Lui e Lei

di queerasme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rebecca ***
Capitolo 2: *** Alex ***
Capitolo 3: *** In Biblioteca ***
Capitolo 4: *** Il Drago, il Cavaliere e la Principessa ***



Capitolo 1
*** Rebecca ***


Ho tentato di usare l’Html, anche se non ci capisco un gran chè... in ogni modo speriamo che col tempo ci prenda un po’ più la mano...

In ogni caso... è la prima storia che scrivo, quindi se avete consigli, critiche o suggerimenti sappiate che non aspetto altro!! xD

Vi lascio al mio delirio....

 

 

Rebecca

 

 

 

Rebecca  ha lunghi capelli, rossi davvero oltremisura, un paio d’occhiali troppo grandi in costante bilico sulla punta del naso, vagamente aquilino, le guance scavate e il mento a punta. È alta più o meno come dovrebbe essere alta una ragazza della sua età,  piuttosto esile di corporatura, ma per nulla atletica.

Certamente non è una di quelle classiche bellezze che tolgono il fiato non appena fanno il loro ondeggiante ingresso in una stanza, capaci col loro sinuoso avanzare di monopolizzare l’attenzione di tutti gli esemplari di sesso maschile presenti nella suddetta stanza. Tuttavia Rebecca è, a detta di chi la conosce bene (davvero pochi), una persona piuttosto interessante.

Per lo più è una giovincella incredibilmente imbranata e scontrosa, che preferisce avere nelle orecchie le cuffie del suo fidato mp3, piuttosto che il noioso ciarlare dei suoi simili. Simili fra enormi virgolette, naturalmente, come ci tiene sempre a sottolineare lei. Le risulta piuttosto difficile sopportare le frivolezze della maggior parte dei suoi coetanei e a volte, mentre storce il nasino nell’udire certe irripetibili oscenità, può dare la sensazione d’essere vagamente presuntuosa. Fa parte di quella categoria di persone etichettate solitamente come secchioni, oppure sfigati, che di solito la gente normale tende a rifuggire, come fossero appestati e, tanto per darvi un’idea di che razza di persona insana è, Rebecca, di questo, va assolutamente fiera. Ha l’impeccabile media dell’otto e mezzo fin dal primo anno di liceo e non si fa scrupoli a sventolo in faccia a chiunque le paia opportuno. La maggior parte delle volte si ritiene più competente degli insegnati stessi e non si da nemmeno la pena di seguire le lezioni, impiegando invece le ore scolastiche in più soddisfacenti attività, quali immergersi nella lettura di qualche avvincente romanzo, o altre cose di questo genere.

Le uniche persone al mondo che s’astine dall’apostrofare acidamente sono Cris, Val e Tom, i suoi tre migliori amici.

Cris un affascinante biondino, che è praticamente quello che sarebbe stato Rebecca se fosse nata maschio. La nostra cordiale fanciulla non si è mai presa una cotta in vita sua, ma è quasi sicura che se mai il pargolo col pannolone dovesse scagliarle contro uno dei suoi dardi velenosi sarebbe Cris il fortunato baricentro delle sue attenzioni.

Val, bè, Val è esattamente quel classico tipo bellezza che toglie il fiato non appena fa il suo ondeggiante ingresso in una stanza, capace, col suo sinuoso avanzare di monopolizzare l’attenzione di tutti gli esemplari di sesso maschile presenti nella suddetta stanza. Diciamo che è uno spirito libero, a cui piace quasi insanamente divertirsi e che certi benpensanti potrebbero etichettare come ragazza facile, ma oramai la sensuale pulzella ha imparato a non prestare troppa attenzione a queste voci infamanti.

Tom, invece è cavalleresco giovanotto, perdutamente innamorato di Val da circa una vita e mezzo. Naturalmente questa cotta segretissima è nota a tutto il mondo, tranne che, ovviamente, alla bella Val, che sebbene si vanti di continuo d’essere perfettamente in grado di comprendere anche ad occhi chiusi la contorta psiche maschile, non si sognerebbe nemmeno da lontano i milioni di sospiri che il povero Tom spende per lei.

Quel giorno i quattro se ne stavano seduti in classe attendendo “impazienti” l’inizio delle lezioni.

« Mi segui Bec?» la mano di Val invase con una certa prepotenza il suo campo visivo

« Ti seguo Val.» rispose la rossa alzando gli occhi dal libro che stava leggendo

« Davvero?» non pareva molto convinta.  « Che ho detto?»

« Che ieri tu e Luca siete stati al telefono tutta la sera. Esaltante, davvero, perdona se non mostro il dovuto entusiasmo ma ho un principio di mal di testa, presagio pessimo, a mio dire, sai?»

Val roteò gli occhi, poi si lasciò scivolare di nuovo nel suo racconto. « È così sexy... »

« Sexy?» Tom storse il naso. « Ma se sembra un carlino!»

« Ma tu non lo vedi con gli occhi dell’amore!» replicò lei fingendosi sognante molto più del dovuto, e portandosi una mano alla fronte in un gesto teatrale.

« Tsè!» fece Tom scettico

«Cris!» urlò Val notando che l’attenzione del biondo era completamente assorbita dal pesante tomo che aveva davanti.

« Che c’è? » sobbalzò lui, colto di sorpresa.

« Cris, mi hai ascoltato solo un pochino?»

« Ehm... si... »

« Che ho detto?» chiese di nuovo Val.

« Hai detto... » Cris fece vagare lo sguardo in cerca d’aiuto fra gli amici. Le labbra di Bec si mossero silenziosamente a mimare la parola Luca. « Oh, parlavi di Luca» rispose il giovanotto, sorridendo grato alla rossa.

Val scosse la testa, ma non andò oltre, perché sulla soglia s’era affacciata l’imponente e grigia figura del prof d’italiano.

