Le innamorate sventurate dei distretti 4 e 7

di YOUSHOULDLETMEBE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la mietitura ***
Capitolo 2: *** Il viaggio ***
Capitolo 3: *** Capitol City ***
Capitolo 4: *** Il tetto ***
Capitolo 5: *** Il pubblico ***
Capitolo 6: *** L'allenamento ***
Capitolo 7: *** L'Assassina ***
Capitolo 8: *** L'amico ***
Capitolo 9: *** L'ultimo giorno ***
Capitolo 10: *** Benvenuti nell'arena ***
Capitolo 11: *** La tana ***
Capitolo 12: *** Acqua ***
Capitolo 13: *** Paura di perderla ***
Capitolo 14: *** Mostro ***
Capitolo 15: *** Un nuovo alleato ***
Capitolo 16: *** La parola più difficile da dire è addio ***
Capitolo 17: *** L'attacco ***
Capitolo 18: *** Ibridi e traditori ***
Capitolo 19: *** Un paracadute argentato ***
Capitolo 20: *** I finalisti ***
Capitolo 21: *** Un vincitore ***
Capitolo 22: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 23: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** la mietitura ***


Quando mi sveglio sono ancora nervosa, o forse già nervosa, questa è la quinta volta che partecipo alla mietitura, ormai mi sono abituata a questa sensazione, ma resta brutta lo stesso.
Esattamente 25 anni fa le forze ribelli si impossessarono di Capitol City, ci volle ben poco però per far sì che tutto tornasse come prima, e non più di due anni dopo, tutti i distretti erano di nuovo sottomessi. Tutti meno uno, il 13, che fu distrutto, questa volta, davvero.
E così tutti i giovani sono mietuti, ogni anno, in ogni ditretto, senza favoritismi, però.
Mi alzo e faccio colazione con un pezzetto di vecchio formaggio, rimasto dalla cena di ieri.
Mio fratello, che ormai non corre più il rischio di partecipare ai giochi, sta ancora dormendo. Oggi, nessuno lavora.
Come me, mio padre si è appena svegliato, ma non fa colazione.  Non la fa mai. Preferisce mangiare solo quando necessario, preferisce lasciare che io e mio fratello mangiamo al posto suo.
Mia madre, invece, non ha chiuso occhio. Non dorme mai, prima della mietitura.
Ha preparato i miei vestiti che ora stanno piegati e in ordine su una sedia.
Quando finisco di mangiare faccio il bagno, cercando di rilassarmi, almeno un po'.
Poi mi asciugo e mi vesto, con la gonna marrone lunga fino alle ginocchia e la camicia color panna che mia madre aveva preparato per me, infine raccolgo i miei capelli in uno chignon veloce ma ordinato, intrappolando qualche ciuffo fuggente.
Non appena finisco di prepararmi le due sono arrivate e silenziosamente mi reco alla piazza principale, con la mia famiglia.
Durante il tragitto stiamo in silenzio, proprio come tutti gli altri che incontriamo. In giorni come questo, i distretti sono in lutto. Forse non tutti, ma il 7 di sicuro.
Quando arriviamo mi separo dal resto della mia famiglia, e mi metto in fila, qualcuno prenderà del sangue dal mio indice destro e lo schiaccerà su un registro di carta, dopo averlo analizzato, in pochi istanti.
Una volta finito vado a sistemarmi con le altre ragazze della mia età sul lato sinistro della piazza, siamo tutte in piedi.
Dal municipio una donna alta dai capelli biondo platino e non troppo lunghi, si avvia verso il palcoscenico montato per l’occasione.
I vestiti fluorescenti, la pelle colorata, mi basta guardarla per vomitare, per vedere in lei lo spreco di Capitol city.
E poi sorride,  e quel sorriso mi fa rabbrividire.
Come ogni anno, inizia con un bel discorso in cui dice che il vincitore avrà immensa ricchezza e infinita gloria, come se non lo sapessimo, il difficile però sta nel vincere.
Poi fa partire un video con la storia di Panem;
I giorni bui, l’epoca del regime di Snow, la rivolta dei ribelli, guidati dalla ghiandaia imitatrice, la vittoria dei ribelli, il crollo del nuovo governo, fino a noi.
Quando il video finisce la donna di capitol city è l’unica ad applaudire, ma ormai nemmeno lei lo fa con convinzione.
Quando vede che noi non abbiamo intenzione di imitare quel suo gesto, ci sorride di nuovo e si prepara a estrarre il tributo femmina, questa volta, il suo sorriso nasconde malizia.
Le sue mani gelide e rigide nei movimenti si sciolgono quando sono immerse nella boccia di vetro. In quel momento, tutte le ragazze, me compresa, e tutte le loro famiglie, smettono di respirare.
La mano della donna gira tra i foglietti, cercando famelica la sua prossima vittima.
Le sue dita si fermano di scatto, attaccate ad un biglietto. Lo stringe forte e lo avvicina a sé, alzandolo.
Si avvicina di nuovo al microfono e il suo volto adesso è su tutti gli schermi che circondano le pareti della piazza, e su quelli montati in strada. Con piccoli movimenti apre il piccolo pezzo di carta che aveva piegato in mano e legge un nome, il mio nome.
«Santana Lopez»

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Capitolo 2
*** Il viaggio ***


Mi blocco improvvisamente. Le mie gambe sono pietrificate, come le mie braccia.
 
Sento gli occhi di tutti posarsi su di me, ma non li vedo, non ci faccio caso.
La folla si apre davanti a me ma ancora non mi muovo.
Riesco quasi a sentire mia madre che piange e mio padre che la chiude tra le sue braccia per consolarla.
Mi costringo a camminare, se non lo faccio io, qualche pacificatore verrà a prendermi.
Man mano che  avanzo verso il palco le persone formano un corridoio difronte a me.
Sono rigida nei movimenti, fredda, potrei dire di essere morta.
Salgo qualche gradino e mi ritrovo accanto alla donna colorata. Lei è l’unica che sorride, adesso.
Si avvicina a me e mi trascina fino al microfono, immagino che dovrei dire qualcosa, ma non lo faccio.
Mi giro lentamente e mi avvicino alla sedia alle sue spalle.
Lei lascia perdere e continua a parlare.
Ora tocca ai ragazzi.
Le sue dita si infilano leggiadre nell’altra boccia e agguantano un biglietto all’istante trascinandolo fuori.
La sua voce squillante annuncia un altro nome:
«Sebastian Smythe»
Ricordo quel nome.
Lo ricordo così chiaramente.
Ma non lo collego ad alcun volto.
Ben presto, un ragazzo alto e dai capelli scuri si fa strada sorpreso e spaventato tra la folla fino a salire sul palco.
Non si fa nemmeno sfiorare dalla donna e si siede accanto a me.
Non mi guarda nemmeno per un istante, ma lo sa che lo sto fissando. Si gira di scatto e per un attimo mi sorride, poi torna a guardare il pavimento a testa bassa.
Un sorriso.
Un sorriso?
La mietitura si è conclusa così.
Il distretto 7 ha i suoi tributi.
Ci fanno entrare in municipio e ci dividono. Ognuno in una stanza, per dire addio ai nostri cari.
La mia famiglia mi fa visita per prima. Mi madre entra correndo e mi abbraccia forte, non sta piangendo, per aiutarmi, ma lo farebbe.
Mio padre mi da un bacio sulla fronte, poi mi guarda negli occhi tenendomi per le spalle con forza, per impedirmi di cadere a pezzi.
«Sei più forte di quanto credi. Sei astuta. Noi ti aspettiamo a casa.»
Quelle sue parole mi bloccano, ma questa volta le braccia di mio padre che mi impediscono di crollare non ci sono.
C’è mio fratello, però.
Mi si avvicina e mi stringe forte. Quando lo guardo negli occhi sono lucidi.
Non l’avevo mai visto piangere.
«Santana, non fare stronzate. Voglio vederti ancora.»
Un pacificatore ci interrompe e io stringo la mia famiglia per un’ultima volta.
Mi siedo su una piccola poltrona rosso scuro che non avevo ancora notato.
Non verrà nessun altro.
A nessun altro importa di me.
Nessun amico, nessun cugino, parente, conoscente. Nessuno.
Passo i seguenti dieci minuti a guardare fuori dalla finestra, per conservare il maggior numero di dettagli per quando sarò nell’arena. Per ricordare casa.
A quanto pare anche Sebastian ha finito di salutare, così ci scortano fuori, alla stazione.
Quando entro nel treno resto sbalordita.
La ricchezza di quel singolo vagone è immensa.
Cibo ovunque, di tutti i tipi e tutte le forme.
Mobili imponenti del tutto inadatti ad un treno.
La donna che ha sorteggiato i trubuti, Sue, ci scorta verso un tavolo agghindato a dovere.
Il mio distretto mangerebbe per un mese con tutto il cibo che c’è lì sopra, e invece, a  Capitol City, questo viene considerato un normale pasto per quattro persone.
Quattro.
«Dov’è Shuster?»
Come se mi stesse leggendo nella mente, Sebastian chiede del nostro mentore.
In quello stesso istante, un uomo minuto e dai capelli ricci entra nel nostro vagone e si siede accanto a Sue.
«Parlavate di me?»
Afferra uno strano dolcetto al cioccolato e lo morde con non curanza.
Osservo attentamente Sue, adesso mi sembra quasi umana.
Adesso che ride con una risata vera e genuina.
Lei mi invita a prendere qualcosa ed io lo faccio.
Afferro un dolcetto dal vassoio da cui Will aveva preso il suo e lo mordo lentamente.
Cioccolato e banane.
Cioccolato.
Sono anni che non mangio cioccolato, ma il sapore me lo ricordo perfettamente.
La cosa migliore che abbia mai assaggiato, decisamente.
Mi decido ad aprire bocca e per la prima volta le persone su quel treno sentono la mia voce.
«I tributi degli altri distretti?»
Rivolgo il mio sguardo alla donna e non provo nemmeno a sembrare garbata.
Tanto a che serve? Queste due persone non cambieranno il mio destino, morirò comunque.
Lei mi sorride di ricambio e con un po’ troppa euforia mi rivolge qualche parola.
«Stavo giusto per parlarne io ragazzina!»
Preme un qualche pulsante su un piccolo telecomando che non avevo notato accendendo un televisore immenso che non avevo notato.
Alle mie spalle il grande schermo si è illuminato e adesso raffigura il presentatore, un uomo dai capelli e gli occhi e i vestiti verdi che se ne sta seduto al centro di un grande palco.
Quel palco.
Eccome se lo conosco quel palco.
Sin dalla prima edizione degli Hunger Games le interviste ai tributi si sono tenute su quel palco, guidate da presentatori eccentrici che incarnassero alla perfezione lo spirito di Capitol City, proprio come quello che ho davanti.
«Signore e signori, i tributi della novantanovesima edizione degli Hunger Games! »
C’è una tale euforia nella sua voce, come se non sapesse che quasi tutti quelli con cui avrà a che fare nei prossimi giorni moriranno nel giro di una settimana.
Intanto alle sue spalle un grosso schermo si illumina e un volto femminile appare:
Una ragazza bionda, minuta, e dagli occhi verdi.
Sembra dolce, buona, ma in quegli occhi, in quegli occhi si legge la sete di sangue, la voglia di lottare, di vincere.
“Quinn Fabray” è il nome che la accompagna, Quinn.
Sospiro, è solo il primo tributo e già mi sento male.
Poi all’improvviso la sua foto scompare ed io mi sento sollevata, al suo posto però appare un ragazzo alto e moro, dall’aspetto amichevole, Finn Hudson.
E' seguito dal simbolo del distretto due, poi dall'immagine di una ragazza di nome Kitty Wilde, praticamente uguale a Quinn, con lo stesso sguardo assassino.
L'immagine che la segue è di un ragazzo di nome Noah Puckerman, di lui, ricordo solo la cresta.
Dopo di lui il simbolo del distretto 3 si illumina sullo schermo.
In seguito appare una ragazza dai capelli marrone scuro e gli occhi chiari, si chiama Merley Rose, e sembra davvero spaventata.
Il suo compagno di distretto si chiama Jesse St.James, mi ricorda davvero tanto Will, il mio mentore.
Anche il ragazzo libera lo schermo e il simbolo del distretto quattro appare al suo posto, per poi scomparire subito dopo facendo spazio ad una delle ragazze più belle che io abbia mai visto, forse la più bella.
I capelli biondi e mossi, gli occhi del colore del mare in cui potrei perdermi per ore.
Lei è diversa, è diversa da tutti gli altri, lei è innocente, dolce per davvero.
Non appena il suo nome appare sotto la sua foto mi si stampa in mente: Brittany S. Pierce
E poi anche la sua foto sparisce, come tutte le altre.
Le succede un ragazzo di Nome Sam, di cui ricordo solo il sorriso e i capelli biondi.
Pochi, dopo di lei, attirano la mia attenzione;
solo un ragazzo di nome Hunter, dal cinque, e una ragazza di nome Rachel, dal nove.
La donna spegne il televisore non appena il tributo maschio dell’11 compare.
«Bene bene! » Sorride compiaciuta «Che bei tributi, quest’anno! »
A quell’affermazione non reggo più.
«Che bei tributi…» Ripeto io sotto voce.
Mi alzo con movimenti veloci e mi dirigo verso una stanza a caso: è una stanza da letto, del tutto vuota di effetti personali ma affascinante ed elegante.
Le pareti rosso sangue e la moquette nera la rendono pesante, mi diventerà impossibile stare tranquilla qui dentro ma ormai non ho altra scelta, di certo, non potrei uscire e andare a cercare un’altra camera, così decido di restare e mi butto di peso sul letto.
Perché me la sono presa tanto?
La sua voce squillante mi risuona ancora in testa: «Bei tributi» Non credo che la scorderò presto, non credo che la scorderò mai.

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Capitolo 3
*** Capitol City ***



Mi sveglio poco prima delle otto senza ricordare quando ho deciso di addormentarmi.
Mi alzo dal letto e faticosamente esco dalla stanza ritrovandomi nel vagone della sala da pranzo.
Lo vedo completamente vuoto, dal tavolo alle varie porte che conducono chissà dove, sul treno.
Una mano fredda mi sfiora la spalla ed io sobbalzo, perdendo un battito. Mi giro di scatto afferrando il polso di Sebastian, dovrei lasciarlo riconoscendolo ma non lo faccio. Non mi fido di lui e non ho intenzione di farlo.
«Hai intenzione di lasciarmi?»
In pochi istanti allento la mia presa sul suo polso e mi giro completamente, avrei preferito poterlo fermare ancora, non mi sento al sicuro con lui, non dalla cerimonia della mietitura, non da quando mi ha sorriso di nascosto.
«Vuoi scappare di nuovo?»
Mi guarda sorridendo, che abbia capito anche perché lo abbia fatto?
«Non riuscivo più a stare qui dentro»
Alla fine, non è del tutto una bugia.
«Non dirmi che per te non è lo stesso, non dirmi che tutto questo ti piace, che non ti faccia schifo pensare che loro vivono nello spreco mentre nei distretti soffriamo la fame.»
Mi giro di scatto capendo che a lui non importa e mi avvicino ad un tavolo zeppo di roba da mangiare.
«Stiamo per morire, Santana, sono i nostri ultimi giorni, potresti provare a goderteli»
La voce sembrava fin troppo vicina, è dietro le mie spalle e non l’ho nemmeno sentito arrivare.
Mi concentro sulle sue parole, che risuonano amare dentro di me.
Stiamo per morire.
I nostri ultimi giorni.
Possibile che si sia già rassegnato? Che non ci speri nemmeno? Io ho paura di lui, non vedo perché non dovrebbero gli altri.
«Beh forse tu starai per morire, ma io voglio tornare a casa, un giorno» sbotto, abbandonando l’idea di mangiare qualcosa e girandomi di nuovo verso di lui.
«Tutto questo mi fa solo vomitare» Rispondo seccata, lui fa per aprire bocca ma il treno si ferma improvvisamente, siamo arrivati.
Rivolgo il mio sguardo fuori dai finestrini e resto sbalordita, anche Sebastian ha la stessa reazione, ne sono certa.
Palazzi dalle tonalità pastello e con i vetri colorati circondano le strade rivestite di mattonelle chiare; cittadini vestiti di pellicce, piume, truccati in maniera del tutto ridicola e con tatuaggi dai colori sgargianti ci guardano come si guarda un vestito in una vetrina attraverso i vetri del treno.
Distolgo lo sguardo.
«Magari tu stai per morire, ma non ti innervosisce nemmeno un po’ il fatto che qui la gente vive nello spreco, mangiando chili e chili di roba ad ogni pasto, abitando case lussuose, mentre la tua famiglia, i tuoi amici, se ne stanno a casa attorno al fuoco di una misera candela dividendosi un pezzo di pane?»
Lo sguardo di nuovo rivolto a lui, che però non risponde con parole, ma con un sorriso, un altro perfido sorriso.
La voglia di dargli un pugno e spaccargli il naso è davvero tanta, ma non credo che avrei qualche possibilità.
La voce squillante di Sue ci interrompe e per la prima volta sono felice di sentirla.
«Andiamo! Andiamo! Dobbiamo raggiungere il centro di addestramento!»
Ci spinge con quelle piccole e perfette mani giù dal vagone senza darci il tempo di fare niente e ci ritroviamo circondati da una folla di mille colori.
Il centro di addestramento è a  pochi passi così non prendiamo una macchina, ma percorriamo qualche metro di una strada principale ritrovandoci davanti ad un imponente edificio rosso, altissimo.
Conto più di dieci, undici, dodici piani.
Dodici piani… Deduco subito che è lo stesso centro di addestramento che 25 anni fa i tributi della terza edizione della memoria hanno abitato per i pochi giorni che precedevano l’arena, ed è lo stesso che tutti gli altri tributi prima e dopo di loro hanno utilizzato per lo stesso scopo.
Mi immobilizzo sconcertata dalla grandezza di quell’edificio ma il corpo di Sebastian che mi spinge verso l’entrata mi riporta alla realtà.
Entriamo raggiungendo velocemente un ascensore  vicino alla porta principale.
Sue invita me, Sebastian e Will, che ancora non avevo notato, ad entrare, e ci segue entrando per ultima.
Preme il pulsante “7” e partiamo improvvisamente. Nonostante i sette piani da percorrere nel giro di dieci secondi siamo già nell’appartamento che abiteremo nei prossimi giorni.
Le pareti sono di un verde chiaro che mi rassicura e tutti i mobili sono di legno scuro, probabilmente mogano.
Sue si fa strada al centro dell’ingresso posizionandosi accanto ad un pilastro «Su ragazzi! Andate a vedere le vostre camere!»
Sorride in modo agghiacciante ed io resto pietrificata.
Vedo Sebastian e Will passare davanti a me e dirigersi verso due stanze diverse così nel giro di un minuto decido di fare lo stesso.
Infondo al corridoio una porta dello stesso legno di tutti i mobili mi aspetta chiusa, giro lentamente la maniglia e mi ritrovo davanti alla stanza più bella che io potessi immaginare: le pareti sono sempre verdi, ma più scure, di un verde carico. E i mobili sono sempre di mogano ma hanno una linea moderna ed elegante. Il letto è al centro della stanza, le lenzuola sono bianche sopra e sfumano nel verde scuro sotto. Nonostante la bellezza di tutto ciò, la cosa più bella è la parete a sinistra della camera: vetro.
Una parete trasparente che si affaccia sulla città e mi mostra  tutto lo splendore di Capitol City.
I raggi del sole illuminano la città rendendola affascinante e sorprendete ai miei occhi.
Non distinguo forme precise ma tante macchie di colore. Mai, nella mia vita, ho visto qualcosa di così spettacolare.
Qualcosa mi dice che nei prossimi giorni sentirò la stessa sensazione molte altre volte.

