EXPLOSION di WillowG (/viewuser.php?uid=33011)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** spaghetti esplosivi ***
Capitolo 2: *** Inferno letterario ***
Capitolo 3: *** Ritorni dal passato ***
Capitolo 4: *** Appartamento N°8 ***
Capitolo 5: *** La scatola. ***
Capitolo 6: *** Cassidy ***
Capitolo 7: *** Esplosione evitata ***
Capitolo 8: *** Un brutto presentimento ***
Capitolo 9: *** Uscita di scena ***
Capitolo 10: *** La fine non arriva mai ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** spaghetti esplosivi ***
explosion1
Fic che ho scritto un pò di tempo fa, ambientata durante la
seconda stagione, quindi con Kate viva e vegeta. In effetti è
stata la mia prima fic su NCIS. Spero che sia venuta bene ...
-EXPLOSION-
Capitolo 1
-spaghetti esplosivi-
Ore 9.00. È una bella giornata di sole, e il guardiamarina Jones
McKayne è diretto al supermercato a pochi isolati dalla sede
della marina dove lavora. Tutto è assolutamente normale. Donne
coi figli più piccoli intente a fare la spesa per il pranzo
della domenica, giovani marine che sfogliano di nascosto riviste porno,
uomini come lui, non necessariamente della marina, alla ricerca di
qualcosa per pranzo. Gli bastano pochi istanti al reparto, per trovare
quello di cui necessita. Spaghetti precotti. Passa a prendere un paio
di birre al banco frigo, e si dirige alla cassa. E’ fortunato.
Non c’è coda. Ma mentre la giovane cassiera passa la
confezione di cibo precotto sul lettore di codici a barre e la fortuna
finisce. Jones non ha neppure il tempo di prendere i soldi dal
portafoglio. Un’esplosione, e tutto diventa buio. Un istante di
silenzio, ogni rumore è stato inghiottito dalla potenza
dell’ordigno. Ma solo per un istante. Le grida dei feriti e
subito dopo le sirene delle ambulanze e delle auto pattuglia della
polizia riempiono l’aria.
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-Ma no! Dai, mi stai prendendo in giro, come al solito.-
-Ti dico di no!- Tony e Kate avevano appena fatto il loro ingresso alla
base dell’NCIS, dopo aver fatto una tappa al bar, dove avevano
comprato qualcosa per il pranzo. E come sempre Kate faceva fatica a
credere fino in fondo al collega.
-Ma insomma, quello che dici non ha senso!-
-Ma come non ha senso?! Vuoi dire che hai dei pregiudizi sugli uomini che cucinano?- Ribatté Tony ferito.
-No, ho dei pregiudizi sul fatto che TU cucini. Anzi, diciamo che ho
dei seri dubbi.- Continuò Kate appoggiando il suo pacco col
pranzo alla scrivania.
-Il fatto che sono come sono, non significa che non riesca a cucinare
un piatto di spaghetti!- Continuò l’agente sistemandosi a
sua volta alla propria postazione.
-Ma per favore! Se non conosci neppure la differenza tra una padella e
una pentola a pressione!- Continuò Kate, sarcastica.
-Parli tu, che sostieni che gli spaghetti sono stati inventati dai
cinesi!- Ribatté Tony, tirando fuori dal suo pacco un panino
contenente i più disparati condimenti. Kate si trattene dal
proferire parola. L’alimentazione del collega era un tasto
pericoloso per la sua digestione.
-Guarda che tecnicamente Kate ha ragione …- Si intromise
timidamente McGee, distogliendosi per un istante dal suo lavoro al
computer. Una pallina di carta proveniente dalla scrivania di Tony lo
colpì in pieno.
-Fatti gli affari tuoi, pivello!-
-Tony, se vedo volare un altro pezzo di carta, giuro che passerai la
vita con la scopa in mano.- Proprio allora, col suo immancabile
caffé in mano, fece la sua comparsa Gibbs. Dalla faccia scura
del capo, di sicuro doveva esserci un nuovo caso in arrivo. Infatti,
senza neppure curarsi dei buongiorno simultanei di Kate e Tony, e di
quello leggermente ritardatario di McGee, cominciò ad impartire
ordini.
-Dinozzo, Todd, fine pausa pranzo, McGee spegni quel computer. Abbiamo del lavoro da fare.-
-Preparo il furgone capo?- Chiese Tony mentre gettava a malincuore ciò che restava del panino.
-Se non vuoi andare a piedi …- Commentò sarcastico
l’uomo mentre chiamava l’ascensore. Con un suono metallico l’ascensore si
aprì.
-Cosa abbiamo oggi, capo?- Domandò Kate salendo con Tony e McGee, mentre i capelli scuri le svolazzavano sulle spalle.
-Un’esplosione ad un supermarket. È morto un marines e tre
civili.- Poi, come se avesse improvvisamente ricordato qualcosa, si
rivolse al suo agente più anziano presente. -Ah, DiNozzo?-
-Sì, capo?- Tony non aveva ancora perso il suo solito sorriso.
-Gli spaghetti SONO nati in Cina. Li ha portati in Italia Marco Polo.-
Kate ghignò soddisfatta all’indirizzo del collega, sul cui
volto ogni traccia di sorriso era scomparsa, per lasciare spazio
all’irritazione rivolta alla mora. Malcelando un sorrisetto,
Gibbs si calò di più sulla testa il berretto. Come anche
McGee cercava di nascondere, le battaglie tra Tony e Kate erano uno
spettacolo degno da cabarert.
-----
-Ah, Jethro! Ho quasi finito … tra poco la scena sarà
tutta tua!- Ducky, con l’immancabile papillon, stava esaminando
il corpo di una bambina. Osservandola, Gibbs non gli diede più
di dieci anni.
-Lei è …-
-Catherine Walker- Rispose il patologo. -A scuola mancava una maestra,
così lei era stata rispedita a casa, e la madre se le era
portate dietro lei e la sorellina, che non va ancora a scuola per fare
la spesa.-
-E loro che fine hanno fatto?- Gibbs distolse lo sguardo dal corpo per
controllare i suoi agenti. McGee stava facendo gli schizzi, mentre Tony
si dava da fare con la macchina fotografica. Poco più in
là, Kate si stava facendo dare ogni informazione utile da alcuni
testimoni. Ducky si tolse un momento gli occhiali, prima di rispondere.
-La madre è morta mentre l’ambulanza la portava in
ospedale. La sorella, Pamela, invece, è ancora viva. È in
prognosi riservata, ma forse se la caverà.-
-E il nostro marines?-
-Pezzo qui, pezzo là, mischiato a ciò che rimane della
cassiera, Miranda Williams.- Gibbs non volle sapere altro. I resti
erano già stati portati via. Ducky e il suo assistente avrebbero
ricomposto ciò che restava dei corpi il sala autopsie.
-E l’ordigno?-
-Si trovava in una confezione di spaghetti precotti giapponesi.
È esplosa quando è stata fatta passare sul rilevatore del
codice a barre.-
-Il genere di cibo che mangerebbe Tony.- Kate era tornata con le
dichiarazioni dei clienti del supermarket presenti, e rivolse un
sorrisetto maligno a Tony, che per tutta risposta le rivolse un ghigno
che prometteva vendetta. Soddisfatta della sua piccola vittoria, Kate
rivolse la sua attenzione alla vittima. Per un attimo si era
irrigidita, mentre la sacca mortuaria si chiudeva attorno al corpicino
della bambina. Col suo lavoro aveva dovuto imparare a dominarsi, anche
se quel genere di spettacoli la faceva davvero star male. Per quanto ci
si possa preparare, certe cose non possono non toccarti. E quando
questo succede, significa che non sei migliore di quelli che le hanno
provocate. Tony la raggiunse, e le mise una mano sulla spalla.
-Non mi abituerò mai.- Mormorò la donna, rivolta
più a sé stessa che al collega. Questi gli diede una
stretta più forte sulla spalla, incoraggiandola. Il commento
arrivò alle orecchie del medico legale, che ne approfittò
per uno dei suoi racconti.
-Eh, hai ragione, Kate. Sono cose davvero raccapriccianti. Mi ricordo
quel caso, di quindici anni fa, in cui mi trovai davanti i corpi di
quattro ragazzine. Tutte sorelle, tra i quattro e dodici anni. Il padre
era impazzito, e dopo aver ucciso la moglie, aveva fatto fuori anche le
piccole. Quando riuscimmo a trovare i corpi, erano già passati
almeno sei giorni dalla morte, e lo stato di decomposizione …-
-Taglia corto, Ducky, e dicci come è morta.- Tony e Kate furono
infinitamente grati al loro capo e alla sua impazienza. Non erano
proprio dell’umore adatto per sentire le macabre esperienze del
medico legale. L’unico un po’ deluso
dall’interruzione sembrava Palmer, l’assistente di Ducky.
Il medico sospirò contrariato, e pronunciò le sue ipotesi.
-Lo spostamento d’aria dell’esplosione non le ha lasciato
scampo. E’ stato come se un camion l’avesse investita. I
suoi organi vitali sono stati come schiacciati. Se fosse stata lontana
solo qualche metro, forse sarebbe sopravissuta. Il classico posto
sbagliato al memento sbagliato. Ma vi farò sapere di più
quando avrò completato l’autopsia.-
-Bel lavoro, Ducky. McGee, quanto tempo ti ci vuole per fare quegli
schizzi?- Tony e Kate rimasero un momento da soli, mentre Gibbs sfogava
la sua ira repressa sul povero McGee. Tony osservò per
l’ennesima volta il posto: ovunque erano visibili i segni
dell’esplosione. La cassa era praticamente scomparsa, alcuni
scaffali erano caduti. Pezzi di vetro sembravano formare un puzzle
scomposto. Un buon numero di persone erano rimaste ferite proprio dai
vetri in frantumi. Le gocce di sangue sul pavimento non si contavano.
-Hey, Tony, tutto ok?-
-Mmh? Ah, sì, Kate, non preoccuparti. Tutto a posto.- La donna
lo fissò per qualche istante poco convinta. Tony non aveva
ancora fatto nessun commento, neppure stupido. Non era da lui. Di
solito, da primo della classe quale si riteneva, avrebbe almeno fatto
una decina di ipotesi, anche stupide, solo per mettersi in mostra, ed
infastidirla come nessuna creatura al mondo fosse mai riuscita a fare.
Lo osservò scattare ancora qualche foto, poi si soffermò
su quello che restava della bomba. Un ordigno artigianale, ma di grande
potenza. Con una smorfia di disgusto, Kate si infilò i guanti e
raccolse la confezione accartocciata in cui era nascosta la bomba e la
mise in un sacchetto di plastica. Stessa cosa fece con ciò che
assomigliavano ai componenti dell’ordigno. Sigillò ogni
contenitore.
-Hey, Kate, vieni un po’ qui!- L’agente si alzò e si
avvicinò a Tony, che fissava qualcosa con lo sguardo rivolto
verso il soffitto.
-Che c’è, Dinozzo?- L’uomo fece un vago cenno della mano verso uno dei pilastri dell’edificio.
-Pensi che abbia registrato qualcosa?- Annerita dal fumo, tanto da
confondersi con il muro circostante, una piccola telecamera di
sicurezza non accennava a spegnere la spia rossa. Gibbs arrivò
alle spalle dei due agenti. Aveva avuto la stessa idea di Tony.
-Preparate il pop corn, ragazzi. Stasera si sta attaccati alla TV.-
-----
-Odio gli ospedali …- Borbottò Tony. Lui e Kate erano
andati alla clinica dove era stata ricoverata la bambina sopravissuta
all’esplosione. Infastidito, si passò una mano sulla nuca.
Lo scappellotto che Gibbs gli aveva dato quasi un’ora prima
bruciava ancora. Kate osservò il collega cercando di nascondere
l’ennesima risata. Era da quando Gibbs e McGee se n’erano
andati che Tony non faceva altro che andare avanti e indietro, offeso
come un bambino per lo scapaccione di Gibbs. Le cose erano andate
all’incirca così: subito dopo essere rientrati, Gibbs
aveva ricevuto una telefonata dall’ospedale. La bambina si era
svegliata, ed era in condizioni di parlare, anche se ancora sotto shock.
-Dinozzo. Todd. Voi andate dalla piccola Walker.- L’ordine
perentorio di Gibbs non lasciava repliche, ma Tony aveva tentato una
debole opposizione.
-Ma capo … Perché proprio io? Lo sa che con i bambini
sono un disastro!- Si era lagnato Tony, subito fulminato da un sorriso
gelido del suo superiore.
-Ma stavolta si tratta di una femmina … E di solito, con le
donne ci sai fare, vere o presunte che siano.- Sibilò Gibbs.
Kate e McGee si girarono dall’altra parte per non ridere in
faccia a Tony: anche Gibbs risollevava la storia del transessuale
… Un’occhiata inceneritrice dell’agente li fece
smettere. Poi si rivolse nuovamente al suo superiore con uno dei suoi
sorrisi da presa per i fondelli.
-Ma si tratta di una troppo giovane per me … Magari tra qualche
anno, se è carina, potrei anche provarci, ma per ora è
troppo presto …- Il suono dello scappellotto partito dalla mano
di Gibbs rimbombò per tutta l’NCIS. -AHIA! E questa per
cosa era?-
-Fai un po’ tu …- Ringhiò l’uomo
allontanandosi a grandi passi. E così, nel giro di una
mezz’oretta, Kate e Tony erano arrivati all’ospedale, dove
stavano aspettando che il medico della piccola li contattasse. Quando
questi finalmente si mostrò, Tony fece le presentazioni.
-Dottore? Agenti speciali Dinozzo e Todd, dell‘NCIS. Cerchiamo la
bambina coinvolta nell’esplosione di questa mattina.- Dopo aver
dato un’occhiata ai tesserini, il dottor Brian Carter, si mise
leggermente sulla difensiva.
-E cosa vuole la marina da quella povera creatura?-
-Nell’esplosione è morto un marines, così il caso
è passato a noi. Forse l’ordigno era destinato al
guardiamarina, forse no … La testimonianza della signorina
Walker può esserci utile a capire la dinamica dei fatti.- Il
medico sembrò rifletterci un momento su, indeciso. Alla
fine acconsentì, anche se la cosa gli costava molto. Kate
comprese i pensieri del dottore. Probabilmente era una di quelle
persone che amavano molto i loro pazienti. E quindi, pur sapendo quanto
fosse importante il compito dei due agenti, si sentiva male al pensiero
di far rivivere alla sua piccola paziente gli eventi di quella mattina.
In un colpo solo aveva perso madre e sorella. Ad accogliere il terzetto
davanti alla stanza di Pamela, c’era il padre. Un uomo alto,
sulla quarantina, con gli occhi rossi per le lacrime versate.
Inizialmente fece resistenza, ma alla fine accettò che Tony e
Kate andassero dalla bambina. Mentre entravano nella fredda stanza
immacolata, Kate sentì il dottor Carter cercare di consolare il
signor Walker. Un’infermiera che stava amorevolmente rimboccando
le coperte alla piccola, che non dimostrava più di sei anni, si
allontanò subito, lasciando con discrezione e un sorriso la sua
giovane paziente. Pamela si mise a sedere sul letto, accogliendo i due
nuovi arrivati. Prima ancora che questi avessero mostrato i tesserini,
domandò:
-Siete voi i poliziotti?- Tony sorrise, intenerito.
-Esatto piccola. Quindi saprai già perché siamo venuti
qui.- la piccola abbassò lo sguardo. I capelli castano chiaro le
ricadevano sulle spalle, in parte imprigionati dalla benda che le
fasciava l’occhio sinistro. Abrasioni e qualche livido le
coprivano il viso. Un’altra benda spuntava dalla manica della
vestaglia.
-Volete sapere come sono morte la mamma e Rin?-
-Rin?> Domandò Kate. Pamela annuì, mentre l’occhione scoperto si riempiva di lacrime.
-Mia sorella. La chiamavo così … Lei mi chiamava Pam …-
-Un nome bellissimo!- Commentò Tony, facendo sorridere la bimba. -Quanti anni hai, Pam?-
-Tanti così!- Rispose mostrando una manina con tutte le ditine
aperte. -Ma dopo di domani sono così.- e aggiunse il pollice
dell’altra mano.
-Oh, ma allora sei già una signorina!- La piccola sorrise di nuovo, poi il suo sguardo tornò triste.
-Voglio la mia mamma …- Kate frenò l’impulso
materno di abbracciarla, ma decise di prendere in mano le redini
dell’interrogatorio. Tony aveva già fatto molto, anche
più di quanto potesse aspettarsi, e non voleva provare
ulteriormente Pamela.
-Cosa è successo, Pam?- La bimba si sfregò l’occhio con una manica, poi iniziò il racconto.
-Rin non aveva scuola. Così mamma ci ha portato a fare la spesa.
Abbiamo comprato tanti biscotti. E il pollo per papà.
Così gli facevamo una sorpresa. Poi siamo andati alla cassa, per
pagare le cose. C’era un signore vestito strano davanti a noi,
con i capelli rasati, un cappello da muratore e delle medagliette sulle
spalle. Sembrava uno di quelli che ci sono sempre in TV … Quelli
con il fucile.- Soffocando un sorriso di tenerezza, gli agenti capirono
che probabilmente si trattava di un militare. E da quel che risultava
dalle testimonianze, l’unico nel negozio a quell’ora era il
guardiamarina McKayne.
-E poi? Continua Pam. Sei molto brava.- La incoraggiò Tony. Kate
rimase stupita dal suo tono di voce. Calmo e rassicurante. Non era la
prima volta che glielo sentiva usare. Solitamente lo sfoderava quando
aveva a che fare con il gentil sesso, specie se questo ricambiava le
sue attenzioni. Ma in quel momento aveva una valenza quasi paterna. Mai
aveva anche solo immaginato Tony in quella versione, ma quella
sfaccettatura del suo carattere le fece pensare che forse, nascosto da
qualche parte dentro al suo collega, stava un Tony adulto. Certo, per
tirarlo fuori forse ci sarebbero voluti ancora degli anni, o forse non
sarebbe mai uscito, ma ogni tanto, come in quell’occasione, quel
“futuro Tony” si lasciava intravedere. La piccola intanto
continuava il suo racconto.
-Dalla porta c’erano i palloncini. Ne volevo uno. Così ho
lasciato la mano della mamma. Lo so che non dovevo, che la mamma mi
avrebbe sgridato. Ma c’era un palloncino a forma di coniglio
… Rin mi ha seguito … Poi c’è stato il boom.
La mamma mi ha chiamato … poi qualcosa ha fatto ancora boom!-
Adesso la bambina aveva iniziato a piangere a dirotto. Era ora di
finire. Kate lanciò un’occhiata a Tony, che comprese al
volo.
-Sei stata bravissima, Pam.- Mormorò Tony, mentre accarezzava la
testa della piccola, che non riusciva a smettere di piangere. -Sei
molto coraggiosa.-
-----
-Povera piccola!- Esclamò Kate una volta fuori
dall’ospedale. L’atmosfera grave e silenziosa
dell’edificio le aveva impedito di parlare prima col collega.
-E’ una bambina forte.- Ribatté Tony, inforcando gli occhiali da sole e dirigendosi verso l’auto.
-E suo padre?- Gli domandò Kate mentre apriva la portiera dell’auto accanto al posto di guida.
-Ringrazia il cielo che almeno lei sia viva. In un colpo solo ha perso
la moglie e una figlia. Pamela gli darà la forza di andare
avanti.- Kate sperò che il collega avesse ragione. Poi le
balenò in mente una cosa.
-Sai la cosa buffa?-
-Cosa?- Domandò Tony entrando in auto.
-Che se è salva è solo perché è stata
disubbidiente. Se fosse rimasta accanto alla madre, sarebbe morta anche
lei.- Concluse Kate sedendogli accanto. Con un rombo, la macchina si
diresse al quartier generale dell’NCIS, dove Abby aveva
completato le analisi sull‘ordigno.
-----
-Allora, Abby, che novità hai?- Gibbs era entrato nel
laboratorio con un bicchiere di caffé, che la ragazza accolse
con un sorriso.
-Con un’offerta del genere, non possono che essere positive!-
Abby bevve un generoso sorso della bevanda, facendo spazientire
l’agente, che, con un gesto di stizza, le prese il bicchiere di
mano. -Mmm. Ho capito. Prima le novità.-
-Ecco, brava.- Con un gesto di stizza, la Dark indicò i resti della bomba appena esaminati.
-Abbiamo a che fare con qualcuno che conosce bene gli esplosivi, una sorta di genio delle bombe ad orologeria.-
-Pensi ad un attacco terroristico?- Gibbs si portò allo stesso
livello dei frammenti, quasi che questi potessero prendere vita e
dirgli tutto. Ma questi rimasero pezzi di plastica e fili
bruciacchiati, del tutto muti e praticamente insignificanti per lui. Ma
non per Abby, che cominciò la sua spiegazione.
-No, tematiche, luogo, e genere sono troppo diversi. Eppoi sarebbero
siglati. Mentre il nostro uomo ha fatto di tutto per rimanere anonimo.-
-Che altro mi puoi dire?-
-Dammi un attimo, ci sto arrivando! Dunque, tanto per cominciare, il
tipo di esplosivo: attaccati ai pezzi che mi ha fornito Kate,
c’erano resti di vetro. Ricomponendo il puzzle, quindi, ho notato
che nella bomba c’era spazio per almeno due bottigliette molto
piccole. Sai, come quelle dei campioncini di liquore, per intenderci. E
due orologi E mi sono chiesta: a cosa mai potranno servire delle
bottigliette mignon in una bomba?-
-Dimmelo tu, Abby.-
-A contenere dei liquidi!- Gibbs la fissò lievemente perplesso, prima di iniziare ad arrabbiarsi.
-Mi stai prendendo in giro?-
-Aspetta, devo arrivare al meglio. Esistono due tipi di prodotti, che,
separati, non sono dannosi, ma se mescolati … Bhe, meglio essere
a qualche chilometro di distanza, perché anche in
quantità minime, come in questo caso, possono scatenare un vero
inferno.-
-Ma se i componenti sono per una sola bomba, come mai mettere due
orologi?- Domandò Gibbs, ma stavolta la risposta non venne da
Abby.
-Perché le bombe sono due all’interno di una.- Tony era appena entrato, seguito a ruota da Kate.
-La bambina dice che ci sono state due esplosioni.- Un sorriso trionfale si disegnò sul volto di Abby.
-Esatto! Le mie congratulazioni ai nuovi vincitori dell’Abby show!-
-E qual è il premio?- Domandò Tony, evitando un’occhiata fulminante da parte del suo capo.
-Che la vostra unica, irripetibile e straordinaria Abby vi
svelerà il trucco usato dal nostro dinamitardo!- Con un
movimento fluido si mise accanto ai suoi ascoltatori, indicando i vari
pezzi dell’ordigno. -Allora, come ho già detto, in questo
pacchetto di spaghetti precotti, ci sono in pratica due bombe.-
-Uao! Due al prezzo di una!- Esclamò Tony, subito raggiunto
dall’insensibile scappellotto di Gibbs. -AHIA!- Prima di poter
ribattere, il marine lo fulminò.
-Prova a chiedere per cosa era e te ne ritrovi altri sei. Abby, continua.-
-Grazie, Gibbs. Allora, come ho già detto, ci sono due bombe.
Una è più potente, ovvero quella liquida, l’altra,
invece, è solo una sorta di ciliegina sulla torta, ed erano
separate l‘una dall‘altra da una scatola o una piccola lega
di metallo, in modo che la prima esplosione non danneggiasse il secondo
timer.. Hai trovato i resti ad una certa distanza uno dall’altro,
vero, Kate?- L’agente annuì, e Abby riprese il suo
racconto. -Ordunque, ho controllato i resti degli orologi. Sono quasi
sicura che qualcosa li ha fatti scattare dall’esterno, e da
lì in poi il tempo la detonazione era perfettamente calcolato
perché esplodesse prima la bomba liquida, e poi quella normale.
Comunque, per meglio capire com’è andata la cosa,
basterà aspettare McGee con il nastro di sorveglianza.-
-Mi rimane un dubbio. Perché nascondere una bomba in un
pacchetto di spaghetti precotti?- Domandò Gibbs. Tutta la
squadra fece lavorare le meningi.
-Non saprei, capo. Probabilmente è un pazzo che si sente un dio
a far esplodere la gente …- Ipotizzò Tony, subito
smentito da Kate.
-Non ci credo. Secondo me abbiamo a che fare con qualcuno che ha un
piano ben preciso. Non sono molte le persone in grado di costruire un
apparecchio simile, e forse il nostro uomo voleva colpire una certa
categoria di persone.-
-Cioè?- Gibbs era molto interessato al ragionamento di Todd.
-Chi compra di solito gli spaghetti precotti?-
-Qualcuno che non ha tempo per cucinare?- Buttò lì Abby, facendo scattare la lampadina di Tony.
-Le persone single!-
-Indovinato!- Esclamò Kate dando una patta amichevole sul
braccio del collega. Proprio allora fece la sua apparsa McGee,
trafelato e con una videocassetta in mano.
-Capo! Ho finito di vedere la registrazione del nastro, e non ci crederai, ma l’esplosione …-
-In realtà erano due, lo so.- Completò Gibbs per McGee,
che rimase a bocca aperta, mentre il suo superiore restituiva il
meritato caffé a Abby.
-Ma come diavolo …-
-Eh, lo sapeva …- Ridacchiò Tony, imitato da Kate, che rincarò la dose.
-E’ Gibbs …-
-Forza, andiamo.- Lasciando McGee impalato davanti ad Abby, Gibbs e gli altri uscirono dal laboratorio.
-Ma come fa?- Domandò attonito il ragazzo. Per tutta risposta Abby fece spallucce.
-E’ Gibbs …-
-Fine capitolo 1-
Allora, non sono un'esperta di bombe, quindi quello che ho scritto
sarallo di sicuro delle stupidaggini. L'idea dei fluidi che si
mescolano e creano un'esplosione, l'ho presa da un qualche film
poliziesco di cui non ricordo neppure il nome. Spero comunque che vi
piaccia questa fic. Ho cercato di restare con le battute il più
possibile fedele ai personaggi di NCIS,spero di esserci riuscita ...
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Capitolo 2 *** Inferno letterario ***
explosion2
EXPLOSION
Capitolo 2
-Inferno letterario.
Qualcosa era andato storto. Se lo sentiva. E così era stato.
Un’inezia, certo, ma anche un’inezia non va mai
sottovalutata. Ma d’altronde i principianti commettono sempre
degli errori. E lui era un principiante. La prossima volta sarebbe
andata meglio. Continuava ripeterselo, come una cantilena. Quella era
stata solo la prima dello spettacolo. Importante, ma non fondamentale.
Doveva ancora farsi le ossa … Ogni volta sarebbe andata sempre
meglio, finché finalmente, sarebbe arrivato alla perfezione. E
allora sarebbe stato il momento del gran finale. L’uomo osserva
per un momento il pacchetto che regge in mano. Poi si alza dalla
panchina su cui era seduto, e senza che nessuno in quel parco cittadino
faccia il minimo caso a lui, si allontana. Quando sei un tipo
qualunque, nessuno ti presta mai attenzione. E adesso, con addosso una
comunissima tuta da ginnastica, un normale berretto da football e degli
anonimi occhiali da sole di marca scadente, è ancora più
invisibile della maggior parte della gente presente. Comincia a
correre, lentamente, tenendo un passo regolare, per non destare il
minimo sospetto. Ecco, un comunissimo patito della forma fisica intento
a fare jogging mattutino. Come decine di altre persone in quel momento.
Ferma la sua corsa controllata solo davanti all’edificio di
mattoni rossi in fondo al parco. Facendo finta di nulla, col suo pacco
sotto braccio, entra nella vasta biblioteca pubblica.
-----
Rachel Clark, giovane promessa della marina, osserva con entusiasmo le
file di libri di tutti i tipi stipati nell’enorme libreria
polverosa. Aveva dovuto faticare non poco per convincere la compagna di
corso, Sunny Benchley, ad accompagnarla alla vecchia biblioteca
pubblica. Sunny, in quei giorni di vacanza, infatti, avrebbe preferito
restare al campus a spassarsela. Ma Rachel voleva a tutti i costi
tornare lì. Poco importa che la biblioteca scolastica del campus
universitario sia altrettanto fornita. Da bambina aveva passato intere
giornate a frugare in quegli scaffali. E adesso voleva rifornirsi di
letteratura esclusivamente lì, dove il bibliotecario, Mr.
Burnet, ormai la conosce benissimo.
-Allora, Rachel … Lo prendi quel libro sì o no?!- Sunny
è sul punto di piantare in asso l’amica. Ma il libro che
Rachel sta cercando, proprio non riesce a trovarlo negli scaffali.
-Aspetta, vado a chiedere a Mr. Burnet. Forse ce l’ha lui
…- Veloce, la diciottenne si dirige al bancone dove l’uomo
di mezz’età sta sistemando alcuni libri appena restituiti,
di cui uno avvolto in carta da pacco. -Buongiorno, Mr.!- Al saluto di
Rachel, il bibliotecario si volta sorridendo.
-Oh, buongiorno a te, cara! Dimmi, in cosa posso servirti, stavolta?-
-Avrei bisogno della traduzione della Divina Commedia. Sa, quel libro
sull’ inferno di quell’italiano, come si chiamava …
Dante … Dante … Mi sfugge il nome …-
-Alighieri.- Completa Burnet per lei.
-Esatto! E’ per storia della letteratura …- Spiega la
ragazza, lievemente imbarazzata per la figuraccia da ignorante appena
fatta.
-Un’opera molto interessante. Sei fortunata, al momento tutte le
copie che possiedo sono fuori, ma un signore me ne ha appena
riconsegnata una … Se hai la pazienza di aspettare che lo
registri, te lo consegno subito.- L’uomo prende in mano il libro
impachettato che ha sul tavolo, e inizia a scartarlo delicatamente.
Rachel intanto si sofferma a curiosare, a qualche passo di distanza,
una pila di nuovi arrivi ancora da collocare sugli scaffali. Burnet ha
quasi finito, quando il libro esplode con un fragore assordante. Il
bibliotecario viene investito in pieno, mentre Rachel è coperta
da detriti e resti carbonizzati. Gli allarmi antincendio scattano,
unendosi alle grida delle persone presenti nell’edificio. Gli
idranti spargono acqua ovunque, e per alcuni lunghi minuti sembra che
il testo dantesco abbia preso vita.
-----
-Allora, riassumendo, cosa abbiamo?- Gibbs era in piedi davanti alla
lavagna, intento ad assemblare i pezzi del mosaico con McGee e Kate.
-Due bombe di diversa fattura in una confezione di spaghetti precotti
che esplodono in tempi diversi, tre vittime e un nastro di sorveglianza
praticamente inutile.- Elencò Kate sulla punta delle dita.
-Poi? Cos’altro?- Continuò Gibbs scrivendo ogni punto.
Sentendosi chiamato in causa, McGee si affrettò a rispondere.
-Ho controllato la registrazione, ma ogni ventiquattrore viene
cancellata, e per oggi mostra che nessuno, oltre al guardiamarina
McKayne, si è mai avvicinato agli spaghetti precotti.-
-Quindi devono aver messo la bomba almeno la sera prima.- Concluse
l’ex marine fissando la lavagnetta, in cerca di nuovi
particolari. -Altre novità da Abby? Ha identificato i prodotti
usati per la prima bomba liquida?-
-Sì, ma si tratta di componenti chimici molto diffusi nelle
fabbriche, e talvolta anche tra chi pratica il fai-da-te. Reperibili da
qualunque ferramenta ben fornito. Praticamente irrintracciabili.-
Rispose Kate leggendo la documentazione fornitegli dalla collega. Gibbs
segnò con stizza anche quelle informazioni. In realtà non
si aspettava molto. Ma tentare era sempre il primo passo. Si
allontanò di qualche passo dal tabellone e fece il punto della
situazione, più per sé stesso che per gli altri.
-In pratica abbiamo: un potenziale dinamitardo, probabilmente senza
legami con cellule terroristiche. Anche perché altrimenti i
nostri “cari” colleghi dell’FBI sarebbero già
venuti a farci visita, che usa prodotti comuni per il fai-da-te, e le
sue bombe contengono due ordigni ben distinti. Deve aver sistemato la
sua confezione di spaghetti precotti prima della mezzanotte. Non ha
obbiettivi specifici, se non i consumatori di cibi precotti, quindi
persone single. E a proposito di persone single … Dove diavolo
si è cacciato Dinozzo?!- Kate e McGee si lanciarono
un’occhiata interrogativa: poco dopo la visita in laboratorio da
Abby, Tony se ne era andato, senza dire una sola parola. Kate si
sorprese ad essere lievemente preoccupata. Non era da lui. Per quanto
infantile, il suo collega non aveva mai disertato così il
lavoro. Salvo durante quell’appostamento in cui si era messo a
correre dietro alla sospettata … Che poi si era rivelata un lui
… Ma aveva imparato la lezione. O almeno, Kate lo sperava. A
Gibbs bastò passare un’occhiata sui volti dei suoi agenti
per capire che non lo sapevano. -Fate sapere all’agente Dinozzo,
che se entro dieci minuti non si farà vivo, l’unico modo
in cui entrerà nell’NCIS sarà come addetto alla
pulitura dei bagni!-
-Non c’è n’è bisogno capo. Sono qua!- Proprio
in quel momento, dall’ascensore uscì fuori Tony, trafelato
e con alcune cartelline in mano.
