stanza che sino a
poco prima era di Hamish. Al suo interno c'era Kenneth, circondato
dalle sue cose che stava provvedendo a sistemare, sorridente.
“Che
succede?”
“Papà,
questa stanza è molto più bella! Da queste finestre si vedono le
stelle! Perché non me l'avevi detto?”
“Perché
non era necessario. Quelle finestre sono sempre state lì.”
“Non
me n'ero accorto! È stato Hamish a farmelo notare... E allora l'ho
pregato di fare a cambio! E lui ha accettato! Non è fantastico,
papà? È stato così gentile!”
Ho
sospirato. Mio figlio avrà anche i miei colori, ma per il resto,
soprattutto per l'ingenuità, è il ritratto di Molly.
“Certo,
come no. Ma lo avete fatto senza chiedere il permesso. Sei in
punizione.”
“Ma,
papà...”
“E
la tua punizione è leggere Le
avventure di Tom Sawyer
entro domenica. Forse così imparerai qualcosa.” ho concluso
richiudendo la porta.
Mi
vergognavo a pensare che mio figlio fosse cascato in un tranello così
banale. D'altra
parte, era stato l'altro mio figlio a farcelo cascare. Non
sapevo se essere orgoglioso dell'uno o deluso dell'altro.
Ho
raggiunto l'altra stanza, la
mia vecchia stanza,
che a quanto pare era diventata di Hamish.
Ho
bussato, sapendo che sarebbe stata sicuramente chiusa a chiave.
“Non
disturbare!” ha risposto dall'altra parte con tono seccato.
“Hamish,
se mi lasci entrare ti parlerò del mio laboratorio.”
La
porta si è aperta qualche secondo dopo. Mi ha fatto entrare e ha
richiuso la porta alle mie spalle.
Mi
sono guardato attorno. Non era cambiato molto da quando ci dormivo
io. Hamish non aveva tanta roba con sé, ma aveva già provveduto a
sistemarla negli armadi in maniera precisa. Sul comodino aveva posato
una foto di lui e sua madre insieme qualche anno prima. Accanto a
esso troneggiava Le
avventure di Tom Sawyer.
Casomai
avessi avuto qualche dubbio sul responsabile della geniale idea.
“Hai
imbrogliato tuo fratello.”
“Non
l'ho imbrogliato. Gli ho fatto notare che, per le sue esigenze,
quella stanza era più adatta a lui che a me. Gli ho illustrato i
pregi ed è stato proprio lui a proporre lo scambio. Se sono un
imbroglione, allora qualsiasi venditore e pubblicitario di questo
mondo lo è.”
“Questione
di opinioni, Tom
Sawyer.”
ho replicato guardandolo spazientito. “Tuo fratello capirà presto
cosa hai fatto e cercherà di riprendersi la stanza.”
“Non
lo farà. A lui piace davvero lì. Diceva che questa era troppo buia.
A me invece piace.”
“Va
bene.” ho replicato esasperato mentre mi avvicinavo al comodino per
prendere il libro e osservarlo, ma lui mi ha bloccato immediatamente
tagliandomi la strada.
“Non
toccarlo.”
“Non
ho intenzione di portartelo via, volevo solo vederlo.”
“Non
devi toccare le mie cose. Mai.
Soprattutto quel libro.” mi ha intimato con tono glaciale.
Ho
guardato quegli occhi uguali ai miei e ho visto di cosa si trattava.
Sentimenti.
Quel
libro era un ricordo, probabilmente di sua madre. La copertina
usurata e le pagine ingiallite erano la prova che fosse una vecchia
copia, letta tantissime volte.
“D'accordo,
Hamish. Non lo toccherò.”
Lui
si è rilassato, ma è rimasto a fissarmi con aria interrogativa.
“Pensavo
mi avresti parlato del laboratorio.”
“Dopo
cena vado a verificare degli esperimenti, vuoi farmi
compagnia?”
“Certo!” ha risposto subito con aria sorpresa ed
entusiasta.
“Non dovrai toccare nulla senza il mio permesso ed
essere molto attento.”
“Non sono un bambino.”
A
questo non ho risposto. Io lo vedevo uguale alla prima volta che l'ho
tenuto tra le braccia.
“Grazie,
Mr. Holmes.” ha detto quando mi sono voltato per uscire dalla
stanza.
Mi
sono bloccato. Sua madre mi aveva sempre chiamato così. Aveva usato
il mio nome pochissime volte, solo quando eravamo intimi.
“Tuo
fratello e tua sorella mi chiamano Papà.”
ho spiegato girandomi nuovamente verso di lui.
“Io
non sono come loro.”
“Lo
so. Ma non potresti trovare un altro modo con cui chiamarmi?”
“Mia
madre mi ha insegnato a non dare troppa confidenza agli
estranei.”
“Ma io non sono un estraneo.”
“Lo
sei. Anche se abbiamo il patrimonio genetico in comune.”
Risposta
degna di mio figlio.
Avrei
voluto ribattere, ma qualcuno stava bussando alla porta.
Era
Molly che veniva a salutare Hamish.
Prima
che lui riuscisse a dire ciao,
mia moglie lo aveva già stretto in un abbraccio. Il ragazzo era
rimasto impietrito, come se non sapesse come rispondere a un gesto
simile. Alla fine, titubante, le aveva messo una mano sulla schiena.
“Oh,
Hamish, come sei diventato alto! E sei sempre più bello...”
“Non
direi, Molly. Sembro uno strano incrocio tra più specie
animali.”
“Non dire sciocchezze. Sei uno spettacolo.”
Ho
visto mio figlio sorridere impercettibilmente e persino arrossire.
Non lo avrei mai creduto possibile.
“Ho
visto che hai cambiato stanza. Tuo fratello ne è entusiasta, e
tu?”
“Sì, mi piace di più qui.”
“Bene,
allora sarete tutti contenti.” ha concluso lei con un sorriso
affettuoso, fingendo di non sapere che era stata tutta opera del
ragazzo che aveva tra le braccia. “Sto preparando il tea, mi fai
compagnia?”
“Preferirei il caffè.”
“Sei
troppo giovane per quello.”
“Lo bevo già da due anni.”
“Beh,
in questa casa i minorenni non bevono caffè, e anche gli adulti non
devono esagerare...” ha aggiunto guardandomi di sottecchi con aria
di rimprovero. “Però posso farti un tea molto forte, che ne
pensi?”
“Non
so...”
“E ho anche comprato i dolcetti!”
“Dolcetti?
Al cioccolato?” ha chiesto lui improvvisamente interessato.
“Sì,
ne vuoi?”
E
poi, per la prima volta da anni, ho visto Hamish sorridere. Non
ricordavo l'ultima volta che era successo.
“Mi
piacciono i dolci al cioccolato.”
“Bene,
allora andiamo!” ha concluso lei mettendogli un braccio attorno
alle spalle e guidandolo fuori dalla stanza.
Estremamente
colpito dalle capacità di socializzazione di mia moglie, li ho
seguiti soddisfatto.
Molly
aveva ancora la facoltà di sorprendermi, anche dopo tanti anni.
Ma
forse non avrei dovuto. Anni fa è riuscita a entrare nel mio cuore
armata di pazienza e buone intenzioni, e da allora non ne è mai più
uscita.
Se
era vero che io e Hamish eravamo così uguali, solo lei poteva
conquistarlo.
La
cena non fu facile. Hamish sbocconcellava a mala pena, Kenneth invece
non faceva che parlare di quanto gli piacesse la sua nuova stanza,
mentre Juliet teneva il broncio per essere l'unica a non poter
cambiare camera da letto. Molly tentava pazientemente di fare da
paciere e, contemporaneamente, di far mangiare tutti, me compreso.
Io
non avevo molto appetito e osservavo mio figlio maggiore cercando di
dedurre qualcosa di utile a migliorare il nostro rapporto, ma non
riuscivo a notare altro se non quello che già sapevo.
“Sherlock?
Sherlock, sto parlando con te.” mi ha richiamato all'improvviso mia
moglie distraendomi dai miei pensieri.
“Sì,
certo. Dimmi, Molly.”
“Che
ne dici se domani andiamo tutti insieme a fare spese? I ragazzi
meritano un regalo, tutti e tre.”
“Ehm...
shopping? È necessaria la mia presenza?”
Molly
ha inclinato la testa e mi ha guardato con un leggero rimprovero.
Chiaramente, la risposta era sì. A quanto pare è una di quelle cose
che le famiglie fanno e che serve a restare unite. Non sono
d'accordo, ma se è Molly a chiedermelo non posso rifiutare.
“Certo,
naturalmente sì. Puoi contare su di me.” ho acconsentito infine
alzandomi da tavola.
Ho
lanciato un sorriso alla mia famiglia e mi sono diretto al mio
laboratorio. Stavo finendo di aprire il lucchetto quando mi sono
accorto di avere Hamish accanto.
“Avevi
detto che potevo venire con te.” si è giustificato.
“Accomodati
pure.” ho detto lasciandolo entrare per primo.
Quando
ho acceso le luci, i suoi occhi azzurri hanno iniziato a girare per
la stanza. Ha osservato il tavolo con i vari strumenti, le mensole
cariche di libri, le vetrine con i campioni di flora e fauna e ha
aperto il frigorifero per poi richiuderlo un secondo dopo con aria
disgustata.
“E'
un piede umano?”
“Non
fare domande sciocche, Hamish. Certo che è un piede umano.”
Lui
ha riaperto lentamente la porta del frigorifero e lo ha osservato
nuovamente. È rimasto impassibile per un minuto e poi,
incredibilmente, ha iniziato a ridere.
“Molly
ti procura queste cose dall'obitorio?”
“Pensi
forse che vada in giro la notte a tagliare i piedi alla gente?”
“No,
pensavo li rubassi dalle tombe come il Doctor Frankenstein.”
“Nelle
tombe sarebbero già deteriorati. A me servono freschi. Quello è il
piede di un uomo morto ieri.”
“Cosa
ci farai?”
“Lo
sezionerò e poi procederò a vari esperimenti sull'epidermide e
sulle ossa.”
“Lo
farai stasera?”
“Se
intendi dire se puoi assistere, la risposta è no. Mi distrarresti.”
“Starò
in silenzio.”
“Non
posso esserne certo, quindi per ora, se vuoi, puoi assistermi
nell'analisi di questo polline.”
“Polline?
Noioso!”
Mi
sono voltato a guardarlo. Incredibile come riuscisse a essere così
simile a me avendomi visto appena una decina di volte in tutta la sua
vita.
“Non
è noioso. Il polline può dire molte più cose di quelle che credi.
In svariati casi, del banale polline mi ha portato a scoprire un
terribile assassino.”