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Capitolo 4
*** Il tetto ***


 
Passo l’ora seguente a guardare fuori, quelle luci mi attirano tanto quanto farebbero con una gazza ladra.
Ogni nuovo sguardo scorgo un nuovo dettaglio; un colore, una forma, che prima non avevo notato.
Le persone sembrano minuscole, piccole formiche fluorescenti, eppure da qui su sembrano belle, sembrano buone; non sembrano capire quanto noi stiamo male, per tutto questo.
Per tutto quello che loro festeggiano.
Loro non lo capiscono che abbiamo dovuto dire addio a tutto e a tutti per far divertire loro.
Una vampata di calore mi risale la spina dorsale e mi costringo a spostare lo sguardo.
Odio.
E’ tutto quello che posso provare verso queste persone, niente di diverso, mai, per nessuno di loro.
Mi allontano dalla grande vetrata appoggiandomi alle pareti.
Adesso gli unici colori che vedo sono il verde e il marrone, che mi ricordano tremendamente casa.
I boschi, le piante ovunque mi girassi, in ogni angolo c’era un pezzo di legno.
Mi siedo sul letto pensando a casa, pensando a ciò che non rivedrò mai più.
No. Non devo rassegnarmi, non devo fare come ha fatto Sebastian, io devo essere forte, e se non altro, ci devo provare, per la mia famiglia.
Stringo i pugni e poi li allento lentamente. Abbasso lo sguardo concentrandomi sul pavimento  che prima non avevo notato: parquet.
Serro gli occhi cercando di non pensare al  sette, di non pensare a casa, di non pensare a tutte le lacrime che proprio in questo istante i miei familiari stanno versando per me; ma questo ambiente così nuovo e comunque così familiare non mi aiuta, non mi aiuta, non mi aiuta per niente.
Scatto in piedi e in un istante sono già davanti alla porta chiusa.
Esito tenendo in mano la maniglia ma poi la giro con decisione, ritrovandomi nel corridoio adesso vuoto.
Lo percorro velocemente e mi ritrovo nell’ingresso, emetto un sospiro di sollievo ricordando che quel posto è molto più simile a Capitol City, che a casa.
Decido di esplorare il resto dell’immenso edificio, non so perché, e non so nemmeno se potrei farlo, però voglio farlo, così mi avvicino all’ascensore e premo il pulsante per chiamarla.
Le porte si aprono quasi subito ed io entro incerta.
Non dovrei essere qui, non dovrei. Faccio per tornare indietro ma le porte sono già chiuse e così, invece di premere di nuovo ‘’7’’ premo ‘’12’’.
Non so cosa mi sia entrato intesta, né perché io voglia andare lì su, sarà semplicemente un piano uguale agli altri, penso, si, un piano uguale agli altri, e completamente vuoto.
Deglutisco a fatica quando le porte si aprono mostrandomi un immenso appartamento colorato.
Attraverso la soglia dell’ascensore e sento le porte chiudersi alle mie spalle.
L’appartamento è di certo più bello del mio, e i colori non richiamano quelli del 12, forse perché il grigio è un colore troppo smorto per questa città.
I mobili sono coperti da uno strato di polvere alto più di un centimetro, potrei giurare che dalla fine dell’edizione della memoria, nessuno ha più messo piede qui dentro.
Esploro il piano incuriosita notando dettagli davvero affascinanti.
Nelle stanze, ad esempio, i mobili contengono ancora vecchi vestiti, o qualche effetto personale.
Vago per un po’ tra le varie camere, sempre più belle, imbattendomi più volte in qualche bottiglia vuota e logora.
Torno nell’ingresso e noto una porta che prima non avevo visto, è di metallo e stona con tutto il resto, sembra troppo massiccia per questo appartamento, per questa città.
La apro facendola scricchiolare sul pavimento di marmo e mi ritrovo alla base di una rampa di scale.
Salgo gradino per gradino impaziente di arrivare in cima chiedendomi cosa troverò e quando ci arrivo la risposta mi sembra così ovvia che mi stupisco di non averci pensato nell’istante stesso in cui ho visto la porta.
Il tetto.
Non è un semplice tetto però, non è spoglio ma agghindato con fiori e decorazioni adatte soltanto a un giardino… O a una terrazza.
A quanto pare, è questo che era prima.
E’ davvero enorme, larga quanto il piano del dodici, quanto quello del sette e quanto quelli degli altri distretti, suppongo.
Sto ammirando un grande vaso dove un tempo forse c’erano fiori, ma dove adesso c’è solo terreno secco e un po’ di polvere, quando la noto.
All’altra estremità della terrazza una ragazza sta guardando giù.
La riconosco subito, è Brittany, la ragazza del quattro.
I capelli biondi mossi le ricadono sulla schiena; indossa un vestito azzurro dalla forma morbida lungo fino alle ginocchia e delle scarpe  basse color panna.
Non mi ha notata, ne sono certa.
Con passo leggero mi avvicino a lei e mi appoggio alla parte di ringhiera alla sua destra mentre la guardo.
E’ sorpresa, quasi spaventata quando mi vede, così le sorrido, cercando di tranquillizzarla, ma non funziona.
Dai suoi occhi chiari traspare ancora la paura.
Mi chiedo perché sia così spaventata, dopotutto, i tributi non possono avere scontri al difuori dell’arena.
Seguo il suo sguardo verso le strade della città; verso le piastrelle che riflettono la luce del sole, e senza distoglierlo le rivolgo qualche parola:
«E’ bello qui, vero?»
Lei è ancora tesa.
«Tranquilla, non ho intenzione di ucciderti qui fuori»
Pronuncio quelle parole per rassicurarla e mi sembrano davvero assurde: qui fuori. Significa che quando saremo nell’arena queste parole non varranno più niente.
Qui fuori.
Adesso rimbombano nella mia testa.
Vorrei non averle dette, e spero che a lei non diano così fastidio come farebbero con me.
Accenna un sorriso smorto e non è più spaventata, resta tesa, però.
Aveva davvero bisogno che le dicessi che non l’avrei uccisa? Mi sembra abbastanza scontata, come cosa, ma forse per lei non lo è.
«Sì, è molto bello.»
La sua dolce voce mi tira fuori dai miei pensieri e mi avvolge completamente, potrei sentirla parlare per ore.
«Non avevo mai visto niente del genere nemmeno in TV»
Indica con lo sguardo la città sotto di noi; da qui sembra anche più bella.
Mi ritorna alla mente la mia reazione quando poco fa ho visto la stessa cosa dalla mia camera ed ho dovuto smettere di guardare per non arrabbiarmi; adesso però non riuscirei  mai a provare la stessa cosa, non so perché, ma qui, adesso, sto bene.
«Già»
«Sono Santana, comunque»
Tendo la mano nella sua direzione e lei la stringe con la sua, dopo aver esitato qualche istante.
«Piacere, Brittany»
Mi sorride dolcemente e quel sorriso mi riscalda, mi fa stare bene. Lascio la sua mano ma preferirei non doverlo fare.
Piomba il silenzio e ci troviamo entrambe a spostare costantemente lo sguardo tra la città, e gli occhi dell’altra.
«Sei del quattro, giusto?»
Lo so perfettamente che è del quattro, come sapevo che si chiama Brittany, ma dovevo rompere il silenzio o non l’avrei sopportato, tutto quell’imbarazzo; sento il bisogno di conoscerla, ma lo so che non potrei fare niente di peggiore, al momento.
Rendere questa ragazz, questo tributo, questa persona che dovrà morire nelle prossime settimane, se voglio tornare a casa, una mia amica sarebbe la cosa più stupida che potrei fare, eppure il mio istinto mi dice di farlo, e il mio istinto non sbaglia mai.
«Sì. E tu sei.. del sette.»
Le sue parole mi spiazzano.
Lei sa da dove vengo.
Forse anche io sono rimasta impressa nella sua mente, quando mi ha vista in televisione per la prima volta.
La sua non era nemmeno una domanda.
«..Ehm, si.. Come lo sai?»
Abbasso lo sguardo, imbarazzata, e sento le mie guance diventare rosse, come di rado accade.
Adesso sto guardando i miei piedi, le mie scarpe che sanno ancora di casa.
Non deve capire che sono imbarazzata.
«Beh... Ho visto le repliche delle varie cerimonie della mietitura…»
Adesso anche lei è imbarazzata, ma un imbarazzo diverso dal mio… sta nascondendo qualcosa, glielo si legge in faccia.
Possibile che abbia sentito quello che ho sentito io vedendola per la prima volta?
Le sorrido alzando di nuovo lo sguardo e guardando attentamente i suoi occhi:
Sono di un azzurro chiaro, tendente al grigio, e grandi, specialmente adesso che sono circondati da ciglia allungate dal mascara nero.
Potrei guardarli all’infinito e non mi lamenterei.
«Allora, Brittany, distretto quattro, cosa ci fai qui su?»
Le sorrido maliziosamente e lei ricambia in fretta.
«Morivo dalla voglia di esplorare questo edificio immenso e, non potendo andare negli altri piani perché abitati, sono venuta qui…
E tu, Santana, distretto sette, cosa ci fai qui?»
Mi sorride mostrandomi tutti i suoi denti bianchissimi.
«Non riuscivo più a stare in quella camera.»
Faccio un respiro profondo.
«Mi ricordava casa»
Non so perché le sto dicendo questo, non dovrei volermi fidare di lei, non dovrei volerle raccontare tutto su di me, dovrei volerla vedere morta, ma per qualche ragione non lo voglio, voglio che lei viva.
Dal primo momento che l’ho vista, dietro quello schermo, ho sentito questo strano e forte sentimento, e vorrei combatterlo, ma ogni parte del mio corpo mi dice di non farlo, mi dice di seguire l’istinto, come faccio sempre, e l’istinto mi dice che devo starle vicino, che devo volerle bene, che devo far si che lei voglia bene a me, prima di lasciarmi questa vita alle spalle e morire nell’arena.
«E così sono venuta qui.. Senza nessuno scopo preciso..»
Serro le mani a pugno perché mi accorgo che stanno tremando, e così almeno posso fermarle.
«Ti va se ci sediamo»
Si avvia verso una panca poco distante e si siede, io prendo posto accanto a lei.
«Conoscevi già l’altro tributo del tuo distretto?»
Le parole mi escono di bocca senza che possa farci nulla, adesso spero solo che mi risponda di no così da cambiare argomento.
Dalla sua espressione, però, capisco che non riceverò un no come risposta.
I suoi bellissimi occhi sono diventati tristi, la sua schiena si è incurvata ed ora sta guardando in basso, contratta.
«Eravamo vicini di casa» confessa, ed io mi sento triste per lei.
Mi immagino nella sua stessa situazione, ma non ci riesco; non ho mai avuto un vicino di casa a cui volessi bene, o che me ne volesse, non ho mai avuto un amico come vicino di casa, adesso che ci penso però, non ho mai avuto nemmeno un amico.
Meglio così, penso tra me e me, almeno non proverò mai quello che sta provando lei adesso, immagino che inferno possa essere.
«Mi…Mi dispiace»
Sono le uniche parole che riesco a dire.
Lei scuote la testa e torna a guardare me, con gli occhi lucidi di lacrime.
«Non fa niente…
E tu, lo conoscevi Sebastian?»
Dice il suo nome e rabbrividisco, forse lei non ha provato nulla di quello che ho provato io vedendo la mia immagine in TV, forse ha solo una memoria eccellente.
Scuoto la testa.
«E preferirei non conoscerlo… Mi inquieta un po’… Mi sembra quasi felice di essere qui, mi spaventa.»
Le sorrido leggermente, in modo quasi impercettibile.
«Beh, allora forse soffre di un qualche disturbo mentale, o che ne so.»
Ci guardiamo per un attimo e poi scoppiamo a ridere.
La sua risata è… Non ho parole.
Si, voglio che sopravviva.

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Capitolo 5
*** Il pubblico ***


Oggi c’è la sfilata dei carri.
La prima volta che il pubblico mi vede per davvero.
Mi sveglio presto preoccupata per quello che potrebbe succedere, ma a poco a poco la tranquillità torna ad appartenermi: il peggio del lavoro, oggi, tocca al mio stilista, che non ho ancora incontrato.
Mi faccio una doccia e mi cambio indossando qualcosa di comodo, poi vado in salone, preparandomi per questa giornata piena.
Con mia grande sorpresa trovo la grande sala completamente vuota; non ci sono le grida isteriche di Sue, o le risate eccentriche di Will… o i sorrisi di Sebastian.
Prendo una tazza di tè verde e dei pasticcini; il cibo è l’unica cosa che non mi disgusta di questa città, e non vedo come potrebbe.
Mi siedo a tavola e consumo la colazione più silenziosa che abbia mai avuto la gioia di provare.
Gironzolo per l’appartamento cercando dettagli interessanti, ma trovo solo oggetti inutili dai colori sgargianti o ricoperti di brillantini.
Ad un certo punto sono anche tentata di entrare nella camera di Sebastian ma reprimo l’impulso.
Passo l’ora seguente a sonnecchiare su una poltrona di velluto e a mangiare nuovi piccoli dolci, poi, finalmente, alle dieci e mezzo, Sue attraversa carica di allegria le porte dell’ascensore e mi saluta fin troppo calorosamente.
«Credevo che avremmo iniziato prima.»
Le dico distrattamente, concentrando la mia attenzione sul vassoio pieno di cose colorate appena appoggiato sul tavolo del banchetto.
«Beh e invece iniziamo adesso! Dove sono gli altri?»
«Stanno dormendo…»
Abbasso lo sguardo e mi copro la bocca con una mano per nascondere il sorriso che mi si crea in volto vedendo l’espressione sorpresa e arrabbiata che sta sfoggiando.
Con una camminata rumorosa raggiunge la camera di Sebastian, spalanca la porta, si avvicina al suo letto e tira giù le coperte.
«Su su! Ci aspetta una giornata piena!»
A Will riserva la stessa cura e nel giro di dieci minuti sono entrambi accanto a me, con un’espressione davvero contrariata.
«I vostri stilisti arriveranno a momenti, insieme al vostro staff di preparatori.»
Le sue parole sono ancora libere nell’aria quando l’ascensore emette un suono e le porte si aprono, facendo strada a una decina tra le persone più strane che io abbia mai visto.
«Oh perfetto, perfetto!»
Esulta Sue.
Il gruppo si divide in parti uguali tra me e Sebastian, che adesso ha abbandonato il suo broncio e si dirige verso la sua camera seguito dal suo staff.
«Io sono Shelby Corcoran, la tua stilista.»
Una donna alta e piuttosto normale mi tende la mano, indossa degli abiti semplici dalle tonalità pastello in cui i miei occhi trovano riparo da tutti i colori accesi che mi hanno circondato fino a quel momento.
«Piacere, Santana.»
Le sorrido leggermente e lei ricambia.
«Che ne dici di mostrarci la tua camera?»
«Certo»
Mi giro e vado nella mia stanza, seguita da Shelby e tre giovani donne che sembrano incarnare alla perfezione lo spirito di Capitol City.
I preparatori si affrettano a raggiungere il bagno lasciandomi sola con la mia stilista.
Lei mi squadra allungo sia vestita che non, prende qualche misura e poi mi lascia nelle mani dei preparatori.
Mi coprono il viso di trucco e rendono i miei capelli ricci  facendomi sembrare bella come mai avrei immaginato di poter essere, e dopo ore e ore passate seduta e immobile mi salutano orgogliosi del proprio lavoro.
Nel giro di qualche minuto il mio abito arriva in camera ed io rimango sbalordita nel vederlo.
E’ lungo e leggermente aderente, in una sfumatura che va dal verde al marrone, sarebbe piuttosto semplice se non fosse per l’elaborata scollatura che si estende fino alla schiena sembrando un complesso intreccio di rami, il tutto completato da foglie d’oro tra i capelli, e su un bracciale.
Io e Sebastian aspettiamo davanti ai carri in completo silenzio; lui si guarda intorno, squadrando ogni tributo dalla testa ai piedi, forse immaginando di trovare un qualche punto debole.
Io invece cerco Brittany con lo sguardo e quando la vedo lei sta già salendo sul suo carro.
Il suo abito è azzurro, lungo e con lo strascico che quasi tocca terra anche da sopra al carro.
Mi rivolge uno sguardo e un sorriso prima di scomparire dietro le porte accompagnata da Sam, il ragazzo del suo distretto.
Subito dopo di loro Bree e Hunter, quelli del cinque, li seguono sul loro carro.
Sue spinge me e Sebastian sul carro e poco dopo ci troviamo sul grande stradone al seguito degli altri tributi.
Rimango paralizzata.
Ci sono migliaia e migliaia di persone che ci acclamano ogni centimetro che percorriamo, affascinati dai nostri abiti e dai nostri capelli.
Alzo lo sguardo e vedo i nostri volti proiettati su schermi piazzati praticamente ovunque.
Siamo bellissimi.
Sono bellissima.
Non avrei mai pensato di poter apparire così, questo lato di me non l’avevo mai neanche immaginato.
Raggiungiamo la fine della strada e ci posizioniamo in semicerchio davanti ad un balcone su cui si affaccia il presidente.
Fa un discorso breve a cui non presto attenzione, e poi ci lascia andare, per prepararci alle interviste.
Quelle si terranno tra due ore.
Crdevo che le interviste sarebbero state domani, e invece mi ritrovo circondata da tutto il mio staff che mi strucca e mi ritrucca frenetico.
Tra chi pensa ai capelli e chi al viso sono circondata da persone che lavorano solo alla mia immagine.
Il vestito per sta sera è di un verde molto chiaro con piccoli ghirigori dorati alla base e una scollatura troppo profonda per i miei gusti ma che, per gli standard della città, è fin troppo coprente.
Sue guida me e Sebastian verso il luogo delle interviste insieme a Will e ai nostri stilisti.
Assisto all’intervista di Brittany dagli schermi nel mio camerino, che riporteranno tutto il programma; non dice niente di particolare, in realtà, ma il pubblico resta colpito quando dice che conosceva già Sam, che sono amici da molto e che preferirebbe scontrarsi con chiunque altro, al suo posto.
Le scende anche qualche lacrima, per l’occasione, e sono più che sicura che siano lacrime vere.
Restiamo dietro le quinte fino alla fine dell’intervista di Blaine, il ragazzo del sei, poi tocca a Sebastian.
Non seguo molto la sua intervista perché il nervosismo mi assale; vedo tutte quelle persone sugli spalti e immagino tutta Panem davanti alla propria televisione a guardare proprio noi, proprio me.
Mi sudano le mani e non riesco a parlare, né tanto meno a muovermi, ma quando il presentatore chiama il mio nome sono costretta a farlo, così, tremante, vado verso di lui e mi siedo sulla poltroncina bianca preparata per l’occasione.
«Sei nervosa, Santana?»
Il presentatore mi guarda con aria preoccupata, credo di essere sbiancata del tutto e di apparire dello stesso colore di un foglio di carta.
Annuisco prontamente.
«Non devi esserlo, non preoccuparti.»
Mi sorride e io ricambio, iniziando a sentirmi a mio agio.
«Allora, Santana, cos’è la cosa che ti piace di più, a Capitol City?»
Inizia con domande banali, per permettermi di ambientarmi, ma mi rende comunque nervosa, cerco di nasconderlo.
Pensa Santana, pensa… La cosa che più ti piace di Capitol City… Devo conquistarli, quindi...
«Lo stile!»
Sorrido e poi tutti ridono o applaudono.
«Avevi mai incontrato Sebastian, prima della mietitura?»
I miei pensieri viaggiano per un attimo al ragazzo del mio distretto che adesso starà sfoggiando dietro le quinte il suo solito sorriso agghiacciante, rabbrividisco.
«Credo di averlo incontrato, qualche volta, ma non ci eravamo mai parlati prima di salire sul treno»
A quanto pare questa domanda non appassiona gli spettatori, forse perché sono stata troppo sincera per gli standard di questa città, quindi il presentatore cambia argomento.
«Allora, cosa hai provato quando il tuo nome è stato sorteggiato?»
Non ho più paura di questo palco, adesso fisso il pubblico sicura di me.
«Mi sono bloccata, non riuscivo a muovermi, sono cresciuta temendo questo, era l’unica cosa di cui avevo paura, e adesso la sto vivendo.»
C’è un boato, mi chiedo cosa abbia detto di tanto particolare e poi il pubblico inizia ad applaudite.
«Beh, Santana, mi auguro che tu possa superare la tua paura e tornare a casa per dirlo ai tuoi amici e alla tua famiglia.»
Mi si stringe lo stomaco.
«Già, lo spero anch’io..»
Una campana suona, io mi alzo e torno dietro le quinte, lo show è concluso.
Quando torno in camerino Sue è entusiasta di me e Sebastian, fin troppo direi.
Torniamo nel nostro appartamento e mentre gli altri cenano io vado nella mia camera: sono troppo turbata per godermi una cena.

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Capitolo 6
*** L'allenamento ***



 
Mi alzo dal letto la mattina pensierosa: oggi iniziano gli allenamenti, da oggi, la faccenda si fa seria, da oggi, i giochi non saranno interviste e apparizioni pubbliche, da oggi, saranno morte.
Dopo essermi fatta la doccia metto i vestiti che qualcuno si è preso la briga di posizionare sul mio letto mentre ero in bagno:
un pantalone elasticizzato completamente nero e una maglietta aderente le cui tonalità vanno dal grigio al nero.
Saranno vestiti tutti così, lì giù, in palestra.
Lego i miei capelli in uno chignon veloce; quando mi guardo allo specchio mi si stringe lo stomaco:
sembro diretta di nuovo alla mietitura, ma sta volta so che il mio nome sarà estratto da quella boccia e sono preparata.
Mi costringo a distogliere lo sguardo e vado via dalla camera che continua a farmi stare male.
Nella sala da pranzo Sue e Will sono seduti a tavola mangiando una colazione sostanziosa; non vedo Sebastian, però, forse è già sceso, o forse dorme ancora.
Vado verso il banchetto sempre allestito con piatti nuovi
e riempio un piatto di dolcetti di vari gusti: sono tutti colorati e ricoperti di una strana pasta con cui sono realizzate piccole e perfette sculture dolci.
Mi siedo a tavola e saluto gli altri prima di addentare il mio delizioso piccolo cupcake.
Sono davvero affamata e svuoto il mio piatto in modo estremamente veloce: con la stessa velocità con cui lo riempio di nuovo.
Ieri sera non ho mangiato niente, dopo le interviste mi sono sentita, più che mai, fuori luogo, estranea all’eleganza di questo posto. Preferirei andare nell’arena proprio adesso piuttosto che stare anche solo un altro giorno in città.
Dopo aver ripulito il piatto una seconda volta mi alzo e resto per un attimo a fissare i volti sbalorditi di Sue e Will:
«Che c’è? Non ho mai visto così tanto cibo in vita mia, devo approfittarne finché posso»
Sorrido e mi volto camminando leggiadra verso l’ascensore senza cambiare espressione.
Sto per rincontrare Brittany.
Premo il pulsante con il numero più basso e inizio a scendere velocemente.
Nel giro di trenta secondi le porte si aprono e mi ritrovo davanti poco più della metà dei tributi.
Quasi nessuno fa caso a me, tranne Sebastian, che si sta
esercitando con una lanca: tira centrando in pieno il bersaglio e poi mi rivolge quel suo solito sorriso agghiacciante che ormai non mi fa più effetto, e tranne Brittany, che adesso sta camminando spedita nella mia direzione sorridente.
«Hey»
Le vado incontro anch’io e per un attimo penso di abbracciarla, ma poi cambio idea.
«Hey» risponde lei.
«Sei qui da molto?»
Mi guardo intorno e mi ritrovo a guardare Sebastian: i suoi occhi sono fissi su di noi e ha un’espressione sorpresa, non si aspettava che fossi diventata amica di Brittany.
Questa volta sono io a rivolgergli il suo sorriso agghiacciante, poi vado via portando la ragazza con me.
«No, in realtà… Una decina di minuti»
 
Le sorrido concentrandomi sui suoi occhi.
Sono così belli, tra l’azzurro e il verde.
Decisamente gli occhi più belli in cui abbia mai scelto di perdermi.
«Ti va se ci alleniamo insieme, oggi?»
Sembra incerta quando mi rivolge quelle parole, ma mi rendono comunque felice e quasi euforica.
«Ne sarei davvero felice»
Le sorrido e la vedo tranquillizzarsi, forse non era sicura che lo volessi anch’io, eppure lo voglio.
Voglio passare più tempo possibile con lei, adesso che posso, perché so che prima o poi dovrò dirle addio per sempre, e so che quel momento si avvicina ogni secondo che passa.
Sento lo stomaco contorcersi al solo pensiero di perderla, ce l’ho da così poco che non mi sembra reale,  quasi vorrei che non lo fosse, vorrei che nulla di tutto questo stesse accadendo davvero, così non dovrei perderla.
Ma dovrò perderla, lei dovrà perdere me, se voglio che sopravviva.
Mi blocco per un attimo.
Sto davvero pianificando di sacrificare la mia vita per una ragazza che conosco appena?
Mi basta guardarla per trovare la risposta.
Sì.
Le voglio davvero bene, non ho mai avuto un’amica così, mai.
Adesso non riesco a immaginare come potrei vivere la mia vita senza di lei.
Mi chiedo se sia così per tutte le amicizie, se sia questo un amico, o se noi siamo speciali, se abbiamo qualcosa di diverso, qualcosa di invidiabile e che nessuno ha, qualcosa di diverso da un’amicizia.
Un pensiero mi blocca la mente.
E se non è amicizia?
E se è amore?
Tra due ragazze, che cosa stupida, non potrebbe mai succedere, è contro natura, ma forse…
«Dove vorresti iniziare?»
La sua voce angelica mi distoglie dai miei pensieri.
«Che ne dici di provare il tiro con l’arco? Quella postazione è libera»
Lei annuisce e ci incamminiamo verso la stanza in vetro allestita a dovere per l’occasione.
E’ del tutto vuota, ma fuori ci sono gli archi, le frecce e un gruppo di pulsanti che non so come usare.
Brittany mi si posa davanti e armeggia con i tastini aprendo poi le porte della stanza.
Lei mi precede ed io la seguo subito dopo chiudendomi la porta alle spalle.
Il vetro torna a circondarci completamente e due figure arancioni appaiono dall’alto armate di arco e frecce.
Posiziono il mio arco difficilmente e dopo aver preso la mira scocco una freccia, mancando il mio bersaglio, anche se di poco, la sua freccia mi colpisce e appena mi tocca si infrange in mille pezzi che scompaiono.
La figura colorata scocca un’altra freccia nella mia direzione ma Brittany mi sposta dalla sua traiettoria e colpisce l’ologramma, o qualunque cosa sia, su una spalla e poi nel petto, la figura si distrugge e mi ritrovo a guardare Brittany; se fossimo state nell’arena, mi avrebbe appena salvato la vita.
«Sei brava sai?»
Mi sorride imbarazzata e abbassa lo sguardo fissandosi i piedi.
«Grazie… Tu…»
Soffoco una risata e cerco il suo sguardo.
«… Io no!»
Entrambe scoppiamo in una fragorosa risata e lei torna a guardarmi.
«Non preoccuparti, troverai qualche altra cosa»
«Ne sono certa»
Ci scambiamo un sorriso veloce poi lei mi prende per mano e ci allontaniamo verso altre postazioni.
Per la fine della sessione di allenamento della giornata ho trovato tante armi che non so usare e Brittany tante che usa davvero bene, mi sento demoralizzata, credevo di poter fare di meglio.
L’ultima postazione che usiamo è quella del lancio dei coltelli; quando entro nella stanza di vetro seguita da Brittany non spero nemmeno più di riuscire a tirare bene ma, quando le figure colorate iniziano ad apparire, con mia grande sorpresa, le colpisco precisamente dove miro.
Vengo sovrastata da un brivido di eccitazione: ce l’ho fatta, ho trovato l’arma giusta per me.
Anche Brittany appare felice.
«Visto? Te l’avevo detto che ce l’avresti fatta?»
Mi sorride e io ricambio.
Alza le braccia ma poi le blocca a mezz’aria, restando perplessa.
So esattamente cosa vorrebbe fare: reprimere l’impulso di abbracciarmi, lo stesso impulso che adesso provo anch’io, ma quell’impulso io non lo reprimo; la stringo tra le mie braccia con tutta la mia forza e la sollevo da terra per un attimo, non ho intenzione di liberare la presa, non ho intenzione di lasciarla andare.
 

