La Serpe di Marmo

di Sam_gnammy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Ospiti Sgraditi ***
Capitolo 3: *** Il primo passo ***
Capitolo 4: *** La confessione ***
Capitolo 5: *** Forse mi innamoro ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***


Questa storia non inizia con il solito primo giorno di scuola dopo le vacanze estive, nel mio caso la scuola era già cominciata, da tre mesi, e andava tutto bene… fino a quando un freddo pomeriggio di Dicembre, dopo essere tornata stanca a casa, mia madre mi parlò del suo trasferimento… Ed è da qui che ha inizio la mia storia. Era notte fonda in città e correvo, ma stavolta in modo diverso, non era la solita corsetta nel parco vicino casa mia, perché ormai era diventata un’abitudine, ogni pomeriggio alle cinque e mezza in punto, ma no... questa era una corsa molto più intensa, quasi terrorizzata, sì, terrorizzata è la parola giusta, avevo il fiatone, ma, nonostante ciò, continuavo a correre senza un motivo, forse un motivo c’era ma ero troppo impegnata a correre per capirlo, era come se le mie gambe avanzassero da sole, senza una meta precisa, non rispondevano quasi più ai miei comandi. Sentivo dei passi dietro di me, qualcuno mi stava inseguendo ne ero certa. Appena me ne accorsi mi sforzai di correre più veloce per quanto fosse possibile, ma era inutile, più correvo, più quella cosa si avvicinava a me. Non era una cosa umana, si sentiva, ma io ero troppo spaventata per girarmi, e poi, se mi fossi girata sarei sicuramente svenuta, inciampata o caduta a terra come succede nei film horror e non volevo finire come le protagoniste che alla fine muoiono sempre. Ero talmente presa dal correre che non mi accorsi che intorno a me si stava facendo sempre più buio, non si vedeva quasi più niente, continuava a diventare tutto nero, le luci dei palazzi non si vedevano quasi più, era incredibile che, per quanto fossi in un luogo abitato, nessuno si fosse accorto della mia presenza o… almeno della sua. D’un tratto il paesaggio cambiò, non ero più in un grande e rumoroso centro abitato, non so nemmeno io a dir la verità dove mi trovassi e , a dirla tutta non è che mi interessava tanto saperlo, il mio scopo era di non farmi prendere da quella cosa che non mi voleva certo fare del bene anche se, a come stavano andando le cose, potevo correre per altre lunghissime ore che, secondo me, eravamo sempre allo stesso punto. “Ora basta!” pensai e, sbalordita di fronte al mio carattere, mi trovai davanti a una figura scura, un mantello nero che gli copriva dal volto fino al pavimento, non si intravedeva una sola parte del corpo, persino le braccia e le mani sembrava non le avesse, erano attaccate al resto del mantello. Un urlo agghiacciante mi attraversò i timpani e sparì quasi nello stesso momento…

<< Mia! Mia svegliati, siamo arrivati! >> era mamma che mi urlava dentro le orecchie e solo allora mi accorsi che stavo sognando, uno di quegli incubi che è difficile toglierteli dalla testa.
Mi trovavo in macchina…ah sì, ora ricordo, siamo partiti prestissimo e non ho avuto nemmeno il tempo di svegliarmi completamente, per fortuna avevo fatto la valigia la sera prima, una volta ogni tanto che ascolto mamma. Sembra quasi una di quelle gite che fai con i tuoi e che, una volta finite, non vuoi tornare a casa e in realtà, questa volta, non tornerò a casa.
<< Mia ti vuoi decidere a scendere da questa macchina? >>
<< Un attimo mamma, sto prendendo le borse >>
<< Lo sapevo, dovevamo mettere le tue valigie nel bagagliaio, sarai stata scomoda per tutto il viaggio, perché non mi dai mai ascolto?>>
Ecco che inizia la predica del “perché non mi dai mai ascolto” lo dice sempre, anche quando non trovo l’mp3 nella mia stanza perché dice che dovevo mettere prima a posto sennò non troverò mai niente, non lo sopporto. Scesi dalla macchina e vidi davanti a me una villetta richiusa in una ringhiera rigorosamente dipinta di bianco, un giardino con un’erba corta e ben curata, a sinistra un albero possente ma spoglio, che aveva da poco attraversato il freddo dell’autunno e che si stava preparando per l’inverno gelido. Era un paesaggio meraviglioso, ma a quel punto mi sorse un dubbio:
<< Mamma ma come possiamo permettercelo?>>
<< Tesoro, di questo non te ne devi assolutamente preoccupare>>
<< Ma… mamma è… enorme!>>
<< Beh… rispetto a quella catapecchia che avevamo prima si… >> disse lei << Ma grazie a questa promozione ora siamo sistemate per un po’>> continuò e io le sorrisi.
Entrammo in casa nuova, era bella quanto fuori, la famiglia che prima abitava qui aveva lasciato tutti i mobili, ovviamente erano stati inclusi nel prezzo. Appena entrai vidi un salotto abbastanza grande, uno di quei soggiorni in cui stai poche volte tra cui la sera del cenone di capodanno, con un tavolo da pranzo così grande da poter contenere il doppio dei tuoi parenti compresi i bimbi che giocano tra di loro e scappano allegri dagli adulti che li vogliono far stare seduti per paura che rompano qualcosa. Mi girai e sulla destra vidi un bel divano, rivestito di stoffa scura, un misto tra violaceo e verdastro, vicino ad esso un caminetto e immaginai già le serate che avremmo passato con mamma abbracciate davanti al fuoco a bere una tazza di cioccolata calda. Dovevano avere dei gusti davvero bizzarri queste persone perché, sopra il caminetto, c’era una testa di un alce appesa al muro e devo dire che la cosa mi spaventava un po’… Per quanto riguarda i quadri però erano abbastanza belli, la maggior parte raffigurava paesaggi che dovevano essere di questo posto essendo immersi nel verde e pieni di colore. A sinistra, invece, c’era la cucina separata dal salotto da due scalini di parquet scuro e, tra il salotto e la cucina, una scala a chiocciola che portava al secondo piano.
<< Dai Mia, aiutami a portare le ultime valigie>>
<< Sto arrivando>> dissi studiando ancora nei minimi particolari tutta la scena. Aiutai mamma a portare le nostre valigie.
<< Grazie Mia, ora sali che ti faccio vedere la tua camera così potrai sistemarti>>
<< Sì ma’, arrivo>>.
Una volta sopra mamma mi mostrò la camera in cui avrei dormito, era abbastanza grande e spaziosa per una disordinata come me, sistemai la mia roba e passarono delle ore, erano le sei meno un quarto di pomeriggio e pensai che a quest’ora nella mia vecchia città, stavo correndo nel parco vicino casa, guardai fuori ma mi resi conto che era troppo buio per andare a correre e soprattutto faceva un freddo cane anche se per me non era un problema, ero abituata a correre anche in pieno dicembre. Scesi sotto per vedere se mamma aveva bisogno di una mano e la aiutai a sistemare le ultime cose, allora disse:
<< Domani è il gran giorno! Cerca di fare una buona impressione sui professori e anche sui tuoi nuovi compagni>> annuii ma solo al pensiero mi venne un brivido, non ero tanto brava a fare amicizie, è per questo che i compagni della mia vecchia scuola mi prendevano in giro, non avevo molti amici lì, ma non perché io non ne avevo voglia, è che sono talmente timida che quando cerco di fare amicizie non mi viene in mente niente da dire, perciò tutti, anziché aiutarmi e cercare di “attaccare bottone”, mi deridevano e mi parlavano alle spalle.