“Sì,
lo so. Ho letto il blog dello zio John.” ha risposto lui con tono
annoiato mentre osservava l'interno delle vetrine. “Quelle sono
api?”
“Sì.”
“E
quelli? Sembrano libellule.”
“Infatti
lo sono.”
“Scarafaggi?”
“Sì.”
“E
coleotteri. Sei proprio ossessionato dagli insetti.”
Ho
sospirato e ho ricordato a me stesso che si trattava di mio figlio e
che non era il caso di insultarlo.
“Hamish,
se vuoi puoi usare il microscopio. Posso darti dei campioni da
analizzare.”
“Non
voglio campioni già pronti, voglio qualcosa di nuovo! Qualcosa che
nemmeno tu sai cos'è.”
“Per
stasera dovrai accontentarti.”
Lui
ha sbuffato e si è seduto di fronte al microscopio più lontano dal
mio. Gli ho passato una scatola piena di vetrini pronti da
analizzare.
“E'
sangue?”
“Sì.”
Ha
alzato le spalle e ha iniziato a osservare i campioni regolando la
lente.
Ho
goduto del perfetto silenzio per circa dieci minuti, prima che
qualcuno bussasse alla porta.
“Sherlock,
hai visite.” ha annunciato Molly sparendo un secondo dopo.
Senza
neanche voltarmi sapevo esattamente di chi si trattava. Non molti mi
avrebbero cercato a quell'ora della sera e ancora meno avrebbero
portato quel profumo.
“Buonasera,
Ispettore.”
“Ciao,
Freak.”
ha esordito come sempre Sally Donovan mentre entrava nel laboratorio.
Nonostante
quello che è successo anni fa, non nutro risentimento nei confronti
di Sally e l'ho aiutata in moltissimi casi, permettendole anche di
arrivare alla sua tanto agognata promozione. Lei, d'altra parte,
continua a chiamarmi in quel modo per tentare di irritarmi e io
continuo a insultarla, ma ormai è solo uno scherzo tra noi.
“Ti
ricordi di mio figlio Hamish?” le ho domandato facendo un cenno con
la mano.
“Ma
certo. Lui è quello che vive in Australia.”
“Ehm...
vivevo. Salve, Ispettore Donovan.” l'ha salutata mio figlio con
tono incredibilmente gentile.
“Chiamami
Sally.” ha replicato lei con un sorriso.
“Donovan,
non che la tua insulsa presenza non mi faccia piacere... Beh, in
realtà non mi fa piacere. Comunque, in cosa posso aiutarti?”
“Avrei
bisogno di una mano. Un rapimento.”
“Mmm...
Noioso.”
“Si
tratta di un personaggio molto in vista... Ho davvero bisogno del tuo
aiuto.”
“Non
mi importa il CHI. Parlami del COME.”
“La
vittima è un giornalista di cronaca nera, Jeffrey Fisherman.
Stamattina si è recato nel suo ufficio al ventesimo piano di un
palazzo e si è chiuso a chiave, con le finestre che davano verso il
resto del piano oscurate. Non ne è uscito per tutto il giorno. Oggi
pomeriggio alle sei, nessuno lo aveva ancora visto. La sua segretaria
ha bussato ma non rispondeva. Preoccupata, ha usato le chiavi di
scorta, e ha trovato l'ufficio deserto. Sul computer c'era un post-it
che diceva solo Un
milione di sterline per rivederlo. Sono
stati fatti i controlli di routine. Non c'erano vie d'uscita da
quell'ufficio oltre alla porta, e le uniche impronte trovate sono
della vittima. Ti prego, vorresti dare un'occhiata?”
Mi
sono fermato a pensare. Non sarebbe stata la prima volta che indagavo
su sparizioni o omicidi avvenuti in luoghi chiusi o inaccessibili. Da
un certo punto di vista era un caso banale.
“Ti
prego, andiamo a vedere?” mi ha chiesto Hamish risvegliandomi dalle
mie riflessioni.
“Tu
non verresti in ogni caso.” ho replicato immediatamente e ho visto
il sorriso sul suo volto spegnersi.
“Perché?
Voglio solo dare un'occhiata!”
“Non
è un luogo per un adolescente.”
“Ma...”
“No,
Hamish. L'Ispettore Donovan non permette visite di minorenni sulle
scene del crimine.”
“In
realtà, per me non è un problema.” mi ha contraddetto un secondo
dopo Sally.
Quando
mi sono voltato a guardarla mi ha riservato il suo migliore sorriso
fedifrago.
“La
scientifica ha già finito, quindi non c'è rischio di inquinare la
scena. E poi sarebbe sotto la tua responsabilità.”
Le
ho lanciato uno sguardo irritato e lei ha riso. Si è sempre
divertita a mettermi in difficoltà.
“Hamish
non può venire in ogni caso. Deve riposare, ha fatto un lungo
viaggio.”
“Ho
dormito in aereo e mi bastano appena tre o quattro ore a notte.” ha
protestato ancora.
“No,
Hamish. Non intendo parlarne ancora.”
L'ho
visto irrigidirsi e stringere i pugni prima di uscire in tutta fretta
dal laboratorio. Poco dopo ho sentito i rumori dei suoi passi per le
scale e infine una porta che sbatteva.
“Complimenti.
Sei sempre così severo o solo con quel ragazzo?” ha domandato
Donovan con una strana smorfia.
“Cerco
di proteggerlo.”
“E'
davvero una scena innocua, per questo ti ho detto che potevi
portarlo.”
“Nessuna
scena del crimine è innocua. E ho promesso a sua madre che lo avrei
tenuto al sicuro.”
“Come
vuoi. Allora, verrai?”
“Mandami
l'indirizzo come messaggio. Ti raggiungo entro un'ora.”
Lei
ha annuito e se n'è andata con un rapido cenno di saluto con la
mano.
Ho
guardato l'ora. Era troppo tardi per chiamare John, ma potevo
provare. Era troppo tempo che non lo coinvolgevo in qualche indagine
ed ero sicuro che sarebbe stato felice di interrompere la sua noiosa
routine.
Mi
stavo infilando il cappotto e la sciarpa e mi sono recato in cucina a
salutare Molly. Era impegnata a lavare i piatti e nessuno dei ragazzi
era in vista. Lei era sovrappensiero e canticchiava. Ho sorriso
mentre pensavo a quanto dovevo a quella donna minuta che aveva
rivoluzionato la mia vita.
L’ho
raggiunta in silenzio e le ho circondato la vita con le braccia
affondando il viso nel suo collo e baciandole la pelle.
“Sherlock…”
ha sussurrato lei ridendo mentre voltava il viso all’indietro per
incontrare il mio. “Stai andando su una scena del crimine
vero?”
“Sì. Mi spiace, non so a che ora rientrerò.”
“Non
importa. Come è andata con Hamish? Il laboratorio gli piace?”
Ho
sospirato e ho abbassato lo sguardo.
“Sì,
credo. Voleva venire con me ma gli ho detto che non può. Non l’ha
presa bene.”
“Capisco.”
Ha annuito lei asciugandosi le mani e voltandosi verso di me. “Sei
sicuro che non possa?”
“Non
posso metterlo in pericolo.”
“Lo
so, ed è giusto che tu tenti di proteggerlo, ma stiamo parlando di
tuo figlio. Lo stesso ragazzo che due anni fa è scappato in Galles.
Ha il tuo stesso spirito ribelle e la tua testardaggine. Se non lo
porti tu in una scena del crimine, potrebbe cercare di andarci da
solo, ci hai mai pensato?”
“Tu
credi che dovrei accontentarlo?”
“Dove
ti è possibile, sì. D’altra parte lo porteresti in un posto pieno
di poliziotti.” Ha aggiunto alzando le spalle.
Ho
annuito e poi l’ho baciata sulle labbra.
“Grazie,
Molly Holmes.”
Lei
ha sorriso e poi mi ha dato una pacca sul fondo schiena come
incoraggiamento, come sua abitudine.
“Forza,
vai a chiamare Hamish.”
Sono
salito al primo piano e mi sono diretto verso la sua camera. Quando
ho bussato non ho avuto risposta.
“Hamish?
Senti, se vuoi puoi venire con me.” Ancora nessuna risposta.
“Hamish?”
Ho
aperto la porta e la stanza era vuota. Dalla finestra di quella
camera è impossibile scappare, ma ci sono altre finestre in casa. Ho
iniziato a controllarle tutte e alla fine l’ho trovato al piano di
sopra nella stanza di Juliet. Almeno non era fuggito e sembrava
stesse cercando di socializzare. Sua sorella gli stava mostrando il
suo computer. Lui si stava comportando bene ma la osservava con aria
annoiata e triste. Non era felice, non si sentiva a casa e
sicuramente gli mancava sua madre. Ho potuto leggere nei suoi occhi
così simili ai miei una profonda solitudine e per un attimo ho
ricordato cosa significa essere così giovane e non avere nessuno con
cui parlare.
“Hamish,
se sei ancora interessato, puoi venire con me.”
Alle
mie parole si è immediatamente raddrizzato e i suoi occhi si sono
spalancati.
“Davvero?”
“Sì,
ma dovrai fare esattamente quello che ti dico, nessuna iniziativa.
Sono stato chiaro?”
“Sì,
va bene!”
“Posso
venire anche io, papà?” ha implorato la mia piccola Juliet.
“Non
stasera, tesoro. Un’altra volta.” Le ho detto avvicinandomi a lei
e baciandole la fronte in segno di saluto.
Dopodiché,
io e Hamish siamo andati a recuperare la sua giacca e poi siamo
usciti di casa alla ricerca di un taxi.
Mentre
attendevamo, mi sono voltato a guardarlo. Aveva il viso colorito e
gli occhi luminosi. Forse per la prima volta, era felice in mia
compagnia.
“Dove
si trova la scena del crimine?”
“Nella
City. Prima però, dobbiamo passare a prendere John.”
“Non
potevi farti portare dalla macchina della polizia?”
“No. Io
non viaggio in quelle auto. Non sono uno di loro. Io arrivo e me ne
vado a mio piacimento.”
“Capisco.
Hai paura di essere scambiato per uno stupido Bobby.”
Ho
sorriso e, miracolosamente, lui ha ricambiato. Quando è arrivato il
taxi l’atmosfera era già più rilassata.
“Ogni
quanto ti capita? Di essere richiesto dalla polizia, intendo.”
“Un
paio di volte a settimana. E ricevo anche clienti privatamente.”
“Immagino
che ti frutti parecchio se hai potuto restaurare la casa…”
“Io
e Molly avevamo dei risparmi. E tuo zio Mycroft ha agevolato il tutto
facendo da tramite con l’impresa edile.”
“Sai,
Lei
mi ha nominato suo erede. A diciotto anni sarò ricco e me ne andrò.
