Questa mortalità umana

di J_Jace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** C.1] Hourglass ***
Capitolo 3: *** C.2] Oxymoron ***
Capitolo 4: *** C.3] Greed ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Questa mortalità umana-


 
 
 
E ho bisogno di te;
Come un cuore ha bisogno di battere.

 
È la notte di un primo d’aprile.

Le stelle fanno capolino dietro una manciata di nuvole e l’aria è fresca, profumata dei fiori raccolti durante la giornata di festa a decorare le vie e i davanzali.

Accosto i drappeggi di fronte alla finestra e mi stendo sul letto. Nell’oscurità e nel silenzio della mia camera, ciò che mi assilla continua a persistere.

Abbasso le palpebre e mi sforzo di costruire un’immagine con l’occhio della mente.

Passeggio tra un prato con gli steli d’erba alti fin quasi alla vita, che costeggia un piccolo ruscello. Con il vento ad accarezzarmi i capelli tutto ciò che sento è il gorgogliare dell’acqua che scorre placida e il frusciare dei miei passi.

È l’imbrunire e la sua figura si staglia in controluce.

Temo di essermi già dimenticata la forma esatta del suo viso o la sfumatura delle sue iridi, così quando l’affianco non mi volto a guardarlo.

Delle soffici labbra che sfiorano la mia guancia, la sua voce che mi rivolge parole a lungo sognate e dita flessuose che s’intrecciano alle mie.

Tutto ciò non riesco immaginarlo e così restiamo l’uno accanto all'altra, senza sfiorarci.

In silenzio.

Aspetto finché non lo scorgo girare le spalle agli ultimi raggi del sole e incamminarsi nella direzione opposta.

Mi dico soddisfatta di questa mia versione di ‘addio’ dove almeno l’ho potuto vedere un’ultima volta. Non è così.

Volgo un’ultima volta lo sguardo su di lui e lo osservo allontanarsi.

Sotto la luce morente, la sua schiena sembra infuocata d’oro.




Note dell'autore: Tralasciamo la parte in cui dico che è la prima volta che scrivo in questo fandom e passiamo alle cose importanti!
 
1. La protagonista-narratrice:
Volevo solo premettere che non avrà il cognome. Infatti, se non sbaglio, era ancora inutilizzato durante l'arco di tempo storico in cui è ambientata la storia.

2. L'immagine:
Ha un senso simbolico. Lei è bloccata e imprigionata dai propri sentimenti, non si può liberare, e non le resta che aspettare che il tempo faccia il suo corso prima di inghiottirla.
Già, il tema principale di questa fic sarà proprio la mancanza del tempo: non se ne ha mai abbastanza per far tutto quello che si desidera nella vita (questo vale per tutti), e nel caso della nostra protagonista la situazione è ancora più problematica.

3. La citazione:
Lo stralcio di canzone che c'è all'inizio fa parte della canzone 'Apologize' dei One Republic.

#J_J
 
[Modifica del 28/07/2018: Il prologo è stato completamento cambiato e le note d’autore hanno subito delle modifiche.]

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Capitolo 2
*** C.1] Hourglass ***


-Questa mortalità umana-



I
Hourglass
-
Clessidra

Non amare, né odiare la tua vita: ma il tempo che vivi;
Vivilo bene, lascia al cielo decidere quanto sia breve o lungo.


Gerusalemme, Israele
(13 Agosto 1007 A.C.)

Erano ormai da tre anni che, nelle giornate particolarmente afose, mi era stato proibito di uscire dalla mia abitazione. Era divenuto un rituale, quello d'attendere al chiuso, dove i raggi solari non potessero scivolarmi sulla pelle, che il giorno cedesse il passo all'aria fresca della sera. Solo con l'arrivo dell'imbrunire potevo cacciare la testa fuori dall'uscio. Ovvero nello stesso istante in cui tutti gli altri rincasavano, per sfuggire alle tenebre a cui io ero costretta tutto il dì. E così passavo il mio - allora inconsapevolmente preziosissimo - tempo, ad aspettare che esso trascorresse. La mia vita scivolava sopra quel periodo d'inattività, con agognata lentezza, prima di riprendere a scorrere fin troppo veloce nelle stagioni più temperate-fredde.
Era così tremendamente angosciante rispettare regole che per me non avevano alcun nesso logico. Mi veniva chiesto di badare a me stessa, senza specificarmi cosa vi fosse in me che necessitava di cure e attenzioni. Qualcosa... qualcosa non andava. Non avevo un pezzo essenziale, oppure era danneggiato e poteva implodere da un momento all'altro. Dentro di me, mancava una parte. E a quanto pareva, nemmeno i miei genitori potevano sostituirla.
Lo avevo capito proprio in una giornata estiva dalle loro voci angoscianti, mentre le ascoltavo la notte, al sicuro sotto le coperte. Il mio cuore era in pericolo, e salvarlo sembrava impossibile. Ma resto una bambina di nove anni. Posso accettare che io sia più fragile, però non ci si può aspettare che io sappia aiutare me stessa, quando nessuno cerca di assistermi nell'impresa.
E capita di dimenticarsi di essere diversi, quando la curiosità bambinesca assale il nostro corpo.

-"Susanna..."-
C'è solo una persona al mondo che mette nel mio nome tanta dolcezza. Esiste un'unica donna capace di pronunciarlo per intero facendolo sembrare una ninna nanna. Una sola, che lo sussurra come se fosse qualcosa da proteggere e al contempo verso cui provare un'angoscia distruttrice.
Smisi immediatamente di lavorare alla mia composizione di fiori. Stavo creando una corona di ribes, per la regina che mi proteggeva. E che in quel momento mi stava chiamando. Alzai la testa, con la percezione di un sorriso sulle mie labbra pallide. Le sue iridi azzurre che mi fissarono amorevolmente mi risucchiarono in un vortice di tenerezza e tristezza. Una combinazione che aleggiava spesso in ogni occhiata che mi rivolgeva. Come se ognuna di esse, potesse essere l'ultima che mi potesse donare.
-"Sì, mamma?"-, le chiesi, ignorando come sempre quel brivido che mi sconvolgeva ogni volta i sensi, mentre mi percorreva la schiena. Non mi piace vederla angosciata. Lei deve sorridere e basta. La sua voce deve cullarmi nei sogni come una melodia dolce, non malinconica. Ogni volta che i miei genitori e le persone del villaggio mi regalano sguardi colmi di significati incompresi, sento il mio cuore morire un po' alla volta. Sussulta e si viene scombussolato nel petto, come se volesse uscirne.
Lei esitò un attimo, scoccando un'occhiata alla porta lasciata socchiusa da cui è entrata nella capanna. Poi sforza un sorriso, ma è chiaramente teso. -"Ci sono... Lucinda e Liliht che chied..."-, non ebbe tempo di finire. Non glielo concessi. Lo rubai, e lo utilizzai per saltare in aria con un nuovo sorriso più grande del precedente. -"Davvero?"-, riuscii a fiatare, al colmo della felicità. Lei tentennò un attimo solo, prima di donarmi un altro sorriso. E' vero questa volta. Illuminò la stanza, e come solo un sole può riempire di calore una giornata, io mi sentii colmare dalla felicità che quel gesto lasciava trasparire. -"E... e se non le hai cacciate..."-, incominciai, meravigliata, congiungendo le mani davanti a me, come in una muta preghiera. -"Significa forse che sta volta posso uscire? An... anche se è estate?"-
All'improvviso sul suo viso vidi inseguirsi indecisione e puro terrore. Come mai era atterrita? Mi si avvicinò di colpo, e mi afferrò le spalle nella tipica stretta delicata ma decisa delle madri. Da quella distanza ravvicinata mi era possibile vedere la sua giovinezza. Non aveva ancora trent'anni, ma il viso abbronzato ne dimostrava anche di più quando aggrottava la fronte come in questo momento. Quando gli occhi le si facevano quasi vitrei e mi fissavano come se non fossi più lì, avvolta dalle sue braccia. Quando le labbra le tremavano violentemente, come se stessero sussurrando frasi in una lingua sconosciuta. Sembrava quasi che il tempo la stesse divorando più in fretta: era questo quel che succedeva quando si era costantemente in ansia?
E poi, inarcando le sopracciglia, mi scoccò un'occhiata indecifrabile. -"Oggi... è nuvoloso e le temperature si aggirano sui venti. Puoi andare, ma devi tornare subito nel caso in cui le nuvole si diradino"-, si raccomandò, mordendosi le labbra. Detto ciò, tuttavia, non lasciò la presa sulle mie spalle. Mi strinse più forte, stropicciandomi leggermente l'abito di lino bianco che indossavo, guardandomi di sottecchi. Sembrava cercare qualcosa dentro di me. Sperava forse che il pezzo mancante si fosse messo a posto? Oppure cercava la forza dentro di me, per ripromettersi che sarei tornata indietro? E poi, di colpo, senza alcun preavviso, mi liberò. -"Va'. Ma bada di tornare da me. Non sono ancora disposta a cederti agli angeli."-, mi mormorò, mentre correvo trafelata verso la porta, dimenticandomi con quel gesto tutta la tristezza dentro le sue parole.
La regina restò sola nel suo castello, crogiolandosi nelle sue paure, in attesa che un essere celeste andasse a consolarla. Ma non arrivò alcun conforto dal paradiso: nessun segno di comprensione per le sue pene. Qualcuno avrebbe esaudito la sua preghiera nei confronti della figlia?

-"Tu che proponi di fare, adesso, Susan?"-, mi domandò gentilmente Lucinda, sorridendomi con dolcezza. Era sempre stato così. Sebbene tra me e lei corresse solo un anno di differenza, il suo bisogno di donare amore, mi faceva apparire come una creatura più piccola bisognosa di attenzioni. E allora cercava di coinvolgermi nella scelta dei giochi mattutini. Lilith, che distanziava Luce di due anni e che si era auto-nominata il capitano del nostro piccolo gruppo, come ogni volta sorrise. Distese il viso nella sua solita espressione serena, facendoci beare della sua bellezza, prima di coricarsi dolcemente sul prato verdeggiante, in attesa della mia risposta.
Eravamo in riva al fiume, all'ombra di un carrubo, benché il timido sole non si fosse ancora svelato. Mi guardai attorno, anch'io sorridente, alla ricerca di qualche attrazione. Mancava ancora molto al calar della notte, e la consapevolezza di poter passare tutto quel tempo in compagnia delle mie due amiche, mi faceva sentire rigenerata. Puntai un dito sull'acqua cristallina che scorreva placidamente di fronte a noi. -"Non ci ho ancora pensato. Ma intanto possiamo bagnarci i piedi!"-, suggerii docilmente, in attesa di un consenso o un rifiuto.
Loro annuirono e iniziarono a incamminarsi verso la sponda del piccolo torrente, poco distante. Si sedettero sul limitare tra l'erba e lo specchio trasparente, attraverso cui si intravedevano piccoli pesciolini nuotare velocemente, sfruttando la corrente. Le osservai, restando lievemente indietro, mentre si sfilavano i sandali con cura per poi posarli al loro fianco con delicatezza. Le loro movenze erano così curate e precise, che m'incantai a guardare le mie uniche amicizie mentre, ridacchiando per l'acqua fredda, immergevano in essa le piante dei piedi. Iniziarono a muoverli avanti e indietro, tenendo i vestiti su per non bagnarli. Piccoli schizzi decoravano quella scena gioiosa. Mi sentii assalire dalla voglia di farne parte. Volevo anch'io ridere fino a dimenticare tutto. Creare un universo in cui esistevano solo pensieri positivi ed emozioni portatrici di felicità.
Avanzai, attirata dalle risate delicate delle due bambine poco più grandi di me. Dopo appena un paio di passi, quando fui fuori dall'ombra gettata dal carrubio, quando solo un altro paio mi separavano dal piccolo gioco di spruzzi intrapreso tra Lucinda e Lilith, qualcosa cambiò.
Inaspettatamente, il sole riuscì a forare la protezione data dalle nubi lattee. E si affacciò più caldo di quanto mi aspettassi su Gerusalemme. Socchiusi gli occhi, alzando una mano per coprirmi la vista dalla luce accecante che improvvisamente aveva assalito tutto il villaggio. Il suo abbraccio caldo e avvolgente si chiuse su tutti, scaldando e rischiarando ogni cosa. Non era come quello tiepido della primavera, e nemmeno come quello distante dell'inverno. Il suo calore era facilmente percepibile, e la sua bellezza era mille volte più sconvolgente.
Per me, fu come se all'improvviso avessi scoperto la vista dalla benda pesante che mi impediva da sempre di vedere, contemplare, in tutto il suo splendore, il mondo che mi circondava.
Il prato verde su cui mi trovavo, assunse svarianti tonalità più lucenti, riuscendo ad apparire quasi vivo. I fiori che erano fioriti durante la primavera, si mostrarono perfetti, adornati dalle gocce di rugiada che si apprestavano a scivolare sullo stelo fino al terreno.  L'acqua del fiume, prese a brillare come le stelle della volta celeste: il sole rifletteva su di essa giochi di luce e colori. Non sembrava più priva di personalità, quel liquido prima trasparente e ora brillantinato. Gli occhi delle due bambine più chiari: la pupilla più piccola concesse maggior spazio all'iride, permettendo di osservarne le miriadi sfacettature.
Abbassai il braccio, totalmente presa da quel dono della natura. Il sole si stava rivelando in tutta la sua algida gloria, e io non potevo far altro che stare in adorazione. Mi imposi di fissarlo, prendendo a lacrimare per lo sforzo. Volevo accoglierlo in me, per poterlo avere sempre.
-"E' così bello..."-, sussurrai rapita, continuando la mia contemplazione. Riuscivo udire distrattamente Lucinda e Lilith pregarmi di ritornare all'ombra. Ma era una presa in giro? Mi stavano seriamente chiedendo di rinunciare a tutto quello splendore? Sentii un tremito attraversarmi le vene. Sembrava che il sangue che vi scorreva all'interno, fosse diventato fuoco vivo. Sì, la mia pelle pallida, ormai non avvezza a ricevere un qualche tipo di calore, si stava velocemente scaldando, fino quasi a bruciare. Il cuore iniziò a pompare più sangue nelle arterie, mentre prendevo a respirare affannosamente. Allargai gli occhi, come per cercare di catturare definitivamente il sole. Sentivo il suo calore dentro di me.
Una raffica di vento improvvisa mi portarono alle orecchie le voci concitate delle mie due amiche. Riabbassai lo sguardo dal cielo, per posarlo su di loro. Si stavano velocemente alzando dalla riva su cui si erano accomodate, pronte a raggiungermi e a costringermi a forza ad andare al riparo. Il mio campo visivo era pieno di sfere multicolori, che volavano dolcemente avanti e indietro, ma questo non m'impedì d'osservare un nuovo miracolo della natura.
Con il vento, presero a spandersi nell'aria i soffioni e alcuni petali di gigli bianchi. Volteggiavano a mezz'aria, ancora semi bagnati dalla rugiada, impegnati in una danza di cui i passi erano solo loro a conoscenza. Le fronde del carrubio vibrarono di una musica incomprensibile, eppure così tanto udita. Cominciai a ridere a gran voce, dando sfogo alla mia felicità, prendendo a girare su me stessa, e a ballare tra i fiori volanti, con il vento che mi scompigliava i capelli biondi.
Sentii anche Luce iniziare a ridacchiare, deliziata, mentre muoveva qualche passo scalza sull'argine tra erba e fiume, mentre Lilith scuoteva la testa con un sorriso appena percettibile. Le raggiunsi sulla riva, godendo di quella sensazione celestiale. Ero come in estasi. Il cuore batteva veloce come un colibrì, il respiro fuoriusciva dolce e rapido, l'elettricità di un calore sconosciuto mi pervadeva il corpo. Chiusi un attimo gli occhi, sorridendo per quella indimenticabile mattina soleggiata.
Un brivido più lungo degli altri. E poi una contrazione.
Il sussulto che fece il mio cuore, mi fece portare all'improvviso le mani al petto. Non batteva più come le ali di un passerotto. Proprio... non batteva. Spalancai le palpebre, mentre aprivo la bocca. Nessun suono ne fuoriuscì. Venni risucchiata verso il basso, e mi lasciai cadere. Infransi lo specchio luccicante, e l'acqua gelida sulla mia pelle surriscaldata ebbe il potere di far balbettare di nuovo il mio organo difettoso. Uno. Due. Tre volte ancora.
Levai gli occhi all'insù: il sole, aldilà della superficie trasparente, se ne restava fermo e irraggiungibile a fissarmi, leggermente sfocato. Un'immagine sbiadita, troppo lontana per potermi soccorrere.

Qualche tempo dopo, quando fui trascinata priva di sensi nella mia dimora, dove venni visitata dal parroco del tempio, con ancora l'acqua del fiume a rendere il mio vestito fradicio, venni a conoscenza del mio pezzo mancante.
E' successo tutto d'un tratto, e il fuoco del sole si è istallato nel mio fragile cuore, esaudendo il mio desiderio nel peggiore dei modi. Lo sentirò sempre bruciare in me, come la stella di fulgida bellezza che mi ha ammaliato, e tuttavia, questo porterà alla mia stessa morte. E' ciò che dicono gli uomini più facoltosi e saggi del villaggio. Gli angeli mi hanno donato un pezzo della loro gloria, e mi hanno permesso di conservarla all'interno del mio organo da sempre difettoso, finché essa stessa non mi divorerà l'anima.
Questo calore, che agognavo solo per l'emozioni sconvolgenti che mi portava a sperimentare, sarà la mia croce, poiché m'impedirà di abbracciarle e viverle ancora una volta. Nel momento in cui l'adrenalina ha preso a scorrere nel sangue, e la sabbia presente nella clessidra - paragonabile alla durata della mia vita - a scivolare più velocemente, ogni singolo stimolo d'ora in avanti potrà provocare la diminuzione dei granuli che mi restano da assaggiare. Quanto tempo mi resta? Posso permettermi il lusso di sprecarlo, come ogni estate, al chiuso? E del resto, per spenderlo nella maniera adatta dovrei vivere sotto alla luce del sole, rischiando di farmi assalire da nuove ondate di sentimenti troppo insistenti e potenti per poter essere arrestati. Non si può sopraffare la gioia, troncarla di colpo, appena la si sente prendere il sopravvento sulla propria vita. 
Ti priveresti mai della tua felicità solo per continuare a vivere una vita non degna di essere definita tale?
Ci sarà mai qualcosa che ti spingerà a preferire le tue gioie ai i tuoi turbamenti?
Vivere in malo modo il periodo di vita che mi è stato concesso, o rendere ogni secondo indimenticabile, ignorando il mio cuore e la sua precaria situazione?
Il basamento dell'uomo è la sopravvivenza.
Il mio obiettivo potrà mai virare su altro, che non la mia illusoria salvezza?



Note dell'autore:
Incredibile, ma vero: ho aggiornato dopo pochissimo tempo dall'ultima volta 0.0
Probabilmente perché non volevo lasciare solo un pezzettino ino ino ino di trama per chissà quanto tempo xD Già il 2° cap. ci metterà una vita per arrivare u.u
Altro problema: faccio degli errori che... brrr >O<
Una volta sono riuscita a scrivere "mess'ora" al posto di mezz'ora, senza contare che io non ricontrollo mai quello che scrivo eue
Quindi per piacere... quando troverete - non c'è manco il 'se' ç_ç - dei strafalcioni, oltre a tirarmi un calcio virtuale, indicatemeli così li correggo e non faccio figuracce ù_u
La prossima volta spiegherò quale sarà la malattia di Sus nelle note.

1. La protagonista-narratrice:
Qui si scopre il nome della ragazza: Susanna :'D
Dico subito che lo abbrevierò molto spesso con 'Susan' o 'Sus', il che è intuibile anche da una frase in particolare che pensa lei stessa ;]
"Esiste un'unica donna capace di pronunciarlo per intero" Okay è molto velato, ma qui intendevo dire anche che di solito le persone non la chiamavano così. :']
Il carattere si preannuncia essere dolce e innocente, ma anche curioso e in parte intraprendente. =')

2. La citazione:
Il nostro caro John Milton :"3
Qui ci sta, dai u.u

3. Lunghezza capitolo:
Direi che è nella norma. :/
Ma non mi convince. >_<
E' troppo poco, è troppo troppo(?) o dovrebbe proprio non esistere un obbrobrio simile?
La terza è convincente, vero? x'D

4. Prossima volta che verrò a rompervi le scatole e a portare qualcosa di indecente sarà:
Ehm. Non faccio promesse, perché ogni singola volta - ma non ne manco una - che giuro qualcosa in campo scrittura-lettura-commenti non riesco a mantenere gli impegni per forze maggiori ._.
Mah. Spero di riuscirci prima che volino via 2 settimane :]
Abbiate pazienza con me T.T
 
-JJ

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Capitolo 3
*** C.2] Oxymoron ***


-Questa mortalità umana-
 


II
Oxymoron
-
Ossimoro


 
L'umorismo è il più potente meccanismo di difesa.
Permette un risparmio di energia psichica e con una battuta blocchiamo l'irrompere di emozioni spiacevoli.


Gerusalemme, Israele
(24 Aprile 1002 A.C.)

"Il sole filtrò dalla finestra, e la luce che proiettava mi destò dal mio sogno ristoratore. Un'altra bella giornata da spendere con le altre persone del villaggio; un giorno in più da vivere con chi amavo.

Mi piacerebbe continuare.
Ma le mie speranze, i miei programmi per il futuro, consistono solo in questo: avere la consapevolezza di potermi svegliare ogni giorno, dopo aver sognato qualcosa che non sia un eterno sfondo nero privo di colori e passare il resto del giorno a bearmi della luce solare.
E non ho mai portato a termine nessuno dei tre obiettivi.
Quale futuro, devo dunque descrivere, senza sfiorare l'irrealtà?
Non ho forse già scritto ciò che non accadrà mai?"

 
Sospirai, portandomi una mano davanti agli occhi, privandomi della visuale di quel foglio di pergamena e, soprattutto, delle parole che avevo appena versato su di esso.

Che compito ingrato quello di affidarmi un tema sui miei desideri per il mio domani ideale. Non erano forse dolorosamente scontati?
E io, d'altra parte, perché avevo permesso alla mia mano di rispondere con frasi così crudeli, colme di malinconia e rassegnata disperazione?
Benché fossero vere, tali parole non dovevano essere pronunciate o rese note.
Non mentre tutto ciò che stavano cercando di ottenere gli anziani del villaggio, era una dimostrazione della mia bravura nel comporre racconti. Mi avevano insegnato a scrivere e a leggere, e ora - giustamente - pretendevano che mettessi in atto tali abilità, per non dimenticarle inutilmente.

Non mi avevano posto quella traccia per cattiveria.
Lo sapevo.
Ma ciò non rendeva meno difficile affrontare i miei sentimenti.
Come potevo - anche solo lontanamente - fingere un futuro pieno di vita e progetti, quando non sapevo neanche se mi era permesso viverne uno? Esisteva?
Non ne ero sicura.
Ma avevo bisogno di credere che fosse così.

Tenni gli occhi serrati ancora per qualche secondo, prima di togliere il mio palmo dal viso e posarlo di nuovo sul pavimento della capanna.
Ero nella stessa stanza di cinque anni prima - quella in cui, se fossi rimasta per giocare, avrebbe ritardato il mio destino - e non era cambiata di molto.
Stesse pareti dai colori vivaci; stessa impressione di un calore e di una luce, che in verità la dimora non aveva mai avuto il beneficio di ospitare. Stesse finestre chiuse da drappeggi pesanti; stesso sole che cercava di penetrare ugualmente.

Solo io non ero più la stessa. Ero peggiorata, sì.

Cose che capitano.
Ma a tutti? Tutti hanno la stessa probabilità di riscontrare il problema?
Sarebbe problematico.
Quindi. Altri erano più a rischio che alcuni?
No. Solo io.

-"Sus...?"-
Levai il capo, in ascolto. Fu in quel momento che mi accorsi del leggero ticchettio, il quale persisteva contro il legno della porta, accompagnando la voce infantile. Qualcuno stava cercando di richiamare la mia attenzione. Ed era facile intuire chi fosse. Mi alzai, lisciando l'abito dalle tonalità chiare. Abbacinata da colori neutri come il bianco, era meno probabile che la mia pelle venisse bruciata dal sole.

Socchiusi l'uscio con delicatezza, badando a non far filtrare i raggi solari all'interno. Il grazioso viso a cuore, incorniciato da una cascata di ricci scuri di Lucinda, mi fece sorridere. Le iridi nocciola abbandonarono l'aria pensierosa appena scontrarono la mia figura, abbandonandosi ad un'espressione più dolce e serena.

-"Susan! Tutto a posto?"-, mi domandò, un sorriso sulle labbra carnose. Annuii, senza proferire alcuna parola, prima di tirarmi di lato. Quando l'uscio venne aperto dalla quindicenne, le ombre della casa non si diradarono dall'angolino in cui mi ero celata. -"Sicura? Sai, iniziavo a preoccuparmi! Era da cinque minuti che bussavo... non è che hai avuto... sì, insomma. Mi hai capito."-

Incespicò nell'imbarazzo, verso la fine della frase. Non le piaceva nominare la mia malattia, così come io non apprezzavo che venisse tirata in ballo. Finché non se ne parlava, potevamo entrambe nutrire l'illusione che non esistesse.

-"Tutto a posto, davvero. Non preoccuparti."-, cercai di tranquillizzarla, con un mezzo sorriso. Ma, tutto sommato, se mi rivolgeva simili domande era solo perché ci teneva a me e non voleva che mi affaticassi eccessivamente. Mi avviai nuovamente verso il soggiorno, dove si svolgeva la maggior parte della mia giornata tipo. Che meraviglia... Sospirai sottovoce, cercando di non farmi sentire. -"Stavo scrivendo una sorta di storia, per questo non ti ho sentita."-, mi giustificai, indicando il materiale sparso sul pavimento, il mio abituale tavolo da lavoro.

Lei ridacchiò - ritrovando la sua solita vivacità -, mentre cercava di non spiegazzare il suo abito celeste prendendo posto su una sedia. -"I soliti compiti affibbiati dagli anziani?"-, chiese con leggerezza, protendendosi di poco, nel vano tentativo di sbirciare i fogli di pergamena. Li raccolsi frettolosamente per impedirglielo, lanciandole un'occhiata severa. -"Sì. Ma sono vietati, presente? Non puoi leggerli. Sono loro possono"-, l'avvertii.

A quel punto si lasciò andare ad una vera e propria risata liberatoria. Aveva capito che scherzavo, ovviamente. Questo perché non aveva compreso il mio tormento tra le righe di ciò che avevo detto.

-I miei sogni sono vietati. Non puoi realizzarli. Solo gli angeli possono.-

Quale modo migliore per far preoccupare a morte la propria migliore amica, se non quello di raccontarle la verità?