La mattina proseguì calma e piatta come al solito.

Le prime due ore le impiegarono per un tema a sorpresa, poi filosofia, inglese ed infine matematica, dove una buona mezz’ora andò sprecata per la consegna del compito in classe svolto la lezione precedente.

« Ho preso sette! Ho preso sette!» cantilenò Val, soddisfatta di se.

« Sette meno. » precisò Cris, spiando il voto da sopra la sua spalla.

« È uguale!» replicò la bella, aggiungendo poi un gesto poco educato con la mano destra.

« A te come è andato Bec?»

« Non me l’ha ancora consegnato...» rispose lei un po’ in ansia.

Il tempo passava, ed il numero degli studenti in trepidante attesa si faceva sempre più sparuto. Quando alla fine la pila di compiti appoggiati sulla cattedra si prosciugò del tutto Rebecca cominciò a sospettare che il prof si fosse dimenticato di lei...

« Prof, scusi, non mi ha ancora chiamato...» protestò alzandosi in piedi.

« Oh! Pioppi! Scusa, mi devo essere scordato il tuo compito a casa... mi perdonerai spero» la risposta fu accompagnata da uno sguardo talmente penetrante che Bec pensò non fosse il caso d’approfondire troppo la questione, così si rimise seduta, a protestare per quell’indecenza con i suoi amici, che annuivano solidali ogni volta gliene pareva il caso.

La campanella suonò puntuale all’una meno dieci e nemmeno mezzo secondo dopo la classe si era già completamente svuotata.

« Pioppi... » stava per sgusciare via anche lei quando la voce dell’insegnate la chiamò.

« Si? » fece girandosi.

Il professore fece scivolare sulla cattedra, con una certa circospezione, un foglio protocollo oltremodo ingombro di segni rossi.

« Pioppi, questo è il tuo compito.»

« Il mio compito?» domandò avvicinandosi con riluttanza per esaminare meglio il foglio

« Sì. Non te l’ho dato prima perché capisco che possa essere un po’ imbarazzante, per te.» fece una pausa per esaminare la faccia della ragazza, e per cercare le parole giuste con cui darla la notizia. « Ehm... Hai preso... Hai preso cinque... »

« Cinque?» ripeté incredula la rossa

« Sì, Pioppi. Ma ti propongo un accordo... Pioppi?»

« Sto bene, sto bene... » lo rassicurò lei, rialzandosi a fatica, dopo essersi accasciata a terra, per via dello shock.

« Dicevo... Un accordo. Se nel prossimo compito Prendi almeno sette farò finta che questo» e fece un segno quasi schifato in direzione del compito di Bec « non sia mai esistito»

« Oddio, grazie!» miagolò riconoscente « Gli giuro che prenderò sette. Glielo giuro su Jim Morrison. Grazie. Sette. Glielo giuro...»

 

Ecco, ora il problema era come.

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Capitolo 2
*** Alex ***


Ecco il secondo capitolo... un po’ in ritardo, ma magari è meglio così!

Spero che vi piaccia... Grazie infinitamente a tutti per i commenti, sono commossa!!

Naturalmente consigli, critiche, pomodori o qualsiasi altra cosa vi passi per la testa mentre leggete sono ben accettissimi...

Alla prossima^^

 

 

Alex

Alex è alto, moro e con due sconcertanti occhi blu, ma non è per questo che piace alle ragazze. Piace alle ragazze per il suo charme, perché lui sa come trattarle. Sarebbe capace di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donzella gli paresse più opportuno. O almeno così dice lui.

La maggior parte degli individui che condividono col nostro prode giovine l’hobby della caccia alle fanciulle sono solitamente tipi poco raccomandabili, pronti a spezzare cuori senza il minimo rimorso. Insomma, i classici stronzi.

Ma Alex non è il classico stronzo. E nemmeno è un odioso maschilista misogino, come la maggior parte dei suoi simili. E questo è sostanzialmente merito di sua madre. Per lui le ragazza hanno diritto a divertirsi tanto quanto i ragazzi e le malelingue che insinuano le solite maldicenze lo fanno solamente per gelosia. Almeno nella maggior parte dei casi.

Ad Alex piace cambiare, il periodo più lungo per il quale è riuscito a tenersi una ragazza è stato di circa tre settimane, in quarta elementare. Ma la vita da scapolone scapestrato ha, probabilmente, iniziato a stancarlo, lui non l’ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura, però da un po’ di tempo a questa parte Alex sta cercando qualcosa di più...

Neanche l’avesse calcolato apposta per fargli dispetto, il petulante trillo della sveglia sarebbe stato in grado d’inondare le sue orecchie in un momento più perfetto di quello.

Stava giusto arrivando al sodo con una splendida coppia di gemelle bionde e prosperose in maniera assurda quando quel dannato drin l’aveva strappato così brutalmente dal suo fantastico sogno. Piuttosto irritato fece piombare il braccio sul comodino per far cessare quella fastidiosa cacofonia che di secondo in secondo si faceva sempre più intensa. Mentre muoveva la mano alla cieca, alla ricerca di quell’aggegino infernale urtò l’abatjour, che cadde sul pavimento con un rumore piuttosto preoccupante, trascinandosi dietro, con tutta probabilità, anche la sveglia, poiché dopo un secondo tonfo, più contenuto, la vocetta della sua nemica giurata s’interruppe bruscamente.

Lanciò una serie d’imprecazioni biascicate, ma non si mosse d’un millimetro, godendosi l’agognato silenzio, ma solo per poco, perché un altro suono giunse presto a spezzare l’idillio.

« Alex!» la voce di sua madre che dal piano di sotto lo chiamava per assicurarsi che si fosse svegliato.

« Arrivo, arrivo...» per aprire gli occhi dovette far leva su tutta la sua forza di volontà che, a dire il vero, non era poi gran che.