Non manca molto.”
“Lo
so. Mi ha scritto una lettera qualche mese fa. Non è necessario che
tu te ne vada. Insomma, se non vuoi. Io e Molly siamo felici di
averti con noi. Fai parte della famiglia. Spero che tu lo sappia.”
Lui
ha alzato le spalle e ha guardato fuori dal finestrino.
Quando
siamo arrivati di fronte a casa di John, lui era già lì ad
aspettarci.
“Grazie
per avermi chiamato, stasera mio figlio ha deciso di provare la forza
delle sue corde vocali e non ha smesso nelle ultime tre ore.”
“Probabilmente
perché anche lui vorrebbe fuggire da casa tua.” ha commentato
Hamish con un sorriso sarcastico.
John
lo ha guardato stupito e poi è scoppiato a ridere. Ha incrociato il
mio sguardo come a voler dire “è proprio identico a te”.
“Comunque,
dove andiamo?”
“Nella
City, rapimento.” ho detto ragguagliandolo sui dettagli nel più
breve tempo possibile.
“Uomo
scomparso da una stanza vuota, eh? Mi pare una cosa familiare.”
“Lo
so. Probabilmente sarà banale, ma Donovan mi ha
implorato.”
“Immagino. Ti ha detto qualcosa di Greg? Dovevamo
vederci l'altra sera ma ha detto che non stava bene.”
“Non
gliel'ho chiesto.”
“Sherlock,
sarebbe carino ogni tanto se dimostrassi un minimo di interesse
almeno per i tuoi amici.”
Ho
alzato le spalle indifferente.
“Chi
è Greg?” ha domandato Hamish incuriosito.
“Greg
Lestrade. Lo hai conosciuto anni fa. É il marito di Sally Donovan.”
“Marito?
L'ispettore Donovan è sposata? Non porta la fede.”
Mi
sono voltato a guardare mio figlio, sembrava contrariato.
“No,
non la porta sul lavoro. Non vuole che la considerino “la moglie
del commissario capo”. Non vedo però perché questo dovrebbe
disturbarti tanto.”
Hamish
è arrossito all'improvviso e poi si è voltato verso il finestrino.
Confuso, ho incrociato lo sguardo con John che sorrideva
maliziosamente.
Oh,
certo. Cotta adolescenziale. Ma, per l'amor del cielo, perché
proprio Sally Donovan?
Ho
scosso la testa con un moto di rassegnazione ma finalmente eravamo
arrivati sulla scena del crimine.
Senza
dire una parola siamo saliti al ventesimo piano del palazzo e abbiamo
trovato dei poliziotti in divisa di guardia.
“L'Ispettore
Donovan mi attende.”
“Certo,
Mr. Holmes.” ha detto il giovane poliziotto con un mezzo inchino ma
si è bloccato quando ha visto mio figlio. “Non so se il ragazzo
possa...”
“Falli
passare, Stuart.” ha ordinato Sally da dentro l'ufficio.
L'agente
Stuart ci ha fatto passare con aria imbarazzata.
Siamo
entrati nell'ufficio di Fisherman e mi sono guardato attorno. La
scrivania era coperta di fogli. Ne ho preso qualcuno e li ho
studiati. Erano solo fotocopie delle trascrizioni del processo a un
pluriomicida, un certo Michael Barry. Ricordavo il caso ma non me ne
sono mai realmente interessato. Era fin troppo banale.
Ero
impegnato a leggere i documenti e a controllare eventuali tracce
sulla scrivania quando mi sono sentito strattonare.
“Sono
occupato.”
“Ehm,
forse dovresti dare un'occhiata lassù.” mi ha suggerito Hamish.
Mi
volto verso di lui e seguo il suo sguardo. Uno dei pannelli del
soffitto era leggermente aperto. Mi sono guardato intorno e ho
controllato la sedia. Impronte di scarpe. L'ho usata per arrampicarmi
e ho aperto il pannello scoprendo un condotto d'areazione abbastanza
grande da far passare un uomo adulto.
Sono
ridisceso dalla sedia soddisfatto e ho lanciato un sorriso a mio
figlio.
“Ottima
osservazione, Hamish. Ora scopriamo dove è andato a nascondersi.”
“Chi?”
ha domandato John confuso.
“Non
è ovvio?”
“Sherlock,
ti prego, sai che odio quando fai così. Di cosa parli?”
“Del
fatto che questo Fisherman ha inscenato il proprio rapimento.” ha
risposto Hamish al posto mio.
“Esatto.
Nessun impronta a parte le proprie e l'unico punto da cui poteva
uscire è il condotto d'areazione. Difficilmente dei rapitori
agirebbero così. È più logico pensare che lui abbia inscenato il
tutto. Il motivo probabilmente ha a che fare con una qualche frode.
Deve essere al verde. Rimane da capire dove si trova.” ho spiegato
a beneficio dei presenti mentre mi guardavo intorno alla ricerca di
un indizio.
Mi
sono inchinato e ho frugato nel cestino sino a trovare qualcosa. Un
appunto relativo a un indirizzo con data e orario, risalente solo al
giorno prima, e la calligrafia era molto simile a quella ridicola
richiesta di riscatto. Inoltre, c'erano degli scontrini di alcuni
negozi presenti nella stessa strada. Sembrava essersi temporaneamente
stabilito in un'altra zona della città. Infine, ho trovato il
biglietto da visita di un Bed&Breakfast nello stesso quartiere.
“Donovan!
Prova a cercare Fisherman in questo posto. Probabilmente sarà lì
sotto falso nome.” ho detto consegnandole il biglietto da visita.
“Sei
sicuro? Insomma, non puoi dare per scontato che...”
“Quante
volte mi sono sbagliato negli ultimi dieci anni?”
Lei
non ha replicato ma ha annuito ed è andata a fare una telefonata.
“Bene.
Qui abbiamo concluso. Che ne dite di andare a mangiare qualcosa?”
ho proposto di ottimo umore.
“Veramente,
se qui è tutto, dovrei rientrare a casa. Mary potrebbe avere bisogno
di me.”
“Oh,
John, sei stato fuori meno di un'ora. Puoi trattenerti ancora un po’!
Parlerò io con Mary.”
Lui
ha sbuffato e poi alla fine ha sorriso e annuito.
“D'accordo,
ma solo mezz'ora.”
“Bene.
Hamish! Andiamo.” l'ho chiamato ma solo a quel punto mi sono reso
conto che non era accanto a me. “Hamish?” ho riprovato ma non ho
avuto risposta. “Donovan! Dov'è mio figlio?” l'ho fermata mentre
stava per andare via.
“Era
lì con voi... Te
lo sei perso?”
ha esclamato stupita.
Ho
girato per l'ufficio deserto continuando a chiamarlo ma non ho avuto
risposta.
“Ehm,
Mr. Holmes?” mi ha chiamato l'agente Stuart. “Il ragazzo è
andato via.”
“Via?”
“E'
passato di qua ed ha preso l'ascensore. Non pensavo di doverlo
fermare...”
“Tu
hai visto un dodicenne andare in giro da solo in una scena del
crimine e non te ne sei preoccupato?” ha domandato infuriato John
prima di iniziare a insultare il giovane poliziotto e tutta Scotland
Yard.
Io
li ho ignorati e sono corso giù per le scale. Erano venti piani e ho
corso così tanto veloce che mi girava la testa. Quando sono arrivato
al piano terra avevo il fiatone, non sono più così giovane, e mi
sono guardato intorno sino a che non l'ho visto fuori per strada.
Sono uscito giusto in tempo per vederlo salire su un taxi e partire.
Mi sono messo a correre ma prima di riuscire a raggiungerlo aveva già
svoltato l'angolo e l'avevo perso in mezzo a degli autobus.
John
mi ha raggiunto con il fiatone e guardandosi intorno con aria
smarrita.
“Quel
ragazzo ci farà morire. Dove è andato?”
“Credo
di saperlo.” ho replicato fermando un taxi e salendo a bordo.
“Eaton Square, 44. Il più velocemente possibile.” ho ordinato
all'autista.
Quando
l'auto si è fermata, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo.
La strada non era cambiata molto, nonostante fossero passati quindici
anni. Riuscivo a leggere sul viso di John la stessa perplessità.
Siamo arrivati al portone e lo abbiamo trovato aperto. La casa era
buia e i mobili erano coperti da pesanti drappeggi.
“Hamish?
So che sei qui.” ho chiamato non ricevendo nessuna risposta.
Siamo
saliti al primo piano e alla fine lo abbiamo trovato in quella che
era stata la camera da letto di Irene.
Lui
era seduto sul vecchio letto e teneva fra le mani un mazzo di chiavi
e una foto, sul suo viso stava scendendo una lacrima.
Io
e John ci siamo fermati sulla porta, entrambi confusi, poi il mio
amico mi ha spinto in avanti e mi ha fatto un cenno con il capo verso
mio figlio.
“Cosa
dovrei fare?” ho sussurrato per non farmi sentire.
“Parlagli!”
mi ha intimato il mio amico altrettanto silenziosamente.
Ho
fatto qualche passo per la stanza e poi mi sono seduto accanto a lui.
“Questa
casa è mia. Posso stare qui quanto voglio, non devo chiedere il tuo
permesso.”
“Non
me lo aspetto, infatti. Solo, dovresti chiudere la porta, potrebbe
entrare chiunque.”
“Sapevo
mi avresti raggiunto.”
Ovviamente.
Mi sono voltato a guardare John e lui ha fatto un altro cenno con la
mano per invitarmi a continuare a parlare.
“Immagino
tu senta molto la sua mancanza.”
“Non
farlo. Non parlare di Lei.”
“Va
bene. Forse però dovresti parlarne tu.”
“Era
mia madre. L'unica persona al mondo che mi abbia mai amato ed ora è
sotto due metri di terra. Non penso di dover condividere altro con
te. Tu non l'hai mai amata o apprezzata. L'hai abbandonata. Sei
rimasto in contatto con lei solo a causa mia, perché ti sentivi in
dovere di farlo, ma non hai mai amato neanche me.”
Sono
rimasto in silenzio per un attimo, riflettendo sulle sue parole e su
come si fosse fatto un'idea simile, poi mi sono reso conto che era
del tutto naturale. Questo era quello che sembrava, in effetti.
“Ho
amato tua madre, ma poi è finita. Quando è successo non sapevo che
aspettasse te. E non mi sono tenuto in contatto per dovere,
ma perché dal primo momento che ti ho visto ho sentito un forte
legame fra noi, e ti ho amato dal primo istante. Puoi anche non
credermi, ma è così. So di non essere stato molto presente nella
tua vita, ma non ho mai voluto abbandonarti, spero che tu lo
comprenda. Ho pensato a te in ogni momento di ogni giorno negli
ultimi dodici anni. E, il fatto che abbia avuto una famiglia con
Molly, non ha attutito minimamente il dolore che provavo ogni
giorno.”
