Mia Elbereth di ValHerm (/viewuser.php?uid=13795)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La magia degli Eldar ***
Capitolo 2: *** La luce di Ilùvatar ***
Capitolo 3: *** La battaglia dei cinque eserciti ***
Capitolo 4: *** La grazia dei Valar ***
Capitolo 1 *** La magia degli Eldar ***
Mia Elbereth
Lay down your head
and I'll sing you a lullaby
Back
to the years of loo-li lai-lay
and I’ll sing you
to sleep, and I’ll sing you tomorrow
bless you with love for the road that you go.
Il
rumore è qualcosa di totale. Non c’è
silenzio che possa reggere le urla disperate di chi ha perso tutto, la
rabbia
di chi combatte contro il proprio nemico, le raccomandazioni di chi
teme per i
propri cari. Quando la guerra arriva travolge tutti: amici e familiari,
nemici
e alleati. Anche in quegli istanti il rumore era feroce, violento, non
un
momento di silenzio, né di cordoglio. Le frecce foravano
l’aria, i colpi di
spada la tagliavano in due. Alcuni cadevano, altri andavano avanti. La
terra
era la culla di coloro che avrebbero riposato in eterno, il cielo era
denso di
nuvole cupe, prossime al pianto. La montagna si ergeva più
maestosa di tutto il
resto, e osservava. Osservava la fine dei suoi figli, che combattevano
per i
propri fratelli, e per lei. Lei che era il simbolo di una casa ormai
perduta.
Il rumore è qualcosa di totale, colpisce tutti; ma il
silenzio difficilmente
può essere contrastato, quando il destino si riprende una
vita. In quegli
attimi così pieni di urla e terrore, in quello spiazzo
regnava il silenzio.
Sembrava quasi che una cupola avesse abbracciato i due che giacevano
l’uno
accanto all’altra, per permettere loro di poter salutare il
mondo e tornare a
casa.
Una giovane donna era china sul petto di un piccolo uomo, sdraiato per
terra,
dal volto provato. Le contrazioni che il dolore aveva causato a quel
viso
l’avevano reso più stanco, ma non meno bello.
Rispetto alla donna, dai folti
capelli rossi, l’uomo era di statura minuta: eppure
l’espressione che possedeva
tradiva un’esperienza maggiore, di una vita già
trascorsa.
-
Tauriel.
Quel
sussurro sembrò risvegliare la
donna dal suo stato d’incoscienza. Alzò il viso di
colpo, scoprendo due occhi
pieni di stelle. Erano così lucidi da sembrare quasi
trasparenti. Le orecchie a
punta ormai visibili, rivelarono cos’era in
realtà: un elfo. La sua
mano destra era stretta a pugno sulla casacca di
lui, quasi convulsamente, tremando appena. L’altra stringeva
un’arma
insanguinata, come del resto impregnati ne erano le vesti di entrambi.
Due
volti persi, dai lineamenti eleganti lei, dalla bellezza selvaggia lui,
eppure
attraversati da rughe di pena e dolore.
-
mi canteresti quella canzone?
Chiese
lui, a fatica, guardandola in
volto. Lei annuì, comprendendo subito a quale canto si
riferisse. Cercò di
avvicinarsi di più, trascinandosi, e avvertì solo
allora il dolore di una
lacerazione sul fianco. Non si arrese, e cantò per lui.
- and I’ll sing you to sleep, and
I’ll sing you tomorrow..
bless you with love.. for the road that you.. go-.
Pronunciò
l’ultima parola come un
singhiozzo, perché impossibile fu per lei trattenere
ulteriormente le lacrime.
Quelle iniziarono a rigarle il viso da sole, senza pretendere che lei
riuscisse
a bloccarle. Cercò ancora di abbassare il volto, per
nascondere almeno in parte
la sofferenza che provava, aggrappandosi sempre più alla
casacca di lui,
tremando sempre più forte. Il nano riuscì ad
alzare un braccio e a sfiorarle i
capelli, posando delicatamente le dita su una guancia ormai bagnata.
Tauriel
alzò il volto, bellissimo nella sua devastazione, e lui non
lasciò più andare i
suoi occhi.
-
Grazie.
Disse
infine, sorridendo. I suoi occhi
divennero improvvisamente vacui, e quando il tocco con la guancia di
lei venne
meno, l’elfo spalancò gli occhi.
-
Kili.
Disse,
afferrando di scatto quella
stessa mano che stava scivolando via. Il panico si
impossessò del suo volto
antico, che si muoveva convulsamente in segni di diniego.
-
Kili. Ti prego. No, no…
Cercò
di scuoterlo, di svegliarlo, ma rispose
il silenzio. Lui non c’era più.
Qualcosa si ruppe in lei in quell’istante. Silenzio e rumore
protessero
quell’attimo, nel mentre imperversava la battaglia. La ferita
che l’elfo aveva
sul fianco si allargava, ma il dolore che sentiva era interno, e
nessuna
medicina, né umana, né elfica,
l’avrebbe mai lenito. Il pianto in cui scoppiò
fu straziante, silenzioso, intenso: riempì il cielo. Il
pugno stretto attorno
alla sua casacca non accennò a sciogliersi. Continuava a
stringersi a quel
pezzo di stoffa, come se avesse paura che allentando la presa
l’avrebbe
perduto. Tauriel alzò di poco lo sguardo, per fissare ancora
una volta
l’immagine di Kili, l’ultima che avrebbe avuto modo
di vedere. In quell’istante
le tornarono in mente tutti gli attimi trascorsi con lui. I viaggi che
le loro
menti avevano immaginato assieme, la curiosità che li aveva
spinti ad
incontrarsi e a conoscere l’uno la storia
dell’altra, la speranza di un mondo
migliore.
-
Sono andata lì, qualche volta. Oltre la foresta, sulle
montagne, di notte. Ho visto il mondo cadere via.. e la luce bianca
dell’eternità riempire l’aria.
- Ho visto una luna di fuoco una volta. Si
era levata sul passo vicino a Dunland, era enorme! Rossa e dorata.
Riempiva il cielo.
La
luce dei suoi ricordi era tenue e
pura, quanto illusoria e lontana. Un’ombra li
oscurò, e lei seppe che la cupola
si era rotta. L’incantesimo era finito ed erano ripiombati
nell’odio della
guerra che li circondava. Un orco imponente maneggiava una lancia, e la
scagliò
contro di lei. Tauriel afferrò nuovamente il pugnale accanto
a lei e sferrò un
colpo, tagliando l’arma dell’orco in due, e si
alzò con uno slancio, gettandosi
con tutto il suo peso contro la creatura. La lama che
conficcò nel corpo del
nemico fece esalare al suo avversario il suo ultimo respiro, ed
entrambi si
lasciarono cadere ai lati opposti del terreno. L’elfo cadde
sulle ginocchia, tenendosi
il fianco e respirando a fatica. Ritirò la mano rossa di
sangue, e la strinse a
pugno sul terreno. Guardò ancora una volta il viso
dell’amato accanto a lei: sembrava
che dormisse, come nella canzone che la madre le aveva cantato da
piccola. Non
aveva memoria di quando egli aveva potuto udirla: ma era stato normale
per lei,
comprendere che la canzone fosse quella.
D’un tratto si sentì perforare la schiena da un
dardo appuntito. Spalancò gli
occhi, sputando sangue sulla terra che la separava da Kili. Il suo
respiro
divenne ancora più affannoso, i sensi iniziarono a spegnersi
in lei. Era stata
colpita da una freccia, lo sapeva anche senza voltarsi. Avrebbe potuto
resistere, se non fosse già stata ferita al fianco.
Sentì la vista annebbiarsi,
e non volle guardarsi indietro. Avrebbe lasciato questo mondo guardando
il viso
di lui, sperando che là dove sarebbe andata,
l’avrebbe ritrovato. Riuscì solo a
scorgere gli occhi lontani di un amico dai capelli dorati, che le
apparvero
vicini e cristallini nella loro sofferenza. Sorrise.
‘Sii
forte, fratello’ avrebbe voluto dirgli.
Ma
il tempo dei saluti era finito.