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Capitolo 7
*** L'Assassina ***


 
Quando scendo al centro di addestramento ci trovo solo quelli del due, Kitty e Noah, e Jesse dal tre.
Decido di iniziare comunque, anche senza Brittany, così vado verso la postazione della lancia.
Entro nella stanza sicura di me, con passo fiero.
Le figure iniziano ad apparire e mi circondano, ne conto tre.
Saldo la mia stretta sulla lancia e colpisco nel petto la prima figura, che si distrugge completamente.
Non perdo un attimo e colpisco subito le altre due figure; una in testa e una nello stomaco.
Entrambe esplodono in mille pezzetti colorati che si dissolvono sotto il mio sguardo.
Con un sorriso stampato sul volto attraverso la porta di vetro e vedo degli occhi fissi su di me, gli occhi di Noah, di Kitty e di Sebastian.
Mi afferra per il braccio appena superata la soglia e mi trascina con sé.
«Niente male Lopez.»
Sento conati di vomito salirmi fino in gola e li reprimo;  non voglio passare più tempo del dovuto con quel ragazzo, cerco di liberare il mio braccio dalla sua presa ma è troppo forte, ho quasi paura di quello che possa farmi.
Stai calma Santana, non può farti niente, non siete ancora nell’arena, mi dico per rassicurarmi, non funziona.
Decido che oppormi non servirà a niente così lo assecondo.
«Potrei insegnartelo»
Lui scoppia a ridere, ma certo, è già abbastanza bravo con la lancia senza di me.
«Hai una nuova amica?»
Oh ma certo, vuole solo sapere se ho già degli alleati.
Allenta leggermente la presa sulla mia carne per un attimo, ma quell’attimo mi basta per liberarmi.
Mi allontano di qualche passo e sorrido aspramente.
«Stiamo per morire, Sebastian, sono i nostri ultimi giorni, potresti provare a goderteli»
Sorrido quando mi volto per allontanarmi, lui invece rimane immobile, impietrito, forse nemmeno credeva me le ricordassi, quelle parole, e invece io me le ricordo.
Raggiungo l’ascensore ed entro, salendo fino al quarto piano.
Tra l’appartamento e l’ascensore c’è un breve corridoio che culmina con una porta di un legno chiaro.
Il corridoio è decisamente la parte più spoglia di questo palazzo: Nessun mobile, nessuna luce, pareti blu scuro e pavimento dello stesso colore, è davvero inquietante.
Mi faccio coraggio e vado verso la porta.
Ma cosa sto facendo? Io non dovrei essere qui, se mi giro faccio in tempo a tornare indietro, forse…
I miei pensieri vengono interrotti dal rumore di una porta che si apre, perlustro il corridoio con lo sguardo ma non trovo un posto dove nascondermi, e così rimango impietrita, bloccata davanti al ragazzo biondo che ha smesso di sorridere e adesso è solo sorpreso.
«Che cosa…»
«Sono venuta a cercare Brittany... io… Scusami, non, non dovrei essere qui…»
Faccio per andarmene quando sento una voce dolce e familiare chiamarmi.
«Santana! Ehy! Che ci fai qui?»
Brittany mi ha preso il polso costringendomi a guardarla.
Alzo la mano libera dietro la nuca e abbasso lo sguardo.
«Ero… Ero venuta a chiamarti…
Scusatemi, non… non avrei dovuto…»
«Non preoccuparti, non andremo a dirlo al presidente!»
Brittany scoppia a ridere nell’istante stesso in cui Sam smette di parlare, poi, lui fa lo stesso.
«Dai, andiamo»
Brittany mi fa strada verso l’ascensore.
«Tu sei Sam, giusto?»
«Esatto, Santana.»
Mi sorride e poi preme il pulsante per tornare al centro di addestramento.
Le porte si spalancano e ormai gran parte dei tributi è arrivata.
Io e Brittany salutiamo Sam e poi ci fermiamo in un angolo.
«Ehy, stai tranquilla, è stato… è stato dolce da parte tua venire.»
Le sorrido e mi tranquillizzo per davvero.
«Mi piace Sam.. è… strano come voi due affrontiate questa cosa… con il sorriso.»
«Beh, è successo quel che è successo, adesso dobbiamo andare avanti, perché non potremo tornare indietro mai più, quindi tanto vale accettarlo, e godersi il tempo che ci resta, non trovi?»
Scuoto la testa, no, non trovo.
Brittany appare sorpresa.
«Come puoi vederla così? Stai per uccidere delle persone, Brittany, da domani, sarai un’assassina, la cosa non ti smuove nemmeno un po’?»
Ho una voce dura, perché sto dicendo tutto questo? Ha ragione lei, ha ragione Sebastian, con tutte le probabilità tra meno di due settimane sarò morta, e voglio davvero passarli così i miei ultimi giorni?
Però ho ragione anch’io, e tutto questo mi sta distruggendo lentamente.
Brittany solleva le spalle.
«Dipende da come li vedi, i giochi, puoi anche decidere di non essere solo un tributo, puoi anche essere qualcosa di più che una pedina nelle loro mani.»
«Una pedina? Come?»
Sono arrabbiata adesso, ma il motivo non lo so per davvero, è soltanto uno sfogo, credo, per tutto… questo, però mi sto sfogando con la persona sbagliata.
«Santana, guardati, tu sei già pronta a uccidere! Non te ne rendi conto? E’ questo quello che fanno i giochi, ci cambiano, e tu glielo stai lasciando fare.»
Le sue parole fanno scattare qualcosa in me, mi ha detto che sono un’assassina, detto da lei, è la cosa peggiore che potesse succedermi.
Sono un’assassina? E’ davvero questo che mi sta succedendo? Gli Hunger Games mi stanno cambiando?
«Forse per oggi è meglio che ci alleniamo separatamente.»
Mi volto di scatto e vado via.
Sento la sua voce chiamarmi ma la ignoro, potrà anche essere unica e dolce e gentile e buona, ma mi ha detto che sono un’assassina, e  io non sono un’assassina, giusto?

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Capitolo 8
*** L'amico ***


Sue mi sveglia.
Sono sdraiata sul mio letto in orizzontale sopra le coperte con una bottiglia in mano.
Non ricordo cosa ho fatto ieri dopo aver parlato con Brittany, so solo di essere tornata in camera e di aver preso per la prima volta una goccia di alcol, seguita poi da tante, tante altre.
«Su! Alzati Santana!»
Seguo i suoi ordini e barcollante mi ritrovo davanti alla donna che adesso mi mostra una faccia esterrefatta.
«Vieni a fare colazione…E datti una ripulita!»
Si volta e in una frazione di secondo è già fuori la porta.
Vado in bagno e mi lavo faticosamente.
Indosso qualcosa  e poi vado in sala da pranzo, preparandomi per un’altra lunga, lunga, giornata.
«Bella nottata Lopez?» Scherza Sebastian.
«Dovresti smetterla di chiamarmi Lopez, Smythe»
Non lo guardo nemmeno in faccia, prendo un muffin e mi siedo a tavola.
Will si avvicina e mi riempie una tazza di caffè
«Questo è mille volte meglio di un muffin, adesso.»
Mi prende di mano il dolcetto e lo porta via, addentandolo.
Sorseggio la sostanza marrone, non avevo mai bevuto del caffè prima, il gusto amaro mi manda in estasi.
E’ assolutamente delizioso.
Ne riempio un’altra tazza e la svuoto di nuovo.
«Ti piace eh?»
Sebastian mi guarda e mi rivolge un sorriso meno agghiacciante del solito.
«Forse è perché è amaro almeno quanto te»
Questa volta il sorriso si estende fino agli occhi e non è per niente terrificante.
Sembra quasi un sorriso… da amico.
E’ il primo sorriso che mi rivolge che  ricambio istintivamente.
«Solo un po’ di meno.»
Gli rispondo prendendo di nuovo un muffin.
«Non vorrei interrompere questo momento di allegria tra tributi più unico che raro ma...»
Sue fa una pausa.
«Oggi avete le sessioni private di allenamento, tutto si è svolto in funzione di questo momento: dovrete essere perfetti se vorrete garantirvi degli sponsor, e vorrete garantirveli, se vorrete sopravvivere»
Sue ci sorride e ci spinge ad andare verso le nostre camere.
Indosso gli abiti dell’addestramento per l’ultima volta e lego i capelli in una treccia veloce, poi li arrotolo in uno chignon.
Mi guardo allo specchio per un lungo istante, poi la porta si spalanca lasciando entrare un Sebastian preoccupato.
«E’ ora di andare, Santana.»
Lo raggiungo sull’uscio e poi percorriamo in silenzio il corridoio fino alla sala da pranzo e poi all’ascensore.
«Date il meglio di voi»
Non facciamo in tempo a rispondere a Sue che le porte dell’ascensore si chiudono davanti a noi.
Prima di premere il pulsante per scendere dico a Sebastian:
«Sei nervoso?»
«Adesso non credere che siamo diventati amici, Lopez.»
«Ti ho solo fatto una domanda, Smythe.»
Premo il pulsante e restiamo il resto del tempo in silenzio.
Quando le porte si aprono davanti a noi percorriamo un corridoio che mi sembra infinito fino ad una stanza dove quasi tutti i tributi sono seduti e chiacchierano con il compagno di distretto.
«Da morire»
Sussurra Sebastian prima di sederci.
Sorrido per rassicurarlo, poi distolgo lo sguardo.
Cerco Brittany, anche lei sta facendo lo stesso.
Quando incontro i suoi occhi distolgo lo sguardo ma lei continua a fissarmi, preoccupata.
Perché sono tutti così preoccupati? Perché invece io sono così tranquilla?
Un uomo vestito di azzurro con vistosi tatuaggi sul volto e capelli verdi si affaccia nella stanza e chiama Finn, il ragazzo dell’1.
Passano cinque minuti e tra i vocii di sottofondo io e Sebastian siamo gli unici a non scambiare una parola.
L’uomo colorato ritorna e chiama la ragazza dell’1.
«Cosa farai lì dentro?»
Sebastian tiene lo sguardo basso sul pavimento e non presta nemmeno attenzione alle parole che dice, infatti, non sembrano uscire dalla sua bocca.
«Tirerò qualche coltello… credo.
Tu?»
Senza distogliere lo sguardo dal pavimento torna a parlarmi.
«Userò la lancia, e la mazza chiodata.
La trovo davvero eccezionale, credo che farà colpo.»
«Hai avuto problemi con le altre armi?»
Scuote la testa, poi, finalmente, alza lo sguardo e punta gli occhi nei miei.
«Per te non è lo stesso, vero? Voglio dire, so che la biondina è molto più brava di te.»
Le sue parole bruciano e mi ricordano che il Sebastian che ho davanti è lo stesso che ieri odiavo, non è cambiato niente.
Alzo le spalle e guardo Brittany per un attimo, lei sta tenendo strette le mani di Sam e gli sta parlando.
Sento la gelosia avvamparmi dentro.
«Beh… non so usare perfettamente tutte le armi che mi capitano in mano.»
«Beh, forse non ne avrai bisogno…Forse, una volta nell’arena, potremo essere alleati.»
Scuoto la testa.
Sento quelle parole e posso pensare solo a Brittany.
E’ lei l’unica che voglio accanto, e devo dirglielo prima che sia troppo tardi.
«No, non voglio soffrire quando morirai.»
Lui sorride.
«Neanch’io.»
L’uomo di Capitol City continua ad entrare e a chiamare tributi, negli attimi in cui non parlo con Sebastian guardo fissa la porta, aspettando che si apra di nuovo.
Sento la voce dell’uomo chiamare Sam e cerco lo sguardo di Brittany.
Lei gli sta sorridendo e nell’ultimo istante prima che la porta si chiuda lui la guarda e ricambia.
Quando scompare dietro il legno insieme all’uomo colorato lo sguardo di Brittany si sposta improvvisamente verso di me.
Ha smesso di sorridere e per la prima volta guardare i suoi occhi mi terrorizza.
Per la prima volta sono seri, arrabbiati.
Distolgo lo sguardo concentrandomi su Sebastian.
«Lei sarà la mia unica alleata. Non ho bisogno di nessun altro»
Leggo disapprovazione nello sguardo di Sebastian, ma poi la sua espressione si scioglie e mi sorride.
«Non t’importa soffrire quando morirà?»
Il suo sorriso questa volta è compiaciuto.
Ha capito.
Divento rossa e abbasso lo sguardo.
Mi tocca lo stomaco con il gomito.
«Lo sapevo che una ragazza normale non avrebbe saputo resistere al mio fascino»
Sussurra e poi scoppiamo a ridere; tutti gli altri ci fissano.
Mi stringe piano la mano.
Torno ad alzare lo sguardo.
«Non lo so se è così ma… ma sento che è speciale, è diversa…»
Perché mi sto confidando con lui? Gli sto dicendo il mio punto debole.
Un lampo mi attraversa la mente.
Ma certo, è questo che voleva, l’arma per distruggermi.
L’amicizia era solo un’esca, e io ci sono cascata.
Tolgo la mano dalla sua velocemente.
«Tu hai una ragazza, a casa?»
Lui resta fermo, poi, dopo qualche attimo, scuote la testa, incerto.
Io sorrido.
«Beh, se io mi sono confidata con te forse tu adesso dovresti fare lo stesso.»
Mi rifiuto di pensare che la storia dell’amicizia sia solo una bugia.
Non è così meschino.
Non può esserlo.
Giusto?
«Okay, c’è una ragazza, a casa, ma abbiamo litigato, prima della mietitura e…»
Le parole gli si strozzano in gola.
«E…?»
«E non le ho potuto dire addio, non ho potuto chiederle scusa, i miei genitori non l’hanno fatta entrare a salutarmi, non la sopportano.»
Non è una strategia. Non è una strategia. Non è una strategia.
«E’ per lei che vuoi tornare a casa?»
Lui annuisce.
«Brittany Susan Pierce»
L’uomo è rientrato nella stanza e adesso sta chiamando lei.
Si alza tremante e io guardo nella sua direzione senza toglierle gli occhi di dosso per un solo istante.
Cammina a testa bassa, incerta, e non mi guarda nemmeno una volta.
Quando sta per chiudersi la porta alle spalle, però, i suoi occhi incrociano i miei e le sorrido, la porta si chiude e riesco quasi a immaginarla mentre ricambia il sorriso.
Torno a concentrarmi sul mio compagno di distretto.
«Mi dispiace tanto… per voi.»
Lui alza le spalle.
«Poteva andare peggio. Io ho ancora una possibilità di incontrarla di nuovo, anche se remota… Voi invece…  Voi non ce l’avete.»
Già… noi non ce l’abbiamo.
La mia mente vola ai settantaquattresimi Hunger Games, i primi della ghiandaia imitatrice.
I primi con due vincitori.
Gli ultimi con due vincitori.
Gli innamorati sventurati del distretto 12.
Nessun cambiamento del genere avverrà mai più, non dopo tutto quello che è successo in quell’edizione…
Noi siamo più sfortunate.
Noi non avremo occasioni.
Noi non avremo una possibilità, insieme.
Noi non sopravvivremo agli Hunger Games.
Forse una di noi due sopravvivrà.
Ma noi non sopravvivremo, insieme.
Mi si stringe lo stomaco e le lacrime mi inondano gli occhi, non le lascerò scorrere, non qui, non davanti a 13 dei miei nemici.
Abbasso lo sguardo.
«Le innamorate sventurate dei distretti 4 e 7»
Sussurro e lui sorride lievemente.
Non era mia intenzione farlo ridere.
Restiamo immobili tutto il resto del tempo, senza scambiare una parola.
Le ultime che ci siamo scambiati basteranno per sempre.
Lo guardo e i suoi occhi sono dolci.
Come farò ad ucciderlo? Io non sono così, io non sono un’assassina.
Io non riuscirò ad uccidere nessuno di loro.
Nel tempo che passa mi abbandono all’idea che perderò questi giochi, che non ho nessuna possibilità di vincere, né di aiutare Brittany a riuscirci.
Mi rassegno all’idea che non vedrò mai più la mia famiglia, e, per la prima volta, lasciare questa vita non mi sembra poi così tanto brutto.
Dopotutto, perché dovrei sopravvivere? A casa non ho amici, non ho nessuno.
E qui ho soltanto Brittany, ma se vinco, non la avrò più.
Chiudo gli occhi e me ne resto rannicchiata sulla mia panca fino a quando l’uomo dai vestiti sgargianti non chiama il mio nome.
Serro i pugni e mi alzo, raggiungendo la porta a testa bassa.
Io e l’uomo percorriamo un corridoio buio simile a quello che mi ha portato in questa stanza quasi un’ora fa e poi mi lascia davanti ad una grande porta di metallo.
Tiro la maniglia e la porta si apre cigolando.
Davanti a me c’è una grane palestra, contenente un gran numero di armi, la maggior parte delle quali non ho mai visto prima.
In alto, dietro una barriera di vetro, gli strateghi mi guardano curiosi.
«Santana Lopez, distretto 7.»
Afferro tre coltelli da un espositore di metallo e mi posiziono a circa trenta metri dal mio bersaglio.
Prendo la mira e lancio: colpisco la spalla, invece del cuore.
Sospiro perché so di aver perso ammiratori, lì su.
Prendo di nuovo la mira e questa volta colpisco in pieno la testa del manichino.
Gli strateghi però non prestano poi così tanta attenzione a me.
Ancora una volta centro il mio bersaglio ma loro non mi seguono.
Decido di cambiare arma.
Afferro una lancia da terra, non è su un espositore, credo che Sebastian l’abbia lasciata lì prima di me.
La afferro e torno al mio posto, prendo ancora la mira e colpisco ancora il mio bersaglio.
Alzo lo sguardo verso il muro di vetro e noto che adesso praticamente nessuno sta prestando attenzione a ciò che faccio.
Sono frustata, no, sono arrabbiata.
Da loro dipende il mio futuro e non si prendono nemmeno la briga di guardarmi.
Metto due dita in bocca e fischio più volte.
Nel giro di qualche secondo tutti gli occhi sono fissi su di me.
Prendo di nuovo i pugnali e centro più volte la testa del mio manichino a distanze sempre più elevate fino a quando è il capo stratega a fermarmi.
«Basta così, signorina Lopez.»
Lascio cadere il coltello che ho in mano, mi volto e raggiungo l’uscita.
                  

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Capitolo 9
*** L'ultimo giorno ***


E’ tardo pomeriggio, io, Sebastian, Will e Sue siamo seduti al centro di una grande sala aspettando impazienti i verdetti degli strateghi.
Assegneranno a ogni tributo un voto da 1 a 12 in base alle sessioni private, da questi numeri dipenderà la nostra salvezza nell’arena, da questi numeri dipenderanno i favori degli sponsor.
All’improvviso lo schermo che ormai stiamo fissando da tempo si illumina mostrando il presentatore avvolto da tutti i colori dell’arcobaleno.
Fa qualche battuta e qualche moina, poi la sua immagine scompare dallo schermo sostituita da quella di Quinn. Ha un 10.
Poi Finn.  Un 8.
I tributi si succedono velocemente ma io non faccio caso a loro, aspetto solo il 4.
L’immagine di un ragazzo di nome Jesse scompare e la prima cosa che vedo sono gli occhi di Brittany, poi, un 8 in sovraimpressione.
Beh, poteva andarle peggio.
Eppure è una favorita.
Poteva andarle meglio.
I tributi si succedono ad una velocità che a me sembra fin troppo ridotta.
Quando finalmente il mio volto appare sullo schermo sento che sto tremando.
Qualcuno mi stringe la mano ma non riesco a vedere chi sia, sono troppo concentrata sulla mia immagine sul vetro per poter pensare a qualcos’altro.
Il tempo che passa prima che il numero appaia in fondo alla foto è davvero infinito; ripenso alla mia sessione privata.
E tremo ancora.
Quanto mi avranno dato?
5? 6?
Ma questo non è abbastanza.
No, non lo è.
Non avrò nessuno sponsor, e senza gli sponsor, sarò morta prima del tramonto, domani.
Il numero appare e io ricomincio a respirare.
10.
Tutti quanti applaudono, anche le mani che prima mi stringevano, che adesso mi hanno lasciata, quelle di Sebastian.
Guardo il ragazzo e lo vedo preoccupato, e allora sono io che gli afferro la mano, offrendogli quel sostegno che prima lui ha offerto a me.
Quando le nostre dita si intrecciano lui mi guarda e sorride.
I suoi occhi mi stanno ringraziando, anche se non lo ammetterà mai, con le parole.
La sua foto appare e il numero che la accompagna è 11.
Tutti ci alziamo ed applaudiamo.
Non c’era ancora stato un voto tanto alto.
 
***
 
Dopo ore di festeggiamenti sono esausta, ma invece di tornare in camera mia sgattagliolo nell’ascensore e salgo fino al 12.
Spero di salire sul tetto e di trovarci Brittany ma, quando salgo le scale buie speranzosa, non mi conducono a nessuno.
Mi guardo intorno, cercando dei capelli biondi che sbucano da dietro una pianta, o degli occhi azzurri che mi scrutano silenziosi nel buio.
Niente.
All’improvviso mi sento pesante, troppo pesante.
Mi siedo a terra e guardo le scale che mi hanno condotta qui immaginando di vedere Brittany attraversarle.
Ancora niente.
E’ la nostra ultima notte a Capitol City e non abbiamo ancora chiarito.
Vorrei vederla, vorrei dirle che ha ragione e che non accetterò di essere cambiata da questi giochi.
Vorrei respirare un’ultima volta l’odore dei suoi capelli profumati, vorrei sentirla ridere di nuovo.
 Vorrei tenermela stretta ancora un’altra notte, ancora una sola.
Vorrei averla conosciuta prima, per potermela godere di più.
Vorrei che fosse qui, accanto a me, per poterle dire tutto quello che provo per lei, per poterle dire che sono pronta a giocarmi tutto per lei, per poterle dire che l…
«Lo sapevo che ti avrei trovata qui.»
la voce di Brittany mi risveglia da ogni pensiero.
Mi alzo di scatto e in due secondi l’ho raggiunta, le braccia avvinghiate al suo corpo perfetto, la faccia immersa nei capelli chiari, le lacrime negli occhi.
«Mi dispiace, mi dispiace tanto, avevi ragione tu. Hai sempre avuto ragione tu. Non lascerò che facciano di me una pedina, non lascerò che mi cambino.»
La mia voce è strozzata, i miei singhiozzi non mi permettono di parlare perfettamente, ma non importa, non importa, lei ha capito.
Mi stringe tra le sue braccia con decisione.
«Va tutto bene Santana, va tutto bene.»
Vorrei non dover lasciarla, mai, ma per questa ultima sera, abbiamo troppe cose da dirci, per poter perdere tempo ad abbracciarci.
Mi stacco da lei contrariata e mi asciugo le lacrime con la manica della maglietta.
Le prendo la mano e ci sediamo su una panchina il più vicino possibile.
Stare qui su mi porta alla mente i ricordi del nostro primo incontro, mi rende felice.
«Una volta nell’arena, saremo io e te contro tutti gli altri.»
Sussurra.
«Saremo insieme e niente ci potrà fermare.»
Mi accarezza i capelli.
«Troveremo, troveremo un modo.
Faremo capire a Capitol City che non possono trattarci come se fossimo loro, noi siamo nostre, e di nessun altro.»
Mi giro guardandola negli occhi, gli occhi di una ragazza dolce, indifesa, ma lei è molto di più di questo.
«Se non dovessimo farcela, sappi che ti voglio bene, e che sono grata a Sue per aver estratto il mio nome.
Senza quel biglietto non ti avrei mai incontrata, non avrei mai incontrato la parte migliore della mia vita.»
Le sorrido e chiudo gli occhi, appoggiandomi a lei.
Prima di addormentarmi sento un sussurro nelle orecchie, un suono quasi impercettibile, se non fossi così vicina.
«Ti voglio bene anch’io»

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Capitolo 10
*** Benvenuti nell'arena ***