Dopo aver posato calamaio e inchiostro sul tavolo vicino, e preso posto su un'altra sedia, nascosi la prova incriminante della mia probabile depressione sedendomici sopra. Mi schiarii la gola, prima di riprendere il discorso. -"Ehm. Sì. Non che non sia felice della tua visita, ma... ecco, che ci fai qui?"-

Cercare di non offendere le persone mentre si cercavano delle risposte, era proprio un lavoraccio.

Sorrise, mentre distendeva le affusolate gambe, completamente a suo agio e priva di alcuna preoccupazione. Beata lei, mi ritrovai a invidiarla. E non era la prima volta che desideravo essere al suo posto. Non per prenderne le caratteristiche fisiche o caratteriali, l'amore famigliare o gli occhi espressivi. Semplicemente perché lei; lei poteva vivere - vivere e sperare - come qualunque persona normale.

-"Beh. Mi sembra ingiusto che tu resti sola finché il sole non va a dormire. Ti pare? Quindi sono venuta qui per farti un po' di compagnia."-, l'ennesimo sorriso genuino, e l'atmosfera si fece più placida, rilassata.

Mi risultò semplice ricambiarla. Restava sempre Luce. Luce, che si preoccupava per me. Luce che non coglieva di proposito alcuni miei stati d'animo, per permettermi di capirli e superarli da sola. Luce che rideva. Luce che aveva un'intera vita davanti.


Così era sempre sembrato. Così non era mai stato.


-"Non lo so... ma mi pare comunque strano!"-, fui costretta ad ammettere alla fine. La frustrazione dentro le mie parole donava un tono lamentoso alla frase appena detta. Non era propriamente irritazione verso ciò che non capivo, più che altro ero innervosita dai sentimenti che suscitava in me quel che era illogico. Il fatto che fossi  gelosa di Lucinda l'avevo accettato. Costituiva una conseguenza al mio desiderio d'avere un futuro da vivere. Possedere ciò che lei invece aveva di diritto, aveva preso a consumarmi dalla scoperta; ma era logico. Sì, normale. Trovatemi un essere un umano che non abbia mai voluto avere ciò che era di un'altra persona: impossibile. 

Quel che invece non comprendevo era l'invidia che portavo verso mia sorella minore. Perché mai la piccola Noemi Maryam, tenera nei suoi quattro anni e mezzo, avrebbe mai dovuto suscitare un simile sentimento in me?

Oh. Forse la frustrazione era anche dovuta al fatto che alla fine, chissà come, eravamo finite ugualmente a conversare nel mio pezzo mancante.

-"Beh. Anche i tuoi genitori hanno gli occhi azzurri."-, osservò in quel momento Luce, tranquilla, cercando di conseguenza di acquietare anche me. -"Non vedo perché tua sorella non dovrebbe averli dello stesso colore."-, concluse.
Appunto. Era assolutamente consueto un fenomeno simile. Il problema non era lei, no. Ero io, appunto. Sempre, e solo, io. La inchiodai con uno sguardo, cercando di non far trasparire il mio disaccordo. -"I miei sono scuri. Neri. Nerissimi."-, le feci notare. Obbligata a fissarmi in faccia, non avrebbe certo potuto avere la sfacciataggine d'accusarmi di mentire. Così, fu costretta ad annuire mestamente.

Il fiore del dubbio l'aveva minimamente sfiorata?
-"E con ciò?"-, insistette.
No.
Non l'aveva nemmeno visto da lontano, il dilemma bello e buono che stavo cercando di affrontare. Troppo sole accecava le persone?

Presi un profondo respiro. -"Beh. Mi stavo chiedendo... se la mia malattia renda l'iride di un colore scuro. Sarebbe plausibile pensare, se ciò fosse vero, che mia sorella non ne sia affetta."-, ragionai, tranquilla. Lei sbatté le palpebre, chiedendomi con i suoi enormi occhi da cerbiatta di continuare. Ma nemmeno sulla linea dell'orizzonte, eh? Andiamo! Ragionaci... Devo avercelo scritto in fronte. Dai, che lo capisci. Basta guardare attentamente dentro di me, cercare di comprendermi...

-"Non capisco."-, mi rese partecipe, dopo quasi due minuti di silenzio in cui non avevo accennato a proseguire. La sua aria dispersa e confusa, parlava da sé. -"Intendevo dire..."-, ripresi il filo, cercando di non lanciarle un'occhiataccia. Era colpa mia. Non mi ero spiegata bene. Questo, almeno, era quello di cui andavo cercando di convincermi. -"Che il difetto al mio organo interno potrebbe non essere trasmissibile per vie ereditarie come pensano gli anziani. Altrimenti, si sarebbe riscontrato lo stesso disturbo in Noemi, con una probabilità quasi assicurata. Invece lei può stare al sole. E ha gli occhi chiari. Mentre io non... insomma. Ora hai capito dove intendevo parare?"-

Ovvio che aveva compreso il succo della questione. Questo però, non le impedì di prendere qualche minuto per ragionarci sopra. Assurdamente snervante, ecco cosa mi provocava quel comportamento. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che fossi io quella che attendeva un giudizio e non il contrario. -"Come hai detto tu potrebbe non trattarsi di qualcosa inerente alla genetica. Insomma! Tua sorella sta che è una favola"-, s'interruppe un secondo per rivolgermi un sorriso, senza accorgersi che con quella frase rischiava di farmi diventare verde d'invidia. Adoravo mia sorella - Come avrei potuto fare diversamente? -, ma mi chiedevo sempre più spesso perché io sì, e lei no. Aveva avuto io una sfortuna diabolicamente perversa riscontrando una malattia rarissima e mai vista nel nostro villaggio, o era lei che aveva ricevuto una grazia sfacciata sfuggendo a una caratteristica ereditaria persa da tempo e ritrovata con la mia nascita? Speravo davvero che fosse la prima. Altrimenti, ero quasi certa, che ne sarei stata così gelosa da poter arrivare a detestarla. -"Oppure sì, e lei l'ha scampata per miracolo"-, concluse, in perfetta linea coi miei pensieri.

Dio. Spero proprio di no.

-"Ah."-, commentai, fingendomi disinteressata. Avevo calcolato quella possibilità, e se si fosse verificata veritiera quella che più temevo... avrei avuto qualcuno da incolpare. Sì. I miei genitori. In quel caso non sarebbe stato meglio continuare a puntare il dito contro il cielo, invece che verso le persone a cui tenevo, accusandole di avermi dato alla luce con aspetti fisiologici sbagliati, senza che questi però intaccassero la loro seconda figlia? Li avrei odiati, tutti e tre, corrosa da un invidia impossibile da controllare, e mi sarei consumata nel mio stesso disprezzo fino a diventare una persona spregevole.

La mia malattia non mi è stata indotta attraverso vie genetiche-ereditarie. Voglio credere che sia così, e così sarà. E' strano che io non abbia le iridi azzurre proprio perché la mia disfunzione è stata provocata da un agente esterno. Altresì avrei mantenuto un colore degli occhi chiaro. Non vi è nulla che lega me e mia sorella. Lei può bearsi della luce solare poiché non ha riscontrato sulla sua via questa infezione.

Lucinda tossicchiò, cercando di attirare la mia attenzione, in quel momento tutto fuorché concentrata sulla ragazzina che avevo di fronte. Quando levai il capo, trovai la sua espressione divertita ad osservarmi. Dovevo essere stata zitta per parecchio tempo, persa nei miei ragionamenti, per averla spinta a richiamarmi. -"E comunque..."-, trillò, provando a portare un po' di allegria, trovando probabilmente l'aria gravosa, plumbea perfino rispetto i miei standard. -"I tuoi occhi non sono 'nerissimi'"-, mi scimmiottò, piuttosto malamente.

Le scoccai un'occhiata incuriosita. "Obbligata a fissarmi in faccia, non avrebbe certo potuto avere la sfacciataggine d'accusarmi di mentire", avevo pensato precedentemente. E guarda caso, invece, era proprio ciò che stava facendo in quel momento. Oh, Luce. Devi cercare di screditarmi sempre? Quel suo comportamento, se prima mi avrebbe alterato, in quel momento mi fece nascere un lieve sorriso. -"Ah sì? Illuminami, allora, Lucinda cara, e dimmi un po' che meravigliose tonalità d'azzurro possiedono. Perché sai, io proprio non le ho mai viste!"-

Sbuffò, spazientita dal mio sarcasmo tutto tranne che velato, e mi fissò con finta aria superiore. Dietro i suoi occhi nocciola, tuttavia, s'intravedeva una luce: era felice di avermi smossa dall'espressione tenebrosa che dovevo aver assunto. -"Contrariamente a quanto voi pensiate, mia carissima Susanna, le vostre iridi non sono totalmente madri di tenebre."-, incominciò, ostentando fin troppo una signorina civettuola. Dopo aver scorto il mio, più che plausibile, sconcerto si affrettò a cambiare i toni prima adottati: -"Certo, non nascondono sprazzi di cielo, sia chiaro! Ma non sono scurissime, come pensi, ecco. Se guardi bene, alla luce del sole..."-

Mi schiarii la voce, per sottolineare un errore piuttosto rilevante - e grossolano - nel suo discorso. Arrossì, e dimostrando di avere un minimo di tatto, si corresse velocemente: -"Ehm... s-sole, sole invernale, ovvio. Ecco, dicevo... si vede qualche traccia di rosso dentro il nero."-, concluse alla svelta.

Strabuzzai gli occhi, colta di sorpresa. -"Io... avrei gli occhi rossi? Prego!?"-, esclamai. Tutto mi aspettavo, eccetto quel colpo di scena. Lucinda, perplessa dal mio semi-grido, si spostò a disagio sulla sedia, quasi cascando a terra in un volo rovinoso. -"H-hey hey hey! Ho detto tracce!"-, si difese subito, riuscendo ad apparire anche offesa dal mio scatto. -"Pagliuzze, insomma. E solo quando hai la luce del sole che ti colpisce direttamente il viso, sia chiaro! Non è che appena viene giorno vai in giro con gli occhi che sembrano assatanati..."-, borbottò.

Scossi la testa, cercando di chiarirmi le idee. Assurdo. -"A parte il fatto che io, in giro, proprio non posso andarci, soprattutto se è dì... ma, m-ma ti sembra una cosa normale, scusa?"-, osservai, compita, sinceramente ferita nel profondo. Ci mancava solo che quelli del villaggio pensassero fossi devota a Satana e avessi preso i suoi occhi iniettati di sangue! Incredibile la capacità innata di Luce nel far venire i colpi al cuore alle persone. Soprattutto a quelle che magari ne farebbero a meno, onde evitare problemi ancora più gravi di quelli che stavano affrontando!

-"Ma che ne so io! Sarà un altro aspetto di... ehm, sì, capito, no? Infondo l'hai detto pure tu che potrebbe essere essa stessa la causa del diverso colore nell'iride tra te e il resto della tua famiglia. Le piccole, minuscole, tracce di rosso dovrebbero solo confermare la tua teoria di una malattia non trasmissibile ereditariamente parlando. Dovresti gioirne"-

Forse... era la prima cosa semi-sensata e vagamente di aiuto che mi diceva quel giorno. E per questo dopo averla fissata stralunata per un minuto buono, le corsi incontro e l'abbracciai. Davvero. Non era perché le volessi bene. Oh, beh. Magari, giusto un pochino, a quella scema ci tenevo.


-"Scusami tanto Susan. Ma non avevi detto che avevi iniziato a lavorarci?"-, indagò Lucinda, indicando pacatamente i rotoli di pergamena sparpagliati per il tavolo. Dopo esserci sciolte dal nostro abbraccio - O meglio, dopo che l'ebbi spintonata via quando realizzai il significato del gesto istintivo che avevo compiuto -, avevo accennato al compito degli anziani. Per questo ora, eravamo sedute l'una di fianco all'altra, cercando di unire le nostre idee per un bel racconto. Ovviamente, quella sistemazione non mi piaceva. Ma non potevo stravaccarmi sul pavimento con un ospite in casa. Così la pensava mia madre... così, ero costretta a comportarmi. Stupide etichette. Avevo appena appurato che Luce era davvero - stranamente - la mia migliore amica... non potevo essere me neanche con lei?

-"Io, in realtà, avrei detto che ero impegnata a pensare a sta... cosa. Non che l'avessi effettivamente iniziata."-, obiettai, leggermente a disagio. Di certo non le avrei fatto leggere quello su cui ero seduta. -"Altrimenti, non avrei chiesto il tuo aiuto. Cioè, dai. Lo sai."-, continuai, assumendo un'aria da saputella. -"Eh? So cosa?"-, -"Che... due persone non pensano alla stessa maniera, e hanno idee differenti. Se avessi iniziato a lavorarci, le tue trovate sarebbero state troppo discordanti per essere effettivamente affiancate dalle mie, e quindi di conseguenza non ti avrei chiesto un suggerimento in principio"-, spiegai al volo, quasi mangiandomi le parole dalla fretta. Ma che razza di bugie mi ero tirata una dietro l'altra?!

Lei mi scoccò l'ennesima espressione confusa, prima di illuminarsi di un sorriso ironico. -"In questo caso, non vedo in che modo potrebbero esserti utili i miei pensieri su questa storia. Differirebbero ugualmente con i tuoi concetti, no? Quindi non troveremmo mai un punto in accordo."-

Ma perché - perché, cavolo? - doveva essere sagace in argomenti in cui sarebbe stato meglio vederla annuire e basta? Boccheggiai due secondi, prima di ritrovare qualcosa da dire su ciò che aveva affermato. -"Hai ragione"-, mi costrinsi a osservare, placida. Non le concessi il tempo di gioire della propria vittoria, che conclusi: -"Quindi perché non ci pensi direttamente tu, a tutto il racconto, senza dover subire le mie interferenze? Grazie in anticipo, Luce. Sei un angelo!"-, un occhiolino e via di filato verso la cucina.

Quando la raggiunsi, stavo già, inevitabilmente ridendo a crepapelle, per la faccia inebetita che aveva assunto Lucinda. Semplicemente impagabile.
Dopo che mi fui calmata a sufficienza e aver preso qualche cibaria varia per sbollire una probabile Luce fuchsia - esilarante, certo, ma anche una potenziale minaccia per la mia traballante salute - osai tornare sui miei passi.

Come immaginato, la quindicenne in preda all'ira da me provocata, aveva assunto un colorito piuttosto acceso. Si era rifiutata categoricamente di concludere per me il lavoro da svolgere, ma non fu questo certo a paralizzarmi. Davanti a lei, svettava sopra la montagna di pergamena immacolata, un foglio vergato di qualche scritta nera. 

Ommiodio ma si può essere più sfigati di me?

Ovviamente quella squilibrata di Lucinda che non sapeva farsi i suoi beati affari - E che io accusavo, poiché non volevo di certo darmi da sola dell'idiota sprovveduta, cosa che effettivamente ero, e a ragion di logica, sarei sempre stata -, mi notò immediatamente, e mi riservò uno sguardo di ghiaccio, coi suoi bellissimi e caldissimi occhi nocciola. Come può un colore così caldo, essere capace di gelare sul posto una persona?

-"Direi che non potremmo avere opinioni più incompatibili. Decisamente. Quindi... beh, complimenti. Avevi ragione. E non pensare che mi riferisca a ciò che hai scritto su questo pezzo di pergamena stropicciata, Susanna. Sto alludendo al fatto che due identità prese a caso abbiano, quasi sicuramente, scostanti pensieri in merito a  argomenti simili, poiché tali idee sono generate da due entità differenti."-

Freddata. Oh, altroché!

Dovetti schiarirmi la gola circa una decina di volte, prima di riuscire a trovare la voce. Diciamo che se pure lei si era ghiacciata nella trachea e proprio non aveva voluto saperne di sciogliersi per un po'. -"Beh, a parte il fatto che ho quasi sempre ragione..."-, diciamo che stavo proprio iniziando bene. Sì. Infatti assunse un colore quasi cadaverico dopo aver sentito le mie prime parole di "scuse". Finalmente potevo dire addio a quel delizioso fuchsia! E il merito era grazie a cosa? Il mio tenero carattere, ovvio. Quanto sapevo essere arrogante? Quanto ero spregevole? Quanto poco le volevo bene? No. L'ultima non c'azzeccava un piffero. Appunto perché ci tenevo a lei, cercavo di essere il più intrattabile e scontrosa possibile. Così, quando me ne sarei andata... le sarei mancata di meno, no? Oh, già-già. La mia speranza per un bel futuro gioioso era proprio andata a benedirsi! Si trattava di quando, e non se. Era totalmente sicuro che sarei sparita prima di lei da questo mondo. -"Più due persone sono diverse... e più si completano a vicenda."-

...

Ma che diavolo di frase del cavolo avevo tirato fuori?

"Sono proprio una scema!", avanti dillo Miss A-parte-il-fatto-che-ho-quasi-sempre-ragione. Che aspetti? Non è forse vero?

-"Sono proprio una scema"-, osservai neutra, fissando con sguardo vuoto il soffitto, in viso un'espressione pensierosa. E lo sono ancora di più adesso che l'ho ammesso ad alta voce. Sentii uno sbuffo divertito. -"Ma direi proprio di sì!"-, sbottò acidamente Lucinda. Però, quando la fissai, mi saltò subito all'occhio il mezzo sorriso che avevano dipinto le sue labbra.


-"Sai cosa trovo insensato?"-, me ne uscii di colpo.
E il 'di colpo' era incredibilmente consono, perché non è normale esclamare una frase del genere mentre si sta conversando di una probabile giornata-tipo. Non per niente Luce mi guardò inespressiva per una manciata di secondi, pensando con tutta probabilità se classificarmi come 'demente assoluta' o 'psicopaticamente unica'. E non sapevo quale fosse la categoria migliore. Probabilmente la seconda. L'unicità doveva pur essere premiata, no?

-"Ehm... te stessa? Oppure... il fatto che non ti ho ancora tirato qualcosa in testa? No, perché sai, questa è la... tipo, ventitreesima volta, che mi interrompi a metà discorso in meno di dieci minuti."-, sospirò esausta, massaggiandosi le tempie. -"Sì proprio que..."-

Un attimo... mi stava prendendo in giro?

-"Aspetta. Che hai detto?"-, -"Ho detto che sei insen..."-, -"No, quello l'ho sentito. E stavo appunto dicendo che non mi riferivo a quello e nemmeno alla seconda opzione."-, l'interruppi. Ignorai la sua occhiata beffarda, e proseguii: -"Intendevo: cos'hai detto in questi dieci minuti? Non mi ero accorta che stessi parlando, sai."-

La sua bocca bella spalancata e le sopracciglia che facevano su e giù mi rasserenarono. -"Ah. Ovviamente stavo scherzando."-, affermai, con voce annoiata, un attimo prima che partisse per una predica coi fiocchi. Questo la fece imbestialire ancora di più. -"Hey, non guardarmi così! Dovresti essere contenta! Così non ti devi ripetere."-

-"Oh. Sto. Saltando dalla... contentezza, davvero"-, mi giurò a denti stretti, consapevole di non poter smentire la mia ultima frase. -"Quindi è vero che le apparenze ingannano...! Non avrei mai detto."-, la sbeffeggiai ancora un po'. Lei incassò - limitandosi a stringere i pugni - e poi prese la parola, con ancora le guance arrossate. -"Dicevi...? Prima dello scherzo?"-

-"Ah. Sì."-, ritrovai il discorso. -"Dicevo che trovo insensati gli ossimori."-

Ecco. Questo la sorprese ancora di più.

Tanto che dimenticò di essere irritata con me.
-"Non stavo parlando di ossimori."-, borbottò sorpresa, non trovando di meglio da dire. -"Lo so. Te l'ho detto: scherzavo, ti ho sentita."- Okay, forse mi voglio proprio male, pensai tra me. E infatti, quasi istantaneamente, mi lanciò uno sguardo infuocato. Probabilmente stava cercando di ridurmi in cenere, ma purtroppo per lei ero super resistente al calore. Certo, non da tutte le fonti che lo producevano, ma... da lei, per fortuna, sì. -"Ah. Ah. Ah. Sto morendo dalle risate. E non provare a tirare di nuovo fuori che anche in questo caso le apparenze ingannano! No, non ci provare!"-

-"Oh... sono così prevedibile?"- Delusione fittizia e costruita? Ma, a dir la verità, pensavo sinceramente che l'unicità fosse da premiare. Quindi non era neanche particolarmente finto il mio dispiacere. -"Proprio no! Ma ti conosco, ecco. Su. Continua."-, m'incitò, senza riuscire a nascondere l'ennesimo sorriso.

-“E' che... non ho la più pallida idea di come iniziare per spiegartelo.”-, confessai, perplessa. Come facevo a non sapere in cosa consistevano i miei pensieri stessi? Lei sospirò alzando gli occhi al cielo. -“Perché non cominci col dirmi da dove ti è venuta questa idea?”-, mi suggerì. Ma che grandissimo genio era quella ragazza! Davvero. Faceva impressione. No, perché, se una persona ti dice che non sa da dove è partita per arrivare ad una determinata riflessione, tu le vai subito a chiedere da dove le è spuntata l'idea. Ovviamente... no. Si era persa le basi o cosa?

-“Mah. Che vuoi che ti dica?”-, incominciai, cercando di risolvere il problema. Ai pensieri irrazionali era possibile dare uno scopo, una partenza? Beh, magari anche no. -“In pratica ho incontrato un ossimoro vivente. Tu.”- Scusa, scusa, scusa? Avevo indirettamente dato dell'insensata alla mia – presunta – migliore amica sul serio o l'avevo solo immaginato? -“E perché io sarei una contraddizione vivente?”-, mi chiese stupita.

Ah. Perché tu ti stupisci prima di questo e poi, forse, ci pensi un po', capisci che ti ho dato dell'insulsa – giustificatamente o meno? - e ti arrabbi. Hai capito Lucinda... Per fortuna quella volta, pensai solamente invece di proferire verbo e firmare la mia condanna a morte. -“Oh, ma è difficile spiegarlo! Insomma... hai presente prima? Ecco. L'ho notato quando eri arrabbiata con me”-. Si schiarì la gola. -“Oggi credo di essermi irritata con te circa un centinaio di volte. Ti dispiacerebbe indicarmi quale di queste tu ti riferisci?”-

Effettivamente...

-“Ops. Sì, comunque, mi riferivo a quella della pergamena, in cui eri tale e quale ai miei occhi. Nera di rabbia e rossa di faccia. O qualcosa del genere.”-, -“Oh. Quella.”-, il tono gravoso in cui accompagnò l'avverbio era piuttosto... beh, da me. Non da lei. Ero io quella tetra, che si crogiolava nella malinconia e che poteva quasi dirsi depressa. Di certo non lei, quella che aveva tutti i motivi per essere felice, e spesso me li sbatteva in faccia senza neanche accorgersene. -“Oh, sì! Quella.”-, calcai, ma con tono meno funeralesco. Più colorato. Vivace. Che metteva voglia di spiccare il volo, e non di sotterrasi. Tagliamo, e diciamo che mancava poco e mi sarei messa a ballare sulle note di Oh Quella, e a quel punto il tono con cui Luce aveva parlato avrebbe avuto un buon motivo per persistere. Perché a un funerale non ci si esaltava come avevo appena fatto io... vero?

-“Questa sarebbe “Quella la vendetta”? Perché non ho voglia di alterarmi ancora.”-, mi avvertì, irrigidita. Tirare in ballo l'argomento non l'aveva di certo rallegrata. -“Mettere 'questa' e 'quella' nella stessa frase sembra esattamente qualcos'altro che potrei trovare insensato – e non lo metto in dubbio – ma per ora resterei su quella volta in cui ti sei arrabbiata e basta.”- Fu brava. Si limitò a cercare di colpirmi con la piuma invece di lanciarmi direttamente tutto il contenitore d'inchiostro. -“Che dolce. Anche se avrei evitato, tra parentesi. In ogni caso... se non sbaglio devo ancora spiegarti perché diamine ti considero in quel modo, vero?”-, cercai di distrarla.

Prima avevo scherzato... ma in effetti il suo sguardo stava puntando il calamaio. A questo punto preferivo rimanere nel mio bianco abito immacolato. Per cui grazie e arrivederci. -“E allora fallo, per piacere, fallo!”-, mi aggredì, e dire che stava per dare in escandescenza sarebbe riduttivo considerato il color bordeaux che aveva assunto.

Un profondo respiro e: dai che ce la faccio a non fare danni!

-“Quando ti sei arrabbiata”-, mi trattenni, evitando appositamente la parola quella seguita da volta. -“Mi hai lanciato uno sguardo infuocato dall'ira che mi ha reso una statua di ghiaccio. Possibile? Dico, i tuoi occhi sono di un colore caldo - che ricorda l'autunno, la stagione in cui si sente ancora il calore estivo – e quando mi hai incenerito con essi, erano come freddi, totalmente inespressivi nella loro espressione pietrificata. Ghiacciata, appunto. Come possono coesistere due cose così differenti nello stesso istante, senza minacciare di cancellarsi a vicenda? Sono dipendenti e indipendenti al contempo? In effetti... il fuoco può sciogliere facilmente il ghiaccio, come esso può imprigionare il calore in una morsa gelida capace di estinguere la fiamma più tenace. Prova ad accendere un falò quando piove, e al contempo a non far sciogliere la neve dopo un po' di tempo che la tieni nella tua mano calda. Questo è ciò che rende le due cose differenti, una cosa a parte. Non possono sopravvivere entrambe le cose, una delle due viene annientata irrimediabilmente dall'altra. Eppure in un ossimoro i due elementi sono effettivamente legati.”-, mi fermai un attimo, per permetterle di immagazzinare tutte le parole che le avevo riversato addosso in, forse, nemmeno un minuto.

Più che altro, poi, il mio sembrava uno sfogo insensato su qualcosa di altrettanto insulso. Una valanga di parole vomitate addosso a quella povera disgraziata che ora mi fissava stralunata, pensando con tutta probabilità se prima tirarmi uno schiaffo e sommergermi d'insulti o fare il procedimento inverso.

