Uncover

di GottaBeLou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Be here. ***
Capitolo 3: *** Please remember. ***
Capitolo 4: *** With you. ***
Capitolo 5: *** Guilty. ***
Capitolo 6: *** Revelations. ***
Capitolo 7: *** Face to face. ***
Capitolo 8: *** Questions. ***
Capitolo 9: *** One last time. ***
Capitolo 10: *** Plan B. ***
Capitolo 11: *** Once again. ***
Capitolo 12: *** Maybe not. ***
Capitolo 13: *** Siblings. ***
Capitolo 14: *** Runaway. ***
Capitolo 15: *** Choices. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


prologo
L’ambulanza si faceva largo a sirene spiegate tra la coda di macchine che si era formata lungo la statale, la via più breve per arrivare all’ospedale. La situazione si stava rivelando più tragica del previsto, l’urto aveva sicuramente causato la frattura di almeno due costole e c'era la possibilità di un trauma cranico. Non c’era alcuna sicurezza di arrivare al pronto soccorso prima che fosse troppo tardi e purtroppo tutti gli elicotteri dell’ospedale di Tokyo erano stati chiamati in una zona poco a ovest della città, dove un grosso edificio era andato a fuoco, causando una strage.
Sul viso di Ran era posta una mascherina per l’ossigeno e i vestiti strappati in diverse zone lasciavano entravedere graffi ed ematomi. Kogoro non faceva altro che urlare al conducente di andare più in fretta, invano. La vita di sua figlia era appesa a un filo e rimproverava se stesso per averla lasciata andare a quello stupido incontro con quel detective da quattro soldi.
Mentre il padre della ragazza sbraitava, il piccolo Conan non emetteva un suono, sembrava quasi non respirasse. Sentiva un enorme peso sul cuore guardando il viso di colei che amava di più al mondo. I paramedici avevano chiesto più volte al bambino di rimanere sul posto ma lui non aveva ceduto. Era solo colpa sua se Ran si trovava in quella situazione, colpa sua e di nessun altro, la sua vita era come appesa ad un filo e se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
Aveva i pugni tanto chiusi che le nocche erano ormai bianche per la mancanza di sangue. Più volte durante gli ultimi venti minuti aveva cercato di ricacciare indietro le lacrime che sembravano sempre sul punto di fare capolino dai suoi occhi blu.
Quello che più lo faceva stare male era la consapevolezza di aver avuto la possibilità di evitare ciò che era successo.
La coda sembrava pian piano dissolversi grazie alle sirene dell’ambulanza. Erano quasi arrivati all’ospedale quando Conan sentì poche parole provenire dalle labbra di Ran e alzò di scatto gli occhi su di lei. La voce era flebile ma era assolutamente certo di averla sentita parlare. Forse si stava riprendendo, c’era ancora una speranza, tutto si sarebbe sistemato.
Tieni duro Ran, andrà bene. Te lo prometto.
Prese una delle mani della ragazza e la strinse tra le sue, tempo prima aveva promesso di proteggerla a qualunque costo ma, inspiegabilmente, era sempre lei che finiva per proteggere lui.


Due giorni prima.

“Di che hai bisogno Kudo? Ti avevo detto che in questi giorni sarei stato occupato, ho un esame importante domani.” sbraitò Heiji dall’altro capo del filo.
“Come va con Kazuha?”
“Cosa?! Ti ho appena detto che devo studiare e tu mi disturbi per una cosa del genere? E poi non sono affari tuoi.”
“Ran mi ha raccontato quello che è successo.”
“Non so di che parli.” mentiva, era palese.
“Heiji..”
“E va bene, ma in mia difesa dico che non è stata colpa mia, almeno non del tutto”
“Sei suo amico da anni, perché fare una cosa del genere?”
“Non so cosa ti abbia detto Mouri ma evidentemente ha frainteso la situazione..” cercò di difendersi lui.
“Io non credo, fossi in te le parlerei”
“Fossi in te le parlerei? Ma ti senti quando parli? Non sei nelle condizioni di dispensare consigli d’amore, Kudo” continuò lui, seccato.
“Con questo cosa vorresti dire? Sai benissimo com’è la situazione, non posso fare niente per ora” la vocina infantile di Conan non riusciva a dare abbastanza enfasi a quelle parole.
“Non è carino rifilare scuse su scuse a quella povera ragazza, sono mesi che vai avanti così!” il tono di voce del ragazzo si era alzato.
“Pensi che possa fare altrimenti?” ringhiò l’altro.
“Potresti semplicemente chiudere tutto, una volta per tutte”
“Vai al diavolo, Hattori!” urlò contro l’interlocutore poco prima di riagganciare. Alle volte sapeva veramente essere irritante, come poteva dirgli certe cose?
Appoggiò il cellulare sulla scrivania e si alzò per aprire la finestra, aveva bisogno d’aria. Heiji era il suo migliore amico, avevano collaborato insieme più volte per risolvere casi complicati, erano simili sotto molti aspetti e sapevano di potersi fidare ciecamente uno dell'altro. Amavano punzecchiarsi a vicenda, rifilarsi insulti dalla mattina alla sera per poi dimenticare tutto solo pochi secondi più tardi; ma forse quella volta sarebbe stato diverso, i loro litigi non erano mai così, si limitavano a discussioni attinenti il numero di casi che avevano risolto -che alla fine non era mai quello reale-. Heiji evitava di provocarlo, non parlava mai di Ran a sproposito, era a conoscenza di quanto fosse difficile per l'amico vivere in quelle condizioni, tra bugie e sotterfugi.
Conan, in piedi davanti alla finestra, non faceva altro che ripensare alle parole dette dal detective dell'Ovest, a cui inizialmente non aveva dato troppo peso, insomma, troncare i rapporti con Ran per sempre? No, era impossibile, lei faceva parte della sua vita da troppo tempo, si conoscevano fin da quando erano piccoli e, per quanto lui si sforzasse di ricordare, non si erano mai lasciati per più di un paio di settimane, mai, o almeno non fino a quel giorno, quel giorno maledetto al Tropical Land. Ogni piccola certezza che aveva era stata spazzata via e si era trovato costretto a cominciare una nuova vita: per lo stato del Giappone lui neanche esisteva, non c'era nessun Conan Edogawa segnato nei registri dell'anagrafe di Tokyo. Ogni giorno, appena sveglio, sperava di vedere nello specchio il suo vero riflesso, quello di un liceale diciassettenne, ma ancora non era successo.
Gli mancava la sua vecchia vita, non era così che doveva andare; certo, come Conan poteva stare con Ran ogniqualvolta volesse, ma non era lo stesso. Spesso si sorprendeva a pensare che sarebbe stato meglio se quel farmaco avesse pienamente funzionato, se lo avesse ucciso. Almeno non sarebbe stato costretto a vivere in quel corpo che non era altro se non una prigione per lui.
Conan era completamente assorto nei suoi pensieri e nemmeno aveva notato che la porta della camera si era aperta, lasciando il via libera ad un curioso visitatore.


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Konbanwa!
Allora, è la prima storia che pubblico in questa sezione, spero vi sia piaciuto come inizio. Sono consapevole che tutto è piuttosto confuso, ma prometto di chiarire ogni vostro dubbio nei prossimi capitoli, scoprirete cosa ha fatto di tanto grave il nostro amico di Osaka alla sua cara amica d'infanzia e l'identità dell'ospite di casa Mouri.
Assocerò ad ogni capitolo alcuni versi di varie canzoni, ma suppongo di non poter ritenere questa storia una song-fic.
Mi farebbe piacere sapere le vostre opinioni su ciò che scrivo, accetto qualsiasi tipo di critica, siamo in un paese libero, no? Quindi sentitevi liberi di dire ciò che volete.
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma è già pronto quindi non dovrete aspettare molto.
A presto,
Gaia


 

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Capitolo 2
*** Be here. ***


capitolo 1

Premessa: Come dicevo la scorsa volta, ogni capitolo sarà introdotto da alcuni versi di una canzone, il mio consiglio è di usarla come sottofondo mentre leggete (naturalmente potete anche non farlo, non sono vostra madre e non do ordini a nessuno lol)


And this is when the feeling sinks in,
I don't wanna miss you like this,
Come back... be here, come back... be here.
I guess you're in New York today,
I don't wanna need you this way,
Come back... be here, come back... be here.

-Taylor Swift, Come back.. be here 

“È permesso?” chiese qualcuno. Conan sobbalzò, non aspettava visite ma riconoscendo l’ospite si schiarì la gola e lo invitò ad entrare, con la speranza che non avesse sentito la telefonata di poco prima.
“Ciao Conan” sussurrò la vocina dolce della piccola Ayumi “ho trovato la porta aperta così sono salita”
“Hey, come mai qui?” disse cercando di mettere da parte i brutti pensieri che affollavano la sua testa. 
“Oggi non c’eri a scuola così ho pensato di venire a portarti i compiti” rispose lei con un sorriso.
“Oh, ehm.. ti ringrazio” balbettò lui afferrando il plico di fogli che la bambina gli stava porgendo. Per essere una scuola elementare facevano studiare parecchio.
“Allora, come mai non c’eri?”
“Sono andato a fare una visita, il ginocchio ha ricominciato a farmi male ultimamente” mentì lui, sforzandosi di essere convincente. In effetti il dolore era tornato, ma era stato a casa per un altro motivo. Aveva passato la mattinata a casa del professor Agasa, dove Ai aveva fatto alcune analisi sul suo sangue, c'era qualcosa che non andava nella formula dell'antidoto all'APTX4869, qualcosa che ancora non era chiaro alla giovane scienziata. L'obiettivo era quello di eliminare ogni traccia del veleno dal corpo di Shinichi, ma, senza un promotore, sarebbe stato impossibile. 
“Beh avevi preso una bella botta, speriamo si sistemi presto!” disse la bambina sorridendo “con chi parlavi poco fa? Ti ho sentito urlare e..”
“C-con nessuno, non ti preoccupare Ayumi”
“Va bene” lasciò perdere, non troppo convinta.
Conan la invitò a sedersi e per i minuti seguenti la bambina fu l’unica a parlare, presa a raccontare ciò che avevano fatto a scuola quel giorno. Lui si sorprese di quanto entusiasta fosse, sembrava le piacesse da matti andare a scuola. Sotto questo aspetto le ricordava Ran alla sua età, infatti lei diceva sempre che andare a scuola non le pesava per nulla, era felice di imparare. Anche a lui non dispiaceva, anche se spesso le lezioni era infinitamente noiose e finiva per addormentarsi sul banco, ma, nonostante questo, aveva la media più alta tra i suoi compagni.
Riflettendoci, la piccola Yoshida aveva più di un punto in comune con la sua vecchia amica d’infanzia, sia fisicamente che caraterialmente. Entrambe avevano i capelli scuri e grandi occhi profondi, anche se di due tonalità di azzurro completamente diverse, adoravano stare a contatto con le persone, nonostante si dimostrassero timide gli sconosciuti.
A quei pensieri Conan sorrise e propose di riaccompagnarla a casa, aveva bisogno di prendere una boccata d’aria e probabilmente dopo una passeggiata gli si sarebbero chiarite le idee. Continuava a ripensare alla sua reazione alle parole di Heiji, era sempre stato piuttosto impulsivo, ma non si sarebbe mai permesso di dire certe cose, soprattutto a quello che considerava il suo migliore amico. Eppure non aveva fatto altro che urlargli contro, mentre avrebbe dovuto confortarlo per la situazione in cui si trovava. Si erano promessi di aiutarsi l'un altro ogniqualvolta ce ne fosse stato il bisogno, ma ultimamente sembrava che ognuno stesse andando per la sua strada.
Ayumi accettò l’invito di Conan, le piaceva passare del tempo con lui, dal primo giorno in cui si erano visti le era sembrato simpatico, affabile e più intelligente e sveglio degli altri bambini della sua età. Inoltre lo trovava molto carino e quando le stava accanto il suo cuore iniziava a battere più forte del normale. Aveva la sensazione di essere al sicuro, vicino a lui.
Dopo aver lasciato un biglietto sulla porta di casa per far sapere a Ran dove sarebbe andato nel caso fosse tornata prima di lui, i due scesero le scale fino ad arrivare all’ingresso principale. Le strade del quartiere di Beika era sempre piuttosto affollate e rumorose, ma ormai Conan si era abituato.
Lungo il tragitto decisero di fermarsi in una gelateria e, quando Conan, soprappensiero, fece cadere il suo cono sull’asfalto, Ayumi allungò la mano per offrirgli il suo.

“Shinichi sei il solito pasticcione” disse Ran tra le risate. L’amico mise il muso, guardando il cono spiaccicato a terra e la grossa macchia rosa sulla sua maglietta preferita. La squadra di calcio di Shinichi si allenava tutti i martedì e i giovedì pomeriggio e Ran frequentava le lezioni di karate negli stessi giorni, così tornavano a casa insieme.
“Simpaticona!” urlò quindi l’amico di rimando, facendole una smorfia. 
Ran estrasse un fazzolettino dalla tasca, si avvicinò all’amico per pulirgli la maglietta e lui, con le guance in fiamme, glielo strappò di mano urlando “Sono capace di farlo da solo, sai?”
“Cercavo solo di essere gentile” gli rispose la bambina con una linguaccia, offrendosi poi di dividere il suo gelato con lui.
“Che? Così rimani tu senza, posso farne a meno”
“Non importa” disse lei di rimando, con un sorrisone.
Shinichi rimase piuttosto colpito dal suo comportamento, nonostante le avesse appena urlato contro, lei non ci aveva pensato due volte e le aveva offerto il suo cono.

“Conan? Perché mi fissi in quel modo?” le parole della piccola Ayumi lo riscossero dai suoi pensieri. 
“Mh? Scusa ero sovrappensiero, mi è venuta in mente una cosa successa tanto tempo fa” si scusò lui portandosi una mano al capo.
“Oh, beh.. dividiamo il gelato allora?” chiese lei con un leggero rossore sulle guance.
“Sto bene così, grazie mille Ayumi, mangialo pure tu” rispose sorridendo, come aveva fatto anni prima. 
Camminarono uno accanto all’altra per un paio di altri isolati, finchè non giunsero davanti al condominio dove viveva la bambina, si salutarono e Conan si preparò per il viaggio del ritorno. 
Poco dopo estrasse il cellulare dalla tasca e, senza pensarci due volte, compose un numero e inoltrò la chiamata.
“Pronto?” chiese l’interlocutore.
“Scusami Heiji, non avrei dovuto dire quelle cose” sbottò. Aveva avuto modo di riflettere durante quella camminata, nonostante Ayumi non facesse altro che chiacchierare.
“Ma che ti prende? Ti stai rammollendo, Kudo?” quelle parole lo fecero sorridere.
“Non credo proprio, Hattori” sentì l’amico ridere all’altro capo del filo.
“Senti, non  stata colpa tua, ti capisco. Anche io ho sbagliato, ma sono stressato e..” la vocetta di Conan lo interruppe prima che potesse dire altro.
“Davvero non volevo risultare offensivo, solo non..”
“Non darti la colpa, so bene perchè hai reagito così e ti capisco” disse il detective di Osaka. Lo conosceva fin troppo bene, strano, dato che il loro primo incontro non era avvenuto che alcuni mesi prima. Forse avevano davvero qualche neurone in comune.
“Credimi, andrà tutto bene. E non parlo solo di me e Kazuha, le ho parlato, abbiamo chiarito.” Era quasi sicuro che stesse sorridendo mentre lo diceva.
“Ne sono felice” sussurrò, affrettandosi ad aggiungere qualche parolina, giusto per riportare il discorso sui soliti standard e metter fine a quelle smancerie che non si addicevano nè a uno nè all'altro “Te l’avevo detto”
“Non ti montare troppo la testa, ora”
“È troppo tardi ormai” disse ridendo.
Si scambiarono ancora un paio di parole e poi Conan riagganciò. 
Trasse un respiro profondo, era contento che le cose si fossero sistemate. Odiava ammetterlo, ma quel tizio del Kansai riusciva a capirlo perfettamente, ogni volta che aveva bisogno di lui, questo c’era. Gli era dispiaciuto sapere ciò che aveva fatto un paio di giorni prima. 
Tornando da scuola, aveva sentito Ran parlare al telefono e poco dopo aveva scoperto che il suo interlocutore era Kazuha.
 “Che succede, Ran-neechan?” aveva chiesto, vedendola uscire dalla sua stanza.
 “Credo che Heiji si sia trovato una fidanzata” a quell'affermazione, Conan aveva strabuzzato gli occhi.
 “Come fai a saperlo?”
 “Kazuha-chan ha detto di averlo visto baciare una ragazza”
 “M-ma ci dev'essere un'altra spiegazione..” Era sempre stato convinto che Hattori fosse cotto della sua amica d'infanzia e oltretutto non gli aveva parlato di nessun amore in vista, l'ultima volta che si erano sentiti. Doveva esserci qualcosa sotto.
 “Non lo so, ma quella poverina non smette di piangere” si era appuntato mentalmente di chiedere spiegazioni ma alla fine le cose erano andate un po' diversamente, l'importante era che quei due si fossero riappacificati.
Il detective cercò di concentrarsi su ciò che stava per fare e, dopo aver preparato un abbozzo di discorso nella sua testa, compose un numero che ormai conosceva a memoria. Questa volta però, fu costretto a fermarsi e portare il modulatore di voce alle labbra. A noi due, ora.
“Shinichi?” chiese qualcuno dall’altro capo.
“Hey ciao, come stai?”
“Bene, credo, sono appena tornata dagli allenamenti. Tu, invece?” 
“Sono solo un po’ stanco” sussurrò con una risata amara “sto lavorando su un caso piuttosto complicato”
“E di certo questa non è una novità”aveva le idee chiare su ciò che le voleva dire, ma con quelle parole aveva stravolto i suoi piani.
“Ran, non dire così..” 
“Quand’è stata l’ultima volta che sei tornato a Tokyo?” avrebbe voluto dirle che era lì proprio in quel momento, solo a qualche minuto da lei, ma naturalmente non poteva. Non ancora. Gli serviva più tempo e non poteva permettersi di mettere Ran in pericolo. Non se lo sarebbe mai perdonato.
“Tornerò presto” le parole gli uscirono dalla bocca quasi senza che se accorgesse. Mentirle era una delle cose che lo facevano stare più male e non sapeva come avrebbe reagito se avesse scoperto tutto. 
“Quanto presto?”
“Ancora non lo so..”
“Cosa ne pensi della prossima settimana?” nella sua voce, oltre alla rabbia, al disappunto e alla delusione, c'era ancora un briciolo di speranza, che di lì a poco sarebbe sparito, forse per sempre, questa volta.
“Ehm.. io n-non credo di riuscire” balbettò, preso alla sprovvista.
“Ci avrei giurato, sai?”
“Lo sai che è tutto così complicato, non posso lasciare questo caso a metà”
“Ma puoi lasciare me da sola, no? È questo quello che vuoi dire?” ultimamente le loro conversazioni si erano spostate su quel versante, per questo chiamava sempre meno. Dio solo sapeva quanto gli facesse male sapere di essere la ragione di tutte le sue sofferenze. Strinse i pugni e cercò di mantenere un tono di voce fermo.
“Ran non capisci”
“Certo, sono sempre io quella che non capisce. Ti ricordi quando mi hai detto che dovrei essere più onesta con me stessa?* Ecco, forse anche tu dovresti farlo, guarda in quel tuo cuore di ghiaccio e cerca il calore che aveva una volta, abbi il coraggio di dirmi perchè non vuoi più vedermi, ho smesso di credere alla tua farsa da un sacco di tempo. È questo che ti chiedo, di darmi delle risposte, nient’altro. Ho bisogno di capire perché..” Ran non riuscì a finire la frase prima che le si rompesse la voce. Shinichi, intrappolato in quel corpo da bambino, tolse gli occhiali e rivolse lo sguardo al cielo ormai tinto di arancio. Quelle parole avevano trafitto il suo petto come milioni di spilli, il dolore che provava era mille volte più forte di quello causato dall'antidoto all'APTX4869. 
“Ran, dammi solo un altro po’ di tempo. Non mi serve altro. Poi avrai tutte le risposte che cerchi” disse tutto d’un fiato.
“Il punto è che io continuo a crederti, ma non ricevo mai nulla in cambio.” fece una pausa.
 “Ti prego Ran, ho bisogno della tua fiducia.. solo un'ultima volta” Ran non rispose subito, soppesò ciò che l'amico detective le aveva detto per un paio di minuti.
 “E sia “ disse infine. A quelle parole il giovane tirò un sospiro di sollievo e il suo cuore riprese a battere. Se l’era cavata di nuovo, per l’ennesima volta. Eppure si sentiva come svuotato dopo ciò che aveva detto la sua amica. Non riusciva a capacitarsi di averle causato tanta sofferenza, eppure lui le era vicino ogni singolo giorno e faceva il possibile per rimediare ai casini combinati dal suo vero io.
Ran accennò a salutarlo, ma prima che lei potesse riattaccare, lui sussurrò alcune parole “Ti sono più vicino di quanto tu creda, lo sono sempre.” E chiuse la chiamata, senza aspettare una replica da parte dell’altra, non era nemmeno sicuro che l'avesse sentito.
Mise via il telefono ma, invece di tornare all’agenzia, decise di fermarsi, non era sicuro di poter recitare al meglio la sua parte di bambino delle elementari dopo quella chiacchierata con Ran. Aspettò che il sole calasse dietro gli alti edifici, mentre il cielo si scuriva pian piano.
Alla fine si decide ad alzarsi, camminando svogliato verso quella che da diversi mesi era diventata casa sua. Passò la porta d’ingresso che, come sempre, era aperta, per poi salire le scale e far scattare la serratura della seconda porta.
“Dove sei stato, Conan?” lo sorprese Ran. Sperava di poterla evitare, di non dover incrociare il suo sguardo. 
“Ayumi mi ha portato i compiti di oggi e l’ho riaccompagnata a casa” affermò sforzandosi di sorridere. Non riusciva a guardarla negli occhi.
“Però è tardi, non dovresti girare da solo a quest’ora” disse Ran con fare apprensivo.
“Lo so, scusami” lei gli passò una mano tra i capelli, sorridendo e lo invitò ad andare a lavarsi le mani, la cena sarebbe stata pronta a minuti. Lui era un bravo attore, ma negli ultimi tempi anche la ragazza aveva imparato a recitare piuttosto bene.

***

“Shinichi verrà al ballo?” chiese Sonoko la mattina seguente a Ran, mentre andavano a scuola. Conan la guardò confuso. Si era imposto di controllarsi e continuare la recita al meglio
“Ballo?” chiese.
“Beh” disse Ran prima che Sonoko potesse rifilargli qualche battutina sul fatto che fosse troppo piccolo per sapere anche solo il significato di quelle parole “la professoressa Jodie è entrata nel consiglio scolastico e ha pregato gli altri insegnanti di lasciarle organizzare una specie di ballo per chiudere il quadrimestre. Diceva di voler portare un po’ di America nella nostra scuola o qualcosa del genere, quando vuole qualcosa, la ottiene” sentire Ran ridere lo fece rinvigorire.
“Oh.. e quando sarà questa festa?”
“Tra due giorni, in occasione dell’inizio delle vacanze invernali”
“Ran non hai risposto alla mia domanda” disse infastidita Sonoko, sentendosi ignorata.
“Non credo che Shinichi sappia della cosa e..” si bloccò.
“E cosa?”
“Abbiamo parlato ieri sera, credo sia piuttosto occupato” disse Ran, quasi in un sussurro, visibilmente imbarazzata. L'altra non sembrò nemmeno rendersene conto.
“Non ha nemmeno il venerdì sera libero? Tanto meglio, puoi benissimo trovarti un altro cavaliere. Come si chiamava quello che ti ha chiesto di uscire un paio di settimane fa?”
Conan strabuzzò gli occhi nel sentire quelle parole. Che storia era quella? Ran non aveva accennato all’accaduto nemmeno una volta.
“Kohei, ma non mi sembra il caso di..”
“E chi sarebbe questo Kohei?!” Ran e Sonoko si voltarono verso il bambino che aveva instintivamente portato le mani alla bocca con l’espressione di qualcuno che aveva appena detto qualcosa di troppo.
“E a te che importa?” chiese la seconda, perfida. “Non è che sbavi dietro a Ran e sei geloso?”
“M-ma no.. è che mi preoccupo per lei..” buttò lì, paonazzo in viso.
“Ran te lo dico io” continuò Sonoko, rivolgendosi all’amica con lo sguardo subdolo “questo qui è diventato il confidente personale di Kudo-kun, il tuo maritino ti tiene d’occhio da lontano” Conan ormai aveva passato ogni colore, dal rosso vivo al bianco, nel giro di pochi secondi. Non potè nemmeno replicare, perché Ran cominciò a ridere.
“Che hai ora?” chiese l’amica. L’altra nemmeno le rispose, presa com’era a sbellicarsi dalle risate.
Conan sorrise, cercando di non farsi notare, dopo ciò che si erano detti la sera prima al telefono aveva paura di vederla triste per una settimana. Andava sempre così e lui si sentiva orribile per ciò che stava facendo, per tutte quelle bugie che aveva dovuto dirle, ma presto sarebbe tutto finito, o almeno era ciò che sperava, non tanto per se stesso ma per tutti quelli che gli stavano intorno, Ran in primis. 

***

Per il resto della giornata Conan pensò e ripensò alla faccenda del ballo e di quel Kohei: non l’aveva mai sentito nominare ed era più che sicuro che in quella che un tempo era la sua classe non ci fosse nessuno con quel nome, forse lo aveva incontrato agli allenamenti di karate. Chiunque fosse di certo non sarebbe andato al ballo con Ran, solo lui poteva essere il suo cavaliere, insomma, era sempre stato il suo migliore amico e non poteva negare di provare sentimenti forti per lei. Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma le cose stavano così, che lui lo volesse o meno. Quindi Kohei doveva farsi da parte.
Tornato da scuola si mise a leggere, ma, inspiegabilmente, non riusciva a seguire il discorso del libro, non riusciva a concentrarsi, non riusciva a pensare ad altro che a quello stupido ballo. Così si alzò dal divano di scatto, facendo spaventare Ran, che stava guardando la tv. Prese il telefono dal tavolo e corse in bagno, prima che la ragazza potesse fare una qualsiasi domanda.
La mora sorrise e riportò lo sguardo sul televisore. Stavano trasmettendo una telenovela che doveva probabilmente risalire a quarant’anni prima, una specie di rivisitazione di Romeo e Giulietta interpretata da un paio di ragazzini spagnoli che si chiamavano Pepa e Miguel, o qualcosa del genere. Era un programma della tv via cavo, che Kogoro aveva fatto installare alcuni mesi prima per poter seguire alcuni programmi di Yoko Okino che altrimenti non avrebbe potuto vedere. Qualcosa di estremamente necessario, insomma.
Il cellulare appoggiato sul tavolino iniziò a vibrare e lei, notando il nome apparso sul display, sorrise involontariamente.
“Cavoli, due chiamate in meno di ventiquattro ore? Fai progressi” disse ridendo. Il suo tono era totalmente diverso da quello della sera prima, notò il ragazzo, pieno di gioia.
“Posso attaccare subito, non mi fa differenza” rispose lui scorbutico.
“Sei sempre il solito, ditemi, Vostra Maestà Re degli Enigmi, posso sapere il perché di questa vostra telefonata?” recitò lei, melodrammatica.
“Ah ah, molto divertente” fece una pausa “Ehm, un uccellino mi ha mandato una mail dicendomi che dopodomani ci sarà quella festa e..” un’altra pausa, questa volta più lunga “non lo so, pensavo di fare un giro in città. Hai in programma di andarci o no?”
Ran, dal canto suo, era felice che lui non potesse vederla, dato che il suo pallido viso si era acceso di rosso vivo tanto era imbarazzata. Doveva essere stato Conan a dirglielo, non era la prima volta che lo faceva, sembrava davvero che Shinichi gli avesse chiesto di tenerlo aggiornato su di lei. Perché Conan doveva mettere il naso dappertutto? Brutto bambino pestifero, chissà cosa gli ha detto per convincerlo ad andarci.
Si obbligò a darsi un po’ di contegno, i secondi passavano e l’altro era lì ad aspettare una risposta, impaziente. Avrebbe chiarito le cose con il suo fratellino più tardi.
“Ma tu non eri occupato?” chiese, fingendo un tono seccato.
“Ho sistemato un paio di cose e ho alcune ore libere” buttò lì lui.
“Ieri non era dello stesso avviso però..” lui non rispose, in effetti aveva ragione, solo la sera prima aveva declinato il suo invito.
“Ran, scusami ma devo proprio andare. “ lasciò cadere il discorso  “Mettiamola così, io sarò al nostro posto venerdì alle 20, sicuramente qualche bellimbusto di avrà chiesto di accompagnarlo a quella stupida festa, quindi se non ti vedrò arrivare saprò il perchè”
La ragazza non poté nemmeno replicare che questo già aveva chiuso la chiamata, lasciandola con un palmo di naso. Come poteva essere così imprevedibile ed esageratamente incoerente con quello che diceva? 
Lei sospirò e si lasciò scappare un sorriso. Non cambierà mai. 
Non ci andrò con nessun bellimbusto a quella festa, brutto stupido avrebbe voluto dirgli, ci volevo andare con te, ma suppongo che vederti di nuovo possa bastarmi. Era certa che quel sorriso che aveva stampato in faccia non se ne sarebbe andato facilmente. Come può una persona essere causa di sofferenza e assoluta felicità allo stesso tempo? 
Quando Conan tornò in salotto tutti i suoi propositi di fargli una bella ramanzina svanirono, grazie a lui avrebbe potuto rivedere Shinichi dopo tanto tempo.
“Gli hai detto del ballo?” chiese al bambino. Lui, confuso, inclinò la testa da un lato, lei si sorprese, forse si era sbagliata, ma chi altro poteva essere stato? Forse uno dei suoi vecchi compagni di calcio. “Niente, non preoccuparti” aggiunse, con un gesto della mano. 
Negli ultimi tempi era diventata sempre più paranoica, era certa che Shinichi le stesse nascondendo qualcosa, forse si stava nascondendo da qualche malvivente, dopo esser stato beccato mentre ficcava il naso dove non doveva. Insomma, da lui ci si poteva benissimo aspettare una cosa del genere, era proprio quel tipo di persona che non sa farsi i fatti suoi, con un abnorme senso della giustizia che lo portava a mettere tutti davanti a sè. 

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Precisazioni:
*Nel quinto film, Ran telefona a Shinichi dopo aver parlato con Ayumi, che pensa che Conan abbia una cotta per lei, e alla fine della conversazione l'amico le dice che dovrebbe essere più onesta con se stessa. È una delle mie scene preferite, so le battute a memoria ahaha (non giudicatemi)

Konnichiwa!

Lo so, lo so.. avevo detto che avrei pubblicato il capitolo nel giro di poco ma alla fine non è andata come speravo perchè ho dovuto praticamente riscrivere tutto daccapo, anche se non sono ancora troppo convinta sob
Facciamo un sunto di cosa è successo: abbiamo scoperto (più o meno) cosa è successo ad Heiji e Kazuha, l'identità dell'ascoltatore misterioso è stata svelata, c'è stata una bella litigata tra gli sposini e Ran è stata invitata dal suo cavaliere nero. Il punto è: si presenterà o dovrà mentire di nuovo? Si accettano scommesse, ragazzi.
Non so più cosa dire quindi vi lascio, spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima!

Ps. ricordate di lasciare un commentino, così la Gaia (che poi sono io) è felice (y)
Ps2. Mi stavo dimenticando di ringraziare le tre persone che hanno recensito il prologo e chi la messo questa long tra le seguite/preferite, spero continuiate a seguire la mia storia♥

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Capitolo 3
*** Please remember. ***


cap2

Please remember, please remember,
I was there for you and you were there for me
Please remember, our time together
The time was yours and we were wild and free
Please remember, please remeber me

-Leann Rimes, Please remember 


Quella notte Conan non dormì, passò ore ed ore a maledirsi per quella telefonata. Stupido, stupido, stupido. Come mi è saltato in mente di fare una cosa del genere? Se Ran non mi vede arrivare è la fine. Stupido. Se Haibara sapesse quello che ho fatto..
Aveva agito d’istinto, aveva fatto ciò che rimproverava sempre all’amico del Kansai. “Chi è l’impulsivo ora?” gli sembrava quasi sentire la sua voce nella testa. Vedeva il suo viso, con quel sorriso saccente che lo faceva tanto innervosire.
Gli serviva una soluzione, una soluzione sensata che non implicasse nessuna supplica da parte sua alla scienziata. L’ultima volta che gli aveva permesso di prendere il prototipo dell’antidoto era stata piuttosto chiara, doveva aspettare che quello definitivo fosse pronto prima di poter tornare di nuovo se stesso. Continuare a prendere il farmaco sarebbe stato pericoloso per la sua salute. Oltretutto lei e il professor Agasa erano partiti alcuni giorni prima per partecipare ad una conferenza a Kyoto.
A quel punto aveva due possibilità: mettere a soqquadro la casa del professore con la speranza di trovare il composto; oppure trangugiare una bottiglia intera di Paikal. Cosa che sarebbe risultata inconcludente, ma tanto valeva provare. Effettivamente c’era anche una terza via, ovvero confessare tutto a Ran. Negli ultimi tempi ci aveva pensato piuttosto spesso, sapeva di non poter continuare con quella recita per molto, il peso che doveva sopportare si faceva ogni giorno più grande. Ma poi pensava ad Heiji, ad Agasa, ai suoi genitori, a tutti coloro che conoscevano il suo segreto e che correvano una miriade di rischi ogni giorno. Non voleva che anche la sua più cara amica fosse sottoposta alla stessa sorte.
Era appena sorto il sole quando fu riscosso dai suoi pensieri da una forte fitta all’altezza del petto. Istintivamente portò una mano al cuore. Aveva il fiato corto e faticava a mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Si alzò a sedere e trasse alcuni respiri profondi, per calmarsi. Se si fosse messo a urlare, avrebbe svegliato tutti. E, proprio quando credette di non poter sopportare più quella sofferenza, il dolore se ne andò e il piccolo detective si lasciò cadere sul futon.
Possibile che stesse tornando ad essere se stesso? No, non aveva preso l’antidoto.
Cosa sta succedendo? Forse gli anticorpi stanno reagendo al veleno.. Ma è troppo tardi, doveva succedere subito
. Iniziò a riflettere sulle possibili cause di quell'attacco, senza trovare una risposta alle sue domande. Inoltre era convinto che di lì a poco sarebbe arrivata una nuova fitta, ma non successe. Nessun accenno di dolore. Assolutamente niente. 
Dannazione imprecò tra sé, passandosi una mano tra i capelli scuri.