Scese le scale con gli occhi semichiusi, sbadigliando praticamente ad ogni gradino. Raggiunse la cucina strisciando i piedi per terra, afferrò una tazza, la riempì di caffè e si lasciò cadere su una delle quattro sedie che circondavano il tavolo.

« Buon giorno tesoro!»

« ‘Giorno madre»

« Alex... » la donna scrutò sospettoso le occhiaie che circondavano lo sguardo assonnato del suo pargolo. « a che ora sei tornato ieri?»

« Alle undici, mamma, come ti avevo detto» bevve un sorso di caffè

« Non è vero!» una vocetta acuta e saccente s’intromise nella conversazione ancor prima che la sua proprietaria, una navigata fanciulla sugl’undici anni, avvolta in un caldo pigiama così rosa da far male agli occhi, facesse il suo trionfale ingresso nella stanza.

« Sì, che è vero!» replicò Alex con uno strano tono di voce, fra il mortalmente irritato ed il vagamente preoccupato. Scoccò quindi uno sguardo furente al piccolo diavolo in rosa che s’era, nel frattempo, arrampicato su una delle sedie ed aveva ficcato la faccia dentro un’enorme tazza di latte al cioccolato, per poi lanciare un’occhiata fugace in direzione della madre, per controllare se per caso quelle parole avessero acceso in lei qualche sorta di campanello d’allarme.

 « No, invece.» replicò con la sua vocetta candida ed insinuante il piccolo mostro, dopo aver ingoiato un’abbondante sorsata di latte. « È tornato alle quattro, mamma... lo so perché mi ha svegliato quando è rientrato, mi sono presa una paura gigante... pensavo che fosse un ladro!»

Come fare a non credere a quegli occhioni blu come il cielo, che ti scrutano con la loro limpida innocenza?

« Alex!»

« Mamma non è vero...»

« Ah, no?» la genitrice del nostro prode giovincello alzò un sopracciglio scettico, inchiodando il poverino alla sedia con la sola forza di quell’occhiata inceneritrice.

« Erano le tre e mezzo... » ci tenne a precisare, dopo che la consapevolezza d’essere stato beccato lo invase.

« Quante volte ti ho detto che durante la settimana non devi fare così tardi? Poi guarda come ti riduci alla mattina... e ci credo che i tuoi voti sono un disastro, se passi la notte a fare bagordi poi a scuola dormi in piedi!»

Alex assunse la sua migliore espressione mortificata, poi parlò con voce che sembrava veramente dispiaciuta. « Hai ragione... prometto che non lo farò più...»

La donna lanciò al figlio uno sguardo furente, ma nemmeno mezzo secondo dopo si sciolse in un sospiro rassegnato. Non avrebbe mai imparato a resistere quegli occhi... e la sua arguta progenie lo sapeva bene, non lasciandosi mai sfuggire l’occasione di usare quell’arma segreta per uscire dai più incasinati pasticci.

« Mi raccomando... » si limitò a scandire. « Bè, io ora vado. Ci vediamo ragazzi» concluse poi, afferrando la giacca e schioccando un bacio ad ognuno dei figli.

Quando sentì il tonfo della porta che si chiudeva Alex si  voltò con studiata calma verso l’adorata sorella minore, e le sorrise in modo piuttosto sadico.

La piccola, che piccola era, ma di certo non stupida, aveva iniziato a sudare freddo non appena la madre aveva abbandonato la stanza. Ma in fondo la vita andava così. lei aveva fatto una scelta –quella di tenere alta la sua reputazione di sorella rompi scatole- ed ora doveva pagarne le conseguenza...

« Alex... mi è scappato, scusa... ti prego... Alex... così mi strozzi! No... non respiro...»

non era una bella scena. una povera ed indifesa fanciulla abbandonata nelle mani d’un tale bruto. Sgusciare via da quella ferrea presa fu più difficile del previsto per la piccola Sara, questo il nome della malcapitata, ma naturalmente dopo lunghi anni passati a tentare fughe di quel tipo nulla le risultava più impossibile.

« Vieni qui razza di mostro!» fu quello che le urlò Alex, subito gettandosi al suo inseguimento, e farcendo il tutto con una buona caterva di colorite imprecazioni.

E così la faccenda andò avanti finché Sara non ebbe la prontezza di spirito di chiudersi in bagno, al riparo dall’ardimentosa ira del pacato fratello.

Rassegnatosi all’idea che oramai la sua preda fosse riuscita a scampare al suo ribaldo destino, si decise a proseguire la giornata, promettendo però a se stesso che gliel’avrebbe fatta pagare, prima o poi.

Giunse a scuola con i soliti dici minuti di ritardo, si prese la solita bella ramanzina dal prof di turno ed infine s’abbandonò nel suo solito banco, in fondo alla classe, vicino ai soliti Nico e Pol, che erano ormai i suoi metallici migliori amici fin dalla lontana prima superiore. L’anno prima si erano addirittura fatti bocciare tutti e tre, insieme, fedeli ed inseparabili fino all’ultimo.

« Ben trovato, fratello» lo salutò il primo, levando con fare davvero molto svogliato i piedi dalla sua sedia.

« Come va?» s’informò poi Pol, del tutto disinteressato alla risposta, ma naturalmente ben disposto nei confronti di qualsiasi cosa l’avesse tenuto impegnato di modo da non costringerlo a seguire la lezione.

« Al solito...» fu l’eloquente risposta.

Seguì un interessantissimo dibattito sulle curve della nuova supplente di francese, il racconto nei minimi dettagli di ciò che era accaduto la sera prima fra Alex e una tale, Vero, da quando Pol, Nico e gli altri li avevano lasciati soli, poi si cimentarono in una serie di partite all’impiccato, tris, battaglia navale ed altri giochino del tipo ed infine si persero in deliranti meditazioni su qualsiasi cosa passasse loro per la testa.

