Vice

di Tempie90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Salve da me e Anita XD
Come già accennato nell'introduzione, questa storia non è frutto delle nostre testoline, ma è stata scritta da Sandiane Carter, una ragazza del sito di FanFiction che ci ha gentilmente concesso di tradurla.
Anita la conosceva già e mi ha proposto quella che per me è una sfida in quanto non ho mai tradotto una ff e, vi dirò, nonostante la mia discreta conoscenza della lingua inglese, non è stato semplice. Ma lei mi ha fatto da super visore XD Mi ha aiutato molto nei punti in cui io non sapevo davvero cosa scrivere! XD
Tradurremo un capitolo per ognuno alternandoci, quindi potete ben intuire che non abbiamo tutti i capitoli pronti anche perchè sono una trentina... Noi senz'altro ci metteremo d'impegno per pubblicarli periodicamente ma non vi assicuriamo nulla XD
Speriamo comunque che decidiate di seguirci lo stesso e che la storia vi piaccia!
E' una sfida per me e credo anche per Anita perciò ce la metteremo tutta. =D
Se vi sono errori nella traduzione o qualche incomprensione, per favore, siate clementi! XD
Credo di aver scritto abbastanza, buona lettuta!
Fateci sapere! =)


                                           Capitolo 1


Novembre 2003
 
Beckett si passò una mano tra i suoi capelli corti, trasalì quando si accorse in che modo il gel le si attaccava alle dita. Lanie le aveva detto di non toccarlo.
Sospirò e aprì l’acqua,  sciacquò le mani e si abbassò sul lavandino del 12° distretto; si osservò ancora una volta allo specchio. Le luci gialle la facevano apparire più pallida del solito e lei non potè capire se il suo trucco fosse troppo da vamp.
Sperò di no.
Dopo essersi lavate le mani, si aggiustò la gonna, senza neanche provare ad abbassarla ulteriormente; Si era abituata alla cortezza indicibile della cosa. Si supponeva, comunque, che dovesse essere una prostituta e alla fine sembrava che lo fosse. Il suo top scintillava nonostante la mancanza di luce, come se cercasse di tirar fuori i suoi spiriti più bassi. Un sorriso comparve sul suo viso.
Le piacevano gli incarichi sotto copertura, l’intrigo, la segretezza della cosa. Nessuna sapeva chi era, cosa facesse nella vita. Questo riempì Kate Beckett di una sensazione di potere mai provata prima.
Inoltre aveva studiato recitazione al liceo, abbastanza per ricoprire il ruolo.
Ma stasera…
Oggi suo padre era uscito dalla riabilitazione. Sobrio. Finalmente. L’aveva chiamata prima e le aveva detto che non avrebbe voluto fare nulla di grandioso, ma lei aveva pensato di offrirgli la cena, magari presentandosi a casa sua… E invece era stata chiamata per quel caso.
Non aveva potuto rifiutare. Avevano bisogno di una bella donna e, ancora meglio, che sapesse parlare un po’ di russo per andare sotto copertura; e il nome di Kate era saltato fuori, nonostante fosse solo una novellina. Poco più di nulla.
Non puoi rifiutare un incarico del genere, non se un giorno vuoi diventare detective.
Beckett si morse il labbro inferiore, si osservò allo specchio e si fermò. Fece un ultimo respiro per calmarsi ed uscì dal bagno, ondeggiando i fianchi e spalmandosi il lucido con entrambe le labbra.
Adesso era Anya, vent’anni, un’immigrata russa ‘approdata’ nelle strade di New York un anno fa, che lavorava in questi giorni  per il magnaccia e spacciatore Antonio Velasquez.
Se fosse stata in grado di entrare nella sua nuova discoteca ‘Russian Angels’...
 
 
 
“Di nuovo, Beckett. Qual è il piano?”
Fece un sospiro silenzioso, ma fece in modo di nascondere la sua irritazione, perché aveva solo 24 anni e questo tizio, Miles Osborne, era un vice-detective col doppio dei suoi anni, ricordandole spesso che mentre lei ancora andava all’asilo, lui già lavorava al distretto.
(Aveva fatto i conti e sapeva che, sfortunatamente, era vero.)
“Entrerò come Anya, mi guarderò intorno, parlerò con la gente, raccoglierò quante più informazioni possibili su Antonio Velasquez e su presunte prostitute minorenni.”
“E?”
“Non devo far nulla, non devo farmi notare e se qualcosa va storto vado via.”
Osborne socchiuse gli occhi fissandola. “ Questo non è un gioco, Beckett. Sono serio. Non voglio che i miei uomini entrino in quel locale e ti tirino fuori.”
“Non ce ne sarà bisogno.” Gli promise calma, con il mento sollevato cercando di trasmettere quanta più fiducia possibile. Poteva sentire gli sguardi degli altri due agenti su di lei: un detective della narcotici, Robinson e partner di Osborne,  e un robusto giovane ragazzo che a lei piaceva. Johnson era forte e calmo, qualcosa nei suoi occhi ti portava a fidarti di lui.
“Bene.” Disse Osborne. “Hai l’auricolare. Se sei pronta, puoi andare!”
Beckett, si voltò a prendere la sua borsa dall’unico sgabello libero, diede un ultimo sguardo al furgone di sorveglianza e agli uomini rannicchiati al suo interno. “ Ci vediamo tra un paio d’ore.” Disse. Aprì una delle porte posteriori e uscì.
I suoi tacchi alti risuonarono sul marciapiede, forti e decisi, e gli davano quasi la stessa sicurezza di quella pistola nascosta nell’interno coscia.
 
Beckett si diresse al bar e fece cadere il suo bicchiere vuoto sul bancone di legno, resistette all’impulso di alzare gli occhi quando sentì una mano toccarle il sedere.
Non era il primo, non sarebbe stato l’ultimo.
Si voltò lentamente, cercando di trasmettere con la sua espressione quello che doveva essere interesse e seduzione piuttosto che il fastidio e la frustrazione che invece provava.
Finora, quell’operazione era stato un vero e proprio fiasco. L’avevano lasciata entrare nel locale, ed era stata una cosa positiva, ma il suo auricolare aveva smesso di funzionare dopo circa 30 minuti;  era rimasta sola da quel momento, cercando, senza successo, di dare un’occhiata alle stanze sul retro, per scorgere il magnaccia che stavano cercando.
Beckett era stanca e affamata; Avrebbe voluto che tutto questo fosse finito così da poter andare da suo padre.
Ma c’erano pochissime probabilità che potesse accadere in quel momento.
“Hey” L’uomo dalle mani erranti sorrise. Aveva un viso stretto, capelli ricci e vari tatuaggi sulle spalle muscolose. Il suo accento era russo, pensò, ma non poteva esserne certa.
“Ciao.” Disse lei abbassando la voce e le ciglia di proposito. Si supponeva avesse 20 anni dopotutto e l’insicurezza aveva un certo appeal su certi uomini.
Mani erranti sembrava essere uno di loro.
Le fissò il petto per un tempo assurdamente lungo, infine la guardò in viso, la avvicinò di più a sé poggiando le mani sulla sua vita.
“Allora, qual è il tuo nome, tesoro?”
Beckett avrebbe voluto alzare gli occhi al soffitto invece lo guardò lasciando che un sorriso timido aleggiasse sulle sue labbra. “Anya.” Rispose.
“Anya. Che nome incantevole. Io sono Paul. Molto piacere di conoscerti.”
Tenne la propria mano nella sua per un po’ e lei potè sentire  il sudore sui palmi delle sue mani.
Era un po’ ubriaco, ovviamente, ma si chiese se c’era qualcos’altro in quel suo sguardo perso.
“Lavori qui?” Chiese indicando il club mentre la gente ballava a ritmo della techno dance.
Lei scosse la testa solo una volta.
“No?” Non sembrava sorpreso, probabilmente era un regolare e non l’aveva mai vista in giro.
“Di solito lavoro in…altri club.” Rispose sollevando una mano per lisciarsi i capelli. “In centro.”
Aveva la sua storia pronta, tutti i nomi accuratamente memorizzati ma, fu comunque sollevata quando lui fece cadere l’argomento. La sua mano stava accarezzando la sua anca, su e giù,  un movimento irritante, e chiese a bassa voce:
“Allora dimmi Anya, cosa fai?”
Guardò l’uomo cercando di capire se potesse avere una sorta di legame con il magnaccia che stava cercando. Se era un abitudinario forse valeva la pena provare.
“Io faccio quello che vuoi.” Disse sbattendo le ciglia e raggiungendo lentamente la bretella del suo reggiseno. La prese tra due dite e l’abbasso sulla spalla in modo da rendere chiaro il senso di quella frase.
Paul sgranò gli occhi, le sue pupille si dilatarono, il suo respiro si fece basso mentre la guardava.
Uomini.
“Adesso...?” Mormorò ma non era davvero una domanda.
Era troppo desideroso di crederle.
“Uh-huh.” Sussurrò in ogni caso muovendo i fianchi e spostandosi da un piede all’altro per permettergli di prendere nota delle sue gambe, e degli incredibili tacchi alti. Aveva bisogno di più pratica per indossarli, si era quasi storta una caviglia sulle scale del distretto.
L’uomo si avvicinò e Beckett si preparò a privarsi di qualsiasi emozione - Anya non doveva essere disgustata. Anya non doveva sentire nulla.
Ma lui non la baciò, avvicinò la bocca al suo orecchio e chiese con calma: “ E tutto quello che voglio quanto mi costerà?”
Forse non era ubriaco come pensava.
Lei lo guardò e sorrise sorniona: “ Sarà un vero affare per te!”
Paul rise, il suo respiro pesante e umido le sfiorò la tempia. Si alzò e le poggiò la mano sulla schiena.
Perfetto. Sembrava che l’avesse convinto.
“Andiamo in un posto più privato…” Le disse e lei fece un piccolo cenno di assenso. Lo seguì cercando di nascondere la sua soddisfazione.
Finalmente stava ottenendo qualcosa.
 
O almeno così pensava.
C’erano diverse camere sul retro del club; era molto più grande di quanto si aspettasse e una parte di lei avrebbe voluto strozzare i ragazzi del VICE per non averle dato informazioni più precise.
I due energumeni, uomini impassibili di guardia alla porta, li avevano lasciati entrare, ma uno di loro aveva lanciato un’occhiata sospettosa a Beckett finchè Paul non aveva detto sgarbatamente: “Lei è con me!”
Almeno una cosa positiva c’era. Lei aveva ragione: Paul era legato al club.
Ma la forte stretta della sua mano sul polso mentre lo seguiva all’interno, il lampo di lussuria che passava nei suoi occhi ogni volta che si voltava a guardarla, le facevano stringere lo stomaco. In cosa si era cacciata?
Non è che Beckett non avesse mai lavorato sottocopertura per VICE prima. L’aveva fatto già per due volte e tutti le avevano detto di aver fatto un ottimo lavoro ma aveva fatto da esca, mentre la sua squadra la circondava, non doveva fare molto. Non includeva molti contatti fisici.
Tutto ciò invece - l’essere trascinata nella stanza sul retro di una discoteca tristemente nota per i suoi legami con la prostituzione e la droga - era nuovo per lei.
E sebbene Beckett sapeva di essere in grado di mettere fuori gioco Paul se fosse stato necessario, non sapeva dove fossero le uscite d’emergenza, né come gli altri avventori avrebbero reagito.
Merda.
Fece finta di sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, una mossa di copertura per attivare l’auricolare, sperando che questo avrebbe ripreso a funzionare.
Non fu fortunata.
Cosa avrebbe dovuto fare? Mollare tutto e uscire? Quello era quello che probabilmente il detective Osborne avrebbe voluto che facesse, ma diavolo no. Aveva trascorso quasi  due ore in quel club sperando di avvicinarsi a Velasquez, e non aveva intenzione di fermarsi ora che era vicina.
Beh, più vicina comunque.
No, Kate Beckett non se la sarebbe data a gambe solo perché le cose si stavano mettendo male.
Paul la condusse attraverso una stanza piena di fumo con tavoli e panche, e una buona quantità di persone, probabilmente impegnate in varie attività illecite. Scrutò l’ambiente sperando di intravedere Velasquez, sempre se lui fosse stato lì.
Ma stavano camminando troppo veloce e lei non poteva chiedere a Paul di rallentare, se voleva continuare a mantenere la copertura.
Così strinse i denti e socchiuse gli occhi prestando attenzione alla disposizione della stanza, almeno avrebbe avuto qualche preziosa informazione da dare alla squadra.
E poi erano già nella stanza accanto, dove le luci erano molto più scure e prima ancora che Beckett potesse capire dove si trovasse, sentì la sua schiena sbattere contro il muro con un suono sordo, poi anche la testa.
Ah che male!
Non ebbe il tempo di riprendersi perché Paul era già su di lei, mani, bocca, denti…il suo corpo premuto così vicino da poter sentire il rigonfiamento duro dei suoi jeans e, merda, questo non era il piano.
Non era il piano.
Lo spinse via con tutte le sue forze, riuscendo a staccarlo da sé per alcuni preziosi secondi; la testa le girò e imprecò tra sé appoggiandosi su una sedia vicina. La mano di Paul si chiuse sul suo bicipite abbastanza forte da farle male.
“Che succede, piccola?” Sussurrò nascondendo la rabbia nella sua voce. “Hai detto tutto quello che volevo…”
Kate lo guardò, vide la minaccia nei suoi occhi freddi e vuoti, e la risposta le morì sulle labbra.
Merda, merda, aveva sottovalutato il ragazzo.
Si guardò velocemente intorno alla ricerca di un aiuto, di un’arma, di una via d’uscita. Qualsiasi cosa. La stanza era buia e quasi vuota a parte per due coppie, una ragazza in ginocchio davanti un uomo che poteva avere una cinquantina d’anni e due persone letteralmente avvinghiate uno sull’altro in un angolo. Nessuno di loro inclini ad aiutarla.
“Rispondimi, puttana.” Paul ringhiò, l’altra mano le afferrò il collo chiudendogli il respiro. Ok. Ne aveva avuto abbastanza.
Beckett portò il suo braccio destro indietro e lo colpì al petto prima che potesse soffocarla. Il palmo della sua mano incontrò la parte addominale dell’uomo con un tonfo sordo e inciampò all’indietro, liberandola.
Si toccò la gola con le dita grata che quella prima bella boccata d’aria scorresse nel suo corpo come acqua fresca.
Paul ansimava a terra, ma si stava sollevando spingendo sugli avambracci.
Era ora di uscire.
Lo evitò posando una mano sul muro un po’ per mantenere l’equilibrio un po’ come guida fermandosi quando arrivò alla porta da cui erano entrati.
Lanciò un’altra occhiata alla stanza sperando di vedere la luce rossa dell’uscita di sicurezza ma non ne vide. L’unica via di fuga era quella da cui erano venuti.
Dannazione.
Paul stava inciampando sui suoi piedi, e lei non poteva permettersi un altro secondo di esitazione così spinse la leggera tenda da parte e tornò nella più affollata e luminosa stanza nella quale lei aveva cercato di scorgere Velasquez.
Non c’era tempo per quello adesso, pensò.
Si stava avviando verso la porta quando un uomo ubriaco si lanciò su di lei facendole perdere l’equilibrio e sbattere, ancora una volta, contro il muro.
Quella era la volta di troppo e fece una smorfia quando il suo gomito sbattè contro il calcestruzzo seguito dalla testa.
Ma che cavolo…
“Sei così bella.” Gridò l’uomo sbavandole addosso , ovviamente non disturbato dal fatto che ora era sdraiato sul pavimento.
Kate lo spinse via cercando si mettere a fuoco la situazione.
“Sta’ lontano da me!” Disse digrignando i denti e ricordandosi di Paul.
Oh per l’amor di Dio ci manca solo che quest’ubriacone mi crei altri problemi.
“Togliti!” Sibilò raccogliendo le sue forze per spingerlo via. Ma l’uomo era pesante e sembrava non muoversi di un passo alle sue spinte, e Beckett sentì il panico scorrerle nelle vene.
No, no, potrei…
“Credo che la signorina ti abbia chiesto di lasciarla andare.” Disse una voce dietro di loro, una voce forte e costante che era musica per le sue orecchie perché non era quella di Paul.
Un secondo dopo, l’uomo ubriaco era stato trascinato via e una mano calda incontrò la sua. Fu aiutata ad alzarsi in piedi da un uomo con degli occhi di un bellissimo blu. 
Per un attimo fu tutto quello che potè notare  ma successivamente studiò il suo viso e pensò che…
Prima che potesse esserne sicura, però, la voce del suo ex ‘cliente’ le giunse alle orecchie: “ Dov’è quella puttana?” Urlò da qualche parte troppo vicino.
“Merda.” Sussurrò e l’uomo dagli occhi azzurri la guardò con interesse inarcando una delle sue sopracciglia.
“Deduco che con ‘quella puttana’ si riferisca a te.”
Lei strinse le labbra senza rispondere e gli voltò le spalle tornando nella sala principale tra l’anonimato della pista da ballo.
“Ehi aspetta!”
Oh accidenti!
Almeno lui però non la stava fermando ma la stava seguendo lungo il passaggio che portava al club preso da lei; Beckett vacillò per un secondo riluttante a lasciare la stanza sul retro nella quale era stato così difficile entrare.
Ma non aveva scelta.
“Lavori qui?” Chiese ancora l’uomo con gli occhi azzurri, ricordandole la sua fastidiosa presenza. Lei lo ignorò e scivolò velocemente tra i due cani da guardia mischiandosi poi tra la folla danzante.
Non guardare indietro, non guardare indietro.
Paul si sarebbe dimenticato di lei molto presto ma l’ultima cosa che voleva in quel momento  era voltarsi e incontrare i suoi occhi.
Sentì un trambusto e delle voci concitate, e appena arrivò alla fine della pista da ballo, non potè trattenersi:
Si guardò indietro.
Uno dei buttafuori teneva l’uomo che l’aveva aiutata - lei non l’avrebbe chiamato Richard Castle, non poteva essere lui. Semplicemente non poteva.
L’uomo stava cercando di tirarsi fuori da quel pasticcio con la sua parlantina e Kate lo guardava incantata per come ci stava riuscendo.
Il buttafuori lo lasciò andare, intimandogli qualcosa che suonava come una minaccia e spinse Castle – no no l’uomo dagli occhi azzurri – verso l’uscita. Beckett si sentì sollevata anche se non le avrebbe dovuto importare, e seguì i due uomini verso la porta in ombra.
Aspettò che la porta si fosse chiusa, il buttafuori di nuovo al suo posto, prima che lei potesse uscire nella notte fredda e buia.
Osborne sarebbe stato furioso con lei.
 
Ma Osborne non la stava aspettando sulla porta.
Quell’uomo si.
Richard Castle, pensò di nuovo e non poteva negarlo questa volta. Aveva speso diverse ore a fissare la foto sul retro dei suoi libri chiedendosi se quel sorriso fosse caldo e meraviglioso anche nella realtà.
Cosa diavolo stava facendo quell’uomo in un club come il Russian Angels? Il suo scrittore preferito. Dannazione, non le importava!
“Stai bene?” Chiese in un modo più dolce di quanto lei si sarebbe aspettata, la sua voce era morbida mentre le si avvicinava.
Lei indietreggiò.
“Sto bene!” Rispose freddamente. “Sono in grado di badare a me stessa, grazie.” Nel caso in cui le sue parole non erano state abbastanza chiare, incrociò le braccia al petto. L’aria era fredda però , e aveva la pelle d’oca. E lui l’aveva dovuto notare. Kate non capì cosa stesse facendo finché non sentì la stoffa della sua giacca poggiare sulle sue spalle. Si scansò di scatto e se non fosse stato per la prontezza dei riflessi di Castle, la giacca sarebbe scivolata a terra.
“Che cosa stai facendo?”
Maledizione, aveva bisogno di tornare al furgone, non stare lì come un’idiota, fissando  quegli occhi azzurri che sembravano più scuri nella debole luce dei lampioni.
“Darti la mia giacca. Stai ovviamente congelando!” Rispose alzando le sopracciglia.
“Non..” Si morse il labbro, non sarebbe riuscita a capire quell’uomo. “Gesù, tieni la giacca. E’ tua. Devo andare comunque.”
“Andare dove?”
Si era già voltata ma l’uomo si mise tra lei e la strada dove il furgone la stava aspettando, qualcosa di così impaziente e curioso nel suo sguardo.
“Non sono affari tuoi!” Rispose velocemente. Una parte di lei era meravigliata dal fatto che stesse dicendo quelle parole al suo scrittore preferito. Ma quella situazione era del tutto surreale e non aveva idea di come affrontare la cosa.
Era stanca e con la stanchezza arrivava anche l’irascibilità e non poteva farci nulla.
Sembrava comunque soddisfatto della sua risposta. “Tu non sei una prostituta, non è vero?” Disse, gli occhi fissi su di lei. E Kate quasi si congratulò con lui chiedendogli magari se avesse voluto un premio.
Invece sospirò, alzò gli occhi al cielo e tentò di schivarlo ma lui la seguì.
“Chi sei?”
Oh Gesù.
“Vada a casa, Signor Castle!” Nel momento in cui le sue parole uscirono dalla sua bocca, chiuse gli occhi costernata.
Maledizione, quanto poteva essere stupida?
Si illuminò. “Tu mi conosci.”
 Ed eccolo lì. “Forse ho letto uno dei suoi libri…” Mormorò. Sperava che la discussione si chiudesse lì.
“Sul serio?” Rise, e fu un suono così bello che sentì qualcosa di profondo nello stomaco.
“Non sono tanto famoso. Dovresti aver trascorso molto tempo a studiare la mia biografia per riconoscermi in strada.”
Non arrossire, Kate.
“Devo andare!” Ripeté, ma le sue gambe sembravano essere radicate sul posto.
“Tu non sei una prostituta!” Disse di nuovo e c’era qualcosa di davvero affascinante in quella voce ricca.
Si avvicinò di nuovo ma lei non si allontanò questa volta, non avrebbe potuto muovere un muscolo per salvarsi la vita.
“Peccato.” Sospirò. “Avrei pagato.” Lasciò che i suoi occhi vagassero su di lei e in qualche modo non era inquietante come lo era stato con Paul. “Un sacco di soldi per poter baciare quella bocca.”
Beckett fece del suo meglio per nascondere un brivido ma non fu sicura di esserci riuscita.
“Sto cercando di non considerarlo un insulto.” Disse ma la sua voce aveva perso la sua fermezza.
La guardò pensieroso. “Oh probabilmente non è il mio miglior complimento. Mi dispiace. Ecco cosa succede dopo aver passato tutta la notte cercando di mettere insieme parole che abbiano un senso compiuto. Io…Tutte le parole se ne sono andate cercando di darle un senso.”
“Era lì per l’ispirazione” Si rese finalmente conto sentendo uno strano sollievo nel petto.
“Ah, non la chiamerei ispirazione ma autenticità sicuramente!” Le fece l’occhiolino.
Oh Signore. E si ritrovò più vicina a lui.
Lavoro. Ricorda hai un lavoro.
“Devo proprio andare!” Disse sorpresa dal tono rammaricato della sua voce. Era l’una di notte, si gelava e lei aveva bisogno di tornare a casa e non avere, invece, una conversazione sui libri e l’autenticità di Richard dannato Castle!
“Non so nemmeno il tuo nome.” Si lamentò. E c’era qualcosa di leggermente ridicolo ma anche adorabile nella sua bocca imbronciata.
“Kate.” Si ritrovò a mormorare contro ogni razionalità.
“Kate.” Ripetè come se stesse gustando il suo nome. “Mi piace. Kate.”
Lui la guardò sorridendo, con un’increspatura nei suoi occhi proprio come quella foto sulla copertina del libro, e le si avvicinò. Per un vertiginoso e stordito momento fu certa che l’avrebbe baciata.
Ma le sue labbra le sfiorarono la guancia, indugiando qualche secondo in più prima che si raddrizzasse.
“E’ stato un piacere conoscerti, Kate!”
Tirò fuori il cellulare, un oggetto fantasioso che avrebbe potuto fare cento altre cose oltre che chiamare o mandare messaggi, e le disse:
“Sto chiamando un taxi, se vuoi possiamo condividerlo.”
Lei cosse la testa. “ Ho già il mio. Grazie.”
Cominciò a parlare con qualcuno della compagnia di taxi, i suoi occhi finalmente la lasciarono concentrandosi su un punto indefinito della strada e Beckett colse l’occasione.
Fuggì.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Hola chicas! =D
Ecco a voi il secondo capitolo.
Speriamo vi piaccia e continui a suscitare interesse!
Io e Anita abbiamo deciso di pubblicare ogni lunedì, così da avere più tempo per tradurre e maggiori probabilità di essere puntuali XD
Vi auguriamo buona lettura e non vediamo l'ora di sapere cosa ne pensate!
Besos :*

                             Capitolo 2


Gennaio, 2004

Cinque anni. Cinque anni da quando sua madre era stata pugnalata a morte in quel vicolo, mentre Kate e suo padre sedevano nel ristorante senza di lei, ignari, inconsapevoli di ciò che stesse succedendo. Da Luigi. Johanna aveva sempre adorato il cibo italiano.

Beckett fissò il soffito, al freddo nonostante tutte le coperte ammucchiate sul letto, e ascoltava i battiti feroci del suo cuore, chiedendosi se avrebbe mai smesso, se il dolore sarebbe mai cessato.

Il terapista a cui era stata all’epoca le aveva promesso che la ferita sarebbe guarita ma in qualche modo, mentre gli anni passavano e l’assenza di sua madre rimaneva come un coltello affilato tra le sue costole, una lama frastagliata che penetrava sempre più dentro malignamente in giorni come questi, Beckett si trovava a dubitare le parole della donna.

Rimase a letto ancora per un altro momento, gli occhi fissati sopra di lei, il suo corpo immobile, come se anche il più piccolo movimento potesse disturbare il dolore che le si sprigionava dentro, potesse renderlo più forte di quanto già non lo fosse.

Poi la sua sveglia prese a suonare e sapeva che erano le sei e che era tempo di alzarzi, fare una doccia, vestirsi e mangiare qualcosa prima di prendere la metropolitana per il distretto. Tempo di vivere la sua vita.

La sua vita.
Come se ne avesse una.



“Hey, Beckett.”

Bisbigliò qualcosa di risposta ma non si preoccupò di alzare gli occhi; conosceva quella voce. L’ufficiale Marshall, un ragazzo carino con occhi verdi e capelli arruffati, l’unico che ancora non si era arreso a provare di fare amicizia con lei.

Prima o poi, però, l’avrebbe capito.

Kate Beckett non aveva bisogno di amici, non li voleva. Lanie era l’eccezione che confermava la regola.

Quindi si concentrò sul rapporto che aveva fra le sue mani, leggendo il più lentamente possibile per assicurarsi che Marshall se ne sarebbe andato fino a quando avesse finito di leggere. E in effetti se ne andò. Si permise un piccolo sospiro di sollievo, poi prese una penna e firmò il suo nome alla fine del rapporto.

“Beckett!”

Questa volta alzò la testa senza esitazioni, abituata com’era a rispondere alle chiamate di un qualunque vice-detective. “si?”

“Ho bisogno di te alla sala conferenza,” le disse Osborne, oltrepassando la scrivania che condivideva con un paio di ufficiali.

Kate guardò l’orologio di suo padre, l’orologio che le aveva dato per Natale, e il suo cuore affondò quando realizzò quanto presto era ancora. 10.32. quel giorno sarebbe stato infinito, vero?

Beh. Forse, se era fortunata, le avrebbero assegnato qualche altro lavoro d’ufficio. Oppure l’avrebbero mandata a prendere qualche sospettato. Oh, lei sperava decisamente per il sospettato. Aveva bisogno di bruciare tutta quell’energia extra; aveva bisogno di fare invece che di pensare.

Questa era la sua migliore speranza per oggi.

Niente pensieri.



Volevano che facesse di nuovo l’esca.
Non che le desse proprio fastidio, ma- si, si chiedeva se l’unica ragione per la quale l’avevano assegnata a un vice era per il suo aspetto, e ad essere sinceri, si stava stancando sempre di più di questa cosa. Dannazione, lei era stata la prima nella sua classe all’accademia, e certamente aveva molto più a che vedere con il suo cervello che non  con il suo corpo.

Ma a nessuno sembrava importare molto del suo cervello, o no?

Beckett strinse ben forte le labbra cercando di non imbronciarsi, focalizzando la sua attenzione di nuovo sulla riunione. Questa volta l’operazione era decisamente molto più organizzata, e includeva un numero maggiore di persone. Se tutto andava come pianificato, avrebbero finalmente preso Velasquez e rinchiuso in cella. Per sempre.

Kate sapeva che il detective Osborne aveva cercato lentamente di raccogliere informazioni contro quell’uomo, ma non aveva capito quante ne aveva accumulate oltre le ultime due settimane. Non potè trattenersi dall’esserne impressa.

Quando la riunione terminò, tutti quanti si alzarono per andarsene,ma Osborne si girò verso Kate, rimanendo tra lei e la porta. “Ti sta bene, Beckett?” chiese, con la fronte corrucciata mentre la studiava. “lo so che sei giovane, ma sei l’unica che abbiamo che può fare quella parte. E sei riuscita a gestire bene questa situazione l’altra volta.”

Le stava veramente chiedendo se poteva farlo? Merda, come se lei avesse pensato ad alta voce prima.

“Mi sta bene, signore. Posso farcela.”

Dannazione, non avrebbe mai lasciato sfuggirle un’occasione per prendere parte a una operazione del genere. Sapeva cosa poteva significare per la sua carriera.

Osborne sembrò pensieroso per un momento. “Okay” disse alla fine, aprendole la porta. “va bene.”

I suoi occhi si fissarono per un secondo sulla mano del detective, che riposava attorno alla maniglia come se lei non avesse potuto farlo, come se lei non poteva aprire quella stupida porta da sola, ma deglutì la sua frustrazione e si diresse alla sua scrivania senza dire una parola.

Era un mondo di uomini.
L’aveva sempre saputo.

E si, le mancava Royce, la fiducia che aveva sempre avuto in lei, il rispetto con il quale l’aveva sempre trattata. Non gli importava che era una donna, che era intelligente. Quando sbagliava, la sgridava; quando faceva un buon lavoro, la portava fuori per dei drink.

Ma Royce se n’era andato adesso. Adesso lei lavorava per il Vice, e questi uomini erano solo i suoi futuri colleghi; doveva semplicemente accettarlo.

Conserva la tua battaglia per quando conta, Beckett.

La scritta in neon di “Russian Angels” le sembrava tristemente familiare, le lettere che vibravano nell’oscurità che si approssimava, entrambe le “i” e le “l” erano probabilmente verso il limite del loro declino.

Kate spostò lo sguardo altrove, si aggiustò il vestito, e spinse i suoi capelli all’indietro.
Eccetto che non erano davvero i suoi capelli. Le avevano fatto indossare una parrucca questa volta, nell’eventualità improbabile che un cliente, un buttafuori o un barista la riconoscesse; stranamente, una lunga criniera di finti capelli biondi non le era mai passato per la mente.

Indossava, inoltre, anche un vestito diverso, nero e luccicante che le scopriva troppo le gambe e fin troppo la scollatura, questo però secondo lei. ma gli sguardi dei vice detective sembravano dire il contrario.

Beckett sorrise. Il college le aveva fatto capire qualcosa che non le era stato chiaro alle superiori: la certezza di essere sexy. Non si fidava dell’altre parole, come “bellissima” o “stupenda” o “mozzafiato”; non significavano nulla per lei.

Ma poteva vedere il modo in cui gli uomini la guardavano quando indossava le gonne o quando lasciava i suoi capelli sciolti. La notavano. E si, i suoi capelli erano corti ora, ma nonostante tutto…- Kate lo sapeva.

L’aveva capito da un po’ che poteva usarlo a suo vantaggio. Solo che… non voleva doverlo fare.

Troppo tardi però, pensò, lasciando che le sue dita toccassero la scollatura del suo vestito, controllando che il microfono fosse ancora lì. Questa volta non sarebbe stata da sola al club: un vice detective era già dentro che cercava di mischiarsi tra la folla e di riuscire magari a vedere Velasquez.

Sapevano da una fonte interna che l’uomo sarebbe stato al club la sera. Tutto ciò che dovevano fare era avvicinarglisi senza che lui o le sue guardie del corpo si insospettissero, e isolarlo e arrestarlo. Osborne era stato molto chiaro riguardo a questo: non voleva che irrompessero nel club, e che creassero confusione così da permettere a Velasquez di scappare. Ciò che voleva era arguzia e precisione.

Quella era la ragione per la quale Kate doveva arrivare per prima al criminale e provare ad ottenere la conversazione con i soci sul nastro. Osborne non voleva soltanto il proprietario del club; voleva anche sapere chi faceva cosa nell’organizzazione di Velasquez.

Bekcett non indossava un auricolare questa volta. Volevano limitare i rischi di farla sgamare; la cimice era l’unica cosa che le avevano permesso di tenere. Una volta dentro il club, era da sola. Ma il suo team avrebbe ascoltato ogni suo movimento, pronti ad intervenire.

“sto entrando” disse silenziosamente, sapendo che il piccolo microfono avrebbe riportato le sue parole comunque.

Strinse la sua piccola borsetta, prese un profondo respiro, e iniziò il lavoro.


Il club era strapieno.
Fece quasi un passo indietro, una sensazione sopraffacente di agorafobia le si riversò addosso, ma i suoi istinti da poliziotto ebbero la meglio e la aiutarono a chiarire la mente.

Era interessante, a dire la verità, che c’erano molte più persone rispetto all’ultima volta. O il nightclub stava davvero decollando, o gli agganci di Velasquez si stavano espandendo. Optò per la seconda.

Beckett analizzò lo spazio circostante, riuscendo a vedere il detective Johnson ma non lasciò che i suoi occhi si posassero troppo a lungo su di lui. Era al bar, concentrato in una corversazione con un paio di uomini che sembravano appartenere al luogo; Kate si diresse decisa verso le stanze sul retro.
Non c’era bisogno di perdere tempo.

I due uomini che controllavano la porta potevano essere anche gli stessi dell’ultima volta; erano ugualmente massicci e spaventosi. Solo qualcuno davvero attento- o qualcuno il cui lavoro era notare queste cose- avrebbe potuto dire che erano due persone differenti.

Si diresse dritta verso di loro, ancheggiando i fianchi, adottando un approccio più sfrontato e  sicuro di sé. Se ci credeva lei stessa alla sua stessa storia, ci avrebbero creduto anche loro.
“ciao, ragazzi,” affermò con un lento sorriso, abbassando deliberatamente in modo sensuale le ciglia. L’accento russo sembrava stesse facendo il suo effetto; un sorriso appena accennato apparve sulla faccia dell’uomo più piccolo.

“hai un appuntamento con Velasquez?” chiese il suo partner, i suoi occhi freddi che rivelavano quanto poco impressionato fosse.

“no,” rispose, e arrotolò una piccola ciocca dei finti capelli biondi attorno al suo indice, ridacchiando leggermente. “ma vedi,” continuò quando ebbe l’attenzione dei due uomini, “sono una sorpresa. Un regalo. Da Nikolai.”

Se l’informazione di Osborne era giusta, Velasquez faceva i suoi affari con la mafia russa, e si era incontrato un paio di volte con uomo chiamato Nikolai Lyubov. Se non era così allora…
I due uomini si scambiarono un’occhiata, e quello più alto si rigirò a guardarla, come se stesse cercando di leggerle la mente. Grazie al cielo non poteva.

“mostraci la tua borsa” affermò, indicando la piccola purse.
Beckett rise, rendendo la sua risata lunga e roca mentre si tirava indietro i capelli. “ragazzi, andiamo. Non si chiede di vedere la borsa di una donna.”

La vena sul collo dell’uomo iniziò a pulsare. “borsa” disse semplicemente, freddo e irrevocabile.
Sospirò, e porse la sua borsa. “se insisti.”
Guardarono dentro, le dita quasi troppo grandi per riuscire ad aprire la zip; quando furono soddisfatti che non ci fosse nulla di pericoloso in quel ridicolo spazio, gliela diedero indietro.

Come se lei avesse mai tenuto la sua pistola nella borsa. Onestamente.
Ma era dentro; era dentro ed era tutto ciò che importava.

Esattamente come nella stanza principale, quella sul retro era altrettanto affollata; Beckett fece un paio di passi e controllando la situazione, pensò che Velasquez era probabilmente al tavolo dove la gente rideva il più rumorosamente possibile e dove si fumava di più.

Iniziò a camminare in quella direzione, lentamente e deliberatamente, e si fermò davanti al tavolo fino a quando tutti gli occhi non era puntati su di lei. Poi lasciò cadere le sue mani sul tavolo del legno scuro e luminoso, il suo peso che riposava sui suoi polsi, inarcando la schiena mentre fissava Velasquez negli occhi .

Era molto simile alla foto che Osborne le aveva fatto vedere, inaspettatamente giovane- verso i 35 anni- e di una bellezza rude, come se avesse trascorso la maggior parte della sua giovinezza all’aperto, in un posto freddo e ventilato che aveva scolpito il naso aquilino, gli zigomi alti, e gli occhi a mandorla che sembravano sempre guardare obliquamente.

“il signor Velasquez, presumo” disse Kate tranquillamente, soddisfatta dell’eco sexy della sua voce in un improvviso silenzio. Lasciò che gli angoli della sua bocca si sollevassero appena, e i suoi occhi mai lasciare quelli dell’uomo.

Fu sorpresa quando lui mantenne il suo sguardo, non guardò neanche per un istante il suo seno che, sapeva perfettamente, doveva essere molto esposto per come si era poggiata al tavolo.

“e tu sei?” rispose calmo, con appena un tocco di curiosità nella sua voce.

“sono il tuo regalo,” dichiarò sfrontatamente, inclinando il capo, sentendo i suoi capelli biondi spargersi sulle spalle. Era strano, sapendo che non erano i suoi, anche se era davvero un’ottima parrucca. “il regalo che Nikolai ti ha mandato”

Qualcosa lampeggiò negli occhi di Velasquez, troppo velocemente per lei per capire cosa, e pregò Dio che la loro informazione fosse giusta. Probabilmente non avrebbero ucciso un poliziotto- e lei avrebbe saputo abilmente uscire fuori da quella situazione- ma non sentiva un forte desiderio nel provare nessuna delle due opzioni.

“Nikolai, hu,” affermò lentamente il proprietario del club. “beh, non è davvero gentile da parte sua? Signori, fate spazio per questa incantevole signorina”

Alcuni degli uomini si spostarono con le sedie per lasciare uno spazio vuoto affianco a Velasquez e questo le indicò la sieda vicino la sua. Beckett si mosse, prendendo il suo tempo, lasciando scivolare la sua mano lungo il braccio del criminale mentre affondava sulla sedia.

“Sei forte” affermò amabilmente, facendo le fusa e lasciando che le sue dita si soffermassero sull’incavo del gomito.

Il truffatore scoppiò in una fragorosa risata, non ne sembrava tuttavia impressionato. Se l’appuntò a mente: indifferente alle lusinghe.

“Conosci il mio nome ma io non so il tuo” le sottolineò, e di nuovo lei sentì l’acciaio sotto la sua apparente voce vellutata. Quest’uomo non si sarebbe fatto ingannare facilmente; Beckett sentì le sue interna contrarsi con apprensione.

“Sono Irina” rispose, sorridendo in modo invitante. “e stanotte,” aggiunse, sperando di rabbonirlo, “sono tua.”

La guardava immobile, valutandola; le sue dita afferrarono il suo mento, alzando il suo viso per ispezionarlo.
“Sei proprio carina,” e il tono indifferente che usava, come se stesse parlando del tempo, le fece scorrere dei brividi lungo la schiena. “dici che ti ha mandato Nikolai. Ora, perché lo farebbe?”

Ah.

“Vuole assicurarsi che tu e lui siate buoni amici. Molto buoni amici,” promise lei, lasciando scivolare la sua mano dal suo gomito giù per la sua coscia. Si sentiva ridicola perché lui non stava affatto contraccambiando i suoi gesti ma non aveva un piano migliore.

“Davvero buoni amici. Anche se ha rifutato la mia proposta d’affari. Si che questo è interessante.”
Merda.

“Nikolai vuole dire che, forse ha rifiutato quella proposta ma non significa che rifiuterà  le altre” il suo cuore iniziò a battere veloce per l’agitazione e l’adrenalina; Beckett spostò la sua gamba sotto il tavolo, rassicurandosi con la sensazione della pistola che aveva all’interno coscia.

Velasquez la guardava, gli occhi scuri pensierosi. Sembrava comunque un certo progresso. “Pablo” chiamò al’improvviso, facendo sussultare al tavolo tutti quanti. Tutti quanti eccetto un uomo il cui vestito sembrava troppo stretto per le sue massicce spalle , un uomo dagli occhi grigi e spenti.

“Signore.”

“Chiama Nikolai Lubya. Chiedigli se conosce una certa Irinia, e se l’ha mandata qui stanotte. Vai adesso.”
Pablo annuì e poi scomparì senza neanche dire una parola. Velasquez si girò nuovamente verso Kate e sorrise, senza divertimento o emozione. “vedremo se sei chi dici di essere. “ disse alla fine, quasi amichevolmente.

Le sue dita sfiorarono la guancia di Kate, danzarono assieme ad un’onda di capelli biondi. “Bellissima,” disse ancora.

Stavano giocando a carte, insieme al bere e a fare visite frequenti a al bagno; Kate guardava, ma non osava nemmeno toccare con le sue dita il vestito per essere sicura che il microfono fosse ancoa al suo posto.

Ci sperava davvero però; sperava che Osborne stesse ascoltando tutto.

Se non ottenevano nulla, almeno avevano dei nome, almeno avrebbero avuto un’idea della gerarchia di qui. Era poco, ma se si ascoltava al timbro della voce, se si guardava chi distoglieva lo sguardo e chi no… diceva molto, probabilmente molto di più di quanto ne fosse loro intenzione.

La mano di Velasquez poggiava sulla sua coscia, il suo pollice sfiorava la merlatura del suo vestito, ma non si muoveva. Infatti, non sembrava affatto che lui le stesse prestando attenzione. Il che la rendeva molto nervosa.

Pablo ancora non era tornato.

Non era preoccupata, no, non lo era. Osborne aveva pianificato tutto; il furgone era parcheggiato fuori nella strada di fronte e stavano intercettando tutte le chiamate.
Sarebbe andato tutto bene.

Velasquez vinse la partita di poker, nemmeno una traccia di trionfo appariva sul suo viso, semplicemente raggruppò le chips aggiungendole a quelle che aveva già considerevolmente accumulato.

Sei un buon giocatore, affermò quasi ad alta voce, ma le lusinghe non erano la via giusta per arrivare a lui. “sei fortunato” disse invece.

Mugugnò. “non ha nulla a che vedere con la fortuna. Il poker è tutta una questione di osservazione.”
Mosse la testa in avanti. “e il recitare no? Non puoi recitare se non sai bluffare.”
Le fece un lungo sguardo indagatore. “Sei brava a poker, Irina?”

Rise, e quasi si spaventò di quanto divertita sembrasse la sua voce. Dannazione, aveva perso la sua occasione: sarebbe dovuta essere sullo stage di un teatro. “Io? Sono terribile. Ma mio fratello era molto bravo. Mi ha detto molto sul poker.”

“Tuo fratello,” risuonò Velasquez, con la stessa inespressività, che completava la sua mancanza di interesse. “dov’è adesso?”  

“è morto,” rispose senza neanche un secondo di esitazione, come se fosse un dato di fatto. “ si era incasinato con gente sbagliata”

I suoi occhi scuri si girarono verso di lei, affilati, prima di guardare di nuovo al tavolo, poi alle sue carte.
“E' stato imprudente da parte sua”

“Si, vero” concordò tranquillamente. Non dissero niente altro, ma iniziava a sentire l’inizio di una certa connessione, di un legame, come se finalmente iniziasse a crederle.

O forse stava semplicemente considerando qualche modo per liberarsi di lei. Era difficile da dire.

La volta successiva che alzò il suo sguardo, Pablo si era materializzato dal nulla. Beckett cercò di non lasciare che la sua tensione si mostrasse, e provò invece a mantere le sue spalle rilassate e il suo respiro regolare. Non aveva nulla da temere. Johnson era nella stanza affianco, pronto ad aiutarla se avesse avuto bisogno di lui.

Pablo incontrò gli occhi di Velasquez e annuì. Se avesse avuto qualche dubbio su cosa potesse significare, il modo in cui le dita di Velasquez si strinsero attorno alla sua coscia, li rimosse immediatamente.

“Beh, dolcezza,” disse, la sua voce profonda, qualcosa tipo piacere che la riempiva. “a quanto pare, dopotutto hai detto la verità.”



Anita&Tempie's corner:
And Now? Lo scoprirete nella prossima puntata! XD
A lunedì prossimo! =)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ecco a voi il terzo capitolo a mio avviso abbastanza interessante! =D
Buona lettura.
Io e Anita attendiamo i vostri pareri! =)

                         Capitolo 3

Velasquez attese finché il round successivo di poker terminasse, poi fece cenno a uno dei suoi perché potesse ritirare la sua vincita.
Si alzò, una mano poggiata al fianco di Kate, e lei non poté far altro che seguirlo.
“Andiamo.” Disse seccamente, con una sensazione di sollievo, rilassando i muscoli. Questo era esattamente quello che lei e il suo team voleva.
Lasciare Velasquez solo, isolato, così da poterlo arrestare senza problemi.
La condusse verso una piccola porta che lei non aveva notato prima; era nascosta in un angolo e dello stesso colore del muro.
L’uomo si fermò quando la raggiunsero, e lei realizzò che Pablo li stava seguendo, stava estraendo una chiave dal collo, una catena con una piccola chiave.
Tutto successe nel momento in cui introdusse la chiave nella serratura: Beckett fece l’errore di girare la testa e guardare l’uomo seduto al tavolo vicino. Fu allora che lo vide.
Rick Castle.
Il problema era che anche lui la vide. E ancora peggio la riconobbe.
“Kate.” Esclamò, alzandosi dalla sedia, con un sorriso tra il sorpreso e il felice che in un’altra situazione le avrebbe fatto piacere. Non in un nightclub dove lei doveva essere Irina, una sexy prostituta russa; non con Velasquez al suo fianco, così vicino da sentire quanto pericolo irradiasse.
Non poté fare a meno di fare un sospiro sorpreso e di indietreggiare per lo shock e il rifiuto, digrignò i denti, tutte reazioni sottili ma abbastanza visibili da allertare l’uomo che stava stringendo il suo braccio.
Le sue dita si strinsero, affondando nella pelle delicata del suo avambraccio, mentre Velasquez la costrinse a voltarsi verso di lei.
“Come ti ha chiamato?”
Oh no. NO. “ Uso molti nomi.” Rispose, ma la spiegazione arrivò così tardi che non lo convinse.
Fece un piccolo cenno con la testa e il secondo dopo Pablo stava afferrando malamente Castle, mentre questi protestava. La stanza, che fino a quel momento era caduta in un silenzio totale, si riempì nuovamente di suoni; sicuramente i clienti sapevano quando distogliere lo sguardo.
 
Velasquez la trascinò verso un’altra porta, la sua mano era come un artiglio d’acciaio al suo polso, e lei non sapeva se seguirlo o combatterlo, perché avrebbe potuto ancora funzionare, no? Il piano poteva ancora funzionare; isolato avrebbe potuto significare che lui e Pablo avrebbero portato lei e Castle in una stanza dove poterli interrogare e avrebbe potuto funzionare.
La porta si aprì su una rampa di scale. Quasi cadde sulle ginocchia per il modo in cui Velasquez la tirò, trovandosi a guardarsi le spalle, per incontrare gli occhi di Castle.
Sembrava spaventato, come se stesse cercando di mostrarsi coraggioso  ma fallendo, e questo, stranamente, fu quello che le diede di nuovo forza e sicurezza. Lui era un civile – non aveva idea di cosa ci facesse in quel club (di nuovo) ma qualunque fosse il motivo, non era colpa sua se si trovava in quella situazione.
Doveva proteggerlo.
Era il suo lavoro proteggerlo.
Le scale portarono ad un garage sotterraneo e lei realizzò gelidamente e con una terribile consapevolezza che quello non era nei piani di Osborne. I ragazzi del 12° non sapevano nulla di quel garage; Non si sarebbero mai aspettati che Velasquez se ne uscisse in quel modo.
Merda.
La porta si chiuse dietro Pablo e Castle e lei prese una decisione. Tese se braccia e le girò velocemente, costringendo Velasquez a mollare la presa sui polsi; con un rapido movimento alzò il vestito, raggiunse la pistola e si mise in posizione, come le avevano insegnato in accademia.
“Whoa, calma, tigrotta.” Disse con voce bassa Pablo. Sembrava abbastanza sicuro, troppo, e il suo cuore perse un battito quando girò lentamente la testa per non perdere di vista Velasquez.
La pistola di Pablo era puntata alla tempia di Castle, il suo braccio era come una morsa per quello dello scrittore girato dietro la schiena. Quegli occhi blu che era stati così caldi e giocherelloni quella notte di qualche settimana fa, adesso erano spalancati e spaventati.
“Non c’è bisogno che mi stringi così forte..” Scherzò Castle senza troppa convinzione. “ Lo so che sono irresistibile però…”
Il calcio della pistola pressò sul cranio con una colpo secco che lo zittì facendo stringere i denti alla detective.
“Stai zitto!” Disse Pablo. Poi rivolgendosi a Velasquez . “ Devi andartene capo!”
“Non andrà da nessuna parte!” Rispose Kate, rafforzando la stretta alla sua pistola e puntandola verso il magnaccia. Aveva bisogno di prendere tempo, solo un po’ di tempo, abbastanza da permettere alla cavalleria di arrivare.
I due uomini la ignorarono.
“Non sappiamo se è un poliziotto.” Obiettò Velasquez.
“Credimi, lo è. E non è qui da sola. Sali in macchina e scappa capo!”
Velasquez lo guadò come se volesse protestare ma cambiò idea dopo qualche secondo, fece un passo indietro mentre frugava nelle sue tasche, probabilmente alla ricerca delle chiavi dell’auto.
“Giuro che se fai un altro passo ti sparo!” L’avvertì Beckett cercando di sembrare più sicura di quanto non fosse realmente.
“Non lo farei se fossi in te. A meno che tu non voglia che spari al tuo fidanzato qui.” Rispose calmo Pablo come se stesse parlando del tempo.
“Il che è probabilmente fattibile.”
Beckett tremò.
Velasquez scomparve tra le auto e lei imprecò, rivolta verso Pablo; non poteva fare altro se voleva che Castle restasse vivo. Era molto sicura che Pablo avrebbe messo in atto la sua minaccia e si supponeva che lei dovesse proteggere i civili prima di tutto, servire la gente della città di New York.
Giusto?
Dov’ era Osborne quando c’era bisogno di lui?
Sentì l’accensione di un’auto e delle lacrime di frustrazione le rigarono le guance, lacrime che asciugò velocemente.
Ma dannazione era stata a tanto così…
L’auto, un SUV dai vetri oscurati, comparve alla sua vista, girò l’angolo e si diresse verso di loro; Beckett sparò al parabrezza una, due volte prima di gettarsi di lato per evitare di essere investita. Il veicolo le bloccò la vista di Pablo e Castle.
Lo stridio dei freni, il suono di una porta che si chiude e lei realizzò troppo tardi quello che stava succedendo: Pablo stava salendo sul SUV. Ma stava spingendo anche Castle? Imprecò sottovoce, si tirò su mentre il veicolo ripartì sgommando.
Sparò ancora un paio di volte ma questo non li fermò: il SUV scomparve da un’uscita sul lato opposto a quella del garage, e Kate alla fine abbassò l’arma. La frustrazione pulsante nel petto.
Memorizzò la targa ma dubitava che sarebbe stato utile.
Almeno realizzò con sollievo che Castle era lì, illeso. Non l’avevano preso.
In realtà, per qualcuno che aveva avuto puntato una pistola contro non sembrava esattamente traumatizzato piuttosto esaltato.
Beckett strinse le labbra, serrò gli occhi per un attimo. Lei di certo non era esaltata!
 
 
Merda, non poteva crederci. Velasquez e Pablo erano scappati e non aveva ficcato una pallottola  a nessuno dei due.
Aveva fallito.
Ma se Castle non si fosse messo in mezzo, se non l’avesse chiamata Kate al momento meno opportuno…
Beckett si lasciò andare, imprecò ad alta voce sbattendo il pugno contro la macchina più vicina.
L’allarme cominciò a suonare e quasi la spaventò. Oscillò sulle gambe e si meravigliò della sua stupidità. No, non stupidità… Incompetenza!
“Beckett!”
Si voltò; La porta delle scale si aprì mostrando il detective Johnson disorientato.
Che tempismo!
“Che diavolo è successo?” Chiese guardandosi attorno chiaramente sorpreso di quel luogo tanto quanto lei.
“ Mi sono mosso quando ho sentito quel trambusto nella stanza sul retro ma tu non c’eri e la porta era bloccata.”
Ah, merda.
La porta bloccata dall’interno. Questo spiegava tutto.
“Sono fuggiti!” Disse brevemente, odiando il suono di quelle parole.
Sono stata io a farli scappare.
 
 
 
Sembrava abbastanza furiosa e profondamente delusa mentre rispondeva alle domande del detective.
Nonostante il pesante trucco, i capelli biondi e i vestiti aderenti, sembrava molto giovane; ma lei emanava determinazione, fierezza e questo fece apprezzare a Rick il coraggio di quella poliziotta. Non era sicuro di potersi avvicinare a lei in quel momento.
La porta si aprì di nuovo, un suono acuto che gli diede fastidio, e una folla di poliziotti irruppe nel garage, armi puntate, urlandosi ordini a vicenda.
 
Lo scrittore non si mosse, mise su la sua miglior ‘faccia da innocente’.
Ma i suoi occhi erano ancora su Kate, la vide drizzare le spalle, alzare il mento e nascondere ogni emozione.
“Beckett.” La chiamò un uomo che doveva essere il suo superiore. Alto, magro e brizzolato.
Lo era davvero? E chi era il ragazzo di prima, il suo partner?
Non aveva fatto un buon lavoro, pensò Rick con uno strano senso di protezione nel cuore.
“Sono fuggiti, signore.” Disse calma. “ ho cercato di fermarli ma avevano un civile come ostaggio..” Indicò lo scrittore, “ e ho dovuto fare una scelta.”
Un giovane agente, alto e dagli occhi blu, si frappose tra lo scrittore e Kate chiedendogli qualcosa sull’essere armato: Rick alzò le braccia senza ascoltarlo, intento a seguire in qualche modo la conversazione.
Ma il poliziotto continuava a parlare con lui distraendolo con domande riguardo la sua salute (No, non era ferito; non era ovvio, per l’amor del cielo?) e non poté seguire il resto della conversazione. Poté solo vedere il superiore di Kate allontanarsi,  con passo rapido e sicuro verso l’uscita da cui era fuggito il SUV.
“ Signore? Abbiamo bisogno che lei risponda ad alcune domande, signore?”
 Rick distolse lo sguardo dal corpo di Kate.
 
 
Beckett, l’aveva chiamata così l’uomo? Era quello il suo cognome?
Sospirò realizzando che adesso che era passata l’adrenalina non era stato poi così divertente.
Oh e anche…Dannazione.
Kate doveva essere in una specie di missione, no?
La parrucca, i vestiti da prostituta, la pistola che aveva tirato fuori velocemente ( indossava una fondina? Perché se fosse stato davvero così sarebbe stato molto sexy…Fuori, stai andando fuori ‘tema’). Lei era in missione e qualunque essa fosse, lui l’aveva probabilmente mandata all’aria.
Merda.
E pensare che era stato così contento di vederla.
 