***

Le ore passavano inesorabili e il momento dell’appuntamento si avvicinava fin troppo in fretta.
“Tutto bene, Conan-kun?” chiese Ayumi all’amico, nel tragitto verso scuola.
“Sembra che tu non abbia dormito” aggiunse Mitsuhiko.
“In effetti ho fatto fatica a prendere sonno, ieri sera” rispose l’altro, calciando un sassolino.
“E come mai? Hai mangiato pesante?” indagò Genta.
Conan scosse il capo con un sorriso. “Avevo solo troppi pensieri per la testa”
“Tipo quella festa di stasera a cui deve andare Mouri-san?” si sorprese nel sentire l’amica pronunciare quelle parole. La piccola Yoshida aveva lo sguardo puntato a terra e il rosa pallido del suo viso era leggermente più acceso sulle guance.
“M-ma no, assolutamente” balbettò lui.
Lei gli rivolse un sorriso triste e si strinse nelle spalle. “Era tanto per chiedere”
Tsuburaya e Kojima guardavano la scena confusi senza sapere cosa stesse succedendo. Conan era rimasto con la bocca semichiusa, come se stesse per dire qualcosa ma allo stesso tempo non trovasse le parole giuste da usare.
Tra i quattro bambini si era creato uno strano silenzio che fu fortunatamente rotto davanti alla scuola.
“Ciao ragazzi!” urlò Kayoko, una bambina con i capelli rossi e gli occhi blu che si era trasferita da poco a Tokyo. Gli altri ricambiarono il saluto, mentre Conan pensava a ciò che era successo poco prima, non riusciva a togliersi quell’espressione triste stampata sul volto di Ayumi. Eppure l’altro giorno era così contenta. E poi come ha collegato me al ballo? Tutto questo non ha senso.
Finita la scuola si fermò a casa del professore, sapeva dove teneva le chiavi di scorta -nel sottovaso di una pianta- ed entrò nel grosso edificio.
Trasse un respiro profondo e iniziò a ragionare sul luogo in cui potesse essere nascosto quell’antidoto. Guardò in ogni singolo cassetto e anta senza risultati. Anche nel laboratorio di Haibara non c’era traccia del composto e a quel punto iniziò a disperarsi. Mantieni la calma. Usa il cervello. Fai lavorare quelle quattro rotelle che hai in testa.

*** 

“Ran mi avevi promesso che saresti venuta!” si lamentò Sonoko.
“Te l’ho detto, mi spiace.. ci sarà Makoto-san, no? Potrai stare con lui”
“Conoscendolo mi darà buca proprio all’ultimo” sbuffò.
“Vedrai che ci sarà, devi essere fiduciosa” continuò l’altra.
“Parliamo ancora di Makoto-kun oppure..?” indagò l’amica, cogliendo la karateka in fallo. Questa annuì in maniera fin troppo decisa.
“Certo che si, e di chi altri?”
L’ereditiera la guardò subdola “Tu non mi convinci per niente, sai?”
In risposta Ran ridacchiò, sentendosi estremamente stupida. Erano appena arrivate al centro commerciale, ma Sonoko aveva già accumulato alcuni vestiti da provare, diceva che, dato che la sua cara amica non ci sarebbe stata, doveva brillare abbastanza per entrambe. Tipico.
Aveva programmato ogni secondo di quella giornata per riuscire a passare dalla sue boutique preferita, dal parrucchiere e dall’estetista. Ran era più che certa che non ce l’avrebbe mai fatta in tempo e che sarebbe arrivata in ritardo come suo solito.
Passarono tre ore frenetiche tra vestiti, scarpe e camerini. La karateka era distrutta e si congedò dall’amica intorno alle 18.30 per dirigersi verso casa. Aveva decisamente poco tempo per fare tutto e non voleva fare tardi all’appuntamento. Ti prego fa che ci sia.

 ***

“Come hai potuto prometterle una cosa del genere??” sbraitò Heiji appena ebbe finito di sentire ciò che l’amico aveva da dire.
“Sarebbe andata al ballo con quel..” si accorse di aver detto un paio di parole di troppo e non finì la frase.
“Quindi sei geloso..” lo canzonò il detective dell’ovest.
“NO! Solo non lo conosco e potrebbe anche essere un delinquente..” si stava decisamente arrampicando sugli specchi.
“Facciamo finta che sia così, non le puoi dire che c’è stato un imprevisto o qualcosa del genere?”
“L’hai detto anche tu l’altro ieri, devo smettere di mentirle, no? E poi gliel’ho promesso, mi ucciderebbe” e intendeva letteralmente, non avrebbe augurato a nessuno di trovarsi davanti ad una Ran arrabbiata.
“Hai provato quel liquore cinese che avevo portato a Mouri tempo fa?”
“Ho controllato stamattina se ce ne fosse ancora ma la bottiglia è sparita e, dato che non è diffuso qui, non credo di poterlo trovare da nessuna parte. Ma non funzionerebbe comunque, secondo Haibara, dopo la prima volta non ha più alcun effetto”
“Quindi abbiamo le mani legate”
“Ho paura di sì..”
“Cosa pensi di fare?” l’altro si lasciò sfuggire una risata amara.
“Forse è arrivato il momento di dirle la verità”

 ***

Ran controllò l’orologio prima di uscire di casa, mancavano quindici minuti alle 20. Aveva ancora un po’ di tempo. Si guardò allo specchio un’ultima volta, i capelli scuri le cadevano sulla schiena e gli occhi azzurri sembravano più luminosi del solito. Indossava un giaccone pesante lungo fino a metà coscia che nascondeva una camicetta rosa pallido e una gonna scura. Sorrise e salutò il padre, pur sapendo che non l’avrebbe sentita, dato che dormiva beato sulla scrivania piena di scartoffie e lattine di birra vuote.
Per ottenere il permesso aveva lottato, ma alla fine il detective dormiente aveva ceduto, dicendole che se non fosse tornata per le 22, quel giovanotto si sarebbe ritrovato con un occhio nero.
La ragazza si avviò giù per le scale, fantasticando su cosa avrebbero fatto, cosa si sarebbero detti. Non si vedevano da quasi tre mesi ormai, e Ran aveva iniziato a pensare che lui non volesse davvero più vederla. Ogni volta si presentava senza preavviso, sbucava dal nulla e spariva dopo alcune ore.
Cercava di nasconderlo, ma aveva paura che Shinichi non si presentasse, di certo non sarebbe stata la prima volta.
Caccia via quei brutti pensieri. Lui ci sarà.
Percorse la grande via illuminata dai lampioni, finchè non svoltò in una stradina secondaria. Camminò per qualche minuto e, quando fu giunta a destinazione, le sue labbra si incresparono in un sorriso.

 
“Shin!” urlò la bambina sentendosi strattonare “Dove mi stai portando?”
L’amico si portò un dito alla bocca “Shhh”
A Ran iniziavano a fare male le gambe, correvano già da un po’ di tempo e nemmeno sapeva quale fosse la loro destinazione. “Dove andiamo?” chiese di nuovo lei.
“Zitta, Mouri. Aspetta e vedrai” disse l’altro esasperato.
Trascinò l’amica per altri cinque minuti tra le strade trafficate di Tokyo, evitando alla bell’è meglio i passanti, senza molto successo, in effetti. Poi si bloccò di colpo e Ran gli finì addosso, facendolo cadere.
“Mouri!” urlò lui mentre l’altra si sbellicava dalle risate.
“Ti sta bene, brutto antipatico”
“E pensare che io volevo condividere con te il mio posto speciale” mise il broncio lui, dopo essersi alzato.
“Posto speciale? Dove? Dove? Dove?” aveva colto nel segno, la sua amica era da sempre la persona più curiosa del pianeta.
“Non credo che te lo dirò”
“Dai.. Shinichi, per favore” supplicò Ran “scusami, mi dispiace, non avrei dovuto ridere”
“Mmh”
“Shin..” continuò, con lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
“Non ti metterai a piangere, vero?” chiese lui “lo sai che diventi più brutta quando piangi”
Lei alzò gli occhi, incrociando quelli dell’amico, azzurri come il cielo d’estate. In effetti le sue guance erano già rigate da diverse lacrime ed era piuttosto rossa in viso. Shinichi le prese una mano e sorrise.
“Stavo solo scherzando, Mouri. Andiamo”
Detto questo, i due, dal vicolo in cui si trovavano, uscirono su una stradina dove c’erano poche persone e a quel punto il bambino fece segno all’amica di guardarsi intorno.
Ran rimase a bocca aperta. Si trovavano sulla riva del fiume Sumida e i ciliegi in fiore rendevano l’atmosfera quasi magica.
“Ma è bellissimo!” esclamò.
“È uno dei posti che preferisco, soprattutto in questo periodo dell’anno” disse l’altro, imbarazzato.
“Sono contenta che tu mi abbia portata qui” sussurrò dopo un attimo la bambina, senza guardarlo.
“Ehm.. d-di niente” le sue guance si erano tinte di rosa acceso.

Ran sospirò, le sarebbe piaciuto poter tornare indietro nel tempo, rivivere quei momenti così belli che avevano segnato la sua infanzia. Si sentiva fortunata ad avere un amico come lui, le era sempre stato accanto, era pronto a consolarla quando piangeva e, nonostante quell’aria da sbruffone, aveva un cuore d’oro. Ma ultimamente lo sentiva distante, quasi non si ricordasse più di lei. Avrebbe dato qualunque cosa per far tornare tutto come prima.
La ragazza attraversò la strada e andò a sedersi su una panchina, con la speranza di vedere il suo amico arrivare presto. Si strinse nel giaccone e rivolse lo sguardo al cielo ormai scuro. Si lasciò scappare un altro sorriso, mentre sprofondava tra i ricordi di quando tutto andava bene, quando tutto era perfetto.

 ***

Il detective dell’ovest rimase a fissare il muro davanti a sé per svariati secondi dopo aver ascoltato ciò che l’altro gli aveva detto. Voleva veramente rivelarle la verità? Non era il genere di persona che lasciava le cose a metà, ripeteva di non voler esporre Ran. Eppure stava per mandare tutto all'aria.
Il ricevitore emetteva un tuuu continuo, la linea era caduta subito dopo che il ragazzo aveva pronunciato quelle ultime parole.
“Forse è arrivato il momento di dirle la verità”
Heiji prese il giubbotto che aveva abbandonato un’ora prima sulla sedia e si precipitò fuori di casa, diretto alla stazione, maledicendo l’amico e la sua scempiaggine.
Il primo shinkansen sarebbe partito di lì a pochi minuti, perciò ebbe appena il tempo di prendere il biglietto e infilarsi sul treno, mentre le porte si chiudevano dietro di lui. Prese posto e inviò un messaggio a sua madre, dicendo che si sarebbe fermato a Tokyo per un paio di giorni a causa di un’emergenza, le avrebbe spiegato tutto più tardi.
Sperava di arrivare in tempo per fermarlo, o, nel caso peggiore, per rimediare ai danni a seguito della confessione. Non aveva un piano preciso, avrebbe seguito l’istinto. Guardò il portafortuna fatto a mano da Kazuha appeso al suo telefono e ricordò le volte in cui l’amica gli aveva ripetuto che era solo grazie a quello se si erano salvati quella volta sull’Isola della Sirena*.
Sentì il cellulare squillare e lesse il nome del mittente sullo schermo. Quando si parla del diavolo..
“Pronto?” chiese.
“Heiji! Dove ti sei cacciato? Ti aspetto da mezz’ora!” urlò l’altra.
“Kazuha, ma che..?” lasciò la frase a mezz’aria e si portò una mano alla fronte, facendola passare poi sugli occhi. La mostra! Le aveva promesso di accompagnarla un paio di settimane prima, dopo varie suppliche da parte della ragazza.
“Ehmm.. scusa, Kudo ha bisogno di me, quindi non credo di poter venire..” allontanò il ricevitore dall’orecchio, prevedendo che si sarebbe messa a gridare. Ma non fu così. Dall’apparecchio non giungeva alcun suono.
“Kazuha, ci sei?” chiese, piano.
“Sapevo che avresti trovato qualcosa di meglio da fare” disse lei con la voce rotta, prima di attaccare.
Heiji rimase con un palmo di naso, gli occhi fissi davanti a lui. Deglutì, preoccupato. Questa volta l’aveva fatta grossa e sapeva che non gliel’avrebbe perdonata facilmente. Dopo il malinteso di alcuni giorni prima si era ripromesso di non combinare guai per un po’, ma evidentemente, non ne era capace.
“Mi spiace per ciò che è successo” aveva esordito lui, dopo aver obbligato l’amica a sedersi e ascoltarlo “ma hai frainteso la situazione, Kazuha”
“La tua faccia era appiccicata a quella ragazza! Come posso aver frainteso?” aveva sbraitato lei.
“Ma vuoi lasciarmi parlare?” lei aveva sbuffato, incrociando le braccia. “Primo, non la stavo baciando. Stavamo solo parlando, devi aver avuto le traveggole, mia cara. Secondo, anche se fosse, non dovrebbe interessarti, non credi?” aveva quindi sfoderato il suo sorriso beffardo, che aveva fatto saltare i nervi alla ragazza.
“Smettila di fare l’arrogante!”
“Tu smettila di ficcare il naso negli affari degli altri”
“Mi puoi almeno dire chi era?” era piuttosto irritata dal comportamento dell’amico, ma aveva cercato di mantenere la calma.
“La figlia di un amico di mio padre, la sua famiglia è venuta in vacanza qui ad Osaka e ha chiesto se potessi accompagnarla a visitare la città, punto”
“Mmh..” aveva mugugnato lei, non sembrava troppo convinta ma alla fine aveva ceduto “va bene, fa' come ti pare”
In realtà non aveva creduto a una singola parola di quello che aveva detto, ma sapeva che se avesse continuato, lo avrebbe perso. Non si erano parlati per una giornata intera e ci era stata malissimo. Voleva continuare ad averlo al suo fianco e sapeva di essere masochista, lui non l’avrebbe mai guardata nel modo in cui lo guardava lei, non avrebbe mai pensato a lei come la sua ragazza. Sarebbe stata sempre la sua stupida, testona, impicciona amica d'infanzia. 

 ***

L’ora dell’appuntamento era passata da un pezzo e le guance di Ran erano rigate da diverse lacrime. Si asciugò gli occhi con la manica del giaccone e trasse un respiro profondo. Sono un’illusa. Era caduta nuovamente nella sua trappola, gli aveva creduto per l’ennesima volta, convinta che sarebbe stato diverso.
Cercò di trattenere un singhiozzo, invano. Il suo pianto non si fermava, le lacrime scendevano copiose dagli occhi e non riusciva più a distinguere ciò che aveva intorno a lei. Tutto era sfocato.
Passò qualche minuto prima che riuscisse a calmarsi, poi si alzò e inspirò. L’aria fredda di metà dicembre la fece rabbrividire.
Fece per dirigersi verso casa, quando sentì un braccio cingerle la vita. Un attimo dopo, il corpo della ragazza aderì a quello dell’altro. Avvertì una forte pressione sul collo e si immobilizzò. Quel tizio le stava puntando una pistola alla gola. Fece per gridare, ma le parole le morirono in gola quando il viso dell’altro si avvicinò al suo orecchio destro. Il cuore della ragazza batteva talmente forte che aveva paura fosse sul punto di scoppiarle in petto.
“È un po’ tardi per girare da sola, non credi?”

--------------

Precisazioni:
*riferimento a quando Heiji salva Kazuha che sta cadendo da un dirupo sull'Isola della Sirena (file 283, volume 28)

Kalimera!
(Sono stata in Grecia e volevo illustrarvi quanto ho imparato -niente-)
Alloooora, Shin-chan ha preso la sua decisione, dirà la verità a Ran. Naturalmente l'amico non è d'accordo e pensa di raggiungerlo, riuscirà a fermarlo in tempo? Boh boh.
Ho iniziato ad affrontare la faccenda di Heiji e Kazuha, più avanti verrà approfondita, ma rimarrà comunque di sfondo, altrimenti la storia non finisce più ahah
Cosa pensate di questo finale? Ran riuscirà a liberarsi dalla morsa del maniaco? (Che, in effetti non ha tutti i torti dicendo così, ma non è mica colpa sua se è rimasta sola come un cane di nuovo, no? È solo per colpa mia di Shinichi.)
Aaah! Su gentile richiesta, ho aggiunto una mini-scena tra Conan e Ayumi (shinichi e ran amore, solo per te! ahah)
Niente, non so più cosa dire aha spero vi sia piaciuto il capitolo, lasciatemi una recensione!
Grazie a chi ha recensito, chi ha messo nelle seguite/preferite e ai lettori silenziosi.
A presto,
Gaia



 

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Capitolo 4
*** With you. ***


cap3

 What if the one who was meant for you
was all along right in front of you?
Just didn't see it, it was there all the time
Feel it tonight, yeah, the stars align

I'd throw a rope around the moon,
and pull it close, whatever it takes to be with you
maybe tonight
maybe tonight the stars align

-Heffron Drive, Parallel



“Baka!” urlò Ran, a quelle parole “Mi hai fatto spaventare!”
L’altro allentò la presa su di lei e iniziò a ridere, lasciando cadere a terra la pistola giocattolo.
“Avresti dovuto vederti!” continuò “Sembrava avessi visto un fantasma!”
Si portò una mano al viso, per asciugare le lacrime agli angoli degli occhi.
“Shinichi, sei proprio un bambino” disse la ragazza, incrociando le braccia.
Ogni tanto lo sono davvero pensò. “Era solo uno scherzo innocente!” disse avvicinandosi.
Lei mise il muso e si voltò dall’altra parte, per poi iniziare a camminare.
“E ora dove vai?”
“A casa, detective dei miei stivali! Ho il coprifuoco tra dieci minuti”
Lui le corse dietro chiedendole di aspettarlo. “Non puoi ritardare? Non hai più dieci anni..”
Ran si bloccò, trasse un respiro profondo e si rivolse all’amico: “Non avrei avuto bisogno di ritardare, se tu non mi avessi lasciata qui ad aspettare per due ore!”
Solo allora lui poté notare gli occhi arrossati dell’altra, aveva sicuramente pianto. Poteva capirla, ma le circostanze gli avevano impedito di arrivare prima. Le prese una mano e quel momento gli ricordò il giorno in cui l’aveva portata lì la prima volta, avevano solo dodici anni allora. Nei suoi occhi poteva ancora vedere quella bambina piagnucolosa che non faceva altro che lamentarsi.
“Ran, mi dispiace” sussurrò. La ragazza arrossì violentemente, ma lui sembrò non accorgersene. “Sarei venuto prima, ma c’è stato un piccolo imprevisto. Ora che son qui mi vuoi mandare via?”
Lei abbassò lo sguardo. Avrebbe voluto urlargli in faccia quanto le facesse male non vederlo mai al suo fianco. Sì, te ne devi andare. Non voglio più vederti. Ti piace giocare con i miei sentimenti? Invece non disse niente. Il silenzio regnò per diversi secondi che a entrambi parvero ore. Le dita dei due erano intrecciate in una morsa che non dava segno di volersi sciogliere.
La ragazza scosse la testa debolmente. Continuava a ripetere di non aver bisogno di lui, ma era più per convincere se stessa che altro. In realtà le serviva più dell’aria e ogni giorno passato senza di lui era una sofferenza troppo grande da sopportare. Non voleva che se ne andasse, non di nuovo. 
Il detective la attirò a sé, lasciandole la mano e avvolgendo il suo corpo in un abbraccio. Ran si sentì mancare il fiato.
“Scusami. Scusami per tutte le volte in cui avevi bisogno di me e non ci sono stato, per i messaggi a cui non ho risposto e le promesse che non ho mantenuto. Scusami”
Le parole di Shinichi rimasero sospese nell’aria, mentre la ragazza si stringeva a lui, quasi avesse paura che stesse per scomparire per sempre.
“Dici così solo perché te ne andrai di nuovo?” chiese, infine.
“No, voglio solo che tu sappia che sono seriamente dispiaciuto. Un giorno risponderò ad ogni tua domanda, per ora ti chiedo solo di avere un altro po’ di pazienza. Credimi, vorrei farlo adesso, ma non posso. Non voglio che tu ti esponga a causa mia. So di non meritare la tua fiducia, eppure..” si lasciò scappare un sorriso “ho di nuovo la faccia tosta di chiederti di credermi” fece una pausa, sperando che l’altra dicesse qualcosa. “E capirò se al mio ritorno tu non ci sarai, non sta a me giudicare le scelte di nessuno, tantomeno dopo ciò che ho fatto”
A quel punto allentò la presa su di lei e i due si trovarono faccia a faccia.
Il detective poté scorgere sul volto della ragazza un sorriso, forse il più bello che avesse mai visto, che gli scaldò il cuore. Era profondamente, maledettamente, incondizionatamente innamorato di lei e riusciva a capirlo solo ora.
Fece per avvicinarsi di nuovo a Ran, ma sentì una voce rimbombare dentro la sua mente. Sei una mina vagante, potresti scoppiare in qualsiasi momento e distruggere tutto ciò che lei ha costruito*. Stalle lontano, per il momento.
Avrebbe voluto baciarla, sentire il suo calore, vedere di nuovo quelle labbra incurvarsi in un sorriso, ma sapeva che se avesse fatto qualcosa di troppo sarebbe stata la fine.
La magia del momento fu spezzata dal suono del cellulare di Ran. Era Kogoro che sbraitava perché la figlia non era ancora tornata a casa. Imbarazzata, la ragazza si scusò con l’amico, che si offrì di fare la strada del ritorno con lei.
I due avevano percorso gran parte della strada che li separava dall’agenzia, quando giunsero ad un incrocio. Nonostante fosse sera, le vie di Beika erano piuttosto trafficate. Nell’esatto momento in cui scattò il verde, Shinichi avvertì una delle solite fitte, stava per tornare Conan. Non adesso, solo altri dieci minuti. Il panico si impadronì di lui e, distratto dalla miriade di pensieri che affollavano la sua testa, non vide la macchina che avanzava a tutta velocità verso l’amica, che stava tranquillamente attraversando la strada.
Quando si rese conto di ciò che stava per succedere, il sangue gli si gelò nelle vene e non fece nemmeno in tempo a muovere un passo prima dell’impatto.
Un grido disumano si levò nei cieli di Tokyo, mentre le urla dei passanti scomparivano dalla mente del ragazzo, lasciando il posto ad un silenzio profondo, che al giovane sembrò più assordante di qualsiasi altro rumore.


Lo squillo di un cellulare ruppe la tranquillità della stanza in cui si trovava il ragazzo.
“Cosa vuoi, Kazuha?” chiese prima che l’altra potesse parlare. Non le aveva detto di non disturbarlo?
“Dove sei?”
“A Tokyo, credevo di avertelo già detto” sbuffò lui.
“No, intendo precisamente. Anche io sono a Tokyo.
Heiji strabuzzò gli occhi per la sorpresa.
“Che!? Perché?” l’altra rimase in silenzio, a disagio.
“Puoi solo dirmi dove sei? Sono venti minuti che giro per la città e mi sto congelando”
“A casa di Kudo, vuoi che venga a prenderti?” chiese.
“No, vengo io. Sono da quelle parti”
“Come vuoi” agganciò, chiedendosi cosa fosse passato per la testa di quella ragazza. Baka.
Solo allora notò i vestiti abbandonati alla bell’e meglio sul divano.
Era arrivato a Tokyo un’ora prima e si era affrettato a raggiungere la casa dell’amico, sperando di fare in tempo a fermarlo. Non sapeva per che ora avessero fissato l’appuntamento, ma era piuttosto sicuro che fosse già passata da parecchio. Il cancello della villa era aperto e stessa cosa per la porta, strano per un perfezionista come il detective dell’est. Dopo essere entrato, aveva lanciato un’occhiata al salotto, l’unica stanza con la luce accesa, e aveva visto una figura distesa a terra.
“Kudo!” aveva urlato scuotendogli le spalle. L’altro aveva ripreso conoscenza dopo un momento e, senza capire cosa fosse veramente successo, si era alzato in piedi. La sua camicia era a terra, strappata, mentre i pantaloni della tuta erano rimasti intatti, anche se le cuciture davano segno di stare per cedere.
Dopo essersi cambiato, era corso fuori di casa ed Heiji era rimasto solo in quella casa troppo grande anche per una famiglia intera. In quei pochi attimi, Shinichi gli aveva rivelato di non sapere come fosse stata possibile la trasformazione, ma ci avrebbe pensato più tardi. Aveva altro di cui occuparsi.
Passarono alcuni minuti prima che il campanello suonasse. Il detective dell’ovest si alzò dal divano e si diresse verso la porta. Kazuha aveva le guance e il naso arrossati per il freddo. È più adorabile del solito si sorprese a pensare il ragazzo, lasciandosi sfuggire un sorriso. Tossicchiò imbarazzato, come gli saltava in mente una cosa del genere? Cercò di tornare sulla terra e distolse lo sguardo dal viso della ragazza.
“Pensi di volermi lasciare qui a gelare oppure mi fai entrare?” chiese lei, spazientita. Heiji fece un passo di lato dopo aver sbuffato.
Kazuha si sistemò sul divano e cercò di scaldarsi con la coperta che l’amico le aveva preparato.
“Mi spieghi perché sei venuta fin qui da sola?” chiese lui dopo un po’.
Lei teneva lo sguardo basso, i capelli arruffati le incorniciavano il volto. Il nastro doveva esserle scivolato via quando aveva tolto il cappello poco prima.
“Ti faccio un tè, ti va?” lei annuì, mentre l’altro scompariva in cucina.
Poco dopo Hattori fu di ritorno con un vassoio su cui erano appoggiate una teiera e una tazza, dove versò la bevanda bollente. La ragazza, ancora infreddolita, la sorseggiò piano, trovando finalmente un po’ di calore.
“Ti senti meglio?” chiese poi. Kazuha annuì di nuovo.
“Ma si può che devo sempre farti da balia?” si lamentò il detective.
“Mi spiace” sussurrò lei, sempre senza guardarlo. 
“Sei sicura di stare bene?” fece lui, avvicinandosi all’amica. Appoggiò una mano sulla sua fronte, mentre lei rimaneva immobile, quasi paralizzata. Fortunatamente non aveva la febbre.
“Sto bene, Heiji” sbottò infine.
L’altro si allontanò velocemente, tornando a sedere. La osservò a lungo, le labbra screpolate erano socchiuse, il rossore sulle guance era quasi sparito e gli occhi verdi erano meno luminosi del solito.
“Baka” disse tra i denti.
“Che hai detto?” chiese lei, con una punta di irritazione nella voce.
“Vuoi dirmi perché sei qui?”
Lei sbuffò e tornò a guardare il pavimento.
“Insomma, non l’hai ancora capito?” la voce era debole e roca. Sapeva che di lì a poco le lacrime le avrebbero rigato le guance, ma ormai non le importava più. Era arrivato il momento di dire tutto ciò che si era tenuta dentro per anni, finalmente si sarebbe tolta quel macigno che aveva sullo stomaco.
“Ma che stai dicendo? Cosa dovrei capire?” chiese l’altro, confuso.
“Sono innamorata di te, ok?” le parole le sfuggirono dalla bocca, mentre dagli angoli dei suoi grandi occhi verdi spuntavano alcune lacrime. “Lo sono da sempre”
Heiji, a quelle parole, si immobilizzò e la sua mente ripercorse tutti quegli anni che aveva passato al suo fianco, le esperienze che avevano vissuto, le emozioni che avevano condiviso.

Era una bella giornata di aprile, il sole era caldo, ma un leggero venticello rendeva la temperatura perfetta per stare all’aperto. Kazuha aveva tanto insistito perché i suoi genitori la lasciassero uscire, aveva voglia di starsene un po’ da sola con i suoi pensieri, riflettere su ciò che era accaduto il giorno prima. Si sedette all’ombro di un grosso ciliegio, i cui rami erano pieni di piccoli boccioli, prima della fine della settimana il parco si sarebbe tinto di rosa, grazie ai piccoli fiori di Sakura.
Aprì il suo diario e prese una penna. Aveva iniziato a scriverci i suoi pensieri qualche mese prima, quando aveva trovato in soffitta un vecchio quaderno di sua madre. La curiosità era sempre stato il suo punto debole, così aveva sfogliato le pagine, fino a trovare una foto che doveva avere più di vent’anni, che ritraeva i suoi genitori in uniforme scolastica, abbracciati e sorridenti. Per un secondo poi le era parso di vedere in quello scatto due volti che non erano quelli dei signori Toyama, ma il suo e quello del migliore amico, Heiji.
A quel ricordo, Kazuha sorrise imbarazzata. Si conoscevano da anni e lui la trattava come una sorella, tra di loro non sarebbe mai potuto succedere niente, anche se quell’avvenimento di nemmeno ventiquattro ore prima aveva stravolto tutto.
La ragazza iniziò a descrivere ciò che era successo, aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma l’altro gliel’aveva proibito, quindi aveva pensato al suo diario come valida alternativa.
Sobbalzò appena sentì una mano sfiorare la sua spalla. Si voltò e si trovò a pochi centimetri dal viso di una persona che conosceva fin troppo bene.
“He-Heiji, non avevi gli allenamenti?” balbettò mentre chiudeva il quaderno che aveva in mano. Le sue guance andavano a fuoco.
L’altro sospirò e si sedette accanto a lei.
“Ci sto andando ora, li hanno posticipati” rispose portandosi un braccio dietro la testa per poi appoggiarsi al tronco dell’albero.
“Che stavi scrivendo? Penso di aver letto il mio nome..” continuò lui, con un sorrisetto.
“Io? Niente, sono degli appunti di storia. Avrai confuso gli ideogrammi” buttò lì lei.
“Sarà” disse, poco convinto.
Rimasero per un po’ in silenzio, lui con gli occhi chiusi e lei con lo sguardo fisso a terra per l’imbarazzo. D’un tratto, lui sembrò ricordarsi di qualcosa e si alzò da terra facendo leva con una mano. Sii scusò con la ragazza, dicendo che prima di andare ad allenarsi avrebbe dovuto passare in un posto per sua madre.
Dopo averlo salutato, Kazuha si voltò dall’altra parte, pregando che lui avesse creduto alla storia degli appunti.
Un attimo più tardi lo vide ricomparire trafelato.
“Mi sono dimenticato di una cosa” disse lui, con il fiato corto, allungando una mano verso di lei “Questo è tuo, l’hai dimenticato ieri..”
La ragazza afferrò ciò che stava reggendo, era un nastro per capelli color lampone.
“T-ti ringrazio!”
L’altro fece un gesto con la mano, come per dirle di non preoccuparsi.
“Ti sta bene quel colore, dovresti indossarlo più spesso” disse poi, prima di andarsene di nuovo, lasciando l’amica con un palmo di naso.

Heiji sorrise, ma l’amica non lo vide, il suo sguardo era perso altrove.
“Kazuha, sei una stupida” a quelle parole, la ragazza si alzò di scatto, non voleva stare con lui per un altro minuto, doveva andarsene da quella casa “avresti dovuto dirmelo prima”
Così dicendo la fermò, afferrandole un braccio. Lasciami andare. Non voglio più vederti. Io ti odio.
“Sai una cosa?” lei si voltò e cercò di sostenere il suo sguardo, cosa che le risultò fin troppo difficile. Sentiva i suoi occhi entrare dentro di lei, leggerle la mente, captare ogni singola sua emozione.
“Sei davvero una stupida Ka..” questa volta lei non lo lasciò finire.
“Smettila di ripeterlo!” ma lui non l’ascoltava.
“E io sono più stupido di te” la voce del ragazzo era molto più bassa di quella di lei, che non faceva che urlare. Ciononostante, riuscì a sentire le parole dell’amico e rimase con gli occhi spalancati e la bocca semi chiusa, senza riuscire a proseguire. Sentì la mano di lui muoversi lungo il braccio, fino ad arrivare al polso e passare sul suo palmo, in un attimo le loro dita si intrecciarono. Quel contatto la fece rabbrividire. Quante volte aveva sognato di vivere un momento come quello? Troppe, ecco la risposta.
Distratta dalla piacevole sensazione, fece appena in tempo ad accorgersi del viso di Heiji, che si faceva sempre più vicino.
“Sono più stupido di te, perché solo ora ho capito il vero significato di quella cosa” sussurrò, facendo combaciare le loro fronti.
Il mondo intorno a loro svanì, mentre le labbra dei due ragazzi del Kansai si univano. Era il loro momento e non avrebbero potuto essere più felici. La lite era ormai lontana. Era come stare sotto una cappa di vetro, riparati dall’esterno. Niente avrebbe potuto rompere quella pace e tranquillità che regnava attorno a quelle due anime che dopo tanto tempo erano riuscite a trovarsi. Niente. O almeno così credevano.
Accadde tutto in un attimo. La suoneria di un telefono. Un urlo. Delle lacrime. Un tonfo. Dei passi trafelati. Il rumore della pioggia che aveva iniziato a cadere.