Ritrovò il viso del nano accanto a lei, e provò
un’ultima fugace serenità nel
lasciare questo mondo. Strinse gli
occhi per il dolore, e si lasciò cadere. L’ultima
cosa che poté sentire, fu il
tocco delle dita di Kili, che con la stessa incertezza e lo stesso
amore,
l’avevano trovata già molte lune prima.
May you sail far to the far fields of fortune
With
diamonds and pearls at your head and your
feet
And
may you need never to banish misfortune
May
you find kindness in all that you meet
Con
un singulto Tauriel si alzò di
soprassalto. Inspirava ed espirava affannosamente, guardandosi attorno,
ad
occhi spalancati, senza avere coscienza di dove si trovasse. Quando
riuscì a
riprendere il controllo di sé stessa, scorse parte delle sue
guardie che
riposava poco lontano, mentre i due elfi di turno la guardavano
incerti.
-
Capitano?
Chiese
uno dei due. Tauriel alzò gli
occhi e iniziò a ricordare dove si trovasse, e
perché. Probabilmente era stata
l’ombra della montagna a confonderla. Cercò di
sembrare più calma possibile.
-
Quali notizie dall’oscurità?
Domandò
infine.
-
Nessuna capitano.
La
donna si lasciò sfuggire un sospiro.
Annuì.
-
Mi allontano per qualche istante.
Continuate a stare di guardia.
Ordinò,
congedandosi. Si diresse verso
un punto indistinto, tra l’ombra della montagna e la poca
vegetazione che su di
essa era cresciuta nei secoli. La presenza di Smaug aveva reso quel
posto
malsano, scagliando una maledizione molto simile a quella che aveva
colpito
bosco Atro. Quando si fu allontanata abbastanza dal resto
dell’accampamento, si
arrestò, lasciandosi cadere. Aveva immaginato tutto.
Ciò che aveva visto tra i
suoi pensieri più profondi era stato di un terrore ed una
potenza tale da
averle lasciato un tremore a livello della mano destra.
Quella stessa mano che era stretta alla
casacca di Kili, quasi convulsamente, come se potesse impedire alla sua
vita di
scivolare via. Era stato solo un sogno. Eppure ne sentiva la
ripercussione su
tutto il suo essere, come se fosse oppressa da un macigno impossibile
da rimuovere.
Non avrebbe sperato di fare pensieri positivi durante le sue poche ore
di
incoscienza, ma avrebbe preferito il nulla, il vuoto, un sonno senza
sogni,
piuttosto che presagi neri quanto il male che si sarebbe presto
abbattuto su di
loro. Tuttavia c’era una sensazione che non la lasciava, e
decise che avrebbe
visto il re del suo popolo per farvi chiarezza. Si alzò
piano, facendosi strada
tra i massi e le rovine, in quel posto che era solo terra e nulla
più. Erebor
un tempo era senz’altro stata bellissima: le canzoni
narravano delle sue sale
lucenti e della sfarzosità dei suoi re. D’altronde
era da tempo
incommensurabile che agli elfi non era più permesso entrare
nel regno che sta
sotto il monte, quindi sicuramente lei non l’avrebbe mai
saputo. Un ramoscello
si spezzò, facendola tornare alla realtà. Si
voltò di scatto con una mano
pronta a tirar fuori il pugnale, prima di riconoscere un volto amico
dietro di
lei. Lo chiamava mellon, ma in
realtà
era molto di più. Si era rispecchiata così tante
volte in quegli occhi
trasparenti da scorgere il suo riflesso, e negli anni l’aveva
visto mutare,
come un germoglio che si trasforma in un albero rigoglioso. Purtroppo
anche il
disprezzo e l’affanno si erano uniti a quel viso sempre
allegro e presente.
Disprezzo per quel mondo che invece lei amava, e avrebbe tanto voluto
scoprire.
Legolas la guardava, in attesa. Sapeva sempre quando qualcosa la
preoccupava, e
spesso aveva risposte che appartenevano alla stessa saggezza del padre.
-
Pensavi fossi un nano?
Chiese
infine, aprendo le braccia.
-
Pensavo di doverti lanciare un
pugnale.
Rispose
lei, rilassandosi.
-
Puoi ancora farlo.
La
sfidò lui, muovendo appena il capo.
-
Non cerco la guerra prima del tempo.
Non con la mia gente. Inoltre, t’infilzerei, mellon.
Ribatté
Tauriel con un sorriso. Anche
Legolas fece una piccola smorfia, avvicinandosi a lei.
-
Cosa cerchi allora, Tauriel del Reame
Boscoso? Perché senz’altro di qualcosa sei alla
ricerca, se lasci il tuo posto nel
bel mezzo della notte.
La
risposta dell’elfo dai capelli
dorati la disarmò. L’impetuosità della
sua visione la travolse nuovamente,
tanto da riuscire a sentire quelle stesse urla di sofferenza e quelle
mille
frecce tagliare l’aria. I suoi pensieri dovevano essere
così forti da rendere
partecipe perfino l’amico davanti a lei.
-
Tauriel?
La
preoccupazione di Legolas era
palpabile.
-
Cercavo il nostro re.
Rispose
infine lei, scuotendo il capo.
-
Perché è della sua saggezza che ho
molto bisogno.
L’elfo
davanti a lei la guardò a lungo.
-
Se è il re che cerchi, ti condurrò da
lui. Ma se posso fare qualcosa per contenere la devastazione dei tuoi
occhi,
non esitare a chiedere, Tauriel.
Il
silenzio calò tra i due. Se mille
pensieri lo riempirono, nessuno dei due lo seppe mai. Legolas fece per
voltarsi.
-
Io non ho il dono della preveggenza.
Disse
d’un tratto l’elfo silvano dai
capelli rossi. L’altro si voltò nuovamente a
guardarla.
-
Eppure, io mi domando: è possibile
che la magia del nostro popolo possa far sì che io veda
ciò che non si è ancora
verificato?
Tauriel
tentò di riassumere tutta la
sua paura e la sua sofferenza in quell’unica domanda. Si
chiese se Legolas
potesse avere una risposta a ciò che lei non aveva saputo
spiegare. Sperò che
avrebbe potuto placare l’angoscia che le opprimeva il petto.
-
La magia del nostro popolo è antica,
neanche i più saggi ne conoscono tutte le manifestazioni. A
volte è un
immagine, un suono o una parola, ma sì, quella stessa magia
ci permette di
vedere cose che devono ancora verificarsi. Se penso che questo sia
capitato a
te? Forse. Ma ora io chiedo a te: se ciò che hai visto
accadesse, cosa faresti?
L’elfo
dai capelli rossi rimase in
silenzio, tesa come una corda, senza potersi rilassare. Era
vero, allora – pensò.
L’indomani avrebbe visto la morte in
volto, e niente avrebbe potuto impedirlo. Davanti a lei il viso di
Legolas
sembrò ringiovanire di molti anni, e lo rivide
d’un tratto bambino, quando
correva accanto a lei tra gli alberi di bosco Atro. I suoi occhi
azzurri
gentili e rilassati nelle ore di gioco o di tiro con l’arco,
i duri allenamenti
per essere all’altezza di colui che per entrambi poteva
essere chiamato padre.
La donna tentò di sorridere.
-
Ti direi gi melin, mellon.
Rispose
infine. La tensione che aveva
lasciato il suo volto andò ad occupare quello
dell’amico dai capelli dorati. I
suoi occhi la scrutavano confusi, tentando di comprendere cosa lei gli
stesse
nascondendo. Tauriel si voltò, incamminandosi verso una meta
sconosciuta, o
forse semplicemente dove il destino l’avrebbe condotta sin
dall’inizio.
-
Tauriel.
Chiamò
ancora Legolas, facendo un passo
avanti. L’altra si voltò un’ultima volta.
-
Gi melin. Tenna tul re.
Disse,
accennando ad un sorriso. L’elfo
silvano dai capelli rossi, che da molte lune non aveva avuto modo di
rivedere
quel sorriso, lo contraccambiò, per poi voltarsi e sparire
nell’ombra della
montagna.
Note:
gi
melin: ti voglio bene
tenna tul re: a domani
Questa
song/long-fic è nata come
one-shot, tra le note di una canzone: ‘Sleep song’
dei Secret Garden. In
seguito si è sviluppata a tal punto da doverla dividere in
qualche capitolo.