 
 
Nel momento in cui uscirono in strada Beckett si sentì sul punto di esplodere. Se avesse ricevuto ancora uno sguardo condiscendente, se avesse ricevuto un altro commento riguardo al fatto che non era stata colpa sua, di come avesse fatto del suo meglio, avrebbe ucciso qualcuno. Se non  tutti.
Osborne non l’aveva sgridata. Era infastidito, si, anche furioso ma aveva mantenuto il controllo e lei quasi si risentì nei suoi confronti. Perché se fosse stata un uomo l’avrebbe sgridata, e lei non voleva essere trattata come una bambina.
Non era un oggetto fragile.
Lei aveva fallito; voleva che glielo dicessero. Come avrebbe potuto se no credere ai complimenti che le avrebbero fatto?
Certo, non era stata solo colpa sua, ma se quella sera non avesse parlato con Castle, settimane fa, se non gli avrebbe detto il suo nome, Velasquez sarebbe stato sotto la loro custodia adesso.
Invece era scappato.
Gli altri poliziotti stavano tornando con il furgone al distretto o a casa ma Beckett era troppo arrabbiata per andare con loro. Quindi quando se ne andarono, lei si ritrovò sola con Castle sul marciapiede.
Lo scrittore le rimase vicino, evidentemente non voleva lasciarla sola; era qualcosa di dolce o forse un modo per scusarsi.
“ Castle.” Disse dolcemente sorprendendo se stessa. Qualcosa riguardo il suo cognome sembrava giusto, non riusciva a pensare a lui come Rick o Richard.
Le si avvicinò quando lo chiamò, intimorito. Lei fece una smorfia.
“Non incolpare te stesso.” Disse non riuscendo ad infondere un po’ di calore nella voce. “ Non è stata colpa tua.”
Faceva freddo fuori e lei tremò mentre parlava; aveva bisogno di un taxi, essendo stata abbastanza stupida da non andare con Osborne; Non c’era modo di tornare a casa.
“Se non ti avessi chiamato col tuo nome…” Disse Castle con voce colpevole.
“Se non ti avessi detto il mio nome” Rispose automaticamente Beckett. “ Non c’è nient’altro da dire. Non è stata colpa di nessuno, solo sfortuna.”
Castle rimase in silenzio per un momento come se stesse assorbendo la sua non colpevolezza ma quando lei si girò, combattendo con la cerniera della sua borsa per prendere il cellulare, lui stava già componendo il numero.
Bene.
“Sto chiamando per un servizio taxi. Lo condividiamo?” Chiese, mostrando il telefono. La donna si limitò a una mezza alzata di spalle, unico modo di mostrare la sua gratitudine in quel momento.
Kate ascoltò il modo in cui la sua voce si dispiegava nel buio riempiendo gli spazi vuoti della notte, e in quel momento sentì la rabbia scemare.
Le piaceva la sua voce.
Quando terminò, si voltò e la guardò alzando un sopracciglio. “ Se ti offro il mio cappotto c’è qualche possibilità che tu lo tenga questa volta?”
Lei non poté far a meno di mostrare un leggero sorriso sulle labbra. “No.”
Si lasciò scappare un drammatico sospiro ma i suoi occhi erano un miscuglio di divertimento e interesse.
Non insistette.
“Quindi..” Le si avvicinò, non tanto da toccarla ma abbastanza da farle sentire il suo calore, “chi era quel tizio che ho inavvertitamente fatto scappare?”
“Antonio Velasquez” Rispose stancamente. “ trafficante di droga. Magnaccia. Metà dei suoi ‘dipendenti’ sono minorenni.”
Il disgusto negli occhi dello scrittore si trasformò in orrore; il modo in cui lui la fissò la fecero pentire di aver parlato.
All’improvviso si ricordò che l’uomo aveva una figlia, l’aveva letto da qualche parte, probabilmente sul suo fan site e si chiese quanti anni avesse.
“Hey.” Disse questa volta più dolcemente. “ non è stata colpa tua, ok? Lo prenderemo la prossima volta.”
O almeno così sperava.
Castle annuì, il volto serio, sobrio e lei avrebbe voluto che sorridesse di nuovo.
“ Cosa ci facevi di nuovo al Russian Angels, comunque?” Chiese alzando un sopracciglio. “Non hai ottenuto abbastanza ‘autenticità’ l’ultima volta?”
Fece una piccola e sorpresa risata e lei pensò di vedere un accenno di imbarazzo dietro questa. Divertente, Richard Castle non le era mai sembrato il tipo di uomo da essere messo facilmente a disagio.
“Immagino perché mi piace questo club.” Rispose scrollando le spalle. La sua voce poco convinta per essere credibile. Si allontanò da lei poggiando una spalla su un lampione evitando il suo sguardo.
“Il taxi sarà qui tra pochi minuti.” Le disse.
Lei non rispose; era troppo occupata a studiarlo, la sua falsa nonchalance, il modo in cui si mise le mani nelle tasche.
“Davvero? Ti piace veramente questo club? Un club da cui ti hanno buttato fuori, dove metà dei dipendenti sono prostitute e l’altra metà degli spacciatori?”
Lui sorrise, il suo profilo affilato e forte che si stagliava nell’oscurità circostante. E per una frazione di secondo era diventato un uomo completamente diverso, uno stronzo, qualcuno con cui non avrebbe mai voluto avere a che fare. “Che posso dire? Sono un cattivo ragazzo, Kate.”
Aveva sentito dire che lui era così, è vero. Ma lei ricordava anche il modo in cui le era venuto in aiuto quella notte al club, come l’aveva aiutata senza chiedere nulla in cambio, perciò non poteva cascarci.
“Non ti credo!” Rispose con un deciso movimento della testa.
Il dubbio attraversò il suo viso, così velocemente che lei quasi non se ne accorse. “Non vedo perché no.” Le rispose con leggerezza e un sorriso tirato. “Tutti sembra che lo facciano!”
“E ovviamente i tabloids dicono sempre la verità!” Sogghignò incapace di trattenersi.
Non aveva senso. Perché sembrava che lui fosse d’accordo con quello che dicevano su di lui, accettando anche la spazzatura che a volte avevano scritto?
Il suo scrittore preferito.
Si avvicinò, incuriosita, stupita da quell’uomo.
“Andiamo Castle. Puoi dirmelo. Non lo dirò a nessuno. Che ci facevi in quel club?”
Non disse nulla ma il suo sguardo lo tradì, fissandosi su di lei per un breve secondo prima di concentrarsi di nuovo nell’oscurità.
Uhm.
“Me?” chiese, incredula, trattenendo una risata. “Cosa c’entra il tuo essere qui con me?” Sicuramente aveva frainteso ma se questo l’avesse portata alla verità…
Castle si voltò verso di lei con un sopracciglio alzato. Non sembrava divertito.
“Forse volevo rivederti.” Si strinse nelle spalle, un bagliore di sfida nei suoi occhi.
“Forse mi hai incuriosito così tanto che non riuscivo a smettere di pensare a te quando sono tornato a casa. Forse ho passato le ultime settimane lamentandomi del fatto di non conoscere il tuo cognome.”
La sua bocca si schiuse, il suo cuore perse un paio di battiti anche se la sua mente rifiutava di crederci.
“Forse ho fatto di te un agente della CIA in missione.”
Era serio? Kate sentì le guance prendere calore ed espandersi sul viso, non poteva far notare a quello stupido uomo l’effetto che le facesse.
“Agente della CIA, eh?”
Lui sorrise, antipatico, ma così bello. La linea della mascella illuminata dal gioco di luci.
“Bisogna pensare sempre a qualcosa legato alla CIA.”
Che bambino. Ma tuttavia…
“Quanto sei rimasto deluso dal fatto che sono solo un poliziotto?” Lo prese in giro, perché era così facile e naturale che non riuscì a trattenersi.
Lui chinò la testa verso di lei sempre sorridendo. “Non molto.” Disse alzando un sopracciglio.
“Anche i poliziotti hanno un posto abbastanza alto nella mia lista.”
Oddio, fra poco le avrebbe chiesto pure le manette.
Trasalì e attese, ma non fece nulla. In realtà l’ammirazione e l’interesse nei suoi occhi sembravano davvero… genuini.
Oh accidenti.
Beh, la notte non poteva andare peggio, no? Aveva già toccato il fondo.
Così afferrò i lembi della giacca di Richard Castle, avvicinò i loro corpi e spinse le proprie labbra sulle sue.

 
 
Anita and Tempie's corner:
Tadaaaaaaaaaaaan! And Now? XD

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Tadaaaaaaaaaaaaaaaan XD
Capitolo...come dire?...Piuttosto interessante XD
Ieri Anita mi ha inviato il capitolo e mi ha detto, sue testuali parole, ' è un capitolo molto molto molto molto molto rosso XD' e io, sarà perchè l'ho letto la sera ma mi è venuto un colpo XD La mia risposa è stata: 'alla faccia del rosso!' XD Insomma, il capitolo non è arancione, per noi è molto rosso ma non so voi cosa ne pensate. Di sicuro non è verde! XD
Fateci sapere!
Buona lettura! =)

               Capitolo 4


Non si aspettava che l'avrebbe baciato.

Infatti, la possibilità che lei lo baciasse era tanto remota nella sua mente che per un paio di secondi rimase semplicemente lì, congelato, con le mani che penzolavano ai fianchi. Sebbene la sua lingua tra le labbra era come un incantesimo e le dita trovarono i soffici capelli che ricadevano su collo, ora che si era tolta anche la parrucca.

Gli piaceva di più bruna; sicuramente la parrucca era sexy ma lei già radiava una specie di aurea di mistero e potere che davvero non ne aveva bisogno.

L'altra mano si poggiò sulla vita di Kate, attirandola a sé, e lei gemette sofficemente nella sua bocca, il suono più bello che avesse sentito dopo un lungo tempo.

Non potè trattenersi dal bestemmiare sotto il suo respiro quando il rumore della macchina l'interruppe, ma lei rise contro le sue labbra, il suo respiro caldo e vicino; i suoi occhi danzavano mentre si allontanava.

Aprì lo sportello della macchina ed entrò dentro, gli gettò un'occhiata che era per metà sfida e metà invito. Non esitò, prese posto affianco a lei; le sue interiora saltarono quando il suo ginocchio toccò quello di lei.

Kate diede al tassista il suo indirizzo, la sua voce chiara e certa,  sicura. Rick si chiedeva se avesse dovuto dare anche il suo, ma poi le labbra di Kate furno sul suo collo, la punta dei suoi denti... e non ci fu più spazio per il pensiero.

Il viaggio fu breve, o forse era solo perchè era completamente distratto. Le mani di lei vagavano per tutto il suo corpo, e le sue dita erano fredde come l'aria invernale mentre percorrevano la sua pelle; era fiero che riuscisse a mantenere la sua voce sotto controllo.

Non sarebbe stato bello urlare come una ragazzina.

Kate non gli lasciò pagare la tassa per la corsa. Strinse la sua coscia, abbastanza forte da lasciargli un segno, mentre pescava nella sua piccola borsa e cacciò venti dollari; disse al tassista di tenere il resto e poi spinse Castle fuori dalla macchina.

Beh, quello risolse la questione se gli era permesso o meno di salire. La seguì dentro, i suoi occhi indagatori che osservavano tutto, la cassetta della posta marrone che copriva parte del muro sulla sua destra, le piastrelle che probabilmente dovevano sembrare marmo, il sobrio, sorprendente dipinto bianco.

L'edificio era ovviamente ben tenuto, ed era localizzato in una zona della città che aveva pensato fosse troppo costosa per un poliziotto. O Kate aveva un'ottima eredità o aveva fatto davvero un buon affare qui.

L'ascensore era piccolo ma elegante, con pannelli di legno che ricoprivano uno specchio a muro; Kate si gettò su di lui appena le porte si chiusero, una mano che spingeva sul suo petto fino a quando la sua schiena non sbattè sul muro con un tonfo.

Gesù, era davvero hot!
 Le sue ciglia coprivano parte dei suoi occhi mentre fissava la bocca, guardandolo come se fosse cioccolato o qualcosa ugualmente delizioso; poteva vedere il suo seno aspirare profondamente con ogni respiro, il vestito era così stretto, così rivelatore.

Stupenda.

Non aveva mai visto una donna così snella e allo stesso tempo forte, non avrebbe mai immaginato che degli arti così lunghi e aggraziati potessero avere così tanta forza. Era come una pantera, una tigre, qualcosa di ardente e feroce, indomabile. E nonostante tutto- quella prima notte- lei era sembrata così giovane, il suo viso stanco così vulnerabile sotto le luci della strada.

La bocca di lei collise con la sua e questa volta era pronto; la voleva. Giocò con il suo labbro inferiore, lo prendeva in giro, la sua lingua calda e accogliente; e poi strofinò dentro e lui le rispose, dandole tutto, incoraggiato dallo sfiorare delle sue dita sul suo fianco, ed era ormai completamente eccitato dai gemiti che lei produceva.

L'ascensore segnalò il suo arrivo, ma Kate non lo lasciò andare. Lentamente lo guidò in avanti, la sua bocca che lavorava ancora sulla sua, i baci più leggeri mentre percorreva tutta la sua mascella- oh, era deliziosa. Sapeva di qualcosa di oscuro e dolce, innocente e ricco, e non credeva di essere mai stato tanto affascinato e accattivato da una donna.

Probabilmente si era davvero invaghito di lei.

Avrebbe dovuto inventarsi qualche scusa per sparire, per scappare al loft, chiudersi nel suo studio dove era al sicuro, dove il suo cuore era protetto. Aveva una figlia di dieci anni e non poteva correre quel rischio, non poteva portare nella vita di Alexis una donna che se ne sarebbe qualche mese dopo, abbandonando lui e la bambina.

Ma non si muoveva. Guardò mentre Kate combatteva con le sue chiavi, e poi aprì la porta; si girò verso di lui e lo tirò dentro con sé, e lui non fece resistenza.

Il posto, esattamente come l'edificio, era più carino e spazioso di come se l'era immaginato. Non che riuscì a vedere molto, perchè nel momento in cui la porta si chiuse dietro di loro, lei era già tutta su di lui, le dita fra i suoi capelli; e sotto la sua camicia e a tastare il suo sedere; la sua lingua che trovava la sua via nella sua bocca.

Gemette, sentiva risponderle, il desiderio ardente, la pressione infiammata del suo corpo su quello di lei. Era ciò che voleva, giusto? Era ciò che voleva dal momento in cui l'aveva vista in quel club, la sua figura sottile in quella gonna fin troppo corta, in quel top scintillante.

Gli morse il labbro, avvicinò i fianchi ai suoi, e lui strinse i denti contro il ringhio che voleva uscire fuori. Era ciò che voleva, ma...Interruppe il bacio, annaspando, le prese la mano prima che potesse infilarla nei suoi jeans.
Gesù, era già riuscita a sbottonargli i pantaloni. Generalmente lui era veloce ma quello era... huh. Troppo veloce.
Interessante.
“Kate...”
“Non riesci a tenere il ritmo?” lo sfidò senza respiro, i suoi occhi così scuri, grandi e languidi nell'oscurità.
Oh Dio, oh Dio, era così bella;
non si era sentito così tanto attratto da una donna da secoli, forse da Kyra, ma anche Kyra...

La bocca di Kate era di nuovo sul suo collo, che succhiava sulla pelle sensibile, e lui gemette, sentì le sue mani sull'elastico dei suoi boxer.
I suoi occhi si chiusero, il suo respiro rimase intrappolato nei polmoni; trovava più difficile resisterle questa volta.

Nonostante tutto, le afferrò le braccia e provò a respingerla, ad incrociare il suo sguardo con il proprio.
“Hey, hey” disse, dolcemente sperò, ma la sua voce venne fuori come un rantolo pietoso. “Hey, Kate. Rallenta.”

“Cosa? Perchè?” la sua voce suonava incomprensiva e vagamente irritata, nonostante ciò ritornò ad assalire la sua bocca, le sue labbra così calde che bruciavano contro le sue.

Questo lo rese solo più determinato a fermarla.
“Kate.” L'avvisò, facendo un passo indietro, una mano sulla pancia di lei per fermarla. Lo fissò, ugualmente frustrata e incazzata adesso, le guance che arrossivano gloriosamente.

“Che c'è che non va?”

Quella era una buona domanda; neanche lui era certo di quale fosse la risposta.
Una parte della sua mente continuava ad urlargli di andare avanti, di portarsela a letto, o sul divano, o sul muro, qualsiasi cosa andava bene. Ma comunque...Voleva di più? Cos'era?
Oh, wow.

Voleva di più, di più del sesso.

La realizzazione gli fece girare la testa.

Schiarì la voce, notò l'impazienza che risplendeva negli occhi di Kate, il modo in cui aveva incrociato le braccia sul petto, così intimidatoria per qualcuno che era così giovane.

“Quanti anni hai?” Chiese all'improvviso, trovandosi a chiederselo. Fece un piccolo, esasperato suono nella sua gola e roteò gli occhi.

“Abbastanza grande da essere un poliziotto, Castle!” Fece notare, il “duh” contenuto nel suo tono. Fece un passo verso di lui.
“Ora, se quella è la tua unica preoccupazione, vorrei tornare...”

“Quanti anni?”  Ripetè, la sua curiosità come una bestia affamata dentro di lui. Aveva bisogno di sapere.  

Tutto. Doveva sapere tutto.

Lo considerò, la bocca leggermente aperta per la sorpresa, le sopracciglia aggrottate. “Che importa?”

Scrollò le spalle, provò a farlo con indifferenza e non-chalance- ma troppo tardi. Non se la beveva.
“Voglio sapere” disse onestamente. “Voglio sapere delle cose su di te.”

Avrebbe potuto tessere storie di invasioni aliene con il coinvolgimento della CIA; l'espressione sul viso di lei sarebbe stata la stessa.

“Cosa...?” Sbottò infine, non proprio una domanda, solo shock che traspariva dalle sue parole.
Oh.
 Forse non si era reso chiaro, o si?

“Mi piaci.” Disse, trovandosi ad avvicinarsi questa volta, desideroso di sigillare le parole con i tocchi.
“Kate.”

Ma lei si mosse indietro, le mani che si sollevarono in una specie di supplica, e gli scosse la testa.
“Whoa. no. Questo non è- Castle. No. Non posso... non adesso. Per favore. Ho solo bisogno di non pensare.”
Lo guardò negli occhi, confusa ma determinata allo stesso tempo. “Per favore. Non posso darti più di questo, solo- aiutami a non pensare stanotte.”

Prese il labbro inferiore fra i denti, guardandolo. Era allo stesso modo adorabile ed eccitante; non aveva alcuna idea di come ci riuscisse.

Chiuse lo spazio fra di loro e liberò il suo labbro martoriato, bagnandolo con la sua lingua; lei si lasciò sfuggire un lungo sospiro e le braccia si sollevarono a cincergli il collo.
“Che ne pensi di un compromesso?” Le sussurrò contro la bocca, non riusciva a lasciarla andare.

“Sto ascoltando”

Un brivido la percorse quando le baciò il collo, nella zona tenera che incontrava la spalla.

“Io procuro la distrazione,” offrì, leccandole l'orecchio. Pareva piacerle. “Ma in cambio, mi devi dire cose su di te.”
Fece scivolare le mani sulla sua schiena, trovò la zip del suo piccolo vestito nero. “Un'informazione per ogni pezzo di vestito tolto,” propose, la sua bocca alla sua tempia.

Gemette, anche se non sapeva dire se in risposta alle sue parole o al suo tocco.
“I miei vestiti?”
“Di entrambi.” Affermò, facendo passare le sue labbra per tutta la guancia di lei, la pelle così soffice.

“I miei,” Rispose fermamente, e lui sentì una scossa per il corpo quando realizzò che stava negoziando con lui, non avrebbe ceduto, anche adesso, con il corpo di lei che si arcuava contro il suo. Dio, quanto era eccitante?

“Va bene.” Si arrese, non sarebbe riuscito ad aspettare un altro secondo per sollevarla, le sue mani sotto le sue cosce, mentre lei afferrava il suo collo e aggrappava le gambe attorno ai suoi fianchi. Fece un suono voglioso, rude e adorabile, la bocca aperta contro la sua mascella, irresistibile; dovette rimettersi un po' in sesto prima che potesse iniziare a camminare verso il corridoio.

“La camera da letto è la prima porta sulla sinistra.” Gli sussurrò all'orecchio, e lui le strizzò il sedere come un grazie, compiaciuto del basso sibilo che lei fece.


Oh, si sarebbero divertiti.

“Ventiquattro,” confessò senza respiro quando Rick la spinse sul letto, sbottonò il complicato laccio che circondava la sua caviglia e i tacchi a spillo.

Si fermò per un secondo e Kate mantenne gli occhi chiusi, non voleva vedere l'espressione sul suo viso. Non ti fermare, non ti fermare, incitò mentalmente. Che c'era di male se avevano dieci anni di differenza? Non le importava, non le...
E poi le sue labbra furono contro la sua coscia, calde e delicate, e non riuscì a trattenere un leggero sospiro di piacere, il sollievo che si propagava in tutto il corpo. Ne aveva bisogno, stanotte, aveva bisogno di non pensare a sua madre,  al fallimento dell'arresto, alla fragile costruzione che era la sua vita.

Invece voleva sentire.

La sua bocca e le sue dita danzavano su e giù per la sua gamba lentamente, lasciando dietro carezze sulla sua pelle sensibile; poi sfiorò la linea delle sue mutandine, facendola arcuare e ansimare. Ma si stava solo prendendo gioco di lei, dandole quell'assaggio stuzzicante di ciò che ancora non le avrebbe dato, perché ritornò giù, lasciandole dolci baci sul ginocchio, sul polpaccio mentre toglieva la seconda scarpa.

Allora la sua scia di baci appassionati si fermò. La sua mente iniziò a schiarirsi, la nebbia a dissolversi, e non voleva che...
Ma che diavolo stava facendo? Riaprì gli occhi, si posò sui gomiti così che potesse incontrare il suo sguardo.

Uno sguardo fisso blu e sorridente.

Oh, davvero! Ma era serio?

“Ugh,” sibilò, lasciando ricadere la testa sul letto. Bene, bene. Cosa poteva... “Il mio colore preferito è il viola,” Rispose infine senza riflettere, la prima cosa che le venne in mente.

Rise, un suono sporco e rauco che le fece venire voglia di picchiarlo o scoparlo. Forse entrambi. “Viola,”  Eccheggiò, suonando positivamente divertito, e prima che lei potesse dire qualcosa, la sua bocca era di nuovo su di lei.

Sospirò con beatitudine, le sue palpebre che ritornarono a chiudersi, ogni parte di lei concentrata sul pigro progresso sulla gamba. Il suo tocco addolciva e solleticava e bruciava, le dita e la lingua così leggere e capaci, e quando raggiunse un punto specifico alla base della coscia, sotto il ginocchio, gridò per la sorpresa e il piacere.

Merda, oh era così buono.

“Fallo ancora!” Incitò bruscamente, con un colpetto della gamba, tutta quella bellissima tensione che si stava formando nel suo corpo.

“Si? Ti piace?” Sussurrò, e normalmente Kate non avrebbe aiutato ad aumentare l'ego maschile, specialmente non se era qualcuno come Rick Castle, ma c'era una tenerezza, un genuino stupore nella sua voce che non riuscì ad impedirselo.

“Si.” Sospirò, i denti stretti che trattenevano un gemito.

La sua lingua colpì di nuovo quella zona, leccandola, e Kate non riuscì a trattenere un altro gemito smorzato. I suoi fianchi si sollevarono dal letto. Merda, avrebbe potuto farla venire anche solo in quel modo.

“Dobbiamo toglierti questo vestito,” Disse Rick.
Gli occhi le si aprirono per guardarlo, un desiderio cupo gli si dipingeva sul volto che le faceva battere il cuore all'impazzata.

Il vestito le si chiudeva attorno alla vita- non che c'era molto tessuto, per dirla tutta- ma il materiale simile a pelle che si aggrappava attorno alla pancia e al seno, così stretto che probabilmente avrebbe davvero avuto bisogno del suo aiuto.

Probabilmente Rick non avrebbe obiettato.

Kate si mosse per sedersi e Castle colse l'opportunità di fondere le loro bocche, le sue braccia solide che circondavano la sua vita mentre la sua lingua scivolava tra le labbra di lei, accarezzando dentro, così calda e devastante. Glielo lasciò fare, sorpresa dalla velocità e veemenza del suo assalto, eccitata da quanto lui la volesse.

Le mani di Kate aggrapparono il risvolto della sua camicia, già mezza aperta sul torace, ma lui le tolse via gentilmente mentre le sue labbra assalivano il collo.

“Ho bisogno che ti giri.” Ringhiò contro la sua pelle, le vibrazioni che le facevano arcuare la schiena.
“Così che posso raggiungere la zip, Kate.”

Mormorò il suo consenso, poi si ricordò del loro patto, ridacchiando senza respiro.
“Vuoi solo più informazioni su di me.” Controbattè nonostante poi stesse obbedendo, rigirandosi fra le sue braccia così che potesse mettersi in ginocchio e mostrargli la schiena.

“Hmm, anche quello.” Ammise con aria furba, sorridendo contro la sua spalla. Sbottonò la zip, ma prese il suo tempo nel toglierle il vestito; le dita percorrevano tutta la pelle nuda di lei, tracciando misteriosi ghirigori che le facevano tirare indietro la testa.

Premette la bocca contro la sua schiena, seguendo la linea della sua colonna vertebrale; Kate sentì un brivido percorrerla in tutto il corpo e non riuscì a trattenere i gemiti con voce tremolante.  Oh Dio, oh- non ha mai...Aveva fatto del sesso straordinario, o almeno così pensava, ma nessuno le aveva mai dedicato tanto tempo... Niente del genere.

Era agonizzante. Era incredibile.

Non credeva fosse possibile volere qualcuno così tanto. Ma giurò- ah, merda- che se Rick non avesse fatto qualcosa subito...

Fu come se le avesse letto nel pensiero- e poi aver fatto l'opposto. Si tirò indietro, il dolore di lui che si allontanava sfuggente come un'onda, e l'eccitazione divenne ancora più forte nel suo basso ventre, come un pugno, così forte da non riuscire a respirare.

“Il tuo turno, Kate.” Mormorò, la sua voce rauca e bellissima, e lei sbattè gli occhi lentamente, realizzando che il vestito non le impediva più di muoversi, e invece formava un cerchio nero attorno alla sue ginocchia.
oh. oh...

“Io...” Non riusciva a pensare. La sua mente totalmente pulita, benedettamente vuota, e lui voleva... cosa, un segreto osceno?
“Tatuaggio,” Buttò lì, sperando che non fosse troppo tardi per quello. “Ho un tatuaggio.”

Rick fece un verso allibito dietro la schiena di Kate e lei sorrise divertita, un po' del controllo ripreso, l'orgoglio che le brillava dentro per lo stupore di Rick.

“Dove?” La interrogò dolcemente, il suo respiro che le scaldava l'orecchio, così eccitante. Le sue mani tornarono ad aggrapparle i fianchi, le dita che spingevano nella pelle delicata facendola gemere.

“Non- non è il patto,” Rispose ansimando, desiderando che lui si muovesse più in fretta.

Rick passò le mani sull'addome di Kate, si, ti prego, quello , e i suoi pollici l'accarezzavano lentamente, toccando appena i seni mentre i suoi denti le mordevano il lobo dell'orecchio.

“Sei tu quella a giocare sporco, Kate.” Le sussurrò, incantandola. “Neanche un reggiseno, huh? Cosa dovrei fare io qui?”

Merda, merda, doveva smetterla di parlare. Doveva smettere di parlare adesso!

Si mosse velocemente, togliendosi il vestito e tornandosi a sdraiare. Ebbe poco tempo per sentire la mancanza delle sue mani che già ritornavano ovunque sul suo corpo, a palparle il sedere, portandola contro di se mentre lei gli toglieva la camicia. I loro denti si scontrarono nell'ardore del bacio, ma Kate non riusciva né a ridere o a esserne imbarazzata; non c'era spazio per nulla se non per il desiderio oscuro e trascinante.

Poggiò una gamba sulla sua vita, facendo scontrare i loro fianchi, gemendo quando sentì quanto fosse duro; la linea scolpita dei suoi addominali.
Oh Dio, oh Dio, nudo, perchè lui non era nudo? Aveva bisogno che fosse nudo, per favore.

Si strusciò contro di lui disperatamente, e venne premiata con il basso ringhio che lui produsse, dal modo in cui cercava di raggiungerla e sbattere i loro corpi insieme, dandole ciò che voleva, ciò che desiderava da morire.

“Castle...”

“Si, si” Si lamentò contro il suo collo, e una delle sue mani finalmente la lasciarono per togliersi i pantaloni. Lei gli morse il labbro inferiore, lo baciò con ardore, non riusciva a resistere dal muovere i fianchi contro i suoi ancora una volta; Rick fece un suono gutturale e cadde su di lei, schiacciandola al materasso, la sua bocca ancora aperta contro quella di lei.

Le spinse dentro, la barriera dei loro indumenti intimi era ancora lì ma almeno riuscì ad ottenere una pallida imitazione di ciò che desiderava così tanto. Non ce la faceva più, non poteva più reggere. “Ti prego.” Lo supplicò, ma non se ne vergognava. “Ti prego.”

Rick dovette sollevarsi e poggiare il suo peso sul gomito mentre si abbassava i boxer; Kate prese l'opportunità che le era data di tracciare delle linee sul suo petto con tocco leggero, una inappropiata, insignificate  rivincita per ciò che le aveva fatto e a quale stato l'aveva ridotta.

“Kate...” Respirò, la sua voce che si spezzava, gli occhi chiusi. Le dita di lei scesero verso il basso, lo trovarono e lo aggrapparono con una stretta lenta. Rick si piegò su di lei, la sua fronte che riposava contro la spalla di Kate, sussurrando qualcosa che doveva essere osceno.

Kate si abbassò le mutandine, incurante che non riuscisse ad abbassarle tutte fino a quando non sarebbero state di intralcio, oh Dio si- purchè riuscisse a guidarlo dentro-

“Preservativo.” Disse lui all'improvviso, ancora senza respiro ma una qualche durezza nella voce. “Kate. Hai...”

“Non fa niente.” Gli disse, come se stesse singhiozzando quelle parole, la frustrazione che raggiungeva il picco ogni secondo di più. Non poteva semplicemente-

“No!” Si oppose, e c'era una tale determinazione nel suo tono che Kate dovette girarsi a guardarlo sorpresa, non riusciva a capire perchè la sua mascella avesse iniziato ad indurirsi. “Non è abbastanza protetto. E tu non mi conosci, Kate. Non ti puoi fidare.”

Ma che diavolo...

Lo fissò, senza parole, non riusciva a credere che le stesse dando una lezione, giusto adesso.

“Preservativo.” Insistette, più dolcemente questa volta, una mano che le accarezzava il seno che le mandò una scossa di piacere lungo tutto il corpo, ricordandole della posizione scomoda in cui si trovava e così alla fine cedette.

“Il primo cassetto.” Disse, annuendo verso il comodino.

Rick si spostò sopra di lei per prenderne uno, e lo aprì con un gesto esperto sul quale Kate non volle pensare. Che le importava, tanto? Quando lui era pronto, si protese a baciarla di nuovo, un bacio lento e lungo, e Kate sentì il suo corpo rispondere, alzarsi intrepido.

“Mi devi un ultimo segreto su di te.” Le sussurrò nella bocca, sorridendo.

Lei...? oh, le mutandine.

“Non sei stato tu a toglierle.” Precisò lei, ribellandosi.

“Fai la brava, Kate.” Rise lui, prendendola in giro mentre la punta le scivolava dentro.

Oh, cazzo.  

Aggrappò le gambe attorno alla sua vita e invertì le posizioni, premendolo sul materasso con un grande tonfo d'aria; le sue ginocchia finirono entrambe sui lati dei fianchi di lui.
Ah. Voleva conoscerla, uh?

Bene, allora.

“Mia madre è stata assassinata.” Buttò lì, e poi si spinse e lo prese dentro di sè.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Ciaaaaao... Qui è Matilde che vi parla...Dall'oltretomba T_T 
Ok non sono nel pieno della mia forma, con una febbre che mi è salita oggi e contro la quale sto lottandooooo...Per ora sta vincendo lei! >_>
La temperatura potrebbe alzarsi anche a voi ma per altri motivi XD Per la prima parte del capitolo...=P

Io e Anita speriamo che sia di vostro gradimento e che, almeno ogni tanto, ci diate conferma! ;)
Buona lettura!

 

                             Capitolo 5


Oh, si. Questo era quello di cui aveva bisogno. Oh, oh, oh…
Kate chiuse gli occhi ed espirò lentamente, sensazioni meravigliose le inondarono il cervello, mentre il suo corpo si aggiustava, si rimodellava intorno a lui.
Si spinse a fondo il più possibile, si mosse un po’ e sorrise al suono strozzato che sfuggì all’uomo.
 A lei…Non succedeva da tanto, presa com’era dal lavoro al distretto, cercando di essere la migliore poliziotta: non aveva avuto tempo per dedicarsi ad una ipotetica vita amorosa.
Ma cavolo, era fantastico.
Si sporse un po’, in modo da poter appoggiare le proprie mani al suo petto, dandosi un’angolazione migliore; le dita di Castle si strinsero attorno i suoi avambracci e lei lo prese come una sorta di incoraggiamento, sollevò i fianchi lentamente, lentamente, torturandolo più a lungo possibile prima di spingersi nuovamente verso il basso.
Lui rimase a bocca aperta e sentì il suo corpo prepararsi, spingendosi indietro. Così potenti furono le sensazioni, che per un attimo vide tutto buio prima che il piacere acuto e frizzante scoppiasse nelle vene.
Cercò di andarci piano, ma non ci riuscì: le unghia scavate nel petto mentre lo cavalcava sempre più veloce, ascoltando solo il ritmo del suo cuore che batteva velocemente. La canzone del suo corpo più forte di qualsiasi altra cosa.
E poi la sua mano, la trovò: le sue dita premettero leggermente contro il suo clitoride e lei non trovò la forza di dirgli ‘ più forte, Castle, questo non è sufficiente…’ – ma poi successe, stava funzionando, sentì il suo corpo esplodere intorno a lui che l’ accolse. Il suo rilascio si disperse come schegge impazzite e lei cadde su di lui, la sua voce completamente fuori controllo, così forte e incoerente, così disperata che non riconobbe nemmeno sua.
Ci volle molto tempo prima che potesse riaprire gli occhi e tornare in sé.
Che…?
Wow. Era stato davvero intenso.
Emise un lento respiro contro il suo petto, sbatté le palpebre, cercando di riprendersi. Ma cavolo, non era nemmeno sicura di potersi muovere.
Kate si leccò le labbra, le premette sulla pelle di Castle lasciandogli un debole bacio. Se lo meritava dopotutto.
Ma… Aggrottò la fronte, pensando che forse se lo stava solo immaginando. Si spostò su di lui, i suoi fianchi slittarono indietro, di poco, ma abbastanza per lei sapere. Non aveva raggiunto…?
La mascella di Kate cadde a terra e alzò la testa per guardarlo, trovando i suoi occhi azzurri che la osservavano, seri, fissi su di lei; non di un uomo che era, o meglio, doveva essere dolorosamente eccitato.
Ma che diavolo…
“ Tua madre è stata assassinata?”
 
 
 
E’ interessante sapere che, l’orrore è un sentimento abbastanza forte per combattere l’eccitazione e uscirne, se non vittorioso, quasi. Castle era ancora consapevole, a un certo livello, del dolore acuto, del pulsare del sangue nella parte più sensibile di sé, ma il suo cervello era congelato, alle prese con l’orribile rivelazione su sua madre.
Lei era così giovane…
Ma lo vide subito, il dolore nei suoi occhi, la ferita aperta. Aveva creduto che avesse una storia  dietro, ne era stato affascinato dal primo momento che l’aveva vista, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così…Terribile.
Kate sospirò e si sollevò sui gomiti tirandosi il labbro inferiore tra i denti mentre lo guardava.
“Senti, io sto bene. Sono passati cinque anni ormai. Sto bene.”
Se la sua voce non avesse tremato sulla parola ‘cinque’ forse le avrebbe creduto. O forse no.
“Kate.”
“Lascia perdere, va bene?” Disse lei con impazienza.
“Non avrei dovuto dirtelo. Mi dispiace. Adesso torniamo a noi…” La sua mano scivolò lungo il suo fianco, il pollice gli accarezzò il bacino, ma Castle le fermò le dita.
Dio, aveva voglia di piangere.
Si sentiva male per lei, e non sapeva cosa fare, perché era stupido e ridicolo.
Non era da lui.
I suoi occhi che prima sembravano verdi, adesso erano diventati scuri. Dolore e riluttanza si alternavano alla pulsante sofferenza.
“Andiamo.” Mormorò lei, sistemandosi di nuovo su di lui, le delicate curve del suo seno incontrarono il petto dell’uomo, facendogli digrignare i denti. Gli baciò l’incavo del collo, lentamente, muovendosi verso la vena giugulare che batteva velocemente, il calore delle sue labbra non contribuivano certo a calmare i battiti del suo cuore.
Il modo in cui lo fece, così gentile e delicato. Non veniva baciato in quel modo da anni, un’eternità forse, e aveva dimenticato il potere che aveva su di lui. Incredibile e perciò impossibile resistere.
Chiuse gli occhi, sperando di poter dimenticare le sue parole, le immagini nella sua mente: Kate in abito nero, il suo viso pallido e tirato. Kate che piange nella solitudine del suo letto. Pensò ad Alexis e rabbrividì, non poteva neanche immaginare…
“Hanno preso il suo assassino?” Chiese, come se questo potesse aiutarlo.
Le labbra della donna si fermarono all’altezza della sua mascella. Sentì il suo sospiro, poteva quasi toccare il suo rammarico quando poggiò la fronte alla sua guancia.
“Me lo stai davvero chiedendo adesso?” Gemette apparendo allo stesso tempo frustrata e disperata. “Mi stai dicendo che preferisci parlare dell’omicidio di mia madre piuttosto che…” Mosse i propri fianchi contro di lui e questi rimase a bocca aperta, la sentì circondarlo, così stretto, così bagnato. “…la tua urgente situazione?”
 
Oh dio. Oh dio dio dio.
“Io..” Sibilò quando si mosse ancora su di lui, senza fermarsi, la sensazione del suo splendido corpo contro il suo. “ Penso solo che…”
“Hai chiaramente bisogno di smettere di pensare!” Gli disse seccamente e le sue labbra raggiunsero la bocca dell’uomo. Si stava prendendo gioco di lui e stava cercando di fare sesso con lui e, diamine, era così eccitante che in altre circostanze avrebbe ceduto. Ma lei aveva ventiquattro anni e sua madre era morta. Era stata assassinata.
Castle avvolse le braccia intorno alla vita di Kate e invertì le posizioni, quasi cadendo giù dal letto. Inghiottì la sua risata facendole sfuggire un gemito mentre lei avvolse la sua coscia con una gamba permettendogli di andare più a fondo.
Oh, il modo in cui il suo tallone affondava nel suo muscolo…
“Hanno preso l’assassino?” Chiese di nuovo, senza fiato, così vicino a rinunciare. Era la sua incontenibile curiosità che ancora gli impediva di spingere.
Kate fece cadere la testa sul cuscino, un suono incredulo le uscì dalle labbra.
“Pensi che sarei un poliziotto se l’avessero preso? Certo che no, Castle. Una violenza di Gang, dissero. Casuale, imprevedibile. Adesso muoviti!”
L’uomo l’accontentò allontanandosi e poi spingendosi di nuovo contro di lei guadagnandosi un lungo sospiro. Non aveva idea di come avesse preso il controllo, ma cavolo se non l’avrebbe usato, prima che lei se ne impossessasse di nuovo.
Così si prese il suo tempo, muovendosi quanto più piano e attentamente il corpo gli avrebbe permesso, provando cose diverse e prendendo nota di cosa le facesse più piacere. Cosa la faceva contrarre, ciò che la faceva imprecare contro la sua spalla con la voce più sexy che lui avesse mai sentito.
Dentro, fuori.
Prese un ritmo che parve apprezzare, se i suoi mugugni e sospiri rotti ne erano un’indicazione. La sua mano trovò di nuovo il suo seno, adorò la sua pelle, con le dita tracciò, in una morbida ascesa, il capezzolo duro, più e più volte.
“Oh…Oh si, si.” Sussurrò la donna e la sorpresa nella sua voce era la ricompensa di cui aveva bisogno mentre la guardava andare a pezzi sotto di lui, tutti i suoi umori liberi e crudi, e così belli,  solo per lui. Solo allora si lasciò andare dentro di lei, con la bocca aperta sul suo collo, la rigidità del suo corpo lasciò il posto a una leggera beatitudine.
 
Ci mise un bel po’ prima di formulare un pensiero coerente.
Kate era così morbida, il suo calore sotto di lui. Doveva pesarle, ma lei non gli disse di spostarsi e lui non era tanto sicuro di poterlo fare. Così rimase lì per un momento, ascoltando il ritmo dei battiti del suo cuore, godendo del modo in cui i loro corpi si incastrassero alla perfezione. E non importava quanto si sforzasse, non c’era modo di fermare il flusso di gratitudine che attraversò le sue vene. 
 
 
Quando si mosse, Kate si risvegliò dal suo dolce letargo, i suoi occhi si aprirono lentamente non appena lui si staccò da lei. La donna rabbrividì quando le loro pelli si separarono, ma Castle aveva già afferrato il lenzuolo e glielo aveva messo addosso; era così fresco e dolce sul suo corpo, sembrava un bozzolo.
Gli sorrise, rannicchiata su un fianco, le dita ad afferrare il cuscino mentre lo studiava. Aveva la testa poggiata su una mano, a sua volta sorretta da un gomito come se stesse cercando appositamente una posizione non troppo comoda che lo facesse addormentare. I suoi occhi azzurri sembravano così scuri alla luce fioca della stanza, i lineamenti del suo viso più dolci, la linea della mascella, la pendenza audace del suo naso.
Era decisamente bello, non il tipo di bel ragazzo; era molto più affascinante, uno sguardo che l’attirava in un modo molto primitivo. Sembrava molto diverso dall’uomo amichevole e sorridete della copertina dei suoi libri.
E le piaceva.
‘Kate.’ Disse. Il suo tono di voce basso e roco la fecero provare un fremito nelle viscere.
Mugugnò in risposta.
‘Non posso restare qui!’ Le disse con un lieve sentore di scuse nel tono.
Aprì gli occhi, non si era resa conto di averli richiusi. Trattenne uno sbadiglio.
‘Perché no?’
‘ Devo essere a casa domani, quando mia figlia si sveglierà!’ Disse piano. ‘Devo prepararle la colazione. Non posso rischiare di addormentarmi qui.’
‘Ho una sveglia, sai?’ Lo prese in giro dolcemente e timidamente, perché c’era qualcosa di bellissimo nella sua voce mentre parlava di sua figlia.
‘Le sveglie non funzionano su di me.’ Disse scrollando le spalle, impassibile, con un sorriso a giocare agli angoli della sua bocca.
Mmm, lo avrebbe baciato  se solo il semplice fatto di sollevarsi non avesse comportato uno sforzo insormontabile.
‘Quanti anni ha tua figlia?’ Chiese, improvvisamente curiosa. Aveva visto una foto di lui con una piccolina e tenera bambina di cinque anni, occhi blu come quelli del padre…
‘Nove.’ Disse con orgoglio, qualcosa di malinconico nei suoi occhi. ‘ Ne compirà dieci ad Aprile. Non so se sono pronto per questo.’
Wow. Nove.
Kate lo guardò in silenzio per un attimo, sentendo il peso dello sguardo dell’uomo, la forza di quella strana e inaspettata connessione, quasi tangibile nel buio della sua camera da letto.
Lei quasi non lo conosceva affatto. Eppure…
 
Cosa avrebbe pensato sua madre se avesse potuto vedere Kate in quel momento, con quell’uomo nel suo letto? Un estraneo, ma non del tutto, era il suo scrittore preferito, un uomo con delle mani estremamente talentuose, e con troppe domande, ma Beckett sapeva come risolvere il problema, come fargli smettere di chiedere.
Il pensiero la inquietava ma lei lo cacciò via, concentrandosi sulla soddisfazione del suo corpo e sul calore che emanavano gli occhi di Castle. Questi si chinò, le sue ampie spalle le bloccarono la vista, e le sfiorò le labbra, una tenera carezza che sembrava più dolce, quasi incongruente con il sesso passionale appena avvenuto. Il cuore le batteva forte nel petto.
‘ Voglio rivederti!’ Mormorò, il suo respiro caldo contro la bocca. C’era tanta speranza e sicurezza nella sua voce.
Chiuse gli occhi, sentì la risposta bloccata in gola, come a soffocarla.
Era stato…Voleva..
‘Non mi trovo in una buona situazione al momento.’ Sussurrò a malincuore. Si sentiva come se gli dovesse la verità.
‘Io vivo al distretto, Castle. Devo fare ciò che mi chiedono se voglio diventare un detective. E non sono…’
Dio, non avrebbe voluto dirgli quelle cose  ma doveva capire. ‘Non puoi fidarti di me.’ Disse, pacatamente, amaramente. ‘Nemmeno io mi fido di me stessa!’
Le sue parole risuonarono tra loro mentre lui studiava il suo volto e lei non aveva idea di cosa stesse pensando. Ma dopo un attimo le si avvicinò maggiormente, la sua bocca contro la sua guancia.
‘Voglio rivederti, Kate!’
Era stata una cattiva idea. Una pessima idea. Lei era ‘rotta’ e ‘fissata’. Se non fosse stato per quel caso, se non lo avesse incontrato quella sera, avrebbe trascorso la serata pensando a sua madre, alla voce e al tocco di Johanna Beckett.
Era stata una terribile idea.
‘Okay.’ Si sentì cedere. ‘Dammi il tuo numero e ti chiamo.’
Anche nella penombra, il modo in cui il suo viso si illuminò fu assolutamente mozzafiato, da stringerle il petto.
‘Promesso?’ Disse scherzosamente, vittorioso e adorabile.
‘Promesso.’ Sospirò, sforzandosi per fare uscire quella parola.
Ma quella non era una promessa che aveva intenzione di mantenere.
 
 
Aveva lasciato il suo numero su un pezzo di carta, un quadrato bianco sul tavolino che ora stava fissando.
Il suo nome scritto in un insieme di parole attaccate, una faccina sorridente alla fine, un po’ inclinata. Così tanta energia, così tanto entusiasmo in quei pochi tratti di penna.
L’aveva evitato con cura, costeggiando il tavolo per arrivare in cucina, come se quel pezzetto di carta potesse causare qualche tipo di malattia dalla quale lei voleva stare lontana.
Per quanto le riguardava, era così.
Si preparò del caffè, mangiò qualche fetta di toast, poi tornò in camera per prepararsi evitando di guardarsi negli occhi.
Era ridicolo, lei lo sapeva, ma così si sentiva al sicuro.
Probabilmente sarebbe stata più al sicuro se avesse gettato via il bigliettino. Ma non riusciva a decidersi nel farlo.
Lo fissò per un lungo minuto, quando fu pronta per uscire.
Ma no, non poteva.
Fece schioccare la lingua, girò sui tacchi e uscì di casa. Se ne sarebbe preoccupata la sera.
In quel momento doveva andare al distretto prima di qualsiasi altro agente e mostrare loro quanto pronta fosse a tornare, quanto brava poteva essere nel suo lavoro.
Nonostante la disavventura della sera prima.
 
 
 
Trascorse la notte al distretto, rannicchiata sullo scomodo divano della sala break. La sua giornata era stata insignificante: una mattinata di scartoffie, poi il prelevamento di un sospettato con un detective e altri agenti e infine appostamento di una casa probabilmente usata per prostituzione.
Tranne per il fatto che la casa era vuota con nessun movimento.
Ciò, aveva però significato cinque ore passate a respingere le avance di Marshall, perché ovviamente doveva collaborare con degli stupidi, soprattutto con lui. Tutto questo aveva lasciato Kate esausta.
Adesso non aveva alcuna intenzione di tornare a casa in metropolitana.
Il divano sarebbe stato perfetto. Avrebbe impostato la sveglia, si sarebbe alzata prima che qualcuno arrivasse.
Perfetto.
Il sonno l’avvolse tra i suoi tentacoli oscuri e lei si lasciò avvolgere.
 
 
‘ Beckett!’
Un forte strattone alla spalla accompagnato dall’echeggiare del suo nome la fece svegliare.
‘Beckett. Sveglia.’
Cazzo.
Aprì lentamente gli occhi, soffocò un lamento quando cercò di ruotare il collo. Era stata attenta a posizionarsi in modo tale da sentire meno dolore possibile sul divano.
E poi vide chi l’aveva svegliata. Strinse i denti.
Dannazione, il capitano? Davvero?
Era ancora buio, non si era ancora abituata alla luce del mattino e improvvisamente capì perché aveva avuto difficoltà nel svegliarsi.
Era ancora notte, aveva dormito una, forse due ore in tutto.
‘Beckett, va’ a casa!’
L’empatia che mostrava sotto lo strato di capitano fu come un pugno allo stomaco.
Si concentrò sul suo respiro mentre si sedeva, evitando quegli occhi marroni troppo dolci. Sapeva che la gente parlava. A volte avrebbe voluto che Montgomery non fosse stato così gentile con lei.
‘Si, signore!’ Disse.
Non si sarebbe prodigata in scuse. Era stato già abbastanza umiliante essere stata trovata rannicchiata sul divano della sala break.
Si alzò solo quando fu sicura che le sue gambe l’avrebbero sorretta, fece per scansare Montgomery ma l’uomo la fermò poggiandole una mano sulla spalla.
 
‘Un detective del Vice mi ha detto che stavi dormendo qui. Due volte questa settimana. Stasera sarebbero tre. C’è qualcosa di cui mi vuoi parlare, Beckett?’
Strinse la mascella. ‘No, Signore!’
‘Sei sicura? Se ci sono problemi sai che puoi parlarmene!’
‘Sto bene, Signore!’
Solo il numero di Rick Castle che la tormentava ogni volta che tornava a casa, ricordandole la propria solitudine e che avrebbe potuto scegliere una vita diversa per se stessa.
A parte il fatto che non aveva avuto scelta.
Il capitano Montgomery sospirò pesantemente.
‘Allora vai a casa Beckett. Prenditi il giorno libero domani.’
Si voltò di scatto verso l’uomo, il suo cuore impazzito.
‘No, Signore. Per favore.’
Lui la fissò, troppa comprensione nei suoi occhi. Le labbra increspate.
‘Per favore.’ Mormorò. Se la supplica era quello che ci voleva, l’avrebbe supplicato purchè non le vietasse il distretto e la costringesse a passare la giornata a contemplare il vuoto della sua vita.
‘Bene.’ Montgomery cedette, scuotendo la testa. ‘Fai quello che vuoi, Beckett. Presentati pure domani ma è meglio se cominci ad usufruire presto dei tuoi riposi.’
‘Si, signore!’ Rispose prontamente, come un soldatino.
Poi le lasciò la spalla permettendole di dirigersi verso l’ascensore.
Kate non si voltò ma potè sentire lo sguardo del capitano pesarle sulle spalle.
Grandioso. Adesso aveva la pietà del suo capitano.
Semplicemente fantastico!
 
Lottò contro la serratura della porta, cercò di aprirla con un colpo di spalla inciampando dentro l’appartamento. Il suo equilibrio era precario nell’oscurità della casa, oltre al suo stato sonnolente.
Sbattè la porta, accese la luce, gemette alla luminosità improvvisa e la rispense.
La luce della luna che filtrava dalla cucina sarebbe stata sufficiente.
Aveva bisogno che i suoi occhi di abituassero.
Lentamente slacciò la cintura del suo cappotto e lo lasciò scivolare dalle spalle. Il divano era vicino, lo gettò su di esso. Non aveva le forze per appenderlo.
Poi si slacciò gli stivali, perdendo qualche centimetro quando se li tolse e li lasciò accanto al divano. Fece un passo avanti e, naturalmente, ovviamente, i suoi occhi caddero sul rettangolo bianco sul quale vi era scritto il numero di Rick Castle, che si faceva beffa di lei stagliandosi sul legno scuro della superficie.
Oh per l’amor del Cielo!
Kate premette le dita sugli occhi, gemette e si fece strada alla cieca verso la camera da letto.
Dormire. Aveva bisogno di dormire.
Aveva bisogno di spegnere il cervello e non fare nulla di stupido.
Si buttò sul letto e rimase lì, distesa, completamente vestita, non sarebbe riuscita ad alzarsi e dirigersi verso il bagno.
Assolutamente. Avrebbe dormito con i vestiti addosso, senza struccarsi. Non le importava.
Purchè avesse avuto una tregua dai ricordi degli occhi blu scintillanti di Castle, non gliene sarebbe fregato nulla.


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Hola Chicas! 
Io e Anita ci scusiamo per il ritardo ma abbiamo avuto dei problemini che non ci hanno permesso di pubblicare... Speriamo che ciò non comprometta il vostro interesse per la storia che, a mio parere, si fa sempre più interessante! (Io la sto leggendo con voi! XD)
Vi auguriamo una buona lettura e speriamo di pubblicare in tempo la prossima volta!
A presto!
=)
 

                     Capitolo 6


Il giorno dopo lasciò il distretto a un'ora decente, solo poco dopo le cinque. Faceva tutto parte della sua nuova strategia: mostrare a tutti che era una persona ragionevole, che stava bene. Non poteva iniziare ad investigare sul caso di sua madre da sola con così tanti occhi puntati su di lei.

Ma se avesse potuto guadagnarsi la loro fiducia, mettere a tacere il loro stato di all'erta... allora avrebbe finalmente potuto dare un'occhiata maggiore a quella investigazione, iniziare a seguire le tracce che erano state trascurate, interrogare i testimoni da sé. E questa volta sarebbe stata più intelligente al riguardo; non si sarebbe fatta scoprire negli archivi a tarda notte, come un'idiota.

Avrebbe imparato dai suoi errori.

Quando raggiunse casa, il suo appartamento era tranquillo e vuoto come sempre, la luce pallida del tardo pomeriggio che filtrava attraverso le finestre della cucina. Kate lasciò cadere la borsa sul piccolo tavolo che teneva vicino la porta e si tolse il cappotto mentre si dirigeva nella camera da letto.

Era un sollievo liberarsi di dosso l'uniforme, mettere un paio di jeans, una t-shirt, e un vecchio maglione senza forme che tanto amava. Si passò la mano fra i capelli corti, chiedendosi se avesse dovuto cambiare qualcosa. Avevano la tendenza ad incresparsi ultimamente; non era certa di come si sentisse al riguardo.

Poteva chiamare il suo parrucchiere, a dire il vero, prendere un appuntamento giusto adesso.

Stava per raggiungere il telefono quando realizzò una cosa: non solo era troppo tardi affinchè il negozio fosse ancora aperto, ma era anche sabato. E quindi sarebbero stati chiusi il giorno dopo.

Wow. Sabato. Era passata una settimana da quando aveva portato Castle qui.

No-uh, Kate Beckett.
Non l'avrebbe fatto.

Cacciò via fermamente i suoi pensieri, fermandosi davanti alla sua libreria per scegliere un romanzo. Non aveva avuto tempo di leggere nelle ultime settimane, e le mancava. Esitò, i suoi occhi che si poggiarono su “Great Expectations”. Le piaceva Dickens; raccontava sempre una bella storia.


Perchè no?

Tirò fuori il libro e poi tornò nella sala, lasciandosi cadere sul divano, aggiustandosi fino a quando non trovò la posizione giusta. Aprì il volume alla prima pagina, godendo della sensazione della carta sotto le sue dita, ed iniziò a leggere.

Ma la sua mente era altrove. Riuscì a finire il primo capitolo, persino ad iniziare il secondo, ma la sua attenzione continuava a vacillare; doveva continuamente tornare indietro a un verso che aveva saltato, oppure rileggere totalmente un paragrafo. Alla fine si arrese, prese il labbro inferiore fra i denti mentre si raddrizzò, e chiuse il libro.

Il numero di Rick Castle continuava ad osservarla.

Kate vacillò, provò a resistere.

Se voleva compagnia, avrebbe potuto chiamare Lanie. Era passato un po' di tempo da quando l'aveva vista l'ultima volta fuori da lavoro. La sua amica ne sarebbe probabilmente contenta all'idea di una notte tra ragazze.

Ma lei non voleva una compagnia qualsiasi, vero?

Voleva vedere lui.

Merda.

Oh, ma che diavolo? Incontrarlo per un drink non avrebbe fatto alcuna differenza, non avrebbe cambiato ciò che era già accaduto. Non avrebbe mica sposato il ragazzo, per l'amor del cielo. A mala pena poteva permettersi una relazione, ma forse- forse potevano essere amici.