Era mattina presto, l’odore del cappuccino caldo mi attraversava ed ero distesa sul letto aspettando il suono della sveglia, di solito non mi alzo mai prima che suoni la sveglia, ma l’ansia da primo giorno di scuola non mi aveva fatto dormire per tutta la notte ed avevo un gran sonno, ma dovevo essere in perfetta forma se non volevo dare l’impressione di una ragazza timida e riservata, come in realtà ero. Mi alzai di scatto pensando che erano già le sei e dovevo ancora fare colazione e prepararmi, così scesi di sotto per bere un po’ di latte e caffè. C’era mamma sul divano che mi faceva cenno di sedermi accanto a lei, non mi ero ancora accorta che il divano era molto comodo. Nonostante era il sette di Dicembre, era una bella giornata, guardai dalla finestra, i raggi del sole illuminavano il paesaggio che mi sembrava una vera e propria meraviglia: il verde era ovunque e devo dire che ciò portava molta allegria e serenità, dietro la piccola stradina di fronte casa mia, e dopo qualche metro di terreno coperto di foglie gialle e arancioni, che avevano ormai attraversato il fresco dell’autunno, notai una piccola discesa e mi chiesi dove portasse. “E’ davvero affascinante, ho trovato un posto in cui poter andare a correre” pensai. Ad interrompere i miei pensieri fu un rumore insopportabile che proveniva da sopra, mi ero dimenticata di spegnere la sveglia che non aveva ancora suonato, poggiai il latte sul tavolino del salotto e salii a spegnerla. Dopo circa mezz’ora ero quasi pronta, dovevo solo aggiustarmi i capelli, il che era un’impresa aggiustare i miei ricci rossi, e potevo finalmente uscire di casa. La scuola non distava molto da casa mia per fortuna, quindi la raggiungevo a piedi ed era anche più comodo, quando ero in anticipo potevo anche fare il giro lungo e osservare il paesaggio, e potevo anche esplorare un po’ quella discesa tanto misteriosa, sempre se non mi congelavo le mani. Davanti scuola c’erano parecchi ragazzi in attesa di entrare e riscaldarsi ai termosifoni della propria classe ed io non facevo eccezione. Suonò la campanella e aspettai che nella mia classe entrassero tutti per non occupare il posto di qualcun altro ed evitare litigi già il primo giorno eccetera eccetera. Dopo qualche minuto entrai nell’aula e tutti mi fissarono con stupore e nello stesso tempo con una punta di interessamento, e sembravano intenzionati a fare amicizia, almeno la maggior parte, e questo già prometteva bene. L’unico posto libero era all’ultimo banco, accanto ad un ragazzo a mio parere molto carino: capelli e occhi castano scuro, abbastanza alto e magro, così mi avvicinai e gli domandai:
<< Questo posto è occupato?>>
<< No, tranquilla puoi sederti>> rispose sorridendomi
<< Grazie>> ricambiando il sorriso.
Cercai di sorridere ed annuire davanti al professore della prima ora, era apparentemente molto vecchio, capelli grigi, quelli che erano rimasti dopo anni e anni di insegnamento, e un po’ bassino, insomma, il solito prof odioso che non faceva mai un sorriso e che con lui tutti prendevano voti bassi, stavamo proprio iniziando bene l’anno, però d’altronde, non si può giudicare un libro dalla copertina…
<< Ragazzi, da stamani avremo in classe una nuova studentessa: Mia Evans. Mia, io sono il professor Richmond, di letteratura. Per favore alzati in piedi e presentati ai tuoi compagni >> disse quasi imponendomelo.
Mi alzai e cercai di dire ad alta voce:
<< Allora, io mi chiamo Mia Evans, ho sedici anni e mi sono trasferita qui da poco… prima abitavo in una piccola città vicino Londra insieme a mia madre. >>
<< E tuo padre? >> fece un ragazzo che non sembrava molto interessato a quello che stavo dicendo
<< Mio padre è morto quando io avevo cinque anni>> risposi io con un tono di amarezza ma allo stesso tempo cercando di farmi vedere forte.
In classe calò un silenzio imbarazzante e ad interromperlo fu quella stessa voce:
<< Scusami >>
<< Figurati, non è colpa tua >> già quello mi stava antipatico
 << Bene, grazie Mia>> concluse il professore e si mise a parlare dell'argomento del giorno.
Cercai di seguirlo per non sembrare distratta, ma mi sembrò difficile e notai anche che solo tre persone, al primo banco, lo stavano ascoltando.
<< Non ti conviene sai?>> una voce alla mia destra mi fermò il cuore per due secondi, era il mio nuovo compagno di banco, quello carino, me ne ero completamente dimenticata.
<< Come scusa?>>
e lui ripeté:
<< Non ti conviene, starlo ad ascoltare, parla solo di fatti suoi, una volta ci ha detto che sua moglie aveva dimenticato di mettersi gli occhiali ed essendo mezza cieca senza, ha cenato un’intera serata con un appendiabiti e lui è uscito a mangiarsi una pizza>> risi spontaneamente e lui continuò << Comunque mi chiamo Austin Thompson >> tendendomi la mano
<< Piacere, Mia, come avrai appena sentito. >> stringendogliela.
Sette ore di scuola ed ero ancora viva grazie a Austin che mi tenne allegra anche durante il pranzo in mensa. Finalmente suonò l’ultima campanella ed uscii velocemente dall’aula, non sapevo se attiravo l’attenzione per il fatto che ero nuova o per i miei capelli rosso fuoco e gli occhi azzurro chiaro, in ogni caso avevo dimostrato, almeno per ora, di sapere il fatto mio e di questo ne ero immensamente soddisfatta. Mi avviai verso casa con una certa rapidità ma ad un tratto sentii la voce di Austin in lontananza:
<< Mia! Aspetta Mia!>> urlò a squarciagola. Mi girai e me lo ritrovai davanti
<< Come hai fatto ad arrivare qui in così poco temp… >>
Mi accorsi solo in quel momento che aveva il fiatone, tanto da non riuscire a parlare ed io:
<< Però, gran risultato Thompson, corri veloce quasi quanto me, cosa volevi dirmi di tanto importante?>>
<< Volevo… ecco… tu corri?>>
<< Sì, nella mia vecchia città correvo quasi ogni pomeriggio>>
<< Io corro ogni giorno e qui è bellissimo, c’è un posto magnifico dietro una piccola collina, ti ci devo portare>>
<< Sì, non vedo l’ora>> sorrisi e poi continuai: << Ma tu non volevi dirmi qualcosa?>> e lui
<< Oh… si, ti vuole parlare il professor Richmond>>
<< Chi?>>
<< Il professore della prima ora, Richmond>> rimango sorpresa, saluto Austin e mi avvio di nuovo a scuola.
Incontro Richmond nel corridoio
<< Voleva vedermi professore?>>
<< In effetti si, signorina Evans. Volevo consegnarle l’elenco degli argomenti che ho svolto fin ora, sono disposto a farle scegliere una data in cui preferirebbe essere interrogata, per agevolarla dato che si è trasferita da poco. Ora, vista la situazione, io non so personalmente cosa abbia fatto nel suo precedente istituto, ma è doveroso istruirsi e se è necessario approfondire su tali argomenti in modo da essere assimilati, ed è rilevante inoltre che lo faccia nel minor tempo possibile chiaro signorina?>> disse con un timbro di voce così basso e così lentamente da diventare quasi insopportabile, quasi come se io non capissi.
Adesso lo sapevo di certo, a volte anche i detti possono sbagliare.
<< Certo professore, tutto chiarissimo>> cercai di dire con un tono quasi apprezzabile e, provando a sorridere, presi l’elenco e me ne andai salutandolo. Nel tragitto mi accorsi, guardando la schermata del telefono che, tra Richmond e la chiacchierata con Austin avevo perso più di venti minuti, ma soprattutto che mamma mi aveva chiamato tre volte ed io avevo la vibrazione, così la chiamai:
<< Ma’?>>
<< Mia ti ho chiamata più di una volta perché non mi rispondi?>> mi chiese con il tono preoccupato e rimproverante che hanno le madri comprensive
<< Scusa mamma, un professore mi ha tenuto un po’ di più per darmi la lista degli argomenti della sua materia che devo studiarmi>>
<< Ho capito, com’è andato il primo giorno?>>
<< Un po’ stancante ma nel complesso non male>>
<< Meno male! Io sono a lavoro, ci vediamo stasera, vai a casa e riposati>>
<< Lo farò, ciao ma’>>
Tornai a casa distrutta accesi la tv per sentirmi meno sola, ma, dopo una manciata di minuti, decisi di uscire per andare a correre, forse così mi sarei riscaldata. Misi le mie scarpe da ginnastica ormai consumate per le troppe camminate, sciarpa, cappello e giubbotto imbottito. Uscii di casa e un vento gelido mi attraversò, quasi come se mi penetrasse dentro, ero abituata a correre anche con la neve, nonostante le sgridate di mamma quando le prime volte mi prendevo un raffreddore sentire i suoi “perché non mi dai mai ascolto”. Era una cosa che mi rilassava, più correvo veloce, più i pensieri scivolavano via per qualche ora. Mi misi a correre a denti stretti, non so come, caddi a terra, avevo sbattuto contro qualcosa, un albero forse? No, non poteva essere un albero era qualcosa di più morbido, si stava muovendo ed io iniziai ad avere paura.