La mattinata scivolò via grigia come al solito e quando la campanella, solita manna da cielo, fece sentire il suo amabile canto in giro per la scuola, a tutti sembrò comunque troppo tardi.

Era mercoledì, e come tutti i mercoledì anche quello Alex l’avrebbe passato in biblioteca, al riparo dal mando, col naso ben schiacciato dentro il libro della settimana.

O almeno così credeva lui.

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Capitolo 3
*** In Biblioteca ***


Gvazzie infinite pev i commenti...

hihi... sto iniziando a montavmi la tetsa! xD

come sempre sono benvenutissime le vostre recensioncine...

ora vo, alla prossima!

 

 

 

In Biblioteca

 

 

« Ho detto che non posso!» sibilò esasperata Rebecca per la decima volta

« Ma cosa devi fare?» Cris si stava spazientendo alquanto.

« Ecco... » la rossa si morse il labbro inferiore un po’ titubante e finse un colpo di tosse davvero poco verosimile « I fatti miei!» sputò fuori poco convinta.

« I fatti tuoi?» Val inarcò un sopracciglio e si esibì in un magistrale sbuffo da cui trasudava tutto il suo scetticismo.

« Siamo noi i fatti tuoi, Bec!» le ricordò vagamente risentito Tom

« Lo so ma... » altro colpo di tosse per prendere tempo « Ho una vita privata anch’io, corbezzoli!»

« Una vita privata

« Val, la pianti di ripetere tutto quello che dico?»

« Ti vedi con qualcuno?» indagò Cris, forse con un po’ troppa enfasi

« No!» fece subito lei, quasi schifata all’idea.

« Se così fosse ce lo diresti, vero?» Val le imprigionò le mani in una morsa preoccupata, lanciandole occhiatine angosciate, finché l’altra non la rassicurò con un esasperato “Si, certo”.

« Sicura Bec? »

« Sicura, Cris

« E allora che hai da fare?»

« Vi giuro che un giorno, quando sarà passato abbastanza tempo, ve lo dirò. E ci rideremo sopra insieme... Ma fino ad allora non voglio domande.»

Detto ciò Bec girò sui tacchi e s’allontanò dai tre, in direzione di casa sua, lasciandoli a confabulare sospettosi, incuriositi ed anche un po’ preoccupati.

Un umiliazione simile non l’avrebbe mai sopportata. Nessuno, nessuno, doveva sapere di quel cinque. Aveva una reputazione da difendere, lei. Non si sarebbe confidata nemmeno con loro, anche se questo avrebbe causato qualche piccolo problema, forse.

Appena uscita da scuola aveva deciso che la sua vita da quel momento in avanti sarebbe stata vissuta in funzione della matematica. Avrebbe mangiata, dormito, bevuto, ascoltato e respirato solo matematica. Senza distrazioni. Naturalmente era consapevole che le sue sole forze non sarebbero bastate, sapeva di aver bisogno d’aiuto. Doveva trovare qualcuno di discreto e riservato, di cui fidarsi, in grado di mantenere il riserbo su quella scabrosa faccenda. Sapeva che ci sarebbe voluta una discreta quantità di tempo per trovare la persona giusta, ma dato che ogni minuto era prezioso avrebbe iniziato il ripasso da sola, quello stesso giorno. E ci avrebbe pensato poi al resto.

Appena terminato il pranzo si precipitò fuori di casa, zampettando non tanto allegramente verso la biblioteca e con un sospiro rassegato spense il cellulare.

Quello era l’unico modo per assicurarsi che Cris, Val e Tom la lasciassero in pace, era sicura che, anche se lei aveva garbatamente declinato l’invito di andare a fare un giro insieme quel pomeriggio, come erano soliti fare fin dagli albori della loro amicizia, quei tre si sarebbero presentati a bussare alla sua porta da un momento all’altro. Per questo non poteva restare in casa. E naturalmente non trovandola l’avrebbero bombardata di chiamate insistenti, messaggi apprensivi e squilli isterici, quindi decise che probabilmente la cosa più saggia da farsi era quella di spegnere il telefono.

 

Si sistemò, comodo, con i piedi sul tavolo vecchio ed ingobbito, pieno d’incisioni storte fatte col compasso e scarabocchi indelebili vari, che urlavano a gran voce l’amore di Tizia per Caio, o che proclamavano al mondo che Ambarabà, Ciccì e Coccò sarebbero rimaste amiche ‘4e’. 

Rovistò per qualche secondo nello zaino nero e dopo qualche attimo ne tirò fuori un libro, che si lasciò cadere in grembo, fece scivolare lo zaino a terra, per poi rimettersi a frugare nelle tasche della giacca. Non passò troppo tempo prima che trovasse ciò che cercava. Srotolò le cuffie e se le sistemò nelle orecchie, accese l’mp3, attese un po’, che la musica iniziasse a sgorgare, e se le lo rimise in tasca. Poi prese il libro, lo aprì con una certa reverenza, appoggiò il segnalibro sul tavolo e s’immerse nelle parole.

Sarebbe stato tutto perfetto, se solo lei non fosse arrivata.

 

Rebecca si fece largo fra i tavoli, danzando con la sua solita grazia da mammut, alla ricerca d’una posizione che soddisfacesse le sue esigenze.

Ecco, probabilmente il fatto di non avere nemmeno una scolorita parvenza d’idea su quali fossero le esigenze da soddisfare rendeva la sua ricerca un po’ più complicata. Mentre faceva vagare lo sguardo in giro e si stupiva di quanto desolatamente vuoto fosse quel posto, non si accorse che per terra, pericolosamente vicino ai suoi maldestri piedi, era abbandonato uno zaino nero. Non se ne accorse subito, almeno. Già, perché quando l’infida sacca le si avviluppò alle caviglie, legandole i piedi in una morsa traditrice, e lei perse l’equilibrio, cadendo in avanti, e sbattendo le fronte contro l’estremità del tavolo che stava lì davanti, che c’era qualcosa che non andava le risultò palese.