Pensò a ciò che le aveva detto, voglio sapere delle cose su di te, al modo in cui i suoi occhi si illuminavano quando sorrideva, quando sorrideva davvero- quando menzionava sua figlia. Poi pensò alla sue mani sul suo corpo, la sua bocca-

Okay, beh. Amici con benefici?


Era molto di più che il semplice scrittore playboy, come a volte lo facevano sembrare i giornali. Questo poteva dirlo. E se aveva speso molte sere in quel club orribile, alla ricerca dell'ispirazione, era perchè doveva essere dannatamente solo.
Kate prese un profondo respiro, e fece la sua decisione. Prese il telefono prima che potesse cambiare idea.


C'era quasi, il suo passo che diventava sempre più veloce, quando all'improvviso il suo telefono prese vita nella tasca. Castle bestemmiò sotto il respiro e pescò nella tasca  l'aggeggio, disturbato dalla suoneria da cow-boy spaziale.

L'avrebbe dovuta cambiare.

Il numero che appariva sullo schermo non apparteneva a nessuno dei suoi contatti. Rick sentì uno scoppio di eccitazione dentro il petto, e si schiarì la voce prima di rispondere. “pronto?”

Ci fu un minuto di silenzio, e poi la sua voce, la voce che aveva aspettato di sentire per tutta la settimana. “Ciao. Sono, um, Kate.”

“Kate, che bello sentirti,” sghignazzò, non riuscì proprio a trattenersi. “stavo iniziando a chiedermi se avessi perso il mio numero o altro.”
Ugh, aver perso il suo numero, ma davvero aveva detto una cosa simile? Più probabile che fosse stato spaventato a morte che lei non voleva vederlo.

“Ah,no.” Rispose lei, una distinta sfumatura di imbarazzo colorava le sue parole. “Io, uh... è stata una settimana piena di impegni.” Finì di fretta, e lui si chiese all'improvviso se Kate stesse arrossendo in quel momento. Non era sembrata la tipa da arrossire, davvero, ma quanto adorabile sembrerebbe se...

“Ma ti ho pensato,” aggiunse lei, sembrò quasi una specie di scusa. Rick sorrise sotto i baffi. Le era mancato?

Non era riuscito a togliersela dalla mente neanche lui. “Davvero? Anche io, Kate!” Disse lui dolcemente, e pensò che poté quasi sentire Kate prendere un profondo respiro attraverso il telefono. “Quindi, tu.. vuoi incontrarmi? Prendere qualche drink o a cena?”

Visto che sono già di fronte casa tua.
No, non l'avrebbe detto; avrebbe preferito tenerla all'oscuro di quanto inquietante potesse diventare. Fino a quando poteva.

Lei esitò. “Uh, si. Si, certo- un drink andrebbe bene...”

“Fantastico!” Disse lui allegramente, annotandoselo- la cena sarebbe stata un po' troppo. “Conosco un paio di bar che fanno dei cocktails fantastici, a meno che non c'è un posto che preferisci...?”

Kate sbuffò. “Non credo che i bar dei poliziotti sarebbero esattamente appropriati per-” si fermò, come se stesse per correggersi, e poi finì, “per un drink con un amico”

Aveva quasi detto per un appuntamento; Rick ne era certo.

“Non so,” scherzò lui. “un bar di poliziotti mi sembra eccitante per me.”

“Castle.”

Divertente, come gli piaceva il suono del suo cognome sulla bocca di lei. “Ok, ok. Posso venire a prenderti?”

Ci fu un momento di silenzio. Era sorpresa che glielo chiedesse?

“Si, credo di si,” rispose facilmente dopo una manciata di secondi. “In quanto tempo riesci a venire qui?”

Oh, una domanda a trabocchetto. “Ah, abbastanza presto? Circa quindici minuti?”

“Oh, fantastico,” disse lei, la sua voce neutrale. “sei a casa?”

Cosa? Perchè- “Ahhh,” si inceppò, preso alla sprovvista. “uh” dannazione, sembrava un cretino- “no, no. Stavo fuori. A fare la spesa.”

Grande, Rick. Davvero intelligente.

Adesso avrebbe pensato che fosse metrosessuale.

C'era davvero una deliziosa misura di divertimento nella voce di lei quando riprese a parlare. “Hai comprato qualcosa?”

Si guardò le mani, come se si aspettasse di vedere una busta di plastica, risultato del suo giro di shopping inesistente. “No, a dire il vero. Non ho trovato ciò che stavo cercando.”


“E cosa stavi esattamente cercando? Mi sembra che l'unico negozio nella strada in cui stai è l'edicola.”

La strada in cui lui stava.

Merda.

Alzò la testa, gli occhi che cercavano le finestre del palazzo, fino a quando non trovò il viso di lei che gli sorrideva divertita, tre piani sopra. Beh, quello spiegava la serie delle strambe domande. “Oh, capisco. Davvero divertente, Kate, davvero divertente.”

“L'ho pensato anche io,” rispose lei, con un'aria compiaciuta nella voce. “da quanto tempo sei lì fuori?”

Oh, pensava che fosse davvero così patetico uh? Ma gli stava ancora parlando.

“Non così tanto!” Si difese. “Ero appena arrivato quando hai chiamato.”

“Certo” Rispose lei.

Castle chiuse gli occhi, si strofinò il viso con una mano, e poi si ricordò che lei poteva vederlo. Non sarebbe valso a nulla provare di salvare il suo ego adesso, o no?

Quando guardò su alla finestra di nuovo, però, lei era scomparsa. Il suo cuore perse un battito.

Era tempo di mettersi sull'offensiva. “Allora, riguardo quel drink?”

Lei rise, una risata ricca, bellissima al suo orecchio. “Sei decisamente persistente.”

“Uh-huh. Si, sono proprio io. Persistente. Puoi pensare a una qualità più attraente in un uomo?”

Lei rise (di nuovo!) e rispose, “Beh, adesso che l'hai menzionato...”

“Non devi rispondere davvero,” intercettò subito lui, chiedendosi di nuovo come il suo solito fascino poteva completamente disertarlo quando Kate Beckett era coinvolta. Ok, um... prova ad essere carino, Rick. “Sai, a dire il vero, se sei- troppo stanca- lo capirei...”

“Troppo tardi per essere un gentiluomo adesso, Castle,” rispose una voce dietro di lui, e Rick si girò per trovarla lì, in jeans e con un cappotto invernale che si apriva su un maglione blu, i suoi capelli che adorabilmente ricadevano un po' crespi attorno al viso.

Non l'aveva mai vista senza il costume del night club, con i vestiti sexy e il trucco pesante, e lui si prese il tempo per darle una lunga occhiata mentre richiudeva il telefono e lo rimetteva in tasca.

“Spero che non ne sia deluso,” disse lei, con un sopracciglio alzato. “mi piace avere i miei vestiti di pelle in occasioni speciali.”

La suo mascella cadde a terra- pelle? Il vestito dell'altra volta era di...? - cercò disperatamente per una risposta fino a quando non vide il sorriso di lei, mentre scherzosamente spinse la spalla contro la sua.

“Sto scherzando, Castle. Gesù, sei così facile.”

Lei era-era-

“Allora, quel tuo bar, quanto è distante?”

Semplicemente non riusciva a smettere di fissarla. E apparentemente, aveva perso l'abilità di fare più cose contemporaneamente.

Kate sospirò, e schioccò le dita davanti al viso di lui. “Terra a Castle. L'incapacità di parlare era carina per i primi trenta secondi, adesso sta diventando inquietante.”

“Giusto,” disse lui, finalmente uscendo dal trance. “Scusa. Il bar. Dovremmo prendere un taxi, a dire il vero, perchè penso stia per piovere. E il posto non è proprio vicino.”

“Spero che non ti stia organizzando per rapirmi.” Buttò lì, molto pragmaticamente.

“Cosa?” Ansimò lui. “Io, rapirti? Ti sei sbagliata su di me, Kate. Soltanto gli omicidi soddisfanno le mie più oscure aspirazioni.”

“Oh, fino a quando è un omicidio, allora. Ho una amica all'obitorio che troverebbe le tue impronte digitali sul mio corpo e ti arresterebbero in cinque secondi.”

“Come se fossi abbastanza stupido da lasciare impronte- aspetta, hai una amica all'obitorio? Wow. È fico. Troppo fico. Quindi vedrai un sacco di corpi morti, vero?”

Inclinò il capo e gli diede una lunga occhiata che lui trovò davvero eccitante. Poi mise due dita in bocca e fischiò, abbastanza forte da far fermare il taxi più vicino davanti a loro.

Era troppo hot.

Oh, era nei guai.

Era davvero molto profondamente nei guai.

Nemmeno Sophia Turner era eccitante la metà di quanto lo era lei.



A Kate piacque il bar.

La storia di suo padre la rendeva in qualche modo guardinga in posti del genere, dove potevi bere fino all'oblio senza che nessuno se ne accorgesse, ma le piaceva l'odore del legno, il modo non così spiacevole con cui si mischiava con lo stantio di birra, lo spazio aperto attorno al bar, le cabine che si allineavano ai muri.

Il posto aveva una storia. Come le aveva detto Castle da... dagli ultimi cinque minuti adesso?

Sorrise, poi si girò e si sporse verso di lui, premendo le dita sulla sua bocca, fermando lo scrittore nel bel mezzo della storia del proibizionismo che non sembrava avere una fine.

“Credo di aver avuto abbastanza della lezione di storia.” Gli disse scherzosamente, un sopracciglio alzato, e la sorpresa che era nei suoi occhi si tramutò in divertimento.

“Giusto.” Disse lui quando lei rimosse la mano. “Tendo a lasciarmi un po'… trasportare quando visito posti come questi.”

“Solo un po'?” Ribattè lei, sorridendo.

Sembrava come se Rick volesse farle una linguaccia. “Hey adesso, potresti anche mostrare un po' più di comprensione. Non ho messo piede al  The Old Haunt da molto tempo, e ho il diritto di sentirmi un po'... emozionato, dall'essere riunito con un vecchio amico-”

"E' commovente, Castle.” Disse lei, poggiando una mano sul cuore, sbattendo le ciglia di fronte a lui. “Infatti, credo che potrei piangere-”

Lui sorrise, compiaciuto e sorpreso, fino a quando lei non aggiunse. “Se non mi compri un drink nei prossimi trenta secondi.”


Il modo in cui la sua faccia cadde... Era la cosa più divertente che avesse visto nell'ultima settimana.

Dio, da quando la sua vita era diventata una lunga e desolata strada dove non rideva mai? Mike le faceva ridere; Mike era stato l'unico che la poteva far sorridere anche quando doveva andare a prendere il padre ubriaco in qualche sudicio bar.

Ma dov'era Mike adesso?

“Hey, stai bene?”

Castle la stava guardando con fin troppa preoccupazione, e lei ritornò indietro al presente, e trovò un sorriso per lui. “Certo, si. La mia, uh, gola è un po' asciutta, tutto qui.”

Lui strinse gli occhi, poi la prese per un braccio- per quale motivo l'aveva fatto?- e la spinse verso il bar. Il barista era giovane e carino; diede a Kate un sorriso e lei rispose senza pensarci.

Castle si schiarì la gola. Il ragazzo dietro il bar perse immediatamente l'atteggiamento da corteggiatore, e Beckett si girò a guardare lo scrittore, tra il divertito e lo scocciato. Non la guardò, non poggiò una mano possessiva su di lei o qualcosa del genere, e perciò lei lasciò perdere.

“Cosa posso portarle, signore?”

“Vorrei un.... che genere di Scotch avete?” Chiese Castle, i suoi occhi che studiavano gli scaffali dietro il bancone.

Kate strinse le labbra, e prese un profondo respiro, e provò a dimenticare che lo Scotch era il modo di inebriazione preferito di suo padre. Non importava. Suo padre era sobrio, sobrio-

Forse il drink non era stata una buona idea.

“Kate, cosa vuoi?”

“Oh, uh. Solo- una birra, per favore.”

“Quale marca?” Echeggiò il barista, sembrando sorpreso. “Perchè ne ho un paio davvero buone, se ti piace la birra scura- c'è il-”

“Solo... Lager. Lager andrà bene, grazie!” Lo fermò Beckett tagliente, voleva schiaffeggiarsi per il modo  poco fine con cui si stava comportando.

Il viso di Castle si era girato verso di lei adesso, le sue sopracciglia unite, e disse, “Stai bene?”

“Quante volte hai intenzione di chiedermelo?” Gli rispose arrabbiata, e lui alzò le mani come per indicare la resa, e poi si rigirò.

“Va bene.” Lo sentì borbottare mentre poggiava un gomito sul bancone di legno.

Dannazione, stava già rovinando tutto. Non avrebbe dovuto chiamarlo. Kate si pizzicò il naso con due dita, e cercò di controllare la stupida emozione che la stava assalendo.

Stupida, stava agendo da stupida.

“Hey, perchè non vai a prendere un tavolo per noi?” Suggerì Castle, e il tono amichevole e gentile nella sua voce le fece aprire gli occhi per la sorpresa.

Le stava sorridendo.

“Porterò i drink appena sono pronti. Scegli dove vuoi sederti. C'è molto spazio,” Aggiunse, indicando la stanza.

Così. Ovviamente non c'era nulla che poteva abbattere quell'uomo.

Kate sentì le labbra tramutarsi in un piccolo sorriso. “Va bene,” concordò semplicemente, e poi si spostò verso il fondo della stanza. Non le importava dove si sarebbero seduti, davvero, ma in questo modo aveva qualcosa da fare. Qualcosa per cui era responsabile.

Le diede di nuovo il senso del controllo che le scivolava via dalle mani ogni volta che iniziava a pensare alla dipendenza di suo padre. La vecchia dipendenza di suo padre.

Castle era davvero così bravo a capire le persone, o aveva soltanto un buon istinto?

Scelse il tavolo in un angolo tranquillo, e lasciò che i suoi occhi vagassero sulle foto che erano appesa al muro. Conosceva alcune persone, altri erano completamente sconosciuti- beh, ok, la maggior parte di loro non li conosceva.

Forse erano stati famosi ai loro tempi?

“e- ecco qua,” affermò lo scrittore, posando il bicchiere di fronte a lei e sedendosi nella parte opposta del tavolo. Stava accarezzando un bicchiere di whiskey, e Kate era sollevata nel vedere quanto poco ce ne fosse nel bicchiere.

Lei, d'altra parte, avrebbe forse dovuto chiedere almeno per un mezzo boccale.

“Grazie,” disse, afferrando il bicchiere. Non è che lo doveva bere tutto, no?

C'era silenzio, e per qualche ragione cercava di non incrociare il suo sguardo.

“Kate,” disse sofficemente, la sua voce gentile. “hai reso abbastanza chiaro che non vuoi che ti chieda se è tutto ok, quindi dirò soltanto- se non ti piace il posto, possiamo andare da qualche altra parte. Non mi importa. Non voglio che ti senta a disagio...”

“non è il posto” ammise lei riluttante, non sapeva cos'altro fare di fronte alla sua veemenza. “è che- sto bene, Castle. Davvero.”

“ Sembrava come se stessi per mangiarti la testa di quel ragazzo a morsi.” Si oppose lui, alzando le sopracciglia.

Kate sospirò, strinse i denti, e rischiò di guardare nei suoi profondi occhi blu. La curiosità, l'interesse li illuminavano, anche nella lieve luce del locale.

“O forse aveva a che fare con il fatto che ho ordinato dello Scotch?” Spinse lui, la sua speculazione così vicina alla verità. “Che cos'è, Kate? Hai avuto una terribile esperienza con lo Scotch, e hai trascorso una notte a vomitare nel bagno di una tua amica?”

Lui pensava che questo fosse divertente.

Cosa diavolo avrebbe dovuto dire? A dire il vero, Castle, mio padre è un alcolista in via di ripresa-

No, no. Aveva detto abbastanza.

La sua faccia doveva tradire una qualche serietà, una parte del cuore spezzato che sempre le veniva fuori quando pensava a suo padre, perchè lo scrittore raggiunse la sua mano; e lei la rigettò, non  poteva sopportare di essere toccata in quel momento.

“Perchè lo stai facendo?” Chiese lei all'improvviso, incontrando i suoi occhi.

Non riusciva a capire, a capirlo.

“Perchè sto facendo... cosa?” Rispose cautamente, sembrando perso tanto quanto lei.

“Questo. Essere-qui. Con me. Io non-” scosse la testa, perchè non aveva senso, nulla di tutto questo aveva senso. Lui era in qualche modo famoso, uno scrittore miliardario, poteva avere qualunque donna volesse, e invece era con lei, a provare di- cosa?

“AH, io... pensavo che fosse chiaro...” Rispose lui lentamente, guardandola come se fosse una bomba in procinto di esplodere. “Kate. Te l'ho detto prima. Mi piaci. Voglio solo, voglio solo conoscerti meglio.”

“Perchè?”

La guardò, la bocca aperta, sconcertato. Ma doveva capire.

“Ascolta, Castle. Ho 24 anni. Mio padre è un alcolizzato in fase di recupero; mia madre è stata uccisa. Sono diventata un poliziotto perchè ho bisogno-ho bisogno- di risolvere il suo caso, di catturare il figlio di puttana che l'ha uccisa, e non sono-” lasciò andare un profondo respiro “-non sono qualcuno che vuoi conoscere. Fidati di me. Faresti meglio a starmi alla larga.”

Afferrò il cappotto che si era tolta, si alzò, e si diresse spedita verso l'uscita del bar senza guardarsi indietro. Era grata che non la stesse seguendo.

Se l'avesse fatto, non era sicura che sarebbe riuscita a nascondere le lacrime.


Camminò verso il suo appartamento.

Era una lunga, lunga passeggiata e fuori stava congelando. Ma sapeva camminare veloce, e l'aria fredda della notte l'aiutò a schiarirsi le idee, le permise di vedere le cose così come erano veramente.

Era stata stupida. Questa cosa con Castle, qualunque cosa era- doveva finire adesso.

Prima che si potesse innamorare. Prima che iniziasse a piacerle troppo, fino a quando lui non scopriva che era troppo complicata, troppo ossessionata, troppo rotta per lui. Non c'era posto per un uomo nella sua vita.

C'era solo spazio per la giustizia.

Giustizia per sua madre, giustizia per Kate e suo padre.

Niente altro importava.

Avrebbe dovuto buttare via immediatamente il suo numero di telefono.

Quando aveva finalmente raggiunto il palazzo, non sentiva più freddo. Tutto il suo corpo era intorpidito; e le piaceva così.

Si fermò per la posta- un volantino per un nuovo ristorante, il suo conto bancario- e poi iniziò a salire per il terzo piano. Le luci erano quasi fulminate, le notò mentre cercava di estrarre le chiavi dalla tasca. Avrebbe dovuto notare che c'era qualcuno, ma non era sicura chi...

Kate si congelò all'istante. Qualcuno l'aspettava alla porta.

Non qualcuno.

Rick Castle.

Dio, non si arrendeva mai?

Fece alcuni passi nella sua direzione, leggermente esitante, ma le diede un sorriso tirato mentre le porgeva qualcosa.

Una bottiglia.

“Così, immagino che con la storia di tuo padre e tutto il resto...” Iniziò coraggiosamente, “Forse non vuoi bere alcol. E ho trovato questo.” Le sventolò davanti la bottiglia. “In un negozio in cui mi sono fermato mentre venivo qui. È un cocktail analcolico, sta scritto, e tu puoi- guarda gli ingredienti- mi pare buono, voglio dire, c'è passion fruit, e...” avvicinò la bottiglia al viso per poter leggere meglio, “ Lime, ananas, e, oh guava! Il guava è abbastanza delizioso, penso. Va bene con gli altri frutti. Voglio dire, se ti piace il guava, ovviamente, perchè se non ti piace, allora non è...” prese un profondo respiro, e poi la guardò disperato. “Si.” Finì in un sussurro.

Il corridoio sembrava orribilmente vuoto senza l'energia della sua voce.

Non sapeva come reagire. Non era preparata- nulla l'aveva preparata per l'ansiosa speranza che brillava nei suoi occhi, ai problemi che aveva passato, alla determinazione della linea della sua bocca.

Per un momento nessuno parlò, tutto era sospeso, il respiro le si smorzò in petto mentre tutte le difese crollavano.

E poi era fra le braccia di Castle, la bocca rude, disperata contro la sua, una mano che gli fermava il collo per poter forzare la lingua nella sua bocca, per mordere il suo labbro, per punirlo per lo stato in cui l'aveva ridotta.

Il suo braccio le afferrava la vita, così stretto da farle male, e dovette chiudere gli occhi contro le lacrime che volevano uscire, il peso di tutto nel petto, così troppo, non sapeva-

“Kate.” Sussurrò lui contro la sua bocca, e la sua voce fu ciò che le fece perdere ogni altro controllo, che le mise di nuovo tutti i pezzi insieme, che lasciò ritornare il respiro nei polmoni.

Lo baciò di nuovo, brutale e incurante, senza finire proprio sulla sua bocca; poi si girò verso la porta.

“Dentro.” Gli disse, e la sua voce era così roca per il bisogno che non potè nemmeno negarlo a se stessa
.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ciao! =)
Non so come sono riuscita a tradurre in tempo il capitolo XD L'ho tradotto tutto ieri sera, ero molto stanca quindi se ho fatto un casino perdonatemi!
Ho cercato di dare una giusta interpretazione al testo perchè, credetemi, certe parti sono un po' complicate da capire, figuriamoci a tradurle o.o
Chiedo scusa anche a chi ha recensito e io ancora non ho risposto per mancanza di tempo. Cercherò di rimediare presto!
Intanto io e Anita vi auguriamo una buona lettura.
Speriamo apprezziate anche questo capitolo!
=)

                               Capitolo 7


Non raggiunsero neanche il divano: lei lo aveva premuto contro la porta nel momento in cui erano entrati. I suoi fianchi contro quelli dello scrittore, il suo corpo come una corda da cui lui non avrebbe mai voluto scappare.
La presa sul liquido analcolico cedette e la bottiglia cadde sul pavimento con un rumore sordo, rotolando via.
Non che gliene importasse molto.
Le mani della donna lavorarono per togliergli il cappotto mentre la bocca saccheggiava la sua: un insieme di denti e lingue che gli fecero perdere la ragione. Il suo corpo s’inarcò lontano dalla porta in un insensato tentativo di avere solo lei.
Kate gemeva tra le sue labbra, continuava a fare dei suoni bisognosi, vogliosi che gli mandarono il sangue alla testa. Quando finalmente il cappotto fu tolto, lui le tolse il maglione dalla testa prima di premerla contro il legno scuro.
La t-shirt che indossava sotto era di un materiale morbido che aderiva alla sua pelle, rendendo impossibile non notare come evidenziasse le curve del suo petto ansante.
Ebbe l’impressione di vedere anche il reggiseno, pizzo forse, e chinò la testa verso il suo collo come in adorazione, passando la sua lingua su quella pelle morbida e nuda, tracciando la linea della sua vena palpitante.
Fece scivolare una coscia tra le sue, alla ricerca del calore che si irradiava anche attraverso la stoffa dei jeans della donna, e grugnì quando lei si mosse su di essa una, due volte mentre suoni peccaminosi uscivano dalla sua bocca.
“Si, si..” Ansimò, contorcendosi contro di lui, più velocemente, gli occhi serrati.
“Kate…” Mormorò, preso alla sprovvista dalla sua intensità.
Avrebbe voluto spogliarla, sentirla venire intorno a lui, ma il modo in cui lei  aveva guidato la sua gamba, fieramente e con così grande abbandono…
Cercò di raggiungere il suo stomaco, le dita sui fianchi morbidi, l’indice a cercare il bottone dei jeans ma lei fermò la sua mano quando strinse la propria nella maglietta dell’uomo, in un pugno, disperatamente.
 
“Non c’è tempo…” respirò sul suo collo, quasi singhiozzando. “Non posso aspettare, Castle!”
Così lui dimenticò ogni cosa, di tutto ciò che non le appartenesse e trovò la sua bocca, di nuovo, mentre lei si muoveva contro di lui, le bocche premute a esplorarsi più a fondo, piccoli tocchi che lo mandarono a fuoco.
Bypassò la sua t-shirt, il suo reggiseno, trovando con il pollice un capezzolo; Kate si morse il labbro quando lui cominciò a massaggiarlo lentamente, i denti solcarono la carne fresca e il bruciante e delizioso dolore la raggiunsero tra la nebbia del piacere.
 
Merda, lei era così dannatamente sexy. Lo stava portando all’apice con lei, facendolo venire con ancora i vestiti addosso come uno stupido adolescente.
Il corpo di lei si tese, s’irrigidì contro il suo possente, finchè venne gridando e soffocando dei gemiti contro la sua gola mentre i suoi fianchi continuarono a muoversi cavalcando l’onda del rilascio. E Castle venne con lei, non potendo resistere al modo in cui lei tremò e si sciolse contro di lui, dandogli ogni cosa.
Kate Beckett non faceva  mai le cose a metà.
 
 
Quando riaprì gli occhi, con la testa piegata all’indietro contro la porta, fu sorpresa del fatto che erano ancora in piedi.
In piedi.
Castle aveva più resistenza di quanto avesse immaginato.
Anche lui era accasciato contro la porta, gli avambracci in linea con il legno scuro, la testa contro il suo collo. Ma stava ancora sorreggendo entrambi, tenendo lei con la propria gamba.
Gli sfiorò la tempia col naso, dolcemente, e quando lui alzò lo sguardo, i suoi occhi erano ancora oscurati dal piacere. Kate fece scivolare le proprie labbra sulle sue, piccoli tocchi, mentre cercavano di ricomporsi.
Rimasero così per un momento, respirando insieme, toccandosi con le lingue, assaporandosi.
Poi sentì i muscoli dell’uomo allentarsi mentre si allontanava dalla porta lentamente, come se non si fidasse del fatto che le proprie gambe potessero reggerlo.
Kate si lasciò sfuggire una piccola risata, ma si trasformò in un sussulto quando lui tolse la propria gamba dalle sue cosce sentendo le ginocchia cedere. Castle la prese, le sue mani forti contro i suoi gomiti e un sorriso da un orecchio all’altro.
“Hai qualche problema a stare in piedi?” Mormorò, in modo compiaciuto, il tono suadente della sua voce ondeggiò sulla sua pelle.
“Niente affatto!” Rispose di rimando, arcuando un sopracciglio in segno di sfida cercando di nascondere il suo affanno. “ Mi sembrava che ti facesse piacere mostrare la tua virilità, quindi…”
“Hai deciso di usare dell’umorismo con me?”
Il suo sorriso le fece seccare la bocca.
“Esatto!” Rispose con una scrollata di spalle.
“Premuroso da parte tua…” Disse ampliando il suo sorriso. “Sono commosso. Quindi se cercassi di, diciamo…portarti in camera da letto, adesso…”
“Potrei lasciartelo fare…” Rispose dopo una finta pausa meditabonda. “Solo per questa volta però. Perché sei decisamente insicuro.”
“Molto generoso…” Rispose Castle, il suo tentativo di serietà smentito dai suoi ridenti occhi azzurri.
“Lo apprezzo molto!” Continuò.
E prima che lei potesse dire altro, le afferrò le gambe e si piegò per prenderla in braccio. Come se lei pesasse poco più di un bambino.
Kate si morse il labbro, destabilizzata dalla perdita del controllo; avrebbe voluto dirgli di lasciarla andare. Poteva farlo ma la sua camera da letto era a così pochi passi…
“Dobbiamo fare qualcosa per questi vestiti!” Disse Castle, muovendo le dita sulle sue ginocchia nel tentativo di distrarla.
“Cos’hanno che non vanno i miei vestiti?” Chiese sulla difensiva. Se avesse detto che aveva bisogno di vestirsi più femminile…
“Li hai addosso!” Rispose invece con uno sguardo furbo.
Si premette le labbra per evitare che le sfuggisse uno sbuffo divertito.
“Be’, di chi è la colpa?” Replicò fintamente scocciata.
“Oh, lo so bene, Kate Beckett.” Rispose con un sorriso lascivo sulle labbra mentre entravano in camera da letto.
“E credimi, ho tutta l’intenzione di rimediare alla mia mancanza. Immediatamente!”
Raggiunse il letto e la depose sulle coperte alzando un sopracciglio.
Kate si lasciò cadere sui gomiti, lo guardò nella semi oscurità, i movimenti lenti delle sue braccia mentre le toglievano le scarpe, le calze e tracciavano l’arcata del suo piede con le dita.
Rabbrividì nascondendosi dietro un sorriso audace.
“Fammi vedere di cosa sei capace, Castle!”   
 
 
 
 
Si era addormentato nel suo letto. Sua figlia stava passando il Weekend con la sua mamma, le aveva spiegato assonnato mentre lei chiedeva esitante. Così non sarebbe dovuto tornare a casa per quella volta.
Kate non era sicura di come si sentisse a tal proposito.
Beh. Almeno non russava.
Emise un lungo sospiro e si voltò dandogli le spalle. Si rannicchiò su un fianco sistemando la mano sotto al cuscino. Ma sembrava non funzionare.
Anche se non poteva vederlo, la sua presenza nella stanza era insistente. Addormentato o sveglio non si poteva ignorare l’uomo accanto a lei.
Deglutì e affondò i denti nel labbro inferiore.
Non voleva piangere. Non aveva intenzione di piangere.
E’ stato solo sesso. Solo sesso, Beckett.
Suo malgrado si voltò a guardarlo. Il suo volto addormentato che sembrava così giovane, i capelli arruffati che sembravano più scuri contro il cuscino.  La sua grande mano chiusa a pugno sul cuscino, il rigonfiamento del suo bicipite, la vulnerabile linea della bocca…
Non era solo sesso!
Cazzo.
Beckett chiuse gli occhi premendosi un palmo sul viso.
Cosa diavolo stava facendo?
Lui era un uomo gentile, un  uomo buono per quello che aveva potuto vedere, e lei…Lei non era pronta per questo. E se avesse continuato ad andare a letto con lui alla prima occasione possibile, se avesse continuato a fargli credere che sarebbe stata pronta a tutto questo, uno dei due ne sarebbe rimasto ferito.
Lui stava per farsi male.
Ma porca misera, non poteva ascoltarla? Non avrebbe potuto lasciar perdere al bar, quando lei glielo aveva detto? A quanto pareva lei non aveva nessun autocontrollo quando c’era di mezzo lui e la sua testardaggine era dolce, certamente, ma era anche dannatamente fastidioso.
Kate rotolò sulla schiena, gli occhi aperti verso il soffitto cercò di rilassare il proprio corpo.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva avuto un uomo nel suo letto? Non ne era nemmeno sicura. Il suo appartamento era il suo spazio, il suo mondo privato; non era sua abitudine lasciar entrare estranei.
Portare Castle lì quella prima notte era stato un impulso momentaneo, piuttosto insolito per lei in realtà.
Oh beh, forse perché non era un semplice uomo quello nel suo letto, vero?
Era….Richard Castle.
Sentì le sue labbra arricciarsi trattenendo una risata che le ribolliva dentro, dovette portarsi una mano alla bocca per contenerla. Il suo corpo tremava, fino a quando le uscirono le lacrime dagli occhi, finché fu senza fiato.
Dio si sentiva così bene.
Kate si rilassò finalmente.
I suoi muscoli si dispiegarono, affondando lungo la linea del materasso e lasciò che le palpebre le si chiudessero con un sospiro.
Alla fine si addormentò.
 
Un suono.
Un acuto, forte ed esasperante suono.
Ugh.
Una sveglia.
Castle gemette e seppellì la testa nel cuscino, il suo corpo si rannicchiò in segno di protesta all’ ‘aggressione’. Lo stridulo segnale acustico si spense, con suo gran sollievo, ma sentì il peso del materasso, udì il rumore dei fogli alle sue spalle.
Hmm. Cosa…?
No. Non gli importava.
Dormire. Dormire era quello di cui aveva bisogno.
Scivolò di nuovo nel sonno, la sua coscienza lo teneva in dormiveglia sentendo l’apertura e chiusura di cassetti, l’acqua che scorreva, la porta che si chiudeva; si svegliò solo dopo che tutto fu finito.
E stranamente, fu proprio il silenzio a svegliarlo.
Rick con cautela aprì un occhio, incoraggiato dall’ambiente semibuio, illuminato solo dalla tenue luce che filtrava dalle tende. Battè le palpebre un paio di volte, lasciando che si abituassero alla luce, si stiracchiò, infine si passò una mano sul viso.
Oh. Kate era lì.
Appoggiata al muro a guardarlo. Vestita.
Fece un pietoso sospiro infantile. “E’ presto.” Disse con voce impastata. Tese la mano verso di lei. “ Kate torna a letto!”
“Non posso.” Gli rispose con una voce lievemente divertita che lo fecero svegliare del tutto. “Devo andare al lavoro.”
Sospirò passandosi la lingua sulle labbra secche. “Di domenica?”
“I criminali non si fermano neanche se glielo chiedi gentilmente!”
Sbottò in una risata. Gli piaceva come si sentiva, al caldo nel suo letto.
“Prenditi la giornata libera.” Suggerì piegando il labbro nel miglior modo gli fosse possibile.
Pensava di convincerla ma fallì. “No.” Disse con fermezza.
Oh. Bene.
La sua delusione fu così grande che dovette rotolare sulla schiena e prendere un grosso respiro per mandarla giù.
“Puoi restare qui e dormire..” Gli propose con un tono più conciliante. “Sono solo le sei e mezzo!”
Castle trattenne un gemito nel sentire che ore fossero.
“Non volevo svegliarti…Solo…Non sbattere la porta quando esci, ok?”
“Non hai paura che ti derubi?”
Lei gli rivolse un sorriso a denti stretti che era assolutamente adorabile.
“Sapere che il tuo conto in banca è probabilmente dieci volte il mio non mi fa creare questo problema. Ma non andare a curiosare nei miei cassetti!”
“Smettila di darmi certe idee!”
Lei emise un suono divertito che non sapeva come interpretare, poi lo guardò per un lungo momento, i suoi occhi fissi e seri su di lui.  Castle attese che parlasse.
“Dico sul serio, Castle.” Disse con calma ma con una nota di avvertimento nelle sue parole.
“E…anche la tua porta è d’accordo? E’ piuttosto strano visto quello che abbiamo fatto ieri sera.”
Lei alzò gli occhi verso di lui, pensava che ci fosse almeno l’inizio di un lieve rossore sul suo viso. “Castle!”
“Perché mi chiami così?” Chiese improvvisamente curioso. “ Ho un nome. La maggior parte del…” le donne, pensò, ma si riprese in tempo. “ della gente mi chiama Rick, sai?”
Lei aprì la bocca, esitò, sorpresa dalla domanda, sembrava. “E’ un’ abitudine di lavoro!” Rispose stringendosi nelle spalle.
“Al distretto ognuno viene chiamato per cognome. E io non posso fare diversamente.”
“Ma io non sono un poliziotto” Obiettò. “Io non lavoro con voi!”
 Una lunga esitazione. Lui la studiò, la vide vacillare allontanandosi poi dal muro e accovacciandosi davanti a lui. Il sorriso all’angolo della bocca della donna gli mostrarono uno scintillio dubbioso negli occhi.
“Non mi sembra giusto chiamare il mio scrittore preferito per nome!” Mormorò, il respiro caldo contro la sua guancia. E poi lei era di nuovo in piedi, a prendere il cappotto e allontanarsi.
Le sue parole non furono registrate finchè non sparì dalla sua vista.
Scrittore preferito? Stava scherzando vero?
“Kate?”
Stava sicuramente scherzando.
“Kate, torna indietro!”
Ma l’unica risposta che udì fu il suono della chiusura della porta d’ingresso.
Si mise a sedere, senza fiato, non avrebbe più potuto riprendere sonno adesso.
Il suo scrittore preferito?
 
 
Le celle erano tranquille, vi era meno movimento del solito. Era sempre così la domenica, perché non si potevano ottenere mandati quindi le persone che non erano in servizio o non avevano un caso tendevano ad usare il loro PTO. Soprattutto chi aveva famiglia.
Prenditi la giornata libera, la voce di Castle le tornò alla mente ma Beckett scosse la testa, non poteva lasciare che la convincesse.
Anche se il suo capitano aveva detto la stessa cosa due giorni prima. 
Non capivano. Nessuno ne era in grado.
Anche se Mike…
Mise da parte la scintilla del dolore prima che si trasformasse in un incendio, spingendola risolutamente via. Non c’era nulla da fare. Si era ritirato lui stesso, non sarebbe ritornato.
“Ehi Beckett.”
Si voltò e vide Johnson con un altro poliziotto, un ragazzo che aveva incontrato già una volta, qual era il suo nome…Graham?  Si, era lui. Graham aveva dei grandi occhi azzurri che erano di gran lunga la cosa che più lo caratterizzava.
“Ehi.” Rispose.
“Abbiamo un testimone da interrogare e potremmo avere un arresto da fare. A seconda di come va la cosa. Vuoi stare lì a lungo? Ci serve qualche poliziotto in più.”
Si voltò di nuovo verso le celle. Non sembrava che ci sarebbe stato qualche altro caso e Osborne non le aveva nemmeno rivolto la parola nelle ultime due ore.
“Certo.” Scrollò le spalle. Afferrò la giacca. “ Sono dei vostri!”
 
 
Castle non tornò a dormire ma non se ne andò neppure.
Si prese il suo tempo nell’appartamento di Kate, girando intorno, fermandosi sul carillon con su una foto, dei suoi genitore probabilmente. Sembravano felici, la donna era radiosa e Rick tracciò il suo viso con un dito, cercando le somiglianze con Kate. La forte linea degli zigomi, forse, il taglio degli occhi…
Non curiosare, gli aveva detto Kate.
Chiaramente non sapeva con chi stesse parlando.
Aveva usato la sua doccia, il suo bagnoschiuma, il suo odore sul telo da bagno che aveva usato per asciugarsi. Un dolce, ‘luminoso’ profumo che sembrava quasi troppo da ragazzina per lei. Ricordò il modo in cui aveva tirato fuori la sua pistola al club e aveva minacciato i sospettati. Il suo profumo avrebbe dovuto essere qualcosa di più oscuro, pericoloso. Proibito.
Qualcosa di rosso, un fiore selvatico o…Oh oh, ciliegie! Ciliegie selvatiche!
Mmm.
 Si vestì, aveva deciso di tornare a casa perché non c’era davvero nessuna possibilità di rimettere quei boxer. Se ne sarebbe messi un paio puliti appena rientrato.
Si passò le mani tra i capelli cercando di dar loro una forma decente, poi uscì dal bagno.
C’era una libreria in corridoio, di fronte la camera da letto. Si fermò ad esaminarla e subito trovò quello che cercava: The Storm Series. Bene, erano i tre libri che aveva scritto fino a quel momento compreso l’ultimo: A Calm Before Storm.
Ugh.
Non riusciva ancora a credere che aveva lasciato decidere Gina per quel titolo.
Prese il romanzo, curioso di sapere se Kate aveva uno dei suoi autografi. Sperava di no. Avrebbe dovuto ricordare quei suoi penetranti occhi ma aveva visto così tante persone…
Nessun autografo però, non in quel libro né negli altri. Continuò a cercare. Prese A Rose For Everafter, senza autografo anche quello.
Il resto dei libri non erano suoi.
Beh, per qualcuno che sosteneva fosse il suo scrittore preferito…
L’eccitazione gli bolliva nelle vene e lui non riusciva a fermarla. Forse teneva qualche altro suo romanzo da un’altra parte?
Si diresse in cucina dove trovò un bricco di caffè ancora tiepido. Se ne versò una tazza e lo mise nel forno a microonde. Frugò in uno dei suoi scaffali  mentre aspettava. Fu sorpreso di trovare un paio di libri d’arte, un volume sul diritto penale.
Che pensasse di diventare un avvocato prima che la sua vita fosse stravolta?
C’era anche un libro di cucina con alcune ricette segnate, tra cui una con la Nutella che sembrava assolutamente deliziosa. Ma non c’erano altri romanzi.
Il forno a microonde suonò e Rick estrasse la tazza. Si bruciò la lingua con il liquido caldo mentre si dirigeva alla mensola vicino la porta. Quella era più grande, fatta di un ricco legno scuro che aveva dei segni di un uso frequente, piccole ammaccature e graffi che solo un occhio attento avrebbe potuto notare.
Non ebbe neanche bisogno di guardare: i suoi libri erano sul ripiano centrale come delle presenze amichevoli che gli facevano quasi l’occhiolino come incoraggiamento.  E c’erano davvero tutti: Death Of A Prom Queen, In A Hail Of Bullets, persino Hell Hath No Fury, che onestamente non desiderava più rileggere.
Un momento.
Si accucciò, gli occhi a sondare gli scaffali più bassi ma no, non riuscì a trovare Flowers For Your Grave. 
Uh. Strano.
A Rick in realtà piaceva proprio quello.
Eh, forse l’aveva prestato a qualcuno. Si chiese se uno di quelli era stato firmato ma poi pensò che tutti quei libri erano stati scritti quando lui aveva super giù trent’anni e questo significava che Kate era…nella sua tarda adolescenza.
Fece una smorfia. Se avesse incontrato una Kate sedicenne non era sicuro di volerlo sapere. Si sentiva già un ‘culla-rapinatore’.
Rick forzò sulle gambe e si alzò, stiracchiandosi la schiena e studiando ancora il suo appartamento.
Gli piaceva davvero molto, lo spazio, la luce che filtrava dalle finestre sulla cucina, nonostante la giornata non fosse particolarmente soleggiata. L’insieme di colori diversi.
Aveva fatto proprio quel luogo dandogli un bel po’ di personalità, sorprendente per una persona così giovane.
Ma non c’era nulla di ordinario in lei.
Il suo telefono squillò in camera da letto distraendolo dai suoi pensieri e andò a prenderlo.
Meredith.
Rick fece un profondo respiro prima di rispondere.
“ Rick, ciao! Spero di non interrompere nulla…” Aprì la bocca per rispondere ma lei non glielo permise. “Alexis ed io stiamo trascorrendo meravigliosamente il nostro tempo. Siamo andate al ristorante l’altra sera, poi ad una festa privata alla quale ero stata invitata, non è fantastico, tesoro?”
Aveva vagamente intuito l’opinione di Alexis e non aveva avuto la sensazione che sua figlia ne fosse particolarmente entusiasta. Certo, ‘una festa privata’ non era proprio il miglior posto per una bambina di nove anni.
“ E questa mattina siamo andate a fare un delizioso brunch, non a Parigi, vedi, posso imparare la lezione,  e stavamo andando a fare shopping ma…Ho appena ricevuto una chiamata dal mio agente, Richard, e c’è un’audizione per un’importante parte questo pomeriggio, qualcosa di grandioso che Mal non dovrebbe nemmeno sapere. Così, se magari potessi venire a prendere Alexis un po’ prima…Saresti davvero di grande aiuto, gattino…”
Aveva sentito abbastanza. “Certo!” Rispose stringendo i denti. “Posso venire a prenderla. A che ora dovrei venire?”
“Oh, Um…Non appena possibile. Vedi l’audizione non è a New York e potrebbe volerci un po’ per arrivarci…”
Lo scrittore guardò l’orologio, le undici. Inghiottì un commento su Meredith che cerca di sbarazzarsi di sua figlia non avendola tenuta nemmeno un’intera giornata.
“Bene. Parto adesso. Sei al Regency Hotel?”
“Um, penso di si? Si giusto, sono qui! Continuo a confondere i nomi ma dovrei sapere che il The Regency è l’unico con uno dei receptionist più carini. Oh Richard, dovresti vederlo…”
“Ok.” Tagliò corto avendone avuto abbastanza.
“Devo andare Meredith. Ti chiamo appena arrivo!”
Non attese nemmeno la sua risposta, chiuse la chiamata e mise il telefono in tasca.
Non a Parigi. Non poteva credere che lei ci aveva pure scherzato.
Ma sapeva com’era fatta, no? Era irresponsabile e stravagante, sapeva di non potersi fidare. C’era stato un tempo, molto tempo fa, in cui gli piaceva e a volte tornava a piacerle.
Ma lui non l’aveva perdonata per aver portato sua figlia a Parigi.
Nemmeno il sesso caldo e pazzesco che avevano fatto dopo per le ore d’ansia che aveva passato senza sapere dove fosse sua figlia erano servite.
Castle prese il cappotto dalla camera di Kate e lanciò una rapida occhiata in giro, ricordando il modo in cui Kate l’aveva guardato prima di uscire, con quel sorriso appena accennato sulle labbra e il tono basso della sua voce.
Ma nemmeno quei ricordi potevano lenire il peso che si era formato nel suo petto.
Alexis era stata entusiasta di trascorrere il fine settimana con la mamma, eccitata in quel modo timido, con il suo sorriso segreto, la luce nei suoi occhi e adesso lui sarebbe stato l’unica consolazione per lei, l’unico a scusarsi per il cattivo comportamento di Meredith.
Scuse che non sarebbero servite perché c’era più consapevolezza e comprensione nella sua bambina di nove anni che in sua madre.
Com’era buffa la vita!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ed ecco a voi l'ottavo capitolo!
Ringraziamo Anita che è riuscita a tradurre in tempo! =)
L'ho appena finito di leggere e devo dire che è uno dei capitoli che più mi sono piaciuti, fino ad ora almeno! =)
Spero sia lo stesso per voi!
Buona lettura! =)

                           Capitolo 8



Il sospettato stava per fuggire. Lo poteva vedere nei suoi occhi, irrequieti, perseguitati che non si soffermavano a guardare nessuno dei poliziotti, anche se Johnson gli stava parlando.

Erano riusciti a prenderlo mentre tornava a casa, e l'avevano circondato prima che potesse aprire la porta del palazzo, due dei poliziotti su ogni lato.

Era intrappolato. Ma avrebbe comunque cercato di scappare. Tre-

“Signor Michaels, vogliamo solo che torni al distretto con noi. Vogliamo solo parlare, ok? Avere una ragionevole conversazione, tra persone ragionevoli. Non c'è nessuna accusa contro di lei-”

due-

“se viene con noi volontariamente-”

uno.

Michaels si gettò, prima con la testa, contro l'ufficiale Jones, che stava accanto a Kate. Jones indietreggiò, per abbastanza tempo da creare un'apertura per il loro sospettato; Beckett aveva già iniziato a muoversi.

In un paio di veloci passi, era riuscita ad afferrare la giacca di Michaels, la sua stretta abbastanza ferrea che avrebbe potuto strappare il tessuto, e lo tirò verso di sé. Gli afferrò il gomito, e lo girò dietro la sua schiena, e lo spinse contro il muro.
Non era riuscito a scappare così lontano dopotutto.

“Cal Michaels, sei in arresto,” disse con appena un affanno nella sua voce. Prese le sue manette, le richiuse attorno ai polsi dell'uomo. “Hai il diritto di rimanere in silenzio. Tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale.”

Lo passò al detective Johnson, che posò una larga mano sulla spalla del sospettato. “Non saresti dovuto scappare, amico,” disse Johnson con la sua voce calma e amichevole. “Bel lavoro, Beckett,” aggiunse senza guardarla. “corri abbastanza in fretta con quei tacchi.”

C'era un pizzico di sorriso agli angoli della sua bocca. Kate annuì, attenta a non lasciar trapelare la sua soddisfazione, e mantenne un silenzio neutrale.

Ma se avesse dovuto indovinare- avrebbe detto che la gente al distretto la criticava per le scarpe a sua insaputa, e Johnson non era propriamente infelice che stesse dimostrando che si erano sbagliati.


La vasca riusciva a contenere la giusta quantità d'acqua. Kate raggiunse il rubinetto e lo chiuse, poi mise una mano sulla superficie dell'acqua per tastare la temperatura.

Si, perfetta.

Sbottonò i pantaloni e se li tolse. Si congelava fuori; la breve camminata dalla metropolitana  al suo posto era stata abbastanza lunga da far penetrare il vento sferzante nelle ossa.

Rimosse indumento dopo indumento, le calze, il maglione, la camicia. Una volta trovatasi solo con l'intimo- il reggiseno di pizzo nero che aveva scelto con lo sguardo di Castle addosso questa mattina- ritornò nella sua stanza per il libro che aveva lasciato sul comodino, e lo poggiò sul petto mentre i suoi piedi toccavano il pavimento gelido.

Poggiò il libro dove poteva riprenderlo, controllò di avere tutto- vino, telefono, e un asciugamano per quando doveva uscire. Le candele luccicavano tutte felicemente, lanciando soffici ombre sui muri, e Kate chiuse gli occhi, e respirò profondamente l'aria speziata.

Oh, adorava notti come queste.

Affondò un piede nell'acqua, un unico formicolio a causa dell'acqua calda, e strinse i denti mentre si lasciava affondare sempre di più nella vasca. Ok, forse la prossima volta non doveva essere- ow, ow- così calda.

Trattenne il respiro fino a quando il suo corpo non si adeguò alla temperatura, e poi riposò la schiena contro la vasca, lasciando cadere la testa con un sospiro.

Se solo potesse addormentarsi e non svegliarsi mai più-

Whoa, ok, quello era stato un pensiero lugubre. Aveva passato una bella giornata, no? Si era svegliata abbastanza bene, con la larga figura di Rick Castle al suo fianco, con i soffici suoni che faceva mentre dormiva. (Gesù, Rick Castle- sembrava ancora ridicolo.)

E al distretto era andata anche bene; era riuscita a fare delle cose, ad essere veramente utile, e anche meglio, si era sentita importante, apprezzata per una volta. Un bel giorno.

Un bel giorno. Cosa diavolo non andava bene in lei?

Scosse la testa, raggiunse il libro, tracciando i titolo con i polpastrelli. “Fiori per La Tua Tomba”. Com'era appropriato, vero? Lo aprì, girando le pagine lentamente, fino a quando trovò la scrittura audace e frettolosa.

Per Johanna

Perchè la giustizia e la verità dovrebbero sempre andare di pari passo.

I miei migliori auguri,

Rick C.


Aveva provato ad immaginarlo così tante volte, la conversazione che avrebbe potuto precedere quella dedica, come forse Castle aveva chiesto quale lavoro facesse la madre, come aveva fatto un parallelismo con il suo libro.

Se glielo chiedesse, probabilmente non se lo ricorderebbe.

Erano passati cinque anni. Anche di più, a dire il vero, perchè la data sotto il suo nome leggeva: 09/18/98.

Settembre. Kate era al college all'epoca, tuttavia sarebbe potuta andare con sua madre all'incontro, avrebbe potuto avere uno squarcio di quel bellissimo giovane scrittore- poteva aver avuto, cosa, 29 anni, trenta?

Sorrise. Probabilmente le sarebbe apparso vecchio per lei. Attraente, di sicuro- oh si, non c'era nessun modo che sarebbe potuta rimanere indifferente  di fronte a quei caldi occhi blu- ma non uomo con cui avrebbe mai potuto avere una possibilità.

Ma era a Stanford allora. Miglia e miglia lontano. E non si ricordava nemmeno che sua madre le aveva detto che sarebbe andata all'incontro, anche se molto probabilmente l'aveva fatto. Parlavano molto al telefono, anche allora, quando la vita di Kate era così occupata ed eccitante.

La prima lacrima cadde sulla pagina prima che Beckett potesse capire che era lì.

Poggiò una mano sulla guancia,  asciugando rabbiosamente le lacrime che iniziavano a sgorgare, forti e veloci- più ne sono, meglio è- era una battaglia persa.

Kate lasciò cadere il libro sul pavimento, strinse le ginocchia al petto, e poggiò la fronte contro di loro mentre i singhiozzi le uscivano dal petto.

Solo lascia andare.


Il suo telefono prese a squillare e alzò la testa, la stanza sfocata a causa delle lacrime.

Le tirò indietro, prese un profondo, e fortificante respiro.

Se era il distretto che la stava chiamando-

si passò una mano fra i capelli, prese il telefono e lo aprì.

“Beckett.”

Ci fu un breve silenzio dall'altra parte, poi una risata profonda e deliziata di Richard Castle. “Quindi è questo il modo con cui rispondi al telefono, uh? Sexy.”

Si morse il libro contro una serie improvvisa di lacrime. Se la potesse vedere in quel momento, piccola, nuda e sfatta nella vasca da bagno, l'avrebbe lasciata da sola?

“Castle,” riuscì a dire contro il grumo di lacrime che le si era formato in gola.

“Devi cercare di controllare il tuo entusiasmo esuberante, Kate. Non sono abituato a questi saluti così caldi.”

Un respiro ridente le uscì fuori, il suo petto che iniziava a rilassarsi, e lasciò che i suoi occhi si chiudessero. Forse sarebbe andato tutto bene.

“Com'è andata la tua giornata? Hai arrestato un sacco di cattivi?”

Sembrava così... eccitato per lei. Cercò di formulare un' appropriata risposta

“Hum, uno, a dire il vero. Ha provato a scappare, ma  l'ho preso alla fine.”

“Ooh, fantastico. Hai dovuto minacciarlo con la pistola?”

“No, Castle,” disse, roteando gli occhi. Ma non riuscì a nascondere un sorriso.
Si spostò per mettersi comoda, poggiando la schiena contro l'angolo della vasca, e l'acqua si mosse attorno a lei.

“Sei-” la voce dello scrittore leggermente più acuta mentre perdeva le parole, come se non osasse credere che fosse vero.

“Cosa?” Disse lei, provando a nascondere il proprio divertimento.

“Era- acqua quella che ho sentito?” Chiese lui, provando a sembrare distaccato ma fallì miserabilmente.

Kate scosse la testa. “Si, Castle, mi sto facendo un bagno. È stato un lungo giorno, e fuori si congela.”

Silenzio. Almeno stava respirando? Affondò i denti nel suo labbro inferiore, per fermare una risata.

“Ma qual è il problema tra gli uomini e le vasche da bagno? Sono le bolle di sapone? L'intimità? Perchè voi ragazzi non fantasticate mai sulle donne in una piscina.”

“Oh, um, a dire il vero-”

“Ew, Castle, no. Non voglio sentire le tue fantasie sulle piscine.”

“Hanno questi spogliatoi così piccoli-”

“Castle.”

“Ok;” disse lui, e poteva dire che stava sorridendo. “Ma un bagno- non so. Ha molto a che fare con il fatto che tu sei lì, beh, nuda, credo. Con l'acqua che ti circonda, che bacia quelle linee e quelle curve, che le mantiene...”

Aveva abbassato la voce, probabilmente apposta, e merda- tutto il suo corpo stava rispondendo. Era difficile respirare.

“E poi i tuoi capelli sono bagnati, anche, capelli neri e setosi che si attorcigliano attorno al collo, e ci sono gocce d'acqua che scendono sulla tua gola, che supplicano di essere leccate-”

Un leggero gemito le sfuggì di bocca, sia di incoraggiamento che di bisogno, e Kate riaprì i suoi occhi, non riusciva a ricordare di averli chiusi. Lo voleva- oh, voleva che la leccasse.

“Castle,” grugnì, il suo controllo scomparso, andato, così. “Vieni qua”.

“Non posso,” respirò con pentimento, e lei poteva sentire l'eccitazione nella sua voce. “Mia figlia sta dormendo e non c'è nessuno qui.”

Che sia dannato. La faceva prima riscaldare così quando non poteva farci nulla a riguardo? Gemette, poteva sentire il pulsare del sangue nel suo corpo, impaziente e pesante. Affondò una mano nell'acqua, percorse la coscia con le dita. Ohh-

“Ma tu potresti,” disse lui dopo un momento, la sua voce che aveva un qualcosa di simile a esitazione, quasi stesse chiedendo.

Uh? lei poteva-?

“Venire qui,” finì lui, rispondendo alla sua domanda taciuta.

Kate si congelò.

Richard Castle l'aveva appena invitata a casa sua?

“Stai scherzando?” chiese lei, sorpresa da quanto affannata sembrasse. “mi stai invitando a casa tua quando tua figlia sta dormendo? a-” si maledì da sola per aver esitato. “a fare sesso?”

“Beh. È una casa molto grande, sai,” rispose lui, quel sorriso compiaciuto nella voce. “Mia figlia dorme un piano sopra di me, e- non ti preoccupare- non sentirebbe nulla.”

Merda, adesso stava arrossendo.