-“E... cos'è che li... rende uniti?”-, ebbe la forza di chiedermi. Non era più viola. Sembrava solo estremamente presa dal discorso. Ma voleva suicidarsi? Non ci mettevo nulla a spiegarle i miei pseudo ragionamenti... però, ecco, avevo contato che il suo amor proprio le avrebbe impedito una richiesta simile. Dovetti prendere una boccata d'aria, e riorganizzare i pensieri prima di provare a motivare ciò che avevo proferito prima: -“Beh... un ossimoro è anche l'unione di bene e male.”-, mormorai, quasi avessi paura di essere sentita. Pure lei, l'ingenuità fatta persona, c'arrivò in poco tempo: -“Ma come fanno due cose così diverse ad essere anche solo minimamen... oh! Dipendenti.”-, -“Proprio così. Il bene ha bisogno del male per esistere, e viceversa. La luce deve avere delle ombre da cacciare, altrimenti non avrebbe un significato la sua permanenza. Le tenebre devono avere dei bagliori di vita da sopraffare, poiché se dominassero semplicemente tutto il pianeta, esso smetterebbe di esistere. E allora notte e giorno si susseguono da che mondo e mondo. Legati incondizionatamente. Il fuoco deve avere dell'acqua da scaldare, il sole del ghiaccio da sciogliere, il vento – quello caldo, che ti culla nel sonno quando dormi all'aperto d'estate – delle gocce di rugiada da disperdere. E nello stesso momento le nuvole devono piangere per spegnere le fiamme innestate da qualche fulmine nei boschi, le cascate devono riversarsi nei fiumi per permetterci di abbeverarci con essi spegnendo le fiamme delle nostre gole riarse, così come la grandine abbatte perfino i nostri animi violenti, raffreddandoli. Ossimori. Incomprensibili poiché impossibili. Eppure, esistono. Ci sono. Tu me ne hai dato la prova oggi stesso. Ma restano così insensati, che mi chiedo come possano non farsi sopraffare.”-

Era forse il primo discorso che affrontavo così angosciosamente e al contempo con serietà e ironia. Quel giorno doveva essere votato come quello più ricco di eventi.

Primo: non mi stavo deprimendo – cosa assurdamente complicata da ottenere e di breve durata se raggiunta – né crogiolando a pensare al mio non-futuro.

Secondo: Nessuno era scoppiato a piangere – se si prendeva in considerazione un'emotiva come Lucinda, era davvero un traguardo difficile – o morto, anche se – devo ammetterlo – più di una volta ho rischiato, soprattutto quando mi è stata lanciata la piuma con cui stavo per scrivere il mio bel compito – ancora incompiuto ma: dettagli – affibbiatomi dagli anziani.

Terzo: Ero riuscita a spiegarmi, parlando seriamente e senza battutacce, su un argomento più complicato di quelli affrontati normalmente.

I miei standard – piuttosto elevati, certo – erano stati superati, in un solo singolo giorno. E, ora che ci pensavo, le mie aspettative di vita le avevo completate. Avevo qualcosa su cui scrivere per il racconto. Mi girai, sconvolta, verso Lucinda.
-“Non ci crederai... ma ho appena avuto un'idea per il testo!”-, la resi partecipe. La sua risata arrivò, cristallina, ad alleggerire l'atmosfera. -“Questa è la conferma di cui avevo bisogno: dio esiste”-, conclusi, scioccata dal mio stesso pensiero condiviso ad alta voce.


Quattro ore e mezza, varie lamentele da parte mia, risatine made in Luce dopo, l'estenuante compito degli anziani era stato concluso. Quasi un'ora prima del calar della sera. C'era bisogno di dire che mi sentivo un mito?

-“Oh, era ora!”-, sospirai, gratificata, lanciandomi all'indietro e procurandomi quasi sicuramente un bernoccolo. Alla fine l'avevo vinta io la guerra contro l'etichetta, e mi ero sistemata bella comoda per terra, con Lucinda che mi fissava divertita dalla sedia. Lei, ovviamente, non voleva rovinare il vestito che indossava, quindi: no, grazie. Un pochettino mi ero offesa. Manco vivessi sommersa da venti centimetri di polvere! Oh. Beh, in quel caso l'avrei accettato. Però la capanna era piuttosto pulita: le pareti quasi sicuramente avrebbero luccicato se avessero mai visto il sole.

O forse no.

-“Non mi hai detto che fine ha fatto Lilith”-, rimuginai ad alta voce. Lei sbatté le palpebre, presa in contropiede. -“Eh? Che c'entra adesso?”-, nella sua perplessità un pizzico di amarezza.

Ah, bella domanda. Le avrei anche risposto. Certo. Se avessi saputo una replica da dare. Da dove era spuntata la rossa? Praticamente non avevo speso due secondi per pensare a lei, quel giorno, e ora toh! Sono stata folgorata dal un lampo di genio, mi sono ricordata come si conta, e mi sono accorta che invece di essere tre, stranamente, oggi eravamo in due. Perché me ne uscivo con assurdità simili? Perché volevo una sua conferma, prima di arrivare alla conclusione più giusta e sbagliata al contempo?

-“Veramente... non lo so. Allora?”-

Scrollò le spalle, con nonchalance. Ovviamente non aveva notato il mio tono d'urgenza. Lei non notava mai nulla di quello che mi turbava. Meglio così. -“Mi ha detto che sarebbe andata dalle sue amiche più grandi. Non l'ho capita.  Noi tre siamo praticamente coetanee.”-, si sentiva dalla sua voce. Luce era rattristata dal comportamento della “capo-squadra”. Che poi, se abbandonava Lucinda – Io non contavo: era comprensibile se non voleva passare tutto il giorno chiusa in casa, solo per tenermi compagnia – non vedevo dove si meritava il titolo della leader. -“E così, hai deciso di venire da me.”-, constatai apaticamente, guardando il soffitto. Il tono era indifferente. Ma le parole nascondevano un piccolo grande dolore pronto a scoppiare e ad inondarmi da un momento all'altro. Ho appena pensato che è normale... ma essere la seconda scelta fa ugualmente male.

-“In realtà...”-, incominciò con tono leggero: di nuovo tranquilla, ignara di tutto. Che meraviglia la sua innocenza. Adesso che ci penso, forse le invidio anche questo: l'avere il dono di non notare le cose cattive. -“Ero andata a chiederle se volesse venire assieme a me a trovarti. Ma si vede che aveva un altro impegno più urgente.”- Piccola ingenua Luce. -“No.”-, tagliai corto, alzandomi sui gomiti per fissarla meglio da sotto le ciglia. Sussultò sotto il mio sguardo. Troppo intenso anche per me. Non l'avevo mai inchiodata con un'occhiata. Non mi piaceva farla sentire in soggezione. Almeno lei, no. -“Si è stancata di noi. E' diverso. Non ti sei accorta che sempre più spesso s'inventa scuse? Non gradisce più la nostra compagnia, non è difficile da capire. Anzi. Non gradisce più la mia compagnia. Scommetto che il problema non sei tu, Lucinda. Come potresti? Sei gentile, fin troppo, e permissiva. Guardi sempre il lato buono delle persone. Anche lei ti apprezza. Sono sempre io quella che non va. Visto che sono sbagliata dentro, a quanto pare, continuo a sbagliare fuori.”-

Presi un profondo respiro, prima di continuare, con gli occhi serrati. Il cuore avrebbe retto? Dio, delle volte è così difficile cercare di ottenere il meglio per gli altri. Senza farsi male, ovviamente. -“Vai pure. Non ce l'avrò con te. Tu che hai una vita davanti non devi sprecare il tuo tempo con me. Certo, io ne ho poco, e sarebbe bene che lo passassi nel migliore dei modi... ma se si tratta di un futuro a lungo termine, allora è meglio se io assapori nell'amarezza quel poco che mi resta invece di rovinare tutta la tua lunga e piena vita. Perché, dopo che me ne andrò, dovrai pur passarlo con qualcun altro no? E allora, è meglio se lo spendi subito con chi ci sarà permanentemente per te, o per la maggior parte, che con una che potrebbe lasciarti sola da un momento all'altro.”-

Sentii il distinto rumore della sedia mentre veniva scostata. Stava per andarsene?

Occhi del cavolo... se ora mi fate piangere, giuro che vi cavo prima ancora di aver stabilito se davvero diventate semi-rossi alla luce. E tu, mio meraviglioso cuore difettoso... perché non mi fai il favore di smettere subito di battere all'impazzata e proprio arrestarti per sempre?

-“Susanna.”-, la voce decisa e perentoria della quindicenne mi fece percorrere da un tremito. Oh, dillo e basta. Va a farti una bellissima vita del cavolo e lasciami morire lentamente e  dolorosamente dentro, ma almeno in pace. -“Altro che scema...”-, borbottò. E parlò così piano che quasi sicuramente fraintesi. O forse, magari, anche no! -“SEI COMPLETAMENTE PAZZA, TU!!”-, strillò usando tutta la voce che doveva avere. E, oddio, forse mi trafisse un timpano quell'urlo isterico sparato a una decina di ottave. Altrimenti perché, all'improvviso, da un orecchio sentivo solo uno strano ronzio?

A quel punto mi alzai, semi-frastornata, e da brava ragazza qual ero – Perché si sa cosa fanno le ragazze quando si arrabbiano, no? -, la prima cosa che mi venne spontanea quale fu? Esatto. Cercare di gridare ancora più forte! -“E lo veni a dire a me?! Ma ti senti quando urli!?”- Ovviamente... fallii miseramente. Non ero proprio abituata ad alzare la voce in situazioni normali, figurarsi in un momento in cui avevo un timpano sfondato e un martello pneumatico nella testa! -“Dimmi tu! Ho appena rinunciato alla mia, quasi sicuramente, unica amica per permetterle una vita dove non verrà isolata solo perché frequenta Susan-la-ragazza-sbagliata, e mi vieni a sgridare perché penso prima a te che a me? Ma ti sembra sensato?!”-

Spiattellare in faccia ad un'altra persona le proprie ragioni, ci fa pensare automaticamente che questa non possa far altro che dare atto a tali argomentazioni. Così, ogni volta, si finisce per dare scontato le basi su cui reggono, ma sono quelle, in verità, a cui si mira sempre per far cedere un dato di fatto, e sono quelle che risultano essere sempre le più vulnerabili. Luce non fu da meno.

-“E dimmi la tua amica ti ha forse detto che avrebbe preferito Lilith e il suo nuovo gruppo a te?! Eh!? No! No, no e no. NO! Quindi perché dovresti mai preoccuparti per lei, me lo vieni a spiegare? Non è forse capace di scegliere da sola? SPIEGAMELO!”- Lei sì invece che aveva una voce perfetta per le grida. Sembrava nata per sbattere la verità dritta sul naso alla gente, puntando a colpire laddove si credeva di non aver nulla da proteggere.

E in quel momento non importava più se da una parte non riuscivo a sentire un'emerita “h”, e quel poco che capivo dall'unico orecchio superstite venisse sopraffatto da un mal di testa assurdamente insistente. Pure il cuore passava in secondo piano. Diavolo, stavo per dire per la prima e forse unica volta una cosa senza precedenti. Strinsi i pugni, irrigidendo le braccia lungo i fianchi, e nell'improvviso silenzio libero dalle urla si sentì chiaramente il mio profondo ispirare. -“Perché ci tengo alla mia amica. Le voglio bene. E ho capito che, per il suo meglio, sono disposta ad affrontare il mio peggio. Per la sua felicità, pagherò con la mia infelicità. E farò così con tutte le persone che amerò nella mia vita. E quindi, è meglio che lei si dimentichi volontariamente di me, prima che sia io a sparire portandole via un pezzo.”-, le mie parole si persero nella stanza, seguiti da un'altra inspirazione da parte mia. -“Io e te. Luce non hai capito? Siamo un ossimoro anche noi. Per il bene di una, l'altra deve soccombere. Nella fattispecie, tu sei la prima, io la seconda. Ed è giusto così.”-

Come eravamo finite a litigare? Come era possibile che di colpo, poi, le avessi confessato di volerle bene? Perché, tutto in quel giorno? Mi sarebbe venuto un esaurimento nervoso. Sarei crollata. Il mio cuore non poteva reggere tutti i battiti che stava affrontando. E poi, se ognuno di essi mi avvicinava alla fine, in pratica stavo sprecando secondi preziosi, così. Per lei. Lucinda. Come avevo potuto permetterle di diventare così importante? La mia migliore amica. Assurdo. Come se mi servisse una motivazione in più per perdere il poco di tempo che avevo. E io lo stavo consumando - eccome se lo stavo consumando – per cercare di salvare lei, quando non potevo nemmeno salvare me stessa.

-“Chi ti dice che la mia felicità è da trovarsi altrove? Io sono contenta quando passo il tempo con te, sai, Susan? Altrimenti perché starei ancora qui? Perché mi sarei irritata, dandoti della pazza? Ci tengo a te, quanto tu tieni a me. Anch'io ti voglio bene. Molto di più di quanto ne abbia mai voluto a Lilith. Quindi perché dovrei andare con lei, quando sto meglio con te? Otterremmo solo l'infelicità di entrambe, in questo modo.”- La sua voce era troppo convincente. Mi ritrovai a pensare che avesse ragione, ma non era vero. L'aveva detto lei prima, e l'avevo ribadito io, dopo. Avevo quasi sempre ragione. Quella volta si trattava come ogni giorno del “sempre” e non del “quasi” come invece la sua voce stava cercando di convincermi. Avrebbe portato solo dolore, lancinante dolore, eppure non le fregava niente e mi stava istigando a pensarla come lei.

Sorrise. Come trovava la forza di piegare la labbra all'insù? Come faceva ad essere così forte, ad essere così convinta di quel che diceva? Mentiva, e non se ne accorgeva. Mi raccontava bugie, credendo che fossero verità. E io ero troppo propensa ad avere fede in quelle menzogne. Davvero troppo, troppo propensa. -“E... se non sbaglio gli ossimori sono dipendenti.”-, aggiunse. Giusto per farmi sentire uno schifo ancora più grande vero? Sto per sbagliare, commettere il più grande errore della mia vita, e lei se ne usciva così. Tranquilla. Come se non potesse essere altrimenti. Come se non esistesse un'alternativa.

E se io avevo quasi sempre ragione, quasi sicuramente l'avevo avuta quando avevo detto quella frase. Così, mi ritrovai a combattere tra due ragioni nello stesso momento. Parole che avevo pronunciato io stessa, in circostanze differenti e che, in base all'angolazione in cui si guardavano, erano entrambe vere e false, giuste e bugiarde, veritiere e confusionarie. -“Certo che però... ci staresti a braccetto con Lilith, davvero. A quanto vedo, pur di ottenere quel che volete, siete disposte anche a distorcere pensieri altrui”-, sorrisi e lei ebbe la certezza di aver vinto. Quella volta almeno.

Lei lo ricambiò, rasserenata. Qualche secondo dopo arrivò la sua domanda: -“Vuoi sapere perché invece io trovo che gli ossimori abbiano una bellezza sconvolgente?”-


Ci sono quelle frasi... che ti rimangono impresse a vita nella mente, come scritte su un foglio. Per cancellarle, devi aspettare che esso venga consumato dal tempo.


-“Susanna, oggi non mangi?”-

La domanda - posta in un tono zuccherato e amorevole, che mal sopportavo abitudinariamente – arrivò distinta mentre mi pettinavo con le dita la chioma. Capelli di un oro sbiadito dal sole, come se fosse stato consumato da esso, corroso, che non si accostavano così malamente al resto della mia figura. Erano sciupati come il resto di me... che c'era di male?

-“Ho già mangiato con Luce”-, sorrisi, benché mia madre non mi potesse vedere, rintanata in cucina. Noemi si era fortunatamente fermata da una sua amica. Fortunatamente perché, tutti i discorsoni fatti con Lucinda, non mi avevano comunque fatto dimenticare una delle mie più grande angosce. E proprio non mi andava di fissare quella piccola, innocente, creatura dagli occhi chiari e trasparenti come la sua anima, e pensare che probabilmente l'avrei odiata se avessi scoperto di essere l'unica delle due a essere stata vittima di qualcosa che avrebbe dovuto intaccare anche la sua perfezione. Perché volevo il suo male? Perché non potevo essere una brava sorella maggiore senza essere invidiosa di qualcosa su cui lei non aveva voce in capitolo?

A quella  risposta, mio padre – che stava tranquillamente passeggiando per la capanna, come se non avesse nulla di meglio da fare - mi lanciò una più che eloquente espressione interrogativa. -“E da quando voi due sapete cucinare?”-, inquisì sospettoso. -“Allora... nel giorno Mai dell'anno Immagina abbiamo imparato questa meravigliosa arte. Non l'abbiamo mai messa in pratica perché... beh, non volevamo dar accidentalmente fuoco alle rispettive dimore con la nostra passione per la cucina”-, lo resi partecipe, con voce fin troppo annoiata, mentre afferravo lo scialle color panna posto lì vicino. La risata di mia madre non risultò affatto soffocata dal rumore degli utensili. -“Dì piuttosto fuoco e basta.”-, mi riprese tranquillamente lui, rivolgendomi un ultimo sorriso, prima di incamminarsi verso il profumo di carne arrostita.

-“Dimmi un po', cara, le galline continuano a rivolgerti spiritose battute anche da morte? No, perché avrei giurato di sentirti ridere.”-, -“Oh, devi aver sentito male, caro. Ti assicuro che sono belle stecchite. Non parlerebbero neanche sotto tortura”-

Mi sembra di aver udito ciò mentre mi accingevo ad uscire. Ma chissà... magari era un'altra spiritosaggine creata da qualche animale più burlone del solito.


-“Beh, non ne ho la più pallida idea. Quindi dimmi, Luce, perché gli ossimori posseggono una bellezza sconvolgente?”-
-“Perché non possono essere insensati quando ciò che ideano è pura magnificenza.”-
-“Ah. Sì. Credo. Ma tu... cosa intendi precisamente con ossimoro e pura magnificenza? Non riesco a legare le due cose.”-
-“I tuoi occhi”-
-“Ooooh, sì. Ora ho capito tutto.”-
-“Smettila e ascoltami, capito? E'... è una cosa profonda, piena di significato... qualcosa che ti farà battere forte il cuore e ti riempirà la vita per molto, molto tempo!”-
-“Pff... ahahahahahahah! Sei in vena di gaffe pure tu?”-
-“DICO SUL SERIO, SUSAN!”-
-“Ho capito, ho capito, sto muta! Ma non gridare! Oddio il timpano...-
-“Zitta. Bene. Allora, dicevo... i tuoi occhi. I tuoi occhi mandano lampi ogni volta che sorridi. Il sole nero che celi nel tuo sguardo, dopo averlo accidentalmente raccolto in te, illumina le tenebre, con migliaia di raggi d'ombra. Non hanno calore, queste braccia di tenebra che si estendono dal nero infinito delle tue iridi... e come potrebbero, essendo generate in un luogo dove non v'è luce? Ma, quando vengono concentrate nel tuo sguardo ridente e le vedi illuminare il luogo ombroso da cui provengono... Capita che mi senta scaldare il cuore da questi tuoi raggi ghiacciati. Lampi distruttori e ammaliatori, che portano con loro luce, dove prima vi era tenebra. Per questo... i tuoi occhi sono uno di quei ossimori pieni di bellezza sconvolgente.”-
-“...”-
-“Cos'hai da guardarmi con quella faccia beffarda?!”-
-“...”-
-“Rispondi!”-
-“...”-
-“Si può sapere perché ti stai colpendo la testa con un palm- aaaah!”-
-“...”-
-“Tira giù quelle mani! Non devi mica accogliere la grazia dal cielo per questo!! Uff... Puoi parlare”-
-“Era ora! Beh, dicevo, o meglio, pensavo... che devi esserti proprio rincretinita tanto tempo dietro i miei occhi, per arrivare a comporre una specie di poesia! Cioè, lo so che sono affascinante e non puoi resistermi neanche tu... ma proprio con tutto quello che ho da offrire tu vai  a pensare ai miei oc-”-
-“Susan.”-
-“Dimmi tutto!”-
-“IO TI UCCIDO!! TI HO DETTO CHE PARLAVO SUL SERIO! MA MI HAI ASCOLTATA?!”-
-“Anch'io ti voglio bene, Luce. In effetti la tua dimostrazione d'amicizia era più originale, ma vabbeh. Mi limito a dirti questo.”-
-“SEI UNA SCEMA! UNA SCEMA SENZA RITEGN- Cos'hai detto?”-
-“Che sto morendo di fame.”-
-“...”-
-“Tu no?”-
-“E io che pensavo... oh, ti ucciderò. Eccome se ti ucciderò un giorno di questi!”-
-“Prima mi dichiari il tuo amore e ora mi minacci di morte? Deciditi, Lucinda.”-
-“No, non posso aspettare. Adesso. Sì, morirai decisamente ora. Quindi... MUORI!!”-
-“...”-
-“...”-
-“Oh. Scusa. Stavo aspettando la stella cadente. Deve essere già passata e io non l'ho vista. Infondo è ancora giorno. Comunque... sei consapevole, vero, che se sveli ad alta voce i tuoi desideri essi sono destinati a non realizzarsi mai?”-
-“In realtà... aspettavo che iniziassi a correre, scema.”-
-“Non siamo un po' troppo grandi per rincorrerci...?”-
-“Non se una cerca di accoppare l'altra.”-
-“Oh, non farei mai una cosa simile! Non avrei più nessuno da irritare a morte, poi!”-
-“Hai capito male la disposizione dei ruoli, Susanna cara.”-
-“Mmm... Spegneresti i miei bei occhi? E poi come faresti a vivere senza di essi?”-
-“... Prepariamo questa cena che è meglio.”-
-“Finalmente l'hai capito! Accidenti, hai dovuto girare in tondo per un bel po', eh?”-

In effetti, però... mancava poco, e la casa rischiava di andare davvero a fuoco
, pensai. Ne sarebbe stata capace, quella squilibrata di Luce. Era piuttosto irritata. Cioè... l'avevo - volutamente - piuttosto irritata. Quando s'arrabbiava non distingueva più l'emozioni che cercavo di dissimulare. Era stato più semplice nasconderle le lacrime di commozione e i sorrisi inteneriti. Tutto sommato... era una buona migliore amica. Ero io che ero pessima.

Quando il venticello serale m'investì, si portò via i ricordi di quella giornata, permettendomi di riempirmi i polmoni della sua freschezza. Per svuotare la mente mi bastava quello: entrare di nuovo in contatto con il mondo reale, dopo un'intera giornata in cui mi ero isolata da tutto; da tutti. Il crepuscolo era calato da tempo, e ora non vi era nemmeno più la traccia del sole morente. Le nuvole erano come sparite, lasciando lo spazio ad una notte serena, priva di luna, ma piena di stelle. Milioni di stelle. Per ogni puntino luccicante che notavo appeso a quel mantello blu, mi sembrava di aver un amico al mio fianco a farmi compagnia.Certo, ormai non c'era già più nessuno del vilaggio a camminare per le sue strade. Ma quei milioni di amici lassù c'erano sempre, invece. Erano lontani, tanto. Perfetti nella loro bellezza, troppo. Però erano i miei tanti troppi amici inavvicinabili  e preziosi. I miei punti di luce, in un mondo di oscurità.

Sospirai, serena, riabbassando il capo. Meglio vedere dove mettessi i piedi per non rotolare rovinosamente. Mi strinsi nello scialle.

Anch'io ero bianca, pronta a raggiungerli da un momento all'altro. Ma per ora, per quanto mi attirasse la compagnia di quelle algide stelle, preferivo restare coi piedi a terra, sentirne la consistenza sotto le piante dei piedi e la durezza sulle ginocchia quando sarei caduta in balia alla mia malattia. Fissavo il percorso che stavo consumando e pensavo a quanta strada avrei ancora potuto fare prima di giungere al traguardo. Quando l'avrei oltrepassato avrei gioito poiché mi sarei congiunta coi miei amici stellari, o mi sarei rattristata considerato che avrei lasciato quelli terresti?

Soltanto quando raggiunsi il fiume in cui avevo rischiato di annegare e mi arrestai, levai il capo.

Quel giorno d'estate, alla luce del sole, quel luogo era sembrato meravigliosamente ricco di vita, colmo di speranza per il futuro. Tutto era bello. Tutto era possibile. Bastava desiderare una cosa, per ottenerla. Voglio volare come i petali di giglio, ti ritrovavi a desiderare. E allora chiudevi gli occhi, e al sicuro, dietro le palpebre serrate, ti sentivi leggera, libera come le farfalle che sorvolavano i dintorni. A quel punto era come essere trasportati tra le nuvole dal vento gentile, diventare luce e illuminare il proprio io interiore, scoprendo quanto fossero potenti le emozioni che la natura ti può donare.

Da cinque anni a questa parte, la notte era diventata quasi completamente il mio regno. Mi risultava difficile anche solo sopportare il sole pallido dell'inverno, e così, da quel giorno la sera divenne la miglior compagna di viaggi. E la notte cambia le cose: le trasforma. 

All'inizio avevo tremato di fronte all'arrivo delle ombre: cacciavano via il sole e prendevano il dominio su tutto il villaggio e delle lande circostanti - fino all'orizzonte – in un paio d'ore. E i colori cambiavano. Il verde diventava di un grigio quasi smorto, e ti chiedevi come fosse possibile che i rami degli alberi sembrassero braccia d'uomini che si dimenavano nella loro agonia.  I fiori si chiudevano, come per proteggersi dall'oscurità, e la luce creata dalla luna e dalle sue compagne stelle donavano a tutto il paesaggio un'aria misteriosa. Sotto quella minacciosa luminosità metallica azzurra-bianca, gli animali all'improvviso tacevano, e ogni folata di vento portava con sé sussurri lontani percepibili nel completo silenzio che regnava all'improvviso.

Il sole è morto, aiuto. Si è dissanguato un'ultima volta, e ora il lutto della notte mi inghiottirà indisturbato, prima che io possa cercare la luce in questo labirinto di ombre.

Poi mi ero accorta che lui tornava sempre a risplendere, costringendomi a farmi correre ai ripari. Non ci volle molto... e iniziai ad odiare il suo sorgere, il suo rinascere. L'oscurità divenne un'amica, che sapeva ascoltare e mantenere segreti. Il giorno la mia condanna, che mi portava a rifugiarmi in attesa del crepuscolo.

Sospirai, raggiungendo il carrubio e sedendomi alle sue radici.

-“Tutti pensano che il sole cacci i turbamenti dell'animo. E io sono convinta che la notte porti pace e serenità alle angosce. Assurdamente contraddittorie ma entrambe vere. Un altro caso di ossimoro? Ma poi... mi chiedo se sia solo io che vado sempre contro corrente.”-

Non ottenni risposta al mio ragionamento, e la notte inghiottì anche quelle parole, pronta a farle annegare e dimenticare dentro le sue coltri scure. Che rintronata che ero. Parlavo al vento, e pretendevo pure che mi rispondesse.

-“Io non ci trovo nulla di male nell'essere unici di proprio genere. Sfidare le convinzioni degli altri, trovando nuove vie è una conseguenza che può essere vista in malo modo, ma che in verità porta solo a vedere nuovi orizzonti”-

Quello, decisamente, non poteva non essere che un sussurro trasportato fino a me. Piccolo dettaglio: la sua fonte era piuttosto vicina, poiché ne avevo afferrato il contenuto.

La stella cadente di Lucinda è venuta per accontentare il suo desiderio?
 