-Spero che avrai una buona scusa per questo.- Ringhiò il militare fissando gelido l’agente che aveva davanti.
-La brillante spiegazione di Abby sull’ordigno, mi ha fatto
tornare in mente un caso su cui mi era capitato di lavorare quando
lavoravo nella polizia.- L’espressione di Gibbs si fece meno dura.
-Quindi?-
-Quindi … Ho dovuto lavorarmi qualche segretaria per avere i
vecchi fascicoli. Mi toccherà fare gli straordinari, questa
settimana … Ho dovuto anche annullare la serata con Lizzy
… E on credo che la cosa le andrà a genio ...- Un ringhio
sordo provenne dalle parti di Kate. Prudentemente, McGee si
allontanò di qualche passo dalla collega, che fissava Tony con
gli occhi ridotti ad una fessura. Non lo sopportava. Davvero, non
riusciva a capacitarsene. Tony cambiava donna come i fazzoletti di
carta, da perfetto donnaiolo quale si vantava di essere. Perché
le facesse così rabbia, poi, Kate non lo avrebbe neppure saputo
dire con esattezza. Forse perché, lavorandoci assieme, si era
accorta che quello era solo un lato del suo carattere. In certi casi,
come quella mattina in ospedale, o quando svolgeva il suo lavoro su una
scena del crimine, Tony sembrava cambiare, diventando adulto. Ma tac,
appaiono alla vista un paio di belle gambe, e … Puff! Tony si
trasforma in un ragazzino un po’ bullo dei tempi del liceo. E a
lei questo non andava giù. Diavolo, se poteva essere serio
davanti ad un omicidio, poteva esserlo anche davanti ad una donna, no?!
Irritato quanto la sua agente, Gibbs interruppe il ragionamento di
Dinozzo.
-Come li hai avuti e con chi passi le tue serate non mi interessa.
Voglio sapere cosa c’è scritto sopra.- Era al limite della
sua già provata pazienza. Tony sospirò, leggermente
deluso. Ma riprese la sua spiegazione.
-Come vuoi, capo. Allora, è un caso di quasi cinque anni fa.
Quando ero solo un innocente poliziotto. Un giorno, ci venne segnalata
alla centrale che …-
-Taglia corto, Dinozzo.-
-Va bene. Allora, cinque anni fa, un certo Johan Smilton, ha piazzato e
fatto esplodere, in luoghi diversi, almeno quattro bombe, per un totale
di otto vittime e non so quanti feriti. Tutti obbiettivi comunque
piuttosto ridotti, come stamattina. La quinta sarebbe stata la
più spettacolare, e avrebbe potuto causare qualcosa come
… bhe, un centinaio di vittime. Ma siamo riusciti a fermarlo
prima.-
-E cosa ti fa pensare che questo Smilton c’entri qualcosa?- Domandò Kate.
-La scatola di spaghetti precotti. Anche l’altra volta era
iniziata così. E anche Smilton usava ordigni con due bombe a
tempo. Ma esplodevano ad una distanza di quasi un‘ora l’una
dall‘altra.-
-Benissimo. Anche se è una pista un po’ stagionata, è meglio di niente. Ottimo lavoro, Dinozzo.-
-Grazie, capo.- Tony tirò un sospiro di sollievo. Dal tono di
voce soddisfatto, Gibbs sembrava aver recuperato un minimo buon umore.
O se non altro, la pista da seguire postagli davanti gli aveva fatto
almeno momentaneamente scordare la rabbia nei suoi confronti.
-Kate. Dai un’occhiata ai fascicoli di Tony. McGee, controlla se
questo Johan Smilton è uscito di prigione o ha qualche parente.-
Gibbs cominciò a dare ordini a destra e a monca, ma Tony lo
interruppe.
-E’ inutile cercare, capo …- Gli sguardi dei presenti si
fissarono in una domanda muta addosso all’agente. Tenendo il capo
chino, questi rispose solo: -E’ morto. Cinque anni fa, quando lo
abbiamo preso. Ero presente.- Un silenzio di tomba circondò
l’ufficio. La delusione era palpabile. Avevano appena trovato una
pista, seppur debole. E dovevano già cestinarla. Consapevole del
ritorno della rabbia appena scordata di Jethro, Tony si preparò
al peggio. Ma proprio in quel momento il telefono di Gibbs
squillò, salvando Tony da quella pericolosa situazione. Seccato,
l’agente si affrettò a rispondere.
-Gibbs.- Qualche istante di attesa, mentre la voce all’altro capo
dell’apparecchio spiegava la situazione. -D’accordo.
Arriviamo subito.- Rispose l’uomo, per poi sbattere la cornetta
al suo posto con un impeto di rabbia. Una bestemmia venne a malapena
trattenuta, mentre si dirigeva all’ascensore a passo spedito.
Nessuno dei tre agenti presenti ebbe il coraggio di chiedere nulla,
intuendo cos‘era accaduto. Appena prima di entrare, Gibbs si
rivolse verso di loro, e con voce profonda di collera disse ciò
che loro già immaginavano. -Il bastardo ha colpito ancora.- Poi,
come ripensandoci, si rivolse nuovamente a Tony. -Ah. Dinozzo?-
-Sì, capo?- Uno scappellotto si abbatté con uno schiocco sulla nuca del trentaduenne.
-Più tardi dobbiamo fare un discorsetto, noi due.- Le porte
dell’ascensore si chiusero, mentre Kate non riusciva a trattenere
un sorriso malignetto rivolto al collega, che, rassegnato, si
massaggiava la nuca.
-----
La ragazza continuava a tremare, senza smettere di sfregarsi una
guancia con la mano destra, come a voler togliere una macchia. Macchia
che le era già stata lavata via alcuni minuti dopo il fatto.
Quando la bomba era esplosa, proprio davanti al volto del signor
Burnet, ed alcuni schizzi di sangue le erano arrivati sul volto.
Orripilata, poco dopo l’arrivo dei soccorsi, si era lavata via il
sangue dalla guancia, ma l’orrenda sensazione del liquido caldo
sulla pelle non accennava ad andarsene. Sunny le teneva la mano
sinistra, facendole sentire la sua presenza. Gibbs le studiò un
momento da lontano, mentre il poliziotto di turno,un tipo magno e
stempiato, gli riferiva le loro generalità.
-Si chiamano Rachel Clark e Sunny Benchley. Sono entrambe reclute della
marina. Studiano al college, a pochi isolati da qui. Vivono al campus
con altre due amiche, che però sono fuori per il weekend. Erano
in biblioteca, quando la bomba è esplosa in mano al
bibliotecario, il signor Burnet. La signorina Clark doveva prendere un
libro.-
-I college sono sempre forniti di biblioteca, Non è un po’
scomodo venire fin qua?- Esclamò Gibbs, sospettoso. Subito
l’agente rispose.
-La giovane Miss Clark veniva sempre qui a rifornirsi. Frequentava la
biblioteca da quando era una bambina, e conosceva di vecchia data la
vittima.-
-Capisco …- Commentò l’ex.marine, senza staccare
gli occhi dalle ragazze, intente a farsi coraggio a vicenda.
-Può andare. Da qui in poi ce la caviamo da soli.- Palesemente
felice di sbolognare il caso ai membri dell‘NCIS, il poliziotto
si dileguò, salutando educatamente e augurando buona fortuna.
Gibbs si diede un’occhiata intorno. Una folla di curiosi si era
radunata sul prato davanti alla biblioteca. L’edificio era stato
sgomberato per lasciare campo libero alle indagini. Non appena vide
Ducky, seguito a ruota dal suo assistente, Gibbs si rivolse ai suoi
uomini. -Kate e McGee con me a lavorare sulla scena. Dinozzo, tu
interroga le due ragazze. E vedi di essere gentile.- Un lieve ghigno
tra il sarcastico e lo scocciato si disegnò sul volto del
ragazzo, che prima di dirigersi al suo lavora, scambiò qualche
parola a bassa voce con Kate.
-Ma com’è che oggi mi toccano tutti gli interrogatori?- La mora cercò a stento di non ridere.
-Si vede che ha saputo quanto sei stato bravo stamattina con Pam
…- Tony le scoccò un’occhiata minatoria. Solo
allora Kate si rese conto di aver usato un tono troppo da presa per i
fondelli. -O forse vuole solo fartela pagare per prima!- Cercò
di correggersi, senza però cambiare tono. Tony stava per
ribattere qualcosa, ma gli sbraiti di Gibbs che gli ordinava di andare
al lavoro lo bloccò. Quindi lasciò Kate con un sorriso
che minacciava vendetta, a cui la donna rispose con un altro sorrisetto
sarcastico. Mentre raggiungeva Gibbs dentro la biblioteca, Kate
notò che la comunicazione tra lei e Tony spesso si sviluppava a
sorrisi. Irritati, sarcastici, d’intesa, maliziosi o spietati. Ma
sempre attraverso sorrisi. Cavolo! Erano come una coppia sposata!
Adesso capiva perché Ducky aveva preso il loro arbitrato come
una consulenza matrimoniale! Mezza disgustata dal suo stesso
ragionamento, si costrinse a liberare la mente per concentrarsi sulla
scena.
-Allora. Todd …- Gibbs aveva già iniziato ad impartire ordini, ma Kate lo sorprese completando la frase.
-Faccio le foto.- Jethro annuì, leggermente sorpreso.
-McGee, tu …-
-Io mi occupo degli schizzi.- L’uomo fissò un momento il
“pivello”, ed annuì seccato. Poi si diresse dal
medico legale, che stava già asportando da ciò che
restava della testa della vittima alcuni frammenti da identificare.
-Allora Ducky. Che mi …-
-Solo quello che vedi anche tu. Il nostro signor Burnet è morto
a causa dell’esplosione. Praticamente gli è stata portata
via mezza testa. L’unica consolazione è che probabilmente
non ha avuto neppure modo di accorgersene.-
-Ma oggi avete deciso tutti quanti di rubarmi le parole di bocca?!-
Ringhiò Gibbs, scatenando una risata condiscendente
nell’anziano professore.
-Non te la prendere, Jethro. E’ solo che hai addestrato troppo bene i tuoi ragazzi!-
-Allora? Hai per caso qualcos’altro per me?- L’agente
deviò il discorso, tornando sulle priorità. Con la coda
dell’occhio guardò ciò che restava del volto del
bibliotecario. Fu felice di non aver pranzato.
-Purtroppo non molto. Gli idranti hanno funzionato alla perfezione.-
-E quindi hanno cancellato tutto.- Un’altra cosa che non ci
voleva. L’acqua aveva di sicuro lavato via ogni genere di prova
analizzabile. Se anche il loro uomo avesse commesso un errore, sarebbe
svanito, era il caso di dirlo, in una bolla di sapone.
-Gibbs! L’ho trovata! La bomba!- Kate indicò ciò
che assomigliava ad una scatola, in parte accartocciata. Alcuni
brandelli di carta da pacchi annerita testimoniava che era stata
fasciata.
-----
-Mr. Burnet si era messo ad aprire il pacco. Doveva esserci dentro il
libro che mi serviva per letteratura. Gli era appena stato riportato, e
doveva segnarlo. Io mi sono allontanata per dare un’occhiata a
dei libri nuovi, mentre lui faceva la registrazione. Poi .. Poi
… C’è stata l’esplosione!- Rachel
scoppiò di nuovo in lacrime. Tony decise che era meglio non
forzarla ulteriormente. Sunny si era precipitata ad abbracciare
l’amica, cercando di rassicurarla. Probabilmente anche lei
avrebbe voluto piangere, ma sentiva che in quel momento era Rachel ad
aver bisogno di aiuto, e avrebbe recitato la parte solo per farle forza.
-Ti ringrazio. Adesso puoi andare.- Tony chiuse il suo taccuino, e
osservò le ragazze avviarsi verso un’autoambulanza poco
distante. Poi ad un tratto gli venne una folgorazione. -Aspetta! Ancora
una cosa …- Rachel si voltò, sostenuta dall’amica,
che fissava torva l’agente. -Sei sicura che l’esplosione
fosse una sola?-
-Certo! Che domande!- Gli occhi della ragazza adesso erano scintillanti
di esasperazione rabbiosa. Tony annuì e diede loro il permesso
di andare. I suoi dubbi avevano preso corpo. Schizzò via verso
la biblioteca, con il cuore in gola. L’ansia minacciava di
togliergli l’ossigeno necessario per correre. Kate, McGee, Gibbs
e Ducky erano lì dentro. Non serviva un genio per capire cosa
stava per succedere. Doveva solo sperare che il secondo ordigno non
esplodesse prima del suo arrivo.
-----
Gibbs osservò disgustato la scatola mezza bagnata. Ducky gli si avvicinò per dare il suo parere.
-Ha ritagliato le pagine del libro all‘interno, in modo tale da
farlo diventare una scatola. Ingegnoso.- Gibbs annuì, e
richiamò McGee, mentre Kate finiva di scattare le foto.
-McGee, imbusta quella cosa. Abby sarà ansiosa di analizzarla.-
L’agente eseguì l’ordine, ed aveva ancora la scatola
a mezz’aria, quando Tony entrò come una furia
all’interno della stanza.
-FERMI! DEVE ANCORA ESPLODERE!-
-Ma che stai dicend …- Mcgee non riuscì a completare la
frase, perché Tony gli aveva già sfilato di mano la
bomba, e l’aveva scagliata fuori dalla finestra. In un turbinio
di vetri in frantumi, il finto libro cadde sul prato.
-TUTTI GIU’!- Come un sol uomo tutti i presenti si gettarono a
terra, in attesa dell’esplosione. Che non venne. A mano a mano
che la paura per la bomba sfumava, varie paia di occhi inferociti si
andarono a posare sull’agente speciale Dinozzo. Gibbs per primo
gli si avvicinò e fissandolo ostile sibilò:
-Allora, cosa stavi blaterando, Dinozzo?- Tony deglutì, confuso. Possibile che si fosse sbagliato?
-Allora, Tony, ti sei divertito? O hai ancora voglia di farci qualche
scherzo?- Kate aveva superato Gibbs e si era posizionata davanti al
collega inginocchiato, viso contro viso, fissandolo con occhi che
parevano carboni ardenti. Tony stava per ribattere, quando
dall’esterno arrivò il rumore assordante
dell’ordigno, finalmente esploso. Lo spostamento d’aria
investì i membri dell’NCIS, distruggendo anche le finestre
del piano terra rimaste integre. Una pioggia di detriti e vetri
ricoprì gli agenti. Tossendo a causa della polvere sollevata,
Gibbs si alzò in piedi, alla ricerca dei suoi uomini.
L’aria era irrespirabile, e una nebbia di polveri impediva di
vedere chiaramente, facendo lacrimare gli occhi. Sentì un
tramestio a pochi passi da sé, e non appena riuscì a
vederci meglio, vide McGee che si rialzava, scrollandosi frammenti di
intonaco dalla giacca. Un gemito alle sue spalle gli fece capire dove
si trovava Ducky. Rapido, l’agente si precipitò ad aiutare
l’amico a rialzarsi. Bianco di polvere, con gli occhiali storti
sul naso e un‘espressione decisamente seccata, Ducky aveva
proprio un aspetto buffo. Ma in quel momento Gibbs non aveva molta
voglia di ridere. Dietro al medico legale fece la sua comparsa anche
Palmer, il suo assistente. All’appello mancavano ancora Kate e
Tony. Gibbs stava per gridare i loro nomi, quando dei lamenti glieli
fece individuare. Man mano che la polvere si abbassava, si trovò
davanti ad una scenetta deliziosa. Lo spostamento d’aria aveva
fatto cadere Kate addosso a Tony, che per proteggerla da vetri e
detriti l’aveva abbracciata. E non sembrava che la cosa
dispiacesse molto, tanto è vero che nessuno dei due sembrava
intenzionato a muoversi. Se non fosse stato per la situazione in cui si
trovavano, Gibbs non ci avrebbe pensato due volte a prendere a calci
Tony e a dire di tutto a Kate. Ma per il momento si limitò ad
una battuta sarcastica.
-Todd! Dinozzo! Le effusioni a dopo. Prima usciamo di qui!- Con una
scatto degno di un atleta, i due agenti saltarono subito in piedi.
Gibbs decise di soprassedere sul fatto che, nonostante la polvere sul
volto, la colorazione rosso-violacea di Kate era visibilissima.
-----
Kate maledì la polvere. Non riusciva a smettere di tossire, e
già più di una volta gli addetti dell’autoambulanza
venuti per soccorrere Rachel, gli avevano chiesto se non volesse fare
un controllo. Stava per lasciarsi convincere, quando Tony le tese una
lattina di the freddo.
-Tieni. E’ la cosa più dietetica che ho trovato al
distributore automatico … ma ti farà un po’ passare
la tosse.-
-Grazie, Tony …- Kate accettò con gratitudine, e bevve
avidamente un lungo sorso del liquido ambrato. Non voleva neppure
immaginare quante schifezze vi fossero dentro. L’importante era
che era fresco, e soprattutto liquido. Poteva sentire la gola ripulirsi
da quel finissimo e fastidioso strato mellifluo, mentre la bevanda le
scendeva giù fino allo stomaco. Con un sospiro soddisfatto, la
donna si guardò un po’ intorno. Ducky e Palmer si davano
da fare per portare via la salma del bibliotecario. Gibbs si era
rimesso a cercare qualche frammento superstite dell’ordigno. Tony
era a pochi passi da lei che scambiava battute con McGee, lanciandogli
una lattina che questi prese al volo. Era stato Tony ad andare a
prendere da bere per tutti, sotto ordine di Gibbs. Involontariamente la
mente di Kate ritornò a non più di un quarto d’ora
prima, al momento dell’esplosione. L’urto della bomba
l’aveva fatta cadere in avanti, facendola finire proprio tra le
braccia di Tony. Istintivamente, questi le aveva messo le braccia
attorno al corpo per proteggerla. E lei si era rannicchiata contro di
lui. Erano così vicini che lei poteva sentire il cuore di lui
battere all’impazzata, terrorizzato quanto lei. Anche se dopo
aveva fatto finta di nulla, il cuore non può mentire. Il ricordo
del profumo di Tony, e del suo calore, la fecero avvampare di nuovo.
Non capiva bene cosa le era preso subito dopo l’esplosione.
Avvolta nell’abbraccio del collega, si sentiva davvero bene,
protetta, al sicuro. Le era parso così naturale, che solo il
lamento di Tony per la botta a terra e la voce di Gibbs l’avevano
ridestata. Altrimenti ci sarebbe rimasta volentieri così
… Hey! Fermi tutti! Si trattava di Tony! Non di chissà
quale uomo … Bhe fisicamente, se ne trattava eccome ….
Oh, al diavolo, Kate! E’ Tony, solo Tony! Il bambinone
dell’NCIS! Smettila con questi discorsi assurdi! E soprattutto
smettila di parlarti in testa! Con un gesto carico di stizza
accartocciò la lattina, e si affrettò a raggiungere Gibbs
per dargli una mano nella ricerca delle prove. Almeno si sarebbe
distratta da certi pensieri … Tony e McGee, che avevano seguito
lo strano evolversi delle espressioni facciali della collega, si
scambiarono un’occhiata perplessa.
-Sei sicuro che Kate stia bene?- Domandò Tim bevendo la sua bibita.
-Mha … sarà un effetto del the … A forza di bere
roba dietetica, magari la roba comune gli fa questo effetto …-
Rispose Tony facendo spallucce.
-Non avrà le sue cose?-
-No. Secondo i miei calcoli, dovrebbero mancare ancora due settimane,
giornata sì, giornata no.- McGee fissò il collega con gli
occhi spalancati.
-E tu come diavolo fai a saperlo? Sei il suo ginecologo?- Tony rise, bevendo tranquillamente dalla sua lattina.
-Non proprio. Ma quando ce le ha, la prima cosa che fa quando arriva in
ufficio è ricoprirmi di insulti prima che io possa fare qualcosa
per meritarmeli, e così mi toglie tutto il divertimento. E poi
comincia a lamentarsi sull‘ingiustizia che gli uomini non debbano
sopportare i dolori che affliggono le donne e giù di lì
…-
-Ah …- Commentò McGee perplesso. Nel frattempo, Kate
aveva raggiunto Gibbs. L’agente era inginocchiato accanto a
quelli che sembravano brandelli del libro truccato.
-Trovato qualcosa. Gibbs?- L’uomo annuì, e le mostrò alcuni fogli ancora rilegati assieme.
-Il nostro amico non ha tagliato tutte le pagine del libro. Guarda.-
Kate esaminò le pagine che Gibbs le porgeva. Un po’ per le
bruciature dovute all’esplosione, e un po’ a causa
dell’acqua, ogni scritta era diventata praticamente illeggibile.
Solo alcune parole, miracolosamente, erano rimaste abbastanza visibili.
Un brivido passò lungo la schiena dell’agente mentre le
leggeva. Come un macabro presagio, le parole del poeta toscano si
stagliavano sulla carta:
“Lasciate ogni speranza, voi che entrate.”
-Fine capitolo 2-
La Divina Commedia è stata tirata in ballo per il semplice fatto
che in quel periodo stavo leggendo "Il Circolo Dante", mentre la
battuta di Tony sulle mestruazioni è stata tratta dalla mia vita
reale: nella mia classe del liceo, c'erano solo sei maschi su un totale
di circa trenta studenti, e dopo cinque anni sempre insieme, alla fine
erano più o meno in grado di capire quando alcune delle ragazze
erano nel ciclo. Ovvero quando li insultavano di brutto appena entrate
in classe. Dovrei evitare di raccontare quanto eravamo cretini. Ex
5°Asp del liceo Nicolò Barabino,VI ADOROOOO!!!^^
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Capitolo 3 *** Ritorni dal passato ***
explosion3
EXPLOSION
Capitolo 3
-Ritorni dal passato.
Meraviglioso. Questa volta era andato tutto bene … Dalla sua
postazione, il tipo qualunque in tuta da ginnastica e berretto da
football, aveva visto la seconda esplosione. Stavolta tutto aveva
funzionato alla perfezione. Come da copione, la bomba più
potente era scoppiata dopo la prima. Quella serviva solo per richiamare
i poliziotti. Li aveva visti entrare. Oh, che peccato dover vedere solo
il retro della biblioteca. Ma era il posto più sicuro. Forse non
avrebbe attirato sospetti anche se fosse rimasto nelle vicinanze
dell’ingresso. Ma non poteva rischiare. Quello era solo il
secondo atto. Ne aveva altri tre da portare avanti. Se per qualche
motivo lo spettacolo non fosse continuato, Lei non glielo avrebbe
perdonato. E neanche Lui. L’uomo qualunque si gira
dall’altra parte e inforca gli occhiali scuri. Con un sorriso
sadico si allontana, camminando, né troppo veloce, né
troppo lentamente. Come qualcuno alla fine della sua razione di
jogging. Spera ardentemente che qualcuno degli agenti sia morto
nell’esplosione.
-----
Una cascata di musica dai toni gutturali investirono Ducky come un
uragano. Intontito, cercò di raggiungere Abby, che a tempo di
musica stava aspettando il responso delle analisi. La chiamò
più volte, ma il volume assordante gli impediva di essere
sentito dalla ragazza, che continuava tranquillamente a mimare un
assolo di chitarra elettrica.
-ABBY! ABBY! MI SENTI? SONO DUCKY! TI HO PORTATO DEI NUOVI CAMPIONI DA
ANALIZZARE … ABBY!- In qualche modo, la dark si volse, e
riconosciuto il medico legale, spense subito lo stereo.
-Ehilà, Ducky! Cosa ti porta ad abbandonare il tuo antro per
venire nel mio regno, attraversando innumerevoli piani pieni di gente
irritata per non potersi godere il weekend?- Il pover’uomo non
rispose subito. Aveva la sensazione di essere diventato completamente
sordo. E alla sua età non erano cose su cui scherzare. Ma era
venuto nel laboratorio di Abby ben sapendo quali pericoli correva.
-Credo di aver qualcosa per te.- Disse passando una busta alla ragazza, che se lo rigirò tra le mani, curiosa.
-Sai già di cosa può trattarsi?-
-Ne ho trovato sulla faccia … Bhe, quel che ne resta, del signor
Burnet. E qui ho quelli che ho trovato sulle altre due vittime.- Detto
questo, Ducky porse altre due buste contrassegnate col nome della salma
su cui erano stati trovati i contenuti. -Conterei sul fatto che sia lo
stesso materiale.- Abby guardò le buste trasparenti contro luce.
Piccolissime schegge scure mostravano i loro contorni seghettati.
-Finché non le avrò analizzate, non potrò dirti
che cosa sono, ma i miei poteri extrasensoriali mi dicono che
potrebbero essere qualcosa d’interessante!-
-Spero che i tuoi poteri non facciano cilecca proprio oggi, Abby.-
Gibbs fece il suo ingresso nel laboratorio, seccato come non mai.
-Buongiorno anche a te, grande capo!- Lo salutò Abby con un
sorriso. -E prima che tu mi possa chiedere col tuo tono feroce
“hai qualcosa di nuovo per me?”, -appi che ho passato tutta
la notte ad esaminare il libro e gli ordigni.-
-E …?-
-E … Come avevo già detto, si tratta di un
professionista. Ma alle prime armi. Il nostro amico ha realizzato una
bomba come la prima, ma stavolta ha fatto alcune modifiche.-
-Quali?- L’impazienza era tangibile nella voce di Gibbs.
-Un momento, ci sto arrivando! Allora, nel supermercato, come
ricorderai, le bombe erano esplose in sequenza. Avevo pensato fosse per
causare più danni, ma adesso capisco che aveva fatto un errore.-
-Vuoi dire che voleva che le bombe esplodessero in momenti diversi?-
Gibbs strinse gli occhi, preoccupato da ciò che poteva
significare quella rivelazione.
-Esatto. Ma la prima volta aveva sbagliato nella struttura
dell’ordigno. Non aveva … “protetto” bene la
seconda bomba dalla potenza della prima. Ma ha imparato dai propri
errori. Come puoi vedere.- La ragazza indicò alcuni reperti sul
tavolo, in particolare una scatoletta metallica deformata. -Era il
contenitore del secondo ordigno della biblioteca. Rispetto ai resti del
primo che abbiamo ritrovato, è di almeno tre millimetri
più spesso. E questo è bastato perché il timer
rimanesse protetto abbastanza da scattare al momento voluto.-
-Ovvero quando eravamo sulla scena.- Aggiunse Gibbs, mentre Abby
annuiva, seria. Un velo silenzioso si abbassò sul trio, mentre
nelle loro menti si faceva largo un’ipotesi orribile.
-Tu che ne pensi, Ducky?- Domandò all’improvviso Gibbs,
spezzando la tensione creatasi. Il medico legale sospirò,
afflitto.
-Quello che pensi anche tu. Il nostro uomo ce l’ha con la
polizia.- Jhetro annuì, tornando a fissare ciò che
restava del libro usato per nascondere la bomba. L’unica frase
leggibile sembrava sbeffeggiarlo e allo stesso tempo avvertirlo.
“lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
-E del libro che mi dici, Abby?- La ragazza scosse la testa, demoralizzata.
-Non molto. Non ne è rimasto abbastanza per dirti se era della
biblioteca o no. Il nostro mister esplosione si è ben guardato
dal lasciare le pagine coi timbri. E l’acqua, come puoi
immaginare, ha cancellato il resto.- Gibbs sospirò,
evidentemente deluso.
-Avrei proprio bisogno di qualche traccia in più.- Ducky
osservò l’amico leggermente preoccupato. Erano parecchie
ore che Gibbs non si prendeva una pausa, ed il suo volto ne portava
addosso tutti i segni.
-Mi dispiace, capo, ma finché lo spettrografo non mi dà i
risultati, non posso esserti utile. Anche io ho i miei limiti, anche se
sono … Limitati!- Gibbs si portò una mano sul volto per
calmarsi. Solitamente la battuta di Abby l’avrebbe fatto
sorridere, ma in quel momento l’aveva fatto innervosire ancora di
più di quanto già non lo fosse.
-Abby …-
-Ho capito. Cercherò di superarli.- Si affrettò a
confermare la ragazza, svanendo dietro allo schermo di un computer.
Gibbs la fissò per qualche istante torvo, poi si lasciò
andare ad un sospiro.
-Mi sembri un po’ stanco, Jhetro.- Commentò Ducky,
meritandosi un’occhiata feroce da parte del collega. -Ma forse mi
sbaglio.- Si sbrigò a rettificare, mentre Gibbs si sfregava gli
occhi, recuperando il controllo su di sé.
-No, Ducky, hai ragione tu. Saranno ventiquattrore che non dormo
…- Uno sbadiglio finalmente si liberò dalla bocca
dell’agente, mentre si stiracchiava indolenzito. -E’
che adesso questo caso mi ha preso troppo. Abbiamo rischiato di restare
coinvolti in un’esplosione, e non vorrei che ricapitasse …
Potremmo non avere di nuovo così tanta fortuna.-
-A proposito dell’esplosione … E’ vero quello che mi
ha detto Tim? Su Tony e Kate?- Domandò con voce squillante e
maliziosa Abby, facendo capolino da dietro il computer.
Un’occhiataccia gelida di Gibbs la fece tornare subito dietro al
suo nascondiglio. -Ok. Ho capito. Torno al lavoro.-
-Ecco. Brava.-Ringhiò Gibbs, scatenando una risata a malapena
trattenuta dal medico legale. Ecco uno dei motivi per cui forse non
sarebbe mai voluto andare in pensione. In tutti i suoi lunghi anni di
carriera, non gli era mai capitato di lavorare con uno staff
così divertente. Proprio allora il citofono del laboratorio
squillò. Con un gesto stanco, Gibbs schiacciò il pulsante
di risposta. Sperò ardentemente che fosse uno dei suoi ragazzi.
Infatti la voce di McGee, resa metallica dall’apparecchio,
uscì insicura dal viva voce.
-Capo, sei lì?-
-Ovvio, McGee. Dove altro vuoi che sia?- Un momento di pausa. Poi l’agente McGee continuò.
-Ho finito di controllare i registri della biblioteca.-
-E allora?- Domandò Gibbs, mentre osservava Abby che strisciava
fuori dal suo rifugio per ascoltare. Come Ducky, ebbe la netta
impressione che, più che il contenuto della conversazione, alla
ragazza interessasse la voce all’atro capo dell’apparecchio.
-Bhe, ho l’elenco di tutti quelli che hanno preso in prestito le copie della Divina Commedia …-
-E allora cosa ci fai ancora lì?! Fila subito a controllare chi
non ce l’ha in casa!- Ringhiò alterato l’ex marine.
-Ma capo … Sono quindici persone sparse per la città …-
-E allora fatti dare una mano da Kate e Dinozzo! Muoviti!-
-Sì capo! Subito, capo!- Il giovane agente stava per riattaccare, ma Gibbs lo fermò un istante.
-Controlla se tra queste persone ci sono alcuni con precedenti o che
hanno a che fare con ordigni. Gli altri li potete scartare. Ah,
un‘altra cosa. Prima di sguinzagliare quei due, aspetta un
momento. Ho qualche novità da parte di Abby.- Un momento di
silenzio. Gibbs iniziò ad innervosirsi. -Tutto chiaro, McGee?
Devo farti un disegno?- La voce agitata di Tim arrivò tempestiva.
-Sì-sì, capo capito tutto perfettamente … No … Cioè volevo dire …-
-Allora mettiti al lavoro!- Ringhiò Gibbs chiudendo la telefonata.
-----
-Ha riattaccato …- Mormorò McGee demoralizzato,
voltandosi verso i suoi colleghi. Ma questi a malapena lo avevano
ascoltato. Kate rivolse a Tony un sorriso vittorioso, e gli tese il
palmo della mano aperta.
-Maledetta sanguisuga …- Sibilò questi tra i denti,
porgendo una banconota da cinque dollari alla mora, che lo
canzonò allegra, con un tono da presa per i fondelli.
-Dovevi pensarci prima di proporre quella scommessa …-
-Quale scommessa?!- Domandò McGee, già preoccupato per la risposta.
-Che non avresti resistito al telefono con Gibbs per più di due
minuti …- Spiegò tranquillo Tony, prendendo la pistola
dal cassetto della sua scrivania.
-Ma hai resistito ben tre minuti e sedici secondi.- Informò Kate, non ancora sazia di gloria per aver battuto il collega.
-Volete dirmi che continuate ad usarmi per le vostre scommesse?- Il
tono di voce indispettito di McGee fece solo allargare il sorriso da
presa per i fondelli dei due agenti Todd e Dinozzo.
-Avanti, non te la prendere, pivello. Fa parte del lavoro …-
Cercò, senza impegnarsi troppo, di consolarlo Tony avvicinandosi
per spiare il computer del collega. Ma nel chinarsi emise un gemito.
-Che c‘è? Stai male?- Troppo tardi Kate si accorse che il
suo tono di voce era esageratamente apprensivo. Doveva correre ai
ripari. Possibilmente con una battuta crudele. -Non sarai fuori forma?
Dopotutto, con tutto il movimento che fai con le segretarie per avere i
rapporti … Non sei più un ragazzino … Macchina del
sesso!- La mora ringraziò le sue “doti” persuasive
nei confronti del migliore amico di Tony. Questi la fissò
feroce.
-Quando tu mi sei caduta addosso con il tuo “dolce peso”,
miss Todd, un libro mi si è conficcato nella schiena. E dato che
ci hai messo un sacco di tempo a rialzarti, la copertina mi si è
disegnata in rilievo tra le scapole!- Kate strinse i denti, colpita in
pieno, mentre Tony le lanciava un sorriso vendicativo. Erano pari.