Ogni volta che ascolto questa canzone mi vengono in mente gli ultimi
attimi
della battaglia dei cinque eserciti, ed ecco qui descritta
l’ultima notte prima
del grande scontro. Chi ha letto il libro avrà intuito il
riferimento temporale
agli accampamenti di elfi e uomini sotto la montagna. Per il resto..
questa è
la mia visione di come Jackson dovrebbe concludere la meravigliosa
rielaborazione che ne ha tratto, descritta dal POV di Tauriel (in
realtà ho più
di una sola idea e più di una sola conclusione, ma questa
è una delle tante).
Possa una stella brillare sul nostro incontro, miei cari lettori, e
spero che
apprezzerete la mia storia.
ValHerm
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Capitolo 2 *** La luce di Ilùvatar ***
May there always
be angels to watch over you
To
guide you each step of the way
To
guard you and keep you safe from all harm
Loo-li,
loo-li, lai-lay
La
porta dei nani era chiusa, sigillata
dalle sue antiche scritture e imponente nella sua grandezza. Gli occhi
di Tauriel
la fissarono a lungo prima di capire che sarebbe rimasta
così sino all’indomani
– o sino a quando Thorin ScudodiQuercia l’avesse
ritenuto opportuno. Era
esattamente come se l’era aspettata: un confine netto tra i
figli della
montagna e quelli del cielo stellato. Nonostante tutto, aveva sentito
il
bisogno di recarsi lì, forse per comprendere quanto le sue
sensazioni potessero
essere errate ed incomprensibili. Dopo averla contemplata a lungo, in
silenzio,
si allontanò, giungendo in uno spiazzo abbastanza ampio,
circondato da alcuni
alberi che erano scampati alla furia del drago. Qui si sedette,
circondata da
rocce e fili d’erba secca, ripensando al verde dei suoi
boschi ormai lontani.
Quella stessa terra sulla quale aveva posato i suoi passi era
però ricca di
memoria: non poteva non provare una certa riverenza
nell’essere circondata da
quelle che erano le rovine di un grande popolo, che aveva affrontato
una grande
battaglia. Nella loro desolazione, quei resti erano la prova di quanto
coraggio
fosse nascosto in quei piccoli uomini.
Il
coraggio.
Era
stato probabilmente quello ad
averla colpita, la prima volta che aveva incontrato i nani di Erebor.
Caparbietà, testardaggine ed orgoglio. Eppure
c’era stata una luce, accecante
come il sole, che aveva veduto quando uno di loro l’aveva
osservata. La sua
curiosità era sempre stata malvista dagli altri elfi
silvani: loro erano
creature immortali e lontane, che mai si sarebbero curate della
sopravvivenza
degli altri popoli della terra di mezzo. Lei invece si era sempre
sentita
diversa, più vicina al mondo di quanto alle alte
creature fosse concesso. Lo sguardo di quel nano aveva
risvegliato la parte
più profonda del suo essere. Avrebbe dovuto considerarlo
irriverente e pieno di
sé, ma in realtà lo aveva sentito vicino come
nessun altro in seicento anni di
vita. Avevano trascorso
poco tempo insieme, ma quello scorcio di mondo che aveva immaginato
accanto a
lui le era bastato per desiderare giorni nuovi, colmi di vita e di
speranza.
Gli aveva salvato la vita due volte, e quello aveva creato un legame
ancora più
forte, privo di ogni logica o spiegazione. Così come
irrazionale quanto forte
era il suo desiderio di poterlo rivedere in quell’istante.
Non sapeva cosa
avrebbe potuto dirgli, ma avrebbe voluto rivedere il suo volto, ancora
una
volta.
Ricordò
improvvisamente come aveva
fronteggiato Smaug, venuto a Pontelagolungo per distruggere gli
abitanti della
città. L’aveva medicato da poco, la magia degli
Eldar non aveva ancora ultimato
il suo percorso, che già si era alzato in piedi brandendo il
suo arco. Ricordò
la rabbia che montò in lei e la preoccupazione che il nano
potesse morire sul
serio, oltre alla paura per le fiamme ardenti che avvolsero la
città. Dopo
avergli sussurrato una marea di insulti nella sua lingua –
che Kili
difficilmente avrebbe compreso – aveva concluso esasperata
“sei una testa dura”. Aveva
fatto poco
caso alla faccia contrariata del nano e alla sua battuta di spirito
legata alla
sua robustezza totale. Smaug
sorvolava le abitazioni, uccidendo chiunque capitasse a tiro, e
mancò poco che
non incenerì anche loro. Fortunatamente, ora giaceva sul
fondo del lago, preda
di un sonno dal quale non si sarebbe più svegliato.
Se
ciò che hai visto accadesse, cosa faresti?
Le
parole di Legolas le risuonarono
chiare nella mente, costringendola a tornare al presente.
Alzò gli occhi, ed
incontrò la sua amata volta stellata. Quei punti di luce si
rifletterono nei
suoi occhi, pieni della loro bellezza ed eternità. Elbereth aveva deciso di illuminare
quella notte più di ogni altra,
chissà poi perché. I nani erano chiusi nella
montagna, e il loro re non voleva
saperne nulla di aiutare gli uomini o di parlamentare con gli elfi. Non
c’era
brillantezza in quel posto, se non quella legata alle monete
d’oro e d’argento
di Thror. Ma per Tauriel, quei punti celesti che la dama delle stelle
aveva
preparato per Manwe, erano molto
più
luminosi di qualsiasi tesoro dei nani. La vastità di
emozioni che provava non
poteva essere definita in alcuna parola delle antiche lingue del mondo.
Così
iniziò a cantare.
Era una melodia antica, quella che fuoriuscì dalle sue
labbra. Le ricordava
tempi mai vissuti, la magia di un popolo al quale nonostante tutto
sarebbe
sempre appartenuta. L’immagine legata a quel canto era
l’unica che le
ricordasse in qualche modo sua madre. Non era una vera e propria
immagine,
chiara e definita: era un calore antico ed avvolgente, che sapeva
rassicurarla
anche nei momenti più bui.
Mentre intonava le ultime parole di quella canzone senza tempo,
avvertì in
maniera impercettibile il rumore di un passo. Si voltò di
scatto fuoriuscendo
il suo pugnale. I suoi occhi, divenuti d’un tratto rigidi e
affilati, si
sciolsero in un attimo impercettibile. Un piccolo uomo la fissava
incantato,
come aveva già fatto molte volte prima d’allora.
Tauriel rimise nella fodera il
pugnale, lentamente, senza saper bene cosa fare, ora che lo aveva
lì davanti a
lei. Kili era ancora immobile al suo posto, sbatteva a tratti le
palpebre,
attraversato da sensazioni inspiegabili a parole.
-
Scusami. Ti ho spaventata.
Riuscì
a dire, mettendo una mano dietro
la testa.
-
Non sei il primo, stanotte. Forse
sono io ad essere un po’ tesa.
Rispose
lei, sedendosi nuovamente. Non
sopportava di doverlo guardare dall’alto, non in quegli
istanti, non dopo tutto
quello che avevano passato insieme. Preferiva guardare i suoi occhi da
pari a
pari, dimenticando cosa li dividesse più di ogni altra cosa
al mondo.
-
Cosa ti preoccupa?
Chiese
lui avvicinandosi. Prese posto
accanto a lei.
-
Il domani.
Sospirò
Tauriel. Abbassò lo sguardo,
sperando che lui non riuscisse a leggerle quella tristezza ed angoscia
che la
sua visione le aveva procurato.
-
Roba da poco, insomma.
Scherzò
Kili, riuscendo a strapparle un
sorriso. Il sorriso. Il suo e
quello
che riusciva a destare in lei. Era stata quella un’altra cosa
ad averla
colpita, nell’immensità del palazzo del Reame
Boscoso. In mezzo a tutta quella
luce straniera, Kili non era riuscito a trattenerlo, e anche in quegli
istanti,
nel bel mezzo dell’oscurità, riusciva a sorridere.
Nella vastità del regno
elfico nel quale era cresciuta, Tauriel aveva visto così
poche volte la luce di
un sorriso, dall’esserne attratta come da una stella.