Poco prima delle sei sveglio Brittany dolcemente.
Ci alziamo e ci stringiamo forte, poi, ognuna torna nel suo appartamento.
Quando le porte dell’ascensore si spalancano davanti a me mi guardo intorno e con passo felpato attraverso l’ingresso.
«Lopez»
Mi blocco improvvisamente.
La voce di Sebastian risulta agghiacciante come mi sarebbe sembrata un paio di giorni fa.
E’ a pochi passi da me, immobile alle mie spalle.
Un brivido mi attraversa il corpo quando poggia una mano sulla mia spalla, ma non mi afferra.
«Smythe»
Ricomincio a camminare lasciando cadere la mano di Sebastian, non mi preoccupo di fare silenzio, raggiungo la mia camera e mi ci chiudo dentro.
Mi butto di peso sul letto e sento il mio cuore che ricomincia a battere.
Cosa ci faceva lì? Lo sapeva che non ho dormito nella mia camera?
Beh poco importa, tra qualche ora, niente di tutto questo avrà più importanza.
Che lo sappiano tutti quello che provo per Brittany, quando saremo nell’arena se ne accorgeranno comunque.
Scopro il letto e mi ci infilo, mi addormento subito.
**
Sue viene a svegliarmi alle otto e per la prima volta non c’è un sorriso sulle sue labbra quando la vedo, che si sia affezionata?
Scarto subito l’ipotesi e vado a fare colazione.
E’ il mio ultimo pasto a Capitol City, il mio ultimo pasto prima di giorni di fame, così mangio fino a quando non sento che sto per vomitare e Sebastian fa lo stesso, con tutte le probabilità non avremo più l’occasione di consumare un pasto del genere.
Alle nove ci mandano a prepararci e nel giro di mezz’ora siamo già su un hovercraft, sia io che Sebastian non togliamo gli occhi di dosso a Brittany nemmeno per un istante, almeno non fino a quando un addetto non viene a inserire i trasmettitori nei nostri avanbracci.
Gli aghi mi hanno sempre terrorizzata, fin da bambina, così, alla vista di uno così grande, quasi svengo.
Chiudo gli occhi e mi mordo il labbro fino a quando l’ago non è fuori dal mio corpo.
**
Sono in una stanza grigia, spoglia di qualsiasi cosa, ci sono solo una panca e un’immensa luce bianca.
Mi fa compagnia Shelby, con gli ultimi consigli e le ultime chiacchiere futili.
Tra le sue parole poche m’interessano per davvero, ovvero quando mi dice che la mia tuta è termica, ciò significa che andrò incontro ad un paesaggio particolarmente freddo, o particolarmente caldo, più probabilmente la prima.
Mi sento raggelare, in genere nelle arene c’è il bosco, ci sono gli alberi, ed io puntavo su quelli per nascondermi, ma se non ci fossero?
Una voce annuncia che il nostro tempo è finito, ci alziamo dalla panca e quando Shelby nota che sto tremando mi poggia le mani sulle spalle per trasmettermi tutta la sua forza, e in quel momento mi sembra di tornare al giorno della mietitura, a mio padre che mi diceva che sarei potuta tornare a casa, se mi fossi impegnata. Mi chiedo cosa penserebbe di me se sapesse cosa ho intenzione di fare, se sapesse che non ho intenzione di ritornare a casa.
Non ho più tempo per chiedermelo perché sono costretta ad entrare nel tubo di vetro che mi porterànell’arena.
Shelby mi lascia andare ed io mi costringo a muovermi, se non lo faccio io un pacificatore lo farà al mio posto, ora non ci sono dubbi, è proprio come la mietitura.
Entro nel tubo e la porta trasparente che ho appena attraversato si chiude subito di scatto.
Istintivamente batto i pugni sul vetro una, due volte, ma poi mi tiro subito indietro, non servirà a niente, devo andare lì dentro, devo farlo.
Il pavimento circolare su cui sono inizia ad alzarsi e con gli occhi tristi saluto la mia stilista un’ultima volta.
A poco a poco riesco a scorgere l’arena, mi sento gelare.
La cornucopia è a poco più di cinquanta metri da me, di metallo grigio, circondata da cerchi concentrici: il più vicino ad essa contiene provviste: anche a questa distanza vedo sacchi di frutta e acqua in quantità; quello centrale comprende ogni sorta di armi, i miei coltelli luccicano tra tutti, insieme alla lancia che mi contenderò con Sebastian e all’arco di Brittany; e in quello più vicino a me vedo varie cose utili, come una coperta blu abilmente piegata, così vicina che sarà la prima cosa che afferrerò.
La cosa spaventosa però è ciò che c’è dopo: tutt’attorno a noi una pineta innevata si estende a perdita d’occhio, a quanto pare Shelby aveva ragione sull’arena di quest’anno: freddo.
Cerco Brittany con lo sguardo mentre una voce ci dice che tra quarantotto secondi inizieranno i giochi.
Quando la trovo lei mi sta già guardando, indico la cornucopia con il mento e lei, incerta, annuisce.
«Coprimi le spalle» le mie labbra si muovono senza emettere alcun suono.
Ripeto più volte, per accertarmi che abbia capito, poi, c’è il suono di una tromba e non capisco più niente, so solo che i miei piedi si stanno muovendo più veloci che mai verso la cornucopia e che quelli di Brittany sono poco più dietro di me, a difendermi.
Afferro tutto ciò che posso tenere con una sola mano e un solo braccio; la coperta che prima era tanto vicina, uno zaino che ho trovato per la strada e che ora è appoggiato sulle mie spalle, una grossa bottiglia piena d’acqua e un sacco di mele.
Quando raggiungo l’ultimo cerchio mi regalo un attimo per osservare ciò che ho intorno, quei ragazzi che in questi giorni mi erano sembrati tanto buoni e gentili adesso si stanno uccidendo a vicenda; lo stesso Sebastian, che io non credevo capace di uccidere, sta estraendo la sua lancia dal corpo esanime della ragazza del 3, Marley.
Torno a concentrarmi sul mio bersaglio e afferro subito il mio gruppo di pugnali; sto correndo verso l’arco notando l’assenza della lancia ospitata dalle mani del mio compagno di distretto quando qualcosa mi colpisce dietro il ginocchio e cado a terra.
Sento il sangue scorrere ma non capisco cosa mi abbia colpito, mi alzo con quanta più fretta possibile voltandomi appena per accertarmi della presenza di Brittany: lei è in piedi dietro di me che si mantiene il braccio sanguinante, ha uno sguardo spaventato fisso su un corpo piegato su se stesso accasciato a terra.
Torno a muovermi e prendo l’arco; ricomincio a correre ma questa volta verso il lato opposto alla cornucopia, verso la pineta, adesso però sono molto più lenta e la mia sembra quasi una camminata.
Brittany mi affianca e, senza sembrare meno spaventata, prende il mio polso e lo trascina via con lei, costringendomi ad andare più veloce di quanto possa andare.
Entriamo nella pineta e siamo costrette a fermarci quasi subito: c’è un immenso calo di temperatura a cui non eravamo preparate.
Raggiungiamo un albero vicino piuttosto nascosto e ci sediamo alla sua ombra, con gli occhi fissi sulla cornucopia e sulle macchie di sangue.
Trovo il coraggio di guardarla in faccia e lei ne trova per guardare me.
«Sei tutta intera?»
«Ho soltanto un graffio, dietro il ginocchio, per il resto tutto bene, tu?»
«Ho qualcosa conficcato nel braccio, non, non riesco a toglierlo.»
Mi fiondo sul suo braccio e tolgo la sua mano dalla ferita.
Resto sbalordita nel vedere un buco piuttosto profondo riempito da una punta di metallo.
«Chi è stato a farti questo?»
Dalla mia voce traspaiono rabbia e terrore.
«Quella del 2… Puoi toglierlo?»
Annuisco debolmente.
«Ma farà male da morire e devi promettermi che non farai rumore»
Lei annuisce prontamente, ma nei suoi occhi continuo a leggere paura.
Prendo il mio pugnale con la punta più sottile e mi costringo a non tremare.
«Chiudi gli occhi»
Lei ubbidisce ed io le fermo il braccio, infilo la punta del pugnale nel buco sulla sua carne e armeggio con essa tentando di estrarre il pezzo di metallo.
Gli occhi di Brittany sono serrati e non sembra aver intenzione di aprirli, tiene una mano in bocca e la morde violentemente per soffocare un grido.
«Ho quasi fatto, ancora un piccolo sforzo.»
Con un gesto agile e veloce la punta balza fuori e così fa il mio pugnale ricoperto di sangue.
«Puoi aprire gli occhi adesso»
Tengo la punta tra le mani e la osservo, per fare un danno di questo tipo si deve essere davvero bravi, beh, adesso sappiamo a chi andiamo incontro.
Brittany alza le palpebre ricominciando a tremare e mi bisbiglia un grazie.
Io apro lo zaino per vedere cosa contiene e per mia grande fortuna c’è anche un piccolo set di pronto soccorso, da cui estraggo una benda e fascio il braccio di Brittany.
«Che altro c’è lì dentro?»
Infilo le mani nel fondo dello zaino e tiro fuori le singole cose: una torcia elettrica; un binocolo con le lenti scure, probabilmente per vedere di notte, una busta di carne secca e delle esche da pesca.
Ricaccio tutto dentro lo zaino e infilo anche la coperta e le provviste.
«Beh, se ci sono le esche ci saranno anche i pesci, quindi ci sarà anche l’acqua»
Non ci avevo pensato, ma almeno c’è una bella notizia in un mare di tante altre brutte.
«Eh già»
Sorridiamo.
«Britt, prima avevi un’aria davvero spaventata… hai visto qulaco-»
Lei mi interrompe bruscamente e il sorriso sul suo volto si spegne.
«E’ stato Blaine a colpirti e… e… »
«E..?»
«E io ho afferrato una balestra che stava vicino ai miei piedi e l’ho colpito in testa»
Resto sbalordita, i suoi occhi diventano lucidi ma le lacrime non iniziano a rigarle il viso come mi aspetterei.
«Ci sono riusciti Santana, mi hanno, mi hanno cambiata»
La stringo tra le mie braccia per rassicurarla e solo così mi accorgo di quanto stia tremando.
«Brittany, sei la stessa ragazza che eri un’ora fa, hai dovuto farlo, ma sei la stessa, non ti hanno cambiata, tu mi hai salvata, se non lo avessi ucciso lui avrebbe ucciso me»
Non credo siano le parole giuste per consolare una persona, ma io non sono pratica.
Brittany stringe le sue mani attorno alla mia vita ed inizia a piangere silenziosamente con il viso poggiato sulla mia spalla.
Io le accarezzo i capelli.
«Shh, andrà tutto bene, siamo insieme, ricordi?»
Dopo qualche minuto alza il viso dalla mia spalla e sia sciuga le guance, che però vengono subito bagnate da lacrime nuove.
«Santana, non stiamo bene qui, dobbiamo andare via, dobbiamo nasconderci»
Tra su con il naso e si alza, tendendomi la mano per aiutarmi a fare lo stesso.
«Sì, hai ragione»
Stringo le sue dita e quando iniziamo a camminare finalmente le sue lacrime non ci sono più.

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Capitolo 11
*** La tana ***


 
Camminiamo per qualche ora avvolte dal freddo guardandoci le spalle a vicenda e senza scambiare una parola.
Mi sento un po’ demoralizzata, ma che cosa mi aspettavo? Siamo nell’arena, di certo non ci metteremo a goderci i nostri ultimi giorni. Di certo, questi saranno i peggiori della nostra intera vita.
Mentre camminavamo abbiamo visto tanti punti che sarebbero andati bene come tana; piccole grotte, alberi enormi e dai rami resistenti, eppure continuiamo a camminare; a sfuggire dal dolore, con la paura che se ci fermiamo lui ci raggiungerà.
Ripenso a Sebastian e alla semplicità con cui uccideva quella ragazza.
Con brutalità e senza pietà, senza preoccuparsi di infierire.
Rabbrividisco.
Come ho mai anche solo potuto pensare di essere sua amica? Di essere sua alleata?
Raggiungiamo l’ennesimo albero grande quanto un palazzo ed io fermo Brittany.
«Credo che qui andrà benissimo»
Lei annuisce, ma non sono nemmeno sicura che stesse ascoltando.
Indico con il braccio un punto in cui i rami si intersecano formando una specie di piattaforma abbastanza ampia per contenerci entrambe e anche abbastanza resistente.
«Ce la fai con il braccio?»
«Credo di si… Vado prima io?»
Annuisco ed inizia ad arrampicarsi.
Passo dopo passo arriva in cima rischiando di cadere più volte scivolando sulla neve caduta sul legno.
Con mia grande sorpresa scopro che da terra non riesco a vederla.
Fantastico.
Se non posso io, non potranno nemmeno gli altri.
Inizio ad arrampicarmi sapendo esattamente dove appoggiarmi, in pochi secondi sono seduta accanto a Brittany, che mi guarda incredula.
«Come, come hai fatto?»
Le sorrido spontaneamente ma è un sorriso piccolo.
«Sono del 7, Britt, io ci sono cresciuta tra gli alberi.»
Si fa sfuggire una risatina e mi sento come se quella risata mi stesse ridando la vita, come se mi stesse pompando il sangue nelle vene.
Ci posizioniamo comodamente e restiamo in silenzio a guardare la neve che ha appena cominciato a scendere di nuovo, non arriverà qui.
Mi concedo finalmente qualche minuto per pensare a tutto… questo.
Cerco dei lati positivi in questa arena ed etichetto la neve come uno di essi: sarà un grosso mantello bianco sotto il quale potremo nasconderci dagli occhi dei nostri nemici.
Dei nostri compagni di distretto.
Poi presto la mia attenzione al nostro albero tana.
Ho visto alberi di tutti i tipi dalla mia nascita, so riconoscere ogni tipo di legno… Tutti tranne questo, che mi è completamente nuovo: dalla forma, al colore.
Mi sento comunque sollevata, ciò significa che qui dentro non ci sono soltanto pini, come avevo creduto all’inizio, ma anche grandi alberi più utili.
Il cielo inizia a scurirsi anche se credo debba essere solo pomeriggio.
La fame inizia a farsi sentire e così apro il mio zaino e prendo una mela.
«Britt, ti va se la dividiamo?»
Lei annuisce.
Prendo un pugnale e divido la mela in due parti uguali, lo pulisco sulla mia maglietta e lo poso accanto a me, non si sa mai, chi può arrivare all’improvviso.
Sto per mangiare l’ultimo morso del mio frutto quando inizio a sentire l’inno di Panem e il piccolo spazio di cielo che vedo da questa posizione si illumina mostrando il numero 3 e il volto della ragazza uccisa da Sebastian in una foto fin troppo grande.
Il sangue mi raggela nelle vene al solo pensiero del suo corpo trafitto dalla lama del mio compagno di distretto.
Anche il ragazzo del 3 appare nel cielo, credo si chiamasse Jesse.
Brittany cerca la mia mano con la sua e quando la trova la stringe impaziente,        quando vede che il morto successivo è la ragazza del 5 tira un sospiro di sollievo, Sam è ancora vivo.
Però il peggio arriva ora.
Brittany chiude forte gli occhi e stringe ancora di più la mia mano, tanto da farmi male, ma io la lascio fare e stringo ancora un po’.
Il viso di Blaine, il ragazzo del 6, appare tra le foglie innevate e quasi riesco ad immaginarmelo mentre mi colpisce poi mentre viene trafitto dall’arma di Brittany.
Vorrei tremare, urlare, ma sto ferma.
Voglio trasmettere a Brittany la mia falsa sicurezza.
Il viso di Blaine scompare ed io faccio segno alla ragazza di aprire gli occhi, la sua stretta si allenta subito sulla mia mano.
In cielo appaiono ancora quella dell’8 e quello del 10, poi il sigillo di Capitol City e l’inno che ricomincia.
Ci sono stati sei morti, siamo già 16.
Solo 15 ostacoli e poi Brittany potrà tornare a casa, peccato che questi ostacoli siano persone.
La guardo per qualche istante e quasi sento il suo cuore battere forte, fortissimo.
Ripenso a pochi istanti fa, quando si è sentita sollevata scoprendo che Sam non è morto ancora.
«Posso farti una domanda?»
Quasi accenna un sorriso.
«Certo.»
Mi schiarisco la voce e raddrizzo la schiena.
«Perché non hai scelto Sam, come alleato?»
Lei alza le spalle, eppure lo so che una ragione c’è.
Continuo a guardarla sapendo che si deciderà a parlare.
«Più ne siamo più soffrirò quando vi lascerò andare»
«Oh andiamo, non ci casco Britt, ci starai male lo stesso quando succederà, quando lui se ne andrà, quindi perché non aiutarvi qui dentro? Questo ragionamento avrebbe più senso se tu avessi rifiutato me come alleata, eppure non l’hai fatto.»
Diventa rossa in viso e abbassa lo sguardo, concentrandolo sulle sue mani che si stanno attorcigliando tra loro.
«Volevo passarli con te, i miei ultimi giorni, con te e con te soltanto»
Mi sento avvampare, nonostante il freddo inizio a sentire caldo, ma non fa solo caldo, dentro di me sento l’ardore di un vero e proprio inferno, un fuoco vivo che non vuole spegnersi.
Le mani mi sudano e con un gesto veloce le asciugo sul pantalone poi ne porto una sotto il mento di Brittany per alzarle il viso.
Per qualche attimo sprofondo nei suoi occhi color mare, le sue guance sono di un rosso acceso, non credo di aver mai visto nessuno così imbarazzato le sorrido e sento l’impulso di annientare la distanza tra noi, una distanza che, per quanto minima, mi sembra ancora troppa.
Mi avvicino un poco e mi costringo a reprimere il forte impulso di baciarla che mi grida dentro.
Mi chiedo se anche lei stia attraversando questa guerra morale.
Se anche lei si stia chiedendo se sia giusto provare certi sentimenti verso un’altra ragazza.
Se anche lei senta il desiderio di baciarmi; di stringermi forte e non lasciarmi più.
Non trovo la risposta a nessuna di queste domande, però adesso so che anche lei prova quello che provo io nei suoi confronti.
«Allora devo confessarti una cosa»
Faccio una pausa e prendo un respiro profondo.
«Sebastian mi aveva chiesto di essere sua alleata, ma gli ho detto di no, perché non volevo affezionarmi»
Un altro respiro profondo, e un altro ancora.
«Ma in realtà, volevo solo te come alleata, volevo solo te al mio fianco fino alla fine.»
Faccio pressione sui pugni chiusi appoggiati avanti a me, mi sollevo leggermente verso di lei e nel silenzio della notte la bacio, più e più volte.
Sarà che non ho mai baciato nessuno, ma questi baci mi sembrano i migliori che si possano desiderare.
Afferro il viso di Brittany tra le mani e lei mi ferma i fianchi dandomi stabilità.
Gli attimi in cui separiamo le nostre labbra per riprendere fiato mi sembrano infiniti e tristi, tutti tranne uno, in cui mi sussurra qualcosa:
«Non sai da quanto tempo aspetto questo momento»
La avvicino a me e la stringo forte, quanto più posso, e i nostri corpi diventano uno, e le fiamme che ci bruciano dentro diventano un solo grande incendio.

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Capitolo 12
*** Acqua ***


 
Dopo essermi offerta di fare il primo turno di guardia ho aspettato l’alba guardando Brittany dormire.
Ogni tanto si agitava: incubi, credo, ma mi bastava accarezzarle i capelli per farla calmare.
Ieri sera non sarei mai riuscita ad addormentarmi, non dopo tutto quello che è successo in quella manciata di minuti.
Mi chiedo cosa stanno pensando di me a casa:
di certo mio padre sarà arrabbiato, crederà che io sia sbagliata, ma mia madre e mio fratello lo staranno convincendo che sono la solita ragazza di sempre.
I miei pensieri, come i sonni di Brittany, vengono interrotti da un colpo di cannone.
La bionda si alza di soprassalto correndo quasi il rischio di cadere.
Si guarda intorno spaventata e respira affannosamente.
«Brutto sogno?»
Mi guarda incerta con lo sguardo triste e vuoto.
«Brutti sogni, direi»
Le mie braccia le offrono conforto e restiamo così per qualche minuto: con lei stretta nel mio abbraccio e nel completo silenzio.
«Lo sai che non potremo restare qui sopra per sempre aspettando che gli altri facciano tutto il lavoro sporco?»
Brittany si è allontanata da me e sta cercando qualcosa nello zaino. Mi sorprende la velocità con cui si è ripresa da una notte così agitata.
Per la prima volta nei suoi occhi vedo una ragazza coraggiosa che sa a cosa sta andando incontro.
Mi sento allo stesso tempo fiera e spaventata da lei, e da quello che potrebbe succederle.
Afferra la bottiglia d’acqua ancora piena dallo zaino e beve qualche sorso, poi me la porge.
«Sì, hai ragione» le rispondo secca.
Prendo la bottiglia dalle sue mani con un gesto veloce senza concentrarmi sul calore che le sue dita mi regalano nell’istante in cui sfiorano le mie.
Bevo lentamente avendo cura di non esagerare: so per certo da anni e anni passati a guardare gli Hunger Games che l’acqua è un bene prezioso, qui dentro.
Ripongo la bottiglia nello zaino con cura.
«Stavo pensando che potremmo andare alla ricerca di un po’ d’acqua, stabilirci su un albero vicino alla fonte e starcene lì… Sarà di certo un punto chiave per il passaggio degli altri tributi che saranno sotto tiro senza nemmeno accorgersene»
Parlo velocemente e in modo sicuro di uccidere tutti quei tributi per mettere alla prova Brittany.
Per accertarmi che la ragazza forte che ho davanti sia solo una maschera per oscurare la sua vera dolcezza, mi rifiuto di pensare che in una sola notte si possa essere trasformata nella pedina che tanto temeva di diventare.
«Forse…Forse hai ragione»
Il suo sguardo è incerto.
Non è quello che vuole fare.
Non è quello che voglio fare io.
Ma forse è l’unico modo per andare avanti, per sopravvivere.
«Abbiamo una strategia?»
Indugio qualche istante.
«Lo so che non è ciò che vuoi, uccidere a sangue freddo»
Faccio una breve pausa concentrandomi sulle ombre delle foglie tracciate ai nostri piedi da deboli raggi di sole.
«E non è nemmeno quello che voglio io ma…»
«Ma non abbiamo scelta»
Brittany conclude al posto mio e si alza in piedi.
Non ho bisogno che me lo dica per averne conferma, l’ho delusa.
Inizia a piegare la coperta per poterla riporre nello zaino.
«Non devi farlo per forza»
Si gira di scatto mossa da quel verbo al singolare.
«Però tu lo farai»
I suoi occhi mi fulminano e mi appaiono di ghiaccio.
Torna a concentrarsi sulla coperta.
«Possiamo trovare un altro modo… Siamo solo nostre giusto?»
Con forza, Brittany richiude lo zaino adesso completamente pieno.
«Già, e quale altro modo Santana?»
Quasi urla, i suoi occhi sono arrabbiati e mi spaventano come mai avrei creduto avrebbero potuto fare.
«Perché ti stai comportando così?»
Le afferro il polso, non so perché lo faccio, ma mi viene istintivo.
La tengo stretta e mi diventa impossibile non accorgermi di quanto stia tremando.
«Così come, Santana?»
La sua voce si spezza nel dire il mio nome, sta cadendo a pezzi davanti a me ed io contribuisco solo alla sua distruzione.
«Oh andiamo Brittany, lo sai benissimo»
Perché non posso soltanto abbracciarla? Porre un freno a tutte le sue preoccupazioni e dirle che andrà tutto bene?
«Ho capito come stanno le cose.»
Mi risponde schietta, e all’improvviso mi è chiaro perché non posso: perché non è vero.
Le cose non andranno tutte bene.
Una di noi due, se non entrambe, morirà nei prossimi giorni.
Saremo costrette a dire addio alla nostra umanità, come se non avessimo già perso abbastanza.
Brittany si posiziona lo zaino sulle spalle e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, scende silenziosa dal nostro albero.
Io la seguo a ruota e senza dire una parola ci dirigiamo entrambe verso il lato opposto da cui siamo venute.
Abbiamo la cura di camminare all’ombra di grandi alberi e di lasciare meno impronte possibile; qualcun altro, prima di noi, non ha preso le stesse precauzioni, lasciando impresse nella neve le forme di piccoli piedi.
I nostri sguardi non si incrociano nemmeno una volta, continuiamo a guardarci intorno in cerca di un nemico, o di un po’ d’acqua, ma di certo non in cerca dell’altra.
**
Passano le ore e troviamo soltanto alberi, alberi e neve.
Almeno fino a quando non sentiamo un forte rumore in lontananza, verso est, dove portano le piccole impronte ora quasi invisibili sul mantello di neve.
Per la prima volta ci guardiamo: Brittany ha lo stesso aspetto spaventato che credo di avere io; abbiamo tanto parlato di uccidere ma adesso che questa possibilità si fa così vicina abbiamo paura di affrontarla.
Brittany si guarda intorno sconcertata, poi, dopo qualche istante, indica un albero alla sua destra ed inizia ad arrampicarsi.
Mentre raggiunge un ramo nascosto dalle foglie e dalla neve io cancello le nostre impronte, poi la seguo sul tronco.
L’albero che abbiamo appena scalato è alto e dai rami non troppo robusti: per fortuna, sia io che lei non siamo poi così grosse.
Ci siamo appena sistemate su un ramo più resistente degli altri quando sentiamo l’urlo di una ragazza e poi un colpo di cannone, delle risate deboli e dei passi che si fanno sempre più vicini.
Il battito del mio cuore si fa forte e dalla mia fronte iniziano a scivolare goccioline di sudore.
Tengo gli occhi fissi sulla neve sotto di noi e tremo, spaventata dal gruppo che sta per raggiungerci.
Le dita di Brittany stringono le mie in un gesto che mi infonde tutta la sicurezza di cui ho bisogno.
Nell’istante stesso in cui i nostri corpi vanno a contatto smetto di tremare e quasi non sono più spaventata.
Guardo Brittany: mi sorride.
Ricambio mimando un «Grazie» con le labbra.
Nel giro di un minuto il gruppo dei favoriti è ai nostri piedi.
Da qui, potremmo ucciderli velocemente senza troppa difficoltà, ma chissà perché, questa idea non sfiora né la mia mente né quella di Brittany.
Riconosco quelli dell’1: Quinn e Finn, quelli del 2: Kitty e Noah e poi un altro ragazzo.
Sam.
Tutti gli danno pacche sulla spalla e si congratulano con lui.
Questa volta sono io a dover tranquillizzare Brittany.
Penso alle parole che mi ha rivolto lei ieri sera, al fatto che volesse solo me come alleata, e non riesco a immaginarmela in quel gruppo, sotto di me, a ridere e a congratularsi con il suo compagno di distretto perché ha appena ucciso qualcuno.
All’improvviso mi è chiaro il motivo per cui non ha scelto di stare con Sam: lei non vuole essere una favorita, non vuole essere costretta a uccidere.
Il gruppo si allontana verso il lato da cui proveniamo e il compagno di distretto di Brittany è l’ultimo della fila.
Prima di andare ci lancia uno sguardo preoccupato, ma anche felice.
Lo sapeva.
Sapeva che eravamo qui ma non ha detto niente.
Mi sento rassicurata dal bene che lui prova verso Brittany, non so fino a quanto la proteggerò, ma se io dovessi fallire nel mio intento, forse potrebbe provarci lui.
Le voci dei favoriti sono solo un brusio quando scendiamo dall’albero ormai tranquille.
Proseguiamo verso il lato da dove venivano i favoriti, di certo non ci torneranno.
La tensione che c’era tra me e Brittany si è sciolta su quell’albero, quando abbiamo deciso silenziosamente di nasconderci, invece di attaccare.
Il silenzio però persiste.
«Non volevi stare con i favoriti, per questo sei mia alleata adesso?»
La mia voce risuona triste.
«Non volevo essere una favorita, sì, ma non è per questo che sono tua alleata, ne abbiamo già parlato.»
Alzo le spalle, però non dovrei, mi fido abbastanza di Brittany da crederle.
Durante la strada abbiamo mangiato una seconda mela e bevuto ancora un po’, la nostra bottiglia è piena solo per metà adesso.
Il cielo è quasi scuro quando sentiamo il frusciare dell’acqua in lontananza.
Io e Brittany ci guardiamo, ci scambiamo un sorriso e poi iniziamo a correre verso l’acqua, per quanto il silenzio che cerchiamo di mantenere ci permetta.
In pochi secondi ci fiondiamo a terra con le mani immerse nell’acqua: è fredda ma, stranamente, il torrente non è ghiacciato.
Brittany si butta in acqua ed io rimango fuori a fare da guardia.
Dopo un po’ esce infreddolita ed io prendo il suo posto nell’acqua.
E’ una sensazione bellissima, non sopportavo più tutto lo sporco che avevo addosso.
Mi lavo il volto ed inizio a bere, senza la voglia di smettere, mi sembra di svuotare il torrente.
Anche io esco dall’acqua e mi siedo accanto a Brittany su un grande masso, non sembra avvicinarsi nessuno, e se anche fosse, saremmo pronte a difenderci, ci sentiamo forti.
«Dovremmo continuare sulla linea del torrente e fermarci quando troveremo un altro nascondiglio»
suggerisce «Mi sembra perfetto»
Prendo un pugnale e lo tengo nella mano destra: stiamo camminando in un punto di passaggio, chiunque potrebbe vederci e attaccarci adesso, ma la cosa non ci importa.
Con la mano libera stringo le dita di Brittany tra le mie.
Camminiamo per poco, imbattendoci in una freccia ed un bel po’ di neve sporchi di sangue, è qui che devono aver ucciso quella ragazza.
Deglutisco a fatica.
E’ qui che Sam ha ucciso quella ragazza, penso.
Stringo più forte la mano di Brittany per offrirle sostegno, lei prende la freccia e la pulisce nelle acque limpide del torrente, poi la inserisce nella sua faretra e continuiamo.
Proseguiamo per qualche minuto e poi troviamo un albero molto simile a quello dove abbiamo trascorso la notte precedente, ci accampiamo lì, sul solito intreccio di rami forti.
Quando sento l’inno e vedo lo stemma di Capitol City brillare nel cielo so per certo che Sam è ancora vivo, non abbiamo più sentito colpi di cannone dopo l’ultimo, ma mi scopro preoccupata per Sebastian, dopotutto, all’alba, questa mattina, abbiamo sentito un colpo.
Emetto un sospiro di sollievo nel notare che il primo morto è del distretto 9, un ragazzo di nome Kurt, seguito a ruota dalla ragazza uccisa da Sam, Sugar, dall’11.
Mi soffermo sui suoi lineamenti dolci, sulla sua pelle chiara e sui suoi capelli quasi rossicci, non sembra del distretto dell’agricoltura.
 