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Capitolo 2
*** Ospiti Sgraditi ***


Alzo lo sguardo e vedo una figura scura che aveva un mantello nero lungo fino ai piedi, simile a quella cosa che mi stava rincorrendo in quel sogno che ancora non avevo dimenticato, è come se fluttuasse nell’aria però toccava terra, intorno a me la nebbia fitta, che a stento fa penetrare gli ultimi raggi di sole e che, fino a qual momento, non avevo notato. Quella cosa si avvicina sempre di più a me, il volto e il corpo nero come la pece… “Corri! Perché non corri?!” penso io. Cerco di indietreggiare e di rialzarmi ma, non appena cerco di farlo, quella cosa sparisce in un vortice di luce, non si allontana nemmeno, scompare nella nebbia che svanisce insieme a lui. E tutto ritorna come prima. Non avevo fatto caso alla nebbia perché prima non c’era, era apparsa insieme a quella cosa. Mi sento male, la testa mi gira nonostante io sia sdraiata sul terreno duro e coperto di foglie, gli occhi a stento rimangono aperti, intravedo il cielo limpido senza nemmeno una nuvola chiudersi e diventare tutto nero. Sento dei passi avvicinarsi frettolosamente a me e cado subito in un sonno profondo. Non sono più su un suolo robusto, ma su qualcosa di comodo e morbido, sembrerebbe un materasso. Cerco di aprire lentamente gli occhi per capire dove mi trovo e vedo subito mia madre addossata su di me con la faccia di una donna terrorizzata e preoccupata che non le avevo mai visto prima di allora. Sono in una stanza abbastanza piccola e parecchie luci bianche mi abbagliano.
<< Tesoro! Sei viva!>> mi dice come se mi fossi appena risvegliata da un coma durato anni, avvicinandosi a me e cercando di abbracciarmi. Vicino a lei una ragazza giovane dagli occhi verdastri con un camice verde chiaro, si stava avvicinando in fretta.
<< Mia, come stai?>> mi chiede con un tono sorprendentemente tranquillo e amabile.
<< B-bene>> cerco di rispondere ancora frastornata.
<< Oh… meno male!>> risponde mamma tirando un sospiro di sollievo << Tutto merito di quel ragazzo, se non era per lui chissà come mi stavo disperando adesso >> continua, ma io non le presto ascolto, sto ancora riflettendo su cosa fosse accaduto prima che mi svegliassi su questo lettino… ma è inutile, non ricordo niente di niente. Aspetta un attimo… quale ragazzo? D’un tratto Austin entra dalla porta della stanzina con un sorriso immensamente grande, ora capisco…
<< Come ti senti?>> dice lui << Ti ho preso un po’ di cioccolata, ti sentirai meglio>>
<< Il tuo compagno di scuola dice di averti trovata stesa a terra, ha chiamato noi e poi la mamma>> sintetizza l’infermiera << Avevi perso i sensi e ti ci sono volute delle ore prima di svegliarti, il ragazzo è stato qui tutto il tempo. >> conclude sempre lei, io gli sorrido, chiudo leggermente gli occhi e mi sforzo di riaprirli. A questo mio gesto l’infermiera chiede a mamma e ad Austin di abbandonare la stanza, loro escono e a questo punto lei mi parla:
<< So che sei davvero stanca, mi è successo parecchie volte di perdere i sensi, succede alle persone di cuore debole >> “ Ehi con chi credi di parlare?” penso quasi divertita << Ma devi dirmi, per favore, cosa è successo prima di essere svenuta >>
<< Non me lo ricordo, davvero… >> dico con una certa sincerità perché, per quanto possa sforzarmi fino in fondo, non riesco a ricordare cosa fosse successo.
<< Va bene Mia, ora riposati, ti dovremo tenere qui tutta la notte… comunque, quel ragazzo sta aspettando fuori da più di due ore e credo sia il caso di farlo entrare>> mi dice facendomi l’occhiolino prima di uscire.
<< Come ti senti?>> mi chiede per la seconda volta, ma ora con tono preoccupato.
<< Meglio, grazie a te>> dico addentando un pezzo di cioccolata al latte << Come hai fatto a trovarmi?>>
<< Stavo correndo e ti ho vista per terra svenuta, così ho chiamato l’ambulanza e subito dopo tua madre, sono venuti dopo nemmeno quindici minuti, tua madre ha lasciato il lavoro prendendosi un permesso ed è venuta in cinque minuti. Per fortuna non è niente di grave, ti rimetterai presto>> dice sorridendomi
<< Grazie >> ricambio il sorriso
<< Diciamo che è stato un insolito primo giorno di scuola per qualcuno >> dice ammiccando << Ora io devo andare, i miei saranno preoccupati, ci vediamo a scuola>> si congeda salutandomi con la mano e io rimango sola con mamma.
<< Ma’ rimani tutta la notte vero?>> le chiedo per conferma
<< Certo! Ma domani devo andare a lavoro presto... quindi ti lascio con Elisabetta, la dottoressa >>
<< Quanto presto?>>
<< Alle sei devo essere in ufficio>>
<< Va bene >> sorrido e lei anche.
<< Domani mattina ti tengono per un altro controllo e poi ti vengo a prendere all’ora di pranzo, d’accordo?>>
<< Non posso andarmene a casa da sola quando ho finito il controllo?>> tanto immagino già la risposta…
<< Ma sei impazzita?>> ecco… << Preferisco di certo che ti fai un giro nei corridoi di questo ospedale quando hai finito e non che vai in giro da sola, in un posto che non conosci, non sai neanche dove si trovi la nostra casa, da qui non ci sai arrivare!>> In effetti non ha tutti i torti… improvvisamente si ricorda che mi deve sgridare: << E poi, io non ti avevo detto di stare a casa a riposarti? Non certo di andare in giro quando fuori era quasi buio! >>
<< Mi stavo seccando ma… okay, domani starò qui fino all’ora di pranzo, però era solo un giro vicino casa, non mi ero allontanata più di tanto>> << Io ti so a casa tranquilla e invece esci, ti fai un giretto e… meno male che quel ragazzo ti ha trovata, altrimenti non so cosa avrei fatto a quest’ora, probabilmente sarei andata dalla polizia>> continua lei senza darmi ascolto.
<< Ora stai esagerando >> dico io sforzandomi di non alzare troppo la voce a causa delle mie condizioni
<< Possibile che non fai altro che sgridarmi invece di lasciarmi stare e di farmi riposare tranquilla?>>
<< Non saresti qui se mi avessi dato ascolto>> e senza aggiungere altro esce dalla stanza, ma sono sicura che non se ne sarebbe andata, poi ha lasciato qui la borsa… e mi addormento ancora arrabbiata dalla conversazione. La mattina seguente mi sveglio con un enorme mal di testa e la schiena tremendamente indolenzita. Accendo a basso volume la televisione ormai quasi rotta e troppo vecchia ma non si sente quasi niente a causa dei mormorii che ci sono nel corridoio fuori la stanza. Dopo nemmeno un quarto d’ora arriva Elisabetta per controllare che sia tutto a posto e mi informa che fra un’ora c’è il controllo. Passo quell’ora leggendo una rivista di gossip e rispondendo ad alcuni messaggi di Austin che mi tiene informata sulla giornata scolastica. Verso l’ora di pranzo, dopo aver girato un po’ per l’ospedale, dato che alle undici avevo già finito tutti controlli, mamma mi viene a prendere e torniamo a casa, lei mi sembra abbastanza tranquilla rispetto a ieri sera. Ci arrangiamo con qualcosina dal frigo dato che mamma non ha avuto il tempo di cucinare e vado in camera a riposarmi. Guardo dalla finestra e intravedo il luogo in cui ieri sono svenuta, ora ricordo… quella figura, la nebbia intorno… è tutto più chiaro, ma decido di non dire niente altrimenti potrebbero scambiarmi per pazza e ricoverarmi di fretta in manicomio. E poi non ero sicura che fosse successo realmente, anzi, poteva anche essere uno scherzo della mia fantasia, una visione, un sogno… magari come quello che avevo fatto in macchina durante il viaggio… sì deve essere andata proprio così. Dormo per una buona mezz’oretta e dopo decido di iniziare a studiare il programma che mi aveva dato il professor Richmond. Ovviamente non posso uscire di casa, almeno fino a quando con mamma la situazione non si è risolta, studiare mi resta l’unica cosa utile da fare. Inizio a leggere “La storia della letteratura italiana” e non mi sembra per niente interessante, sono stata sempre una ragazza molto studiosa, ho preso sempre buoni voti oltre la sufficienza, ma se c’è qualcosa che proprio non sopporto è imparare gli argomenti a memoria ed esporli, è per questo che odio materie come letteratura o storia, forse perché da piccola, all’asilo e alle elementari mi facevano sempre imparare poesie a memoria ad ogni ricorrenza ed io ero costretta a ripeterle ad alta voce di fronte tutti i miei parenti che nemmeno mi prestavano attenzione. Cerco di rileggere più volte e ripetere quello che ho capito e dopo quarantacinque minuti sono riuscita a memorizzare le prime due pagine e mezzo. Arrivo alla fine del capitolo e imparo anche quelle e mi accorgo che intanto si era fatto buio e io avevo passato il pomeriggio a studiare. Guardo il cellulare, sono le sette e mezza e già sento un buon profumino che proviene da sotto, scendo e vedo un’abbondante tavola apparecchiata molto bene, ma noto che i posti sono sì e no cinque o sei, così, prima che io potessi aprire bocca mamma mi dice:
<< Stasera vengono a trovarci i tuoi zii Cate e Ben, vai di sopra e mettiti qualcosa di più carino, si fermeranno qualche giorno>>
non vedo, anzi, non vediamo i miei zii da quando papà è morto, perché tutto d’un tratto vengono in una città che neppure conoscono? E poi con “ si fermeranno qualche giorno” che intende dire? Andranno in un albergo vero? E come se mi stesse leggendo nel pensiero, mamma rispose alla mia ultima domanda:
<< C’è una stanza in più di sopra, lì faremo dormire Cate e Ben, per i gemelli gli presterai la tua stanza, niente storie>>
<< E io dove dovrei dormire?>>
<< Qualche giorno sul divano non ti farà male>>
<< A me no, ma alla mia schiena sì>>
<< Mia non obiettare, ci siamo messi già d’accordo con Cate>>
Io, senza aggiungere altro, vado quasi correndo al piano di sopra, quando prende una decisione ed è così determinata è difficile farle cambiare idea. Quei piccoli mostriciattoli mi distruggeranno la stanza… Zack e Mason sono i miei due cugini gemelli, hanno tre anni e sono completamente identici che è facile confonderli, a peggiorare la situazione è zia Cate che, non so per quale motivo, li veste uguali, dalla maglia alle scarpe e solo lei a volte li riconosce… quando si dice l’istinto materno. Per quanto loro due possano essere delle vere e proprie piccole pesti, zia Cate non sembra preoccuparsene, anzi, sembra quasi che non avesse figli tanto che è tranquilla e poco protettiva, insomma, l’esatto contrario di mia madre, infatti loro due non vanno tanto d’accordo, zia, sempre a contestare qualsiasi cosa, una che ci tiene a fare belle figure e che tiene tutto rigorosamente in ordine, una precisina e tutto il resto ma quando mia madre ha sposato mio padre ha dovuto tenersela come cognata, e purtroppo le cognate bisogna tenersele, così come capitano, ma non so perché mia madre di punto in bianco li abbia voluti invitare a casa nostra. Mi preparo per il grande evento e conoscendo mia zia, arriveranno alle otto in punto con un enorme guantiera di dolci della migliore pasticceria del luogo, a me non va di vestirmi elegante per questa cena, anzi, se fosse per me mi presenterei in pigiama e ciabatte, ma lo faccio per mia madre, quando c’è zia loro due è come se fossero in continua competizione, una competizione che vince sempre mia zia, ma ora non so fino a che punto possa vincerla data la nostra nuova “splendida residenza” come lei definisce casa sua. Come previsto alle otto in punto arrivano con i dolci ed io penso divertita ad una possibile attività come veggente. Mamma le da il benvenuto e subito le piccole pesti iniziano a correre per tutta casa con degli areoplanini di plastica in mano. Non so perché, nonostante mia zia sia quella che è, non li abbia istruiti alle buone maniere, forse lo ha fatto ma ci ha rinunciato perché sono ancora piccoli e giovani e si devono divertire, ma non penso che zia Cate possa fare un pensiero del genere. Dopo un quarto d’ora a parlare delle novità che non si erano raccontati negli ultimi undici anni, iniziamo a cenare, una cena piuttosto insolita, tra io che penso solo a mangiare, Cate che ovviamente è attentissima alla linea e mangia giusto qualcosa per educazione, Ben che, per rompere il ghiaccio, si mette a parlare dei “ vari sapori del vino rosso” e Zack e Mason che si inzuppano di cibo. Finalmente finiamo di mangiare e dopo qualche minuto mamma fa vedere agli ospiti le loro camere, intanto io metto a caricare il cellulare e accendo la tv. Dopo neanche dieci minuti mi metto a dormire come un sasso. La mattina dopo mamma si sveglia alle sei per preparare la colazione a base di uova e pancetta, succo, pane tostato ecc… e, sono costretta ad alzarmi anche io molto presto. Mamma si è presa una settimana di ferie dal lavoro, perciò ha tutto il tempo di stare con gli zii, io sono l’unica che è costretta ad andare a scuola. La mattinata passa abbastanza velocemente, sono venuti nuovi professori e, per quanto riguarda le amicizie invece ho conosciuto una ragazza di un’altra classe ma sempre del mio stesso anno, in fondo, mi piace questa nuova scuola.
<< Ehi! >> Austin mi ferma all’uscita di scuola.
<< Dimmi>> dico sorridendo, da quando lui mi ha trovata, quando ero svenuta, siamo diventati ottimi amici.
<< Pomeriggio ti va di venire a correre?>>
<< Oh… ehm… non lo so, devo chiedere… >> buttò lì io, con mamma la situazione è ancora in alto mare, ma spero di convincerla… soprattutto ora che si sente in colpa per avermi fatto dormire sul divano << Ti mando un messaggio>> gli dico guardando la sua faccia infelice.
<< Va bene>> dice salutandomi con la mano. Appena arrivo a casa trovo zia Cate e mamma che stanno apparecchiando la tavola, zio è andato a fare una passeggiata e i gemelli stanno tranquillamente guardando la televisione seduti su quello che attualmente è il mio “letto”, sono capitata in qualche mondo parallelo? Mi domando allibita, i miei cugini stanno calmi e mamma e zia collaborano… Decido che è meglio non fare domande, poggio lo zaino dietro il divano, senza staccare lo sguardo da Zack e Mason e vado a lavarmi le mani. Intanto arriva zio, ci mettiamo a tavola e iniziamo a magiare. Dopo ciò gli ospiti vanno a riposarsi e io aiuto mamma a sparecchiare la tavola.
<< Pomeriggio posso andare a correre?>> buttò lì senza pensarci.
<< No, Mia, dopo quello che è successo non credo sia il caso. >>
<< E’ successo una volta soltanto, prima di trasferirci non me lo impedivi mai, ormai mi sono ripresa, non puoi ostacolarmi di fare ciò che mi piace per sempre >> rispondo rimanendo calma e tranquilla.
<< Hai ragione… ma…>>
<< Ci sarà Austin con me>>
<< Quel ragazzo che mi ha chiamata quando sei svenuta?>> chiede incuriosita e un po’ immemore.
<< Esatto>>
<< Va bene, ma non fare tardi, dobbiamo cenare presto, tua zia ci tiene. >>
<< D’accordo, grazie ma’>>
 Per una volta sono riuscita a convincerla... sono capitata veramente in un mondo parallelo?

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Capitolo 3
*** Il primo passo ***


E’ passata una settimana da quando mi sono trasferita, finalmente le piccole pesti e gli zii hanno finito il loro alloggio da noi e mi sono ripresa la mia stanza dopo quattro giorni di caos totale. Con mamma la situazione si è calmata e, durante questi giorni, ho passato due pomeriggi a correre con Austin e gli altri giorni a studiare. Sono sdraiata sul mio letto, appena uscita da scuola, leggo… un’altra cosa che mi rilassa, ogni tanto, quando voglio abbandonare per un po’ questa vita monotona e voglio per qualche ora viaggiare, leggo… e a volte non mi rendo conto dell’orario e finisce che si fa notte. Sono le quattro e mezza, studio per un po’ e scendo sotto. Mamma è appena tornata.
<< Tutto bene a scuola?>>
<< Il solito. Tutto bene al lavoro?>>
<< Il solito.>>
<< Io esco >> faccio io prendendo la borsa con il cellulare e le chiavi di casa.
<< Dove vai?>>
<< Niente di che, vado a fare una passeggiata nei dintorni>>
<< Va bene, non tornare tardi, set…>>
<< sette e mezza al massimo >> concludo io senza farle finire la frase.