 
Nel parcheggio sotterraneo dell’hotel, una figura se ne stava appoggiata alla fiancata della macchina scura fumando una sigaretta.
“Che notizie mi porti?” chiese sentendo dei passi arrivare.
“Il detective non potrà vedere la sua bella per un po’”
“Ottimo lavoro, sapevo di poter contare su di te, Alchermes”

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Precisazioni:
*frase adattata da Colpa delle stelle di John Green, dove la protagonista, Hazel, dice (cito testualmente): "Sono una... una... una granata, mamma. Sono una granata e a un certo punto esploderò e vorrei minimizzare le vittime, okay?"

Salve a tutti!
(Okay sono in ritardo, lo riconosco, ma tra una cosa e l'altra ho avuto poco tempo per sistemare il capitolo, che, in effetti ho scritto quasi due settimane fa lol)
Ma ma ma ma... il maniaco è SHIN-CHAN *panico*
no okay, era tutto programmato, qualcuno aveva anche azzeccato con le previsioni oops
Tutto sembrava essersi sistemato ma, da persona sadica quale sono, potrei aver causato un piccolissimo incidente,
appena precedente alla scena  iniziale del prologo. Chiedo scusa agli amanti della povera piccola Ran, troverò un modo per farmi perdonare, promesso.

Kazuha ha avuto il coraggio di dichiararsi (non che avesse molta scelta) e abbiamo un piccolo flashback piuttosto confuso che verrà chiarito al più presto.
Secondo voi cosa è successo quel giorno di tanti anni fa tra i due? Vi do solo un piccolo indizio, c'entra una
promessa.
Poi, questo nuovo personaggio? Chi sarà mai Alchermes? Dun dun dun.
Tra l'altro ci ho messo un pomeriggio per trovare il nome giusto, mi è anche passata per la testa l'idea di chiamarlo "Nocino",
giusto per rendere la storia più divertente (non sono simpatica, lo so. Scusate)
Grazie mille a tutti voi che state seguendo la mia storia, davvero sono felice che vi piaccia.
Per ora procede a rilento, lo so, ma a breve succederanno un bel po' di cosucce che spero riusciranno a movimentarla.
Detto questo mi dileguo, chè devo andare a fare la pizza, yum.
Grazie di nuovo e a presto,
Gaia.

Ps. sentitevi liberi di recensire, scrivete quello che vi pare, potete anche dirmi che vi fa schifo, non vi mangio
(beh ora potrei anche farlo dato che muoio di fame ma whatever)

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Capitolo 5
*** Guilty. ***


cap 4
Instead of just acting
like I'm the one he's been looking for

I ought to say I'm sorry

I ought to say it's over
Let him live his own life
Stop crying on his shoulder
He'd probably say it's alright
And hold me while my tears pour

-Jamie Lynn Spears, How could I want more?


Il rumore delle sirene continuava a risuonare nella testa di Shinichi, tornato Conan ormai da un bel pezzo. L’odore di disinfettante gli dava fastidio, ma cercava di non farci caso. Si trovava nella sala d’attesa dell’ospedale di Tokyo da più di un’ora e di Ran ancora non si avevano notizie.
Kogoro era giunto sul luogo dell’incidente solo pochi attimi dopo che il detective, resistendo all’impulso di urlare per il dolore al petto, aveva spiegato ai paramedici ciò che era successo. Era poi riuscito a scappare dalla ressa per alcuni minuti, mentre uno dei dottori prestava soccorso all’amica. Non avrebbe voluto perderla di vista nemmeno per un secondo, ma non poteva lasciare che qualcuno lo vedesse mentre cambiava aspetto, sarebbe saltata la copertura e i membri dell’Organizzazione potevano essere ovunque.
Arrivato all’ospedale, aveva chiamato Hattori e con sua sorpresa a rispondere era stata Kazuha. Non aveva fatto domande sul perché fosse a Tokyo, le aveva solo spiegato brevemente la situazione e, come risposta, aveva sentito un rumore sordo, probabilmente il telefono le era scivolato dalle mani.
Una decina di minuti più tardi la coppia del Kansai aveva varcato la soglia dell’edificio,entrambi completamente fradici per colpa della pioggia battente. Ora erano seduti uno accanto all’altra, un paio di seggiolini più in là di lui, mentre Kogoro faceva avanti e indietro per tutta la sala, sperando di ricevere presto notizie riguardo le condizioni della figlia.
Sentì lo squillo di un cellulare, quello di Ran. Le era caduto dalla tasca dopo l’incidente e inspiegabilmente non si era rovinato. Uscì dall’ospedale, si sedette su un muretto riparato dalla pioggia, estrasse il modulatore di voce e rispose alla chiamata.
“Sonoko?” chiese, titubante. Si era completamente dimenticato di avvisarla dell’accaduto.
“Kudo-kun? Dov’è Ran? Perché non risponde alle mie telefonate?” sembrava piuttosto spazientita.
“Ha avuto un incidente” disse tutto d’un fiato. L’altra rimase in silenzio per diversi secondi.
“Che intendi dire?”
“Che un pazzo è passato con il rosso” sentì che prendeva un respiro profondo, come se volesse calmarsi.
“C-come sta?”
“Non sappiamo ancora niente”
Ci fu una nuova pausa dove nessuno dei due parlò, il che era ironico, la Suzuki era probabilmente la persona più logorroica sulla faccia della Terra.
“Dovresti starle lontano” disse infine. Gli occhi del detective si spalancarono e il papillon cadde a terra. “Non ti fai vivo per mesi, poi torni e ti aspetti che lei sia lì a braccia aperte, pronta ad accoglierti come se nulla fosse. Pensi che sia facile per lei vivere senza avere tue notizie? Non so se te lo ricordi, ma fino all’anno scorso vi vedevate ogni santo giorno. Ora è come se tu non esistessi. Non hai idea di quanto Ran stia male senza di te. Certo, fa finta che non le importi, ma non è così, lo sai anche tu.” la voce dell’ereditiera era forte e chiara, ma si stava sforzando parecchio per mantenere quel tono, Shinichi riusciva a captare quella nota di insicurezza che permeava ogni parola che giungeva al suo orecchio.
“Ogni volta che Ran sembra riprendersi, arrivi tu” continuò lei “e distruggi tutte le sue certezze. Dovresti decidere cosa vuoi veramente, non per te, ma per lei. Ti rendi conto che quando compari qualcuno si fa male? E il più delle volte è Ran. Forse è un segno”
Shinichi era interdetto, forse perché era quello che pensava da tempo, forse perché aveva avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno per capirlo, forse perché quel qualcuno era stato proprio Sonoko Suzuki.
“Ti richiamo quando so qualcosa” disse poi, dopo aver raccolto il modulatore di voce. Detto questo, attaccò, senza aspettare che l’altra aggiungesse altro, non se la sentiva di rispondere a quelle accuse.
Rimase fermo sul muretto, con le braccia appoggiate dietro di lui e lo sguardo al cielo. In quel momento il suo cuore somigliava a quella macchia scura sopra di lui, non sapeva cosa fare, si sentiva bloccato, come se fosse caduto in un buco nero da quale non riusciva ad andarsene.
Sentì Hattori chiamarlo, l’operazione era terminata e il medico avrebbe riferito l’esito di lì a poco. Corse di nuovo all’interno dell’edificio e vide un uomo sulla cinquantina parlare con Kogoro. Si avvicinò per sentire meglio.
“Le condizioni di sua figlia sono stabili, dovrebbe svegliarsi entro domani mattina. Non ha riportato danni gravi, nonostante pensassimo il contrario all’inizio. Dalla risonanza magnetica è risultato che tre costole, due a destra e una a sinistra, si sono fratturate a causa dell’impatto con la macchina. Non è chiara la dinamica dell’incidente, ma pensiamo che il veicolo abbia appena sfiorato, se così possiamo dire, la ragazza e che questa sia caduta a terra, perdendo i sensi. Il trauma a livello cranico è molto lieve, quindi non ci saranno conseguenze sulla sua salute. Nonostante questo, atterrando sull’asfalto ha riportato diverse ferite, ma niente che non potesse essere sistemato con un paio di punti.”
“Quindi va tutto bene, giusto?” si affrettò a chiedere il detective.
“Per ora direi di sì, domani, quando sarà sveglia, le faremo alcuni esami di controllo”
“Perfetto. La ringrazio, dottore” inclinò il capo in segno di saluto e si lasciò cadere su uno dei seggiolini di plastica, finalmente rincuorato. Aveva temuto tanto per la salute della figlia, si sentiva responsabile per essere stato così accondiscendente con lei e l’avrebbe sicuramente fatta pagare all’amichetto detective per aver lasciato la sua bambina da sola.
“Scusi, signorina” chiese il piccolo Conan a un’infermiera “è possibile vedere Ran?”
La donna, che non poteva avere più di trent’anni, si voltò verso il lui e gli sorrise.
“Ora sta dormendo, non possiamo disturbarla. La vedrai domani, d’accordo?”
Conan annuì, avrebbe comunque trovato un modo per vederla. Si sentiva pienamente responsabile di ciò che era successo all'amica d'infanzia; se non le avesse chiesto di vedersi, tutto sarebbe andato per il meglio. 
Scambiò uno sguardo d’intesa con Heiji e si allontanò, dicendo di aver bisogno del bagno. Giunto in corridoio iniziò a cercare la stanza della ragazza, la numero 156. L’aveva sentito dire dal dottore poco prima. Sperò di non trovare nessuno ad intralciare i suoi piani mentre varcava la porta della camera.
Il letto di Ran era vicino alla finestra, mentre l’altro era vuoto. A dividerli c’era una tendina blu piuttosto vecchia che copriva la metà superiore del lettino. Conan la spostò con una mano e si avvicinò all'amica. Sul suo viso era posta una mascherina per l’ossigeno, gli occhi erano chiusi e la pelle era fin troppo pallida. Le avevano fasciato la fronte con delle bende.
Lui le si avvicinò, alzò una mano e le accarezzò la guancia, lasciandosi scappare un sorriso.
“Scusa” disse in un sussurro prima di allontanarsi di nuovo. Avrebbe voluto rimanere con lei, sdraiarsi accanto a lei per infonderle tutto il calore che aveva in corpo, sussurrarle che tutto si sarebbe sistemato, ma non poteva. Se non avesse fatto in fretta gli altri avrebbero iniziato a cercarlo.

***

La coppia del Kansai si congedò dal piccolo Conan e da Kogoro quando il taxi si fermò davanti all’agenzia investigativa. Per quella notte avrebbero dormito a casa di Shinichi. Il Detective Dormiente si era offerto di ospitarli, ma loro avevano gentilmente rifiutato, non volevano causare altre preoccupazioni all’uomo, avrebbero dormito in hotel se l’altro non si fosse intromesso.
“Le chiavi di casa mia le hai ancora tu?” aveva chiesto Conan all’amico, sottovoce.
“Si, scusa. Quasi mi dimenticavo di restituirtele”
“No, tienile. Nell’armadio più grande in camera dei miei ci sono dei futon, oppure potete dormire in camera mia. Fate come se foste a casa vostra”
“Ma possiamo dormire in albergo..”
“Non ti preoccupare, Okiya non tornerà prima di una settimana, in casa on c’è nessuno”
A quel punto Heiji aveva sospirato, ringraziando l’amico per la gentilezza.
Giunti a destinazione, fece scattare la serratura e i due entrarono in casa, stanchi e stressati.
“Vado a prendere i futon” disse il ragazzo, dirigendosi verso il piano superiore.
Trovò ciò che cercava quasi subito e un attimo dopo sentì dei passi sulle scale, Kazuha lo stava raggiungendo. Ripensò a ciò che era successo solo poche ore prima, come doveva comportarsi con lei? Insomma, si erano baciati e probabilmente le cose tra di loro sarebbero cambiate radicalmente da quel momento. Heiji conosceva i sentimenti della ragazza, ma i suoi? Cosa provava veramente per lei?
Forse aveva solo agito d’istinto, non voleva che continuasse a piangere e basta. Forse non provava niente per lei, assolutamente niente. Era solo una sua amica, no? Si conoscevano da talmente tanto tempo che era impossibile che lui provasse qualcosa per lei. Se ne sarebbe accorto prima. Non puoi essere amico di una persona e poi d’un tratto innamorarti di lei. Ma lui cosa poteva saperne dell’amore? Quante ragazze aveva avuto nella sua vita? In sostanza, nessuna. Certo, aveva un sacco di ammiratrici, o almeno, si vantava di averne, ma chi di loro lo gli aveva parlato seriamente per più di un paio di minuti? Nessuna, di nuovo.
Riflettendoci, l’unica grande costante della sua vita era proprio quella ragazzina lagnosa. Fin da quando erano piccoli l’aveva sempre avuta al suo fianco, ne avevano passate tante insieme ed era arrivato già da tempo alla conclusione che sarebbe stato capace di dare la sua stessa vita pur di proteggerla.
Avevano passato anni e anni a prendersi in giro l’un l’altro, quasi fossero fratello e sorella, ma quel bacio aveva incasinato tutto. Come poteva trattarla da sorella se aveva condiviso con lei un momento così intimo?
Lo rifaresti se ne avessi l’occasione?
Sulla soglia della stanza comparve l’amica con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Assolutamente sì.
“Vuoi che ti aiuti?” chiese gentilmente Kazuha.
“No, tranquilla. Dove preferisci dormire? Io posso stare giù in salotto, ti lascio la stanza degli ospiti”
“Come vuoi tu. Puoi stare anche qui affianco, non c’è la camera di Kudo-kun?”
“S-sì, ma..”
“Ma cosa?”
Ma se dormo lì sarà ancora più difficile starti lontano. Cosa gli saltava in mente?
“Niente, solo preferisco dormire di sotto. Sai, tutte quelle foto di Kudo mi mettono in soggezione” buttò lì. Kazuha scoppiò a ridere.
“Che hai ora?” si imbronciò lui.
“Sei buffo”
“Sono buffo?” in tutta risposta l’altra continuava a ridere. Lui raccolse il futon da terra e si diresse goffamente verso l’altra stanza.
“Ma dove vai?” si lamentò l’altra “Quanto sei permaloso!”
Heiji scese le scale mentre l’amica lo rincorreva borbottando. Alla ragazza bastò un attimo di distrazione per inciampare e finire lunga e distesa sopra all’altro. Fortunatamente il materasso attutì il colpo e nessuno dei due si fece male.
“Scusa..” disse lei, cercando di trattenere una risata.
“Ma perché non stai mai attenta?” borbottò il ragazzo mentre si rialzava. I due si trovarono, per la seconda volta nella stessa giornata, con i visi a pochi centimetri uno dall’altro e a rompere la magia del momento ci penso Heiji, che, con un colpo di tosse, si voltò e iniziò a sistemare il futon.
La ragazza si chieste se l’altro la stesse evitando di proposito, sembrava quasi non volesse starle vicino. Eppure, prima sembrava così diverso..
Kazuha si sedette sul divano e poco dopo lui fece lo stesso, nessuno dei due sembrava avesse voglia di dormire, nonostante la giornata frenetica.
La ragazza lo vide avvicinarsi pericolosamente a lei ma rimase delusa quando, al posto di baciarla come aveva fatto poche ore prima, Heiji si alzò dal divano, dirigendosi verso uno stereo piuttosto vecchio. Cliccò dei pulsanti a caso chiedendosi perché i genitori di Kudo conservassero un tale pezzo d’antiquariato. Alla fine riuscì a far partire una canzone, Everybody loves somebody di Dean Martin.
Per un attimo un pensiero si insinuò fugace nella sua testa. Perché fai tutto questo? Perché illuderla se non provi niente per lei? E di nuovo, chi è lei per te?
Trasse un respiro profondo e si voltò verso l’amica che lo guardava confuso.
“Ricordi la promessa che ti ho fatto cinque anni fa?” chiese.
“Certo, ma..”
“Ma cosa?”
“Niente” continuò lei con un sorriso.

 
“È tutta colpa tua se ci troviamo qui” borbottò il ragazzino prendendo in mano una scopa.
“Che hai detto? Scherzi, spero”
“Vuoi dire che non ho ragione?” la guardò di sbieco.
“Esattamente! Tu hai scritto sul mio spartito!”
“Era solo uno scherzo, non sarebbe successo niente se non ti fossi messa ad urlare come una pazza!”
Kazuha sbuffò, voltandosi dall’altra parte, chiedendosi cosa avesse fatto di male per ritrovarsi una persona tanto stupida come amico.
Si erano conosciuti tanti anni prima grazie ai loro padri, entrambi nella polizia, ed erano diventati inseparabili, strano a dirsi, dato che non facevano altro che insultarsi a vicenda. Eppure in un modo o nell’altro, finivano sempre per cercarsi.
Quella mattina, durante l’ora di musica, Heiji aveva avuto la bella idea di colorare con un pennarello nero parte dei pentagrammi dello spartito dell’amica, rendendole impossibile leggere le note. A quel punto lei lo aveva rincorso per tutta l’aula e, proprio quando stava per fargliela pagare, era entrata Kawaguchi-sansei, che aveva rispedito entrambi al loro posto e affibbiando loro il compito di pulire l’aula dopo la fine delle lezioni.
Kazuha, alle prese con una lavagna che sembrava impossibile da pulire, sentì un suono provenire dall’altra parte della classe.
“Ti sembra il caso di suonare?” disse senza voltarsi.
“Quanto sei lagnosa” si lamentò l’altro, allontanandosi dalla pianola “Per quanto tempo pensi di tenermi il muso?”
“Chi può saperlo” rispose lasciando andare un sospiro. Si voltò e vide l’amico che la fissava.
“Perché mi guardi?” chiese, stringendo lo straccio tra le mani.
“Giusto, tu preferisci dare le spalle a chi ti parla” aveva il suo solito sorrisino stampato in faccia. Kazuha si strinse nelle spalle, arrossendo. Si sentiva estremamente in imbarazzo in quella situazione e il fatto che lei avesse una cotta colossale per l’amico di certo non migliorava le cose.
“Dobbiamo spostare i banchi” disse, facendo cadere il discorso.
Avevano quasi finito, nel giro di una decina di minuti sarebbero tornati a casa. Heiji si guardò intorno per controllare che fosse tutto a posto e, distratto dai suoi pensieri, inciampò in qualcosa finendo a terra, mentre l’altra rideva fragorosamente.
“Ma che cavolo, Kazuha! Proprio qui la dovevi lasciare la cartella?”
“Se almeno guardassi dove cammini..” fece l’altra, abbassandosi per raccogliere ciò che l’amico aveva fatto caderedalla cartella.
“Ci andrai?” chiese lui, raccogliendo un cartoncino quadrato da terra. Era l’invito per il Galà tenuto annualmente dal corpo di polizia.
“Sì, i miei ci vanno ogni anno. Tu?”
“Non credo, il giorno dopo c’è il torneo di kendo e devo allenarmi. E poi quelle feste sono troppo noiose”
“Sei tu quello noioso..” borbottò Kazuha.
“No davvero, non capisco cosa ci trovi di tanto divertente”
“Beh.. c’è chi racconta aneddoti di cose accadute sul posto di lavoro, poi organizzano quei giochi di deduzione! Mio padre mi ha detto che hanno ingaggiato una band,quindi ci sarà la musica! Anche se poi nessuno mi..” si bloccò, come se avesse capito di aver detto qualcosa di troppo.
“Nessuno cosa?” indagò lui.
“Niente, non importa” aveva un sorriso triste stampato in faccia.
“Puoi anche parlare, non ti mangio mica” lei trasse un respiro profondo.
“Dicevo che nessuno mi chiede mai di ballare” disse tutto d’un fiato con il viso in fiamme.
“Hey hai dodici anni, insomma, hai tutto il tempo per trovare qualcuno con cui ballare” lui non la guardava, i suoi occhi erano fissavano un punto indefinito fuori dalla finestra.
“Io non..” lasciò la frase a metà.
“Sai, dovresti essere un po’ più ottimista, Kazuha. Pensi di non trovare qualcuno in grado di sopportarti? Ci sono tante anime pie in giro” questa volta si voltò verso di lei, ammiccando. Lei si sentì avvampare di nuovo.
“Beh, ecco..” balbettò, non le aveva mai parlato in quel modo.
Mantenendo il suo sorrisetto, Heiji tornò alla pianola e suonò l’attacco di una canzone che entrambi conoscevano molto bene, era una di quelle filastrocche che si insegnano all’asilo.
“Facciamo così, siccome ci tieni tanto. Se tra cinque anni nessuno si sarà offerto come vittima sacrificale per ballare con te, lo farò io. D’accordo?”
Cosa gli passava per la testa? Insomma, le avrebbe fatto molto piacere ballare con lui ma non aveva mai pensato sarebbe successo davvero, erano solo buoni amici.
Sicuramente aveva detto quelle cose perché provava pena per lei.

 
Vide il braccio dell’amico allungarsi verso di lei.
“Allora?”
Kazuha increspò le labbra in un sorriso e afferrò la mano di lui con la sua e si alzò dal divano. Un attimo dopo stavano davvero ballando. Il sogno di una vita, eh Kazuha?

***

Conan passò la notte a fissare il soffitto, ogni volta che chiudeva gli occhi, gli si parava davanti lo scenario dell’incidente. Le parole di Sonoko lo avevano colpito dritto al cuore, forse perché aveva detto ciò che lui non era stato capace di ammettere. Ran avrebbe avuto una vita migliore senza di lui, sarebbe stata felice accanto a qualcuno capace di dargli ciò che non aveva mai ottenuto da lui.
C’era una cosa che più di tutte, gli premeva che la ragazza avesse: un futuro. Questo perché, con il senno di poi, nella situazione in cui si trovava era l’ultima cosa che avrebbe potuto prometterle. Ogni giorno la sua copertura diventava più debole e se gli Uomini in Nero lo avessero scoperto, sarebbe stata la fine per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, erano entrati con contatto con lui e Ran non meritava una fine del genere, non l’avrebbe permesso.
Quando suonò la sveglia, si alzò a fatica e si trascinò fino al bagno. Lui e Kogoro sarebbero andati in ospedale prima dell’orario delle visite, per aggiornarsi sulle condizioni della ragazza.
Dopo aver fatto colazione scesero le scale e arrivarono in strada, dove li attendeva il taxi che il detective aveva chiamato poco prima.
“Conan-kun!” urlò qualcuno dall’altra parte della strada.
L’interessato alzò lo sguardo e intravide due dei suoi amici agitare le braccia per farsi notare, mentre una figura minuta se ne stava in disparte con le braccia incrociate.
“Ciao!” li salutò appena lo raggiunsero “Dov’è Genta?”
“Sta arrivando, è in ritardo come al solito” sbuffò Mitsuhiko.
“Abbiamo saputo di Ran-oneesan, come sta?” chiese Ayumi. Aveva nuovamente cambiato atteggiamento con lui.
“Moccioso, non ho tempo da perdere. Muoviti, o vado da solo” borbottò Kogoro dalla macchina.
“Il dottore ha detto che sta bene, stiamo andando a trovarla proprio ora, volete venire?”
“Dobbiamo aspettare Genta-kun!” continuò la bambina.
“Allora ci andremo dopo insieme” disse Conan con un sorriso, avrebbe dovuto posticipare la sua chiacchierata con Ran, ma forse era meglio così.
“Ti raggiungiamo più tardi” disse poi a Kogoro, che, sbuffando, avvisò il tassista.

***

Quando l’ultimo dei suoi amici arrivò, il gruppo si avviò verso l’ospedale. Non era così lontano da lì se si percorreva la strada a piedi. C’erano diversi percorsi secondari che avevano usato moltissime volte. Di nuovo, quando Conan entrò, l’odore di disinfettante gli si insinuò nelle narici, facendolo starnutire.
C’erano parecchie persone nella sala d’aspetto, mancava solo Kogoro, che probabilmente si trovava nella stanza di Ran insieme al dottore. Come a confermare i suoi sospetti, l’uomo sbucò dal corridoio accompagnato dalla ex moglie, dicendo che la ragazza stava bene e che dagli esami non erano risultate anomalie. L’avrebbero dimessa nel giro di un paio di giorni.
“Posso andare a salutarla?” chiese il bambino all’avvocato, se l’avesse chiesto al detective gli avrebbe sicuramente urlato contro.
“Credo di sì, ma non portarti i tuoi amici dietro. Si è svegliata da poco ed è meglio evitare di fare troppo rumore. Non si è ancora ripresa del tutto. Loro la potranno vedere più tardi, okay?”
L’altro annuì e si infilò nel corridoio che conduceva alla camera della ragazza, davanti alla quale si fermò per alcuni secondi. Era veramente pronto per fare una cosa del genere? No, assolutamente, e non lo sarebbe mai stato, ma non aveva scelta. Varcò la soglia della stanza d’ospedale per la seconda volta. Il lettino di Ran era coperto dalla solita tenda blu. Fece alcuni passi, quasi sperando che la ragazza non lo sentisse.
“Shinichi?” sentì qualcuno chiedere.
“Come hai capito che ero io?” disse, portando velocemente alle labbra il modulatore di voce, non si aspettava un’accoglienza del genere.
“Ho tirato a indovinare” la sua voce era molto flebile, faticava a parlare.
In realtà non aveva tirato a indovinare, avrebbe sentito la sua presenza anche se si fosse trovata in una stanza piena di gente. Era come se lui emanasse un’aura particolare. Oltre a Shinichi solo un’altra persona le infondeva quello strano senso di sicurezza e protezione, ma in questo caso era qualcuno molto più piccolo e minuto del detective, qualcuno che da un po’ di tempo viveva sotto il suo stesso tetto e che secondo suo padre non sarebbe arrivato in ospedale prima di un’altra mezz’ora.
“Allora, come ti senti?” chiese, sedendosi appena accanto alla tendina.
“Bene, penso”
“Mi dispiace, Ran”
“Non è stata colpa tua”
“Avrei potuto evitarlo”
“Non credo, tutto ciò che succede ha un suo motivo. Doveva andare così”
Rimase in silenzio, colpito dalle parole che l’altra aveva appena pronunciato.
“Ran, devi fare una cosa per me” disse infine.
“Huh?”
“Dimenticami”
“Che stai dicendo?”
“Non sono la persona giusta per te, devi guardare avanti e dimenticarti di me. Odio vederti star male, soprattutto se per colpa mia”
“Perché mi stai dicendo queste cose?”
“Guardati. Sei sul lettino di un ospedale e io sono il responsabile di tutte le tue ferite. Se solo mi fossi attenuto al piano, ora non ci troveremmo qui. Devo starti lontano e tu devi fare lo stesso con me, perché più ti avvicini, più sarai in pericolo. Sono stato un idiota a pensare di poter risolvere tutti i problemi del mondo. Perché è così, ultimamente non faccio altro che causare guai su guai a tutti coloro che mi stanno intorno e ho bisogno di una pausa per concentrarmi e capire come rimediare ai casini che ho combinato. Ran, ti prego, perdonami”
Detto ciò si alzò e si trascinò verso la porta, ma prima che potesse aprirla, fu costretto a bloccarsi.
“Dovresti smetterla di darti la colpa per tutto. Hai fatto per gli altri molto più di quanto loro potessero fare per te, non ti ho mai visto tirarti indietro davanti ad un ostacolo, fin da bambino hai sempre preso posizione contro chi non rispettava le regole. Non hai nessuna colpa e se vuoi che io mi dimentichi di te ci vorrà ben altro che una manciata di parole” 
Lui strinse i pugni. Quanto vorrei che tu avessi ragione.
“Ci vediamo” disse solo, prima di uscire.


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Buonassssera
Ebbene, sono tornata! Non che me ne fossi andata, era per dire.
Anyway.. ci ho messo un secolo per scrivere questo capitolo, più che altro mi sono incasinata sull'ultima scena, ho in mente il momento in cui lui le chiede di dimenticarlo da tipo tre settimane ma non riuscivo a buttar giù qualcosa di sensato e alla fine questo è stato il risultato sob
Ammetto che mi è dispiaciuto farli separare così perchè li adoro insieme, ma non tutte le storie sono a lieto fine, no? Okay forse anche questa lo sarà (io non vi ho detto niente), ma voglio sottolineare il "forse".
Scopriamo un po' di più sull'incidente e sulle condizioni di Ran, anche se dell'autista della macchina che l'ha investita non si sa ancora niente, saprete qualcosa di più nel prossimo capitolo? Chissà.
Passiamo all'altra coppia, Heiji si sta arrovellando per capire cosa caspita prova per la sua amica ma di nuovo non abbiamo una risposta. Ora sapete a cosa si riferiva Kazuha nel flashback dello scorso capitolo e qual era la fantomatica promessa del suo amichetto, direi che l'ha mantenuta, no?
Comunque vi anticipo che nel prossimo capitolo saprete anche a cosa alludeva con quella cosa di cui parlava l'ultima volta, avrei voluto inserirlo qui ma erano già sette pagine di Word quindi uhm
Detto questo boh vi saluto e niente ahah
Gaia

Ps. Ringrazio i recensori dello scorso capitolo:
rosadc: potrei aver stravolto un attimo le tue aspettative, ma spero che tu voglia comunque continuare a leggere la storia;
shinichi e ran amore: credo di aver risposto a tutte le tue domande tranne quella su Alchermes, di cui, come ho già detto, probabilmente si parlerà nel prossimo capitolo;
Kazuha95: la tua recensione mi ha ricordato un'altra cosa, prossimamente si parlerà anche della trasformazione del caro Shinichi!
Cercherò di frenare il mio lato sadico d'ora in poi, ma una storia angst che si rispetti merita un bel po' di suspense, non credi? uhuh

SkyDream: mi hai commossa aww ti chiedo scusa per il semi infarto ma era proprio quello che volevo ahahah
giuggiola5: spero che il capitolo abbia soddisfatto le tue aspettative!
E niente, ringrazio tutti voi di cuore, mi fa davvero piacere leggere quello che pensate della mia storia.

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Capitolo 6
*** Revelations. ***


cap 5

Premessa: Come anticipavo nell'angolo autrice dell'ultimo capitolo, verranno (forse?) spiegati i motivi della trasformazione di Shinichi. Ho fatto il possibile per rendere la mia teoria reale da un punto di vista scientifico, ma, avendo studiato biologia moooolto male e per un anno solo, mi scuso per i possibili errori che troverete (in caso, fatemelo pure sapere, così correggo). Mi dileguo, ci ritroviamo alla fine del capitolo (per chi ci arriverà). Buona lettura!