Soddisfatto, Tony si rivolse nuovamente a McGee, che aveva appuntato
mentalmente ogni parola. Non vedeva l’ora di riferire tutto ad
Abby. -Hai già gli indirizzi da controllare, pivello?-
-Solo un momento. Li stampo.- Rispose Tim risentito. Non gli importava
se quello era il trattamento riservato agli ultimi arrivati. Quel
soprannome proprio non gli andava giù.
-Avanti, McGee. Appena torniamo ti offro un caffé con i soldi
che ho vinto a Tony.- Propose Kate, riuscendo a far ricomparire il
sorriso sulle labbra del ragazzo.
-Com’è che a me non offri mai il caffé?- Fece Tony fingendosi imbronciato.
-Perché non te lo meriti.- Sibilò la donna prendendo il
foglio appena stampato con gli indirizzi da controllare. Gibbs fece la
sua comparsa giusto in tempo per bloccare una battuta di risposta di
Tony.
-Se qualcuno offre un caffé a ME, invece, giuro che gli do una
settimana di ferie pagate.- I tre agenti erano consapevoli del fatto
che si trattasse solo di una battuta, ma per un attimo avevano avuto
l’istinto di correre alla caffetteria più vicina.
-Che nuove ci porti, capo?- Domandò Tony, scoccando
un’occhiataccia a Kate, per nulla impressionata. Gibbs si sedette
stancamente sulla sua poltrona e informò i suoi uomini di quanto
era stato scoperto. Kate e McGee furono percorsi da un brivido quando
il loro capo svelò del ritardo apposito del secondo ordigno.
Tony serrò solo di più gli occhi, mentre alcuni ricordi
gli riaffioravano alla mente. I suoi dubbi stavano prendendo
pericolosamente forma.
-Quindi il nostro uomo fa esplodere una bomba, solo per poterne far
scoppiare un’altra quando la polizia arriva sul campo?- Kate
sentì l’orrenda sensazione di pericolo avvolgerla. Gibbs
annuì.
-Bhe … Almeno una cosa la sappiamo …- Commentò Tony. McGee lo guardò incuriosito.
-E sarebbe?-
-Non ce l’ha solo con le persone single. Ce l’ha anche con
i poliziotti.- Kate avrebbe preferito che Tony non lo dicesse con quel
tono scherzoso. Non era una cosa su cui ridere. Ma Gibbs gli diede
ragione.
-Esatto, Dinozzo. E la cosa mi preoccupa. Purtroppo, alla fine questo
è l‘unico indizio in più che abbiamo. Abby ha
ancora dei limiti …-
-Anche se sono limitati …- Aggiunse Tony beccandosi
un’occhiataccia da Gibbs, ed il silenzio seccato dei colleghi.
-Bhe? Che ho detto?- Gibbs emise un grugnito, trattenendosi dal colpire
il suo agente con uno dei suoi soliti scapaccioni, e continuò a
parlare.
-… Per questo conto sul rapporto del tuo vecchio caso.- Fece una
pausa. -E' l’unica pista solida che abbiamo.- Un lugubre silenzio
si abbassò sull’ufficio. Ognuno perso a riordinare nella
mente i tasselli di quel puzzle intriso di sangue. Fu Gibbs ad
interromperlo con fare seccato. -Bhe? Siete ancora qui? Dinozzo e Kate,
andate subito a controllare gli indirizzi che vi ha dato McGee. Se
qualcuno di loro non possiede la copia della biblioteca di quel
maledetto libro, portatelo subito qui. McGee, tu vai a dare una mano ad
Abby, poi ritorna qui. Io intanto studierò il rapporto
sull’altro caso.- Kate e Tony schizzarono verso
l’ascensore, ben felici di stare lontano da un Gibbs di umore
ancora più nero del solito.
-A dopo, McGee!-
-A dopo ragazzi!- Salutò Tim, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano davanti ai due colleghi.
-----
-Allora, dove dobbiamo andare?- Tony si era già sistemato al
posto di guida, in attesa delle istruzioni di Kate. La donna scorse la
pagina datale da McGee con il dito.
-In pratica tra i possibili sospetti sono rimaste solo quattro persone.
Due sono stati condannati per furto e rapina a mano armata, ma hanno
scontato la loro pena e non credo sappiano tenere in mano una pistola,
figuriamoci costruire una bomba … Uno è un minatore in
pensione, ma ha oltre settant’anni, e le bombe che costruiva sono
di gran lunga meno tecnologiche di quelle del nostro uomo.
L’ultimo sospettato che non mi sembra scartabile è una
donna. Ha lavorato negli artificieri, e si chiama Monica Rudolph.-
L’espressione di Tony si fece improvvisamente seria.
-Monica Rudolph, hai detto?-
-Sì, perché, la conosci?- Tony abbassò lo sguardo. Alcuni ricordi di cinque anni prima rifiorirono.
“ Era finita. Il dinamitardo era accasciato a terra, senza
più vita. Sarebbe stato meglio prenderlo vivo. Non perché
gli facesse pena. A causa sua, otto famiglie piangevano la morte dei
loro cari. L’agente Anthony Dinozzo si accasciò contro la
parete. Prima di morire il bastardo gli aveva sparato ad una spalla.
Non era una ferita grave, ma unita allo sforzo fatto e alla tensione
sostenuta, si faceva sentire almeno due volte di più che in
condizioni normali. Il suo collega aveva già chiamato i
rinforzi. Non gli restava che aspettare. Rimase a fissare la salma
immobile, quando un rumore poco distante lo riscosse. Teso, si
alzò in piedi e si diresse verso la fonte di quel lieve
tramestio. Proveniva dal corridoio dietro il corpo di Johan Smilton.
Circospetto, Tony si diresse in quella direzione. Ad un tratto
trovò la porta di quello che doveva essere uno sgabuzzino.
Tenendo la pistola davanti a sé, l’aprì con uno
scatto, e vi trovò una donna. Era magra, gli occhi grigi gonfi
di lacrime apparivano ancora più grandi, nel viso smunto e
pallido. Terrorizzata, si ritrasse alla vista del poliziotto. Le sue
frasi erano incoerenti, le uniche parole comprensibili -Il mio Jo
… Ridatemi il mio Jo … Dov‘è il mio
Jo?-“
-Tony … Tony svegliati!-
-Eh? Ah, già. Sì, Kate?- La ragazza fissò contrita
il collega. Si era incantato per quasi un minuto al volante, e
nonostante lo avesse chiamato più volte, lui si era degnato solo
in quel momento di ascoltarla.
-Me lo dici che diavolo hai?- Tony la guardò sorpreso.
-Ho … Che cosa?- Kate stava per gettargli le mani al collo. Lo avrebbe ucciso, prima o poi!
-Come “che cosa?”!!! Uno rimane con lo sguardo fisso come
un cadavere anche se lo chiami decine di volte, e ti chiede ancora che
cosa?- L’agente la fissò per qualche istante.
-Ti sono venute in anticipo, questo mese?- Kate gli tirò un
pugno allo stomaco. -Ahia! Ma dico, cos’hai da essere così
violenta, oggi?- Colma di rabbia, Kate fece per colpirlo di nuovo, ma
Tony le bloccò il braccio, e per essere sicuro di non essere
colpito ulteriormente, le fermò anche l’altro. La mora si
dimenò lanciando insulti, e tentando di liberarsi dalla stretta
del collega. Ma alla fine si arrese, sconfitta. Tony era fisicamente
troppo forte per lei.
-Accidenti a te, Tony, se tu non fossi un uomo io …- Le parole
le morirono in gola quando si accorse di quanto durante la piccola
lotta fosse finita vicina al volto di lui. Erano lì lì
per sfiorarsi. Il cuore di Kate smise di battere per qualche istante,
mentre sentiva il sangue affluire al viso. Le labbra di Tony tremarono
per un momento, e le parvero avvicinarsi, per poi bloccarsi. Il battito
del cuore di Kate aumentò, furioso come un cavallo imbizzarrito.
Poi Tony le lasciò i polsi, e ognuno tornò al suo posto.
Il ragazzo esalò un sospiro di sollievo.
-Era ora che ti fermassi … Sembravi una furia scatenata.- Troppo
presa dalla propria reazione, Kate non si avvide che la voce del
collega era leggermente roca. Un silenzio teso si abbassò
sull’auto come un sudario. Entrambi erano consci di aver quasi
oltrepassato una barriera. Un muro costruito giorno per giorno, fatto
di prese per i fondelli e dispetti, pur di restare ben divisi, pur di
calcare quel confine che avevano giurato a loro stessi di non
sorpassare. Ma se le loro menti li dividevano, i loro corpi stavano
aprendo una breccia, attraverso sensazioni e reazioni pericolose. Alla
fine Tony ruppe il silenzio. Kate
sobbalzò, ma prese di tasca il foglio e lesse l’indirizzo.
-E’ qua vicino. Se non c’è traffico, dovremmo fare
in fretta.- Tony fece un cenno d’assenso, ma il suo sguardo si
rabbuiò. Kate lo fissò inquieta, ma preferì
soprassedere. Dopo quello che era appena accaduto, un’altra
discussione col collega sarebbe potuta sfociare ben fuori da ogni
controllo. Con un rombo, la vettura si immise nella strada, lasciando
dietro di sé, oltre ad una scia di smog, anche un po’
della sicurezza che aveva sempre accompagnato i due agenti.
-----
-MALEDIZIONE!- Il fascicolo si abbatté con un tonfo sordo sulla
scrivania. McGee alzò la testa dal computer, preoccupato per
l’improvvisa reazione di Gibbs.
-Qualcosa non va, capo?- La domanda del giovane agente rimase
inascoltata, mentre l’agente speciale Jhetro Gibbs rimetteva
ordine nei suoi pensieri rabbiosi. Ora molti aspetti del comportamento
fuori dal normale di Tony e il fatto che non avesse ancora dato
spiegazioni gli erano chiari … Probabilmente aveva anche lui le
sue ipotesi, ma come al sottoscritto, non lo portavano comunque a
nulla. Il modus operandi e i luoghi delle esplosioni erano gli stessi
di cinque anni prima, ma capivano entrambi bene che era impossibile che
fosse la stessa persona ad averle costruite. E non occorreva neppure
controllare la salma di Johan Smilton, perché era sicuramente
morto. Senza ombra di dubbio. Ma il suo clone era in giro da qualche
parte, pronto a colpire di nuovo, finché non avesse completato
il progetto fallito da Smilton. A meno che non lo avessero fermato
prima. Con un gesto rabbioso, Gibbs si alzò dal suo posto, e si
diresse all’ascensore.
-McGee, con me.- Tim abbandonò il suo lavoro, per seguire il suo
capo, nonostante la confusione che il suo comportamento gli stava
formando in testa.
-Ma … Ma dove stiamo andando, capo?!- Gibbs si volse verso di lui, gli occhi fiammeggianti.
-Ad impedire a quel bastardo di fare altre vittime. Andiamo a trovare Monica Rudolph.-
-Fine capitolo 3-
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Capitolo 4 *** Appartamento N°8 ***
explosion4
Ecco un'altro capitolo ... In effetti forse il mio preferito, con il quinto ^^
Sto aggiornando velocemente perchè questa fic in realtà
è in versione "riveduta e corretta", ma l'ho già
pubblicata su manga.it (se volete cercarmi lì, mi trovate col
nome di willow87),quindi non dovrei metterci molto a postare tutti i
capitoli ^^
buona lettura...
EXPLOSION
Capitolo 4
-Appartamento N°8.-
L’uomo qualunque guarda fuori dalla finestra. E’
preoccupato. Una macchina si è fermata proprio davanti al suo
palazzo. Non gli serve molto per capire che non sono abitanti della
zona. Nessuno può permettersi un gioiello simile, da quelle
parti. E anche se lo avesse, non oserebbe mai metterlo così in
mostra. Non con le bande per strada. Seduti sulle scale di un malconcio
portone, mezza dozzina di ragazzi dall’aria rissosa, hanno smesso
di parlare tra di loro. Gli sguardi puntati sulla vettura e sui
conducenti. Una bella donna in tailleur dai lunghi capelli scuri, e un
uomo piuttosto alto coi capelli corti. Gli occhiali da sole impediscono
di vederne bene i lineamenti del volto. L’uomo qualunque ha un
brivido lungo la schiena. Ha intuito chi sono. Ma come diavolo avevano
fatto a capire così in fretta? Sta per dirlo all‘altra
persona presente nell‘appartamento, ma Lei è già
alla finestra. I suoi occhi guardano inespressivi i due scendere
dall’auto e scambiarsi qualche parola. L’uomo qualunque
rimane a fissare la donna, in attesa. Lei gli dirà cosa fare.
Come sempre. Lei non lo ha mai deluso. E lui non vuole deludere Lei.
Mai. Passano pochi istanti che paiono secoli, poi la donna si volta
verso di lui. Gli occhi grigi grandissimi sono illuminati da una
scintilla che l’uomo non vedeva da tempo. Un lieve sorriso veste
le sue labbra sottili. Basta questo all’uomo qualunque per
capire. Ricambiando il sorriso, si appresta a inscatolare
l’ordigno. L’ora del terzo atto è arrivata.
-----
Kate si guardò attorno, circospetta. Gli sembrava di essere
finita in uno di quei film di cui tanto amava parlare Tony. Il
quartiere era un vero disastro, quanto di più vicino alla
definizione “covo di malviventi” ci poteva essere. Le
strade erano poco curate, con cartacce e rifiuti di ogni forma e genere
esistente ad ogni angolo. Alcuni dei palazzi erano completamente
fatiscenti. Altri, forse più recenti, dovevano aver conosciuto
tempi migliori. L’intonaco cadeva a pezzi, ed era inframmezzato
da quelli che Kate ipotizzò, con poche possibilità di
errore, come fori di proiettile. Un gruppetto di ragazzi
dall’aria poco raccomandabile aveva iniziato a fissarli ostili.
Sì, il set ideale per qualche film su bande e delinquenza
giovanile.
-Dì un po’, Tony, quanti dei tuoi adorati film ti fa
venire in mente questo posto?- L’agente si voltò un
momento verso di lei, e un sorriso tirato comparve sul suo volto.
-Su due piedi una ventina di grandi del genere avventuroso-poliziesco,
senza contare anche tutte le scamorze di pellicola.- Kate si
ritrovò a ridacchiare. Raramente si divertiva alle battute di
Tony, ma questa ci stava. Perlomeno aveva allentato un pochino la
tensione. -Qual è il palazzo della Rudolph?- Domandò Tony
osservando i ragazzi.
-Quello davanti ai nostri occhi.- Rispose la donna controllando il foglio di McGee. -Quarto piano, appartamento numero otto.-
-Bene. Allora vai e chiedi gentilmente se la signorina ha quel libro così allegro …-
-Ma come?! Non vieni con me?- Kate non capiva. Per quale motivo Tony
non voleva andare da Monica Rudolph? Non era professionalmente
corretto. Si andava sempre in coppia a fare un sopraluogo. Eppoi non si
era mai visto Tony che disertava l’opportunità di entrare
a casa di una donna. E giovane, per di più! No, c’era
qualcosa che non quadrava. E lei voleva sapere cosa. -Vuoi almeno dirmi
perché vuoi lasciare a me tutto il lavoro?- Tony si tolse gli
occhiali e indicò i ragazzi seduti sulla scalinata. Non avevano
ancora smesso di guardarli di sbieco.
-Guarda bene. Non noti nulla?- Kate osservò nella direzione
indicatagli dal collega e capì. Fece un cenno d’assenso a
Tony. Questi continuò. -Uno se ne è andato subito dopo il
nostro arrivo. Non mi sorprenderebbe che sia corso a chiamare il resto
della banda. E non so se lo hai notato … Ma almeno due di loro
hanno una pistola in tasca.- Un rigonfiamento esagerato sul fianco di
un ragazzo con una felpa blu e di un suo amico lo dimostravano.
-E gli altri avranno almeno un coltello bello affilato.- Aggiunse Kate.
Una forte sensazione di nervosismo si era impadronita di lei. Era come
sentirsi sotto tiro. Vide Tony sfiorare istintivamente la pistola, ben
al sicuro nel fodero sotto la giacca. -Ma perché mai Amanda
Rudolph vivrebbe da queste parti?-
-Non lo so, ma capisco perché leggerebbe quel libro.-
Rispose Tony, non meno nervoso della collega, nonostante il
sarcasmo. -L’inferno di Dante gli deve sembrare quasi un
posticino tranquillo e sereno.- Kate fece per entrare nel palazzo, ma
prima si volse ancora una volta verso l’agente Dinozzo.
-Allora non vieni proprio?- Tony scosse la testa, testardo. -Lo sai
cosa potrebbe farti Gibbs?- Tentò allora di minacciarlo Kate.
Non aveva alcuna intenzione di entrare in quell’edificio semi
fatiscente da sola.
-Gibbs non è qui, e tu sei abbastanza grande per andare da
sola.- Ribatté Tony. Poi aggiunse. -Eppoi hai una pistola e un
coltello.-
-Due.- Precisò Kate.
-Ok, due coltelli. Non mi sembri proprio disarmata.- Si corresse Tony.
Dopo un istante di riflessione domandò. -Ma perché ti
porti due coltelli? Non te ne basta uno?- Kate sorrise maligna.
-Non si sa mai … Con un collega come te …-
-Così mi ferisci …- Tony alzò le mani in segno di
resa, e le rivolse uno sguardo da cucciolo bastonato. Kate non
potè fare a meno di sorridere. Quel piccolo scambio di battute
aveva avuto il potere di darle un po’ di coraggio. Soddisfatto di
aver fatto tornare il sorriso alla collega, l’agente si rimise
gli occhiali da sole.
-E sia.- Sbuffò la mora, leggermente delusa.
-Tanto, se venissi io dubito che la Rudolph sarebbe molto collaborativa
…- Un sorriso amaro si disegnò sulle labbra di Tony,
mentre la sua voce assumeva una sfumatura triste, che raramente poteva
considerarsi sua. Kate avrebbe voluto approfondire il discorso del
collega, ma decise di avviarsi. Quel quartiere non gli piaceva, e meno
tempo ci passava, meglio era.
-----
L’auto bruciava letteralmente l’asfalto sotto la guida di
Gibbs. McGee, seduto accanto al posto di guida, si aggrappava con tutte
le sue forze alla maniglia. La colazione fatta non più di
mezz’ora prima minacciava di uscire da un momento
all’altro. Con uno sforzo, l’agente cercò di
sovrastare il ruggito del motore per chiedere spiegazioni al suo capo.
Da quando erano partiti, Gibbs si era chiuso in un silenzio di ferro,
concentrandosi esclusivamente sulla guida.
-Capo … Posso sapere dove stiamo andando?- Jethro lo
fulminò con lo sguardo. -Ok … Lo saprò quando ci
arriveremo.-
Si affrettò a correggersi il ragazzo. Gibbs
sospirò. Era stato troppo brusco. Il suo agente aveva tutto il
diritto di sapere.
-Amanda Rudolph è una vecchia conoscenza. E’ rimasta coinvolta nel caso di cinque anni fa.-
-Quello a cui ha lavorato l’agente Dinozzo, giusto?- McGee stava
assumendo colorazioni verdastre diverse ad ogni curva. Gibbs
annuì e continuò.
-Proprio quello. Ora, come sai la nostra Rudolph ha lavorato negli
artificieri. E indovina chi altri era nella sua squadra?- La macchina
prese in pieno una buca. McGee ricacciò indietro un conato.
-Non so, capo …-
-Johan Smilton.- Un istante di silenzio, interrotto solamente dal rombo
dell’automobile che sfrecciava per la strada a velocità
folle. McGee era incredulo. Non aveva neanche lontanamente immaginato
una cosa del genere. Coincidenza? No. Le coincidenze non esistono, come
amava ripetere il suo capo. Difficili circostanze, forse, ma mai
coincidenze. Gibbs riprese a parlare. -Johan Smilton era un membro
della squadra artificieri. E Amanda la sua patner. Dopo qualche anno di
lavoro assieme, si sono innamorati, e come in una bella storia
d’amore, i due si sono sposati. Ma passa qualche anno, e Smilton
lascia il lavoro. Qualche mese dopo, dà di matto e comincia a
posizionare ordigni, causando sette morti. Il suo obbiettivo ultimo era
lo stadio comunale.-
-Dove la squadra di Tony lo ha fermato, giusto?- La voce di McGee era
poco più di un sussurro. Ogni parola un attentato al suo
stomaco, deciso a ribellarsi. -Ma non erano otto, le vittime?-
-Ci sto arrivando, McGee! Come stavo dicendo, Smilton si era
trasformato in una bomba umana. Addosso aveva abbastanza esplosivo da
far saltare in aria mezzo stadio.-
-Addirittura?- Il giovane agente si pentì subito di aver
parlato. Una curva decisamente brusca gli aveva tolto il respiro.
-Forse anche peggio. L’edificio era strapieno di gente per non so
quale partita. Mescolandosi agli spettatori poteva causare decine di
morti.- Gibbs fece una pausa. -Tony e altri due della sua squadra erano
riusciti ad individuarlo grazie ad un identikit, ma Smilton
tentò di scappare. Si era nascosto nei magazzini sotterranei, e
Tony e un altro agente lo avevano seguito. L’altro stava
chiamando i rinforzi. Smilton aveva una pistola con sé, e tese
loro un agguato.-
-E Tony?- Nonostante la mente annebbiata per la nausea, il cervello di McGee cominciava a capire.
-Tony vide Smilton sparare a bruciapelo al suo compagno, uccidendolo.-
Gibbs fece un’altra pausa, mentre McGee assorbiva il colpo.
-E … Poi?-
-Smilton sparò anche a Tony, che venne ferito in maniera
piuttosto lieve alla spalla. Poi cercò di farsi saltare in aria,
ma Tony riuscì a fermarlo.-
-E come?- Tim sapeva di aver fatto una domanda stupida. Non occorreva
un genio per capire. L’occhiataccia di Gibbs ne fu la prova
lampante.
-Con un proiettile in mezzo alla fronte. Giusto in tempo per impedirgli
di premere il pulsante di detonazione.- il silenzio cadde di nuovo
sull’auto. Adesso Tim capiva la certezza di Tony sulla morte del
dinamitardo. Lo aveva ucciso lui.
-E … Amanda?- McGee si accorse che il nome della donna non era comparso da un po’ nei discorsi di Gibbs.
-Dopo la sparatoria, Tony sentì un rumore da uno sgabuzzino.
Aprì e dentro ci trovò la Rudolph in stato confusionale.-
-Quindi il marito l’aveva segregata.- Gibbs scosse la testa, poco convinto dall’affermazione del suo agente.
-Non lo so. Il rapporto dice che continuava a chiamare il marito.
Quando poi si è calmata, ha affermato di non ricordare nulla di
ciò che era accaduto nelle ultime due settimane, tranne che il
marito era un po’ strano. Da qualche tempo le cose tra loro non
andavano bene. E si è arrivati alla tua stessa conclusione. Che
la Rudolph era stata imprigionata dal marito, e lo shock le aveva
cancellato ogni ricordo.-
-Non hanno pensato che mentisse?- Gibbs superò con una brusca
sterzata un’automobile, che altro crimine non aveva commesso se
non quello di rispettare i limiti di velocità con l’agente
speciale Gibbs a pedale libero. McGee finì pressato sul sedile.
-Certo che l’hanno pensato. Ma le condizioni fisiche di quella
ragazza gli fecero scartare l’idea. Era denutrita, e con segni di
percosse e violenza su tutto il corpo.- Ancora una cosa non
tornava al giovane agente.
-Ma allora perché stiamo andando da lei?-
-Perché la terza esplosione avvenne in un palazzo quasi
fatiscente di un quartiere malfamato. Ed era di proprietà di
Amanda Rudolph.- McGee finalmente comprese il motivo della folle corsa
in auto del suo capo.
-Vuole dire che …-
-Esatto, McGee …- Gibbs spinse ancora di più il piede
sull’acceleratore. -E’ lo stesso posto in cui sono andati
Kate e Tony.-
-----
Kate controllò più volte l’indirizzo. Non poteva
credere che quello fosse davvero l’appartamento di Amanda
Rudolph. Eppure sulla targhetta consunta era segnato proprio il nome
della donna che stava cercando. E difficilmente McGee gli avrebbe
fornito un indirizzo sbagliato. Eppure almeno da fuori, gli suonava
troppo strano che qualcuno abitasse lì. La porta era piuttosto
nuova rispetto all’edificio, ma la ruggine aveva cominciato ad
intaccarne i cardini. Probabilmente nessuno, dopo
l’installazione, aveva più pensato di fare un pochino di
manutenzione. O a dare una mano di bianco sulla parete. Uno strato di
nero circondava il muro attorno alla porta, a testimonianza che ai
tempi in cui era stata installata vi era appena stato un incendio.
Stessa cosa per quel che riguardava la cassettina della posta, che solo
a tratti conservava ancora un po’ dell’originaria
lucidatura dorata. Un discreto strato di polvere e di volantini
pubblicitari a conferma che da parecchio la Rudolph non ritirava la
posta. Eppure qualcuno doveva essere stato lì. Il pomello della
porta, infatti, era perfettamente pulito. E sul pavimento numerose
impronte dimostravano che qualcuno era entrato e uscito più
volte dall’appartamento. Kate suonò più volte al
campanello, ma non ottenne risposta. Con un brivido, mise mano alla
pistola. Quella situazione non gli piaceva per niente. Si voltò
per dare il segnale a Tony di fare irruzione. Ma con disappunto si
trovò davanti solo la parete bianca. Merda. Era così
abituata ad averlo intorno da dimenticarsi che non c’era. Con un
borbottio nervoso fece un bel respiro. Non poteva contare su Tony.
Doveva cavarsela da sola. “Accidenti a te, Dinozzo!”. Ma
perché, perché quando gli serviva, lui non c’era
mai? Puntando la pistola alla serratura, Kate prese una decisione: mai
più, neppure a costo di prenderlo e trascinarlo per le orecchie
per tutta l’NCIS, avrebbe permesso a Tony di non dargli
spiegazioni in merito alla sua assenza di quel momento. Premette il
grilletto. La sua decisione si fece più ferma. Mai più.
-----
-Ma sì, te l’ho detto! Ma guarda, ti giuro che è
andata così!- Rise Tony rivolto ad un non ben identificato
interlocutore dall’altro capo del telefono. -Non mi credi?- Con
un guizzo veloce degli occhi guardò nella direzione dei ragazzi.
Come aveva previsto, al gruppetto iniziale si erano aggiunti altri
quattro o cinque giovani, dalle facce, se possibile, ancora più
brutte delle prime. Per non dare troppo nell’occhio,
l’agente aveva portato il cellulare all’orecchio,
intavolando una conversazione telefonica con una persona inesistente.
Sperò che la sua finta funzionasse bene. Restare fermo immobile
ad aspettare il ritorno di Kate sarebbe stato come aver scritto in
fronte “sbirro”. Così almeno i tipi avrebbero potuto
anche pensare che si trattasse di un qualche mafioso. Tony
aggrottò un sopracciglio a quell’eventualità. Anche
se con le donne si era sempre vantato del suo cognome italiano, spesso
e volentieri questo lo etichettava come mafioso. Era davvero
insopportabile. Grazie a vecchi film e ad un pezzo di storia, per la
gente comune lui doveva essere per forza qualcosa che non era. Anche se
spesso nascosto, quel pregiudizio gli dava sempre dei problemi. Una
brutta occhiata, un improvviso allontanamento della gente che lo
circondava e il sospetto di alcuni colleghi. Almeno di quelli che non
lo conoscevano. Una vera seccatura, insomma. A volte era
dell’idea che quando si presentava alla gente, più che del
suo distintivo avessero paura del suo nome. E pensare che neppure
c’era mai stato, in Italia! Però, ripensandoci, non
sarebbe stato male farci un viaggetto … Perso in quei pensieri
distratti, continuava a sorridere al cellulare, finché un colpo
di pistola non lo fece voltare di scatto: ma che diavolo stava
combinando Kate? Ignorando del tutto la sua copertura, corse come una
furia dentro al palazzo. I ragazzi di strada, mandando al diavolo ogni
atteggiamento da duri, se la svignarono. Mentre saliva a rotta di collo
su per le scale, l’agente si trovò a pregare che non fosse
successo nulla alla sua collega. Non c’era attimo in cui lui e
Kate non litigassero, ma mai, mai avrebbe tollerato che le accadesse
qualcosa. Specie se lui non era nei dintorni. E solo per un capriccio.
Come un flash, rivide il volto di Kate, così vicino che poteva
sentirne il calore sul proprio. Non sapeva cosa gli era preso, mentre
erano in macchina. Non poteva comportarsi così. Stava quasi per
baciarla. Si era bloccato per puro caso. Accidenti, si trattava di
Kate! Kate, la sua collega, la sua amica, e … E basta! Non
doveva esserci nient’altro. Per due buoni motivi. Primo,
perché Gibbs lo avrebbe ucciso, e il suo capo conosceva molto
bene vari modi di uccidere e far soffrire la gente. E secondo, avrebbe
perso la sua fama di playboy. Arrivò al quarto piano con il
fiatone, ma non vi fece caso. L’ansia in quel momento era ben
più forte della fatica fisica. Trovò la porta spalancata.
Senza un attimo di esitazione, l’agente Dinozzo estrasse al
pistola ed entrò nell’appartamento. Tutto appariva
silenzioso. Tenendo l’arma tesa davanti a sé, Tony
cominciò ad ispezionare la stanza più vicina. Nulla di
sospetto. Solo uno spesso strato di polvere sui mobili, semplici ma
spogli. Assente ogni traccia di affetti personali. Persino le cornici
appoggiate qua e là, erano prive di foto. Per un attimo Tony
ebbe l’impressione di essere in uno di quei film horror
orientali. Tutto appariva così calmo, all’apparenza, da
essere inquietante. Ma Kate dov’era finita? Un lieve fruscio. E i
sensi dell’agente, già all’erta, divennero
ipersensibili. I muscoli pronti a scattare, le mani incollate
all’impugnatura della pistola. Lo stanno osservando. Lo sente.
Quel formicolio sulla nuca. Quel brivido prodotto
dall’adrenalina, non può sbagliarsi. E’ dietro di
lui. Con uno scatto fulmineo si voltò, pronto a premere il
grilletto. Per trovarsi davanti alla canna di un’altra pistola.
-----
Con una sterzata degna da rally, l’automobile guidata da Gibbs si
fermò davanti all’abitazione di Amanda Rudolph. Appena
sceso dall’auto, le gambe di McGee tremano paurosamente, ma la
gioia di essere ancora vivo dopo una corsa del genere glielo fa quasi
scordare. Vorrebbe fermarsi a baciare la terra come un naufrago, ma
Gibbs lo porta subito su un piano più serio.
-A che piano, McGee?!- l’agente stava già togliendo la
sicura della pistola, incurante delle occhiate dei ragazzi ancora per
strada.
-Quarto piano, numero otto.- Biascicò Tim, prendendo a sua volta
la pistola. Il suo stomaco non era ancora realmente sceso
dall’auto. E il suo volto aveva ancora un malsano colorito
verdognolo, che stava sfumando in un giallino- rosato. Incurante dello
stato di salute del suo agente, Gibbs si avviò di corsa dentro
all’edificio. In mente un unico pensiero. Arrivare in tempo per
salvare i suoi uomini.
-----
-Kate! Mi hai fatto prendere un colpo!- Tony rinfoderò la pistola con un sospiro di sollievo.
-Avevi detto che saresti rimasto giù. Come potevo pensare che mi
apparissi così, all’improvviso?- La voce della donna era
leggermente alterata, mentre cercava di far tornare il battito cardiaco
a ritmi regolari. La pistola ancora stretta in pugno, anche se puntata
sul pavimento.
-Bhe, forse potevi, dato che hai sparato. Non potevi dare semplicemente un calcio alla porta, o una spallata, per entrare?-
-Non ci tengo a fare le tue solite figure facendomi male ad un piede o
alla spalla, grazie.- Ribatté Kate, piccata. Forse era stata un
po’ troppo avventata. Ma al diavolo, era così nervosa che
non avrebbe proprio saputo cos’altro fare. Si passò una
mano tra i capelli setosi, lanciando un’altra occhiata in giro.
Dopo l’arrivo di Tony quel posto le sembrava meno tetro. Certo,
le era venuto un mezzo infarto, quando, in mezzo al silenzio di tomba
di pochi istanti prima, aveva sentito quel lieve rumore di passi. Col
cuore in gola, si era diretta alla fonte del rumore, pronta a sparare.
Strisciando contro le pareti, si era assicurata di arrivare alle spalle
dello sconosciuto. E poi era schizzata fuori, con la pistola tesa
davanti a sé. Nello stesso istante di Tony. Un sollievo generale
li aveva sciolti, non appena si erano resi conto di chi avevano davanti.
-Bel posticino, eh?- Tony parve leggere nei pensieri della collega, che per una volta non ne fu seccata.
-Già. Come una tomba.- Annuì, disgustata, mentre si
toglieva una ragnatela da davanti al volto. Sembrava che in quel posto
gli unici felici fossero i ragni e la polvere.
-Sembra il set di un film …- Continuò l’agente,
mentre il suo eterno sorrisetto riprendeva possesso delle sue labbra.