Esco di casa, inizio a camminare, stranamente non mi va di correre, sono troppo stanca, per questo non mi sono messa la tuta, ho i miei soliti jeans, maglietta, giubbotto leggero e stivaletti di pelle marroncino chiaro. Sono troppo rapita dal paesaggio per guardare la strada, quelle colline lontane, il verde, i raggi deboli del sole, è un luogo spettacolare. Passano alcuni minuti e mi accorgo che non mi trovo più sulla strada principale, mi sono inoltrata in una specie di bosco, pochi alberi sparsi qua e la e questo fa si che i raggi del sole non vengano bloccati del tutto dalle chiome di essi ma riescano a passare. Continuo a camminare su una stradina di foglie, sento strani mormorii e movimenti di cespugli ma avanzo lo stesso divertita. Non so da quanto tempo sto camminando, mi sembra un eternità, vago su questo viale senza una meta precisa, sono solo incuriosita e attirata da questa enorme distesa di varie sfumature del verde dei fusti degli alberi e dell’erba e del marroncino di alcune foglie. Sono stanca e dolorante, penso che sia l’ora di tornare a casa ma poi vedo in lontananza una specie di arco dai colori marrone scuro e verde, mi avvicino per vedere meglio, eccola, un’arcata in legno sul quale è arrampicata dell’edera, due volte grande di una porta d’ingresso, la attraverso e sento vibrare debolmente il terreno ma non lo noto. Davanti a me un sentiero, sempre coperto di foglie, così lungo che non si vede dove andasse a finire, inizio a camminare per vedere dove porta quando calpesto qualcosa di duro e piccolo. Mi abbasso, sposto la terra e il fogliame sopra di esso e lo guardo attentamente, una pietra grande quanto il palmo della mia mano dalla forma di un serpente che compone una “ S “ al contrario ed ha due teste alle due estremità del corpo, mi fermo qualche minuto per osservarla e mi accorgo che anche le squame e gli occhi sono ricalcati in modo molto preciso. Decido di portarla con me e la infilo in tasca. Proseguo per il “sentiero senza fine” delimitato dagli alberi alla mia destra e alla mia sinistra che avanzano con esso, sento parecchi muoversi di cespugli dietro gli alberi fino a quando mi accorgo, guardando la schermata del cellulare che sono già le sette e che forse è meglio girarsi e tornare a casa. Non mi ricordo la strada e cammino per istinto, ho sempre la pietra con me perché ho intenzione di ritornare in questo posto anche se non credo possa servire a qualcosa. Alla fine, non so come riesco a riconoscere la strada e mi avvio verso casa. Ho una fame tremenda… Dopo un po’ mi ritrovo davanti al recinto bianco di casa mia. Entro in casa e urlo:
<< Ma’ sono a casa!>>.
Nessuna risposta… mi avvicino in cucina e trovo un biglietto con scritto: “ Mi hanno chiamata per lavoro, la cena è nel forno, torno domattina presto”. Sospiro… credo che d’ora in poi la maggior parte delle serate le passerò così. Mangio e vado subito a dormire, sono terribilmente stanca ma, nonostante ciò, non riesco a prendere sonno, così vado in salotto e accendo la TV. Mentre cerco qualcosa di carino da guardare, sento vociare dalla finestra, ho la strana impressione che mi stia osservando qualcuno da oggi pomeriggio… forse sono io, forse mi immagino le cose, non sarebbe la prima volta. Dopo una buona mezz’oretta decido ad andare a dormire e finalmente prendo sonno. La mattina mi dirigo verso scuola, tutto normale fino ad ora… sarà stata la stanchezza di ieri sera, stamattina ho portato comunque con me la mia pietra per paura di perderla, ho intenzione di farmici un ciondolo… sarebbe carino.
<< Bene ragazzi, oggi ho intenzione di spiegare…>> afferma Richmond appena entrati in classe
<< Ma prima…>> dice con una lentezza che potrebbe anche finire l’ora
<< Interroghiamo>> interro…che? Penso riprendendomi subito. Spero non mi chiami, sono nuova, un po’ di pietà!
<< Vediamo un po’…>> dice scrutandoci dalla testa ai piedi << Carroll… Taylor… Jones… e… Thompson! >> sarà quel mio nuovo portafortuna a forma di serpente, ma a me non ha chiamato. Mi dispiace un po’ per Austin, gli do una pacca sulla spalla e mimo con le labbra un “ andrà bene”. Passa metà dell’ora a interrogare e l’altra metà a spiegare. Guardo dalla finestra per tutta l’ora, oggi c’è parecchio vento… Durante la ricreazione nel corridoio noto una ragazza che fin ora non avevo mai notato, era sola, ha occhi grandi verdi e dei capelli lisci lunghi fino alla schiena color cioccolato. Lei si avvicina a me e mi dice:
<< Ciao, piacere, sono Celine Scott>> io rimango per un momento bloccata, perché questa ragazza vuole fare amicizia proprio con me?
<< Piacere>> << Mia Evans>> le dico in modo amichevole e poi continuo << Di che classe sei?>> lei mi scruta e mi dice:
<< Oh… non ricordi?>> << Siamo nello stesso corso di biologia>>
<< Ah si… ora ricordo, scusa>> le dico per non far brutta figura.
<< Beh… ci vediamo>> dice lei andandosene.
<< Chi era quella?>> mi chiede Austin raggiungendomi
<< In realtà… beh… non ne ho idea>> rido e anche lui scoppia a ridere << Pomeriggio sei libero?>> continuo io
<< Si, vogliamo andare a correre?>>
<< No, veramente stavo pensando di andare a fare una passeggiata, devi vedere una cosa>>
<< Ah, va bene, a che ora?>>
<< Presto… porta da mangiare>>
Con questo me ne torno in classe con un filo di mistero. Torno a casa, mi butto sul divano, mangio qualcosa e subito dopo chiamo Austin per dirgli di trovarsi davanti casa mia fra cinque minuti. Prendo la borsa, il mio portafortuna, informo mamma ed esco. Lo trovo con uno zainetto fuori casa e iniziamo a camminare.
<< Cos’è tutto questo mistero?>> mi chiede lui
<< Ti devo far vedere una cosa>> ripeto io
<< Si, ma cosa?>>
<< Vedrai…>> << Complimenti! E questo zainetto dove l’hai trovato su faccioescursioni.com?>> dico io scherzandolo
<< Sembrava una cosa seria>> dice lui tenendo il finto broncio
<< Ti ho detto una passeggiata, non di scalare il Monte Bianco>>
Camminiamo scherzando per dieci minuti, questa è sicuramente più divertente della scorsa camminata, ora ho tutto il tempo di fare quello che avevo lasciato in sospeso, la strada me la ricordo, nel viaggio mangiamo un paio di panini che Austin aveva con sé nel suo zainetto da escursionista. Attraversiamo l’arco e sentiamo il pavimento vibrare per un secondo, e vedo su Austin una faccia preoccupata, davanti a noi quell’immenso viale ma a questo punto Austin mi ferma
<< Dove stiamo andando di preciso?>>
<< Questo vorrei scoprirlo anche io>>
<< Non dovremmo allontanarci più di tanto>>
<< E dai Austin, che c’è hai paura?>> dico scherzandolo
<< No, dico solo che non sappiamo cosa c’è oltre quel sentiero>>
<< Appunto!>> esclamo e lo tiro per un braccio quasi di forza. Avanziamo verso il viale e di nuovo quella sensazione di essere osservata, mi chiedo se anche Austin si senta così. Camminiamo per poco ma mi sembra un secolo, almeno non sono sola, a quest’ora mi sarei sicuramente annoiata, parliamo, mangiamo e, di tanto in tanto, ci fermiamo e ci sediamo sotto un albero.
<< Andiamocene, non c’è nulla qui>> ad un certo punto dice lui seccato
<< Non hai voglia di camminare?>>
<< Certo! Un’ora fa l’avevo, ma stiamo camminando da troppo ormai! Se continuiamo poi saremo troppo stanchi per tornare indietro… Mia…>>
Non lo ascolto, mi avvicino pian piano ad un albero, ma non è l’albero che mi interessa, sono colpita dalle radici dell’albero, lunghe almeno sette metri… lui guarda lo stesso…
<< Attenta >>
<< Guarda! >> esclamo io indicando sopra le radici più vicine all’albero, c’è un tappeto rettangolare di foglie dal colore tra il rosso e il violaceo vicine tra loro, non è un colore naturale, è vicino al bordeaux ma più scuro. Mi avvicino ad esse senza calpestarle e ne prendo una, sembra una banale e semplice foglia… solo… sono disposte in maniera così precisa, nessuna è fuori posto, un rettangolo perfetto, nessuna è tagliata, morsicata o spiegazzata, tutte precise e identiche, le dimensioni più o meno di uno di quei tappetini da mettere fuori la porta per asciugare le scarpe bagnate dalla pioggia.