-
Era molto bella, comunque.
Disse
a un tratto lui, ridestandola dai
suoi pensieri. Probabilmente lesse la confusione negli occhi di lei,
perché si
affrettò ad aggiungere:
-
La canzone. Credo di essermi
incantato ad ascoltarti.
Pronunciò
l’ultima frase quasi come se
fosse naturale aprire i suoi sentimenti a lei. Abbassò
impacciato lo sguardo,
quando si rese conto della forza della sua confessione. Tauriel lo
fissò, senza
proferir parola, sentendo però qualcosa muoversi in lei,
all’altezza del petto.
-
Era una ninnananna, antica come tutte
le nostre canzoni. È l’unico ricordo che mi resta
di mia madre. In realtà non
so se fosse davvero lei a cantarmela, perché non ho
un’immagine chiara a cui
fare appello. Ma nel mio cuore sento che era lei. È una
delle cose più care che
ho.
Spiegò
con affetto. Kili la fissò
intensamente.
-
Lo so. L’ho sentito nella tua voce,
mentre la cantavi. La ami come ami le tue stelle.
Disse,
perché davvero l’aveva sentito.
Davvero aveva compreso. Tauriel alzò lo sguardo verso la
volta celeste, in
parte per le parole di Kili, in parte per nascondere le forti emozioni
che le
coloravano il volto. D’un tratto un pensiero la
sfiorò. Il ricordo di una
conversazione, avvenuta molto tempo prima.
-
Le stelle che tu senti lontane.
Disse,
cercando gli occhi di lui. Kili
fece finta di rimuginarci su, poi alzò lo sguardo.
-
Non sono più così distanti, adesso. Elbereth ti ha mandata da me per questo.
Rispose.
Tauriel si voltò di scatto,
non appena sentì nominare Elbereth.
La dama delle stelle era nota come Varda per la maggior parte della
Terra di
Mezzo, ma Kili aveva usato il nome che solo gli elfi le davano. Stava
per
chiedergli come avesse fatto ad apprenderlo, quando lui la
fissò intensamente.
Accennò un sorriso.
-
Melda heri Tauriel.
La
luce di Ilùvatar ancora ti splende in volto.
L’elfo
spalancò gli occhi, non
riuscendo a celare la sua sorpresa. Un nano
aveva recitato per lei una frase delle antiche leggende, legata alla
dama delle
stelle. Kili sembrò compiaciuto dell’effetto che
la sua frase ebbe su Tauriel,
e cercando di nascondere un ampio sorriso, volse gli occhi nuovamente
al cielo.
Una volta interrotto quel contatto d’iridi, l’elfo
sembrò risvegliarsi. La
figura accanto a lei aveva davvero inteso cosa le aveva detto? Melda heri. La cosa certa era che o
aveva imparato l’elfico in sogno, per volere dei Valar,
oppure si era impegnato
a studiarlo dopo averla incontrata. In entrambi i casi, un sorriso
spontaneo riuscì
comunque a colorarle il volto. Tauriel seguì l’
esempio del giovane e osservò
quelle costellazioni che tante altre volte aveva veduto; in
quell’istante le
sembrarono brillare di una nuova luce. All’improvviso
sentì un calore familiare
sfiorarle il dorso della mano. Era un tocco esitante, delicato, di dita
ruvide
che cercavano le sue. Aprì appena le sue dita, quel poco che
permettesse loro
di intrecciarsi, e subito sentì il tocco di lui farsi
più sicuro, e stringerla
nel suo calore. Quelle mani, che si erano cercate altre volte, ed una
volta
sola si erano trovate, erano di nuovo insieme, come se solo in
quell’istante
avessero trovato pace.
Rimasero in silenzio per un po’, il tempo di farsi inondare
da quel calore che
si trasmettevano tramite le loro mani unite. La miriade di sensazioni
che li
travolse non potrebbe comunque essere spiegata in nessuna delle lingue
correnti. Poco dopo Tauriel alzò la mano destra indicando il
cielo.
-
Telumehtar.
Credo sia la tua costellazione. Non l’ho mai vista
così brillante come questa
notte.
Osservò,
destando la curiosità di lui.
-
Cosa vuol dire?
Chiese
Kili, con un ampio sorriso. Era
animato da una curiosità che la rassomigliava molto.
-
Che non hai armi molto potenti.
Rispose
Tauriel, con una smorfia. Lui
la fissò di scatto, talmente sincero nella sua delusione da
strapparle un
risolino soffocato, che rivelò lo scherzo
dell’elfo silvano.
-
Sto scherzando. Credevo avessi
imparato l’elfico, per la grazia dei Valar. È il
soldato del cielo. La sua arma
è una spada, corta e larga. Tu sei un’arciere, ma
credo che il vostro spirito
vi accomuni.
Spiegò.
Tuttavia lui non era disposto a
perdonarle il piccolo scherzo.
-
Brava, prendimi in giro. Per la
cronaca, non ho le orecchie a punta, io. Avevo imparato appositamente
quella
frase e ci ho messo così tanto per memorizzarla.. pensa che
ho provato più
volte a recitarla a mio fratello, ma sono sempre stato mandato da
Ilùvatar. Non
è molto romantico.
Disse
risentito, senza riuscire a celare
un sorriso. Tauriel nascose un risolino con la mano, immaginando Kili
mentre
recitava al fratello più grande i versi di Elbereth.
-
Guarda come si diverte. Non
lamentarti quando ti farò visitare le sale di Erebor e ti
lascerò nel cuore
della montagna, tra indicazioni che non sai interpretare per trovare
l’uscita. Allora
sì che ti sembrerò un’arma potente. Allora
riderò io.
Disse
il nano, con superiorità. Aveva
una naturalezza così travolgente che Tauriel
spalancò gli occhi, immaginandosi
già lì.
-
Non oseresti.
Rispose
lei. Non riusciva a celare il
suo sorriso nemmeno per sbeffeggiarlo.
-
Hai visitato il palazzo reale elfico
ed è questa la tua riconoscenza?
Chiese,
fingendosi altezzosa.
-
Oh certo, grazie per avermi catturato
come un coniglio ed avermi permesso così di visitare le
celle e le cantine
elfiche. Bei barili, a proposito. Da collezione.
Tauriel
boccheggiò, tra l’indignazione
e il divertimento.
-
Dì quello che vuoi, ma ti sono stata
accanto. Perciò non oserai lasciarmi da sola nel cuore della
montagna!
Esclamò,
avvicinando il suo volto a
quello di lui. I suoi occhi grandi sembravano realmente offesi, persi
nel gioco
dove insieme si erano avventurati. Kili invece si ridestò da
quel sogno proprio
in quell’istante.
-
Non ti lascerei.
Disse,
facendole mancare un battito. Anche
Tauriel si ridestò dall’illusione di essere
già nelle sale di Erebor, e si
ritrovò improvvisamente accanto a lui, più vicina
di quanto lo fosse mai stata.
I suoi occhi presero a brillare. Kili alzò la mano libera
per sfiorarle la
guancia, esplorando delicatamente i suoi tratti, come se lei potesse
svanire da
un momento all’altro.
-
Non ti lascio.
Sussurrò,
avvicinandosi. L’emozione del
momento fu palpabile. I respiri dei due erano ormai così
vicini da unirsi, i
loro occhi indugiavano sul viso dell’altro. Fu allora che
accadde: le loro
labbra si sfiorarono. Fu un tocco delicato, atteso ed incerto, come lo
erano
state le loro mani la prima volta che si erano trovate. Dopo il primo
tocco, entrambi
persero il senso della situazione, del mondo che li circondava. Il loro
bacio
diventava sempre più forte, passionale e disperato,
perché nel suo silenzio
erano sospese tutte le paure e le incertezze che in realtà
li dividevano. Ma in
quel momento non c’era nulla a dividerli: lei si
aggrappò alle sue spalle possenti,
lui esplorò la morbidezza dei suoi capelli infuocati.