 
 
 
 
Note dell'autore:
"Ehm. Non faccio promesse, perché ogni singola volta - ma non ne manco una - che giuro qualcosa in campo scrittura-lettura-commenti non riesco a mantenere gli impegni per forze maggiori ._.
Mah. Spero di riuscirci prima che volino via 2 settimane :]", DISSI.
Pff...
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.
Sono giusto un tantino in ritardo. Ma solo un tantino, cazzo. [Niente parolacce, dai. Dopo tre anni di disintossicazione da queste, proprio ora ritorno nel giro? Però ci stava! Caaaa-volo se ci stava.]
Non so che scrivere qui. Compilo il resto, va.
Non uccidetemi.
Non ancora, almeno.
Prima devo finire gli esami e vedere se tutta la mia fatica è valsa qualcosa.
Grazie :3

1. Susaaaaaa
~n [Okay. No. u_u]
Direi che la sua personalità inizia a prendere forma ^____^
In TEORIA dovrebbe risultare incazzata col mondo, gelosa di sua sorella stessa - e questo la fa arrabbiare con se stessa -, ma abbastanza altruista da arrivare a pensare che, se deve scegliere tra il salvaguardare la sua stessa vita e quella della sua pseudo migliore amica, preferisce salvare Lucinda, poiché è convinta che una lunga vita meriti il sacrificio di una più breve.
Assurdamente dark *_*
Poi, volevo aggiungerle quel filo - MOLTO SPESSO - di auto-ironia e un piccolo accenno - questa volta dovrebbe essere DAVVERO piccolo xD - di arroganza. Le battute le escono così, per smorzare i suoi stessi pensieri.
Ah!
Odia il silenzio.
Se l'avete notato è nei momenti in cui è sola che pensa con maggior isistenza al destino che l'attende, e questo, ovviamente, la spaventa a tal punto da ripudiare qualsiasi speranza per un futuro migliore. Luce in questa Fic servirà soprattutto per non far deprimere Susan - che poi, un capitolo tutto malinconico e triste è davvero difficile da digerire se aggiunto al contenuto privo di senso! -, e donare qualche sprazzo di vivacità. ^___^ Detto questo resta una FF assurdamente malinconica ugualmente - per motivi inerenti alla trama.
Questo capitolo è centrato soprattutto sul legame che Sus sta instaurando con il tempo con Luce, e al distacco di Lilith - che odiavo in Passion, odio in questo cap e odierò quando ne parlerò ancora -, ma come avrete notato il rapporto tra L e S è piuttosto altalenante xD Ciò è dovuto principalmente al mio pseudo odio verso Price, ma del resto, anche Susanna adora far irritare Miss Luce, per non farle capire quanto tiene a lei in realtà.
Susan odia i sentimentalismi. O almeno, quando è lei a doverli manifestare verso una persona ;]
Spero sia capito tutto questo almeno in parte ç__ç

2. La citazione, giusto - la mia croce, in questo c. xD -:
Freud.
Credo sia superfluo specificare che è rivolto a Susan.
Il motivo è piuttosto evidente ;D

3. La malattia di Susan - frutto di dieci pagine salvate tra i "preferiti" LOL -:
Da cosa comincio? Come lo spiego? Cioè è brutto. Oddio ma è azzeccato a questa storia?! Non è che mi sono informata male...? Forse è meglio se leggo meglio tutte le informazioni che ho, perché... ohccavolo, non ci sono dei riscontri!! Posso modificare qualcosa e addattarlo alla FF?
E' una cosa di cui non vedevo l'ora di parlare poiché sono sicurissima di ciò che sto per dire ^________^
Il fatto è che sono indecisa tra due cose :| QUINDI HO DECISO DI FARE UN MISTO PERCHE' IO OVVIAMENTE NE CAPISCO DI PIU' DEI MEDICI E UNA COSA SIMILE E' POSSIBILE MUAHAHAHAHAHAHAH
No. u____ù
Scusate devo fare ambarabàciccicoccò. Sì perché vi pare che una malattia dia il riscontro perfetto per la situazione di Susan ma al contempo sia riscontrabile principalmente in uomini di mezz'età accanitori di fumo, e l'altra non sia abbastanza? No ecco.
Vabbeh, vado lo stesso per l'Aritmie.

 

L'aritmia cardiaca è un’irregolarità del battito del cuore, che batte troppo lentamente, troppo velocemente o comunque in modo irregolare. Esistono differenti tipi di aritmia e la maggior parte non è particolarmente pericolosa; ma alcune potrebbero invece essere rischiose per la vita.
La ragione per cui alcune forme sono pericolose è che un battito cardiaco irregolare può compromettere la capacità del cuore di pompare abbastanza sangue, questo potrebbe determinare una bassa pressione sanguigna, che potrebbe anche portare alla morte.


-Ehm, benché prima non mentissi quando ho detto che non sapevo bene quale malattia fosse più adatta ad appioppare a Sus, era una specie di "smorzatura", insomma... stavo cercando di farvi prendere con un po' più leggerezza questo problema al cuore che invece é MOLTO IMPORTANTE, e su cui non si deve scherzare. Freud, ricordatevi.-

Ma non è finito qui. Eggià ù-ù
Vi ricordate che la nostra Susan ha manifestato questo "difetto" al cuore in un momento specifico? Ecco, ora, non solo ho fatto in modo - perché io posso! Assi sisi si - che ella sia una di queste "particolarità" che si verificano nell'aritmia, ma ho anche manipolato il corso degli eventi in modo che questa malattia sia legata ad un'altra particolarità della nostra protagonista ^.^

Ebbene. Ora vi spiego con calma. u3u - COME SE QUALCUNO LEGGESSE QUALCOSA DI QUELLO CHE SCRIVO, certo certo u_u -

Albinismo. - Non vi rifilo la pagina di Wikipedia perché non CI interessa xD -


 

Albinismo, un gruppo di malattie ereditarie, provoca poca o nessuna produzione del pigmento melanina. Il tipo e la quantità di melanina che il corpo produce determina il colore della tua pelle, i capelli e gli occhi. La maggior parte delle persone con albinismo sono sensibili all’esposizione al sole e sono ad aumentato rischio di sviluppare il cancro della pelle. La melanina gioca anche un ruolo nello sviluppo di alcuni nervi ottici. Tutte le forme di albinismo causano problemi con lo sviluppo e la funzione degli occhi.

Occhi: 
La mancanza di pigmento nella parte colorata degli occhi (iridi) li rende alquanto traslucido. Ciò significa che le iridi non possono bloccare completamente la luce di entrare nell’occhio. A causa di questa traslucenza, occhi molto chiari possono apparire rosso in qualche illuminazione. Ciò si verifica perché si sta vedendo la luce riflessa dalla parte posteriore dell’occhio e passando di nuovo fuori attraverso il diaframma di nuovo – simile a occhi rossi che si verifica in una fotografia del flash.


Traduzione? Beh, per me questo è praticamente l'invito a poter rendere gli occhi di Susan speciali ^___^
Neri - Nerissimi come dice lei - e alla luce del sole con qualche traccina di rosso :3
Okay, l'articolo non dice proprio questo, ma mi facevo comodo, ecco u_u
Che volete da me? E' così difficile far combaciare le cose! D:


4.Lunghezza di questo capitolo:
Odio con tutto il cuore questo cap xD

E' un mattone O___O
Un mucchio di parole buttate lì, quasi a caso.
Anzi, la prima parte ancora un po' va, ma da un certo pezzo in poi ci si accorge di un notevole picco... verso il basso ç_ç


5. Nomi (?):
Un po' di precisazioni - che voi evitereste volientieri ma pazienza TwT Servono u.u - e curiosità ^_^
Susanna: 
Questo nome deriva dall’ebraico “sushan”, che vuol dire giglio, simbolo di purezza. - L'ho preso dal Dizionario di Plasmon "Scegliere il nome per il proprio bambino-o-qualcosa-del-genere-comunque" ^O^ E non guardatemi male, eh TT3TT Sono uno schifo nei nomi, e schiacciando qua e là è uscito quello, quindi mi son detta: perché no? Inoltre, la descrizione del presunto carattere di coloro che si chiamano Susanna mi ha fatta schiattare dal ridere perché conosco una che è l'esatto contrario xD Quindi ho detto: ma facciamo questa gaffe!
Noemi Maryam: [La sorella minore di Susan a cui ho dato due nomi perché ero assurdamente indecisa e_e] Noemi: Il nome ha origine ebraica ed è tratto da Noam e significa 'gioia, delizia oppure DOLCEZZA MIA - me gusta l'ultima *^* - '. E' il nome della matrigna di Ruth. Maryam: sempre di origine ebraica, significa "Principessa, signora" :3 Perfetto, no? "Dolezza mia principessa", il nome dovrebbe già far pensare a qualcosa di dolce, meravigliosamente delicato, da invidiare ^____^

6. Una ragazza. Boh, chi sarà? O.O :
Due parole. Ma proprio DUE! Non mi spreco, ma spero lei capisca

 

Grazie, Chloe 


Ma... il cuore si conta come carattere?! <___<"
Coooooooomunque. Più grande non ci stava x"D Spero le faccia piacere ugualmente ^^"
Chissà se legge queste note... mah! :,3


-JJ

 









 






 
 
 

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Capitolo 4
*** C.3] Greed ***


-Questa mortalità umana-



III
Greed
-
Cupidigia


Non occorre dunque
che tu passi attraverso l'inferno per incontrare un angelo.
 
La verità?

Beh, quando mi concentrai maggiormente sul dubbio che mi era sorto, il colpo fu durissimo. A quanto pareva Lucinda aveva un ascendente negativo sulla mia persona: un pomeriggio passato con lei, e giungevo a fare pensieri assurdi e privi di senso. Presto avrei cominciato ad arrossire per ogni piccolezza, ad inciampare nei miei stessi piedi e rovinare disastrosamente addosso a qualcuno.

Fu così che, sorprendentemente, mentre mi ritrovavo ad insultare mentalmente Luce, l'improvvisa consapevolezza di aver a che fare con uno sconosciuto non m'inquietò. Sapevo che il giovane che aveva parlato fosse uno straniero, poiché nessuno – A parte un'affascinante eccezione – s'aggirava dopo il crepuscolo: il lavoro stancava la comunità, così essa si ritirava subito appena ne aveva l'occasione. I più giovani – Quelli di circa la mia età – si attardavano poco più, preferendo continuare a relazionarsi con gli amici all'interno delle mure casalinghe, se proprio l'idea di salutarsi così presto non li aggradava.

E mi limitai a registrare le sue parole, incasellare uno ad uno tutti i particolari che caratterizzavano la frase enunciata dal ragazzo. La voce celestiale e tranquilla, priva di qualsivoglia tono minaccioso, il significato di ciò che aveva espresso e quel che avrebbe potuto ipoteticamente scatenare in lui un'uscita del genere. Quando diedi voce ai dubbi che erano sormontati in me, cercai di risultare altrettanto serafica e non maledettamente curiosa e affascinata. -“Ne parli...”-, iniziai ad osservare, senza riuscire, comunque, a impedirmi di giocare con le mie stesse dita, stringendo e allentando la presa tra loro. Per lo meno il respiro era regolare, anche se lo stesso non poteva dirsi per il mio cuore. -“...come se tu stesso ti fossi ribellato di fronte a un pensiero che non condividevi.”-. No. Decisamente il mio organo difettoso non si stava dimostrando conciliante con me. Si contraeva in un brevi sussulti, come se stesse cercando di avvertirmi. Ma di cosa? Ma da cosa? -“E fossi stato punito per questo, benché secondo te, tu non lo meritassi, ma non per forza di cose, perché fosse necessariamente così.”-

Oh.
Va bene, forse avevo capito, ora, cosa stava cercando di dirmi il mio caro cuoricino. Immagino che a nessuno piaccia sentirsi dire che, comportarsi come un individuo pensante e in un certo senso unico, possa risultare troppo lontano dal modo di pensare consono a detta degli altri, e corretto solo ai propri occhi. In definitiva gli avevo confidato – Erroneamente - di essermi sembrato una persona ingestibile che aveva agito credendo di essere nel giusto, di fare la cosa giusta semplicemente perché aveva scelto di essere dalla parte del giusto, quando invece era l'esatto contrario. Quando era sbagliato pensare, agire e comportarsi in un certo qual modo piuttosto che un altro.

Ecco, avevo detto una cavolata. Sì, perché seguendo quel ragionamento anch'io, quando avevo cercato di allontanare Lucinda quello stesso giorno credendo di far bene, stavo facendo male, poiché non tutto ciò che era giusto per me poteva esserlo necessariamente anche per lei.

E questo decisamente non mi piaceva.

Luce mi aveva fregato, facendomi promettere di permetterle di poter(ci) essere sempre con me – Per me -, quando avrei dovuto solo prometterle e permetterle  di poter vivere felicemente senza di me e con la garanzia che non mi sarei mai rimangiata la parola, cercandola.

Quindi avevo sbagliato a rivolgergli quella considerazione. Perché doveva per forza essere classificato così un filone logico – Logico? Ma dove? - secondo cui,  nell'immediato futuro, avrebbe portato a far soffrire la propria migliore amica. Non c'è nulla di giusto nel dolore di qualcuno.

-“Siamo stati tutti puniti.”-

Il caro ragazzo.
Ecco, il caro ragazzo che non conoscevo, mi aveva appena procurato un mezzo infarto e mandato al diavolo una decina d'anni di non-vita che avrei potuto avere. Che avrei potuto avere se lui non mi avesse inflitto tale spavento e se tale malattia mortale non mi fosse stata inflitta da un altro altrettanto sconosciuto dio, certo. Dio, non genitori... sia chiaro.

-“E il prezzo è stato equo per ognuno.”- Se non erravo – E io non erravo in certe occasioni, arroganza a parte – la sua voce era malinconica. Ricordi lontani? Scusate. Ricordi tristi, dolorosi, tormentati e lontani? -“Tutti hanno perso qualcosa...”-, proseguì, con voce melliflua. E tutti continueranno a perdere dell'altro, sembrava il degno continuo di quella frase. Ad essere tragici e a pensare con la mia testa. No, non mi riferivo alla mia situazione. Perché non tutto ciò che dico e penso e faccio ha a che fare con me. Ovviamente... (No.) -“...per fare ciò che ai propri occhi pareva più giusto”-

Questo qui legge nel pensiero. O l'anima. Oppure è il mio angelo custode e conosce ogni parola che il mio cervello ha elaborato in quest'ultimi dieci minuti. Alternativamente sono io che mi sto facendo delle grandissime elucubrazioni mentali inutili, quando semplicemente abbiamo lo stesso modo di pensare su qualcosa.

Qualcosa, ma cosa?
Mentre mi esponeva i suoi pensieri, sembrava quasi che delle memorie di un tempo passato gli stessero scorrendo nella mente. E mentre io lo ascoltavo e ragionavo sopra essi, mi perdevo dietro i miei problemi.

Sì, probabilmente avevamo motivazioni diverse – O, per lo meno, lo speravo proprio per il suo bene, di non essere come me -, ma entrambi ci chiedevamo, da chissà quanto tempo, cosa definisse un'azione sbagliata o meno.

-“Sei stato cacciato?”-, me ne uscii, le falangi improvvisamente troppo irrigidite per districarsi, per l'ennesima volta, dalla loro stessa presa. -“Da dove?”-, indagò, la voce lieve e la frase sussurrata, eppure limpida nell'immobilità di quella sera. Come se il mondo avesse ascoltato tutte le mie preghiere, e si fosse arrestato; dandomi... dandoci il tempo - Tutto il tempo che volevo e che non sarebbe mai stato comunque abbastanza - di vivere quella notte.

-“Da... da...”-, incespicai, incerta: cosa avrei dovuto rispondergli? Da dove sei venuto. -“Dal posto che magari persisti a chiamare casa, anche se non ti appartiene più. Dal luogo in cui hai lasciato il tuo cuore come pegno, pur sapendo che non sarebbe stato ugualmente sufficiente per saldare il debito che avrebbe comportato la tua assenza.”-

E forse non c'era altro modo di spiegarglielo, se non raccontandogli ciò che mi aspettava e riadattandolo a quello che credevo gli fosse successo.

Un sospiro.
Anzi no... due.
Il mio; e il suo.

Fruscii di foglie: si era spostato? Tre palpitazione in più, un nodo in gola. Stringendomi nelle spalle, chiusi gli occhi. Lo scenario non mutò molto: per quanto insistenti e meravigliose, le stelle non avrebbero mai potuto competere con la lucentezza del sole. E così la notte rimaneva da rischiarare, con nessuna luce abbastanza audace e forte da provare l'impresa. -“Cosa ti fa pensare che io sia stato allontanato?”-, si fece sentire, mellifluo.

Avrei voluto dirgli che la sua malinconia era stata impressa nella sua voce come un marchio, che cercare di risultare disinvolti quando si ha la tristezza nel cuore è atrocemente complicato e quasi impossibile, o che, semplicemente, un'anima in pena ne riconosce un'altra quando la incontra. Ma non sarebbe servito a niente fargli sapere che, lì, quella notte, eravamo in due ad affliggerci. -“Se siete stati tutti puniti, è perché tutti vi siete allontanati dal comportamento originario imposto dalla comunità.”-, osservai. Appoggiando la testa al tronco del carrubio, sentii la stanchezza di quella interminabile giornata calare impietosa sulle mie spalle, appesantendole. Quante discussioni, quante emozioni, quanto... quanto male al cuore. E forse era questo a starmi facendo delirare maggiormente, e non la fatica in sé. -“Forse tu ti sei rifiutato di cambiare il tuo modo di pensare, per riadattarlo a quello considerato appropriato. E per questo sei stato esiliato: per non influenzare altri a diventare, col tempo, come te. Forse questo è bastato come esempio, e ha stabilito di nuovo l'ordine nella società dopo la spaccatura verificatasi.”- Aprii gli occhi, rivolgendoli in alto, verso il cielo in generale, penso; verso la sua figura in generale, credo. -“E' l'unica risposta che mi viene in mente per spiegarmelo”-

Le mie parole l'avevano raggiunto? Avevano sfiorato la sua anima? Le aveva comprese, vero? Lucinda non sarebbe mai stata in grado di espandere la propria mente così in là, ma lui... avevamo questa cosa che ci accomunava, no? Questo senso di oppressione, questo bisogno di distaccarsi dalla mentalità collettiva per cercare la propria personale interpretazione, questa voglia di trovare la luce anche al buio. Questo desiderio di scoprire che pure il male, l'errore, le ombre più nere, ricordano ancora come brillare, che sanno di poterlo fare, perché non è mai troppo tardi per risplendere e non si può scordare la luce dopo averla conosciuta, neanche dopo anni di oscurità. (Dov'è il mio sole?)

L'errore... mi serve credere che sia così.
E un altro battito in più mi sconvolse, come in un crescente. Una salita verso la fine?, o verso la gloria di una bellezza inesplorata e sconosciuta? Ammesso che esista il paradiso per quelli come me: sfiduciati e persi.

-“P-per spiegare... cosa?”-, parlò; con voce strozzata, tentennante, quasi fosse spaventato. Ma era anche incredibilmente preso dal discorso, affascinato e forse vagamente speranzoso. A cosa stava pensando? Esattamente, quale risposta voleva che gli fosse rivolta?, cos'era che aveva scatenato in lui così tante, contrastanti, emozioni? -“Beh...”-, tentennai, per un attimo. E se l'avessi deluso?, e se l'avessi esaltato? E me la stavo solo immaginando quella tensione, dolce e gratuita? -“Che tu sia qui.”-

Non era ovvio?

-“Qui, in che senso?”-, insistette.

C'era qualcosa che non mi stava raccontando. Era troppo agitato, su di giri. Come se avessi scoperto il suo segreto più oscuro. E non avevo ancora capito se, all'idea, ne fosse elettrizzato o terrorizzato. Magari mi stavo solo confondendo, e non erano reali quelle dirompenti emozioni. Mi stavo di nuovo mettendo nei suoi panni, vero?, ma pensare alla mia vita tramite i suoi occhi, non mi sarebbe servito. -“Nel senso che se qui... solo.”- Non mi smentì. Ma neanche confermò. Quell'energia frebbrile sfocò un po' quando lui rilasciò il respiro trattenuto, tuttavia sembrava ancora sulle spine, in attesa. -“Alla ricerca di una nuova casa, magari. Probabilmente pensando a quello che hai lasciato indietro.”- proseguii, senza che lui intervenisse. Ma era in ascolto, lo sapevo. Potevo percepire la sua tensione, come se stesse pizzicando la mia pelle, alla ricerca di una fessura per infiltrarsi in me, fin dentro le ossa. Le dita si snodarono infine, ma solo per correre a stringere le  braccia. Dovevo concludere. Poteva essere percepita come una frase crudele, ma ormai avevo iniziato il discorso. E mi ero cacciata io in quel pasticcio, quando avrei potuto, invece, scrollarmelo da addosso congedandomi, subito dopo la sua comparsa. Quindi nessun rimpianto; neanche se, per ripicca, mi avrebbe sputato sui capelli. -“E che non potrai mai più ritrovare, in nessun luogo, in nessuna persona.”-

E Dio, sì, lo sapevo; sì! Stavo sbagliando tutto, ancora una volta. Un'altra dimostrazione per provare che, in effetti, ero destinata a scivolare e inciampare, trascinandomi dietro coloro che avrebbero tentato di frenare la mia caduta? Perché accidenti il mio futuro doveva riempire sempre i miei pensieri?, perché dovevo essere così tragica da andare a pensare a quali parole avrei pronunciato nel mio ultimo respiro? Ma forse non sarò neanche in grado di aprir bocca e proferire verbo, quando alla fine scoccherà l'ora, sopraffatta dal mio stesso sangue indebolito; e questo non ha senso. 

Basta.
Uscire quella sera era stata una pessima idea: anziché trovar pace agli affanni della giornata, ero giunta solo a peggiorarla. Questo non era giusto, era immorale; non trovar pace nemmeno nell'attesa dell'ennesima battaglia, era come sentire già la rassegnazione nel proprio cuore. Come se non mi servisse del riposo nella guerra che stavo portando avanti contro la malattia, perché tanto ormai era già vicino la fine... e avere la consapevolezza della propria sconfitta già dal primo scontro, gettava solo più sconforto.

Alzarmi in piedi fu un'ottima idea. Lo stomaco smise di aggrovigliarsi in quell'ansia attanagliante, e il cuore rifuggì la propria natura debole per un istante. E respirare l'aria serale non fu mai così bello, mentre veniva raffreddato quell'incendio doloso al mio interno. Qualcuno ci avrebbe mai creduto? Mi sentivo peggio nell'attesa del dolore, piuttosto che nel viverlo. Era come sentirlo respirare sul proprio collo; era come percepire quel ragazzo soffiarmi la sua vita addosso, mentre espirava sul carrubio. Un colpo e potevo essere già a terra.

-“Devi andare?”-, indagò. Forse curioso, forse ansioso. Forse era meglio smetterla di chiedersi cosa potesse pensare di questo mio animo così sconfitto. -“Io...”-, non avrei dovuto tentennare. Dimostrarmi indecisa era come offrirgli la possibilità di scegliere per me, o condizionarmi nella mia decisione. Ma cosa avrei potuto rispondergli? Che non vedevo l'ora di rincasare per far preoccupare i miei? Sono proprio lo stampo perfetto per una figlia ideale. E quale altro luogo era disposto ad accogliermi? Nessuno, ecco la verità. Nessuno. Proprio come lui, del resto. Ed era giusto lasciarlo solo? Io avrei voluto stare sola? Condividere la propria sofferenza ci avrebbe potuto far bene. -“Non lo so. E' che... non riesco a smettere di pensarci”-, confessai, e quasi venni sopraffatta dalla voglia di scivolare nuovamente a terra. Appoggiarmi, perché non ero in grado di stare in piedi e camminare da sola verso ciò che mi aspettava. Quanto sono forte, eh?

-“Se... se sei preoccupata che... insomma, non ti voglio fare del male. Non... non ho mai preso in considerazione l'idea di scegliere questo”-, si sentì in dovere di rassicurarmi. E io avrei voluto piantare in asso una persona del genere? Era così simile a me, ma infinitamente più buona, e io ero così egoista. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di scegliere di farmi del male?, era questo che voleva dirmi, giusto? Di scegliere di essere crudele. E neanch'io l'avrei fatto, allora, perché sarebbe stata pura meschinità abbandonarlo tra le braccia della notte. -“L'avevo capito”-. Sì, ero più rilassata e avevo ripreso a godermi di quell'immobilità, di quella staticità. Il tempo mi aspetterà, sta notte, e non correrà via nel suo trascorrere infinito. -“Non era questo che mi turbava, ma ti ringrazio e... mi dispiace”-, sospirai, muovendo qualche piccolo passo sull'erba. Appoggiando una mano sulla corteccia dell'albero, presi a tracciarne la circonferenza con tranquillità. Le dita che correvano sui nodi e le imperfezioni – Le stesse che forse aveva il mio spirito -, e i passi che saggiavano il terreno duro, solido. Il carrubio un giorno sarebbe stato abbattuto?, sarebbe caduto e si sarebbe sfracellato su quel prato? Sarebbe stato scordato da quella stessa terra che lo aveva accolto e fatto crescere? -“Di cosa sei dispiaciuta?”-

Non so se quella domanda me la porse realmente o se la immaginai, ma so che la mia risposta rivoluzionò drasticamente tutto, e portò a qualcosa di semplicemente fantastico. Perché quel “Lo sono per l'esilio che ti ha costretto ad allontanarti dal tuo villaggio”, quasi mormorato per non ferire con i ricordi che supponevo sarebbero sorti, fu una chiave per una nuova svolta, per un cambiamento.

Un silenzio pacifico scese come una coltre morbida. Avvolse tutto, e venne cullato dal rumoreggiare dell'acqua. Suoni delicati per mantenere la perfezione di quel momento; un momento di attesa e comprensione. Piccole lucciole coloravano l'argine del fiume, e le nuvole bluastre soffocavano lo splendore di poche stelle: una notte serena, una notte uguale e dissimile dalle altre, per me, unicamente per la sola presenza di quel ragazzo.

Una presenza che venne confermata e adorata – Molto adorata, perché non era possibile non restare ammaliati, non amare una simile meraviglia -, quand'egli rise.

E probabilmente non sarò mai in grado di rendere l'idea, di descrivere quanto sia stato troppo bello sentire quel suono. Una sinfonia che s'incastrò in modo naturale tra gli altri sussurri nati dal mondo, ma che si contraddistingueva dagli stessi perché infinitamente più divina. Era come avevo immaginato ridessero le stelle o gli angeli, di un candore non classificabile e di una bellezza troppo idilliaca per poter anche solo immaginare di troncarla.
Non si poteva immaginare un universo dove non avrebbe potuto esistere, e tutti i momenti precedenti in cui non era persistita erano semplicemente da gettare: non avrebbero potuto reggere il confronto. Ed era pazzesco, impossibile, che soltanto il suo ridere fosse in grado d'innalzare il mio cuore verso quel paradiso irraggiungibile, di cui fino a quel momento mi era stato vietato l'accesso, ma che non lo fu per quegli istanti di una vita.
Era vitale, come poterla descrivere diversamente?, era tutto quello che io non sarei mai potuta essere. Dirompente e celestiale, poteva diventare solo una dipendenza, qualcosa di cui non poter fare a meno con l'avanzare del tempo.