SPAZIO AUTRICE:
Questo capitolo non mi convince proprio per niente, però non lo so, ho voluto pubblicarlo lo stesso, credo perché so che nn avrei potuto fare di meglio, ho una specie di blocco e non sapevo come continuare, e quindi le ho fatte camminare. Fatemi sapere che ne pensate con una recensione, grazie per il vostro tempo <3
--Sara

 

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Capitolo 13
*** Paura di perderla ***


Quando mi sveglio la mattina sono sopraffatta dal terrore: lei non è accanto a me.
Esco da sotto le coperte e salto in piedi, in un secondo sono già alla base dell’albero.
Non le è successo niente, mi sarei svegliata al suono di un colpo di cannone, mi dico per rassicurarmi. Non funziona.
Sono  un fascio di nervi e senza preoccuparmi di tutto il rumore che faccio cerco Brittany; non ci sono impronte nella neve, non so dove andare.
«Brittany!»
Chiudo le mie mani a cono attorno alla bocca e grido il suo nome, una, due, tre volte e poi tante ancora.
Le lacrime mi inondano il viso, non m’importa del freddo, non m’importa essere trovata, non ha più senso sopravvivere se lei non c’è.
«Brittany!»
Grido ancora, sempre più forte, con la gola in fiamme e le parole che mi si spezzano in bocca.
«Stai zitta! Vuoi farci trovare!? Muoviti, torna indietro, ci staranno già raggiungendo tutti a quest’ora!»
La voce di Brittany mi rimprovera ma io non presto ascolto alle sue parole.
E’ viva. E’ dietro di me. Sta bene.
Le corro incontro e la chiudo tra le mie braccia, accanto ai nostri piedi, Brittany ha posato un enorme gruppo di pesci.
Appoggio la testa sulla sua spalla e singhiozzo.
«Non farlo mai più! Ho avuto tanta paura!»
Lei mi accarezza i capelli e mi rassicura.
«E’ tutto apposto… Ma ora dobbiamo andare via di qui prima che arrivi qualcuno»
Mi stacco da lei e annuisco asciugandomi le lacrime.
Io continuo ad essere sempre più debole mentre lei diventa sempre più forte, perché sono diventata fragile solo in pericolo di morte?
Prendo dalla neve qualche pesce e torno verso l’albero tana velocemente.
Io mi arrampico prima di Brittany e lei mi segue a ruota.
Una volta nascoste io poso i pesci in un angolo accertandomi che non cadranno e mentre ho le mani ancora nel mucchio lei mi abbraccia.
«Mi dispiace tanto, non avrei dovuto farlo»
Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare da quel momento.
Mi costringo ad aprirli solo quando sentiamo il rumore di passi sotto di noi.
«Muoviti Puckerman! Le grida venivano da qui!»
Quinn grida rivolta ad un gruppo di alberi dietro di lei.
Brittany si sporge leggermente indietro silenziosamente accertandosi di essere nascosta agli sguardi del gruppo di favoriti.
A quanto pare, li guarderemo sempre dall’alto.
Ben presto il resto del gruppo attraversa un ammasso di cespugli e affianca la bionda.
Sam ha uno sguardo terrorizzato, sa benissimo che se ci trovassero non avremmo speranza, ucciderebbero Brittany e me in meno di un secondo, la cosa che non sa però è che non ci troveranno.
Giusto?
Sbagliato.
«La sentite questa puzza di pesce?»
«Finn, la vedi l’acqua accanto a noi oppure no?»
La bionda è ostile e acida, la paura che ho provato nel vedere i suoi occhi in Tv il primo giorno la risento adesso, dieci, cento e mille volte amplificata.
«No, no, non è quello… E’ più vicino…»
Il ragazzo è proprio sotto di noi, adesso.
Potrei ucciderlo con il rapido gesto di una mano, ma non sono sicura di volerlo, di voler dare ai favoriti ovvia dimostrazione di dove siamo, di volerlo uccidere.
Per fortuna non può vederci da lì giù, ma se il suo fiuto è così affidabile potrebbe decidere di arrampicarsi… E in quel caso?
Serro le dita della mano destra attorno al manico di un pugnale, Brittany posiziona il suo arco e una freccia.
Entrambe siamo spaventate, ma nessuna delle due dimostra di esserlo.
Siamo davvero diventate pronte a uccidere così in fretta?
Basta mettere la nostra vita in pericolo per trasformarci in brutali assassine?
No. Basta mettere in pericolo la vita dell’altra.
«Viene dall’albero!»
Un brivido mi attraversa completamente, Finn ha appena scovato il nostro nascondiglio.
Con voce tremante Sam cerca di dissuaderlo
«Saranno degli uccelli appena usciti da un delizioso pasto, credete davvero che non sarebbero corse via dopo essersi fatte trovare?»
Finn alza le spalle.
«Beh, lo sapremo subito»
Fa per arrampicarsi ma ai primi passi scivola sulla neve e cade a terra.
Il gruppo scoppia a ridere e io e Brittany ci troviamo a sopprimere la stessa risata.
«Lascia stare, vado io»
Sam sposta il ragazzo appena rialzato e si arrampica sull’albero.
In qualche secondo è davanti ai nostri occhi, con le armi puntate addosso.
Io e Brittany abbassiamo la guardia.
«Non c’è nessuno qui su!»
Sam grida verso il basso.
Mimo un «grazie» con le labbra e lui è già a terra, che si dirige verso il punto da cui veniva seguito dai favoriti.
Io e Brittany posiamo le armi solo quando non sentiamo più alcun rumore e ci lasciamo sfuggire un sospiro di sollievo.
«E’ già la seconda volta che ci salva la vita, non sopravvivremmo un solo giorno senza di lui qui dentro!»
Entrambe scoppiamo a ridere.
«Sai, Brittany, per quanto possa piacermi il pesce, ti prego, non pescarne più»
Lei sorride e poi ripone con cura il suo arco in un angolo.
«Come lo mangeremo?»
Scuoto la testa, poi accenno un sorriso e guardo verso l’alto:
«Sai Will, forse adesso potresti mandarmi un forno a microonde»
Faccio l’occhiolino e torno a concentrarmi su Brittany, agli spettatori sarà piaciuto, magari verremo premiate, in qualche modo.
Continuiamo a scherzare e quando arriva la sera, insieme alla pioggia, decidiamo che è il momento adatto per accendere un fuoco; tra le nuvole, il buio e l’acqua, nessuno farà caso a noi.
Silenziosamente scendo dall’albero e raccatto qualche rametto, mentre dall’alto Brittany tiene l’arco pronto per ferire chiunque mi si avvicini troppo.
Accendo il fuoco nella nostra tana in pochi secondi, Brittany resta sbalordita.
«Sai, questo è il genere di cose che impari quando cresci nel 7, come tu hai imparato a pescare nel 4»
Le sorrido ed inizio ad arrostire i pesci; li cuocio tutti, non so quando avremo l’occasione di accendere un fuoco di nuovo.
Per la prima volta da quando siamo nell’arena abbiamo un pasto decente: due pesci a testa e acqua a volontà.
Questa sera, quando il cielo si illumina e parte l’inno di Panem, vediamo solo il sigillo di Capitol City, nessun viso, nessun numero, nessun morto.
Giornata fiacca per gli strateghi, domani sarà più difficile, se non ci saranno morti, troveranno il modo di farne qualcuno.

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Capitolo 14
*** Mostro ***


L’unico punto nell’arena dove non ci sono alberi, oltre la cornucopia, è qui.
Sono sdraiata a terra, sulla neve sporca di sangue, del mio sangue.
Un taglio lungo almeno venti centimetri mi ridisegna la coscia sinistra, colorando il bianco che mi circonda di rosso vivo.
E’ buio ma ci vedo perfettamente: gli alberi intorno a me si innalzano e si estendono fino al campo di forza, ovunque esso sia; l’inno di Capitol City risuona nelle mie orecchie doloranti, forse ferite; il corpo di Sebastian è proprio sopra di me, con il mio ultimo pugnale in mano pronto a sgozzarmi.
Cerco di alzarmi ma sono bloccata, il peso del corpo del mio compagno di distretto mi schiaccia al suolo con brutalità.
Provo a muovere le braccia, o le gambe, ma anche esse sono immobilizzate.
Riconosco il viso di Brittany proiettato nel cielo a dimensioni eccessive.
Il mio cuore si ferma per degli attimi infiniti ma quando ricomincia a battere preferirei che non lo avesse fatto:
diventa tutto più difficile con il cuore spezzato.
Mi viene da piangere, ma non piango; sento le lacrime rigarmi il viso ma le mie guance sono asciutte.
Smetto di combattere.
«Che c’è Lopez, ti sei già stancata?»
Sebastian quasi non presta attenzione a me, accarezza il pugnale con le dita e sorride in modo agghiacciante e questa volta i suoi sorrisi fanno male, tanto male.
«Brittany»
Con gli occhi semi chiusi e la visuale offuscata da macchie di sangue provo a sussurrare il suo nome ma non emetto alcun suono; le mie labbra non si muovono.
Fallo, ti prego fallo adesso, non posso più vivere così.
Lo ripeto più e più volte nella mia mente, ma lui continua a giocare con il mio pugnale senza provare a farmi del male.
Per favore basta.
Sento dentro di me la mia voce interrotta dai singhiozzi che crescono.
Basta. Basta. Basta.
Posa la punta del pugnale sul mio viso e ne percorre il perimetro facendo attenzione a non ferirmi con la lama.
Smettila ti prego, non farmi soffrire ancora.
La mia voce fa eco dentro di me, ma non fuori, no.
Il pugnale si posa sotto il mio mento e con un po’ di pressione Sebastian mi costringe ad alzare il viso.
Lo guardo negli occhi forse per la prima volta e riesco a provare solo disgusto verso l’essere che ho davanti.
L’essere che ha smesso di essere un uomo nell’istante stesso in cui la sua lancia ha perforato il petto di Marley, il primo giorno, alla Cornucopia.
Rivolge un rapido sguardo al cielo, dove il viso di Brittany continua a brillare nonostante sia lì da troppo, troppo tempo.
«Sai, quando l’ho uccisa non la smetteva di gridare il tuo nome, era così fastidiosa, è stato rilassante trafiggerla, sentire finalmente il silenzio.»
Scoppia a ridere ed ogni singolo rumore che emette mi perfora il cuore sempre di più.
«Lei non vale le tue grida?»
Immagino il mio pugno sollevarsi e colpire in pieno il suo viso, il suo corpo alzarsi di scatto dal mio e buttarsi indietro, il suo sangue mischiarsi con il mio sulla neve bianca, potrei batterlo in un corpo a corpo?
Provo a sollevare il pugno ma resto immobile, provo ancora e ancora e ancora, ma la mia condizione non cambia.
Il braccio destro di Sebastian si alza e prende la mira.
«Ti rivelo un segreto Lopez… Sei quella che mi mancherà di più.»
Chiudo gli occhi e finalmente riesco a fare qualcosa.
Grido.
«Santana! Santana! Stai calma! Va tutto bene»
Apro di nuovo gli occhi e sono sull’albero tana, sdraiata con Brittany seduta accanto che mi guarda preoccupata.
Un sogno, era solo un sogno.
Brittany mi stringe tra le sue braccia e mi rassicura.
Sento le guance bagnate e il corpo che trema, da quanto tempo sto andando avanti così?
«Io… Io…che cosa è successo?»
Mi allontano leggermente da Brittany.
«Stavi dormendo e poi hai iniziato ad agitarti e a piangere e a sussurrare frasi… Hai detto, hai detto che non riuscivi più a vivere in questo modo…Che cosa hai sognato Santana?»
Mi schiarisco la voce e mi asciugo le lacrime.
«Ho sognato che Sebastian ti aveva ucciso e stava provando ad uccidere anche me»
L’ombra di un sorriso rassicurante cresce sul viso di Brittany.
«Ci conviene andar via, adesso, hai gridato tanto, potrebbero trovarci.»
Annuisco debolmente e piego la coperta infilandola nello zaino.
Bevo qualche sorso d’acqua e poi scendiamo dall’albero.
Io avanti e lei dietro, armi pronte e guardia alzata, camminiamo veloci e in silenzio lungo il corso del fiume, sperando di nasconderci tra gli alberi e la neve.
In ogni attimo mi ritrovo a pensare al mio sogno, e al perché il tributo che minacciava di uccidermi fosse proprio Sebastian.
Perché non Finn? O Quinn? O Noah?
Non ho nemmeno il tempo di trovare una risposta perché qualcosa vola di fianco al mio viso: una punta di metallo come quella che Quinn conficcò nel braccio di Brittany al bagno di sangue è bloccata nel legno di un albero davanti a me.
Sento altri rumori ma non registro ciò che accade, sento il colpo di un cannone, vedo una massa grigia cadere a terra e poi i capelli di Brittany che svolazzano davanti ai miei occhi.
Quando focalizzo meglio Brittany sta estraendo una sua freccia dalla testa di Mike, il ragazzo asiatico dell’8.
Posa la freccia sporca di sangue nella sua faretra e si volta verso di me.
I suoi occhi sono vuoti e lei è impassibile.
Mi affianca e mi supera; io resto immobile.
«Siamo troppo visibili qui, dobbiamo addentrarci nella pineta.»
Brittany si avvia verso la massa di alberi innevati ed io mi costringo a seguirla.
La naturalezza con cui ha ucciso quel ragazzo mi ha scosso davvero tanto.
Stacco la punta di metallo dall’albero difronte a me e dopo averla inserita nello zaino mi affretto a raggiungere Brittany.
La fisso per qualche istante, sembra la stessa ragazza di dieci minuti fa, ma non può decisamente essere la stessa; quella ragazza non sarebbe mai riuscita ad uccidere così qualcuno restando impassibile.
Questa non è la mia Brittany, la ragazza che avrebbe fatto di tutto pur di non essere vittima di questi giochi.
«Non hai niente da dire Brittany?»
Alza le spalle e mi supera.
 «Ti ho salvata, se non lo avessi ucciso lui avrebbe ucciso te, ricordi?»
Le sue parole bruciano come sale su una ferita aperta.
«Oh no Brittany. Tu non mi hai salvata, hai soltanto contribuito alla creazione di una pedina di Capitol city dentro di te»
Si blocca improvvisamente e quasi le inciampo addosso.
Distende le braccia sui fianchi e serra i pugni.
«Se non mi sbaglio però tu sei ancora viva perché io ho ucciso quel ragazzo.»
«Già, ma a quanto pare a te non interessa di averlo ucciso.»
Questa volta sono le mie parole che bruciano, bruciano per lei.
E bruciano perché sono vere, sono vere e lei lo sa, ma ha paura di ammetterlo, ha paura di ammettere ciò che è diventata, un mostro.
Fa qualche respiro profondo e poi si gira verso di me.
I suoi occhi chiari mi terrorizzano e per un attimo mi sembra di avere davanti il Sebastian che nel mio sogno stava cercando di uccidermi.
Rabbrividisco al solo pensiero.
«E’ la sopravvivenza Santana, o tu o lui, solo uno sopravvive, ho scelto che dovevi sopravvivere tu, fattene una ragione.»
Torna a girarsi e ricomincia a camminare, la sua non era una risposta, lo sa che la sua era solo una scusa.
Le corro dietro e le afferro il polso costringendola a girarsi e a guardarmi negli occhi.
Vorrei evitare il suo sguardo ma non lo faccio, al contrario immergo i miei occhi nei suoi sapendo che se scavo troverò la ragazza per cui sarei disposta a morire.
«Lo sai benissimo che non è così!  Lo sai benissimo che ho ragione!»
Vorrei gridarle quelle parole con rabbia ma so che non andrebbero a nostro favore, così quello che viene fuori è poco più di un sussurro.
Con uno strattone si libera dalla mia presa ma non se ne va, resta ferma davanti a me e per qualche istante penso che non voglia dire nulla.
«Che cosa c’è di diverso questa volta? E’ la stessa situazione del primo giorno, ho ucciso lui come ho ucciso Blaine.»
Il suo tono è freddo, agghiacciante.
Scuoto la testa.
«No che non è così! Cazzo Brittany ma non te ne accorgi? Quando hai ucciso Blaine te ne sei pentita, sei diventata triste e spaventata, lo avevi fatto per necessità ma non lo volevi davvero, questa volta, invece, tu volevi ucciderlo.»
Faccio un respiro profondo.
«Te lo ricordi quello che mi hai detto quel giorno al entro di addestramento? Mi hai detto che potevamo scegliere di non essere solo dei tributi, mi hai detto che questi giochi non ci avrebbero cambiate per forza, mi hai detto che però avevano già cambiato me…
Beh, guardati Brittany, io sono ancora la stessa, sei tu che sei diventata un’assassina»
Colpito e affondato.
«Io non sono una pedina! Io sono più che un tributo! Io sono una persona, Santana, e in quanto tale l’istinto di sopravvivenza è e sarà sempre parte di me! Anche tu dovrai uccidere qualcuno, ma non l’hai ancora fatto e tu… Tu non sai cosa si prova, cosa si prova a veder finire la vita di qualcuno per mano tua, non sai il dolore che provoca, non lo sai che fa più male a te che a lui!
Ma a un certo punto si è costretti a scegliere, si è costretti a scegliere se ignorare il dolore o se lasciarsi sopraffare da esso.
Io ho scelto di ignorarlo e non puoi farmene una colpa, perché tu non lo sai che cosa provo ogni volta che quel cannone suona per colpa mia.»
Sento che potrebbe scoppiare a piangere da un momento all’altro e che io potrei fare lo stesso, ma restiamo entrambe impassibili.
Lo so che dovrò uccidere qualcuno se voglio che lei sopravviva, ma se è questa la parte di lei che sopravvivrà allora non sono più sicura di voler salvare lei al mio posto.
Però dovrò uccidere lo stesso e vorrà dire che sarò costretta a fare la scelta che ha fatto lei, ma di certo io non ignorerò il mio dolore, se significa diventare questo.
«Dovresti poterti vedere dall’esterno Brittany, non lo sai quanto sei diversa adesso, però a qualcosa è servito tutto questo, almeno adesso so che quando ucciderò qualcuno, non sceglierò quello che hai scelto tu. Io non lascerò che mi cambino, e non dovresti nemmeno tu, pensaci.»
Mi volto velocemente senza aspettare di vedere la sua reazione, mi avvio verso il lato opposto a dove eravamo dirette prima e mi addentro nella pineta.
Non so quanto possa essere furbo separarci, ma sento che non riuscirei nemmeno a guardarla, in questo stato.
Esamino tutte le mie alternative attentamente; forse potrei tornare indietro… No, non potrei, non sarò così debole.
Potrei attaccare, potrei cercare qualcuno dall’alto, utilizzando gli alberi come sentiero e come nascondiglio, fino a quando non avrò trovato tutte le mie vittime e le avrò eliminate tutte.
No, è fuori discussione, io non ne sarei capace, ho capito che non riuscirei ad uccidere qualcuno senza un motivo di vitale importanza.
Potrei cercare un nascondiglio, mettermi lì e mangiare mele e carne secca fino a quando non resteranno solo pochi sopravvissuti.
Mi blocco improvvisamente, il pugnale che tengo in mano per difendermi da eventuali attacchi quasi mi scivola dalle dita.
Lo zaino con tutte le provviste è con Brittany.
L’ho lasciato a terra, nel posto in cui l’ho vista per l’ultima volta.
Sento il sangue raggelare nelle mie vene, adesso dovrò tornare al fiume, dovrò trovarmi un albero e non dovrò muovermi da lì, dovrò cacciare e accendere fuochi, rischiando di essere trovata.
Ma che cosa ho fatto? Adesso morirò, non avrei mai dovuto lasciarla, mai.
Un’altra idea mi colpisce e avrei preferito che non lo avesse fatto, perché adesso questa ipotesi mi sembra l’unica possibile e mi terrorizza.
Sarò costretta a cercare Sebastian, lui accetterà di avermi come alleata.
Sarò costretta a guardare quegli occhi che questa notte mi hanno tanto terrorizzata con la pura che possa uccidermi da un momento all’altro.
Sarò costretta a farlo, se voglio sopravvivere, e voglio.