“Castle-”

“Non ti sto invitando per giocare a fare la mamma, Kate,” disse lui, improvvisamente serio. “Non incontrerai Alexis, e neanche verrai a dormire qui. Quindi non c'è alcun bisogno di spaventarsi, ok? Sto solo dicendo che, ti voglio, e penso che anche tu mi vuoi. La porta è aperta. Se tu vuoi venire.”

Oh, pensava di essere così intelligente, vero?

Se voleva venire.

Dannazione.

Si morse il labbro, e provò ad essere ragionevole. Certo, non era molto tardi, ma comunque doveva andare presto al distretto il giorno dopo, e lei era nella vasca da bagno, nel sua calda vasca da bagno. Poteva semplicemente- farlo da sola, no? Era già a metà strada, comunque, solo per aver sentito le sue parole e quel tono baritonale e sexy.

Mhh, la sua voce.

Oh Gesù.

Kate chiuse gli occhi, non poteva credere a cosa stava per fare.

“Ok. Dove vivi?”


Alexis, pensò nel taxi che la stava portando a Tribeca. Non aveva capito fino a quel momento quanto Castle fosse protettivo nei confronti di sua figlia, fino al punto in cui aveva celato il suo nome da Kate.

Non che Beckett non sapesse il nome della ragazza, certo, o che non fosse interessata nel conoscerla. Quello sarebbe significato un casino di complicazioni, e Kate voleva, aveva bisogno, di mantenere le cose semplici.

Ma- ma non poteva fare a meno di esserne intrigata. Richard Castle papà.

Si ricordò quella prima notte, quanto insistente era stato nell'usare un preservativo, e si morse il labbro. Si. Aveva di certo avuto uno scorcio del Rick responsabile allora, e quello probabilmente era chi era con sua figlia-

Non che importasse, comunque.

Il taxi si fermò. Pagò il tassista e uscì, guardando la struttura del palazzo di Castle.
Si. Carina.
Le aveva dato il codice di sicurezza per entrare, ma c'era un portinaio, con capelli marroni, sulla quarantina che gentilmente le chiese chi stava visitando.

“Richard Castle,” rispose, il mento sollevato mentre lo guardava negli occhi, osandolo a dire qualcosa.  

Ma l'uomo non commentò. E se era arrivato alle proprie conclusioni a causa dell'ora tarda e alla reputazione di Castle, il suo viso non lo mostrò.

“Ultimo piano, è sulla tua destra quando esci fuori dall'ascensore,” disse, la sua voce atona. “Passi una buona notte, signora.”

“Grazie” rispose Kate sofficemente, in qualche modo timida di fronte alla sua risposta dignitosa.

L'interno del palazzo non era ciò che si aspettava. Era elegante, semplice, nessun lusso non necessario. L'ascensore raggiunse tranquillamente l'ultimo piano, e Kate seguì le istruzioni del portinaio e poi, si fermò davanti alla porta sulla sua destra.

Prese un profondo respiro e bussò.

La porta si aprì quasi immediatamente.

“Hey,” l'accolse Castle, spostandosi di lato così che potesse entrare. Sorrideva, ma la rigidità delle sue spalle, il modo improvviso in cui si era spostato le faceva capire che era nervoso tanto quanto lei.

Quando la porta si chiuse si guardarono a vicenda, il silenzio palpabile, l'imbarazzo fra di loro, e pensò oh Dio questa è la peggiore idea che abbia mai avuto, sarei dovuta rimanere a casa.

Ma poi le sue labbra furono sulle sue, gentili ed esploratrici, la sua mano che le afferrava i capelli, che scendeva sul suo collo, e Kate si alzò sulle punte, schiuse le labbra in risposta. La sua lingua le scivolava dentro, lenta e sicura di sé, danzava contro la sua fino a quando non rimase senza fiato.

“Mi sei mancata” si lamentò lui, e non ebbe tempo di dirgli quanto ridicolo sembrasse poiché subito dopo le attaccò il collo, la fece arcuare contro di lui per il bisogno.

Lavorò ai bottoni della sua camicia, le dita veloci e impazienti, che afferravano il tessuto per tirarlo fuori dai pantaloni; le mani trovarono la sua pelle nuda. Castle grugnì e le morse il collo in risposta, la linea dura dei suoi addominali sotto le sue dita, e lasciò che i suoi occhi si chiudessero.

Le cose che quest'uomo le faceva-

Il dolce stuzzicare della sua lingua che si muoveva sulla mascella, così delicata, celestiale, ma poi...

Poi si fermò.
Kate aprì gli occhi di nuovo, frustrata e bisognosa, e lo trovò a guardarla in un modo che poteva solo essere descritto come adorazione. Deglutì, la bocca improvvisamente asciutta, il corpo che le bruciava sotto il suo sguardo cocente.

Non sapevano cosa stavano facendo, vero? Nessuno di loro due. Non ne avevano idea.

Kate aspettò che il panico esplodesse dentro di lei, ma invece-invece-  si sentì colpita dall'anticipazione e dal bisogno oscuro, delizioso che le scorreva nelle vene.

“Ti stai comportando come un orribile padrone di casa,” gli disse, la sua voce roca, le labbra che si arricciavano in un sorriso canzonatorio.

Rick strinse gli occhi a fessure, ma lei poteva ancora vedere la sorpresa, il piacere sul suo viso. Come se lei fosse un dono inaspettato e meraviglioso. Il modo in cui la guardava- era intossicante.

“Oh davvero?” disse lui, alzando un sopracciglio.

“Non mi hai neanche fatto vedere la casa,” rispose lei con una mezza alzata di spalle, mordendosi il labbro inferiore mentre indietreggiava di un passo. “Non sono un ospite qui, Castle?”

“Oh, scusami,” disse lui, cercando chiaramente di trattenere un sorriso. “Vorresti vedere la cucina, Kate? O forse il mio studio? Il posto in cui scrivo tutti quei best-seller?”

Oh era bravo. Era tentata con lo studio, più di quanto sarebbe dovuta esserlo, ma ci sarebbe stato tempo per quello dopo. Forse. Adesso-

“Iniziamo con la camera da letto,” suggerì con un sorriso timido, prendendogli la mano. “Voglio vedere il posto in cui sogni tutti questi best-seller.”

La camera da letto le appariva esattamente come il palazzo: spaziosa, più che confortevole, di sicuro, ma non sembrava nemmeno che si fosse dato alla pazza gioia. Non aveva una cornice d'oro al letto o niente di egualmente ridicolo, anche se, a essere onesti, tutto ciò che era in quella stanza valeva almeno il suo salario annuale.

Le piacevano anche i colori, terreni e caldi, dei colori accoglienti che sembravano aprire le loro braccia come Castle stesso.

“Bel posto,” affermò lei onestamente, girandosi verso di lui con un sorriso.

Sembrò stranamente lusingato, considerando che probabilmente aveva sentito lo stesso complimento centinaio di volte. Diede una occhiata in giro e scrollò le spalle, quel compiaciuto sguardo ancora nei suoi occhi.

“Si, beh, è casa,” disse, e c'era qualcosa nella sua voce che la fece fermare, che la fece riflettere. Orgoglio, forse, un forte senso di- protezione?

Kate girò la testa da un lato, pensierosa.

“Quante donne hai portato qui?” chiese, spinta da una improvvisa intuizione.

“Cosa?” sembrò sorpreso e- difensivo.

“Quante donne sono state nella tua stanza? Non è una domanda così difficile,” lo prese in giro, un sopracciglio alzato.

Aprì la bocca ma nulla venne fuori.

“Non sto chiedendo con quante donne hai dormito,” precisò, divertita che ci volesse così poco a rendere Richard Castle senza parole. “Solo quelle che hai portato qui, Castle.”

Sembrò riluttante, così riluttante; ma nonostante tutto non provò a mentirle.

“Due” ammise alla fine, gli occhi che la evitavano.

“Due?” Oh, wow. Ok, si aspettava che il numero fosse basso, e aveva senso quando vedevi quanto protettivo fosse nei confronti della figlia, ma-

due?

“Ne deduco che la tua ex moglie è la numero uno,” disse lei, soprattutto per riempire il silenzio. La sua teoria venne premiata dal suo annuire.

“E la seconda...?” provò a ricordare se avesse mai letto qualcosa nei giornali-

Ma Castle la guardava come se fosse pazza.

“Cos-?” Oh.

“Tu sei la numero due, Kate,” rispose lui alzando le sopracciglia, come per dire, non è ovvio?

Bene, solo non aveva pensato che lui la... Stesse contando.

Ok. Oh Dio. Era la numero due.

La guardava esitante, come un bambino che avesse fatto qualcosa di sbagliato e stesse aspettando che la madre iniziasse a rimproverarlo. “Non... spaventarti.”

Prese un profondo respiro, e cercò di cancellare l'urgente bisogno di fuggire. Poteva farcela, poteva-

“Ok,” disse, cercando di rimettersi in sesto. “Perchè... sono qui, allora?”

Sembrò confuso- “Che vuoi dire, perchè?”

“Perchè mi hai chiesto di venire qui? Se questo posto significa così tanto per te, se sei così attento a non condividerlo con nessun altro-”

“Perchè non potevo venire da te,” rispose lui immediatamente, mentre le si avvicinava. “E perchè volevo.”

Si spostò indietro, non riusciva a capire se stesse cercando di evitare la sua domanda apposta, o semplicemente non capiva il punto. “Castle-”

Sospirò, e si tirò indietro i capelli con una mano. “Perchè... mi fido di te, Kate. Perchè non cerchi i miei soldi, o la mia fama, e non stai cercando di usare mia figlia per arrivare a me. Quindi è-è sicuro averti qui.”

La gola le si bloccò, piena.

“Come lo sai?” chiese, respirando a mala pena. “come fai a sapere che è sicuro?”

La guardò, i suoi occhi blu così intensi, così profondi che non riusciva a fermarsi dall'esserne risucchiata.

“Semplicemente lo so,” rispose lui tranquillamente, come se si pentisse di non avere una risposta migliore per lei.

Si mosse in avanti e questa volta glielo lasciò fare, gli occhi che iniziavano a chiudersi quando la sua mano si poggiò sul collo, il suo pollice sulla guancia.

“Dimmi che mi sbaglio, Kate,” sussurrò contro la sua guancia, ma non poteva, di certo non poteva. Non era qui per la sua fama o sua figlia; era qui a causa della sua voce che le si aggrappava addosso, che entrava nel profondo, a causa del modo in cui accarezzava le cose dentro di lei a tal punto da scordarsi del posto in cui era.

Era qui perchè non riusciva a resistergli.

“Non ti sbagli,” disse lei, poggiandogli una mano sul collo, alzandosi per incontrare la sua bocca. Sfiorò con i denti il suo labbro inferiore, premette la lingua contro la sua bocca quando lui la aprì con un ringhio, offrendole la caverna bagnata della sua bocca per esplorarla. “Non ti sbagli.”

Era deliziosa. Il corpo minuto contro il suo, la lenta ondulazione delle sua labbra mentre lo baciava profondamente, gemendo nella sua bocca-

Strinse le mani sui suoi fianchi e la fermò, spostandola abbastanza da potersi togliere la camicia e slacciare la cinta. Aveva bisogno della sua pelle, della sua pelle nuda, calda e tesa contro la sua.

Lo guardava, gli occhi così scuri, pozzanghere di inchiostro che lo fissavano; il labbro inferiore stretto fra i denti, polposo, rosso per l'assalto. Oh, l'avrebbe curato quel labbro- lo avrebbe ammorbidito con la sua lingua fino a quando lei non si fosse arcuata contro di lui.

Aveva iniziato a togliersi la sua stessa camicia quando lui iniziò a sbottonarla per lei; le afferrò le mani e la tirò vicino a sé, i loro corpi appiccicati. Il modo in cui il reggiseno le incorniciava i seni era stupendo, sembrava sollevarli verso di lui. Si piegò a baciare la tenera pelle, sentendola rabbrividire contro di lui.

“E' per me, Kate?” Chiese mentre passava le sue labbra sopra il pizzo blu scuro, muovendo la lingua sul petto.

Emise un gemito soffice, meravigliato,  e ansimò, “Non ti eccitare, ora.”

Rise ad alta voce al doppio significato, incerto che l'avesse fatto apposta, baciando il palpito infiammato del suo battito. “Sei certa di ciò che vuoi?” sussurrò divertito. “Perchè avrei giurato-”

“Smettila. Di parlare.,” ordinò, infilando una mano nei suoi boxer. I suoi muscoli saltarono al tocco delle sue dita, il suo corpo che diventava sempre più teso, e lasciò scivolare una mano sulla sua schiena, sganciando il reggiseno.

Oh, adorava toccarla. La sua mano incontrò il lato di un seno, l'accarezzò, e lei gemette profondamente, la bocca aperta contro la sua mascella, i suoi denti taglienti. Lasciò cadere l'altra mano nei pantaloni, provando a farli scendere oltre la curva del bacino; Kate rise sul suo collo, un suono delicato e leggero, e lui si tirò indietro per guardarla.

“Felice che i miei sforzi di renderti nuda ti stiano divertendo,” disse, ma non riuscì a mantenere uno sguardo offeso, non quando i capelli di lei così neri le incorniciavano il viso, le guance colorite, le labbra dischiuse.

“Avresti potuto semplicemente chiedermi di togliermi i pantaloni,” controbattè lei, le labbra che iniziavano un sorriso, nel modo in cui adorava.

Poggiò le dita su uno dei ganci del pantalone, e la tirò contro di sé, le labbra contro il suo orecchio. “Togliti i pantaloni,” ordinò in modo rauco e sensuale

“Non hai detto per favore,” scherzò lei senza respiro, il sorriso premuto contro la sua guancia.

Percorse con una mano il suo basso ventre, poi scese più giù, ed entrò con due dita nelle mutandine, premendo contro la sua femminilità bagnata. Kate prese un profondo respiro mentre i suoi fianchi spingevano in avanti con forza, una, due volte, e lui sorrideva soddisfatto.

“Per favore,” disse infine.




Tempie&Anita's Corner:

Et voilà! Li toglierà 'sti benedetti pantaloni?
Ah Boh! XD

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Oggi Matilde è di poche parole, Anita non può parlare (XD) quindi...Buona lettura!
Secondo me è un capitolo molto dolce! =)     
                



                           Capitolo 9



Il modo in cui la guardava, il suo corpo disteso nudo sul suo letto – forse non era stato completamente onesto con lei. Forse l’aveva invitata solo per vedere tutto ciò: la lucentezza scura dei suoi capelli sparsi sul cuscino, l'aprirsi delle delle sue gambe, la curva delle sue labbra in attesa…
Rick si tolse i boxer e si abbassò su di lei, lasciando che tutte le parti dei loro corpi si incontrassero uno dopo l’altro. Kate sospirò quando il petto entrò in contatto con la rotondità dei suoi seni e lui allontanò la bocca dalla sua gola, dalla sua morbidezza, esaltato da quel suono.
Lei era un poliziotto e lui l’aveva vista mantenere il controllo, aveva visto il suo modo fiero e veloce di impugnare la pistola, ma quando giaceva sotto di lui…
Non riusciva a smettere di pensare al modo in cui lei gli rispondeva, ad ogni tocco delle sue labbra, delle sue dita sul suo corpo. Era stato con altre donne con cui aveva fatto cose folli a letto, inclusa Meredith, ma era sicuro di non essere mai stato con una persona così aperta, che si donava così come faceva Kate.
Le leccò lentamente il sudore che imperlava la pelle della sua clavicola e la sentì ansimare mentre assaporava il suo gusto salato, il suo odore. Di più, lui voleva di più.
Ma prima che potesse muoversi, Kate gli prese il viso tra le mani, lo avvicinò a sé e premette le proprie labbra sulle sue in un bacio febbrile, adorante dandogli accesso al calore della sua bocca.
Infine mosse i fianchi contro quelli dell’uomo, agganciò una gamba sulla sua coscia e una gomitata non così gentile lo fece sorridere contro di lei. Pensava che avrebbe potuto fargli fare quello che voleva, uh?
Niente ‘uh’ Kate. Non funzionerà.
‘Che cosa stai facendo?’ Sibilò quando lui abbandonò le sue labbra, spostandosi verso il basso, baciandola lungo tutto il suo addome nella discesa.
Si concentrò sui fianchi, facendo scattare la lingua sulla pelle tesa e morbida, adorando il modo in cui lei si inarcava contro la sua bocca.
Quando raggiunse il basso ventre, alzò la testa per guardarla tra le curve del suo corpo. Lei lo stava osservando con la testa inclinata su un lato, gli occhi spalancati con…Era timore quello che vedeva?
‘Kate?’ Chiese dolcemente, pronunciando le parole sulla sua pelle.
‘Si?’ Mormorò con poco più di un sospiro.
‘Ti piacerà!’ Le promise con un piccolo sorriso, ancora incerto su cosa esprimesse il suo volto.
Il petto le si sollevava mentre ancora lo fissava, i suoi occhi scuri, illeggibili. Che non avesse mai…
Cercò di astenersi dal chiederglielo…Per circa tre secondi: ‘Kate, hai mai..?’
‘Non essere stupido!’ Lo interruppe con occhi fiammeggianti. ‘Certo che l’ho fatto. Io..Fa’ quello che devi, Castle!’
‘Quello che devo?’ Ripetè cercando disperatamente di non ridere. Chiunque avesse fatto sesso orale con lei, evidentemente non le aveva lasciato un bel ricordo.
Oh ma poteva far in modo di cambiare la ‘situazione’.
‘Ti fidi di me, Kate?’
La domanda la spiazzò, deglutì. Sbattè le ciglia come a voler cercare una via d’uscita a quella domanda, per non rispondere.
Castle mosse una mano verso il basso, tracciando una linea dal bacino fino alla coscia, su e giù, su e giù, fino…
Si fermò con la punta delle dita sul suo clitoride, il suo tocco così leggero; nonostante tutto riusciva a sentire quanto fosse bagnata e pronta.
Kate strinse i denti, ovviamente per cercare di non fare rumore, ma quando le spinse un dito dentro, gemette. I fianchi si inarcarono contro la sua mano.
‘Ti fidi di me?’ Chiese nuovamente spingendo un secondo dito mentre parlava. Lei rimase a bocca aperta, la testa all’ indietro, emettendo una serie di imprecazioni prima che ansimasse un: ‘Si, si mi fido di te..’
‘Sicura?’ Chiese perversamente mentre muoveva un dito.
‘Oh Dio!’ Gemette muovendo tutto il suo corpo contro di lui, e rispondendo: ‘Oh Castle, per favore, non farmelo ripetere, oh..’
Era così bella, incredibile. Così eccitante.
La guardò un ultima volta, le ciglia scure oltre le guance,la splendida linea della sua gola mentre cercava di prendere aria, infine si chinò premendo la bocca sul suo centro.
 
 
La sua lingua…Oh Dio non aveva mai provato nulla di simile.
Kate s’inarcò, un grido le sfuggì dalla gola, tutto di lei si elevò al tocco elettrico volendo allo stesso tempo scappare e avvicinarsi di più a lui, non sapeva bene cosa fare.
E poi le sue mani erano sul suo addome, spingendola verso il basso, premendola sul letto e lui non poteva, non poteva farle questo per l’amor del cielo, aveva bisogno di muoversi…
‘Fidati di me!’ Le tornò in mente la voce roca dell’uomo, e si arrese con un singhiozzo lamentoso, stringendo in un pugno le lenzuola, il cuscino e qualsiasi altra cosa trovasse.
Era lento, oddio era così lento, così riverente. Deliziosamente muoveva la lingua sul suo clitoride, con brevi tocchi e poi con una ‘presa’ più ferma che le fece sfuggire un basso suono gutturale.
Una delle sue gambe trovò posto sulle spalle dello scrittore, il suo ginocchio poggiato sulla sua schiena e per un momento lui allontano la sua bocca bollente da lei, carezzandole invece l’interno coscia e mandandole di nuovo a fuoco la pelle.
Ma prima che potesse dire qualcosa lui fu di nuovo su di lei, con le sue labbra e…Oddio, cosa stava facendo con i denti?
Mormorò contro di lei, dei brividi l’attraversarono in un modo che dovrebbe essere considerato illegale.
Doveva esserlo!
Com’era possibile che nessuno avesse scritto una legge contro quello che stava facendo? E poi, oh, poi succhiò.
Sul suo clitoride e Kate venne, in mille pezzi, non potè fare nulla per trattenersi. Venne in un modo selvaggio e crudo, con i loro corpi di nuovo attaccati e l’oscuro sospirare del nome di lui uscire dalle sue labbra.
 
 
La sentì muoversi contro di lui nel buio, ancora assonnato. La sua mano incontrò la sua carne morbida, le rotondità dei suoi seni ma lei le afferrò il polso con un sospiro delicato.
‘Calma.’ Disse lei dolcemente ma con voce acuta.
Si voltò verso di lei cercando di concentrarsi abbastanza da avere una conversazione.
‘Dove stai andando?’
Gli lasciò andare il braccio e si sedette sul letto. Le sue dita indugiarono su quelle dell’uomo per un istante. Castle chiuse gli occhi.
‘A casa.’ Mormorò. ‘Ricordi? Devo lavorare domani. E non voglio che tua figlia mi veda.’
Sua figlia…
C’era un pollice sulla sua tempia e delle dita tra i suoi capelli. Il contatto era cos’ dolce, così tenero che lo fecero sospirare di felicità. Di cosa stavano parlando?
‘Notte.’ Gli sussurrò allontanandosi come un fantasma.
Avrebbe voluto dirle di no, chiederle di rimanere, a letto con lui ma la sua gola era secca. Il suo cervello assonnato da non poter trovare le parole. Così si addormentò.
Kate.
 
 
Il mattino dopo Kate aprì il suo portagioie con mani attente e, dopo aver indossato l’orologio di suo padre, prese la fine catenina nella quale aveva infilato l’anello di fidanzamento di sua madre.
Il diamante catturò la luce del mattino, sotto il tocco leggero delle sue dita.
Kate espirò pesantemente, poi portò le labbra all’anello e lo baciò prima di porre la collanina al collo.
Ovviamente lo spirito di sua madre non era racchiuso in una pietra. Non era così stupida da crederci. Ma in quel modo si sentiva più vicina alla madre, più vicina alla brillante e vivace presenza di Johanna e lei ne aveva bisogno quel giorno.
Aveva bisogno di ricordare.
Attieniti al piano, Beckett!
 
Suo padre la chiamò mentre stava comprando il pranzo per la squadra. Beckett esitò quando vide il suo nome sullo schermo ma aggiustando le borse col cibo sul petto, premette il tasto di risposta.
‘Papà. Hey..’
‘Katie. E’… un brutto momento?’
Si morse il labbro rendendosi conto di come annoiato potesse sembrare il suo tono di voce.
‘No. No, io…Sto solamente comprando il pranzo per i ragazzi del distretto. Ma ho cinque minuti…’
Il rapporto tra lei e suo padre era ancora….fragile. Si poteva dire che ci stavano provando ma due mesi da sobrio certo non cancellavano i cinque anni in cui lui aveva fallito con lei, i cinque anni in cui lei non aveva avuto nessuno su cui contare a parte se stessa.
E lei aveva sperato di averlo.
‘Come stai?’ Le chiese con genuino interesse.
‘Hum, bene. Va abbastanza bene in questo periodo.’
‘Si?’
Oh Dio, che cosa voleva che gli dicesse di preciso? Non era abituata a condividere certe cose con lui.
‘Ho preso parte ad un arresto ieri.’ Gli disse aggrappandosi alla prima cosa che le venne in mente.
‘Un tizio sospettato di vendere foto di minorenni nude. E l’abbiamo preso.’
Suo padre sospirò dall’altra parte del telefono e lei trattenne il fiato. Forse non avrebbe dovuto dargli così tanti dettagli.
‘Buon per te, tesoro!’ Rispose con un notevole sforzo e lei fu incredibilmente grata per questo.
Questa era la sua vita, quella vita che lei aveva scelto per sé mentre lui non se ne occupava, o si rifiutava di farlo, lei…Voleva che gli andasse bene.
‘Senti, stavo pensando…’ Proseguì nervosamente. ‘Il Teatro Joyce mette in scena Il Fantasma Dell’Opera…’
Oh no!
‘ E sai che era il musical preferito di tua madre. Ogni anno trovavamo una diversa produzione e andavamo a vederlo per il suo compleanno…’
Certo che lo sapeva. Come poteva non saperlo? Kate chiuse gli occhi un attimo, appoggiandosi al muro esterno del bar.
‘Ho solo pensato che, forse potremmo onorare la tradizione anche ora che lei non c’è più…Potrebbe ancora essere la nostra tradizione familiare. Katie, tu, io e Il Fantasma Dell’Opera. Che ne dici?’
Doveva tornare al distretto. Non poteva piangere, non ora, non per strada dove le persone potevano vederla.
‘Papà, non sono…’
‘Oh non devi rispondermi adesso. Ho visto la locandina fuori il teatro e ho pensato di chiamarti per sapere cosa ne pensavi. Ancora non ci sono nemmeno i biglietti in vendita…’
‘Papà, è solo che…’ Poteva già vedere loro due seduti in prima fila perché erano i posti in cui si sedevano con la madre, assolutamente miserabili mentre guardavano un musical di cui conoscevano tutte le battute a memoria. Avrebbero passato tutto il tempo sentendo la mancanza di Johanna invece che divertirsi e godersi la serata.
‘Facciamo qualcosa per il suo compleanno.’ Gli suggerì tentando di ‘salvarsi’ in qualche modo.
‘Tu ed io, come hai appena detto. Facciamo colazione insieme o andiamo al museo, qualcosa che ci piacerebbe fare. Quello che mamma vorrebbe per noi!’
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte nel quale Kate temette di aver sbagliato tutto. Forse gli avrebbe dovuto dire che non poteva sapere prima quando doveva lavorare o meno, inventare qualche scusa…
‘Hai ragione!’ Rispose suo padre. ‘Hai ragione. Certo. Il Fantasma Dell’Opera’ Disse ironicamente. ‘Ma che mi è saltato in mente?’
Una voglia inaspettata di abbracciarlo la travolse. Rimase senza fiato.
‘Papà?’
‘Si?’
‘Ti voglio bene!’ Disse velocemente prima che potesse pentirsene.
‘Ti voglio bene anch’io, Katie!’ Rispose dopo un momento e lei poté sentire l’emozione nella sua voce.
‘Io, uhm…Devo andare.’ Disse.
‘Oh, si. Certo. Tu…Starai attenta?’
‘Promesso, papà.’ Rispose con un sorriso prima di chiudere il telefono e metterlo in tasca.
Accidenti.
Era andata…Davvero bene, in realtà.
Quasi come se avesse riavuto suo padre indietro.
 
 
Beckett aprì il portone con una spallata, le mani piene di buste e si diresse verso l’ascensore. Il sergente alla reception, Yates, stava parlando con una coppia straniera dando loro indicazioni per Times Square. Kate premette il bottone di chiamata mentre ascoltava distrattamente la conversazione, quando una voce familiare attirò la sua attenzione.
‘…Mi dica solo a che piano è il Vice.’
Oh no. Stava sicuramente sognando. Doveva essere così.
‘Sto cercando una mia amica…Kate, uhm Beckett. Scusate. Lavora qui, no?’
No, non stava sognando.
Beckett si voltò lentamente verso la reception abbastanza da vedere chi fosse.
Eccolo lì, Richard Castle, chiedere di lei alla reception. La coppia di prima lo stava guardando male, non aveva esattamente aspettato il suo turno.
Perché era lì?
Kate fece un respiro profondo e si diresse verso il gruppo. Prima l’affrontava meglio era.
Il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento fece voltare tutti nella sua direzione mentre si avvicinava. Il viso di Castle si aprì in un sorriso felice non appena la vide.
‘Kate!’
‘Castle.’ Sibilò a denti stretti, tirandolo in un angolo in cui avrebbero potuto avere maggiore privacy.
‘Mi dispiace sergente!’ Disse rivolta a Yates infastidita dallo sguardo interessato di quest’ultimo.
‘Ti ho trovato!’ Disse Castle saltellando ed esultando alle sue spalle senza che lei potesse trattenerlo.
Beckett posò le buste col cibo a terra, si girò e lo colpì al petto.
‘Che diavolo ci fai qui?’
La sua bocca si aprì, poi si richiuse, come se non potesse credere che lei non fosse felice di vederlo. Seriamente?
‘Volevo vedere il posto in cui lavori!’ Rispose alla fine sulla difensiva. ‘Ho avuto una riunione con la Black Pawn questa mattina e non è lontana da qui.’
‘Castle.’ Disse facendo un notevole sforzo per ammorbidire il tono. ‘Come hai appena detto, questo è il mio posto di lavoro. E sono un poliziotto e una donna. Due cose che non vanno esattamente bene insieme e l’ultima cosa di cui ho bisogno è il mio..’
Oh dio, stava dicendo fidanzato?
‘ E’ che tu venga qui a far pensare che stiamo insieme.’
‘Non mi sto comportando come se stessimo insieme!’
‘Hai chiesto di me a Yates!’
‘Ho detto che eri mia amica!’
Kate si mise due dita sugli occhi cercando di trattenersi.
‘Ti ho anche preso il caffè!’ Aggiunse con una voce più bassa, un po’ scoraggiato. Aveva due tazze di caffè d’asporto in mano e l’odore era meraviglioso.
Sospirò. ‘E’ stato….Dolce da parte tua, Castle. Ma non puoi semplicemente venire qui e chiedere di me!’
Lui mise il broncio, e sembrava più adorabile di quanto avrebbe dovuto essere, considerato il fatto che avesse più di cinque anni.
‘Mi fai vedere l’interno?’
‘Cosa? No!’
Gesù!
‘Oh, andiamo!’
‘Castle.’ In quale lingua doveva spiegarglielo? ‘Tutti i miei colleghi sono qui. E loro non mi lasceranno mai più in pace. E’ questo che vuoi per me? Essere lo zimbello di tutto il Vice?’
I suoi occhi divennero scuri, di un grigio tempestoso e le sue spalle si abbassarono. ‘No.’ Disse imbronciato.
‘Si neanche io!’
‘E quindi me ne devo andare?’
Sembrava così deluso. Si sentì in colpa e si morse il labbro. Ma cosa poteva fare?
‘Posso avere un bacio?’ Chiese speranzoso.
‘Castle!’
‘Giusto.’ Esalò con un segno del capo. ‘Va bene, uhm. Credo che mi limiterò a…. Ti lascio al tuo lavoro allora.’
Fece per andare via, con i caffè ancora in mano e Kate…
‘Aspetta!’
Si voltò, gli occhi azzurri ora troppo ansiosi. Si odiava per non essere in grado di lasciarlo andare.
‘Senti, il distretto è piuttosto affollato in questo momento ma…Forse….Forse stasera, quando tutti se ne saranno andati, potresti tornare e ti farò fare un giro veloce.’
Un giro veloce? Ma cosa stava facendo?
‘Davvero?’ Chiese con un accenno di sorriso.
‘Ho detto forse, Castle. Alcuni dei ragazzi lavora fino a tardi e non ti posso assicurare...’
‘Ho capito!’ Disse in fretta come se temesse che si rimangiasse la parola.
‘Ho capito. Forse. Forse è buono. Sempre meglio di no!’
Giusto.
‘Allora, ti mando un sms, ok?’
Lui le sorrise, un sorriso così luminoso che per poco non fece un passo indietro.
‘Va bene. Un sms. Suona bene!’
‘Ok. Beh. Ci vediamo dopo allora!’
‘Divertiti prendendo i cattivi!’ Le rispose con un guizzo del sopracciglio. E poi si voltò di nuovo per andar via. Ma c’era un’ultima cosa.
‘Ehi, Castle?’
‘Si?’
Diminuì la distanza tra loro con un paio di passi, lasciò che le proprie dita afferrassero una delle due tazze.
Il suo pollice gli sfiorò il mignolo.
‘Prendo il caffè!’

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Hola chicas!
Innanzitutto vi chiedo scusa per l'enorme ritardo ma è colpa mia. Ho avuto dei piccoli incidenti di percorso e con incidenti intendo il primo senso della parola XD Come si dice dalle mie parti 'm'allavancave' XD Cioè sono caduta col motore e non ho avuto la possibilità di leggere e pubblicare il capitolo tradotto da Anita. Per chi fosse interessato, sto bene! XD Ho solo qualche livido e dolore sparso qua e là ma tutto ok!
Il capitolo a me piace molto e non solo per la prima luuuunga parte XD ma anche per il seguito dolce.
Fateci sapere cosa ne pensate!
Spero di riuscire a pubblicare lunedì prossimo, come al solito, in caso contrario vi chiedo scusa!
Buona lettura e a presto!
=)

 

                Capitolo 10



Rick mise le mani nelle tasche del suo cappotto, ma non aveva freddo; era troppo eccitato per avere freddo.
 
Il messaggio che gli aveva mandato gli aveva diceva di aspettarla nel vicolo sul lato sinistro del distretto. Vicolo in cui lui si trovava in quel momento. Pensò che l'avrebbe fatto entrare da una delle porte di emergenza, dato che la porta principale doveva essere chiusa a – che ore erano? Oh, le dieci e mezza. 
 
Un'uscita di emergenza. Quanto era fico?
 
L'avrebbe fatto entrare silenziosamente, come un agente segreto, come un-
 
come se Beckett avesse ricevuto l'appunto, una porta si aprì a pochi metri di distanza, una porta grigia e austera scricchiolò mentre il corpo snello di Kate la attraversava, dando una occhiata in giro.
 
Saltò verso di lei, sapeva che stava brillando troppo dalla gioia ma non poteva farne a meno, nemmeno di fronte allo sguardo leggermente esitante di lei. I suoi capelli erano disordinati, come se avesse avuto una lunga giornata e ci avesse passato sopra la mano per smuoverli molte volte; era completamente adorabile.
 
“Hey,” disse gioioso, saltellando verso la porta che Kate gli manteneva aperta. Non ci rifletté su: si sporse in avanti per darle un bacio veloce e sdolcinato sulle labbra, notando la sorpresa nei suoi occhi sbigottiti prima che si girasse per entrare nel distretto.
 
Il corridoio era oscuro, l'unica luce proveniva dall'insegna della porta di emergenza, e diavolo- lo adorava. Quando la porta sbattè, Kate si avvicinò al suo fianco, il suo viso attraversato dal pallido chiarore verde, i lineamenti più marcati, gli zigomi più pronunciati, i suoi occhi profondi. Tutto ciò che voleva era baciarla di nuovo.
 
“Dove è quella tua uniforme sexy?” chiese, notando che indossava dei semplici vestiti invece che dell'uniforme blu che lui trovava così attraente.
 
“Mi sono cambiata,” rispose lei, some se fosse ovvio. “Generalmente mi cambio quando non sono in servizio, Castle. La mia uniforme non è esattamente la cosa più comoda.”
 
“Ma è hot,” si lamentò, non potè frenarsi dall'immaginare di toglierla di dosso lui stesso-
 
“Beh, si. Scusa per la delusione,” disse, la sua voce breve, un po' stanca. “Allora il piano del Vice è vuoto. Ho controllato. Possiamo iniziare da lì.” Propose, diretta, come se fosse veramente una guida turistica che gli stava per spiegare la storia del posto.
 
No, no, no. Non sarebbe stato abbastanza, assolutamente.
 
Rick girò completamente il corpo verso di lei, avvicinandosi, e le sue labbra formarono un sorriso sornione quando capì che lei non si era spostata. Non lo guardava nemmeno, ma poteva vedere anche nella luce fioca come il suo respiro fosse diventato affannoso, poteva vedere l'amabile curva della sua gola che inghiottiva.
 
Oh, si era presa una bella cotta, vero?
 
Poggiò una mano fra i suoi capelli, stringendole la nuca così che potesse orientare il suo viso verso il proprio, e poi sbattè la bocca contro quella di lei. Kate aprì subito le labbra, così calde e  pronte, ogni parte di lei che si sollevava verso di lui, la lingua e i seni e i fianchi, quel corpo stupendo così stretto al suo.
 
Merda, chi se ne frega del tour- lui voleva lei.
 
La premette contro il muro e lei ringhiò contro le sue labbra, sexy e affascinante, facendogli pompare il sangue di bisogno. Le dita si aggrapparono al suo cappotto, troppi vestiti le impedivano di toccare la sua pelle, ma Rick non riusciva a pensare chiaramente con la lingua di lei nella bocca.
 
Lasciò scivolare una mano sotto la camicia e  fu contento di vedere che non indossava nulla sotto. Apparentemente non aveva bisogno di altri vestiti; la città si preoccupava abbastanza dei suoi protettori da mantenere i distretti caldi anche in inverno inoltrato.
 
A Castle non dispiaceva che i soldi delle sue tasse venissero spesi in quel modo.
 
Passò le dita per le costole, la sentì tremare contro la sua mano, arcuarsi in essa. Era così sexy…
 
“Allora, quanto- sicuro- è questo corridoio, esattamente?” mormorò contro la sua bocca, la sua mano che sfiorava il cotone del reggiseno. Spinse il pollice contro la pelle, lo passò sotto la coppa, e ottenne un gemito di piacere.
 
“Ah- abbastanza- abbastanza sicuro,” sospirò affannata, i denti che gli graffiavano il labbro inferiore. Le mani di lei si erano poggiate su i suoi pantaloni, appendendosi alla vita, ma non si muovevano.
 
“Non c'è alcuna possibilità che uno dei tuoi colleghi ci trovi qua giù, e ci arresti per atti osceno in luogo pubblico?” Oh, quello sarebbe stato fantastico- arrestati dentro il distretto stesso-
 
“No,” sospirò, tremando quando le leccò un punto particolare sul collo. “Sono tutti- usciti dall'altra parte.”
 
l'altra parte?
 
“Che vuoi dire?” chiese, baciandole la mascella tra le parole. “Questa è la tua entrata segreta, Kate? Mi hai fatto entrare di nascosto attraverso il tuo passaggio segreto?”
 
 Kate si lasciò sfuggire un gemito bisognoso e roco, i fianchi che andarono incontro ai suoi, le mani che prendevano a lavorare di nuovo- gli stava sfilando la camicia fuori dai pantaloni, cercando di raggiungere la zip.
 
Merda, era così sexy.
 Le premette un bacio contro la bocca, rude, adorando il modo in cui la sua lingua venne a scontrarsi contro la propria, lottando per il controllo. Dava esattamente quanto riceveva, e amava questo di lei.
 
Fece scivolare la sua mano sinistra sulla coscia, accarezzandola fino ad afferrarla, sentendo la contrazione dei muscoli mentre la poggiava sul proprio fianco; si aggrappò piacevolmente attorno alla propria coscia, il tacco spigoloso come un adorabile segnale di muoversi di più.
 
“Sollevami,” gli comandò, parlando nella sua bocca, senza neanche interrompere il bacio.
 
Le dita di lei erano ormai fra i suoi capelli, con una stretta ferrea, e dovette premersi le labbra alla piacevole tensione, la scintilla di dolore che si mischiava al piacere.
 
“Castle,” gemette, con un tono di voce che catturò la sua attenzione. “Afferra il mio sedere e sollevami,”
 
Oh. si.
 
Fece come gli era detto, il respiro smorzato quando aggiustò le gambe attorno alla vita, il calore di lei premuto giusto dove aveva bisogno.
 
“Oh si,” sospirò contro la sua guancia, le labbra schiuse, lo sfiorare dei suoi denti. “Oh.” iniziò a muoversi contro di lui, il corpo così morbido, che bruciava sotto le sue dita, e la sbatté contro il muro, non era abbastanza vicino, non con i loro vestiti addosso.
 
“Kate,” la supplicò, incerto per cosa la stesse supplicando, solo-
 
“Si, si,” rispose nel suo orecchio, afferrando la tenera carne del suo lobo fra i denti.
 
Cazzo, aveva bisogno di- non l'avrebbe fatto di nuovo, non con i vestiti-
 
riuscì a spostare una mano fra di loro, a trovare la zip dei jeans, premendo le dita dentro il materiale- Gesù, adorava i suoi vestiti attillati, ma erano poco pratici. Se solo potesse smetterla di ondulare contro i suoi dannati fianchi-
 
oh, ce l'aveva fatta. Sorrise compiaciuto, premendo due dita nelle sue mutandine, sentendo il pizzo sottile, la sua femminilità bagnata che si apriva per lui. Kate annaspava sul suo collo, il corpo improvvisamente irrigidito, come in attesa di ciò che le stava per fare; girò il capo per darle un bacio sulla tempia, e poi fece scivolare un dito dentro.
 
Poté sentire i suoi muscoli interiori che si aggrappavano intorno a lui, poteva sentire quanto stretta e pronta fosse, quasi all'orlo; l'avrebbe fatta venire.
 
“Sei bellissima,” sussurrò, perché era vero, e gli sembrò che le piacesse che le parlasse in quei momenti. Il lungo brivido che le percorse il corpo lo incoraggiò ad andare avanti. “Così soffice e bagnata, Kate.”
 
Miagolò, gli occhi le si chiusero come se non ce la facesse, come se non riuscisse a sopportare la vista di lui che le parlava.
 
“Voglio,” un sospiro, quasi un singhiozzo.
 
“Cosa?” spinse, la sua voce una carezza. Aggiunse un altro dito, muovendoli lentamente, lentamente, fuori, e poi dentro di nuovo. “Cosa vuoi, Kate?”
 
“Te,” disse a denti stretti. “Te, Castle. no- no-”
 
“Oh, mi avrai,” promise, sorridendole contro la guancia. “Mi avrai. Ma prima.”
 
e cominciò a muovere di nuovo i fianchi, in tempo con il ritmo delle sue mani nelle mutandine, sempre più veloce, contorcendosi e strofinando fino a quando rimase senza respiro, crollando contro di lui, il suo corpo preso dagli spasmi violenti, diventando sempre più bagnata, le labbra rosse congelate in una O di piacere mentre veniva.
 
Le lasciò prendere fiato, una mano attorno al collo, dandole dolci baci sulle palpebre, sul naso, sul mento mentre il piacere lentamente si dissipava. Kate si prese un momento per sentire di nuovo, sollevata da tutti quegli squisiti punti di contatto che provocavano fuoco nelle sue vene.
 
E poi aprì gli occhi, girò la bocca verso quella di lui mentre le sue mani viaggiavano giù.
 
Lo sentì scattare contro la sua mano, ansare nelle sue labbra, e sorrise.
 
Hmm, aveva le gambe attorno a lui, e non le avrebbe mosse per nulla al mondo per togliergli i pantaloni. Ma se avesse soltanto sbottonato la cintura, e finito di aprire la zip-
 
sicuramente ci sarebbe stato abbastanza spazio.
 
Aveva bisogno dell'altra mano per aprire la cintura, perché le sue dita continuavano a tremare; Castle rise, ma era una risata tremolante e tesa che non riuscì ad offenderla.
 
Quando raggiunse la soffice stoffa dei suoi boxer, grugnì indignata, così scocciata di fronte al nuovo strato di vestiti che si era dimenticata. Ma i boxer avevano una apertura, grazie a Dio, e attentamente guidò la sua erezione fuori. Le dita passarono sopra la pelle delicata, sulla punta accaldata.
 
“Ah, Kate,” ringhiò, i fianchi che spingevano piano nella sua mano.
 
Era esilarante, il potere che aveva su di lui.
 
E non provava a nasconderlo, non provava a riprendersi il controllo, semplicemente- lasciava tutto lì. I suoi occhi chiusi mentre godeva.
 
Intossicante.
 
Lo strinse, una, due volte e poi lasciò le sue dita scorrere per tutta la lunghezza mentre la sua mano sinistra lo afferrava. Succhiava aria come un uomo che stava affogando contro il suo collo, respiri profondi, frettolosi, e voleva così tanto premere la sua lingua contro di lui-
 
qualche altra volta.
 
“Fermati,” riuscì a dire, la sua voce strozzata. “Kate, fermati, fermati.”
 
fermò le mani ma non lo lasciò andare.
 
“Preservativo?” sussurrò, dato che era stato così insistente le altre volte.
 
“Oh. si. Nella mia giacca, dentro la tasca-”
 
Huh. Era riuscita a fargli dimenticare i suoi preziosi preservativi? Kate sorrise, così compiaciuta di se stessa. Cercò la tasca, dentro c'era il portafogli, un paio di preservativi riposti attentamente in un compartimento chiuso.
 
“Non vuoi perderli, uh?”
 
non rispose, semplicemente prese il preservativo che gli stava porgendo, strappò l'involucro con i denti. Il fuoco si infiammava nel suo basso ventre, si incendiava, e Kate lasciò che il portafoglio cadesse a terra.
 
“Aspetta,” disse, fermando la sua mano mentre si protendeva ad usare il preservativo. “Lascia a fare a me.”
 
non l'aveva mai fatto prima. I fidanzati che aveva avuto sembravano tutti convinti che mettere il preservativo facesse parte del ruolo da uomo, trattenne il respiro, curiosa di vedere cosa Castle avrebbe detto.
 
Non discusse. Le diede il preservativo con un gemito roco, i suoi occhi che si chiudevano al gentile lavoro delle sue dita. Kate strinse il labbro fra i denti, srotolò la protezione sulla sua lunghezza il più lentamente possibile; fare semplicemente quella cosa, essere in comando e avere la possibilità di sentire il modo in cui il suo respiro si smorzava al suo tocco-
 
la eccitava così tanto.
 
Strinse una  mano attorno a lui guidandolo, ma l'angolo della posizione era strano, non c'era abbastanza spazio; aveva bisogno che si spostasse indietro. “Castle,” sussurrò, il suo controllo che vacillava. “muoviti indietro.”
 
i suoi occhi si aprirono di nuovo lentamente, il blu che affogava nell'eccitazione oscura, il suo viso così attentamente irrigidito che quasi la faceva impazzire.
 
“solo di poco,” gli disse. “solo leggermente-”
 
mise le mani sulla sua vita, mantenendola ferma mentre si spostava all'indietro, e si, quello era perfetto. La punta di lui alla sua entrata, giusto nel-
 
spinse dentro lentamente, senza fermarsi, aprendola, e Kate dovette stringergli un braccio, tutto il suo corpo irrigidito,  ferito da quanto era perfetto.
 
“Cazzo,” gemette contro la sua tempia quando era tutto dentro.
 
Lei si arcuò in risposta, voleva sentire ogni possibile centimetro di lui.
 
“Si, per favore,” sussurrò nel suo orecchio, e lo sentì ridere, una risata strozzata, incomprensibile, prima che spingesse di nuovo.
 
La prese di sorpresa, iniziò a muoversi più velocemente, più forte, e non riuscì a trattenersi dal gridare, ancora una volta sbalordita da quanto fosse fantastico-
 
“devi essere silenziosa se non vuoi farti arrestare,” annaspò nella sua bocca, ma non riuscì a rispondergli, a trovare una battuta, non riusciva a pensare a niente altro se non a dire il suo nome, il suo nome.
 
“Cas- Castle,” supplicò, si lamentò, la testa che batteva contro il muro quando lui usciva e poi spingeva di nuovo dentro. Oh, oh, si-
 
“Ti piace violento, Kate?” le chiese nell'orecchio, e merda, merda, le sue parole mischiate con la dura realtà di quel muro dietro la sua schiena, mentre scivolava dentro la sua femminilità completamente bagnata, e quanto adorava il modo in cui le stava dentro-
 
spinse ancora una volta, così duro, così buono, e non potè farcela più; il suo corpo che si aggrappava attorno a lui, la testa tirata indietro, le gambe che afferravano la sua vita mentre i suoi muscoli interiori lo bagnavano, e premevano, premevano, senza mai finire, i suoi denti sulla spalla-
 
non riuscì a trattenersi; doveva girarli, e poi spingere con la sua schiena poggiata al muro, Kate sul suo grembo.
 
Il suo battito che non ne voleva sapere di decelerare.
 
Il petto di lei che continuava a respirare profondamente contro il suo, in tempo con il suo battito così accelerato, rimasero così per un lungo momento, la sua fronte appoggiata alla guancia, la mano che si aggrappava flebilmente alla sua schiena.
 
Indossava ancora il cappotto, notò scioccamente. Non c'era dubbio che sentisse caldo.
 
Giusto. Forse si sarebbero dovuti spostare da quel corridoio prima che la loro fortuna finisse e qualcuno li trovasse. Riposò la testa contro il muro, raggruppò quanta volontà potesse trovare.
 
“Hey, Kate?”
 
Lasciò andare un  profondo sospiro, come se si stesse svegliando da un sogno, e attentamente si spostò un po' più indietro per guardarlo, sistemando le ginocchia su entrambi i lati delle sue gambe.
 
“Si, lo so,” rispose, spostandosi i capelli corti con una mano. “Che ne dici se iniziassimo il tour dalla palestra, uh? È su questo piano e possiamo usare il bagno per... rinfrescarci.”
 
Merda, la sua voce era ancora così roca. Bellissima. Lui l'aveva resa così.
 
“palestra, uh? È dove alleni quel tuo corpo sexy?”
 
Lo sguardo che gli fece, sconcertato, di nuovo eccitato.
 
“Si, Castle” disse infine, gli angoli della sua bocca che si alzavano per formare un sorriso divertito. “E posso portarti quando vuoi.”
 
“Richiedo una prova,” disse, sghignazzando, guardandola mentre poggiava i piedi a terra.
 
Così alta, così sexy. Non traballò nemmeno su i tacchi, non lo guardò mentre si abbottonava i pantaloni, e richiudeva i bottoni della camicia.
 
Doveva alzarsi anche lui, realizzò, ma poteva sentire che le sue ginocchia si lamentavano alla sola idea.
 
“Ti darò tutte le prove di cui hai bisogno,” disse, sollevando un sopracciglio. Prese un paio di passi verso la sua destra, poi si girò, gli occhi che cercavano i suoi.
 
“Vieni o no?”
 
“Credevo di averlo appena fatto,” sorrise Rick, ma anche mentre lei gli roteava gli occhi, si stava già alzando entusiasta di seguirla.
 
La palestra era abbastanza semplice, muri di mattone bianco e un equipaggiamento che sembrava avere più di un paio d'anni, ma solo la consapevolezza che Kate usava quel posto per mantenersi in forma era abbastanza da renderlo totalmente interessante ai suoi occhi.
 
Si guardò attorno mentre lei usava il bagno, ferendosi la mano contro la sacca (dannazione, queste cose erano dure), e riuscì a fare solo un altro sollevamento pesi prima che cadesse a terra di nuovo, con le spalle che gli bruciavano.
 
Ok, forse doveva iniziare a fare un po' di ginnastica più spesso.
 
Kate si stava prendendo molto tempo; tornò indietro verso la porta da dove era sparita, e ci si appoggiò fino a quando lei non uscì. Gli diede una occhiata sorpresa.
 
“Potevi entrare, sai. C'era molto spazio.”
 
Aprì la bocca, non sicuro di cosa dire dopo una cosa del genere, non certo che l'avesse inteso proprio in quel modo ma mantenne la porta aperta per lui e poté vedere che ciò che lui aveva creduto un semplice bagno era in realtà uno spogliatoio con degli armadietti, dei lavandini, delle panche e....
 
“Hey, avete anche le docce!”
 
Gli sorrise maliziosa, i suoi occhi oscuri, troppa consapevolezza su quel viso. “Non trattenere il respiro, Castle. Le nostre docce sono difficilmente materiale da immaginazione.”
 
La oltrepassò ed entrò dentro, curioso di investigare; ma fu deluso di scoprire che aveva ragione. Più che ragione.
 
“Ew. Impossibile che mi laverei qui dentro,” affermò sconcertato, ispezionando il piccolo spazio. “Deve essere contro la salute questo posto.”
 
“Beh, forse non saresti così schizzinoso se i tuoi vestiti fossero ricoperti di sangue,” gettò lì come nulla fosse, facendolo voltare all'improvviso verso di lei.
 
Oh. lui- se- era il tipo che guardava l'aspetto più splendente delle cose, il bicchiere mezzo pieno, e quindi quando pensava ad essere un poliziotto... vedeva le cose più belle, la pistola, l'avere la possibilità di guidare oltre il limite di velocità, di mettere la sirena.
 
Non voleva pensare al resto, non in associazione con Kate, giovane, bellissima, affascinante.
 
“Ti è... mai capitato?” chiese, non riuscì a trattenere il modo in cui la sua voce si bloccò in gola. “I tuoi vestiti ricoperti di sangue?”
 
Idiota, pensò nel momento in cui aveva formato la frase. Era un poliziotto- certamente doveva, ma non lo prese in giro per la domanda, non cercò di raggirarla; lo guardò soltanto per un lungo momento, uno sguardo che gli pareva potesse vedere giusto attraverso il suo cuore.
 
“Si, Castle,” disse sofficemente. “è successo un paio di volte. La maggior parte delle volte però non era il mio sangue,” aggiunse con un piccolo sorriso, come se potesse confortarlo.
 
Ma non era così; fece l'opposto. Dovette lottare per potere respirare ancora.
 
“Hai mai ucciso qualcuno?”
 
il suo viso si scurì, i suoi occhi diventarono tristi, di un grigio nuvoloso. “Cosa credi che significhi essere un poliziotto, Castle?”
 
Ma era giovane.
 
“Chi era?”
 
Abbassò lo sguardo mentre prese un profondo respiro.
 
“Un ragazzo che stava spacciando droga in una strada. Volevamo arrestarlo tranquillamente, ma lui… Ha preso la pistola inaspettatamente, puntandola verso la testa del mio partner, ed io-”
 
“Hai fatto ciò che dovevi,” sussurrò Rick, sentendo un senso di colpa fluire dentro di sé per averle fatto ammettere una cosa simile.
 
Dopo un po' riprese a guardarlo, all'erta ma sicura di sé, senza vacillare. “ho sparato a un paio di persone, lo sai. Quel ragazzo è stato l'unico a morire fino ad ora, ma è naturale che ce ne saranno altri. Ti ho avvertito. Non sono qualcuno che vuoi conoscere-”
 
La bloccò con la sua bocca, le labbra che lavoravano gentilmente sulle sue, niente di troppo violento come prima. “per quel che conta,” disse tranquillamente, mantenendo il suo mento con due dita, “forse quello spacciatore di droga avrebbe cercato di vendere la droga alla mia bambina un giorno. E forse avrebbe detto di no, e lui avrebbe cacciato la pistola comunque, e lei sarebbe stata quella morta in un vicolo. Non credere che non sia grato, Kate. E potrei non vedere, come poi faccio, ma capisco quanto ti debba essere costato.”
 
Sentì il piccolo sospiro che lasciò andare, un piccolo soffio di calore sulle labbra, e poi la sua mano percorreva il suo petto, fino a poggiarsi sul suo collo mentre lo baciava di nuovo, un bacio lento, profondo e offuscante.
 
“Credo che abbiamo visto abbastanza della palestra, uh?” gli sussurrò contro il mento mentre lo lasciava andare, gli occhi che si aprivano di nuovo con un battito di ciglia seducente.
 
“Mhh, decisamente,” rispose, lasciando un piccolo bacio all'angolo di quella bellissima bocca. “Voglio vedere il piano del Vice adesso. Me l'hai promesso.”
 
Qualcosa come sorpresa apparve sul suo volto, ma era seguito da un sorriso, quasi invisibile. “ho detto forse, Castle. Quella non è una promessa.”
 
“Certo che lo è,” disse felicemente, trascinandola via dal muro e verso la porta. “Hai detto che forse mi avresti mandato un messaggio e poi mi avresti fatto fare un giro. Mi hai mandato il messaggio, dunque hai preso l'impegno di darmi quel promesso tour.”
 
Sbuffò una risata, e scosse la testa. “La tua mente è contorta.”
 
“Nonostante ciò, ami i miei romanzi,” rispose alzando un sopracciglio.
 
Gli diede un piccolo schiaffo sul petto, abbastanza forte da fargli aprire la bocca in protesta- ma non  gliel'avrebbe concesso. “è meglio che questa sia l'ultima volta che usi questa cosa contro di me, Richard Castle,” lo avvisò. “o la prossima volta il tuo orecchio sarà quello a soffrire. E non sarà bello.”
 
Ohh, quello era spaventoso. Ma quasi eccitante.
 
Quasi davvero eccitante.
 