-Tony, prova a parlare di nuovo dei tuoi stramaledetti film e mi
pentirò per tutta la vita di non averti sparato, prima!-
Ringhiò minacciosa Kate, scatenando la risata da presa in giro
del collega, intento ad esplorare quella che doveva essere la cucina.
-Eddai, Kate, non essere così nervosa … Poi ti sale la pressione!-
-Io non ho problemi di pressione!- Ribatté la donna, mentre lo seguiva nella stanza.
-A sì? E allora perché quando abbiamo litigato in macchina, sei arrossita così?-
-Io … Cosa?!- Kate sentì il desiderio di sprofondare.
Aveva sperato che Tony non lo avesse notato … Al diavolo! E
adesso come se la cavava? Per quanto avrebbe dovuto sopportare le
battutine insinuanti del collega? Con orrore si accorse di star
nuovamente arrossendo. -Ti sbagli. Ti sbagli proprio di grosso!- Tony
si voltò stupito a fissarla.
-Hey! Stavo solo scherzando! Perché urli?- Aveva urlato? Non se
ne era neppure accorta. Oh, cavoli! Se non si accorgeva neppure di
quando urlava o parlava normalmente la cosa era davvero preoccupante!
Con un gesto di stizza, Kate si allontanò dal collega, fingendo
di interessarsi ad alcuni soprammobili polverosi. Tony la seguì
con lo sguardo, poi scosse la testa: nulla glielo poteva togliere dalla
testa. Dovevano esserle arrivate le sue cose. Mettendo da parte le sue
congetture, cominciò ad esaminare la stanza. Come il resto
dell’appartamento, era privo di ogni particolare o soprammobile
riconducile a chicchessia. Kate, a pochi passi da lui, sbuffò
delusa. Non un tocco di personalità o ricordi. Le cucine in
mostra nei negozi di mobili erano meno impersonali.
-Lo sai, Tony? Mi ricorda casa tua …- Esclamò Kate,
velenosa, mentre passava un dito su un piano completamente ricoperto di
uno strato uniforme di polvere.
-Davvero divertente, Kate.- Ringhiò colpito nel vivo
l’agente, mentre si accingeva a passare accanto al tavolo. Allora
Kate lo vide. Uno scintillio, quasi insignificante, ma che fece
scattare il sesto senso della donna.
-FERMO!!!- Senza neppure sapere il perché del grido della
collega, Tony si bloccò di colpo. Aveva percepito nella sua voce
il terrore, e sapeva che non era mai ingiustificato, in Kate. -Ti
prego, non ti muovere, Dinozzo.- L’uomo annuì, e quasi
smise di respirare. Lentamente, evitando movimenti bruschi, la mora si
avvicinò al collega. Tony cercò di chiedere cosa stava
succedendo.
-Kate? Si può sapere cosa …-
-Stai fermo!- Lo interruppe brusca Kate, ormai vicinissima a Tony.
-Ho capito! Ma dimmi perché!- La ragazza si abbassò, e
per tutta risposta gli indicò una piega ad altezza caviglie sui
suoi pantaloni. Troppo nitida, troppo orizzontale per essere naturale.
Un luccichio argenteo fece comprendere tutto a Tony. L’uomo
deglutì, e seguì con lo sguardo il filo trasparente che
stava tenendo teso con la gamba. Kate fece lo stesso, e vide che andava
a finire sotto al tavolo. Con il sangue che pulsava in testa, si
accucciò per vedere dove era legato. Forse era stata avventata.
Forse non era quello che sembrava … Forse era solo uno spago
abbandonato lì che era finito legato alla gamba di un tavolo
… O forse …
-Merda!- L’esclamazione della donna fece rabbrividire Tony. Non
prevedeva nulla di buono … E infatti, quando Kate si
rialzò, vide che il suo volto era teso e pallido.
Un’ipotesi aveva cominciato a farsi largo nella testa di
Tony, e non gli piaceva per niente. Potevano esserci solo due motivi
per cui Kate potesse avere quella faccia. La prima era che vi fosse un
cadavere sotto il tavolo. Ma allora lei non gli avrebbe ordinato di
restare fermo. Eppoi il tavolo era piuttosto piccolo, e si sarebbero
accorti subito di un possibile cadavere. E la seconda … bhe, non
voleva neppure immaginarla … Ma l’espressione di Kate gli
faceva pensare al peggio …
-----
Gibbs e McGee trovarono subito la porta spalancata. Facendo entrare
prima la canna della pistola, gli agenti entrarono. Era palese che non
vi fosse nessuno.
-DINOZZO! TODD! SIETE LI’?- Il richiamo di Gibbs echeggiò
per l’appartamento. Quasi subito la voce di Kate arrivò in
risposta.
-SIAMO IN CUCINA!- Jethro scambiò un’occhiata
d’intesa con McGee. Un cenno d’assenso, e le pistole
tornarono docili nelle fondine. Ma la preoccupazione era ben lungi
dall’essere svanita: la voce di Kate ne esprimeva troppa. Pochi
istanti dopo, i due agenti erano nella stanza in cui si trovavano Tony
e Kate. Questa era pallida e sembrava sull’orlo di una crisi:
solo l’addestramento sull’autocontrollo che il lavoro le
aveva imposto la stava trattenendo. E Tony … Bhe, Tony sembrava
una sorta di mimo. Immobile nell’atto di fare un passo, il corpo
irrigidito per la posizione obbligata dei muscoli.
-Tony … Ma che stai facendo?- Domandò McGee fissando il collega, che lo fissò a sua volta, feroce.
-La bella statuina, Pivello!- Ringhiò Tony facendo guizzare gli
occhi, unica parte del corpo che osava muovere, da McGee al suo capo,
che si era avvicinato a Kate.
-Cosa è successo?- la donna indicò il tavolo. Gibbs
comprese subito. Si abbassò per vederci sotto. Seguendo il filo
teso dalla gamba di Tony, stava, attaccato con dello scotch al mobile,
quello che sembrava un potenziale ordigno. E accanto a questo ve ne
stava un altro, con un timer. E se non sbagliava a leggere, non avevano
molto tempo prima che esplodesse. Dieci minuti al massimo. Le cifre dei
secondi scorrevano implacabili. L’ex marine bestemmiò.
Dovevano uscire di lì, e al più presto. Ma se Tony si
fosse spostato, probabilmente la bomba legata al filo trasparente
sarebbe esplosa. E lui avrebbe potuto dire addio al suo agente.
-Tony, tu resta fermo lì.-
-E chi si muove?- Ribatté ironico Tony, mentre un velo di sudore
cominciava ad imperlargli la fronte. Gibbs intanto era spuntato da
sotto al tavolo, e aveva tirato il suo cellulare a McGee, che lo prese
al volo.
-Chiama Abby, e dille che mi serve un corso accelerato sul disinnesco delle bombe.-
-Bombe?! Ma non sono cose che si possono imparare così, su due
piedi …- Il giovane agente cercò di ribattere, ma il suo
capo lo interruppe adirato.
-Non mi interessa! Chiama Abby, o tra dieci minuti saltiamo in aria
tutti quanti!- McGee impallidì, e si affrettò a comporre
il numero. Un paio di squilli, e la voce frizzante della dark era in
linea.
-Ehilà, Jethro! Come mai mi chiami? Guarda che tutto quello che avevo trovato te l’ho già dato …-
-Abby, sono io, McGee …- Un momento di pausa. Poi Abby domandò:
-McGee? Ma che ci fai col telefono di Gibbs?- Spazientito, l’ex marine riprese possesso del suo cellulare.
-Abby …- Subito Gibbs venne interrotto dalla ragazza, mentre un
terrificante frastuono di musica metal faceva da sottofondo. Il genere
che faceva venire mal di testa all’agente.
-Oh! Ciao, grande capo! Cosa mi dici di carino?-
-Abby, non c’è tempo. Devi dirmi come disinnescare due
bombe, oppure qui esplodiamo tutti!- McGee lanciò
un’occhiata disperata a Kate. Non aveva ancora capito cosa stava
succedendo, e sentirlo dire così dal suo capo era stato una vera
mazzata. Gibbs spiegò la situazione a Abby brevemente,
descrivendo però gli ordigni in ogni particolare.
-Allora. Gibbs stammi a sentire.- La voce di Abby era seria e
decisamente preoccupata. La musica era stata spenta, e nonostante il
momento poco adatto, Gibbs la ringraziò mentalmente.
-Ogni sillaba.- Confermò l’ex marine. Un sospiro metallico
arrivò dall’altra parte del telefono. Abby si stava
preparando.
-Togli il coperchio. A tutte e due le bombe.- Gibbs fece per prendere
il suo coltello, ma Kate gliene aveva già passato uno.
L’agente la guardò un momento. Era ancora pallida, ma ogni
traccia di crisi era passata. Una nuova determinazione le illuminava il
volto. Ma gli occhi tradivano la preoccupazione, mentre passavano
rapidamente dal suo capo a Tony. Con un cenno di ringraziamento, Gibbs
si affrettò a togliere il coperchio agli ordigni, lasciando
scoperti una serie di fili colorati collegati, apparentemente, alla
rinfusa tra loro. Si portò all’orecchio il cellulare.
-Ci sono, Abby.-
-Benissimo. Allora dimmi. Che cosa vedi?- Adesso era il turno di Gibbs
di sospirare. Sul timer i numeri continuavano a scorrere. Avevano meno
di otto minuti. Dallo schermetto luminoso si irradiavano, come i
tentacoli di una piovra, almeno sei fili gialli, rossi, blu e verdi.
Alcuni collegati all’ordigno attaccato a Tony. Riferì
tutto alla dark. -E’ un problema.-
-Abby, tutta questa faccenda è un problema! Dimmi come faccio ad
uscirne!- Ribatté Gibbs irato. Avevano solo sei minuti.
-Lo so benissimo Jethro!- L’isterismo aveva cominciato a prendere
piede nella voce di Abby. Con un’orrenda sensazione, Gibbs
notò che lei lo aveva chiamato per nome. Quando erano in
situazioni come quella, gli agenti, come in un tacito accordo, non si
chiamavano mai col nome di battesimo. Solo per cognome o soprannomi,
abbreviativi al massimo. Era una sorta di scaramanzia, comune
soprattutto tra la polizia scientifica. E se Abby l’aveva
violata, la situazione doveva essere davvero grave. -Il problema
è che i due ordigni devono essere collegati! Se disinneschi uno,
l’altro esplode! Indipendentemente da quello che metti fuori uso
per primo.- Gibbs rimase in silenzio. Adesso capiva.
-E come faccio a disinnescarle tutte e due?- Urlò
l’agente, mentre i numeri rossi del timer sembravano
sbeffeggiarlo. Erano appena scattati i cinque minuti.
-Non puoi.- La voce di Abby era lontana, vuota. Probabilmente i suoi
occhi erano colmi di lacrime. Gibbs avrebbe voluto prendere a testate
il tavolo. Si sentiva del tutto impotente. E lui detestava sentirsi
così.
-Capo …- Tony interruppe la conversazione telefonica, ma
stranamente l’agente Gibbs non si arrabbiò. Non era il
momento adatto.
-Cosa vuoi, Dinozzo?-
-Faccia andare via Kate e McGee.-
-MA CHE STAI DICENDO!?- l’obiezione della donna non venne neppure ascoltata.
-E’ stupido esplodere tutti quanti!- Gli occhi di ghiaccio di
Gibbs si misurarono per qualche istante con quelli verdi di Tony. Aveva
ragione. Terribilmente ragione. L’ex marine lo sapeva benissimo.
Ma che diavolo stava facendo? La vita dei suoi uomini era sotto la sua
responsabilità, e doveva fare di tutto per impedire che
accadesse loro qualcosa. Dopotutto la stessa cosa valeva anche per
loro. Come si diceva … Uno per tutti, tutti per uno, per essere
filosofici. Un lieve sorriso si disegnò sulle labbra
dell’uomo.
-Non esploderà nessuno, Dinozzo.- Con uno scatto si
rialzò in piedi. -Non gli darò questa soddisfazione.-
Febbrilmente, cominciò a guardarsi intorno, finché non
trovò quello che cercava. Un tagliere di legno appeso in bella
mostra. Lo staccò dal muro e vi piantò il coltello.
Lentamente, per non rischiare di dare scossoni allo spago,
avvicinò il tagliere alla gamba di Tony. -Quando te lo dico io,
spostati.-Tony fece un cenno d’assenso col capo. -Pronto?- un
sospiro. -ADESSO!- Con uno scatto, Gibbs sostituì il tagliere
alla gamba dell’agente. Il coltello fece restare tesa la corda.
Un sospiro di sollievo allargò i polmoni di Tony.
-Capo, non sai quanto ti adoro!-
-Aspetta ad adorarmi.- Ringhiò l’agente. -Ci restano meno
di quattro minuti!- Con scatti da far invidia ai migliori
centometristi, i quattro agenti si gettarono giù dalle scale. Il
timer ormai aveva scandito l’ultimo minuto quando uscirono dal
portone. Fecero appena in tempo a raggiungere le auto, quando le
finestre del quarto piano, appartamento numero otto, vomitarono fuoco.
-Fine capitolo 4-
L’idea della scaramanzia per cui i poliziotti non si fanno
chiamare per nome dai colleghi, l’ho presa dai libri di Jeffrey
Daver. Più precisamente dall'avventura di Lincoln Rhyme
“La dodicesima carta”, della serie de "il collezionista di
ossa, per intenderci. Raga, io ADORO Jeffrey Daver.
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Capitolo 5 *** La scatola. ***
explosion5
EXPLOSION
-Capitolo 5-
La scatola.
L’uomo qualunque guarda al suo fianco. Lei non ha ancora detto
nulla. Dal furgone scassato e anonimo a poco distanza dal palazzo,
hanno visto la colonna di fuoco e fumo uscire dalle finestre del quarto
piano. Ma hanno anche visto i poliziotti uscire a tutta velocità
prima dell’esplosione. La delusione di Lei è palpabile.
L’uomo qualunque non sa cosa fare. Lui non vuole deluderla. Mai.
Ma questa volta lo ha fatto. Eppure era andato tutto come previsto. La
bomba era perfetta. L’aveva controllata anche lei. E allora come
avevano fatto i poliziotti a scappare?
-Andiamo via.- Le parole fredde della donna sorprendono l’uomo.
Ma questi obbedisce, senza pensarci due volte. Lei non l’aveva
mai deluso. Lui invece sì. Il motore del furgoncino tossisce
spasmodicamente, prima di mettersi in moto. Lentamente, coperto dalla
confusione creatasi per l’esplosione, si allontana. La donna
indica una strada poco frequentata. L’uomo la imbocca, senza
neppure chiedersi dove possa condurre. Il furgoncino avanza,
silenzioso. L’uomo alla fine si arrischia a guardare nella
direzione della donna. Con sorpresa, sul suo volto è apparso un
sorriso. L’uomo è sollevato. Poi la donna parla di nuovo.
La sua voce è sempre fredda, ma è come percorsa da un
filo d’impazienza. -Ho ancora bisogno del tuo aiuto …-
l’uomo qualunque sorride. Il quarto atto sta per cominciare.
-----
Una colonna di fumo si irradiava minacciosa dalla finestra del quarto
piano. Furioso, Gibbs tirò un calcio ad una lattina. Altre
prove, era il caso di dirlo, andate in fumo. A pochi passi da lui,
Kate, Tony e McGee lo fissavano, delusi quanto lui. McGee fece per fare
una domanda a Tony, ma con sorpresa lo trovò ancora seduto con
Kate contro la fiancata della macchina. Nella foga
dell‘esplosione, Tony aveva stretto con un braccio la donna alla
vita, tirandola contro di sé per proteggerla. E Kate si era
rannicchiata contro di lui, spaventata. Un comportamento più che
lecito, visto il momento di pericolo. Solo che il pericolo era passato
già da qualche minuto buono, e i due non si erano mossi di un
millimetro, se non per fissare Gibbs. Tony continuava a tenere il
braccio attorno alla vita di Kate, e Kate continuava a restarsene
rannicchiata contro il petto di Tony. Con un sorriso maligno, McGee
prese la palla al balzo. Quando mai gli sarebbe ricapitata
un’occasione del genere? Tirò fuori di tasca il cellulare,
e attivò l’opzione videocamera. Il sorriso gli si
allargò ulteriormente mentre pensava alla reazione di Abby, non
appena gli avesse mostrato quel piccolo capolavoro. Aveva già
fatto qualcosa come quindici secondi di filmato, quando i due agenti si
resero conto di essere sotto l’obbiettivo. Rapidi scattarono in
piedi, praticamente a tempo. Kate con un’abbronzatura fuori
programma su tutto il volto, specie sulle guance. Tony a dir poco
inferocito. Gli occhi verdi scintillanti e un espressione
pericolosamente simile a Gibbs.
-MCGEE!!!POSA QUEL CELLULARE O SEI UN UOMO MORTO!!!- Ignorando
volutamente la sorte dell’agente speciale McGee, Gibbs prese il
cellulare, ancora in linea con il laboratorio, e aggiornò una
preoccupatissima Abby delle sorti del team.
-Non ti preoccupare, sono tutti sani e salvi.-
-Ma cosa sono quelle urla di sottofondo?- Gibbs diede un’occhiata
distratta a Tony e Kate, che si era unita al collega. Avevano chiuso
McGee contro una macchina, togliendogli ogni via di fuga.
-Nulla. Ma avverti Ducky che forse dovrà fare l’autopsia a McGee …-
-Perché?- la voce della dark arrivò perplessa alle orecchie dell’ex marine.
-Combinazione Kate/Tony.-
-Come? Arrabbiati?- L’ex marine lanciò un’occhiata
al terzetto. I bagliori incendiari che lanciavano gli occhi di Kate e
Tony non lasciavano adito a dubbi.
-Arrabbiati.- Confermò rassegnato.
-Ah … Capisco … Povero Tim!- Concluse Abby. Gibbs si
godette lo spettacolo ancora per qualche minuto, prima di bloccare i
due agenti inferociti.
-----
-Ahia!-
-Oh, insomma, McGee! Se non stai buono, giuro che sarà l’ultima volta che curo le tue ferite di guerra!-
-Abby, mettermi del ghiaccio dove Tony e Kate mi hanno preso
selvaggiamente a scappellotti, non è curare ferite di guerra!-
Borbottò l’agente contrito. Con un sorriso, la dark gli
appoggiò il sacchetto del ghiaccio sulla nuca. Il sospiro di
piacere di Tim si espanse per tutto il laboratorio. Dopo essere stato
salvato da Gibbs, ed aver fatto ritorno in centrale, Tim si era diretto
al laboratorio di Abby. Kate e Tony, nel frattempo, cercavano di
raccattare qualche informazione utile sul conto di Amanda Rudolph e il
vecchio caso. Gibbs invece era stato chiamato dal capo dell’NCIS.
-Almeno il tuo sacrificio è servito a qualcosa?- Domandò
dopo un po’ Abby, mentre il collo del ragazzo perdeva un
po’ del colore rosso-violaceo con cui si era presentato al
laboratorio. Con un sorriso vittorioso, McGee tirò fuori il
cellulare e lo porse alla ragazza.
-Dimmelo tu …- Abby afferrò l’apparecchio con
impazienza, e dopo pochi istanti aveva fatto partire il video. Un
sorriso enorme le si disegnò sulle labbra nere.
-Questo è materiale da prima pagina! McGee, sei decisamente
sprecato all’NCIS. Dovevi fare il fotoreporter …- Con un
brontolio, l’agente declinò l’offerta.
-Troppo pericoloso. Meglio il mio tranquillo lavoro fatto di sparatorie
e ordigni ad altissimo potenziale esplosivo, grazie.- Con una risata,
Abby gli gettò le braccia al collo, stampandogli un bacio sulla
guancia. Proprio allora il telefono cominciò a squillare. Con un
tocco leggermente seccato della mano, Abby premette il pulsante del
viva voce. Subito la voce di Gibbs sembrò invadere la stanza.
-Abby. Dì a McGee di venire su. Ora.- Il giovane agente lanciò un’occhiata interrogativa alla dark.
-Come fa a sapere che sono qui?- La voce rabbiosa di Gibbs uscì dall’apparecchio.
-Lo so e basta, McGee. E adesso MUOVITI!-
-----
Quando McGee entrò nell’ufficio, per un momento non si
domandò se per caso aveva sbagliato piano. L’atmosfera
sembrava davvero lugubre. Troppo per quel posto, solitamente pieno
delle battute e dei battibecchi tra Kate e Tony, e dei richiami
spazientiti di Gibbs. Ma adesso se ne stavano tutti alla loro
scrivania. Gibbs parlava al telefono, e Tony era in piedi, a braccia
incrociate davanti al suo posto. Questi due in particolare, avevano la
faccia scura. Un senso di tensione era palpabile nell’aria. Kate
faceva scorrere lo sguardo preoccupato dall’uno all’altro,
indecisa sul da farsi. Confuso da quella strana atmosfera, McGee si
sedette al suo posto, lanciando un’occhiata interrogativa a Kate.
La donna scosse il capo. Anche lei non capiva cosa stava accadendo.
L’unica cosa di cui era certa era che mai aveva assistito ad una
cosa simile tra Tony e Gibbs. Tim guardò nella loro direzione,
inquieto. La tensione era quasi al culmine. Quando con uno schiocco
Gibbs posò la cornetta del telefono, un brivido
d’apprensione scese lungo la schiena di Kate e McGee. Lo avevano
capito. Loro erano fuori. Quella faccenda era solo di Gibbs e
Tony. Sembrò che invece di pochi secondi, passassero ore,
prima che Jhetro si decidesse a parlare.
-Allora, Dinozzo. Cos’hai da dirmi?- Un lieve tremolio nella sua
voce tradiva la rabbia a stento repressa. Tony rispose con tono
provocatorio.
-Su cosa?-
-NON FARE L’IDIOTA!!!- Scattò Gibbs, facendo cadere la
sedia nell‘atto di alzarsi. -Perché non hai detto nulla su
Amanda Rudolph?-
-Non mi sembrava importante.- La voce di Tony era come priva di emozioni.
-Come sarebbe a dire “non mi sembrava importante”? Ma ti
rendi conto di cosa hai rischiato? Di cosa hai fatto rischiare a tutti
noi?- Gibbs si era avvicinato all’agente, piazzandocisi di
fronte, faccia a faccia, le parole come un sibilo velenoso. Tony rimase
in silenzio, mentre Jhetro continuava. -Hai messo in pericolo la vita
di Kate.- Il volto di Tony cambiò, diventato una maschera dura.
I lineamenti del volto come incisi sulla pietra. Rimase immobile ancora
per qualche istante. Gli occhi verdi a reggere lo sguardo di ghiaccio
del suo superiore. Kate lanciò un’occhiata preoccupata a
McGee. Non era riuscita a sentire le ultime parole di Gibbs. Ma Tim
scosse la testa. Neppure lui aveva capito. Gibbs aveva parlato a voce
troppo bassa. Per alcuni interminabili istanti, l’agente speciale
Dinozzo e il suo superiore, l’agente speciale Gibbs, rimasero a
squadrarsi. Poi fece la sua comparsa Ducky.
-Buongiorno a tutti …- All’anziano medico bastò
un’occhiata per capire quanto fosse inopportuno il suo saluto.
-Oh oh … Sembra proprio che sia capitato male …- Gibbs e
Tony sembrarono non udirlo. Cercando di restare invisibile agli occhi
dei due contendenti, Ducky si avvicinò a Kate. Questa lo
fissò supplicante, come se lui avesse avuto il potere di far
smettere quella sorta di battaglia tra i due agenti. Il medico si
limitò a fare un lieve pressione con la mano sulla spalla della
ragazza. Non potevano fare altro che attendere. Nel frattempo Tony
rispose a Gibbs, a voce bassa quanto quella usata da quest’ultimo.
-Cosa vorresti dire?-
-Sei tu l’agente più anziano. La vita di ogni altro membro
dell’NCIS che si trova con te fuori dal dipartimento, è
sotto la tua responsabilità. Specialmente se io non ci sono!- La
voce di Gibbs era tornata a livelli normali. E tutti i presenti avevano
capito. Con uno scatto della testa, Tony interruppe il contatto visivo
con il suo capo. Senza voltarsi indietro neppure una volta, si diresse
all’uscita dell’ufficio. Gibbs rimase fermo dov’era.
Un’ondata di sconcerto avvolse il terzetto in attesa. Non appena
l’agente Dinozzo varcò la soglia dell’ufficio, Gibbs
impartì l’ordine.
-Kate, vai con lui.- Senza neppure chiederne il motivo, la donna si sbrigò a seguire il collega.
-----
Kate trovò Tony appoggiato all’entrata dell’NCIS, le
mani in tasca e lo sguardo vagante sul parcheggio. Sul suo volto era
ancora presente, seppur in minima parte, la rabbia a stento trattenuta
pochi minuti prima. Timidamente, la donna si avvicinò. Ma poi
scosse la testa: era Tony! Al diavolo ogni remora!
-Che ci fai qui?- Il tono di voce che voleva essere velenoso e pungente
aveva un che di dolce. Senza muoversi di un centimetro dalla sua
posizione, Tony rispose tranquillo.
-Fumo una sigaretta …-
-Tony, tu non fumi …- Lo rimbeccò Kate, appoggiandosi alla parete, al fianco del collega.
-Dovrei iniziare …- Un lieve sorriso apparve sul volto della
donna, contagiando anche Tony. Rimasero qualche lungo istante in
silenzio, a godere della lieve brezza e dei tiepidi raggi di sole del
pomeriggio. Fu Kate la prima a parlare.
-Perché te ne sei andato così?- Stiracchiandosi
pigramente, l’uomo si pose le mani dietro la testa. Prima di
rispondere, fece vagare lo sguardo sul circondario, quasi a potervi
trovare le parole da dire.
-Non lo so. Forse perché non ce la facevo.- Inutile chiedere a
cosa si riferisse. Kate lo immaginava troppo bene. Per quanto Tony
fosse un irrispettoso, infantile e orgoglioso, non avrebbe mai mancato
di rispetto a Gibbs. Ma era anche vero che non avrebbe permesso a
nessun altro di trattarlo come aveva fatto il suo capo, solo pochi
minuti prima. E per evitare che il suo orgoglio gli facesse dire cose
che non avrebbe mai né voluto né potuto dire, se
l’era svignata. Rimasero fermi lì ancora per qualche
minuto, vicini. La presenza dell’uno e dell’altro era
confortante. Quasi senza accorgersene, i due diminuirono la distanza
che li separava, finché le braccia non si sfiorarono. I loro
corpi vennero come travolti da una scarica elettrica. Rapidi, si
affrettarono a rimettere distanza tra loro, sperando entrambi che
l’altro non si fosse reso conto dell’accaduto. Il silenzio
da calmo divenne teso. Con sorpresa di Kate, fu Tony a romperlo per
primo, incamminandosi verso il parcheggio.
-Andiamo.-
-Ma … Dove?!- Esclamò la donna seguendolo.
-A fare un salto all’appartamento di Amanda Rudolph. Voglio
vedere se è rimasto qualcosa.- Kate sospirò. Era
praticamente impossibile che fosse rimasto anche una sola briciola, ma
d’altronde era l’unica cosa sensata da fare. Con un rombo,
il motore dell’auto partì.
-----
McGee rimase al suo posto, facendo scorrere gli occhi da Jhetro a
Ducky. Il medico legale, infatti, aveva puntato lo sguardo
sull’ex marine, che non sembrava intenzionato a spostarsi dalla
sua postazione. Da quando Tony e Kate se ne erano andati, non si era
ancora mosso. Alla fine, con un sospiro carico di stanchezza, Gibbs si
risedette al suo posto, lo sguardo perso sullo schermo del computer.
Facendo finta di nulla, Ducky fece un cenno a McGee.
-Ah, stavo per dimenticarmi … Tim, Abby stava cercando di
entrare nel database dei vecchi casi, e ha qualche problema nel sistema
della polizia, e vorrebbe che tu gli dessi un’occhiata …-
-Ma Abby sa cavarsela benissim …- Un’occhiata eloquente
del medico legale lo fece svegliare. -Ehm, volevo dire …
Sì, certo, vado subito!- Il giovane agente, finalmente, prese la
palla al balzo. Non aveva capito nulla di quanto era appena successo,
ma non intendeva restare troppo a lungo nella stessa stanza con Gibbs.
Almeno finché questi non si fosse calmato. Ducky attese che le
porte dell’ascensore si chiudessero davanti al volto di McGee.
Poi si rivolse a Gibbs, sempre intento a fissare lo schermo al plasma.
-Allora … Non ti sembra di aver esagerato?- Finalmente
l’ex marine si degnò di voltarsi verso il medico legale.
-No.-
-Ma che ti è preso? Non ricordo di averti mai visto trattare
così il nostro Tony. Non dico che non avesse bisogno di una
bella tirata d‘orecchi, ma …- Sospirò Ducky
prendendo posto vicino all’amico.
-Ha messo in pericolo la vita di Kate.- Lo interruppe Jhetro. -Ed ha
rischiato di saltare in aria anche lui.- Un momento di silenzio.
-Il capo ti ha messo di nuovo sotto pressione, vero?- Colpito. Ducky
aveva centrato il problema. Incredibile il modo in cui riusciva a
leggergli quello che gli passava per la testa … Con un sospiro
rassegnato, Gibbs si stiracchiò sulla poltrona.
-Già.- Gli occhi azzurri dell’agente vagarono per
l’ufficio. Un’insolita, laboriosa calma regnava sul piano.
Ad un tratto si rese conto di quanto la presenza casinista della sua
squadra rendesse più vivo quel luogo. All’improvviso, gli
sembrava di essere in un ufficio di una qualsiasi agenzia, invece che
al quartiere operativo dell’NCIS.
-E’sempre per quella questione?- Gibbs annuì, greve.
-Esatto. Il capo vuole che io nomini un agente che possa sostituirmi in
caso di una mia assenza o impossibilità di gestire la squadra.-
-Piuttosto iettatoria, la cosa.-
-Non dirlo a me …- Un lieve sorriso fece finalmente capolino
sulle labbra dell’ex marine. -Il fatto è che il grande
capo non è per nulla contento della mia scelta.-
-Devo forse intuire che hai deciso per qualcuno di infantile, poco
professionale, che non può resistere alla vista di una bella
donna e geneticamente predisposto a cacciarsi nei guai?- Il sorriso di
Gibbs si allargò del tutto, esplodendo in una risata.
-Se vuoi metterla così …-
-----
L’uomo qualunque si guarda attorno, incuriosito. Sono anni che
non mette più piede in una scuola elementare. I bambini, a
piccoli gruppi o da soli, sciamano fuori dall’edificio. Il coro
sconnesso di voci e risate riempiono l’aria. Decine di genitori
attendono impazienti l’arrivo dei loro figli, sbracciandosi in
affettuosi gesti di saluti non appena li riconoscono. L’uomo si
fonde tra la folla, come sempre. Con un cappello in testa e il capotto
marrone, non sembra diverso da un qualsiasi impiegato. Forse la sua
espressione è un po’ più triste, ma nessuno sembra
farvi caso. Pazientemente, l’uomo qualunque attende che tutti se
ne siano andati. Poi entra nell’edificio, ormai praticamente
vuoto. Sale una rampa di scale, poi una seconda. I suoi passi
rimbombano sul marmo consunto. Imbocca un corridoio, lungo e poco
illuminato, su cui si aprono varie aule. Senza indugi, le sorpassa
tutte, finché non arriva all’ultima. Rimane fermo sulla
soglia per qualche minuto. Poi prende il coraggio a due mani ed entra.
L’aula grigia è vuota. I banchi sono disposti quasi alla
rinfusa, spostati dai bambini nella fretta di uscire. Solo una bambina
stava ancora al suo posto, quasi come se il mondo si fosse scordato di
lei. Davanti agli occhi scuri teneva un libro. Non poteva avere
più di otto anni. I riccioli neri raccolti da un nastro azzurro.
L’uomo qualunque rimane a contemplarla per alcuni lunghi istanti.
La piccola si accorge della sua presenza solo quando ripone il suo
libro nello zaino. Il volto bruno, dapprima spaventato, si distende in
un sorriso enorme.
-Papà!-
-Ciao, Cassidy.-
-----
Come immaginava. Non era rimasto praticamente nulla. Ogni minimo
indizio che non era stato cancellato dall’esplosione, era stato
lavato via dalla schiuma dei pompieri. Disgustata dall’odore di
plastica bruciata, Kate raggiunse Tony, intento ad osservare quelli che
sembravano i resti di una sedia.
-E’ inutile. Non è rimasto nulla.- L’agente Dinozzo sospirò amareggiato.
-Hai ragione. I pompieri hanno fatto un lavoro stupendo. Purtroppo.-
-Bhe, non potevano mica lasciare che il palazzo andasse a fuoco, no?-
Cercò di consolarlo la giovane donna, spostandosi in
un’altra stanza. Tony rimase ad osservare la sua figura
finché non varcò la soglia dell’ambiente. Poi la
raggiunse.
-Visto il quartiere, avrebbero dovuto appiccare il fuoco anche alle
altre case! Quel ragazzino al piano di sotto ha cercato di sfilarmi il
portafoglio!- Kate rise.
-Poverino! Doveva essere proprio disperato per venire a rubare a te …-
-Ah ah ah … Davvero divertente.- Ribatté sarcastico
l’uomo, che però si bloccò di colpo, non appena si
rese conto di essere entrato in quella che solo poche ore prima era la
cucina. Del mobilio non erano rimasti che schegge e rottami anneriti.