<< Attenta>> mi ripete Austin << Senti è meglio che ce ne andiamo >> diventando improvvisamente serio
<< Quanto sei seccante!>> sbuffo io girandomi verso di lui e alzandomi
<< Io me ne vado, se tu non vuoi venire tanto piacere>> dice girandosi e iniziando a fare il percorso inverso, non l’ho mai visto così serio ed arrabbiato
<< D’accordo, come vuoi>> rispondo io mentre lui ancora cammina senza girarsi, pensando che sia il caso di ritornare << Ma la prossima volta ritorniamo>>
E’ nervoso per tutto il viaggio ed io decido di non peggiorare la situazione, facciamo il percorso inverso e ci ritroviamo davanti il portone di casa mia
<< Ci vediamo domani>> mi dice
<< A domani>> rispondo io
La notte non riesco a prendere sonno, nonostante laggiù non ci sia niente di strano, non posso dimenticarmi di quel posto. Finalmente, anche se tardi, mi addormento. Sono di nuovo lì, questa volta da sola, alla mia sinistra quel tappeto di foglie rossicce, forse nasconde qualcosa, ma perché uno che dovrebbe nascondere qualcosa lo tiene tanto in bella mostra? Avrebbe potuto farlo anche con delle foglie semplici, più… naturali. Scavo con le mani per vedere cosa c’è al di sotto di quelle foglie ma niente, le foglie stanno sempre al loro posto, non si muovono neanche con il vento… sembrano incollate, ma è impossibile, pomeriggio ne ho presa una… La mattina mi sveglio di soprassalto, ho deciso, pomeriggio vado lì di nuovo, con o senza Austin. A scuola sembra essergli passato tutto, non ce l’ha più con me, è ritornato il solito scherzoso. A ricreazione incontro di nuovo Celine che mi chiede se sono nuova e da dove vengo, io le racconto in sintesi la mia vita e lei fa lo stesso, è nata e cresciuta qui ma non ho capito bene dove, mi ha detto che le piace la pioggia, il mare e tutto ciò che riguarda l’acqua, non so cosa significhi e non ho intenzione di chiederglielo, sembra un tipo abbastanza strano, mi ha chiesto se posso farle ripetizioni di biologia ed io ho accettato, mi piacciono le sfide… Il pomeriggio sono costretta a studiare letteratura per paura che Richmond interroghi, come ha fatto l’ultima volta, finisco alle cinque e mezza, scendo di corsa, prendo la borsa, saluto mamma (che si starà chiedendo sicuramente dove vado tutti i pomeriggi) ed esco. Mi chiedo se sia il caso di chiamare Austin, ma poi rinuncio da come si è comportato l’ultima volta. Ci vogliono sì e no venti minuti per arrivarci, ormai lo so, come conosco la strada quasi a memoria. Quasi corro dall’emozione fino a quando ci arrivo, è ancora lì, immobile come una statua quel tappeto di foglie, sorrido, butto a terra la borsa, mi inginocchio davanti ad esso ed inizio a scavare con le mani… niente, non si muove una foglia, è come se io stessi scavando nell’aria, proprio così, è impossibile, come fanno delle foglie a rimanere ferme, immobili anche dopo che uno le ha spostate? Ripenso a ieri, ne ho presa una… forse devo toglierne una ad una. Mi rimbocco le maniche, ne prendo una, poi un’altra, poi un’altra ancora… continuo così per più di dieci minuti ma niente, le prendo in mano ma le foglie sembrano essere sempre le stesse, se non di più. Ci rinuncio, mi sdraio sull’erba e penso, forse avrei dovuto chiamare Austin, lui avrebbe saputo cosa fare oltre lamentarsi di tornare a casa. Mi scoccia fare avanti e indietro per la stessa strada, ma deve esserci un modo, è impossibile… “ devo riuscire a togliere quelle foglie” penso mentre ritorno a casa. Appena arrivo mi butto sul letto di camera mia, mi infilo le cuffiette nelle orecchie e ascolto la musica, leggo per un po’ e scendo per cenare, mamma mi aspetta sul divano, ceniamo dopo di che ci mettiamo sul divano a guardare un po’ di televisione. Quando mamma mi informa:
<< Starò via per una settimana per lavoro, so che me ne pentirò ma non ho scelta, resterai qui a casa da sola per una settimana te la senti?>> cosa cosa cosa? Mamma che mi lascia un’intera settimana sola a casa? E’ un miracolo…
<< Sì, certo che me la sento>>
<< Ormai sei abbastanza grande e matura, non organizzare feste, non stare fuori casa troppo a lungo, rispondi sempre alle mie chiamate, ogni tanto mandami dei messaggi e fai come se io fossi in casa. Va bene?>> mi chiede in modo molto agitato
<< Sì sì, d’accordo, farò come hai detto>>
<< Quando parti?>>
<< Parto fra una settimana >>
<< Va bene>> dico sorridendole e facendole capire che sarà tutto sotto controllo
Ma non riesco a non pensare a quel posto… anche se sembrerà strano, ho intenzione di passare quasi tutta quella settimana lì, almeno starò lontano dai guai ma soprattutto non voglio arrendermi così facilmente.

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Capitolo 4
*** La confessione ***


I giorni prima della partenza di mamma passano velocemente tra le uscite con Austin, lo studio e le ripetizioni con Celine di biologia a casa mia, non è poi così strana come pensavo, è divertente, oggi alle quattro ho un’altra “lezione” con lei sempre a casa mia. Domani parte mamma e prima dell’arrivo di Celine la aiuto a fare le valigie. Suona il campanello, è lei, apro la porta e la accompagno in camera.
<< Allora>> dico io prendendo iniziativa
<< Inizia a prendere il libro, io arrivo subito>> lei annuisce e fa come dico, intanto io vado a prendere il mio quaderno degli appunti.
Entro in camera e iniziamo a studiare, le faccio leggere il capitolo, glielo spiego e lei lo ripete. Fino ad ora nessuna difficoltà, forse dovrei valutare una possibile carriera come insegnante… certo che, fra veggente e insegnante… dopo un po’ mamma ci porta la merenda e facciamo un break.
<< Sei davvero brava in biologia>>
<< Non è una delle mie materie preferite, ma me la cavo…>> dico modestamente
<< Vorrei tanto avere i tuoi voti>>
<< Non è impossibile! Continua così e ce la farai!>> dico speranzosa
Con un gesto improvviso lei fa cadere il bicchiere d’acqua appoggiato sul davanzale.
<< Scusa! Io non volevo…>> inizia lei con tono innocente
<< Non ti preoccupare, vado a prendere uno straccio, torno subito>>
Esco dalla camera e socchiudo la porta, scendo di fretta le scale di parquet e mi infilo in cucina
<< Ma’ dove sono gli stracci?>> le chiedo rivolgendole lo sguardo, è nel salotto e sta andando verso lo sgabuzzino dove ci sono i cappotti
<< Secondo cassetto a destra >> mi fa prendendo le chiavi della macchina
<< Dove vai?>> gli chiedo io mentre afferra la borsa
<< Vado a fare la spesa, così quando io partirò non dovrai andare tu, faccio provviste per tutta la settimana>>
<< Va bene>> le dico sull’orlo della porta
Prendo il primo panno che trovo e salgo le scale, nella mia stanza sento come un fruscio d’acqua, mi appoggio alla porta socchiusa e cerco di vedere cosa sta facendo Celine, no… non è spiare, d’altronde quella è la mia camera, ho sempre pensato che a questa ragazza le mancasse qualche rotella, è solo per questo che lo faccio, è da quando l’ho conosciuta che mi è sembrata strana… Appoggio la testa sulla porta e cerco di vedere cosa sta succedendo in quella stanza. Celine è inginocchiata di fronte il bicchiere d’acqua e sembra immobile a fissarlo, d’un tratto alza la mano destra fino al petto, la apre e inizia a muoverla in senso antiorario, a questo punto l’acqua sotto di lei si compatta formando un cerchio, si sposta lentamente e inizia a girare nella stessa direzione della sua mano… E’ impossibile, un altro scherzo della mia fantasia? Mi strofino gli occhi più volte e rimango lì a fissare prima lei, poi l’acqua, abbassando e alzando la testa come un idiota con gli occhi sgranati. Spalanco la porta, non riesco a parlare
<< T-t-tu>> cerco di dire io
<< Sì?>> mi dice normalmente abbassando la mano, e con questo gesto l’acqua ritorna alla normalità
<< “Si?” cioè.. cosa..>> non riesco a parlare, sono troppo scossa da quello che ho appena visto, le gambe mi tremano e punto il dito contro di lei.