“Dolore?”
ha esclamato lui con rabbia alzandosi in piedi. “Cosa ne sai tu del
dolore? Io ho visto mia madre spegnersi un giorno dopo l'altro,
mentre sorrideva fingendo che andasse tutto bene per non
preoccuparmi. Sapeva di non ingannarmi ma non ha mai smesso. E quando
ha esalato l'ultimo respiro io ero lì a tenerle la mano! Se non hai
passato tutto questo non hai idea di cosa sia il dolore!” mi ha
urlato contro mentre le lacrime continuavano a sgorgare dai suoi
occhi e la voce si spezzava a ogni parola.
“Mi
dispiace.” ho detto sentendomi terribilmente in colpa. “So che
avrei dovuto esserti accanto. E so che hai sofferto più di quanto un
ragazzo della tua età dovrebbe. Se potessi fare qualcosa per
riportare in vita tua madre, lo farei.”
Lui
si è accasciato nuovamente nel letto e ha affondato il viso fra le
mani, sussultando per i singhiozzi.
“Dovresti
essere morto tu al suo posto.” ha balbettato tra le lacrime.
Mi
sono voltato a guardare John sulla porta e l'ho visto tirare su con
il naso, anche lui era commosso. Pensando a cosa avrebbe fatto Molly
al mio posto, con cautela ho messo un braccio attorno alle spalle di
mio figlio e lui non mi ha scacciato. Lentamente l'ho attirato a me e
l'ho abbracciato. Non si è ribellato e ha continuato a piangere
sulla mia spalla.
Il
viaggio di ritorno in taxi è stato molto silenzioso. Dopo aver
lasciato John a casa sua, Hamish si è chiuso nel suo mutismo
continuando ostinatamente a guardare fuori dal finestrino. Aveva
smesso di piangere da molto tempo, ma sembrava ancora più arrabbiato
di prima. Forse perché non desiderava mostrarmi le sue emozioni ed
era infuriato per aver ceduto di fronte a me.
Quando
siamo arrivati a Baker Street, prima di scendere dall'auto, mi ha
messo una mano sul braccio per fermarmi.
“Potresti
non raccontare a nessuno di quello che è successo? Per favore.” mi
ha chiesto evitando di incrociare i miei occhi.
“Non
ho intenzione di umiliarti. È una cosa che resta fra noi. E John non
ne parlerà a nessuno.”
Lui
ha annuito e ha sussurrato un Grazie
quasi impercettibile.
Quando
siamo entrati in casa ha iniziato a fare le scale senza una parola.
Sentivo di dover dire qualcosa, ma non ero certo di cosa esattamente.
Una sensazione davvero fastidiosa.
“Hamish?”
l'ho chiamato bloccandolo a metà della rampa di scale. “Se, ecco,
sentissi il bisogno di sfogarti, parlare o insultarmi, sappi che io
sono a tua disposizione.” ho detto infine, immaginando cosa avrei
voluto sentirmi dire al suo posto.
“Lo
terrò presente, Sherlock.” ha replicato chiamandomi per nome per
la prima volta.
Non
era ancora un Papà,
ma era meglio di un informale Mr.
Holmes.
Sbuffando,
mi sono tolto il cappotto e poi sono andato a sedermi sulla mia
poltrona. Morivo dalla voglia di suonare il violino, ma avrei
svegliato tutti. L'ho tenuto in grembo per un po' prima di metterlo
via e infine andare nella mia camera da letto.
Era
completamente al buio e l'unico suono presente, oltre al ticchettio
di una sveglia, era il regolare respiro di Molly. Mi sono spogliato e
mi sono infilato a letto, abbracciandola. Lei si è stretta a me
istintivamente e io ho affondato il viso fra i suoi capelli. Il suo
profumo mi ha sempre fatto stare meglio, soprattutto quando sono
irrequieto. Ha mugugnato il mio nome nel sonno e ho sorriso,
baciandole la fronte. Poi mi sono concentrato sul ritmico battito del
suo cuore e mi sono addormentato.
CONTINUA
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Capitolo 2 *** 2 ***
Eccoci
al secondo capitolo che conclude questa fic. In aggiunta ci sarà
solo un piccolo e (spero) divertente epilogo.
Ringrazio
chi ha letto il primo capitolo e ha deciso di proseguire.
Buona
lettura.
2
Ero
concentrato suonando il violino, quando un rumore mi ha interrotto.
Ho impiegato qualche istante a rendermi conto che era il portone di
ingresso. Un secondo dopo dei passi concitati salivano al primo
piano. E sapevo benissimo a chi appartenevano.
Ho
guardato l'ora. Era troppo presto. Hamish avrebbe dovuto essere
ancora a scuola.
Ho
poggiato il mio violino e sono salito al piano di sopra, raggiungendo
la porta della sua camera, e ho bussato.
“Hamish?
Perché non sei a scuola?”
“Lasciami
in pace!” ha urlato oltre la porta.
“Hamish,
la scuola chiamerà Molly dando l'allarme. Vorrei evitare che si
preoccupi, e credo anche tu.”
“Allora
puoi chiamarla e informarla che sono vivo e vegeto.”
“Vorrei
assicurarmene.”
Pochi
secondi dopo la chiave è stata girata nella serratura e sono
entrato. Mio figlio era steso nel letto, dandomi la schiena. Il suo
respiro era molto veloce e intravedevo un tremore nelle sue spalle.
“Cosa
è successo?”
“Niente!”
ha negato con eccessiva veemenza.
La
sua voce era diversa e non solo perché aveva sprofondato il viso sul
cuscino. Stava piangendo.
“Non
sei un ragazzo che piange per un niente.
Ti dispiacerebbe spiegarti?”
Finalmente
si è voltato e ho sussultato, sorpreso. Aveva un occhio cerchiato di
nero, il labbro spaccato e del sangue era colato dal naso. Le sue
mani erano piene di graffi e sbucciature. Chiaramente era finito in
mezzo a una rissa ed era stato in forte svantaggio.
“Quanti
erano?”
“È
importante?”
“Sì. Se eri in forte svantaggio potresti essere
stato ferito più seriamente di quanto appaia. Quanti erano?”
“Tre.”
“I
loro nomi?”
“Se
te lo dico domani saranno in cinque.”
“Pensavo
sapessi difenderti. Hai detto di essere cintura nera di karate.”
“Lo
sono, ma è inutile quando in due ti bloccano mani e piedi a terra
mentre il terzo ti prende a pugni. E mi hanno colto di sorpresa.”
“Forse
il karate non è sufficiente.” ho commentato ricordando quando io
alla sua età subivo le stesse angherie. “Vuoi cambiare
scuola?”
“No.”
“Vuoi
che parli con Scotland Yard o con Mycroft?”
“No.”
“Allora
dimmi cosa vuoi.”
“Voglio
solo che mi lasci in pace. Troverò il modo di cavarmela da solo,
come ho sempre fatto.”
Sono
rimasto a osservarlo in silenzio. Sapevo come si sentiva. Sapevo che
aveva bisogno di farcela con le sue forze. Non avrebbe mai accettato
il mio aiuto o quello di chiunque altro. A costo di tornare a casa
ogni giorno in quello stato.
“Molly,
darà la colpa a me, ne sono certo.” ho aggiunto pronto a lasciare
la stanza. “Devo comunque chiamare la scuola e avvisare che sei a
casa. Vuoi che parli al direttore di questa faccenda?”
“No.”
“Va
bene. Se dovessi cambiare idea o se avessi bisogno di qualcosa,
chiamami. Sono al piano di sotto.”
Lui
mi ha ignorato ed è sprofondato nuovamente nel suo cuscino. Ho
ridisceso le scale e ho preso il telefono dalla tasca. Un attimo dopo
stavo recitando la parte del padre che fa una sorpresa al figlio
passandolo a prendere durante l'ora del pranzo. Incredibile come
certe bugie vengano accettate così facilmente. Subito dopo ho
scritto un messaggio a Molly per avvisarla. Lei mi ha richiamato
immediatamente.
“Cosa
è successo?” ha chiesto ansiosa.
Anche
se Hamish non è suo figlio, tiene molto a lui. Sembra che cerchi di
dargli una maggiore dose di cure e affetto per compensare quello che
lei crede non abbia avuto sin ora. O forse è solo una reazione al
fatto che teme si senta diverso o trascurato rispetto a Juliet e
Kenneth.
“Aveva
solo bisogno di tornare a casa.” ho risposto cercando di
minimizzare.
“Sta
male?”
“Credo di sì.”
“Come
sarebbe
credo?
Non hai controllato se ha febbre?”
“No, Molly, non ha la
febbre. Credo che il suo malessere sia principalmente emotivo.”
“È
per via di Irene?”
“No.
Non credo.”
“Ma
allora... Cosa è successo?”
Ho
sospirato. Era necessario rivelare tutto, tanto prima o poi avrebbe
visto i lividi sul viso di Hamish.
“Ha
avuto un'animata discussione con dei compagni di scuola. Loro erano
in numero maggiore e lui ne è uscito sconfitto, sanguinante e
umiliato. Di conseguenza, non credo che il suo stato emotivo sia
buono, in questo momento.”
“Sanguinante?
Cosa gli hanno fatto?”
“Qualche
livido e dei graffi. Nulla che richieda una visita al pronto
soccorso, ma chiamerò John per un controllo.”
“D'accordo.
Fammi sapere cosa dice John.”
“Certo,
non preoccuparti.”
Dopo
aver rassicurato mia moglie, ho mandato un messaggio a John per
chiedergli di passare a casa appena possibile. Quindici minuti dopo
stava suonando alla porta.
“Niente
di grave.” Mi ha confermato John uscendo dalla camera di Hamish.
“Solo lividi e graffi.”
“Ho
preferito esserne sicuro.”
“Pensi
di fare qualcosa al riguardo?”
“Lui
non vuole che mi immischi. Vuole cavarsela da solo. E sinceramente
capisco le sue ragioni. D’altra parte, però, non posso lasciare
che torni a casa in queste condizioni o magari peggio.”
“Stai
elaborando un qualche piano, vero?” mi chiede con un sorriso
complice.
“Mi
infiltrerò a scuola con un travestimento, per tenerlo d’occhio.”
“E
cosa farai se dovesse essere attaccato?”
“Troverò
dei diversivi senza rivelare la mia identità.” gli ho spiegato
facendo spallucce.
“E
come pensi di risolvere la questione facendo in modo che Hamish creda
di essersela cavata da solo?”
“Sto
ancora riflettendo su questo aspetto.” ho confessato cercando di
valutare tutte le opzioni a me disponibili. “Tu cosa faresti?” ho
domandato infine.