Un brivido ghiacciato scese lungo la schiena dell’agente. A
quell’ora poteva essere ridotto a frammenti non troppo diversi da
quelli del tavolo. Kate indovinò i pensieri del collega. Anche
lei aveva avuto una orrenda sensazione. In quella stanza avevano
rischiato di esplodere come petardi non solo Tony, ma anche lei, Gibbs
e McGee. Lo sguardo di Tony era diventato duro come la pietra. Poi
avanzò, fino ad arrivare allo stesso punto dove Kate lo aveva
fermato. Si guardò attorno, irritato. Kate lo osservò per
qualche istante, confusa. Poi scosse la testa.
-Andiamo, Tony. Ormai qua non c’è più niente …-
-No, non è vero.- Tony scosse la testa, testardo. -Qua
c’è ancora qualcosa …- Kate scosse il capo,
esasperata.
-Ma che cosa vuoi trovare, qua! Guardati intorno! E’ tutto a
soqquadro, bruciato e schiumato! E anche prima, non c’era altro
che polvere e ragnatele!- Ma Tony era irremovibile.
-No. Sono sicuro di aver sentito o visto qualcosa, prima che tu mi fermassi.-
-E a motivo, mi pare!- Ringhiò Todd, irritata dal comportamento
del collega. -Anzi, ora che mi ci fai pensare, non mi ricordo di aver
sentito un “grazie per avermi salvato la vita, Kate”!-
-Sì, sì, grazie mille, non so cosa avrei fatto senza di
te-> Rispose sbrigativamente Tony, avanzando tra le macerie.
-Dinozzo, non mi stai ascoltando!- Sibilò Kate indispettita.
-Ma sì che ti sto ascoltando.- Inutile dire che il tono di Tony
era privo del minimo interesse o partecipazione per la conversazione.
Kate cominciò a lanciare maledizioni a denti stretti, mentre il
suo patner continuava la sua ricerca. Dopo aver esaminato con perizia
degna di Abby pareti e soffitto, Tony passò al pavimento.
C’era un particolare, quasi insignificante, ma che continuava a
premergli in testa. Era sicuro di aver visto, o sentito, qualcosa,
anche se non sapeva cosa, che gli aveva catturato la mente. Aveva
già individuato il punto esatto dell’esplosione. Degli
ordigni non restavano altro che qualche filo bruciacchiato e una
scatoletta metallica deformata quasi irriconoscibile. Il tutto
contornato da schegge nere mischiate ai resti del tavolo.
-Kate, passami una busta.- La donna lo fissò con occhi di fuoco.
-Per favore!?- Con un gesto rabbioso, Kate gli lanciò la busta
di plastica. -Grazie, Kate.- Con l’ausilio di un guanto di
gomma, raccolse i frammenti. Poi il suo sguardo si posò su un
pezzo di metallo ritorto. Con un sorriso lo mostrò a Kate. -Non
ti ricorda qualcosa?-
-Il mio coltello!- L’espressione contrita della donna fece sbellicare l’agente.
-Dai, non fare quella faccia! Te ne comprerò un altro.-
-Tony, ti ricordo che ne ho già un altro …-
Ringhiò minacciosa avanzando verso di lui, ma questi la
bloccò, zittendola.
-Shhhh!-
-Oh, adesso che diavolo c’è, Tony?!- L’agente rimase fermo, in ascolto.
-Non hai sentito niente?- Kate lo fissò confusa.
-Che cosa?-
-Fai un passo indietro …- La donna obbedì sbuffando. Non
appena la sua scarpa si appoggiò sul pavimento, si udì
uno schiocco. Esultante, Tony fece spostare la collega, e trovò
il particolare che lo aveva insospettito. Un rumore, particolare,
fastidioso di una piastrella mal fissata al pavimento. Con un
sorrisetto raggiante, tirò fuori il suo coltello e, una volta
individuata la piastrella colpevole, la tirò su senza sforzo.
Sotto, una scatola di metallo ricoperta dalla fuliggine
dell’incendio, era praticamente intatta. Sorridendo vittorioso,
si voltò verso Kate, che fissava la scatola a occhi sgranati.
-Allora?-
-Allora … Cosa?- Cercò di far finta di nulla la donna, mentre si chinava vicino al collega.
-Allora … Non mi dici “bravo Tony, avevi ragione a voler
tornare qui”?- Indispettita, Kate si limitò ad alzare le
spalle.
-Sì, sei un bravo bambino, Tony. Ma che ne dici di aprirla?-
Senza smettere di sorridere, l’uomo si accinse a far saltare il
debole lucchetto con l’ausilio del suo coltello. Con un tintinnio
metallico, il lucchetto cadde sul pavimento. Prima di alzare il
coperchio, i due agenti si lanciarono un’occhiata d’intesa.
Con un sospiro, Tony aprì la scatola. Un lieve strato di polvere
si sollevò, infastidendoli. All’interno non vi era altro
che qualche decina di foto, un paio di bamboline di pezza e dei vecchi
ritagli di giornale.
-Ed ecco i tesori di Amanda Rudolph …- Commentò Tony,
iniziando ad esaminare gli articoli di giornale. Il cellulare di Kate
suonò. Con un sospiro, la donna si alzò, spazzolandosi
con le mani i pantaloni.
-Agente Todd, chi parla?- La voce seccata di Gibbs le fece fare un balzo.
-Uno a caso, Kate.- Ringhiò infastidito questi. Poi
continuò. -Tu e Tony dovreste fare un sopralluogo a casa della
Rudolph …-
-Ci siamo già, Gibbs.- Un istante di silenzio sorpreso.
Dall’altro capo del telefono, l’ex marine probabilmente non
se l’aspettava.
-Benissimo. Avete trovato nulla?-
-Dei frammenti di ordigno ed una specie di scatola dei ricordi …
Tony la sta esaminando …- Gibbs interruppe la spiegazione
dell’agente.
-Va bene, portate tutto ad Abby. Ci penserà lei. Cercate di tornare al più presto.-
-Ci sono novit …- Prima che Kate riuscisse a completare la
frase, Gibbs aveva già chiuso la chiamata. Contrita, la donna
abbassò il cellulare. Impossibile dire cosa diavolo stesse
passando per la mente del suo capo. E soprattutto perché avesse
telefonato a lei e non a Tony. C‘era qualcosa che non andava.
Tony era il primo agente di Gibbs, e anche senza dirlo ufficialmente,
si capiva da alcune piccole cose. Come appunto quella. Quando erano
fuori sede, che fossero lei e Tony, o Tony e McGee, era sempre Tony
quello che veniva contattato da Gibbs. Sospirò preoccupata,
mentre Tony le indicava uno degli articoli di giornale, apparentemente
senza accorgersi del suo stato d’animo. Era piuttosto vecchio, la
carta, una volta candida e liscia, adesso era giallognola e segnata da
aloni grigiastri. Ma l’inchiostro era rimasto leggibile e Kate
non potè non vedere il titolo a lettere cubitali
dell’articolo.
“TERZA ESPLOSIONE IN UNA SETTIMANA. APPARTAMENTO ESPLODE IN UN QUARTIERE MALFAMATO.”
Nella foto in bianco e nero era riconoscibilissima la stessa palazzina in cui si trovavano in quel momento.
-----
L’auto sfrecciava veloce sull’asfalto, mentre i due agenti
si dirigevano al quartier generale. Un silenzio opprimente aleggiava
tra i due, mentre la radio gridava qualche successo del momento. Era da
quando erano usciti dall’appartamento numero otto al quarto
piano, che Tony non aveva più detto una parola. E Kate non
riusciva a trovare il coraggio per iniziare un discorso. Erano ormai a
metà del percorso, quando prese la sua decisione.
-Fermati.-
-Cosa?- Tony pensò d’aver capito male.
-Ferma l’auto.- Ribadì Kate. La sua voce non ammetteva repliche.
-E perchè?-
-Tu fermati e basta.- Con un sospiro contrariato, l’agente
fermò la macchina a bordo strada. Passò qualche istante
di silenzio.
-Cosa c’è?-
-Cosa c’è me lo devi dire tu!- Ribatté la donna,
inferocita. -Ultimamente sei troppo strano … Sei diverso dal
solito … E voglio che tu mi dica cosa ti sta succedendo.- Tony
la fissò un momento, indeciso. Poi scosse il capo e si
apprestò a far ripartire l’auto, ma prima che potesse
metterla in moto, Kate gli tolse le chiavi. Non aveva alcuna intenzione
di farla passare liscia al suo collega.
-Kate, Ridammi le chiavi.-
-Non se prima non mi spieghi per bene che cosa ti è successo cinque anni fa.- Tony la guardò innervosito.
-Ti ho fatto avere il rapporto.-
-Non l‘ho ancora letto.-
-E allora leggilo!- Ringhiò l’agente, esasperato.
-Preferisco sentirlo raccontare da te.- Tony sospirò, sconfitto.
Non sarebbe mai riuscito a far cambiare idea alla collega. E lui lo
sapeva anche troppo bene. Ma come diceva il detto …
“tentar non nuoce“.
-E va bene. Ma la storia è lunga. E se arriviamo in ritardo? Non
credo che Gibbs la prenderà molto bene …- Tentativo
inutile. Kate era irremovibile.
-Gibbs adesso non c’è. E se facciamo tardi … Puoi
sempre dire che … Hai dovuto aiutare una vecchietta ad
attraversare la strada …-
-Aiutare una vecchietta ad attraversare la strada?- Tony la fissò perplesso.
-Bhe, sì, sai … Portava il nipotino a spasso con la
carrozzina e …- Tony continuò a fissarla malissimo.
Finalmente Kate si rese conto delle stupidaggini appena dette. -Hai
ragione. Non funzionerà. Ma non ti preoccupare, mi
inventerò qualcos’altro …-
-Sarà meglio …- Borbottò Tony scuotendo la testa,
esasperato. Passarono alcuni istanti, prima che l’agente
riuscisse a trovare la forza per iniziare il suo racconto. Poi prese
fiato e cominciò. -Il caso “Smilton”, risale a
cinque anni fa, quando lavoravo ancora a Baltimora come poliziotto. Ma
questo lo sai già.- Kate annuì. -Bene. Io non partecipai
alle indagini delle prime esplosioni, compresa quella
nell’appartamento della Rudolph.-
-Perché?- Domandò Kate, impaziente.
-Un momento, ci stavo arrivando! Semplicemente perché non era sotto la nostra giurisdizione!-
-Capisco …-
-Poi fu la volta di una scuola elementare.- Un brivido scese lungo la
schiena della donna, ma Tony continuò a parlare. -Erano morti
tre bambini. Il più grande aveva sì e no sette anni.- Gli
occhi dell’agente erano diventati freddi. Le immagini dei
corpicini di quelle vittime innocenti gli ballavano davanti, come una
macabra danza infernale. Una vista orribile, che ancora gli faceva
venire brividi di rabbia. -Il custode, invece, aveva riportato ferite
gravi, ed era morto dopo due giorni di coma.-
-E … Come avete fatto a capire quale sarebbe stato l’obbiettivo successivo?- La voce di Kate tremava.
-Una maestra aveva visto un tipo sospetto uscire da una classe, e gli
aveva intimato di andarsene. L’uomo se ne andò senza fare
storie, ma ormai aveva già messo la bomba. Mandammo un avviso
con l’identikit del sospetto, e il giorno dopo ci arrivarono un
numero impressionante di segnalazioni dallo stadio. Io e due miei
colleghi, Sellitto e Dallray, ci precipitammo. Non fu difficile
individuare Smilton, in mezzo alla folla. Era l’unico con
l’impermeabile in piena estate.- Kate, suo malgrado, sorrise.
Tony fece lo stesso. -Non appena ci vide corse verso i magazzini.
Dallray andò a chiamare i rinforzi, ed io e Sellitto partimmo
all’inseguimento. Scendemmo fino ai magazzini sotterranei. Era
buio. Smilton si era nascosto dietro alcune casse. Prima che me ne
accorgessi, aveva iniziato a sparare. Colpì subito Sellitto al
petto, almeno due volte.- Fece una pausa. Il dolore trasudava dalle sue
parole. -Ho visto il suo corpo afflosciarsi come un sacco vuoto. Poi ho
sentito un dolore alla spalla.- Dicendo questo, Tony fece passare
distrattamente una mano sul braccio sinistro. -Il bastardo mi aveva
colpito. Mi chinai giusto in tempo per evitare gli altri colpi. Poi
Smilton finì i proiettili. E tirò fuori il detonatore. Un
telecomando con un solo pulsante, collegato ai chili di esplosivo che
aveva addosso.-
-E cosa hai fatto?- Domandò flebile Kate, intuendo la risposta.
-Gli ho sparato.- La voce di Tony era inespressiva, distaccata. -In
mezzo alla fronte. Ancora adesso non riesco a capire se gli ho
sparato per fermarlo o solo per odio. Era la prima volta che vedevo
morire un collega …-
-E la Rudolph?- Kate cercò di reprimere il senso di disagio. Era
arrivata fino lì, non poteva tirarsi indietro. Se non avesse
fatto tutte le domande allora, non avrebbe mai più avuto il
coraggio di interrogare nuovamente il collega. Un altro sospiro. E Tony
rispose.
-Era la moglie di Smilton. La trovai in stato confusionale in uno
sgabuzzino lì vicino. Forse il marito l’aveva segregata o
qualcosa del genere. Lo shock le aveva fatto perdere la memoria delle
ultime settimane.- Il silenzio riprese possesso dell’auto, mentre
Kate cercava di digerire quello che Tony gli aveva raccontato. Non si
stupiva che non ne volesse parlare. Cominciò a maledirsi
mentalmente per averlo forzato a raccontargli quella storia. Non aveva
mai visto gli occhi di Tony così tristi. Stava ancora rodendosi
coi sensi di colpa, quando l’agente speciale Dinozzo
domandò, come se nulla fosse, col suo normale tono da presa per
i fondelli: -Allora, adesso me le dai le chiavi? O devo fare
l’autostop?- Con un ringhio di disappunto, Kate gliele
tirò. Tony le prese al volo, sorridendo. -Grazie, Kate …-
-Prego …- Sibilò questa, mentre Tony metteva in moto. -Ah, Tony?-
-Che c’è?.
-Ancora una cosa …- Un sorrisetto malefico era nato sulle labbra della donna.
-Cosa?- Borbottò esasperato l’agente.
-Come ti è andata, poi, con Lizzy?- Senza neppure rispondere, Tony fece ripartire l’auto.
-Fine capitolo 5-
Ringraziamenti a thia, che ha commentato, oltre a questa fic, anche "Morto due volte". Grazie davvero ...
Jeffrey Daver è un mito!!! (Ma quando capirò che bere
coca cola la sera mi fa male? Quando? U_U'''') possiedo quasi tutti i
suoi libri, e tra quelli che non hanno come protagonista Lincoln Rhyme,
il mio preferito è "La lacrima del diavolo". Curioso cmq che
moltissimi fan di NCIS che conosco siano anche appassionati di questo
scrittore ...
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Capitolo 6 *** Cassidy ***
explosion6
Per la gioia di thia, che mi ha anche lasciato una recensione in "L'angelo custode".^^ Grazie mille!!!
EXPLOSION
-Capitolo 6-
Cassidy
L’uomo qualunque sta guidando. Cassidy si è addormentata
nel sedile accanto al suo. Con un gesto affettuoso, le aggiusta al
cintura di sicurezza. Può immaginare che la zia si
preoccuperà. Anzi, forse è già andata a chiamare
la polizia. Ma non gli importa. La piccola è anche sua figlia.
Non gli importa che un giudice del cavolo abbia detto che lui non aveva
la salute mentale per vederla.
Chi è lui per dire una cosa simile? La sua piccola era la sua
unica cura. E quel maledetto giudice gliela aveva tolta.
Nell’ospedale tutto era diventato ancora più difficile.
Suo fratello era morto. Sua moglie lo aveva lasciato. Il giudice gli
aveva tolto Cassidy. Tutto era diventato buio. Finché
c’era cassidy, il mondo era ancora colorato, ancora vivo. Ma poi
aveva perso anche lei. La sua bimba, la sua medicina per il suo spirito
ferito. Se c’era lei col suo sorriso, la vita era meno buia. Meno
nera. Ma quel giudice gliel'aveva tolta, e anche quel medico. Quel
medico che lo aveva ritenuto malato mentale, inadatto per vedere
Cassidy.
Aveva gridato, nel tribunale. Spergiurato che avrebbe preso le sue
medicine, che avrebbe seguito la terapie che tanto odiava, ma non
voleva che gli togliessero la sua piccola.
Un tremolio alla mano. Rapido, l’uomo qualunque accostò.
L’effetto della medicina stava svanendo. Prese dalla tasca una
scatola di pillole. Ne ingoiò due. Rimase fermo, in attesa
dell’effetto. Se non le avesse prese, sarebbe diventato troppo
agitato. E quando era troppo agitato, non era bene. C’era
Cassidy. Non poteva diventare agitato. Poi osservò il cellulare.
Sullo schermo luminoso, lampeggiava un messaggio. L’uomo sorrise.
Non aveva davvero bisogno di leggerlo. Poteva immaginare benissimo di
cosa si trattasse. Lei aveva deciso. Era ora di portare Cassidy alla
sua nuova casa.
-----
Kate si sentì un po’ come il terzo incomodo. McGee e Abby
stavano parlando davanti allo schermo del computer. Inutile dire che
non si trattava della classica conversazione tra colleghi. O almeno,
ogni tanto, qualche termine incomprensibile di informatica ci scappava,
ma Kate non avrebbe giurato che fosse riferito al PC. La tentazione di
girare i tacchi era forte. Istintivamente si voltò alla ricerca
del sorriso malizioso di Tony, ma si trovò davanti solo la porta
scorrevole. Con rammarico si ricordò che Tony era stato chiamato
da Gibbs non appena erano rientrati. Accidenti. Era in quelle
situazioni che il collega le era utile. Quando si ritrovava in una
situazione imbarazzante. La sfida continua tra lei e Tony
l’aiutava a tirare fuori molta più grinta di quel che si
sentiva addosso. E adesso? Tornare indietro non poteva, perché
Gibbs l’avrebbe rispedita all’FBI. Quindi, dopo aver fatto
un bel respiro, fece notare la sua presenza ai colleghi.
-Heilà! Come va, ragazzi?-
-Kate! Che ci fai qui?- Abby non sembrava per nulla infastidita o
imbarazzata per l’arrivo della collega. Anche McGee appariva
tranquillo. A parte quella sfumatura rossa sul viso.
-Ho un regalino per la nostra “ragazza dei miracoli”.-
Rispose allegra l’agente, porgendo alla dark la scatola trovata
nell’appartamento della Rudolph e i resti dell’ordigno.
-Mi sfugge qualcosa: è Natale?- Ridacchiò questa
prendendo le prove. Kate sorrise, poi si rivolse a McGee, che si teneva
ancora a distanza di sicurezza dalla collega. La nuca pizzicava ancora
…
-Tim, Gibbs ti vuole di sopra … Gli serve il tuo genio coi computer …-
-Non dirmi che ha di nuovo mandato in folle il PC!- L’esasperazione era lampante nella voce del ragazzo.
-Temo di sì …- Fece Kate alzando le spalle. McGee sospirò, depresso.
-Suvvia, Tim.- Cercò d’incoraggiarlo Abby, dandogli una lieve pacca sulla spalla.
-Ma questa settimana è la terza volta!!!- Esplose questi,
demoralizzato. Kate ed Abby rimasero per qualche istante in silenzio,
allibite. La dark diede un'altra pacca incoraggiante a Tim.
-Sono sicura che il tuo genio riuscirà a far fronte ad ogni
misfatto commesso dal grande capo!- Pur non sembrandone del tutto
convinto, l’agente speciale McGee si diresse agli uffici,
salutando mesto le due donne. Rimaste finalmente sole, le due poterono
finalmente dedicarsi a ciò che più premeva loro. O
meglio, ciò che più premeva ad Abby.
-Allora … Cosa mi racconti?- A Kate non sfuggì il tono insinuante dell’amica, ma preferì ignorarlo.
-Su cosa?- La dark però non si fece incantare dalla ingenua perplessità della mora.
-Su questo, no?- Con un gesto teatrale, Abby sfoderò il
cellulare, e mostrò il video che McGee le aveva così
“generosamente” passato. La faccia di Kate assunse una
decina di tonalità violacee e rosse, prima di accorgersi del
sorriso trionfale dell’amica. -Adesso mi dici tutto.- Il tono di
Abby non ammetteva repliche. Stavolta Kate era in trappola. Aveva
già evitato varie volte l’argomento “Dinozzo“,
ma stavolta non sarebbe bastato il suo talento di pro-filers, per
tirarla fuori da quel guaio…
-Non ho nulla da dire!- Si affrettò a rispondere Kate, mentre
un’impietosa Abby le faceva danzare davanti alla faccia il
filmato. -Ero spaventata! Avevo appena rischiato di saltare in arie e
…- E più vivido che mai, tornò a galla il ricordo.
Il ricordo di quel calore rassicurante, della vicinanza dei loro visi,
il battito furioso del cuore di Tony unito al suo … Oh
accidenti! Accidenti ad Abby, ai cellulari e soprattutto ad Anthony
Dinozzo! Il rossore era esploso sulle guance della donna come fuoco,
che aveva cominciato a camminare avanti e indietro per il laboratorio
lanciando maledizioni a sé stessa e all’oggetto della sua
crisi nervosa, e arruffandosi i capelli. A bloccarla furono le risate
di Abby che si stava piegando in due sul tavolo metallico.
-Scusa! Sei troppo forte quando ti imbarazzi … Credimi, neppure
i cartoni animati possono reggere il tuo confronto!- Biascicò la
dark, per poi tornare a ridere. una versione femminile coi codini di
Anacleto de "La spada nella roccia". Una furiosa Kate intanto, stava
cominciando a chiedersi, se non fosse stato il caso di chiedere in
prestito a Gibbs gli strumenti per realizzare la barca.
-Io non sono imbarazzata!- Tentò ancora invano di difendersi la mora, riacquistando un lieve autocontrollo.
-Sì, sì, certo. Come no …- Ridacchiò Abby,
asciugandosi una lacrima. Si era quasi messa a piangere dal ridere.
-E va bene. Un pochino. Forse.- Si arrese alla fine Kate, prendendo
posto sul tavolo, accanto ad Abby, che le fece spazio. La dark
continuava a sorridere, ma stavolta il suo era un sorriso
confidenziale. Kate era pur sempre la sua migliore amica, e
cos’altro servono le amiche, se non a confidarsi? -E’ che
… Come dire … quando io e Tony siamo così vicini
… Non so …-
-Gli salteresti addosso?- Suggerì provocatoria Abby, senza nascondere la malizia.
-Abby! Non sono quel genere! E … E poi è Tony!- balbettò la mora semi scandalizzata.
-E allora? Che vuol dire “è Tony”? E’ un uomo,
no? E tu, se non ti sei dimenticata di dirmi qualcosa, sei una donna.-
Kate la guardò un po’ di traverso. -Bene. Non ti sei
dimenticata.-
-Ma si tratta di Tony! Non è … Professionale!- Abby la ignorò e continuò il suo discorso.
-E che vuol dire! E’ Tony, appunto, è un tuo collega, ok,
ma non mi sembra che si tratti di un mostro! Anzi … Se vuoi il
mio parere, ha proprio un bel culetto …-
-Abby!- Il tono esasperato e imbarazzatissimo di Kate la bloccarono solo per qualche istante.
-Già, di quello dovresti essertene gia accorta da un po’ …-
-ABBY!- L’esasperazione si stava trasformando in rabbia. E questo
diede ad Abby l’input per arrivare al succo del discorso.
-Bhe, ecco, allora, arrivando al dunque … Non c’è
nulla di sbagliato nell’essere attratta da lui, Kate. Lui
è un uomo, e tu sei una donna. E’ naturale. Eppoi passate
una marea di tempo insieme, rischiate la vita, litigate continuamente
…-
-E cosa c’entra il fatto che litighiamo?-
-Uhm … Non sono sicura … Ma ho sentito che è un
modo di flirtare anche quello … E il detto dice … Come
diceva … Argh! Dove non bevi … No, accidenti,
c‘entrava qualcosa il bere e l‘affogare, ma non mi ricordo
più …-
-“Dove non ci vuoi bere ci anneghi.”- L’aiutò Ducky, entrato proprio in quel momento nel laboratorio.
-Esatto! Proprio quello, Ducky!- Annuì la dark sorridendo.
-E a cosa era riferito, di grazia?- Domandò il medico, porgendo
cavallerescamente la mano, prima a Kate e poi a Abby, per scendere dal
tavolo.
-Sei sempre un perfetto gentiluomo, Ducky!- Gli sorride la dark. -Mi
riferivo a Kate e …- L’agente Todd le lanciò
un’occhiata di fuoco: ancora una parola, e probabilmente le
scienziata, per un po’, non avrebbe avuto bisogno di trucco nero
per gli occhi. Ma prima che Abby si bloccasse, Ducky la precedette.
-E Tony, vero?- La dark annuì sorridente, mentre Kate aveva
spalancato gli occhi in modo quasi innaturale per la sorpresa.
-Ma … Ma come …- Balbettò la mora, senza parole.
Il medico legale ridacchiò tranquillo sotto gli occhiali.
-Sono o non sono il vostro consulente? Allora, di quale crimine atroce
si è macchiato, oggi, il nostro ragazzo?- Kate esalò un
sospiro di sollievo. Ducky non aveva capito … O almeno aveva
fatto finta … Cosa di cui gli era assolutamente grata.
-No, lui in effetti nulla … E’ Gibbs che mi ha un po’ preoccupato, oggi.-
-Perché? Cos’ha fatto?- Domandò Abby, leggermente
preoccupata. Kate lanciò un’occhiata sorpresa prima
all’amica e subito dopo a Ducky. Questi fece spallucce. Anche se
era davvero strano, probabilmente McGee non aveva informato la dark
della discussione tra Tony e Gibbs. Forse, considerò
l’agente, Tim non aveva voluto preoccupare Abby per qualcosa che
forse non era poi così importante. Pensandoci bene, neppure lei
avrebbe dovuto. Non era certo una novità il caratteraccio di
Gibbs. E stessa cosa per l’inclinazione di Tony a disobbedire
alle regole. E allora perché la cosa l’aveva tanto scossa?
Forse perché Tony e Gibbs erano come padre e figlio, e tra loro
c’era una sorta di rispetto che in molte famiglie era assente.
Scacciando con un sospiro i suoi pensieri, decise di informare Abby.
Tanto oramai le aveva messo la pulce nell’orecchio, quindi, tanto
valeva dirglielo.
-Ecco … Oggi Gibbs e Tony hanno litigato.- Fu come
un’esplosione. Stavolta fu il turno di Abby di avere gli occhi
quasi fuori dalle orbite.
-COSA!? E NON MI DITE UNA COSA COSI’ IMPORTANTE???- Kate
indietreggiò di qualche passo, di fronte all'improvvisa irruenza
dell'amica. -Ma come hanno litigato? Hanno litigato nel senso litigato
litigato, oppure litigato così per dire?-
-Credo la prima ...- Rispose Kate, non del tutto certa di aver capito
la classificazione che Abby dava ai litigi. Ci mancò poco che la
dark non la prendesse per il colletto e la sbattesse come un tappeto
per l'agitazione.
-No! no e no! Quei due non possono litigare! Sono pappa e ciccia, padre
e figlio, insomma …- Continuò la ragazza coi codini,
percorrendo a grandi passi la stanza.
-Non preoccuparti, Abigale. Non credo che ci sia da preoccuparsi
… Anzi, credo che in questo momento si stiano chiarendo.- Il
sorrisetto di chi la sa lunga di Ducky fece preoccupare Kate più
della lite tra Tony e Gibbs, mentre Abby sembrò esserne
rassicurata. Passò qualche istante di silenzio. Poi la dark si
rivolse al medico legale.
-Senti, Ducky, non è che posso farti una domanda su Gibbs?-
-Tutto quello che vuoi, mia cara, a patto che non si tratti delle sue mogli.- Kate sorrise.
-Non ti preoccupare, dottor Mallard!- Rise Abby scuotendo la testa. I
suoi caratteristici codini dondolarono mandando riflessi corvini.
-E’ una curiosità mia che volevo chiederti da un po’
…- Con fare confidenziale, si avvicinò di più al
medico, imitata da Kate, curiosa di sentire la domanda dell’amica.
-Spara, Abby!- La incoraggiò gentilmente l’uomo, senza perdere il sorriso.
-Ma com’era Gibbs da giovane? Tosto come adesso? Oppure era un cuore tenero che si è indurito con gli anni?-
-Avanti, Abby! Era un marine! Un militare! Sono sicura che era
inflessibile e di poche parole … E con una disciplina ferrea!-
Esclamò Kate, fissando Ducky in cerca di conferma. Questi scosse
il capo, ridacchiando.
-Mi spiace ragazze, ma nessuna di voi due ci ha azzeccato …-
-Ma come?!- Piagnucolò Abby, mentre Kate piegava la testa da una parte, poco convinta.
-E come era, allora?-
-Mmmmh … Dunque … Come posso spiegarvi …- Il
dottore si grattò il mento pensoso, facendo vagare lo sguardo
nel laboratorio, in cerca di un esempio appropriato. -Ah! Ecco!
Sì, era proprio così …- Una risata scappò a
Ducky, mentre la curiosità delle ragazze aumentava.
-Insomma, Duk! Diccelo! Diccelo!- Esclamò Abby, che aveva cominciato a saltellare, impaziente.
-Avete presente Tony? Bhe, Gibbs non era molto diverso da lui …
Se non per il taglio di capelli, almeno … Eh, sì: il
nostro Tony è proprio la fotocopia di Gibbs da giovane …
O almeno di quando è entrato nell’NCIS. E credo che anche
il nostra ragazzo italiano sia sulla buona strada per diventare come il
nostro attuale Gibbs …- Le ragazze erano rimaste a fissarlo
allibite. Abby con gli occhi e bocca spalancati. Persino i suoi codini
sembravano più dritti del solito. Kate aveva
un’espressione tra l’orripilata e l’incredula. Ducky
si aggiustò il colletto, imbarazzato dallo sguardo fisso su di
sé delle due donne. Proprio allora entrò Tony, allegro
come non mai. Un sorriso enorme marchiato sul viso e il passo leggero
di chi si era tolto un peso dallo stomaco.
-Buongiorno! Che mi dicono il medico legale più amato dai suoi
pazienti, e le ragazze più affascinanti dell’NCIS?- Lo
accolse uno sguardo di puro gelo da parte delle due donne,
spiazzandolo. -Bhe? Che cosa c’è? Ho fatto qualcosa di
male? Giuro che stavolta sono stato puro anche col pensiero ...- Abby
fece spallucce, scuotendo la testa. I suoi codini danzarono con essa.
-Niente, non ti preoccupare … Come mai da queste parti?-
Cercò di cambiare discorso la dark, che solo allora si accorse
dell’enorme bicchierone di caffé in mano all’agente.
Notando lo sguardo goloso della scienziata, con un gesto teatrale, Tony
glielo porse.
-Da parte di Gibbs.- Con un sorriso, Abby abbracciò il bicchiere.
-E a cosa devo tanta generosità?-
-Gibbs vuole sapere a che punto sei con l’analisi dei frammenti
dell’ordigno …- Spiegò l’agente, sorridendo a
sua volta. Abby prese un’enorme sorsata di caffé,
dopodichè si diresse ad uno dei numerosi macchinari del
laboratorio, che aveva appena emesso uno strano squillo. La dark
schiacciò un pulsante, e una stampante cominciò a darsi
da fare. Poco dopo, una serie di fogli era pronta per la lettura. Senza
perdere tempo, la ragazza li passò a Tony. Questi li
sfogliò immediatamente, mentre Abby forniva la sua spiegazione.
-I frammenti della prima bomba corrispondono con quelli della seconda.
Gli ordigni sono stati messi in scatole di un metallo particolare, che
si fonde con una certa difficoltà. Quindi, quando la bomba
esplode, invece di sciogliersi, nonostante la temperatura, si rompe in
minuscoli frammenti.- Con delicatezza, la dark prese un foglio di mano
a Tony. -E questo è il motivo per cui il nostro Ducky ha trovato
delle schegge sul volto del bibliotecario.- Abby lanciò
un’occhiata di ringraziamento al medico legale, che rispose con
un sorriso. Poi continuò -L’ordigno che doveva esplodere
per secondo, era rivestito di un materiale molto simile, ma più
spesso. Per questo non è rimasto troppo danneggiato, al
contrario di quello della prima.-
-Molto bene, Abby … Dovrebbero farti un monumento!- Esclamò Tony.
-Lo so, Tony. Il problema è che non ho mai tempo per farmi
ritrarre …- Il telefono del laboratorio suonò,
interrompendo lo scambio di battute tra i due. Con un movimento fluido,
Abby accese il viva voce. Subito la voce di Gibbs ne uscì
gracchiante, senza neppure salutare.
-Todd! Dinozzo! In ufficio! Subito!- E riattaccò. Un silenzio
perfetto cadde sul quartetto. Con un sospiro, Tony lo infranse.