Con l'avanzare del...

Oh.
E tutto si spezzò sotto il mio sguardo. Certo, quell'armonia continuava ad espandersi nell'aria, ma non riusciva più ad intaccarmi, a condizionarmi e a travolgermi la mente. Forse, quando avrebbe cessato di vibrare nella notte, mi sarei pentita di non averne assaporato ogni secondo, ma...
No no, perché? Come potevo esserne stata così assuefatta pochi istanti prima da non pensare, da non ricordare - Come se si potesse dimenticare una cosa simile, poi! - il mio flagello?

Però. Però io... 
Tentennai, indugiando con lo sguardo sulle fronde dell'albero; si muovevano leggermente, danzanti, alla portata del vento. Tuttavia celavano ancora il ragazzo; il misterioso ragazzo a cui avevo detto 'che non riesco a smettere di pensarci', e con il cui aiuto c'ero effettivamente riuscita. Grazie a lui... Era un bene, giusto?

-"Mi scuso"-, sussurrò, con dolcezza. Pareva rasserenato, e... vagamente deluso, forse. La risata era appena cessata, e probabilmente ero ancora intontita, ma non capivo perché si sentisse in dovere di chiedere perdono. Cosa aveva fatto di male?, mi aveva regalato, anzi, un ricordo indelebile e pieno di magnificenza. -"Per non essere riuscito..."-, incominciò, seraficamente, notando la mia - Direi giustificata, accidenti - confusione. -"...a trattenere l'ilarità. Nulla di cui tu ti debba preoccupare, ma... niente, per l'appunto. Mi hai soltanto chiarito un po' le idee"-

Sì, era decisamente più tranquillo. E quel comportamento era interpretabile in unico modo: il suo segreto era da ritenersi ancora tale. Ma ci ero andata vicino e l'avevo capito almeno un po'. Di questo ne ero certa, e questa sicurezza prometteva un certo senso di soddisfazione, di felicità immotivata.

I fruscii delle foglie e lo scricchiolio dei rami mi fecero rinvenire. Poi un tonfo dolce e il terreno che veniva percosso da una lieve vibrazione. Era giunto il momento, vero? Quello che inconsciamente avevo aspirato di assaggiare fin dal primo secondo: lo avrei visto in volto, me lo sarei impressa in mente e mai scordato, come il ritratto di un ricercato posto sotto le palpebre*.

Tolsi il palmo dal carrubio - Ora che lui ne era sceso, non avevo più alcun motivo di mantenere un contatto con esso - per avere la possibilità di nascondere le mani tremanti incrociando le braccia al petto. Era normale percepire il gelo intorpidire l'epidermide e al contempo sentirsi un inferno dentro? Delle fiamme diverse da quelle che ormai ero abituata a percepire: non lasciavano traccia del loro passaggio con un reticolo di sentieri infuocati, si limitavano a scaldare. A intorpidirmi i sensi senza consumarli un poco alla volta, senza indurmi sulle ginocchia.

E non potevo aver realmente paura di affrontare uno sguardo; non dopo quello che affrontavo, ogni singolo giorno, con quell'inquilino indesiderabile pronto a colpire al minimo passo falso, non dopo aver costruito quell'alchimia con lui. Non potevo farlo rimanere uno sconosciuto, uno qualunque, quando mi era stato così vicino - più di quanto la maggior parte della comunità lo fosse mai stata in quegli anni.

Prenderò un respiro profondo... e lo farò.
Quindi, mi voltai.

Al principio fu solo un'ombra più scura delle altre. Tenebra dentro altra tenebra. Il miglior modo per celare la propria luce, infondo, era sopprimerla con degli strati oscuri. Acuii la vista, cercando frenetica quei piccoli dettagli che formano una persona. Un neo, una fossetta, l'inclinazione degli occhi... non avrebbe potuto sfuggirmi, in questo modo.

Dall'oscurità emerse la sua figura, ancora avviluppata nella notte, ma più nitida. Era alto, forse superava di una ventina di centimetri la mia statura. E il corpo pareva vagamente longilineo, con gli arti superiori un po' più allungati rispetto al tronco. Restava fermo, senza mostrare segni d'agitazione nella posa disinvolta che aveva assunto. Le spalle larghe non erano contratte e le braccia erano rilassate lungo i fianchi; le mani celate nelle tasche dei pantaloni e le caviglie incrociate. Forse si sarebbe appoggiato con un fianco sul carrubio, se io non fossi stata così vicina allo stesso. Si stava limitando a fare il minimo indispensabile, sforzandosi di non compiere gesti che avrebbero potuto mettermi a disagio; voleva darmi il tempo di digerire completamente la sua presenza? 

Strizzai le palpebre: la sua carnagione chiara era stata una delle prime cose che intravidi, poiché lo divise subito nettamente dalle ombre. Ma pareva che rilucesse metallica, ora, sotto il bagliore della luna. Come se fosse stata creata da una materia paradisiaca luminescente e asbesto*.

Lo guardai insistentemente, e mi sentii rappacificata. Perché una piccola ma persistente parte di me aveva creduto inconsciamente che fosse tutto un mio delirio, ma una creatura - Così evanescente - simile ... il mio inconscio non sarebbe mai riuscito a crearla, non quando tutto ciò che manifestava era uno schermo nero e inoppugnabile.

-"Quindi?, sei rimasta a corto di parole?"- Quasi mi ero scordata il suono della sua voce. Ora, con quella battuta che puntava a sdrammatizzare, tornava prepotente a richiedere la mia attenzione. Sorrisi di sbieco, facendo scrocchiare le dita. Mi serviva una risposta altrettanto tagliente e provocatoria. Subito.

-"Mi eri sembrata una ragazza piuttosto..."-, s'interruppe, all'evidente ricerca di un aggettivo adatto. E in questo modo mi concesse il tempo di intervenire. -"Sì!"-, esclamai, cercando di precederlo. Sentivo il cuore pompare forte e prepotente, ma il gioco mi piaceva. Forse perché sapevo di potermi cimentare assieme a lui e non mi avrebbe considerata arrogante, nonostante le frasi taglienti. Quando fui certa di aver catturato la sua attenzione, proseguii, con meno irruenza: -"Anche tu"-

Batté le palpebre un paio di volte, spaesato; e con quell'aria dispersa, mi ritrovai a pensare, sembrava solo più avvicinabile e comprensibile; umano. Si passò dunque una mano tra i capelli di seta nera, guardandomi intensamente, come se avesse potuto carpirmi la risposta dal viso. Strinsi le dita tra loro, dietro la schiena: di che colore aveva gli occhi? Ma li aveva già distolti, con un sospiro mentre liberava la chioma dalla presa, per poi esporsi, controvoglia, in un 'Anch'io cosa?' appena udibile. Evidentemente non gli piaceva non riuscire a decifrare le mie parole. E pensare che lui era infinitamente più ermetico di quanto io avrei mai potuto sperare di essere: non se ne rendeva conto? -"Pure tu..."-, incominciai, cercando di trattenere un sorriso sarcastico mordendomi leggermente l'interno di una guancia. -"...Mi eri sembrato una ragazza."-

Okay, da quel che avevo visto non era effeminato, anzi. Ma di certo il viso d'angelo gli smorzava un po' la spigolosità della mascella definita. Per un momento solo mi fissò interdetto, ma poi parve arrivarci considerato il mezzo sorriso che gli sfuggì per un momento. -"Non vorrei dirtelo, ma probabilmente la tua vista fa cilecca da lontano"-, si riprese, sornione, prima di avvicinarsi con un paio di falcate, le movenze di un felino. Non sapevo con precisione quanto ci distanziasse, un metro?, o mezzo? Comunque troppo... poco, ovvio. Sì, era eccessivamente vicino. Ed io ero decisamente una deficiente.

E, ripensandoci ore dopo, mi rassicurai dicendomi che sarei arretrata subito se lui non avesse continuato il discorso, immobilizzandomi sul posto. -"Adesso, però, direi di essere sufficientemente a portata di mano, no?"-, un semplice sussurro divertito avvolto nella sua voce melliflua. E avrei potuto tranquillamente pensare di continuare con quello scherzo, ricambiando il favore con una nuova presa in giro. Ma lui non poteva essere abbordabile, se così la si voleva mettere. Non per me. Anzi, sarebbe stato meglio se si fosse allontanato immediatamente e... oh, al diavolo, non doveva importarmi! Se ci ero già affezionata era un problema mio, tuttavia doveva andarsene.

-"Cosa c'è?"-, mi chiese, premuroso. Un altro passo in avanti; ormai avrebbe potuto sfiorarmi la spalla in segno di conforto. Alzai lo sguardo, che avevo celato socchiudendo gli occhi, e lo guardai direttamente. Non potrei giurarlo, poiché non ne sono sicura con tutto questo buio, ma le sue iridi devono avere qualcosa di magico. Potrebbe essere il loro luccicore, certo, o il riflesso del disco argentato; e comunque non saprei definirne il colore. Sono d'antracite? Ma quei riflessi verde muschiato allora? Magari sono come i miei e splendono lucenti  senza avere un'effettiva iride colorata.

Li guardai per un istante ancora, prima di retrocedere. -"Non preoccuparti, non è nulla"-, lo rassicurai. Ed era la verità: se io scattavo ad ogni frase che le persone mi rivolgevano, era solo perché ero tremendamente catastrofica. Ci stavo solo parlando, e di certo non ne sarei morta.

Una breve pausa durante la nostra conversazione. Fissando il prato, avrei potuto notare le ombre delle nuvole, mentre coprivano il bagliore di alcune stelle per lasciare che altre rifulgessero al posto di quelle coperte. Periodi in cui alcuni avevano la possibilità di risplendere, e momenti in cui questa occasione veniva lasciata ad altri. Ma ero troppo presa dalla sua presenza, e in ogni caso avevo assistito a quello spettacolo naturale miriadi di volte. Perché rinunciare all'occasione di mirare una nuova meraviglia, solamente per potermi crogiolare in una già rivista e sempre meno alettante?

-"Ti va di fare una passeggiata?"- Un bel modo per concernere tutta la mia curiosità, non c'è che dire. Sorride con gentilezza, mentre si stringe leggermente nelle spalle. Indicò con un cenno del capo il carrubio -"Devo sgranchirmi un po' le gambe e mi farebbe piacere chiacchierare, nel frattempo, un po' con te"-, mi spiegò, sciolto. Una risposta normalissima se non che... lui rimaneva uno sconosciuto. E 'Non scorrazzare felicemente per i colli e per le valli in compagnia di un, a malapena, conoscente', era esattamente il genere di regola che avrei preferito non infrangere mai; neanche se colpita da un raptus di follia, tanto per intenderci.

-"Non ci allontaneremo troppo"-, cercò di rassicurarmi, forse intuendo la mia esitazione. Parve in difficoltà. -"Se è questo che..."-, proseguì, prima che lo interrompessi brutalmente: -"Sai..."- La stessa cara donna che mi aveva ripetuto in tutte le salse le regole di sopravvivenza, si rifece presente nella mia testa, tramite un ricordo lontano - Qualche giorno fa -, dove: 'E' tremenda maleducazione, per una donna, parlare sopra un giovane', veniva ribadito in un susseguirsi borioso di lezioni di etichetta. E ops. Forse sono in un'effettiva crisi di ribellione e avventata stupidità, all'ennesima potenza! -"...Mi chiedo cosa ti sia saltato in testa"-

Rimase sbalordito. Diciamo che ero stata piuttosto... uh, brusca? -"Era solo un'offerta"-, cercò di giustificarsi o di osservare ragionevolmente oppure, ancora, di farmi notare come stessi facendo la figura della squilibrata. Divertente, in ogni caso, perché... -"Perché, insomma!,"- Sì, trattenersi dal ridere risultava difficile. -"chi mai si arrampicherebbe dopo il crepuscolo su un albero, per di più in prossimità di un fiume?"-

Godersi le reazione degli altri è sempre qualcosa di soddisfacente. Lui, per esempio, dopo avermi fissato per una manciata buona di secondi ammutolito, forse tentando di metabolizzare, incominciò a far nascere un sorriso: prima esitante e sbieco, e man mano sempre più aperto e divertito. Alla fine proruppe in una risata sarcastica. E, meno male che non si era incazzato! Insomma era stato un tiro piuttosto mancino e... ci avevo messo un pochettino a decidermi se fidarmi o meno, per l'appunto. -"Cioè..."-, incominciò, sempre ridente. E, Dio, che armonia incantevole stava diffondendosi nell'aria, tutto grazie a quel ragazzo!, e un po' anche a me, dai: sono stata divertente. Non modesta, ma esilarante sì. -"Tu mi stai rimproverando per essere salito su un albero..."-,-"Grosso, è bello grosso!"-, soggiunsi, a favore della mia tesi. Lui m'ignorò deliberatamente proseguendo imperterrito: -"E non perché ti ho praticamente invitato a passare un po' di tempo con me, benché non sia un tuo amico?"-

Detto così il discorso filava e mi stava dando al contempo della cretina incosciente. ma cosa avevo detto io, d'altro canto, a proposito di raptus folli? -"Ehm, saresti potuto cadere nel fiume..."-, incominciai, cercando di trovare il modo di spiegarmi senza ammettere che mi era parso un bravo ragazzo. Anche perché non sono cose da dirsi così: i complimenti ce li si deve meritare. -"So nuotare"-, intervenne, pragmatico. Magari mi aiutasse, invece di intralciarmi, farei dei progressi! -"Saresti potuto cadere nel fiume, dicevo, dopo aver sbattuto la testa. E chi ti avrebbe potuto soccorrere? Non c'è nessuno"-, conclusi, ovvia. Sì, ce la potevo fare. Insomma 'Aboliamo le arrampicate notturne in vicinanza di rive' suona qualcosa di come minimo orecchiabile, se non ragionevole.

-"Beh, ma ci sei tu."-, sorrise, affiancandomi. Ormai avevamo intrapreso la fantomatica passeggiata, e lui non era molto distante. Giusto il minimo richiesto dalla buona educazione. Sospirai un 'Io' che non premetteva nulla di buono, ma poi mi zittii. Che bisogno c'era di renderlo partecipe della mia sventura? L'avrei solo rattristato. No, meglio dire un'altra verità piuttosto che questa. Quindi ripresi, con il suo sguardo costantemente puntato addosso, in un sorriso provocatorio: -"Io, al contrario del qui presente nuotatore provetto, non so nemmeno galleggiare"-


Ed è curioso come la fiducia in lui si fosse instaurata in profondità dopo poco. In fin dei conti, se ne fossi stata realmente preoccupata, avrei preso in considerazione il fatto che lui avrebbe potuto tentare di affogarmi, donandomi la stessa morte a cui per miracolo ero sfuggita cinque anni prima.


Sorride, complice, per poi decidere di seguirmi, di fare il mio gioco: -"Un giorno t'insegnerò, non potresti avere maestro migliore. E... quindi il tuo punzecchiarmi per essere salito sul carrubio sarebbe giustificato per la morte che avrei potuto riscontrare. Ma tu? Perché non rischieresti a passare il tuo tempo con me?"-, osservò, placidamente, tenendomi sott'occhio mentre fingeva di essere interessato al panorama che ci circondava. Almeno credo fingesse. Non mi pare il tipo che si guarda intorno per decidere dove seppellire la sua vittima. Il pensiero mi fece sorridere e, come assuefatta dalla sua presenza e intenta a prestare attenzione ai miei pensieri, non ci feci caso.


Perché sì. Io stavo spendendo il mio tempo con lui e non me lo sapevo spiegare; anzi in quel momento non m'importava neanche. La mia malattia era come momentaneamente sparita.


-"Hai detto tu stesso di aver scelto di non far del male e poi... sono una bambina"- Mi bruciava l'ultima constatazione, come sale su una ferita... e versato pure intenzionalmente! Ma come precedere altrimenti le scontatissime domande 'E se avessi mentito? Ti fidi così?, non mi conosci.'? E, accidenti, no! Io non tendevo a farlo! Come riuscire a spiegarglielo senza fare la figura della ragazzina? E allora era meglio quella risposta. 'Sono piccola e difficilmente tu, come chiunque altro, potrebbe trovare qualche interesse in me'. -"Perché? Quanti anni hai?"-, mi chiese, incuriosito e... forse l'avevo lasciato giusto un po' perplesso. -"Uhm? Ne ho quattordici"-, risposi fissandolo, cercando di interpretare ciò che stava provando attraverso l'espressioni del viso. Dall'occhiata che mi ricambiò sembrava averlo già intuito, o sospettato. Tuttavia sorrise amichevolmente e: -"Sembri più grande."-, mi concesse, per poi aumentare il passo. Pochi secondi ed era di fronte a me, che camminava all'indietro per continuare a mantenere il contatto visivo. Il sorriso non era ancora scivolato via: le labbra piene e rosate - Troppo scure per essere pallide come il resto della pelle adamantina - segnavano una curva dolce e invitante rivolta all'insù. Era contagioso, carismatico. -"Io ne ho sedici"-, ci tenne a informarmi, sereno. -"E il mio nome... te lo dirò alla fine, se mi sarò divertito in queste ore con te!"-, tese la mano, come per stabilire un patto. Qualcosa di cui noi soli saremmo stati a conoscenza. Allungai il mio braccio, senza riuscire a trattenere una risata: -"Ma di solito non sono le ragazze a dover stabilire se è stata una serata soddisfacente?"-,-"Il tuo ragionamento non fa una piega, peccato che questo non sia un appuntamento"-, ghignò divertito. La stretta di mano durò un battito di ciglia: troppo poco per poter trarre delle impressioni.

Ci tengo a specificare che non è che io abbia qualche potere ultra sensoriale, e sappia predire il futuro, ma sembrava voler continuare ad infierire con un 'Anche se tu lo desideri disperatamente', molto fuori luogo e che, non sarebbe stato esattamente nel torto, eh!, ma preferisco non subire umiliazioni nel mio immediato futuro. Quindi... meglio prevenire. -"Il fatto che tu voglia recitare, a tutti i costi, la battuta che spetta ad una ragazza... dovrebbe essere imputabile al fatto che tu, in effetti, lo sia? Proprio come avevo sospettato sin dall'inizio, insomma!"-, lo presi in giro, un sopracciglio inarcato e un sorriso di sfida. Piegò il capo all'indietro e rise a gran voce, per nulla offeso. Ed entrambi sapevamo che sarebbe stata sicuramente una nottata divertente. Il suo nome era praticamente già assicurato sulle mie labbra.


Certo, poi ci sono stati quegli eterni minuti di cui avrei di gran lunga fatto a meno. Come quando, spinto da una genuina curiosità, mi aveva chiesto perché fossi uscita in piena notte da sola. E diciamo che mi sentivo fregata e messa allo stretto. Pensare ad un modo per non mentirgli e al contempo non svelargli la reale motivazione: era un pasticcio. Ma quella sera ci tenevo veramente a trascorrerla senza pensieri tormentati. Così gli risposi con un 'Uh, volevo prendere un po' di aria fresca'; il momento stesso in cui glielo dissi fui consapevole che non vi avrebbe creduto. Era una verità debole. Aveva insistito: -"Sì?, e non ti pare di averne presa abbastanza? Infondo sei da un bel po' fuori..."-

La discussione aveva iniziato a sfociare in un'atmosfera sempre più tesa... sapevo che se gli avessi risposto che non ne volevo parlare mi avrebbe lasciato in pace, ma il punto era: a che prezzo? -"Se non erro, chi mi sta ponendo questo quesito è la stessa persona che si è intristita quando ho fatto per andarmene e che mi sta intrattenendo in questo preciso istante"-, ci avevo scherzato su, fissandolo con la coda dell'occhio e un sorriso appena disegnato agli angoli della bocca. Aveva momentaneamente rallentato la marcia incallita che stentavo a sostenere e, ruotando il capo all'indietro, verso la spalla, l'avevo notato trafiggermi con lo sguardo, mentre si mordicchiava il labbro inferiore. Quando poi mi aveva di nuovo affiancato, aveva accolto con reticenza la mia provocazione: -"Non credo che la compagnia che ti offro sia così sgradita. Altrimenti mi avresti lasciato direttamente da solo. Mi sbaglio, forse?"-

E la situazione si era risollevata: eravamo tornati ad essere sarcastici, lasciandoci alle spalle scudi e sospetti. Non era forse tutto più bello e scorrevole? -"Tralasciando la tua presunzione... Mi hai appena dato della cafona insensibile?"-, non ero molto credibile nelle vesti di una ragazza profondamente ferita. Probabilmente perché il divertimento trapelava dalle mie parole dal gusto offeso, e fu troppo poco mascherato per non scatenare conseguentemente il suo sorriso sghembo. -"Oh, sì! E pure manipolatrice."-, aveva asserito lui, con una falsa voce risentita che mal s'accordava con gli occhi ridenti. Ma lo scherzo si era fermato fino ad un certo punto: entrambi sapevamo che stavo sviando il discorso, se non che il giovane aveva deciso di desistere, cambiando argomento e tono. Quindi, giovale, aveva domandato: -"E, a parte le scampagnate fuori casa al tramonto, fai qualcos'altro di inusuale? Giusto per tenermi pronto all'eventualità."-


E da quella domanda a cui avevo risposo con un 'Ma non lo so!' divertito, erano trascorse un paio d'ore, o forse di più, costellate dalle sue risate divine e dai miei sorrisi affascinati e inebetiti - Oltre che tremendamente imbarazzanti. Eravamo giunti come a un compromesso, comunque: ad ogni cosa che uno svelava di sé, l'altra doveva ricambiare il favore. E così, quando passammo per la sesta volta davanti al carrubio, avevo raccolto un piccolo tesoro di conoscenza su di lui. Alcune rivelate e altre carpite attraverso il linguaggio del corpo o dal modo in cui formulava risposte e domande. Altresì ero certa che anche lui avesse notato certi aspetti comportamentali che mi caratterizzavano.

Per esempio lui passa una mano tra i capelli quando ragiona; io scrocchio le dita per riordinare i pensieri.
Distoglie lo sguardo una frazione di secondo prima di sorridere, per poi instaurare di nuovo un interconnessione appena questo spuntava; io tendo a guardare altrove pochi istanti prima che il sorriso scompaia.
Si morde lievemente il labbro inferiore quando qualcosa non lo convince; io socchiudo le palpebre.
Tendenzialmente, quando inizia a camminare, comincia portando avanti il piede sinistro; non ci ho mai fatto caso, ma credo che si tratti del destro.
Dai centinaia di aneddoti che sembra avere nel suo repertorio è intuibile il fatto che sia stato in tanti posti e abbia conosciuto molta gente; io non mi sono mai mossa da questo villaggio, ho pochi conoscenti e nessun ricordo piacevole del passato da raccontare.
Si dimostra a proprio agio con le tenebre e ha movenze sicure; sto lentamente prendendo confidenza con il buio, ma mi muovo sempre cautamente.
Ha sempre la battuta pronta, alcune volte lascia tuttavia correre senza intervenire; preferisco rispondere alle frecciate piuttosto che porne, e se prendo l'iniziativa è per cercare di prevenirne di più taglienti da parte dell'interlocutore.
Il suo passo segue il suo stato d'animo: quando è agitato o in fermento aumenta, se serafico o prudente rallenta; quando mi sento troppo su di giri mi arresto e cerco di calmarmi con un respiro profondo.
Si adatta facilmente a tutto; in quesito siamo simili anche se io, la maggior parte delle volte, mi conformo alla situazione perché costretta e non per mia volontà.

Sono tanti piccoli dettagli emersi attraverso i nostri discorsi e mi chiedo se sono la prima che li scopre. Per quel che mi riguarda, oramai è allo stesso livello di Lucinda. In un solo giorno... o meglio, mezzo, ha imparato di me quasi tutto quello di cui Luce è venuta a sapere in anni di amicizia.

Quella sesta volta, quando raggiungemmo l'albero, ci arrestammo. Era stupefacente, ma il cielo si stava già colorando di un blu pastello più chiaro. Erano già le cinque? Com'era possibile? Parve notare il mio sbigottimento, mentre osservavo l'orizzonte, vagamente dipinto di un indaco tenue, e sorrise, rilassato: -"A quanto pare è vero che il tempo passa più velocemente quando ci si diverte"- Beh, sì... aspetta, frena! -"Quindi mi dirai il tuo nome?"-, inquisii, osservandolo attentamente. Se anche lui aveva l'impressione di aver iniziato la conversazione da poco, potevo rivelarmi vincente. Lui sbuffò, divertito, mentre affondava le mani nelle tasche dei pantaloni. -"Dai l'occasione al giorno di arrivare, e io te lo dirò"-
Pareva sereno. Lui, intendo. Sì, magari anche il cielo, ma per una volta tanto non m'importa se starò chiusa in casa o avrò l'opportunità d'uscire. Ricambiai il suo sguardo, immobile e in silenzio, mentre contemplavo i colori cambiare pian piano. Come in quel giorno di sole... mentre il manto sopra di noi lasciava il posto al blu, dissipando il nero e cancellando le stelle, ogni cosa si definì, arricchendosi di nuance delicate. Stavo dando le spalle all'oriente e, tuttavia, capii quando quel globo luminescente sorse.

Verde.
Verde intenso, verde profondo, verde brillante.

I suoi occhi erano verdi. Come... come... oh, non esisteva un paragone. Quelle iridi erano lui e basta. Nessun prato o gioiello poteva reggere il confronto, perché non avrebbero mai potuto avere la tonalità esatta delle sue iridi. Un verde solo loro, solo di... -"Cam."-, sussurrò, quasi solo sillabando - Ed effettivamente le sue labbra erano rosate, accese. Solo di Cam. Nessuno avrebbe potuto portare quel colore se non lui. E questa consapevolezza così bizzarra e confortevole, mi dipinse un sorriso complice e -"Susan."-

Come due bambini che si scambiano un segreto. E ora era giunto il momento di andare, prima che il sole mi bruciasse. Feci per svicolare via, verso casa - Rifugio e prigione -, quando la sua mano scivolò nella mia. Aveva la pelle calda, come se un fuoco continuo la riscaldasse dall'interno, mantenendone il calore anche quando avrebbe dovuto essere fredda. -"Aspetta. Domani sera tornerai qui?"-

E quella domanda sputata fuori concitatamente, piena di una meravigliosa speranza e di un sorriso per la prima volta timido, nascosto tra le sue pieghe, fu l'inizio. Perché il mio 'Certo', concesso senza tentennare, prima di correre via, era al pari di una promessa eterna.


E non so se si ha presente quell'euforia immotivata che ti accompagna per tutto il santo giorno, dopo un evento indimenticabile. Io non l'ho mai sperimentata. Nemmeno oggi mi fu concessa. D'altronde, dovevo immaginarmelo: lo scorrere del tempo può sì, cristallizzarsi, ma alla fine deve riprendere a scorrere e lo fa accelerando doppiamente: per riuscire a recuperare i momenti donati. Questo è solo più destabilizzante.