Cercarono così di
comprendere quella scintilla che li aveva uniti sin dal primo istante,
quella
intensità di un contatto desiderato a lungo, celato a tutti,
tranne che a loro
stessi. Perché lontano dal reame boscoso, fuori dalla
montagna solitaria, non
erano più un nano ed un elfo troppo diversi perfino per
comprendersi: erano un
uomo ed una donna che si erano sentiti legati sin dal primo sguardo,
che si
erano desiderati profondamente, in un modo che solo Ilùvatar
poteva immaginare.
Quel bacio suggellò un sentimento diverso quanto profondo.
Qualcosa che solo
loro, nel loro essere uguali, compresero.
A poco a poco l’irruenza del loro gesto si
acquietò. Si ritrovarono uno davanti
all’altra, in ginocchio, fronte contro fronte, mentre si
osservavano, rossi in
volto e col respiro irregolare.
-
Credi che avrebbe potuto amarmi?
Chiese
Kili, lasciando Tauriel senza
parole. Quella era stata una domanda fatta in un delirio febbrile, e
l’elfo mai
avrebbe creduto di poterla udire ancora. Indugiò a lungo sui
suoi occhi, poi
sulle sue labbra, chiudendo appena le palpebre. Poi lo
guardò, intensamente.
-
Li
melin, hir vuin.
Rispose.
Erano le parole più vicine al
suo cuore che potesse pronunciare, nonostante sapesse che lui non
poteva
comprenderle. Kili la fissò, e le carezzò
nuovamente il volto.
-
Anch’io.
Rispose.
Perché nonostante non
conoscesse le parole, aveva compreso il sentimento della sua voce.
-
Anche se non ho le orecchie a punta.
Aggiunse
poi, strappandole un
meraviglioso sorriso.
Note:
Melda heri Tauriel: mia amata Tauriel
L’altra frase si scoprirà a tempo
debito. Se avete letto il Silmarillion,
saprete che Elbereth/Varda è la dama delle Stelle, sposa di
Manwe, signore dei
Valar. Ho unito a questo capitolo un po’ delle mie ultime
letture, assieme alla
costellazione di Telumehtar.
“La luce di Ilùvatar
ancora ti splende in
volto” ovviamente è una citazione del
maestro Tolkien, sempre dal
Silmarillion.
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Capitolo 3 *** La battaglia dei cinque eserciti ***
May you bring love and may you bring happiness
Be
loved in return to the end of your days
Now
fall off to sleep, I'm not meaning to keep
you
I'll
just sit for a while and sing loo-li,
lai-lay
Quella
notte stellata scivolò via più
rapidamente di quanto i combattenti a guardia della montagna potessero
sperare.
La luce dei raggi dell’alba avvolse due figure dormienti,
l’una accanto
all’altra, che respiravano tranquillamente, tenendosi per
mano.
Tauriel
fu la prima a risvegliarsi,
avvertendo il calore del giorno appena iniziato. Guardò il
sole con la
tristezza negli occhi: troppo poco la notte li aveva nascosti e
protetti da
occhi indiscreti. Non era più spaventata come il giorno
prima, qualunque fosse
stato il suo destino, l’avrebbe affrontato. Temeva
però per la sorte dei suoi
cari: la guerra avrebbe portato comunque morte e distruzione. Ma quante
perdite
avrebbe causato?
Voltò
lo sguardo, e si soffermo sulla
figura del nano dormiente accanto a lei. Sembrava così
tranquillo, proprio come
nella sua visione, a differenza che nelle sue paure più
profonde non si sarebbe
più svegliato. In quegli istanti però respirava
sereno. Salda era ancora la
presa sulla sua mano, come se avesse avuto paura che durante la notte
l’avrebbe
perduta. Si erano addormentati così, osservando le
costellazioni, mentre lei
pronunciava parole in una lingua tanto dolce quanto sconosciuta. Lui
cercava di
imitarla, e forte nella sua curiosità l’ascoltava
rapito, osservandola
intensamente.
Tauriel
sorrise appena, consapevole che
se ciò che temeva si fosse verificato, non avrebbe avuto
rimpianti nella morte.
Alzò la mano libera e scostò qualche ciocca di
capelli ribelle dalla fronte di
Kili. Chissà cosa diranno i tuoi
fratelli
– pensò. Chissà
cosa diranno i miei.
Gli ostacoli che quel sentimento aveva incontrato da quando era nato
erano
subito state evidenti ad entrambi. Eppure quando qualcosa di
così forte ti
unisce ad un altro , non c’è modo che quel nodo
venga sciolto. Si resta legati.
Per l’eternità.
Consapevole
di quella certezza, sentì
che ciò che avrebbe affrontato dal quel momento in poi non
le avrebbe fatto più
paura. Si avvicinò all’orecchio di Kili e
sussurrò la sua canzone.
- and I’ll
sing you to sleep, and I’ll sing
you tomorrow
bless you with love, for the road that you go.
Sorrise
appena e gli diede un lieve
bacio sulle labbra. Sapeva che era giunto il momento di andare.
Sfilò pian
piano la sua mano da quella del nano, salutando quell’unico
momento di pace che
gli era stato concesso. Si alzò, fiera nel suo portamento, e
fissò il sole di
quell’alba, un sole che avrebbe cominciato una giornata
significativa, nel bene o nel male.
Se il re sotto il
monte avesse cambiato idea, molte cose sarebbero state diverse, e forse
avrebbero potuto vivere in pace. Tuttavia si vociferava che una
maledizione
fosse legata all’oro di Thror, ed anche un uomo valoroso come
Thorin
ScudodiQuercia avrebbe potuto divenirne la preda. Nei suoi occhi
scomparve la
dolcezza e la fragilità che aveva mostrato a Kili la notte
prima e ricomparve
la forza ed il coraggio del capitano della guardia. Si
guardò indietro un
ultimo istante, in tempo per vedere il nano iniziare a muoversi
impercettibilmente.
Forse
lui ce l’avrebbe fatta.
Forse
il principe avrebbe convinto il re.
Quando
Kili aprì gli occhi verso il
sole, la figura dell’elfo era già scomparsa.
In
breve tempo Tauriel raggiunse
l’accampamento elfico, tornando alla postazione che era stata
riservata ai
soldati del re. I suoi sottoposti la guardarono senza riuscire a
trattenere la
sorpresa.
-
Capitano..
Iniziò
uno di loro. Ma non fece in
tempo a terminare la frase. Legolas apparve improvvisamente accanto
alla
guardia reale, con sguardo serio e duro.
-
Tauriel.
Chiamò.
Lei lo guardò, in attesa.
-
Mithrandir ci ha annunciato una
sventura ancor più grande della testardaggine di Thorin
ScudodiQuercia. Orchi. Sono
numerosi, e affiancati dai
mannari. Preparatevi alla battaglia.
Sentenziò il principe. Tauriel
spalancò gli occhi,
deglutendo l’angoscia che era improvvisamente risalita in
lei. Fece un cenno
col capo per risposta, concentrandosi sui suoi uomini mentre Legolas si
allontanava.
Avrebbe dovuto combattere, proprio come aveva previsto. Sventura e
distruzione
senza pari stavano per abbattersi su di loro. Un corno profondo e
terribile
risuonò nell’aria cupa e densa della montagna.
Tauriel si voltò di scatto verso
l’orizzonte.
-
Ai vostri posti.
Ordinò.
Allontanandosi dagli
accampamenti, vide ciò che alla vista umana sarebbe stato
impossibile:
l’esercito degli orchi di Azog il profanatore.
L’ora era giunta.
Altri
tre suoni risuonarono in seguito,
ognuno con un’intensità diversa
dall’altro: il corno elfico, dell’esercito
silvano; il corno umano, dei valorosi di Pontelagolungo; il corno
nanico, dei
figli della montagna. In realtà, non erano i nani di Thorin
quelli schierati
accanto a loro: erano i nani di Dain, re dei Colli Ferrosi, giunti per
dare
manforte ai loro parenti, ancora chiusi nella montagna.
I
tre eserciti erano schierati alle sue
pendici, fermi nelle loro formazioni. Tauriel guardava dritta davanti a
sé, per
non mostrare il minimo cedimento, per concentrarsi solo sullo scontro e
per
difendere il mondo che tanto amava. Poco distante da lei, in una fila
antecedente alla sua, c’era Legolas, pronto a guidare la sua
armata come un
degno principe del reame boscoso. Accanto a lui, re Thranduil aveva
negli occhi
un ardore che Tauriel non aveva mai visto riflesso nelle sue iridi
azzurre. Era
lo sguardo di chi una volta si era tirato indietro, e avrebbe
combattuto il
doppio per riparare a quell’errore.