 

Uno strillo acuto che sovrastò la musica richiamò la sua attenzione.

«Stai bene? » domandò Alex scrutando piuttosto preoccupato l’esile figura spalmata a terra.

«Se davvero ti do quest’impressione, caro, allora probabilmente vuol dire che possiedo l’espressività di un ameba con un lifting - riuscito male, anche, oserei azzardare-. Il che, giovine, non è per nulla un bene. Spero vivamente che sia solo una momentanea conseguenza del colpo in testa. Sai, magari ha compromesso qualche sinapsi o che so io e adesso non riesco più a padroneggiare le mie espressioni facciali. spero che sia realmente una cosa passeggera.» concluse con aria davvero preoccupata.

«Sono sicuro che è passeggera» annuì Alex, sorridendo, un po’ spiazzato da quel fiume di parole. « Ti sta uscendo proprio  un bel bernoccolo, sai?»

Rebecca emise un sospiro stridulo e si portò una mano alla fronte, che, effettivamente, si stava gonfiando. « Cazzo! »

«Quando si dice ‘finezza’!» commentò il ragazzo, accompagnando le parole con un gesto fluido della mano nella sua direzione, come per presentarla alla platea d’un teatro.

«Quando si dice ‘tento omicidio’!» fece Rebecca indicando indignata con un indice accusatore la causa della sua caduta. « Quel malefico marchingegno è di tua proprietà, demonio?»

« Quel malefico marchingegno – dicasi zaino, gentil pulzella – è di mia proprietà, sì. »

« Idiota! Nemmeno fai un tentativo di occultare le prove del tuo crimine? Cioè, non è che la gente normale dopo che ha cercato d’ammazzare una e – grazie al cielo – ha miseramente fallito nell’intento, se ne va in giro a sbandierarle sotto il naso l’arma del delitto! Miseria! »

«Beh, a costo d’esser giudicato all’antica, nella mia visione -forse troppo rosea del mondo- la gente normale non va in giro a cercare di ammazzare gli altri. In ogni caso mi spiace, sai, non sono pratico di certe efferatezze...» si concesse una breve pausa per studiare meglio la sua goffa interlocutrice «Non vorrei allarmarti, tesoro, ma quella cosa che hai sulla testa sta preoccupantemente aumentando le sue dimensioni...

« Cazzo!» lei si portò di nuovo la mano alla fronte e rimase un po’ sconcertata nello scoprire l’enorme bugno che gli era fiorito sotto la franga.

« Invece d’imprecare in maniera cotanto scurrile ti consiglierei di cercare del ghiaccio.»

« Giusto» approvò la rossa. « Ghiaccio!»

Fece per alzarsi, ma evidentemente la sua dose quotidiana di sfiga non si era ancora del tutto esaurita. Mentre tentava di mettersi in piedi sbatté la testa sotto il tavolo e una quantità indefinita di capelli le si strapparono dolorosamente, rimanendo appiccicati ad un chewing-gum, probabilmente incollato di fresco, per poi lasciarla cadere a faccia in giù, sbattendo il naso contro le mattonelle sporche.

Alex si precipitò al suo fianco, rigirandola con cautela, trattenendo a stendo le risate e lanciando sguardi di scuse alla gente intorno.

« Stai bene? »

« E ancora! Ti pare che io stia bene? No, davvero! Mi sembra una cosa piuttosto evidente, amico. Se stessi bene ora sarei in piedi, tanto per dirne una! » Rebecca tirò rumorosamente su col naso, e fece una smorfia disgustata. « Mi sanguina?» domandò rabbrividendo.

« Fa’ vedere... » Alex le afferrò il mento fra il pollice e l’indice e le esaminò con attenzione il viso. « Non mi pare»

«Ma io sto respirando sangue! È una cosa orribile! Sento l’odore. Dio, che schifo assurdo!» si portò una mano al naso, per accertarsi che davvero non ci fosse traccia di sangue, poi si concesse un sospiro sollevato.

« Non ti ricordavo così sfigata, sai? » chiese Alex con un sorriso obliquo

« Io non ti ricordavo così pieno d’odio nei miei confronti, caro. È evidente che abbiamo tutti e due memorie fallaci. Due tentativi d’omicidio in nemmeno dieci minuti! » commentò poi la rossa, indignata « Che ti ho fatto di così orribile, ragazzo mio?»

« Ah! » fece Alex, sinceramente divertito « Così anche questo è colpa mia! E spiegami, se non è chiedere troppo, come avrei fatto. »

« Beh, è chiaro! Ti sei avvalso delle tue capacità tele cinetiche per farmi cadere! Mi pareva ovvio! Ti ho smascherato x-man!

«Oh, no!» il ragazzo si finse seriamente preoccupato « Ora che mi hai beccato mi toccherà ucciderti!»

«Non è forse quello che hai tentato di fare dal momento in cui ho messo piede qui dentro?»

I due si concessero qualche altro breve scambio di argute battute poi, dato che le dimensioni della testa di Bec stavano vertiginosamente aumentando Alex, da prode cavaliere qual era, s’offrì prontamente d’accompagnarla a cercare del ghiaccio che frenasse almeno un po’ la lievitazione.

L’impresa si rivelò più ardua del previsto, girono in lungo e in largo alla ricerca d’un anima pia che gl’indicasse dove potessero trovare un po’ della magica soluzione, ma tutti scuotevano le spalle o li mandavano a chiedere da qualcuno, da cui, puntualmente, erano appena stati.