Stava aspettando una sua risposta, il suo sguardo accigliato che riposava su di lui, e poi annuì vigorosamente, avrebbe fatto qualsiasi cosa per accontentarla.
 
“Adesso possiamo andare a visitare il piano del Vice?”
 
Rise, tutta la severità da poliziotta svanì, e semplicemente amava quello scorcio di sorriso che ottenne. Dio, era stupenda.
 
“Va bene,” disse infine. “Ma ne sarai deluso.”
 
Lo condusse per la via con due dita che si aggrappavano rilassatamente alle sue, i fianchi che oscillavano in quei jeans così stretti, e non era sicuro come dirle che non sarebbe mai stato deluso da un posto che lei gli mostrava.

 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Hola chicas! 
Scusate il ritardo ma ho finito adesso di tradurre...
Spero non ci siano boiate di frasi tradotte XD 
Buona lettura!
Io e Anita siamo sempre curiose di sapere le vostre opinioni. =) 
A presto!

       


           Capitolo 11



Aveva così tante domande.
Kate aveva sperato che uno sguardo ai piani del Vice avrebbe soddisfatto l’uomo, che non ci fosse nulla di interessante in quel luogo.
Non poteva essersi sbagliata più di così!
Castle voleva sapere tutto. Voleva sapere della squadra; cosa facesse tutto il giorno, qual era la parte preferita del suo lavoro, cosa mangiassero a pranzo.
All’inizio ne fu lusingata, lui era il suo scrittore preferito e, anche se non lo fosse stato, era comunque un uomo di bell’aspetto che mostrava interesse nei suoi confronti, quindi avrebbe avuto lo stesso effetto su di lei (almeno questo era quello che si ripeteva).
Ma il flusso interminabile di domande divenne velocemente esasperante, sembrava non stancarsi di farle; inoltre alcune di esse erano decisamente inutili e Kate non era un tipo di persona paziente.
Così, quando chiese se avevano una consegna giornaliera di ciambelle, lei pensò che fosse abbastanza.
“Ok, Castle. Penso che possiamo andare adesso.”
“Cosa?” Esclamò come un ragazzino. “ Ma io non ho ancora visto niente!”
“Mi prendi in giro? Cosa abbiamo fatto nell’ultima mezz’ora?”
Aprì la bocca, uno sguardo ribelle sul suo volto, ma lei non gli diede la possibilità di parlare.
“Forse avresti dovuto evitare di farmi domande se avessi voluto visitare il posto, Castle. Adesso il tuo tempo è scaduto. Andiamo.”
Si voltò di spalle, fece qualche passo verso l’ascensore, e si guardò indietro.
Lui non si stava muovendo.
“ Te le posso dare, lo sai vero?” Disse, la sua voce decisa seppur stanca.
“Oh, questo è sexy.” Sorrise e lei alzò gli occhi.
“Castle.”
“Che ne dici di un compromesso? Tu mi mostri un’ultima cosa e poi andiamo.”
 
Era così fastidioso il modo in cui negoziava costantemente. Ma era imbronciato e le stava facendo quello sguardo e…
“E poi ce ne andremo?”
“Promesso!” Disse con entusiasmo, il suo viso illuminato nonostante la semi-oscurità.
Aveva lasciato le luci spente, non voleva che si sapesse della loro presenza a quell’ora ma sembrava che a Castle piacesse di più, la segretezza, l’essere furtivamente dentro.
Vallo a capire.
“Bene..” Cedette con un sospiro. “Che cosa vuoi vedere?”
“Avete un poligono di tiro?”
Oh no.
“Non ti mostrerò il poligono di tiro, Castle!”
“Ma hai detto…”
Si avvicinò e gli prese bruscamente l’orecchio tra le dita.
“Ow ow ow. Kate mi fai male, per favore…”
Allentò la presa ma non la lasciò completamente. Doveva imparare.
“Io non ti mostrerò il poligono di tiro perché ti conosco, hai intenzione di sparare e non c’è nessun motivo al mondo per cui io ti permetta di prendere la mia pistola e sparare alle undici di sera. O in qualsiasi altro momento. Chiaro?”
“Si, si.” Disse pietosamente, la mano a coprire l’orecchio, come se temesse il prossimo attacco.
Strinse la bocca, ma decise di credergli e indietreggiò.
Stava borbottando qualcosa sottovoce circa il suo essere folle, non conoscendo la sua forza, e non potè fare a meno di sorridere segretamente.
Era troppo curioso, poteva essere fastidioso per questo ma….sicuramente era molto divertente prenderlo in giro.
“Allora, cosa vuoi vedere, oltre al poligono?”
Si stava ancora strofinando la mano sull’orecchio ma l’espressione del suo viso si trasformò velocemente da moscia a riflessiva.
“C’è una stanza per gli interrogatori su questo piano?”
Avrebbe dovuto pensarci.
“Si in realtà. Laggiù” Annuì indicando la loro destra.
Lui la osservò insicuro.
“Posso vederla?”
Si morse il labbro anche se sapeva che lui poteva vedere il suo piccolo sorriso.
“Si Castle, possiamo vederla. Posso anche fare delle domante sulle tue attività della scorsa notte.” Aggiunse sollevando un sopracciglio.
“Ohh, giochi di ruolo.” Mormorò lasciando che lei lo guidasse. “Mi piacerebbe!”
Si, aveva pensato che gli sarebbe piaciuto.
 
 
“Quindi, questo è il famoso specchio unidirezionale, giusto?”
Bussò sul vetro ma non gli sembrò diverso da uno specchio normale. Impressionante.
“Si.” Gli rispose da dietro le sue spalle.
“Qualcuno potrebbe guardarci proprio adesso da lì dietro, Castle!”
Guardò il vetro quasi spaventato e si voltò verso di lei. Era seduta per metà sul tavolo della stanza, la lunga linea delle sue gambe distese davanti a lei.
“Sul serio?”
Lei lo guardò. “Lo sai che nessuno è qui.  Eravamo soli poco fa.”
“Hey non puoi saperlo se magari qualcuno si è nascosto per tutto questo tempo!”
“Certo Castle. Perché tutto quello che vogliamo fare quando terminiamo il turno è nasconderci al distretto e spiare qualsiasi ipotetico interrogatorio che potrebbe avvenire qui!”
Punto per lei.
“Ne fai parecchi?” Chiese. “Interrogatori?”
“Io no. Solo i detective. E a essere onesti, al Vice, gran parte del nostro lavoro è sulla strada o sotto copertura…Cercando di catturare le persone in flagranza di reato. Questa sala non la si usa molto.”
“Che peccato!” Osservò, la sua voce bassa mentre le si avvicinava. “E’ una bella stanza.”
Lei lo guardò, gli occhi profondi, l’unica luce proveniente dalla porta socchiusa.
“Allora…” Disse a voce alta mentre le si faceva sempre più vicino e lei rimaneva seduta per metà sul tavolo. “Lavorare al Vice non è facile, non è così? Anche per te che passi il tempo fingendoti una prostituta, lo rende difficile.”
Non era sicuro che lei avesse capito quanto gli avesse rivelato quella sera, non volontariamente, certo, ma i suoi silenzi e le sue pause  erano parole se si era in grado di ascoltare.
Aveva una voce molto espressiva. Lei non rispose quindi lo prese come un si.
“Cosa faresti se potessi scegliere? Non riesco a vederti alla narcotici o alla sezione furti…”
“Non posso permettermi di essere pignola, Castle.”
“Ah ma si può sognare, no? E il tuo sogno…” Fece una pausa scrutando il suo viso. “Il tuo sogno è entrare nella Omicidi. Risolvere il caso di tua madre. Dare alla gente le risposte che tu non hai avuto.”
Lei rimase in silenzio ma Castle poté vedere il movimento della sua gola anche nell’oscurità, poté sentirla prendere una grossa quantità d’aria.
“Ho ragione, Kate?”
 
E poi le sue mani furono a pugno sulla camicia dell’uomo, il suo corpo si mosse a una velocità innaturale e prima che potesse fare qualsiasi cosa il suo fondoschiena sbatté su una sedia, il viso della donna su di lui, le sue labbra così vicine…
“Non sei tu che fa le domande qui, Castle!”
Oh merda.
La sua voce era acciaio vellutato, la sua presa su di lui così forte e la reazione del suo corpo fu istantanea.
“Allora, dov’eri la scorsa notte tra le 22 e la mezzanotte?”
Era così sexy. Non riusciva a crederci.
“Io, uh…”
Le dita della donna si strinsero intorno al colletto, la pressione quasi dolorosa, lo stomaco contorto.
La voleva.
“Ti ho fatto una domanda, Castle!”
Merda, voleva giocare, lui lo voleva davvero ma vederla così determinata, così…
Non riusciva  a pensare.
“Casa.” Rispose finalmente. “Ero a casa, agente.”
“C’è qualcuno che lo può confermare?” Gli chiese e, seriamente, quella frase dalla sua bocca suonava come qualcosa di veramente sporco. “Perché non sta andando molto bene per lei, Castle. E’ ancora il principale sospettato in un’indagine d’omicidio!”
Omicidio, uh?
“Ah si, ero con una donna.”
Lei sbuffò, lo fece così bene che sembrò realmente scocciata. “Certo. Dove posso trovarla?”
“Uh, potrebbe…Potrebbe aver sentito parlare di lei.” Inghiottì. Non voleva altro che lei si sedesse sulle sue ginocchia. Andiamo, Kate…
“E’ un poliziotto come lei. Alta, capelli scuri, bella. E davvero molto intelligente. E, wow, a letto..”
Non lo lasciò finire.
Alla parola letto la sua bocca fu su quella dello scrittore, bagnata e selvaggia, e lei fu su di lui, i fianchi incollati, le gambe su entrambi i lati dell’uomo. Avvolse le braccia intorno a lei, all’altezza della sua vita, l’arco della sua schiena…
Mosse i fianchi contro quelli della donna e la sentì gemere contro le sue labbra. Era così sexy, così ‘animale’ che gli venne voglia di prenderla sul tavolo.
E perché no?
Nessun altro era lì. E poteva farlo tutta la notte.
Poteva farla venire fino a quando lei gli avesse pregato di fermarsi.
 
 
Il suo fondoschiena colpì il bordo del tavolo interrogatori e si sentì placcata dalla frenesia delle sue mani.
Era al distretto, nel suo luogo di lavoro, il suo posto sicuro. Era stato già abbastanza brutto che gli avesse permesso di prenderla nel corridoio al piano inferiore, ma qui…Nella sala interrogatori del Vice?
No.
No, no, no.
“Castle.” Lei respirò sentendo il grugnito sul suo collo. “Castle, fermati!”
Era appena riuscito ad issarla sul tavolo, gli diede un adorabile sguardo confuso.
“Huh?”
“Fermati.” Ripeté, non riuscì a dire altro. “Non qui.” Disse alla fine.
“Hai iniziato tu!” Sottolineò sollevando un sopracciglio maliziosamente. Ma fece un passo indietro senza altre obiezioni, e gliene fu grata.
Non era sicura che lei avrebbe fatto lo stesso per lui.
Kate giaceva con una mano tremante sul tavolo spingendosi per rialzarsi mentre Castle si riattaccò i bottoni della camicia.  Egli si passò una mano tra i capelli e l’eccitazione della donna comparve di nuovo con un forte bruciore nelle viscere.
“Andiamo a casa mia.” Disse allora. Il suo bisogno troppo forte per essere represso.
 
 
I suoi occhi incrontrarono quelli di lei, un accordo oscuro e senza parole.
“La mia macchina è fuori.” Disse e la sorpresa per l’auto fu per un attimo dimenticata dalla soddisfazione di avere una rapida via di fuga.
Kate si aggiustò i pantaloni e si avvicinò all’uomo. I suoi tacchi resero più facile dargli un bacio sulle labbra.
“Fai strada allora!”
 
 
Guidò lei. Conosceva la strada dal distretto al suo appartamento, lui ovviamente no.
Ed era un motivo come un altro per tenere le mani lontane da lui.
Era molto sorpresa di quanto Castle riuscisse a controllarsi. Aveva mosso freneticamente la coscia durante tutto il tragitto ma nient’altro, non l’aveva provocata. Solamente il salire e scendere del suo pollice lungo i pantaloni.
Parcheggiò sul lato opposto della strada.
“Ti piace? Una donna che sappia guidare, non lo trovi sexy?”
Poteva vedere il suo pomo d’Adamo muoversi mentre lei si slacciava la cintura di sicurezza, il volto dello scrittore rigato dalle ombre del lampione.
“Qualsiasi cosa tu faccia lo trovo sexy!” Rispose con voce bassa e pericolosa.
Lei rise, aprì la portiera: “Sdolcinato, Mr Writer. Ti ha mai detto nessuno che ci sai fare con le parole?”
Lui sbuffò, per divertimento, indignazione?, non ne era sicura. Si affrettò ad uscire dalla macchina seguendola dall’altra parte della strada. Quando aprì il portone del suo palazzo, era proprio dietro di lei, come se avesse paura che lei non lo facesse entrare, carina ma inutile preoccupazione.
Non ci sarebbe voluto molto a fargli ammettere che era preoccupato ma lei doveva essere onesta con se stessa e riconoscerlo: lei lo voleva!
 
Sembrava avessero raggiunto un tacito accordo, forse perché le cose al distretto erano state così selvagge, veloci, senza preoccuparsi di togliersi i vestiti di dosso.
Questa volta fecero le cose lentamente.
Lasciò che lei lo spogliasse, ipnotizzato dal piacere che sembrava trarne, tutti quei piccoli sguardi, tutti quei piccoli tocchi che sembravano marchi caldi in contrasto con la sua pelle.
Quando il suo petto fu nudo, cadde in ginocchio davanti a lui e il respiro gli si bloccò in gola.
Lui non…
Non era una delle posizioni più comode. Forse per le immagini che gli evocavano, o forse perché era la posizione in cui aveva trovato Meredith con il suo regista, in casa loro, quando Alexis era ancora una bambina piccola.
Ma non poté negare  a se stesso che vedere Kate lavorare sulla sua cintura con dita agili, il modo in cui i suoi occhi guizzavano verso di lui, incorniciati da quelle scure ciglia bellissime e le labbra socchiuse…
Già…Wow.
Valeva certamente la pena provare a superare il trauma.
La cintura cadde sul pavimento con un tonfo, la fibbia metallica contro il legno; poi abbassò la cerniera, con attenzione, lo sguardo della donna non lasciò mai il suo.
Oh, era bellissima!
Abbassò i pantaloni giù fino alle gambe, le sue mani a seguire il materiale fino alle caviglie aiutandolo a toglierli e portandosi con sé i calzini.
Le sue mani si fecero strada nel percorso inverso, accarezzando la pelle sensibile della parte posteriore delle cosce e lui sospirò pesantemente quando le sue dita agganciarono l’elastico dei suoi boxer.
“Kate..” Disse, la voce impastata. Doveva essere sicuro che…
Lei sollevò il tessuto tirandolo verso il basso, giusto qualche centimetro, e si abbassò verso di lui premendo il palmo della sua lingua alla sua base.
Castle rabbrividì violentemente, raccolse tutto il suo autocontrollo per non spingere verso di lei i propri fianchi.
“Kate, non devi farlo..” Sussurrò con urgenza, senza fiato, parlando finchè poteva ancora farlo.
Lei inclinò la testa all’indietro, inchiodandolo con lo sguardo, gli occhi scuri, fiduciosi, trionfanti.
Irradiava potere e sesso, così gloriosa e bella che lui si chiese se avesse mai pensato di…
“E se voglio?” Gli rispose con voce roca.
Abbassò completamente i boxer, lo accolse tra le labbra per tutta la sua lunghezza prima di passare la lingua sulla sua erezione e avvolgendo la sua calda bocca intorno a lui.
Cazzo.
Chiuse gli occhi, le sue mani raggiunsero i morbidi e lucidi capelli della donna.
Roteò la lingua intorno a lui, facendolo gemere, le ginocchia gli tremarono per il piacere che lei gli procurava.
“Se io amassi…” Mormorò, il respiro caldo contro la sua pelle, e le parole, incantevoli parole. “averti in mio potere? Se io volessi mandarti…fuori di testa?”
La sua mano lo afferrò e lui grugnì, non si curò del suono che produsse quando lei lo prese nuovamente in bocca. E questa volta…E questa volta succhiò, lentamente, attentamente ma non importava lui stava per…
“No!” Disse con voce stridula. I suoi occhi si spalancarono, i suoi fianchi si mossero senza il suo consenso.
“Non in bocca Kate! Oh..”
Lei si fermò, le sue labbra ancora attorno a lui rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
Non poteva dirglielo, non voleva. Sarebbe stato umiliante. Lei non avrebbe dovuto…
“Voglio essere dentro di te!” Disse infine, e lei vide la sua esitazione sul viso, come se ci fosse una storia più profonda dietro. Ma lo ascoltò, passando però la lingua un’ultima volta facendolo quasi impazzire, poi si alzò.
Indossava solo la propria biancheria intima(lui l’aveva spogliata quando erano entrati nell’appartamento) e il pizzo del suo reggiseno viola gli sfiorò il petto quando gli avvolse le braccia intorno al collo; si alzò sulla punta dei piedi per baciarlo intensamente.
Aprì la bocca per lei, tracciò con una mano la sua schiena solo per sentirla tremare, il pollice lungo la linea della spina dorsale.
“Ok!” mormorò sulle sue labbra e fece un passo indietro, un altro, e lo condusse verso la camera da letto.
 
Non voleva dormire.
Lei non gli permise di farlo. L’aveva riempito di una strana e potente energia.
Il lenzuolo le copriva la vita e lui lo spinse in basso così da poter contemplare la splendida linea del corpo, la morbida pelle e le audaci curve, le sinuosità dei muscoli che sempre lo avevano abbagliato.
Forte. Lei era così forte.
“Mi piacciono le tue ossa iliache!” Le disse pigramente seguendo la curva di uno di essi col pollice.
Kate aveva la testa poggiata sulla mano; lo stava osservando dalla parte opposta del letto, le palpebre pesanti per il sonno, il suo viso più dolce di quanto non avesse mai visto.
“Le mie ossa iliache…” Gli fece eco. La bocca piegata in un sorriso e lui poté vedere come tentasse di contenere una risata.
“Che gran bel complimento, Castle. Voglio dire, credo sia la prima volta che riceva un complimento del genere!”
“Dico sul serio.” Rispose e si chinò a baciarle le ossa del bacino assaporando la pelle tesa. Aveva la mano sul suo addome e poté sentire il movimento di quest’ultimo nel tentativo di prendere aria.
“C’è qualcosa di bello nelle tue ossa pelviche. Sono particolari, non come se fossi anoressica o qualcosa di simile solo…abbastanza da catturare la luce e questo piccolo spazio…” Egli lo tracciò con il dito. “ E’ sempre in ombra per questo. Come una pozza d’oscurità. Che fa venir voglia di porvi la lingua per sentire il sapore che ha.”
Gettò lo sguardo verso di lei vedendo come l’eccitazione le attraversò gli occhi, il petto sollevarsi ed abbassarsi più velocemente di prima. Si chiese se potesse farla venire di nuovo prima di farla addormentare.
Premette la lingua contro lo spazio delicato che aveva appena descritto, con le dita piegata intorno alla vita di Kate per tenerla ferma e sentì l’improvviso sollevamento dei suoi fianchi.
Oh, si. Poteva.
“Vedi?” Sorrise contro il fianco, sfiorandole le ossa con i denti mentre le mani le afferrarono le cosce aprendole.
“Bellissima!” 

 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Anita chiama, Matilde risponde! XD
Ecco il nuovo capitolo, piuttosto interessante direi....=p
Buona lettura!

                                          Capitolo 12



Kate si svegliò in un letto vuoto, in una mattina fredda e grigia.

Sbattè gli occhi sorpresa, non tanto per la sua solitudine ma più che altro per il suo spaesamento. Sbadigliò profondamente, e si girò su un lato per vedere l'ora sulla sveglia.

Le sei meno cinque.

Il suo corpo aveva la tendenza ad alzarsi sempre qualche momento prima della sveglia, il suo orologio interno era un meccanismo ben oliato, ma non poteva sempre fidarsi. Si strofinò il viso con una mano, sentì la fatica nei muscoli, le sue gambe stanche ancor prima di poggiare a terra.

Tutta colpa di Castle.

Sorrise sotto i baffi.

Ok, forse era anche colpa sua. Ma ne era valsa la pena.

Nonostante ciò, quando si alzò in piedi, il suo corpo si ribellò, e desiderò tanto aver dormito un po' di più. Aveva un ottimo fisico, si manteneva bene; non c'era nessuna ragione per la quale non potesse fare qualche... esercizio extra.

Ma la mancanza di riposo la rendeva sempre dolorante, e Castle l'aveva tenuta sveglia fino a tarda notte. O fino a questa mattina. Dipendeva da come la si vedeva la cosa.

Iniziò la sua routine, il getto caldo della doccia che faceva miracoli per la sua schiena, e poi prese due tazze di caffè prima di andare.

Forse oggi sarebbe stato un giorno tranquillo.


Non era un giorno tranquillo; non era neanche una settimana tranquilla.

Beckett era stata chiamata per un caso che era davvero una grande operazione di sorveglianza, bisognava scoprire un traffico di ragazze dell'Est; quasi tutta la squadra del Vice partecipava, poliziotti sotto copertura nei bar, nei club, nelle strade.

Sembrava eccitante, e sarebbe stato buono per la sua carriera, ma in pratica significava stare dodici ore al giorno in un sudicio vicolo, con il sedere al gelo nei suoi vestiti da prostituta. Quando si ritirò la sera, era troppo stanca per fare una qualsiasi cosa che non fosse svenire sul letto.

Aveva ricevuto un paio di messaggi da Castle, uno che chiedeva se era libera per dei drink, ma era così congelata e spossata in quel momento che nemmeno il pensiero della sua bocca poteva farle rispondere in modo positivo. Gli aveva raccontato del caso, però, e sembrò capire, non le chiese più nulla.

Ma non la smetteva di mandare messaggi.

Continuavano ad arrivare alle ore più improbabili, senza nessuna logica dietro; a volte le diceva delle cose strane che aveva mangiato a colazione, ma la maggior parte delle volte le chiedeva delle cose sul lavoro che stava facendo. Andava da quanti cattivi ragazzi hai arrestato oggi?  A  Allora qual è il tuo sexy nome da prostituta questa volta? E non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma per quanto potessero essere sciocchi i messaggi, era contenta di quella distrazione.

Del suo interesse.

Era qualcosa di nuovo per lei. Kate Beckett non era mai voluta essere al centro dell'attenzione. Non era mai stata qualcuno che aveva bisogno dell'attenzione degli altri per spiccare, per esistere; le stava perfettamente bene farsi strada da sola, facendo le sue cose.

Ma Richard Castle-

il modo in cui la guardava, l'intenso blu dei suoi occhi, come se stesse sempre cercando di leggerle i pensieri, ad indovinare come si sentiva. Questo la toccava nel profondo.

E non se l'aspettava. Non lo capiva nemmeno.

Sapeva solo che le piaceva.

Il suo telefono prese a squillare e Kate sobbalzò per poi ritrarlo fuori dalla piccola tasca della sua strettissima gonna. Onestamente, non sapeva dove il Vice trovasse i vestiti, ma di certo avevano bisogno dell'aiuto di uno stilista.

Huh, era di nuovo Castle.

Stava aprendo il messaggio quando sentì una macchina arrivare, il rallentarsi del motore il suo unico avvertimento; Beckett chiuse il telefono velocemente e lo rimise apposto, poi ondeggiò i suoi fianchi e fece un passo in avanti.

Oh, chi se ne frega. Era una Crown Vic, una delle loro- e il Detective Johnson stava guidando, lo vide quando abbassò il finestrino.

“Beckett, hey. Entra dentro,” disse, annuendo verso lo sportello del passeggero.

“dovrei controllare questo vicolo tutto il giorno,” rispose lei tranquillamente, ma anche mentre parlava, si era già spostata verso la macchina, aprendo lo sportello. Tecnicamente, Johnson era il suo superiore- quindi lei doveva obbedire ai suoi ordini.

E decisamente non stava morendo dalla voglia di passare un altro giorno a fare la prostituta.

“non più,” le rispose il detective, avviando la macchina appena aveva allacciato la cintura di sicurezza. “c'è stata una apertura nel caso, e siamo pronti a fare un paio di arresti. Potrebbe non andare in modo liscio, quindi abbiamo bisogno di quanta più gente possibile.”

Beh, lei era sempre pronta per un po' di azione.

“Ci fermiamo prima al distretto?” volle sapere, sperando di riuscire a togliersi quei ridicoli vestiti di dosso. Non amava la sua uniforme, ma ora come ora anche l'idea di un sacco di patate le sembrava come un paradiso.

Johnson le diede una veloce e asciutta occhiata prima di entrare nel traffico sulla quinta Avenue.

“vorresti dirmi che non vuoi fare un arresto con questi vestiti, Beckett?”

“solo non voglio che qualcuno si distragga, sai. Potrebbe causare un qualche incidente.”

Johnson ridacchiò- il che, wow, era davvero strano per uno come lui, probabilmente l'unica emozione che gli aveva visto esprimere- e disse, “Touchè, ufficiale.”

Trascorsero il resto del viaggio in un tranquillo silenzio, e Beckett non riusciva a smettere di pregare che nel giorno in cui sarebbe diventata Detective, il giorno in cui le avrebbero dato un partner, ne avrebbe avuto uno almeno la metà uguale al Detective Johnson.

Gli arresti molteplici andarono bene come avevano sperato. Beckett aveva avuto anche la possibilità di spiccare quando uno dei sospettati aveva cacciato fuori la pistola e lei era stata abbastanza vicina da toglierla dalle mani; alla fin fine, era stata una bella giornata.

Solo non si aspettava che Montogmery premiasse il team per le loro fatiche ordinandoli di prendersi il resto del giorno libero. E anche la mattina seguente.

Erano solo le quattro del pomeriggio. Cosa cavolo avrebbe potuto fare?

Il resto della squadra del Vice era abbastanza contenta, certo, quindi lei deglutì le sue obiezioni e uscì con loro, non senza un'ultima occhiata desiderosa alla scrivania che condivideva con gli altri ufficiali.

Avrebbe potuto finire di compilare le carte-

oh, andiamo, Beckett.

Aveva appena trascorso quattro giorno in una strada fredda e sudicia a fare praticamente niente- sicuramente poteva godersi una piccola pausa dal lavoro. Sicuramente poteva trovarsi qualcosa da fare che non includeva la pornografia o la prostituzione.

Solo nel momento in cui si trovò nella metropolitana si ricordò del messaggio di Castle. Merda, dov'era il suo telefono? Si ricordava di averlo tolto dai vestiti da prostituta, ma cosa aveva fatto-

oh, la tasca della giacca. Bene. Whew.

Non voleva davvero ritornare al distretto solo per uno stupido telefono.

Lo aprì e lo schermo si illuminò, con il messaggio di Castle.

Credo che dovrei uccidere Clara Strike, e fare incontrare a Derrick una poliziotta del Vice sexy invece. Che ne pensi?

Rise di gusto, scuotendo la testa e ignorando le occhiate dei passanti. Se uccidi Clara Strike, Castle, non farò mai più sesso con te. Gli rispose

Il treno si era finalmente fermato, Beckett uscì e prese il taxi più vicino, le sue dita strette attorno al telefono, mentre aspettava un nuovo messaggio. E non dovette aspettare molto.

Mai è un lungo tempo.

Si morse il labbro, sorridendo, e chiedendosi se avesse veramente potuto tenere fede a quella minaccia. Aveva delle mani eccezionali. E la sua bocca. e-

Spetta a te scegliere, gli rispose.

La vibrazione di nuovo del suo telefono. Ma se il povero Derrick avesse bisogno di un cambiamento?

Kate roteò gli occhi, le dita che aggrappavano le chiavi. Ciò di cui Derrick ha bisogno è della sua anima gemella.

Anima gemella, huh? Quella è una parola abbastanza forte.

Scosse di nuovo la testa, non riusciva a trattenersi- si stava comportando come uno sciocco. Era lui quello che scriveva quei personaggi; sapeva perfettamente cosa significavano l'uno per l'altra.

Qualche piano per stasera? Gli scrisse, decidendo che era tempo di cambiare argomento.

La sua risposta fu quasi istantanea. Perchè, Kate, mi sembra quasi un invito.

Sogghignò, e rispose prima che potesse cambiare idea.

Forse lo è. Porta il vino.

Il panico non colpì fino a qualche momento dopo.

Stava cercando di trovare qualcosa da indossare, agonizzando di fronte al suo armadio, quando diede una occhiata a la sua sinistra e trovò il suo riflesso nello specchio. I suoi capelli erano un casino, il suo corpo coperto in una biancheria intima nera che aveva scelto con cautela, e-

cosa diavolo stava facendo?

Si stava preparando per un appuntamento?

Merda. Merda.

Kate dovette forzare l'aria nei polmoni, una mano che si andò a poggiare sul petto, e poi sbattè l'anta dell'armadio.

Non poteva farlo.

Che stava pensando?

Oh, Dio. Era così dolce, e il sesso così buono, e lei- e lei cosa? Era stata illusa da un falso senso di sicurezza, e adesso pensava che poteva farcela, che poteva essere come chiunque altro, essere normale. Che poteva avere una vita.

Si lasciò ricadere sul letto, senza respiro, il suo cuore che martellava nel petto, la sua vista che diventava sempre più nera. Merda, no, no, no non questo.

Solo respira, Beckett, solo... calmati.

Mandò la testa all'indietro, lasciando che i suoi occhi si concentrassero su qualcosa. Si morse il labbro e ricacciò via l'ansia, poco a poco, mentre le sue mani stringevano il copri letto.

Non doveva essere per forza un appuntamento, si disse, cercando di rilassarsi. Poteva essere tutto ciò che voleva. Poteva decidere.

Poteva-

Oh, effettivamente.

Si alzò in piedi lentamente, fece un paio di passi verso l' armadio, e cominciò a frugarci dentro. Se solo avesse ancora quella cosa...

Ah, eccola, tutta sgualcita nel fondo dell'armadio, con la targhetta ancora attaccata. Non l'aveva mai usata.

Kate prese un profondo respiro, appoggiandosi all'armadio, le sue dita che affondavano nel soffice tessuto. Poteva farcela.

Sarebbe andato tutto bene.


Rick non era veramente felice di lasciare Alexis nelle mani di sua madre, ma Martha aveva insistito che non aveva visto sua nipote per troppo tempo, e che era capace di prendersene cura per la notte.

“è successo solo una volta, Richard,” l'aveva supplicato alla porta, la sua voce tanto bassa quanto poteva farla Martha Rodgers. “davvero ce l'avrai con me per sempre per questa cosa?”

Così aveva fatto un passo indietro, provando ad ignorare il ricordo di lei spaparanzata sul divano, completamente ubriaca, con una Alexis di sei anni addormentata al piano di sopra.

Voleva bene a sua madre. Davvero.

Solo che- aveva bisogno di gente di cui fidarsi vicino ad Alexis. E lui vorrebbe che lei appartenesse ancora a quella categoria.

Vero, era successo solo una volta. E nonostante amasse l'alcol, Martha generalmente conosceva i suoi limiti, sapeva quando fermarsi; non l'aveva vista ubriaca da almeno un anno. Forse di più.

Sarebbe andato tutto bene.

Lasciò andare un profondo sospiro, e provò a ricacciare indietro tutta la preoccupazione mentre entrava nell'ascensore, premendo il tasto al terzo piano, dove viveva Kate.

Kate. L'invito l'aveva sorpreso; era sembrata di più la tipa impulsiva, quella che lo portava a casa con sé quando lo voleva lei, e finire ciò che avevano iniziato, e lui...

e non sapeva cosa significasse tutto questo. Era stata molto chiara riguardo a ciò che gli poteva dare, e ciò che poteva prendere, e anche lui non era sicuro che fosse pronto per qualcosa di più. Era così giovane.

Come poteva lei sapere ciò che voleva?

Lui era sopravvissuto a Meredith, anche se il suo orgoglio ne era rimasto ferito, ma nel momento in cui l'aveva tradito, lei non aveva più potere su di lui. Aveva voluto provare a dare una possibilità alla loro famiglia, ma non era più innamorato, non lo rendeva più senza respiro con ogni sguardo che gli dava.

Ma Kate-

lei non era Meredith.

C'era troppa profondità in lei, troppo mal di testa, troppo mistero in quei bellissimi e cangianti occhi, e se se ne fosse innamorato? Era abbastanza certo che non sarebbe stato facile poi riprendersi.

In qualche momento nel corso della sua riflessione, aveva raggiunto la porta. Sentì la familiare eccitazione mentre bussava, le sue interiora che si ribellavano all'idea di vederla, e nervosamente rigirò fra le mani la bottiglia di vino.

Ci fu un momento, e poi l'indistinto suono della sua voce- che probabilmente veniva dalla camera da letto, perchè altrimenti sarebbe riuscito a capire le parole.

Alla fine la porta si aprì, ma solo un poco, e la sentì dire, “chi è?”

huh. “sono io. Castle.”

Era strano usare il suo cognome, ma lo faceva anche sentire un po' come James Bond. E il che era decisamente fico.

La porta si spalancò, ma Kate ancora non si vedeva, e poi disse. “entra dentro”

Ok allora. Oltrepassò la porta, intrigato, e quando i suoi occhi la trovarono immediatamente capì perchè era stata così nervosa di apparire davanti alla porta.

Lei... merda.

Indossava lingerie. Indossava...
Il suo respiro si smorzò in gola e chiuse la porta dietro di sé, riposando la schiena contro il legno per  equilibrio. Le sue dita si strinsero attorno al vino. Così sexy.

Si avvicinò, il suo corpo che ondulava in quella che a mala pena poteva essere chiamata vestaglia da notte, il pizzo nero che contrastava con il bianco della sua pelle, la rotondità dei suoi seni perfettamente tenuti dall'elegante reggiseno, e tutto ciò che Rick potè fare fu gettarsi addosso a lei.

Non importava comunque, perchè il momento successivo anche lei gli era addosso, premendosi contro di lui, i loro corpi uniti mentre si alzava sulle punte per far scorrere le labbra sulla sua mascella. Sentì le sue dita aggrappare il vino, rimuoverlo dalla sua stretta, e da qualche parte remota nella sua mente ne era grato.

Ma il resto di lui era sbalordito, completamente sbalordito, e quando la sua voce arrivò roca, oscura, tentatrice. “Mi hai fatto aspettare, Castle.”

Merda.

“Non avevi detto l'orario. Nel tuo messaggio. Non avevi detto-” e le sue labbra posero fine alla sua balbuzia patetica, il soffice tocco della sua lingua contro le labbra, e lei pareva così invitante e pronta che non avrebbe mai potuto dire di no.

Schiuse le labbra contro le sue, sentì il timore sotto la facciata esteriore seduttiva, e fu sopraffatto di nuovo, da quella donna, da tutte le contraddizioni che sembravano far parte di lei, del suo essere. Era soffice e dura; era sexy e innocente, vulnerabile e forte. E lui era un idiota se pensava che si potesse allontanare da lei.

“Kate,” sussurrò contro la sua bocca, e aprì le mani contro il suo ventre, adorando il modo in cui la sua vita si adattava perfettamente alle sue mani.

E lei per risposta mosse i fianchi, il respiro caldo contro le sue labbra, la linea di lei dolce e meravigliosa contro di lui. Era il suo compleanno e non lo sapeva?

“Ho sognato questo momento tutta la settimana,” confessò lei senza respiro, e una delle sue mani aggrappò la sua vita, il pollice che scivolava nei pantaloni, tentandolo e assalendolo.

Oh, le era mancato?

Beh. A lui di certo era mancata.

Li girò, prendendosi un secondo per togliersi il cappotto prima di spingerla contro la porta, le sue gambe che si attorcigliavano attorno alle cosce,  il calore della sua pelle che bruciava anche attraverso i jeans. Oh, l'avevano fatto prima, si, ma adesso aveva più controllo.

Era molto più divertente.

Le mordicchiò il labbro inferiore, il pollice sulla sua gola, sentendo il ritmo pulsante nella sua vena, e le riempì l'incavo del collo di baci, quasi dei semplici sfioramenti che la facevano gemere contro di lui.”Sei bellissima,” le disse, fermandosi per un momento ad ammirare lo sbattersi delle sue ciglia, il colore sulle sue guance, il rosso della sua bocca.

I suoi occhi si aprirono lentamente, scrutandolo, nella luce soffusa e oscura piena di promesse del suo appartamento.

“Portami a letto, Castle”.

Ne aveva bisogno.

Aveva bisogno di lui nel suo letto, il contrarsi pronto dei suoi addominali sotto il tocco delle sue dita, il modo in cui i suoi fianchi si sollevavano quando lei li cingeva con le gambe. Richard Castle alla sua mercè, i suoi occhi di un profondo blu, il suo nome come una preghiera sulle labbra di lui.




Kate si sollevò lentamente da lui, arcuandosi, le dita che tracciavano i suoi fianchi; e poi spinse di nuovo indietro, la bocca che si dischiuse per la sorpresa di tutta quell'eccitazione, la sua lunghezza dura e forte dentro di lei, che si espandeva e la riempiva, scavando dentro di lei.

“Oh,” respirò, e dovette stringere i denti per non urlare, per non dire come sapeva di buono, quanto lo desiderasse ardentemente.

Solo questo- il sentire i loro corpi insieme, la bellissima danza che non aveva bisogno di parole. Questo lo poteva fare.

Era il resto che non sapeva gestire. Invitarlo a cena-

“Kate,” grugnì, riportandola al presente, la sua voce urgente e supplichevole.

Voleva che si muovesse, o no? Invece lei si poggiò in avanti, sorridendo furbescamente, una mano sul suo cuore mentre trovava la sua bocca, e rudemente prese ciò che era suo, il suo respiro smorzato, le parole di adorazione sussurrate alle quali non riusciva a dare un senso. Se fosse stata l'ultima volta-

strofinò la lingua nella sua bocca, profondamente, cercando di dargli un assaggio di ciò che lui le dava, tutto il suo corpo, il calore oscuro più profondo, la parte più sensibile di lei.

Ringhiò nelle sue labbra, i suoi fianchi che spingevano sotto i suoi; le sue mani che addolcivano la linea della sua schiena, lo svasamento del suo bacino, che la facevano premere dentro di lui più forte.

Mosse i suoi fianchi, così lentamente, donando ad entrambi la possibilità di sentire ogni minimo istante, e poi gli morse il labbro, in modo tagliente, non riusciva a resistere alla sensazione.

Fece un suono gutturale, quasi un singhiozzo, e lei fu soddisfatta di quella richiesta di bisogno silenziosa, spinse nuovamente forte contro di lui, facendo annaspare entrambi.

Il suo corpo era ardente, bisognoso di contatto, ma la sua eccitazione schizzava da un punto a un altro, come se non riuscisse a decidersi; sapeva che se voleva venire, doveva fare di più.

Kate si sedette, un gemito roco le venne dalla gola al cambio di angolazione. Non si aspettava che Castle la seguisse ma lo fece, spingendosi sul materasso con un forte braccio, la sua bocca che trovava il suo seno; chiuse gli occhi per il piacere, torcendo i fianchi per prenderlo ancora più profondamente.

oh- oh così era buono- così buono-

“Si?” la echeggiò lui, il suo respiro sul collo, facendole domandare se avesse parlato ad alta voce. “Va bene per te?”

Strinse la mano sulla sua spalla come risposta, cavalcandolo ancora più veloce, trovando il ritmo che accendeva il fuoco dentro di lei, che la faceva prendere fuoco; le sue mani e la sua bocca erano ovunque, sul seno, sulla guancia, sui fianchi, e lei si arcuò, disperata per un suo tocco, era quasi, quasi...

Premette i denti nella sua schiena, le mani che trovavano i suoi fianchi, fermandola per un secondo, una piccola pausa mentre si spostava indietro per incontrare i suoi occhi, sorridendole in quel modo così sexy. E poi sbattè i loro fianchi insieme, spingendola su di lui, attorno a lui, il brivido, così brutale, così buono la fece venire, le sue mani si poggiarono sui suoi bicipiti, la sua testa gettata all'indietro mentre il suo corpo lo aggrappava, lo tratteneva, per non lasciarlo mai più andare via.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Salve a tutte! 
Mi scuso per l'immenso ritardo nel pubblicare l'aggiornamento. Colpa mia, Anita non c'entra nulla XD 
Sono stata male ed ho qualche problemino, ma ci sono. Ho appena finito di tradurlo e spero che la mia mente non abbia fatto brutti scherzi facendomi scrivere boiate...
Il capitolo è un po' tosto...Insomma, cominciano i guai! XD
Buona lettura e scusatemi ancora.
=) 
                                


                     Capitolo 13


“Ho bisogno di una doccia.”
Le parole giunsero come attraverso una foschia fino alla mente di Rick. Quando arrivarono al suo cervello, Kate era già scivolata fuori dalle lenzuola, i vestiti sul braccio, senza voltarsi a guardarlo.
Lentamente si alzò su un gomito, chiedendosi cosa stesse succedendo. Avevano ancora tutta la notte davanti, no? Lui non doveva tornare a casa, dal momento che sua madre si sarebbe occupata di Alexis. Avrebbe solo dovuto telefonarle più tardi. Giusto per controllare.
E Kate l’aveva invitato quindi dedusse che anche lei avesse del tempo. Forse si sbagliava.
Certo non si aspettava che lei scappasse in bagno subito dopo che loro l’avessero…fatto.
Si sedette sul letto cercando di scrollarsi l’ansia di dosso, sentendosi comunque solo ed esposto nel letto di Kate.
Tanto valeva vestirsi, visto che lei non aveva chiaramente intenzione di passare la notte lì con lui.
Afferrò i boxer dal pavimento e li indossò, poi si guardò intorno alla ricerca dei pantaloni. Trovò una delle sue scarpe ricordandosi che l’altra era finita sotto il letto. Si inginocchiò sul pavimento e allungò la mano per recuperarla.
Le sue dita trovarono facilmente la punta in pelle della scarpa ma urtarono anche qualcos’altro, sembrava di cartone. Huh. Forse Kate aveva qualche scatolo di vestiti sotto il letto? Rick tirò entrambe le cose verso di lui curioso.
Era una scatola. Una scatola di grandezza media di cartone bianco e righe rosse che dovevano essere qualche tipo di decorazione.
C’era uno spazio nella parte anteriore, dove avrebbe dovuto esserci scritto qualcosa riguardo il contenuto, ma era vuoto. Kate sicuramente non pensava che quello che ci fosse stato dentro avrebbe potuto dimenticarlo.
Lanciò uno sguardo verso il bagno ma l’acqua era ancora aperta, nessun segno del suo ritorno nell’immediato.
E Rick voleva sapere.
Tolse il coperchio, lentamente, godendosi la suspense. Forse erano solo foto di lei bambina ma…
Oh. Una cartella. Una spessa cartella rossa, nessuna iscrizione, nessuna indicazione su di essa. La prese, la sfogliò, e si bloccò alla vista della foto alla prima pagina.
Merda.
Quello era…
Era.
Johanna Beckett lesse accanto all’immagine straziante del corpo della donna riverso contro un muro sudicio.
Merda. Il fascicolo? Aveva il fascicolo dell’omicidio di sua madre?
Col cuore in gola scrutò la pagina, la sua mente a registrare le informazioni senza sforzo. 9 gennaio. Coltellate multiple. Washington Heights. Attribuito a una gang violenta.
C’erano i dettagli naturalmente, terribili e cruenti dettagli; e pensare che Kate aveva visto…
Girò la pagina, oh dio, il referto dell’autopsia, tutti i possibili indizi che i poliziotti avevano trovato.
La qualità non era delle migliori, le parole erano un po’ sfocate e Rick si rese conto che quello non era il file originale.
Non era nemmeno una copia.
L’aveva fotografato.
Probabilmente Kate non era autorizzata ad averne una copia, non poteva portarlo fuori dall’archivio o qualsiasi altra cosa, così aveva fatto delle foto ad ogni pagina e le aveva stampate.
Intelligente. Era piena di risorse.
Tornò alla prima pagina, la ‘sintesi’ e cominciò a rileggere con più attenzione. Sua madre era stata un’ avvocato per uno studio in città, aveva sentito il suo nome prima, aveva 48 anni quando fu assassinata. No un attimo, 47. E’ morta prima del suo compleanno.
9 gennaio 1999. Kate doveva avere… 19 anni.
Dio.
Doveva frequentare il college, la sua vita stava per iniziare con tutti quei sogni e speranze, ancora nulla di scritto.
Cinque anni fa.
Se fosse stata una persona completamente diversa? Se fosse stata spensierata e un po’ sciocca, senza nessuna importante consapevolezza negli occhi?
Ingoiò la strana sensazione che gli si era creata in gola cercando di concentrarsi sul file, sfuggire al dolore che gli stava gonfiando il cuore.
Non riguardava lui. Nulla di tutto ciò, l’omicidio, il cuore spezzato, Kate.
Aveva messo in chiaro che non voleva una vera relazione con lui, che non poteva dargli più di quello, del sesso occasionale, una mezza amicizia.
E a lui stava bene. No?
Fece scorrere le dita sul referto autoptico, esitò. Avrebbe dovuto mettere tutto nella scatola, spingerla sotto il letto prima che lei potesse accorgersene ma…
Era un giallista di successo, aveva soldi. Aveva i mezzi a sua disposizione, ciò che Kate probabilmente non aveva. Conoscenze, come un patologo forense che aveva conosciuto ed incontrato più volte quando scriveva di Storm, il dottor Clark Murray. Se gli avesse chiesto di dare un’occhiata al file…
“Che cosa stai facendo?”
Alzò di scatto la testa.
Kate era in piedi davanti la porta della camera da letto, i capelli ancora bagnati ma già in jeans e maglione, uno sguardo insondabile negli occhi. Uh.
“Io, ehm…” Si guardò e si rese conto che era seduto sul pavimento in mutande mentre leggeva il file di sua madre.
Grande, Rick.
“La mia scarpa era sotto il letto e quando l’ho presa…”
“Hai trovato una scatola e hai pensato bene di curiosare nelle mie cose? Eh Castle?”
Merda. Merda. Non si stava mettendo bene.
Vi era tanta rabbia latente sotto l’apparente freddezza della sua voce.
“Kate, io…”
Lei avanzò di un paio di passi fino a raggiungerlo, si piegò sulle ginocchia, gli strappò il file dalle mani, i suoi movimenti bruschi mentre gettava tutto dentro la scatola assicurandosi che fosse lontano da lui.
Poi alzò li occhi verso di lui, uno sguardo furioso, bruciante che gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.
“Non sono affari tuoi!” Disse con calma, la sua mascella rigida, la vena del collo pulsante. “Mi hai sentito, Castle? Questo è mio. Mia madre, il mio caso. Non è foraggio per i tuoi libri, non è finzione. Questa è la mia vita!”
Gli stava spezzando il cuore.
“E scoparmi non ti dà il diritto di intrometterti!” Concluse arrabbiata.
Scopare? Era questo per lei?
“Kate…” Disse cercando di ignorare il dolore provocato dalle sue parole. “ So che non ne ho il diritto, ho solo pensato che… Forse avrei potuto aiutarti…” Si alzò in piedi lentamente come se lei fosse un animale selvatico da non spaventare. “Sai che ho i soldi. Conosco persone. Se organizzo una squadra chiedendo loro di lavorarci, ci sono buone probabilità…”
La sua voce si spense quando vide il suo volto, ferito, sulla difensiva e completamente furioso.
“Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto?” Chiese con calma apparente. “ Mia madre, Castle. E tu vuoi cosa? Aizzare l’intera città, la CIA su di esso? Pensi che il denaro risolverà il caso?”
“Beh di sicuro potrebbe aiutare…”
“Basta!” Lo interruppe bruscamente, a denti stretti, gli occhi pieni di rabbia.
Non sapeva cosa dire. Non era quello che voleva? Catturare l’assassino di sua madre? Non riusciva a capire quanto più facile sarebbe stato avendone le risorse?
“Kate.” Disse sfiorandole il braccio.
Lei si ritrasse subito.
“Per l’amor di Dio, Castle. Io sono un poliziotto. Ho passato ogni istante del mio tempo libero scrutando quel file, memorizzando ogni dettaglio e tu pensi…Pensi che assumendo gente i nuovi indizi appaiano magicamente fuori? Lascia che ti dica una cosa: Non accadrà!”
“Non puoi saperlo…”
“Col cavolo che non lo so!” Alzò il mento in segno di sfida. “Sto bene. Potresti non crederci ma io sono maledettamente brava in quello che faccio. E diventerò presto una detective. Non sono riuscita io a trovare qualcosa pensi che qualcun altro ci riuscirà?” Concluse con un respiro, furente. “Nessuno vuole questo bastardo dentro quanto lo voglio io, Castle!”
Egli schiuse la bocca, non riusciva  trovare le parole di fronte a così tanta passione e disperazione.
“Quindi grazie ma non ho bisogno del tuo aiuto!” Disse alla fine fermamente. “Non ho bisogno dei tuoi soldi. E di sicuro non ho bisogno della tua pietà!”
Cosa?
“Non si tratta di pietà!”
“Ah, no? E di cosa allora, Castle? E’ la mia ricompensa per poter venire a letto con te? Dovrò avere i soldi per lavorare al caso di mia madre perché sono brava a letto?”
Il suo stomaco si contorse ma raddrizzò le spalle con un’indignazione crescente per il modo in cui aveva respinto così velocemente i suoi sentimenti. Perché non capiva che voleva renderle le cose solo un po’ più facili?
“Si certo, Kate. Questo è quello che faccio con ogni donna con cui vado a letto, sai? Le invito a casa mia, porto loro una tazza di caffè sul posto di lavoro e mi propongo di aiutarle a risolvere l’omicidio della madre! Diamine, hai capito tutto di me!”
Il sarcasmo fu così pesante nella sua voce; lei impallidì ma non si ritrasse.
“Devi andare!” Disse invece. La sua voce vuota, priva di emozioni.
Ci sarebbe mai stato un modo per avvicinarsi a lei?
“Capisco.” Disse, assolutamente scoraggiato, improvvisamente pronto a lasciar perdere. Lui non capiva lei e lei non capiva lui. Non aveva idea del perché avesse pensato che tutto ciò avrebbe potuto funzionare.
Lei si voltò, la scatola stretta tra le braccia, come un bambino con un oggetto prezioso. E lui si vestì velocemente: pantaloni, maglietta, scarpe. Quasi inciampò sui suoi stessi piedi nella fretta di uscire da quella casa.
Si era sbagliato. Non poteva aiutarla. Lei non era nemmeno disposta ad aiutare se stessa.
Kate stava aspettando in salotto, vicino alla porta con gli occhi come la pietra.
Il messaggio era abbastanza chiaro.
“Suppongo che tu non voglia che ti richiami…” Disse piano, orgoglioso del fatto che la sua voce non vacillò.
Lei non rispose.
“Kate..” Sospirò, avrebbe voluto un finale migliore di quello.
Era così bella, anche nella sua testardaggine, il dominio scuro dei suoi capelli contro il viso pallido ma determinato. Ricordò il modo in cui lei lo aveva guardato quando era esplosa in mille pezzi nel suo letto, con la bocca aperta e gli occhi serrati…E il suo cuore doleva.
“Per favore…” Mormorò odiandosi per questo.
“Basta, vattene!” Disse, la sua voce forte, inflessibile. “Fai ciò che è giusto, Castle. Per entrambi. Vattene!”
Voleva parlarne. Voleva combattere con lei. Ma Kate aveva già deciso e nulla di buono ne sarebbe uscito.
Forse aveva ragione. Forse doveva lasciarla andare, senza voltarsi, lasciarla sola con i suoi fantasmi. Rick si passò una mano sul viso, le spalle basse, poi si voltò e si diresse verso la porta.
La sua mano si chiuse sopra la maniglia e ricordò ancora, come quella sera fosse stata tanto disperata con lui, nemmeno il tempo di togliere i vestiti, desiderio così bisognoso eppure così forte, il modo in cui lei continuava a volere di più nonostante i corpi fossero già uniti.
 
Si sbagliava. Lei si sbagliava.
Si voltò di nuovo, spinto da qualcosa più forte di lui. Non le permise di indietreggiare ed allontanarsi. Le mise le mani sul collo, i pollici sulla sua mascella e le baciò la bocca, dolce ma sicuro, una lunga, tenera pressione delle labbra.
“Ti sbagli, Kate!” Le disse e finalmente poté vedere le sue difese crollare, il dubbio nei suoi occhi. “ E non mi dispiace. Lo so che sei un buon poliziotto ma tu sei troppo coinvolta. E due menti sono meglio di una!”
Lei non disse nulla, lo guardò nella penombra, e lui non riuscì a capire a cosa stesse pensando.
Ancora…Doveva dirglielo.
“Potrei amarti, Kate. Potrei amarti e potrei aiutarti. Se solo me lo lasciassi fare…”
I suoi denti stavano scavando sul suo labbro, gli occhi brillanti e lui fece un passo indietro capendo che in quel momento non era appropriato forzarla ancora per prendere una decisione.
“Pensaci!” Disse solo. Poi si voltò e uscì senza guardare indietro.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Due capitoli a tempo di record! XD Ringraziamo Anita che nonostante qualche problema di salute è riuscita a tradurre, più o meno in tempo! Abbuonateci questo lunedì visto che era Pasquetta XD
Capitolo 'tranquillo' per i nostri cuori ma non per quelli dei due tontoloni che adesso cominciano a scafazzarla una dietro l'altra. Che nervi!
Buona lettura e alla prossima settimana! =)

 


                              Capitolo 14


La porta dell'appartamento si chiuse con un leggero tonfo, e Martha alzò gli occhi dal copione che stava leggendo. Erano solo le undici, e si aspettava che il figlio tornasse a casa più tardi.

Nonostante tutto, eccolo lì, che si toglieva il cappotto mentre le si avvicinava, il suo viso stanco, le spalle incurvate. La vera immagine dello scoraggiamento.

“Beh, tesoro. Sembra che la sera non sia andata proprio bene.”

Fece un profondo sospiro e poggiandosi affianco a lei alla cucina, una mano che copriva metà del viso.

“No, non esattamente.”

“Ora, ora, Richard. Che è successo? La ragazza ha provato a leggere uno dei tuoi libri e ha capito che non sei uno Shakespeare?”

“Oh, molto divertente, mamma,” disse, stringendo gli occhi minacciosamente, ma Martha poteva sentire una vera delusione nella sua voce che la intrigava. “No, a dire il vero,” continuò lui, con uno strano misto di trionfo e tristezza. “adora i miei libri.”

Hm. quello era interessante.

“Beh, cosa è andato storto allora?” chiese l'attrice, mantenendo il suo tono leggero e il più indifferente possibile. “sembrava che fosse perfetta per te.”

Suo figlio sospirò di nuovo, ma i suoi occhi blu persero la concentrazione, la bocca che si incurvava in un piccolo e desideroso sorriso. Sembrava che, chiunque fosse quella misteriosa donna, lui ne era veramente invaghito.

Martha da una parte ne era eccitata ma dell'altra aveva paura; Richard aveva una intera storia che mostrava che non sapesse scegliere molto per sé.

Non ne aveva proprio idea da chi avesse preso quel terribile gusto.

“Più o meno lo è,” sussurrò, parlando più a se stesso che con lei. “Non perfetta, ma...” la sua voce si affievolì, il suo viso pensieroso, che vedeva cose che lei non poteva. E poi scosse la testa.

“Non lo so, mamma.” premette i palmi contro gli occhi, grugnendo; ma era impossibile che Martha lasciasse perdere adesso.

“Ti piace,” osservò, le sue labbra che si incurvarono in un sorriso. “Ammettilo, figliolo”

Riposò i gomiti sull'isola della cucina, e prese un lungo respiro prima di guardarla di nuovo. “Si. Mi piace davvero.”

“Oh, non c'è bisogno di essere così distrutti, Richard. Andiamo. È una buona cosa! Dimmi, principessa, quando hai lasciato che il tuo cuore scegliesse l'ultima volta?” cantò con uno sguardo accigliato.

Quello lo fece davvero ridere, almeno.

“Aladdin, davvero?”