Ten miles from town and I just broke down
Spitting out smoke on the side of the road
I'm out here alone just trying to get home
To tell you I was wrong but you already know
Believe me I won't stop at nothing
To see you so I?ve started running

- Daughtry, Life after you

Sentì la porta chiudersi alle sue spalle con un clac secco. Si appoggiò al muro e, con gli occhi chiusi, scivolò lungo la parete fino a sedersi. Aveva appena messo fine alla cosa più bella che gli fosse mai successa. Lasciò andare un lungo sospiro, poi, dopo alcuni minuti si alzò di nuovo e si riavvicinò all’entrata della stanza, pronto a ricominciare la solita recita.
“Ran-neechan?” chiese appena fu entrato.
“Conan-kun, sei tu?”
“Sì, sono venuto a salutarti!” continuò, fingendo un tono allegro. Spostò la tendina, riuscendo finalmente a vedere il viso di Ran. Nei suoi occhi non c’era nemmeno un’ombra di tristezza, sembrava solo molto stanca.
“Come stai?” chiese sedendosi sullo sgabello vicino al letto.
“Bene, grazie” sorrise. Segui il piano, non distrarti.
“Shinichi-niichan è passato a salutarti? L’ho visto uscire poco fa”
“Sì, pensa che io mi trovi qui per colpa sua, ma sai com’è fatto..” Ran spostò lo sguardo da Conan ad un punto indefinito fuori dalla finestra. Il piano. Niente sorprese. “Pensa che la salvezza del mondo intero dipenda da lui, ma non è così. Non è un supereroe, ci sono cose che nessuno può evitare. Siamo tutti vittime di un qualcosa di più grande e tutto ciò che possiamo fare è rassegnarci al nostro destino. D’accordo, possiamo cambiarlo, ma non così tanto da diventare onnipotenti o qualcosa del genere. Non ne abbiamo la capacità e Shinichi fatica a capirlo”. Fece una pausa, quasi le costasse uno sforzo immenso parlare.
“Sto cercando di dire che quel ragazzo non sa fare altro che pensare agli altri, costantemente. Certo, ama accrescere quel suo ego che è già mostruosamente grande di natura, ma sono convinta che se si trovasse in condizione di scegliere tra la sua vita e quella di uno sconosciuto o perfino un criminale, non salverebbe se stesso”
Ran si voltò a guardarlo nuovamente e Conan notò nei suoi occhi un’ombra che mai aveva visto prima. Per un attimo gli parve che l’altra avesse capito come stavano veramente le cose. Al diavolo il piano.
“Probabilmente è come dici tu, ma non è giusto essere altruisti?” la ragazza rise.
“Non è una questione di essere altruisti o meno, Shinichi è la persona più testarda che io abbia mai conosciuto. Vuole che tutti stiano bene e si incolpa se qualcosa non va come previsto”
Conan fece per parlare di nuovo ma la porta della camera si aprì, rivelando la presenza di una piccolo gruppetto.
“Ran, il piccoletto ti sta dando fastidio?” disse Kogoro, seccato. Ran scosse la testa.
Da dietro di lui si fecero strada prima Kazuha e Sonoko, seguite a loro volta dai bambini e da Heiji. L’avvocato Kisaki era dovuta tornare al lavoro, avrebbe fatto di nuovo visita alla figlia nel pomeriggio.
Il caos che si venne a creare convinse Conan che non ci sarebbe stata l’occasione di continuare il discorso che stava affrontando con Ran, almeno non per il momento. Ma forse era meglio così. Aveva già parlato troppo e si sentiva debilitato, come se le parole della ragazza gli avessero tolto tutte le energie.
“Allora?” chiese sottovoce il detective dell’Ovest all’amico.
“Huh?”
“Che vi siete detti? Non hai un’aria felice”
“Ho chiuso la questione come mi avevi consigliato”
“Che?!”
“Starle lontano è la cosa migliore da fare” l’altro rimase di stucco, cosa gli stava succedendo? Solo un paio di giorni prima la pensava in modo completamente diverso.
“Ma lei sembra comunque contenta, quindi va bene così” aggiunse poi, lasciando intendere di non volerne più parlare. 
Passò una mezz’ora prima che la porta si aprisse di nuovo. Stavolta però Conan non riconobbe il visitatore, era un ragazzo sulla ventina, con i capelli castano chiaro e gli occhi verdi. 
“È permesso?”
“Kohei-kun!” strillò Sonoko appena lo vide. Conan sbarrò gli occhi, era il ragazzo di cui parlavano un paio di giorni prima? Come era possibile che non lo avesse mai visto?
Lui raggiunse il lettino e, dopo aver chiesto a Ran come si sentisse, si presentò. Si chiamava Matsuda Kohei e viveva nella zona di Tottori, dove frequentava il primo anno di università. L'avvocato Kisaki e sua madre erano amiche di vecchia data e il mese prima si erano incontrate dopo anni in un ristorante, entrambe accompagnate dai rispettivi figli. A quel punto le due avevano proposto di cenare insieme e nel corso della serata Kohei e Ran avevano scoperto di avere diverse cose in comune, come la passione per il karate.
Quando arrivò l’ora di andarsene, il ragazzo si trattenne un paio di minuti nella stanza, solo con la Mouri, mentre Conan si chiedeva cosa ci fosse veramente tra quei due. La situazione era fin troppo strana. Era completamente assorto nei suoi pensieri, quando venne riportato alla realtà dal suono del suo cellulare.
“Pronto?”
“Quando pensavi di parlarmi di quello che è successo?” chiese una voce dall’altro capo.
“Ha-Haibara!”
“Cavoli, che intuito” disse, sarcastica “Hai messo il naso nelle mie cose?”
“Ma di che stai parlando?”
“Lo sai benissimo”
“Aspetta ma chi ti ha detto che..?”
“Io e il professore siamo arrivati stamattina, abbiamo intravisto il tuo amico uscire da casa tua e ci ha detto quello che è successo. Lasciati dire che sei un idiota fatto e finito”
“Hattori ha fatto cosa?! Quel..” si voltò verso l'amico del Kansai e gli rivolse un'occhiata truce. Perchè nessuno si faceva i fatti propri?
“Raggiungimi tra venti minuti a casa del professore, d’accordo?” continuò lei secca per poi riagganciare, senza aspettare una risposta.

***

“Io torno più tardi!” disse Conan al detective Mouri quando il taxi si fermò davanti all’agenzia investigativa. La madre di Mitsuhiko aveva riaccompagnato a casa gli altri, che avevano già in programma di pranzare assieme.
Il bambino iniziò a correre a perdifiato fino a giungere a casa del professore.
“Shinichi-kun!” esclamò Agasa quando entrò dalla porta rimasta aperta.
“Salve, professore. C’è Haibara? Mi ha detto che doveva parlarmi” disse l’altro, cercando di riprendere fiato.
“Sono qui” Conan si voltò e la vide seduta sul divano, intenta a sfogliare una rivista.
“Prego” esordì “spiegami come diavolo hai trovato l’antidoto”
“Non l’ho trovato, infatti.”
“Certo” disse con una punta di sarcasmo.
“Non so come sia successo”
“Cosa?! Aspetta un attimo” si alzò dal divano e si diresse giù per le scale, per poi tornare alcuni minuti più tardi con una cartellina in mano.
“Questi sono i tuoi ultimi esami del sangue” continuò facendo scorrere i risultati “e tutto sembra si sia sistemato dopo l’ultima volta”
Da ormai alcuni mesi la cantina della casa era stata adibita a laboratorio di analisi. Naturalmente non era come stare in un vero ospedale e gli esami venivano compiuti per lo più manualmente attraverso l’uso di microscopi piuttosto sofisticati finanziati dai genitori di Shinichi. I lavori richiedevano molto tempo ma era l’unico modo possibile.
La piccola scienziata esaminava il sangue di Conan una volta al mese per controllare che non ci fossero anomalie e normalmente andava tutto bene, ma un paio di settimane prima, era risultato che ci fosse una concentrazione di globuli rossi fin troppo bassa rispetto alla media.
“Quindi? Cosa mi ha trasformato?” chiese lui, ansioso.
“Frena un attimo, Kudo-kun. È difficile stabilirlo.. hai mangiato o bevuto qualcosa di insolito?” l’altro scosse la testa. La scienziata rimase per un po’ in silenzio, pensando ad una possibile soluzione.
“Allora, cerchiamo di ragionare. Analizziamo ciò che è successo sulla base delle analisi” esordì “Iniziamo dal principio. Come già sai, il sangue è composto da una parte liquida, il plasma, e una corpuscolata, composta a sua volta da eritrociti, leucociti e piastrine. Quando la temperatura corporea si alza, tutte le cellule del corpo ne risentono. Nel caso degli eritrociti, i globuli rossi per intenderci, questo aumento della temperatura può essere devastante nel caso in cui si vadano a toccare i 42°C, cosa che accade molto raramente nel corpo umano. Tranne nel tuo caso. Ogni volta che prendi l’antidoto, la tua temperatura si alza moltissimo, giusto?”
L’altro annuì, cercando di seguire il discorso della scienziata.
“Ecco, probabilmente è stato questo ad aver causato la diminuzione dei tuoi globuli rossi. Fortunatamente però, non ho riscontrato conseguenze a livello fisico. Credo che l'APTX4869 riesca in qualche modo a controllare gli eritrociti, dando loro l’impulso per duplicarsi più in fretta. Da qui deduciamo che se la tua temperatura si alza riesci a tornare te stesso, altrimenti non succede. Questo perché se i globuli rossi diminuiscono, i tessuti e di conseguenza anche le cellule, ricevono meno ossigeno e sono costretti a rallentare, ci sei?” Annuì di nuovo.
“Okay, passiamo ad un altro punto. Ogni volta che la cellula compie un ciclo, la regione finale del cromosoma, il telomero, va ad accorciarsi perché la DNA polimerasi polimerizza in direzione 5’->3’, spostandosi dunque dall’estremità 3’ a 5’. Qui entra in gioco la telomerasi, un enzima che si occupa appunto di recuperare le informazioni perse durante questa ultima parte e ricompone il cosiddetto filamento lento che altrimenti sarebbe stato copiato in maniera discontinua” fece una pausa per riprendere fiato.
“Qual è il senso di tutto ciò?” si sentì chiedere.
“Dammi ancora un attimo..” sbuffò “È stato dimostrato che l’accorciamento dei telomeri è una delle cause dell’invecchiamento della cellula, cosa assolutamente normale. Infatti, la telomerasi, ovvero l'enzima che si occupa di quel processo, normalmente non è attiva nella cellule della linea somatica: si attiva solo in alcuni casi particolari, come per la presenza di tumori. Io penso che il veleno abbia indotto la telomerasi ad attivarsi, rallentando così l’invecchiamento cellulare. Tutto ciò che dovremmo fare è trovare un modo per ‘disattivare’ l’enzima, così da contrastare il suo effetto”
“E come si può fare?”
“L’enzima è prodotto da un gene che è presente nel corpo umano per natura e, ammettendo che questo gene inizi a produrre telomerasi ad una data temperatura, potremmo affermare che quando il tuo calore corporeo aumenta, il gene si disattiva”
“Quindi dovrei praticamente avere sempre la febbre per rimanere me stesso?”
“Non proprio ma il senso è quello”
“Ma come è possibile..?”
“Infatti, non è possibile. Moriresti” continuò con un sorrisetto lei.
“Allora avresti potuto risparmiarmi la filippica!” la guardò truce, mentre Haibara si spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Quanto sei noioso, Kudo-kun.” borbottò “Di recente sono stati fatti alcuni studi su una pianta di origine cinese, l’astragalo, che sembra avere la capacità di attivare il gene che produce la telomerasi e se riuscissi ad analizzarla forse potrei trovare un modo attivare il processo inverso”
Il giovane detective, impegnato a leggere una mail arrivatagli alcuni istanti prima, alzò la testa dal telefono e prese a fissare la ragazza.
“Dove troviamo questa pianta?” chiese d’un fiato.
“Non così in fretta. Credo che quelli dell’Organizzazione l’abbiano nominata un paio di volte, volevano farci alcuni esperimenti per sviluppare un nuovo tipo di droga” fece una pausa “Farò alcune ricerche, ma ho paura non sia esattamente legale quello che vogliamo fare”
“Non mi interessa”
“Questa è bella” lo canzonò “Mr Seguo-Le-Regole che decide di sgarrare..”
“Se quello è l’unico modo per tornare ad essere adulto, sono pronto a correre il rischio”
“E va bene, come ti pare. Ma fossi in te non trarrei conclusioni affrettate, è possibile che non funzioni. In molti credono che non abbia alcun tipo di potere”
“Tanto vale provare” continuò lui alzando le spalle. Fece per alzarsi, doveva tornare a casa perché Kogoro lo aspettava per il pranzo.
“Vorrei fare alcuni altri esami su di te” disse Ai poco prima che lui se ne andasse.
“Huh?”
“La mancanza di eritrociti mi preoccupa quindi vorrei tenerti in osservazione per un po’”
“Che intendi dire?”
“Che dovresti rimanere qui per alcuni giorni”
“Cosa?!”
“È necessario” affermò lei, seria.
“Ne riparliamo domani, okay?”
La piccola scienziata si strinse nelle spalle, mentre lui le rivolgeva un’ultima occhiata avvicinandosi alla porta. Dopo aver salutato entrambi, si diresse verso l’agenzia investigativa, pensando alla miriade di informazioni che aveva ricevuto.
Aspettami Ran, sto tornando da te.  Sgominerò l'Organizzazione e finalmente tutto tornerà come prima.

***

Alchermes tirò il freno a mano, aprì la portiera e uscì dalla macchina, inspirando l’aria pungente di fine dicembre. Il cielo era plumbeo, forse l’indomani avrebbe nevicato. Fece tintinnare le chiavi infilandole in tasca mentre muoveva alcuni passi verso l’imponente edificio. Sentì un leggero odore di fumo provenire dalle sue spalle e si fermò.
“Vermouth” disse, senza voltarsi.
“Complimenti, my dear. Hai un intuito eccellente”
“Solo tu fumi quella marca di sigarette, no?” disse, mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso compiaciuto nel sentire la voce della collega.
“Ho saputo della tua grande impresa” disse lei senza rispondere alla domanda.
“Quell'incidente è solo il primo passo di un piano che farà uscire quel moccioso detective allo scoperto”
You know, le cose non vanno sempre come programmato” ammiccò, lasciando cadere a terra la sigaretta, dalla quale si sollevò un sottile filo di fumo, e senza dire altro si allontanò. Specialmente se ci sono io di mezzo aggiunse tra sé. Sorrise, guardando il riflesso del nuovo acquisto dell’Organizzazione nella porta a vetri prima di varcarla.
“Sbagli a sottovalutarmi” disse allora Alchermes, sottovoce. Tutto era perfettamente stabilito. Tutto sarebbe andato bene. Tutto sarebbe filato liscio. E Shinichi Kudo sarebbe stato solo un lontano ricordo.
Rivolse un’altra occhiata al cielo per poi varcare la soglia dell’edificio, diretto verso il laboratorio di analisi. Aspettava quegli esiti da tempo e se i risultati fossero stati positivi, il suo lavoro sarebbe stato estremamente semplice.

***

“Che intendevi dire con ‘quella cosa’?” chiese Kazuha, vedendo entrare l’amico in cucina.
“Huh?”
“Ieri sera hai detto di aver capito il significato di ‘quella cosa’” mimò le virgolette con le mani. Stava cucinando degli onigiri.
“Ooh.. beh io, non è nulla” balbettò sperando che lasciasse cadere il discorso.
“Ora lo voglio sapere” si imbronciò. Lui sbuffò, prendendo posto a tavola.
“Konna chiisana seiza na no ni koko ni ita koto kizuite kurete arigatou*, Heiji” recitò, senza guardare l’amica, che in pochi secondi sfumò dal rosa pallido al rosso vivo.
“Aspetta, quindi tu..?”
“Non erano appunti di storia, giusto?” continuò sorridendo.
Kazuha si sentì avvampare per la vergogna.
“Hai letto il mio diario??”
“Non puoi metterti a scrivere in mezzo al parco e pretendere che nessuno veda niente” la canzonò.
L’altra rimase zitta, coprendosi il viso con le mani coperte di chicchi di riso. Non si era mai sentita tanto in imbarazzo. Aveva scritto cose estremamente personali e pensare che lui le avesse lette le faceva venire la nausea.
“Hey, guarda che mi ha fatto piacere, è una bella frase” disse lui con un sorriso che lei non vide.
“Kazuha, va tutto bene” continuò, alzandosi e allungano una mano verso di lei. Arrivò a sfiorarle un braccio e la sentì rabbrividire.
“Hai letto ciò che avevo scritto, quindi tu sapevi che..”
“Ho visto solo quello, il resto era indecifrabile, hai una scrittura pessima” abbozzò nuovamente un sorriso mentre la ragazza abbassava le mani, scoprendo gli occhi verdi.
“Scusa, che hai detto?”
“Che ti servirebbe un bel corso di calligrafia” continuò l’altro con una smorfia.
“Da che pulpito vien la predica.. Comunque la frase era piuttosto esplicita, ti ci sono voluti cinque anni per capirla?” lui rise, sperava quasi che si fosse dimenticata di quel particolare.
“Beh, quando ho letto quella frase non ho capito cosa volessi dire, insomma, ammettilo, è confusa. Mi sono chiesto cosa c’entrassero le costellazioni con me” disse lui, ridendo “Ma ieri l’ho collegata a quel giorno in cui mi hai detto che ti faceva piacere parlare con me e..” la sua faccia andava a fuoco, era strano che si sentisse tanto in imbarazzo
“E che solo tu riesci a capirmi. È questo ciò che ho detto, giusto?” Heiji annuì.
“Era un brutto periodo per me e sono contenta di averti avuto accanto, tutto qui” continuò lei. Vide il braccio del ragazzo muoversi, per avvicinarsi nuovamente al suo. Rimase a guardare le dita del ragazzo che si intrecciavano con le sue, alzò lo sguardo e si trovò persa negli occhi dell’amico. Sembravano più belli e luminosi del solito. Ma per quanto lei si sforzasse di fingere c’era un pensiero che non riusciva a cacciare via.
“Stai facendo tutto questo perché ti faccio pena, vero?” disse poi, guardando gli onigiri che giacevano su un piatto mezzi pronti. Il ragazzo rimase di sasso, non si aspettava una domanda del genere. Fece per parlare ma le parole gli morirono in gola.
“Io.. io..” balbettò, mentre l’altra tornava a guardarlo.
“È sempre stato così, giusto Heiji? Sono sempre stata quella appiccicosa, quella che non ti lasciava mai in pace, quella che hai sempre dovuto tenere d’occhio per evitare che facesse stupidaggini. L’ho capito da tanto ormai, ma va bene così. Sono stata stupida a pensare che le cose potessero cambiare” aveva un sorriso triste stampato in faccia.
“Ti sbagli” disse allora lui, stringendo i pugni. L’altra aveva lasciato la sua mano poco prima di parlare.
Kazuha assottigliò appena gli occhi. Ad Heiji bastò una frazione di secondo per voltarsi e uscire dalla cucina, dirigendosi poi verso la porta. Appoggiò la mano sulla maniglia ed esercitò una lieve pressione, fino a far scattare la serratura.
“Ti sbagli su tutto” ripeté prima di varcare la soglia e andarsene, mentre l’amica rimaneva a guardarlo camminare. Avrebbe voluto corrergli dietro, dirgli di aspettare, di darle spiegazioni. Ti sbagli. Quelle due parole rimbombavano nella sua testa, assordandola. Sentì pizzicare gli occhi e le lacrime iniziarono a cadere, rigandole le guance.
Resta.

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Precisazioni:

*la frase in questione è un verso di una canzone di Aimer, Rokutousei No Yuro (ending di No. 6, per intenderci) e tradotta sarebbe "Grazie per avermi trovata nonostante io sia una costellazionecosì piccola", se non l'avete mai ascoltata, fatelo perchè è bellissima. Nel caso specifico del testo, Kazuha si paragona ad una piccola costellazione, qualcosa che nessuno normalmente nota. 

Heeeey

Sono in ritardo e chiedo venia, ma mi ci sono volute circa 10 ore per trovare una soluzione al problema "trasformazione" perchè, come dicevo sopra, sono piuttosto ignorante sull'argomento "scienza", quindi perdonatemi. Per scrivere quella parte ho usato informazioni che ho trovato su vari siti (quali wikipedia, improbabili pagine di giornale del 2006 in inglese e siti scritti in lingue di cui non avevo mai sentito parlare, ovviamente scherzo). Ripeto, se c'è qualche critica che volete farmi, sono qui pronta a leggere, mi fa solo piacere.
Detto questo, cosa ne pensate? Compare per la prima volta Kohei, di cosa avrà parlato con Ran quando è rimasto solo con lei? Chissà. Poi vediamo Alchermes preso in una lunghissima (sarcasmo mode: on) conversazione con Vermouth, ma continuiamo a non sapere molto su questo nuovo membro dell'Organizzazione mmmh. Ultimo punto, Kazuha ed Heiji: erano a un passo dal diventare qualcosa di più ma bam, succede un casino. Lo so, chi supporta la coppia mi starà odiando, ma io vi voglio bene lo stesso uhuh
Non ho ancora scritto mezza riga del prossimo capitolo quindi non posso anticiparvi niente, solo che molto probabilmente si parlerà di nuovo di Alchermes, che referti deve ritirare? Avete già qualche teoria in proposito? Perchè io non ne ho.

Mi prendo di nuovo uno spazio per ringraziare i recensori dello scorso capitolo:

giuggiola5: sei gentilissima e sono felice che ti piaccia la mia storia!
SkyDream: ahaha credo che la mia morte dovrà aspettare! O se non altro dammi ancora un pochettino di tempo così finisco la storia, mi spiacerebbe lasciarla a metà eheh. Non ho mai pensato di far morire Ran, almeno non per ora. Purtroppo è solo lievemente ferita ahah. In effetti Sonoko è stata poco delicata e forse l'ho fatta diventare un po' OOC, mea culpa!
Kazuha95: ringrazio il tuo lato masochista allora! ahah per il finale ho già un po' di idee in mente (devi sapere che io scrivo al contrario, parto dalla scena finale e immagino cosa succede prima), ma non ti svelo niente uhuh 
shinichi e ran amore: diciamo che per ora la situazione tra Ran e Shinichi è un po' statica, forse il colpo di scena arriverà prossimamente, non posso dire altro, perdoooonami ahah (ti mando un cuore per la recensione ♡ perchè mi sono un attimo commossa aha no davvero, mi ha fatto piacere leggerla e non so se mi merito quei complimenti T.T). A proposito, ho un'idea per una scena che potrebbe farti piacere, ma dovrai aspettare ancora un po' per leggere quella parte.

E niente, ringrazio anche chi ha messo la storia tra i preferiti e tra le seguite (e naturalmente anche chi ha letto e basta!)
Fatemi sapere cosa ne pensate, per me conta un sacco sapere se vi piace o meno, bastano poche paroline suvvia, mi accontento di tutto ahah
A presto,
Gaia

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Capitolo 7
*** Face to face. ***


cap 6
But I hold on, I stay strong
Wondering if we still belong
Will we ever say the words we're feeling
Reach down underneath and tear down all the walls
Will we ever have our happy ending?
Or will we forever only be pretending?
Will we always, always, always be pretending

- Lea Michele & Cory Monteith, Pretending

Kazuha si sentiva schiacciare dalle pareti di quella casa così grande, mentre si incolpava per essere stata tanto stupida. Lei ed Heiji? Impossibile. Eppure ci aveva creduto quando lui l’aveva baciata, aveva continuato a crederci quando le aveva chiesto di ballare e quando si erano addormentati sul divano di villa Kudo, abbracciati. Ma poi tutto era andato storto. Non erano destinati a stare insieme.
Forse aveva sbagliato a pensare che avessero qualcosa di speciale. Erano due persone normali, due adolescenti che si comportavano da adolescenti, niente di più, niente di meno.
Ti sbagli. Di nuovo quelle parole. Che intendeva dire? Se mi sbagliassi tu non ti comporteresti così, non te ne saresti andato.
Sapeva come andavano certe cose, nonostante la lista delle sue storie d’amore fosse piuttosto corta. Heiji non poteva essere innamorato di lei, avrebbe reagito in tutt’altro modo. Kazuha non si aspettava una dichiarazione, ma andandosene in quel modo aveva confermato le sue ipotesi.
Heiji era sempre stato restio a confidarsi con gli altri, soprattutto riguardo l'argomento “amore”. Non l’aveva mai sentito parlare di una sua ipotetica cotta, mai. Tutto ciò che sapeva di lui era che da piccolo si era innamorato di una bambina di Kyoto, ma dopo aver scoperto il suo nome, non ne aveva più fatto parola.
La ragazza si alzò da terra per dirigersi in salotto. Accese lo stereo e lasciò che la voce di Dean Martin riempisse la stanza come la sera prima, mentre lacrime amare le percorrevano le guance.
Intanto, Heiji camminava con le mani in tasca e la visiera del cappellino abbassata sugli occhi. Stupida, sei una stupida, Kazuha.
Non ce l’aveva fatta, nel sentirle dire quelle cose aveva preferito andarsene, come poteva anche solo pensare che le facesse pena? Dopo tutti quegli anni al suo fianco? Non avrebbe potuto sbagliare di più. Era fuori strada, assolutamente.
Calciò un sassolino, mentre i suoi respiri formavano piccole nuvole di fumo. Ci aveva messo anni per capire che ciò che provava per l’amica non era solo affetto fraterno. No, era qualcosa di molto, molto più grande. Qualcosa che non aveva provato per nessun’altra. Ogni volta che le stava accanto, sentiva come se il cuore stesse per scoppiargli nel petto. Di recente aveva anche sperimentato le tanto conclamate “farfalle nello stomaco”, che però a lui avevano ricordato più un branco di elefanti. Sei una stupida Kazuha continuava a ripetere mentalmente, quasi fosse una cantilena.
Gli ritornò in mente il momento in cui l’aveva baciata. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore, eppure sentiva la necessità di rifarlo, voleva rivedere il suo sguardo imbarazzato, sentire il suo profumo e il suo contatto sulla pelle.
Sentiva le tempie pulsare. Si maledisse per non averla baciata anche poco prima, quando le aveva detto quelle cose. Sarebbe stato molto più semplice. E lei avrebbe capito.

***

“Perché l’incarico è stato affidato al nuovo membro?” sbottò Vermouth appena fu sola con Gin. Non le capitava spesso di perdere le staffe, era un’attrice e nascondere i suoi sentimenti le risultava piuttosto facile. Fingere era il suo mestiere, d’altronde. Aveva sviluppato un grande autocontrollo nel corso degli anni e questa sua capacità le era tornata utile molte volte.
“Sai bene che certe decisioni non vengono prese da me, ma da quella persona” ribatté il biondo, atono.
“Risparmiami la predica, certo che lo so! Ma per una cosa del genere non sarebbe stato meglio scegliere qualcuno con un po’ più di esperienza?”
“Non so che dirti, ma ne ho sentito parlare bene. Sarà una specie di iniziazione” continuò con un ghigno.
La donna si fece alcuni passi nella stanza incrociando le braccia al petto, nella situazione c’era qualcosa che non andava, normalmente il Capo non affidava compiti del genere ai pivellini. Respirò profondamente, imponendosi di mantenere un certo contegno, avrebbe seguito Alchermes da lontano per evitare che Cool Guy ed Angel si facessero male per davvero. E avrebbe tenuto d’occhio anche Sherry, d’altra parte aveva fatto una promessa* e, per quanto odiasse quella ragazzina, per il momento aveva altro a cui pensare. 
Si voltò di nuovo verso l’uomo, che si era appena acceso una sigaretta.
“Mi auguro che tutto vada come previsto, allora” disse, melliflua, per poi aprire la porta ed uscire dalla stanza.

***

“Moccioso! Dove ti sei cacciato?” sbraitò Kogoro dalla cucina “Dobbiamo andare da Ran!”
“Arrivo, arrivo” si lamentò l’altro, mentre infilava il braccio destro nella manica della giacca blu. Il detective borbottò qualcosa che il bambino non capì. Probabilmente lo stava insultando. Tutto nella norma.
Appena sentirono il suono del campanello, si precipitarono fuori dalla porta. Sul ciglio della strada li aspettava la macchina di Eri Kisaki, che li avrebbe portati all’ospedale.
Una volta arrivati, un’infermiera riferì loro che in camera di Ran c’era già qualcuno e che avrebbero dovuto aspettare.
“Non sarà ancora quello pseudo detective?” sbuffò Kogoro. Non ci giurerei, zietto.
“Chi può dirlo, non si è più fatto vedere dopo..” Eri non potè concludere la frase perché la porta si aprì, rivelando la presenza di un ragazzo sulla ventina. Di nuovo tu?
“Oh, buongiorno signor Mouri” esclamò Kohei inclinando la testa, sorpreso, per poi rivolgere l’attenzione all’avvocato, che lo guardò benevola.
“Ciao Conan-kun!” disse poi, sorridendo, mentre l’altro si limitò a fargli un cenno di saluto con il capo. C’era qualcosa che non quadrava in tutta quella situazione, perché Ran non gli aveva mai parlato di lui? Perché passava tutto quel tempo con lei?
“Pensavo che questo pomeriggio avessi da fare” disse Eri.
“Sì, per questo sono venuto un po’ prima, volevo salutare Ran prima di partire”
“Mi fa piacere che tu le stia vicino, sei un caro ragazzo”
“Si figuri è un piacere per me” diede un’occhiata veloce all’orologio e si dileguò, scusandosi.
Appena se ne fu andato, il trio entrò in camera della ragazza. Conan potè notare che aveva un aspetto migliore di quella mattina, sembrava meno stanca. Salutò i nuovi arrivati calorosamente per poi rispondere a tutte le domande dei genitori: “Hai mangiato?” “Come ti senti?” “I dottori ti trattano bene?” e cose del genere.
Dopo un po’ li raggiunsero anche Sonoko e Kazuha. Quest’ultima di certo non aveva un bell’aspetto, si notavano dei segni scuri sotto gli occhi, nonostante avesse cercato di coprirli con uno spesso strato di trucco. Conan si chiese cosa fosse successo, probabilmente Hattori aveva di nuovo combinato qualcosa. Se quell’ipotesi fosse stata corretta, si sarebbe spiegato il perché della sua assenza.
“Kazuha-neechan, dov’è Heiji-niichan?” nel sentire il suo nome, la ragazza si rabbuiò.
“Non lo vedo da stamattina” disse in un soffio, senza nemmeno guardarlo.
“Ah” mugugnò l’altro.
Si scusò con i presenti e uscì dalla stanza, lì non poteva usare il cellulare. Il telefono di Heiji suonava a vuoto, poi qualcuno sembrò rispondere.
“Segreteria telefonica di Hattori Heiji, detective privato. Al momento non posso rispondere. Lasciate un messaggio e vi richiamerò il prima possibile” Beep.
Sbuffando, tornò in camera. Insomma, dove diavolo si era cacciato?
Verso metà pomeriggio il dottore della sera prima si presentò nella stanza, dicendo che avrebbero dimesso Ran l’indomani mattina. Conan tirò un sospiro di sollievo, aveva temuto il peggio ma finalmente tutto si stava sistemando. Detto ciò, l’uomo invitò tutti ad andarsene, la ragazza aveva bisogno di riposare. Il gruppo si allontanò dal lettino, ma il bambino, prima di riuscire a varcare l’uscio, fu costretto a bloccarsi.
“Conan-kun?”
“Sì, Ran-neechan?”
“Puoi fermarti qui un minuto?” lui rivolse lo sguardo al medico, che annuì.
“Allora ti aspettiamo fuori” disse Kogoro, diffidente, mentre si avviava verso la sala d’attesa.
Il bambino si avvicinò di nuovo al lettino della ragazza e si sedette sullo sgabello.
“C’è qualcosa che non va?” chiese.
“No, al contrario” gli sorrise “Vorrei solo chiederti un favore”
“Di cosa si tratta?” era titubante, aveva un brutto presentimento.
“Dovresti metterti in contatto con Shinichi”
“Che?!” strabuzzò gli occhi. Non le era bastato il discorso che le aveva fatto quella mattina?
“Ho bisogno di parlargli”
“Ma..”
“Lo faresti per me? È importante..”
“Io n-non so..” balbettò. Pensava di essere stato chiaro con l'espressione ‘Devi dimenticarmi’, ma forse Ran aveva la testa più dura di quanto ricordasse “D’accordo, va bene. Cosa devo dirgli?”
“Ti ringrazio. Chiedigli venire qui, oggi a mezzanotte.”
“E come pensi possa fare?” esclamò con più enfasi di quanto volesse “Intendevo dire che..”
“Ho capito cosa intendevi, ma sono abbastanza sicura che troverà il modo per entrare anche se è fuori dall’orario delle visite” continuò lei con un sorriso a trentadue denti. Come poteva essere così felice?
Suo malgrado, Conan annuì. Non sapeva che fare, chiedere ad Haibara era impensabile, soprattutto dopo quel discorso del giorno prima. Non voleva che gli si riducessero di nuovo i globuli rossi e per questo non gli avrebbe permesso di prendere nuovamente l’antidoto. Mai, neanche sotto tortura.
Era sul punto di rinunciare, quando, verso l’ora di cena, gli venne un’idea, ma avrebbe dovuto essere prudente. Niente più passi falsi.
Era talmente perso nei suoi pensieri che ci mise un po’ per capire che il suo cellulare stava squillando. Dopo aver letto il nome del mittente, si spostò in camera sua per rispondere.
“Alla buon’ora! Si può sapere dove eri finito?” chiese all’interlocutore, seccato.
“Ho fatto un casino” sentì dire dall’altro “Mi serve il tuo aiuto”
Conan rimase spiazzato dal tono di Heiji, grave e cupo. Si tolse gli occhiali e li appoggiò sul comò, la ‘Faccenda Ran’ avrebbe dovuto aspettare.
“Ti ascolto”