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Capitolo 15
*** Un nuovo alleato ***


Cerco di pensare come Sebastian: lui ha senz’altro optato per l’attacco.
Decido che può essere solo in due posti: alla cornucopia o lungo il torrente, è lì che i tributi sono costretti ad andare; alla cornucopia per armi o forse provviste, e al torrente per l’acqua.
Decido che lo cercherò prima vicino al torrente, forse non rischierò di incontrare i favoriti, non credo che Sam mi difenderebbe, se scoprisse che ho abbandonato Brittany.
Mi incammino subito, non ho intenzione di perdere tempo e di ritrovarmi a patire la fame, o la sete.
Raggiungo il punto in cui mi sono separata da Brittany, so raggiungere il fiume, da lì.
Resto immobilizzata e i ricordi di poco meno di un’ora fa raffiorano insistenti.
Mi immagino la corazza di Brittany spezzarsi nel vedere il mio corpo andare verso gli alberi e le lacrime scendere sul suo volto.
Me la immagino indecisa, non convinta di voler andare via senza di me.
E poi la immagino mentre si asciuga le lacrime con una manica e prende lo zaino da terra, dirigendosi verso il lato opposto a quello che ho scelto io.
Chiudo gli occhi anche se non dovrei, perché significa abbassare la guardia, permettere a qualcuno di farmi del male.
Mi abbasso e stringo la neve tra le mani, senza muovere le palpebre.
Non avrei dovuto lasciarla, non avrei dovuto farlo, adesso morirò, o morirà lei, insieme eravamo indistruttibili, da sole, siamo dei bersagli pronti per essere colpiti.
E all’improvviso tutti i bei ricordi che ho con lei mi travolgono; quando ci siamo conosciute sul tetto, quando ci siamo allenate insieme, quando ci siamo baciate.
Ed è troppo.
Mi lascio cadere sulla neve di peso e finalmente apro gli occhi, rivolgendoli nella direzione in cui è andata lei.
Forse è cambiata, forse non è più la ragazza che amo, ma la ragazza che amo mi manca da morire, e non avrei dovuto abbandonare ciò che è diventata, non avrei dovuto.
Faccio per andare verso la direzione che deve aver seguito lei ma quando mi alzo in piedi mi blocco.
Si, la amo, ma non esiste più.
Mi volto di scatto serrando la presa attorno al manico del mio pugnale e mi dirigo silenziosa verso il torrente.
Cammino per un paio d’ore seguendo la forma stravagante dell’acqua senza imbattermi in nessuno, eccetto qualche uccellino di tanto in tanto.
Mi rassegno all’idea che non troverò mai Sebastian così, e mi costringo a cercare un’alternativa.
Potrei percorrere il lato del torrente chiamando il suo nome e se è qui vicino verrà da sé.
No, attirerei l’attenzione dei tributi su di me, e non è esattamente ciò che voglio adesso.
Potrei cercare dall’alto, passerei tra un albero e un altro per avere una visuale più completa; userei le complicate intersecazioni dei rami come ponti, sarei veloce, sarei al sicuro perché nessuno riuscirebbe a prendermi, sono cresciuta tra gli alberi e la cosa non smette di sembrarmi sempre più utile, qui dentro.
Nel giro di un secondo sono sulla cima del primo albero che mi è sembrato adatto.
Salto da un tronco a un altro, nascosta alla vista di tutti dalle foglie e dalla neve e dai rami.
Mi sento leggiadra, libera, felice.
La mia casa è la natura, sono gli alberi, e non posso fare altro che sentirmi a mio agio qui su.
Mi rendo conto che anche per Sebastian il nascondiglio migliore è qui, tra le foglie, alche lui è nato e cresciuto nei boschi.
E poi, in una frazione di secondo, gli cado addosso.
Su un albero simile a quelli che io e Brittany usavamo come tana, Sebastian mi fissa incredulo.
Lui è sdraiato a terra sotto il peso del mio corpo.
Come ho fatto a cadere così?
Divento imbarazzata e mi sento avvampare, il mio viso diventa rosso, lo so.
Mi alzo frettolosamente e faccio per pulirmi i vestiti con le mani, nonostante non siano sporchi.
Ci sediamo a terra, una difronte all’altro.
«Ci ho ripensato, se la tua offerta è ancora valida, ci terrei ad essere tua alleata.»
Lo guardo dritto negli occhi e questa volta non mi spaventano, sembrano quasi…felici?
«La tua ragazza è già morta? Era per lei il cannone di questa mattina?»
Scuoto la testa.
«Allora perché sei qui?»
«Questa non è una risposta alla mia domanda»
Sospira cercando di apparire rassegnato.
«Se non ti volessi come alleata, saresti già morta Lopez, congratulazioni, fai parte della mia squadra.»
Un peso mi libera le spalle, forse posso ancora farcela, forse posso ancora tornare a casa, forse non tutto è perduto.
«E adesso rispondi tu, alla mia domanda.»
Faccio un respiro profondo e decido che non gli mentirò.
«Brittany è cambiata…Non è più la stessa e non riuscivo più a stare con lei.»
Taglio corto anche se ci sarebbe molto di più da dire.
Sebastian scuote la testa.
«Ti prego, continua, sarò il tuo psicologo gratuito!»
Entrambi scoppiamo a ridere e mi sembra di rivivere quegli ultimi giorni al centro di addestramento, quando credevo di aver trovato un amico in lui.
Decido che confidarmi non potrà farmi del male, dopotutto, l’ho già fatto prima.
E così gli racconto tutto, dall’ultima sera sul tetto al bagno di sangue, al bacio, ai litigi, a Sam, a Mike…
E lui ascolta, ascolta sempre, non ho mai trovato ascoltatore migliore.
«Quindi, che ne pensi?»
Dico titubante, una volta finito.
Temo che possa iniziare a ridermi in faccia, a dire che i miei problemi sono davvero stupidi, se si considera che siamo nell’arena, e avrebbe anche ragione, ma non lo fa.
Ma il suo giudizio è molto, molto, molto peggio.
Il suo giudizio non mi farà dormire per giorni, mi farà restare sveglia a chiedermi se ho fatto la scelta giusta questa mattina, e alla fine, troverà anche una risposta: no.
«Io penso che lei abbia ragione, ho ucciso quella ragazza, Marley, e tu non immagini nemmeno quanto possa essere doloroso. Certo, forse all’inizio mi sono fatto prendere dalla gioia di un nemico in meno, ma a quale prezzo? Ho ucciso una persona, e con lei tutte le persone che amava, tutta la loro speranza, tutto.»
Guarda per un attimo in basso, sulle sue gambe incrociate sul legno asciutto.
«Io stesso mi sono ritrovato davanti a quella scelta, e quando ti ci ritroverai anche tu capirai che in realtà non c’è un bel niente da scegliere: devi andare avanti, e non puoi lasciare che il dolore ti corroda, così decidi che non gli darai la possibilità di farlo.»
Faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi.
Per l’ennesima volta immagino Brittany che riprende lo zaino, se lo mette in spalla asciugando le lacrime e si addentra nella pineta.
Spalanco gli occhi spaventata dai ricordi.
«E così aveva ragione lei, ha sempre avuto ragione lei, e io l’ho lasciata andare, l’ho mandata a morire.»
Faccio una pausa e mi ritrovo a costringere le lacrime a non uscire, mi guardo le mani e tremano visibilmente, le stringo tra loro perché Sebastian non lo noti.
«Dovevamo passare i nostri ultimi giorni insieme, era la nostra sola promessa, e io l’ho rotta. L’ho rotta.»
In questo momento vorrei tanto che qualcuno mi stringesse tra le sue braccia e mi dicesse che quella non è stata l’ultima volta che ho visto Brittany nella mia vita, e non m’importa, quel qualcuno potrebbe anche essere Sebastian.
Però lui non mi stringe tra le sue braccia e non mi rassicura, non è il genere di cose che fa.
Si alza in piedi e raggiunge il bordo dei rami che ci fanno da base.
«Come hai fatto a trovarmi?»
Cambia argomento con una velocità sovraumana, e vorrei ringraziarlo per questo, ovviamente, non lo faccio.
«Ho cercato di pensare come te, e ho capito che potevi essere solo qui, qui o alla cornucopia.»
 Mi alzo anch’io asciugandomi velocemente le lacrime che non mi ero accorta di aver versato.
Affianco Sebastian e guardo giù.
Sono sopraffatta dal terrore e dalla tristezza.
«Da quanto tempo stai qui?»
«Da subito, in realtà. L’acqua è stata la prima cosa che ho cercato, e così dopo un paio d’ore dal bagno di sangue avevo già trovato la mia tana.»
Il sangue diventa ghiaccio nelle mie vene.
«E lo sapevi che noi eravamo così vicine?»
Indico l’albero uguale a questo proprio di fronte a noi, l’albero in cui io e Brittany siamo state scoperte da Sam.
Lui annuisce.
«Ti ho sentita gridare questa mattina, e anche ieri, quando cercavi Brittany. Ho visto quello del 4 entrare nella vostra tana e ho temuto il peggio, ma quello vi ha coperte.»
Annuisco.
«Già, vuole molto bene a Brittany.»
E’ stato qui tutto questo tempo e noi non ne abbiamo mai nemmeno sospettato.
«Non c’è nessun altro qui intorno?»
Lui scuote la testa.
«Solo tu ed io sappiamo riconoscere un albero di questo tipo, da terra non si vede questa piattaforma.»
Già, anche lui è del 7, anche lui ha tutti i vantaggi che ho io.
«E per tutto questo tempo non hai mai pensato di attaccarci?»
Alza le spalle.
«Ho ancora il rimorso per aver ucciso quella ragazza, non avrei mai voluto aggiungere anche quello per aver ucciso voi due.»
Fa una pausa e mi sembra quasi imbarazzato.
«E poi non mi andava di ucciderti…
Ti rivelo un segreto: se io non dovessi vincere, mi piacerebbe che lo facessi tu.»
Gli sorrido dolcemente e poggio una mano sulla sua spalla.
Lui si volta e va dall’altro lato dell’intreccio di rami.
«Beh ma tanto non accadrà, vincerò io, lo sappiamo tutti!»
Scoppiamo a ridere ma io in quella risata ci vedo un po’ di disperazione.
 

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Capitolo 16
*** La parola più difficile da dire è addio ***


 
Mi alzo da terra e, senza lasciare il pugnale che ho in mano, raggiungo la fine della piattaforma di legno.
La luna brilla nel cielo coperta da non troppe nuvole e la neve scende candida.
Sebastian dorme profondamente, credo fossero giorni che non chiudesse occhio e quando gli ho detto che avrei fatto da guardia non ha avuto niente da ridire,
e poi io ‘sta sera non sarei mai riuscita a dormire, non dopo tutto quello che è successo.
Mi siedo sul bordo dell’intreccio di rami, un po’ di vento forte e potrei cadere di sotto, ma poco importa, oggi non c’è vento.
Abbasso le palpebre per un attimo e nel buio vedo gli occhi di Brittany che splendono.
Torno a guardare il panorama che m circonda con eccessiva fretta.
Mi sembra quasi di vedere delle piccole impronte sulla neve, un ammasso di capelli biondi che svolazzano davanti ai miei occhi.
No, è solo la mia immaginazione, lei non verrebbe mai a cercarmi.
Forse potrei farlo io…
Non avrei dovuto dirlo, adesso non riuscirò a pensare ad altro, non riuscirò a non pensare che la mia Brittany è ancora lì sotto, sotto l’assassina.
E così il resto della notte diventa un tormento, tra i ricordi che mi sovrastano, le idee di come sarei potuta restare, e quelle di come potrei ritornare.
E tutti i giorni la stessa storia, ogni colpo di cannone tremo, fino alla sera, quando guardo in cielo e vedo che il suo volto ancora non c’è.
Ci sono stati altri tre morti in questi due giorni, innocenti vittime dei favoriti, credo; cerco di non pensare che potrebbero essere vittime di Brittany.
Passo le notti sveglia o tra gli incubi, con il rimorso di averla abbandonata nei nostri ultimi giorni.
Quelle poche volte che dormo mi risveglio sudata e con le lacrime agli occhi, con Sebastian che mi osserva preoccupato.
Sento la mia vita passarmi davanti e non riesco ad afferrarla, so che i giorni stanno passando ma non me ne accorgo.
Sto cominciando a credere che potrei provare ad amare Brittany com’è adesso, perché dopotutto non può essere davvero cambiata, magari adesso può uccidere, ma chi lo dice che non possa anche amare?
Stronzate.
Dovrei smetterla con tutti questi progetti inutili.
Se anche la amassi ancora, se anche la volessi ancora, adesso sarebbe troppo tardi, non riuscirei mai a trovarla qui in mezzo.
Eppure io Sebastian l’ho trovato.
Basta Santana, inutile coltivare una speranza che nemmeno c’è.
Devo rassegnarmi all’idea che non la rivedrò mai più.
Non assaggerò mai più le sue labbra.
Non mi perderò mai più nei suoi occhi.
Non sentirò mai più la sua voce.
Non le dirò mai che la amo.
No Santana, tu non la ami, lei è un mostro, ricordi?
Già, un mostro… Eppure se la Bella amava la Bestia, io posso amare lei.
Chiudo gli occhi.
«Ti amo Brittany, e quando morirò qui dentro, il mio ultimo pensiero sarà rivolto a te, qualunque cosa accada.»
Nel silenzio della notte il mio sussurro è l’unico suono che sento, ma non nella mia mente, nella mia mente Brittany mi sta dicendo che anche lei mi ama, e che le manco tanto.
Apro gli occhi sorridente e vado verso Sebastian, dolcemente, lo sveglio.
«E’ il tuo turno di fare da guardia.»
Mi sdraio e per la prima volta da quando sono qui non temo di addormentarmi, non temo gli incubi, ma aspetto impaziente i sogni.
**
«Non hai gridato nemmeno una volta ‘sta notte.»
Sorrido al mio compagno di distretto.
«Già, è perché l’ho sognata…ed è stato il sogno più bello della mia vita.»
Confesso guardando in basso per celare l’imbarazzo.
«Ho sognato il suo nascondiglio»
Torno a guardarlo e le mie parole rimangono sospese nel vuoto quando il suo sorriso si rovescia; lo sa che voglio fare, lo sa già e gli dispiace, gli mancherà avere qualcuno qui dentro, avere un amico.
«Voglio andare a cercarla, mi manca tanto.»
Lui annuisce rassegnato.
«Forse potresti… potresti venire con me…»
Lui mi guarda e i suoi occhi luccicano, scuote la testa.
«Mi mancherai tanto, Lopez.»
Viene verso di me e mi abbraccia. Resto sconcertata, per un attimo sono immobile, poi decido di ricambiare la stretta.
Due settimane fa non avrei mai detto che lui avrebbe potuto provare emozioni diverse dalla rabbia, eppure vedendolo adesso…
Si allontana da me e i suoi occhi mi sembrano lucidi, però non piangerà, lo so che non lo farà.
«Comunque vada, credo che questa sia l’ultima volta che ci vediamo.»
Annuisco.
Non ci avevo pensato.
Sento una stretta allo stomaco.
Possibile che mi sia affezionata a lui?
«Tieni, non posso darti tanto, ma almeno è qualcosa.»
Sebastian mi porge due pere.
Sorrido dolcemente.
«Grazie mille… per tutto.»
Afferro i frutti e li metto nelle tasche del pantalone, riempiendole entrambe.
Mi volto per scrutare il terreno sotto di noi, non c’è nessuno.
Un attimo prima di scendere dall’albero stringo con forza il mio compagno di distretto e mi faccio sfuggire qualche lacrima.
«Mi mancherai tanto anche tu, Smythe, ti voglio bene»
Lo libero dalla mia presa e vado via, dirigendomi verso il primo albero che io e Brittany usammo come tana.
Riconosco il sentiero che mi porterà lì.
Ho un pugnale stretto nella mano destra e un sorriso stampato in faccia.
Sto per rivedere Brittany.
Tra poco più di due ore potrò stringerla di nuovo tra le mie braccia, e so che lo vorrà anche lei. Sarà come quell’ultima sera a Capitol City, sul tetto.
Ci perdoneremo tutto e capiremo che il nostro amore è più forte.
Cammino silenziosamente all’ombra degli alberi più robusti aumentando sempre di più la velocità; dopo un’ora e mezza di tragitto quasi corro, sovrastata dall’eccitazione.
Un colpo di cannone interrompe la mia euforia.
Il terrore si impossessa di me quando vedo un hovercraft far scendere un braccio metallico nella direzione in cui sono diretta.
Non ne avevo ancora visto uno qui dentro, ma so benissimo a cosa serve.
I miei piedi iniziano a correre verso il nostro albero e non m’importa quanto rumore faccio, devo arrivare, adesso.
Qualche minuto dopo sono alla base della tana, non vedo sangue in giro.
Faccio un respiro profondo ed inizio ad arrampicarmi, una volta raggiunta la piattaforma, vedo solo i capelli biondi di Brittany.
 

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Capitolo 17
*** L'attacco ***


Lei è di spalle, in piedi difronte a me.
Con passo felpato la raggiungo e la afferro per i fianchi facendola trasalire.
Si volta lentamente e punta gli occhi nei miei.
Ci leggo felicità e anche un pizzico di eccitazione, ma cerca di nasconderlo.
Avvicino il mio viso al suo senza lasciare i suoi fianchi e i nostri nasi quasi si toccano.
«Mi dispiace tanto…»
Le tappo la bocca con l’indice prima che possa continuare.
«Non roviniamo questo momento parlando di errori.»
Riduco più che posso la distanza tra noi.
Sorrido maliziosamente concentrandomi sui suoi occhi per qualche attimo, poi la bacio, e quel bacio mi fa sentire la sensazione migliore che io abbia mai provato.
Posa le sue mani poco più su dei miei fianchi e mi stringe, poi mi spinge con forza verso il tronco dell’albero, e io la lascio fare.
Dopo l’ennesimo bacio anche l’aria tra noi è elettrica.
Con le mani frenetiche afferra il bordo rovinato della mia maglietta e mi bacia il collo.
Con fare contrariato le indico un angolo della tana, in alto, a sinistra.
Lei, sorpresa, si volta e scopre per la prima volta una telecamera, si ferma immediatamente.
A quanto pare avrebbe preferito che questo momento potesse essere solo nostro, piuttosto che di tutta Panem.
Si allontana da me e si irrigidisce.
«Coma hai fatto a trovarmi?»
«Beh, potrà sembrarti un po’ strano ma…»
Abbasso lo sguardo e poso la mano destra dietro la nuca.
«L’ho sognato…»
Mi alza il volto con un indice, sorride a trentadue denti e il suo sorriso mi libera di tutto l’imbarazzo.
 
«Ti sarei venuta a cercare… Oggi, al torrente, davo per scontato che fossi lì, siccome le provviste le avevi lasciate a me.»
Indica con lo sguardo lo zaino posizionato a terra, poco distante dai nostri piedi.
Annuisco.
«Già, ero lì… Sono andata a cercare Sebastian, e l’ho trovato nell’albero più vicino a quello in cui eravamo noi quando Sam ci ha trovate.»
Brittany diventa completamente bianca in volto, il suo sorriso tanto allegro si rovescia in un’espressione spaventata e preoccupata, le sue mani tremano visibilmente come tutto il resto del suo corpo.
«Non preoccuparti, siamo stati alleati…»
Siamo stati amici, vorrei dire, ma credo che la cosa non le farebbe piacere.
Prendo le pere dalle tasche e gliele porgo.
«Mi ha aiutato molto, anche a capire cosa provo… E’ stato un buon compagno e gli ho voluto bene, ma ci siamo detti addio, non lo rivedrò mai più ma mi va bene, perché ho potuto rivedere te.
Non mi sarei mai perdonata di averti lasciata così, non avrei mai voluto che le ultime parole che ti dicevo fossero così aspre.»
Non è ancora sicura.
«Stai tranquilla, davvero.»
Poso la mano sulla sua spalla offrendole un po’ del mio calore e della mia fermezza, quel gesto sembra bastare per calmarla; torna subito a sorridermi.
Mi siedo per terra con le gambe incrociate invitando Brittany a fare lo stesso, quando siamo faccia a faccia, le dico finalmente ciò che devo dirle:
«Ci ho pensato molto e, anche grazie all’aiuto di Sebastian, ho capito che avevi ragione tu…»
Fa per interrompermi ma io non glielo permetto.
«No, no, lasciami parlare.
Ho capito che hai ucciso per necessità e che le tue reazioni erano più che giustificate, anzi, credo che adesso dovrai, dovremo farlo ancora»
Brittany deglutisce a fatica, lo si legge nei suoi occhi, ha paura.
«Santana io non…»
«Dico davvero: una di noi due uscirà di qui, qualsiasi sia il costo. Ucciderò tutti quelli che sono rimasti, se sarò costretta a farlo, ma lo farò.»
Brittany si ricostruisce da sola, non mi ero nemmeno accorta che fosse crollata.
«No, tu non lo farai.
Apprezzo davvero queste parole, ma tu non lo farai, non ucciderai nessuno di loro.
Tu sei buona, Santana, non ci riusciresti, il dolore ti distruggerebbe.»
«E allora mi lascerò distruggere, ma non lascerò che ti uccidano, non puoi fare niente per fermarmi.»
«Sei…Sei sicura che questo sia quello che vuoi?»
Ecco, questa non era il genere di domanda che mi sarei aspettata, è proprio questo quello che voglio? Versare sangue su sangue? Vedere la mia anima macchiarsi del rosso vivo di quella di qualcun altro?
Annuisco.
O loro o io, no, o loro o lei, e io non lascerò che sia lei.
«Si, sono sicura.»
«D’accordo allora, se è quello che vuoi, io ci sto.
Una di noi due uscirà viva di qui.»
…Il difficile sarà decidere quale delle due.
«Ci serve una strategia, allora.»
Annuisco, a questa parte avevo già pensato.
«Non attaccheremo i favoriti, mi sembra ovvio, forse riusciremmo a batterli se li prendessimo di sorpresa, ma sono più che sicura che non voglia essere tu a mettere fine alla vita di Sam.»
Annuisce con un pizzico di tristezza, forse non aveva ancora realizzato che anche lui sarebbe dovuto morire per la realizzazione del nostro progetto.
«Quindi, ecco il mio piano:
agiremo quando si fa buio; ho individuato un albero tra i più alti, ci arrampicheremo e avremo una visuale completa da lì, useremo il binocolo con visione notturna e cercheremo il benché minimo spostamento, individueremo la nostra vittima e quando andrà a dormire noi la uccideremo.»
Concludo, Brittany annuisce.
«Mi sembra perfetto, ma ci conviene riposare un po’, prima di ‘sta sera»
«Faccio io il primo turno di guardia.»
Annuisce e va a dormire.
**
Brittany mi sveglia scuotendomi forte, quasi mi spaventa.
«Il sole sta per tramontare.»
Indica fuori ed io mi metto a sedere seguendo il suo indice mentre mi stiracchio.
«Tieniti pronta con l’arco, io faccio lo zaino, l’albero non è troppo distante.»
Riempio lo zaino avendo cura di lasciare il binocolo in cima, in modo da poterlo prendere con facilità dopo.
Tengo stretto un pugnale e seguo Brittany alla base dell’albero.
«Seguimi.»
Camminiamo in fila indiana, lei indietro e io davanti, seguendo la linea stravagante costruita dalle ombre degli alberi.
La neve inizia a scendere fitta coprendo le nostre impronte, non potrebbe andare meglio.
Brittany mi guarda le spalle e nel giro di mezz’ora raggiungiamo l’albero che avevo trovato.
«Vai per prima, ti tengo l’arco, ma fai in fretta.»
Brittany comincia ad arrampicarsi con difficoltà e quando raggiunge circa i due metri d’altezza poggia il piede su un ramo poco resistente che si spezza sotto il suo peso, precipita velocemente ai miei piedi.
Mi inginocchio per aiutarla.
«Tutto bene?»
Le stringo la mano per aiutarla ad alzarsi, vorrei poterle concedere più tempo, ma non posso proprio.
Si alza in piedi e si pulisce il pantalone con le mani liberandolo dalla neve.
«Si, non preoccuparti, non era troppo alto.»
«Vuoi provare ancora?»
Scuote la testa.
«Vai tu, io ti aspetto qui.»
«Non se ne parla! Sei troppo esposta! No!»
Rispondo contrariata.
«Tu sarai lì su e farai in un attimo, non mi succederà niente, stai tranquilla.»
Mi sorride per incoraggiarmi ma non mi smuove nemmeno un po’.
«Ce la fai ad arrampicarti lì sopra?»
Indico un albero non troppo alto e dai rami robusti alla mia destra; se sarà lì sopra, allora sarà al sicuro dagli sguardi curiosi dei nemici.
«Va bene, si, posso andare lì.»
Si volta lentamente ed inizia ad arrampicarsi.
Non è troppo veloce, ma riesce a raggiungere un ramo nascosto.
«Lanciami l’arco, okay?»
Non so quanto sicuro possa essere, ma l’ascolto, le lancio prima l’arco e poi la faretra, chiusa sia sopra che sotto, lei prende entrambi gli oggetti al volo, così comincio ad arrampicarmi sul mio, di albero.
Si tratta di una sequoia sempreverde, tra gli alberi più alti al mondo, ha un tronco sottile ma robusto, per i rami, non si può dire la stessa cosa.
Forse è un bene che Brittany non sia con me, adesso, sono piuttosto esposta su questo albero privo di una folta chioma, e lei potrebbe difendermi da lì giù, ma se fosse accanto a me, non potremmo contare su questo vantaggio.
Mi ci vogliono un paio di minuti per raggiungere il punto più alto e quando guardo in basso il cuore mi si ferma, sento che potrei cadere da un momento all’altro, e se lo facessi, solo la morte mi attenderebbe, a oltre cento metri d’altezza.
Mi spingo a non pensare a quella remota possibilità e prendo il binocolo dallo zaino, dopo essermi posizionata su un punto piuttosto stabile.
Prima di cercare la mia prima vittima mi concentro sul panorama: L’arena si estende per miglia e miglia in tutte le direzioni, come farò a trovare qualcuno qui in mezzo?
Non mi lascio scoraggiare e porto il binocolo agli occhi: ci vedo perfettamente come se fosse giorno, solo i colori sono distolti, ma è un aspetto vantaggioso; gli esseri umani sono rossi, rispetto a tutto il resto, che è blu.
I favoriti sono alla cornucopia e, verso ovest, a poche centinaia di metri da noi, qualcuno usa il ramo di un possente albero come letto.
Fantastico, penso, ripongo di nuovo il binocolo e torno a scendere.
Quando sono a terra, Brittany è già accanto a me.
«Sono scesa adesso, allora, trovato qualcuno?»
Annuisco.
«Cinque minuti ed è fatta, vieni, da questa parte, non fare rumore e guarda in alto… E’ su un albero robusto.»
«Okay» fa cenno di si con la testa e mi segue a ruota.
Camminiamo silenziose e troviamo subito la tana del nostro tributo; il suo è l’unico albero su cui ci si potrebbe accampare.
Brittany indica sopra le nostre teste non appena individuato il giusto ramo, abitato da una ragazza scura e grassoccia.
Mi concedo un attimo per guardare quella vita che sta per spegnersi e mentre sto per distogliere lo sguardo la freccia di Brittany le attraversa il cranio, seguita dal rumore di un colpo di cannone.
Se non altro, è stata una morte veloce, e indolore, e Brittany ha impedito a me di commetterla, mi ha negato di conoscere l’agonia che segue il diventare un’assassina, e le sono grata per questo.
Mi ricongiungo con la mia alleata.
«E così siamo rimasti in nove.»
«Già… Ancora otto vittime e una di noi tornerà a casa.»
Già… Otto vittime… Tra cui Sebastian, Sam… E io.
ANGOLO AUTRICE:
Allooora... Ho aggiornato giusto perché dovevo farlo e per non lasciarvi sulle spine, ma questo capitolo non è esattamente tra i migliori, la prossima volta farò di meglio, giuro.
Inoltre vorrei ringraziare tutti quelli che continuano a recensire/seguire/ricordare/preferire la mia FF: non vi ringrazio mai perché mi dimentico, ma sappiate che siete molto importanti per me,  e che questa FF non andrebbe avanti senza di voi.
Pace e amore,
--Sara

 

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Capitolo 18
*** Ibridi e traditori ***