-Il dovere chiama! Andiamo, Kate …- L’agente stava
già prendendo la via della porta, quando si accorse che la
collega non si era mossa di un millimetro. Era rimasta nella stessa
posizione in cui l’aveva trovata pochi minuti prima. A braccia
incrociate, lo sguardo fisso su di lui, un sopracciglio inarcato, e
un’espressione decisamente contrariata. Leggermente perplesso,
Tony le sventolò una mano davanti agli occhi, per vederne la
reazione. -Hey, Kate! Tutto a posto?- la donna batté le
palpebre, e alzò lo sguardo corrucciato sul collega. Per qualche
lungo istante, Tony si sentì sotto analisi. Kate lo stava
letteralmente scannerizzando. Dopodichè, questa scosse la testa,
sbuffando.
-Impossibile.- E senza neppure salutare gli altri, precedette Tony
all’uscita del laboratorio, lasciandolo di sasso. Abby e Ducky
rimasero a guardarli andarsene allibiti per qualche istante.
L’eco degli -E’ assurdo!- di Kate risuonò nei
corridoi finché i due agenti non presero l’ascensore. Poi,
il medico legale si tolse gli occhiali e scosse la testa.
-Allora, Abigale, per cosa mi hai fatto abbandonare i miei pazienti in balia del signor Palmer?-
-Paura che te li uccida? Comunque, è per questo!- Rise la dark, mostrando sorridente il suo cellulare.
-----
Kate e Tony trovarono Gibbs in compagnia di una giovane donna di
colore. Non occorse molto ai due agenti per capire che si trattava di
un membro della marina. La divisa bianca e il berretto ne erano una
prova più che evidente. Solo non riuscivano ad indovinare il
motivo per cui si trovasse lì. Quale che fosse, doveva essere
molto importante. Il bel volto della donna era tirato e solcato da
occhiaie, gli occhi gonfi e rossi. Non appena Gibbs notò i suoi
agenti, fece le presentazioni.
-Dinozzo e Todd. Questa è il guardiamarina Michela Sacks. Lavora
al JAG.- Una rispettosa stretta di mano, e Gibbs passò subito ai
fatti. -E adesso, miss Sacks, è così gentile da dirci per
quale motivo è venuta qui?- La nota d’irritazione era
facilmente udibile nella voce dell’ex marine. La donna prese bene
respiro, prima di spiegare.
-Come ha già detto lei, lavoro al JAG. Da quasi quattro anni.
Ovvero da quando mia sorella è morta, e ho dovuto prendermi cura
della figlia di quattro anni. Un lavoro d’ufficio è stata
la scelta migliore, per poterla seguire.- Fece una pausa.
L‘irritazione di Gibbs era palpabile. E non solo per i suoi
collaboratori. La donna quindi si affrettò a giungere alla
conclusione. -Oggi sono andata a prenderla a scuola, ma lei non
c’era …- Con uno sforzo, cercò di trattenere le
lacrime. La preoccupazione la stava attanagliando. Kate si sentì
stringere il cuore. Quella donna probabilmente amava la nipote come se
fosse stata figlia sua, e doveva essere difficile per lei, mantenere il
controllo. Anche Gibbs doveva averlo intuito. Fu infatti con una
sfumatura molto più dolce che si rivolse al guardiamarina.
-Capisco la sua preoccupazione. Ma sono passate meno ore di quelle previste per denunciare la scomparsa …-
-Forse la bambina è andata a casa di qualche amichetta,
dimenticandosi di avvertirla …- Ipotizzò Tony, beccandosi
un’occhiataccia di Kate. Michela Sacks scosse la testata di
riccioli scuri.
-No, ho già chiamato tutte le sue compagne di classe, ma non
è da nessuna di loro. Eppoi Cassidy non mi avrebbe mai fatto
preoccupare così. Oggi venivo a prenderla qualche minuto dopo la
fine delle lezioni, come tutti i sabati. Ma quando sono andata nella
sua classe per andarla a prendere … Lei non c’era!- Una
lacrima scappò al controllo della donna, che si affrettò
ad asciugarla. -Scusate …- I tre agenti si lanciarono
un’occhiata. Fu Kate a rivolgersi alla donna.
-Mi scusi … Ma per quale motivo si è rivolta
all’NCIS? Non poteva chiamare la polizia?- Gli occhi color ebano
della guardiamarina la fissarono, incendiari.
-Non è solo sparita! Mia nipote è stata rapita!-
-Perché non ce l’ha detto subito!?- Ringhiò Gibbs,
gli occhi fiammeggianti quanto quelli della donna. Ma questa non
abbassò lo sguardo di un millimetro.
-Non me ne aveva ancora dato il tempo! Comunque, dopo che ho telefonato
a tutte la amiche di mia nipote, la maestra mi ha chiamato, e mi ha
detto di averla vista uscire con uomo.-
-Ma … Perché non l’ha avvertita subito?- Domandò Kate a bocca aperta.
-Perché la piccola lo chiamava “papà”, ed
è stata una delle madri che avevo chiamato ad informarla che la
cercavo.- Con un sospiro di stanchezza, Michela si passò una
mano tra i capelli.
-La maestra sarebbe in grado di darci un identikit di
quest’uomo?- Domandò Tony, lanciando un’occhiata a
Kate. Rapida, questa fece per prendere il suo blocco da disegno, ma
Sacks la fermò.
-Non è necessario … So già di chi si può trattare.-
-Ovvero?- Gibbs le si avvicinò, il suo sguardo non ammetteva tentennamenti.
-C’è solo una persona che Cassidy può chiamare
papà. Ed è suo padre. Richard O‘Connel.- Un
silenzio imbarazzato cadde sull’ufficio.
-Insomma, se è qui solo perché vuole impedire al padre
della bambina di vederla, si rivolga ad un tribunale …-
Sbottò Gibbs, subito interrotto dalla donna, indignata.
-Non si tratta di una questione famigliare, agente Gibbs! È
stato lo stesso padre di Cassidy a uccidere mia sorella, lasciando la
mia piccola senza madre!- Un gelo spiazzato si formò attorno
alla figura del guardiamarina. Forzando il suo orgoglio, Jhetro fece le
sue scuse.
-Mi spiace. Non sapevo.-
-Adesso capisce la mia preoccupazione?!- Le parole di Michela Sacks
erano puro veleno. -Cassidy non sa che è stato suo padre a
uccidere la sua mamma. Non me la sono sentita di darle questo dolore
… Per questo si è fidata. Nessuno mi ha avvertita che era
in libertà … Altrimenti …- Michela crollò
in un singhiozzo. Cercando di nascondere quanto in realtà si
sentisse mortificato, Gibbs fece cenno alla donna di raccontare con
precisione ogni particolare sulla scomparsa e sul padre di Cassidy.
-----
L’uomo qualunque era arrivato. Con lentezza, ferma l’auto
davanti ad un vecchio palazzo, dall‘aspetto poco abitato. Lo
scossone potrebbe svegliare Cassidy. Nonostante le sue premure, la
piccola si sveglia. Con uno sbadiglio, si stropiccia gli occhi, ancora
assonnati.
-Dove siamo, papà?- l’uomo esce dalla macchina, fa
scendere la figlia, prima di rispondere. Da una finestra del palazzo,
una donna dagli occhi grigi è uscita, sorridendo ai due nuovi
arrivati.
-A casa, Cassidy. A casa, finalmente.-
-----
-Richard O’Connel. Faceva il chimico per una ditta specializzata
nel fai da te. Circa quattro anni fa, in preda ad un raptus omicida, ha
ucciso la moglie, Amelia Sacks, con sette coltellate. E’ stato
arrestato praticamente subito, ed ha confessato l’omicidio dopo
poche ore. Soffriva da tempo di disturbi psichici. Ma nulla lasciava ad
intendere che potesse fare una cosa del genere. La figlia, Cassidy
O’Connel, non era a casa quando è successo il fatto.
Richard, a causa della malattia mentale, è stato internato in
una casa di cure, la St. James Ospital, invece che in prigione. Ma
sembra esserne scappato due settimane fa.- Concluse McGee, riassumendo
quanto trovato nell’archivio informatico della polizia. Aveva
svolto in un quarto d’ora, sotto ordine di Gibbs, la stessa mole
di lavoro che avrebbe dovuto fare in due ore. Ma adesso ogni dato
riguardante Richard O’Connel era entrato in possesso del team.
Tony, da dietro alla poltrona di McGee, rilesse le ultime frasi del
rapporto sullo schermo. Il suo volto si fece pensieroso. Kate lo stava
esaminando dal suo computer con Gibbs. Quello dell’ex marine,
infatti, non era ancora agibile.
-Qualcosa non va, Tony?- Domandò McGee, irritato
dall’invadente presenza dell’agente Dinozzo alle sue
spalle. Ignorando il tono sarcastico del collega, questi indicò
lo schermo.
-Il nome dell’ospedale … Non mi è nuovo …
Forse c’è stata messa altra gente che ha avuto a che fare
con la giustizia … Potresti fare un controllo, Pivello?- Tim
fece per ribattere, ma Gibbs lo bloccò.
-Fai come dice, McGee. Il nome non è nuovo anche a me. Guarda
direttamente nel data base del St. James. Forse riusciamo a capire chi
può averlo aiutato a fuggire.-
-D’accordo, capo.- Pochi istanti dopo, McGee era intento a
battere alla tastiera a ritmi forsennati. Kate lo stette a guardare per
qualche istante, poi si rivolse agli atri due agenti. Una certa
tensione era ancora palpabile tra di loro, ma era decisamente lontana
da quella di poche ore prima. Oramai era solo un po’
d’offesa che se ne sarebbe andata con un po’ di tempo e
pazienza.
-Secondo voi c’entra con la Rudolph?-
-Non è da escludere, ma non abbiamo alcune lemento per
provarlo.- Ribatté Gibbs, avviandosi alla sua scrivania. -Abby
ha trovato qualcosa di nuovo?- Con un sospiro carico di stanchezza,
Tony annuì.
-Le confezioni di tutte le bombe sono dello stesso materiale. Metallo difficile a fondere, ma molto resistente.-
-Compreso quello dell’appartamento?-
-Compreso quello dell’appartamento.- Confermò
l’agente Dinozzo. Gibbs rimase pensieroso per qualche istante.
Poi Kate si fece avanti.
-Andiamo ad interrogare Amanda?-
-Negativo.- Rispose Jhetro sospirando. -Non abbiamo la più pallida idea di dove si trovi.-
-Ma come?!- Domandò Kate, sorpresa. Gli occhi scuri spalancati.
-Dato che non è stata accusata di nulla, la polizia non ha
notizie su di lei dalla sentenza del tribunale.- Spiegò Tony,
passandosi una mano tra i capelli.
-Quindi non c’è nulla su di lei?- Kate era meravigliata.
Di solito una persona coinvolta in qualsiasi caso, veniva
automaticamente registrato nei database delle forze dell’ordine.
-Neanche una multa.- Confermò Gibbs, stropicciandosi gli occhi.
-E dato che non ha parenti in vita, non abbiamo nessuno a cui chiedere.
Neanche un amico o un vicino.-
-E i colleghi artificieri? Nessuno ha più avuto notizie?- Tony cosse il capo, deluso quanto Kate.
-Niente. Hanno perso i contatti quando ha lasciato la squadra col
marito.- Il silenzio aleggiò per qualche minuto
sull’ufficio. La maggior parte degli altri collaboratori
dell’NCIS se ne era andato via, intenzionato a salvare
l’ultimo giorno del weekend. Solo il ritmico battito sulla
tastiera di McGee rimbombava sul piano. Gli agenti speciali Todd, Gibbs
e Dinozzo erano persi nei loro pensieri. Non bastava il caso scottante
del dinamitardo pazzo: doveva anche apparire all’improvviso un
assassino deciso a riprendersi la figlioletta. Ad un tratto Tim si
bloccò, urlando un’esclamazione di stupore. Allarmati, i
tre agenti più anziani si voltarono verso di lui.
-Cosa hai scoperto?- Gibbs era gia schizzato alle spalle del giovane agente.
-Sono riuscito ad accedere al sistema del St. James, e …-
-“E” cosa, McGee!- Lo incalzò furioso il superiore.
-E … Dall’ospedale non è scappato solo Richard
O’Connol, signore!- Le parole di McGee uscivano stentate per lo
stupore
-Allora?- Ringhiò impaziente Gibbs. Tim deglutì, prima di
rispondere. Kate e Tony lo fissavano dall’altro capo della
scrivania, tesi.
-Richard O’Connel è fuggito assieme ad Amanda Rudolph!-
-Fine capitolo 6-
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Capitolo 7 *** Esplosione evitata ***
explosion7
Un capitolo un pò privo d'azione, lo so, più un
approfondimento sui criminali che altro ... Un pò inutile, ma mi
sembrava utile per comprednere megliola trama. Buona lettura, e se mi
lasciate qualche recensione, v ne sarei molto grata ... buona lettura.
EXPLOSION
-Capitolo 7-
Esplosione evitata.
Richard, l’uomo qualunque, non lo sapeva proprio. No, non sapeva
davvero che alla sua Cassidy piacessero così tanto i telefilm.
In particolare i polizieschi. Eppure, subito dopo cena, aveva chiesto
di poter guardare il suo programma preferito in TV. Ora che ci pensava,
anche quando era piccola, tutte le sere, dopo cena, lui e lei andavano
davanti alla TV, mentre sua madre finiva di sparecchiare. Poteva ancora
sentire lo sguardo affettuoso di Amelia su di loro, mentre facevano a
gara a chi arrivasse primo al divano. E chissà perché, a
vincere era sempre Cassidy.
Con un sorriso, Richard si avvicina alla figlia. Un rumore di
stoviglie. L’uomo si volta, e vede Lei che sta sparecchiando. La
donna compie quei gesti con naturalezza, gli occhi grigi, per qualche
istante, perdono la loro solita freddezza. Non sono diversi da quella
di una qualunque donna di casa, intenta a togliere i piatti della cena
passata coi famigliari. Richard torna ad occuparsi di Cassidy, che si
è messa a spiegare ogni particolare del programma televisivo.
La donna alza lo sguardo, e assapora quella tiepida scena casalinga.
Una vena di tristezza e rimorso, fanno capolino nel suo sguardo, subito
sovrastate da un altro sentimento. Non felicità, non ancora. Ma
è qualcosa che gli va molto vicino. Soddisfazione. Sì,
è soddisfatta. Soddisfatta di quell’atmosfera, che cinque
anni prima le era stato sottratta. In un colpo solo, in un unico sparo.
Per un momento, gli occhi grigi si riducono ad una fessura. Tutto
quello che ha davanti sarebbe stato loro, finalmente. Ma prima avevano
un compito da portare a termine …
-----
-Allora, alla fine. Cosa sappiamo di Richard O’Connel?- Era la
quarta volta che Gibbs faceva quella domanda. E per la quarta volta, i
suoi collaboratori risposero a turno. Iniziò McGee.
-Richard O’Connel, nato a Chicago, trasferitosi per lavoro
quindici anni fa. Lavorava come chimico per una ditta specializzata in
prodotti per il fai da te. Dieci anni fa si è sposato con Amelia
Sacks, e due anni dopo è nata la bambina. Sono passati quasi sei
anni, da quando gli è stata diagnosticato un disturbo mentale.-
-Ovvero?- Domandò l’ex marine, passandosi una mano sugli occhi. La stanchezza cominciava a pesargli davvero.
-Scatti improvvisi di rabbia.- Rispose Tony, prendendo il posto di
McGee, che gliene fu grato. -A volte violenti, ma che riusciva a
controllare assumendo farmaci specifici. I medici volevano che seguisse
delle terapie di gruppo, ma si rifiutò.-
-Almeno fino a quando non uccise la moglie.- Si inserì Kate,
completando quella sorta di staffetta. -Non prendeva i suoi medicinali,
e la moglie voleva lasciarlo, per paura che facesse del male alla
bambina.-
-Lei voleva lasciarlo, e lui si è arrabbiato. Non riuscendo a
controllare la sua collera, si è scagliato contro di lei
accoltellandola.- Completò Gibbs, guardando i dati in suo
possesso.
-Esatto.- Annuì Kate. -I vicini sentirono le grida della donna,
e chiamarono la polizia. Che però arrivò troppo tardi.-
-La bambina si è salvata perché era all’asilo.- Aggiunse McGee.
-Quando la polizia arrivò, trovò O’Connel sporco di
sangue che guardava fisso il corpo della moglie. Era in stato di shock,
e non oppose resistenza. Anzi, da quel che dice il rapporto, quando si
riprese, chiese subito della moglie e della figlia. Non ricordava nulla
della lite e dell’omicidio. E soffrì sinceramente della
morte di lei. Venne fatto visitare dai medici, e confermata
l’instabilità mentale. Così venne internato al St.
James Ospital.- Concluse Tony. Il silenzio calò sugli agenti,
ognuno perso nei propri ragionamenti.
-Dobbiamo saperne di più riguardo a quello che è successo
all’ospedale. Come, dove, perché e quando si sono, se si
sono conosciuti Amanda Rodolph e Richard O’Connel.-
Esclamò l’ex marine greve, mentre il telefono
dell’agente Todd iniziò a squillare. Rapida, la donna
tirò su la cornetta e rispose. I tre uomini si misero a semi
cerchio davanti a lei, ognuno, a modo loro, interessato. McGee
speranzoso di avere novità. Tony solo vagamente interessato a
notizie del caso. Gli premeva di più, semmai, scoprire se era
una conversazione privata, e se era tale, trarne qualcosa su cui
punzecchiare la collega. Gibbs, invece, non ammetteva che non fosse
qualcosa inerente al caso. Se dall’apparecchio non fosse giunta
qualcosa d’inerente alle parole O’Connel o Rudolph, Kate
avrebbe passato un brutto quarto d’ora. E se la conversazione era
privata, bhe, l’FBI aveva giusto bisogno di un altro agente.
Quando riattaccò la cornetta, Kate fece un salto sulla poltrona.
Durante la conversazione non si era accorta del assedio sotto cui
l’aveva stretta i suoi colleghi.
-Allora?- Ringhiò Gibbs, impassibile dinanzi alla sorpresa
dell’agente. Kate lanciò ancora un’occhiata
perplessa a Tony e McGee, che non si erano spostati di un millimetro,
in attesa d’informazioni. poi parlò.
-Era il primario del St James …-
-E quindi?- Gibbs era più impaziente del solito.
-E … Amanda Rudolph si trovava lì perché si era
fatta ricoverare volontariamente, quasi quattro anni fa. Soffriva di
depressione e disturbi psichici.-
-Di che genere?- Domandò Tony, senza riuscire a mascherare
completamente la delusione per non aver origliato una telefonata
privata. Kate avrebbe preferito prenderlo a pugni, ma si limitò
ad incenerirlo con lo sguardo, prima di rispondergli.
-A causa della morte del marito, subì un forte stress, che,
unito alle sue condizioni fisiche precarie, le fece avere un aborto.
Questo la distrusse ancora di più della morte di Smilton. E a
quanto dicevano i medici, non avrebbe più potuto restare
incinta. E dato che sognava da sempre di avere dei figli, per lei fu
uno shock. Fece dei tentativi di adozione, ma nessuno andò a
buon fine. E questo la fece cadere in depressione, minando la sua
già fragile sanità mentale.- Lo sguardo di Tony divenne
offuscato. Solo allora Kate capì di aver avuto la delicatezza di
un rinoceronte. Nella mente dell‘agente Dinozzo, il ricordo degli
occhi grigi di quella donna pelle e ossa, prese l‘orribile forma
di un‘accusa. La Rudolph era incinta. Non l‘avrebbe mai
detto. Un senso di colpa che sapeva ingiustificato gli salì fino
in gola. Era consapevole di non avere colpe in proposito, e
probabilmente il figlio della Rudolph non sarebbe sopravvissuto
comunque, che lui avesse ucciso Smilton o no. Lei era denutrita, e
Smilton non l’aveva trattata esattamente bene, visti i segni che
aveva sul corpo. E se quel pazzo fosse riuscito a premere il pulsante,
sarebbe morta comunque. Tentò di cacciare indietro quel senso di
colpa deglutendo. Ma era un boccone decisamente troppo amaro.
-Quando si è fatta ricoverare?- Riuscì a chiedere
l‘agente, mentre la sua bocca si era fatta inspiegabilmente
secca. Kate non perse tempo nel rispondere, contenta di poter mettere
le cause del ricovero della sospettata in secondo piano.
-Tre anni fa. Quasi un anno dopo il ricovero di O’Connel.
Frequentavano lo stesso programma di terapia di gruppo, e hanno
cominciato a frequentarsi. Ma i medici non sanno dire se avessero una
relazione o no. Però la Rudolph sembrava avere un enorme
ascendente su di lui.-
-Spero che ci sia dell’altro.- Ringhiò Gibbs, senza velare la minaccia nelle sue parole. Kate scosse la testa,.
-Sì, bhe, i medici lo chiamavano “L’uomo
qualunque”, perché passava sempre inosservato, anche senza
fare nulla per confondersi tra la gente. A volte le infermiere lo
scambiavano per un visitatore, invece che per un paziente. È
usando questa abilità che è riuscito a scappare. Le nuove
infermiere erano appena arrivate, e non lo conoscevano ancora. Mentre
la Rudolph … Bhe, lei era entrata di sua volontà in
clinica, quindi poteva andarsene quando voleva.- Il silenzio
tornò sovrano nell’ufficio. Avevano nuove informazioni su
Richard O’Connel. Ma allo stesso tempo non avevano nulla. Gibbs
si lasciò andare ad una bestemmia a denti stretti, e si
allontanò dalla scrivania di Kate, per sedersi alla propria, per
continuare a fissare, testardo, il rapporto della polizia su caso
O‘Connel. Gli altri tre agenti lo seguirono con lo sguardo. La
delusione era comune a tutti e quattro. Un rumore di stampante. Tony,
Kate e McGee si fissarono per qualche istante. Poi Tim si girò
verso la propria scrivania. Il fax, come impazzito, vomitava fogli
scritti su fogli. Una ventina di pagine, a occhio e croce. Dopo qualche
istante di perplessità, McGee si fondò a raccoglierli,
con un sorriso vittorioso sul volto. Sotto lo sguardo incuriosito di
Tony e Kate, quindi, portò i fogli a Gibbs. Questi li
fissò accigliato.
-Cosa sono?-
-La cartella clinica di Richard O’Connel, capo.- Rispose McGee,
ignorando il tono glaciale dell’ex marine. Jhetro squadrò
i fogli qualche istante, poi si accinse a leggere. Ma dopo aver fatto
scorrere gli occhi sulle prime righe, allontanò il plico,
socchiudendo gli occhi.
-Capo, forse è meglio se ti metti gli occhiali …-
Suggerì Tony, subito riportato al silenzio dall’occhiata
omicida di Gibbs. Ma quando diavolo avrebbe imparato a tapparsi la
bocca? Pur continuando a lanciare lampi di collera contro il suo
agente, Jhetro tirò fuori dal cassetto la confezione degli
occhiali. Con un sospiro rassegnato, li tirò fuori e li
inforcò. Non lo sopportava. O meglio, il suo orgoglio, non lo
sopportava. Non voleva accettare gli anni che passavano. Ma doveva
ammettere che, con quei pezzi di vetro davanti agli occhi, leggere era
tutt’altra storia. Con una lieve smorfia di soddisfazione quindi
si accinse alla lettura. Finalmente i contorni delle lettere erano
chiare e nitide. Così come i sorrisetti malcelati dei suoi
sottoposti, intenti a lanciarsi occhiatine divertite.
-Il primo che fiata lo mando a cercarsi un nuovo lavoro!-
Ringhiò l’ex marine, riportando miracolosamente alla
serietà i suoi uomini. Bastarono pochi minuti, perchè la
cartella clinica di Richard O’Connel, “L’uomo
qualunque”, non avesse più segreti per Gibbs e i
suoi agenti.
-Certo che questo tipo deve essere il sogno di ogni farmacista: prende
più roba di un drogato!- Commentò Tony guardando la
lunghissima lista di calmanti e pillole di varia natura che
costituivano la terapia di O’Connel.
-Solo che questa roba doveva farlo stare bene, invece di farlo
“sballare”.- Ribatté Kate, seria. Il telefono di
Gibbs cominciò a squillare, e l’agente si affrettò
a rispondere. La voce di Abby uscì allegra.
-Augh, grande capo! Indovina che cosa ti ho portato?-
-Spero qualcosa di nuovo, e soprattutto, di utile.- Rispose Jhetro, vitale come uno zombie.
-Bhe, forse le tue preghiere saranno esaudite. La Abby’s production è lieta di presentarvi …-
-Abby, taglia corto.- Il commento freddo dell’agente fece demoralizzare la dark, che continuò con tono mogio mogio.
-Tu sì che sai come uccidere il mio entusiasmo, Gibbs. Comunque,
come stavo dicendo … La Abby’s production è lieta
di presentarti … I risultati delle analisi fatte sugli oggetti
ritrovati da Kate e Tony.-
-E cosa aspetti a dirmeli?-
-A volte mi ferisci, grande capo!- Piagnucolò la ragazza, che
però decise che era molto meglio non tirare ulteriormente la
corda. -Allora, ho controllato le impronte digitali sulle foto e sui
ritagli di giornale. E sai di che cosa ne è venuto fuori? Che
non ci sono solo le impronte della signora Rudolph! Ho fatto un
controllo in archivio … E indovina indovinello? Qualcun altro ha
lasciato le sue tracce sui fogli … Un certo …-
-Richard O’Connel.- Concluse l’ex marine, lasciando in un silenzio impietrito la dark.
-Certe volte ti odio, Gibbs …- L’agente sorrise. Poteva immaginare senza sforzo il volto imbronciato di Abby.
-Tutto qui, quello che hai da dirmi, ragazza dei miracoli?-
-No, in effetti no.- Ribatté la scienziata, decisa a non
arrendersi ancora di fronte a quelli che sembravano i poteri
paranormali di Jhetro Gibbs. -Per una volta, non mi sono limitata ad
analizzare quello che c’era “sopra”, la carta. Ma
anche quello che “c’era stampato”, sulla carta.-
-Ovvero?-
-Ovvero … Bhe, le foto sono quasi tutte quelle del matrimonio
tra la Rudolph e il vecchio dinamitardo, Smilton. E i ritagli di
giornale trattano dei casi di cinque anni fa. Ma non solo. Anche del
caso di O’Connel.-
-Hai detto che quasi tutte le foto sono del matrimonio della Rudolph. Devo intuire che ce ne sono anche altre?-
-Esatto! Alcune ritraggono quella che sembra una famigliola felice.
Tante raffigurano solo la bambina. In alcune foto gioca con le
bamboline che erano nella scatola.-
-Puoi descrivermi questa famiglia?- Il cervello di Gibbs aveva ormai capito, ma voleva conferme.
-Madre e figlia di colore, e padre bianco. Sembra un tipo come ce ne
sono tanti, in giro. Lei è una bella donna, e la piccola
… E’ davvero tenerissima! Non avrà più di
tre anni … Ha dei boccoli bellissimi … E degli occhioni
color cioccolato …-
-Va bene, Abby, riprenditi dal tuo istinto materno, e vatti a prendere
un caffé. Anzi, due. Uno bevitelo alla mia salute … e
mettili sul mio conto.-
-Grazie, Gibbs. E’ sempre un piacere fare affari con te.- Abby
attaccò. Gibbs sorrise tra se è sé. Poi
informò degli esiti delle analisi gli altri agenti. Questi
ascoltarono assorti. Poi Kate espresse una sua perplessità.
-Ma perché, se è scappato dall’ospedale un mese fa,
O’Connel è andato solo oggi a prendersi la figlia? Non
avrebbe dovuto andarci subito? Dopotutto sono ben quattro anni
che non la vede … E’ assurdo che abbia aspettato
così tanto tempo …-
-Ricordati che era ricercato dalla polizia. Forse voleva far calmare un
po’ le acque, prima …- Suggerì Tony, che
però non ne sembrava molto convinto.
-O forse glielo ha ordinato Amanda Rudolph. Secondo i medici aveva un
controllo quasi totale su di lui.- Ipotizzò ancora la mora,
passandosi una mano tra i capelli. Quanto avrebbe voluto farsi una
doccia … Nel giro di un paio di giorni era stata soggetta a
più polvere di un vecchio soprammobile … E non vedeva
l’ora di togliersi dalla pelle quello strato farinoso che si
sentiva addosso.
-Entrambi avevano perso qualcuno d’importante.- Esclamò ad
un tratto Gibbs, riflettendo ad alta voce. -La Rudolph il marito, e
O’Connel la moglie e la figlia, che era stata affidata alla zia.-
Un istante di silenzio. -Entrambi avevano qualcosa da dimenticare e
qualcosa per ricominciare a vivere …-
-Che cosa, capo?- Domandò McGee, curioso.
-Una famiglia, McGee.- Concluse Gibbs, gli occhi chiari puntati sulla
cartella medica. -La Rudolph desiderava con tutte le sue forze avere
dei figli, e una famiglia. O’Connel ricostruire la sua. Ditemi,
che cosa vi fa capire, questo?-
-Che volevano già da prima prendere la bambina. E che …- McGee si interruppe, lasciando parlare Tony.
-Che stanno per finire il loro lavoro.- Concluse Tony. Lo sguardo ardente di determinazione.
-O mio Dio …- Mormorò Kate -Vogliono far esplodere la scuola dove andava Cassidy …-
-----
-Dunque, O’Connel sarebbe andato a riprendersi la figlia per
evitare che restasse coinvolta nell’esplosione della scuola?-
-Esatto, McGee.- Rispose Tony in vece di Gibbs, alla guida forsennata
dell’auto. Non avevano perso tempo. Il tempo di far identificare
a Michela Sacks la nipote e la sorella sulle foto, giusto per scrupolo,
e avevano chiamato gli artificieri. E adesso si stavano dirigendo a
tutta velocità alla scuola di Cassidy.
-Ma come facciamo ad essere sicuri …- Una curva presa più
stretta pressò Tim contro il sedile, costringendolo ad
interrompersi. Accanto a lui, Tony stava seriamente prendendo in
considerazione l’idea di diventare religioso.
-Perchè, pivello, visto che stanno facendo la copia esatta delle
esplosioni di Smilton, il prossimo obbiettivo è una scuola
elementare!- Kate, seduta vicino a Gibbs, si sorprese ad invidiare il
posto di McGee. Non le sarebbe dispiaciuto finire, a causa di una delle
tante curve prese in perfetto stile formula 1 dal suo capo, di nuovo
vicino a Tony. Passando a fasi alterne dal rosso al bianco cadavere, a
causa dell’imbarazzo che le provocavano i suoi stessi pensieri, e
alle spericolate imprese sulla strada di Gibbs, Kate potè quindi
catalogare quel viaggio come uno dei peggiori della sua vita. Secondo
solo al decollo dalla portaerei. I tre agenti ringraziarono il cielo,
quando finalmente Gibbs si fermò davanti alla scuola. Oramai era
notte fonda, e l’edificio doveva essere deserto. In teoria. Ma
alcune finestre illuminate al secondo piano dimostravano il contrario.
-Ma che ci fa della gente a quest’ora ancora al lavoro? In una
scuola poi … Non sono mica dell’NCIS …-
Esclamò Tony schizzando fuori dall’auto, felice di essere
sopravvissuto per l’ennesima volta alla guida del suo capo. Oh,
non perché temesse un incidente. Bhe, anche quello. Ma
sopratutto perché, prima o poi, ne era certo, gli sarebbe venuto
un infarto. Dello stesso parere, ma decisamente meno propensi a fare
dello spirito, anche Kate e McGee, che scesero dall’auto,
più o meno incolumi. L’unico che non appariva per nulla
scosso era Gibbs, che, seccato come al suo solito, cominciò a
impartire ordini.
-Dinozzo! Todd! Con me nell’edificio! McGee, tu controlla che
nessuno si avvicini. Non voglio curiosi nei dintorni.- Poi si diede
un’occhiata alle spalle, leggermente sorpreso. -E la squadra
degli artificieri? Dove diavolo è finita? Doveva venirci dietro!-
-Capo … L’hai seminata tre isolati fa …- Gli
ricordò esasperato McGee. Con un gesto di stizza, l’ex
marine lasciò cadere l’argomento ed entrò
nell’edificio, dove lo seguirono rassegnati gli agenti Todd e
Dinozzo.
-----
L’evacuazione del personale stante nella scuola fu rapido e privo
di intoppi. Si trattava solo una mezza dozzina di insegnati e quattro
genitori, alle prese con l’allestimento di un piccolo
palcoscenico.
-Sa, domani c’è uno spettacolo, e dovevamo finire i
preparativi.- Spiegava la vice preside, mentre Gibbs accettava un
caffé gentilmente offertogli dalla donna.
-Ecco perché eravate ancora al lavoro.-
-Già.- Annuì la donna, osservando gli artificieri, che,
dopo aver mandato un centinaio di maledizioni all’agente speciale
Gibbs, erano riusciti, in qualche modo, ad arrivare alla scuola, dove
stavano svolgendo il proprio lavoro. Il caposquadra stava chiedendo
informazioni all’agente speciale Dinozzo, che consigliò di
iniziare dalla classe di Cassidy. Kate e McGee, nel frattempo, si
davano da fare a tenere alla larga i curiosi, che, per nulla
impressionati dall’ora tarda, si stavano affollando attorno
all’edificio scolastico. I quattro agenti rimasero dalle parti
della scuola finché il capo degli artificieri, un uomo alto e
barbuto, non portò l’ordigno, perfettamente disinnescato.
-Eccola qua. È tutta vostra.- Bofonchiò affidando una
sacca di tela a Gibbs. L’uomo appariva stanco. Gli occhi
cerchiati di rosso, e la fronte imperlata di sudore. Senza chiede
spiegazioni, Jhetro l’aprì. Anche se non era deformato
come i resti delle altre, Gibbs non fece fatica a riconoscere la stessa
tipologia di bomba che aveva già rischiato di farli saltare in
aria.