“Raccoglierei
informazioni compromettenti su quei bulletti e poi le userei per
costringerli a smettere.”
“Ho
decisamente avuto un cattivo influsso su di te, John Watson.” ho
commentato senza riuscire a trattenere una risata. “Comunque, è
una delle opzioni che ho valutato. Quello che ancora non so e come
evitare di distruggere l’autostima di mio figlio.”
“Senti,
ha avuto una giornata pesante, perché stasera non gli concedi un po’
di svago?”
“Cosa
propone, Dottore?”
“Io
porto i miei due più grandi al cinema, perché non vieni anche tu
con i tuoi?”
“E
Molly?”
“Magari potrebbe fare compagnia a Mary. Le farebbe
sicuramente piacere avere una serata per chiacchierare con un’amica.”
“Capisco.
Cinema, quindi? Non è un po’ sorpassato?”
“Più
che altro è una scusa per fargli mettere il muso fuori casa. E se ci
saranno anche i tuoi figli è un occasione per socializzare.”
“Lo
sarebbe soprattutto per Hamish... D’accordo.” ho acconsentito in
fine con un sospiro.
“Decisamente
una trama infantile e piena di personaggi assurdi.”
“Sherlock,
era un film fantasy!”
“I
dialoghi non erano male.”
“Sia lodato il Cielo! Sherlock ha
trovato un lato positivo!”
“Non
è necessario tutto questo sarcasmo, John.” Ho replicato
infastidito.
“Sherlock,
ringrazia il cielo che i bambini sono abbastanza grandi perché
saresti impazzito con i film che mi costringevano a vedere solo poco
tempo fa.”
“Kenneth
e Juliet non hanno mai guardato certe sciocchezze.”
“Sì,
invece, solo che tu ti estranei come sempre e non te ne sei nemmeno
accorto.” Ha ribattuto ridendo. “E Hamish? Gli è piaciuto il
film?”
Ci
siamo voltati a cercarlo ma era sparito. Ho sospirato. John ha
proseguito verso la pizzeria con i ragazzi mentre io sono andato alla
sua ricerca. L’ho trovato poco distante, sulla porta di un
ristorante asiatico.
“Hamish,
che fai?”
“Non mi va la pizza. Preferisco il sushi.”
“Non
so se gli altri sarebbero disposti a…”
“Non importa. Posso
mangiare anche da solo.”
“Lo
scopo di questa serata era socializzare. Pensavo che i piccoli Watson
ti fossero simpatici.”
“Sono OK. Ma Jack parla sempre dei suoi
allenamenti di calcio e Harriet mi saltella intorno come un
cucciolo.”
“Evidentemente le piaci. Non ne sei contento?”
“È
solo una bambina.” Ha risposto con una smorfia.
“Comunque,
Hamish, preferirei che cenassi con tutti noi in pizzeria.”
“Immagino
che non mi lascerai in pace se non lo faccio.”
“In
breve, no.”
Lui
ha sbuffato e poi si è messo in cammino verso la pizzeria mentre io
lo seguivo poco distante.
“In
merito a quel tuo problema…” ho esordito approfittando del fatto
che fossimo soli. “Come pensi di risolverlo?”
“Non
è affar tuo.”
“Molly
mi farà il terzo grado, voglio solo sapere cosa dirle.”
“Puoi
mentire. Sei bravo a farlo.” ha replicato con sufficienza.
“Per
dire delle bugie credibili bisogna conoscere la verità.”
Lui
ha esitato, guardandosi intorno per prendere tempo, sino ad
arrendersi quando ha capito di non avere scelta.
“Ho
intenzione di sfidare il capo di quei bulli in uno scontro leale.
Solo noi due. Senza i suoi guardaspalle non ha possibilità di
vincere. Lo umilierò pubblicamente.”
“Pensi
che questo sarà sufficiente?”
“Lo
spero. È l’unico modo per far smettere loro o chiunque altro
voglia importunarmi. O hai forse qualche altra idea?”
“Secondo
John potresti raccogliere informazioni compromettenti su di loro e
convincerli a smettere.”
“Credi che non ci abbia già pensato?
Mia madre mi ha insegnato l’importanza di certe… informazioni.”
“Ovviamente.”
Ho ammesso proprio quando siamo arrivati di fronte alla porta della
pizzeria. “In ogni caso, se dovessi avere bisogno di supporto in
qualsiasi frangente, devi solo chiedere. Non giudicherò le tue
decisioni. Farò solo quello che mi chiederai.”
“Non
sarà necessario, ma grazie.” ha risposto con lo sguardo basso
mentre entrava nel locale della pizzeria.
Quando
siamo tornati a casa, Molly ci ha accolto con baci e abbracci come al
solito.
“Allora,
come era il film?”
“Bellissimo mamma!” ha commentato subito
Kenneth con il suo solito entusiasmo.
“Sarebbe
piaciuto anche a te!” gli ha dato man forte Juliet.
“Ne
sono certa. E tu che dici, Hamish? Ti è piaciuto?”
Mio
figlio ha alzato lo sguardo mostrando finalmente il suo viso e Molly
ha trattenuto un sussulto. Non si aspettava di vederlo conciato così
male, chiaramente.
“Il
libro è meglio.” ha risposto lui con sufficienza.
“Ne
sono sicura. Ti va di raccontarmi le differenze di fronte a una tazza
di tea?” ha proposto mia moglie circondandolo con un braccio e
guidandolo verso la cucina.
Li
ho guardati allontanarsi chiedendomi se Molly non sia la medicina
giusta per lui. In fondo, io sono sempre stato un disastro e se non
fosse stato per lei, per John e Mrs.Hudson, probabilmente sarei morto
solo in una stanza buia abbracciato al mio violino.
“Papà?”
mi ha strappato ai miei pensieri Juliet. “Suoni per me?”
“Certo.
Cosa vuoi sentire?”
“Qualcosa
di romantico!”
“Romantico?”
ho domandato un tantino disgustato. “Di nuovo?”
“Sì,
papà, ti prego! Quella che hai scritto tu...”
Ho
sospirato. Sapevo bene quale musica intendeva ma, anche se l'avevo
scritta io, non mi piaceva suonarla. Era la musica di Irene. Juliet,
però, sa essere molto convincente con quegli occhioni castani
striati di verde.
“D'accordo.”
Ho
iniziato a suonarla cercando di non pensare al momento in cui l'avevo
scritta. Era una musica da veglia funebre ed esprimeva tutto il
dolore che avevo provato in quel momento. E anche i sentimenti che
avevo sentito nascere in me. Non li provavo più, ormai, ma la
recente morte di Irene mi rendeva triste. Non l'amavo, non come lei
amava me, ma eravamo legati, e non solo per Hamish. C'era sempre
stata un'intesa fra noi. Anche se avevo cercato di nasconderlo anche
a me stesso, la sua morte mi aveva turbato molto, riportandomi alla
mente quella notte di Natale di circa quindici anni prima, quando ho
creduto di vederla sul tavolo dell'obitorio.
Avevo
iniziato a suonare da circa trenta secondi quando Hamish è entrato
nella sala. Il suo sguardo era furente. Stringeva i pugni come se
volesse colpirmi.
Non
poteva essere per la musica, lui non sapeva...
Vederlo
correre via con le lacrime agli occhi ha smentito immediatamente ogni
mia teoria. Lui
sapeva.
Molly
lo ha seguito confusa, e poco dopo l'ho fatto anche io. Si era chiuso
in camera da letto e lei lo implorava di lasciarla entrare.
“Molly,
credo sia colpa mia.”
“Ma
era tranquillo, stavamo parlando... Non capisco.”
“Era
la musica di Irene.”
Lei
mi ha lanciato uno sguardo di rimprovero. Uno di quelli che
significano Come
ti è venuto in mente?
e che generalmente vengono seguiti dallo sguardo Sistema
le cose immediatamente! E
così infatti è stato, come da copione.
“Hamish?”
ho bussato alla porta. “Credo che dovremmo parlare di quella
musica. Posso entrare?”
Lui
non ha risposto ma ha aperto la porta. Ho fatto cenno a Molly di
attendere ma lei mi risposto con uno sguardo che significava Te
lo puoi scordare!
Siamo
entrati in camera e lo abbiamo trovato seduto sull'altro lato del
letto, dandoci le spalle.
“Non
sapevo che conoscessi quella musica.”
“Lei
aveva degli spartiti e mi chiedeva sempre di suonarli. Erano scritti
a mano. A questo punto credo che fossero tuoi. Deve averteli rubati.”
“Probabile.
D'altra parte, non si può rubare ciò che ci appartiene.”
“Cosa
vuoi dire?”
“Era sua. L'ho scritta per lei molti anni fa.
Molto prima che tu nascessi.”
“Perché?”
“Perché
credevo che fosse morta ed ero molto triste.”
“Quando
l'hai scritta, la amavi?”
Ho
esitato prima di rispondere, e non solo per la presenza di Molly. Il
fatto era che non lo sapevo. Avevo provato un sentimento per lei, ma
probabilmente non era amore perché era molto diverso da quello che
ho provato e che ancora provo per Molly.
Mi
sono voltato verso mia moglie che mi ha sorriso e mi ha fatto un
gesto di incoraggiamento.
“Sì,
l'amavo, anche se la conoscevo appena.”
“Allora,
ogni volta che suoni quella musica...
“Ripenso
a Irene.”
“E
soffri per la sua morte?”
“Sì,
anche se in modo diverso da te.” Ho ammesso con un sospiro.
Lui
si è alzato in piedi e ha girato intorno al letto per venire
incontro a noi.
“Tu
non la ami più, eppure suoni la sua musica e soffri per lei. Come
puoi fare questo a Molly?”
“Hamish,
tesoro, tutti abbiamo un passato. Io ho avuto dei fidanzati prima di
Sherlock, quindi non lo biasimo se lui ricorda con affetto tua
madre.” ha spiegato Molly togliendomi dall'imbarazzo di formulare
una risposta. “E anche io ero affezionata a lei. Certo, non eravamo
proprio amiche, ma ci rispettavamo. Anche per me è stato doloroso
sapere della sua morte.”
Hamish
si è seduto nuovamente sul letto e ha iniziato a piangere. Proprio
come la sera che è scappato nella vecchia casa di Irene. Molly gli
si è seduta accanto abbracciandolo, accarezzandogli i capelli e
sussurrandogli parole di conforto.
Io
sono rimasto immobile a osservarli, incapace di capire come avrei
potuto inserirmi in quel quadro. Poi, come sempre, è stata Molly a
risolvere la questione. Mi ha fatto cenno di avvicinarmi e di sedermi
accanto a Hamish e ci ha abbracciati entrambi.