L’elfo
non poté trattenersi dal
rivolgere il suo sguardo anche a Est: vide l’esercito dei
nani muti nella loro
potenza e compatti nel difendere la loro terra. Kili
non era lì. Ne era al contempo sollevata e
preoccupata. Sapeva
che niente avrebbe potuto
distoglierlo
da quello scontro, e che probabilmente era in lotta con suo zio, negli
antri di
Erebor. Lui che non aveva mai visto guerre, lui che nei suoi incubi non
sarebbe
sopravvissuto. Tornò a guardare fisso davanti a
sé, pronta allo scontro
decisivo.
Gli
orchi avanzavano rapidamente verso
la montagna, ad una velocità inusuale per quelli della loro
specie. Il loro
comandante li motivava in una lingua troppo oscura per poter essere
riferita. I
mannari ringhiavano feroci, affiancando i loro alleati. Sembravano
desiderosi
della carne nemica, che bramavano da tempo. I tre eserciti schierati
contro di
loro erano in silenzio, pronti a scattare al minimo cenno dei propri
condottieri.
Tutti si chiedevano, dentro di loro, se il re
li avrebbe raggiunti per difendere la montagna. Ogni speranza sembrava
ormai
perduta, persino per Dain, che non si era voltato un istante verso la
porta dei
nani.
D’un
tratto, un rumore li riscosse.
Colpi che percuotevano la porta e facevano tremare i fianchi della
montagna.
Tauriel si voltò in tempo per vedere i massi che chiudevano
la porta crollare
uno dopo l’altro e la polvere occupare il sentiero centrale.
In quella stessa
polvere, delle figure indistinte camminavano compatte, a passo sicuro.
Tredici
nani, in formazione di battaglia, guidati dal re sotto la montagna.
Fu
un momento talmente solenne che gli
eserciti restarono in assoluto silenzio, osservando gli ultimi eredi
della
stirpe di Durin farsi strada verso la battaglia imminente. Il re aveva
negli
occhi quello stesso fuoco di Thranduil, di Dain, e di Bard. La sua
arroganza e
il suo desiderio di potere sembravano scomparsi. C’era
solamente forza, in lui.
La
forza di un re pronto a morire per difendere il suo
popolo.
I
dodici nani al suo seguito si
arrestarono, lasciando che Thorin si avvicinasse a Dain. I due cugini a
capo
dell’esercito delle montagne si guardarono, e si compresero.
Dain abbassò il
capo, lasciando che l’altro potesse guardare coloro che
avrebbero combattuto
per difendere la montagna. Thranduil e Bard sarebbero rimasti. Il re
comunicò
la sua gratitudine tramite uno sguardo, e non ci fu bisogno di parole
per
quell’attimo.
Tauriel
osservava Kili, fermo nella
prima fila nanica, in quanto principe del suo popolo. D’un
tratto, lui voltò lo
sguardo verso di lei. Non seppe cosa vide nei suoi occhi,
perché un attimo dopo
sorrise impercettibilmente. Anche lei provò a ricambiare
quel sorriso, più
denso di ricordi e malinconia di quanto l’ultima volta lo
fosse stato.
Thorin
ScudodiQuercia mosse qualche
passo verso il plotone nemico, guardando fisso davanti a sé.
Sguainò la sua
spada, puntandola verso il cielo. Urlò una parola in lingua
nanica, che tutti
sentirono di comprendere.
Andiamo.
Iniziò
a correre verso l’orizzonte, e
tutti si unirono a lui: nani, uomini, elfi. Il re della montagna aveva
dato il
suo segnale, e la battaglia era cominciata.
Frecce
vennero scoccate, colpi di spada
tagliarono l’aria in due. Lo scontro fu violento ed
all’ultimo sangue: gli
orchi cadevano uno dopo l’altro, ma sembravano moltiplicarsi
invece che
diminuire. Tauriel lanciava frecce agli orchi più deboli,
infilzava con la
spada quelli più grandi che riuscivano ad avvicinarla. I
suoi soldati
combattevano con onore, proteggendo i loro compagni di stirpe umana o
nanica:
sembrava che l’antico odio tra le varie razze fosse
scomparso, alimentando il
ripudio che tutti loro provavano verso gli orchi di Azog.
Una
volta abbattuta la schiera che le
occupava la visuale, Tauriel intravide Kili poco distante da lei,
mentre
sferrava colpi di spada verso tre orchi che gli stavano addosso in
contemporanea. Il nano riuscì con un colpo solo ad ucciderne
due, ma il terzo
li aveva usati come scudo per potersi gettare su di lui.
L’elfo non ci pensò un
attimo e lanciò il suo pugnale al capo dell’orco,
che si arrestò di colpo,
cadendo all’indietro. Kili lo guardò stupefatto
per un momento, dopodiché
guardò lei, e indietreggiando le si avvicinò,
parando i colpi di chiunque gli
si gettasse contro. Tauriel fece lo stesso, fungendo da scudo per
sé stessa ed
il piccolo uomo.
-
Mi salvi la vita in continuazione.
Disse
una volta arrivato accanto a lei,
mentre continuava a sferrare colpi contro gli orchi.
-
Ti da forse fastidio essere salvato
da una donna?
Chiese
lei senza guardarlo, lanciando
frecce una dopo l’altra.
-
Cosa? Non è questo!
Rispose
Kili, col fiatone, dopo aver
abbattuto un orco dalla statura massiccia.
-
è che non smetterò mai di essere in
debito con te.
Tauriel
lo guardò un attimo, sorpresa
della sua risposta. La testardaggine dei
nani - pensò. Dopodiché si
concentrò nuovamente sulla marea dei nemici
intorno a loro.
-
Sei uno stupido.
Rispose,
infilzando un’altra orribile
creatura.
-
Tu
mi hai salvata. In un modo che solo i Valar sanno. Non hai nessun
debito con
me, se non quello di rispettare la tua promessa.
Gli
disse, sperando che lui ricordasse.
Kili spalancò gli occhi.
Non
ti lascio.
Fece
un sorriso compiaciuto.
-
Tornerò da te.
Rispose,
infilzando un altro orco.
-
Fa attenzione.
Lo
pregò lei con lo sguardo, mentre
entrambi indietreggiavano verso i loro eserciti.
-
Tauriel!
La
chiamò ancora lui. Lei si voltò
un’ultima volta.
-
Li
melin.
Disse,
voltandosi e correndo verso i
nani di Erebor. Tauriel rimase ancora una volta sorpresa da quanto Kili
potesse
disarmarla con un semplice gesto. Cercò di staccare lo
sguardo dalla sua figura
e tornò ad uccidere gli orchi con forza, sperando che il
nano sarebbe tornato.
La
battaglia continuava ad imperversare
con forza ed irruenza. Perfino gli elfi iniziarono a temere che forse
la loro
alleanza non sarebbe bastata, perché gli orchi di Azog li
superavano in numero.
Tauriel riuscì a intravedere anche il suo principe
combattere alla testa del
popolo silvano. Legolas stava bene. Legolas sarebbe sopravvissuto.
Doveva
sopravvivere. Roteando su sé stessa l’elfo
tentò di uccidere più orchi insieme,
mentre al suo fianco anche il resto del suo popolo si destreggiava in
acrobazie
ed uccisioni di massa.
Un
orco imponente le si scagliò contro
con un bastone coperto di punte acuminate, così Tauriel
sferrò due frecce, ma
quelle non bastarono. Afferrò la sua spada, ma prima che
potesse infilzare la
creatura, quella riuscì maldestramente a colpirle il fianco.
Lei indietreggiò afferrandoselo,
ma non ebbe il tempo di programmare alcun contrattacco: il mostro cadde
in
avanti, con una freccia acuminata che gli trapassava il cranio. Tauriel
alzò
gli occhi e vide la figura di Kili in lontananza, con l’arco
ancora puntato. La
guardò un istante e poi sparì, mentre lei
tentò a denti stretti di nascondere
la ferita al fianco sinistro. Trovò anche gli occhi di
Legolas a fissarla, come
se fosse stato sul punto di agire. Gli fece un cenno col capo e anche
lui
annuì, tornando a concentrarsi sulla battaglia.