Fu così che, quando aprii la porta, raggiante senza una ben chiara motivazione, gelai sul posto. Era alta si e no una novantina di centimetri, capelli biondi relativamente corti e gli occhioni celesti quasi sproporzionati al resto del viso, ma era decisamente come la personificazione di tutti i miei problemi. -"Noemi"-, soffiai con un filo di voce, come una statua di granito posta sull'uscio. Mi sentivo orribile a comportarmi così, a farmi vedere in quel modo da quella cosetta adorabile che, urlacchiando il mio nome, mi si aggrappò ad una gamba nel tentativo di abbracciarmi. E tutto quello che ero in grado di fare era fissarla, ad occhi sgranati, come la più perfetta delle cretine.


Me ne ero dimenticata. Come, quando? Perché ci ero riuscita?


Riuscii ad alzare lo sguardo dalla sua testolina solo quando una mano si appoggiò su una spalla. Mio padre mi stava adocchiando, comprensivo, tuttavia quando aprì bocca risuonò autoritario: -"Susanna, devi occuparti di sua sorella."- E ancora riuscivo solamente a guardare, sentendomi invasa dal panico e, accidenti, lo sapevo che mi stavo comportando da ragazzina immatura, ma stava tutto accadendo così in fretta. -"Non doveva essere a casa di una sua amica? Perché..."- Perché non sono in grado di prendermi cura di lei come una qualunque sorella maggiore? Lui sospirò, mentre si infilava la giacca. -"Sì, ero da Sara!"-, squittì una vocina infantile. -"Ma poi sua mamma, tenendosi il pancione è uscita tutta di fretta e... beh, poi non so."-, immagino scrollò l'esili spalle, per rendere maggiormente l'idea. Non ne sono certa poiché non riuscivo a distogliere lo sguardo dal mio genitore, incredula. Quello che si chiama tempismo... -"Tua madre è già dagli Anziani da un'ora almeno, adesso la raggiungo. Mi raccomando."-

E semplicemente uscì, dopo aver dato un bacio sulle fronti di entrambe, lasciandoci sole. Dovevo cercare di mantenere il sangue freddo e raccapezzarmi: i piccoletti riescono a percepire lo sconforto. Credo. Ma lei era lì, con i suoi fanali chiari puntati su di me, in attesa che prendessi in mano la situazione. Si aspettava questo da me, e io non sapevo se avrei retto. Che orribile situazione. -"Ehm. Hai sonno piccola?"-, le chiesi, abbassandomi alla sua altezza. Appena si fosse addormentata avrei potuto liberamente affrontare tutto; tutto il casino, tutta la mia inadeguatezza, tutti gli sconforti e tutte le paure. Aveva veramente, però, gli occhi pesti e se li sfregava in continuazione, come a cacciare via la stanchezza. Non proprio l'immagine del riposo ristoratore... chissà com'ero io. Meglio non pensarci. Noemi annuì, trattenendosi a stento dallo sbadigliarmi in faccia. Brava bimba: non avrei gradito. -"Allora ti posto a letto e ti racconto una storia, mmh?"-,-"Va bene..."-, acconsentì assonnata, regalandomi comunque un piccolo sorriso che mi trafisse con la sua dolcezza - Avrei voluto essere in grado di ricambiarlo. Poi tese le braccia verso il mio collo.

Afferrandola il più saldamente possibile per i fianchi e portandomela in braccio in un modo quasi consono - Era pur sempre la prima volta -, la trasportai nella sua camera. Questa era adiacente alla mia e consisteva in una piccola rientranza grande l'indispensabile, contenente principalmente giochi intagliati. Alcuni di essi, forse, un tempo erano stati miei, ricordo però che non li apprezzavo molto. Non dopo essermi guadagnata una spina un giorno sì e l'altro pure, per almeno qualche mese di seguito. Buttai fuori l'aria in quello che doveva essere un 'Eccoci qui!' sollevato. Non si sarebbe mai detto dalla sua corporatura minuta, ma era atrocemente complicato trasferire quella bambina. Era tosta... forse per questo lei se l'era cavata.

La deposi, con tutta la delicatezza di cui ero capace, sul giaciglio: un'ammasso di pelli animali ricucite per fornire un rialzamento dalla cassapanca su cui erano poste. Sgusciò lesta sotto il lenzuolo in lino, cercando subito una posizione confortevole per dormire. Dalla trapunta tirata fin sopra il naso, spuntavano i suoi occhi carichi d'aspettativa. -"Mamma mi legge sempre quella del bambino alla ricerca della stella"-, mi suggerì, facendo spuntare una mano per indicarmi un rotolo di pergamena, accatastato nelle vicinanze di una scultura ritraente un passero. L'afferrai velocemente: volevo solo spicciarmi per poter poi defilarmi nella mia stanza. Le rimboccai le coperte, per poi intraprendere la lettura della fiaba: la stella era una metafora rappresentante la felicità, una sorta di oggetto del desiderio ambito da tutti e apparentemente inottenibile. Il mostriciattolo in questione si era messo sulle sue tracce per aiutare la sua famiglia caduta in condizioni di povertà e, poiché agiva per il bene altrui, venne riconosciuto vincente nell'impresa dove tutti gli altri riccastri ed egoisti pretendenti avevano fallito. Sospettavo che le piacesse tanto quella favola per via del protagonista: di solito i bambini s'innamorano di personaggi fittizi?

Quando conclusi la lettura avevo come il sospetto che Noemi si fosse già addormentata da un pezzo e che io avessi sprecato solo fiato. Il sole che filtrava dai tendaggi alla finestra teneva il luogo in penombra, rendendo di conseguenza la piccola solo un ammasso informe di pelle pallida e capelli chiari. Mi sporsi per baciarle la fronte. In verità, sbagliai un paio di volte, facendo scontrare le labbra prima contro il naso e successivamente beccando un sopracciglio. Diciamo che non c'era tutta questa effettiva visibilità, benché dovesse essere ormai mattina inoltrata, e che i drappeggi facevano un gran bel lavoro. Infine, dopo averle lasciato il fatidico bacetto della buonanotte, sgattaiolai via. Sì, come no. Praticamente mi catapultai verso l'uscio, rischiando per altro la vista sul fastidiosissimo passerotto che giustamente era proprio in mezzo alla strada. Avevo bisogno del mio personale angolo di pace, armonia e... va bene, angolino e basta. Richiudermi la porta alle spalle fu come costringere il mondo al di là di essa ad aspettare, per potermi permettere qualche ora da sola. Ma in fin dei conti io sono così avanti che il mio peggior nemico sono io stessa, non ho bisogno di sfide e avversari. Mi basto: se questa non è emancipazione...

Crollai sul letto, chiedendo riposo e ovviamente non ricevendone. Sì, forse non era il caso di rinfrancarmi mentre le conseguenze di questa notte si propagavano in una catena infinita. Per dirne una: tutto quel 'No, Luce, devi stare lontana da me!', a cosa era servito, se poi dopo meno di ventiquattr'ore, ripetevo lo stesso identico errore con Cam? Gli avevo promesso che ci saremmo rincontrati! Era come dargli via libera per diventare una seconda Lucinda: entrambi intrappolati in un circolo dove qualunque azione avrebbe comportato dolore. Che bella amica, proprio quella che tutti si augurerebbero d'incontrare!

Tirai un pugno sulle coperte, come se martirizzare il mio giaciglio avrebbe potuto infondermi un qualche tipo di conforto.. Il colpo riverberò su, attraversando tutti i nervi per poi espandersi nelle membra. Come avrei fatto a convincerlo a lasciarmi perdere? E come avrei fatto io a dimenticarlo dopo averlo fatto ridere? Il ricordo della sua voce avrebbe fatto fatica a sparire e i suoi occhi non sarebbero mai sbiaditi, persi nella mia memoria. Magari avrei fatto meglio a non incontrarlo di nuovo, far semplicemente svanire le mie tracce in qualche maniera... Mi picchiettai la fronte con uno schiaffo: no, mi rifiutavo di andarmene come il peggiore dei codardi, deludendolo e lasciandolo senza una misera spiegazione.

Non sarebbe stato da me comportarmi così male nei suoi confronti, inoltre la colpa risiedeva unicamente in me e non potevo certo scordare il suo sguardo speranzoso. Socchiusi le palpebre; fissare come indemoniata il soffitto non mi avrebbe aiutato né a prender sonno né a risolvere i miei pasticci. Chissà cosa gli dirò... Cam. (Pronunciare il suo nome mentalmente, faceva risultare l'assonanza di quelle lettere una cantilena troppo invitante per poter rimanere prerogativa di una voce interiore. E così, presi a chiamarlo, intonando diverse modulazioni, quasi aspettandomi stupidamente di vederlo accorrere ai miei richiami. Era bello sfregare le labbra in quella M vibrante, dopo averle socchiuse per la C spigolosa e aver mosso leggermente la lingua contro il palato per la A decisa. Così bello che ripetei l'operazione infinite volte, come in una mantra, mentre mi rannicchiavo sotto il lenzuolo, alla ricerca di un po' di calore. Il tepore che si venne ben presto a formarsi, era simile a quello assaporato quando mi aveva trattenuta: invitante e accogliente.) Possibile che debba rinunciare a una persona appena conosciuta?

Ero al principio di una nuova giornata, avrebbero dovuto trascorrere almeno altre dieci ore prima che io potessi anche solo avere l'occasione di vederlo ancora. E quando sarebbe giunto il momento avrei dovuto dirglielo: addio. Sarei stata sufficientemente persuasiva, oppure il fascino che avevo intravisto in lui avrebbe prevalso? No, dovevo dare per scontato la mia vittoria: è la decisione più giusta da perseguire, benché al contempo sia anche quella meno allettante.

E poi supposi di essermi stufata di me stessa, perché gli occhi si serrarono, la bocca si scontrò da sola per un'ultima volta e un mondo oscuro m'avvolse.


Anche quel giorno non si attuò alcuna variazione nel campo onirico.


A svegliarmi ci pensò lo scrollare tenue di mia madre. Ne scorsi il viso mentre faticosamente lasciavo la tenebra: era radiosa. -"Il coso... Il bambino. E' nato?"-, bofonchiai malamente. Riconosco di non avere propriamente la mente lucida appena alzata, ma ogni volta che vi è un nuovo romp- rampollo sano e che non è come me, tutto il villaggio festeggiava. Il che spiega perché qui sono tutti maledettamente felici e amorevoli: con la quantità esorbitante di peripat... -"Sì, ed è un amore. Ma non ti ho svegliato per questo, Susanna"- ...etiche* che girano, la gente vive in una perenne euforia. Ad essere puntigliosi, oltre ad essere lenta di comprendonio ero anche straordinariamente inferocita e giudicatrice. La carenza di cibo compromette il mio organismo, a quanto dicono i vecchi. -"Lucinda."-, conclusi per lei. Peccato paresse stessi inveendo in una lingua non ben identificata. Lei rise, leggera, sfiorandomi il capo mentre mi alzavo a sedere. -"C'è il tuo pran... la tua colazione è servita."-, m'avvisò premurosa, prima d'uscire, socchiudendo la porta con somma delicatezza. Feci cadere con un tonfo il paio di sandali appoggiati al fondo del letto - Probabilmente messi a disposizione da mia madre -, con un gesto involontario delle gambe. Si trascinarono dietro il cuscino su cui erano appoggiati, schiantandosi al suolo. Osservai apaticamente la scena, mentre tentavo di districarmi dalle coperte il più velocemente possibile, rischiando di lacerarne il tessuto. Beh, ormai doveva essere piuttosto palese: non avevo ereditato l'accorata dolcezza della mia genitrice. Pace.

Con un sospiro, mi feci forza e mi diedi lo slancio necessario per assumere la posizione eretta. I muscoli intirizziti non aiutavano, ma erano una consuetudine che mi portavo appresso praticamente da quando ero nata, e in ogni caso, dopo aver ristabilito l'equilibrio, non mi limitarono eccessivamente nei movimenti. Chinandomi di fianco al letto, tirai un cassetto della cassapanca posta sotto lo stesso, per poi ritrovarmi davanti a diversi capi di vestiario con un fattore in comune: il colore neutro, o comunque pallido. Quel giorno toccò ad un abito in lana bianca, con ricami in lino color crema sui polsini e il colletto. Infondo era ancora presto per gironzolare con tessuti leggeri. Restai scalza per questioni d'assoluto menefreghismo verso la buona educazione, la quale richiedeva l'ausilio di calzature se in casa vi erano ospiti. Blando il tentativo di rammentarmelo della donna di casa.

Dunque, incespicando malamente verso l'uscio, l'attraversai. Ebbi subito modo di notare Luce accomodata al tavolo in salotto, imbandito per il pasto della sottoscritta, che molto discretamente stava ingurgitando qualcosa - L'avrei fatto anch'io*. Appena mi notò, immobile di fronte alla mia stanza mentre la fissavo inespressiva, sussultò ed arrossì. Ma non mancò d'infilarsi in bocca i ribes appena agguantati. Le scoccai un'occhiata, con fare sconsolato, mentre prendevo posto di fronte alla mia colazione: per aver saltato la cena, quando ero rincasata, non avevo molto appetito. Si vedeva che il nervosismo mi aveva chiuso lo stomaco...

-"Lucinda..."-, mi premurai d'intavolare una conversazione, mentre mi sforzavo d'imburrare del pane. Solo dopo aver portato a termine l'operazione levai lo sguardo - Giusto per non affettarmi le dita col coltello -, incrociando il suo, spaurito e ipnotizzato. Era sempre stata una ragazza facilmente impressionabile. -"Quando freghi del cibo e vieni beccata, fai finta di nulla, alludendo al fatto che la genitrice della non-affamata proprietaria di tale interessati alimenti, ti ha dato il permesso. E non fare quella faccia da cucciolo, che mi sale il nervosismo"-, la istruii, paziente, per poi addentare la fetta sui avevo lavorato. In fin dei conti avevo bisogno di energie, era meglio non rischiare di svenire quando avrei parlato con Cam. Forse era per quello che mi ero svegliata di malumore. Dio dovrebbe tener conto del mio sentirmi distrutta prima di annientare qualcun altro: è un atteggiamento profondamente sensibile, da parte mia, essere dispiaciuta nell'arrecare del dolore - Che ipocrisia.

Feci cadere all'improvviso il pane sul piatto in ceramica, colpita da un forte senso di nausea. Mi sentivo lo schifo - Lo schifo che ero - in gola, la morbidezza del burro era scomparsa. Mi avventai sulla caraffa contenente il latte appena munto e me ne abbeverai voracemente versandolo nel bicchiere; frattanto Luce aveva sporto un dito verso i rimasugli della mia colazione. -"Perché le facce tenere ti gettano nello sconforto? E finisci di mangiarlo o posso prenderlo io?"-

Non avevo detto propriamente così... ma in definitiva Noemi era in grado di farmi impazzire. -"Se non ti disgusta mangiare i miei avanzi, serviti pure. Tanto me ne sono sbafata più di metà, e dovrebbe bastare fino al tramonto"-, scrollai le spalle, pulendomi con una mano la bocca, alla ricerca del latte che - Sicuramente - mi ero spalmata in tutta la faccia  per via della mia foga e indecenza, mentre con l'altra facevo scorrere il recipiente nella sua direzione. Quest'ultimo era pieno di briciole. Aveva ragione mio padre quando asseriva che, se toccavo pane, se ne sarebbero accorti tutti a miglia di distanza. A ben pensarci ne ero ricoperta.

Con uno sbuffo, diedi una manata poco aggraziata al mio abito, tentando di scollarmi d'addosso quei mille pezzettini. Così facendo finii per far aumentare, in maniera esponenziale, tutti quelli che erano già presenti sul pavimento. Luce sghignazzò della mia espressione seccata - Avrei pulito io il mio pasticcio, giustamente; solo avrei preferito che questo non s'estendesse fino ai confini del mondo -, ma, poiché aveva appena morso il mio/suo spuntino, finì solo per sputacchiare a raffica briciole e mollica, rischiando poi di soffocare.

Non potei trattenermi e le scoppiai a ridere in faccia. E in effetti non sapevo se era più esilarante lei, color peperone, che deglutiva convulsamente o io, che invece parevo preda della convulsioni, mentre continuavo a indicarla insistentemente con l'indice. Insomma, due deficienti che si esibiscono nel loro spettacolo. Fu così che, richiamata dai miei schiamazzi isterici - Era solo finzione: non mi sarei liberata facilmente dal pensarlo. -, mia madre fece capolino dalla cucina, dapprima sorridente, trillando: -"Cosa c'è di così divertente?"- Solo che poi, dopo aver notato il putiferio involontariamente creato (Chissà cosa ne sarebbe uscito fuori se ci fossimo messe d'impegno), trasecolò. -"Susanna! Quando torno a casa... hai capito."-, ordinò perentoria senza distogliere lo sguardo dall'ammasso di briciole presenti. E si parlava di usa sola fetta, non di tutta la pagnotta. Infine si dileguò fuori, forse traumatizzata dalla mia acuta intelligenza. O meglio: dall'assenza della stessa, che avevo per altro sempre profetizzato. Almeno avevo smesso di manifestarla apertamente. Tutta colpa di Lucinda: tanto è sempre lei la causante e si offre spesso come vittima della questione. Quindi, dopotutto... ehi, ma dov'era finita?

Mi guardai intorno, perplessa. A ben guardarsi in giro non la si vedeva. Forse aveva raggiunto un livello tale di vergogna, da aver prodotto un eccessivo surriscaldamento, pena la liquefazione istantanea. Rabbrividii: che fine orribile. Senza contare che, ora che era sparita, non avevo più distrazioni e avrei continuato a rimuginare, pateticamente, su un certo ragazzo bruno e dagli occhi verdi... il che non era un bene.

Stavo per alzarmi e andare all'effettiva ricerca della donzella dispersa, quando questa ricomparve dalla cucina armata di scopa e contenitore per la spazzatura. Me li porse, allungando le braccia verso la mia direzione, facendomi intendere con quel gesto esplicito, che dovevo darmi una mossa. Obbedii controvoglia, cercando di evitare di pestare coi piedi nudi i pezzi di pane vaganti. Fu complicato, ma alla fine riuscii ad agguantare con malagrazia l'attrezzo per iniziare a spazzare il pavimento con energia. Priva finivo... -"Non mi hai ancora risposto"- ...e prima mi dovevo sorbire Lucinda. Infondo non avevo tutta questa fretta, no? Sospirai impercettibilmente per poi sbuffare un 'Quale' rassegnato. Meglio contentarla, altrimenti non avrebbe più smesso. -"Perché se faccio gli occhi dolci t'innervosisci?"-, ripeté la domanda come se fosse una lezioncina imparata a memoria. Mentre una parte di me si chiedeva come si facesse a trasformare lo sguardo nell'immagine della bontà, e un'altra era impegnata a chiedersi se fosse così interessata alla questione solo perché pensava d'avere in mano un nuovo metodo per infastidirmi, le risposi: -"Mi ricorda un cane bastonato che vuole far salire i sensi di colpa al suo osservatore, ma la consapevolezza di non aver fatto nulla di male, mi spinge ad infierire laddove prima non avevo esposto giudizi. Mi urtano le persona che cercando di guadagnarsi qualcosa - Che potrebbe trattarsi del perdono o una concessione, è d'importanza relativa - attraverso questi intermezzi, senza intervenire da sé e dimostrare che se lo meritano"-

Oh, avevo finito di raccogliere la sporcizia in un unico punto. Posai momentaneamente la scopa alla sedia e iniziai a percuotermi con piccoli schiaffi. Ehm. Avrei anche potuto correre come un'assatanata per il salotto, per intenderci, ma non ci tenevo a spargere ovunque tutto quel cibo che trasportavo. Quindi mossi le mani spazientita, come se fossi preda di attacchi epilettici, per tutta la porzione di abito non immacolata. Fortunatamente non presentavo macchie di burro: sarei stata peggio di una neonata, altrimenti. Raggiunsi quindi Luce che mi stava squadrando in tralice e afferrai in malo modo il contenitore che aveva tenuto tutto il tempo tra le braccia, per poi tornare impettita alla mia raccolta di risorse: le formiche avrebbero gradito di certo.

Cercando di dare una parvenza di normalità e serietà tornai in cucina, per riporre gli utensili nello sgabuzzino. Tornando sui miei passi notai come la ragazza non si fosse mossa. Alzando gli occhi al cielo presi posto sul pavimento, ora lucido e pulito: lo stesso non poteva dirsi della tavola, ma quella era prerogativa di un'altra lavoratrice, poiché la colpa non era imputabile a me. -"Sei ancora sconvolta per via delle mie parole o per la sottospecie di ballo masochista che ho proposto?"-

Non avevo un minimo di ritegno e dignità. Non dopo quello.


Era da un'oretta circa che parlavamo. Sinceramente, se mi avessero chiesto di cosa eravamo andate discorrendo, non avrei saputo rispondere se non con un debole 'Un po' di tutto. Ora non mi ricordo precisamente'. Un paio di volte dovevo essermi improvvisata un Anziano ed essermi dilungata con discorsi filosofici che l'altra mia compare pareva ascoltare, poi il fatto che non ci avesse capito nulla era un altro discorso, ecco.

Ma proprio quando iniziavo a vedere la presenza di Luce diversamente da una semplice diversivo, bussarono alla porta, interrompendo la ragazza mentre tentava di spiegarmi che sapore avesse l'acqua. Sì, per una volta le avevo posto io una domanda di ineluttabile stupidità, a cui non volevo sentirmi rispondere con un 'Ma nessuno' ovvio e basilare. Che poi si trattasse della frase corretta, era anch'essa un'altra storia.

Mi alzai, confusa e agitata, per poi dirigermi verso l'uscio. Chi poteva essere? Mi veniva in mente una sola risposta, e di fatto non avrebbe faticato a trovarmi se avesse svolto un po' di ricerche: ero l'unica a portare il mio nome nel mio villaggio. Cam?

La mano mi tremò mentre l'appoggiavo al pomolo, brividi freddi sulla schiena. Veloce e diretta, m'imposi; e spalancai violentemente l'ingresso. Con così tanta fretta che mi scordai di defilarmi di lato, in questo modo non potei evitare la luce solare che mi colpì in pieno, ostruendomi la vista per un momento. Arretrai svelta, cercando di trovare la visibilità momentaneamente fuori uso, ma la voce del visitatore mi prevenne: -"'Giorno Susan"-, soffiò cortese. Era femminile. Sollievo e delusione, ma mi sentivo soprattutto sciocca. Perché mai avrebbe dovuto venire a farmi visita? Avevamo già prefissato un incontro e, a meno che non volesse disdirlo... mi morsi la lingua e - Accidenti che male! - m'insultai mentalmente. Quella sera gli avrei detto che non avremmo più potuto incontrarci... e io andavo a immaginare a quanto mi sarei sentita ferita se avesse preteso l'annullamento dell'incontro.

-"Mamma?"-, esclamò sorpresa Lucinda, spuntando alle mie spalle. Persa nelle mie turbe mentali non avevo nemmeno salutato la signora. -"Buongiorno"-, bofonchiai. Probabilmente qualunque altro adulto mi avrebbe guardato storto, per la mancanza di rispetto che sembravo aver voluto arrecare. Ma Anna viveva da vicino la mia esperienza, avendo la figlia in così stretti legami con la sottoscritta e sapeva che per me non esisteva alcun giorno che meritasse l'appellativo buono. Che tragedia...

-"Mi dispiace disturbare, ma devo parlare con tua madre."-, si giustificò, dopo aver sorriso alla sua primogenita. -"Nessun disturbo. Tuttavia mi duole: non è in casa."-, spiegai brevemente, cercando di risultare il meno scortese possibile. Ma c'era troppo sole per i miei problemi e nessun ragaz- Basta. Lei rifletté velocemente: -"Non è che sapresti dirmi dov'è?"- No. -"Potrebbe essere a casa della madre di Sara, dove si trova anche Noemi."- Mi sembrava un ipotesi plausibile. Curioso come la mia sorellina stesse sempre in mezzo. Le si illuminarono, per un attimo, gli occhi: -"Ho presente! Ha avuto un bambino questa mattina presto, sai? Solo che non so dove abiti"-

Se avevo presente? Oh, quel piccolo nascituro mi aveva ricordato tutti i passi falsi appena commessi con la sua comparsa. Un bel modo di venire al mondo. E non era insolito che non si sapesse dove abitava qualche famiglia... tendenzialmente s'invitava nelle proprie dimore solo i conoscenti più stretti. -"Luce sa dov'è."-, la misi a parte. In effetti mi aveva accompagnata un paio di volte, quando dovevo andare a riprendermi Noemi dalle grinfie della sua amica, quindi l'ubicazione dell'abitazione le era nota. Anche perché aveva dovuto attendere per molto tempo, quelle uniche due volte, mentre io tentavo di rapire mia sorella senza farla scoppiare in un piagnisteo micidiale. Infatti la ragazza in questione sbiancò un po', ma non si tirò indietro.


E così ero rimasta sola con la promessa della mia quasi coetanea di tornare in fretta.

Trascorsi il quarto d'ora seguente cercando d'inventarmi qualcosa per non pensare a Cam, e alla fine mi accorsi di non essermi attardata su di lui in tutto il mio scervellarsi inutile. In pratica sono riuscita a fregare il mio stesso cervello... stupefacente. Quindi se penso a tutti i modi in cui posso uccidere Lucinda, mi passa l'istinto di ammazzarla? Infondo il principio è pur sempre lo stesso, no?


Quando è tornata, da sola, dopo aver accompagnato sua madre... era partita. Andata. Fuori di testa. Sopra le nuvole. Ancora più abnormalmente ritardata - E ce ne voleva, eh! - del solito. E aveva un sorriso ebete stampato in faccia. Nel senso che, quando ho visto che non lo toglieva neanche con le mie provocazioni più acide e ho provato manualmente - Ficcandole le dita agli angoli della bocca e tentando di distenderli all'ingiù -, non ha smesso di esibirlo; anche se ha dimostrato di essere viva lanciandomi un'occhiataccia. Due secondi dopo gli occhi erano di nuovo in tralice, però. Quindi ho provato a chiederle se era tutto a posto. Di certo era capacissima d'inciampare e sbattere più volte delle craniate sul terreno, e non è che facciano tanto bene. Lei ha sviato il mio sguardo, arrossendo furiosamente e asserendo di stare meravigliosamente; era molto credibile. Sì, infatti io non l'ho bevuta -...forse ho pensato per un secondo che stesse dicendo la verità - e ho insistito. Male, molto male. Ora mi ritrovo nella situazione di non poterle tappare la bocca se non picchiandola. E la tentazione è forte.