“Ascoltatemi
voi due. Entrambi avete sofferto, ma questa non è una gara. Siamo
una famiglia e ci sosteniamo a vicenda. D'accordo?”
Incredibilmente,
Hamish ha annuito tirando su con il naso. Molly mi ha indirizzato un
sorriso e anche io ho annuito.
Pian
piano, grazie a Molly, stavo recuperando il rapporto con mio figlio.
Quando,
dopo aver salutato i ragazzi, Molly mi ha raggiunto a letto, prima
che potesse dire qualunque cosa, l'ho attirata a me e l'ho baciata.
“Cos'è
tutto questo entusiasmo?” mi ha domandato sorridente.
“Tu
mi hai salvato, Molly Holmes. Continui a farlo ogni giorno e ora stai
salvando anche Hamish. Non penso che potrei amarti di più di quanto
ti amo in questo momento.”
Mi
ha circondato il viso con le mani e mi ha baciato con dolcezza.
“Non
devi pensare che sia altruista. Lo faccio solo perché ho paura di
perdere la cosa più bella della mia vita.”
“Allora
siamo entrambi molto, molto, molto egoisti.”
Siamo
scoppiati a ridere e poi lei si è accovacciata contro di me,
circondandomi il collo con le braccia e ha unito la fronte alla mia.
“Sherlock
Holmes, ti amo più della mia stessa vita.”
Non
ho risposto ma sono rotolato su di lei, baciandole il viso, i
capelli, il collo. Le nostre mani si cercavano come la prima volta e
abbiamo fatto l'amore, con la stessa passione.
Dopo,
lei si è accoccolata contro di me, i battiti dei nostri cuori e i
respiri all'unisono, e si è addormentata.
“Molly
Holmes, anche io ti amo più della mia stessa vita.” ho sussurrato
fra i suoi capelli poco prima di cedere anche io alla stanchezza.
*
I
pranzi di famiglia sono sempre rumorosi e noiosi, ma non avevo potuto
evitare di presenziare. Era il compleanno di Mrs. Hudson e Molly e
Mary avevano imposto la presenza di tutti. Non erano accettate scuse
di nessun genere.
E
così abbiamo noleggiato un pulmino che ha trasportato la tribù
Holmes – Watson al cottage di Mrs. Hudson. Lei era estremamente
felice di vederci. Nonostante l’abbia trovata invecchiata e
smagrita, mi ha stretto in un abbraccio soffocante per diversi
secondi. È stata disposta a liberarmi solo quando ha posato lo
sguardo su Hamish. Le sono venute le lacrime agli occhi nel
riconoscere il bambino che aveva visto solo raramente e che aveva
sempre adorato come se fosse suo nipote.
D’altra
parte, da quando anche sua sorella è morta, per lei noi siamo la sua
unica famiglia.
Era
il suo compleanno ma, entusiasta e instancabile, aveva cucinato
leccornie degne della corte di un re. E anche se noi le avevamo detto
che essendo la sua festa non era necessario, aveva insistito per
preparare tutti i nostri piatti preferiti.
Il
clima era favorevole e lei non ha perso l’occasione di organizzare
un festoso pranzo in giardino. I bambini hanno urlato e giocato per
tutto il tempo e la mia unica salvezza, quando non riuscivo a
isolarmi da quel frastuono in cerca di respiro, era chiudermi nel mio
Mind Palace. Fortunatamente, al primo momento di distrazione delle
nostre mogli, io e John siamo riusciti ad allontanarci indisturbati
dalla tavola e abbiamo fatto una passeggiata nel boschetto vicino.
“Oh,
John, tutto questo mi uccide. Sono certo di aver percepito il mio
cervello atrofizzarsi nelle ultime due ore.”
“Esagerato.
È solo un pranzo. Mrs. Hudson è felice, e anche le nostre mogli. I
ragazzi prendono un po' d'aria e stanno all'aperto. Noi possiamo
tollerarlo per qualche ora, siamo grandi e vaccinati.”
“John,
come semplifichi le cose. Evidentemente il tuo cervello è a suo agio
con l'inutilizzo.”
“Grazie,
Sherlock. È sempre bello sentirmi fare certi complimenti.” Ha
replicato con offeso sarcasmo.
“Sai
cosa intendo.
Tu riesci a rilassarti, a smettere di pensare. Io non ce la faccio. A
volte sono così impegnato a riflettere che per giorni nemmeno vedo i
miei figli, anche se loro girano per casa come sempre. Sono davvero
un pessimo genitore e un orribile marito.”
“Molly
non si lamenta. E i tuoi figli sembrano felici.”
“Hamish non
lo è.”
“Hamish non lo è mai stato. Seriamente, Sherlock,
quando lo hai mai visto felice? Intendo anche prima della morte di
Irene.”
“Quando
era piccolo. Prima che si rendesse conto di chi ero io. Ed è questo
il punto. Sono io a renderlo infelice. Mi detesta. Gli ricordo che
l'unico genitore che gli è rimasto è quello sbagliato.”
“Non
dire sciocchezze. Non ti detesta. Fate fatica a comunicare, è vero,
ma qualsiasi adolescente ha questi problemi con i genitori. Io ho
odiato mio padre da quando avevo undici anni sino alla laurea. Poi le
cose cambiano. Si cresce. E anche tuo figlio crescendo capirà che tu
non sei il nemico. Sino ad allora devi avere molta pazienza.”
“Come
ben sai, la pazienza non è una mia virtù.” Ho commentato con un
sospiro di rassegnazione.
“Ci
puoi lavorare. Quando ti ho conosciuto non sapevi nemmeno cosa
significasse pazientare. Non avresti mai partecipato a un pranzo come
questo nemmeno sotto tortura. Con gli anni sei cambiato, e hai
imparato a essere meno rigido. Di questo, sono certo, non smetterò
mai di ringraziare quella santa donna di tua moglie.”
“Lei,
invece, ritiene sia merito tuo.”
Ci
siamo guardati e abbiamo riso, ricordando i vecchi tempi e le nostre
avventure spericolate. E ho ripensato a come era la mia vita, quando
non avevo John e Molly. Mi piacerebbe prendermi il merito di miei
eventuali miglioramenti, ma sarebbe una bugia. È stato
esclusivamente merito loro.
“John,
tu credi davvero che possa riuscire a farcela con Hamish?” ho
chiesto ritornando con la mente al problema che mi affliggeva da
quando avevo saputo che sarebbe venuto a vivere con noi.
“Certo.”
ha risposto dandomi una pacca sulla spalla. “Io credo in Sherlock
Holmes. L'ho sempre fatto.”
Ho
sorriso alla sua incontrastata fiducia e abbiamo ripreso a camminare
tornando verso il cottage. Mancava poco quando ho visto un'ombra fra
gli alberi e ho bloccato John facendogli cenno di fare silenzio.
“Hamish!
Hamish, aspettami!” urlava la voce di Harriet poco lontano.
Poco
dopo, l'abbiamo vista arrivare con il suo maglioncino rosso che
rincorreva una figura scura poco distante. Mio figlio, ovviamente.
Li
abbiamo seguiti in silenzio e li abbiamo visti fermarsi vicino a un
ruscello, dopo di che ci siamo nascosti dietro un albero.
“Hamish,
perché non mi hai aspettato?”
“Volevo restare solo.”
“Tu
vuoi sempre stare solo.” ha replicato la bambina sedendosi a terra
accanto a lui.
“Sai,
visto che sai che voglio stare solo, potresti davvero
lasciarmi solo!”
“No.
Voglio stare sola con te.”
“Harriet,
sai cosa significa stare soli?”
“Certo.
Stiamo seduti e non parliamo. Shhh.” ha spiegato lei portandosi
l'indice alla bocca.
Hamish
ha scosso la testa e poi si è reclinato all'indietro poggiando la
testa ricciuta sulla roccia alle sue spalle. Ha chiuso gli occhi
mentre un timido sole gli illuminava il volto pallido e faceva
brillare i suoi capelli dai riflessi rossi. La bambina, d'altro
canto, era rimasta immobile a guardarlo, incantata. E poi, come se
fosse il personaggio di una fiaba, si è sporta verso di lui e lo ha
baciato sulla guancia.
Hamish
si è raddrizzato all'improvviso per la sorpresa, con il volto rosso
per l'imbarazzo.
“Cosa
fai?”
“Ti
ho dato un bacio. Ora sei il mio principe.”
“Io non sono un
principe, e tanto meno il tuo.”
“Sì
che sei un principe.” ha commentato Harriet ridendo. “Tu sei
bello e i principi sono belli, quindi sei un principe.”
“I
principi delle favole non esistono, e se esistessero io non sarei uno
di loro. Piuttosto preferirei essere il cattivo. Uno stregone
malvagio o un drago che mangia i bambini.”
“No, Hamish, no! I
cattivi muoiono sempre.”
“Anche
i buoni muoiono.”
“Ma
poi arriva la fatina e...”
“No, Harriet! Non ci sono fatine!
Non ci sono principi o principesse! Le persone buone muoiono e quelle
cattive no! Rassegnati!”
La
bambina è rimasta a guardarlo per qualche secondo mentre gli occhi
le si riempivano di lacrime.
“Sei
cattivo. Non sei un principe. Non ti voglio più.” ha detto
alzandosi e poi correndo via in lacrime.
John
mi ha lanciato uno sguardo preoccupato e poi l'ha seguita per
consolarla, mentre io ho raggiunto Hamish.
“Sei
stato crudele. Come mi hai detto tu solo un paio di giorni fa, è
solo una bambina.”
“Beh,
meglio per lei che inizi a capire subito come va il mondo. È troppo
ingenua.”
Ho
fatto qualche passo nella sua direzione sino trovarmi a poco più di
un metro da lui.
“Come
ho imparato a mie spese con gli anni, il fatto di sapere una verità
non ci da il diritto di usarla contro gli altri. Ci sono molti modi
per dire la stessa cosa, sai?”
“Nessuno
di essi è così rapido per sbarazzarsi di bambine
petulanti.”
“Questo è vero, ma se fai così ti ritroverai a
restare solo, e finirai per rimpiangere quella bambina petulante che
ti venerava.”
“E
tu come lo sai?” ha risposto con una cinica risatina beffarda.
“Perché
anche io ho avuto la mia bambina
petulante
fra i piedi. E la insultavo per allontanarla, ma lei tornava sempre.
Sino a che un giorno ha trovato qualcun altro, e allora ho capito
quanto mi mancava.” Ho spiegato non potendo evitare un sorriso
nostalgico.
“E
cosa hai fatto?”
“L'ho sposata.” ho risposto ridendo e,
incredibilmente, Hamish mi ha imitato. “Ora torniamo indietro.
Credo che sia quasi ora della torta.”