<< Cosa c’è?>> mi fa lei in un tono tranquillissimo sorridendomi
<< TI HO VISTA!>> le sto urlando contro, mi sento tremare tutta e non riesco a stare calma
<< Mi hai vista?>> chiede lei incuriosita << In che senso? >> piegando la testa da un lato e inarcando le sopracciglia
<< TI-HO-VISTA… FARE QUELLA COSA… CON… CON L’ACQUA>> inizio ad urlare scossa
<< Quale cosa? Stavo cercando di pulire il disastro che ho combinato >> dice lei in tono innocente alzando da terra il bicchiere d’acqua
<< NO! TU… NON STAVI PULENDO, STAVI MUOVENDO L’ACQUA… CON… LA MANO! >>
<< Senti ora calmati, dammi quello straccio e siediti>> mi ordina
<< NO CHE NON MI CALMO!>> dico io in preda al panico facendo un passo indietro
<< SIEDITI HO DETTO!>>
Ci urliamo entrambe contro, la mia faccia scandalizzata, la sua arrabbiata. Faccio come dice lei, avanzo verso il letto ma senza tranquillizzarmi, anzi, agitandomi sempre di più. Mi siedo e metto le mani sulle ginocchia per cercare di calmarmi "ho visto male, tutto uno scherzo della mia fantasia, ed ora lei mi assicurerà che è così" dico convincendomi
<< E’ ora che ti spieghi tutto>> dice lei
<< Tutto cosa?>> rispondo guardandola camminare avanti e indietro e chiudere la porta
<< Beh… Io…>> dice lei tremando << Ecco…>> << Vedi…>>
Ho come l'impressione che non mi dirà che non è successo realmente
 << MI VUOI SPIEGARE COSA E’ SUCCESSO CINQUE MINUTI FA?>> dico io perdendo il controllo
<< Sì, sto… sto cercando di spiegartelo… Beh… ecco…allora>> fa un bel respiro profondo, si ferma e finalmente:
<< Allora… Devi sapere che non siete gli unici qui, c’è un’altra popolazione, anzi quattro in realtà… Tu… hai quella chiave vero?>> balbetta
<< Quale chiave?>> faccio io abbassando il tono di voce e ascoltando la sua spiegazione
<< La pietra a forma di serpe, ce l’hai? >>
<< Sì… la ho… ma… non è una chiave…>>
<< Sì invece, quella è l’unica e sola chiave per accedere al nostro mondo, l’hanno persa per sbaglio i Doscar, quei deficienti… >>
<< Chi?>> faccio io
<< Allora >> fa lei con tono pacato decisa finalmente a spiegarmi cosa è successo con quell’acqua << Io vengo dal mondo delle quattro terre>> << Eh?>> faccio io pensando di non aver capito bene << Ascoltami bene… nel luogo in cui hai trovato quella che tu chiami “pietra” a forma di serpe c’è un passaggio che porta in un altro mondo, il nostro mondo. Ci sono quattro regni, quello dell’acqua, del fuoco, della terra e dell’aria e c’è una regina per ciascuno di questi territori. Ognuno di essa pensa che il proprio regno sia il migliore degli altri tre ed è per questo che i regni sono in guerra da sempre ormai. Ogni popolazione dei quattro regni ha dei poteri in base al territorio in cui uno è nato ovvero il potere dell’acqua se uno è nato nel regno dell’acqua, il potere del fuoco se è nato nel regno del fuoco e così via.>> si ferma qualche secondo e io rimango paralizzata.
<< Che?>> << Cosa diavolo stai dicendo?>> dico io incredula
Ma lei continua imperterrita << Il passaggio di cui ti parlavo prima si trova sotto un tappeto di foglie rosse un po’ più avanti del luogo in cui hai trovato la chiave e questo posto è protetto dai Doscar, degli elfi che hanno anche il compito di custodire la chiave ovvero la tua pietra >> << Ora calmati>> dice guardandomi fuori di me ma, appena nomina quel tappeto, la guardo e mi calmo. Forse non sto impazzendo, forse dice la verità, ma no… non è possibile, un altro mondo? Non ci voglio credere nemmeno per scherzo… che giorno è oggi? Sarà mica il primo di aprile?
<< Nessuno e dico NESSUNO all’infuori di uno del nostro mondo può vedere la chiave, né tantomeno prenderla in mano>>
<< Ma io l’ho fatto>> dico spontaneamente reggendole il gioco
<< Ed è per questo che ti sto dicendo tutto ciò, com’è possibile che sia successo? E’ per questo che mi hanno affidato questo compito, trovarti, farmi venire nel vostro mondo per farmi fare amicizia con te e dirti tutto questo, ma non dovevi scoprirlo così… E’ colpa mia…>> inizia a colpevolizzarsi, intanto io non so se svenire, urlare o correre. Le gambe non hanno smesso di tremare da quando l’ho vista fare… quella cosa. Ma se tutto questo stranamente fosse la verità? Non è in fondo l’unica cosa strana che mi è successa da quando sono arrivata qui, mi sono trovata di fronte un mostro col mantello, ho visto il tappeto di foglie che rimaneva immobile e così stranamente perfetto… e ora arriva lei… e se queste non fossero solo coincidenze? Mentre ci penso lei continua:
<< Dobbiamo scoprire come hai fatto a prendere la serpe…>>
<< Devi venire con me, domani.>> conclude
<< Cosa? No, domani no... e la scuola? E Austin?>>
<< Non devi dire a nessuno cosa è successo e cosa ti ho detto di questa faccenda, chiaro?>> dice diventando improvvisamente seria.
Non posso non dirglielo ad Austin, non ho nessun’altro con cui parlarne, e se mi succede qualcosa? Almeno lui deve saperlo, non ce la faccio a tenergli nascosto un segreto.
<< Austin non dirà niente>>
<< Non se ne parla>>
<< Se Austin non viene, io non vengo.>>
Lei ci pensa qualche secondo e conclude che è meglio fare come dico io, in fin dei conti, sono io che ho il coltello dalla parte del manico, se non vado ci perdono loro, sono io che ho in mano l’unica chiave per il loro mondo, senza di essa nessuno può entrare o uscire, mi racconta Celine, lei è rimasta bloccata nel mio mondo ma non ho intenzione di dargliela fino a quando non saprò che questa è la verità.
<< Però devi essere tu a dirglielo, come hai fatto con me>> dico io << Magari non proprio come hai fatto con me… con un po’ di… ecco… leggerezza in più…>>

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Capitolo 5
*** Forse mi innamoro ***


<< Vado?>> mi dice intravedendo la faccia di Austin nel corridoio
<< Aspetta!>> faccio io << Cosa ti ho detto? Non puoi mica dirglielo così, di punto in bianco, davanti a tutti… e poi non lo conosci nemmeno… fidati di me, facciamo come ho detto, una sera venite a casa mia tutti e due e tu glielo dici, tanto mamma non c’è e lì può urlare quanto vuole>>
<< D’accordo, ma quanto ci vuole? Dobbiamo fare questa cosa il più presto possibile…>> risponde lei impaziente mordendosi le unghie e guardandosi intorno
<< Devi dargli prima il tempo di conoscerti meglio, altrimenti non ci mette niente ad uscire dalla porta pensando che sei pazza. Se vogliamo fare le cose per bene dobbiamo agire con cautela…>>
<< Va bene >> risponde seccata, prende il libro dall’armadietto e va in classe e, mentre la seguo con lo sguardo mi appare davanti all’improvviso.
<< Devi aiutarmi con filosofia>>
<< Buongiorno anche a te!>> rispondo di rimando mentre prendo un libro dall’armadietto
<< Ti prego è urgente, domani ho una prova!>> colgo il suo sguardo supplicante e mi accorgo che prima d’ora non mi ha mai chiesto aiuto, poi penso che forse è l’occasione giusta per dirglielo
<< Alle cinque e mezza a casa mia, ci sarà anche Celine. Non tardare>> dico velocemente con sguardo assente, faccio per andare in classe e Austin mi blocca per un braccio
<< No, aspetta, io l’ho chiesto a te, perché ci deve essere anche quell’altra?>> lo guardo negli occhi ma distolgo subito lo sguardo per non farmi ipnotizzare
<< Ehm… viene a pranzo da me>> invento la scusa del momento
<< Beh, non puoi rimandare? Domani ho un test importante!>> sento la sua voce irritarsi ancora di più, poi raddrizza le spalle e mi osserva attentamente
<< Cos’hai?>>
<< Cosa?>> incrocio nuovamente il suo sguardo e mi accorgo che non lo stavo ascoltando
<< Niente, non ho niente>>
<< No, non è vero, perché non mi ascolti? Domani ho un test import…>>
<< BASTA! HO CAPITO!>> urlo io prima di rendermi conto di aver esagerato
<< Va bene, pensa pure solo a te stessa, mi farò aiutare da qualcun altro, grazie tante>> volta le spalle e si avvia verso l’aula. Qualche secondo dopo il mio cervello ritorna a funzionare correttamente. Sono stata un’egoista, non l’ho voluto aiutarlo e fin dall’inizio il mio scopo è stato quello di dirgli… beh… qualcosa che non so neanche io se è la verità. Come mi sento adesso? Male, terribilmente male. E la cosa peggiore di aver litigato con il mio solo ed unico amico è che adesso non so proprio come dirgli di “quella cosa”… ecco, ecco che ritorno a pensare di nuovo a me stessa, devo rimediare a tutto, subito. Appena suona l’ultima campanella mi precipito fuori dalla scuola e col cuore in gola cerco di trovare con lo sguardo il giubbotto verde scuro di Austin e i suoi capelli arruffati tra i molti ragazzi che in questo momento stanno uscendo dalla porta principale, mi guardo intorno, non lo vedo da nessuna parte, aspetto che tutti se ne vanno ma continuo a non vederlo. Mi rassegno e torno a casa, lo capisco se mi sta evitando, magari non si è fatto vedere di proposito. Mi accorgo di pensare a lui per parecchio tempo, così decido di farla finita. Prendo il cappotto, infilo i guanti e il cappello e, prima di chiudere la porta apro l’ombrello e mi avvio verso casa sua. Mi ritrovo bagnata fradicia davanti la porta di casa sua così suono il campanello. Ad aprirmi è una donna di mezz’età, capelli corti con dei boccoli grandi biondo platino che le scendono lungo il viso.