In pratica aveva visto un ragazzo, durante il ritorno a casa mia. 'Un meraviglioso ragazzo con gli occhi grigio-violetti e i capelli biondi che... ohhh!', mentre tornava da me, scusate. Il fatto era che l'aveva visto. Non ci aveva parlato. L'aveva visto! E io allora cosa avrei dovuto fare? Collassare ogni volta che avrei incontrato Cam?, il che sarebbe accaduto un'altra sola volta. Certo, l'aveva sfiorato quando... ecco, per l'appunto! Alla fine aveva veramente sbattuto a terra, solo che al posto della testa è stato il posteriore a beccarsi la botta. Ma ci avevo comunque preso. Poi, a quanto avevo capito - Ed era difficoltoso intendere con tutti i sospiri che emetteva ad ogni mezza parola -, lui l'aveva aiutata ad alzarsi, aveva sorriso e se l'era data a gambe. Da qui tutte le mie obiezioni del caso erano state ignorate. Insomma, avevo provato a spiegarle che probabilmente la sua reazione era dovuta al fatto che l'aveva scambiata per una ragazza normale... e che poi si era spaventato a vederla sbavare. E lei continuava imperterrita a descrivere la dentatura perfetta, gli zigomi alti, la pelle ambrata... un identikit sarebbe stato meno dettagliato e maniacale.

Dio, avrei dovuto tacere. Capivo la sua euforia in parte, poiché anch'io riconoscevo di essere stata elettrizzata nel vedere lo sconosciuto del carrubio, ma lei... sembrava già innamorata persa! Il che era praticamente folle, sconsiderato e... da Luce. Alzai lo sguardo verso di lei e non potei fare a meno di registrare gli effetti che il ragazzo senza nome aveva scatenato nella sua persona. Guance arrossate, occhi lucidi per l'emozione e sorriso sognante erano solo quelli esternamente visibili. E non potei farmi a meno di chiedermi in che condizione avrebbe versato dopo aver ricevuto un ipotetico bacio... la sola idea mi fece atterrire. Sarebbe esplosa sicuramente.

Mi lasciai andare in un sospiro: non l'avevo mai vista così felice né così presa. -"Ti piace."-, proferii le parole che non aveva avuto il coraggio di spiattellarmi in faccia, ma dal modo in cui si zittì, guardandomi consapevolmente e con quell'idiotissimo sorriso stampato in faccia, capii che c'era arrivata da sola. E l'idea non le dispiaceva. Ressi il suo sguardo risoluto ed affascinato per qualche istante, per poi rompere l'incantesimo. -"Ma cerca di non farti spezzare il cuore."- Lei roteò gli occhi. -"Non lo farà."-, obiettò, convinta. E non sapevo se era quello che si andava ripetendo dentro la sua testa per cercare di convincersene, o se le avesse dato quell'impressione. Mi esibii in una mezza risata canzonatoria, mentre mi portavo le braccia dietro la testa. -"E che ne sai? Non conosci nemmeno il suo n..."-, incominciai a prenderla in giro, con un'aria superiore, ma le parole mi morirono in gola. In un attimo ero protesa verso di lei, con le mani posate sopra le sue. Fissandola insistentemente la pregai: -"Promettimelo di non farlo."- Lei mi guardò a dir poco sconcertata; il sorriso ebete persisteva. La sua occhiata interrogativa diceva tutto, quindi mi spiegai: -"Non innamorarti di lui se scopri che ha un nome orribile."-

Era a dir poco interdetta, tuttavia accennando ad una risatina chiese delucidazioni in merito. Assunsi strategicamente un'espressione imperturbabile: -"Perché, presentandomelo, io non riuscirei a trattenermi dal ridere, rovinando irreparabilmente il vostro nido d'amore. E di ricorrere alle tue funeste ire non ci tengo. Quindi: prega solo che non si chiami Adone, per quanto ti possa sembrare un nome prescelto."- Per un momento eterno si limitò ad osservarmi, basita; poi l'istante passò e sfoderando un sorriso divertito mi rinfacciò: -"Quanto sei stupida."- Dilatai teatralmente le pupille, e continuando a mantenere quell'espressione da pesce lesso, mormorai quasi tra me, incredula: -"Non ci speravo più"-, poi alzando la voce e ritrovando il mio tipico piccolo ghigno derisorio esclamai: -"Sono riuscita a toglierti di faccia quell'espressione ebete, facendoti sorridere veramente! Certo che però, se continuerai a guardarlo in quel modo, mi sa tanto che il tuo biondino renderà conto della tua esistenza solo per evit- Ahi, ahi ahi!"-

Era stata una pessima idea lasciare le mie mani tra tenaglie del genere. Difatti ora me le stava stritolando, chiamando a gran voce vendetta, mentre mi guardava con una smorfia. Sicuramente quest'ultima era causata dallo sforzo di non mostrarsi divertita dalla situazione. -"Sai cosa? In effetti il belloccio non avrebbe motivo di scappare da te, perché sei una cooosì cara ragazza..."-, dissi a denti stretti, fingendomene convinta. Sorpresa della mia veloce resa, ma anche gratificata delle mie parole, sorrise addolcita per poi allentare la presa. Approfittai palesemente del momento sfuggendo via dai suoi artigli e sghignazzando finii: -"E anche perché ha già provveduto a farlo."- 

Rumori di sedie scostare, mentre lei si alzava indignata e io mi levavo dalla sua portata di mano. Uh. Cioè, mani. Mi massaggiai le nocche. -"E pensare che tu dovresti sostenermi!"-, sbuffò, tentando di apparire inferocita e facendosi uscir di bocca solo una lamento lagnoso. E io che pensavo di aver già sopportato abbastanza, durante il suo monologo sullo sconosciuto biondastro... -"Se solo lo vedessi! Anche tu ne rimarresti folgorata. E' praticamente..."-, si arrestò, fissando il nulla con un'espressione presa. -"Un adone?"-, suggerii ironica. Proseguimmo per molto, io fermamente convinta della sua esagerazione e lei altrettanto sicura di aver offerto un paragone oggettivo.


Luce si era congedata quando era arrivato il resto della mia parentale. Tra loro c'era anche sua madre, la quale non è propriamente il genere di donna che accetta un invito a cena - Pranzo, per me -, senza prima consultare il resto del nucleo famigliare. Così ringraziò e, rispondendo anche per la figlia, rifiutò, rimandandolo all'occasione più vicina. In questo modo, mentre Anna rincasava con Lucinda, la mia famiglia si ritrovò riunita per un pasto senza ospiti aggiuntivi o componenti mancanti per la prima volta nel corso di quasi una settimana.Cercavo sempre di evitare il più possibile di occupare il mio posto a tavola, se dall'altra parte del piano c'era anche Noemi. Solitamente le cose procedevano per le lunghe, con una scaletta di domande seguita da anni con meticolosa precisione: i miei mi chiedevano dei miei progressi con lo studio, interrogavano la secondogenita a riguardo delle sue amicizie poi, appena quest'ultima si defilava nella sua cameretta per giocare, facevano partire un terzo grado per informarsi della mia salute.

Mi feci sfuggire un sospiro, mentre prendevo posto, per ultima. Avevo cercato qualche pretesto per sfuggire da quella pretenziosa situazione, ma l'idea di anticipare il 'Dì addio al ragazzo più divertente e simile che hai mai conosciuto' mi aveva spinto proprio verso la tana del lupo, non lasciandomi alcun tipo di scelta. E poi... fuggire dalla mia stessa famiglia. Che cosa deprecabilmente da me. Ma giuro che lasciare quel buco mi spezza il cuore. Solo che, se cercherò di essere il meno presente possibile, quel pezzo mancante nel quadro famigliare risulterà quasi normale quando persisterà, non accennando a riempirsi. O almeno vado convincendomene: sarebbe troppo ingestibile la situazione, altrimenti.

-"Buon appetito!"-, augurò un'acuta voce inconfondibile. Si levò un piccolo coro di 'Altrettanto', che più che altro sembrava dicesse: 'Ah mica tanto'. Sorrisi di sbieco mentre infilzavo la carne e mi adoperavo per tagliarla. Più facile a dirsi che a farsi. Dopo qualche mio insignificante tentativo, mio padre mi rubò il piatto e con semplici e rapidi gesti tecnici suddivise al primo colpo la pietanza, per poi restituirmela con un sorriso un po' spazientito e in parte divertito. Non è colpa mia se, ogni singola volta, gli capita tra le mani un coltello più affilato del mio. Assaporai il primo boccone nel silenzio totale, ma dopo aver deglutito il secondo arrivò la domanda di mia madre: -"Allora? Con i compiti degli Anziani?"-

Beh, era piuttosto dinamica come richiesta, per cui... -"Ho consegnato giusto ieri un racconto richiesto da loro. Ho riempito svariati fogli di pergamena, quindi suppongo di aver fatto un bel lavoro, considerate anche le quattro ore impiegate per il suo svolgimento. La prossima volta terranno una lezione pomeridiana in un tendone situato vicino al tempio e da quel che ho capito scriveremo su tavolette d'argilla fresca"-, risposi, cercando di fornire tutti i dettagli che mi ricordavo. Lei annuì, sorridente, commentando con un "Lo fanno tutti gli anni ad orari mattutini. Fortunatamente questa volta potrai prenderne parte anche tu. E brava per il tema: sono certa sia andato bene" carico di amore e fiducia, oltre che di un pizzico d'orgoglio. Ricambiai il sorriso, felice di averle un po' alzato il morale. Fu quindi chiesto a Noemi delle sue amiche e lei, mollando le carote che stava distruggendo con l'ausilio della forchetta, incominciò a discorrere a raffica di Sara. Per questo è uno scricciolo: non riesce a mangiare quanto parla. Io, continuando diligentemente a servirmi della carne e degli ortaggi, ripensai alle mie stesse parole.

Dovevo ammettere che conoscevo poco del mondo. Il villaggio in cui ero nata e vivevo era situato in una vallata perennemente scaldata dal sole, con rare eccezioni. Era prevalentemente costituita da contadini, allevatori e artigiani, poiché il fiumiciattolo era troppo povero di pesci per servire qualcosa alla popolazione, così veniva sfruttato per lavarsi e per pulire gli abiti con la sua corrente. Seguendo poi il corso dell'acqua si poteva giungere al carrubio, benché questo fosse un po' fuori mano, tanto che la piccola comunità era coperta da un paio di colli, nonostante non fosse necessario attraversare questi per raggiungerla. Un quarto d'ora o venti minuti di camminata sostenuta era sufficiente per raggiungere l'albero. Da quest'ultimo poi si poteva liberamente osservare il tempio: una struttura in pietra bianca col soffitto prevalentemente in legno e paglia, esattamente come tutte le abitazioni. Lì vicino sorgeva l'accampamento di tende dove soggiornavano gli Anziani, coloro a cui era affidata la salvaguardia del tempio e della società. Se non mi ricordavo male la nonna di Lilith era una dei diciotto saggi e, considerato che era una delle poche donne ad essere stata accettata doveva essere geniale. O follemente superstiziosa. I miei due insegnanti erano ossessionati dalla figura di Satana e ne temevano l'avvenuta, inoltre confabulavano sempre di come un demone avrebbe potuto riuscire a... -"Allora, Susanna..."-, mi richiamò mio padre, risvegliandomi e distogliendomi dai miei pensieri.

Mi accorsi che stavo raspando con la forchetta nel piatto alla ricerca di cibo, e anche di come l'avessi già consumato tutto. Oh, ecco... la posai di fianco al coltello che misteriosamente non adempiva al suo scopo, per poi iniziare a guardare interrogativa l'uomo di casa. Perché mi aveva riportato coi piedi per terra se eravamo ancora tutti e quattro qui e dovevamo asp... cielo, no! Mi ero scordata che a volte poneva la domanda!

Occasionalmente, se gli girava - Insomma, non sapevo il motivo -, da un paio d'anni o giù di lì, mi chiedeva 'se avevo l'amichetto'. Il problema non sussisteva, non dovendo nascondere nulla, se guardavamo la scena da questa prospettiva. Il fatto era che mi ricordavo sempre della prima volta che me l'aveva posto... e di come io mi fossi praticamente strozzata col boccone che stavo masticando, per poi esordire a mezza voce: "Papà! Pensavo lo sapessi che fossi femmina!" e da allora mi risultava complicato non finire nel pallone. Per fortuna quando all'epoca proruppi con quell'osservazione bislacca e imbarazzante, la piccola della famiglia si era addormentata a tavola - Dopo aver masticato un tovagliolo per tutto il tempo! -, evitando in questo modo quesiti scomodi. Ma le occhiate scandalizzate e d'ammonimento dei miei me li ricorderò a vita. Ero stata abituata troppo bene con Luce, con la quale poter esternare liberamente i miei pensieri non era mai stato un problema e... Oh, una gaffe! Ah, è la mia.
Per una volta sì.

E fu proprio così: senza alcuna apparente reticenza, mio padre mi fissò e mi chiese: -"Hai un amichetto?"- Stavo morendo dalla vergogna per lui, in pratica. Mi sarebbe piaciuto rispondere con qualcosa d'ironico, ma il 'Pure due!' era l'unica variante che mi veniva in mente anziché della solita risposta. E non volevo far pigliare un infarto ai miei unici due ragazzi preferiti. -"No..."-, esitai un po' e... tanto ormai!, oggi ne avevo già fatte di magre figure. E allora perché non aggiungerne un'altra alla lista? -"Perché non chiedi dell'amichetto di Noemi, papà?"- Era anche peggio della prospettiva dei miei doppi tesori e di certo un po' di divertimento non avrebbe guastato quella serata monotona.

A rispondermi non fu il caro vecchio Papi, che mi fissava impietrito, ma la voce di mia madre che sibilava un 'Cosa?' incredulo, gelido e anche molto minaccioso. Quindi lei non era effettivamente la signora Dolcezza. -"Amore, perché non racconti del tuo amico stellare?"-, ammiccai alla diretta interessata con un occhiolino e lei lanciò uno strilletto, probabilmente felice di poter abbandonare nuovamente le carote. Partì snocciolando parole su parole, ad una velocità impressionante: neanche volendo sarei riuscita a decifrare qualcosa. I due adulti erano palesemente sconvolti. Lo dicevo io che aveva preso una bella sbandata per 'il bambino alla ricerca della stella'. Era proprio un figo - Ma sicuro. In ogni caso sempre meglio di Lucinda e del suo bello.

Mi alzai in tutta fretta, sussurrando un 'Buona fortuna' quasi soffocato dalle risa, che sapeva tanto di presa per i fondelli, mentre recuperavo frettolosamente i sandali e prendendo la porta di gran carriera. E così avevo evitato la questione salute! Ora rischiavo di comprometterla uscendo senza scialli o giacche, tuttavia sospettavo sarei stata poco fuori. Probabilmente me la sarei svignata da Luce non appena il messaggio sarebbe stato recepito, deridendola per la sua cotta insensata nel vano tentativo di scordare che essere spregevole si è costretti a impersonare, a volte.

Incamminandomi non potei evitare di ripensare a tutte le informazioni che lui aveva rivelato di sé, mentre passeggiavamo, e di quelle che a mia volta mi ero vista scucire.


Ricordo che gli chiesi più volte perché fosse salito sull'albero, poiché non riuscivo a spiegarmelo. Lui aveva riso, facendo una battuta sulla mia insistenza, per poi ammettere candidamente: -"Mi piace stare in alto. Mi dà la sensazione di avere il controllo sulle cose ed è come se m'infondesse un senso di superiorità ogni volta."- Era una frase detta col cuore, come se parlasse per esperienza personale. E gli avrebbe fatto piacere ricevere la mia comprensione. -"Eppure mi pari più spigliato ora che sei coi piedi per terra."-, non mi ero comunque esentata dal fargli notare, poiché ora era infinitamente più amichevole e meno irraggiungibile di quanto lo fosse stato quando era sul carrubio.

Lui aveva sorriso, gli occhi distanti. Sembrava perso in pensieri remoti, quando aveva contestato: -"Dall'alto non si riesce mai a intuire perfettamente quelli che stanno in basso."- Un modo come un altro, insomma, per dirmi che voleva fare la mia conoscenza e al contempo spingere me a cercare la sua. E anche per farmi pensare: era così espansivo per cercare di scongiurare ogni pregiudizio che temeva nutrissi nei suoi confronti? -"Anche a me, credo, piacerebbe quel senso del dominio, ma non penso riuscirei a reggere l'emozioni se dovessi estendere per troppo tempo la mia permanenza su un'altezza esageratamente elevata."-, avevo osservato, leggermente piccata. -"Soffri di vertigini?"-,-"No, però il mio organismo gestisce malissimo feromoni come l'adrenalina. Ne uscirebbe un casino."-.

Gli avevo sorriso un attimo e poi, visto che pareva in vena di rivelazioni, gli avevo posto un'altra domanda, approfittando per cambiare discorso. -"Quando sei di cattivo umore, o sei preoccupato e comunque non vuoi gente che ti assilli, in quali posti vai a rifugiarti?"- Lui mi aveva sorriso, all'improvviso sornione e non più distaccato, lontano mentalmente, e aveva inarcato le sopracciglia. -"Non è che se te lo dico mi vieni a cercare? Potresti benissimo risultare una di quelle persone pedanti che non ti levi di torno neanche pregandole."- Io avevo riso, sopprimendo a stento il desiderio di spingerlo giocosamente. Infondo non eravamo due amiconi, anche se eravamo sulla buona strada per diventarlo. -"Ma smettila. Anzi, capisco la sensazione, addirittura!"- Nessun riferimento collegato a Lucinda, nessuno proprio. Avevo atteso la sua risposta, godendomi nel frattempo la sua risata meravigliosa. Aveva scrollato le spalle, guardandomi con la coda dell'occhio mentre viravamo leggermente a sinistra. -"Non saprei, bella domanda. Uhm. Forse un posto fuori dal mondo, di cui nessuno sa l'esistenza o scarsamente abitato. E freddo, molto freddo."-,-"Freddo."-, avevo ripetuto per poi proseguire dopo aver incrociato il suo sguardo curioso e innocente: -"Come se questo potesse cristallizzare le tue emozioni, lasciandole immutate e al contempo consentendoti di non lasciarti sopraffare da esse."- Lui aveva spostato in avanti gli occhi e con un cenno del capo mi aveva fatto intendere silenziosamente che era il mio turno. -"Cercherei un luogo facilmente reperibile in caso di necessità, a cui le persone si tengano alla larga perché magari il posto stesso li fa desistere dall'avventurarvisi. E dove ci sia poca luce."-

Un'oasi che può essere tale solo se lo si desidera vederla così. Lui stette in contemplazione - Di cosa, non avrei saputo dirlo - un attimo, metabolizzando le mie parole, per poi sfoderare un sorriso comprensivo: -"Adesso capisco un po' di più le prime parole che ti ho sentito pronunciare. Ma ora tocca a me! Dimmi se preferisci stare qui all'aperto o a contatto con la gente."- Ovviamente aveva chiesto il tutto accompagnando con le parole espressioni buffe e gesticolando in modo agitato. Da come si era mosso pareva intendere 'Preferisci passare il tempo con loro o con me?' e non ciò che aveva invece fatto fuoriuscire dalla sua bocca.

Sorrisi - Possibile che non riuscissi a far altro? - e gli risposi: -"Mi piacerebbe instaurare dei legami con qualcuno, ma è complicato perché o non sono persone interessanti o sono loro a non essere interessati."- Non ero piccata da quel comportamento, e dopo aver incrociato Noemi sulla porta di casa mi ero ricordata perché mi sembrava normale non destare alcun interessamento negli altri, e perché non ne soffrissi particolarmente. -"Anch'io preferisco passare il mio tempo in mezzo alla natura. Mi mischio con la società solo se trovo elementi che mi incuriosiscono."-, aveva ammiccato e io mi ero ritrovata a dover fare una scelta. Prima possibilità: costringermi in qualche modo ad arrossire graziosamente - Perché arrossire e basta, non era già sufficientemente complicato, vero? Seconda: iniziare a ridere in maniera civettuola - Sfoderando tutta la mia arguzia. Visto che di solito si sceglie il male peggiore, mi sembrava doveroso trovare un modo di morire il più in fretta possibile. Da ricordarsi che non avevo ancora perso la mia dignità, quella sarebbe volata via solo di lì a una quindicina d'ore. Poi mi rimembrai della terza, sacro santissima e benedetta possibilità.

-"E quante persone che ti hanno incuriosito sei riuscito a conquistare con questo trucchetto?"-, lo presi in giro. In quel momento lodai il sarcasmo come mai prima. Lui sorrise divertito, e forse la soddisfazione che avevo intravisto nel suo sguardo non era solo frutto della mia immaginazione, se si collegava anche la risposta che seguì: -"Nessuna. Altrimenti non avrebbe attirato la mia attenzione, direttamente."-

Piuttosto lusinghiero e ammaliante, nessuna obiezione in proposito. Lui sostenne il mio sguardo, disinibito, e poi mi porse un'altra domanda, questa volta riguardante la realizzazione dei miei desideri. Ahia. La mia risposta fu piuttosto fiacca (Una sorta di: 'Mi piacerebbe avere tutto ciò che sogno un giorno', neanche particolarmente sentito.) e non ne andai fiera nel momento in cui la esposi, esattamente come non ne sarei stata compiaciuta in futuro. Ma non c'erano altre frasi da dire; non con la mia voce, con il mio passato e futuro e di sicuro non in quella mia vita. Lui aveva invece confermato la mia tesi, dimostrando la sua forza d'animo: -"Se desidero qualcosa disperatamente è perché ci tengo ad ottenerla, di conseguenza ho sempre agito tempestivamente per esaudire da solo la mia ambizione. Infondo, è grazie a questa piccola mia peculiarità che sono riuscito a tenermi stretto tutto ciò che più amo, nonostante tutte le complicazioni."-

Gli avrei anche applaudito, ma il gesto avrebbe solo informentato il suo ego, senza dimostrargli quanto mi avesse toccata. Quindi desistetti. E infondo quella non fu la risposta più stupefacente che ottenni, benché fosse ugualmente sorprendente. Gli avevo rivolto quella domanda un po' ingenua e scontata, che si pone per scoprire luoghi comuni e preferenze, insomma il tipico 'Ma a te cosa piace?', che speravo ardentemente non interpretasse in chiave maliziosa - E che non fosse stato pronunciato stile Noemi. Non lo fece; e forse fu per la serietà che dimostrò che mi stupii. -"Adoro cantare. Non so nemmeno dirti io quale tema in specifico adori trattare e principalmente scelgo canzoni che mi stimolano e che mi provocano travolgenti emozioni. Purtroppo  non so comporre, ma in questo caso mettermi in bocca parole altrui non mi disturba."- Era stato così fantasticamente aperto, svelandosi a me con quella spiegazione che, in barba alle precedenti premure, finii per infrangerle. Sorridevo di riflesso mentre lo guardavo segretamente ammirata. -"Sono certa che hai una voce sublime."-, mi era sfuggito. L'applauso avrebbe arrecato meno danni. Tuttavia, prima di dargli modo di riassumere quell'aria da sbruffone, mi ero affrettata: -"Io invece non so cantare... immagino però che scrivere testi sia come trascrivere disordinatamente le proprie sensazioni e pensieri su carta, per poi riuscire a collegarli tra loro, dandovi un senso."-,-"Potresti provare a buttare giù qualcosa per la mia voce sublime, un giorno."-, aveva rilanciato divertito. Sotto la sua sfida c'era però un'aura di speranza taciuta e felicità trattenuta. In parte erano gli stessi sentimenti che aveva espresso quando mi aveva chiesto di rincontrarci. Ripensando alla scena, riconobbi quel luccichio nello sguardo, visibile anche nell'oscurità. -"Lo farò, un giorno."-, avevo promesso, incapace di rifiutarglielo.


Incespicare su una zolla di terra smossa, rischiando d'impantanarmi nelle rive fangose del fiume, mi aiutò a rinsavire, anche se di certo non contribuì ad instaurare uno stato d'animo più roseo. C'era da dire che poche cose avrebbero potuto riuscire nell'intento. Levai lo sguardo: il profilo del carrubio si distingueva nitido, distante d'una ventina di metri, grazie all'ausilio della luna e alla vicinanza. Trascinare i piedi fin da lui fu in ogni caso più complicato, e non perché temessi di mettere un piede in fallo e procedessi con cautela. Per quanto avessi tentato di prolungare l'avanzata, questa era durata poco più di mezzo minuto. Lui era già lì, disteso sotto l'albero, le mani dietro la nuca, le gambe lunghe stese e gli occhi serrati. Il sorriso sulle labbra era l'unico elemento da cui era deducibile lo stato di coscienza. -"Ciao Susan."-, mi salutò, il tono caldo e confidenziale. -"Ciao Cam."-, ricambiai, dopo aver buttato giù il groppo in gola. Non doveva aver notato la voce leggermente strozzata: ottimo. Dovevo apparirgli sicura e risoluta, in alcun modo condizionabile . Potevo riuscirci, sì?

-"Ti va di stenderti al mio fianco? Le stelle sono incredibili."-, m'offrì, tentatore, benché non le stesse ammirando. Come se temesse di guardarle troppo a lungo, credendo di poterle usurare e sciupare. -"A dir la verità preferirei stare in piedi."-, riuscii ad obiettare, torturandomi gli orli del vestito. Anche perché ho paura che, una volta averti affiancato, non riuscirò più ad andarmene. E io non voglio fare di te una seconda Lucinda. Anche perché ne basta già una. E... perfetto! Non riuscivo a fare dell'ironia neanche più tra me e me. Pessima partenza. Unicamente dopo quella mia risposta, mi puntò addosso lo sguardo o meglio, mezzo: aprì un solo occhio e commentò, saccente: -"Mi pare un'idea piuttosto insolita; considerato che parleremo per ore, rischierai di piantare radici."- E lo capii da quell'unica iride - Simile all'antracite, al muschio e all'abisso, ma che in verità era d'un divino verde-Cam - che aveva intuito tutto. Non avevo ancora fatto nulla di particolarmente sospettoso e... zac! Pizzicata. Ed ebbi voglia di tornare sui miei passi, fingere di non aver mai pensato di voltargli le spalle e smentire ogni ipotetica accusa. Ma chi è stato abbandonato in precedenza, forse, comprende quando qualcuno sta progettando di lasciarlo. Non si sarebbe fidato più, nemmeno se mi fossi ricreduta. E comunque, era ciò che volevo... no? Così mi rende solo più facile la vita, giusto? Certo, sì; però è tutto più difficile, più meschino e più crudele di quanto avevo supposto sarebbe stato.