-La ringrazio, signor …-
-Brokks. Roland Brokks.- Si presentò l’artificiere, asciugandosi il sudore con una manica.
-Bene, Mr. Brokks. Può darmi una suo opinione professionale?-
-Una roba da veri geni. Abbiamo fatto molta fatica a disinnescarla.-
“Non stento a crederci”. Pensò l’ex marine esaminando il volto dell’uomo.
-Chiunque l’ha fatta.- Continuò Roland, indicando la
bomba. -Conosce alla perfezione la chimica e il mio mestiere. Se non
fosse stato per le vostre informazioni, avrei perso i miei uomini.-
-Cosa intende?-
-La bomba principale, regolata per esplodere tra alcune ore, era
collegata ad un’altra, che sarebbe dovuta esplodere non appena
disinnescata la prima.- Gibbs rabbrividì. Uno stratagemma uguale
a quello dell’ultima volta.
-Per che ora doveva esplodere?- Domandò l’agente, mentre
la vice direttrice portava un caffé anche all’artificiere.
-Verso le undici di stamattina.- Rispose questi, dopo aver dato
un’occhiata all’orologio. Mezzanotte era passata da un
pezzo.
-Lo spettacolo dei bambini iniziava alle dieci …- Mormorò la donna, stropicciandosi nervosamente le mani.
-Allora siamo stati fortunati.- Ribatté Brooks, bevendo un sorso
di caffé. -Questa cosa era abbastanza potente da far crollare
mezzo palazzo.-
-La ringrazio del suo aiuto, Mr. Brokks.- Concluse Gibbs, porgendo la mano all’artificiere, che la strinse energicamente.
-Mi chiami Roland. Ed è stato un piacere. Anche mia nipote
frequenta questa scuola.- L’uomo fece per allontanarsi, poi, come
colto da una folgorazione, si rivolse nuovamente all’agente
dell’NCIS. -Ah, una cosa. Ve l’ho già detto, ma si
tratta di un tipo veramente in gamba. State attenti, e trovatelo al
più presto. È anche più bravo di metà dei
miei uomini.- Gibbs fece un cenno affermativo col capo. Rimase qualche
istante a guardare l’uomo allontanarsi. Poi si rivolse a MCGee, a
pochi passi da lui, col suo consueto tono burbero.
-McGee!-
-Sì, capo?-
-Scoprimi subito come O’Connel possa aver saputo dello spettacolo
domenicale.- L’ex marine fece per prendere un’altra sorsata
di caffé, ma il giovane agente gli aveva già messo
davanti un foglio colorato.
-E’ un volantino della scuola per pubblicizzare l’evento.
Il quartiere ne è pieno …- Spiegò Tim, a cui Gibbs
strappò di mano il pezzo di carta, seccato. Scritto a caratteri
cubitali, l’orario della recita scolastica era leggibilissimo
anche senza il bisogno degli occhiali.
-Può averlo capito in qualunque modo.- Borbottò Jhetro.
Si passò una mano sugli occhi, rossi quanto quelli di Brokks.
Nonostante le pinte di caffé, la stanchezza si faceva sentire di
brutto. E dal volto tirato di McGee, presumeva che anche i suoi uomini
non dovevano stare meglio. -Chiama Kate e Tony. Torniamo alla base.
Dormiremo qualche ora, poi riprenderemo il lavoro.-
-Ma capo … E se O’Connel e la Rudolph colpissero ancora?- Domandò perplesso Tim.
-Dormiranno anche loro. Adesso hanno una bambina con cui stare …
Non faranno più del necessario. Senza contare che, tra una bomba
e l’altra, passa almeno mezza giornata. Tenete comunque i
cellulari accesi. Potrebbe spuntare qualcosa.- E detto ciò,
l’agente speciale Leroy Jhetro Gibbs si diresse verso
l’auto.
-----
-Non ti sembra fuori luogo, dormire qui?- Domandò Kate, mentre si preparava come poteva un giaciglio dietro la scrivania.
-Perché? Ormai è una cosa quasi quotidiana!-
Ridacchiò Tony appallottolando la giacca per ricavarne un
cuscino.
-Lo sarà per te! Io non mi sono ancora abituata …-
Borbottò la donna, rimpiangendo di non aver portato qualche
maglia in più. La temperatura era piuttosto bassa. Dato che, in
teoria, alle due del mattino non ci sarebbe più dovuto essere
nessuno, gli impianti di riscaldamento dell’edificio erano stati
chiusi.
-Bene, ragazzi. Io vado …- Esclamò McGee, con in mano tutti gli abiti che era riuscito a raccattare.
-E tu dove vai?- Chiesero in contemporanea Kate e Tony.
-Ehm … Da Abby … Passo la notte al laboratorio …-
I sorrisetti maliziosi che gli vennero rivolti dai due colleghi lo
fecero arrossire. -Bhe … Allora … A dopo. Ciao.-
Riuscì solo a borbottare, sparendo nell’ascensore.
-Dubito che dormiranno molto, quei due!- Rise Kate, accompagnata da Tony.
-Puoi scommetterci! La nostra Abby è una creatura della notte
… Per lei la sera è appena iniziata!- Rimasero a
ridacchiare ancora per qualche minuto, prima che un dubbio salisse alla
mente di Kate.
-E Gibbs, dove è andato a dormire?-
-Da Ducky. Se non sbaglio ci tiene tutto il necessario per passarci le
nottate.- Il cervello di Kate si impietrì. Dunque lei adesso
avrebbe passato la notte, o meglio, quel che ne restava, da sola con
Tony? Con un movimento robotico, spostò la testa verso il
collega. Questi si stava tranquillamente stiracchiando. Dava ad Abby
della creatura della notte, ma lui, era poi tanto diverso?
-Kate, cosa c’è?- Domandò l’agente, sentendosi osservato.
-Niente! Pensavo!- Si affrettò a rispondere la mora,
distogliendo velocemente lo sguardo. Troppo velocemente. Tony lo aveva
notato. E non aveva intenzione di lasciarsi scappare l’occasione
di farsi due risate alle spalle della collega.
-E a cosa pensavi, Kate?- Domandò l’agente avvicinandosi,
il suo sorriso da presa per i fondelli più malizioso del solito.
-Nulla che t’interessi, Dinozzo.- Ribatté Kate, cercando di mantenere una facciata seria.
-Ma davvero?- Tony si avvicinò ancora di più. Kate si ritrovò ad indietreggiare sotto il suo sguardo.
-Sì. Davvero.- Oramai era andata a finire contro la scrivania.
-Perché non mi dici che cosa hai pensato, così
potrò dirti se è interessante o meno?- Ora i due erano
davvero vicini. Kate era appoggiata sulla scrivania, e Tony era a
pochissima distanza da lei. Poteva sentire il calore emanato dal suo
corpo, in quell’aria fredda. Ormai da parecchi secondi gli occhi
verdi dell’uomo erano cambiati. Non erano più quelli
maliziosi e furbetti di quando la stava prendendo in giro.
Assolutamente. Non ricordava che lui l’avesse mai guardata
così. Quello sguardo, così intenso, che lo aveva visto
spesso puntare sulle altre donne, su di lei non l’aveva mai
posato. E lei era lì, immobile, completamente catturata da
quegli occhi verdi, magnetici. Quasi senza che se ne rendesse conto, il
volto di Tony era arrivato a pochi millimetri dal suo. Il cuore perse
dei colpi, poi cominciò a batterle all’impazzata.
Esattamente come quando erano nell’auto. La sua capacità
di pensiero era come lontana miglia e miglia, la mente occupata a
registrare ogni sensazione. Le loro labbra stavano per sfiorarsi,
quando, come se avesse preso la scossa, Tony si allontanò di
scatto, lasciando Kate tra l’allibito, il sollevato e il deluso,
in un’inspiegabile mix di emozioni contrastanti. Evitando
accuratamente di guardarla, Tony si diresse al suo giaciglio
provvisorio.
-È tardi … Buonanotte!- Prima di permettere a Kate di
ritrovare la voce per dire qualcosa, l’uomo era già
scomparso dietro la scrivania. Passarono cinque minuti buoni, prima che
la mora trovasse la forza di far di nuovo connettere il cervello, e di
conseguenza infuriarsi. Ma, nonostante l’istinto omicida le
suggerisse di spaccare immediatamente la testa al collega, decise di
andare a dormire. Anche se era furiosa, non intendeva perdere altre ore
di sonno. Specie per colpa di Anthony Dinozzo. Fu quindi maledicendo
ogni persona che conosceva, da Abby, a Gibbs, a Tony, in particolare
quest’ultimo, che si accinse ad entrare nel mondo dei sogni,
sicura che la rabbia e le emozioni appena provate, non gli avrebbero
concesso tregua. Invece, Morfeo arrivò senza problemi, facendola
scivolare in un sonno privo di sogni, regalo della stanchezza. Dalla
sua postazione, Tony cercava con tutte le sue forze di far tacere quel
ronzio che gli corrodeva la testa. Era stato un idiota. Un perfetto,
autentico, enorme idiota! Me che diavolo gli era saltato in mente?!
Stava per baciarla. Di nuovo! Cavolo, era la seconda volta nel giro di
qualcosa come ventiquattrore! E stavolta la domanda che gli rimbalzava
nel cranio non era “cosa diavolo mi è preso?”, ma
“perché diavolo mi sono fermato?”. E soprattutto
… Quante gliene avrebbe detto Kate appena svegli? Non
gliel’avrebbe fatta passar liscia. Non stavolta. Non faceva
alcuna fatica ad immaginarsela, mentre gli urlava a squarciagola coma
aveva osato eclissarsi in quel modo, senza una spiegazione, con la
patetica scusa dell’andare a dormire. Stava letteralmente
prendendo a testate la giacca appallottolata che doveva fungere da
cuscino, quando alcuni lievi lamenti attirarono la sua attenzione.
-Kate?- Senza fare rumore, l’agente si alzò in piedi, e si
diresse alla scrivania della collega. Il lamento veniva da lì.
Cercò di chiamarla di nuovo. Nessuna risposta. In punta di
piedi, diede una sbirciatina oltre le scrivania. Un sorriso carico di
tenerezza si disegnò sul volto dell’uomo. Kate stava
parlando nel sonno. Il sorriso divenne maligno: altro materiale per le
sue battute … Kate si girò su un fianco, borbottando
qualcosa. Curioso di sapere cosa sognasse la collega, Tony tese
l’orecchio, concentrandosi per capire cosa stesse dicendo. Dopo
alcuni borbottii incomprensibili, finalmente riuscì a
comprendere qualcosa.
-Tony …- L’agente rimase perplesso: Kate lo stava
chiamando in sogno? Bhe, doveva essere per forza un bel sogno, se
c’era lui … Pensò, con una punta d’orgoglio.
-Caro Dinozzo, hai fatto colpo …- Ridacchiò tra sé, attento a non svegliare la donna.
-… Sei un idiota.- Continuò Kate, sgonfiando l’autostima di Tony.
-Ma quale novità mi racconti, Kate!- Sibilò
irritato in risposta. Poi si accorse che Kate stava tremando.
L’agente Dinozzo dovette ammettere che la temperatura non era
delle più miti. Con un sospiro rassegnato, Tony prese la sua
giacca-cuscino, e con delicatezza la mise a mo di coperta sulle spalle
della mora. Pochi istanti dopo, un lieve ed involontario sorriso si
disegnò sulle labbra di Kate. I borbottii smisero, e Tony rimase
a contemplarla ancora per qualche minuto, incantato. Quando le palpebre
però minacciarono di chiudersi da sole, l’agente fu
costretto a tornare al suo giaciglio, se così si poteva chiamare
una striscia di pavimento dietro ad una scrivania. Mentre scivolava nel
sonno, accompagnato da respiro regolare dell’agente Todd, Tony
non riuscì a non pensare che, in fondo, non era poi tanto male,
passare la notte in ufficio.
-Buona notte, Kate …-
-----
Senza fare rumore, la donna si avvicina al divano. Richard e Cassidy si
sono addormentati davanti alla TV. Un sorriso carico di tenerezza si
disegna persino sui suoi occhi, mentre, con naturalezza, adagia una
coperta sui due. Premurosamente, rimbocca i lati del tessuto, per
evitare che i due possano avere freddo. La piccola ha un sorriso
dolcissimo sul volto. Corruga solo leggermente la fronte, quando,
istintivamente, la donna le fa un carezza su una guancia. Questa
sorride, intenerita. Poi passa il suo sguardo sull’uomo. Anche il
suo volto è sereno. Poche volte lo aveva visto dormire
così, se non quando era sotto farmaci. Accarezza anche lui, come
per dargli la buona notte. Poi la donna si dirige verso la camera da
letto. Ma prima si volta ancora una volta, per godersi quel quadretto
che tanto aveva sognato poter costruire, e che adesso era lì,
davanti ai suoi occhi grigi, di solito così freddi. Una tiepida
fiamma, ora, li riscalda con vigore, mentre sente che ciò a cui
anela di più sta per avverarsi.
-Fine capitolo 7-
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Capitolo 8 *** Un brutto presentimento ***
explosion8
Azione, finalmente!!! non moltissima, ma spero che possa piacere ...
EXPLOSION
-Capitolo 8-
Un brutto presentimento.
Alcuni tiepidi raggi di sole entrarono nell’ufficio
dell’NCIS, illuminando il locale ancora vuoto. Un calmo silenzio
regnava tra le scrivanie, se si escludeva il lieve russare
dell’agente Dinozzo e il respiro regolare dell’agente Todd.
A distruggere quella piccola oasi di pace domenicale, ci pensò
la vivace allegria di Abby, che se ne uscì dall’ascensore
tenendo in mano un vassoio con mezza dozzina di bicchieroni fumanti e
altrettante brioche calde.
-Ehilà! Com’è andata la serata?- Trillò la
dark appoggiando il suo carico sulla scrivania di Kate, che si
tirò su con un brontolio. Come un vampiro che usciva dalla bara,
la mora spuntò da dietro la propria scrivania, i capelli
arruffati e gli occhi ancora addormentati. Le due donne si fissarono
per qualche istante. Poi Abby scoppiò a ridere in faccia
all’amica.
-Cosa c’è da ridere?- Mormorò Kate, la voce
impastata dal sonno e il cervello ancora troppo rattrappito per
arrabbiarsi.
-Dovresti avere uno specchio! E pensare che pensavo di essere io,
quella coi capelli assurdi …- Con un’espressione
interrogativa, la mora prese lo specchietto che Abby gli stava
porgendo. Un gridolino di spavento per la condizione della propria
pettinatura, e tra le risate della dark, si affrettò a lisciarsi
i capelli scuri. Una volta resi i capelli presentabili, Kate prese uno
dei bicchieri che Abby le porgeva, ancora scossa da qualche risata
fuori controllo. Il caffé, profumato e bollente, scese lungo la
gola dell’agente, scaldandole ogni fibra del corpo e cacciando
ogni residuo di sonnolenza.
-Allora? Dormito bene?- Domandò Abby, assistendo alla rinascita dell’amica.
-Abbastanza … Per quanto si possa dormire bene sul pavimento!- Borbottò seccata Kate.
-Sul pavimento … Da sola?- La malizia trasudava da ogni sillaba della dark. Kate la fissò interrogativamente.
-Certo, da sola! Con chi vuoi che abbia dormito? Non vedi che ci sono solo io?-
-Adesso sì … Ma prima?- Sorrise perfida Abby. Il trucco
nero e la smorfia di pura, maliziosa presa per i fondelli la fecero
sembrare agli occhi di Kate un autentico demonio, e non la cara amica
che conosceva. Mentre l’agente Todd continuava a far finta di
nulla, la dark passò dietro la scrivania dell’amica e
tirò su, con espressione trionfale un cappotto. -E di questo,
che mi dici?- Kate osservò per qualche istanti il capo, prima di
riconoscerlo.
-Ma … È il giubbotto di Tony!-
-Visto? Lo sapevo! Lo sapevo!- Cominciò a cantilenare la
scienziata saltellando di qua e di là, e inchinandosi di fronte
ad un pubblico invisibile. Kate invece continuava a fissare la giacca
senza capire. Ricordava di aver avuto freddo, la sera prima, e ad un
certo punto non ne aveva più avuto … Ma non si
ricordava di aver ricevuto la giacca da Tony … Che
gliel’avesse data mentre lei stava dormendo? In tal caso, non
poteva fare altro che commuoversi. Non avrebbe mai immaginato che Tony
fosse capace di un gesto così dolce … Ora non voleva
neppure immaginare quanto gliel’avrebbe menata, in proposito
… Solo allora Kate notò l’assenza del collega. Dove
diavolo si era cacciato il suo incubo quotidiano? Fece per chiederlo ad
Abby, ma un lieve russare proveniente dalla scrivania di Tony glielo
fece individuare. Sempre tenendo in mano il suo caffè, la mora
diede un’occhiata dietro la scrivania. E con stupore trovò
il collega ancora tranquillamente addormentato al suo posto.
-Non ci credo! Ma come fa a dormire ancora?-
-Vuoi che ti faccia vedere come lo sveglio?- Domandò Abby,
mostrando sorridente a Kate un biecchierone di caffè fumante.
-Non vorrai rovesciarglielo addosso?! È roba da ustione!- Abby
sorrise ancora di più di fronte alla preoccupazione
dell’amica.
-Non farei mai una cosa del genere al nostro Tony! Guarda e impara
…- Con un gesto rapido, la dark tolse il coperchio al bicchiere.
Un lieve vapore, ed un intenso profumo di caffé ne uscì
fuori. Delicatamente, stando ben attenta a non versare neanche una
goccia del liquido bollente, Abby fece passare quasi sotto il naso di
Tony il vapore profumato. Come per incanto, l’agente Dinozzo
cominciò a dare segni di vita. Allora Abby allontanò il
bicchiere. Come un topolino che segue il formaggio, ancora
addormentato, Tony seguì l’effluvio, finché non
aprì gli occhi.
-Ditemi che è davvero caffé!- Esclamò per prima cosa, facendo passare lo sguardo da Abby al bicchiere.
-Buongiorno anche a te, Tony!- Lo rimbeccò subito Kate, mentre l’agente si alzava in piedi, stiracchiandosi.
-Visto? Non è necessario essere violenti …- Rise la dark
rivolta alla mora, mentre Tony, da bravo bambino, veniva premiato col
suo caffé. Kate alzò le braccia in segno di resa. Tony
intanto aveva posato gli occhi sulle brioche calde che accompagnavano i
caffé. Con un sorriso, Abby gliene porse una.
-Abby, sei il mio angelo nero preferito …- Esclamò
l’uomo, riferendosi allo strano teschio corredato da ali nere
sulla maglia della scienziata.
-Angelo nero … Mi piace questa definizione … Potrebbe
essere il tema del mio nuovo tatuaggio …- Cominciò a
rimuginare la dark.
-Vuoi fartene un altro?- Domandò Kate. Tony alzò gli
occhi al cielo, e con la bocca piena, si allontanò di qualche
passo dalle due donne, che avevano iniziato a far salotto. A
quell’ora del mattino non avrebbe potuto davvero resistere ad una
conversazione puramente femminile. E tanto meno a tatuaggi e simili.
Proprio allora, Gibbs fece il suo ingresso dall’ascensore,
già munito del suo bicchiere di caffeina pura.
-Buongiorno, capo …- Lo salutò Tony, che venne quasi ignorato.
-Non siete ancora pronti?- Il tono di Gibbs non permetteva repliche.
-Vedete di muovervi! Abby, voglio che mi rivolti come un calzino quella
bomba e lo zaino che la conteneva, Dinozzo e Todd, sbrigatevi. Dobbiamo
appostarci davanti alla scuola.-
-D’accordo, capo!- Esclamarono in coro i tre presenti, che
già stavano scattando al proprio lavoro, quando l’ex
marine sembrò notare un particolare.
-Che fine ha fatto McGee?- Tony e Kate si voltarono contemporaneamente
verso Abby. Il “pivello” aveva passato la notte nel suo
regno, quindi era lei che doveva sapere che fine avesse fatto.
-Ehm … Stavo per portargli il caffé …-
Cercò di sdrammatizzare la dark. Gibbs la fissò per
qualche istante prima di riprendere a parlare. Il tono di voce era
più esasperato che arrabbiato.
-Non voglio neppure immaginato cosa avete combinato stanotte, Abby, ma
voglio subito l’agente McGee al lavoro.- Abby si mise sulla
difensiva.
-Ti assicuro che non abbiamo fatto nulla di sconcio …- Gibbs la interruppe subito.
-Ho detto che non lo voglio sapere, Abby!-
-D’accordo, capo …- Sospirò la dark, girando i
tacchi. Non prima di essersi presa una brioche, ovviamente. Kate e Tony
si lanciarono un’occhiata, per poi scuotere contemporaneamente la
testa. Non sarebbe cambiata mai.
-Cosa ci fate voi due ancora lì? Muovetevi!- Ringhiò
Gibbs, scatenando una sorta di fuggi fuggi tra i due agenti, che si
precipitarono a indossare giacche e cappotti. Tony si fermò
spaesato davanti alla sua scrivania.
-Dove diavolo ho messo la giacca?- Subito l’indumento gli cadde
in testa. Seccato, si volse, e si trovò davanti Kate. Allora gli
tornò in mente della sera prima. E si chiese come mai Kate non
lo avesse ancora subissato di urla di ogni genere. Rassegnato, Tony
attese le urla. Ma la collega gli passò tranquillamente accanto.
-Grazie.- Sussurrò la mora, mentre prendeva la strada dell’ascensore, lasciandolo basito.
-----
L’uomo qualunque non avrebbe voluto farlo. No, proprio no. Non
era bello lasciare Cassidy da sola. Dopo tutto il tempo che aveva
aspettato per rivederla, poi … Ma aveva un compito. E doveva
portarlo a termine. Glielo doveva. Lo doveva alla donna dai grandi
occhi grigi. Lo doveva alla sua Amanda. Avrebbero avuto altre domeniche
mattina per andare al parco insieme. Sì, sarebbero andati al
parco, tutti e tre insieme, come una vera famiglia. Sì, Amanda e
Cassidy sarebbero state la sua nuova famiglia. Lui avrebbe preso sempre
le sue medicine, e non sarebbe mai più stato nervoso. Gli occhi
grigi di Amanda sarebbero diventati di nuovo felici, e Cassidy, la sua
piccola, dolcissima Cassidy, avrebbe avuto di nuovo una madre.
Sì, sarebbero stati felici, tutti e tre. Insieme. Stando ben
attento a non farsi notare in mezzo agli altri genitori, Richard si
guarda in giro. L’entrata della scuola è intasata dalle
decine di genitori presenti per assistere allo spettacolo dei propri
figli. Anche Cassidy avrebbe voluto venirci. Ma lui le aveva detto di
no. E la bimba non aveva fiatato. Le recite si fanno tutti gli anni,
mentre le domeniche con il papà erano quasi una novità,
per lei. Erano passati troppi anni, perché potesse ricordare
esattamente com’erano. Inforcando gli occhiali da sole di marca
infima, l’uomo qualunque si mescola alla calca di gente intenta
ad entrare.
-----
Con uno sbadiglio annoiato, Tony si stiracchiò.
L’abitacolo dell’auto era davvero minuscolo. Ma gli ordini
erano stati chiari. Non potevano usare un’auto di servizio.
Troppo identificabile. E i pazzoidi con cui avevano a che fare, troppo
furbi. E lui e Kate erano stati costretti ad appostarsi
all’interno di una minuscola e vecchissima auto, frutto di
qualche sequestro della polizia, spolverato per l’occasione.
Unica cosa positiva del catorcio su quattro ruote, era la presenza di
una scassatissima autoradio. L’unico canale che sembrava prendere
decentemente era una stazione radio locale, ma era meglio di nulla.
Almeno riempiva il silenzio formatosi tra i due agenti. Da quando si
erano trovati da soli, nessuno dei due aveva proferito parola. E che
cosa avrebbero dovuto dirsi, comunque? Era davvero difficile trovare le
parole giuste, specie dopo quanto era quasi accaduto la notte prima.
Tony lanciò un’occhiata indagatrice all’indirizzo di
Kate, per spiarne l’espressione del volto. La trovò
concentrata nel proprio lavoro, gli occhi puntati sulla folla di
genitori e parenti diretti allo spettacolo dei bambini. Con un sospiro,
l’agente speciale Dinozzo distolse lo sguardo, per posarlo su
un’auto dall’altra parte della strada. All’interno,
McGee e Gibbs stavano svolgendo la loro parte, controllando i passanti
dall’altro lato.
-Dimmi un po’, Tony.- L’uomo si voltò stupito verso
Kate. Non riusciva a credere che avesse iniziato un discorso.
Specialmente senza aggredirlo.
-Spara.-
-Tu hai mai partecipato a recite scolastiche?- Un sorriso cattivello si fece spazio sulle labbra di Tony-
-Solo una volta … Ed è stata anche l’ultima.-
-Davvero? E perché? Recitavi troppo male?- Domandò la mora, continuando a far passare lo sguardo sulla gente.
-No, affatto. Solo che non mi sono presentato allo spettacolo … Ho preferito andare a giocare a calcio.-
-Panico da palcoscenico?-
-No, ideologie contrarie al contenuto dello spettacolo. Mettevamo in scena cappucetto rosso, e dovevo fare il cacciatore.-
-Contrario alla caccia?-
-Più o meno. Tenevo con il lupo. La bambina che faceva
cappuccetto rosso mi stava troppo antipatica …- il sorriso
contagiò anche Kate. -Se penso agli scapaccioni che mi ha tirato
mio padre dopo lo spettacolo … Mi brucia la pelle ancora
adesso!- La risata della mora riempì il piccolo spazio
dell’auto. Una volta però passato il momento
d’ilarità, l’aria tornò di nuovo greve. Con
un sospiro, Tony decise di passare al dunque. Se non avessero chiarito,
non solo il loro rapporto, ma il loro stesso lavoro ne avrebbe
risentito.
-Kate … Per ieri io …-
-Lascia stare.-
-Eh?- L’agente pensò di aver capito male.
-Lascia stare. Non è necessario dire niente- Rispose Kate,
continuando a guardare ostinatamente fuori dal finestrino. Il silenzio
tornò di nuovo a pesare sui due agenti, ma stavolta Tony vi si
ribellò.
-No, non è vero. C’è molto da dire. Se non ci fosse
nulla da dire, staremmo a sparare cretinate come al solito. Invece
siamo qui che non riusciamo neanche a guardarci in faccia!- Per la
prima volta da quella mattina, Kate si voltò verso di lui. I
loro occhi si incontrarono. Per un momento Kate sentì il proprio
sguardo cedere di fronte a quello penetrante di Tony, ma in qualche
modo riuscì a non abbassare gli occhi.
-Bene. Adesso ci stiamo guardando in faccia. E ora?- Sibilò la
donna con più grinta di quanta se ne sentisse davvero addosso.
Uno squillo di un cellulare. In un altro momento Kate si sarebbe messa
a ridere. Ma in quel momento non era davvero dello stato d’animo
adatto. Senza distogliere lo sguardo, Tony rispose alla chiamata. Non
aveva bisogno di guardare il nome sul display, per sapere chi lo stava
chiamando.
-Sì, capo?- la voce di Gibbs uscì gracchiante dall’apparecchio.
-Guarda alla tua destra chi abbiamo, Dinozzo.- Abbandonando il
confronto con Kate, Tony guardò nell’indicazione dettagli
da Gibbs. Un uomo con addosso un lungo soprabito e un paio di occhiali
da sole si guarda intorno, cercando di mescolarsi tra la folla. -Noti
nulla, Dinozzo?-
-Non ha bambini con sé. E non parla con nessuno.-
-Esatto.-
-Entriamo in azione, capo?- Una nota d’impazienza era appena percettibile nella voce dell’agente.
-Non ancora.- Rispose Gibbs. -C’è troppa gente in giro.
Sarebbe rischioso. Aspetta che gli agenti in borghese siano in
posizione.- Tony li individuò senza difficoltà. Appostati
agli angoli della strada, in gruppetti o coppie da due o tre elementi,
si confondevano tra la folla, simili a parenti in attesa di assistere
allo spettacolo dei bambini. Tony li conosceva uno per uno. Non bene
come McGee o Kate, ma ne conosceva nome e cognome. Li aveva istruiti
lui stesso, quella mattina, prima di uscire dal quartier generale,
mentre Gibbs faceva una bella lavata di testa a McGee per il ritardo.
Anche Kate li aveva visti. E quando Tony tolse la sicura alla pistola,
capì che il momento di entrare in azione era vicino.
-----
L’uomo qualunque si guarda intorno, incerto. Ha una brutta
sensazione. Attorno a lui, le persone continuano a camminare,
tranquilli, chi chiocceranno a piccoli gruppi, chi a coppie.
L’uomo dà un’occhiata all’orologio. Le dieci.
La maggior parte dei genitori e parenti si è già andata a
sistemare all’interno della scuola. Lo spettacolo sarebbe
iniziato da lì a pochi minuti. E allora perché
c’era ancora tanta gente in giro? Agitato, Richard fa passare lo
sguardo da un passante all’altro. Ad un tratto, intuisce ogni
cosa. Tutte le persone che stanno lì attorno, hanno
l’inconfondibile gonfiore di una pistola sul fianco.
L’ansia fa breccia nell’uomo qualunque, mentre riconosce in
ogni passante un poliziotto. Il respiro è diventato rapido,
ansante. Comincia a fare qualche passo indietro, quando dalle uniche
due macchine parcheggiate davanti alla scuola, escono due coppie di
agenti. Quello che sembra il capo, un uomo dai capelli grigi, grida
tenendo in mano una pistola.
-Fermo!!! NCIS!!!- Ignorando l’ordine, Richard O’Connell
comincia a correre. Ma viene quasi subito bloccato da quelli che fino a
poco prima credeva semplici passanti. Ognuno sfodera la sua arma, e
ripete l’ordine. L’uomo qualunque è stupito,
confuso. No, questo non era nei piani. No davvero. Lei non
l’aveva previsto. Cosa deve fare? Cosa deve fare?
-Richard O’Connell.- È di nuovo quello che sembra il capo.
-Si arrenda. È circondato.- Questo, l’uomo qualunque lo
può vedere anche da solo, sbirro. Lo sguardo perso sulle pistole
puntate su di lui. Ed è un momento. La decisione di un secondo,
della disperazione profonda. No, non lo avrebbero preso. Non lo
avrebbero rinchiuso di nuovo in quella prigione di pastiglie e
calmanti. Non adesso che è a così poco da raggiungere il
suo obbiettivo. Non adesso che la sua piccola Cassidy è tornata
nella sua vita. Con un gesto rapido, estrae dalla giacca una pistola, e
spara sugli agenti davanti a sé. Qualcuno cade a terra. Gli
altri, sorpresi, si scansano, lasciandogli la via libera. Ignorando i
proiettili che fischiano a poca distanza dalla sua testa, l’uomo
qualunque si dà alla fuga.
-----
-Bastardo!- Ringhiò Gibbs, furioso. Lo aveva mancato. Come
diavolo aveva fatto? Quando mai un tiratore come lui mancava
l’obbiettivo? Si sarebbe preso a scappellotti da solo, ma non
c’era tempo. Doveva prima prendere quel tipo. Si fermò
giusto quel tanto che bastava per accertarsi che gli agenti colpiti da
O’Connell stessero bene, poi partì all’inseguimento.
Non dovette neppure chiamare i suoi uomini. Kate, Tony e McGee erano
già dietro di lui, gli sguardi decisi, e la pistola in pugno.
Con un lieve sorriso dettato dall’orgoglio, l’ex marine
corse dietro al ricercato. Questi, non appena vide gli agenti
inseguirlo, si voltò e sparò alcuni colpi. Rapidi, i
quattro si gettarono di lato per schivare e rispondere al fuoco.
Questione di pochi secondi, che però diedero all’uomo la
possibilità di infilarsi in un vicolo. Quando anche gli agenti
lo imboccarono, però, si trovarono davanti una brutta sorpresa.
Il vicolo sfociava in un cortile, da cui si diramavano altri due
viottoli bui. Impossibile indovinare quale dei due avesse imboccato
l’uomo qualunque.
-Cosa facciamo, capo?- Domandò McGee con un filo di voce. Gibbs
lanciò un’occhiata alle due vie. Un’imprecazione
riuscì a sfuggire dalle labbra sigillate.
-Tu e Dinozzo andate a destra. Io e Todd a sinistra.- Con un cenno,
Tony e Tim si addentrarono nel vicolo. Pochi secondi dopo, Gibbs e Kate
fecero la stessa cosa, dirigendosi nell’altro.
-----
L’uomo qualunque ansima, spaventato. Non poteva davvero
immaginare di finire in una situazione del genere. No, proprio no. Il
vicolo era sembrato sicuro, all’inizio. Ma lo sa, gli sbirri non
si arrenderanno tanto facilmente. Non dopo che ha sparato ad alcuni dei
loro. Un forte tremolio lo attanaglia, rendendogli difficile anche
tenere in mano la pistola. L’effetto della medicina sta per
finire. Ma lui non ha tempo per prenderla, adesso. Si guarda intorno,
spaesato. Il vicolo finisce proprio davanti ad una cancellata
arrugginita. Non sarebbe difficile scavalcarla, ma le sue mani tremano
troppo. Non riuscirebbe a tenersi aggrappato. Alcuni bidoni
dell’immondizia circondati da sacchi e scatole, gli danno una
speranza di rifugio. Dentro di sé sa che ritarderà solo
l’inevitabile, ma non è disposto a cedere. Non ancora. Ha
due ottime ragioni per farlo. Ignorando il fetore della spazzatura,
Richard si nasconde in mezzo ai sacchi neri, giusto in tempo per
sentire il suono di passi in avvicinamento. Stringe più forte la
pistola, cercando di controllare i tremiti. Gli è rimasto un
solo colpo. Non sa in quanti siano venuti a prenderlo, ma almeno uno
sbirro morirà.