Fra le imprecazioni varie e i borbottii indignati di Rebecca i due raggiunsero infine la saletta appena fuori dalla biblioteca, quelle delle macchinette.

« Cioè, io sono qui che muoio lentamente e tu ti prendi da bere? Sei davvero senza cuore!» si lamentò Bec con una mano sulla fronte.

« Tè, aranciata o coca cola?» domandò lui, ignorandola completamente.

« Ché?!»

« Allora?» la incalzò Alex con un mezzo sorriso

Bec ci pensò un po’ su e poi « Tè» sentenziò convinta.  

Lui infilò le monetine e schiacciò il pulsante lampeggiante, dopo una serie di brontolii meccanici la macchina sputò fuori la lattina, il prode ed ingegnoso giovane si chinò a raccoglierla e poi la porse a Rebecca, che l’afferrò un po’ stupita.

« Sulla fronte» fece lui, notando che la rossa non aveva del tutto realizzato cosa farci.

Seguì una sorta d’occhiata ammirata, di quelle che Bec dispensava con attenta parsimonia, solo in casi eccezionali e solo a persone eccezionali, e poi sinceramente ammirata esclamò: « Wow! Non sono solita celebrare persone che non siano me, ma, devo ammetterlo, è geniale!»

« Modestia a parte!»

Ed in quel momento a Rebecca tornò in mente quello che Val le diceva sempre di Alex. ‘quel ragazzo un genio con i numeri, è addirittura riuscito a farci capire qualcosa a me!’ , gli tornò in mente il suo  nome che dominava la lista dei risultati delle olimpiadi della matematica, organizzate ogni anno dalla loro scuola, gli tornò in mente che...

« Senti... io avrei un quesito... » azzardò la rossa un po’ esitante.

« Che sarebbe... » la incalzò lui

« Mi chiedevo... Mi ricordo che quando stavi con Val... ecco... davi ripetizioni di matematica a quei primini... »

« Mia madre mi aveva tagliato i viveri, sai com’è, avevo bisogno di contanti...»

« Ora non ne dai più?»

« Non ne ho motivo... ho scoperto che col mio sguardo accattivante ottengo sempre cioè che voglio» si vantò Alex

« Ah. »

« Perché sembri delusa?»

« Come? Delusa? Nooo...»

« Conosci qualcuno a cui servono ripetizioni? »

« Ripetizioni? Ecco... no! Cioè... C’era una mia amica... Cioè... Ecco... Cioè glie avrei date io ma... Cioè... Ecco... No, nessuna ripetizione, scherzi?»

« Stai bene Rossa?»

« È la botta in testa... devo assolutamente andare. » concluse annuendo in maniera vagamente isterica. Si era quasi fatta scoprire! Così non andava, per nulla. Si precipitò furori dall’edificio senza permettere ad Alex di dire una parola, terrificata ed immensamente a disagio. Le sembrava di avere un enorme cartello sospeso sulla testa che urlava al mondo intero che lei, Rebecca, era una schiappa in matematica.

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Capitolo 4
*** Il Drago, il Cavaliere e la Principessa ***


Pensavate che fossi morta, eh?

E invece no! Eccomi qui con un ritardo davvero deplorevole!

Meriterei di essere lapidata lo so ^^

Il Drago, il Cavaliere e la Principessa

« Oddio » proruppe la voce disperata di Val che si sporse in avanti sul seggiolino e strappò con gesto isterico le cuffie che Cris e Bec stavano condividendo nel posto avanti al suo.

« No, tranquilla, fai pure, tanto la canzone non mi piaceva... »

Lei ignorò deliberatamente il commento sarcastico della riccia e con foga ossessiva espose il suo amletico dilemma « Era Ludovico il magnifico? Ludovico vero? Ditemi che era Ludovico... » implorò la bella lanciando ai due amici uno sguardo così supplichevole che quasi fece venir voglia a Bec di inventare una macchina del tempo solo per tornare indietro e costringere i genitori del prode principe fiorentino a cambiargli nome in Ludovico.

« Era Lorenzo, Val, non Ludovico » le confessò Cris dopo aver intuito dallo sguardo della rossa che lei non si sarebbe assunta per nulla al mondo l’antipatico ufficio di comunicare una simile sciagura alla speranzosa damigella.

« Lo sapevo » mormorò desolata quella, accasciandosi costernata contro lo schienale del suo seggiolino e coprendosi con le mani il viso contorto in una smorfia inconsolabile. « Andrà malissimo » sentenziò con un sospiro rassegnato

« No, vedrai che te la cavi » la rassicurò Cris

« Sì, ti basta ripassare un po’ e andrà tutto alla perfezione » concordò Bec sfoderando tutto il suo talento teatrale per cimentarsi in un improbabile sorriso incoraggiante.

Val lanciò loro un’occhiata grata ed un po’ più sollevata, poi si voltò verso Tom, seduto al suo fianco, perché era arrivato il suo turno di sfornare una rassicurazione del tutto fittizia e mistificatoria.

« Devi dirmi che andrà tutto bene » gli venne in aiuto quando fu chiaro a tutti che il prode giovane non aveva nessuna intenzione di spiaccicare parola.

« Ma io non lo penso » proferì lapidario « Se ieri sera anziché passarla con quel Luca » e pronunciò il nome come se gli facesse un enorme ribrezzo « l’avessi passata a studiare forse sarebbe andato tutto bene, ma è evidente che invece non andrà tutto bene. Ed è solo colpa tua, Val »

All’affermazione seguirono alcuni istanti di silenzio sconcertato. Non era certo da Tom sbottare in maniera simile e certamente era ancor meno da Tom farlo contro Val.

Dopo qualche attimo l’espressione traumatizzata che deformava il volto affilato di Bec si sciolse in un affettuoso sorriso. La fanciulla allungò un braccio in direzione dell’amico e gli fece piombare in testa un amorevole carezza che gli scompigliò ad arte i capelli. « Oh, povero Tom! » miagolò comprensiva.