-"Lo sai già."-, esposi il mio, e il suo, pensiero. -"E vuoi solo vedere come, cosa e perché te lo dirò."-, continuai, sotto il controllo vigile del suo unico occhi liberato dall'incombenza della palpebra. Il cuore mi si contorse: chissà il suo come stava reagendo. La sua situazione era anche peggiore: trovare qualcuno, parlarci ed entrare in sintonia, ma sapere che poi se ne andrà; in un modo o nell'altro. Alla resa dei conti, sono e sarò sempre io ad abbandonare gli altri, e non il contrario. Ma è proprio per questo che sto reagendo tempestivamente: in certi casi è meglio prima, che dopo. -"Beh, ci tenevo a scoprirlo, ora non più. Temo che tutto quello che dirai saranno solo pietose bugie... meno sopportabili di quanto lo sarebbero state se avessi semplicemente proseguito col tuo piano. Peccato che tu sia così maledettamente brava a capirmi e che questo mi abbia fregato. Si vede che, però, questo tuo comprendermi non ti ha spinto a incuriosirti."- Le sue parole avrebbero potuto risuonare risentite, brusche o irose... se solo avesse voluto. E invece erano solo frasi di un ragazzo che per l'ennesima volta veniva distrutto e deluso. Cosa gli avevo detto?, che forse non sarebbe mai riuscito a scovare una casa, avendo lasciato il suo cuore nel luogo che gliel'aveva spezzato e non potendolo offrire come pegno nel nuovo angolo di pace trovato? E ora come mi sentivo ad essere una di quelle che lo stavano ripudiando?

M'inginocchiai vicino al suo capo. Aveva, ora, entrambi gli occhi spalancati e puntati verso il cielo, un'espressione astiosa sul viso. Non pareva irritato nei miei confronti, quanto piuttosto per un torto subito addietro. Tesi una mano verso i capelli d'ombra, provando l'impulso di scostarli all'indietro, scoprendogli momentaneamente la fronte. Poi mi resi contro del mio gesto accennato e di come avrebbe potuto risultare beffardo, e desistetti, ritraendo le dita e congiungendo i due palmi. -"Mi dispiace."-, e non mi riferivo solo al gesto avventato che ero stata sul punto di compiere. Volevo spiegarglielo, nelle mie limitazioni, cercando di non turbarlo o di infastidirlo. Glielo dovevo. -"Veramente. Ma non possiamo; io non posso. E' sbagliato e... non dovresti perdere il tuo tempo dietro a me, anche solo per una semplice passeggiata notturna. E' che io sono..."-, arrestarmi, alla ricerca di una parola che potesse racchiudere in sé la mia essenza. -"...io; Susan."- Oh, beh. Davvero una scoperta sensazionale, scommetto non l'avrebbe mai detto. -"E non posso fare tutto ciò che mi salta per la test..."-, m'interruppi nuovamente, questa volta per lo scatto con cui si mise a sedere all'improvviso. Quasi non l'avevo visto muoversi, ed ero perplessa per quella scarica di vitalità... Due secondi prima era stravaccato stile morto sul prato! -"E' solo per questo?"-, sollievo e incredulità rendevano il suo quesito terribilmente simile a un grido di giubilo. E come solo? Si stava parlando della causa scatenante delle liti furiose, degli isterismi e della depressione che avevo riscontrato durante i miei cinque ultimi anni di vita!

-"Se il problema è l'educazione che ti hanno impartito non c'è problema. Potremmo tranquillamente conversare in piazza, a mezzogiorno, in mezzo alla gente, per quel che mi riguarda! Mi era parso che tu disprezzassi i luoghi affollati e afosi, per questo volevo ritagliarci un angolo dove poter passare il tempo insieme, ma non c'è veramente alcun prob..."-, la sua parlantina si smorzò tutto d'un tratto, e non era difficile intuirne il motivo: dovevo aver lasciato da parte l'espressione sorpresa per assumerne una mortificata. -"No, no. Non è questo. All'inizio sarebbe stato un rischio... però ora non ho più nove anni, e sono relativamente indipendente. Quel che intendevo dire è che non posso cacciarmi in situazioni più grandi di me, perché non riuscirei a mantenere una parvenza d'equilibrio. E ti dico che non sei tu, non è il luogo, non sono nemmeno quelle stupide regole della comunità. Sono io."-, cercai di esporgli senza rivelargli la questione X.

Fece per ribattere, io l'anticipai. Fu un gesto impulsivo, ma servì allo scopo. Posandogli il mio indice sulle sue labbra socchiuse, si zittì. Il tocco di un momento, prima che mi scostassi; eppure il dito continuava a bruciare, come se anche la sua bocca fosse alimentata da un fuoco perpetuo. Era morbida. Strinsi gli occhi, cercando di ritrovare la concentrazione e proseguii: -"Lo so cosa stavi tentando di obiettare. Ti assicuro che non è vittimismo e che non potrai guarirmi semplicemente con un'iniezione di stima. Sono inadatta, Cam. Lo capisci? Tu, come chiunque altro, dovresti solo starmi lontano. Lo sto facendo per te, anche se sembro un essere spregevolmente malvagio. Ma delle volte non tutto ciò che pare cattivo lo è veramente."-

E per svariati, interminabili secondi discese un silenzio surreale. Pensai addirittura di essere riuscita a convincerlo: infondo non era uno sprovveduto - O almeno non ne dava l'impressione - e avrebbe trovato certamente un'ipotesi per giustificare tutto quello che gli stava succedendo. -"Sei malata."- Ecco, se magari non traeva subito la conclusione giusta mi dava una mano. Non reagii, dando l'impressione di non aver udito. -"Credevo fossero solo crudeli dicerie spettegolate sul tuo conto da ragazzine invidiose."-, sussurrò, mesto, guardandomi senza realmente farlo. Stava pensando a qualche giovane che mi aveva screditata, magari anche rivolgendosi a lui direttamente? Sì, qualcuno come Lilith. Sempre più distaccata e irrisoria. -"Non è contagioso, se ti consola."-, ebbi solo la forza e il coraggio di dirgli. Le parole, in questo campo, erano inutili e sprecate. Meglio trovare qualche distrazione... sì, per esempio: lui come aveva fatto a venirne a conoscenza? Eppure pensavo che solo l'adone fosse stato avvistato; inconsciamente avevo creduto che lui sarebbe stato nascosto dagli occhi curiosi della gente. Non ditemi che... -"Aspetta... tu conosci il meraviglioso ragazzo con gli occhi grigio-violetti e i capelli biondi?"- Era una domanda formulata prevalentemente con parole non mie e che trattava un argomento totalmente diverso da quello affrontato appena un attimo prima, ragion per cui mi fissò inebetito e disorientato per un bel pezzo, prima d'abbozzare un mezzo sorriso: -"Intendi Dani. Sì, è mio fratello."-, mi rese partecipe.

Inevitabilmente scoppiai a ridere; l'avevo detto che Luce era un'efficiente diversivo. Mi aiutava anche quando non era presente fisicamente parlando e, anche se parlare di lei con il ragazzo non meritasse tutta questa esuberanza e fosse un po' inquietante il fatto che saltasse ogni dieci minuti nei miei pensieri, le ero grata. -"Me lo devi proprio presentare, allora! Grazie al cielo ha un nome accettabile, ma devo ancora stabilire se è vero che 'Se solo lo vedessi! Anche tu ne rimarresti folgorata'... e sì, lo so!  A citare la mia amica sembro aver appena visto Dio."- Stavo ancora ghignando, immaginandomi mentre andavo da quella squinternata a dirle che conoscevo il nome del suo belloccio e al modo in cui avrei potuto ricattarla per concederle tale conoscenza, quando Cam strabuzzò gli occhi, praticamente facendomi prendere un mezzo infarto. Le sue iridi dimostravano il loro autentico colore anche al buio, solo bisognava essere molto vicini per scorgerlo: sì, qualcosa come due spanne scarse. Chissà come facevo a saperlo... -"Conosci Lucinda?"-

"E' la mia migliore amica... l'unica. E tu come fai a sapere anche solo della sua esistenza?"-, indagai, sospettosa, cercando di prendere una boccata d'aria. Non dovevo entrare in iperventilazione, perché aumentavo i rischi di perdere i sensi; e ci tenevo a non farlo assistere ad uno spettacolo simile. Lui sfoderò un sorrisetto, mentre ristabiliva una distanza di sicurezza tra di noi. -"Ho sentito molto parlare di lei."-, si militò a scucirsi, enigmatico, prima di tornare ad assumere un'espressione seriosa: -"Sai che andandomene potrei trascinarmi dietro anche mio fratello?"-

Giocava sporco. Scrollai le spalle, fingendomi disinteressata. -"Sì? Beh, l'avevo avvertita che quello sconosciuto avrebbe potuto spezzarle il cuore"-, ribattei. I bluff erano necessari. Non volevo certo far star male Luce, povera stella, ma se il gioco richiedeva un po' di bugie sussurrate a mascella serrata: l'avrei fatto. Quindi sì, Dani se ne poteva andare con Cam per il resto del mondo, a fare cosa neppure i santi lo avrebbero potuto sapere. -"Oh, andiamo, Susan. Io ci tengo alla tua compagnia."-, si spazientì. Ecco, anche lui aveva mentito. Di certo non poteva prendere e andarsene, trattando suo fratello come una valigia. E così la presunta pseudo-coppietta era salvaguardata. -"Ma che cosa valgono a confronto di una vita felice tutti i momenti che io ti posso dare? Ti rendi conto che ciò a cui tieni potrebbe svanire domani, tra diversi anni, mentre dormo o magari mentre cammino per venire qui ad incontrarti? Non sarei un'amica presente, poiché per metà giornata sono confinata e ogni singolo momento, se mi faccio prendere troppo, potrebbe essere l'ultimo."-, mi ero alzata in piedi nella mia smania e ora sentivo un fastidioso nodo in gola; portandoci il palmo sentii il battere furioso del mio cuore, ma riuscivo a vedere solo il suo sguardo affranto. Quanto male gli avevo inferto con le mie parole? Ma quello era nulla in confronto a quello che avrebbe potuto divenire un giorno.

-"Tutti gli uomini vivono con la consapevolezza che moriranno, Sus."- Era la prima volta che qualcuno mi chiamava così. Tre lettere... proprio come il suo nome. Sospirai, stringendomi debolmente nelle spalle: -"Ma io non posso nemmeno vivere mentre aspetto che arrivi la morte. E a differenza degli altri so già quando questa giungerà: mi è stato riferito, quando ero appena una bambina, che raggiungere i venti sarebbe stato un traguardo. Un'infanzia negata e passata sotto una bambagia che mi ha solo ferito quando è caduta a pezzi. Ho un'aspettativa di vita di sei, miseri, anni. In pratica mi perderei i tuoi anni migliori, eventi da festeggiare come un nuovo lavoro e l'arrivo di tuo figlio. A chi farebbe comodo avere me come amica?"- E lo sapevo di risultare già tristemente rassegnata, ma chi non lo sarebbe stato al mio posto? Queste sono... maledizioni redatte per poter investire un uomo e travolgerlo, nate per consumare tutto. In definitiva non è vero che la speranza è l'ultima a morire: di quella te ne rimane un pizzico, ed è quella che col tempo risulta essere sempre più amara e difficile da digerire. Si scopre il suo sapore quando ormai si ha accettato di morire prima di quello che si era immaginati, e si desidera solo più tempo.

-"Non puoi pensare di farcela da sola, ma insieme, come in una famiglia, potremo prolungare la tua vita. Se è vero che ridere ti dona una manciata di minuti in più, per poterlo fare tutta la vita, hai bisogno di me."- Non potei evitarmi un sorriso di fronte a quella sfacciataggine, e lui ovviamente se ne approfittò: -"Vedi? Sono un esperto nel risollevare la gente, Dani me ne sia testimone! E gli amici servono a questo. Ad offrire una mano quando nessuno lo farebbe e a condividere vittorie e momenti di felicità. Così, se notassi di star per sghignazzare da sola fissando il muro, potresti venirmi a cercare. Io sono più che loquace, volendo. E se caso mai avessi preparato qualcosa in più che avanza, non so Lucinda ma io certamente non mi tirerei indietro. E se fossimo amici..."- Stava sparando assurdità una dietro l'altra e, prima, notando che lo fissavo basita, aveva anche cercato di strapparmi una risata col solletico, per rafforzare la sua opera di convincimento. E furono proprio queste cose a farmi sbottare, imperturbabile.


Di tante cose, successivamente mi sarei ricreduta ma di quella risposta, per quanto categorica e pericolosa, non me ne sarei  mai pentita.


-"Sì, va bene! Ma ora taci sputa sentenze, che Luce è capacissima di reggere il confronto col tuo stomaco e che io non sono così troglodita da interagire con una parete... e non ho bisogno di te come giullare per divertirmi, tra l'altro!"-
Questo l'aveva spinto a pungolarmi solo di più, imperterrito, mentre rideva.






Note del testo:

*Come il ritratto di un ricercato posto sotto le palpebre: E' una similitudine. Solitamente quando vengono, al giorno d'oggi, trasmesse le foto dei terroristi e simili, difficilmente ce li scordiamo dopo poco. Volevo intendere la stessa cosa, ovviamente però senza distorsioni temporali - Susan ammazzerebbe più facilmente il tempo se avesse avuto una televisione al suo tempo. Ovviamente Cam è il volto indimenticabile della questione.

*Asbesto: In greco significa perpetuo, inestinguibile. Tradotto significa "Che non si spegne mai". Qui intendevo che la pelle di Cam sembrava fatta di una materia paradisiaca luminescente  e che non avrebbe perduto mai la sua brillantezza. Ho messo proprio 'Asbesto' al posto della sua traduzione perché si collega all''Amianto' che in greco (Amiantos) sta a significare immacolato. E... beh, non so se in Palestina si parlava il greco al tempo!, ma suppongo che delle influenze le avessero subite.

*Peripatetiche: Un termine fine per intendere 'zoccole'. In verità, se non erro, questa parola è nata nel 1923: ma dettagli. E' pur sempre meno volgare di tutte le parole che avevo in mente, e Susan deve manifestare il suo 'odio' (Spiegazioni nelle Note).

*L'avrei fatto anch'io: E' una frase piuttosto fraintendibile e dal significato duplice. In questo caso intendevo che Sus avrebbe agito nello stesso modo se si fosse ritrovata a casa d'altri con davanti del cibo, ma l'altra interpretazione non è scorretta. Infatti, potrebbe anche essere vista come una battuta sul fatto che Luce potrebbe sbafare tutto e lasciarla a digiuno, quando anche lei avrebbe voluto avere la possibilità di saziarsi.

I 18 Anziani sono diciotto perché è il numero fortunato di angeli e umani ect ect... Daniel ne parla in Torment, poco dopo l'inizio: quindi per maggiori informazioni rileggetevi direttamente il libro, che non fa mai male, e prendete in giro un po' di gente! ;D




Note deliranti dell'autrice:
EHI!
Allora ho cooosì tante cose da dire *____* Facciamo che adesso parlo generalmente del capitolo e di come lo volevo rendere, e di come invece l'ho fatto diventare, ok? [Vi tocca assistere, sisi u.u]
Dunque, prima di tutto: Cam, se non si fosse capito, sospettava che Susan l'avesse sgamato, ma la nostra ragazza pensa - giustamente - che sia umano.
Secondo di tutto: Mi stanno molto a cuore i discorsi e le impressioni che si scambiano prima che C. scenda dall'albero, voi che ne pensate?
Terzo di tutto: Cam è un estraneo! In alcune parti sembra quasi uno stupratore [ouo] e un pedofilo, ma non lo è!, e Susan lo sa, vabbbbene? Solo che non lo conosce, e volevo almeno farli tentennare un po'. Io non seguirei mai un tipo, per quanto figo, e la nostra protagonista lo fa  dopo vari tentennamenti e solo perché ci ha parlato un po' e le sembra okay. Questo è importante ribadirlo, giusto per non farla sembrare una sprovveduta! lol
Quarto di tutto: Il modo in cui Susan reagisce alla vista di sua sorella potrebbe essere interpretato esagerato, ma bisogna tener conto che Susanna è su di giri, si è scordata della sua malattia e di tutto ciò che comporta... vedersi di fronte Noemi è stato come sentirsi dire: 'Ehi, ma che cosa stai facendo? Tu stai male, morirai e farai solo soffrire quel ragazzo. Non sei mica come la tua sorellina.' La sostanza è questa ^^
Quinto di tutto: Noemi è una cosetta vivace xD La storia del principe è rigorosamente inventata, ma il fatto che lei sia infatuata (?) del personaggio ehm... potrebbe riguardare un pochettino la mia ossessione verso un certo demone u//u
Sesto di tutto: La questione delle peripatiche era ovviamente ironica. Susan si tiene generalmente alla larga dai bambini perché ha paura di intaccarne l'innocenza|purezza... per il resto, trova seccante il fatto che tutti siano sempre come Heidi tranne lei, e da la colpa ai nascituri e alle madri particolarmente, come dire, disponibili xD D'altra parte poi c'è un momento di auto-ironia dove si da della giudicatrice incazzosa, e qui si stacca un po'. ;)
Settimo di tutto: Sus cerca di distrarsi, ridendo ogni volta che ne ha la possibilità e trovando ogni pretesto possibile per tenere mente e corpo impegnati. Il pomeriggio passa in un'apparente bolla di serenità, ma il suo nervosismo resta sempre tangibile. O almeno avrebbe dovuto restarlo. O.O Ho reso più o meno l'idea, mentre scrivevo il capitolo?
Ottavo di tutto: Ehh, sì. Daniel e Lucinda. Luce e Dani. Inizia l'inferno per la nostra Susanna! - Adone è un nome ebraico maschile per davvero! xD -
Nono di tutto: Noemi è una fangirl! *w* Hahahahah Stavo morendo mentre scrivevo la scena dell'amichetto. E' sempre tragica, nella realtà, quando mia nonna indaga <_< Spero che abbiate un pochettino apprezzato questi momenti d'ilarità.
Decimo di tutto: Pensavate che me ne fossi scordata eeeeh? u.u Ebbene, quando scrissi dei dettagli carpiti da entrambi le parti avevo accennato anche al fatto che l'uno aveva snocciolato all'altra alcune piccole informazioni... stavo solo cercando di trovare il momento adatto in cui inserire lo stacco ;D Spero di aver coniugato bene tutti i verbi, ma visto che in questo sono una frana mi potrebbero essere sfuggiti strafalcioni incredibili: indicatemeli se li trovate ç_ç In ogni caso spero di non aver reso OC Cam con le risposte che gli ho fatto dire T_T
Undicesimo di tutto: C'è poco da dire. Doveva finire così. Assolutamente ò.ò

Avrete notato che il nostro demone sembra avere diverse personalità... beh, l'idea originale non era propriamente di renderlo bipolare anche se il risultato a cui sono giunta probabilmente è stato questo. xD [TwT] In cima al carrubio è formale perché non vuole esporsi. Quando scende ha deciso di interagire apertamente e quindi è più disinvolto e più esuberante, come fa notare la stessa Susan. Questo appunto per farle capire che non deve temere nulla da lui perché è amichevole. Alla fine pare piuttosto rigido... per poi esplodere. Credo sia ovvio il perché ;3 Vuole distrarre S. dalla sua malattia, e concentrare la sua attenzione su di lui e sul fatto che è disposto a stare al suo fianco.

Visto che noi sappiamo dell'immortalità di Cam l'atteggiamento di Sus potrebbe essere interpretato anche come stupido: lui vivrà eternamente, quei sei anni che potrebbe passare con lei potrebbero anche non significare nulla. Ma lei pensa sia umano, e nessun mortale amerebbe convivere col dolore, a meno che non sia masochista [-Luuuuuuce. Che poi non è umana è un altro conto, ecco xD].

Credo di aver concluso qui con l'auto-recensione-spiegazione-riassunzione(?) del capitolo Lal
Proseguiamo ù_u

1. Perché Miss. Bradipo ha ritardato ANCORA e molto di più rispetto all'ultima volta? - Vado per le lunghe anche nelle spiegazioni.
Sì, in pratica sembra quasi che abbia dovuto aspettare di partorire O.O (Siamo quasi al settimo mese... ohccielo.)
Metà capitolo era prontissimissimo da luglio, gente. Il resto era una scaletta e io ODIO le scalette. T.T
Non riesco mai a tradurle in parole e mi creano sempre un casino abnorme in testa - Credo sia per questo che il capitolo sia diventato così infinito.
[Sbandierare i propri personali fatti modalità: ON]
Inoltre ho accumulato stress per questioni varie: la salute cagionevole di tre nonni su quattro e che ha portato all'intervento della madre di mio padre e a vari controlli a quelli materni; mia cugina che rischiava di perdere il suo secondo figlio al quinto mese [Seriamente.]; l'ansia di mio fratello, che aveva paura di essere licenziato, e il putiferio quando è riuscito a farsi assumere da un'importante azienda lo stesso giorno in cui hanno detto a lui e ad altri tre colleghi, che alla fine del contratto se ne sarebbero dovuti andare per mancanza di lavoro; gli studi e gli impegni vari... insomma un casino indicibile! Sembra quasi una cosa irreale, ma adesso che ci penso si sono effettuati molti cambiamenti.
[OFF... ma solo perché ha inizio una storia mooolto triste. u.u Ma che vista dall'esterno probabilmente fa ridere °____°]
In casa abbiamo un computer relativamente nuovo (Ma che in realtà ha almeno sei anni) che usa tutta la sacro santissima famiglia ed è uno dei due che ha la connessione. (L'altro è di mio fratello ed è vietato l'utilizzo. Pena: "Se ci provi ti amputo le mani" O.O <_< Poco possessivo con le sue cose, mi dicono.) Quindi io utilizzo, solitamente, un altro computer vecchio che non ha nemmeno installato Internet Explorer per intenderci. Ecco, quando riuscii a districarmi e a tradurre la scaletta in un principio di frasi, iniziai a scrivere su questo, continuando quello che al tempo era la metà del capitolo (Ma che in verità si rivelò essere la metà della metà della metà u.u). Si bloccò, rischiai di perdere tutto - Mi sono partite tante di quelle imprecazioni che... Anubi deve essere arrossito ò_ò - e riuscii a salvare tutto solamente perché infilai il documento sull'EMMEPITRE. Sì, so cosa state pensando ma no, il computer vecchio non accetta le chiavette USB: capitelo, è dell'era dei dinosauri, quando è uscito non sapevano nemmeno cosa fossero la carta igenica u.u O forse gli stanno antipatiche, nonlosoperchèsosolochemifaarrabbiareognivoltachecipenso, ma è sempre stato così. Quindi l'EMMEPITRE é diventato col tempo indispensabile per ben due motivi. In ogni caso, trasferii la metà della metà della metà del capitolo sul computer relativamente nuovo dove grazie al cielo si leggeva - Sì, perché non riuscivo più ad aprire il file sul computer vecchio senza farlo ronzare peggio di un macchinario della prima rivoluzione industriale. Dunque, ho smanettato per ore senza successi, prima di rassegnarmi a scrivere tutto a mano su dei cavolo di fogli di carta, visto che non potevo aprire un nuovo documento OpenOffice senza mandare tutto in pappa e che il computer relativamente nuovo non poteva essere monopolizzato dalla sottoscritta sempre grazie ai restanti membri famigliari che rompevano - L'Anubiano ha raggiunto una nuova evoluzione. Infine, dopo aver copiato tutte le sacrosante 50 pagine [Ho le prove. Volete una cinquantina di foto?, ve le faccio e vedrete voi. Sì, sono sconsolata e le mie mani hanno ormai raggiunto il livello estremo], un pochettino alla volta, sul computer relativamente nuovo, ora sono riuscita a pubblicare! ^^

Ma solo felicissima di poter darvi questo benedetto capitolo in cui Cam si mostra con tutta la sua figaggine, ovviamente mal interpretata xQ___
Quindi accetterò di buon grado di essere linciata :3

2. La citazione.
Di Kahlil Gibran.
Mi ero preparata tutto un bellissimo sclero sulla Divina Commedia (Non so se ti ricordi Chloe la discussione sul forum di EFP xD), ma per vostra fortuna ho perso il foglio su cui era appuntato quindi: adrò all'Anubi di cane! C: Per farla breve, come tutti sappiamo, Dante attraversa l'Inferno e il Purgatorio con quel poco bonazzo di Virgilio, per poi essere accompagnato dalla bonazza Beatrice in Paradiso - Che era quello che aspettava fiiiiin dall'inizio scommetto é_è No, dai, io nutro un profondo rispetto verso il caro ragazzochenonèunragazzo. Dunque. Lei è un angelo e wow, finalmente ha incontrato un essere divinizzato e tutta l'attraversata ne è valsa la pena! [Ora deve sc...appare.] La citazione quindi riguarda Cam e al fatto che Susan non abbia dovuto superare i gironi degli Inferi per incontrare un angelo|granfigo. Tutto chiaro? :D Ne sono felice u.ù

3. Nomi.
Sara ed Anna sono nomi ebraici. La prima significa "Principessa" - Un grazie a Ziva di NCIS che me l'ha insegnato innonmiricordopiùqualepuntata ci sta? ;3 - la seconda non ne avevo la più pallida idea e l'ho scopiazzata dalla Frank. Poi ho cercato e mi sono informata u///u Vuol dire "Grazia(divina), Misericordia, Pietà"
Adone... HAHAHAH Come ho già detto è veramente un nome ebraico maschile xD Il suo significato è "Signore, Padrone" O___O Dani d'ora in poi mi comparirà in una versione con una tenuta sadomaso e non è per niente una bella cosa <_< 

4. Ringraziamenti.
Chloe R Pendragon: Perché ci sei sempre, mi fai morire con le tue battute e la tua perversione graditissima (Suona male ma: non farci caso xD) e per altro condivisa *w* Dimostri sempre il tuo entusiasmo e mi fai ridere come una rincoglionita per ore: è un piacere sclerare con te, e spero che continueremo a farlo per mooooolto tempo *___* Infondo gli argomenti no-sense non avranno MAI fine é_è E con la questione del calendario, poi, ne avremo da dire u_ù [xQ____] Muahahah. -Spero ardentemente che nessuno decida di chiamare per internarmi, dopo questa ouo-
Diarly: Ehi! Visto che sei 'nuova' cercherò di trattenermi e di non traumatizzarti, perché mi pare... HAHAHAH No. Preparati spicologicamente: dove c'è JJ c'è casino, fluff, angst, patos (sisicomeno!), Cam e cazzeggio confusionario e sclerotico ;D Non promette bene, ne sono consapevole, ma preferisco essere chiara e diretta u_u [E poi lo sai per esperienza personale, ormai xD]
The K un Ing: Che, nonostante non tu abbia recensito il capitolo precedente - E, tranquilla che non ti sto accusando di nulla, anzi! *w* -, mi hai dimostrato la tua solidarietà attraverso messaggi demenziali e tenerosi. Mi fa piacere che ormai la nostra confidenza ha superato quella tipica di autrice|lettrice e che abbiamo instaurato questo legame! Mi rendono più felici i tuoi - I vostri - messaggi privati piuttosto che le mere recensioni, benché ovviamente apprezzi moltissimissimerrimo quest'ultime ebuef ieinfbehyb °w°

Bacioni pucciosi all'ennesima potenza a tutte e tre :33
E a tutti i lettori! Il prologo ha superato le 200 visite e siamo vicino alle 250, mentre gli altri due capitoli sono oltre le 100: grazie, grazie, grazie *w*

_JJ#



 

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