Lui
si è alzato e ha iniziato a camminare lentamente accanto a me.
“Sherlock?”
mi ha chiamato dopo diversi minuti di silenzio. “Domani sfiderò
quel bullo a scuola.”
“Bene.
Ci sarò.”
“Qualsiasi
cosa succeda, ti prego, non intervenire.”
“Non
ho intenzione di interrompere un incontro leale con le mie ansie
paterne. Ma mi assicurerò che vengano seguite le regole.”
“Ti
travestirai?”
“Se questo può farti sentire meglio,
sì.”
“Preferirei. E non dirmi come.”
“D'accordo.”
“Ma,
magari... Quando l'incontro sarà finito, magari,
potresti raggiungermi.”
Mi
sono fermato e mi sono voltato per guardarlo.
“Con
estremo piacere.”
Lui
ha abbozzato un sorriso e ha ripreso a camminare. Io l'ho imitato
poco dopo.
*
Entrare
in una scuola e infiltrarsi non è difficile, basta trovare il
momento e il modo giusto. Arrivare la mattina, prima dell’apertura
agli studenti, con una divisa da lavoro, era il modo che avevo
scelto. Chi mi avesse visto avrebbe pensato che fossi l’ennesimo
tuttofare precario. Degli spessi occhiali e un finto pizzetto grigio
di media lunghezza, hanno fatto il resto. Così conciato potevo
girare indisturbato per i corridoi e i locali della scuola. Quando
sono arrivati gli studenti mi sono appostato nel giardino, fingendo
di raccogliere delle foglie, e ho osservato l’arrivo di Hamish.
Come sempre, camminava con passo spedito e deciso, ma quella mattina
c'era qualcosa di diverso nel suo sguardo. Qualcosa che avevo solo
intravisto quando era arrabbiato con me. Era odio. Era desiderio di
vendetta. Avrebbe fatto qualunque cosa per raggiungere il suo scopo.
Hamish può aver preso molto da me, compresa la testardaggine, ma
quello che vedevo in quel momento non mi apparteneva. Quello sguardo
era quello di Irene.
L'ho
guardato raggiungere un gruppetto di ragazzi e fermarsi a parlare con
loro. Da quella distanza non riuscivo a sentire e così, con aria
innocente e casuale, mi sono avvicinato maggiormente.
“Non
ci vengo a un appuntamento con te, Principessa.”
lo aveva apostrofato il ragazzo più alto.
“Non
è un appuntamento, Simon. Ti sto sfidando a un incontro di lotta.
Solo tu ed io.”
“Ci
tieni così tanto a mettermi le mani addosso, vero?” ha ridacchiato
l'altro trascinando con se i suoi due amici accanto.
Leccapiedi.
“In
realtà, preferirei mettere entrambe le mani nell'acido solforico
piuttosto che toccarti.” ha risposto mio figlio con tono serio e
altezzoso. “Se non accetti la sfida, tutta la scuola saprà che sei
un vigliacco e non farai più paura nemmeno ai bambini di prima
elementare. E se non accetti di batterti da solo, senza i tuoi
gorilla come guardaspalle, sarai ugualmente considerato un
vigliacco.”
“Non
me ne importa niente, tanto nessuno ti ascolta, Freak.”
“Vero.
Ecco perché l'invito per la sfida è partito dal tuo profilo
Facebook esattamente... ora.”
ha annunciato dopo una rapida occhiata al suo orologio da polso.
“Cosa?”
ha esclamato l'altro irrigidendosi. “Che cazzo hai fatto, schifoso
nerd?”
“Nulla
che chiunque con un quoziente intellettivo superiore alla media non
avrebbe fatto. E, per inciso, usare come password il nome della
ragazza con cui cerchi di uscire è piuttosto prevedibile. Nessuno ti
ha insegnato come creare una password sicura? Dove sei cresciuto? In
Amazzonia?”
Il
ragazzo di fronte a lui lo ha afferrato per il collo, attirandolo a
sé strattonando il colletto della camicia.
“Maledetto
figlio di...”
“Se
vuoi davvero picchiarmi, l'appuntamento è in palestra all'ora di
pranzo. E, per il tuo bene, ti consiglio di non finire neanche con il
pensiero quella frase.”
Così
dicendo si è liberato e si è allontanato di qualche metro per poi
fermarsi qualche secondo dopo e voltarsi nuovamente verso il
gruppetto.
“Tutta
la scuola accetterà l'invito. Non tardare.” ha aggiunto prima di
allontanarsi con passo deciso e lasciando quei tre a schiumare di
rabbia.
Ho
trattenuto a mala pena un sorriso. Ero davvero orgoglioso di lui.
All'ora
di pranzo la palestra era piena di ragazzini di tutte le età. A
quanto pareva, l'invito era stato ricevuto e accettato da tutti. Al
centro della palestra era stato sistemato un tappeto adatto agli
incontri di arti marziali. Hamish era al centro, indossava solo dei
pantaloni di una tuta e una t-shirt e sembrava molto concentrato
mentre eseguiva gli esercizi di riscaldamento. Il frastuono era
insopportabile, le voci e le risate rimbombavano terribilmente, ma
lui non si lasciava distrarre. Quando degli urli più acuti si sono
alzati dalla folla, mio figlio si è finalmente ridestato e si è
voltato verso l'ingresso, vedendo entrare il suo sfidante.
Lo
ha guardato entrare in palestra, togliersi la giacca sportiva e
raggiungerlo nel tappeto, il tutto senza battere ciglio.
“Ora
ti sistemo per sempre, Freak.”
“Dubito,
Simon, perché sarà un incontro corretto. Solo tu ed io. Nessuna
intromissione.”
“Non
ho bisogno di aiuto per spaccarti la faccia.”
“Se
lo dici tu...”
Io
ho girato intorno alla sala, nessuno badava a me, e mi sono
posizionato accanto ai guardaspalle di quel bullo. Pronto a fermarli
se avessero deciso di intervenire.
Nel
frattempo, Hamish ha preso posizione e ha invitato l'altro ad
attaccare con un sorriso beffardo. Simon si è lanciato contro di lui
con un pugno, ma mio figlio lo ha scansato e poi gli ha afferrato la
mano per bloccargli il braccio dietro la schiena. Il ragazzo si è
piegato in ginocchio a terra urlando.
“Lasciami!”
“Solo
se ti arrendi.”
“Non
ci penso nemmeno!”
“Ok, io posso stare così anche tutto il
giorno.” ha replicato Hamish strattonando leggermente il braccio
dell'altro.
I
due ragazzoni che facevano da guardaspalle a Simon hanno fatto uno
scatto in avanti per intervenire, ma li ho afferrati per il colletto
e li ho tirati indietro facendogli cenno di no con la testa.
“Ahhh....
Basta! Lasciami!” continuava a urlare il ragazzo a terra.
“Quindi,
ti stai arrendendo?”
“Sì,
maledizione!”
Hamish
ha allentato la presa e poi si è allontanato di qualche passo
rimanendo a osservarlo. Non era nemmeno sudato.
“Sei
un maledetto schifoso! Sei solo uno psicopatico come tuo padre!”
“Sociopatico
ad alta funzionalità.” lo ha corretto immediatamente ridacchiando.
“E
tua madre era solo una troia!”
A
quelle parole, Hamish è scattato come una molla e si è lanciato
contro l'avversario, gettandolo a terra e tenendogli un braccio sotto
il collo per bloccarlo.
Nuovamente
ho dovuto bloccare i seguaci di Simon, costringendoli a stare
indietro.
“Sono
stato fin troppo buono con te. Con la giusta mossa, avrei potuto
farti finire in sedia a rotelle a vita, ma cosa ne sarebbe stato poi
dei tuoi allenamenti di rugby? D'altra parte, però, se insulti mia
madre, la voglia di essere buono svanisce... Capisci cosa intendo,
sottospecie di essere unicellulare?”
“Lasciami,
lasciami! Ho detto che mi arrendo!”
“Ora
però devi anche scusarti.”
“Va
bene, mi scuso, mi dispiace... Non succederà più.”
Hamish
ha fatto un sospiro e poi lo ha lasciato alzandosi. Simon si
lamentava ma non aveva nessun vero danno. I suoi amici gorilla lo
hanno raggiunto e lo hanno trascinato via con fare protettivo, mentre
tutto il pubblico applaudiva Hamish e rideva di lui.
Mio
figlio ha fatto un inchino e poi si è allontanato verso gli
spogliatoi.
Quando
l'ho raggiunto, si era già tolto la tuta ed era impegnato a
rimettersi la divisa scolastica.
“Sei
stato davvero bravo.”
Lui
si è voltato a guardarmi e poi ha riso.
“L'avevo
capito che eri tu. Ho memorizzato tutti i dipendenti della scuola il
primo giorno.”
“Beh,
non ti sei fatto distrarre dalla mia presenza.”
“Sono
bravo a concentrarmi.”
“Sì,
ho notato.” ho ammesso sentendomi incredibilmente orgoglioso che
quel ragazzo fosse sangue del mio sangue. “Senti, Hamish...”
“Ti
prego, non metterti a fare discorsi sentimentali, non è da te.”
“Non
era mia intenzione. Volevo solo dirti che ti farò fare un duplicato
delle chiavi del mio laboratorio.”
“Davvero?”
“Sì,
a patto che tu stia sempre attento. Niente esperimenti pericolosi in
casa, né per te né per chiunque altro.”
“Sì,
d'accordo! Potrò anche utilizzare le parti anatomiche che ti procura
Molly?”
“Sì,
quando non servono a me.”
“Fantastico!
Grazie Sherlock!”
Mi
sono fermato sulla porta e mi sono voltato verso di lui.
“Mi
chiedevo, puoi valutare la possibilità di chiamarmi Papà?”
Lui
è diventato improvvisamente serio ed è rimasto a fissarmi per
qualche secondo prima di abbassare definitivamente il viso.
“Tutti
i suoi
fidanzati me lo hanno chiesto, e io acconsentivo per fare contenta
lei. Ho chiamato Papà
decine di uomini. Non farò lo stesso con te. Tu sei Sherlock e
basta.”
Questo
cosa mi rendeva? Speciale? Mi sono avvicinato a lui e gli ho messo
due dita sotto il mento per fargli alzare il viso e guardarlo negli
occhi. Erano lucidi e così incredibilmente simili a quelli di Irene
il giorno in cui l'ho lasciata...
“Hamish,
chiamami come vuoi. Sappi però, che io sono tuo padre a tutti gli
effetti. Biologicamente, moralmente ed emotivamente. E ne sono
infinitamente fiero.”
Lui
ha sussultato per un secondo prima di lanciarsi su di me e
abbracciarmi.