<< Salve, sono Mia Evans>> accenno un sorriso
<< Mia! Austin mi ha parlato tanto di te! O santo cielo, come sei fradicia! Vieni, entra in casa cara, dammi il cappotto, ti preparo un thè?>> mi accoglie calorosamente, molto, troppo calorosamente
<< No, grazie signora Thompson, volevo solo parlare con suo figlio>>
<< Oh, santi numi, chiamami pure Arline! Austin è di sopra, vieni, ti porto da lui>>
La seguo e mi trovo davanti la porta della sua stanza bianca e con un adesivo a forma di “A” attaccato su di essa, sua madre scende ed io busso. << Si mamma, ho capito, dopo porto fuori la spazzatura, adesso sto studiando!>> grida lui dall’altra parte della porta, io entro, lui alza lo sguardo e a quel punto rimane a fissarmi sdraiato sul letto con la faccia sul cuscino, l’iPod in mano e le cuffie nell’orecchio.
<< Non mi sembra che tu stia studiando>> sì, lo so, non è così che devo iniziare a scusarmi, ma d’altronde noi ci stuzzichiamo sempre… ohh ma perché non chiudo mai quella bocca?
<< E tu che ci fai qui?>>
<< Non ti serviva una mano con filosofia?>>
 << Mmh..>> smette di fissarmi e guarda un punto fisso sul pavimento, allora io chiudo la porta, mi inginocchio sul pavimento e poggio la testa sul letto a due centimetri dalla sua, mi viene una sensazione strana nello stomaco ma cerco di non farci troppo caso.
<< Scusa… mi dispiace, è vero, penso solo a me stessa, il fatto è che in questi giorni ho avuto… beh, altro per la mente…>>
<< Tipo cosa?>>
<< Ti prometto che te ne parlerò, ora mi perdoni?>> supplico facendo il broncio, lui sorride a pochi centimetri dalla mia faccia e fa cenno di si con la testa, mi fissa negli occhi, ho la sensazione che stia per succedere qualcosa ma evidentemente mi sbaglio perché lui improvvisamente si ricorda, nel momento più sbagliato di tutti, che domani ha una prova di filosofia e che deve studiare, si alza e io faccio lo stesso. Studiamo tutto il pomeriggio e alla fine io torno a casa esausta dopo i mille ringraziamenti di Austin dicendo che senza di me non ce l’avrebbe mai fatta e mi addormento con un suo “Buonanotte, a domani”. La prima cosa che faccio la mattina seguente è guardare il cellulare, dieci messaggi non letti, li apro sorridente sperando siano di Austin ma la felicità mi sparisce non appena vedo di che messaggi si trattino.
<< Dobbiamo farlo oggi, non si può aspettare.>>
<< Mia, il tuo destino dipende da questo e più tardi aspettiamo, più le cose si fanno complicate>>
<< Ho cattive notizie da Exabia >>
Cosa? Exabia? E cosa sarebbe? Che lingua parla? Forse la sua…
<< Dobbiamo parlare, adesso.>>
E altri messaggi di questo tipo, così mi preparo velocemente e corro verso scuola anche se è ancora molto presto. Arrivo a scuola e la vedo sola seduta su una panchina ad aspettarmi, come se sapesse che sarei arrivata da un momento all’altro. Mi viene incontro preoccupata.
<< MIA! Devi venire con me, adesso, i Doscar mi hanno informata che sta per esserci una guerra tra i quattro mondi, una guerra che non vedevamo da anni, la regina del regno del fuoco ha insultato quella del regno dell’aria ed ora tutta Exabia è in pericolo, un enorme pericolo!>>
<< Ah, e quindi “Exa…cosa” è il nome del vostro mondo presumo>>
<< Si, Exabia, ora, devi prendere la chiave, dobbiamo andare nel mio mondo, salvarlo >>
<< Come so che stai dicendo la verità? Come so che questa non è una trappola per farvi ridare questa stupida chiave e dopo di che non ti rivedrò mai più?>>
<< Perché? Per te non sarebbe meglio non avermi più fra i piedi? Cosa ti costa ridarmi la chiave? La tua vita ritornerà alla normalità e basta >>
<< Allora ho ragione! Mi stai imbrogliando, vuoi solo quella chiave e non ti importa nient’altro!>>
<< Cosa dovrebbe importarmi? Il mio regno si sta distruggendo ed io non posso stare qui troppo a lungo, hanno bisogno di me!>>
<< Manterrai il nostro accordo?>>
<< Non c’è tempo per dirglielo, devi venire con me ora e se vuoi puoi anche portare il tuo amichetto con noi, basta che ci sbrighiamo, sappi che c’è una cosa che non ti ho detto, in realtà ci sono troppe cose che non ti ho detto ma un giorno solo è poco per dirti tutto, la cosa più importante che devi sapere è che molti anni fa Exabia viveva nella pace e nella tranquillità, un posto meraviglioso in cui tutti avrebbero voluto vivere, il regno aveva appena vinto una guerra contro Casyro, il regno opposto ad Exabia, e dico opposto proprio per una ragione: Casyro era triste, buia e malridotta, proprio come i suoi cittadini, divisa in quattro parti governati da quattro re, mariti delle regine del regno di Exabia che avevano i loro stessi poteri e di conseguenza sia i re che i cittadini di ognuna di queste parti avevano uno dei poteri dei quattro elementi (acqua, fuoco, aria e terra), anche se non felicemente, i due regni vivevano in pace per assicurare la felicità di ogni persona, ma i cittadini del regno di Casyro non vivevano in buone condizioni, così approfittando di ciò, i re del regno progettarono segretamente di invadere Exabia e per poco ci riuscirono se non fu per una spia, una bambina, la figlia del re dell’ acqua che all’epoca non sapeva ciò che aveva fatto, ma spifferò tutto alla madre, regina dell’acqua del regno di Exabia, che si preparò insieme alle altre per la battaglia che vinsero gloriosamente. Non si seppe più nulla del regno di Casyro, nessuno sa se i re sono ancora vivi perché alla fine abbandonarono la battaglia e lasciarono combattere i loro cittadini, ma, prima di scomparire del tutto, il re dell’acqua uccise sua figlia che l’aveva tradita e questo è tutto. Da quel giorno in avanti però, forse per una maledizione gettata dai re, le regine dei quattro regni non andarono più d’accordo e iniziarono sempre di più a distaccarsi fra di loro, e così fecero anche i loro cittadini.>>
<< Quindi, per quanto ne sappiamo i re possono essere ancora vivi?>>
<< Esatto, forse sono loro, anche se indirettamente, la causa della guerra che sta per scoppiare, ma gira voce che la bambina traditrice sia ancora viva, che il padre non sia riuscita ad ucciderla ed ora non si sa dove sia questa bambina, ormai diventata sicuramente ragazza, sempre se sia sopravvissuta, ma ripeto, sono solo voci…>>
<< Capisco…>>
<< So che tutto questo non ti sembrerà ancora reale, ma credimi se ti dico che lo è…>>
<< Si, ti credo>>
<< Bene, ora ti chiedo di mostrarmi dove hai la chiave così potrò tornare nel mio mondo e tu e Austin verrete con me >>
<< Ehm… si, certo… andiamo a casa.>>

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