Lui scacciò la mano vagamente imbarazzato dagli sguardi di pietà che avevano preso a sfavillare dagli occhi di Cris e della riccia.

« Povero Tom? » s’indignò Val « Lui sta deliberatamente attentando al mio buon umore. Non povero Tom! Povera Val, ricordate? Quella disperata sono io! »

« Bè, Tom non ha tutti i torti... » si vide costretto ad ammettere l’altro giovane.

« Lo so che non ha tutti i torti » sbuffò contrariata l’esperta di storia « Ma sentirmelo ripetere non mi aiuta per niente! »

Quel giorno la misericordiosa fanciulla si sarebbe immolata per il bene della classe. Naturalmente il fatto che tale tragica pena le fosse stata civilmente imposta dall’infame professore di storia non toglieva minimamente dignità al gesto. Ecco, ciò che forse intaccava, naturalmente solo in maniera del tutto trascurabile, la rispettabilità del suo altruistico sacrificio era il fatto che la proba ed impavida fanciulla, per sottrarsi all’onorevole incombenza avesse praticamente tentato qualsiasi cosa in suo potere, dall’offerta di tangenti alla profferta del proprio corpo in cambio dell’agognata immunità, ma del tutto improduttivamente, poiché il flemmatico insegnate era stato del tutto irremovibile. Così quel giorno Val si trovava ad affrontare la più ardua di tutte le imprese: la temibilissima interrogazione di storia.

Quando l’autobus arrestò la sua corsa con una brusca frenata il cigolio tisico delle portiere che si spalancavano per vomitare fuori la grigia comitiva che aveva così beatamente beneficiato dei suoi polverosi servigi le parve il terribile ruggito d’una famelica fiera selvaggia pronta a sbranarla senza alcuna pietà.

Passò le prime due ore a ripassare forsennatamente e a maledire la sua carenza di forza di volontà, poi quando il momento giunse e l’incivile e subdolo professore scandì il suo nome leggendolo da una raccapricciante agenda marrone marcio, su cui annotava sempre tutto per sopperire alle sue costanti deficienze di memoria, sussultò disperata.

« Prego, inizia pure » l’aveva gentilmente incalzata una volta che si fu posizionata accanto alla malefica cattedra.

Val prese un bel respiro ed iniziò ad esporre, un po’ titubante, tutte le sue modeste nozioni di storia, interrotta ogni tanto da qualche infida domanda sfornata per pura crudeltà. Si rese presto conto di non sapere nulla, ma fortunatamente lei era Val, la migliore amica di Rebecca Pioppi, la fanciulla più secchiona che il mondo avesse mai ospitato e che dal suo banco in seconda fila le suggeriva con efficacia geniale ogni singola risposta.

« Pioppi! » abbaiò per la quarta volta il professore notando per l’ennesima volta la donzella intenta a mimare silenziosamente la soluzione ad uno dei suoi insolvibili quesiti.

« Scusi » miagolo quella fingendosi mortificata.

« Perché non vai a prenderti qualcosa da mangiare, ti vedo un po’ agitata, probabilmente hai fame. »

Se si fosse trattato di un qualunque altro individuo con ogni probabilità non avrebbe esitato a sbatterlo malamente fuori dalla classe, solo che lei era Bec, e non poteva essere sbattuta fuori dalla classe, corbezzoli! E quindi eccolo lì, il sottile sotterfugio per convincerla ad uscire con le buone.

« D’accordo » biascicò contrariata alzandosi e scoccando uno sguardo dispiaciuto a Val, che sembrava in preda ad una crisi di panico bell’e buona.

Una volta uscita si guardò intorno con circospezione senza sapere cosa fare. Non l’avevano mai cacciata fuori e quindi non aveva la più pallida idea di come comportarsi in una simile, deplorevole circostanza.

Prima il brutto voto, ora questo... certo che stava davvero diventando un pessimo soggetto.

Avvertì un vago languore allo stomaco e decise che per salvare le apparenze – perché se qualcuno fosse passato di lì in quel momento e l’avesse vista in piedi davanti alla porta della classe con quell’espressione costernata stampata in viso sicuramente avrebbe intuito il suo misfatto – avrebbe seguito il consiglio dell’insegnate e si sarebbe andata a prendere qualcosa da mangiare.

« No... no, no, no! » protestò la rossa contrariata « Macchinetta giuro che se non mi sputi quel Kinder Bueno... giuro che... che... » e la terribile minaccia rimase tragicamente insoluta, poiché una risata alle sue spalle, le fece scordare di completare la frase.

« Parlare da soli è segno di pazzia » la informò garbatamente il cortese giovane che un attimo prima aveva dato educato sfogo alla sua ilarità.

« Io parlavo col mostro meccanico, screanzato! » berciò la riccia incrociando le braccia al petto ed impegnandosi con tutta se stessa per assumere un cipiglio dignitosamente offeso.

« Oh... » esalò quello rassicurato « Questo sì che è normale! » concesse con un sorriso obliquo, per poi mettersi ad osservare con palpabile scetticismo i goffi e malfermi calci che la fine donzella stava impunemente lanciando a quella risoluta macchina sputa cibo.

Dopo una discreta quantità di tempo in cui l’unico suono udibile nella stanza fu il doloroso ed insistente cozzare del suo piede destro col freddo ed ostinato metallo del suo nemico, la riccia alzò lo sguardo acceso dalla folgorante luce della comprensione e lo posò sul ragazzo accanto a lei, arricciando la bocca in una smorfia di disapprovazione.