L'ho
stretto a me accarezzando la sua testa ricciuta per qualche secondo e
poi si è staccato.
“Grazie
per essere venuto. Era importante per me.” ha detto cercando di
sembrare impassibile.
“Era
importante anche per me.”
Lui
ha annuito e ha afferrato la sua cartella per tornare in classe.
“Se
dovessi vedere zio John...” ha iniziato mentre era sulla porta
dandomi le spalle. “Puoi chiedergli di dire a Harriet che mi
dispiace? La prossima volta che ci vedremo le leggerò le favole che
preferisce.”
Ho
acconsentito trattenendo un sorriso e poi l'ho guardato allontanarsi.
*
Io
e John siamo rientrati in Baker Street completamente fradici. Quella
sera pioveva in maniera torrenziale e, come se non bastasse, avevamo
appena fatto un poco salutare bagno nel Tamigi. John non faceva che
starnutire ed era felice di aver lasciato un borsone con un cambio di
vestiti a casa mia, in modo da non dover affrontare il viaggio sino a
casa sua in quello stato.
Quando
abbiamo aperto la porta, però, sono rimasto pietrificato. C'era
della musica, e non della musica qualunque. Era la musica di Irene e
veniva suonata con il mio violino.
È
bastato appena un millesimo di secondo per dedurre chi lo stava
suonando, ma molto di più per convincere il mio corpo a fare i passi
necessari per raggiungere la stanza in cui si trovava.
Dopo
una ben poco cortese spinta di John, sono stato costretto a muovermi
e ho raggiunto il salotto.
Hamish
stava suonando dando le spalle all'ingresso. Proprio come faccio io.
Aveva gli occhi chiusi, concentrato nella musica, e una lacrima gli
rigava la guancia. Non stava guardando lo spartito, conosceva alla
perfezione ogni nota.
Mi
aveva detto di averla suonata spesso per Irene, ma non avevo idea che
la conoscesse come la conosco io. E il suo modo di suonare era così
appassionato che ho dovuto lottare contro me stesso per non cedere a
delle stupide lacrime che mi stavano pungendo gli occhi.
Sono
rimasto immobile a osservarlo, senza dire una parola, forse senza
neanche respirare, per non so quanto tempo. Poi, la piccola e calda
mano di Molly ha circondato la mia, ridestandomi. Mi sono voltato a
guardarla e mi sorrideva dolcemente.
Ho
fatto un profondo respiro perché sentivo che qualcosa di indefinito
si agitava in me. Sapevo che era una sensazione che avevo già
provato. Quando avevo visto Hamish per la prima volta. Quando io e
Molly ci siamo sposati. Quando sono nati Kenneth e Juliet. Non sapevo
bene come definire quell'emozione, ma sapevo che ne ero sopraffatto.
Quando
Hamish ha finito di suonare, ha fatto dei respiri veloci, come se
singhiozzasse in silenzio, e poi, una volta calmatosi, si è voltato
verso di noi. Mi ha guardato in un modo che sembrava racchiudere
tutto il suo dolore per la morte di sua madre, ma anche il legame che
ci univa. Perché entrambi l'avevamo amata e pianta. E perché ci
volevamo bene l'un l'altro.
“Papà,
hai visto come è bravo Hamish? Sa suonare la tua musica!” ha
esclamato Juliet, rendendomi improvvisamente consapevole della sua
presenza.
“Sì,
è molto bravo.” ho ammesso facendo una carezza a mia figlia. “Ma
non è la mia musica. Appartiene a Hamish.”
“Gliel'hai
regalata?”
“No, è sempre stata sua. Io l'ho presa solo in
prestito.” ho spiegato guardando gli occhi lucidi di mio figlio.
“Oh.
Allora anche io voglio una musica!”
Sono
scoppiato a ridere e mi sono voltato verso mia figlia.
“Certo.
Scegli quella che preferisci.”
Lei
è scattata in piedi ed è corsa ai miei spartiti, cercando una
musica di suo gradimento.
Nel
frattempo, Hamish ha fatto qualche passo verso di me e poi mi ha teso
il violino e l'archetto.
“Mi
spiace, avrei dovuto chiederti il permesso.”
“Ti
trovi bene con questo violino?”
“Sì.”
“Se
lo vuoi, è tuo.”
“Ma
tu...”
“Ne
comprerò un altro.”
Mio
figlio ha sorriso in modo un po' sghembo e in lui ho rivisto mia
nonna. Poi ha annuito sussurrando un “Grazie” e si è rifugiato
al piano di sopra.
Molly
era lì, che mi guardava con le lacrime agli occhi e un sorriso
commosso.
“Ce
l'hai fatta.” ha sussurrato felice.
Ho
annuito. Era vero. Ero riuscito a ottenere la sua fiducia e, forse,
addirittura la sua amicizia.
“Ehm,
non vorrei interrompere questo delizioso quadretto, ma... Potrei
avere un asciugamano?” ha chiesto alle nostre spalle John prima di
iniziare una serie di starnuti.
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Capitolo 3 *** Epilogo ***
Eccoci alla fine.
Questo non è solo un piccolo epilogo che conclude una fic, ma è un epilogo che conclude una serie a cui mi sono dedicata per molto tempo. È stata la mia prima serie di ff su Sherlock ed è stato un po’ come crescere un figlio. E ora è arrivato il momento di lasciarlo andare.
Grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito, seguito, ricordato o preferito una qualsiasi delle storie presenti nella serie.
Buona lettura e a presto.
Epilogo
Aprendo il frigo del laboratorio sono rimasto per qualche secondo a osservare il contenitore all'interno. Mi sentivo eccitato come non mai al pensiero della faccia che avrebbe fatto Hamish vedendolo. Beh, mi bastava immaginare come sarei stato felice io alla sua età se avessi ricevuto un regalo simile.
“Sherlock?”
La sua voce mi ha ridestato dalle mie fantasie e ho chiuso il frigorifero voltandomi.
“Molly ha detto che mi aspettavi qui e che avevi qualcosa per me.”
“Sì, certo.” ho annuito sentendomi improvvisamente a disagio.
Come potevo dargli un regalo simile? Con quali parole? Cominciavo a sentire l'arrivo di un certo nervosismo che poteva anche essere definito panico.
“Ok, di che si tratta?” ha chiesto facendo spallucce. “Se è qui in laboratorio sarà sicuramente qualcosa per un esperimento. Spero non siano insetti. So che a te piacciono, ma...”
“No, non sono insetti. Ecco, si trova nel frigorifero.” ho illustrato facendo un piccolo e ritardato gesto con la mano indicando l'elettrodomestico.
“E hai intenzione di darmelo o devo prenderlo da solo?”
“Se preferisci...”
“Forse è meglio se faccio io o qui facciamo l'alba.” ha commentato con sarcasmo raggiungendo il frigorifero e aprendo lo sportello.
“È il contenitore grande.”
“Mmm... interessante.” ha mormorato prendendolo in mano. “Grande e pesante. Sta in frigo quindi è deperibile. È un organo umano?” ha chiesto con un sorrisetto divertito.
“Apri il contenitore.”
“Ok...” lo ha poggiato sul tavolo e poi lo ha aperto lentamente. “Oh, mio Dio.” ha esclamato quando ha focalizzato ciò che era contenuto all'interno. “È per me? È davvero per me? Mi hai davvero regalato un cervello umano per il mio compleanno?”
“Buon compleanno, Hamish.” gli ho augurato con un sorriso.
Mio figlio è corso fra le mie braccia stringendosi a me. Non ho potuto fare a meno di abbracciarlo.
“Grazie. È bellissimo.”
“Oh, beh, devi ringraziare anche Molly.”
“Lo farò.”
“E non dire nulla a Kenneth e Juliet o lo vorranno anche loro.”
Hamish è scoppiato a ridere contro il mio petto.
“Certo, potrebbe diventare una nuova moda.”
“Sì, beh, io non lo escluderei.” ho ironizzato sullo stesso tono. “Comunque, riceverai anche un altro regalo più tradizionale. Uno che puoi esibire in pubblico.”
“Non importa. Sono già molto contento.”
“Ne sono felice. Allora, magari, mi permetterai di assistere quando farai i tuoi esperimenti? Solo come osservatore, non interferirò.”
“Sarebbe bello... Papà.”
Ho aperto la bocca per replicare, ma non sono riuscito a dire una parola. Avevo desiderato sentirmi chiamare così da lui per mesi, e finalmente era successo. Ora però, non potevo fare a meno di pensare a quello che mi aveva detto sui fidanzati di Irene e sul fatto che non mi avrebbe mai chiamato così. Era cambiato qualcosa? La mia confusione doveva essere palese perché lui si è sentito in dovere di spiegare.
“Quello che ti avevo detto sugli uomini che ho chiamato Papà... Non mi importa per davvero. Sei tu il mio papà.” ha ammesso allontanandosi da me con lo sguardo basso. “Mi dispiace aver chiamato altri con quel nome.”
“Non devi dispiacerti.”
“Comunque, se avessi cambiato idea... Se non vuoi più che io ti chiami così, non lo farò.”
“Non essere sciocco Hamish.” l'ho rimproverato con finto tono irato. “Ne sarei onorato.”
Ho visto un sorriso allargarsi sul suo volto e coinvolgere anche i suoi occhi azzurri. Uno spettacolo raro e bellissimo. E poi mi ha abbracciato di nuovo.
“Ehi, è tardi, vi decidete? Dobbiamo uscire... Oh, mio Dio, ma quello è un cervello umano?” ha urlato John riportandoci con i piedi per terra. “Sherlock Holmes, che diavolo ci fai con un cervello umano?”
“Non è mio, John.” ho spiegato togliendomi i guanti.
“Cosa?”
“Infatti è mio, zio John.” ha confermato Hamish richiudendo il contenitore e rimettendolo in frigorifero.
“Sherlock, hai regalato un cervello a tuo figlio?”
“John, è per la scienza!” ho esclamato mentre rimettevo la giacca e mi apprestavo a uscire dal laboratorio seguito da John e da Hamish.
“Ma Sherlock, tuo figlio ha dodici anni!”
“Tredici, compiuti oggi.” Lo ha corretto immediatamente mio figlio.
“Visto, John? Tredici anni. È grande ormai.”
“Voi due, mi farete diventare matto...” ripeteva John sconsolato. “E tu,” ha detto all'improvviso a Hamish con tono severo, “non ti azzardare a coinvolgere la mia Harry nei tuoi esperimenti, chiaro?”
“Non potrei mai. È solo una bambina!”
“Infatti. Spero che te lo ricorderai.” ha intimato John con il suo tono da Capitano poco prima di allontanarsi con passo marziale.
Io e Hamish ci siamo guardati in viso e siamo scoppiati a ridere e poi lo abbiamo seguito.
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