***

Ran guardò l’orologio, segnava le 23.47 e di Shinichi neanche l’ombra. Al contrario dell’ultima volta, era piuttosto sicura che non si sarebbe presentato, soprattutto dopo quel discorsetto che le aveva fatto. Come poteva minimamente pensare che lei sarebbe riuscita a dimenticarlo? È difficile rimuovere dalla mente il ricordo della persona che ami. Riprese a leggere il libro che sua madre le aveva portato quella mattina, Un giorno.
Dopo una decina di minuti alzò lo sguardo dalla pagina, per rivolgerlo alla luna alta nel cielo scuro. Le scappò un sorriso.
“Sai, se tu fossi un ladro saresti già in prigione da un pezzo” disse, ridendo.
“Pensavo di non aver fatto nessun rumore” balbettò lui in tono sorpreso.
“Non sei esattamente un esempio di leggiadria” scherzò lei, voltandosi. L’amico era perfettamente nascosto dalla tendina blu che divideva la stanza in due. Nonostante non potesse vederlo, lo immaginò sorridere.
“Pensi di rimanere là dietro per tutta la sera?” chiese dopo un attimo.
“L’idea era quella”
“Huh?”
“Non riuscirei a guardarti negli occhi dopo quello che ho fatto, quindi preferisco starti lontano”
“Non mi hai guardata negli occhi neanche mentre lo facevi, se vogliamo dirla tutta”
“Touché”
“Non so a che gioco stai giocando ma potresti almeno venire più vicino? Non vorrei urlare ogni parola. Se ci sente qualcuno siamo fregati”
“Non sono stato io a proporre di vederci di notte in un ospedale” lei sbuffò.
“A proposito, come hai fatto ad entrare?”
“Segreto professionale”
“Certo” disse Ran, ridendo.
Una figura attraversò la stanza e si andò a sedere proprio accanto alla tendina, che oscillò al contatto con il suo braccio.
“Sai, tutto questo avrebbe un senso se tu avessi la faccia martoriata o qualcosa del genere che non mi vuoi mostrare ma..” borbottò, posando il libro sul comodino bianco.
“In effetti è così, mi hanno preso a pugni” disse, sarcastico.
“Che?!”
“Ran, sto scherzando”
L’altra tirò un sospiro di sollievo.
“Di che volevi parlarmi?” Si sentiva estremamente nervoso.
“Eri serio l’altro giorno? Vuoi veramente lasciarti alle spalle tutto ciò che abbiamo passato insieme?” disse d’un fiato. L’amico, nelle due ore precedenti, si era preparato per ogni tipo di domanda, ma, inspiegabilmente, le parole gli si fermarono in gola.
“Ecco.. io..” biascicò. Dì qualcosa, forza. Dove hai lasciato il coraggio? “Vedi, Ran, è che sono davvero alle prese con un caso importante e, dato che ormai sono coinvolto, non voglio mettere in pericolo nessun altro..”
“Ma se tu me ne parlassi potrei aiutarti..” stava lottando contro la voglia di girarsi e guardarlo negli occhi.
“Non è così semplice”
“Sei tu che complichi le cose”
“Credimi, non è così. Se te ne parlassi, saresti troppo esposta. Non ti devi preoccupare per me, io sto bene” Ran sospirò. Non è cambiato di una virgola.
Rimasero entrambi in silenzio per diversi secondi, un silenzio carico di parole che nessuno dei due riusciva a pronunciare. Sarebbero stati capaci di dirsi addio?
“Per quanto tempo vuoi portare avanti questa farsa?” chiese Ran. Il cuore di Shinichi perse un battito, che avesse capito tutto?
“Che intendi dire?” cercò di tenere la voce ferma, con scarsi risultati.
“Vuoi passare tutta la sera accucciato dietro una tenda?” tirò un sospiro di sollievo.
“Non mi dispiacerebbe”
“A me invece non dispiacerebbe guardarti negli occhi mentre ti parlo”
Dannazione.
Shinichi respirò profondamente, maledicendosi per essere tanto stupido. Quando si parlava di affrontare i criminali non si tirava mai indietro, ma gli bastava avere Ran accanto e di colpo perdeva tutto il coraggio, si sentiva esageratamente debole. Come quando Clark Kent si trovava vicino alla kryptonite. Ecco, l’amica d’infanzia era la sua kryptonite.
Tanto vale. Appoggiò una mano a terra e fece leva per alzarsi. Le cose non sarebbero dovute andare in quel modo, ma ormai aveva fatto talmente tante stupidaggini che una in più probabilmente non avrebbe guastato. Si maledisse nuovamente mentre sfiorava con la mano quell’orribile tendina blu.
Ran, dal canto suo, per tutto il tempo si era chiesta cosa lo avesse spinto a non volersi far vedere da lei, non credeva molto alla scusa che le aveva rifilato. Paura di guardarla negli occhi? Impossibile. Shinichi non era mai stato un codardo e pensare che avesse paura di lei le faceva venire da ridere, doveva esserci qualcos’altro. In ogni caso, lo avrebbe scoperto di lì a poco.
Tenne lo sguardo fisso davanti a sé, mentre l’ombra della tendina si muoveva sulla parete azzurrina. Vide con la coda dell’occhio una figura che lentamente scivolava verso di lei, per poi sedersi sullo sgabello accanto al letto.
“Allora?” esordì Shinichi, agitandole una mano davanti al viso “Ora che son qui non mi guardi?”
Ran rimase in silenzio, stringendo i pugni.
“Hey.. stai bene?” chiese. L’altra annuì e finalmente si voltò.
“Sei un deficiente, mi hai fatto prendere un colpo” disse ridendo appena lo vide in faccia. L’altro, dapprima stranito dalla sua reazione, la imitò.
“Sai, un po’ di tempo fa mi sono prefissato delle regole e per colpa tua ne ho infrante più della metà in soli due giorni” disse poi con una smorfia.
“Ah sì? E quali ti sono rimaste?” lo guardò di sottecchi.
“Di certo non le vengo a dire a te, mi porti sulla cattiva strada!”
“Sicuramente” lo canzonò, per poi ricominciare a ridere di nuovo.
Dopo un attimo, prese a guardare fuori dalla finestra. Il cielo era nuvoloso, ma luna era comunque visibile.
“Signor Detective, secondo lei nevicherà?” chiese, abbassando gli occhi sull’amico, che la stava guardando a sua volta, come imbambolato.
“C-che c’è?” balbettò lei. Lui parve risvegliarsi.
“Oh, ecco io.. scusa” Ran trattenne a fatica una risata. Avrebbe voluto immortalare il momento con una fotografia, tanto era buffa la sua faccia.
“Puoi sederti qui, se vuoi” disse la ragazza, quasi come un automa, indicando uno spazio vuoto sul letto. Le bastarono un paio di secondi per pentirsi di ciò che aveva detto.
Vide l’amico arrossire e spalancare appena gli occhi, probabilmente non si aspettava una richiesta del genere. Esitò, prima di aprire la bocca per ritirare le parole appena pronunciate, ma, prima che potesse farlo, Shinichi si alzò dallo sgabello per avvicinarsi al lettino. Si accovacciò goffamente nel piccolo spazio, toccando la spalla della ragazza con la propria.
“Contenta?” disse, guardandola. Lei annuì, avvampando.
Come le era saltato in mente di chiedergli una cosa del genere? Quella vicinanza la metteva a disagio, sentiva caldo in tutto il corpo e il cuore le batteva talmente forte che aveva paura che lui riuscisse a sentirlo. In quel momento si sarebbe sotterrata dalla vergogna.
“Ran..?” si sentì chiamare.
“Huh?”
“Io.. volevo dirti che mi dispiace” disse velocemente, tenendo gli occhi blu fissi su quelli indaco della ragazza. Gli erano sempre piaciuti, ricordavano il colore della lavanda.
Ran aveva le labbra socchiuse, incapace di parlare. Non ti devi scusare, avrebbe voluto dirgli, non ce n’è bisogno. Fece appena in tempo ad accorgersi di essersi avvicinata con il viso a Shinichi, prima di sentire il tocco delle labbra dell’amico sulle sue. Socchiuse le palpebre e inclinò appena la testa, chiedendosi se tutto ciò stesse realmente succedendo.
Avrebbe voluto che quel momento potesse durare in eterno, non le sarebbe dispiaciuto viverlo e riviverlo all’infinito, ma così come era iniziato, finì quando lui si staccò, tornando a guardarla. Le labbra di entrambi si incresparono in un sorriso, mentre le guance della giovane si tingevano di rosa.
“Penso di aver infranto anche l’ultima regola” disse lui, facendo ridere Ran.
“Grazie” la sentì sussurrare “per essere venuto”
Lui si strinse nelle spalle. “Volevo solo vedere com’è l’ospedale di notte”
L’amica gli tirò un buffetto sulla guancia. “Baka”
Il mio baka preferito.
Shinichi sollevò di colpo il braccio facendo sobbalzare la ragazza. Guardò l’orologio e imprecò mentalmente, era in ritardo. Si alzò in fretta dal letto, ignorando le domande dell’amica. Amica che probabilmente, dopo quella sera, non avrebbe più potuto chiamare in quel modo.

***

Heiji svoltò l’angolo e si trovò davanti a villa Kudo, si fermò un attimo, maledicendosi per la reazione che aveva avuto quella mattina. Non sarebbe dovuto scappare, aveva solo complicato le cose.
Infilò la mani nelle tasche del giubbetto di jeans e respirò profondamente, camminando fino al cancello in ferro battuto, che era stranamente aperto. Percorse il vialetto e fece per suonare il campanello, ma la porta era socchiusa, quindi entrò. Probabilmente Kazuha si era dimenticata di chiuderla una volta arrivata dall’ospedale.
Il corridoio era buio, sembrava non ci fosse nemmeno una luce accesa in tutta la casa. Che la ragazza se ne fosse andata? No, forse si era appisolata sul divano. Entrò in salotto senza accendere la luce, se la sua ipotesi era corretta l’avrebbe svegliata. Vide una figura seduta sulla poltrona al centro della stanza, non riusciva a distinguerne il profilo, appoggiò le dita sull’interruttore.
“Cerchi qualcuno, Osaka?”

----------------

Precisazioni:
*Ne "Misteri in una notte di luna piena", Vermouth promette (più o meno) a Shinichi che l'Organizzazione avrebbe smesso di dare la caccia a Sherry.

Scusate, scusate, scusate, scusate.

Sono in un ritardo assurdo, il fatto è che sono sommersa da verifiche e interrogazioni, dato che i nostri prof non sono capaci di organizzarsi e hanno bisogno di voti proprio le ultime due settimane. Ringrazio il cielo che questo sia l'ultimo anno, poi sono libera (beh ci sarebbe l'università ma whatever) 
Detto questo, cosa ne pensate? Kazuha è in stato catatonico e finisce per ascoltarsi una compilation di canzoni piuttosto datate, mentre di Heiji non sappiamo niente finchè non chiama Conan-kun. Perchè ha bisogno del suo aiuto? Non è abbastanza grande per risolvere i suoi problemi? Probabilmente sì, ma nella mia testa non è così (scusa Hattori, non volermene). 
Occhi a cuore per gli altri due! *voce drammatica* sembrava dura, ma ce l'abbiamo fatta! (Ci tengo a precisare che la storia è ambientata prima dell'avventura a Londra, dove Shinichi rivela i suoi sentimenti a Ran -vedi volume 72 file 752 - quindi in sostanza lei non sapeva di piacergli) E per la seconda volte è tornato se stesso? Come avrà fatto? Ai posteri l'ardua sentenza, direbbe Manzoni. Nella citazione c'è un indizio.
Poi abbiamo una scena con Vermouth, cosa ne pensate? Io devo dire che come personaggio mi piace, nonostante sia piuttosto ambigua, Gin mi piace un po' meno ma questa è un'altra storia. Si è parlato di Alchermes in via indiretta, prossimamente entreremo nel vivo della storia e scopriremo qualcosa di più su questo nuovo membro.
Siccome ho pochissimo tempo, faccio un ringraziamento generale a tutti i recensori e coloro che stanno seguendo o hanno messo tra i preferiti la storia, spero vogliate continuare a leggerla!
A presto (spero),

Gaia

Ps. Grazie ad una recensione ho scoperto di aver fatto un casino nello scorso capitolo, tra errori di punteggiatura, ripetizioni di parole ecc, quindi gli ho dato una sistemata e mi piacerebbe che lo rileggeste, mi vergogno da morire per quanto era scritto male ahaha
(Questo l'ho ricontrollato una ventina di volte, ma se notaste errori di qualsiasi genere non esitate a farmelo notare!)

Ps2. RECENSITEEEEEE ahahahaha

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Capitolo 8
*** Questions. ***


cap7
With you, I'm alive
Like all the missing pieces of my heart, they finally collide.
So stop time right here in the moonlight,
Cause I don't ever wanna close my eyes.

Without you, I feel broke.

Like I'm half of a whole.
Without you, I've got no hand to hold.
Without you, I feel torn.
Like a sail in a storm.
Without you, I'm just a sad song.
I'm just a sad song.

- We The Kings, Sad song



“Na-Naomi? Che diavolo ci fai qui? Dov’è Kazuha?” esclamò lui con tono acuto. L’altra non rispose, si limitò ad alzarsi dalla poltrona e avvicinarsi sinuosa verso il detective. Gli passò accanto, sfiorandogli una spalla con le lunghe dita affusolate e avvicinò le labbra al suo orecchio. Heiji poteva sentire il suo respiro caldo sul collo. Un brivido gli percorse la schiena.

“La tua fidanzata non sa che non si deve mai aprire agli sconosciuti?” gli sussurrò.
“Che intendi dire? Che le hai fatto?!” urlò lui, sempre più agitato.
“Oh, sta bene”
“Dov’è ora?”
“Chi può saperlo?” alzò le spalle, per poi voltarsi di nuovo e ricominciare a camminare verso la porta. Heiji fu più veloce di lei e, con uno scatto, la precedette, bloccando l’uscita. La ragazza non fece una piega, quasi avesse previsto quella sua mossa.
“Cosa credi di fare?” chiese con voce mielosa.
“Io? Per il momento niente, aspetto una risposta” lei alzò un sopracciglio “Dimmi dov’è Kazuha”
La voce di Heiji non era mai stata tanto ferma e seria, non avrebbe abbandonato la causa tanto in fretta, non poteva lasciare che qualcuno gli portasse via Kazuha, la sua Kazuha.
“Sai” esordì la giovane con un sorrisetto arrogante “Ogni cosa ha il suo prezzo” Heiji inorridì a quelle parole, ma si impose di rimanere calmo. Per una volta usa il cervello, ragiona.
“Non è così” disse in un soffio.
“Huh? Non ti sento, alza la voce”
“Ho detto che non è così, come puoi dare un prezzo alla vita di una persona? Con quale coraggio dici una cosa del genere? Sai, ti pensavo diversa..” la donna abbassò appena la guardia.
“Non bastano le belle parole, lo sai, Osaka?”
“Non mi chiamavi così da anni, Nakagawa” i due si erano conosciuti molto tempo prima, quando il ragazzo era stato in vacanza a Himizu.
Heiji e Naomi
, allora rispettivamente di undici e tredici anni, si erano incontrati per la prima volta un paio di giorni dopo l'arrivo della famiglia del Kansai, la madre di lei era del posto, mentre il padre era australiano e per questo, fin da piccola, era stata costretta a fare la spola tra uno stato e l'altro.
Quando Kazuha aveva fatto quella scenata un paio di giorni prima, Hattori le aveva detto la prima cosa che gli era passata per la mente, avrebbe benissimo potuto dire la verità, ma la sua testa non aveva ragionato abbastanza in fretta quando le lacrime avevano iniziato a correre lungo le guance di lei. Ancora non si spiegava di come l’amica d’infanzia avesse scambiato un semplice abbraccio con un bacio. Certo, Naomi non aveva mai nascosto di provare una certa attrazione nei confronti del ragazzo e già anni addietro aveva cercato di trasformare quel rapporto di amicizia in qualcosa di più, ma lui aveva sempre trovato il modo di evitare che succedesse. Non che non fosse una bella ragazza, tutt’altro, aveva i capelli biondo cenere che le arrivavano all’altezza delle spalle e grandi occhi scuri - di orientale aveva ben poco - semplicemente non era interessato a lei 'in quel modo'.
“Ti senti tanto cresciuto ora? Sono passati solo sei o sette anni, dopotutto”
“Sono cambiate tante cose”
“Mi chiedo se la tua amica sappia cosa c’è stato tra di noi..” scandì ogni parola, come se volesse imprimerle nella mente del detective, che strabuzzò appena gli occhi.
“Cosa diavolo dici? Non c’è mai stato niente!”
“Sei sicuro che ti creda ancora? Dopo la tua trovata di oggi io avrei qualche dubbio, caro il mio Osaka. Non lo sai che non si scappa davanti a una persona che piange?” strinse i pugni, lasciando andare le braccia lungo i fianchi al ricordo di quella mattina. Se fosse rimasto con lei non si troverebbe in quella situazione incresciosa. 
“Perché chiudiamo qui questa recita? Mi sono stancato, voglio sapere dov’è Kazuha” ripeté.
“Potrebbe essere ovunque.. dietro il divano, a casa sua o a Taiwan..” lui respirò profondamente, rassegnato.
“D’accordo, cosa devo fare per farti parlare?” alla ragazza spuntò un sorrisetto, sapeva che prima o poi avrebbe ceduto. Teneva troppo a quella ragazzina. Le due non si erano mai incontrate direttamente, ma Heiji gliene aveva parlato spesso e volentieri quindi era come se la conoscesse. Continuava a lamentarsi di lei, eppure, ogni volta che la nominava sembrava illuminarsi, il che era un paradosso, un enorme paradosso. La sua bocca diceva una cosa, i suoi occhi un'altra.
“Ho bisogno di un favore” sussurrò al suo orecchio per poi tornare a fissarlo.Lui sostenne lo sguardo, mantenendo i nervi saldi.La vide avvicinarsi sempre di più, le punte dei loro nasi quasi a toccarsi. Le labbra del ragazzo si socchiusero appena, mentre la distanza tra i due continuava a diminuire.
“Non credi di aver esagerato, Kudo?” disse, voltandosi verso la minuscola telecamera nascosta, lasciando Naomi con un palmo di muso.

***

“Non dirmi che tu..?” aveva esclamato Ran, portandosi una mano alla bocca, alla vista dell’immagine che era comparsa sul portatile.

“Shhh dopo ti spiego”
“Perc..” non era riuscita a finire di parlare, sentendo le labbra dell’amico d’infanzia sulle sue.
“Ti ho detto di stare zitta, ce la fai per cinque minuti a chiudere quella boccaccia?” lei aveva portato le braccia al petto e si era imbronciata. Spiare il suo migliore amico, che gli passava per la testa?
“Non credi di aver esagerato, Kudo?” la voce di Hattori giunse alle orecchie di Shinichi forte e chiara, grazie al microfono che aveva applicato sulla giacca di Naomi. A questo proposito le aveva chiesto di stare il più vicino possibile all’amico.
“Ti serva da lezione per la prossima volta” borbottò allora lui, saccente, parlando attraverso il lavalier*. Non diede all'altro il tempo di ribattere, chiudendo la comunicazione.
“Vuoi spiegarmi? A cosa è servita quella farsa?”
“Vuoi dirmi che non ti sei divertita?” continuò lui, ridacchiando “Sono sicuro di averti vista ridere”
“Pff okay, okay” ammise, guardando il suo sorrisetto soddisfatto.
“Comunque non l’ho fatto solo per vedere la sua faccia presa dal panico, questa mattina ha combinato un casino con Kazuha.. a proposito, credo si siano avvicinati parecchio in questi ultimi due giorni e..”
“Che hai detto?”
“Che Hattori era in preda al pan..”
“Non quello, Heiji e Kazuha stanno insieme?” chiese Ran con gli occhi sbarrati e un sorriso a trentadue denti.
“Credo che lo scopriremo domani. Ad ogni modo, questo pomeriggio, mi ha chiesto di fare in modo che Kazuha fosse a casa mia ad una certa ora, di impedirle in tutti i modi di andarsene da Tokyo, perché doveva consegnarle qualcosa di importante, credo. Poi ho ricevuto un messaggio di mia madre, dove mi confermava che la ragazza che un paio di giorni fa era stata vista con Heiji era Naomi Nakagawa, una giovane attrice che aveva interpretato un piccolo ruolo in una degli adattamenti dei libri di mio padre, quindi ho cambiato un po' il piano”
Alcuni giorni prima, dopo la telefonata con Kazuha, la ragazza aveva inviato a Ran una foto come prova del fantomatico incontro dell’amico con quella misteriosa biondina e la karateka l’aveva subito inviata a Shinichi, nella speranza che lui sapesse chi fosse - magari un’amica o una parente di Heiji. In effetti era piuttosto sfocata e gran parte dell’immagine era occupata dalle spalle del ragazzo, quindi nessuno avrebbe potuto confermare che si stessero baciando o meno, erano solo molto vicini.
“Aspetta quindi la conoscevi?”
“Sì, me ne aveva parlato tempo fa mia madre. Mi disse che era molto brava e che probabilmente avrebbe fatto strada”
“E quale idea malsana hai avuto per costruire una cosa del genere?” sbottò Ran.
“Hey calmati, era solo uno scherzo.. e poi Kazuha voleva essere sicura che Heiji non frequentasse nessuno, l’ho fatto per lei, non per me”
“Che intendi dire?”
“Che la tua amica ha seguito tutta la scena in diretta dalla camera da letto dei miei”
Ran sembrò quasi sollevata. Scrollò le spalle e prese a guardare davanti a sé, senza dire altro. Intanto, Shinichi spense il portatile e lo appoggiò sul comodino insieme agli auricolari che avevano usato per l’audio.
“Forse dovrei andare” disse dopo un po’ il ragazzo, non aveva idea di quanto l’antidoto sarebbe durato, Haibara era stata molto chiara.

“Dimmi che scherzi” sentì una voce provenire dall’altra stanza.
“Ch-che cosa?” balbettò Conan portando una mano alla testa, per poi aggiungere, a bassa voce “Professore! Non mi aveva detto che sarebbe rimasta fuori per un’altra ora?”
L’uomo si limitò ad alzare le spalle, ridacchiando.
“Cosa pensavi di fare, si può sapere?” borbottò lei, scivolando in salotto con le braccia incrociate al petto.
“Io? Oh, niente, sono solo passato a salutare
“Pensavo avessi capito quanto è delicata la situazione..” continuò sedendosi sul divano. Si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e prese a fissare il bambino, fredda “ma se sei disposto a rischiare tanto per qualcuno, beh, forse vuol dire che ne vale la pena, non credi?”
L’altro deglutì, chiedendosi se avesse davvero sentito quelle parole.
“Sì, Kudo, hai capito” disse, quasi potesse leggergli la mente “puoi prendere l’antidoto, ma sarà una versione più leggera, avrà lo stesso identico effetto ma durerà molto di meno”
Conan rimase in silenzio e scrutò Haibara con sguardo indagatore, di solito non faceva cose del genere, era diventata improvvisamente generosa? Doveva esserci qualcos’altro sotto.
“Perché mi fissi in quel modo? Sai, non sono così cattiva come pensi, ho anche un lato un po' meno sadico” si alzò e sparì in corridoio, per tornare alcuni minuti più tardi. Allungò un pugno  in direzione del detective e lasciò cadere la pillola nelle sue mani.
“D’accordo, è un prototipo che ho messo a punto di recente, in realtà non volevo dartelo finchè non fossi sicura dell’efficacia, ma tanto vale provare, magari scopro qualcosa di nuovo”
Ora tutto aveva più senso. “Credo di essermi abituato a questa situazione di cavia-umana” disse lui, lasciandosi scappare una risata.
“Io non ti ho chiesto di prenderlo, sono tue scelte e siccome sei la persona più testarda che io abbia mai conosciuto, non credo di avere alternative” disse prendendo il telecomando.
“Ti ringrazio” disse, sincero. Le era davvero riconoscente per l’impegno che stava mettendo nella ricerca della formula per l’antidoto definitivo ed era sicuro che ci sarebbe arrivata ben presto “Per.. tutto”

“Non puoi restare ancora un po’?” si sentì chiedere da Ran, che intanto aveva appoggiato la testa sulla sua spalla.
“È che ho paura che qualcuno ci senta” biascicò.
 “Ho sempre pensato che mentire fosse una tua dote innata, ma probabilmente mi sbagliavo” disse sollevando il viso per guardarlo negli occhi “C’è qualcosa che devi dirmi?”
Preso in contropiede, avvampò, distogliendo lo sguardo. Gli ci vollero alcuni secondi per riprendere il controllo di se stesso “No.. è che io.. insomma..” tossicchiò “Ricordi quando ti ho detto di aver bisogno di un po’ di tempo per ragionare e risolvere quel caso?” lei annuì, se lo ricordava eccome, avrebbe potuto ripetere ogni singola parola che aveva pronunciato quella mattina.
“Ecco, ero serio. Devo sparire dalla circolazione per un po’, è meglio per tutti”
“E per te, cosa è meglio?” Shinichi esitò, si era chiesto la stessa cosa più volte, ma alla fine aveva sempre accantonato quei pensieri, non poteva permettersi di pensare a se stesso in una situazione del genere. Proteggi chi ti sta intorno.
“Ran, ti prego”
“Voglio che tu mi risponda”
“Devo risolvere quel caso, questo è quanto” il tono serio usato dall’amico d’infanzia sembrò arrivare al cuore della ragazza come mille lame appuntite, se ne sarebbe andato lasciandola di nuovo da sola. Ma prima che Ran potesse ribattere qualcuno aprì la porta, facendo sobbalzare i due.
“Che ci fai tu qui? Non sei un paziente dell’ospedale e l’orario delle visite è finito da un pezzo!” sbraitò l’infermiera, una donna paffuta sulla quarantina.
“Lo so, mi scusi, è colpa mia. Me ne stavo andando” balbettò il ragazzo, alzandosi dal letto.
Prese il computer dal comodino e lo infilò nel borsone che aveva lasciato cadere a terra, mentre l'altra non faceva altro che ripetere che se non fosse uscito dalla stanza in un paio di secondi avrebbe chiamato la polizia. Shinichi non rivolse nemmeno un’ultima occhiata a Ran prima di aprire la porta e percorrere il lungo corridoio semi buio, mentre la giovane rimaneva in silenzio, con lo sguardo fisso sulle sue mani che stringevano convulsamente il lenzuolo bianco del lettino.
Non sentiva più niente, nessun suono giungeva alle sue orecchie, non il tonfo sordo della porta che sbatteva, non la voce dell’infermiera, assolutamente niente. Fu come se qualcosa dentro di lei si fosse incrinato nell’udire le parole del detective. Possibile che una persona riuscisse a renderla tanto felice da poter toccare il cielo con un dito ma allo stesso tempo così male da non poter respirare?

***


Il guidatore della macchina nera accostò lungo la superstrada per avvicinarsi ad un altro veicolo dello stesso colore. Gli esami che aveva ritirato avevano confermato le sue ipotesi e tutto quadrava, sarebbe stato fin troppo facile portare a termine il piano. Lasciò che le sue labbra si increspassero in un ghigno. Vedrai la tua fine.

Alchermes scese dalla macchina e si avvicinò all’altra auto. Il finestrino del lato del guidatore era abbassato e da lì usciva una sottile linea di fumo.
“Ce ne hai messo di tempo” borbottò l’uomo, aprendo la portiera.
“Ho trovato un posto di blocco all’uscita per Yokohama”
“Scoperto qualcosa?”
“Esattamente, ma non potevo dirtelo al telefono” respirò profondamente “C’è una falla nell’Organizzazione”
“Che intendi dire?”
“Shochu”
“Come lo sai?”
“Non è importante, ma credimi, è così” l’altro si portò due dita al mento per ragionare, da tempo sospettava che ci fosse una spia, ma quella persona era l’ultima della sua lista. Avrebbe risolto la questione al più presto.
“Stai pensando di eliminarlo, giusto?”
“Non vedo altra soluzione”
“In realtà io avrei in mente un modo per sfruttare la cosa a nostro vantaggio, mi basta l’okay per procedere”
“D’accordo, fai come meglio credi”
“Al capo andrà bene?”
“Ci penso io”
Alchermes sorrise, stava andando tutto esattamente secondo il suo piano. Riusciva quasi a sentire l’odore del successo. Andrà bene.
“Per l’altra questione?” chiese poi l’uomo.
“Parli di quel detective? Me ne sto occupando, ma le cose procedono a rilento” ammise.
“Non abbiamo molto tempo”
Ne era consapevole, la partita stava giungendo al termine e per il momento aveva solo un piccolo distacco dall’altro, ma aveva previsto ogni singola mossa di quel ragazzino viziato che si atteggiava a investigatore. Avrebbe catturato uno ad uno i suoi pezzi e quello più prezioso sarebbe rimasto scoperto, senza difese. Scacco matto.


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Precisazioni:
* Il lavalier è un tipo di microfono (questo per intenderci lol)

Konnichiwaaa
Come state? Sì, sono un pelo in ritardo ma meglio dell'altra volta, no? 
Cooomunque.. Scoperto il misterioso maniaco in casa Kudo! È la misteriosa ragazza con cui Kazuha pensava stesse Heiji *uuuuh*
(non sono sicura che quella frase abbia senso in italiano ma fate finta di niente) e l'artefice del misfatto è *rullo di tamburi* Shin-chan!
Colgo l'occasione per scusarmi per l'ansia che permea ogni santo capitolo, ma non riesco a farne a meno, è il mio lato sadico che mi porta a scrivere certe cose,
 quindi prendetevela con quella parte di me buh

Ma se da una parte le cose possono sistemarsi, dall'altra va tutto a rotoli. Ran viene mollata un'altra volta da sola *lacrimoni*
A proposito, suppongo aveste capito tutti quel banale indizio che ho lasciato nello scorso angolo autrice, scusate non ho saputo fare di meglio ahahaha
Per concludere, vediamo Alchermes e un misterioso uomo che parlano di un membro dei MIB che sembra essere un traditore, voi cosa ne pensate? Chi riguarderanno le famose analisi? Questo Shochu, il nostro Sherlock o altri? Esponete le vostre teorie, non abbiate paura ahah
Grazie mille a tutti coloro che stanno seguendo questa storia, davvero. Continuo a ripeterlo perchè è ciò che penso, sono felicissima che la storia vi piaccia!

A presto,
Gaia

Ps. Come ripeto tipo sempre, RECENSITEEEEE -cuore-


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Capitolo 9
*** One last time. ***


cap 8
Once again you're home alone
Tears running from your eyes
And I'm on the outside
Knowing that you're all I want
But I can't do anything
I'm so helpless baby

Everyday same old things
So used to feelin pain
Never had real love before
And it ain't her fault

-Bruno Mars, All she knows

Ran fu dimessa dall’ospedale il giorno seguente. Tornò a casa accompagnata dai genitori, Sonoko e il piccolo Conan, che per tutta la mattina non proferì parola, quasi fosse improvvisamente diventato muto. Arrivati all'agenzia investigativa, il bambino disse che si era dimenticato di dover passare dal professor Agasa  e che probabilmente non sarebbe tornato prima di sera. Non che fosse vero, voleva solo stare lontano da Ran il più possibile, vedere i suoi occhi tristi era stato abbastanza per farlo andare fuori di testa. Ho dovuto farlo, avrebbe voluto dirle, non avevo alternative, e ancora, sono qui accanto a te, non mi vedi? Ci sono sempre stato. Si sentiva in trappola, sapeva come sistemare le cose ma non poteva farlo. Tutto doveva rimanere com’era, almeno per il momento. Solo così l’amica sarebbe rimasta al sicuro.
“Non hai una bella cera” osservò Haibara alla vista del viso pallido dell’altro, che sollevò appena le spalle. Non riusciva nemmeno a risponderle. La sera prima era tornato dall’ospedale in fretta e furia, sperando di arrivare prima che l'effetto dell'antidoto si esaurisse. Si era accasciato appena entrato in casa colto alla sprovvista da uno dei solito dolori al petto, ma poi qualcosa era cambiato, si era sentito talmente male che aveva pensato di essere prossimo al collasso. Fortunatamente però, non era successo e il ragazzo ormai tornato bambino, si era lasciato cadere sul divano in salotto, stravolto. La mattina si era poi presentato sotto l’agenzia investigativa di Kogoro, dove lo aspettavano il detective, l’avvocato e l’ereditiera della compagnia Suzuki, che dopo essersi lamentata per il suo ritardo, era salita in macchina sbuffando. A quel punto Conan si era scusato dicendo che il professore non aveva sentito la sveglia suonare e si era dimenticato di chiamarlo. Nessuno aveva replicato, la “scusa-Agasa” funzionava sempre, il fatto che il bambino stesse così spesso da quello 'scienziato pazzo' non aveva mai destato sospetti.
“È stato diverso tornare bambino, questa volta, vero?” azzardò Ai. Conan sollevò la testa e prese a fissarla, per poi annuire.
“È stato molto più lento” e più doloroso, avrebbe aggiunto.
“Immaginavo, allora penso di essere quasi arrivata alla soluzione”
“Sai come creare l’antidoto definitivo?”
“Non ancora, ma la risposta arriverà molto presto. Ho fatto alcune ricerche quella pianta di cui ti parlavo e potrebbe davvero risolvere tutti i nostri problemi. Ho anche scoperto che si può acquistare legalmente quindi non dovrai macchiarti la fedina penale per la causa, Kudo” l’altro sorrise appena, lasciando andare un sospiro.
“A proposito, devi trasferirti qui per un po’, devo tenerti sott’occhio”
Conan si morse la lingua, andarsene da casa Mouri voleva dire non poter più vedere Ran per quanto tempo? Giorni, settimane o mesi? Non voleva nemmeno pensarci, e poi lei sarebbe rimasta sola, questa volta per davvero. Lui non avrebbe più potuto vegliare su di lei, tenerla al sicuro, sarebbe stato impossibile. Da quando era stato costretto a vivere nel corpo di un bambino aveva sempre cercato, nei limiti del possibile, di stabilire con la ragazza lo stesso rapporto che aveva con lei quando erano piccoli. Voleva che capisse che non sarebbe mai stata sola, ma ora si trovava a dover decidere se rimanere o andarsene, di nuovo. “E per te cosa è meglio?” sentì rimbombare nella sua testa.
“D’accordo” disse solo.