“A volte bisogna andare oltre i musical di Broadway per trovare la giusta canzone, tesoro. Inoltre, Aladdin è un bellissimo film. Con una buona musica, dei dialoghi intelligenti-”

“Ma lo sai con chi stai parlando, vero?”

Lei sorrise consapevole. “E tu lo sai che non è finita qui la conversazione.”

Gli angoli della sua bocca si incurvarono all'ingiù, ma non era lo stesso scoraggiamento drammatico di prima, solo una più seria e misurata preoccupazione.

“Ha... dei problemi, mamma.”

“Anche tu,” gli rispose Martha, alzando un sopracciglio.

Forzò una risata. “Eh. Penso di si.”

“Quindi che cosa ti trattiene?” chiese, perché conosceva suo figlio. Ci doveva essere qualcosa di più che solo “problemi”.

Scese dallo sgabello, e per un secondo l'attrice si chiese se quello era il suo segnale per indicare che la conversazione era finita; ma andò solo all'armadietto per prendere due bicchieri, e poi prese da sotto il lavandino uno Scotch.

Ne versò ad entrambi una piccola dose, e poi ne prese un bicchiere.

“Niente di meglio che dello Scotch in cui affogare i tuoi dispiaceri, huh.” Commentò mentre ne prendeva un sorso lei stessa.

Lui fece una risata asciutta. “Berrò a questo” disse, e poi fece tintinnare i bicchieri insieme prima di buttare giù tutto il liquido.

Martha lo guardò in silenzio per un momento. Lo si poteva spingere fino a un certo punto; il resto lo doveva fare da sé, fare la giusta decisione di condividere. L'aveva imparato molto tempo fa.

Ma suo figlio poteva essere così testardo.

“È giovane,” ammise lui dopo un po'. “È... molto giovane.”

“Quanto giovane?”

Agitò il bicchiere nella sua mano. “Ventiquattro anni.”

Lasciò che l'informazione le entrasse dentro, esaminando le possibili conseguenze. Ventiquattro anni, era davvero giovane, vero, ma non era neanche un distacco così irraggiungibile- dipendeva dall'altra persona della relazione.

“E?”

I suoi occhi blu si sollevarono per guardarla, un po' turbato. “Non è sufficiente?”

“Abbastanza da farti dubitare, forse,” rispose sua madre. “Ma non abbastanza da fermarti. O mi sbaglio?”

Strinse le labbra e poggiò il bicchiere sul tavolo. “Lei è... nel mezzo di qualcosa.”

“Vuoi dire che ha un fidanzato?”

“No!” la guardò indignato. “Mamma. Non lo farei mai.”

Martha alzò le mani per arrendersi e scusarsi allo stesso tempo. “Scusami. È solo che- queste parole mi evocano certi ricordi. Ma avrei dovuto saperlo.”

 Borbottò qualcosa, perdonandola. “Ha solo qualche problema personale che deve affrontare, e ha... reso molto chiaro che non vuole che io mi immischi”

“E tu vuoi immischiarti?”

Scrollò le spalle, quasi come un bambino.

Poi l'attrice continuò. “Com'è lei?” chiese alla fine, curiosa.

Suo figlio sorrise, riluttante all'inizio, ma mano a mano sempre più genuino mentre parlava. “è... intelligente. E sexy. E può essere anche molto divertente- ti piacerebbe. Ha un senso dell'humor molto asciutto.” Poggiò la testa all'indietro, guardando pensosamente. “è molto riservata, ma allo stesso tempo c'è... un' innocenza in lei, un' apertura, quando abbassa la guardia. È bellissima, davvero.”

Beh. Martha strinse le labbra, e dovette inghiottire l'emozione di sorpresa che le saliva in gola.

“Richard,” disse, provando ad essere gentile, sapendo che la sua voce sembrava senza respiro come lo era davvero. “Ne sei innamorato?”

La guardò, come un ragazzino preso a fare qualcosa di sbagliato, un'espressione che non gli aveva visto fare da molti anni- forse da quando le aveva detto che Meredith era incinta.

“Non lo so, mamma,” rispose tranquillamente, ma anche quella confessione era sufficiente.



Lanie Parish prese il suo cocktail e guardò il liquido arancione- rossiccio che c'era dentro. Aveva ordinato un sex on the beach- forse l'unico che poteva avere in tutta la settimana- e fece un piccolo sospiro prima di alzare lo sguardo, gli occhi che fissavano l'entrata del bar. Ancora nessun segno della sua amica.

Non era da Beckett essere in ritardo.

Prese un sorso del suo drink e chiuse gli occhi per il piacere, il sapore dolce della frutta mascherato per un momento dal sapore tagliente dell'alcol sulla sua lingua.

Perfetto.

“Scusa, sono in ritardo,” disse una voce familiare, e Lanie aprì gli occhi per vedere Kate Beckett che si infilava nel lato opposto del tavolino, i suoi occhi guardinghi, i suoi capelli scombussolati.

“Giornata lunga?”

“Si. Montgomery mi ha fermata mentre stavo uscendo, voleva discutere della mia richiesta per diventare Detective. Igh. Non ne voglio neanche parlare.”

La sua amica annuì compassionevolmente. “Cosa vuoi bere?”

Kate si morse il labbro, e afferrò il menu, gettando un' occhiata al bicchiere che era già sul tavolo. “Tu cosa hai preso?”

“Sex on the beach, tesoro. Sentiti libera di ordinare la stessa cosa se ne hai bisogno come ne ho io.”

Kate rimase sospettosamente zitta, i suoi occhi che ritornavano alla lista dei drink senza aggiungere un altro commento, e Lanie piegò la testa da un lato, improvvisamente interessata.

“Non mi stai dicendo qualcosa, ragazza?”

Si, quella piccola arricciatura delle labbra era l'equivalente di un arrossire di Beckett. Lanie lo sapeva.

Bene, bene, bene.

“Onestamente, se stai facendo sesso e non me lo fai neanche sapere, non sei l'amica che pensavo fossi, Kate Beckett. Hai qualche idea da quanto tempo non porto un ragazzo a casa? Quando non sono disgustati dall'odore, quando non capiscono nemmeno perché voglio fare questo lavoro, e quando provo a non menzionare-”

“Lanie. È finita, ok?” tagliò corto Kate. “è- non era niente. O te l'avrei detto.”

“Oh, tesoro, non provarci nemmeno. Come se tu mi diresti mai qualcosa volontariamente. Va bene, lo sai; non mi dispiace ricavare con la forza informazioni da te. Quindi adesso ordinerò prima di tutto un drink per te, ma ti dico, Beckett: dopo di quello, è tempo di condividere. Tieniti pronta.”

Lanie  vide l'accenno di un sorriso sulle labbra dell'amica mentre si alzava dalla sedia, e sentì il calore dell'orgoglio che le si espandeva nel petto. Kate Beckett non rideva abbastanza secondo l'opinione della giovane ME.

Oh, la ragazza sapeva come divertirsi. Lanie l'aveva vista ballare e flirtare, aveva visto il modo in cui gli uomini sbavano appreso alle gambe di Kate e ai suoi occhi dolci- ma le occasioni erano troppo poche e distanti fra loro, e Beckett era sempre troppo seria su tutto, sulla sua vita, sul lavoro.

La faceva soffrire il modo in cui la morte della madre aveva portato via la giovinezza della sua amica. Non che avesse conosciuto Kate Beckett prima che venisse a lavorare al Dodicesimo, no, ma nonostante tutto- il medico legale poteva dire che era così.

Nei rari momenti in cui Kate si permetteva di lasciarsi andare, di liberare un po' di quel controllo, Lanie aveva potuto vedere che c'era molto di più in quella ragazza che del solo poliziotto testardo che rimaneva al distretto dopo che tutti se ne erano andati, e lavorava da sola giorno e notte.

E desiderava che lei non fosse l'unica a vedere oltre la conchiglia di Beckett.


Lanie tornò qualche momento dopo con un Screwdriver; Kate aveva confessato una volta che lei era piuttosto imparziale alla vodka, e ovviamente l'informazione era stata conservata. Sorrise e ringraziò l'amica, il liquido che si mosse leggermente mentre le sue mani afferravano il bicchiere.

Lanie si sedette di nuovo, e alzò il bicchiere e un sopracciglio. “Alle donne forti e indipendenti,” fece l'augurio.

Kate ridacchiò. “A noi.”

Prese un sorso del cocktail, e lentamente lo lasciò scivolare nella sua gola, sapendo bene che questo sarebbe stato il suo ultimo momento di pace.

E infatti-

“Allora, il nostro uomo misterioso,” iniziò Lanie con occhi inquisitori. “Dove l'hai incontrato?”

Ha. domanda interessante.

“In uno squallido club,” rispose Kate sinceramente, solo per vedere l'espressione che avrebbe fatto la sua amica. “dove stavo lavorando sotto copertura.”

Lanie la guardò un po' dubitante. “Ragazza, già non mi piace questa storia.”

Beckett si lasciò scappare una breve risata. “Non ti preoccupare. Lui non è- è uno scrittore. Stava lì solo per... alcune ricerche.”

“Oh, tesoro. Non dirmi che ti sei bevuta quella scusa.”

“Beh, sai. Dato che ho già tutti i suoi libri-”

Lanie si strozzò con il suo drink. “Tu cosa? Aspetta un minuto. Lo conosco?”

Kate non riuscì a trattenere un sorriso. “Probabilmente. Forse puoi aver anche detto che lui ha un talento particolare per i dettagli per le scene di morte-”

“Santa- vai a letto con Richard Castle?!” la voce di Lanie si alzò abbastanza da attirare l'attenzione di tutte le persone limitrofe; Kate la guardò torva.

“E mi piacerebbe che rimanesse fra noi,” disse in fretta a bassa voce, sentendo le guance e il collo arrossirsi .

Lanie la fissò per un minuto, poi scosse la testa. “Ti stai prendendo gioco di me.”

“Perchè?” Kate strinse il bicchiere nella mano. “non riesci a credere che un ragazzo come lui possa innamorarsi di una come me?”

“Oh, tesoro, per favore. Qualsiasi uomo normale e sano di mente andrebbe appresso al tuo culo magro. Solo non riesco a credere che tu ti sei fatta-” poi abbassò la voce “Richard Castle, e non me l'hai detto.”

Beckett abbassò gli occhi, quasi incolpa. “È... successo e basta”

“È successo e basta? Kate.”

cos'altro poteva dire? Era l'anniversario della morte di mia madre e avevo bisogno di una distrazione?

“Ok,” disse Lanie di fronte al suo silenzio. “Beh. Come è stato?”

Gli occhi di Kate si rialzarono velocemente per fissare la sua amica. “Cosa?”

“Come è stato-” e la sua amica abbassò di nuovo la voce “-il sesso? Andiamo, ragazza mia, mi devi dare qualcosa qui. Non puoi semplicemente dire che sei andata a letto con Richard Castle e poi lasciarmi in sospeso. Richard Castle! Non è tipo il tuo autore preferito?”

Si. Beckett sospirò, sconfitta. “È stato... bello. Molto bello”

Lanie roteò gli occhi. “Potresti essere un po' meno specifica per favore?”

“Beh, cosa vuoi sapere, Lanie?” sussurrò Kate, irritata. “che le sue mani sono così talentuose che non voglio che me le tolga mai di dosso? Che la sua bocca è... una specie di arma? Che è il miglior sesso che abbia mai fatto?”

Lanie sogghignò soddisfatta. “Qualcosa di simile, si”

Grande. Adesso le guance di Beckett stavano bruciando. “Si, beh. È così”

“E allora perchè stiamo parlando al passato adesso? Mi sembra che dovresti continuare a frequentare il ragazzo,” disse la sua amica con un grazioso arco del sopracciglio.

Kate prese una lunga sorsata dal cocktail, lasciando che la vodka la riscaldasse.

“Non è... così. Voglio dire, si, lui è divertente, e...” aggrottò la fronte, cercando di trovare le parole giuste, “e più o meno piacevole, amorevole- in un suo certo modo- ma è più grande, Lanie, e ha una bambina, e lui è... in un posto diverso rispetto a dove sono io ora.”

“Mi stai dicendo che è stato un errore, ragazza?”

Un errore? Ricordava il tocco gentile delle sue dita, lo sguardo infuocato nei suoi occhi, e scosse la testa fermamente. “No, non un errore. Solo- non destinato a durare.”

La sua amica la guardò furbescamente, le labbra che formavano un sorriso.

“E allora quanto è durato, esattamente?”

Dannazione a Lanie e le sue troppo intelligenti domande.

“Non lo so,” mentì Beckett.

“Kate Beckett.”

Merda.
Lanie non l'avrebbe lasciata in pace, non importava ciò che dicesse.

“Due settimane.”  Borbottò lei riluttante. Sembrava un tempo così ridicolamente breve- due settimane- e nonostante tutto sembrava allo stesso tempo infinitamente lungo.

“Due settimane.” Echeggiò Lanie, come se stesse gustando le parole sulla lingua. “E quante volte vi siete visti?”

Lanie aveva perso la sua più grande possibilità; sarebbe stata un'eccellente poliziotta. “Cinque volte,” ammise Kate sofficemente. Non aveva senso fermarsi ora.

Cinque volte. Non poteva mancargli, vero?

Il medico legale grugnì contemplativamente, e ciò fece innervosire Kate. “Che c'è?”

“Cinque volte non mi sembra proprio un errore, tesoro. Cinque volte è- tornavi per una ragione. E sai cos'è, che tu lo voglia ammettere o meno.”

Si- il sesso. Ma qualcosa tratteneva Beckett dal dirlo ad alta voce, la tratteneva dal considerare Castle come un semplice oggetto. Era più di quello.

Ma lei non-

“Non ho spazio per lui nella mia vita, Lanie.” Si trovò a dire, usando la verità come scudo.

La sua amica scrollò le spalle. “E allora crealo”

“Non è così semplice.”

“Certo che lo è. Kate, ascoltami.” Lanie si sporse in avanti, i suoi occhi scuri seri e decisi. “Non sto dicendo che dovresti avere una relazione con il tipo- cavolo, neanche lo conosco. Ma se ti piace? Se ti fa sentire diversa in qualche modo? Allora si, certo. Dovresti lasciarti andare a questa avventura.”

“Non posso.”

“No. Ho sentito tutte le tue scuse. E si, forse è vero, forse non sei pronta, e forse dovresti dedicare tutto il tuo tempo al lavoro. Ma forse no, non lo scoprirai mai se non provi. Lo so che quella cosa con tua madre ti perseguita ancora-”

Quella cosa con sua madre?

“È stata assassinata, Lanie.” Si arrabbiò Kate, sentendo tutto il nervosismo concentrarsi nel petto. “Assassinata.”

“Lo so, tesoro.” Disse poggiando una mano su quella di Kate gentilmente, e lei non aveva la forza di respingerla, non quando nei suoi occhi c'era tutta la comprensione di questo mondo.
“Lo so. Ma questo significa che non dovrai mai più avere una vita?”

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Salve!
Ormai è diventata praticamente un'abitudine scusarmi ad ogni capitolo... Vediamo il lato positivo: ho battutto il record, una settimana di ritardo, yuuuuhhhhh XD And the winner is....Meeeeeeeeeeeeee XD
Ok ricomponiamoci. A parte tutto vi chiedo davvero scusa per l'enorme ritardo. Anita mi aveva data persino per dispersa XD
BTW spero vi piaccia questo capitolo, anche se le cose si complicano un po'...
Buona lettura e a presto! =)

 



                              Capitolo 15




Ridicolo.
Era ridicolo. Non era innamorato di Kate Beckett. Era… preso, si, forse affascinato, sicuramente ma questo non significava che fosse innamorato.
Sua madre si sbagliava.
Era già stato preso e affascinato da qualcuno prima. Sophia Turner potrebbe confermarlo. E per quanto incasinata, elettrizzante  fosse stata la sua relazione con l’agente della Cia, lui non ne era stato mai innamorato.
Sophia. Si chiese che cosa stesse facendo in quel momento; probabilmente stava salvando il mondo sotto una falsa identità in qualche paese lontano.
Non la sentiva da tre anni. Non si aspettava certo degli aggiornamenti regolari, ovviamente no, non era un idiota però un misero messaggio una volta ogni tanto, giusto per sapere che era ancora viva, sembrava quasi che le costasse la vita.
 Beh. Era Sophia Turner. Per qualcuno aveva scelto di servire il suo paese, trascorrendo il suo tempo a rischiare la vita per salvare quella degli altri,  ma lei era sorprendentemente e incredibilmente egocentrica.
E dicendolo lui era quanto dire.
Rick sospirò e si lasciò cadere sulla sedia della sua scrivania aprendo il suo portatile. Gina continuava a ‘molestarlo’ riguardo i nuovi capitoli di Derrick Storm (dodici messaggi e quattro chiamate perse solo quella mattina: presto se la sarebbe trovata a bussare alla sua porta), ma la sua mente si rifiutava di lavorare sulla storia ancora a metà.
Nemmeno Clara Strike avrebbe potuto catturare la sua attenzione, anche se Clara era stata a lungo uno dei suoi preferiti.
Aveva passato ore a perfezionare il suo personaggio, usando le sue conoscenze su Sophia per creare una Clara migliore, più dolce, più gentile, più in sintonia con i sentimenti di coloro che la circondavano. Ogni abitudine frustrante di Sophia, ogni ossessione, battuta spensierata era stata rielaborata, ristrutturato in modo da mostrare Clara più umana.
Per molti versi, l’agente Strike era la donna perfetta per Rick.
Fino a quando non aveva conosciuto Kate Beckett.
E ora la sua mente non riusciva a smettere di pensare a storie infinite per un nuovo personaggio: una giovane detective della omicidi, intelligente e di buon senso, che ha dovuto provvedere a se stessa e farsi strada in un mondo maschilista come era quello della polizia di New York, mentre cercava di venire a patti con la perdita di suo padre, il padre a cui avevano sparato. In una rapina, forse. Rick non aveva ancora deciso.
Ma si sbagliava. Non poteva far di lei uno dei personaggi di Storm.
Kate Beckett meritava un libro tutto suo perché non poteva che essere la protagonista principale, fiera e ferita e sorprendente come lo era lei stessa.
Voleva scrivere quel libro.
Fissò per altri cinque minuti il file aperto su Storm, le dita sui tasti senza riuscire a scrivere una sola parola; lasciò perdere. Aprì un documento vuoto, senza nemmeno preoccuparsi di nominarlo e cominciò a scrivere.
Le sue mani sulla tastiera stentavano a mantenere il ritmo incessante dei suoi pensieri.
 
 
 
Beckett premette il pulsante della macchinetta del caffè e osservò il liquido scuro riempire lentamente la sua tazza. Era un caffè di merda ovviamente, ma ne aveva bisogno lo stesso. Aveva passato una notte orribile, le parole di Lanie le vorticavano in testa insistentemente rifiutandosi di lasciarla in pace.
Dannazione.
Ma Lanie non lo sapeva. Non aveva la minima idea di che tipo di uomo fosse Rick Castle, quanto esuberante e infantile fosse e una vera palla al piede. E Kate non aveva mai permesso alla sua amica di sapere quanta misera fosse la sua vita, non l’aveva mai chiamata dopo essersi svegliata con le lacrime nel bel mezzo della notte e dover andare a correre alla 4 del mattino per scaricare il tutto.
Aveva bisogno di pensare a qualcos’altro.
Aveva bisogno di un caso, un arresto, anche di lavorare all’angolo della strada, di tutto pur di tenere la mente occupata.
Uscì dalla sala break con la tazza di caffè tra le mani; il detective Johnson si stava guardando intorno come se cercasse qualcuno.
“Beckett!” Chiamò facendole cenno di avvicinarsi.
Ringraziò silenziosamente le sue stelle, si fece strada verso di lui mentre terminava il caffè.
“Ho bisogno di te!” Disse in modo brusco. Poi si avviò verso l’ascensore aspettandosi che lei lo seguisse; ebbe solo il tempo di afferrare la giacca mentre il sollievo le alleggerì il petto.
Qualunque cosa fosse, sperava ci sarebbe voluto tutto il pomeriggio.
 
 
“Richard!”
Sentì un lunga serie di colpi sulla porta di casa, così forti che fece una smorfia. Come poteva una persona piccola come Gina fare tanto rumore?
“Richard, apri la porta!”
Si ritrovò a spostarsi con la sua sedia con le ruote verso il suo ufficio lontano dal suono, come se potesse in qualche modo arrivare a lui attraverso la porta, il salotto, e trovarlo nello studio dove si era rintanato.
Credeva fermamente nel’esistenza dei poteri di strega di Gina. Perché lei non li avesse utilizzati su di lui, non lo sapeva ma era sicuro che l’avrebbe fatto se non avesse aperto la porta.
“Richard. Castle.”
Accidenti, era ancor più pericolosa di sua madre. Come faceva a sapere che lui fosse in casa? Poteva esser andato a fare una passeggiata, o a pranzo con…qualcuno. Dopotutto che prove aveva lei, eh?
Silenzio.
Rick si alzò lentamente dalla sedia trattenendo il respiro. Aveva rinunciato?
Il rumore successivo gli fu così completamente inaspettato che ci vollero dei secondi prima di riconoscerlo. La suoneria di cowboy spaziale.
Merda, aveva lasciato il suo cellulare sul bancone della cucina…
Il martellante bussare riprese alla sua porta.
“Richard Castle, so che sei lì dentro!”
Strega.
Sospirò e si arrese, passando per la cucina a prendere il cellulare.
Fece un lungo sospiro.
“Gina.” Salutò calorosamente appena aprì la porta sorridendole innocentemente. “Mi dispiace non ho sentito prima, ero…”
“Oh chiudi il becco, Richard!” Lo interruppe bruscamente spazzando le sue scuse con il movimento della mano. “So che mi stai evitando. Ti ho mandato 20 e-mail ieri chiedendoti dei capitoli che mi avevi promesso.”
“Venti? Davvero?Huh. Non pensavo così tante.”
Si voltò verso di lui, gli occhi due fessure minacciose, un dito contro di lui.
“Non cercare di adularmi col tuo fascino. Devo ricordarti che hai un contratto con la Black Pawn e che sei tenuto a fornire loro nuovo materiale quando lo richiedono? Derrick Storm è un contratto di quattro libri e potrebbe essere esteso se non fossi un tale bambino e non fossi così stupido da andare fuori scadenza!”
“Cosa posso dire? Essere incredibile richiede tempo…”
“Voglio i miei capitoli, Richard!”
Era così intransigente. Non c’era proprio modo di raggiungere un compromesso con lei. Si chiese se fosse così in ogni aspetto della sua vita. Poteva immaginarsela davanti un cinema che costringeva nella scelta quello sconosciuto uomo così coraggioso da uscire con lei. Il pensiero lo fece sorridere.
“Pensi che sia divertente?” Chiese freddamente, distruggendo la sua bolla.
Si sentì sgonfiare. “No.” Rispose con cautela. “Io non…Senti Gina, io…”
“Quanti?” Gli chiese con il volto di una donna stanca di fare sempre le stesse domande.
Si, quello era il problema.
“Mezzo capitolo?” Rispose timidamente alzando un sopracciglio seducente.
Gina sbuffò alzando le braccia al cielo per l’irritazione. “Cosa diavolo hai fatto finora? Dovevi darmi dei capitoli la scorsa settimana, Richard. La scorsa settimana. E tu avevi due mesi per scriverli.”
“Ho avuto una nuova idea.” Sbottò subito, volendosi dare una botta in testa immediatamente dopo. Non era nemmeno sicuro e Kate l’avrebbe ucciso. Lo avrebbe fatto davvero.
Gina alzò gli occhi verso di lui. “Certo. Una nuova idea.”
Si sentì vagamente insultato dalla sua mancanza d’interesse. “Ehi, è una buona…”
“ Si sono sempre buone idee, non è vero? Quanto è difficile capire che prima di buttarti in qualcosa di nuovo bisogna terminare quello che hai già iniziato?”
“ Questo è un modo terribilmente noioso di vedere la cosa!” Disse per difendersi.
“Beh, è il mio modo, Richard. E se non sei soddisfatto, ci sono un sacco di case editrici in cui puoi andare!”
“Io amo la Black Pawn!”
Esclamò scioccato dal suo suggerimento.
“E allora comincia a dimostrarlo!” Disse con le sopracciglia sollevate. “Finisci i capitoli e inviameli!”
Uh, odiava il modo in cui lo faceva sempre sentire in colpa. “Io…” Disse tristemente mettendo le mani in tasca.
“Bene.” Disse la donna soddisfatta. Lo osservò come si osserva un cavallo prima di una gara, poi gli diede una pacca sul braccio. “So che li hai dentro!”
Avrebbe voluto che lei non fosse così trionfante.
La seguì fino alla porta e quando fu a metà strada si girò verso di lui, qualcosa simile all’esitazione negli occhi. Non ne era sicuro. Non aveva mai visto nulla di simile sul suo volto prima.
“Questa nuova idea…E’ il motivo per cui sei in ritardo con la consegna?”
Non esattamente. “Si!” Disse chiedendosi se ciò gli avrebbe fatto guadagnare punti.
“Hai già qualcosa da farmi leggere?”
Oh, era una domanda trabocchetto?
L’aveva ma se gliele avesse mostrate e le fossero piaciute, non avrebbe avuto la possibilità di parlarne prima con Kate…
Kate però, aveva messo in chiaro che non voleva avere più niente a che fare con lui…
“Ho un paio di capitoli, si!” Disse prendendo una decisione.
“Inviameli via mail insieme a quelli di Storm.” Gli ordinò. “E possiamo parlarne a cena. Domani?”
Cosa?
“Uh, certo.” Rispose Rick colto alla sprovvista.
“Bene.” Disse lei con un piccolo cenno del capo. Poi se ne andò lasciando una scia di profumo delicato nell’aria.
Fissò la porta per un attimo incerto su quanto fosse appena accaduto.
Aveva un appuntamento con Gina Griffin?
 
 
Il 12° distretto aveva avuto una soffiata su uno streap- tease bar che a quanto pareva poco aveva a che fare con lo streapping. Johnson avrebbe dovuto verificare se fosse vero e avrebbe dato meno sospetti se avesse avuto una fidanzata.
“Spero che non ti dispiaccia fare questa cosa…” Le disse con non-chalance, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Kate non poté evitare un piccolo sorriso. Con un altro poliziotto avrebbe pensato che il suo scopo fosse provarci con lei o una manovra calcolata per portarsela a letto. Ma lei non pensava che Johnson avesse quelle cose in mente.
Cercava una donna che lo accompagnasse e onestamente, era felice del fatto che si fidasse abbastanza di lei.
“Nessun problema” Rispose. “ Ma non è un po’ presto per andare in uno streap club?”
“Il sito web dice che aprono alle 18!”Disse il detective evitando una vettura che frenò bruscamente proprio davanti a loro.
“E dobbiamo cambiarci prima. Senza offesa, Beckett ma la divisa sarebbe un po’ fuori luogo!”
“Accidenti.” Rispose senza perdere un colpo. “ È il colore, vero? Sapevo che avrei dovuto ordinarla nera!”
Johnson soffocò una risata in gola e la guardò quando l’auto fu ferma al semaforo. “Attento, ufficiale. Meglio non far notare alla gente che sei una persona intelligente e divertente. Sono abbastanza invidiosi!”
Lei gli diede uno sguardo tagliente, mordendosi la lingua per evitare di chiedere di più.
Che importava se la gente fosse gelosa comunque? Lei era brava. Se Montgomery avesse deciso di promuoverla a detective, sapeva che sarebbe stato solo perché lo meritasse. Non importa quello che pensano gli altri finché lei ottiene ciò che vuole.
“Potrebbero pensare che sia un grosso problema.” Disse con calma l’uomo di colore come se avesse letto i suoi pensieri. “ Ma quando fai un arresto, o sei sottocopertura vorresti essere in grado di fidarti di chi ti copre le spalle, sai?”
“ Si suppone che si debba agire in modo professionale indipendentemente dalla simpatia verso quella persona.” Rispose Beckett cercando di non far trasparire l’indignazione nella sua voce.
Sapeva che aveva ragione, aveva già visto come funzionava durante il periodo trascorso con Royce, dove la lealtà dormiva, la particolare idea che avevano alcuni poliziotti del proprio lavoro, tuttavia ciò la disgustava.
“Si…Si suppone…”
Il tono di Johnson era rilassato come sempre; Lo disse come si dicono le previsioni del tempo, imperturbabile. Kate strinse i denti.
“Come hai fatto ad ottenere la loro fiducia?”
La domanda le sfuggì prima che potesse filtrarla. Arrossì quando si rese conto di come suonava la domanda, razzista. “Non intendevo…” Disse cercando di modificare le sue parole.
“Non c’è nulla di male nel dire la verità.” Le rispose tranquillamente. “Sappiamo entrambi cosa vuol dire essere parte di una minoranza. Sei una donna. Io sono nero. Penso che, come me, tu abbia accettato tutto ciò molto tempo fa!”
Lei annuì sollevata.
Rimase in silenzio mentre lui parcheggiava, la fronte corrugata per la concentrazione. Poi, quando l’auto si spense disse, come se la conversazione fosse andata avanti per tutto quel tempo. “Sono diventato un ragazzo cool. Così sono riuscito a farmi accettare. Non ho mai reagito alle loro provocazioni, non ho mai risposto loro, mai una rissa. Quando hanno realizzato che le loro parole non mi scalfivano, hanno smesso. C’è voluto un po’ ma mi sono guadagnato anche il loro rispetto. E adesso sono parte del 12° come loro!”
 
Aprì la portiera e fece cenno all’edificio dall’altra parte della strada. “Ecco dove vivo. Sei la benvenuta se vuoi. Farò presto comunque. Mi cambio i vestiti e andiamo.”
“Posso aspettare in macchina!” Rispose Kate, felice per la possibilità di rimanere sola. Non voleva intromettersi nello spazio personale di Johnson, non più di quanto avrebbe voluto per il suo appartamento.
“Ok!” Disse con una scrollata di spalle chiudendo la portiera.
Lo guardò correre verso l’altro lato della strada, quell’alto, tranquillo e muscoloso ragazzo che si era guadagnato il rispetto dei suoi colleghi con la placidità.
Il detective Johnson era davvero un uomo interessante.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


 Saaaalve! Questa settimana siamo puntuali ma non per merito mio: ha fatto tutto Anita! Aaaaaaaaaah se non ci fosse lei *_*
Speriamo che il capitolo vi piaccia, sembra piuttosto interessante! =P
Buona lettura e per chi farà la nottata, buon finale di stagioneeeeeeeeee! *_*

 


                          Capitolo 16


Il problema nello scrivere un libro su Kate Beckett era che avrebbe reso molto più difficile dimenticarla. Andava con desiderio alla ricerca della parola giusta che potesse descrivere quel distinto bagliore dei suoi occhi, l'esatta frase per descrivere la distensione infinita delle sue gambe; e quando finalmente si spostava dal computer, circa verso mezzanotte, continuava ad avere impresso il pallore luminoso del suo viso nei suoi occhi.

Il suo stomaco si lamentò rumorosamente, il suono che echeggiava nell'immobilità del suo studio.

Giusto, cibo. Aveva bisogno di cibo.

Aveva mangiato con Alexis, certo, ma quello era stato ore e ore fa, e adesso la sua attenzione non era più rivolta alla scrittura-

Si. aveva fame.

Andò dritto al frigo per uno spuntino di mezzanotte, esitando tra il formaggio e un pezzo di prosciutto prima di scrollare le spalle e prenderli entrambi. Afferrò anche una mela, e poggiò tutto sul ripiano della cucina, la sua mente che immediatamente ritornava a pensare a Kate adesso che non era occupata.

Non aveva davvero idea se l'avrebbe chiamato o meno. Pensò che le sue parole l'avessero fatta vacillare, anche se solo per un paio di preziosi secondi; ma aveva speso anche abbastanza tempo con lei da sapere che era testarda, e determinata.

Abbastanza tempo.

Sbuffò alla sua stessa scelta di parole. No, non era stato abbastanza tempo- non sarebbe mai stato abbastanza tempo. Se non l'avesse mai voluto rivedere, se avesse dovuto spendere il resto della sua vita provando ad afferrare nel modo giusto la sua personalità, provare a  darle vita con le sue parole-

oh, beh. Poteva farlo, no? Aveva una magnifica figlia, e una carriera in salita; avrebbe imparato a vivere senza Kate Beckett, così come aveva imparato a vivere senza Meredith, senza Sophia.

Era bravo in questo. Aveva pratica.

La conosceva appena, inoltre. Che stava pensando? Che poteva guarire la ferita oscura e persistente che aveva dalla morte di sua madre? Che avrebbero tutti vissuto felici e contenti, una famiglia magnificamente riunita?

Buona fortuna per quello, Rick.

Non l'aveva neanche presentata ad Alexis, non è vero? Non era solo Kate. Anche lui aveva problemi, problemi di abbandono, e aveva una figlia senza madre il cui cuore era troppo tenero e prezioso per essere distrutto così.

Aveva bisogno di sicurezza, di certezza che nessuna donna avrebbe mai avuto la possibilità di dare.

Prese un morso dalla sua mela, masticando lentamente, e si ricordò dello sguardo negli occhi di Kate quando gli aveva detto di andarsene, di fare ciò che era meglio per entrambi.

Quello che era meglio. Come faceva a sapere-

Scosse la testa, ne aveva abbastanza, davvero abbastanza, e così spinse i pensieri in una altra direzione. Ma non andavano lontani; e così si ritrovò a pensare al caso, riguardo a quel file che aveva tenuto fra le mani brevemente.

Era masochista, non c'era dubbio, ma ne voleva ancora sapere di più. L'omicidio di sua madre.

Un caso irrisolto, l'assassino mai preso: stuzzicava quella parte di lui che credeva sarebbe finito tutto bene, quella parte della sua mente che era così curiosa. Sapeva quello che avevano detto, che dopo 24 ore le tracce diventano fredde, e diventava sempre più difficile rintracciare il crimine alla persona che lo aveva perpetrato. E dopo cinque anni...

Ma nonostante tutto. Si rifiutava di credere che non ci fosse nulla da fare.

Ci doveva essere qualcosa, un dettaglio che era stato ignorato, una traccia che non era stata seguita a causa di desideri meschini o per soldi.

Si chiedeva- c'era questo poliziotto che conosceva- beh, ne conosceva più di uno, ma questo ragazzo del 54esimo che aveva frequentato quando stava iniziando Derrick Storm. Clifford Haynes.

Se Rick lo avesse chiamato, e gliavesse chiesto un favore...

Forse avrebbe potuto mettere mani su quel file.

Non sapeva esattamente come funzionassero gli archivi del NYPD, ma certamente si poteva fare, giusto?

Come un dogma, non c'erano molte cose che con i soldi non si potessero ottenere. E lui ne aveva bisogno. Aveva bisogno di uno sfogo per il suo invaghimento per Kate Beckett, dato che apparentemente lei non lo voleva.

Avrebbe risolto il caso; sarebbe stato il suo cavaliere azzurro, il suo eroe, il suo segreto benefattore.

E lei non doveva mai saperlo.

Perchè se l'avesse mai scoperto, non aveva alcun dubbio che gli avrebbe sparato.


Kate si abbottonò lo stivale nero di pelle che le arrivava al ginocchio, e fece un passo insicuro. Il tacco era abbastanza normale.

Mise il secondo e poi si alzò per guardarsi allo specchio della sua stanza.

Si era messa una gonna corta ma non tanto da essere indecente, un top scollato e un maglione che poteva togliersi una volta entrata nel club. Il vestito era abbastanza sexy, ma anche poco eccentrico- esattamente ciò a cui aveva aspirato.

Aggiustò velocemente il trucco, mettendo un po' di eyeliner, e scosse i capelli con le dita.

Stava abbastanza bene.

Afferrò il cappotto, e la piccola borsa dove aveva messo il distintivo e la pistola, e poi si avviò verso la porta. Mentre chiudeva la porta a chiave, non potè fare a meno di sorridere al ricordo di Johnson quando era venuto indossando una giacca di pelle, una catena di oro pesante, e con degli occhiali da sole nonostante fosse inverno e il sole era tramontato.

Doveva ammetterlo, c'erano momenti in cui il suo lavoro era molto divertente.

Johnson stava aspettando nella macchina sul lato opposto della strada; corse verso di lui, evitando un paio di macchine e guadagnandosi alcune strombazzate incazzate.

Aprì la porta, sedendosi sul sedile del passeggero, sentendo gli occhi del detective su di lei. I suoi vestiti dovevano aver passato il test perchè lui non disse nulla, semplicemente avviò la macchina con l'accenno di un sorriso agli angoli della bocca.

“Non riesci a fare niente senza attirare l'attenzione, vero?” Scherzò mentre si inseriva nel traffico.

Beckett strinse gli occhi minacciosamente, smorzando il suo stesso sorriso. “Oh, sta zitto, detective.”

Johnson rise, qualcosa di silenzioso che passò nei suoi occhi lo fece apparire- almeno un po'- come un orsetto di peluche.

Kate poggiò la testa sul sedile, compiaciuta di se stessa, e del suo temporaneo partner.

Si. amava il suo lavoro.

Quando raggiunsero il club, c'era già una piccola fila di gente ad aspettare per entrare.

Johnson e Beckett presero posto alla fila. Il detective aveva messo un braccio attorno alla vita di Beckett; lui era ancora più alto di lei di un paio di centimetri, nonostante i tacchi, il che significava che poteva tranquillamente sussurrarle qualcosa nell'orecchio.

Notarono subito che non tutti erano entrati nel club, ma le ragioni per le quali ad alcuni venisse negato l'ingresso erano sconosciute. Infatti, sembrava completamente casuale.

Kate guardò, il sopracciglio aggrottato, fino a quando non erano a un paio di metri dalla porta. Johnson le mormorò qualcosa. “Facciamo finta che siamo ubriachi. Questo potrebbe andare bene.”

La sua unica risposta fu quella di appoggiarsi a lui pesantemente, e prese a sorridere guardandolo da sotto le ciglia. “Si?”

La strinse più vicino a sé con un sorriso, le sue labbra che flirtavano con la sua tempia. “Pensi di poter ridere per me?”

Beckett poggiò una mano sul suo petto e rise, a bocca aperta, un suono divertito che non avrebbe mai, in altre circostanze, fatto.

“I prossimi,” disse il buttafuori, e loro si mossero in avanti, Johnson quasi la trascinava con sé.

“Carta di identità, per favore.”

Fecero finta di non trovarli, Beckett che perdeva il suo equilibrio una volta o due mentre guardava nella sua borsa, facendo finalmente uscire la carta. L'uomo muscoloso li guardò, e poi annuì. “Potete entrare.”

Sentì la stretta trionfale della mano del detective sulla sua vita, e poi entrarono nel club. Il corridoio era stretto, i muri dipinti di nero ma per metà coperti di poster di ogni genere, vecchi e nuovi. Lasciarono i loro cappotti all'appendiabito, e poi entrarono nella stanza principale, a forma di diamante, con una pista da ballo al centro e un bar alla loro sinistra.

Lo spazio nel mezzo era caratterizzato da quattro piedistalli, sui quali le ballerine danzavano a ritmo di musica, e lentamente si toglievano i vestiti. Erano tutte svestite in modo diverso, ma quella più vicina all'essere completamente nuda era una donna che era nei suoi primi anni venti, con solo un laccio attorno alla vita.

Se quello poteva essere chiamato indumento.

Johnson condusse Beckett verso il bar, e ordinò dei drink prima di girarsi verso di lei.

“In base alle informazioni che abbiamo,” disse quanto più silenziosamente poté, annuendo verso la porta alla destra del bar. “Questa conduce al corridoio dove ci sono le stanze dedicate ai clienti con... i bisogni speciali. Il nostro lavoro stasera è quello di scoprire se è vero oppure no.”

“Come vuoi agire?” Chiese lei, rivolgendo un sorriso verso il barista che tornava verso di loro con due bicchieri.

Il detective spinse i soldi sul bancone, e prese un sorso di birra, i suoi occhi che analizzavano la stanza.

“Non so ancora come funziona qui,” disse pensosamente. “Forse vanno loro stessi dalle persone che sembra si stiano riscaldando troppo, e gli offrono un posto-”

“Possiamo facilmente testare quella teoria,” rimarcò Kate, senza distogliere lo sguardo dal suo.

“Si?” Chiese Johnson, scrutandola. “A te sta bene?”

“Certo,” e scrollò le spalle. Era il suo lavoro, no? E inoltre, lui non era proprio il più brutto del pianeta. Lei era libera, senza legami, e se questo le avrebbe fatto avere una buona parola da Johnson per la sua promozione, allora le sarebbe andato bene.

Ma quando si trovarono sulla pista da ballo, le mani del detective sotto il suo top, i loro corpi che strisciavano l'uno contro l'altro a ritmo di musica, Bekcett capì che poteva non essere così semplice come pensava.

Non aveva paura del contatto fisico; aveva un grande controllo su se stessa, e si fidava del suo partner. No, non era quello.

Ma...

Quando le labbra sfiorarono la linea del suo collo, quando fece scivolare una gamba fra le sue, la sua mano che saliva la gonna, Kate fu senza fiato, una fitta di desiderio lancinante che la colpiva nel profondo.

Voleva che fosse Castle.

Voleva che fossero le mani di Castle quelle su di lei, la sua bocca calda e sorridente, quel suo modo di sussurrare il suo nome contro la sua pelle. Lo desiderava da impazzire.

Johnson la baciò, e lei rispose, aprendo la bocca contro la sua, i suoi occhi si chiusero per immaginare l'uomo di cui aveva un disperato bisogno, che desiderava più di ogni altra cosa. Il sangue le scorreva nelle vene, il cuore che batteva all'impazzata, il suo corpo che si alzava-

E poi furono interrotti.

“Signore, signora. Mi dispiace, ma non tolleriamo questo genere di comportamento nel nostro club.”

Kate si morse il labbro, forte, il suo cuore che esplodeva mentre il suo collega la lasciava andare. Si erano in qualche modo spostati in un angolo, ed era così grata, ma così grata del supporto che il muro le dava. Oh, Dio.

Johnson cercava di mantenersi indifferente, cercando di far proporre all'uomo quelle ipotetiche stanza, ma il suo approccio amichevole venne brutalmente fermato quando il ragazzo chiamò due guardie di sicurezza.

“Nick, Esteban, portate queste due persone fuori, per favore. Sembra che abbiamo confuso il nostro locale con qualche altro posto.”

Nonostante le proteste vivaci del detective, lui e Beckett dovettero tornare in mezzo alla strada, spinti con non troppa gentilezza. Esteban, o forse era Nick, sbatterono la porta dietro di loro, e Johnson immediamente smise di fingere di essere ubriaco.

“Dannazione,” imprecò, passandosi una mano fra i suoi capelli inesistenti.

Dopo un momento di silenziosa considerazione, si girò verso Beckett, il sopracciglio leggermente alzato. “Stai bene?” Le chiese, osservandola.

Probabilmente era tutta disordinata, poteva sentire i capelli che le si appiccicavano addosso, la pelle d'oca sulle braccia perchè non gli avevano restituito i cappotti, ma annuì fermamente, non fidandosi della sua voce.

Non voleva che sentisse quanto eccitata fosse e farsi un'idea sbagliata. Lei stessa poteva a malapena credere che il pensiero di Rick Castle fosse abbastanza da trasformala in un essere così eccitato e bisognoso.

“Solo freddo.” Disse alla fine, abbracciandosi.

“Si, proverò a riprendere i nostri cappotti.” Disse Johnson. “Nn credo ci faranno entrare di nuovo, però. Almeno ci abbiamo provato.” Agiunse quietamente a se stesso. Poi, guardandola. “M aspetti qui?”

“Ok” rispose, a dire il vero sollevato nel vederlo allontanarsi.

Gesù, non usciva con Castle.

Lui non era niente per lei.

Allora che cos'era tutta quella colpa che si sentiva dentro?

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 Ehm, coffcoffmatildechesiscusacoffcoff. Ciao a tutte, io sono la tal donzella che una volta scriveva e traduceva questa FF insieme ad Anita... Adesso sono quella che si scusa per l'enorme ritardo ma abbiamo, io di più, avuto piccoli incidenti di percorso che mi hanno impedito di pubblicare. Cercherò di essere più puntuale per i seguenti capitoli! Parlo in prima persona perchè Anita è stata disponibilissima a tradurre, sono io quella con vari problemi XD
Speriamo che il capitolo 'del ritorno' (XD) sia di vostro gradimento, non esitate a farcelo sapere! =)
A presto,
Tempie. =)




                                                 Capitolo 17



Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Johnson non era mai stato un chiacchierone- e nonostante non avesse detto più niente su come erano stati buttati fuori dal club, sembrava che ci stesse ancora pensando.

A Beckett non importava. Anche se era passata più di un'ora e mezza da quando i buttafuori li avevano portati fuori dalla porta, il suo corpo ancora elettrizzato, sveglio e pronto, il calore che si propagava sotto la sua pelle. Doveva continuare a premere le unghie nelle cosce, cercando la pelle per cercare di mantenere la mente chiara e concentrata.

Sapeva che quella era la strada di casa sua nel momento in cui Johnson aveva girato l'angolo; aveva la mano sulla maniglia, pronta per un po' di pace e tranquillità al suo appartamento.

Ma quando spense il motore, era abbastanza sorpresa nel guardarsi indietro verso il detecetive, momentaneamente dimenticando il suo desiderio di solitudine.

“Hai fatto un buon lavoro stanotte,” disse tranquillo, le mani sul volante.

“Grazie,” rispose, anche se non avrebbe definito la loro missione un successo.

“Sei una brava poliziotta,” aggiunse, e questa volta si sentì veramente a disagio- non era da Johnson fare questo tipo di complimenti, di dire ciò che poteva essere non detto.

Sentiva che ci sarebbe stato un ma-

“Vuoi uscire per un drink, qualche volta?”

Incontrò i suoi occhi, il suo viso onesto, e lo shock la rese senza fiato, un buco che si apriva sotto i suoi piedi.

Lui-

oh.

Non era ciò che si aspettava.

Dovette trattenere la sua delusione, la realizzazione che lei avrebbe voluto che piacesse a Johnson per la sua competenza professionale, non perchè era carina, non perchè era attratto da lei.

“Sono-” merda, qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe rovinato tutto, vero? La loro amicizia ne avrebbe sofferto, e lei avrebbe perso l'unico vero alleato che aveva in Vice. Dannazione.

“Mi dispiace, sto vedendo un'altra persona,” rispose, pensando che era la cosa che avrebbe creato meno danno al suo orgoglio. “Ma sono...”

“Non dire che sei lusingata,” la tagliò corto, ma la sua voce era calma, quasi ridente, e lei prese un respiro di sollievo.

“Non ti preoccupare, Beckett. Sei una bella donna, un poliziotto intelligente- pensavo valesse la pena chiedere. Non sapevo avessi qualcuno.”

“E' molto recente,” rispose senza pensare, gli occhi blu di Castle nella sua mente.

Johnson sorrise, sembrando più sereno di quanto credesse fosse possibile. “Beh, buon per te. Spero funzioni.”

Questo ragazzo era reale? Si morse il labbro inferiore, incerta su cosa dovesse dire, o come calmare il suo improvviso bisogno di abbracciarlo.

“Amici?” disse lui, porgendo la mano.

Sarebbe stato stupido non afferrarla.  “Amici,” echeggiò lei, il suo petto stretto per la gratitudine, prima che uscisse fuori dall'auto.


Quella notte si alzò con un senso di affanno, la sua pelle infuocata, che cercava il tocco di Castle. Le sue interiora erano un nodo doloroso, le sue dita che stringevano le lenzuola, il battere feroce del suo cuore; si girò su un lato, ma ci volle una vita per addormentarsi di nuovo.

Accadde più di una volta.


Rick chiuse la chiamata, pensieroso, e poggiò il telefono sul mento, i gomiti poggiati sulla scrivania.

Aveva accompagnato Alexis a scuola, e poi era tornato per scrivere; ma prima, aveva chiamato il suo contatto al 54esimo riguardo al file a cui era molto interessato.

Haunes non si era rifiutato di aiutarlo, no; era peggio. Il tipo, seguendo l'esempio del personaggio che aveva creato, si era ritirato.

Certo, aveva altri contatti nella polizia, amici ben piazzati che aveva proposto di chiamare per lui, ma non sembrava una buona idea secondo lo scrittore.

Forse era destino, pensò, allungando le gambe. Forse il fato gli stava mandando un segnale, dicendogli che non doveva immischiarsi.

Richard Castle credeva nel fato.

Un ultimo tentativo, disse a se stesso. Un ultimo tentativo, e se nulla fosse venuto fuori, allora si sarebbe fermato.

Fece cadere il telefono sulla scrivania, aprì il cassetto dove teneva un notebook che conteneva la lista di tutti i suoi contatti.

Sapeva di avere il numero del Dr. Murray da qualche parte.



Il suo telefono vibrò sulla scrivania e fu interrotto dalla sua scrittura, la scena che lo stuzzicava come un sogno, voci e colori, le parole dei suoi personaggi echeggiavano nella sua mente.

Scrisse le tre parole che avrebbero finito la frase, poi salvò il documento e ansioso prese il telefono, sperando che era Murray che lo chiamava. Non era riuscito a raggiungerlo; e aveva perciò lasciato un messaggio, rimanendo il più vago possibile- apparentemente, alcune delle riserve di Kate riguardo il caso della madre lo avevano colpito.

Non era Murray, ma un messaggio da Gina.

Ti vengo a prendere alle sette e mezza.

Grugnì, lasciando che la fronte ricadesse nel palmo della sua mano, scuotendo la testa per la sua stessa debolezza. Ma perché cavolo aveva accettato?

Guardò la pagina aperta dello schermo, il cursore lampeggiante, il suo nuovo personaggio che aspettava la prossima mossa.

Non l'aveva ancora mandato a Gina. Le aveva mandato per email i capitoli di Storm, scritti di fretta, e probabilmente mal scritti, ma aveva tenuto per sé l'alter ego irreale di Kate.

Nikki.

Ancora non aveva trovato il suo cognome. Aveva un paio di idee, ma niente di preciso; gli aveva già preso molto tempo per decidere Nikki.


Aveva voluto qualcosa di breve, esotico e sexy, si, ma anche forte- un nome che fosse spigoloso e tagliente. Gli piaceva Nikki per il suono, per la “K” dura che era presente sia in Kate che in Beckett.

Rick sospirò, grattandosi la mascella. Gina avrebbe insistito stasera per sapere la sua nuova idea; doveva per forza trovare un nome completo per Nikki, e probabilmente mandarle i primi tre capitoli.

Ugh, ma non voleva ancora pubblicarli. Tutto ciò che voleva fare era scrivere.

Passò una mano sulla tastiera, godendo del contatto familiare, le infinite possibilità date da una piuttosto semplice sistemazione di lettere e punti.

Gina Griffin. Era difficile immaginarsela senza il suo completo e i tacchi, mentre era a casa, senza trucco; era difficile immaginarla come un essere umano. Nonostante tutto, però, doveva esserci una persona sotto la corazza esteriore.

Un po' come Kate. Eccetto che con Kate era più facile vedere attraverso l'armatura, perché la sua gentilezza brillava nei momenti più inaspettati; era intelligente, ma mai cattiva. Mentre Gina era più una regina di ghiaccio, fredda e irremovibile, che a mala pena concedeva l'onore della sua presenza.

Quindi se Gina era ghiaccio, allora Kate era-

Fuoco. Una fiamma danzante, affascinante e misteriosa, un calore con il quale voleva bruciarsi le dita.

Heat.

Nikki Heat.

Rick rimase seduto alla sua sedia sorpreso, senza muoversi mentre un lento sorriso di espandeva sulle  guance, e lasciò che si gustasse il sapore delizioso del bruciore del trionfo sui suoi arti.


Nikki Heat-

Aveva il suo nome.


Beckett era tornata presto al distretto, sperando di fuggire dai ricordi che erano presenti nel suo appartamento, e avere un po' di respiro dal fantasma di Richard Castle.

Una speranza vana e futile.



Quando il detective Herdman si presentò mezz'ora dopo, portando una tazza che veniva dallo stesso negozio dove Castle aveva preso per lei una volta il caffè, divenne ovvio che nulla poteva essere fatto.

Non importava quanto provasse, non riusciva a scacciarlo dai suoi pensieri.

Diventava sempre peggio. Venne mandata giù agli archivi, dovette camminare oltre il corridoio dove si era avvinghiata a lui con le gambe attorno alla vita, così desiderosa di lui; le sue guance si infiammarono e il suo petto si costrinse, l'ardore penetrante dell'eccitazione. Dovette fermarsi un attimo alla porta degli archivi, chiudere gli occhi per riprendersi.

Più tardi venne mandata fuori, insieme ad altri, per raccogliere prove dalla casa del web designer che aveva gestito il sito pornografico nel suo tempo libero. Certo, l'uomo aveva la collezione completa dei romanzi di Castle; i libri la fissavano dallo scaffale mentre cercava nella stanza alcune foto che lo potessero incriminare, che molto probabilmente avrebbe fatto il loro autore se fosse stato lì.

L'avrebbe fatta impazzire.
Una volta tornata al distretto, controllò le e-mail e poi si recò alla sala riunioni dal Detective Osbourne. La voleva su un'operazione di sorveglianza, un bar del centro il cui proprietario era a capo di una banda ben consolidata, conosciuta per i suoi giri di prostituzione e droga.