Sveglio Brittany frettolosamente.
«Alzati Brittany! Alzati! Forza!»
Riempio lo zaino con tutte le nostre cose, frenetica, scopro anche Brittany della coperta per poterla posare.
«Che succede Santana?»
Si è alzata in piedi e adesso si sta stiracchiando.
Mi basta una parola, una sola, per mandarla in panico del tutto, per far sì che il terrore la divori:
«Ibridi»
La spintono giù dall’albero e la seguo con fretta, alle nostre spalle, verso l’interno del bosco, un gruppo di orsi polari fin troppo brutali si diverte a sbranare il corpo dell’esile ragazza del 9.
«Verso la cornucopia!»
I nostri piedi si trascinano verso il centro dell’arena, rallentati dalla neve che questa notte sembra essersi triplicata;
Non ricordo di aver mai corso così veloce, nemmeno il primo giorno nell’arena, per scappare dal bagno di sangue.
A quanto pare il fatto che la mia vita sia in pericolo mi spinge ad usare ogni risorsa.
Il branco corre veloce verso di noi, non esistono più pezzi della ragazza da gustare.
Sento gli orsi ringhiare alle nostre spalle, immagino la bava sporca di sangue scivolarmi accanto, le due file di denti appuntiti afferrarmi e divorarmi, e riesco solo a pensare che devo correre, devo correre e poi sarò salva.
Riesco a scorgere lo spazio senza neve il cui centro è la cornucopia e, tutt’attorno, i favoriti.
Si scambiano qualche sguardo complice e preoccupato, poi iniziano a correre in direzioni diverse:
Sam corre verso di noi e in pochi istanti ci ha raggiunte,
gli altri si disperdono velocemente, tutti tranne quella del 2, Kitty.
Non è abbastanza veloce, e così diventa la preda di un ibrido particolarmente affamato.
Le sue grida strazianti ci implorano di aiutarla, ma noi non possiamo farlo.
Continuiamo a correre, sempre più veloce, dall’altro lato dell’arena, contando sul fatto che Kitty distrarrà gli ibridi per noi.
Corriamo per ore, senza mai fare una pausa o voltarci, senza dire una parola; solo quando raggiungiamo il torrente e cado a terra sfinita ci fermiamo per la prima volta.
Brittany e Sam si fermano poco dopo e si immergono nell’acqua limpida e gelata, trascinandomi con loro.
«Li abbiamo seminati?»
Sam annuisce,
«A quest’ora saranno già scomparsi, a quanto pare questi giochi si stavano facendo monotoni.»
Guardo Brittany negli occhi, e lei sa a cosa sto pensando, perché diventa improvvisamente triste, più di quanto già non fosse.
Dobbiamo ucciderlo, adesso.
Ecco cosa ci stiamo dicendo, ecco cosa lei non vuole accettare.
Scuote la testa, non io, mima con le labbra, non ora.
Usciamo dall’acqua ormai sicuri che gli ibridi non ci attaccheranno.
Sentiamo il rumore di foglie che si spostano e nel giro di un secondo, Sebastian è in piedi davanti a noi, con la maglia strappata.
Sam e Brittany si mostrano spaventati e preoccupati, ma io gli corro incontro e lo abbraccio.
«Non ci eravamo detti addio noi, Lopez?»
«A quanto pare il nostro addio era solo un arrivederci, Smythe.»
Ci avviciniamo al resto del gruppo.
«Loro sono Brittany e Sam, i tributi del 4.»
Si stringono la mano facendo attenzione, e Sam non sembra più preoccupato, ma Brittany continua ad esserlo.
«Tranquilla, non mordo mica.»
Scherza  Sebastian, ma lei si irrigidisce ancora di più.
«Andiamo sul tuo albero Seb?»
Annuisce sorridente.
Non lo avevo mai chiamato così, però mi piace.
Si incammina verso il suo albero, particolarmente vicino, ed inizia ad arrampicarsi.
Impiega giusto tre secondi, proprio come me, e Sam lo segue a ruota.
Io e Brittany restiamo sole per pochi istanti, lei mi lancia un’occhiata sconcertata e rabbiosa, io la ignoro e mi arrampico prima che possa continuare.
«Wow! Quanto siete veloci!»
Sam sembra sbalordito non appena arrivo sulla piattaforma.
Io e Sebastian ci scambiamo uno sguardo compiaciuto.
«Beh, voi avete la pesca, noi abbiamo gli alberi.»
Conclude il mio compagno di distretto, usando le parole che avrei usato anch’io.
Brittany ci raggiunge e si siede accanto a me.
Noto con piacere che nello scappare Sam non si è dimenticato di essere nell’arena: ha portato con se un altro sacco di mele e un’ascia.
**
«Santana! Svegliati!»
La voce di Brittany fa eco nella nostra tana.
Apro gli occhi preoccupata e noto che i suoi sono rossi di lacrime; ha le guance bagnate, ma la sua faccia bolle di rabbia.
Mi guardo intorno, non vedo Sebastian, e nemmeno Sam, solo tanto, tanto, tanto sangue.
Mi sollevo allarmata.
«Che succede?»
«Sebastian…»
La sua voce è interrotta dai singhiozzi rumorosi.
«Sebastian cosa Brittany?!»
La scuoto con entrambe le mani.
«L’ha ucciso Santana! L’ha ucciso e stava per uccidere anche te! E’ un traditore, uno sporco traditore!»
«Ma cosa dici!? Non può essere successo davvero…»
Mi guardo intorno e finalmente scorgo il corpo inerme di Sam, con il buco nel petto che solo la lancia di Sebastian può avergli procurato.
Gli occhi mi si gonfiano di lacrime, ma io mi sforzo di ricacciarle indietro.
Non piango per Sam, dopotutto non lo conoscevo e sapevo che sarebbe morto comunque; piango per Sebastian, perché lo credevo mio amico ma ha dimostrato chiaramente di non esserlo.
Mi ha solo usata, mi ha usata per arrivare a loro, e adesso che non gli servo più, ha deciso che poteva sbarazzarsi anche di me.
Mi mancherai tanto, Lopez.
Mi mancherai tanto anche tu, Smythe, ti voglio bene.
Quelle parole riecheggiano nella mia testa.
«Mi ha solo usato» sussurro.
«Mi ha solo usato, quel bastardo» sussurro ancora.
I nostri abbracci si ripetono all’infinito tra i miei ricordi, come in un vecchio videoregistratore che trasmette sempre la stessa scena.
«Lo vendicherò, Brittany, fosse anche l’ultima cosa che faccio»
Annuisce stretta tra le mie braccia e si sfoga nel pianto più straziante che abbia mai sentito.
**
Al sorgere del sole aiuto Brittany a portare giù dall’albero il corpo del suo amico d’infanzia.
Lo portiamo al torrente e lo immergiamo completamente nell’acqua, poi lei lo pulisce di tutto il sangue sprecato.
Dopo circa mezz’ora lo ripone sulla neve fredda, accanto all’acqua.
Lo guarda negli occhi ormai chiusi, con la consapevolezza che non si apriranno mai più, e scoppia a piangere di nuovo.
Vorrei raggiungerla, stringerla tra le mie braccia e consolarla, ma so che ha bisogno di affrontare questo momento di debolezza da sola.
«Ti voglio bene Sam, più di quanto tu possa immaginare,» fa una pausa tra i singhiozzi.
«lo so che avresti voluto qualcosa di più di una ragazza che ti volesse bene, e mi dispiace che tu non l’abbia potuta trovare in me, che tu non l’abbia trovata mai»
Resto spiazzata.
Lui l’amava? Ecco perché l’ha salvata, tutte quelle volte, ed ecco perché ha salvato anche me, perché sapeva che lei sarebbe stata felice con me, perché è questo essere innamorati: volere vedere l’altro felice, anche al costo di non essere la sua felicità.
«Mi mancherai tanto, non doveva finire così»
Le lacrime e il dolore la sovrastano e decido che è il momento di intervenire.
Prendo Brittany con me e la porto via, stringendola per evitare che possa spezzarsi.
L’istante prima di scomparire tra gli alberi mi volto verso il corpo di Sam, che un hovercraft sta per raccogliere.
«Mi prenderò cura di lei, te lo prometto» sussurro.




 
ANGOLO AUTRICE:
Alllllooora, ci terrei davvero tanto a ricevere le vostre recensioni per questo capitolo perchè l'ho scritto con l'aiuto della mente contorta (degli intrepidi) di mia sorella.
Se vi piace magari posso chiedere il suo aiuto un po' più spesso :3
PS. Perdonateme la battuta davvero squallida da divergente per favore <3

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Capitolo 19
*** Un paracadute argentato ***


Sono passati tre giorni dalla morte di Sam.
Non ci sono stati morti e continuo a pensare che se non ci muoviamo a trovarne qualcuno ci penseranno gli strateghi,  e inizieranno da noi, dalla coppia di ragazze distrutte che non ha la più pallida idea di cosa fare e che ha perso la speranza di ritornare a casa.
«Brittany, lo so che vorresti non essere costretta ad aprire gli occhi di nuovo e a ritornare in questo mondo di merda ancora una volta, lo so che non vuoi vivere così, con questo peso, ma devi farlo, e credo che questo sia il giorno buono per iniziare.»
In tutta risposta ho un grugnito secco e svogliato.
Brittany prende una delle ultime mele e le da un morso, non posso credere che siano durate così a lungo.
Le afferro il polso mentre si siede per terra, su un complesso intreccio di rami.
«Dico sul serio, Brittany.»
Mi fissa per un secondo e col suo sguardo mi congela, con uno strattone libera il suo polso dalla mia presa.
«Va bene,» dice dopo qualche minuto di silenzio «Che piano hai?»
Alzo le spalle.
«Potremmo spiare i favoriti e farci venire qualche idea.»
Affermo, noncurante.
«Si può fare, su andiamo.»
Si alza da terra e mi porge il resto della sua mela, non credevo che saremmo partite subito, ma la assecondo, se rimando adesso forse non troverà mai più la voglia o la forza di riprovarci.
Finisco la mela e poi riempio lo zaino, sono la prima a scendere dall’albero che abbiamo raggiunto dopo aver lasciato Sam, nessuna delle due si è più mossa da allora.
Scendo per prima e nel mettere piede a terra noto con piacere un paracadute argentato impigliato tra i cespugli.
Aspetto l’arrivo della mia compagna per raggiungerlo.
«Brittany! Brittany guarda!»
Si fionda sulla scatolina argentata e la scarta velocemente.
Ne estrae una boccetta di vetro, piena di uno strano liquido opaco.
Ne svita il tappo e dal vetro fuoriesce una nebbiolina fitta. Lei inizia a tossire quasi subito.
«Chiudila! Chiudila!»
Mi lancio verso di lei che ora si è accasciata e chiudo la boccetta.
«Non fare rumore! Fai attenzione! Arrivo subito!»
Mi incammino verso il bosco correndo, so che cosa c’era in quella boccetta, so che cosa le sarebbe successo se non fossi intervenuta, la stessa cosa che più di cinque anni fa successe al mio fratellino:
morte.
C’erano dei fiori, all’epoca, nel 7, strani fiori rosa e bianchi, grandi e profumati.
Ce n’erano un po’nel cortile vicino casa nostra e quando Tom, il mio fratellino, li prese, rilasciarono una nebbiolina uguale a quella fuoriuscita dalla boccetta di Brittany.
Lui fu esposto ad essa troppo allungo e quella segnò la fine della sua giovane vita.
Quei fiori fecero altre vittime nel 7 prima che fu creato un antidoto, mesi dopo, ma per mio fratello era troppo tardi.
Tuttavia a scuola ci insegnarono come prepararlo, era un semplice miscuglio di erbe che ingerito annullava gli effetti del veleno, se non era troppo tardi.
Ricordo di aver visto quelle erbe qui dentro, vicino al torrente.
I miei piedi si bagnano di acqua e finalmente si fermano.
Cerco frenetica la cura per Brittany, pregando perché non sia troppo tardi per lei.
Strappo via delle piantine all’ombra di un grande masso e dopo dall’altro lato del torrente, poi ricomincio a correre verso la ragazza, spezzettando intanto quelle erbe.
Quando la raggiungo ha quasi perso i sensi, sdraiata per terra nel posto esatto in cui l’avevo lasciata.
Prendo un pugnale e trito le mie erbe, gliele butto in bocca quasi con rabbia e qualche minuto dopo si è ripresa.
«Grazie Santana, non sarei viva adesso, senza di te.»
Le sorrido per risposta.
«E’ stato un onore salvarti la vita, Brittany S. Pierce.»
E ora sorride anche lei.
«Come facevi a conoscere la cura?»
Abbasso lo sguardo, imbarazzata, non mi va di parlarle di mio fratello, non mi va mai di parlarne.
«Molte persone sono morte così nel 7, l’antidoto l’abbiamo creato noi.»
Lei annuisce, dopotutto non è una bugia, è solo un’omissione.
«Mi chiedo perché i nostri mentori ce l’abbiano mandato, loro dovrebbero volere la nostra sopravvivenza.»
Già, non ci avevo pensato.
Mi fermo per un po’ a riflettere, nascosta con Brittany tra i cespugli.
«Te lo dico io perché,» Brittany rompe il silenzio «Non ce l’hanno mandato i nostri mentori, ce l’hanno mandato gli strateghi, dovevano avere qualche vittima giusto? E perché non iniziare dalle innamorate sventurate? Perché non spegnere la scintilla che corriamo il rischio di accendere prima che prenda fuoco?»
I settantaquattresimi Hunger Games, la scintilla che ha sfociato in un inferno su Panem.
Gli innamorati sventurati del distretto 12 avevano iniziato una rivoluzione, possibile che Capitol City creda che alle innamorate sventurate spetti lo stesso destino?
Sembrerebbe così impossibile, eppure forse è l’unica spiegazione.
«Beh, Capitol City non sa che adesso ci ha solo fornito un’arma per vincere questi giochi.»
Sorrido maliziosa e Brittany fa lo stesso, forse non lo sa a cosa sta pensando, ma di certo vede il fuoco nei miei occhi.
«Cos’hai in mente Lopez?»
«Ci sei cascata tu, ci cascheranno anche i favoriti. Certo, non Sebastian, anche lui conosce questo veleno come me, essendo del 7, ma gli altri lo scambieranno per un dono.»
Brittany si sporge verso di me un attimo dopo che il suo viso si è illuminato, mi da un bacio veloce sulla fronte e poi torna al suo posto.
«Un genio Santana, sei un genio!»

 
ANGOLO AUTRICE:
Allora, ho trovato l'ispirazione che avevo perso da un po' quindi adesso continuerò a scrivere, non appena questo capitolo avrà ricevuto un paio di critiche vi pubblicherò l'altro che ho già scritto e che, prevedo, vi distruggerà.
Quindi, se vi piace, recensite, recensite, recensite!
PS. Ho appena finito di leggere TFIOS, e ovviamente adesso sono a pezzi, comunque, ho inserito in una frase qualcosa di ispirato a quel libro, lo riconoscete lettori? u.u

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Capitolo 20
*** I finalisti ***


I favoriti sono alla cornucopia, da qui, al confine con il bosco, li vediamo perfettamente.
«Allora, come lo facciamo arrivare lì?»
Brittany indica il paracadute accuratamente piegato accanto alle sue gambe incrociate sulla neve.
Ottima domanda.
«Potremmo aspettare che vadano a dormire e poi potremmo avvicinarci e metterlo vicino a loro.»
Entrambe deglutiamo a fatica, lo sappiamo che vorrebbe dire esporsi troppo, diventare un bersaglio dei favoriti.
«E se… Se tu ti arrampicassi lassù e lo lanciassi verso di loro?»
Brittany indica una sequoia sempreverde al lato opposto da dove siamo noi adesso, ma sempre al confine con il bosco.
«Sembra un’ottima idea»
Le sorrido e lei ricambia.
**
Mi dirigo verso la sequoia nel più totale silenzio della notte coperta dalla neve che cade fino a dove gli alberi si interrompono alla mia destra, dove non un fiocco di neve è mai caduto.
Brittany cammina dietro di me, mi guarderà le spalle mentre mi arrampico.
Questa notte Finn farà da guardia, ed è un gran sollievo, di certo, lui è certamente il più sciocco tra i favoriti rimasti.
Raggiungo l’alto albero che era la mia meta e bacio Brittany sulle labbra prima di arrampicarmi.
Questa volta sono anche più veloce della precedente: in un minuto ho raggiunto il punto più alto della sequoia e sto già cercando la giusta angolazione per lanciare il paracadute, in modo che arrivi il più vicino possibile al gruppo. Faccio un respiro profondo, chiudo gli occhi e spingo il braccio destro indietro.
«E p ossa la buona sorte essere sempre a mio favore» sussurro imitando la frase simbolo dei giochi, e poi lascio andare il paracadute, che vola a una decina di metri dalla cornucopia; credevo che avrei fatto di peggio.
Scendo velocemente dall’albero sperando che nessuno mi veda e quando tocco terra le braccia di Brittany si serrano attorno al mio corpo.
«Sei stata davvero grandiosa»
Mi dice all’orecchio mentre mi solleva per farmi girare un paio di volte.
Quando i miei piedi toccano terra di nuovo Finn sta già raggiungendo il mio paracadute con un sorriso stampato in faccia.
Il suo sorriso da ebete è quasi più evidente del mio e di quello di Brittany.
Prende il pacchetto argentato e corre quasi saltellando verso la cornucopia. Si siede a terra poggiandosi alle pareti di metallo e apre la scatoletta lentamente, quasi per non volersi rovinare la sorpresa.
Il suo sorriso si trasforma in un’espressione incerta quando trova la boccetta.
La rigira tra le mani un po’ di volte e poi si decide ad aprirla; il primo cannone suona dopo pochi minuti, gli altri due lo seguono a ruota e nel giro di così poco io, Brittany e Sebastian diventiamo gli ultimi tre tributi.
Non mi sembra vero. Siamo a un passo dal tornare a casa, penso, lei è a un passo del tornare a casa, mi correggo.
«Cerchiamo un albero, domani troveremo un modo per uccidere Sebastian.» Un sorriso mi spunta sul volto, lui sarà la prima e l’ultima persona che uccido, e sarò davvero felice di farlo.
«Certo, si.»
Anche lei sorride felice.
Ci incamminiamo verso l’ennesimo albero tana, lei cammina davanti a me, con l’arco pronto per ferire, e io con il pugnale pronto per uccidere.
Quello che segue succede tutto in un istante:
davanti a me, Brittany inizia a gridare per il dolore e per la disperazione, la punta di una lancia spunta al centro della sua schiena e la sua maglietta si riempie di sangue, il sorriso agghiacciante di Sebastian spunta tra gli alberi un po’ incerto, e poi scompare nelle profondità del bosco.
Lei si accascia a terra e inizia a piangere, le lacrime inondano anche i miei occhi e poi il mio viso.
Mi inginocchio accanto a lei e tolgo la lancia dal suo petto, ma è troppo tardi, ha perso troppo sangue, sta scivolando via da me, sta raggiungendo Sam.
«Andrà tutto bene Brittany, andrà tutto bene, tu vincerai questi giochi, me l’ero ripromesso, tu tornerai a casa, e io e Sebastian moriremo, ma tu tornerai a casa»
I singhiozzi mi impediscono di parlare chiaramente, con le mani sporche del suo sangue le accarezzo il viso.
«Va tutto bene. Va tutto bene. Resta con me. Resta con me»
«Tornerai a casa Santana, lo farai per me, lo ucciderai e poi tornerai a casa»
Scuoto la testa.
«Tu tornerai a casa Brittany, tu…»
Non riesco a dire nient’altro, con le lacrime che mi si strozzano in gola.
«Ti amo, Santana, come non ho mai amato nessuno, promettimi che andrai avanti, anche senza di me»
Sto per risponderle ma i suoi occhi diventano vuoti, e poi il suono di un colpo di cannone mi risuona nelle orecchie.
Mi abbasso su di lei e piango, piango più di quanto abbia mai fatto.
Che mi uccida pure, penso, è come nel mio sogno, non ho più ragioni per tornare a casa adesso.
Avevo solo lei, e adesso anche questo lusso mi è stato tolto.
«Ti amo anch’io» sussurro al suo petto, al suo cuore che ora non batte più.
Mi sollevo leggermente e guardo gli occhi del colore del mare che mi hanno fatta innamorare un’ultima volta, e poi li chiudo, sapendo che non li rivedrò mai più.
«Ti amo anch’io Brittany, ti amo anch’io» sussurro a voce sempre più bassa.
«Lo ucciderò Brittany, vi vendicherò entrambi»
Le lacrime hanno la meglio su di me e mi sovrastano.
«Tornerò a casa, te lo prometto, tornerò a casa per te, e vivrò ogni singolo giorno che mi resta nel tuo ricordo.»
La abbraccio senza preoccuparmi che il suo sangue mi sporchi, è una parte di lei come un’altra, e mi godrò anche quella.
Chiudo gli occhi avvinghiata a lei e nel buio i nostri ricordi brillano di luce propria.
La vedo sorridermi la prima volta che l’ho vista, sul tetto.
La vedo alla sfilata dei carri che mi guarda nell’ultimo istante prima di incontrare il pubblico.
La vedo confidare a Capitol City la sua amicizia con Sam.
La vedo nell’arena, che mi bacia sull’albero con tutta la passione che ha in corpo.
La vedo che piange per la morte del suo compagno di distretto.
La vedo davanti a me, un attimo prima che il suo cuore smetta di battere, che mi dice che mi ama.
«STRONZO! STRONZO! STRONZO!»
Grido guardando verso il cielo grigio di nuvole, con le lacrime che non smettono di scorrere.
«STRONZO»
Questa volta i singhiozzi mi costringono ad emettere un sussurro, piuttosto che un grido.
«Pagherai per questo, la pagherai cara»
Ancora un sussurro tra i capelli profumati di Brittany.
Poso le mie labbra sulle sue un’ultima volta per un ultimo bacio, il suo corpo non è più caldo come vorrei, sta diventando freddo e ora giace inerme.
Sollevo Brittany e la porto in braccio fino al torrente.
Ci metto delle ore a raggiungere l’acqua, rallentata dal peso della ragazza, ma non m’importa.
Quando raggiungo il torrente mi ci immergo portando il corpo di Brittany con me, la pulisco del suo sangue sprecato e in quel momento me la rivedo che dice addio a Sam, almeno adesso potrà stare con lui, penso.
E poi un altro “Stronzo” mi esce dalla bocca, rivolto al cielo, indirizzato al mio compagno di distretto.
La porto in braccio fino alla sponda del fiume, dove poso il suo corpo sulla neve prima candida, poi rossa di sangue che chissà come continua a uscire.
Mi siedo di peso accanto a lei.
«Ti amo Brittany, ti ho sempre amato, dal primo momento che ti ho vista, in TV, e ti amerò fino al mio ultimo giorno, e poi anche dopo.»
Le lacrime ricominciano a inondare prima i miei occhi poi le mie guance, e la neve sotto di me.
«Ho fallito Brittany, gli avevo promesso che ti avrei protetta, mi dispiace»
Tiro su con il naso e guardo in alto per un attimo sperando che lei mi stia guardando da lassù. Non ho mai creduto davvero ad una vita dopo la morte, ma spero tanto che ci sia, per lei, spero che possa continuare a vivere nonostante sia morta.
«Sentirò la tua mancanza in ogni giorno che mi rimane, sei il mio unico grande amore.»
Le bacio la fronte e trovo le forze per alzarmi e lasciare che un hovercraft venga a prenderla per consegnarla alla sua famiglia, all’interno di un’asettica grande scatola di ferro.
«Amerò sempre te di più»
Mi volto e vado via, guardando per un’ultima volta l’unico e solo amore della mia vita.
Mi asciugo le lacrime con la manica meno sporca di sangue, avrò tempo per piangere quando sarò a casa, adesso, devo pensare alla vendetta.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Allora, prima dei commenti su quanto avessi aspettato questo momento mi ci vuole davvero una nota dell’autrice: allora, quel: «Amerò sempre te di più»
Dovrebbe essere la traduzione letterale di: «I will always love you the most», non so se sia giusta, ma comunque dovrebbe essere così, è più d'effetto. E mi piaceva un sacco come frase d’addio, giusto per spezzare i vostri/nostri cuoricini Brittana ancora di più.
Passiamo ad altro: allora, dacché ho scritto la prima riga di questa FF questo è sempre stato il destino che aspettava le mie Brittana, il finale è sempre stato questo, più, ovviamente, il prossimo capitolo. Ciò significa quindi che la storia sta finendo, credo che il prossimo sarà il penultimo capitolo, o forse ne farò anche un altro dopo, vedrò di decidere al più presto. 