***

“Perché te ne sei andato ieri mattina?”
“Huh? Ne abbiamo già parlato, non è importante” borbottò Heiji, incrociando le braccia al petto. Kazuha gli aveva fatto la stessa domanda almeno venti volte e dava segno di non voler lasciar perdere. Quanto poteva essere curiosa?
I due amici del Kansai si trovavano sullo Shinkansen diretto a Osaka già da più di due ore. Heiji aveva dormito per tutto il viaggio, mentre la ragazza aveva passato gran parte del tempo guardando fuori dal finestrino e ripensando a tutto ciò che era successo in quei pochi giorni. Le sarebbe piaciuto fare di nuovo visita a Ran prima di ripartire ma per il giorno di Natale -l’indomani- le loro famiglie avevano organizzato un cenone in grande stile, era una specie di tradizione per loro.
“Non credi che io abbia il diritto di saperlo? Mi hai lasciata lì da sola per ore e ore!”
“La sofferenza rafforza il carattere” si lasciò scappare. Normalmente la ragazza gli avrebbe risposto per le rime, ma questa volta si limitò a sospirare.
“Non sarebbe stato più facile tornare subito indietro piuttosto che mettere in piedi una cosa del genere?” chiese lei, alzando un sopracciglio.
La ragazza aveva trascorso la giornata precedente seduta sul divano della grande villa dei Kudo, passando in rassegna gran parte dei film strappalacrime della loro videoteca. Poi, nel tardo pomeriggio, aveva ricevuto una chiamata di Shinichi.
“Dovrai fare esattamente come ti dico, okay?” aveva detto, prima di spiegarle in breve ciò che sarebbe successo quella sera.
“Hattori dovrebbe far ritorno a casa mia verso mezzanotte, ma, invece di trovare te, ci sarà qualcun altro ad aspettarlo”
“Qualcun altro?”
“Sì, capirai tutto più tardi, ma voglio che ti limiti a guardare la scena dalla camera da letto dei miei genitori. Tempo fa hanno fatto installare delle telecamere in alcune zone della casa, quindi farò in modo che il filmato arrivi in diretta sulla TV della stanza, d’accordo?”
“Suppongo di sì..” aveva detto lei, non troppo convinta, ma alla fine era andato tutto come programmato da Shinichi: tra Heiji e Naomi non c’era niente di più che un legame di amicizia e aveva anche scoperto che la ragazza era davvero simpatica, l’aveva giudicata male. Nel corso della serata -o meglio, nottata- tutti i tasselli erano andati al proprio posto ed era riuscita a riappacificarsi con l’amico d’infanzia, che ancora si rifiutava di darle spiegazioni sul perché del suo comportamento.
“Saresti potuto tornare indietro subito, non credi?” chiese, ancora.
“Mmh, Kazuha possiamo parlarne in un altro momento? Sono stanco, s t a n c o” scandì allora lui, sperando che l’altra capisse. Ma lei rimase in silenzio, con la testa abbassata.
“Ka-Kazuha, non volevo offenderti è che..” biascicò, accorgendosi dell’ennesimo guaio combinato. Conoscendola si sarebbe messa a piangere di lì a pochi secondi. “Sei un idiota” continuava a ripetere la voce di Kudo nella sua testa. 
Il detective dell'Ovest, ormai nel panico, cercò invano un modo per rimediare, ma poi la vide ridere e si immobilizzò. Possibile che stesse davvero ridendo?
“Che-che hai, ora?”
“Non cambi mai, Hattori” continuò lei, rifilandogli una gomitata nelle costole.
“Aho! Mi hai fatto male”
“Te la meritavi” esclamò con una smorfia.
Solo a quel punto i due si accorsero che tutti i passeggeri del vagone li stavano fissando, non erano mai stati tipi silenziosi, neanche da bambini.
“Mamma, guarda sembrano i due protagonisti della storia” la vocina era quella di una bimba che non poteva avere più di cinque o sei anni “Sono innamorati anche loro come Higo e Aoko*, secondo te, mamma?”
Bastò una frazione di secondo per far cambiare colore ai due ragazzi, che avvamparono.
“Dovresti chiederlo a loro, Ayaka, non a..” la donna fu interrotta dall'altoparlante, che annunciava il nome della stazione dove erano appena arrivati.
“Shin-Osaka, stazione di Shin-Osaka”
Ancora rossi di vergogna, scesero dal treno e si diressero all'area riservata ai taxi, tornare a piedi sarebbe stato impossibile. Il veicolo si fermò davanti alla casa di Kazuha e i due, scesi dalla macchina, si separarono con un impacciato ‘Ci vediamo domani’.
Sei una stupida, Kazuha.
Sei uno stupido, Heiji.

****

La Vigilia passò in un attimo e, senza che nessuno se ne accorgesse, arrivò il giorno di Natale, ma con Ran all’ospedale e il resto, nessuno aveva avuto tempo di occuparsi dei preparativi, quindi probabilmente sarebbe stato un giorno come gli altri.
Conan si alzò stancamente dal futon, dopo aver passato una decina di minuti seduto con gli occhiali tra le mani. Sospirò camminando lungo il corridoio verso la cucina, passando accanto alla camera della ragazza, stranamente vuota.
“Ran che stai facendo?” chiese sorpreso alla vista della giovane indaffarata tra pentole, vaporiere e quant’altro “Il dottore ha detto che devi stare a riposo per almeno un'altra settimana!”
“Mmh? Non c’è problema, non sto facendo alcuno sforzo” rispose lei con un sorriso. Sembrava davvero stanca, ma dall’espressione del suo viso si capiva quanto ci tenesse a preparare il pranzo.
“Sei sicura? Non voglio che tu stia male di nuovo” borbottò in un sussurro, avvicinandosi a lei.
“Lo faccio volentieri e lo sai quanto mi piace cucinare” continuò, posandogli una mano sulla testa per scompigliargli i capelli “A proposito, buon Natale”
Il bambino rimase immobile, senza dire una parola davanti al sorriso della ragazza, tanto bello quanto sincero. Conan aveva deciso di non farle sapere niente della sua partenza fino a sera, così da farle passare una bella giornata, senza altre preoccupazioni. Il detective aveva ripetuto quella frase più e più volte, prima ad Agasa, poi a sua madre, che aveva chiamato il giorno prima da Los Angeles, ed infine a se stesso, probabilmente per convincersi che era quella la verità, anche se in realtà lui voleva semplicemente conservare un ultimo ricordo della Ran felice e spensierata di un tempo e avrebbe fatto il possibile perchè tutto andasse bene.
Quando Eri, fermatasi in agenzia per la notte per stare vicina alla figlia, e Kogoro si svegliarono, rimasero sorpresi dall’energia della ragazza, che nonostante le proteste della madre proseguì per la sua strada, tagliando delle verdure che Conan aveva lavato poco prima. Tutto andò per il verso giusto, almeno fino a quando non squillò il telefono.
“Pronto?” borbottò Kogoro all’apparecchio. Possibile che neanche il giorno di Natale potesse godersi un po’ di pace?
“Salve, parlo con Mouri Kogoro-san?” chiese una voce femminile.
“Sì, sono io. Chi mi cerca?”
“Da quanto tempo! Sono la signora Edogawa, la madre di Conan-kun, si ricorda di me?” esclamò la donna.
“Oh, sì certo! Vuole parlare con il marmoc- ehm, suo figlio?”
“In realtà volevo solo riferirvi che sono appena arrivata a Tokyo, quindi domani verrò a prendere il bambino” disse lei con noncuranza, cogliendo il detective alla sprovvista.
Dall’altra parte della stanza, l'interessato si mordicchiava l’interno della guancia per la tensione, la persona al telefono doveva sicuramente essere sua madre. Yukiko aveva fatto ritorno dagli Stati Uniti solo quella mattina, proprio per mettere in scena il piano che Conan aveva elaborato con Ai: l’indomani la donna si sarebbe presentata in agenzia con un travestimento per recuperare il figlio, proprio come aveva fatto tempo prima, e in seguito portarlo a casa del professor Agasa, dove avrebbe vissuto per alcuni giorni, sotto l’occhio attento della scienziata, pronta a verificare per l'ennesima volta che le condizioni del giovane si fossero stabilizzate.
Quando Kogoro fece ritorno in salotto aveva un’aria cupa, probabilmente era preoccupato per la possibile reazione della figlia, che con il passare dei mesi si era affezionata sempre di più a quel bambino.
“Chi era?” chiese la ragazza, senza staccare gli occhi dalla TV.
“La madre di Conan, domani torna a casa” Ran si irrigidì.
“P-perché?” esclamò poco dopo, voltandosi verso il padre.
“Dice che lei e il marito sono tornati a Tokyo e vogliono passare un po’ di tempo con il bambino.. insomma, per recuperare quello perso”
“Tu..” rivolse l’attenzione a Conan, seduto accanto a lei “Lo sapevi?”
L’altro scosse la testa, senza dire una parola. In un attimo, vide Ran alzarsi e dirigersi in camera sua, ignorando richieste e domande dei genitori, speranzosi di capire il perché di tale reazione.Il silenzio regnò nella stanza per diversi secondi, il tempo era come congelato. 
“Conan-kun.. io credo che tu debba andare a parlarle” sussurrò l'avvocato Kisaki, sedendosi vicino al bambino.
“Non sono sicuro che lei sia della stessa idea” riuscì a dire.
“Sono convinta che scambiare due parole con te non possa che farle bene” continuò, sorridendogli benevola. L’altro sospirò e, alzandosi, ricambiò il sorriso. Forse aveva ragione.
“Ran..?” disse in un soffio, aprendo la porta della stanza. Le luci erano spente, la camera era illuminata solo dalla luce fioca della luna, filtrata attraverso i nuvoloni scuri. Avrebbe sicuramente nevicato l’indomani.
La ragazza era seduta sul letto, gambe incrociate e sguardo fuori dalla finestra.
“Tu lo sapevi, vero?” le sentì dire dopo secondi che gli sembrarono ore. La voce era flebile ma allo stesso tempo di una fermezza disarmante che fece cadere Conan sulle ginocchia. Si sentiva prosciugato di tutte le energie, di nuovo, e per un attimo pensò di rivelarle tutto, d’altronde non aveva più niente da perdere. 
“Mi dispiace” disse solo, facendo qualche passo nella stanza. 
“Dormiresti qui, stanotte?” chiese lei, prendendo l’altro in contropiede. Non sentendo una risposta, si voltò verso il bambino, inclinando la testa con un sorriso.
Conan esitò prima di rispondere.
“Io-io.. non..”
“Non ti mangio mica” continuò lei, ridendo.
“V-va bene” riuscì a balbettare, rassegnato. Cosa le passava per la testa? Niente di tutto ciò aveva senso, da quando era diventata così volubile?
Si mosse verso di lei lentamente, sperando che cambiasse idea. Sapeva quanto fosse sbagliato, doveva starle lontano sia da Shinichi che da Conan. Era incredibile il numero di errori che aveva fatto in una settimana: prima quella telefonata, poi l’invito ad uscire e il successivo appuntamento, le visite in ospedale e infine quel bacio. La cosa peggiore che potesse fare.
Aveva dato ascolto al suo cuore, accantonando ciò che la testa aveva da dirgli. Vattene, aspetta che arrivi il momento giusto, lasciale vivere la sua vita. Tu non la meriti.
Solo ora notava le conseguenze delle sue azioni, che gli avevano impedito di guardare Ran un tempo. Tutto sembrava completamente diverso in lei, anche quegli occhi color lavanda che tanto gli piacevano erano ormai diversi.
Raggiunse la ragazza e le si sedette accanto, per poi scivolare sotto le coperte. Lei, ora accucciata su un fianco, aveva la schiena appoggiata al muro, mentre Conan era supino, tanto vicino al bordo del letto che se si fosse spostato solo di un paio di centimetri, sarebbe sicuramente caduto sul pavimento.
“Dovresti toglierli, non credi?”
“Huh?”
“Parlo degli occhiali, li indossi anche mentre dormi?” continuò lei con un risolino mentre glieli sfilava per poggiarli sul comò. Conan si sentì avvampare quando la ragazza prese a squadrarlo in volto, cercando di scorgerne i lineamenti nonostante la poca luce. Senza le spesse lenti, tutto sembrava quadrare e la somiglianza con il suo viso si faceva ancora più evidente. Per un attimo le parve di rivivere la scena della sera prima, quando si era trovata a condividere la stessa aria di Shinichi e non riuscì a trattenere un sorriso che mise ancora più a disagio l'altro.
“R-Ran, possiamo dormire?” finse uno sbadiglio “Sono stanchissimo!”
Lei annuì, mentre Conan chiuse gli occhi e cercò di rallentare i battiti del cuore, che pareva scoppiargli in petto. 
Finì per passare un’altra notte in bianco, distratto dalla presenza dell’amica accanto a lui. Non sapeva che fare, per un attimo pensò di alzarsi e andare a dormire sul suo futon, ma Ran gli circondò il busto con un braccio, impedendogli ogni movimento. Che fosse ancora sveglia? Eppure gli occhi erano chiusi e il respiro regolare. 
Si chiese cosa avesse fatto di male per meritarsi tanti problemi. 
Dannazione.

***

“Shochu?” chiese qualcuno dall’altro capo del filo.
“Sono le 4 di notte, non potevi aspettare domani mattina per chiamarmi? Non dormo da due giorni, maledizione” mugugnò con la voce impastata dal sonno, scostandosi i capelli dalla fronte.
“Credi sia bello scoprire che fai il doppiogioco?”
“C-cosa?” strabuzzò gli occhi, non potevano aver capito tutto. Era impossibile che qualcuno sapesse la verità, impossibile. Aveva coperto bene le sue tracce, o almeno pensava di averlo fatto.
“Lo sai bene. Ascoltami, hai solo un modo per salvarti la pelle” fece una pausa, dal ricevitore giungeva solo il rumore del suo respiro pesante “Devi allearti con me”
Allearsi con Alchermes sarebbe stato estremamente pericoloso. Conosceva le capacità del nuovo membro e sapeva che se anche solo avesse fatto un passo falso, la sua vita sarebbe finita. Aveva letto tutta la documentazione arrivata dai piani alti, ma non aveva altra scelta. Se oggi scappi, domani avrai bisogno di ancora più coraggio*, si ripetè mentalmente.
“Cosa dovrei fare?”
“Pensavo avresti reagito in un altro modo, beh tanto meglio. Da dopodomani il Beika Museum ospiterà una mostra dedicata a Hokusai, durerà una settimana e vorrei che tu ti impossessassi di qualcosa..”
“È impossibile rubare in un posto del genere, dovresti saperlo meglio di me” gli giunse alle orecchie il suono di una risata soffocata.
“Il verbo giusto non è rubare, ma rapire” inorridì a quelle parole, a chi sarebbe toccata quella sorte? Era nell'Organizzazione da solo alcuni mesi, ma non gli ci era voluto molto per capire il meccanismi che la regolavano. Rapimento equivaleva a morte certa per l’ostaggio. Rabbrividì.
“Chi?”
“Ran Mouri” continuò con un ghigno “Ti manderò per e-mail i dettagli, prova a dire una sola parola ai tuoi amici americani e te ne pentirai amaramente”
Shochu rimase immobile con il telefono ancora accostato all’orecchio, nonostante Alchermes avesse riattaccato da un pezzo. Il piano stava andando a rotoli, nonostante ci avesse lavorato per più di un mese intero. Le possibilità di trarre la ragazza in salvo erano minime, anzi quasi inesistenti, ma tanto valeva provare, ormai non c’era più niente da perdere.

***

Dopo un interminabile viaggio in auto da Yokohama, aveva raggiunto di nuovo Tokyo, dove finalmente avrebbe ottenuto la sua vendetta. 
Con un binocolo a visione notturna in mano riusciva a vedere qualsiasi zona della città nel raggio di diverse centinaia di metri, compresa la stanza di un albergo di lusso appena fuori dalla zona di Haido.
Concedimi solo un paio di altre mosse e goditi i tuoi ultimi istanti di felicità, perchè sarò io a vincere.

--------------
Precisazione:
*citazione di Koyano Takao.

Alohaaa
Qualcuno si ricorda ancora della mia storia? Non aggiorno da quanto? Due settimane? Sob perdonatemi, ma mi ci è voluto un secolo per scrivere questo capitolo, è stato un parto, avevo in mente le varie scene ma non riuscivo a descriverle bene e questo è il risultato! (Non che mi piaccia particolarmente ma ho riletto questa parte per talmente tante volte che pensare di riscrivere tutto da capo mi fa venire la nausea lol).
Coooomunque.. Kazuha ed Heiji si sono riappacificati definitivamente, ma si sentono comunque in imbarazzo per la situazione, perchè nonostante sappiano di essere innamorati uno dell'altra rimangono due tonni (cit), quindi..
La scena tra Ran e Conan l'ho avuta in mente per una cosa come tre settimane, all'inizio non doveva nemmeno essere così ma avevo paura di allungare troppo il capitolo e mi dovuta trattenere *sigh*
Per concludere, Shochu è in trappola e sarà costretto a rapire miss Mouri, come andrà a finire? E ancora, su chi vuole avere vendetta Alchermes? Questo e altro lo scoprirete prossimamente dun dun dun
Mi duole dirvi che ci stiamo pericolosamente avvicinando alla fine, ho le idee abbastanza chiare su cosa succederà, ma è ancora tutto da vedere.
E niente, ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli, chi ha messo la storia tra le preferite o le ricordate e anche chi ha solo letto.
A presto,
Gaia

Ps. Recensiteeeee ahaha e fatemi sapere le vostre teorie sui vari personaggi, voglio vedere se qualcuno ci azzecca ahah
Ps2. I personaggi della bambina del treno sono inventati, non so se esiste una storia con protagonisti Higo e Aoko, sono i primi due nomi che mi sono venuti in mente. Nel caso esistesse, ogni riferimento è puramente casuale lol
Ps3. Mi stavo dimenticando di una cosa superimportante (credo?).. il Natale in Giappone si festeggia in maniera diversa rispetto a come facciamo noi, suppongo lo sappiate già, ma in ogni caso ho voluto comunque fare in modo che la scuola fosse chiusa e idem per l'agenzia di Kogoro e lo studio legale di Eri (non è specificato ma si capisce lol)

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Capitolo 10
*** Plan B. ***


cap 9

Did I ask too much
More than a lot
You gave me nothing
Now it's all I got
We're one
But we're not the same
Well we hurt each other
Then we do it again

- U2, One

La notte passò più in fretta di quanto si aspettasse e mentre Ran socchiudeva gli occhi al suono della sveglia ripensò a quanto gli sarebbe mancata la sua faccia assonnata di prima mattina.
“Dormito bene?” chiese la ragazza stiracchiandosi.
“Certo” rispose l’altro, annuendo. Vorrei aver dormito, in realtà.
Dopo aver fatto colazione, iniziarono ad impacchettare la roba che Conan si sarebbe portato via e riuscirono a finire solo un attimo prima che suonasse il campanello. Il bambino vide Ran irrigidirsi, ma fece finta di niente.
Tutto andò secondo il piano prestabilito, Yukiko si presentò a casa Mouri con lo stesso travestimento utilizzato quasi un anno prima e, dopo aver scambiato quattro chiacchiere con Kogoro ed Eri, si era allontanata insieme al figlio, mentre Ran era rimasta in silenzio per quasi tutto il tempo, mostrando un sorriso tirato.
“Eccoci qua, corri più in fretta che puoi e cerca di non farti vedere da nessuno” trillò la donna appena la macchina si fermò davanti alla casa del professore.
“Lo so, lo so” rispose l’altro in un soffio, prima di aprire la portiera.
“Andrà tutto bene, la tua amica bionda mi ha spiegato per filo e per segno cosa vuole fare. È un buon piano, sono sicura che tornerai a.. Shin-chan! Mi stai ascoltando?”
“Mmh” mugugnò lui annuendo. In realtà non aveva sentito una singola parola, continuava a ripensare a quel mezzo sorriso che Ran aveva avuto stampato in faccia per tutta la mattina.
Ogni volta che sentiva la solita vocina in testa che gli diceva quanto fosse stato stupido a decidere di lasciarla sola ripeteva a se stesso che era giusto così, perché in quel modo le cose si sarebbero sistemate. Trasse un respiro profondo e scese dall’auto della madre con il borsone sulla spalla.
“Più tardi torno a salutarti come si deve, tra poco tuo padre ha l’ennesima conferenza sul suo ultimo libro e..”
“D’accordo” continuò, facendo sbattere la portiera dietro di sé.
“Shin-chan!” lo chiamò Yukiko, quando ormai aveva già varcato il cancello. Si voltò verso la donna, svogliato.
“Andrà tutto bene, okay? Abbi fiducia, lei sa il fatto suo”
“Certo” disse lui, senza sapere a chi si stesse riferendo, ma poco importava.

***

Shochu passò l’intera nottata insonne, cercando di capire cosa l’avesse tradito. Perchè doveva essere stato per colpa sua. Conosceva solo un’altra talpa nell’Organizzazione ma aveva la certezza che non fosse stata lei a farne parola con Alchermes o altri. Non avrebbe avuto alcun senso fare una cosa del genere.
A quel punto poteva mandare davvero tutto all’aria e rifugiarsi in qualche paesino sperduto in Svizzera e dintorni, ma già da tempo aveva capito che era impossibile essere in qualsiasi modo al sicuro una volta entrati in contatto con quelle persone, era come avere un marchio di riconoscimento sulla pelle. Non ci avrebbero messo più di un paio di settimane a scoprire il suo nascondiglio. E poi prendendo quella decisione avrebbe cancellato mesi e mesi di lavoro, non poteva nemmeno pensare di fare una cosa del genere, era una questione troppo importante.
Quella mattina finse che non fosse successo niente, cercò di non dare nell’occhio, nonostante sapesse che molto probabilmente erano state piazzate diverse telecamere lungo i suoi percorsi abituali.
Aveva riletto centinaia di volte la mail che Alchermes aveva inviato al suo indirizzo di posta elettronica, cercando di memorizzare il piano e trovare eventualmente una via d’uscita per salvare la ragazza. Doveva esserci per forza, inspiegabilmente i loro programmi non erano mai davvero completi, c'era sempre un particolare apparentemente insignificante che trascuravano.
Man mano che il tempo passava riusciva sempre di più a capire i vari componenti di quella banda di criminali, prima di iniziare la missione gli erano stati dati gli schedari di gran parte dei membri, quelli ritenuti più importanti e pericolosi dall’agenzia per cui lavorava.
Per quanto gli era stato concesso di sapere, c’erano almeno quattro spie all’interno dell’Organizzazione, ma gli era stato riferito un solo nome: Hidemi Hondo alias Rena Mizunashi alias Kir, agente della CIA sotto copertura da diverso tempo. La sua storia era piuttosto travagliata, aveva sentito parlare di coma, presunte alleanze con l'FBI e una miriade di altri episodi che non gli sarebbe servito conoscere. Dalla prima volta in cui l’aveva vista il giorno del suo arrivo, l’aveva presa come punto di riferimento, seguiva i suoi ordini e non la contraddiceva mai.
“Rispetta i tuoi superiori” si era sentito ripetere per anni.
Ripetè il contenuto della mail mentalmente e respirò profondamente, prima di raggiungere l’indirizzo stabilito da Alchermes. Non conosceva il suo vero nome, ma aveva come la sensazione di aver già visto il suo viso da qualche parte.
“Finalmente” sentì dire alle sue spalle appena fu nel locale. Il bar era piuttosto affollato, pieno di coppiette che dividevano frappé dall’aria non troppo invitante e studenti ancora in divisa scolastica che tentavano di studiare enormi paragrafi sulla storia dell’Impero giapponese, invano.
“Mi hanno fermato per strada e ho fatto tardi”
“Non è vero” proseguì, tornando a fissare il proprio frappè, un intruglio rosa e bianco probabilmente alla fragola. Disgustoso.
Tutto in quel posto era disgustoso, se l'idea del designer era quella di ricreare un diner americano di fine anni Cinquanta, aveva toppato in pieno. Niente di tutto ciò ricordava l’America. Niente tranne la minuscola bandierina disegnata sui tovaglioli.
“Non è vero” ripetè, mostrando un sorriso sbilenco.
“Riesci a fare del sarcasmo anche in questo momento?”
Scrollò le spalle, mentre una cameriera avanzava verso di loro.
“Ordina qualcosa?” chiese gentilmente.
“Solo una Coca, grazie” la vide annuire e scribacchiare sul block notes.
Per diversi minuti i due colleghi rimasero in silenzio, lasciando che il caos del posto riempisse quegli attimi precedenti al punto di non ritorno. Il piano di Alchermes sembrava piuttosto solido, ma era anche molto banale, forse dovuto all’età poco matura di chi l’aveva organizzato.
Il rapimento di Ran Mouri si sarebbe tenuto l’ultimo giorno della mostra, quando probabilmente ci sarebbe stato meno afflusso di partecipanti, allo stesso tempo la sicurezza sarebbe calata e il tutto sarebbe risultato estremamente semplice.
“Non pensavo sarebbe stato tanto facile convincerti a partecipare” disse tra i denti, giocherellando con la cannuccia bicolore.
Mantieni la calma, si ripeté mentalmente.
“Non avevo scelta, suppongo”
Alchermes iniziò a ridere di gusto. “Ti facevo più intelligente, sai?”
“Gli errori dell’uomo sono in realtà ciò che lo rende amabile*” disse di rimando, sovrappensiero.
“Pensi che citare Goethe cambierà la mia opinione su di te?”
Si strinse nelle spalle e prese a mescolare con la cannuccia la Coca che la cameriera aveva appena portato. Non che avesse veramente voglia di berla, anzi, era un fascio di nervi e pensare di bere o mangiare qualcosa gli faceva venire la nausea, nonostante cercasse di mantenere un’aria tranquilla e rilassata.
“Ti è chiaro il piano?” chiese di nuovo, senza interesse.
“Suppongo di sì, ma è necessario coinvolgere quella ragazza? Non ha niente a che fare con..”
“La cosa non mi riguarda” proseguì, alzandosi.
“D-dove vai? Pensavo dovessimo discutere del piano”
“Hai detto di aver capito quindi il mio lavoro è concluso. Quando ci rivedremo farai bene ad avere la figlia del detective con te, altrimenti sai cosa ti aspetta, no?” continuò, senza volere davvero una risposta.
“Solo un’ultima domanda!” disse con tono di supplica. Doveva sapere.
“E sia”
“Come mi hai scoperto?”
Alchermes rise di nuovo, questa volta con meno enfasi.
“Dico solo che i tuoi amici americani avrebbero dovuto insegnarti un po’ meglio come non lasciare impronte ovunque e magari anche a recitare, no?” continuò, per poi voltarsi e dirigersi verso l’uscita.
Shochu rimase immobile a fissare la porta che si apriva e si chiudeva alle sue spalle, mentre una macchina nera si fermava davanti al diner e Alchermes vi saliva, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata. E in quel momento si rese conto di quanto tutti nell’Organizzazione avessero sottovalutato il nuovo membro. Imprecò, lottando contro il desiderio di prendersi a pugni per la sua sconsideratezza.
Poi sentì squillare il telefono.
“Dimmi” disse solo. Un'unica persona conosceva quel numero.
“È tutto a posto, siamo pronti a procedere” era una donna a parlare.
“D’accordo, abbiamo cinque giorni. Pensate di farcela? Io ho le mani legate”
“Credo di sì, ma abbiamo una sola possibilità”
“Ne sono consapevole”
“A proposito, hai saputo come ti ha scoperto?”
Esitò prima di rispondere.
“Ti spiegherò tutto più avanti, non c’è tempo” detto ciò chiuse la chiamata e tornò a fissare il bicchiere con la Cola, dove il ghiaccio era ormai praticamente sciolto.
Non era il momento di auto commiserarsi, avrebbe pensato a maledirsi più tardi. Doveva solo seguire il piano, niente di più facile.

***

Conan entrò nella stanza che avrebbe diviso con il professore, purtroppo la camera degli ospiti era ormai occupata a tempo pieno da Ai quindi avevano dovuto arrangiarsi come meglio potevano, sistemando un futon accanto al letto di Agasa.
Prese ciò che gli serviva e tornò in salotto, dove la piccola scienziata stava guardando svogliata un programma alla TV.
“Non ti va proprio di stare qui, giusto Kudo-kun?”
“Non è che non mi vada” sospirò “È solo che odio dover guardare tutto da fuori senza poter fare niente”
“Dovresti essere un po’ più paziente, ma in ogni caso non penso che mi ci vorrà molto prima di arrivare alla formula dell’antidoto definitivo”
“Lo so”
Avevano passato tutto il pomeriggio ad organizzare il viaggio che lei e il professore avrebbero intrapreso l’indomani per recuperare l’astragalo nel negozio di un amico di Agasa a Tsuruoka - ancora non si spiegava come facesse a conoscere persone che commerciavano piante rare -. Non avrebbe fatto domande, tutto ciò che gli serviva sapere era che a breve sarebbe tornato adulto, o almeno ci sperava.
“Shinichi-kun?” si sentì chiamare dal professore.
“Huh?”
“Vieni un momento, c’è una cosa che devi sentire”
Si alzò controvoglia e lo raggiunse nell’altra stanza, dove l’uomo gli porse delle cuffie, che l’altro si mise.
“Di che si tratta?”
Gli fece cenno di aspettare, come a dire che avrebbe capito da solo nel giro di un paio di secondi.
“Shochu?” sentì chiedere.
“Shochu? È nell’Organizzazione? Ci avrei scomm..”
“Continua ad ascoltare”
“Sono le 4 di notte, non potevi aspettare.. per chiamarmi? Non.. due giorni, maledizione” la comunicazione era piuttosto disturbata.
“Credi.. scoprire che fai il doppiogioco?”
Il suo cuore perse un battito a quella domanda. Che fosse un altro infiltrato?
Ascoltò il resto della conversazione incuriosito e al contempo spaventato, se quella persona era una spia allora chi era il nemico? Dannazione dannazione dannazione. Quando iniziarono a parlare del rapimento sentì la terra mancargli sotto i piedi, mentre le parole e le voci dei due interlocutori si sovrapponevano tra loro nella sua testa, ripetendo le stesse cose più e più volte, quasi fossero i brani di un disco rotto.
Non fece il minimo movimento finchè in stanza non entrò Haibara, che, preoccupata per il viso dell’altro tanto pallido da sembrare un lenzuolo, chiese cosa fosse successo.
“Ran” disse in un soffio “Vogliono rapire Ran”
La scienziata sbiancò, ma fu cosa di un secondo, l’attimo successivo aveva già recuperato le cuffie che Conan teneva tra le mani e aveva iniziato ad ascoltare il messaggio.
“Dobbiamo fare qualcosa” osservò dopo aver sboccato la registrazione.
“No” sentì dire dall’altro.
“Che?!” esclamarono all’unisono Agasa e la bambina.
“Non possiamo fare niente ora, io non posso fare niente” disse lui, con tono non troppo fermo “l’unica possibilità che abbiamo è che Haibara riesca a sviluppare l’antidoto in tempo, pensi di farcela?”
“Non posso saperlo con certezza, almeno finchè non ho la pianta tra le mani” ammise lei.
“Allora ci atterremo al piano già stabilito. Domani voi andrete a Tsuruoka e ci rivediamo qui dopodomani. Se ho ragione non agiranno prima della fine della settimana”
“Potremmo contattare l’agente Jodie così da tenere d’occhio Ran-kun..” propose Agasa.
“Si insospettirebbe”
“Ne sei proprio sicuro, Shinichi-kun?” chiese l’uomo con tono supplichevole, sperando in una risposta negativa ma quando lo vide sorridere con il capo abbassato, si rassegnò all'evidenza. Quel ragazzino era fin troppo testardo, lo era sempre stato.
Lasciò andare un sospiro. “E va bene, faremo così”

 

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Precisazioni:
*citazione da Massime e riflessioni di Johann Wolfgang Goethe, 1833
 

Konnichiwaaaa 

Avrei voluto aggiornare prima ma con la maturità in ballo mi risulta complicato anche accendere il computer
detto questo, abbiamo un capitolo quasi totalmente dedicato a Shochu ed Alchermes, che si incontrano in un improbabile diner in stile pseudo americano degli anni Cinquanta, che bel quadretto eh?
Poooi Shin-chan si trasferisce da Agasa e BAM scopriamo che stanno tenendo d'occhio Shochu (questo dovrebbe farvi pensare, chi può mai essere? Io non parlo zan zan)
In effetti è un capitolo è un po' povero, lo riconosco, ma mi serve per collegarmi al prossimo dove si svolgerà l'azione *urla disperate* ma non voglio anticiparvi troppo uhuh
Non so bene quando riuscirò ad aggiornare, credo dopo gli orali, quindi il 2 luglio, non vogliatemene.
Spero vi sia piaciuto comunque e ci vediamo con il prossimo (che probabilmente sarà il penultimo/terzultimo prima dell'epilogo)
A presto,
Gaia


Ps. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno recensito, messo tra le seguite/preferite/ricordate♥
Ps2. Per la vostra gioia (o forse no?) sto già scrivendo una nuova storia, che si chiamerà Treacherous o Beating heart, sono ancora indecisa ahah quale vi piace di più?
Ps3. Sentitevi liberi di recensire, non mangio nessuno!

 

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Capitolo 11
*** Once again. ***


cap 11
And there's no such thing as a beautiful goodbye
As an ordinary day I prayed for you a thousand times
It's never enough
No matter how many times I tried to tell to tell you this is love

If tomorrow never comes I want you to know right now that I
I'm gonna love you until the day I die
If tomorrow falls asleep can you hold me first
I'm gonna love you like it's the last night on earth

- Delta Goodrem, Last night on Earth


Tutto procedette secondo i piani e nessuno toccò Ran prima del previsto. Haibara e il professor Agasa avevano tenuto d’occhio casa Mouri per tutta la settimana cercando di farsi notare il meno possibile. Nel corso degli ultimi mesi avevano stilato una lista di possibili membri dell'Organizzazione che sotto copertura si erano avvicinati alla famiglia del Detective Dormiente e ai loro amici, ma alla fine i sospetti si erano rivelati infondati.
Un unico nome era rimasto in forse, o almeno fino a quella chiamata. Scoprire che quella persona fosse in realtà sotto copertura per la CIA, l'FBI o chissà quale altra agenzia - d’altronde al telefono avevano parlato di ‘amici americani’ - aveva lasciato senza parole sia Conan che Ai. Quante altre spie si nascondevano tra gli Uomini in Nero? Quante persone potevano avere la forza di accettare un incarico così pericoloso? 
Se non altro il giovane detective aveva potuto tirare un sospiro di sollievo dopo giorni e giorni passati a preoccuparsi per Ran, che tra l'incidente e il resto non aveva avuto esattamente una settimana tranquilla. Ora però la ragazza era davvero in pericolo e avevano una sola possibilità di salvarla. 