Almeno questa volta dovette fingersi una cliente e non una prostituta scarsamente vestita.
La riunione si concluse alle sei. Si sarebbero incontrati direttamente al bar l'indomani mattina per iniziare l'operazione.
 Tecnicamente, Beckett aveva terminato il suo orario di servizio, sarebbe potuta tornare a casa per un po' di meritato riposo vista l'operazione del mattino seguente. Invece indugiò ancora, trovò alcuni documenti da compilare e lavorò sulla sua domanda di promozione.
Detective Beckett.
Aveva buone possibilità ma sapeva che se avesse ottenuto il lavoro, se Montgomery l'avesse dato a lei, la gente avrebbe parlato.
Molto più di quanto non facesse già adesso.
Osservò ancora una volta l'elenco dei documenti richiesti, la lettera che aveva già accuratamente scritto, le raccomandazioni- cavolo, doveva chiederle a Johnson.  Alzò lo sguardo per cercarlo ma era già andato via, lei  probabilmente avrebbe dovuto fare lo stesso.
Kate raccolse i suoi documenti e li mise nel cassetto che era suo per metà, impostati ordinatamente sul lato destro. Poi si alzò, stiracchiando le gambe e le braccia, la divisa era troppo rigida contro il corpo stanco; quindi si diresse verso l'ascensore.
I due poliziotti che erano già dentro, le fecero posto spostandosi agli angoli e Kate premette il tasto per il piano terra.
Stava già vagliando mentalmente le varie possibilità cibarie del suo frigo quando le porte si aprirono e lei si ritrovò senza pensare, realizzandolo un istante dopo, alla Omicidi.
Si voltò per tornare in ascensore, ma prima che potesse farlo intravide un 'set' familiare di spalle, capelli grigi tagliati corti e una muscol...
Il suo cuore perse un battito.
 "Royce?"
Dimenticandosi dell'ascensore, Kate fece un passo avanti, il viso incredulo.
Si era ritirato, aveva detto che sarebbe partito per un posto più caldo e tropicale e lei pensava che l'avesse realmente fatto perchè effettivamente non aveva mai risposto a una delle sue telefonate.
Royce le dava le spalle ma il poliziotto con cui stava parlando, Grayson, un uomo dagli occhi strabici che non le era mai piaciuto, la vide arrivare. E l'espressione sul suo viso servì a dissipare tutti i dubbi di Kate.
Grayson disse qualcosa a Mike che si girò.
"Royce." ripeté a bassa voce, una gioia inattesa le prese lo stomaco. Sarebbe dovuta essere furiosa, la ferita era ancora lì, un dolore sordo nel petto, ma le era mancato così tanto...
"Ehi ragazza", disse con un sorriso che non riuscì a raggiungere i suoi occhi, ma lei non se ne accorse.
Il sollievo nel vederlo lì, di fronte a lei, sano e salvo, e non morto in qualche fosso come spesso aveva immaginato.
"Che ci fai qui?" gli chiese, sussultando internamente al suono troppo desideroso della sua voce. "Pensavo fossi alle Hawai o qualcosa del genere."
Lui la guardò, in silenzio per qualche secondo di troppo, e questa volta non poté evitare la fitta di realizzazione, il freddo nelle vene.
Lui non aveva mai lasciato il distretto, vero?
Beckett strinse le labbra, vide il rimpianto sul suo viso e distolse lo sguardo.
"Capisco", disse con voce ferma ma almeno, almeno, costante.
Grayson era scomparso, grazie a dio, ma era pienamente consapevole che si trovavano nel bel mezzo di un corridoio, esposti, e per quanto lei ne potesse sapere, tutti gli sguardi della sezione Omicidi erano su di loro.
"Beckett" disse Royce dolcemente, avvicinandosi.
Lei fece un passo indietro, cercando si renderlo più evidente possibile, abbastanza perchè lui capisse.
Fece una pausa.
"Hai mai lasciato la città?" chiese, trovando i suoi occhi, il mento, il suo cuore barricato contro il male ora.
Non l'avrebbe mai fatto vedere, non avrebbe mai lasciato che gli altri se ne accorgessero.
Lui scosse la testa lentamente avendo la grazia di vergognarsene almeno, non che per lei cambiasse molto.
Così aveva evitato lei. Per tutto questo tempo. Lui sarebbe persino potuto tornare prima al distretto e lei non l'avrebbe mai saputo, mai, se non l'avesse incontrato quel giorno per caso.
"Cucciola", mormorò, e la tristezza nella sua voce la colpì, la fece trasalire puntando gli occhi su di lui. Non capiva. Perchè le bugie? Perchè il lungo silenzio se ciò avesse servito a rendere entrambi infelici?
"Stavo solo facendo quello che era meglio per te!" rispose alla sua domanda inespressa. La sua voce bassa e piena di scuse.
"Forse ancora non te ne rendi conto ma tu meriti qualcuno meglio di me, Kate. Non posso essere il tuo pilastro; ti stavo trascinando sempre più in basso e tu non hai bisogno di questo!"
Fece un lungo respiro attraverso il naso, represse fortemente le lacrime che sentiva spingere dalla gola.
Non qui, non ora.
 Quello che è meglio per te.
Oh Dio, cosa aveva fatto?
Aspirò aria in un rantolo, allontanandosi da Royce, non notandolo più. La sua mente adesso  era su un paio di occhi azzurri, la voce di Castle, cosi dolce quando le aveva detto... Avrei potuto amarti, Kate.
Merda, merda.
"Devo andare!", disse all'improvviso, notando a malapena la sorpresa sul volto di Royce.
Che ora era?
Oh, le sette e mezzo, bene. Avrebbe preso un taxi, poteva prendere anche la metrpolitana.
Si sentì tirare indietro improvvisamente, sorpresa.
La mano di Royce era sul suo fianco, bloccandola, la fronte increspata dalla preocupazione. Se lo scrollò di dosso, non troppo brutale nè troppo gentile, realizzando che lui aveva, anche se solo in parte, ragione.
"Non ho bisogno di te!", mormorò scioccata che quella fosse la verità.
Royce impallidì, ma non c'era nulla che potesse fare, nulla che voleva fare per 'ammorbidire' il colpo; era quello che si era cercato.
Aveva ottenuto ciò che voleva.
"Ciao, Royce." Disse lei, più gentile possibile, e un attimo dopo si voltò senza esitazione dirigendosi verso l'ascensore, a passi veloci come i battiti del suo cuore.
Oh, ti prego, ti prego, fa che Castle sia a casa!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Hola Chicas, in extremis eccovi il nuovo capitolo appena tradotto nonostante la febbre. Quindi, occhio, magari ho scritto qualche frase delirante XD 
Vi auguriamo una buona lettura sempre felici di leggere cosa ne pensate.
A presto,
Tempie. =) 
                                



                                            Capitolo 18



Rick era in ritardo. Sembrava ci fosse una cospirazione contro di lui: Katrina aveva chiamato circa mezz’ora fa per dire che non poteva venire, qualche emergenza in famiglia glielo impediva. Aveva chiamato sua madre la quale gli aveva detto che sarebbe arrivata il prima possibile. Il che poteva significare ore con lei.
E come se non bastasse, Alexis, che di solito era la più dolce e docile bambina sulla faccia della terra, non gli aveva regalato  un sorriso per tutta la cena e si era lamentata della pasta che era troppo cotta.
Le aveva detto, più volte, che quella cosa con Gina non era un appuntamento, solo un incontro di lavoro. Dovevano parlare di progetti editoriali, giusto?
Ma sua figlia aveva guardato la sua cravatta ed aveva arricciato il naso, non credendogli. E adesso era rannicchiata sul divano, apparentemente a leggere ma che trasudava tristezza da tutti i pori. Lui trasse un profondo respiro e si fermò in quel suo via vai.
Andò al divano e si accovacciò davanti a lei, aspettando pazientemente che lo guardasse da sopra il suo libro.
“Alexis, zucca.”
Premette le sue piccole labbra insieme dandogli uno di quegli sguardi che gli facevano salire un nodo in gola. Non aveva mai visto una bambina di nove anni come lei.
“Non devo andare per forza.” Disse avvolgendo la mano alla caviglia sottile, il calzino bianco con disegni rosa.
Davvero non avrebbe voluto. Ad essere onesti, più ci pensava, più lo infastidiva il modo in cui Gina lo aveva sorpreso a darle una risposta positiva.
L’unico motivo per cui aveva accettato era che, nei rari momenti in cui non era una strega, avevano effettivamente avuto delle interessanti conversazioni.
Gina era intelligente, aveva buon gusto e, non poteva negarlo, era una bella donna.
In un modo molto differente da Kate.
“Sei già vestito!” Sottolineò Alexis lasciando cadere il libro sul grembo.
Il suo cuore sprofondò vedendo la sua faccia rassegnata.
“Non significa niente. Posso ancora chiamarla e annullare dicendole che è un’emergenza familiare.” Rispose facendole un occhiolino.
Lei gli colpì la spalla col piede ma le sue labbra si alzarono a formare un piccolo sorriso.
“Papà non essere stupido. Le hai detto che saresti andato.”
Ah, e avrebbe fatto meglio a mantenere la sua parola. Doveva cercare di bilanciare con tutte quelle volte in cui Meredith non lo aveva fatto.
Tuttavia…
“E io andrò.” Disse Rick decidendo di attuare un’altra strategia. “Non appena mi dirai cosa ti preoccupa.”
Alexis sbuffò, raccogliendo i suoi lunghi capelli rossi, tirandoli indietro, sopra la sua spalla.
“Sto bene, papà!”
“Bugiarda.”
Lei ruotò gli occhi verso di lui, -non ha neanche dieci anni e ruota gli occhi- Cavolo non vedeva l’ora di affrontare l’adolescenza.
“E’ solo…”
Si fermò, lo sguardo puntato ai piedi.
“E’ solo?”
“Non mi piace molto Gina.” Ammise infine guardandolo.
“Oh.”
Fu sorpreso, forse non tanto, dall’ammissione di sua figlia. Di solito non gli diceva se non le piaceva qualcuna ( aveva per un lungo periodo pensato che sua figlia fosse un angelo che amava tutte le anime del pianeta), anche se c’erano state un paio di occasioni recentemente in cui aveva criticato sua madre.
Ma Meredith era Meredith, e Gina era una storia completamente diversa, era stata al loft solo un paio di volte, e Alexis lo aveva accompagnato a fare autografi solo una volta o due al massimo. Si conoscevano a malapena.
“Perché no?” Le chiese curioso.
Sua figlia premette di nuovo le labbra insieme, ovviamente riluttante a raccontare. Si strinse nelle spalle scuotendo brevemente la testa.
“Nessun motivo in realtà. Solo una sensazione.”
“Un’altra bugia. Devi fare di meglio…” Scherzò cercando di capire sua figlia.
Alexis sospirò, le sue dita a tracciare i bordi del libro. Stava crescendo. La sua bambina.
Rimase in silenzio per un attimo e lui avrebbe dovuto ancora insistere. Ma proprio mentre stava per farlo lei parlò.
“Non lo so, solo…” Si passò una mano sul collo come quando era in imbarazzo. “Quando parla con me lei è sempre gentile e tutto, ma è come se…le fosse difficile esserlo. Come se volesse essere perfetta. O che io le dica che lo è. Non lo so.”
Oh, wow. Non aveva prestato attenzione all’interazione di Gina con sua figlia, non le aveva osservate da vicino, ma se quella donna pensava che poteva usare sua figlia per…
“E non mi piace il modo in cui si comporta con te!” Continuò inarrestabile. “ come se tu fossi di sua proprietà o qualcosa del genere. Solo perché tu lavori per la sua casa editrice non significa che può trattarti così.”
“Alexis.”
“Mi ricorda la mamma a volte. Il modo in cui ti sta addosso, aspettandosi che tu faccia cosa dice. Ma non è ok…”
“Alexis è abbastanza!”
Sua figlia lo guardò con gli occhi spalancati e chiuse lentamente la bocca.
Castle si passò una mano sul sopracciglio, incerto sul motivo per cui avesse reagito così pesantemente quando era stato lui a chiedere.
“Mi dispiace.” Dissero insieme. Si guardarono l’un l’altro sorridendo e la tensione svanì.
Si sedette accanto a lei mettendole un braccio attorno alle spalle e tirandola a sé.
“E’ il suo lavoro urlarmi addosso, tesoro.” Spiegò dolcemente. “Lei, forse, sarebbe una persona gentile se io le dessi i miei capitoli in tempo, se accettassi tutti gli inviti per pubblicizzare i libri. Ma non lo faccio. Se fossi in classe con te sarei il peggiore e il più pigro studente che un’insegnante potrebbe avere, sai?”
Il fantasma di divertimento comparve sul viso di sua figlia.
“Quindi lei deve urlare contro di me. Non le rendo le cose facili. E tu non la conosci bene, zucca, quindi non puoi giudicarla.”
Alexis non disse nulla, ma poteva vedere il rossore diffondersi dalla clavicola.
“Tu me l’hai chiesto…”
“Lo so ciò che ho fatto.” Disse. “E sono contento che tu me l’abbia detto. Ma a volte bisogna dare alle persone il beneficio del dubbio. Non sono sicuro che Gina sia come tua mamma. E anche se lo fosse?”
Gli occhi azzurri di Alexis erano…Inorriditi. Non c’era altro modo per descriverli.
Rick pensò di aver fatto un lavoro terribile come genitore se quello sguardo sul suo viso era ciò che provava lei nei confronti di sua madre.
“Tua madre è una brava persona, Alexis!” Insistette. “So che non è molto presente e so che può essere un po’ smemorata ma ha un buon cuore. Non c’è un briciolo di malizia in lei. Potevo fare molto peggio…”
“Non sto dicendo che lei è una brutta persona.” Rispose in fretta con le guance in fiamme. “ certo che no, papà. Tu sai che io amo mamma. E’ solo…Lei non è la persona giusta per te. Tu sei…”
Alexis si fermò, sembrando più a disagio di quanto non l’avesse mai vista.
“Sono cosa?” Chiese dolcemente guardandola.
Lei si morse il labbro inferiore prima di ricevere un’occhiata dal padre. “Tu sei diverso quando lei è qui. E’ come se tutto ad un tratto non fossi la stessa persona e io…E non mi piaci. Non capisco perché tu non possa essere sempre il mio papà.” Disse con calma, i suoi occhi profondi illuminati dal morbido bagliore della lampada.
L’uomo prese la sua mano nelle proprie, intrecciando le loro dita e non potè non notare per un secondo quanto piccole fossero le mani di sua figlia, rosa, minuscole e perfette.
Che cosa avrebbe fatto tra dieci anni, quando sarebbe cresciuta e l’avrebbe lasciato?
“Sono sempre tuo padre, piccola.” Disse seriamente lasciandole un bacio tra i capelli rossi. “Sempre.”
“Lo so.” Sospirò con la testa poggiata sulla sua spalla adesso. “Con me lo sei. Ma a volte ci sono persone come la mamma che ti fanno essere diverso, e… Ho paura che Gina faccia lo stesso!”
“Alexis, che ti ho detto riguardo all’essere spaventati?”
Sentì il suo sorriso contro la sua camicia.
“Che non è una ragione per non vivere la tua vita!”
“Esattamente. Non so più di te, zucca. Non so se Gina sarà come la mamma, se è quella giusta per me. Per questo devo provare. Darmi un’occasione. E allora lo saprò.”
Lei emise un lungo sospiro, il suo giovane corpo premuto contro di sé, e poi gli strinse la mano tra le sue.
“Ho capito.” Disse con voce bassa ma ferma, e proprio in quel momento bussarono alla porta.
Castle toccò la figlia con un sorriso.
“Vuoi venire con me per vedere chi è e dire ciao?”
Sollevò la testa e gli rivolse un sorriso luminoso.
“Si.” Rispose, mostrandosi contenta per averglielo chiesto. Si districò da lui e si alzò in piedi con entusiasmo aspettandolo per raggiungere la porta d’ingresso.
Lasciò che lei l’aprisse, faticando un po’ perché era sempre stata piuttosto pesante.
Era Gina. L’elegante abito nero che indossava sotto il cappotto distrussero tutte le sue speranze che non fosse un appuntamento.
Dannazione.
Il suo editore gli rivolse un lento sorriso fiducioso ed entrò, i suoi occhi si abbassarono per osservare sua figlia.
“Beh, ciao Alexis.” Disse dolcemente e lui si ritrovò a studiare il modo in cui guardava sua figlia.
Difficile da dire. Non pensava che Gina fosse il tipo da utilizzare Alexis per arrivare a lui ma non sembrava neanche a proprio agio con lei.
“Ciao.” Disse Alexis improvvisamente timida avvicinandosi a lui.
Si rese conto che era il suo turno di parlare, si schiarì la gola avvicinandosi.
“Ei Gina, la mia uhm, baby sitter ha avuto un contrattempo e stiamo aspettando mia madre che ha detto di poter occuparsi di Alexis mentre siamo via.
“Oh.” Disse Gina con un sorriso affilato. “Beh potrebbe sempre venire con noi se…”
Sentì sua figlia avvicinarsi sempre di più a lui e stringere le sue dita sul retro dei suoi pantaloni appena sopra il ginocchio.
Quello era un no!
“Ha scuola domani.” Rispose calmo ma fermamente. “Di solito va a letto alle 20.30 e dubito che noi saremo di ritorno per quell’ora.”
“Si può fare un’eccezione per certe regole.” Suggerì il suo editore inclinando la testa in quello che probabilmente doveva essere un modo giocoso. Ma Alexis era sua figlia e lui era l’unico che potesse decidere per lei.
“Alexis ama la scuola.” Rispose lui, in piedi, completamente a suo agio per quella risposta sincera. “Preferisce una bella notte di sonno ed essere in forma domani. Vero zucca?”
“Si!” Disse Alexis, la sua voce tranquilla ma chiaramente udibile.
Si voltò verso Gina e si rese conto che erano ancora sulla porta.
Dove sono le buone maniere, Rick?
“Posso prendere il tuo cappotto?” Chiese allontanandosi da Alexis mentre si muoveva per chiudere la porta. Ma fu interrotto dalla voce di sua madre, allegra come sempre, arrivare dal corridoio.
“Non chiudete, sto arrivando!”
Trasalì interiormente, desiderando che, non per la prima volta, fosse un po’ meno…. Drammatica. Ma naturalmente non fu così: lei era Martha Rodgers, si era esibita a Brodway e non poteva evitare di invadere le stanze, il corpo in bilico come se fosse pronta per un monologo shakespeariano.
“Ma come mai..Salve, salve.” Esclamò l’attrice entrando. “ Alexis, tesoro, sembri sempre più alta ogni volta?”
Aprì le braccia verso sua nipote che prontamente le si gettò addosso per abbracciarla, probabilmente contenta di vedere la sua faccia piuttosto che quella di Gina.
“E Gina, ciao.” Aggiunse Martha con un sorriso. “ Non ci vediamo da un po’”
“ Si, sono stata impegnata.” Rispose la bionda con un sopracciglio sollevato verso Rick. “Richard non è l’unico scrittore della mia lista e da minacciare per ottenere i miei capitoli.”
“Ah! Beccati questo figliolo!” Disse sua madre sembrando molto più divertita per i gusti dello scrittore. Gli lanciò uno sguardo acuto e lui realizzò all’improvviso che non le aveva detto il nome della donna a cui era interessato. E se avesse pensato che fosse Gina?
“Mio figlio ha sempre avuto bisogno di qualcuno che lo guidasse.” Martha era partita in quarta non notando il disperato movimento della testa di suo figlio. “Sono contenta che pare abbia trovato la donna giusta!” Concluse con uno sguardo d’intesa.
Oh accidenti!
Gina sembrò un po’ sorpresa ma le piacque il sottile suggerimento.
“Dovremmo andare!” Disse l’uomo in fretta, impaziente di porre fine a quella scena. Probabilmente non poteva andare peggio ma con sua madre non si sapeva mai- “Abbiamo una prenotazione. Gina sei pronta?”
La donna rispose positivamente  e le porse il braccio ignorando lo sguardo infelice di sua figlia.
“Mamma, ho il cellulare quindi se avete bisogno di qualcosa…”
“Si, si.” Lo interruppe Martha con uno di quei sorrisi che facevano venir voglia di andarsi a nascondere. “Non preoccuparti. Andate e divertitevi! Alexis e io staremo benissimo.”
Diede il bacio della buonanotte a sua figlia, poi portò fuori il suo appuntamento tirando un sospiro di sollievo.
Quello era esattamente il motivo per cui aveva prima chiamato Katrina. Lei era una ragazza dolce e senza pretese che andava molto d’accordo con Alexis.
“Allora.” Disse Gina con un piccolo sorriso mentre salivano in ascensore. “ Che hai detto esattamente a tua madre?”
Oh no.
Trattenne il respiro, curvò e labbra in un sorriso approssimativo prima di rispondere.
Sarebbe stata una lunga serata.
 
 
 
 
 
Cazzo. C’era stato un incidente in metropolitana, qualcuno che si era buttato o era stato spinto, non era chiaro; ma ciò che era chiaro era il fatto che il treno non si muoveva, da quindici minuti, e se qualcuno non le avesse dato qualche notizia presto, Beckett sarebbe esplosa.
Strinse i denti e allentò la presa sulla maniglia di metallo, girando la testa per valutare la situazione. C’era gente che brontolava, chi era arrabbiato, altri rassegnati, il vagone era abbastanza pieno tanto che Kate e pochi altri erano rimasti in piedi ma almeno nessuno sembrava sull’orlo di un attacco di panico.
Si erano fermati nel bel mezzo del tunnel, una fermata prima di quella in cui doveva scendere Kate. Ovviamente.
Non sarebbe stato divertente altrimenti.
Rilasciò un lungo sospiro che fino a quel momento aveva trattenuto nei  polmoni, si passò una mano tra i capelli cercando di dominare la frustrazione. Aveva controllato il cellulare ma non aveva segnale; probabilmente una buona cosa visto che era stata tentata di scrivergli un sms.
E poi lui le avrebbe detto che non era in casa o di non passare o qualcos’altro. Qualcosa che le avrebbe fatto cambiare idea.
Non voleva cambiare idea. Voleva vederlo, ne aveva bisogno!
“L’intoppo è stato risolto.” Una voce incolore annunciò attraverso gli altoparlanti, seguito da un coro di sollievo da parte dei passeggeri. “La corsa proseguirà quindi saremo in movimento in pochi minuti. Grazie per l’attesa.”
Kate chiuse gli occhi per un secondo, finalmente, e lasciò che le sue dita stringessero ancora una volta il corrimano.
Sarebbe arrivata presto.
 
 
 
Quando raggiunse l’edificio di Castle, non c’era traccia del portiere che aveva visto la volta precedente. Ma Beckett ricordava il codice per entrare nella hall e poi, c’era una donna che uscendo le aveva tenuto la seconda porta aperta.
Kate la ringraziò con un sorriso, sentì un’ondata di eccitazione mista ad apprensione mentre si dirigeva verso l’ascensore, premette il bottone per il piano di Castle.
Si slacciò il primo bottone dell’uniforme, sentendo il veloce flusso del suo sangue caldo sotto la pelle, e premette le sue dita fredde sulla clavicola nel tentativo di calmarlo.
Era ridicolo in realtà, cosa le aveva fatto. Solo il pensiero di lui.
L’ascensore si aprì senza problemi all’ultimo piano e Kate uscì, non indugiò né esitò. Andrò dritto alla porta e, facendo un respiro profondo, bussò.
Non riusciva a sentire nessun suono se non il battito impazzito del suo cuore.
La porta si aprì dopo un attimo e Kate potè sentire la voce di una donna in lontananza dire ‘aspettami!’, mentre il suo sguardo si posò su una bambina di dieci anni circa con una lunga distesa di capelli arancioni e occhi azzurri che non le lasciarono alcun dubbio riguardo chi fosse.
Oh, merda!
Oh merda, merda, merda.
“Alexis, chi è?” Chiese una voce elegante e musicale. Apparteneva, come Kate poté vedere, a una donna dal vestito verde e oro dai capelli rossi e accuratamente trattati. Sembrava sui cinquant’anni e si muoveva come se fosse su un palcoscenico.
Ottimo. Aveva ottenuto due piccioni con una fava: la figlia e la madre.
Alexis posò i suoi occhi su di lei, qualcosa come paura sul suo viso, e le rispose: “E’…E’ la polizia.” E poi aprì maggiormente la porta, il suo sguardo in quello di Kate. “E’ successo qualcosa a papà?”
 Oh signore, no.
“No.” Rispose subito Beckett con un sentimento di terrore e disperazione nel petto. “ No. Tuo padre sta bene, per quanto ne so io. Sono sicura che sta bene. Io sono…Io lavoro per la polizia di New York ma…Io…Non sono qui…”
Wow, sembrava un’idiota!
“ Non sono in servizio!” Concluse debolmente, perfettamente consapevole dello sguardo dell’anziana donna su di lei.
Dannazione, era un poliziotto. Non poteva essere destabilizzata da una bambina di dieci anni e da sua nonna.
Respiri profondi, Kate.
“Tu devi essere Alexis.” Disse con un sorriso notando le belle caratteristiche, la bocca piccola e graziosa.  Non somigliava molto a Castle, tranne per quei suoi occhi blu che la stavano osservando sospettosi in quel momento. “Sono un’amica di tuo padre.” Proseguì senza pensare troppo al significato di quella parola. “Mi parla molto di te.”
Le tese la mano curiosa di vedere se la bambina gliel’avrebbe strinta. “Sono Kate.”
Alexis sembrò sorpresa, abbassò lo sguardo dal viso di Kate alle sue dita e rispose.
Alla fine prese la mano tesa, la strinse timidamente, il palmo morbido e delicato contro quello di Beckett. “ Papà non mi ha mai parlato di te.” Rispose lei, ma non c’era ostilità nella sua voce, solo curiosità.
“ Ah, ci siamo conosciuti solo un paio di settimane fa.” Spiegò Kate, per mancanza di un motivo migliore. Martha spostò delicatamente indietro Alexis e invitò Beckett ad entrare con un movimento del braccio.
“Sei qui per vedere mio figlio, presumo. E’ fuori al momento ma dovrebbe essere di ritorno entro un’ora. Oh, dovresti aspettarlo.” La rossa insistette quando Beckett esitò sulla soglia. “Davvero, cara, hai fatto tutta questa strada e fuori fa freddo. Alexis e io stavamo suonando il pianoforte, potresti unirti a noi. Sono sicura che Richard sarà contento di vederti!”
C’era un pizzico di conoscenza dietro quelle ultime parole con le quali Kate non si sentiva a suo agio, non le piaceva ma, mentre Martha parlava, l’aveva già trascinata dentro e chiuso la porta, preso la sua giacca…E Kate non  seppe come opporsi.
Faceva freddo, ed era stata una lunga giornata; era stata impaziente di vedere Castle, le sue mani sulla sua pelle e il tono caldo e ricco della sua voce.
Non era pronta a rinunciarvi. Rinunciare a lui.
E lei sapeva che sarebbe successo se fosse tornata a casa, l’impulso che l’aveva portata sin lì sarebbe scomparso e avrebbe inventato scuse su scuse per se stessa. Avrebbe cambiato idea, lo sapeva, senza ombra di dubbio.
Non voleva cambiare idea.
Così si spostò lentamente verso il soggiorno, cauti passi, fermandosi al divano per guardarsi intorno. Era una strana sensazione, il loft era quasi un luogo diverso senza Castle. Dato che non era lì per distrarla, potè notare i libri, le foto di famiglia, il modo in cui la stanza era arredata, spaziosa ma accogliente allo stesso tempo.
Una casa.
Oh, e c’era il pianoforte di cui Martha aveva parlato, un enorme e splendido strumento posto all’angolo, aperto.
Kate non suonava da anni, aveva preso qualche lezione per un breve periodo di tempo prima che decidesse che non faceva per lei, che le piaceva di più la chitarra di suo padre. Tuttavia i tasti bianchi e neri che scintillavano sotto la luce del soggiorno la toccarono in qualche modo.
“Vuoi bere qualcosa, cara?”
La sua testa si voltò a cercare la madre di Castle, ferma davanti l’isola della cucina, un bicchiere di vino vuoto in una mano e la bottiglia nell’altra. Anche dal punto in cui Beckett si trovava, poteva vedere quanto costosa fosse quella bottiglia di vino. Aprì la bocca per dire ‘No’ ma Martha stava già versando.
“Un po’ non può farti male.” Le disse facendole un occhiolino. “ E devo dire che mio figlio ha buon gusto nel vino.”
Portò il bicchiere a Kate, che lo prese con un sorriso forzato, un po’ travolta dalla cordialità della donna e da tutta la situazione.
Dove diavolo era Castle comunque?
Lo stava per chiedere ma Alexis fu più veloce.
“Allora, come fai a conoscere mio padre?” Le chiese, la sua voce dolce ma determinata appoggiandosi alla poltrona.
“Alexis, tesoro, non è educato chied..” Martha iniziò ma Kate la interruppe, contenta per la domanda.
“Non mi dispiace.” Rassicurò la donna anziana con un sorriso, prima di voltarsi verso gli occhi della figlia di Castle. “Ho incontrato tuo padre in un bar in cui stavo lavorando sottocopertura.” Le spiegò attenta a tralasciare i dettagli meno piacevoli. “Io lavoro per il Vice quindi ci occupiamo dell’alcol, gioco d’azzardo…” Esitò ma Alexis proseguì. “Prostituzione?”
Whoa. Uhm, va bene.
“Si, anche quello.” Rispose lentamente meravigliandosi delle conoscenze della bambina, lo sguardo imperturbabile nei suoi grandi occhi azzurri. Aveva letto i romanzi di suo padre?
“Va tutto bene.” Disse Alexis con un’alzata di spalle e un piccolo sorriso, come se le avesse letto nel pensiero. “Ho letto i libri di papà, conosco tutta quella roba!”
Oh, a nove anni, eh?
Kate ricordava cosa volesse dire avere nove anni: voler sembrare un adulto e impressionare i propri amici a scuola. Eppure alcuni libri di Castle erano…
“Tuo padre non ti permette di leggere TUTTI i suoi libri.” Intervenne Martha con uno sguardo affilato verso la nipote. “Solo quelli che ritiene adeguati.”
“Ma quando avrò dodici anni li potrò leggere tutti.” Dichiarò Alexis sulla difensiva, il mento alzato. “Papà ha detto così.” Aggiunse poco dopo come se pensasse che non le credessero.
Kate dovette premere le labbra per non ridere. Non poteva ridere della bambina perché sapeva fin troppo bene quanta ‘scomoda’ fosse quell’età, tra l’infanzia e l’adolescenza, né l’una né l’altra insomma. Ed era così complicato.
“Allora, um, in ogni caso…” Disse in fretta per dissipare la tensione che indugiava tra i due membri della famiglia Castle. “Ci siamo incontrati in un bar dove tuo padre ha sostenuto di fare delle ricerche…”
Una risata gorgogliante di Alexis, gli occhi azzurri luccicanti. “Oh, lo fa sempre. Una volta ha chiesto di essere chiuso nel suo armadio…”
“Alexis Castle.” L’avvertì Martha, ma i suoi occhi ridevano. “Non spaventare la nostra affascinante ospite!”
Affascinate, eh?
Non è ciò che la maggior parte delle persone direbbe di un ufficiale di polizia. Kate non si fidava ancora della donna più anziana ma non poteva non essere stranamente lusingata.
“Così stava facendo delle ricerche in un bar..” L’entusiasmo di Alexis la spinse a continuare.
“Giusto, si. E ha scoperto che ero un poliziotto, e se ne è interessato…” Disse Beckett adattando leggermente la storia. “ Mi ha fatto un sacco di domande.”
“Scommetto proprio che l’abbia fatte.” Disse sottovoce Martha. Kate la ignorò, perché non voleva che Alexis sentisse le parole di sua nonna, ma poteva sentire il rossore diffondersi dalla sua clavicola.
Dannazione.
“Ed è così che siamo diventati amici!” Concluse in fretta sperando di chiudere l’argomento.
La bambina dai capelli rossi sembrava avere altre domande ma Martha intervenne, forse per compensare la sua uscita poco felice.
“Vieni tesoro, cerchiamo di non disturbare troppo Kate con altre domande. Stavamo andando a cantare ‘Parte del tuo mondo’, giusto?”
La donna si sedette al pianoforte, la schiena dritta, la testa elegantemente piegata mentre le sue dita scorrevano sui tasti; ma Alexis lanciò uno sguardo a Kate un po’ preoccupata, come se temesse che l’amica di suo padre la potesse giudicare nel cantare canzoni Disney.
Beckett sorrise e si avvicinò, slacciando un altro bottone della sua uniforme in modo che potesse respirare più facilmente.
“Vuoi che la cantiamo insieme?” Chiese osservando con piacere il volto di Alexis illuminarsi, spalancando un po’ gli occhi.
“Perché so tutte le parole!”

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Nuovo aggiornamento. Grazie ad Anita per la sua puntualità!
Buona lettura =)

                              Capitolo 19



Parlò di Nikki Heat per tutta la cena.

Non riusciva a trattenersi; Gina gli fece una domanda e tutto uscì fuori spontaneamente dalla sua bocca, un fiume di parole che non riusciva a frenare, a mala pena ad avere controllo. Non aveva capito completamente fino a quel momento quante idee avesse, quanti inizi per la trama, quanti schizzi per i personaggi; anche mentre parlava riusciva ad avere nuove idee, visioni, dialoghi scivolare nel suo cervello, e a volte doveva fermarsi e scrivere su un fazzoletto.

Nikki Heat. Solo il suono sulle sue labbra lo riempiva di una eccitazione che non aveva avuto per molto, molto tempo. Neanche quando aveva iniziato a scrivere Derrick Storm.

Derrick era più vecchio di Nikki, un ex poliziotto indurito dalla vita che conduceva, che non credeva in nulla o nessuno eccetto se stesso; lo stesso tipo di fascino di James Bond, a Castle piaceva pensare.

E gli era piaciuto scriverlo all'inizio- non poteva negarlo. Ma dopo tre romanzi, c'erano volte in cui Rick si trovava totalmente depresso con il personaggio, con la sua visione oscura delle cose, il modo in cui nulla sembrava mai sorprenderlo.

Nikki sarebbe stata diversa. Nikki sarebbe stata nuova, una ventata di aria fresca, e sarebbe stata una tipa tosta, si, pazza del suo lavoro, ma non sarebbe stata antipatica.

Avrebbe fatto ciò che era giusto, a tutti i costi; non si sarebbe mai compromessa, non avrebbe mai rischiato la sua integrità. Ci avrebbe creduto, e l'avrebbe guidato, gli avrebbe mostrato come essere un uomo migliore- a scacciare via il vuoto che era stata la sua vita.

Sarebbe sempre stato il padre di Alexis; non avrebbe sbagliato se Nikki fosse stata lì a controllarlo.

Una parte di sé sapeva che era sbagliato, di essere così affascinati, così ossessionati con un personaggio inventato, ma.

Ma era sempre meglio che volere una donna che non lo desiderava.

I dessert erano già sul tavolo quando smise di parlare per ritornare in sé, e notare cosa stava accadendo attorno. Gina stava mangiando, i suoi occhi abbassati, la sua bocca premuta come se stesse trattenendo un sospiro; si sentì in colpa, fino a quando non ricordò che lei aveva orchestrato tutta la cosa.

Era colpa sua se era lì con lui; certo, forse non era stato educato da parte sua continuare a parlare del suo nuovo progetto, ma lei sapeva com'era. Probabilmente aveva una idea di cosa aspettarsi quando l 'aveva invitato, no?

“quindi, um,” disse, un po' imbarazzato, mentre prendeva una cucchiaiata del suo tiramisù che non si ricordava nemmeno di aver ordinato.
“cosa ne pensi?”

Alzò un sopracciglio verso di lui, poggiò la testa di lato, e immediatamente si pentì di averlo chiesto.

“Oh, adesso ti ricordi di chiedermi la mia opinione?”

“Beh...”

“Vedi, non- sono sicura che tu ne abbia bisogno, Richard. Sembrava che stessi facendo un ottimo lavoro congratulandoti da solo e ignorandomi, perciò perché non ritorni a farlo? E poi potremo entrambi uscire e far finta che questo disastroso appuntamento non sia mai capitato?”

Ouch. Aprì la bocca- per dire nemmeno lui sapeva cosa- ma non gli diede la possibilità di parlare.

“Fammi chiedere una cosa, però. Lei è reale?”

Cosa?

Lo sguardo negli occhi di Gina era troppo penetrante. “Per favore. Ti conosco, Rick. So come lavori. Ti piacere perseguitare le donne in nome della ricerca e basare i personaggi su di loro. Quindi questa persona Nikki Heat- presumo che esista”.

Gli sarebbe piaciuto contraddirla, ma qualcosa sul suo viso gli disse che non sarebbe stato saggio.

“Lascia che ti dia un consiglio, Richard. Questa donna, chiunque sia, non fa per te. Se è la metà della persona che hai descritto, allora è molto al di fuori della tua portata. Ti vedrà per come sei, se non l'ha già fatto. E poi cosa accadrà? Avrà il cuore spezzato e mi dirai che non puoi continuare a scrivere questo libro, e avrai bisogno di un nuovo personaggio. E ritornerai indietro da dove hai iniziato. Perciò risparmiati il disturbo; e chiudi”

La fissò, non riusciva a credere che gli aveva veramente detto quelle parole. Non sapeva nulla di Kate- come poteva solo-

Si alzò graziosamente dalla sedia, raccolse le sue cose velocemente, e sventolando i suoi ricci biondi indietro, gli diede una occhiata che non aveva nessuna gentilezza.

“Certo, suppongo che non seguirai il mio suggerimento. Non impari mai. Perciò voglio vedere quelle pagine, Rick. Il minimo che puoi fare è mandarmele, dopo che hai passato tutta la serata a decantare le lodi di Nikki Heat.”

Si girò per andarsene e trovò di nuovo la sua voce, si alzò dalla sedia indignato.

“Perciò è così? Mi lasci semplicemente qui? Perché ho passato troppo tempo a parlare della mia nuova idea per un libro, perché non era il tuo tipo ideale di primo appuntamento? Per amor di Dio, Gina, sono uno scrittore! È ciò che faccio, scrivo, e lo sai come divento quando sono eccitato su un nuovo progetto. Mi conosci. E ancora mi punisci per questo?”

Gina girò lo sguardo, la bocca stretta, e ci fu un breve silenzio prima che parlasse con una voce appena udibile. “Non ti sto lasciando perché non hai fatto altro che parlare del libro. Anche se quello sarebbe una ragione sufficiente. Me ne vado perché sei innamorato di qualcun' altra, Rick. Potrai essere troppo stupido per vederlo, ma non sono abbastanza stupida da giocarmi il cuore se il tuo è già preso”

Rimase a bocca aperta, non aveva nessuna risposta; poteva solo vederla sospirare e scuotergli la testa, sussurrando un buonanotte prima di uscire.

Il cameriere lo stava fissando ma Rick ignorò il ragazzo, si sedette di nuovo, il suo corpo pesante contro il legno della sedia.

Si coprì il volto con il viso, le dita che strofinavano gli occhi prima di grugnire, e poi si addrizzò.

Perché sei innamorato di un'altra.

Era abbastanza ovvio sia che a sua madre che a Gina, però. Due donne che non avevano niente in comune, che appena erano amichevoli fra di loro.

Perché cercava di combatterlo ?

Lei. Kate.  


Come se le parole di Gina gli avessero aperto un buco dentro di sé, i ricordi di lei gli tornarono tutti alla mente, il suono dei suoi baci sulla sua bocca, il tocco della sua pelle sotto le sue mani, il modo in cui lo guardava, i suoi occhi scuri sotto le ciglia, così segreti eppure così fiduciosi; dovette trattenere un gemito, il bisogno era così forte, la sua assenza era una cosa così fisica e dolorosa.

Doveva vederla.

Sarebbe andato da lei, avrebbe...

fatto qualcosa. L'avrebbe convinta del contrario. Non sarebbe mai stato felice solo con Nikki; aveva bisogno di Kate, non del suo alter ego finto, non solo di parole su una pagina. Di Kate e dei suoi misteriosi sorrisi, delle sue risate inaspettate, la bellissima conoscenza nei suoi occhi.

Avrebbe fatto tutto ciò che voleva. Avrebbe lasciato perdere il caso di sua madre, non l'avrebbe più toccato; sarebbe rimasto lontano dal distretto, sarebbe stato attento a non compromettere la sua reputazione.

Fino a quando l'avrebbe avuta, fin quando lei sarebbe andata da lui ogni notte- avrebbe fatto ogni cosa. Per favore, Kate.


“Dovrei andare a dormire” sospirò Alexis, le sue spalle sottili che si accasciavano, la sua voce che mancava di convinzione.

Lei e Kate si erano accasciate sul divano, ascoltando le versioni di Martha più o meno accurate delle canzoni; l'ultima era “don't rain on my parade”, l'entusiasmo del cantante reso dalle note alte che sembravano in qualche modo tremare.

L'attrice smise di cantare per rispondere alla nipote, “Ma no, tesoro. Puoi rimanere sveglia quanto vuoi; lo sai che non lo dirò a tuo padre”

Ma questo non sembrò convincere Alexis. La ragazza riposò la testa sulla schiena del divano, nascondendo uno sbadiglio, e la sua bocca si mosse con delusione.

“Pensavo che papà sarebbe tornato prima” confessò, il suo tono troppo basso per essere compreso da Martha, che adesso era impegnata a vocalizzare.

“Dov'è tuo padre?” chiese Kate dopo un attimo di esitazione, finalmente vedendo la possibilità di una risposta alla sua domanda.
“A un appuntamento,” rispose Alexis, con sdegno e molta infelicità.

Il cuore di Kate si fermò nel petto.

Un appuntamento?

“Con Gina” aggiunse la ragazza, inconsapevole dello shock di Beckett. “Ha detto che non era proprio un appuntamento, più che altro un incontro di lavoro, perché dovevano parlare riguardo ai suoi libri-” i polmoni di Kate si espansero all'improvviso, prendendo quanto più aria possibile. “ma si era tutto agghindato e indossava una cravatta, non indossa mai cravatte.” Alexis concluse ingenuamente, i suoi occhi chiusi ora.

Il che era un bene, davvero, perché Kate non era certa che sarebbe riuscita a controllare la gelosia che provava al pensiero di Richard Castle con un vestito e una cravatta, Richard Castle a un appuntamento con un'altra donna. Che diamine?

Potrei amarti, Kate.

“Chi è Gina?” chiese quando pensò di avere tutto sotto controllo, che la sua voce non avrebbe tremato e non l'avrebbe fatta scoprire.

“Mh, il suo editore,” rispose Alexis con voce assonnata. “lavora per la Black Pawn. Non mi piace. Fa solo finta di essere carina.”

Il piano di sottofondo si fermò, il rumore dei tacchi che rimpiazzava le note musicali mentre Martha camminava a cerchio attorno al divano e le trovò, i suoi occhi inquisitori si fermarono prima su Alexis. Kate prese un profondo respiro, provando a calmarsi.

“Ok, tempo della nanna per te, piccola,” affermò Martha dolcemente, sedendosi affianco alla nipote e poggiando un braccio attorno alle sue spalle per reggerla. “ma dovrai camminare. Non posso più portarti imbraccio.”

“Va bene” blaterò Alexis, gli occhi che si chiudevano per il sonno mentre si alzava lentamente. “Notte, Kate. Grazie per aver cantato con noi.”

“E' stato divertente,” rispose Beckett, forzando un sorriso. “Grazie per avermi invitata. Sogni d'oro, Alexis”


La ragazza iniziò a salire le scale, e gli occhi di Martha la seguirono per un secondo. Kate sfruttò quel tempo per sollevarsi dal divano, le sue membra stanche che protestavano.

“Dovrei andare” affermò, dopo aver dato un'occhiata all'orologio di suoi padre. Wow. Difficile da credere che era rimasta così a lungo- beh, a dire la verità, si era divertita.

La famiglia Castle era... sorprendente.

“Penso che dovresti aspettare mio figlio,” si oppose Martha gentilmente, la sua voce più bassa e ferma di quanto non lo era stata prima.  “Sarà a casa presto, e sarebbe davvero felice di vederti, ne sono sicura.”

Beckett si morse il labbro inferiore, e scosse la testa. “non-”

Ugh, non avrebbe potuto reggere quella conversazione adesso. E non di certo con la madre di Castle.

L'attrice le afferrò il gomito, come un gesto di pura comprensione, nei suoi occhi blu, che colpì Beckett come un pugno nello stomaco. Merda, si era dimenticata come ci si sentiva sotto il tocco di una madre, e dovette ingoiare a fatica i rivoli di lacrima che si fermarono in gola.

“Non ti sto dicendo cosa fare, cara. Andrò di sopra, metterò Alexis a dormire, e non c'è nulla che possa fare per fermarti se te ne vuoi andare. Ma spero che sarai ancora qui quando tornerò,” disse Martha, il suo sorriso incoraggiante.

E poi salì le scale lasciando Kate da sola in mezzo alla sala, le mani a penzoloni sui fianchi, il suo cuore confuso ed esitante, senza una idea su cosa fare.



Pensò di chiamarla, ma non voleva perdere tempo. Dopo tutto, non aveva alcuna idea di come avrebbe potuto agire di fronte alla sua presenza.

Meglio avere la sorpresa dalla sua parte.

Erano solo le nove e un quarto, quindi non poteva essere certo che fosse a casa, ma era stata chiara su cosa gli sarebbe successo se fosse andato al distretto non invitato un'altra volta. Doveva solo sperare che non stesse lavorando su un caso stanotte. E che era tornata a casa prima.

Già. Molto poco probabile.

Nonostante ciò, doveva provarci. Prese un taxi e diede al guidatore l 'indirizzo, poi si poggiò sul sedile, i suoi occhi fermi sulle luci della città fuori dal finestrino. Il traffico non era così male stanotte; forse sarebbe arrivato lì presto.

Oh, sua madre. Doveva chiamarla, farle sapere-

Prese il telefono dalla tasca, e vide che aveva un messaggio che lo aspettava. Da sua madre. Lo aprì immediatamente, preoccupato che potesse essere successo qualcosa ad Alexis- non avrebbe mai dovuto mettere il silenzioso tanto per iniziare- e rimase sorpreso delle due righe che conteneva.

La tua amica Kate è a casa. Ho pensato che volessi saperlo.

La sua-

Cosa?

Lo lesse ancora e ancora, gli era difficile crederlo, e poi piegò in avanti, toccò la spalla del tassista.

“Hey, um, potresti tornare indietro? Ho cambiato idea; torno a casa. Broome Street.”

L'uomo grugnì qualcosa che non sembrava amichevole, ma fece come gli era stato chiesto, accogliendo la prima occasione per girare la macchina. Castle si rilassò lentamente sul sedile, l'entusiasmo che iniziò a rimpiazzare l'incredulità sorpresa, e si stirò con le mani i pantaloni.

Kate era all'appartamento.

Kate.

Il suo cuore battè.


Inserì la chiave nella serratura, trattenne il respiro, ed ebbe un mezzo momento di panico quando la porta si aprì sulla sua silenziosa e vuota sala, le luci abbassate, nessuna traccia della sua esuberante madre o delle donna che perseguitava i suoi pensieri.

Entrò, nervoso, sbattendo la porta con il piede, le sue dita che lavoravano sui bottoni della giacca mentre i suoi occhi continuavano a perlustrare lo spazio immenso, il divano, le scale, il piano aperto.

Si mosse in avanti, la cucina di fronte a lui, e oh.

Eccola. Davanti alle finestre con la schiena rivolta verso di lui, le luci esterne che delineavano la sua figura esile, l'allungarsi dolce delle sue gambe nell'uniforme da poliziotta.

Sicuramente l'aveva sentito entrare, a meno che non fosse immersa in pensieri profondi- ma no, era un poliziotto. Sapeva che era lì. Se non si era ancora girata, era forse perché non sapeva cosa dire, o come dirlo.

Rick appese il cappotto vicino alla sedia, il suo stomaco che doleva. Era ridicolo il modo in cui era intimidito dalla sua semplice figura, dalla curva graziosa della sua vita, dalla curva tonda delle sue spalle.

Non importava quanto giovane fosse, vero? Non quando poteva sfarlo con un semplice sguardo, non quando lo possedeva più di quanto qualsiasi altra donna l'abbia mai avuto.

Si avvicinò fino a quando i loro corpi non erano a un respiro di distanza, il suo calore quasi palpabile. Poggiò una mano sul suo braccio, un tocco leggero e indifferente, notando che era a piedi nudi- e decisamente più piccola di lui- quando si piegò per darle un bacio sulla guancia.

I suoi occhi si chiusero al contatto con la sua pelle morbida e deliziosa, la sua bocca che indugiò un momento di più per respirare il suo odore. Dio, quanto gli era mancata.

“Ciao,” mormorò, ma non rispose, poteva sentire il movimento del suo corpo nel suo, quasi riluttante.

Non disse nulla all'inizio, e quando iniziò a parlare era così silenziosa che appena la udì.

“Come è andato l'appuntamento?”

Chiuse gli occhi per lo sbalordimento, silenziosamente maledicendo sua madre. Ma era stato un suo errore, certo; avrebbe dovuto avere più fede in lei, avrebbe dovuto avere la forza di dire no a Gina.

Sperava solo che il danno che aveva causato non era irrimediabile.


“Terribile,” ammise dopo una fievole risata perché lei si meritava la verità almeno. “Continuavo a parlare di te, non riuscivo a smettere. L'ho fatta scappare via”

Qualcosa simile a una risata le scappò di bocca, e finalmente, finalmente si girò verso di lui, il suo viso così giovane nella luce soffusa, un che di paura e speranza che brillava nei suoi occhi.

“Davvero?”

“Uh-huh” confermò, il suo corpo che si spostava verso il suo, incapace di resistere. Posò una mano sul suo collo e lei non lo rifiutò, non protestò, e così la baciò, un bacio attento, esploratore, pieno di sollievo.

Sapeva di vino, ma dietro c'era una certa solitudine, un dubbio, e la voracità di una lunga attesa. La sua bocca si aprì immediatamente sotto la sua, la sua mano che cercava il bavero della sua camicia, e poté sentire il suo corpo premersi contro il suo, caldo e accogliente, così bellissima.

Sembrava che le fosse mancato così tanto come lei era mancata a lui.

“Sono stato stupido, Kate,” sussurrò fra le sue labbra, forzato all'onestà di fronte alla sua prontezza al perdono, la spinta sicura della sua bocca contro la propria. “non avrei mai dovuto accettare quell'appuntamento-”

“No, non avresti dovuto,” concordò, i suoi denti che mordevano il suo labbro inferiore, i suoi fianchi che incontravano i suoi.

Merda, come poteva pensare di-

“Io- è stato soprattutto affare-”

“Lo so, Alexis me l'ha detto,” rispose con il fiato corto, arcuandosi sotto il suo tocco, la mano che si avventurava sul suo petto.

Si congelò, il suo cervello che si fermò un istante.

“Alexis?”

Kate si tirò indietro, i suoi occhi incontrarono i suoi, pieni di oscurità. “Si. Sono stata qui per un po', Castle. Ti aspettavo”

L'aveva aspettato?

“Per quanto tempo?” chiese, come se importasse- ma doveva chiederlo.

Si morse il labbro, quel piccolo movimento che era così sensuale, che doveva assolutamente scrivere in Nikki Heat. “Due ore, forse,” rispose.

Due ore. Wow. Giusto. Quindi lei-

aveva incontrato sua figlia.

Non sapeva cosa sentire al riguardo.

Lo guardò per un istante, la sua testa piegata da un lato, la luce che afferrava i capelli, che accarezzava il viso. “Va bene?” mormorò, una leggera carezza con il pollice sul suo addome.

Deglutì ,provò ad immaginare Alexis e Kate insieme, a provare qualcosa di diverso da quella gelosia logorante.

Sarebbe voluto essere lì. “Ti è piaciuta?” chiese alla fine, perché doveva iniziare da qualche parte.

La bocca di Kate si aprì con un sorriso, un bellissimo sorriso che raggiunse anche gli occhi che illuminavano tutto il viso. “Si,” rispose, la sua voce bassa e sensuale, deliziosa. “Abbiamo cantato le canzoni della Disney insieme.”

Oh, dannazione.

“Stai scherzando?” si lamentò, chiudendo gli occhi al lamento presente nella sua stessa voce. “vuoi uccidermi con il rimorso, Beckett?”

Poggiò le labbra sul suo mento, poteva sentirla sorridere. “Forse,” sussurrò. “Forse è questo che ti meriti.”

L'avviluppò nelle sue braccia e poggiò il naso nell'incavo del suo collo, affogando nel suo odore dolce, non riusciva a negare e mantenere il proprio disappunto quando lei era fra le sue braccia, gioiosa e scherzosa, così reale.

“Sono così felice che tu sia qui,” sospirò, la verità che usciva dalle sue labbra prima che potesse fermarla.

Non gli rispose con delle parole, ma non poté mancare il braccio che gli circondò la vita, il tocco di un bacio sul lobo del suo orecchio, il suo pollice che sfiorava il collo.

Anche lei era felice di essere lì.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Salve a tutte, dopo mesi e mesi siamo tornate(più o meno) XD
Chiedo scusa per aver lasciato in sospeso questa storia e aver costretto Anita a fare altrettanto ma ho avuto qualche problema....
Comunque adesso sono/siamo qua e speriamo di pubblicare i capitoli regolarmente e riuscire a finirla finalmente! =)
In ogni caso speriamo che non vi siate stancate di noi e di questa storia che a me continua a piacere =) Siamo fiduciose!
Auguriamo una buona lettura a chi continuerà a seguirci!
A presto!

 

                                     Capitolo 20


Avrebbe dovuto spaventarsi per il modo in cui si lasciò andare tra le sue braccia, dimenticando le parole di Alexis che le avevano trafitto il cuore pochi minuti prima.
L’avevano spaventata.
Ma circondata dalle sue braccia, la guancia poggiata contro il colletto della sua camicia, il suo familiare odore che la circondava, nulla sembrava davvero avere importanza. Non riusciva ad allontanarsi o a richiamare alla mente nessuna delle parole pungenti che aveva preparato per lui.
La sua pelle era calda sotto il palmo della mano, il battito sulla giugulare una pausa tranquilla e Kate non sentiva il bisogno di ritirarsi o parlare o fare qualsiasi altra cosa.
Voleva solo restare così.
Dopo un attimo sentì la bocca di Castle sul suo orecchio, non un bacio ma una carezza, una serie di tocchi mentre tracciava l’attaccatura dei suoi capelli e si fermava alla sua tempia. Voleva lasciarla senza fiato e lei strinse le labbra provando a resistere; lui la aiutò inconsapevolmente allontanandosi facendo un piccolo passo indietro.
“Allora, um, non per distruggere l’atmosfera o qualcosa del genere…” Disse con la voce roca, “ Ma dov’è esattamente mia madre?”
Si lasciò sfuggire una risata per la domanda inaspettata e vide nei suoi occhi l’effetto che quel suono ebbe su di lui. L’eccitazione scura dei suoi occhi, tutta la tenerezza e la curiosità sparita in un istante.
Tale potere aveva!
Fu difficile concentrarsi e rispondere alla domanda. “Al piano di sopra, ha portato Alexis a letto poco prima che tu arrivassi.”
Lui rivolse lo sguardo verso le scale pensieroso.
“Quindi, o Alexis ha chiesto una favola oppure vuole lasciarci da soli, il che sarebbe sorprendentemente dolce ed altruista da parte sua. Opto per la prima opzione.”
“In realtà..” Disse Kate, mordendosi il labbro. “Io avrei votato per l’altra. Alexis  sembrava pronta ad andare a letto quando lei gliel’ha ordinato.”
E vide di nuovo in lui quello  sguardo di sorpresa mista a…desiderio? Si, lo era. Non gelosia, non proprio, ma quasi.
Non si era resa conto che lui potesse essere irritato per essersi perso il primo incontro tra lei ed Alexis, naturalmente, avrebbe voluto trovarsi in mezzo, per sapere come sarebbe andata. Sicuramente avrebbe voluto assistere in prima persona.
Si rammaricò per averlo involontariamente tagliato fuori e si spinse sulle punte per baciarlo dolcemente. “ Vai al piano di sopra a vedere se Alexis è ancora sveglia e parla con tua madre.” Mormorò.
Gli diede un colpetto col naso e sorrise quando vide i suoi occhi ancora chiusi.
“ Io ti aspetto in camera tua.”
Castle grugnì. “Crudele Beckett. Non puoi dire cose del genere e poi aspettarti che io mi comporti bene…”
“Forse non mi aspetto che tu lo faccia…” Lo prese in giro agganciando un dito sotto la sua cintura.
Le rubò un altro bacio, questa volta più profondo e implacabile, il contatto con i suoi denti e la pressione della sua lingua la lasciarono stordita quando lui si raddrizzò.
“Farai meglio a non toglierti l’uniforme finchè non sarò tornato, Kate.” L’avvertì con i suoi occhi scuri. “Perché voglio essere io quello che te la toglierà!”
Oh merda.
E lui diceva a lei crudele??
 