« Ho capito! » sputò soddisfatta d’essere giunta ad un così illuminante conclusione « Tu porti sfiga! »

Alex si puntò contro un indice scandalizzato, con indignazione perfettamente simulata. « Chi? io? »

« Esatto! » annuì convinta la nostra bella « No, oggettivamente, ho prove empiriche che confermano la mia tesi... Se ci pensi tutte le volte che mi stai vicino mi capitano delle disgrazie terribili... Sei un untore! »

« Io guarderei la questione da un punto di vista diverso » fece lui grattandosi il mento con aria ostentatamente pensierosa « La sfiga non te la porto io, quella è insita nel tuo essere!»

L’espressione di puro sdegno che si dipinse sul volto offeso della rossa ripagò appieno Alex per lo spremimento di meningi che il parto d’una simile geniale locuzione gl’era costato.

« Razza di zotico, vile ed abbietto! Bifolco! Villanzone! Marrano inurbano che non sei altro! » vomitò l’oltraggiata pulzella, accompagnando ogni parola ad un pugno sulla spalla dell’impudente giovanotto che s’accasciò, per non cadere, contro la parete, più che per i colpi per via delle risa che gli squassavano spietate il petto.

« Ok, mi arredo, mi arrendo!» implorò per la decima volta il ragazzo, e finalmente fu ascoltato.

« Idiota! » miagolò Bec dopo un ultimo colpo ben assestato sulla spalla della sua indifesa vittima, ormai allo stremo delle forze, prima d’incrociare le braccia al petto, con fare sostenuto.

« Sono stato un vero cafone » sentenziò il nostro gentiluomo dipingendosi un sorriso sbilenco e comprensivo sulle labbra.

« Una cafone enorme! » accondiscese la magnanima damigella un po’ ammorbidita da quell’ammissione.

« Mi è appena balzata alla mente un’idea per farmi perdonare il mio imperdonabile comportamento, principessa » esclamò l’impavido giovanotto, cimentandosi in un ossequioso inchino improvvisato.

« Principessa tua nonna! »

« Ho intenzione di sconfiggere il drago per vendicare il vostro onore! » continuò imperterrito Alex, ignorando deliberatamente l’occhiata di disappunto che la sua bella gli aveva scoccato.

« Il drago? » Bec si esibì in una magistrale alzata di sopracciglio « Che drago? » s’informò mascherando piuttosto malamente la curiosità.

« Quel drago! » l’indice dell’animoso cavaliere era spietatamente puntato in direzione della subdola macchinetta che si era, poco prima, così impunemente fatta beffe della nostra povera ed ingenua fanciulla.

« Oh... »

« Non tentare di fermarmi, rischio la vita, lo so, ma nulla potrà impedirmi di vendicarti, principessa » recitò il tutto in modo impeccabile, calcando sadicamente soprattutto l’ultima parola che, aveva notato, dava particolare fastidio alla rossa.

« No, figurati! Non ti fermerei mai, io. E se rischi la vita, soprattutto... Non mi perdonerei mai d’averti evitato la morte! » fu la caustica - ma divertita - risposta che ottenne.

« Non dire così! Lo so che ti nascondi dietro questa maschera di freddo sarcasmo solo perché vuoi celare al mondo la verità, e cioè il fatto che sei follemente innamorata di me... »

« Hai perfettamente ragione » annuì convinta la riccia.

« La vuoi la tua merenda o no? » Alex aveva inspiegabilmente percepito una deliziosa nota d’ironia nella risposta della giovane pulzella.

« Certo! Vai, uccidi il drago e torna con il tesoro! »

« Agli ordini, principessa »

E detto ciò si diresse al cospetto del suo mortale nemico, gli lanciò un’ardente occhiata di sfida e la lotta ebbe inizio. L’accanita tenzone non durò più di qualche istante, perché era evidente che il nostro ardito cavaliere fosse davvero molto ben addestrato per certe, simili emergenze. Così dopo un colpo ben assestato sul lato destro della metallica corazza del temibile drago, subito seguito da un altro, un po’ più in basso, la minacciosa bestia emise un rantolo sconfitto e dopo qualche lamento sofferente lasciò cadere a malincuore il tesoro, che il vittorioso eroe raccolse e consegnò smagliante all’ammirata principessa.

« Davvero un’ottima prova » si congratulò soddisfatta quella.

« Avevi forse qualche dubbio? » s’informò Alex offeso da così poca fiducia nei suoi confronti « Ora mi spetta una ricompensa » sentenziò annuendo convinto.

« La mia eterna gratitudine non basta? »

« Assolutamente no » rispose con un sorriso obliquo il giovane. « In queste occasioni l’ideale sarebbe un bacio, ma io mi accontento di una fetta del tesoro »

« Sei così venale » lo rimproverò severa Bec « Posso darti un quadrato di Kinder Bueno, non di più. »

« Io ne voglio uno intero! » s’indignò il reduce di guerra

« Uno intero? Ma mi hai preso per un’idiota? Che mi potesse stirare un tram seduta stante se te ne do uno intero! »

« Ma io ho ucciso un drago per te! Insomma, un po’ di riconoscenza! »

La contrattazione della ricompensa occupò molto tempo e la questione alla fine si concluse con diplomazia. Tre quadrati. Certo, Bec fu un po’ riluttante a concederglieli, ma in fondo se li era meritati.

« Credo che ora tornerò in classe » sentenziò la rossa una volta ingurgitata la sua parte del tesoro. Era terribilmente in pensiero per Val.

« Ti accompagno » s’offri galantemente il prode cavaliere

« Nah, ce la faccio ad arrivarci da sola, davvero » lo rassicurò alzandosi. « Ci vediamo »

« Allora addio principessa »

Aveva preso una decisione. Avrebbe chiesto aiuto a lui, per le ripetizioni.

Insomma, non le sembrava poi tanto male. Doveva solo piantarla di chiamarla in quel modo assurdo.

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