***

Per le vie della città il ragazzo camminava con le mani in tasca, ripassando mentalmente il piano. Il suo compito era tanto semplice quanto necessario.
Appena avvistò il museo trasse un respiro profondo ed entrò in una cabina telefonica, compose il numero e aspettò che qualcuno rispondesse.
“Sì?”
“Sono qui, possiamo procedere”
“La vedi?”
“Sì, è davanti all’entrata”
“Perfetto. Sii cauto, d’accordo? Non dare nell’occhio come tuo solito”
“Faccio quel che posso” disse, sarcastico.
“Sono serio, per una volta evita le tue scenate” borbottò. In tutta risposta l’altro rise e riagganciò.
Uscì dalla cabina telefonica che aveva già ripreso a nevicare. Rabbrividì. Odiava il freddo più di ogni altra cosa.
Guardò davanti a sé, in direzione della ragazza che giocherellava con una ciocca di capelli tenendo lo sguardo fisso a terra. Non aveva un ombrello ma non sembrava importarle. Probabilmente neanche si era accorta della neve, persa com’era nei suoi pensieri.
Vide una figura avanzare verso di lei. Era ancora piuttosto lontano quindi era impossibile riconoscere i suoi lineamenti ma quando questo si avvicinò a Ran per salutarla ebbe la conferma.
Si va in scena.
Quando i due si voltarono per entrare nel museo li seguì, sarebbe andato tutto per il meglio. O per lo meno, era quello che sperava.

***

Entrata nel museo, Ran si guardò intorno meravigliata. Le piaceva visitare luoghi del genere nonostante non lo facesse spesso. In ogni caso, dopo la partenza di Conan si era chiusa in casa e non aveva voluto saperne di uscire. Nonostante le mille proposte della madre e di Sonoko lei aveva preferito rimanere in camera sua, sembrava quasi avesse perso tutta l'energia che aveva in corpo, il che era inspiegabile, non aveva reagito in quel modo nemmeno dopo che Shinichi le aveva chiesto di dimenticarlo.
Ma poi le era arrivato un messaggio di Kohei, le chiedeva di accompagnarlo al Beika Museum per la mostra dedicata a Hokusai e a quel punto non era riuscita a rifiutare, forse sarebbe riuscita a pensare ad altro per qualche ora.
Si voltò verso l’amico, intento a leggere un volantino informativo.
“Stai bene?” chiese lui, spostando l'attenzione su di lei.
“Yup” rispose in fretta “mai stata meglio”
“Grazie, Kohei” disse poi in un soffio, senza nemmeno guardarlo.
“E di che?” Lei si strinse nelle spalle e senza dire altro si diresse verso una delle opere d'arte.
Mi spiace, Ran.

***

Nella sala monitor le guardie giacevano a terra esanimi, mentre due individui controllavano la situazione all’interno del museo comodamente seduti sulle poltrone girevoli. Alchermes non si era mai fidato di Shochu che alla fine si era dimostrato per quello che era, un traditore. Non che cambiasse molto le cose, in realtà. Aveva avuto un suo piano fin dall’inizio e tutto stava procedendo come programmato. Mancava solo qualcuno all’appello, ma sarebbe arrivato sicuramente a momenti. Non avrebbe mai lasciato andare la sua bella senza lottare.
Aveva passato mesi a raccogliere informazioni sul giovane investigatore privato di cui tutti parlavano, Shinichi Kudo, ma non aveva scoperto molto che potesse essergli d’aiuto nell’impresa.
Dal fascicolo compilato su di lui che aveva trovato in uno degli archivi del quartier generale risultava morto, ma più volte il suo nome era comparso nei giornali posteriori alla data del presunto decesso. Diverse persone avevano testimoniato di averlo visto risolvere casi dopo essere apparso dal nulla sulla scena del delitto. Era solo un ragazzino stupido, arrogante e vigliacco. Un classico.
Sarebbe stato facile metterlo fuori gioco, estremamente facile, anche se la sua vera preda non era lui. Certo che no. L’avrebbe solo usato come pedina per arrivare al vero obiettivo e a quel punto avrebbe potuto ottenere la sua vendetta.
Alchermes osservava le immagini muoversi sugli schermi in compagnia dell’unica persona all’interno dell’Organizzazione di cui si fidasse.
“Quanto credi che ci vorrà?” si sentì chiedere.
“Massimo venti minuti e siamo fuori di qui” borbottò, dopo aver osservato a lungo l’orologio che portava al polso. L’ultimo ricordo di un padre che non aveva mai conosciuto.
Era morto in un incendio alcune settimane prima che nascesse. Per anni aveva chiesto alla madre una spiegazione, ma nemmeno lei sembrava sapere molto. Per questo alla fine aveva deciso di indagare per conto suo.
Un paio di anni prima, mentre rovistava negli archivi di una biblioteca newyorkese alla ricerca di qualche informazione valida, aveva trovato un articolo dove compariva proprio il nome di suo padre. Il giornalista, un certo Sam Lawrence, riportava un’intervista fatta ad un investigatore privato che diceva di conoscere l’uomo. Il detective spiegava inoltre che in base ad alcuni particolari era piuttosto certo che l’incendio fosse di origine dolosa, al contrario di quanto aveva affermato la polizia. Dopo aver riletto l’articolo diverse volte, si convinse che forse quell’investigatore di cui non veniva fatto il nome poteva aver ragione.
Con il tempo era riuscito a scoprire che suo padre aveva indagato per anni su una misteriosa Organizzazione della quale si sapeva ben poco. Secondo la teoria più accreditata era stato proprio uno dei membri della stessa a far fuori suo padre e la moglie. Da diverso tempo era consapevole di essere nato da una relazione extraconiugale, quindi venire a sapere che l'uomo vivesse con un'altra donna - sua coniuge, appunto - non era stata esattamente una sorpresa.
Ma poi era arrivato ad un punto morto e qui aveva deciso di entrare a far parte dell'Organizzazione stessa. Solo così avrebbe potuto scoprire di più. 
Una volta trovato il nascondiglio sarebbe stato facile diventare uno di loro. D’altronde sua madre aveva recitato a Broadway per anni, quindi avrebbe semplicemente continuato la tradizione di famiglia. Più o meno.
Non ci era voluto molto poi per scoprire il responsabile - o meglio, la responsabile - dell’incendio e da lì aveva seguito il suo piano per filo e per segno. Kudo non era altro che l'ultimo pezzo da abbattere prima di arrivare a lei. Il detective liceale più famoso del Giappone ridotto a banale esca, che umiliazione.
“Hey” la voce del compagno riscosse Alchermes dai suoi pensieri “sono scomparsi dalla visuale”
“Che? Ci sono zone non coperte?”
“Così pare..” ammise preoccupato l’uomo, ma prima che l’altro potesse replicare, Shochu e la ragazzina riapparsero nei monitor. Era stata questione di un attimo. Avevano avuto la stessa reazione quando un ragazzo si era avvicinato ai due, ma anche in quel caso la scena non era durata più di un paio di secondi, quindi non potevano aver parlato.
Tirò un sospiro di sollievo e guardò di nuovo l’orologio. Quindici minuti. Tutto procedeva come da programma e di lì a poco sarebbe iniziato lo spettacolo.
“Andiamo” disse Alchermes al collega, quando la coppia si diresse verso l'uscita di sicurezza. Lì li aspettava una macchina scura che li avrebbe condotti nel punto prestabilito. 

***

Ran si ritrovò nell’oscurità più completa senza quasi rendersene conto, in un paio di secondi aveva visto svanire l’esagerata illuminazione della sala del museo, mentre una mano premeva sulla sua bocca, impedendole di parlare. Aveva anche entrambe le braccia bloccate. Come diavolo era finita in quella situazione?
“Mmh.. mmh” mugugnò, cercando di divincolarsi dalla presa dell’altro. 
“Shhh” si sentì dire all’orecchio.
Non poteva stare zitta, voleva urlare, chiedere aiuto a chiunque fosse disposto ad ascoltarla. Avrebbe potuto usare il karate per liberarsi, ma. Primo, era davvero troppo buio attorno a lei, sarebbe stato rischioso; secondo, sentiva ancora dolori dovuti all'incidente della settimana prima lungo tutta la colonna vertebrale e lo sterno, non sarebbe riuscita a fare molto.
Sentì una voce familiare nella testa: “Rilassati. Andrà tutto bene”, ma ci mise un attimo per capire che non si trattava di un pensiero. Le parole arrivavano dalla persona che le teneva la mano sulla bocca. Spalancò gli occhi e si voltò appena, come se così facendo potesse vederlo. Ma non le serviva vedere chi c’era con lei in quello stanzino, sala o corridoio che fosse, non più.
“Prometti di non urlare” sussurrò di nuovo l’altro.
“Mmh” cercò di dire lei, annuendo. 
Lo sentì sbuffare, per poi togliere la mano dalla sua faccia.
“Sei un idiota, Shinichi” borbottò, incrociando le braccia al petto “La prima volta non ti era bastata?”
“Se sapessi perché l’ho fatto non diresti così” rispose lui allontanandosi appena “E poi avevi promesso di stare zitta”
“Idiota. Idiota. Idiota. Idiota”
A dispetto delle parole, nel suo tono non c’era alcuna traccia di durezza, era felice che lui fosse lì con lei e, nonostante le mille domande che avrebbe voluto fare - Perché ci troviamo qui? Dov’è Kohei? Cosa diavolo sta succedendo? - non disse altro quando sentì mani del ragazzo sfiorare le sue. Ma durò un secondo.
“Ran, dovrai fare tutto ciò che ti dico, d’accordo?”
“Ma..”
“Per favore”
“Okay”
Shinichi sospirò, sollevato. Deglutì e lasciò che la sua mano destra andasse a cercare quella della ragazza. Quando la trovò la strinse, chiedendo all’amica di non lasciarlo per nessuna ragione. Disse anche di prepararsi a correre.
Ran avrebbe voluto replicare, ma rimase in silenzio, ripetendosi mentalmente che tutto presto sarebbe finito e che finchè lui fosse rimasto al suo fianco non le sarebbe successo niente.
Shinichi aprì la porta e i due si ritrovarono in un corridoio appena illuminato dalla luce proveniente da una porta aperta che dava sulla sala principale del museo. Ricordò di averla attraversata con Kohei solo una decina di minuti prima, ignorava cosa fosse successo dopo.
Entrati nella sala dell’esposizione, si fecero largo tra i visitatori cercando di non farsi notare troppo fino ad arrivare all’uscita principale.
“Dietro l’angolo ti aspetta mia madre” disse il ragazzo indicando con la testa una via poco distante “Ti spiegherà tutto lei”
“E tu dove vai?” chiese, forse troppo decisa.
“Lo saprai tra un attimo, ora dovresti andare”
Ran non disse altro, non tanto perché non volesse quanto perché l’amico approfittò di quell’attimo di distrazione per attirarla a sé e baciarla. Le bastò un secondo per perdere quel poco di lucidità che le era rimasto.
“Com’è che sembra che tu mi stia salutando per l’ultima volta?” chiese lei, appena lui si fu scostato.
Shinichi non rispose, si limitò a sorridere e ad invitare di nuovo la ragazza a raggiungere sua madre. Nemmeno lui avrebbe saputo rispondere, per quanto ne sapeva poteva anche essere così. 

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Buonaseeera 

A chi sono mancata? (Nessuno, immagino, ma d'altronde non posso farci niente ugh)
Spero non vi siate dimenticati della mia storia, avrei davvero voluto aggiornare prima ma davvero non ho avuto nemmeno il tempo di respirare in queste ultime settimane.
Comunque ora ci siamo, no? La scorsa volta ho promesso che in questo capitolo ci sarebbe stata più azione ma tutti diciamo bugie (I've never told a lie and that makes me a liar.. no okay non c'entra). In realtà l'idea era quella, la scena del mseo doveva durare poco ma poi ho iniziato a descrivere vita morte e miracoli di Alchermes e la cosa mi è sfuggita un po' di mano oops
In ogni caso vedrete l'azione nel prossimo capitolo (parola di scout), dove tra l'atro scopriremo chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Alchermes. L'identità del povero Shochu è invece già stata svelata, quanti di voi avevano sospettato di Kohei? Io no, mai. 
E il baldo giovine che compare all'inizio chi sarà mai? Beh non che ci sia molta scelta uh 
E niente, non so che altro dire, sarà perchè sto dormendo in piedi (capitemi, ormai ho una certa età) quindi in caso mi venisse in mente altro ve lo dirò nel prossimo capitolo, che spero di finire a breve.
Grazie mille a tutti coloro che seguono la storia, davvero. Vi mando un cuore virtuale♥
A presto, 
Gaia

ps. ancora devo decidere se chiudere la storia con il prossimo capitolo ed eventualmente scrivere una sorta di sequel 
(tanto per sistemare alcuni dettagli che non ho spiegato bene) oppure andare avanti ancora un po', brancolo nel buio ahaha

 

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Capitolo 12
*** Maybe not. ***


capitolo 11
If there's something left to be learned
Then my time is running
Why should I waste it all wasted on you?
I shouldn't be trusted to live and let go
When the last of my cities have burned
Then what's left in nothing
Why did i waste it all wasted on you?
I couldn't be trusted to live and let go

- All time low, To live and let go

Ran non faticò a trovare la macchina di Yukiko, un’appariscente Jaguar del 1966, che si trovava esattamente dove il ragazzo le aveva indicato. Non fece quasi in tempo a sedersi che la donna fece partire l'auto.
“Allora, come stai?” chiese poi, come se nulla fosse.
“Oh beh, probabilmente starei meglio se sapessi cosa diavolo sta succedendo” sbottò l’altra.
“Hai parlato con Shin-chan?” chiese dopo diversi secondi, aumentando la stretta sul volante. Per quanto le sue doti di attrice le permettevano di mascherare quasi alla perfezione ogni emozione, non era difficile capire che era piuttosto agitata. Ran annuì debolmente con la testa, chiedendosi nuovamente cosa avesse fatto di male per trovarsi in una situazione del genere.
“Voglio che tu sappia che andrà tutto bene” disse dopo alcuni secondi.
“È proprio questo il punto” esclamò allora lei, esasperata “Non ho idea di cosa tu stia parlando, non so cosa andrà bene o perché potrebbe non essere così. Voglio solo delle dannatissime risposte e..”
Nella macchina calò nuovamente il silenzio, mentre le luci della città mescolavano in una serie di figure e colori fuori dai finestrini. Ran non voleva piangere, davvero. Dopo l’ultima uscita di scena dell’amico detective si era imposta di limitare le lacrime e per questo si era limitata a stringere i pugni fino a far diventare le nocche completamente bianche.
“Scusami” continuò dopo un po’, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto “è solo che..”
“Ti capisco, sai?” rispose la donna, spostando lo sguardo su di lei “So come ti senti, vivendo a Los Angeles non so mai cosa succede a mio figlio, lui non chiama e noi siamo sempre occupati, è difficile. Ma in ogni caso, per quanto tu cercherai di fargli fare qualcosa lui finirà sempre per fare quello che vuole, non importa se glielo proibisci. È sempre stato così” fece una pausa come per riprendere fiato.
“Vorrei però che tu capissi questa cosa, lui ti vuole bene ed è esattamente per questo che ti tiene nascoste certe cose. E so che sembra un paradosso, ma è così che va quando si parla di lui”
“Questo lo capisco ma io vorrei solo sapere perché non si lascia aiutare, ci sono un sacco di persone che sarebbero disposte a dargli una mano, eppure-”
Yukiko rise di nuovo. “Shin-chan lo sa perfettamente e lo so anche io, c’è chi lo sta aiutando, ma in una situazione del genere bisogna agire con calma e mettere le mani avanti, un milione di cose potrebbero andare storte”
“Ma” riprese dopo appena un paio di secondi “andrà tutto bene, te lo prometto. Fidati di lui”
Fidarsi di Shinichi. Non era ciò che faceva sempre?
Sospirò, rassegnata. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

***

Il cuore di Kohei perse un battito quando la macchina si bloccò davanti ad uno stabile in disuso fuori città. La banda criminale che regola i conti con i suoi nemici in un luogo dove nessuno può vedere e sentire, davvero originale.
Sperava con ogni fibra del suo corpo che tutto sarebbe andato bene. Quando al museo quel ragazzo gli si era avvicinato allungandogli un foglietto di carta delle dimensioni di un post-it non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire.
“Siamo dalla stessa parte” aveva sussurrato.
L’aveva poi visto allontanarsi e, facendo attenzione a non farsi riprendere dalle telecamere aveva letto il messaggio.
‘Sappiamo cosa vuoi fare. Uscendo dalla seconda porta sulla sinistra troverai un corridoio non coperto dalle telecamere. Lascia Ran nello sgabuzzino. Ci fidiamo di te e speriamo che tu voglia fidarti di noi. Altrimenti agiremo diversamente’   
L’inchiostro era sbavato in alcuni punti, a confermare quanto quel messaggio fosse stato scritto frettolosamente. Ci aveva messo un attimo per capire chi fosse il mittente ma alla fine le possibilità si riducevano ad una. Shinichi Kudo. Solo lui poteva rischiare tanto per quella ragazza.
Lo aveva conosciuto tempo prima per fama, sembrava fosse infallibile, non perdeva mai un colpo. Ogni volta che si trovava ad investigare su un caso, questo veniva risolto in un batter d’occhio. Era una sorta di Sherlock Holmes in miniatura.
La prima volta che aveva sentito parlare di lui si trovava ancora negli Stati Uniti, così come quando aveva sentito dire che era scomparso dalla circolazione. In realtà, in un primo momento non aveva nemmeno dato peso alla notizia, di certo non era la prima volta che una “celebrità” si prendeva una vacanza, ma quando era stato contattato dall’Agenzia aveva cambiato totalmente atteggiamento.
Aveva dovuto assimilare una quantità esagerata di informazioni in appena cinque minuti e da lì tutto era cambiato. 

“Cosa dovrei fare esattamente?” chiese, mettendosi più comodo sulla poltrona nera. Quell'ufficio lo metteva inspiegabilmente a disagio.
“Ti trasferirai in Giappone a tempo indeterminato. Non abbiamo idea di quanto questa situazione possa andare avanti ma speriamo di risolverla al più presto”
“E una volta lì.. devo semplicemente investigare sull’Organizzazione?”
La donna dall’altra parte della scrivania si sistemò gli occhiali da lettura e aprì una cartellina giallo senape, per poi voltarla verso di lui. All’interno c’era un fascicolo di almeno una ventina di fogli, tutti scritti a computer e pinzati ordinatamente.
“Qualcosa del genere” disse infine “avrai due compiti, in particolare”
“Il primo” proseguì, estraendo una foto dalla cartellina “dovrai avvicinarti a questa ragazza. Vogliamo che lei si fidi di te”
Kohei si chiese cosa c’entrasse lei con il piano. Forse era uno degli agenti dell’Organizzazione. Ma sembrava una liceale, non poteva essere così.
“E il secondo, più complicato” prese un respiro “entrerai a far parte dell’Organizzazione stessa”
Il ragazzo si morse la lingua, le cose gli stavano sfuggendo di mano.
“Sappiamo che è qualcosa di troppo grande come primo incarico e capiremo se vorrai rifiutare”
Soppesò le parole della donna. Non era sicuro di essere pronto per qualcosa del genere, certo, aveva seguito l’addestramento ed era stato promosso prima di qualsiasi altro suo compagno ma forse quello era troppo perfino per il migliore della classe. O forse no. In realtà non aveva nemmeno molto da perdere.
“Accetto” disse dopo alcuni minuti. Lo doveva a suo padre, che aveva riposto fin troppa fiducia in lui.
“Ne sei sicuro?” chiese la donna, evidentemente sorpresa. Gli aveva proposto l’incarico perché non c’erano altri agenti così giovani e abbastanza qualificati per un compito del genere ma non si aspettava che accettasse così in fretta.
“Devo farlo”

Sospirò, gli sembrava passato un secolo dall’ultima volta in cui era entrato in quell’ufficio. Quasi gli mancava. Quasi.
“Psst” sentì sussurrare alla sua destra.
“Huh?”
“Te l’avevo detto che nessuno se ne sarebbe accorto”
Si limitò a sorridere, annuendo appena.
“Ce la faremo, ho avuto modo di parlare con Kudo tempo fa. Andrà tutto bene”
“È quello che spero”
La ragazza gli sfiorò una mano e poi la strinse nelle sue, quasi a volergli infondere sicurezza.  Era sempre stato così tra di loro, si conoscevano fin da bambini e ritrovarsi dopo tanto tempo era stato piacevole, nonostante le circostanze.

***

Alchermes e il collega avevano seguito la macchina con i due ragazzini a bordo per tutto il tragitto, fino ad arrivare al parcheggio sotterraneo di un vecchio stabile che per diversi anni era stato la sede di un'importante azienda farmaceutica. Era sorprendente che fosse ancora in piedi.
I due scesero dalla macchina e si diressero verso le scale d’emergenza, per poi entrare in una sorta di stanza molto spaziosa che tempo prima ospitava uno dei laboratori più grandi del paese. Era quasi completamente buia, in particolare alle estremità, dove la luce delle lampade al neon seminate qua e là sul soffitto non arrivava. Si va in scena.
“Sai, non ti credevo capace di qualcosa del genere” disse Alchermes con un ghigno, incrociando le braccia al petto.
“Umpf” sbuffò l’altro, avanzando nell’ombra. “Pensi di conoscermi, eh?”
“Io non penso di conoscerti, io so ogni cosa che ti riguarda”
Il ragazzo alzò appena le spalle, quasi in segno di resa. Scrutò il buio attorno a sé e finalmente quella voce prese forma. Davanti a lui c’era una giovane donna con lunghi capelli color caramello perfettamente arricciati. Portava un paio di grandi occhiali da sole che le nascondevano parte del volto pallido. Doveva avere solo qualche anno più di lui.
L’altro fece schioccare la lingua e si avvicinò alla nuova arrivata, poteva quasi sentire il suo profumo.
“Ma non sei tu la mia preda, caro detective liceale” sospirò quando fu abbastanza vicino.
Quell’affermazione colse Shinichi in contropiede. Che diavolo voleva dire? Non aveva cercato di rapire Ran perché lui andasse a salvarla, uscendo così allo scoperto?
Era stato un miracolo che l’antidoto avesse funzionato, Haibara aveva ripetuto più volte che per quanto ci avesse lavorato sopra, avrebbe potuto non sortire l’effetto desiderato, dipendeva tutto dalla reazione che avrebbe avuto il sistema immunitario del ragazzo. Ma alla fine era andato tutto per il meglio.
“Bentornato” aveva detto Ai prima di andarsene senza aggiungere altro - quasi delusa, avrebbe aggiunto lui.
Fino a quel momento il piano era andato bene, erano riusciti a mettere in salvo Ran grazie ad Heiji, che aveva consegnato il messaggio a Kohei. Con lui, Shinichi aveva poi seguito da lontano la macchina scura con Kohei e la finta Ran. Non era stato difficile convincere Naomi a prendere parte a quello che lei aveva definito un piano piuttosto strampalato, era bastato dirle di Kohei. Apparentemente i due in passato erano stati grandi amici ma avevano smesso di vedersi per chissà quale ragione, Naomi non aveva voluto parlarne.
Si era occupata Yukiko del suo travestimento e, come al solito, aveva fatto un ottimo lavoro, la somiglianza con Ran era impressionante. Sarebbero potute essere la stessa persona. Se solo Naomi non avesse avuto quella cadenza australiana nel parlare, si intende.
Ora lei e Kohei dovevano essere già lontani, al sicuro. Avevano già rischiato troppo.
“Pensavi mi fossi scomodata tanto per uno come te?” chiese la donna, iniziando a ridere. “Aspetto qualcuno che vale più di un detective da quattro soldi”
Con quell’ultima frase si tolse gli occhiali, mostrando un paio di occhi azzurro ghiaccio, fatti appena risaltare da un filo di matita scura. Dove li aveva già visti? Perché quello sguardo era così dannatamente familiare?
Shinichi cercò di fare mente locale. Perché trascinarlo in quella situazione se non era lui il bersaglio? Doveva esserci dell’altro.
“Alchermes, ben ritrovata” disse una voce in lontananza, che riscosse il ragazzo dai suoi pensieri. Non gli servì girarsi per capire di chi si trattava.
Cosa diavolo ci fa qui?!
Fece appena per voltarsi e la vide sbucare dall’ombra. Per diversi secondi il ticchettare dei tacchi della donna fu l’unico rumore a riempire la stanza.
You look a bit pale, Cool Guy”* sussurrò, quando gli fu accanto. “Me ne occupo io, vattene appena puoi”
“Lui non va da nessuna parte”
“Non ero qui quella che volevi uccidere? Lui è solo un ragazzino”
Shinichi avrebbe voluto ribattere e dire che non era solo un ragazzino, ma rimase in silenzio, spostando lo sguardo da una parte all’altra per seguire quella conversazione tanto insolita. La situazione si era ribaltata in meno di un minuto e lui aveva bisogno di un piano. Per quanto ne sapeva, Hattori era nascosto da qualche parte pronto a intervenire in caso di bisogno ma in quel momento doveva essere confuso almeno quanto lui. Non avevano previsto niente del genere.
“Evidentemente con l’età non si diventa più saggi..” borbottò la donna, guardando Vermouth con aria di sfida “e tu ne sai qualcosa, giusto?”
Quella frase rimase come sospesa in aria e il tempo sembrò fermarsi quando il suono di uno sparo risuonò nel silenzio della stanza.
Ma che..?!
Nella mente di Shinichi seguirono una serie di imprecazioni e pensieri confusi alla vista di una figura accasciata a terra in un angolo della stanza. Istintivamente iniziò a correre, incurante di ciò che stava succedendo alle sue spalle. Tutto sembrava andare al rallentatore, sentiva di non riuscire a muoversi abbastanza in fretta. Tutto era andato storto. La figura era immobile nascosta nella penombra. Da lontano era tutt’altro che riconoscibile ma a giudicare del cappellino con la visiera appena illuminato dalla luce fioca della grande stanza poteva trattarsi solo di una persona.

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Precisazioni:

*“Sei un po' pallido, Cool Guy


Ciaaao
Lo so cosa state pensando, questa prima dice una cosa e poi ne fa un'altra. Sono d'accordo, mi insulterei da sola, ma.
In realtà io ho sempre i buoni propositi, ero davvero partita con l'idea di descrivere l'azione qui ma poi mi sono dilungata con le descrizioni ecc e non volevo scrivere un capitolo troppo lungo e magari anche noioso (come se questo non fosse noioso). Avevo anche detto che avreste scoperto chi è Alchermes, ma ho pensato fosse meglio lasciare tutto in stand by per un attimo. Però avete un po' di indizi, chi sarà mai questa donna? Mmh.
Comunque, vi chiedo scusa per ritardo ma davvero tra le vacanze e il resto ho avuto poco tempo (e quando ne avevo mancava l'ispirazione d'oh).
Non so quanto manchi alla fine, in realtà vorrei scrivere direttamente l'epilogo e chiuderla lì ma forse ci ripenso ahah
L'altra storia invece è tipo a buon punto ma dovete aspettare almeno un paio di settimane prima di leggere qualsiasi cosa (poi vi sarà più chiaro lol), intanto posso dire che non sarà ambientata in Giappone, si accettano scommesse sul possibile scenario.
Niente, vi saluto e vi ringrazio per le recensioni che mi lasciate, ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite e tra le seguite e anche chi legge e basta.
Ringraziamento speciale a _TerryKudo_ che si è letta e recensita tutti i capitoli in una volta sola, ti mando un cuore♥ (ah, non sono vecchia davvero, ho appena compiuto diciannove anni. diciamo che sono un'ottantenne mancata ahahaha)

A presto,
Gaia

ps. se qualcuno ha voglia di conversare/ha domande da fare o qualsiasi altra cosa mi trovate su twitter, sono @myskyistorn♥


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Capitolo 13
*** Siblings. ***


capitolo 12
And though I've only caused you pain
You know with all of my words
With were always beloved
Altough all the lies spoke
When you're my road walking home

-Ed Sheeran, I'm a mess

“Non ti avevo chiesto di essere cauto?” borbottò, non appena vide gli occhi dell’amico aprirsi.
Shinichi cercò di esaminare la ferita alla spalla e sospirò sollevato, notando che non tanto grave quanto avesse pensato. 
“Era ciò che cercavo di fare” rispose l’altro, facendo leva con il braccio sano sul terreno così da riuscire a mettersi seduto, mentre l'altro era indeciso tra il prenderlo a sberle per essere tanto sfacciato e abbracciarlo. Non fece né una né l’altra cosa. Non ne ebbe nemmeno il tempo.
“Ma che diavolo..?!” esclamò, quando un secondo colpo partì.
Lanciò uno sguardo alle due donne, il braccio destro di Vermouth era alzato e la sua mano reggeva una pistola puntata verso un lato completamente buio della stanza.
Si udì un grido soffocato e poi un rumore sordo.
Seems we have company” borbottò la donna, lasciando cadere il braccio lungo il fianco “Well.. had
“Vedo che non sei cambiata” osservò l’altra, senza fare una piega “uccidi ancora a sangue freddo”
Vermouth si lasciò scappare un sorriso e si scostò i capelli dal volto.
“Solo chi intralcia i miei piani”
“Persone come mio padre”
“Quell’uomo era un ostacolo e andava eliminato
“Non puoi trattare le persone come fossero degli oggetti” il tono della sua voce perse per un attimo la calma che aveva avuto fino a quel momento “In ogni caso sono qui per vendicarlo”
“Facendo così ti comporterai esattamente come lei. Lo sai, vero?” disse Shinichi, sicuro. Quell’affermazione fece voltare entrambe le donne nella sua direzione.
“Non ti hanno mai insegnato a tenere la bocca chiusa, ragazzino?”
Shinichi si alzò e, dopo aver chiesto ad Heiji di non muoversi, si diresse nuovamente verso il centro della stanza.
“Non ho mai prestato attenzione a quel genere di raccomandazioni” replicò con un’alzata di spalle.
L’altra rise e per un attimo sembrò che avesse abbassato la guardia.
“Faresti la stessa cosa se ti trovassi nella mia situazione”
“Non credo proprio”
Prima che potesse replicare, la donna sentì un dolore lancinante al fianco e si accasciò a terra, sotto lo sguardo sorpreso di Shinichi e Vermouth. Nessuno dei due aveva visto arrivare l’aggressore. In appena un paio di secondi si era fatto largo nell’oscurità della stanza con passo felpato, per poi rifilare una gomitata piuttosto forte ad Alchermes. 
“Non ti avevo chiesto di venire da solo?” borbottò Shinichi, seccato, voltandosi indietro.

***

“Po-possiamo fermarci un attimo?” balbettò Naomi, cercando di riprendere fiato. Kohei rise.
“Non ti è mai piaciuto correre, eh?” la riprese poi.
La ragazza sbuffò, appoggiando le mani sulle ginocchia, quasi avesse appena finito una maratona. In realtà aveva corso per appena cinque minuti. Molto piano, avrebbe aggiunto Kohei.
Naomi si lasciò scivolare a terra e l’altro le si sedette accanto. Per un po’ l’unico rumore attorno a loro fu quello dei respiri di lei, corti e veloci.
“Mi dispiace che tu sia rimasta coinvolta in questa situazione” disse Kohei, dopo alcuni minuti.
Lei scosse la testa, facendogli capire che non c’era nessun problema. Anni prima si erano promessi di rimanere sempre uno al fianco dell’altra e di certo non sarebbe stato il tempo a distruggere il loro legame. Erano cresciuti insieme, dopotutto.
Per tutto il viaggio in auto Kohei aveva cercato di rimanere positivo, sperando che sarebbe andato secondo il piano di Kudo, ma quando si parlava dell’Organizzazione non si poteva mai essere sicuri di nulla.
Appena il guidatore era sceso dall’auto, i due avevano sentito una serie di imprecazioni e poi il silenzio, finchè qualcuno aveva aperto la loro portiera. Era stato piuttosto sorpreso di trovarsi davanti Hattori, ma quando aveva visto un uomo con un abito scuro steso a terra e l’espressione trionfante sul volto del ragazzo, tutto era stato più chiaro.
“Correte” era stato l’unico ordine di Heiji “Ce ne occupiamo noi”
E così avevano fatto, avevano corso sotto la neve che aveva iniziato a cadere più forte.
“Credo che ti stia suonando il telefono”
La voce di Naomi ridestò Kohei dai suoi pensieri. Portò istintivamente una mano nella tasca dei pantaloni e recuperò il cellulare.
Blocked number.
La conversazione durò una decina di minuti, frazione di tempo in cui il ragazzo riuscì a dire solo “Si”, “D’accordo”, “Ma..”, “Sì, signore”. Quando l’interlocutore riattaccò, Kohei rimise il telefono in tasca e si strofinò gli occhi con i palmi delle mani, chiedendosi cosa avrebbe fatto suo padre in quella situazione.