Nel
bel mezzo del combattimento, tra le
urla di chi lasciava questo mondo e di coloro che invece continuavano a
lottare, un verso indistinto riempì il cielo. Ombre copiose
oscurarono i
combattenti, convinti che un temporale fosse in arrivo. Così
era: nuvole oscure
troneggiavano sopra di loro. Ma molto più maestose e veloci,
furono le aquile
che occuparono il cielo. Planando una dopo l’altra,
afferravano gli orchi con i
loro artigli, creando immensi solchi vuoti sul terreno. Anche un altro
ruggito
riempì l’aria: se fosse un lupo o un orso non se
n’ebbe la certezza. Però
quando la creatura iniziò a correre a velocità
spaventosa travolgendo chiunque
si trovasse sul suo cammino, tutti lo riconobbero. Beorn il mutaforma
era una
figura viva nelle ultime leggende tramandate sulla sua stirpe. Persino
gli
orchi si misero in allarme, non appena lo riconobbero.
Gocce
di pioggia sottili iniziarono a
riempire l’aria, cadendo sempre più veloci e
fitte. I quattro eserciti
combattevano ormai senza sosta, quando il quinto – quello
delle aquile – e
Beorn vennero in loro soccorso. Tauriel continuò a colpire i
nemici senza
arrestarsi, pur iniziando ad avvertire la stanchezza del combattimento
e la
debolezza del suo fianco sinistro. La ferita era vivida e dolorosa
nonostante
lei cercasse di ignorarla.
Mentre
la pioggia continuava a cadere,
anche gli orchi sembravano accasciarsi uno dopo l’altro, e
l’armata sconfinata
che si era presentata solo poche ore prima stava visibilmente
diminuendo.
Tauriel non riusciva più ad avere Kili sotto la sua visuale,
ma sentiva che era
poco distante e che stava combattendo assieme ai suoi fratelli.
L’esercito
delle aquile con a capo Mithrandir
aveva ribaltato la situazione, decimando i mannari: ce
l’avrebbero fatta.
L’elfo silvano sentì una nuova forza animarla,
come se il sollievo di coloro
che erano sopravvissuti si fosse unito al loro spirito battagliero. Con
un
verso rauco trafisse l’ultimo orco che le occupava la
visuale, e si arrestò,
respirando affannosamente. Davanti a lei i corpi che occupavano il
suolo erano
un numero inimmaginabile: c’erano orchi, ma era impossibile
non notare anche i
cadaveri dei loro alleati che si erano sacrificati per la montagna. Gli
ultimi
comandanti delle armate nemiche si gettavano irati su di loro, fino a
quando
anche l’ultima creatura mostruosa fu abbattuta.
D’un
tratto, un urlo riempì il cielo.
Solo un essere dalla potenza e dal risentimento senza pari avrebbe
potuto
produrlo. Tauriel spalancò gli occhi, terrorizzata. Azog il
profanatore era
ancora vivo.
-
Khila amin!
Esclamò
Thranduil, e tutti gli elfi gli
furono dietro. Persino Tauriel, nonostante la ferita, corse
più veloce che
poté, reggendo il passo di Legolas, poco distante dal padre.
Quando
arrivarono, solo Mithrandir e
Beorn erano in piedi, accanto alla carcassa dell’orco bianco.
Lo stregone
guardò Thranduil negli occhi, e la sua espressione fu
indecifrabile per
Tauriel.
-
Azog il profanatore è morto.
Annunciò
solennemente. Eppure non un
sorriso attraversò il suo volto. Poco distante da lui vi era
anche un
mezz’uomo, dallo sguardo triste.
-
Tuttavia temo che altri del suo
esercito siano ancora nei dintorni. Fate attenzione. Ripulite queste
terre, poi
verrà stabilito il destino della montagna.
Concluse,
cercando di fare una smorfia
di contentezza. Ma c’era qualcosa nello sguardo di
Mithrandir: qualcosa di
malinconico e lontano.
Gli elfi si sparpagliarono, mentre Tauriel cercava di scorgere in
lontananza la
figura di Kili. La sua visione la travolse improvvisamente con
più forza di
quanto avesse fatto la notte precedente. Una sensazione orribile la
oppresse
all’altezza del petto, mentre ritrovava pochi dei nani della
compagnia che
aveva conosciuto: pochi rispetto a quanti ne ricordasse. Allora
comprese.
Gli occhi dello stregone… significavano morte.
Note:
khila amin: seguitemi
|
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Capitolo 4 *** La grazia dei Valar ***
May there always be angels to watch over you
To
guide you each step of the way
To
guard you and keep you safe from all harm
Loo-li,
loo-li, lai-lay, loo-li, loo-li, lai-lay
L’affanno
di Tauriel divenne evidente
dalla forza del suo respiro. Sperava che da un momento
all’altro Kili sarebbe
spuntato dietro di lei, con un sorriso ed una frase felice. Avevano vinto. Eppure non era aria di
festa, quella che i sopravvissuti respiravano in quegli istanti.
Un
canto nanico riempì l’aria. Era
triste, antico, e tutti i figli della montagna lo intonarono.
D’un tratto lo
vide: Thorin Scudodiquercia era circondato dai suoi fratelli, che lo
fissavano
con occhi vuoti. Il suo corpo giaceva disteso sulla terra umida,
immobile. Il
re sotto il monte era morto.
Tauriel
deglutì e abbassò lo sguardo. La
solennità di quel momento la travolse, come se lei stessa
avesse perso
qualcosa. Non aveva conosciuto Thorin Scudodiquercia, ma qualcosa nella
voce
dei nani fece accrescere la sua tristezza. Erano un popolo nuovamente
con una
patria, ma nuovamente senza una guida. Nel suo cuore comprese che il
loro re
significasse anche più
di questo.
Mosse
qualche passo verso i nani poco
distanti, continuando a guardarsi attorno, continuando a sperare che il
discendente del re non lo avesse seguito nella morte. I nani che
intonavano il
canto erano i dieci che erano stati prigionieri nel Reame Boscoso. La
loro
melodia raccontava tristezza e dolore, riusciva a sentirlo anche se non
poteva
comprenderne le parole.
Alzando
lo sguardo, Tauriel incontrò un
altro volto familiare: un nano biondo giaceva disteso al suolo, poco
distante
dal suo re. Fili, il fratello di Kili, aveva anch’egli
raggiunto i suoi
antenati. Sembrava quasi che dormisse, ma era immobile nella sua forza
e
nobiltà. Fu allora che la paura attanagliò il
cuore dell’elfo silvano. Deglutì e
il suo cuore accelerò il battito. I suoi occhi cercavano
avidamente sul terreno
umido una traccia del più giovane erede di Durin. Sperando
che avrebbe
mantenuto la promessa. Sperando che fosse ancora vivo. Non ricordava di
aver
mai provato una tale paura in seicento
anni di vita. Incurante del resto del mondo, incurante di sé
stessa, lo
cercava, e nella sua disperazione non riusciva a pensare ad altro.
Fu
allora che lo vide.
Un
nano più giovane, dalla chioma
corvina, giaceva a pochi metri di distanza dal fratello. Era visibile
anche tra
le carcasse degli orchi che lo circondavano. Forse la sua vista acuta
la stava
abbandonando, o forse non aveva voluto notarlo prima. Tauriel
osservò la sua
figura ad occhi sbarrati, e accelerò il passo, sempre di
più. Arrivò accanto a
lui, e non ebbe più il cuore di reggersi in piedi.
-
No..
Mormorò
appena, cadendo sulle
ginocchia. La sua visione tornò nitida tra i suoi ricordi.
Gli occhi iniziarono
a pungerle, a riempirsi di miriadi di stelle. Gli afferrò la
casacca con la
mano destra, proprio come aveva sognato.
-
Kili.
La
voce le si spezzò. Sentì
improvvisamente il volto bagnato, e seppe che la pioggia si era
mescolata alle
sue lacrime, che copiose le rigavano il viso.