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Capitolo 21
*** Un vincitore ***


«VIENI QUI, VIGLIACCO!»
Grido con le mani a cono attorno alla bocca, al centro della cornucopia.
Oggi i novantanovesimi Hunger Games finiranno, e il distretto 7 avrà il suo vincitore, la sua vincitrice.
«PER UNA VOLTA AFFRONTA IL TUO NEMICO QUANDO PUO’ REAGIRE, CODARDO!»
Grido ancora e ancora, sempre più forte. Non ho più pianto dopo la morte di Brittany, ho promesso che l’avrei vendicata, e almeno questa, è una promessa che vorrei mantenere, e per farlo dovevo smetterla di piangere per lei.
«NON SEI PIU’ TANTO FORTE EH?»
Un rumore metallico alle mie spalle mi spinge a stringere ancora di più la presa attorno alla mia lancia, la sua lancia, e mi giro velocemente.
Lui è lì, in piedi, davanti a me, con un’ascia in mano, che mi mostra il suo sorriso più agghiacciante.
La voglia di porre fine alla sua insensata esistenza cresce dentro di me, ma so che non posso sprecare questa occasione.
«Ho sempre saputo che alla fine ce la saremmo giocata io e te, Lopez.»
«Già, e io che credevo che alla fine mi sarei suicidata»
Ogni mia singola parola è carica di delusione, risentimento e tanta, tanta rabbia.
«In altre circostanze Lopez, saremmo stati ottimi amici»
«Ma le circostanze sono queste, Smythe. E non vorrei mai essere amica di un mostro»
Scoppia in una risata rumorosa.
«Già, i mostri li vuoi solo come fidanzati, fidanzate, scusa»
La rabbia mi avvolge completamente, nemmeno in queste circostanze si rivela per quello che è davvero, ma forse devo rassegnarmi all’idea che il vero Sebastian è proprio questo, un lurido verme senza cuore.
«Sei mai stato sincero con me su qualcosa, qualsiasi cosa?»
Assume un’espressione pensierosa chiaramente falsa.
«Il dolore mi ha davvero sovrastato quando ho ucciso quella del 3. Ma ho deciso di ignorarlo, alla fine, e così sono diventato questo essere penoso che hai davanti»
Fa un inchino.
Da chi tornerebbe se vincesse? Chi è che può amare un tale mostro?
«Sei un traditore. Non so perché ti sto consentendo di parlare, dovrei semplicemente ucciderti.»
Sorride soffocando una risatina.
«E’ perché sei buona, Lopez. Tu non sei come me, non sei come Brittany, o Sam o gli altri tributi»
Mi guarda negli occhi per un istante e in quell’istante mi sembra di aver davanti un serpente che sputa veleno insieme alle parole.
«Tu sei buona, non riusciresti ad uccidermi»
«Tu non sai cosa sono capace di fare, niente mi impedirà di ucciderti.»
«Fino a quando lo credi tu, Lopez…»
«L’HAI UCCISA! L’HAI UCCISA! PERCHE’ DOVREI RISPARMIARTI?! ERA TUTTO CIO’ CHE AVEVO!»grido, adesso.
Penso davvero ciò che sto dicendo, forse in altre circostanze non sarei riuscita ad ucciderlo, ma le circostanze sono queste.
Lui fa spallucce.
«Lei era solo un altro gradino verso la mia vittoria, proprio come te»
Scuoto la testa.
«Solo un mostro si sarebbe comportato come hai fatto tu»
Fa una pausa, guarda prima in basso, poi mi guarda negli occhi.
«Io non ho mai detto di non essere un mostro, Lopez.»
«Perché hai ucciso lei. Perché non hai ucciso me?»
Fa un sorrisetto agghiacciante e malizioso. Il mio sangue diventa ghiaccio nelle vene.
«Davvero non volevo ucciderti. Al centro di addestramento sono stato me stesso. Tu mi hai conosciuto davvero, prima che diventassi quello che sono»
Fa un respiro profondo. Non ci cascare, Santana. Adesso ti ucciderà.
«Guardami! Credi che mi faccia piacere essere così?»
Lo guardo e sembra davvero rassegnato. Rassegnato a quello che è diventato.
«Io credo che tu sia un ottimo attore, Sebastian.»
Fa qualche passo verso di me, io indietreggio.
Scuote la testa.
«A che scopo tornare a casa eh? Tu non avrai più Brittany, io non avrò più la mia ragazza, o credi che mi vorrà ancora dopo tutto questo?»
«E allora lasciati uccidere! Se non vuoi tornare a casa perché me l’hai portata via?»
La mia voce si spezza, lui alza le spalle.
«Dovevamo essere sullo stesso livello, Lopez»
In uno scatto di ira mi lancio su di lui.
L’ho sorpreso, e adesso è immobile sotto il peso del mio corpo, sdraiato sul pavimento di metallo freddo sporco di neve, con l’ascia a pochi centimetri dalla sua mano tesa.
La spingo via con un calcio, mandandola troppo lontano perché possa afferrarla.
Gli do un pugno sul naso, il suo sangue inizia a colare e a macchiare me e tutto intorno a noi.
Cerca di alzarsi ma sono forte, troppo forte guidata dalla vendetta.
Tiro via la lancia e in mezzo secondo prendo uno dei miei pugnali, il più affilato.
Con un taglio netto gli graffio uno zigomo, e per un attimo mi sembra di rivivere il mio sogno, ma con i ruoli invertiti.
«L’hai uccisa, non potrei mai lasciarti vivere.»
Prendo il coltello e scelgo dove colpirlo, non so se gli taglierò la gola, o se lo colpirò al cuore.
Scelgo il cuore, trafiggerò lui come lui ha trafitto lei.
Posiziono la punta del pugnale sul suo petto, pronta ad affondare.
«Dille che la amo. Che non avrei mai voluto lasciarla.»
«Tu non hai dato a Brittany la possibilità di dirmelo.»
mi guarda negli occhi e per la prima volta credo, temo, sia sincero.
Gli occhi gli si riempiono di lacrime che non lascia uscire.
«Per favore, Santana, tu sei buona, tu non sei come me»
Ha smesso di combattere, adesso giace fermo, immobile, rassegnato.
«Mi mancherai Smythe»
E il pugnale gli affonda nel petto.
Dritto nel cuore.
Un istante dopo l’ultimo colpo di cannone suona.
E poi le campane, le trombe, iniziano a fare rumore, come per una grande festa che non riesco a vedere.
«Signore e signori, la vincitrice dei novantanovesimi Hunger Games, Santana Lopez, distretto 7!»
Mi sollevo dal corpo senza vita di Sebastian e cerco di pulirmi del suo sangue.
Lascio cadere le armi e vado verso l’esterno, dove una scaletta di corda è già scesa da un hovercraft.
Guardo l’arena per un’ultima volta.
«Ce l’ho fatta,» sussurro «ti ho riscattata.»
Vado verso la scala e quando provo ad arrampicarmi qualcosa mi immobilizza, la scala sale da sé e mi ritrovo sull’hovercraft, circondata da Sue, Will, il mio staff di preparatori e Shelby. Sono in estasi, non smettono di festeggiare, qualcuno sta stampando dello champagne.
Già, festeggiamo la morte di ventuno persone!
Mi sento oppressa dalla gente della capitale, vorrei soltanto tornare a casa, nel 7, buttarmi sul mio letto nella mia nuova casa e scoppiare a piangere, senza smettere mai.
Ma ovviamente prima ci saranno le cerimonie a Capitol City.
**
Non ho riportato ferite, così hanno solo dovuto lavarmi e farmi bella.
Hanno reso i miei capelli mossi e mi hanno fatto indossare un lungo vestito rosso con lo strascico, con una semplice scollatura a cuore e una sfumatura nera alla fine.
Mi fa sentire potente, importante.
Non ci sono più riferimenti al 7, ma mi piace, è semplice ma invincibile.
Fa capire che i giochi non mi hanno cambiata, mi hanno resa migliore, ma io non ci credo, io lo so che mi hanno cambiata.
Mi guardo allo specchio e mi rivedo le mani sporche di sangue, serro gli occhi e poi li riapro, le mani sono perfettamente pulite.
Chiudo il viso tra le dita curate e trattengo i singhiozzi e le lacrime, sono nella mia stanza al centro d’addestramento, tutte le persone che hanno alloggiato qui con me sono morte, penso, e la disperazione mi assale.
Esco dalla stanza e attraverso il corridoio dirigendomi silenziosa verso l’ascensore.
Premo 12 e salgo sul tetto.
Mi siedo su una panchina impolverata, la nostra panchina impolverata, e scoppio a piangere.
Le mani mi si sporcano del lavoro di ore ed ore dello staff di preparatori e la mia faccia diventa un ammasso di colore deforme, ma non m’importa.
Questo è il nostro posto, lo sarà per sempre, e stare qui mi fa pensare a lei, come qualsiasi cosa, e pensare a lei mi fa venire voglia di piangere.
E così cado a pezzi per la prima volta.
Mi inginocchio per terra e piango, grido, la cerco, me la immagino raggiungermi e consolarmi, ma sono consapevole che non accadrà mai.
«Ti amo Brittany, e ti amerò per sempre»
Le grida soffocate dalle lacrime, nessuno verrà qui su a consolarmi; né lei, né Sebastian, né Sam, nessuno.
«Sono tutti morti!»
Grido isterica, verso il cielo stellato.
Forse mi sarei dovuta lasciare morire, forse avrei dovuto raggiungerla in alto, nel cielo, forse sarei dovuta diventare l’ennesima stella di una costellazione, perché questo sarebbe stato l’unico modo per stare con lei per sempre.
Il viso, il collo, le mai e il vestito sono bagnati di lacrime, sporchi di trucco e polvere, ma non m’importa, non m’importa più di niente ormai, perché lei non c’è.
«Non doveva finire così! Saresti dovuta tornare a casa!»
Batto i pugni sul pavimento impolverato.
«Perché l’ho ucciso, perché? Adesso potrebbe esserci lui qui, adesso potrebbe esserci lui…» Le mie grida si sono trasformate in sussurri.
Mi alzo in piedi e vado verso la ringhiera.
Potrei buttarmi, potrei farla finita, potrei tornare da lei e niente me lo impedirebbe, potrei farlo davvero.
Mi siedo sulla ringhiera, con i piedi in fuori, le scarpe alte nere piene di strass riflettono la luce della città.
«Un salto ed è finita. Un salto e l’abbraccerò di nuovo, questa volta per sempre»
Mi sporgo in avanti reggendomi con le mani, il vento mi scompiglia i capelli e secca le lacrime che mi rigano il volto, che vengono subito sostituite da nuove.
No. Mi tiro indietro di nuovo.
Lei non lo vorrebbe mai.
E così scendo dalla ringhiera, torno indietro verso la scala e in un paio di secondi sono di nuovo sul piano del 12.
Entro in una camera da letto dai colori scuri.
Cammino con le dita sulle pareti lasciando segni senza polvere.
«Loro ce l’hanno fatta.» Sussurro alle pareti, «Gli innamorati sventurati del distretto 12 sono tornati a casa, sono sopravvissuti, due volte, perché noi no?»
Prendo a pugni il muro grigio pieno di polvere.
«Perché noi no?!» Grido ‘sta volta, con la voce sempre più spezzata.
Mi lascio cadere sul letto liberando un alone di polvere nell’aria.
«Non voglio vivere in un mondo senza Brittany Pierce» Passano degli attimi che mi sembrano infiniti prima che io possa tornare alla realtà.
Mi asciugo le lacrime inutilmente e mi dirigo verso l’ascensore.
Esito per un istante prima di premere il pulsante del 7, preoccupata dalle reazioni del mio staff al mio aspetto, ma poi lo premo e scendo velocemente.
Le porte si aprono davanti a me mostrandomi il mio staff, la mia stilista, Sue e Will completamente scandalizzati.
Mi stavano cercando, ci sarà il riepilogo dei giochi tra pochi minuti e il mio aspetto è completamente sconvolto.
Le lacrime mi rigano ancora il volto, portandosi dietro un alone di mascara nero.
Il vestito è pieno di polvere, il rosso quasi nemmeno si nota, coperto dal grigio.
«Cos’hai fatto signorina!? Guardati! Sei impresentabile!!»
La voce di Sue riecheggia nelle mie orecchie.
«E allora non mi presenterò»
Faccio per dirigermi verso la mia camera ma il braccio saldo di Will mi afferra impedendomi di andare oltre.
«Non ce la faccio, okay? Non riuscirò mai ad andare lì fuori e a vederla morire di nuovo!»
Le lacrime iniziano a scendere di nuovo, sempre più forti.
Quelli di Capitol city sembrano provati, ma Will non allenta la sua presa.
«Beh dovrai trovare la forza di farlo, fatti preparare di nuovo, adesso!»
La sua voce tuona come un ordine e finalmente mi lascia andare, io rimango immobile e i miei preparatori mi assalgono, affrettandosi a riempirmi il viso di trucco a prova di lacrime.
«Metterai il vestito che avevamo preparato per l’intervista, questo lo metterai domani»
Shelby si avvicina con il nuovo vestito, nel vederlo resto pietrificata.
E’ celeste.
Del colore del mare.
Del colore dei suoi occhi.
Le lacrime fanno segno di voler uscire di nuovo ma io le ricaccio dentro, afferro l’abito e lo indosso.
Nel giro di mezz’ora sono già pronta di nuovo, Will mi tiene stretta per un braccio, temendo che proverò a scappare di nuovo.
Beh, io non lo farò.
Mi portano in una stanza dove un tubo simile a quello che mi ha portato nell’arena mi aspetta, ma questa volta so che quello che mi attenderà lì sopra sarà molto peggio dei giochi.
Entro nel cilindro di vetro facendo attenzione all’abito e riesco a sentire gli applausi sopra la mia testa.
Il presentatore fa un’introduzione al mio staff e alla mia stilista, che hanno il loro momento di brillare, e poi tocca a me.
«Signore e signori, la vincitrice della novantanovesima edizione degli Hunger Games, Santana Lopez, distretto 7!»
Il pubblico è in estasi quando inizia a vedermi, migliaia e milioni di persone mi stanno applaudendo, in questo preciso momento, compresa la mia famiglia, a casa.
Il presentatore mi fa accomodare su una poltroncina e dopo una breve presentazione, della quale non sento nemmeno una parola, alle mie spalle uno schermo gigante trasmette i momenti più belli di questa edizione.
Si inizia con il bagno di sangue, dove rivedo Sebastian uccidere Marley, e poi ci sono tutti, davvero tutti i nostri momenti.
Da quando l’ho medicata, a quando abbiamo trovato la tana, a quando abbiamo litigato, a quando sono scappata dal mio compagno di distretto, a quando sono tornata da lei, a quando abbiamo ucciso quella del 10, a quando ci hanno attaccato gli ibridi, al tradimento di Sebastian, che posso vedere per la prima volta:
Lui che trafigge Sam, e nell’attimo prima che lo faccia anche con me Brittany si sveglia, lui scappa via prima di potermi uccidere, e nell’attimo dopo Brittany mi sveglia terrorizzata.
Rivedo il saluto di Brittany a Sam, rivedo l’arrivo del veleno, la morte dei favoriti, e quando so che la sua morte sta arrivando chiudo gli occhi.
Sento le sue urla e le lacrime iniziano a rigarmi il viso, mi costringo a continuare a guardare.
Le dico che andrà tutto bene, che tornerà a casa, che Sebastian e io moriremo, poi lei mi dice che mi ama, e il cannone suona accompagnato dalla luce che si spegne nei suoi occhi.
I miei singhiozzi sono silenziosi quando le dico addio.
Rivedo la morte di Sebastian dall’inizio, da quando lo chiamo, e un sorriso maligno mi si forma in viso.
Non ho provato alcun dolore nell’ucciderlo, non mi sono trovata davanti a nessuna scelta, mi sono soltanto sentita libera, per un istante la morte di Brittany non mi ha schiacciata.
Il video finisce e il pubblico applaude alle mie lacrime.
«Questo è tutto, a domani con le interviste!»
Dovrei tornare al mio piano e invece vado al quarto.
Lo trovo deserto ma quasi posso vedere Brittany svolazzare tra quelle mura celesti.
I miei piedi mi guidano da soli verso la sua camera equando la trovano si abbandonano sul suo letto.
Le lenzuola odorano ancora di lei.
La notte la passo lì, a piangere e a ricordare.
**
«Ed eccoci di nuovo qui con la vincitrice di questa edizione, Santana Lopez!»
L’intervista si tiene sul mio piano, nel salotto, dove una poltroncina bianca piena di petali di rosa è stata posizionata per l’occasione.
«Santana, il tuo amore per Brittany è stato chiaro sin dall’inizio, la domanda che tutti ci poniamo è: cos’hai provato alla sua morte?»
Bene, si inizia con le domande facili…
«Ero a pezzi, sono a pezzi. Lei è l’amore della mia vita, ho sempre progettato di sacrificarmi per lei, ma non me ne è stata data la possibilità.»
Lui mi mostra un’espressione dispiaciuta e comprensiva, ma per una volta vorrei che chi mi circonda smettesse di fingere.
«E invece, cosa hai provato quando hai ucciso Sebastian? Era la tua prima vittima»
Annuisco.
«Si è tanto parlato di scelte, se essere sovrastati dal dolore o ignorarlo, beh, ti dirò, io non mi sono trovata davanti a nessuna scelta, non ho provato alcun dolore nell’ucciderlo. L’ha uccisa, capisci? Mi ha privato di ogni possibile felicità, ha ucciso lei e ha ucciso anche me, anche se non materialmente. Io ho solo ricambiato il favore.»
Lui annuisce. «Certo, certo»
«Sapevi già di essere gay, prima di venire qui?»
La sua domanda mi innervosisce, ma non lo do a vedere.
Scuoto la testa.
«Non ero mai stata con una ragazza prima di venire qui»
…Nemmeno con un ragazzo, vorrei aggiungere, ma me lo tengo per me.
«Passiamo alla tua amicizia con Sebastian, il suo tradimento…»
Non lo lascio finire.
«Mi ha devastata. Non ho mai avuto un amico vero, nella mia vita, e credevo davvero di averlo trovato, anche se sapevo sarebbe durata poco.
Quando mi ha tradita, quando ci ha traditi, non riuscivo a crederci, mi sono sentita delusa e arrabbiata.
L’avrei ucciso comunque, anche se non avesse toccato Brittany.» Concludo.
«Rimpiangi qualcosa?»
«Bella domanda… Credo di no, ho fatto di tutto per proteggere Brittany e per godermi ogni singolo istante con lei… Avrei voluto che Sebastian uccidesse me invece che lei, ma non ho potuto farci niente»
Alzo le spalle con finta noncuranza, cercando di trattenere le lacrime.
«Era da tempo che non vedevamo una storia d’amore nell’arena,» fa una pausa, si starà perdendo nei ricordi della ghiandaia imitatrice, penso. «e la vostra è stata di certo la più tragica di tutte… Ce l’avevate quasi fatta»
Mi stringe la mano come per infondermi coraggio e mi sorride compassionevole, beh, io non ho bisogno di compassione.
«Questo è tutto, Panem, con ciò che resta delle innamorate sventurate dei distretti 4 e 7»

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Capitolo 22
*** Casa dolce casa ***


Il viaggio di ritorno mi sembra infinito; le ore passano come fossero giorni, quasi sento la mancanza di Sebastian in quel treno vuoto, poi mi ritrovo a pensare a lui e vengo assalita dai conati di vomito.
Quando arriviamo alla stazione mi aspettano le telecamere, tante telecamere, quasi come se fossi a Capitol City.
Ma io non sono a Capitol City, io sono nel 7, finalmente sono a casa.
Riconosco la mia famiglia quasi commossa tra l’ammasso di flash e mi spingo tra le braccia di mio fratello anche prima di poter dire qualcosa.
Lo stringo forte e lui fa lo stesso.
«Mi sei mancato tanto fratellone»
Lo stringo ancora di più al mio petto e mi lascio sfuggire un paio di lacrime ribelli.
«Anche tu mi sei mancata tanto, avevo paura che non ti avrei mai più rivista»
Mi stringe ancora un po’ e poi mi libera, così da poter andare verso i miei genitori.
Mia madre è commossa, mio padre è impassibile.
Stringo prima lei e le sue lacrime si disperdono sulla mia spalla. Faccio per abbracciare lui ma mi respinge.
«Bentornata Santana»
Si volta e si avvia verso casa.
Qualcosa mi si spezza dentro, anche se dubitavo di avere qualcosa ancora intatto.
Mi volto verso la mamma, chiusa sotto il braccio di mio fratello. Li guardo con aria interrogativa e un po’ delusa, mi rifiuto di credere che mio padre, che mi è sempre stato vicino, che mi ha sempre voluto bene più degli altri, non accetti che io sia gay.
Mia madre abbassa lo sguardo, a dimostrazione di ciò che avevo pensato.
Vorrei piangere ma non permetterò ai fotografi di riprendermi mentre lo faccio, e così corro via, verso la mia nuova casa, al villaggio dei vincitori.
Solo tre di queste dodici immense ville sono abitate; una da Will, il mio mentore, una da una vecchia di nome Johanna Mason, che nessuno vede più da decenni e adesso, una è abitata da me, dalla mia famiglia e mio padre.
Mi precipito all’interno della casa aperta.
Mi ritrovo in un immenso salotto, collegato con una porta alla cucina.
Mio padre è lì, seduto attorno al tavolo, con le mani che picchiettano sul legno.
Mi avvicino e lui alza lo sguardo guardandomi negli occhi.
I suoi sono pieni di disprezzo, i miei solo di lacrime.
«Papà io…»
Mi guarda come si guarda un sudicio animale in fin di vita, cosa potrei mai dirgli? Dovrei farmi perdonare per ciò che sono? Non rinnegherò mai di esserlo, non dirò mai di essere sbagliata.
Si alza e fa per raggiungere la porta, gli afferro il polso mentre si volta.
 «Per favore, papà… Sono la stessa che ero un mese fa, cos’è cambiato adesso?»
Le lacrime mi rigano il viso, ma non ho intenzione di fermarle.
«Tu sei cambiata!»
La sua voce tuona nella grande cucina.
«No! Io sono la stessa, da quando le persone si etichettano per chi amano? Sono stata felice con lei, papà, avresti preferito che io non lo fossi?»
Scuote la testa.
«Non così, Santana»
«Papà…»
«Non chiamarmi più “papà”, non sono più tuo padre.»
La delusione e la tristezza che ho dentro si trasformano in rabbia che continua a crescere.
Le lacrime smettono di essere versate, guardo gli occhi neri di mio padre, fermi, rigidi e impassibili.
«Va’ via di qui!»
Indico la porta.
«Che cosa?»
Sembra sconcertato.
«Questa è casa mia, mia e della mia famiglia, tu non ne fai più parte.»
La mia voce risuona sicura, sembra voglia rispondere ma poi si allontana dalla cucina e va’ via.
In quello stesso istante mia mamma e mio fratello entrano in cucina.
«Non avremmo mai voluto che succedesse»
La voce di mamma è interrotta da singhiozzi strazianti, sto per iniziare a piangere ma poi interrompo quel momento tanto doloroso.
«Devo fare una cosa, prima»
Non do spiegazioni ed esco di casa, chiudendomi la porta alle spalle.
**
Picchio il pugno sull’esile porticina di legno
«Chi è?»
Una voce femminile piena di lacrime risponde.
«Sono Santana Lopez… Ho un messaggio da Sebastian…»
Una ragazza piccina e dalla pelle scura mi apre la porta velocemente, lo sguardo pieno di rabbia.
«Come mi hai trovata?»
Mi schiarisco la voce.
«Ho chiesto alla sua famiglia… Lui, lui mi ha chiesto di dirti che… che ti ama, e che non avrebbe voluto lasciarti»
Le mie parole sembrano ferirla.
«Se non l’avessi ucciso adesso potrebbe dirmele lui queste cose»
«Beh però non può. Mi ha implorato di dirtelo, sono state le sue ultime parole, credevo t’importassero.»
Faccio per andarmene ma poi torno indietro.
«Lo so come ti senti, anche io ho perso la persona che più amo, mi dispiace per aver procurato il tuo dolore, ma dovevo tornare a casa, dovevo farlo per lei.»
Mi volto e percorro lo stretto viale che mi ha portato qui.
«Forse potremmo essere amiche»
La sua foce ancora spezzata grida alle mie spalle, sorrido dolcemente.
«Forse, sì»
ANGOLO AUTRICE:
Eccogi giunti all'ultimo capitolo, allora, sto prendendo in considerazione l'idea di scrivere un epilogo, per il quale avrei qualche idea, per cui non etichetterò la storia come completa, ancora.
Spero di avervi accontentati con questi ventidue capitoli, e spero che continuerete a seguirmi anche nelle mie prossime FF.
Sappiate che è stato un vero piacere e un vero onore scrivere per voi.
Alla prossima,
--Sara

 

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Capitolo 23
*** EPILOGO ***


 
Cara Santana,
Mi manchi da morire, Dio, quanto mi manchi.
Mi hai fatto conoscere l’emozione più bella tra tutte: l’amore.
Credimi se ti dico che non ho mai amato nessuno come ho amato e come amo te, sarai per sempre il mio unico grande amore.
Sappi che io non ti avrei mai lasciata morire, sarebbe finita così comunque.
Lo so che adesso sentirai la mia mancanza, ma promettimi che andrai avanti anche senza di me, promettimelo, perché sai che staremo insieme di nuovo, alla fine.
Io sono tua e sono orgogliosa di esserlo, lo sarò per sempre.
 Brittany Susan Pierce

 
ANGOLO AUTRICE:
Ed eccomi qui con il vero e proprio finale di questa fanfiction, dovrebbe essere un epilogo ma non sono poi così sicura che sia così.
Spero di avervi accontentati tutti e di non avervi fatto troppo male.
Alla prossima FF,
--Sara

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