Attese nel suo studio, l’anticipazione più dolce nel pensare che solo una porta la divideva tra lei e ciò che voleva. Il letto di Castle, la sua bocca, il suo… Beh si, ok.
Rilasciò un lungo respiro tremante e cercò di fare un passo indietro per recuperare un po’ della sua determinazione per parlare. Sapeva che ne avevano bisogno, sapeva di dover…Forse chiedere scusa ma…
Si, Kate doveva scusarsi.
Aveva fatto a lui quello che Royce aveva fatto con lei: dire di sapere ciò che era meglio per lui, prendendo una decisione unilaterale, quando avrebbe dovuto avere anche lui voce in capitolo. E le dispiaceva.
Era stata già insicura su loro due e trovandolo a ficcare il naso nel caso di sua madre, era stato troppo, più di quanto potesse gestire, più di quanto lei era disposta a fare.
Tuttavia…
Non avrebbe dovuto cacciarlo come invece aveva fatto. Si rese conto in quel momento, con chiarezza che la spaventata la forza con cui lui le aveva detto avrei potuto amarti quando tutto quello che lei aveva continuato a fare era stato insultarlo e affermare che erano distruttivi l’uno per l’altra.
Kate si premette una mano alla bocca appoggiandosi alla sua scrivania, le dita della mano sinistra a stringere il bordo del legno.
Non era sicura di cosa aveva fatto per meritare quel tipo di fede, quella luce testarda che brillava nei suoi occhi quella notte.
Ma forse stava leggendo troppo sopra le righe. Dopotutto era stato ad un appuntamento stasera, no? Un appuntamento con la sua editrice, sì, e che aveva detto che era stato un disastro ma…
Era comunque un appuntamento.
Kate si staccò dalla scrivania e fece qualche passo fermandosi davanti gli scaffali della sua libreria cercando di distrarsi passando le proprie dita sulle copertine dei libri. Aveva una serie di romanzi polizieschi, ovviamente, ma c’erano anche classici come Shakespeare, Alice nel paese delle meraviglie, e cose del tutto inaspettate come una vecchia edizione di Canterbury Tales.
Richard Castle era pieno di sorprese.
Lasciò il proprio labbro dalla morsa dei denti e prese una decisione. Non poteva arrabbiarsi con lui per l’appuntamento, non proprio, non quando lei lo aveva respinto e detto che non sarebbero stati mai insieme. Dopo avergli detto che non poteva dargli più di quello che avevano in quel momento.
Ma avrebbe chiesto di Gina e cosa aveva significato per lui quell’appuntamento. Perché aveva bisogno di sapere. Sarebbe stato più facile fidarsi di lui e lasciar perdere…
“Ehi” Disse una voce dolcemente, interrompendo i suoi pensieri e facendola quasi balzare in aria. La sua testa ruotò bruscamente, i suoi occhi trovarono quelli di Castle che la scrutavano dalla porta.
“Ehi” Rispose lei, il cuore martellante nel petto. Non sapeva se fosse per il suo arrivo improvviso o la sua vicinanza.
“Alexis era già addormentata.” Le disse senza che lei dicesse nulla. “Mia madre dormirà qui stanotte, nella stanza degli ospiti.”
Oh. Non era sicura di cosa dire.
“Stai bene?” Chiese avvicinandosi. La luce delicata dello studio giocò con il suo viso rendendolo più attraente. Lei lo guardò ascoltando il sussurro di necessità del suo cuore, il modo in cui il suo corpo chiedeva di lui, impaziente.
“Si.” Disse schiarendosi la gola. “Stavo solo…pensando.”
I suoi occhi la fissarono, un blu profondo, intenso che lei dovette ricordare di respirare. “ Buono o cattivo?”
Aveva quell’aspetto trasandato, come se non si radesse da un paio di giorni, i capelli arruffati che chiamavano le sue mani su di sé. Kate distolse lo sguardo, il desiderio di baciarlo così forte. 
Doveva parlare finchè le era ancora possibile.
“Perché… sei andato a quell’appuntamento?”
Lo sentì espirare stancamente portandosi le dita agli occhi. Imbarazzato.
“Perché Gina…ha fatto tutto lei e io ero… troppo debole per dire no, credo. E’ il mio editore e quando non si comporta da arpia (Il che, devo ammetterlo, succede molto raramente) beh non è male, riusciamo a comunicare. E…” Esitò. “ Cercavo qualcuno con cui parlare.”
“Di cosa?” Chiese Kate cercando i suoi occhi. La curiosità a sostituire la gelosia.
“La mia, um… Il mio nuovo progetto per un libro.” Rispose con voce sempre più bassa.
Lei inarcò un sopracciglio ma lui evitava costantemente il suo sguardo.
Perché aveva un brutto presentimento?
“Nuovo libro, Castle?”
“Si.” Alitò fuori sempre più a disagio. “Io…Stavo per dirtelo Kate.”
“Dirmi cosa?”
Finalmente sollevò di nuovo la testa e i suoi occhi erano un miscuglio di eccitazione e scuse.
“E’ su di te.” Disse in fretta, le parole come se si scontrarono l’una contro l’altra. “Il libro. E’ su di te.”
Whoa. Che cosa?
Lei lo guardò a bocca aperta e lui si affrettò a spiegare. “ Voglio dire, non è che qualcuno sa effettivamente che sei tu. Non sto usando il tuo nome o qualsiasi altra cosa, e tutte le conoscenze che ho di te, tutto quello cui tu acconsentirai di condividere con me del tuo lavoro, io lo rilavorerò e rimodellerò fino a che sia abbastanza differente..”
“Cosa?” Mormorò stordita senza capirne il senso. Tutto ciò che avrebbe condiviso con lui?
“Vedi, il mio personaggio, Nikki, si è un nome abbastanza strano lo so,lei vuole diventare un poliziotto ma diventerà una giovane detective della Omicidi che combatterà in un mondo di uomini aspettando di avere la possibilità di risolvere il caso di suo padre…”
Beckett alzò una mano e lui si fermò concedendole qualche istante di silenzio per pensare.
“Stai scrivendo un libro su di me?” Chiese più a se stessa che a lui. Ridicolo.
“Si.” Le rispose e lei potè vedere il movimento della sua gola mentre ingoiava, lo sguardo nervoso.
“Perché?” Chiese. La sua incredulità troppo grande per non essere notata.
Ma Castle sembrava felice della domanda. Sembrava quasi raggiante, il suo corpo proteso verso di lei.
“Perché sei affascinante, Kate. Perché non sono più riuscito a smettere di pensarti fin dal primo momento che ti ho vista, il tuo lavoro, tutto ciò che comporta. Non riesco ad averne abbastanza. Ho bisogno di sapere, di scrivere. Non posso farne a meno. Non mi sentivo così da tanto tempo. Non hai idea…”
“Ma.. Che mi dici di Storm?” Obiettò lei tra il lusingato e il preoccupato per il suo entusiasmo. “Voglio dire, lui e Clara..”
Rick agitò la mano come se non gliene potesse importare di meno. “ Non mi interesso di Storm da tanto tempo ormai. E’ diventato noioso, devo spremere le meningi per tirar fuori i capitoli. Mentre tu…Kate, tu mi ispiri così tanto che dimentico di mangiare, non voglio nemmeno dormire. Voglio solo scrivere. Ho bisogno di tirar fuori la storia, di scriverla nel modo giusto…”
Si fermò non perché fosse a corto di parole, ma perché ce ne erano molte ancora da poter dire. Il suo viso acceso, gli occhi scintillanti, la bocca semiaperta e.. Merda non poteva resistergli.
“Mostramelo!” Disse, la voce flebile, roca.
“Che cosa?” Chiese lui mentre si riprendeva dallo stordimento.
“Mostramelo” Ripeté facendo un piccolo passo verso di lui, anche se ciò significava alzare il mento per rimanere incatenata con i suoi occhi. “Mostrami quello che hai scritto. La mia storia.”
Lui, arrossì? Era arrossito. Oh Dio, era adorabile. “Ah, Kate non è…Non è corretto, niente, non ho nemmeno riletto il capitolo...”
“Castle. Mostramelo!”
Aveva bisogno di vederlo. Non ci avrebbe creduto finchè non lo avrebbe visto con i suoi occhi.
Castle doveva aver visto la determinazione d’acciaio nel suo volto, perché sospirò e scrollò le spalle. “Non è pronto.” La avvertì mentre girava intorno alla scrivania e accendeva il computer. “Non è probabilmente leggibile, insomma non avevo previsto che qualcuno lo volesse leggere ora…”
“Castle.” Lo interruppe posando una mano sulla sua schiena mentre si avvicinava alla scrivania. “Non importa. Ho bisogno di vederlo!”
Non disse altro, il lento ronzio del computer riempì il silenzio tra di loro e Kate si ritrovò lo sguardo fisso sullo schermo, il suo battito cardiaco impazzito.
La sua storia.
Castle stava scrivendo un libro su di lei.
Oh cavolo!
 
 
Fu terribile.
Stare in piedi, lì, mentre lei leggeva il suo primo capitolo, il viso così serio e assorto che non riusciva a capire cose ne pensasse. Una tortura.
Rick pazientò e pazientò finchè decise di andare in cucina per prepararsi un drink.
Quando tornò lei era ancora lì, concentrata a leggere senza nemmeno alzare li occhi su di lui e il suo bicchiere di whisky. Aveva una mano sulla bocca, entrambi i gomiti sulla scrivania, le dita della mano sinistra a giocare con una ciocca di capelli. Sembrava completamente presa.
Lo schermo le gettava una pallida luce sul viso rendendo i suoi occhi di un verde luminoso, incorniciati dalle sue ciglia scure. Rick bevve un sorso di whisky mentre la osservava, i suoi nervi cullati dalla sua bellezza. La forte linea della mascella, gli zigomi alti, la sensuale linea della bocca…
Il solo guardarla gli fece contrarre le dita per il bisogno di toccarla.
Abbassò gli occhi sulla lunga distesa del suo collo, la sua pelle delicata metà in ombra, il pulsare impercettibile della sua vena. Voleva premere le sue labbra proprio lì, sentirla rabbrividire.
E poi improvvisamente i suoi occhi erano nei suoi, luminosi e intensi.
Oh, sapeva esattamente quello che stava pensando.
Il suo volto si oscurò per un attimo ma lei lo spinse indietro, tornando al computer come se avesse bisogno di un supporto, la bocca atteggiata a qualcosa che sembrava un sorriso.
“Castle.”
“Si?”
Oh, wow, il nervosismo era tornato. Sentiva il suo stomaco rivoltarsi, dei cavalli al galoppo, l’aria bloccata nei polmoni.
“E’ stupendo!” Gli disse, guardando di nuovo lo schermo, come se non riuscisse a staccare completamente lo sguardo. “Si tratta, wow. E’ veramente buono. E’…Non so come dirlo ma è…”
Lui trattenne il respiro, un’eccitazione nel petto. Le si avvicinò con cautela trovando una mensola su cui poggiare il suo whisky.
“Davvero?”
“Si!” Insistette lei con una mano premuta sul petto come se stesse fisicamente cercando di contenere il suo cuore. “Voglio dire, non è ancora perfetto..” Non potè fare a meno di farfugliare. “ E non sono neanche sicura di dove porti la storia per cui il primo capitolo suona un po’ strano ma…”
Prima che potesse dire un’altra parola, si era già alzata dalla sedia, attraversando il poco spazio tra loro, e gli stava premendo la bocca con la sua. Arricciò le dita al suo collo, il suo corpo ansioso contro il suo. Lui si arrese gioiosamente, aprì le labbra per lei, le avvolse le braccia attorno alla vita sottile.
Kate lo baciò con una passione che gli fece ribollire il sangue nelle vene. Premette le anche contro le sue e le infilò un ginocchio tra le gambe. Sentì le sue unghia sulla nuca, un delizioso bruciore che lo spronò a continuare.
“Allora..” Ansimò tra i baci, andando indietro verso la stanza da letto. “ ti sta bene?”
Lei ringhiò una risposta che sembrava un sì e dovette accontentarsi di quello perché poi aprì la bocca sul suo collo, i denti a morderglielo e lui non riuscì più a pensare.
Poteva solo sentire il fiato sul suo orecchio.
Il suo cuore battere contro il suo petto, un ritmo costante che lo spinse ancora più in alto, più veloce e oh…
Avrebbe scritto un centinaio di libri su di lei se questa era la reazione a un solo capitolo.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Ed eccoci qui, a distanza di quanto? quattro  giorni? Beh Anita è stata un fulmine nella traduzione e alla fine abbiamo deciso di non aspettare lunedì per pubblicare un aggiornamento. In fondo vi abbiamo lasciato a secco per mesi... XD
Speriamo di mantenere questo ritmo!! XD
Ho appena letto il capitolo e, come anticipatomi da Anita, è abbastanza 'interessante', perciò buona lettura! =)
Fateci sapere!
A presto. =)

                                        Capitolo 21


La stoffa della sua uniforme era rigida sotto il tocco delle sue dita, un contrasto quasi piacevole alla morbidezza della pelle che rivelava a poco a poco con ogni bottone che toglieva.

“Kate” sussurrò, sopraffatto, piegandosi per baciare il suo collo, le mani che sfioravano contro il cotone del suo reggiseno.

“non scherzare,” gemette Kate, arcuandosi sotto il suo tocco, le costole pungenti contro il suo palmo.

Giaceva sul suo letto, il bacino che riposava giusto al bordo; da dove Rick stava, inginocchiato fra le sue gambe, poteva vedere solo il suo mento, la curva delle sue guance, lo scuro battersi delle sue ciglia.

Aprì un altro bottone, e poi un altro, trascinando la sua bocca su tutta la pelle che gli era raggiungibile, e ascoltava i segreti che il suo corpo gli sussurrava attraverso un brivido o una percettibile ondulazione dei suoi fianchi.

Era così bella, bellissima.

Raggiunse l'ultimo bottone e le aprì la camicia, fece passare la sua lingua per l'ombelico; Kate urlò, la sua voce roca nell'oscurità, le ginocchia che si attorcigliavano attorno al suo torso. Rise ma il fiato gli venne tolto via dalla sua presa forte, e così accarezzò l'interno delle sue cosce, lasciando che si rilassasse attorno a lui.

“Piano, Kate” sogghignò, la sua voce bassa. “devo essere cosciente per ciò che voglio farti”
 
Gemette di nuovo, bisogno e incoraggiamento mescolati insieme, il suo corpo che si sollevava; la zittì sfiorando i suoi fianchi, le dita che scivolavano sotto i suoi pantaloni, aprendo la zip.

Indossava delle mutandine adorabili, sembravano viola sotto la fioca luce della luna che illuminava la stanza, con piccoli puntini bianchi; non corrispondevano al reggiseno, e lo apprezzò, adorava che tutto ciò che indossava gli diceva che non aveva avuto intenzione di venire da lui quella sera.

“belle mutandine,” commentò, non riuscendo a trattenere il suo divertimento. Le tolse i pantaloni e lei lo aiutò, alzò il bacino così che potesse farli scivolare più agilmente; si era anche appoggiata sui gomiti e gli stava rivolgendo una occhiata minacciosa.

“Richard Castle, ti giuro che se ti stai prendendo gioco di me-”

“Mai,” rispose onestamente, lasciando che i pantaloni cadessero a terra, baciando le caviglie dolcemente. “Mai,” ripetè in un sussurro mentre la sua bocca si muoveva su e giù per la sua tonica gamba.

Sentì come tratteneva il respiro per l'attesa, la vide distendersi nuovamente sul letto, e sorrise sulla sua pelle. Poteva sentire il pompare del suo sangue contro le sue labbra, e ne era deliziato di sentirla così vicina, così profondamente.

Lui le era mancato, huh?

“Castle” gemette mentre la sua mano scendeva sempre più sotto le sue mutandine, accarezzando la sua pelle così sensibile. Kate alzò la gamba con la quale lui non era occupato, la attorcigliò attorno alla sua spalla provando ad avvicinarlo; le morse l'interno coscia in risposta, il suo singhiozzo di piacere che gli scatenava il fuoco nelle vene.

Respirò profondamente contro la sua pelle, la guardò muoversi e irrigidirsi contro di lui, così disperata di avere la sua bocca su di lei; e giusto quando era ormai insopportabile, il suo lamento bloccato nella gola, spostò di lato le mutandine e poggiò la lingua su di lei.

Balzò come se fosse stata scottata, i talloni che premevano sulla sua schiena, una bestemmia uscì dalle sue labbra aperte per il piacere. Aveva una mano stretta fra le sue lenzuola, ma Rick le prese l'altra, intrecciò le dita, e la sua stretta ferrea gli arrivò nel profondo.

“Kate,” sussurrò, non riusciva a trattenersi, il suo nome l'unica cosa che riusciva ad esprimere tutto il suo stupore, la sua gratitudine per riaverla ancora una volta.

La graffiò con i denti, e poi la leccò lentamente mentre lei si contorceva sotto di lui, le sue dita scivolose ma così forti, una serie di lamenti insensati che uscivano dalle sue labbra come una dolce melodia.

“Castle” riuscì a respirare, mentre i suoi fianchi spingevano contro la sua presa. “Castle, oh Castle-”

“adoro il modo in cui dici il mio nome,” le confidò nella pelle, sapendo che avrebbe sentito le vibrazioni delle parole fin su nelle ossa. “te l'ho mai detto? Castle. È così-” spinse la lingua contro di lei, forte e liberamente, “molto-” aprì la bocca, provando a possederla tutta, tutta quella carne bisognosa, “sexy.”

E con quello la succhiò senza alcuna pietà, bagnandola ancora mentre veniva, si dimenava contro di lui, il corpo che si alzava con un'energia che lo lasciava senza respiro, disperato, la sua stessa pelle che si contorceva di eccitazione mentre lei tremava con il suo rilascio.

Le diede dieci secondi per calmarsi, riprendere il respiro, e poi la spinse oltre sul letto; ma Kate era pronta adesso, aveva il pieno controllo, anche con le sue membra che ancora tremavano di piacere.

Spostò le gambe sotto di lei fino a quando le ginocchia non sopportavano il suo peso, poi si tolse la camicia. Si alzò, assaporando il modo lascivo con cui Castle la guardava ogni volta che la vedeva con solo l'intimo, le stesse mutandine che non si era neanche scomodato a toglierle, bagnate e scomode; senza spezzare il contatto visivo, lentamente le tolse.

Poi fu il turno del  reggiseno; la soffice stoffa del cotone che sbatteva contro il pavimento di legno duro sembrò svegliare Castle dalla sua contemplazione. Con un ringhio si mosse in avanti, le sue mani frettolose contro i bottoni della camicia. Aveva la mezza idea di lasciarlo dimenarsi da solo, e semplicemente guardare, sorridendogli, ma sarebbe stato contro produttivo.

Aveva bisogno di toccarlo.

Kate gli si avvicinò fino a quando le sue mani non si chiusero sulle sue, le portò poi fino ai suoi fianchi mentre la bocca trovava quella di lui, una carezza sorprendentemente dolce, le labbra che sfioravano dolcemente le sue prima che si schiudessero e gli garantissero l'accesso per la sua lingua.

Era un bacio profondo, languido, il calore che lentamente si costruiva fra di loro; gemette la sua approvazione, mosse le mani ai bottoni della sua camicia per spogliarlo tutto mentre lui esplorava la sua bocca, le sue mani che stringevano la sua vita.

L'ultimo bottone si aprì e sorrise contro le sue labbra, soddisfatta di se stessa, per la pelle calda che ora poteva toccare. La camicia cadde a terra con un sussurro, un suono suggestivo che lei voleva ricreare; trovò la zip dei suoi pantaloni, l'abbassò, e fece scivolare una mano contro la dura lunghezza di lui.

Castle si lamentò, si lamentò davvero, i suoi fianchi si alzarono contro il suo tocco giocoso, e salì sul letto, fermando i suoi sforzi di togliergli a tutti i costi i pantaloni, un braccio che le cingeva la vita. La sua bocca ora le baciava la spalla, la tortura più deliziosa, e chiuse gli occhi, le dita che ancora si muovevano fra di loro.

Oltrepassò il materiale setoso dei suoi boxer, accarezzò la pelle soffice, il pesante calore che le offuscava la mente; lo sentì balzare, il graffio dei suoi denti contro la spalla, e rafforzò la presa fra le sue mani, le dita che danzavano sulla pelle sensibile.

Castle ruggì, spostandosi più vicino, la sua bocca contro il suo orecchio; il suo petto sfiorava i suoi seni, la faceva arcuare per il bisogno, le faceva cercare il più delizioso dei tocchi.

Ma per quanto le piacesse restare al suo gioco, tutto quello sfiorarsi seducente- c'era sempre un momento in cui Kate voleva di più.

Aveva bisogno di più.

Strinse per l'ultima volta il suo membro e poi lasciò la presa su di lui, orgogliosa del respiro affannoso che uscì dalle sue labbra, e poi intrecciò un braccio attorno al suo collo, lo usò per sollevarsi e spostarsi su di lui. Il ginocchio scivolò fra i suoi e lo spinse indietro, la manovra un po' scomoda, ossa contro ossa a volte; ma alla fine riuscì ad ottenere quello che voleva.

Castle che giaceva sotto di lei, indifeso, sotto il suo potere.

La guardava con occhi ardenti, le labbra dischiuse in un sorriso che avrebbe ben voluto togliergli.

Cavalcò i suoi fianchi con un movimento dolce, si abbassò per un bacio e i loro denti si scontrarono nel desiderio, ma la sua lingua era calda e impaziente contro la sua, e i loro corpi si incontrarono, finalmente, e non più un semplice sfiorarsi ma  una decisa pressione dei loro petti che li fece gemere entrambi di piacere.

Kate ondulò il suo corpo contro quello di lui, ancora, e ancora, spingendosi sulla sua erezione, sentendo il gioco dei muscoli sotto le dita che premevano lungo tutto il suo petto. Lo desiderava così tanto; sarebbe potuta venire semplicemente con questo, spingendosi contro di lui, ma era così semplice togliersi i vestiti e farlo.

Ma non voleva muoversi da lui- lei voleva...lei...

“Kate,” grugnì contro la sua tempia, e poi si spostò, tutta la pressione che scompariva, lasciandola ancora più desiderosa, la sua testa che si gettò all'indietro, i suoi occhi chiusi.

Sentì la sua bocca sul suo seno, la sua lingua toccarla, ma così come era iniziato, il contatto eccitante e dolce si fermò, e Castle si allontanò da lei completamente. Aprì gli occhi, una mano che lo cercava ardentemente, un suono disperato che le rimaneva bloccato in gola.

Oh. si stava togliendo i pantaloni, il più velocemente possibile, e le sorrideva, come se non avesse perso neanche una sua reazione. Strinse gli occhi minacciosamente, poi alzò un sopracciglio, e chiuse le dita che ancora lo cercavano attorno alla sua femminilità.

Non era esattamente ciò che voleva, ma a questo punto tutto sarebbe andato bene, almeno lei sapeva come-

Castle, finalmente nudo, si spostò su di lei con un ringhio, la mano che scacciava la sua, i suoi denti che le catturavano il labbro.

“Non osare nemmeno,” minacciò duramente, tutto il suo corpo che reagiva a quella voce, alla lunghezza di lui su di lei.

“Non è colpa mia se ci metti così dannatamente tanto,” controbattè, ma la sua ultima parola finì in un sussurro perchè iniziò ad entrarle dentro, così molto, molto lentamente.

Si arcuò, senza parole, desiderando di più, che la riempisse tutta, ora, ora.

“Castle” lo supplicò, la sua voce appena un sussurro.

Ma fu abbastanza. Spinse contro di lei tutto, facendola gridare, e quando il bruciore della sensazione così sopraffacente diminuì, riuscì a sentire le sue dita sfiorarle la tempia, accarezzandole i capelli.

“E' questo quello che vuoi, Kate?” mormorò, le sue labbra che si muovevano sulla sua guancia. “vuoi sentirmi dentro di te? Vuoi sentirmi-” spinse i suoi fianchi, quel movimento dolce, fuori e poi di nuovo dentro, “muovermi dentro di te?”

Non avrebbe singhiozzato, no, non l' avrebbe fatto.

“Si,” riuscì a respirare, nel modo più controllato possibile. “Si. Muoviti.”

E prima che potesse farla supplicare di nuovo, prima di scherzare con lei ancora, Kate affondò le sue unghie nei suoi fianchi, spingendolo avanti con il suo tocco piuttosto che con le sue parole. E funzionò; e grugnì per la sorpresa mentre il suo corpo cedeva, il suo membro che affondava sempre di più dentro di lei, mentre lei spingeva contro di lui, le gambe attorcigliate attorno ai suoi fianchi, trovando un ritmo al quale sperava non avrebbe resistito.

 E alla fine, alla fine....

Smise di fermarsi.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***



Eccoci qua, di nuovo XD Non so cosa stia succedendo ma anche questa volta c'è stata una traduzione flash XD
Prima Anita, adesso io. Non c'è più mondo!!!
Il capitolo è davvero dolce. A me è piaciuto molto tradurlo e leggerlo contemporaneamente. Questa Kate mi piace e questo Rick ancora di più!
Sono adorabili *_*
Vi auguro una buona lettura e speriamo che ci facciate sapere cosa ne pensate, giusto per incentivarci a proseguire nella traduzione =)
A presto. =)


 

                               Capitolo 22


“I ragazzi al distretto mi prenderanno in giro!” Osservò Kate, la voce tranquilla nella camera da letto buia, come se stesse parlando del tempo.
Rick si voltò a guardarla, il suo battito cardiaco quasi tornato alla normalità, il suo corpo raffreddato velocemente sulle lenzuola pulite e fresche.
Lei stava sdraiata sulla schiena, come lui, la forte linea del suo profilo orientata verso il soffitto, un raggio di luna ad illuminarle il viso. Si voltò verso di lei così da poterla vedere meglio, il contrasto della pelle chiara con i capelli scuri, mentre la sua mente elaborava pigramente le sue parole.
I ragazzi del distretto.
“Nikki Heat!” Realizzò, finalmente.  Le si avvicinò tracciando la rotondità della sua spalla con l’indice.
“Te l’ho detto..” disse lui contro il cuscino. “Nessuno ha bisogno di sapere che sei tu, Kate. Se non vuoi che lo sappiano…”
“Sapranno comunque che sono io.” Rispose con voce certa. “Una delle loro mogli lo leggerà, il marito farà due più due. So come succede, Castle. Non ci vuole molto e tutti mi parleranno alle spalle.”
L’uomo tirò su le ginocchia rabbrividendo, non sicuro che fosse il freddo o le sue parole.
“Ti…” Esitò ma doveva chiederlo. “Preferisci che non lo scriva?”
Lei girò lentamente la testa verso di lui, i suoi occhi un pozzo nero.
“Potresti smettere di scriverlo?”
Lui fece una smorfia. Forse non proprio smettere di scriverlo ma…
“Potrei non mostrarlo al mio editore.” Disse a voce bassa. “Scrivere solo per me.”
Ma Kate stava scuotendo la testa facendosi più vicina nel letto grande.
“No!” Disse con fermezza. “L’ho letto, Castle. E’ bello, non puoi tenerlo per te.”
“Ma al distretto…”
“Posso farcela. Sono abituata a questo genere di cose. Un po’ di più non farà la differenza. Sono una donna in un mondo di uomini, ricordi?”
Gli stava sorridendo nella penombra e lui sentì il bisogno irresistibile di baciarla. Invece mosse la mano sfiorandole col pollice la pienezza del labbro inferiore.
“Non voglio renderti la vita ancor più difficile.” Disse dolcemente, sorprendendosi di come quelle parole risultassero vere. Nonostante fosse eccitato per Nikki Heat, impaziente di sentire pareri diversi sul libro, avrebbe rallentato e cercato di trovare una soluzione diversa se Kate l’avesse chiesto.
Lei si sollevò un po’, poggiandosi su un gomito e si sporse per posare la bocca su quella dell’uomo.
“Troppo tardi per questo.” Gli rispose, un sopracciglio alzato e un sorriso accennato agli angoli della sua bocca. “Ma grazie per il pensiero. E’ molto dolce.”
A Castle non piaceva essere chiamato ‘dolce’. Perciò annullò lo spazio tra loro e la baciò, rude, i denti a scavare nella carne morbida del labbro. Lei premette contro di lui. Ci volle poco a capire che stava ridendo nel bacio.
“Ok, non userò dolce!” Disse, i suoi occhi sorridenti quando la lasciò andare.
Se la stanza fosse stata più illuminata avrebbe potuto vederlo arrossire. Lo studiò per un momento, l’espressione del viso passare dal divertito al riflessivo e inclinò la testa verso di lui.
“Perché tu e la tua ex moglie vi siete lasciati?”
Nonostante la domanda non lo sorprendesse, dovette comunque sopprimere la familiare ondata di nausea che quella immagine gli evocava: lui più giovane e ingenuo, entrare nell’appartamento e trovare la sua ex moglie con il suo regista.
Non prese nemmeno in considerazione di mentirle. “Meredith mi ha tradito.” Rispose, mostrando quanta più indifferenza possibile nella voce. “Quando Alexis era molto piccola. Sono tornato a casa e la trovai… Diversamente impegnata diciamo. Non ero abbastanza innamorato da farmi spezzare il cuore ma distrusse la mia idea di famiglia perfetta sai?”
Kate lo guardava con quegli occhi scuri, nessun giudizio, nessuna pietà e lui sentì una sorta di affetto per lei, per il modo in cui lei non sentisse il bisogno di riempire il silenzio con parole inutili.
“Alla fine chiesi il divorzio.” Terminò mormorando. “Sembrava la cosa giusta da fare.”
Sentì il leggero tocco al polso. Spostò gli occhi su di esso e trovò la mano di Kate, il pollice ad accarezzarlo delicatamente.
“Dov’è adesso?”
”Uhm, LA.” Rispose dopo un secondo. “E’ un’attrice e apparentemente è lì che abbia un’audizione in questo momento. Era in città un paio di settimane fa ma non è rimasta molto. Ha avuto appena il tempo di vedere Alexis.”
Kate fece un impercettibile suono neutrale e lui sollevò un sopracciglio curioso, come sempre, di sapere cosa pensasse.
“Che c’è?”
“Niente.” Lasciò andare un sospiro scuotendo leggermente la testa. “Io…Wow, non posso immaginare come ci si possa sentire, dover essere un papà a tempo pieno, senza avere qualcuno a cui…Appoggiarsi. Deve essere difficile.”
Lui si strinse nelle spalle. “Non proprio. Voglio dire, Meredith non era di grande aiuto nel prendersi cura di Alexis quindi…Non fa una grande differenza per me, non averla intorno. In realtà, preferisco così perché non è molto affidabile. E’ volubile, irresponsabile. Potrebbe portare nostra figlia a Parigi per pranzo e dimenticare di dirmelo.”
Un risata uscì fuori dalle labbra di Kate ma questa si congelò quando vide lo sguardo sulla sua faccia. “Aspetta. Davvero? Lo ha fatto?”
“Uh-uh.” Confermò mantenendo a guinzaglio la rabbia che ancora lo assaliva ogni volta che ci pensava. “Ha preso il jet privato di un amico. Ha pensato che sarebbe stato, cito, una bella via di fuga.
“Si, se te lo avesse detto.” Rispose subito Kate, l’indignazione nella sua voce, un balsamo per il cuore di un padre come lui.
Le sorrise, per la prima volta si trovò sorprendentemente pronto a lasciar correre. “Questa è Meredith. Lei fondamentalmente non pensa alle conseguenze. Di qualsiasi cosa. Davvero.”
“Wow.” Kate espirò rotolando sulla schiena, il viso rivolto al soffitto di nuovo. Rimase in silenzio per un po’ e lui dovette ancora una volta trattenersi dal chiederle cosa stava pensando.
Era così ansioso per qualsiasi cosa potesse dire, i suoi pensieri, la sua approvazione. Era ridicolo. Non era abituato a condividere molto di se stesso, della sua vita quotidiana con Alexis. E insieme al fascino irresistibile di lei, lui era diventato insicuro, una persona bisognosa di piacerle.
Così mantenne la bocca chiusa ascoltando l’alzarsi e abbassarsi del suo petto mentre aspettava.
“Pensi che ad Alexis manca?” Chiese lei timidamente dopo un lungo momento.
Si era quasi addormentato e sbadigliò un paio di volte prima di risponderle.
“Si.” Rispose in un borbottio incomprensibile. Si schiarì la gola. “Si, penso che le manchi ma lei non lo dice mai e anche se io cerco… Faccio del mio meglio, sai, per essere tutto ciò di cui ha bisogno, essere insieme mamma e papà, io…So di non essere perfetto.”
Prima che il suo cervello potesse registrare quello che stava accadendo, Kate rotolò su un fianco, e fu abbastanza vicina da poterlo baciare premendo dolcemente la bocca contro la sua. Sentì le sue dita sfiorargli la mascella, avvolgergli l’orecchio e chiuse gli occhi.
“Sei un ottimo padre, Castle!” Mormorò contro le sue labbra, le sue parole calde, come velluto intorno al suo cuore.
“Come fai a saperlo?” Sussurrò per il puro piacere di contraddirla e anche perché una piccola, minuscola, parte di lui voleva essere rassicurato dalla sua voce.
Lei sorrise sulla sua bocca. “ Ho intenzione di ignorare il tuo palese modo di accalappiare complimenti e risponderti comunque. Ma sarà l’unica volta, Rick.”
Lui sbuffò in una risata, deliziato dal suo nome sulla lingua di lei.
“Perché ho incontrato tua figlia oggi!” Gli disse la sua voce, il suo corpo, tutto di lei così morbido contro di lui.
Oh, Kate.
Le avvolse un braccio intorno alla vita e se la portò più vicina possibile. Il corpo un cerca del suo sotto le lenzuola mentre già si era impossessato delle sue labbra, la sua lingua scivolò dentro.
Lui non voleva più dormire.
 
 
 
Molto, molto più tardi, quando pensava che dormisse accanto a lei, Kate premette la guancia sulla spalla di Castle. Era grande, ma la sua pelle era morbida, un’isola accogliente nell’oceano del suo letto. Non era abituata, in realtà, a condividere, a lei piaceva avere un letto tutto per sé ma lui l’aveva reso…Non così male.
“Mi dispiace!” Mormorò, sentendosi più coraggiosa nel buio, strofinando il naso sulla sua scapola.
Ma Castle improvvisamente si mosse, sorprendendola, tutto il suo corpo in movimento finchè non aprì i suoi occhi assonnati a guardarla.
Oh.
“Credevo dormissi.” Disse con il cuore che le martellava nel petto. Cavolo, questo le avrebbe insegnato a non essere troppo sentimentale e stupida a letto. “Non volevo svegliarti.”
“Non mi hai svegliato.” Sbadigliò. “Sono sveglio.” Sbatté le palpebre lentamente, concentrandosi su di lei, le sopracciglia aggrottate. “Mi dispiace per cosa?”
E naturalmente non aveva intenzione di lasciar passare.
La migliore politica è l’onestà, si disse severamente. Ma lei odiava parlare dei suoi sentimenti.
“Non avrei dovuto dire quelle cose.” Si costrinse ad ammettere ad alta voce. “Dicendoti cosa fosse meglio per entrambi. E’ stato stupido. Ed arrogante.”
Lui grugnì, strofinandosi una mano sul sopracciglio e le rivolse un sorriso assonnato che fu così adorabile per il suo stato in quel momento.
“Ehi, va tutto bene.” Biascicò scrollando le spalle. “E guardare il caso di tua madre è stato, onestamente, andarmi a cercare grane, quindi. E’ tutto ok, Kate!”
Troppo facile. Non voleva che lui lasciasse perdere in quel modo.
“Tuttavia…” Continuò, passando una mano sul suo petto, pressandola su quella calda e morbida pelle.
“Io… Tendo a farlo. Allontanare le persone quando si avvicinano troppo a me.”
Attese un momento, assicurandosi di avere la sua completa attenzione, che i suoi occhi fossero completamente aperti e la guardassero. Quella consapevolezza che lei tanto amava quando la studiava.
Un libro. Stava scrivendo un libro su di lei.
Dio.
Kate chiuse gli occhi per un secondo cercando di trovare le parole. Ma erano come fuggite via come un migliaio di piccoli pesci dalla rete che lei aveva gettato.
Con un gemito frustrato rotolò via, la schiena ad incontrare le lenzuola fredde, le dita scavate nel materasso duro.
“Io non so come….”
Spiegare. Non era mai stata brava a spiegare, non era mai stata brava a capire se stessa, lasciare che e parole spiegassero come lei si sentisse.  Ma questa volta era importante. Aveva importanza.
Fece un lungo respiro, il petto si sollevò e abbassò.
“Eravamo al ristorante.” Iniziò non sapendo come esattamente quelle parole vennero fuori. Ma le sembrava che la storia volesse essere raccontata in quel modo. “Quella sera, io e mio padre. Avremmo dovuto cenare al ristorante, tutti e tre, perché presto sarei tornata al college. Standford. Io era a casa per le vacanze di Natale. Le lezioni non sarebbero iniziate prima di metà gennaio.”
Si fermò, prendendo aria, ricordava la neve, come quell’inverno fosse stato freddo, il divertimento che aveva avuto andando a pattinare con sua madre al Rockfeller Center.
“Mia madre non è arrivata.” Disse con attenzione per mantenere la voce chiara. “Abbiamo pensato che fosse stata trattenuta al lavoro, aveva un grosso caso per le mani, aveva anche trascorso un paio di notti in ufficio quella stessa settimana, quindi non ci siamo preoccupati… Abbiamo provato a chiamarla una volta ma non ha risposto. E abbiamo pensato che forse ci saremmo visti a casa.”
Questo era quello che odiava di più, il fatto che lei e suo padre non si fossero preoccupati più di tanto. Avevano mangiato, chiacchierato e fatto anche qualche battuta. Kate ricordava così bene quella notte, ogni secondo, e in nessun momento era stata preoccupata.
Non aveva pensato che ci fosse qualcosa di strano. Non aveva avuto quella brutta sensazione allo bocca dello stomaco che ogni libro sembrava descrivere. Non vi era stata nessuna preoccupazione da spingere via e ignorare.
Aveva semplicemente pensato che fosse tutto a posto.
Perché non aveva nessun motivo per credere il contrario.
“Ma quando siamo tornati a casa.” Continuò, quasi tremava al ricordo di quella fredda notte d’inverno, vedendo quelle luci lampeggianti di fronte la propria casa. “La polizia era lì. Il Detective Raglan ci stava aspettando con lo sguardo da ‘mi dispiace per la vostra perdita’. E ricordo di aver pensato ‘Non ti dispiace per niente.’ ”
Sentiva Castle molto vicino, chiedersi se dovesse toccarla o meno, ma tutto quello a cui poteva pensare era quella notte, la scena del crimine, il suo intero mondo andare a pezzi, in milioni di pezzi ai suoi piedi.
“Ci ha fatto delle domande. Dove eravamo stati, chi potrebbe aver avuto motivo di far del male a mia madre… Tutto quello che voleva erano risposte ma noi avevamo solo domande, tante domande. Ci volle un secolo prima che ci dicesse dove l’avevano trovata. Pugnalata in un vicolo, un luogo dove non avrebbe avuto motivo di essere e con contanti, gioielli, tutto addosso. Non aveva senso.”
“Kate.” Mormorò Castle, e sentì le sue lunghe dita accarezzarle il bacino, la sua bocca sulla spalla.
Chiuse gli occhi.
Doveva sapere…
“Ti allontanerò di nuovo.” Gli disse con rammarico nella sua voce determinata. “Non so quando, o quello che lo innescherà, ma lo farò, Castle. Ti allontanerò perché non sopporterò il pensiero di dover affrontare tutto questo di nuovo. Questo tipo di dolore, il vuoto, il buio che cerca di mangiare tutto… Non riuscirei ad uscirne ancora una volta, l’ho a malapena fatto in passato.” Terminò senza fiato con gli occhi chiusi, in contrasto con le lunghe ore passate a fissare il soffitto, chiedendosi perché il suo cuore battesse così forte mentre quello di sua madre si era fermato.
 
Lo sentì avvicinarsi a lei, il suo peso mentre le si appoggiava, premendo le proprie labbra sulla sua tempia, la sua mascella, la sua guancia. Caldo e umido. Stava piangendo?
Trovò le sue labbra, respirando il suo nome contro di esse e lei poté sentire il gusto salato delle sue lacrime. Il suo petto premuto contro il suo. E lei si inarcò, il suo corpo improvvisamente, alla disperata ricerca di qualche sorta di libertà, un senso di pace e di completezza che di solito l’abbandonava, ogni volta che pensava al caso di sua madre.
“Io non ti lascerò.” Le rispose, parole piene di promesse mentre il palmo della sua mano si chiuse sul suo petto. “Mi puoi allontanare tutte le volte che vuoi, Kate, ma io non ti lascerò.” Lei gemette al contatto, alla sicurezza della sua voce, la speranza crescente che si aprì come un fiore nel suo petto.
“Non potrai mai sbarazzarti di me.” Le promise, la sua bocca in un ghigno contro la sua. E lei si elevò al suo tocco, bisognosa e senza fiato, tutto il suo essere dolorante per il bisogno di lui.
Oh, come sperava che avesse ragione.
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


OK.... E' passato moooolto tempo, troppo forse XD Ma io e Anita speriamo che riprendere a leggere questa storia vi attiri. Chiediamo scusa per l'enorme ritardo ma entrambe abbiamo avuto poco tempo per tradurre. Stiamo cercando di completare questa storia il più presto possibile e ce la metteremo tutta anche perchè tra lavoro, università e impegni vari, le giornate sono piene e il tempo scarseggia. Ma le giornate da 36 ore non le hanno ancora inventate???
Speriamo che continuiate a leggere fino alla fine questa ff nonostante la saltuarità che la caratterizza. A me continua ad incuriosire, a voi?
Fateci sapere se vi va.
A presto e buona lettura!
=)

Capitolo 23
 

Qualcosa stava suonando. Da qualche parte.

Rick grugnì, e seppellì il viso ancora più profondamente nel cuscino.

No. Non si sarebbe alzato. Era troppo presto. Dormire. Si! Dormire.

Il suono stridulo terminò e sospirò di gratitudine, tutto il suo corpo che si rilassava nel materasso.

Mhhh. Dormire.



Kate stava ai piedi del letto, vestita e pronta; ma nonostante tutto indugiò. Normalmente se ne sarebbe andata senza un attimo di esitazione- lui sembrava così sereno, profondamente addormentato, solo un quarto del suo viso che emergeva dal cuscino. Non c'era nessun motivo per svegliarlo.

Ma non sembrava giusto lasciarlo senza dirgli  niente.

La notte che avevano passato, i segreti che si erano sussurrati sulla pelle dell'altro... l'ultima cosa di simile che riusciva a ricordare  era quando dormiva a casa delle amiche, il che significava non dormire affatto, ma molti sogghigni contro il cuscino, e quel piccolo traffico di segreti- 'te lo dirò se tu me lo dici.'

Soltanto che all'epoca non erano veramente segreti, solo delle ammissioni imbarazzanti di cotta su Tom o Danny. Confidenze innocenti e benigne.

Ciò che lei e Castle avevano condiviso.....  
Non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era esposta così tanto. E lui l'avevo reso tranquillo, si era aperto anche lui, e si era sentita così speranzosa.

Così poco da lei.

Kate oltrepassò il letto e si inginocchiò al suo fianco, sentì la bocca alzarsi in un sorriso alla vista del suo viso assonato.

Passò il pollice sulla curva delle sue sopracciglia, si abbassò per lasciargli un bacio sulla guancia.

“Castle,” respirò.

Nessuna reazione.

Kate strinse le labbra, e poi passò una mano fra i suoi capelli, massaggiandogli gentilmente il cranio. Grugnì dolcemente, quasi le fusa di un gatto, la sua testa che si orientava verso il suo tocco. Il suo occhio si aprì lentamente, il colore indefinito nell'oscurità, e la sua bocca sorrise quando si accorse che lei era lì.

“Hey” biascicò, sembrava così felice.

Il cuore di Kate si fermò per un attimo. “Hey” rispose, sfiorando la sua guancia con le dita. “Devo andare, Castle, non voglio fare tardi a lavoro.”

Girò il suo collo, abbastanza affinchè potesse lasciarle un bacio sulle nocche, e il calore si riversò di nuovo dentro di lei, senza avvisarla, quel brivido leggero che subito la eccitava.

Non si mosse, rimase dov'era, lasciando che l'ondata di eccitazione passasse serrando i denti, pregando che lui non lo notasse. Gesù, era ridicola.

Grazie a Dio, era troppo sfasato per accorgersene, e la camera da letto troppo oscura per notare il suo rossore.

“Lavoro,” sospirò Castle contro la sua mano, la testa che si appoggiava di nuovo sul cuscino. “Ok. Vai. Falli a pezzi. Starò qui, a dormire.”

Rise divertita, la sua goffaggine che scaraventò via ogni briciolo di insicurezza, e si sentì abbastanza sicura da mordicchiargli la mascella.

“Ok, tu dormi,” sussurrò contro il suo orecchio, lasciandogli sentire il sorriso che le si allargava sulle labbra.

Si lamentò appena, e goffamente cercò di raggiungerla; ma nel momento in cui la sua mano raggiunse il posto in cui era stata, Beckett se n'era già andata.

“Ci vediamo, Castle,” si girò appena mentre oltrepassava la porta, dandogli un'ultima occhiata da sopra le spalle.

Vide la sua forma indistinta sotto le coperte, l'immobile picco che era la curva della sua spalla, e sorrise.

Non c'era alcun dubbio che stesse già dormendo di nuovo.



“Papà.” Un sussurro persistente raggiumse il suo orecchio.

“Papà, è tempo di andare a scuola”

Lentamente quelle parole iniziarono a penetrare nella sua mente assonnata e Rick si scosse appena, sentì la piccola mano che gli scuoteva la spalla.

Alexis.

“Papà,” ripetè, una traccia di impazienza nella voce, il ginocchio che scavava nella sua anca.

Scuola. Whoa- che ore erano?-

Scattò in avanti, gli occhi pieni di panico che cercavano la sveglia, il suo corpo che protestava contro il movimento repentino. Forse lui e Kate avrebbero dovuto dormire un po' di più, e fare un po' di meno...

Merda, erano davvero le otto del mattino?

“Alexis-”

“Devi vestirti” gli disse in quel tono serio e determinato che lui trovava semplicemente adorabile. Gesù, non sapeva da chi avesse preso tutta quella solennità, di certo non da lui.

Cacciò le gambe dalle coperte e rabbrividì, non tanto per il freddo quanto per l'esposizione all'aria fresca di prima mattina che gli toccava la pelle nuda. Oh, non aveva nemmeno i boxer, vero?

Guardò un attimo sua figlia, cercando di capire se fosse abbastanza grande per capirlo, ma Alexis stava già uscendo dalla porta, un sorriso che spezzava la sua maschera di serietà.

“Ti aspetterò in salotto” gli disse, gli occhi che trovarono i suoi, mantenne lo sguardo giusto per qualche secondo. “e non ti preoccupare, ho già fatto colazione e il mio zaino è pronto”

Annuì inebetitoe la guardò uscire con i suoi passi piccoli e svelti che la facevano sempre sembrare occupata come una persona importante; era passato un po' di tempo dall'ultima volta che aveva provato quell'imbarazzo che gli faceva arrossire le guance. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che sua figlia doveva trascinarlo giù dal letto.

Inciampò fuori dal suo studio, la sua idea di provare a camminare mentre allo stesso tempo cercava di indossare una scarpa si dimostrò disastrosa, e trovò sua madre nella cucina a bere una tazza di caffè.

Si fermò per un battito di secondo, avendo del tutto dimenticato che sua madre era a casa. Il suo sguardo indagatore si fermò su di lui, quella scintilla di consapevolezza che non tanto gli piaceva ma che non poteva farci nulla per toglierla; poi i suoi  occhi si spostarono, oltre le sue spalle, come se aspettasse qualcuno.

Diede un piccolo accenno di diniego, si sentì stranamente sollevato che Kate se n'era andata prima. Non riguardava lei, non da quando apparentemente era in grado di sedurre sia sua madre che sua figlia solo respirando.

No, era... lui.

Non si ricordava l'ultima volta che si era sentito così vulnerabile di fronte a una donna. E non si sentiva sicuro che era pronto per altra gente a vedere quella debolezza.

Certo, sarebbe successo prima o poi, e più prima che poi, chiaramente.

“Papààà,” lo chiamo Alexis, che lo sgridava impaziente, e lui corse verso la porta, afferrò le chiavi e pensò che per il momento era meglio tenere via Kate Beckett dai suoi pensieri.

Certo, era più facile a dirsi che a farsi.


Alexis era silenziosa per tutto il tragitto. All'inizio pensò che era arrabbiata con lui per averle fatto fare tardi a scuola ma ogni volta che lo guardava gli rivolgeva un sorriso distratto, dolce e sognante, e subito smise di preoccuparsi.

Forse gliel'avrebbe detto cosa pensava, forse no; sua figlia riusciva ad essere una persona davvero riservata a volte. A differenza sua, non era mai stata una grande chiacchierona; non sentiva l'esigenza di rendere ogni cosa che le accadeva pubblico, ogni pensiero che le passava per la testa.

Gli piaceva, a dire il vero. Gli piaceva che poteva essere così diversa da lui, con la sua piccola personalità, anche se lui era l'unico modello che aveva mai avuto. Ricordava com'era da piccola, così silenziosa e osservatrice, con i suoi grandi occhi blu che scoprivano il mondo; per un lungo tempo  aveva sorriso solo per lui, con quel sorriso senza denti che le apriva quel piccolo viso, gli occhi che le brillavano.

La sua piccola bambina che sorrideva silenziosamente.

Adesso era molto più grande, più matura e responsabile; la accompagnò fino all'ingresso della scuola, che praticamente era fin dove gli permetteva di portarla.
'I genitori non entrano più dentro, papà.'

Ai genitori, però, era ancora concesso baciare le figlie prima di lasciarle a scuola. Dato che c'erano ancora dozzine di bambini che giocavano nel cortile, Rick prese il suo tempo, strofinando le labbra su quella chioma rossa di capelli, capendo con una stretta al cuore che anche questo gesto presto gli sarebbe stato portato via. Prima o poi.

Non oggi, però. La mano di Alexis raggiunse il bavero della sua camicia, e lo guardò con quei occhi simili ai suoi.

“Papà?”

“Si, tesoro?”

“Perché non mi avevi detto di Kate?”

Il suo cuore smise di battere nel petto; il suo cervello che annaspava per una risposta.

“Dirti cosa?” rispose con stupidità poiché non sapeva cos'altro dire.

Alexis aveva quel suo sguardo da “non essere stupido” sul suo viso. E lui iniziò a preoccuparsi per il peggio.

“Beh, che è tua amica. E che è una poliziotta,” aggiunse sua figlia, l'eccitazione che si rendeva palese nella voce. “Voglio dire, non è bello? E aveva la sua uniforme e tutto il resto. È come se fosse una supereroina, solo senza i poteri e la tecnologia. Deve essere così coraggiosa”

Rick prese un respiro profondo, il sollievo che si espandeva nel suo petto.

“Lei è davvero coraggiosa. L'ho vista arrestare un brutto cattivo una volta, e te lo dico ora, era spaventosa”

Vide sua figlia rabbrividire, il piacere che scintillava nello sguardo.
“Le hai chiesto com'è?” le chiese incuriosito. “Essere un poliziotto?”

Alexis sorrise beata. “Volevo farlo ma non ho osato. Inoltre, la nonna voleva cantare e Kate conosceva tutte le canzoni disney...”

“Le conosceva tutte, eh?” sogghignò divertito all'idea della sua Beckett tosta che cantava cenerentola con sua figlia. Oh, tutti i modi con cui avrebbe potuto schernirla per questo.

La bellezza di tutto ciò gli era in qualche modo sfuggita la sera prima. Si. Molte cose tendevano a sfuggirgli quando aveva le labbra di Kate sulla sua pelle.

“Si,” Alexis rise, il suo viso raggiante. “A dire il vero sapeva alcune parole persino meglio della nonna- anche quelle recenti come Hercules che non sono molto famose. Era davvero brava, papà. Ha una così bella, bellissima voce.”

“Davvero?” continuò lui, sorpreso che non ne avesse neanche pensato. Kate Beckett che cantava. L'immagine mentale lo fermò per un attimo, un'immagine adorabile che la sua mente aveva prontamente costruito. Kate su un palco, i suoi capelli tirati indietro, con il suo trucco fumeggiante e un vestito nero. Il modo in cui la sua voce poteva scombussolare un uomo, delicata e seducente, con una intensa emozione in ogni nota...

“Oh, si,” continuò Alexis, e la sua attenzione ritornò a lei, la completa mancanza di gelosia che lo rendeva così orgoglioso. “Gliel'ho detto, ma lei ha riso e ha scosso la testa, e ha detto che ero solo molto gentile. Ma non lo ero, stavo dicendo la verità!”

La campanella suonò allora, chiamando dentro tutti i bambini che erano rimasti fuori, e Castle spinse sua figlia verso l'entrata. Lo abbracciò velocemente, le sue braccia che lo strinsero forte, e poi gli sorrise.

“Dovremmo invitarla a cena qualche volta” disse di fretta, e poi si distaccò da lui, e corse dentro. “Ti voglio bene, papà” disse lanciandogli un ultimo sguardo dalle spalle.

Rimase lì pieno di emozioni, non riusciva a smettere di avere un tuffo al cuore, anche se capiva che tutta quella conversazione era stata organizzata così intelligentemente così che poi potesse fare quell'ultima insinuazione.

Invitare Kate a cena.

Non era proprio contrario all'idea.


Kate Beckett era annoiata.

Con un discreto buffo, spostò lo sguardo sul libro aperto che teneva in mano, provò per la terza volta a raccogliere un minimo interesse per il terzo capitolo di “Guerra e pace”. Ma continuava a sfogliare le pagine a passo regolare, così che non sembrava sospetto che era stata seduta lì per più di due ore, leggendo, ed ora era completamente confusa sui personaggi. Perché non aveva davvero prestato attenzione a quello che leggeva.

Non avrebbe dovuto prestare attenzione. Avrebbe dovuto guardare il bar per qualche sorta di affare losco, a controllare se i soldi cambiavano mano senza alcuna ragione apparente.

Ma nulla accadeva; il posto era quasi vuoto. E i pochi presenti seduti agli angoli, bevendo qualche drinks, non sembravano essere pericolosi se non a loro stessi.

Davvero, “Guerra e pace”. Aveva dovuto tenere a freno il suo sbalordimento quando Osbourne le aveva dato il libro, e poi si era girato verso un altro poliziotto con il cappello di baseball. Doveva essere qualcuno che era un fan di Tolstoy al 12esimo distretto, pensò, mentre faceva scorrere le dita sull'immensa quantità di pagine che avrebbe “ancora” dovuto leggere.

Sua madre aveva letto “Guerra e pace” ma Beckett non riusciva a ricordare ora se a Johanna fosse piaciuto il libro. Riusciva a vederlo molto chiaramente se chiudeva gli occhi, il volume pesante che riposava sugli scaffali del salotto, in un angolo che rimaneva oscuro.

Come bambina, l'aveva trovato immenso e impossibile; come adolescente, aveva attaccato il libro come una montagna che poteva scalare con determinazione testarda, per poi arrendersi dopo una settimana o due.

Non aveva alcune pazienza allora, si ricordava di essere stata scoraggiata da tutti quei nomi stranieri che suonavano così uguali fra di loro, e dal passo lento e attento del libro. C'era sempre qualcosa di più interessante da fare; era più o meno in quel periodo che Tony, un musicista adolescente di un anno più grande di lei, aveva iniziato a mostrarle interesse. Dato che Jim Beckett si era del tutto opposto al giovane uomo, sua figlia ovviamente aveva reso la sua missione quella di sbattere Tony in faccia a suo padre ad ogni opportunità.

“Guerra e pace” aveva trovato il suo posto ancora una volta sugli scaffali, e forse non si era più mosso da allora.

Beckett marcò la pagina, posò il libro sul tavolo, prendendo un sorso della sua coca dietetica mentre si guardava attorno. Nessun cambiamento rilevante. Il barista stava pulendo alcuni bicchieri, prendendo il suo tempo, forse cercando di mantenersi occupato nell'unico modo che conosceva. Gli altri clienti si facevano i fatti loro, uno di loro leggeva un giornale locale, un altro dormiva, la sua faccia piatta contro il tavolo.

Gesù, erano le dieci del mattino. Era davvero così ubriaco.

Un ricordo si svegliò dentro di lei: era passata da suo padre senza avvertirlo una domenica mattina, pensando di invitarlo a un aperitivo da qualche parte, e l'aveva trovato inconscio sul divano, puzzando di whisky. Kate si era morsa le labbra e aveva sviato lo sguardo.

Aveva bisogno di chiamarlo, di assicurarsi che era tutto ok. Sembrava stare bene l'ultima volta che avevano parlato, ma era stato troppo tempo addietro. Aveva speso così tanto tempo da sola, proteggendosi contro il mondo esterno; era difficile ricordarsi com'era avere persone attorno ancora una volta.

Il museo era una buona idea, però. Ne aveva bisogno, di andare a un appuntamento, qualcosa che gli avrebbe mostrato che le importava. Che anche lei era presente in questa cosa.

Tutto era così silenzioso attorno a lei. Controllò il suo orologio, le sue dita strofinavano il cinturino di pelle automaticamente, come se fosse ancora sorpresa di trovarlo lì. Ancora un'ora. Poi Johnson l'avrebbe portata da qualche parte. Nessuno poteva rimanere in incognito per così tanto tempo, specialmente in un bar quasi vuoto.

Afferrò ancora una volta il libro, i pensieri che pigramente si espandevano nella sua mente mentre sfogliava le pagine del libro con il pollice. A Castle piaceva “Guerra e pace”?

Beh, forse non l'aveva letto. Era un'impresa che richiedeva estrema pazienza, e la pazienza non era proprio il forte di Castle. Ma glielo avrebbe chiesto la prossima volta.

Un piccolo sorriso le increspò le labbra; e nonostante sarebbe apparso a un osservatore sconosciuto come se lei avesse appena letto chissà quale passaggio divertente del libro, Kate Beckett sapeva bene a cosa pensava.
Alla prossima volta.
 

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