-
No.. per la grazia dei Valar, ti prego..
Pregò
Elbereth, disperatamente, perché convincesse
Ilùvatar a non portare il nano via con sé. Ma
ormai era troppo tardi.
La
stirpe di Durin era stata spezzata.
Le
promesse di una vita erano infrante
con lei.
Kili
era morto.
Iniziò
a singhiozzare quasi senza
accorgersene, posando il viso sul petto di lui e lasciando che le
lacrime
cadessero. Nella sua visione aveva avuto modo di salutarlo. Lei gli
aveva
cantato la sua canzone.
Perché
se n’era andato senza dirle addio?
Aveva
perso tutto in un solo istante,
senza poter far nulla per evitarlo. Tauriel del Reame Boscoso, una
creatura immortale,
in quell’istante sentì qualcosa dentro di lei
morire per sempre.
Mentre
questi pensieri si susseguivano
nella sua mente, un verso rauco la ridestò dal suo stato
d’incoscienza. L’elfo
alzò piano gli occhi, bagnati ma pieni di rabbia. Sapeva
già cosa avrebbe
veduto. L’orco che aveva già visto nel suo sogno
la fissava, ferito ma immobile
nella sua determinazione. La creatura alzò la sua arma con
un verso mostruoso,
ma Tauriel afferrò il suo pugnale impregnato di sangue,
tagliò in due la lancia
del nemico e lo infilzò con uno slancio. L’orco
esalò il suo ultimo respiro
cadendo all’indietro, e la donna ricadde sulle ginocchia, col
fiato mozzato. Le
cose mostruose che aveva già visto si erano comunque
verificate.
La
morte di Kili, l’attacco dell’orco.
Si
afferrò il fianco sinistro ed attese
il dardo acuminato che avrebbe decretato la sua fine. Alzando lo
sguardo
incontrò il volto di Kili e le sembrò sorriderle.
Offuscata probabilmente nei
sensi a causa della ferita, Tauriel gli si avvicinò a
fatica, sistemandosi al
suo fianco.
-
Non ti lascio.
Disse,
tentando di sorridere. Ma non
riuscì a trattenere quella lacrima solitaria che le
rigò il volto, mentre la
pioggia era ormai cessata. Gli prese una guancia e osservò a
lungo i tratti di
quel viso tanto stanco quanto bello, rendendosi conto più
che mai di quanto lo
amasse. La notte precedente gli aveva risposto nella lingua del suo
popolo,
perché solo con quella avrebbe potuto esprimere al meglio il
suo amore. Lui
l’aveva compresa, tanto da averle ripetuto quella medesima
frase pochi istanti
prima di quel momento.
-
Due
volte mi hai chiesto se
avrei potuto amarti, Kili figlio di Dis, discendente di Durin. Due
volte ti
risponderò. Non avrei potuto null’altro,
perché ti amavo già. Li
melin, hir vuin. Ti amo, mio amato.
Sussurrò,
così che quella promessa
fosse vissuta non solo nella lingua degli elfi, ma anche in quella che
aveva
permesso loro di amarsi. Abbassò nuovamente il volto sul suo
petto, aspettando
la fine. Invece udì un piccolo singulto provenire da sotto
di lei, a livello
della sua mano stretta a pugno. Tauriel alzò gli occhi
spalancati, ancora
rigati dalle lacrime recenti, e trovò uno sguardo socchiuso
che la fissava.
-
Menomale.
Sussurrò
Kili con una smorfia
divertita. Tossì un paio di volte mentre Tauriel lo fissava
sbalordita.
-
Non ero tanto sicuro del significato.
Fosse stato un insulto avrei fatto una figuraccia..
Disse,
con voce rauca. Ci vollero
alcuni istanti prima che l’elfo realizzasse che quello non
era un sogno, ma la realtà.
Tauriel sorrise, quasi senza
accorgersene. Il suo volto si illuminò di colpo, mentre
altre lacrime scorrevano
veloci, senza che lei badasse a fermarle. Le stelle brillavano ancora
nei suoi
occhi. Ma non erano più tristi.
-
Sei vivo.
Disse
soltanto, accarezzandogli la
guancia.
-
Certo.
Rispose
lui. La sua voce era instabile,
ma i suoi occhi erano vivi.
-
Ti avevo fatto una promessa. Inoltre
mi sarei perso la migliore dichiarazione di sempre. Non potevo certo
mancare.
Scherzò,
asciugandole col pollice una
lacrima che le aveva rigato il volto.
-
Kili.
Disse
soltanto lei. Non riusciva né a
fermare il sorriso né a fermare le lacrime. Si morse un
labbro ringraziando il
cielo, Elbereth, i Valar ed Ilùvatar. Perché
avevano permesso al suo amato di restare.
Gli
diede un bacio a fior di labbra,
che ebbe il sapore delle lacrime e del sangue, ma anche di gioia e di
speranza.
Un amore senza tempo era nato a Bosco Atro e si era suggellato sotto
l’ombra
della montagna. I nani avrebbero pianto i loro morti e la battaglia che
grazie
a loro si era conclusa; ma avrebbero anche celebrato la vita di coloro
che
avevano protetto.
Durante
la battaglia dei cinque
eserciti, la speranza aveva unito tutti come uno solo. La montagna
aveva
protetto i suoi figli, e la terra di mezzo si era unita in
un’alleanza che
difficilmente si sarebbe spezzata. Stringendo l’amato nano
tra le braccia,
l’elfo silvano comprese fino infondo il potere della magia
del suo popolo:
qualunque cosa non ancora verificatasi poteva ancora essere cambiata.
A
loro era concesso proprio questo: il
potere di cambiare il mondo.
Così
la montagna solitaria, che da
tempo incommensurabile era stata occupata dal maleficio di un drago e
dal male
degli orchi, era finalmente libera. Sembrò risplendere sotto
una nuova luce, e
accogliere in un abbraccio non solo i suoi figli, ma anche coloro che
per lei
avevano combattuto. L’amore senza tempo di un nano e un elfo
sarebbe stato da
allora tramandato con lei, assieme al pensiero che il sole e le stelle
non
fossero più così distanti.
“Si
tramandi sempre che Kili figlio di Dis ha amato Tauriel
del Reame Boscoso. Niente riuscì mai ad intaccare il suo
affetto e la sua
devozione per quella creatura di luce. E se mai un giorno il nome di
lei
venisse dimenticato, si ricordi quello del principe dei nani, che con
lealtà ed
ardore amò una dama elfica dal volto sconosciuto”.
Così
si conclude la canzone di Kili
figlio di Dis, erede al trono di Durin.
Fine
Note
dell’autrice:
Lo ammetto, questo lieto fine si è creato col tempo,
perché inizialmente avrei
voluto davvero riportare come io penso che la storia
finirà. La verità
è che sono consapevole che la morte di Kili e la fine della
stirpe di Durin non
si possano evitare, perché tutta la storia è
legata a questo. Jackson è sempre
stato fedele a Tolkien su chi doveva vivere e chi morire, e
così deve essere.
Tuttavia mi sono affezionata così tanto a questo
personaggio, a entrambi, che
ho voluto tenermi una licenza poetica un po’ più
felice. La mia incognita è
Tauriel, in quanto personaggio di Peter: per me dovrebbe morire
combattendo,
magari proteggendo proprio Kili. Desiderio del regista è
collegare questa
trilogia a quella del Signore degli Anelli, e se lei restasse in vita
non mi
spiegherei la sua assenza proprio in ISDA, se seguissi solamente il
filone
cinematografico. Tuttavia sono tutte ipotesi, e non vedo
l’ora di scoprire il
destino che il suo creatore le riserverà. Questo
è stato il mio.
Grazie al maestro Tolkien, per aver creato un mondo nel quale posso
sempre
tornare.
Grazie a Peter Jackson, che nonostante le polemiche ha revisionato
questo libro
nel migliore dei modi, perché nessuno avrebbe potuto farlo
meglio di lui. Grazie
per aver dato spazio a quello che il maestro ha un po’
trascurato: l’amore e la
sua forza di cambiare il mondo.
E ancora grazie mille a chi ha letto, seguito, recensito ed aggiunto
questa mia
piccola storia alle preferite.
ValHerm
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