***

Alchermes si portò una mano al fianco e fece per rialzarsi, il colpo infertole da Kazuha era stato forte, ma in tutti quegli anni aveva dovuto affrontare di peggio e non sarebbe sicuramente stata una ragazzina a metterla al tappeto.
Quando si sollevò si voltò verso la nuova arrivata, che sembrava aver problemi a respirare.
“Ti senti bene, tesoro?” chiese ironica, notando le continue occhiate che lanciava verso l’altro lato della stanza.
Kazuha sorrise e si scostò una ciocca di capelli dagli occhi.
“Mi sentirei meglio se ti avessi fatto più male”
“Posso rimediare io” si intromise Vermouth, puntando di nuovo la pistola verso Alchermes. Ci fu un interminabile minuto di silenzio, poi, in una frazione di secondo, la donna con i capelli color caramello anche l’altra estrasse nuovamente la propria pistola, per puntarla, questa volta, verso lo stesso punto in cui Kazuha continuava a guardare.
“Abbassa la pistola o sparo al povero cucciolo ferito”
Kazuha le si parò davanti, allargando le braccia e scuotendo la testa.
“Spostati”
L’altra scosse di nuovo la testa. Avrebbe preferito morire piuttosto che lasciare il via libera a quella donna.
Alchermes si strinse nelle spalle e strinse la presa sulla pistola.
“È tutto inutile” sentì dire da Kudo.
Quel secondo fu tutto ciò che bastò per capovolgere la situazione. Ebbe appena il tempo di portare gli occhi su di lui, prima che la sua arma venisse scaraventata a terra con un colpo secco da parte di Kazuha. Colta alla sprovvista, Alchermes non vide nemmeno le mani della ragazza muoversi verso di lei e in appena un attimo si ritrovò a terra, di nuovo. L’impatto fu talmente forte che non riuscì a rialzarsi abbastanza in fretta e tutto ciò che riuscì a vedere fu la canna della pistola di quella che per alcuni mesi era stata una sua collega.
Sentì dei passi affrettati e un vociare provenire dal lato opposto della stanza, dove l’amico di Kudo era rimasto per tutto il tempo. I suoni le arrivavano in maniera quasi ovattata, come se fosse chiusa in una specie di bolla.
Cercò di fare leva con un braccio per alzarsi ma venne fermata nuovamente da quella che riconobbe come la voce di Vermouth.
“Piantala di opporre resistenza, non ce n’è più bisogno”
La testa le faceva fin troppo male, faticava persino a razionalizzare quelle parole.
“L’hai sottovalutato” disse ancora “It happens

***

L’aereo di Jodie Starling atterrò con più di mezz’ora di ritardo. Uscita dall’aeroporto, salì sul primo taxi libero che trovò e diede l'indirizzo al tassista.
Aveva ricevuto la chiamata il giorno prima.
“Agente, mi serve un favore”
“Chi parla?” aveva chiesto, cercando di collegare quella voce ad un viso.
“Shinichi Kudo”
Nei minuti seguenti aveva ascoltato con attenzione ciò che il ragazzo aveva da dire: in qualche modo era riuscito ad identificare uno dei membri dell’Organizzazione e sapeva che se avesse giocato bene le sue carte sarebbe riuscito a scovarne almeno un altro. Le aveva poi chiesto se le fosse stato possibile raggiungerlo più tardi, magari con un altro paio di agenti, nessuno poteva sapere come le cose sarebbero andate a finire. 
Dopo essersi maledetta svariate volte per aver scelto il momento più sbagliato per tornare a New York, gli assicurò che ci sarebbe stato un gruppo di agenti scelti pronti ad entrare in azione e che lei avrebbe fatto il possibile per tornare in Giappone al più presto.
In realtà le cose si erano complicate ed era piuttosto sicura che non avrebbe fatto in tempo ad arrivare prima dell’incontro tra il detective e il misterioso membro dell’Organizzazione.
Si impose di non preoccuparsi, se ne sarebbero occupati tre dei suoi migliori colleghi. Trasse un respiro profondo e spostò lo sguardo fuori dal finestrino.
A metà strada, sentì il telefono squillare. Era uno dei suoi uomini.
“Aggiornami” esordì.
“Abbiamo la donna, se ne sta occupando Evans. Quando l'abbiamo trovata era svenuta. Io e Smith siamo in ospedale, ci raggiunga appena può.”
“Ci sono feriti?” chiese allora lei, titubante.
L’altro esitò.
“Ecco, sì.. uno dei due ragazzini è stato colpito alla spalla, ma non è grave. Mentre l’altro— insomma, siamo usciti dallo stabilimento e lui è sparito, non abbiamo idea di dove sia andato”

***

Per quanto tutti continuassero a ripeterle che tutto sarebbe andato bene, non riusciva a convincersene. Non faceva altro che pensare e ripensare a ciò che era successo nell’ultima settimana, cercando di riordinare gli eventi e dar loro un senso logico, invano.
Strinse le mani attorno alla tazza piena di tè bollente che Yukiko le aveva appena portato e si ritrovò a guardare fuori dalla finestra. Le era sempre piaciuta la neve.
Il campanello la fece sobbalzare.
“Ran!” si sentì chiamare dalla cucina “Puoi guardare tu chi è?”
Appoggiò la tazza sul tavolino e si alzò per aprire la porta.
“Co-cosa ci fai—” non riuscì a concludere la frase.
“Dobbiamo andarcene, sei in pericolo” si sentì dire in tono frettoloso.
“Io non capisco..”
“Devi solo seguirmi, ti dirò tutto”

Tutto. Tutta la verità.
Ran prese un respiro profondo e annuì.

***

Quando Jodie arrivò in ospedale l'intervento di Heiji alla spalla era ormai concluso, la ferita non era profonda, quindi erano bastati alcuni punti per sistemare le cose. Ora riposava nel suo letto d'ospedale, con Kazuha a fargli compagnia. L'indomani sarebbe potuto tranquillamente tornare a casa.
“Sei sicuro di non sapere dove si trovi Kudo?” chiese Jodie, per l'ennesima volta. Ritrovare quel ragazzino era una priorità, era un testimone chiave e aveva bisogno di sapere tutto su questo presunto membro dell'organizzazione di cui nemmeno conosceva il nome.

“Glielo avrei detto subito se l'avessi saputo”
“A proposito, Agente Jodie, lei è figlia unica?” aggiunse poi, pochi secondi più tardi.

La porta si aprì e tutti e tre si voltarono verso l'agente Smith, che, dopo essersi scusato per l'intrusione, porse un cellulare a Jodie. La domanda di Heiji rimase senza risposta.
“È Evans” disse con tono sbrigativo.
L'altra si alzò e lo raggiunse alla porta.
“Perchè lei hai chiesto se fosse figlia unica?” chiese Kazuha, una volta che fu fuori dalla stanza.

“Non l'hai notato?” borbottò allora lui
“L'Agente Jodie e quella donna.. sono praticamente uguali”



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Oh mio Dio, dopo mesi Gaia riesce a postare il capitolo, dev'essere un miracolo!! È quello che state pensando tutti, eh? Eh? Eh?? No, okay come non detto.
Immagino sia piuttosto triste che io mi ritrovi a chiedervi scusa ogni volta per la mia totale mancanza di puntalità nell'aggiornare ma sono una causa persa e questo ormai l'hanno capito anche i muri. Forza, Gaia, qual è la tua scusa questa volta?? Vorrei tanto dire che è solo perchè torno sempre tardi dall'università (che è vero, tra l'altro), ma il problema principale è stato un altro. Non riuscivo a buttare giù neanche mezza riga, forse per la poca ispirazione, forse perchè proprio non mi andava di scrivere, non lo so. Comunque, la settimana scorsa ho ritrovato la forza che mi serviva e ho buttato giù questa cosa. Sì, mi ci è poi voluto un secolo per risistemare tutti quei meravigliosi errori grammaticali e ripetizioni che ci avevo infilato ha.
A proposito, di recente ho pubblicato una specie di one shot che probabilmente cancellerò a breve perchè non piace molto nemmeno a me, come dico nell'angolo autrice di quella stessa storia, era più che altro una prova. Una prova mal riuscita direi ahahaha
Comunque niente, se vi va di andare a darle uno sguardo per ora rimane là, devo ancora decidere.
Tornando a questa storia, spero che vi sia piaciuto il capitolo, immagino abbiate più o meno capito chi è Alchermes (grazie Hattori per la tua perspicacia) e dov'è finito Shinichi? Chi c'è alla porta di Ran? Ahhhh non lo scoprirete mai. No okay mi obbligo a continuare al più presto.
Ho un favore da chiedervi, se c'è qualcosa che non vi è chiaro (non parlo solo di questo capitolo, ma di tutta la storia, anche del primo capitolo, tanto per intenderci) vi prego di dirmelo, così nell'epilogo avrò modo di eliminare eventuali dubbi, perchè sono assolutamente sicura di essermi dimenticata di spiegare qualcosa di importante lol
Detto questo vi saluto, ringrazio tutti quelli che mi seguono! Continuate a recensire anche se vi siete dimenticati di meeee ahahahaha

A presto,
Gaia.

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Capitolo 14
*** Runaway. ***


capitolo 13ù
Maybe I'm the sinner, and you're the saint
Gotta stop pretending what we ain't
Why we pointing fingers, anyway?
When we're the same

-Ariana Grande, Best mistake



“Chi c’era alla porta?” chiese Yukiko, entrando in salotto.
“Ran? Ran, dove sei?” iniziò a chiamare, quando non la vide. Si affrettò quindi a raggiungere la porta e guardò fuori, la ragazza non c’era.
Rientrò, recuperò velocemente il telefono e compose un numero. 


“Mamma devi trattenere Ran il più possibile” disse di nuovo.
“Quante volte pensi di ripetermelo ancora?”
Shinichi sbuffò in risposta e prese a fissare lo schermo del cellulare, cercando di non pensare alla miriade di cose che sarebbero potute andare storte. A cominciare dallo scambio tra Ran e Naomi. Non sapeva esattamente cosa avrebbero fatto se Kohei avesse deciso di non seguire le loro istruzioni, non c’era nemmeno il tempo per elaborare un piano di riserva.
Quando il motore della macchina si spense, il suo flusso continuò di pensieri si bloccò di colpo. Controllò le ore e aprì la portiera.
“Mi servono un paio d’ore, poi sarò a casa” disse, senza nemmeno guardare Yukiko.
“Andrà tutto bene”
Annuì, augurandosi che sua madre avesse ragione.

Dopo diversi squilli, la donna riuscì a prendere la linea.
“Ora non posso” 
“Ascolta è importan
-
“Ti richiamo dopo, non riesco a parlare” disse lui, senza nemmeno lasciarla finire.

***

Jodie Starling faceva parte dell’FBI da anni ma mai nella sua vita si sarebbe aspettata che una delle sue missioni sarebbe andata a finire in quel modo. Quando Evans glielo aveva riferito non aveva preso la cosa troppo sul serio, probabilmente perché il tutto risultava fin troppo inverosimile persino per lei.
Lo stabile adibito a centrale operativa non era distante dal centro di Tokyo, quindi riuscì a raggiungerlo in appena alcuni minuti, poi salì velocemente le scale fino al secondo piano, dove l’aspettava l'agente. Le bastò incrociare il suo sguardo torvo per capire che qualcosa non andava.
“Capo, credo ci sia un problema”
“Siamo qui per risolverlo, qualunque esso sia. Ora portami da lei”
L’altro fece per dire qualcosa, ma alla fine rimase in silenzio e le fece strada lungo il corridoio. Si fermarono davanti ad una porta semichiusa. Quando l'aprì, Jodie ebbe bisogno di più di un paio di secondi per mettere a fuoco il volto di chi aveva davanti.
Nella stanza c’erano due persone sedute ad un tavolo. Sembrava un interrogatorio come un altro, insomma, ne aveva visti tanti e procedevano tutti più o meno nello stesso modo. Sospettato da una parte e un agente o più dall’altra. Tutto era normale, c’erano solo un paio di dettagli fuori posto, tanto per cominciare, l’agente in questione la stava guardando come se fosse lei la sospettata.
“Oh, salve” si sentì salutare.
Ricambiò con un sorriso tirato, mentre tutta la determinazione che aveva avuto fino a quel momento svaniva fin troppo velocemente.
“Quindi era di lei che parlavate”
Jodie deglutì, nel sentire la voce della donna. Prese un respiro profondo. Professionalità. Procedi per gradi e andrà tutto bene.

“Possiamo parlare da sole?” chiese allora.
L’agente la squadrò per un attimo, poi tornò con lo sguardo sull’altra donna.
“Perché no?” disse infine con un’alzata di spalle, prima di alzarsi e sgattaiolare fuori dalla porta.
Jodie si sedette e prese a guardare davanti a sé.
“Qual è il tuo nome?”
“Alchermes”
“Il tuo vero nome”
 “Julie” disse, dopo un attimo di esitazione “Nostro padre non è mai stato un uomo fantasioso, non credi?”
“Nostro padre? Io non ho idea di chi tu sia, mio padre aveva una sola figlia”
L’altra sorrise appena, quasi a dire ci sono talmente tante cose che non sai.
“Ho fatto delle ricerche, sai? Diverso tempo dopo la sua morte, intendo”
Jodie teneva lo sguardo fisso su Julie, notando per la prima volta quanto fosse effettivamente giovane. Non poteva avere più di ventidue o ventitré anni. A mascherare la sua età c’erano due macchie scure sotto gli occhi e l’aria stanca di qualcuno che non si concedeva un giorno di riposo da parecchio tempo.
Per quanto non volesse credere allo scenario che le si era appena parato davanti, non riusciva ad allontanare completamente la possibilità che avesse ragione. I loro lineamenti erano molto simili, così come il colore dell’incarnato. Ma il problema era un altro, se c’era una cosa che l’aveva colpita fin da subito era l’azzurro degli occhi. Per lei fu come guardare suo padre dopo anni.
“Ho passato mesi e mesi a cercare informazioni su quell’incendio, ma ho trovato ben poco, e le opinioni erano contrastanti, ma sono arrivata alla conclusione che poteva solo essere di origine dolosa. L’idea che qualcuno ce l’avesse effettivamente con mio padre è arrivata solo dopo, quando ho trovato le fotocopie di alcuni appunti scritti a mano nella cassaforte della casa in cui viveva mia madre.” Fece una pausa. “Parlavano delle sue ultime missioni e in particolare della ricerca su alcuni membri dell’Organizzazione. Non credo fosse così avanti con le indagini ma sapeva che qualcuno lo stava già tenendo d’occhio”
“Che intendi dire?”
Si strinse nelle spalle.
“È solo una sensazione che ho avuto mentre leggevo”
Entrambe rimasero in silenzio per diversi secondi.
“Perché diavolo sei entrata nell’Organizzazione? Cosa pensavi di fare?” chiese infine Jodie, con il tono della voce più alto di pochi minuti prima.
“Tieni vicino gli amici e ancora di più i nemici?”
“È questa la tua risposta? Davvero?! Avresti dovuto parlarne con l’FBI! Come hai potuto anche solo pensare di metterti contro una banda di criminali da sola?”
Julie sospirò e si sistemò sulla sedia.
“Da quanto tempo lavorate a questo caso? Siete arrivati a qualche tipo di conclusione?” chiese, retorica. “Mi servivano certezze, sono cresciuta senza avere la minima idea di chi fosse mio padre e quando ho scoperto cosa era successo ho sentito il bisogno di andare a fondo. E tutto è andato bene, per lo meno fino a stasera”
“Vuoi spiegarmi cos’è successo?”
“Ho incastrato Chris, ma-
“Chris Vineyard?”
“Lei. Però si sono presentate più persone di quante ne aspettassi e ora sono qui”
“E Vermouth ora dove si trova?” chiese, alzando di nuovo la voce.
“Non ne ho idea, quella ragazzina mi ha messa al tappeto e quando mi sono risvegliata ero sull’auto della polizia”
Jodie si precipitò fuori dalla stanza, cercando di fare mente locale per l’ennesima volta. Come aveva fatto a scappare? Lo stabile era circondato dai suoi uomini e insieme a lei c’erano i due ragazzini di Osaka e..
Kudo.
“Trovate Shinichi Kudo” disse ad Evans e all’agente che fino a poco prima stava interrogando Julie. “Nessuno sa dove sia finito, potrebbe essere con uno dei membri dell’Organizzazione”
Recuperò il cellulare e compose un numero, sperando che qualcuno rispondesse al più presto.
“Sì?”
Jodie spalancò gli occhi, non era decisamente la voce che si aspettava di sentire.
“Con chi parlo?” non aveva tempo da perdere.
“Ti sei già dimenticata di me?” proseguì melliflua.
Passarono alcuni secondi, prima che Jodie reagisse. Poteva essere solo una persona.
Vermouth.

***

Ran si sistemò sull’auto, chiedendosi se avesse davvero fatto la scelta giusta. Shinichi le aveva chiesto di aspettarlo e lei lo aveva fatto, per lo meno fino a quando aveva deciso che la verità veniva prima di quella promessa.
Quando Kohei si era presentato alla porta principale di Casa Kudo aveva agito d’impulso, perché aspettare ancora? 
Altre domande.
Il ragazzo era alla guida della macchina, mentre lei era seduta sul sedile posteriore, intenta a guardare fuori dal finestrino. Si erano allontanati dal centro della città da un pezzo ormai. Non aveva idea di dove fossero diretti, men che meno del perché.
Quando dopo un po' Kohei la chiamò, lei si voltò di scatto verso di lui.
Senza dire altro, accostò e Ran non ebbe nemmeno bisogno di sentirsi dire che erano arrivati a destinazione.
Riportò lo sguardo fuori dal finestrino, che cosa ci facevano all’Aeroporto Internazionale di Narita?

***

Quando Shinichi raggiunse Vermouth, la trovò intenta a parlare al telefono con qualcuno. Non ci volle molto per capire che quello che stava usando era il suo, di telefono.
“Che diavolo stai facendo, dobbiamo muoverci” borbottò, incrociando le braccia al petto.
L’altra si strinse nelle spalle e gli passò il cellulare.
“Uhm, chi parla?”
“K-Kudo? Credo che tu mi debba una spiegazione”
“Agente Jodie!”
“Perché ha risposto quella donna?”
Shinichi prese un respiro profondo, per quanto avesse decisamente poco tempo per le spiegazioni, era necessario che Jodie sapesse.

Quando gli agenti dell’FBI irruppero nell’edificio, Vermouth stava puntando la pistola contro la tempia di Alchermes, che giaceva a terra svenuta. Il ragazzo aveva avuto appena il tempo di fermarla, se avesse sparato sarebbe stata la fine. Diverse ore prima aveva promesso a Jodie e a se stesso che ne sarebbero usciti tutti incolumi. Aveva già sulle spalle la responsabilità di diverse persone e, davvero, non gli andava per niente di allungare la lista dei loro nomi.
Ma fu solo quando si accorsero della sparizione dell’uomo a cui Vermouth aveva sparato che scoppiò il finimondo.
“Dobbiamo andare a cercarlo” esclamò Shinichi.
Seguì una confusione generale e quando gli agenti raggiunsero il locale, trovarono solo due ragazzini e una donna svenuta. Né Heiji né Kazuha diedero spiegazioni sul fatto che Kudo non fosse con loro.   
Shinichi e Vermouth avevano utilizzato le scale d’emergenza per raggiungere il tetto e da lì iniziare le ricerche, nessuno li avrebbe visti.
Al ragazzo non andava giù l’idea di lavorare con “una di loro”, ma quando si era sentito dire “Quell’uomo è sicuramente armato, you’ll need a sidekick” aveva finito per acconsentire. Certo, solo pensare a Vermouth come la sua spalla gli faceva venire da ridere, ma il tempo stringeva e probabilmente la donna aveva ragione.

“Mi stai dicendo che stai collaborando con una criminale?” sbottò Jodie, senza nemmeno farlo finire.
“Dobbiamo trovare il complice di quella donna” rispose lui, ostentando un tono tranquillo.
“No, tu non devi fare un bel niente. Ci penseremo noi”
“Oh, giusto” aggiunse prima che l’altro potesse replicare “Ferma Vermouth, non possiamo farla scappare di nuovo”
Shinichi si guardò intorno e vide la donna intenta ad accendersi una sigaretta. Sbuffò e tornò a prestare attenzione al telefono.
“Credo non sia possibile, se n’è già andata”
La paternale che seguì non fu esattamente una delle parti migliori della giornata.
Shinichi chiuse la chiamata e controllò l’ora sullo schermo del cellulare.
“Credo che tu debba andartene, quelli dell’FBI inizieranno a perlustrare la zona e chiuderanno tutte le uscite nel giro di cinque minuti” borbottò, quando fu abbastanza vicino alla donna.
“E non era esattamente quello che non doveva succedere?”
Lui annuì, spostando lo sguardo sulle punte dei suoi piedi.
“Quindi ora?”
“Niente,” rispose Shinichi. “Ognuno prosegue per la sua strada, io devo andare da Ran”
“Non penso che la troverai”
Il ragazzo impallidì e si voltò verso di lei.
“Che intendi dire?”
“Che in questo momento dovrebbe essere già su un volo diretto ad Atlanta”
“Atlanta?” chiese, alzando la voce. “Atlanta in Georgia?!”
Vermouth annuì e fece per prendere un’altra sigaretta.
“Perché diavolo dovrebbe andarci?”
L’altra non rispose, si limitò ad estrarre dalla tasca della giacca un foglietto e a porgerlo al ragazzo, poi si allontanò, senza dire altro, mentre Shinichi cercava di capire cosa stesse succedendo. Sul pezzo di carta lesse due parole scritte ordinatamente con una penna stilografica, che non lo aiutarono per niente a capire. Anzi, avrebbe tranquillamente affermato di non essere mai stato tanto confuso in vita sua.

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Ohayoo

Come al solito, inizio il mio monologo chiedendovi scusa per il ritardo, ma sono iniziati gli esami e devo almeno fare finta di studiare lmao
Comunque, sorpresa!!! Chi si aspettava che fosse Kohei alla porta? Dun dun dunnn 
Credetemi, avrei voluto anche io che fosse Shinichi ma preferisco le cose complicate e penso che ormai l'abbiate capito ah 
Ho cercato di chiarire la situazione tra Jodie e Julie, che sono a tutti gli effetti sorelle, almeno per metà.
Ultimo punto, Vermouth come fa a sapere che Ran sta per partire? E quali sono le parole scritte sul foglietto che ha dato a Shinichi? Spero di potervelo far sapere presto, intanto non disperate!! (Ma quando, Gaia? Non avevi detto che la storia era praticamente finita? Sono prolissa di natura, non vogliatemene, alla fine ci arriviamo, prima o poi)
Niente, concludo come di routine col ringraziare chi recensisce, mette nelle preferite/ricordate/seguite e anche ai lettori silenziosi (a cui voglio dire che non mangio nessuno, quindi siete liberi di esprimere il vostro parere, qualunque esso sia)
Grazie a tutti di nuovo, 

A presto, 
Gaia

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Capitolo 15
*** Choices. ***


capitolo13
C'è un'altra cosa che ti voglio dire, un attimo prima che tutto diventasse nero, vuoi sapere l'ultima cosa a cui ho pensate? A te!

W.P.
Ripeté mentalmente le due lettere. Conosceva il loro significato, lo aveva capito subito, ma cosa c’entrava Vermouth?
Alzò lo sguardo, la donna era ancora lì, con gli occhi fissi su di lui.
“Che diavolo vorrebbe dire?” chiese infine.
“Pensavo conoscessi la procedura, Sherlock”
“Infatti, ma-
“Potresti solo dire grazie”
“Vuol dire che sei stata tu ad organizzare.. questo?”
La vide alzare le spalle e poi portare le mani sui fianchi. Per quanto cercasse di far quadrare le cose, per quanto cercasse di dar loro un senso, queste si complicavano sempre di più.
W.P., Witness Protection. Il Programma protezione testimoni. Istituito dall’FBI più di quarant’anni prima, era ormai conosciuto a livello mondiale ed era attivo in diversi paesi. Shinichi deglutì e prese a fissare il foglietto per l’ennesima volta, come poteva Vermouth essere coinvolta in un progetto del genere?
“Perché?”
Stop asking stupid questions
“Ma ho il diritto di sapere!”
“Ascoltami,” fece lei, qualche secondo dopo “è meglio per tutti che tu non veda Ran prima che parta”
“Vuoi dire che non è ancora partita?”
Vermouth sospirò, conscia di essersi lasciata scappare un paio di parole di troppo. Guardò in fretta l’orologio che aveva al polso, imprecò e prese a camminare lungo il marciapiede deserto, per poi fermarsi una decina di passi più avanti.
“Non vieni?” chiese, senza voltarsi.

***

Al quartier generale regnava il caos. Dopo la telefonata con Kudo, Jodie si era presa un paio di minuti per riordinare le idee. In quei pochi giorni trascorsi a New York era riuscita a malapena a riposarsi e a riprendere fiato da tutto ciò che stava succedendo in Giappone. James le aveva assicurato che una pausa non le avrebbe fatto che bene, ma solo ora si rendeva conto che sarebbe stato decisamente meglio rimanere a Tokyo.
Ripensò alla chiamata di poco prima, quando Vermouth aveva risposto. Perché proprio lei lo stava aiutando a cercare il complice della donna che avevano arrestato? La donna che aveva scoperto essere sua sorella. Quanto c'era di vero in quella storia? Certo, era vagamente verosimile, ma per convincerla sarebbe servito molto di più che una manciata di parole. Ci avrebbe pensato più tardi.
“Agente Jodie!” si sentì chiamare. Era di nuovo Evans. “C’è una chiamata per lei, scenda al primo piano”
“Chi mi cerca?”
“Non ne ho idea, non me l’hanno detto. Credo sia urgente, però”
Jodie imboccò le scale e scese più in fretta che poté. Ad accoglierla, trovò James e Camel, entrambi con il volto preoccupato.
“Che diavolo sta succedendo?”
Il primo si limitò a sollevare le spalle per poi cliccare il tasto del vivavoce sul telefono appoggiato sulla scrivania.
“Chi parla?” chiese, con tono deciso.
“Sono Reina, credo sia arrivato il momento. Sanno che una dei loro è con voi, sanno che lei stava facendo ricerche su Shinichi Kudo, capiranno tutto. Dovete fare in modo che non trovino nessuna delle persone che sono entrate in contatto con lui. Al più presto. Uno dei nostri mi ha detto che la ragazza è già salva, la faranno uscire dal Giappone stanotte”
“La ragazza?” chiese Jodie, confusa.
“La figlia dell’investigatore”
Figlia del- Doveva essere Ran.
“Vi chiameremo appena sarà partita per confermare la destinazione”
“Perché è stato avviato il programma senza nessun avvertimento?”
“La donna che avete arrestato voleva rapirla, quindi qualcuno ha pensato potesse essere troppo pericoloso per lei rimanere qui. I genitori ne sono già al corrente”

“La situazione è peggiore di quanto pensassimo, sta succedendo tutto troppo in fretta” disse James appena si chiuse la chiamata.
“Siamo pronti però, giusto? Insomma, sono mesi che parliamo di questi programmi” ribatté Camel, dopo essersi schiarito la gola.
“Beh sì, ma prima serve che tutti diano l’okay per procedere, senza la loro conferma non possiamo fare niente. Poi dovremo spiegare loro la situazione e il tempo stringe, quindi” si alzò e prese il telefono “avvertite tutti e fate in modo che domani mattina siano nello stesso posto”

***

“Perché mi hai portata qui?” chiese di nuovo Ran.
“Sei in pericolo, non puoi più rimanere in Giappone”
La ragazza inorridì. Lasciare il paese? Non se ne parlava nemmeno. E poi, lui che diritto aveva di dire certe cose? Chi era davvero?
“Non ho idea di cosa tu stia parlando”
“Allora chiedi”
“Mh?”
“Cosa vuoi sapere?”
Tutto. Ecco cosa voleva sapere. Aveva un milione di domande, ma per qualche motivo continuava a pensare che non fosse lui la persona giusta a cui farle. Con Yukiko era successa la stessa cosa. Shinichi le aveva detto che sarebbe stata sua madre a dire come stavano le cose, ma, di nuovo, una volta sulla macchina, non aveva chiesto nulla.
“Chi sei?” chiese “Veramente, dico. E come sai che sono in pericolo? Per quanto ne so potresti essere tu quello che mi sta mettendo in pericolo e.. perché ridi ora?”
“Beh questa tua teoria è un po’ campata per aria”
Ran assottigliò gli occhi e Kohei tentò di tornare serio.
“Sono della CIA. Da alcuni mesi lavoro sotto copertura qui in Giappone. Sto raccogliendo informazioni su un’organizzazione che-”
“CIA? Questo cosa c’entra con me?”
“Tutto? Ascolta, ti dirò quello che vuoi sapere, ma ora ho bisogno che tu scenda dalla macchina. Siamo già in ritardo”
“Ti rendi conto di quanto tutto questo non abbia senso nella mia testa? Scenderò dalla macchina, sì. Ma solo per cercare un taxi e tornare a casa”
Fece per aprire la portiera ma Kohei fece scattare la chiusura automatica.
“Che diavolo fai?”
“La situazione è più complicata e se non collabori le cose peggioreranno. Per te stessa e per tutti quanti. Quindi, per favore, vieni con me in aeroporto.”
“Per andare dove? Voglio rimanere in Giappone! Potrei essere d’aiuto e-” le si ruppe la voce e abbassò lo sguardo sulle ginocchia.
“Ran..”
“Cosa?! Non ho idea di cosa stia succedendo e voglio andare a casa, che a te piaccia o meno”
“Non puoi”
La ragazza alzò gli occhi su di lui di nuovo. “Non posso? Lo ripeto, non mi interessa se a te o alla CIA o a chiunque altro non sta bene, voglio tornare a casa”
“E io ripeto che non lo puoi fare, tua madre ci ha dato l’autorizzazione per il trasferimento”
La sua voce le rimbombò nelle orecchie per diversi secondi. Cosa c’entrava sua madre?
“Sei minorenne, serve l’okay di entrambi i tuoi genitori per iniziare le procedure. Un agente sta parlando con tuo padre proprio ora e appena arriverà la conferma dovrai partire. Non dipende da te, prima lo capisci, meglio è.”
“Mia madre sapeva tutto? La storia della vecchia amica era tutta una farsa?” chiese, atona. Aveva dimenticato quello che era successo al ristorante.
Lo vide annuire. “Tenerti d’occhio era il mio incarico, mi dispiace aver coinvolto la tua famiglia, ma era l’unico modo che avevo per avvicinarmi a-”
“Shinichi lo sapeva?”
“Beh no, non credo sappia chi sono, men che meno quale sia il mio compito”
“Cosa doveva succedere stasera? Mi hai portata a quella mostra per un motivo, giusto?”
Kohei sospirò. “Mi è stato chiesto di farlo”
“Ma le cose non sono andate come previsto”
“Esatto. Però è stato un bene che Kudo sia riuscito ad intervenire”
Ran rimase in silenzio, cercando di mettere insieme le informazioni che aveva appena ricevuto. Era ancora più confusa di prima.
“Uhm.. sì, pronto?”
Ran non si era nemmeno accorta che il telefono dell’altro aveva cominciato a suonare. La voce che arrivava dall’apparecchio era disturbata, poteva essere di un uomo o di una donna, era impossibile capirlo. Soprattutto unendo a quello il traffico che proveniva dalla strada accanto al parcheggio. Era piuttosto difficile seguire il filo del discorso, Kohei si limitava ad annuire, quasi l’altro - o l’altra - potesse vederlo, e a borbottare frasi sconnesse, quali “Cosa? Pensavo non volessi che lei-” “Davanti all’aeroporto” “Siamo sicuri che sia una buona idea?”
Quando Kohei si girò di nuovo verso di lei. “Andiamo”
“Con chi parlavi?” chiese, tenendo gli occhi fuori dal finestrino.
“Il mio capo”
“Mh”
“Vuole che ci muoviamo”
“Mh”
“Ran”
“Voglio parlare con Shinichi, prima”
Kohei esitò, non gli andava di prometterle qualcosa che probabilmente non sarebbe successo. Ma non aveva alternative.
“Va bene, lo farai una volta che saremo nell'aeroporto”  disse infine, voltandosi per aprire la portiera. Sentì Ran tirare un sospiro di sollievo. Forse le cose si sarebbero aggiustate.
Fu lei la prima a scendere dalla macchina, rabbrividì, tendendo istintivamente una mano verso il cappotto abbandonato sul sedile. Si ripeté mentalmente che tutto sarebbe andato bene, nonostante in realtà non ci credesse molto. Il suo pensiero si spostò quindi su Shinichi, le avrebbe mai detto la verità? Era come se lui avesse creato un muro a separarli, che per quanto lei cercasse di abbattere rimaneva intatto.
Fu un rumore sordo a cogliere la sua attenzione, sapeva di averlo già sentito altre volte, ma non riusciva a ricordare dove. Mentre le orecchie iniziavano a fischiare e la vista ad appannarsi, abbassò lo sguardo sul maglione beige che le aveva regalato sua madre, ora chiazzato di rosso.
Sentì le gambe cedere sotto il suo peso e, prima che tutto diventasse nero, le sembrò di sentire Shinichi chiamare il suo nome.

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Salvee

Lo so cosa state pensando, dopo mesi mi degno di tornare, sono una persona orribile, lo so, lo so, lo soo. La persona che dovreste odiare non sono io, ma chi ha fatto gli orari di questo semestre. Un incubo, non dico altro.

Oh ma è forse il 15 marzo oggi? Vi ricorda qualcosa "Konbanwa! Allora, è la prima storia che pubblico in questa sezione, spero vi sia piaciuto come inizio."? Un anno fa pubblicavo il prologo della storia, ci credete? Non pensavo nemmeno di arrivare al terzo capitolo, invece.. Dopo tutto questo tempo posso dire di essere felicissima di aver deciso di scrivere in questa sezione e ringrazio di cuore tutti coloro che nonostante la mia lentezza assurda hanno seguito la storia fino a qui, chi ha recensito, messo tra le seguite/preferite/ricordate e anche (ovviamente) ai lettori silenziosi. Spero vogliate arrivare alla fine insieme a me. 

Tornando alla storia, mi scuso per l'ennesimo cliffhanger, immagino abbiate capito che qualcuno ha sparato a Ran. Chi è stato? Sopravvivrà? Quando la pianterai di maltrattare i personaggi? Troverete risposte per queste e altre domande nel prossimo capitolo, che speriamo tutti arrivi presto.

Gaia

Ps. La frase all'inizio della storia - ovviamente - non è di una canzone; questa volta ho preferito usare la citazione di un film, Dear John. Penso sia chiaro il perchè della mia scelta ahah

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