-----
-Ahia!- Il gridolino di dolore di Abby fece sobbalzare Ducky, a pochi passi da lei.
-Cosa succede?-
-Mi sono tagliata!- Piagnucolò la dark, tenendo in alto
l’indice sinistro. Un sottile striscia rossa ne percorreva la
larghezza.
-E come hai fatto, mia cara ragazza?- Domandò esasperato il
medico, mentre, ligio alla sua professione, tirava fuori una scatoletta
del pronto soccorso.
-Con questo maledetto fogliaccio! Cattivo, cattivo fogliaccio!-
Sbottò Abby, indicando un foglio pieno di numeri e termini
scientifici, presumibilmente collegati alle analisi dell’ultimo
ordigno.
-Avanti, Abby! È solo un pezzo di carta! Non credo che abbia la
facoltà di decidere o meno di tagliarti …- La ragazzo lo
fissò imbronciata. -Bhe, comunque, meglio disinfettare subito,
forza. In questo laboratorio ci sono più sostanze che in un
laboratorio per armi chimiche.- Concluse Ducky prendendo un cerotto e
del disinfettante. Dopo la partenza di Gibbs e gli altri, lui aveva
deciso di dare una mano alla dark in laboratorio, in quanto la sala
autopsie, era il caso di dirlo, era un vero mortorio.
-Grazie, Ducs!- Sorrise Abby, mentre un cerottino nero andava a fasciare il dito offeso.
-Immagino che ti occupi tu stessa di tenere fornita la scatoletta del
pronto soccorso, vero?- Domandò il medico legale notando
l’insolito colore dei cerotti. La scienziata annuì con
vigore, facendo danzare i codini, mentre un sorriso esagerato si
disegnava sulle sue labbra.
-Indovinato! Se ci si fa male, almeno ci si cura con stile!-
-Sei preoccupata per qualcosa, vero?- La maschera di allegria forzata
che fino a quel momento aveva accompagnato la dark si sciolse. Il
sorriso sparì dalle sue labbra nere, mentre non riusciva
più a reggere lo sguardo del medico legale.
-Si vede così tanto?- Ducky non potè fare a meno di
sorridere. Nonostante il trucco piuttosto pesante, i tatuaggi, e i
teschi, Abby era persona molto sensibile. Forse molto più di
altre. E mentre lo fissava di sottecchi giocherellando con il cerotto,
e i codini scuri le dondolavano ad ogni movimento della testa,
l’anziano non potè fare a meno di vederla un po’
come una bambina. Un po’ cresciuta, forse, e con qualche
tatuaggio e borchia di troppo, ma pur sempre una bambina.
-Sei come un libro aperto per me, ragazza mia. Allora, cosa ti affligge?-
-È da stamattina che sono così, Ducky.- Rispose Abby,
dopo qualche attimo d’incertezza. Il suo tono di voce era basso,
strettamente confidenziale. E il dottore dovette avvicinarsi di
più, per sentire bene. -Da quando McGee e gli altri sono partiti
mi sento nervosa. Non lo so, è come un presentimento … Ho
paura che succederà qualcosa di brutto!- la ragazza fece una
pausa. -Secondo te sono pazza, Ducky?-
-Cara Abigale. Stai parlando con un povero vecchio che di tanto in
tanto si mette a parlare con dei cadaveri. Direi che non sono
esattamente la persona adatta a cui fare questa domanda.- Sorrise
l’uomo, dopo qualche istante di riflessione. Poi, vedendo lo
sguardo preoccupato della dark, si affrettò ad aggiungere.
-È inutile pensarci. Gibbs, Tony e Kate sono tipi in gamba. E
anche McGee lo è, seppur giovane. Non credo che ci sia molto da
preoccuparsi per loro. Per quel che riguarda quel dinamitardo, invece
… Credo che avrò un nuovo paziente!- Un sorriso fece
finalmente capolino sulle labbra della dark, che comunque non si
sentiva affatto tranquilla. Il senso d’inquietudine che
l’aveva accompagnata per tutta la mattina, permaneva.
-----
Con un cenno del capo, Tony fece capire a McGee di stare fermo. Anni di
esperienza gli avevano insegnato a stare ben attento ai vicoli, specie
a quelli apparentemente deserti. Un’imboscata era sempre
possibile. E forse il loro uomo aveva un complice. Meglio essere
prudenti. Tenendo la pistola puntata davanti a sé, fece qualche
passo. Nessun suono né movimento sospetto. Si volse di nuovo
verso McGee, in attesa. Un semplice movimento della testa. Via libera.
Avanzarono rapidi per qualche metro, attenti a non restare troppo a
lungo allo scoperto. Tony sempre qualche passo avanti. Le parole di
Gibbs ancora ben incise nella testa.
“Sei tu l’agente più anziano. La vita di ogni altro
membro dell’NCIS che si trova con te fuori dal dipartimento,
è sotto la tua responsabilità. Specialmente se io non ci
sono!”
E lui lo sapeva, accidenti! Lo sapeva benissimo! Per questo non avrebbe
permesso al “pivello” di passargli avanti, anche a costo di
fare il solito gradasso menefreghista. Perché, a giudicare
dall’espressione seccata di McGee, era proprio quello che doveva
apparire in quel momento. Doveva essere frustrante, stare sempre in
secondo piano, specie in operazioni come quella. E Tony lo capiva
perfettamente. Ma capiva anche che McGee era un agente da relativamente
poco tempo, e non possedeva abbastanza esperienza. Molto presto sarebbe
stato in grado di gestire da solo quelle situazioni, ma per il momento,
era meglio che stesse nelle retrovie. Avanzarono ancora per alcuni
minuti che parvero anni, i sensi pronti a captare ogni singolo
movimento o suono sospetto. Finché non giunsero alla fine del
vicolo. Un agglomerato putrescente di bidoni della spazzatura, ricolmi
di sacchi neri, tanto che questi, in alcuni punti, ne erano sommersi.
Una vecchia cancellata arrugginita, non più alta di due metri,
facilmente scavalcabile, chiudeva il passaggio.
-Merda! Ci è scappato!- Esclamò McGee, rimettendo la pistola nella fondina.
-Non pensavo che tu fossi in grado di usare certi termini, pivello!-
Ridacchiò Tony, ben felice di poter stemperare la tensione. -Ma
non mettere ancora via la pistola, non …- In
quell’istante, l’agente vide un movimento tra i sacchi
scuri dell’immondizia. Non fece in tempo ad avvertire il collega
più giovane. Il lampo dello sparo, e McGee cadde a terra.
-----
-Ma che diavolo …- Kate lasciò l’esclamazione a
metà, mentre nell’aria, al rumore del primo sparo, si
aggiungeva quello di altri due, in rapida successione. Gibbs non perse
tempo a rispondere. La sua mente stava già galoppando tra le
ipotesi più pessimistiche che la sua fantasia potesse partorire.
Con uno scatto, si diresse di corsa nella direzione presa da Tony e
McGee. Kate gli fu subito dietro, il cuore che minacciava di
sciogliersi per l’angoscia. Non sapevano chi avesse sparato quei
colpi. Ma una cosa era sicura. Qualcuno era stato colpito. Restava da
vedere chi.
-----
Ansimante, mise via la pistola. Poteva sentire il sangue pulsargli alla
base della testa. La scarica di rabbia e adrenalina che gli aveva
lasciato la sparatoria, si era come dissolta, come un fiumiciattolo
primaverile, che si asciuga all’arrivo dell’estate,
lasciandolo come un canale vuoto. Le emozioni della lotta, lo avevano
spossato. Rimase a guardare il proprio lavoro per qualche secondo,
finché un lamento alle sue spalle non attirò la sua
attenzione. Allora Tony si voltò verso McGee, che si teneva la
spalla. Sul tessuto dell’impermeabile, era visibile un foro, da
cui usciva copioso un rivoletto di sangue. Bastò
un’occhiata più ravvicinata, per capire che il proiettile
non aveva fatto danni. Con sorriso sollevato, l’agente speciale
Dinozzo si chinò verso il collega, che si era messo seduto, con
la schiena appoggiata al muro.
-Stai calmo, pivello. Il proiettile è passato dall’altra
parte. È poco più di un buco. Nulla di cui preoccuparsi.
Un paio di settimane e sarai come nuovo.-
-Dici sul serio?- lo sguardo preoccupato e al contempo dolorante di McGee fece sorridere ulteriormente l’agente.
-Prima volta che ti sparano, vero pivello?- Timidamente, Tim
annuì, senza parlare. -Anche a me la prima volta, beccarono alla
spalla.- Il tono confidenziale di Tony stupì McGee, che
alzò di scatto la testa. Movimento di cui si pentì
subito. Una nuova raffica di dolore era partita dalla spalla sinistrata.
-Sul serio?- Riuscì a domandare, una volta ripreso fiato.
L’agente più anziano annuì. -E … Come ti
sentivi?-
-La verità? Soffrivo come un cane.- Rispose in tutta schiettezza
Tony, continuando a sorridere. Un mezzo sorriso contagiò anche
McGee. Per la prima volta in vita sua, era davvero grato a Tony del suo
senso dell’umorismo. Proprio in quel momento, arrivarono Gibbs e
Kate. Sul volto di quest’ultima, era evidente la preoccupazione,
e il sollievo nel vederli vivi. Gibbs, invece, appariva una roccia. Non
un solo mescolo del viso inteso a dar segno di preoccupazione. Ma non
appena vide i suoi due agenti quasi incolumi, un sorriso fuggevole gli
comparve sulle labbra.
-E O’Connel?- Domandò a Tony, che indicò il cumulo
di rifiuti in cui l’uomo qualunque si era nascosto. Mentre Kate
si dava da fare a chiamare un’ambulanza, Jhetro si
avvicinò al cumulo di rifiuti. Raggomitolato attorno ad un sacco
nero, Richard O’Connell lo fissava, il braccio e la gamba destri
trapassati da un proiettile. Impossibilitato a muoversi e a difendersi,
si era rannicchiato tra la spazzatura, scosso da tremiti. La pistola,
ormai scarica, a pochi passi da lui. L’uomo qualunque aveva
finito al sua fuga.
-----
Non appena McGee fece il suo ingresso al laboratorio, un tornado nero
coi codini lo investì, rischiando di stritolarlo. Solo
l’urlo disumano del povero agente, convinse Abby a lasciarlo
subito, ma solo per qualche istante.
-Scusa McGee!!!-
-Il braccio …- Mormorò il ragazzo. La spalla era stata
debitamente steccata e bendata sul posto della sparatoria, e Gibbs lo
aveva spedito dritto dritto alla centrale.
-Scusami!- Mormorò nuovamente la dark, abbracciando il più delicatamente possibile Tim.
-Di nulla …- Rispose questi, ben felice della situazione. Non
erano molte le occasioni di farsi abbracciare da Abby durante
l’orario di lavoro …
-Hai bisogno di qualcosa? Da bere, da mangiare, un massaggino …-
Cominciò a domandare a raffica la ragazza, dopo aver sciolto
delicatamente l‘abbraccio. McGee in cuor suo non avrebbe
rifiutato il massaggio, ma prima di poter rispondere, fece la sua
comparsa nel laboratorio Gibbs, seguito da Tony e Kate.
-Abby, ci giochi dopo all’infermiera. E soprattutto non in mia
presenza.- A malincuore, la dark abbandonò il suo paziente, per
rivolgere la sua attenzione all’ex marine.
-Va bene, grande capo dal cuore di pietra. Cosa ti occorre?-
-Tutto quello che hai scoperto dalla bomba inesplosa.- Sorrise Gibbs
togliendosi il berretto blu dell’NCIS. Schioccando le dita, la
ragazza si diresse al tavolo metallico, su cui stavano i reperti.
-Sarà fatto, capo.- Non appena fu sicura che tutti i membri
della squadra le stessero prestando attenzione, Abby iniziò ad
esporre le sue scoperte. -Sostanzialmente, abbiamo lo stesso identico
modello di bomba che ha fatto quasi saltare in aria il nostro Tony.-
Con un sorriso indicò l’agente, che fece spallucce. Un
coro di tre paia d’occhi lo stavano fissando con odio. -Solo che
questa bomba era già stata programmata per esplodere attorno
alle undici di questa mattina. Mentre l’altra ha cominciato il
conto alla rovescia dopo che Tony ha tirato la cordicella.- Di nuovo
gli occhi fiammeggianti degli altri agenti si riversarono su Dinozzo.
-I componenti sono sempre gli stessi, dai pezzi dei detonatori, alla
scatola che li conteneva, al tipo di materiale esplosivo.-
-Tutto qui, quello che hai da dirci?- Borbottò Gibbs, sicuro della reazione della scienziata.
-Non ho ancora la capacità di proiettarti nella mente quello che
so, Gibbs!- Sibilò di rimando Abby, il proprio orgoglio da
scienziata ferito.
-Allora stupiscimi.-
-Le sostanze usate per l’esplosivo sono le stesse prodotte
dall’impresa per il fai da te per cui lavorava O’Connell. E
…-
-E …?- La chiara nota d’impazienza nella voce dell’ex marine fece sorridere malignamente la dark.
-E … Sullo zaino in cui stava la bomba ho trovato tracce di
sabbia, mattoni e altri materiali per l’edilizia. Probabilmente
il nostro uomo ha appoggiato la sacca vicino ad un cantiere, o in un
posto in cui stanno costruendo qualche edificio.- Gibbs scosse la testa.
-Abby, hai la minima idea di quanti cantieri ci siano in zona?-
-Qualche centinaio, senza contare i piccoli lavoretti di privati
…- Mormorò la ragazza, mogia mogia. Un sospiro di
delusione partì da tutti i presenti. Erano di nuovo al punto di
partenza. I tipi di materiali elencati da Abby erano di tipo
industriale, più comuni dell’aspirina o della coca cola.
Non potevano far altro che aspettare la chiamata dell’ospedale.
Non appena O’Connell fosse stato in grado di reggere ad un
interrogatorio, sarebbero stati avvertiti. Ma non nutrivano grandi
speranze su quella pista. “L’uomo qualunque” si era
dimostrato tutt’altro che comune, e anche Gibbs aveva seri dubbi
sul fatto di riuscire a strappargli la benché minima
informazione. Glielo aveva letto negli occhi. Freddi, inespressivi,
senza segno alcuno di pentimento o paura, mentre i paramedici lo
issavano sull’ambulanza. Il silenzio in cui era caduta la squadra
venne placato dal suono del telefono di Gibbs. Questi rispose con tono
stanco.
-Gibbs.- nei pochi attimi in cui la persona all’altro capo
dell’apparecchio parlava, il volto dell’ex marine
cambiò di colpo. Gli occhi azzurri scintillarono, inondati da
una luce che i suoi agenti ben conoscevano. Quella che caratterizzava
Jhetro Gibbs quando aveva una pista da seguire. Senza neppure salutare
il suo interlocutore, l’agente chiuse la telefonata, e si diresse
a lunghi passi verso l’uscita del laboratorio. -Todd! Dinozzo!
Con me! McGee, tu resta con Abby.- Un sorriso sadico aleggiò
sulle labbra della dark. Sorriso che Gibbs notò, aggiungendo:
-Ah, Abby … Ricordati che McGee non è un giocattolo.- La
ragazza sbuffò contrariata, mentre Tim tirava un sospiro di
sollievo, e Tony e Kate se la ridevano, mentre seguivano il loro
superiore fuori dal laboratorio.
-Cosa succede, Capo?- Domandò Tony una volta all’ascensore.
-Abbiamo una segnalazione.- Spiegò l’agente Gibbs
calandosi il berretto sulla testa. -Cassidy O’Connell è
stata avvistata a due isolati dalla scuola.-
-Fine capitolo 8-
Ancora tre capitoli, e la fic è finita ... sono quasi triste ...
mi mandate qualche commentino, giusto per rallegrarmi un pò?
graaaaaazie ....
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Capitolo 9 *** Uscita di scena ***
explosion9
EXPLOSION
-Capitolo 9-
Uscita di scena.
Erano appena arrivati all’auto, quando il cellulare di Gibbs suonò nuovamente.
-Gibbs.- Rispose senza entusiasmo l’agente. Aveva addosso
l’impazienza della caccia, e quella chiamata lo aveva colpito
come una doccia fredda. Kate e Tony rimasero in disparte per qualche
istante, in attesa. Forse quella chiamata poteva voler dire una nuova
segnalazione. Quando Gibbs agganciò, il suo sguardo era scuro.
Senza neppure guardare in faccia i suoi agenti, salì in auto e
fece partire il motore.
-Novità, capo?- Domandò Tony mentre prendeva posto accanto al superiore.
-L’ospedale. O’Connell è in condizioni di parlare.-
-Ci vai tu?-
-Sì. Tu e Kate poi andrete all’indirizzo dove hanno
segnalato la bambina. Cercate un posto dove fanno dei lavori, e la
troverete.- Vi fu un momento di pausa. -Bhe? Che ci fai ancora qui?!-
Scattò irato Gibbs, rivolgendosi a Kate. -Non vieni?!- Nel giro
di tre secondi l’agente era seduta ordinatamente sul sedile
posteriore dell’auto, con la cintura ben allacciata. E una
preghiera rivolta al cielo.
-----
Amanda adesso è davvero preoccupata. Richard non è ancora
arrivato. Eppure doveva essere lì già da qualche ora. E
la cosa che più la preoccupa, è la mancanza di notizie in
TV. Né i telegiornali, né le emittenti radio, danno
alcuna notizia dell’esplosione. Perché lei è sicura
che ci sia stata. Perché Richard non è tipo da tirarsi
indietro. No, non lui. Era per questo che lo aveva scelto.
Perché era in grado di passare da momenti di dolcezza assoluta,
a momenti di crudeltà totale. Come il suo Johan. Un brivido le
scuote il corpo magro. Forse anche per quello lo aveva scelto.
Perché le aveva ricordato il suo uomo. Una lacrima rischia di
scendere, ma la rigetta subito indietro. Poi si volta verso Cassidy. La
bambina sta giocando con un gattino appena trovato per strada. Il
sorriso torna a rischiarare le labbra sottili della donna. Nonostante
sapesse quanto potesse essere pericoloso, alla fine aveva ceduto. E
aveva portato la piccola a fare un giro per il quartiere. Per caso
avevano trovato un gattino randagio, e Cassidy se era subito
innamorata. E Amanda non aveva avuto la forza di allontanarlo. Un
bambino dovrebbe sempre avere un animaletto.
-Amanda! Ho trovato il nome!- La piccola corre dalla donna, reggendo la bestiola tra le braccia.
-E quale!?- La domanda esce dolce e misuratamente curiosa.
-Francis.- Il gattino miagola, come a voler confermare le parole di Cassidy.
-Francis. È davvero un bel nome.- Sorride Amanda, grattando la testa del micio, che fa le fusa, soddisfatto.
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-È qui?- Il tono di voce di Gibbs non parve più freddo
dell’atmosfera ospedaliera. Non erano passati che pochi minuti,
da quando lui e i suoi agenti erano arrivati, e il medico di turno li
stava scortando alla camera dov’era rinchiuso Richard
O’Connell. Per evitare allarmismi tra gli altri pazienti, non
erano state poste guardie, se non all’ingresso del reparto. Con
la ferita alla gamba, e imbottito di calmanti, l’uomo qualunque
aveva ben poche possibilità di fuggire. Il giovane medico
annuì, e si apprestò ad aprire la porta, chiusa a chiave.
Ma prima di riuscire a far scattare la serratura, Gibbs lo fermò.
-Un momento.- Ignorando lo sguardo interrogativo del medico, l’ex
marine si voltò. -E lei cosa ci fa qui?!- A rotta di collo,
stava arrivando Michela Sacks, la divisa immacolata e due profonde
occhiaie scure mimetizzate da uno strato di trucco.
-Ho saputo che Richard è qui.- Rispose brevemente la donna,
fermandosi di fronte all’agente. -Lui sa dov’è
Cassidy.-
-Forse.- Ribatté Gibbs, l’irritazione ormai arrivata a sfiorare la rabbia. -Dobbiamo ancora interrogarlo.-
-Voglio assistere all’interrogatorio.- Disse la donna, decisa.
-Assolutamente no.- Ringhiò Gibbs. Per alcuni istanti i due si
fissarono, entrambi decisi a non cedere. Ma alla fine Gibbs
l’ebbe vinta, e Michela dovette accettare di aspettare fuori
dalla stanza di Richard O’Connell. A Kate e Tony il compito di
controllare la situazione, e al contempo stare con il guardiamarina
Sacks. Passarono parecchi minuti, alla fine dei quali, dopo aver
tentato in ogni modo di trovare una posizione decente sul divanetto
ospedaliero, Tony decise di alzarsi. Vedendolo allontanarsi, Kate lo
riprese, irritata.
-Dove stai andando, Dinozzo?!- Questi si grattò la testa e indicò un distributore in fondo al corridoio.
-A prendere un caffé. Ne vuoi anche tu?- Poi, educatamente, si
rivolse a Michela. -Guardiamarina?- Come se si fosse resa conto solo
allora della presenza dell’agente, la donna si voltò di
scatto verso di lui, lo sguardo interrogativo.
-Come?-
-Le ho chiesto se voleva un caffé …- Con un lieve
sorriso, Michela annuì, passandosi una mano tra i capelli ricci.
-Sì, grazie. È molto gentile …-
-Si figuri …- Le sorrise di rimando Tony, prendendo la via della
macchinetta. Kate rimase per qualche istante soprapensiero, poi
bloccò il collega.
-Tony, per me …-
-Senza zucchero. Lo so.- L’anticipò questi, facendo un
cenno vago, senza neppure voltarsi. Con un moto di stizza, la mora si
risedette accanto al guardiamarina Sacks. La tensione tra lei e Tony
persisteva. Da quando avevano preso O’Connell, non avevano
più avuto un solo istante per stare da soli e chiarirsi. In
parte ne era quasi felice. Ma sapeva che prima o poi avrebbero dovuto
parlarsi, e prima era, meglio sarebbe stato per entrambi.
-Avete dei problemi?- Kate sobbalzò, sorpresa dall’improvvisa domanda di Michela.
-No … Non proprio …- Ignorando il lieve imbarazzo
dell’agente, la donna si richiuse nel suo silenzio. Passarono
alcuni istanti, prima che Kate decidesse di aprire una conversazione.
-Guardiamarina?- Michela alzò lo sguardo sull‘agente,
facendo segno di continuare. -Non sono affari miei … Ma
perché non ha detto a Cassidy di suo padre?-
-Cassidy aveva già perso sua madre, e in un modo orribile. Ha
idea di quanto sia sgradevole e difficile spiegare ad una bambina
così piccola che sua madre è morta? E soprattutto uccisa
in quel modo … Come potevo anche dirgli che era stato il suo
adorato papà a fare una cosa del genere? No, non avrei mai
potuto. Forse … Non volevo crederci neppure io.- Sospirò
la donna, prima di riprendere a parlare. Oramai era un fiume un piena,
le emozioni che la attanagliavano da quasi ventiquattrore trovavano
finalmente sfogo in quella conversazione. -La verità è
che volevo dimenticarmi dell’esistenza di quell‘uomo. E
Cassidy doveva averlo capito, perché non mi ha mai chiesto che
fine avesse fatto Richard. Non volevo che coltivasse odio verso di lui,
ne provavo già abbastanza io per tutte e due.- Lacrime da tempo
trattenute cominciarono a scendere senza controllo. -Mi scusi …-
-Non si preoccupi. Ha avuto una giornata dura.- Si affrettò a rassicurarla Kate, porgendole un fazzolettino.
-Grazie. È molto gentile. Come il suo collega …-
-Ah, lui lo è solo quando c’è la luna piena
…- Sibilò Kate, rivolgendo uno sguardo a Tony, che stava
armeggiando col distributore. Michela si lasciò andare ad una
risatina.
-Siete molto legati, vero?-
-Chi? Io e quel bambino troppo cresciuto?- Fece la mora, scatenando
ancora una volta l’ilarità del guardiamarina. Quando
questa smise di ridere, Kate continuò. -Si nota?>
-Abbastanza.- Rispose Michela. -Credo che sia logico, con un lavoro
come il vostro, dove rischiate la vita spesso … Anche con gli
altri colleghi avete questo rapporto?-
-No, decisamente no!- Rispose d’impulso l’agente,
accorgendosi troppo tardi dello sguardo che le rivolgeva la sua
interlocutrice. Troppo simile a quello che negli ultimi tempi le
rivolgeva Abby. -Insomma … Ecco …- Fantastico!
Un’altra figuraccia da mettere nell’album …
-Tranquilla, agente Todd. Ho capito perfettamente.- Kate avrebbe voluto
ribattere che in realtà il guardiamarina non aveva capito nulla,
ma preferì non rigirare il dito nella piaga. Lei stessa non era
esattamente sicura di aver capito. Che alla fine, l’unica a non
capire nulla fosse proprio lei? Il silenzio si era nuovamente imposto
tra le due donne.
-È … È stata dura, prendersi cura di Cassidy?
Voglio dire … Così, all’improvviso, lei si è
ritrovata con una bambina piccola da accudire … Non sarà
stato facile.- Dentro di sé, Kate gioì. La tecnica
“cambio di discorso alla Dinozzo”, funzionava egregiamente.
-No, non lo è stato.- Rispose con un sorriso Michela. -Ma
è stato più semplice di quanto avrei creduto possibile.
Quando guardi solo dal lato ipotetico delle cose, le difficoltà
ti sembrano insormontabili. Ma quando te le trovi davanti, non puoi
fare altro che darti da fare, senza perdere tempo a pensarci. E alla
fine, ti rendi conto che quello che ritenevi impossibile, lo hai
già superato da tempo.-
-Nessun rimpianto, quindi?- Domandò Kate mentre le parole appena dette dal guardiamarina le entravano nella mente.
-Solo uno.- Fece dopo qualche istante di riflessione Michela. -Quello
di non aver mai permesso a Cassidy di chiamarmi mamma. E lei ci ha
provato più volte … Non mi sembrava giusto nei confronti
di mia sorella …- Le lacrime minacciarono nuovamente di
scendere, ma vennero cacciate con un gesto di stizza. Era stufa di
piangere.
-Il caffé, guardiamarina.- Arrivò Tony, porgendo il bicchiere fumante.
-Grazie …- Sorrise la donna prendendone un sorso.
-E per me?>-Sibilò Kate. Tony le porse all’istante il suo bibitone.
-Tieni e strozzatici, arpia! Tu a me un caffé non lo offriresti
neanche se lo pagassi io!- Per tutta risposta, la mora fece una
linguaccia, e si bevette un lungo sorso di caffé. Subito il viso
si deformò in una maschera schifata.
-Ma … È amaro …- Tossicchiò La donna, fulminando con lo sguardo il collega.
-Perché? Non ti piace? Eppure mi sembrava che tu lo volessi
senza zucchero …- Ghignò allegro l’agente Dinozzo,
imperturbabile di fronte allo sguardo di puro odio di Kate.
-Senza zucchero, sì … Ma almeno col dolcificante!!! Non
sono Gibbs!!!- Ignorando le risatine a malapena trattenute di Michela,
che, divertita dalla scenetta, si nascondeva dietro al suo
caffé, Tony si rivolse nuovamente al guardiamarina.
-Per quanto riguarda il rimpianto …- Riprese Tony, con un tono
di voce più serio. -Noi le troviamo Cassidy, e lei, in cambio,
ci promette che lascerà che la piccola la chiami come vuole,
d’accordo?-
-È una promessa, agente Dinozzo? Troverete la mia bambina?-
-È una certezza, Guardiamarina Sacks!- Sorrise l’uomo,
contagiando anche Michela e Kate. Quest’ultima pregò di
poter mantenere la promessa. Da come erano messe in quel momento le
indagini, non le riusciva di non avere più di un dubbio.
Improvvisamente la porta della stanza dell’uomo qualunque, si
aprì sbattendo, facendo uscire un imbestialito Gibbs. I due a
genti e il guardiamarina fecero per domandare com’era andato
l’interrogatorio, ma si trattennero. Dall’espressione
assassina leggibile negli occhi dell’ex marine, non doveva essere
andato troppo bene. Senza dire una parola, Gibbs fece cenno ai suoi
agenti di seguirlo, e si diresse verso l’uscita
dell’ospedale. Salutando educatamente la signorina Sacks, Tony e
Kate seguirono il loro superiore.
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-Allora, capo, che si fa?- Domandò Tony con fare rassegnato,
già prevedendo la sfuriata di Gibbs. Che infatti arrivò.
Puntuale come l’influenza.
-Potresti cercarti un altro lavoro, se mi fai ancora una domanda del
genere, Dinozzo.- Ringhiò l’agente speciale Leroy Jhetro
Gibbs, indossando il berretto dell’NCIS e dirigendosi
all’auto con cui erano arrivati.
-Reimposto la domanda, capo. Andiamo subito a cercare Cassidy o prima
andiamo a vedere se alla base è arrivato qualcosa di nuovo?-
Cercò inutilmente di riparare Tony, mentre Kate sorrideva
perfida alle sue spalle. Senza rispondere, Gibbs salì
sull’auto e accese il motore. Dinozzo fece per ripetere la
domanda, ma l’ex marine lo anticipò.
-Tu e Kate andate a cercare la bambina, io vado a vedere se Abby e
McGee hanno qualcosa di nuovo. Se è così, vi telefono.
Altre domande idiote, Dinozzo?- Con un’alzata di spalle,
l’agente si abbassò al finestrino dell’auto, per
parlare meglio col suo capo.
-Sì … Se tu vai al quartier generale con questa macchina,
io e Kate con cosa ci andiamo, a cercare Cassidy?- Gibbs indicò
un’auto parcheggiata lì vicino, dall’aspetto vecchio
e scassato. Tony e Kate la riconobbero immediatamente.
-Ma è quella che abbiamo usato stamattina per
l’appostamento!- Piagnucolò la mora. Supplichevole, Tony
si rivolse ancora a Gibbs.
-Dì un po’, capo, non è che ti andrebbe di far
cambio? Dovrebbe essere dei tuoi tempi …- Battuta pessima. Gibbs
chiuse il finestrino con uno sguardo omicida, che fece letteralmente
fuggire dall’auto Tony, che schizzò accanto a Kate. Con un
rombo e nessuna parola, l’auto blu partì, lasciando gli
agenti Todd e Dinozzo a piedi. Questi si scambiarono un’occhiata.
-Guido io!- Esclamarono in perfetta sincronia.
-Dammi solo un motivo, Dinozzo!- Ringhiò Kate, puntando uno sguardo in cagnesco sul collega.
-Le chiavi ce le ho io!- Ghignò questi, sventolandogliele
davanti. Subito iniziò un giocoso, ma non troppo, inseguimento
tra i due, mentre si dirigevano al parcheggio delle auto di servizio.
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Cassidy piagnucolava da tempo, da quando Amanda l’aveva
trascinata fuori di casa quasi con la forza. Voleva aspettare suo
padre. Ma Richard non sarebbe arrivato, Amanda lo sapeva. La polizia lo
aveva preso. Lo aveva visto poco prima in TV. Appena realizzato che
aveva perso il suo complice, si era diretta in strada, trascinandosi
dietro la bambina, che adesso stava piangendo, mentre la donna la
tirava per la mano, facendole percorrere quasi di corsa le vie poco
trafficate del quartiere. Era furiosa. Richard non avrebbe dovuto
essere preso così facilmente. Lui era furbo, e senza scrupoli.
Forse aveva sottovalutato gli agenti. Forse erano stati ancora
più furbi di lui. Mentre nella sua mente si aggrovigliano senza
logica i vari pensieri, Amanda quasi non si accorge di essere quasi
arrivata. Ha lasciato il quartiere, per arrivare ad una periferia priva
di abitazioni, occupata da alcune decine di grandi cantieri, in parte
abbandonati. Continuando a trascinarsi dietro la bambina in lacrime, la
donna si dirige verso un vecchio stabile, in parte coperto da teloni e
impalcature. Amanda le ammira, sorridendo. La sagoma dello stadio
è inconfondibile. Ricordi e dolori riaffiorano, dandole
più forza per trascinare Cassidy all’interno del vecchio
edificio.
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-Siamo arrivati.- Fece Kate, controllando l’indirizzo.
-Meno male! Ancora qualche metro e questa carretta fondeva!-
Borbottò Tony, mentre l’auto rallentava con uno sbuffo.
Kate sorrise tra sé e sé.
-Magari se guidavo io faceva meno storie. Sai, tendi a comportarti con
le tue macchine come con le tue donne.- Tony non raccolse la
provocazione. Con un sospiro rassegnato, l’uomo uscì
dall’auto, chiudendo con uno scatto secco la portiera. Kate si
attardò per qualche secondo, prima di imitarlo. Non erano ancora
riusciti a parlarsi. Solo qualche orecchiatine. E la situazione
cominciava a diventare insostenibile. Almeno per lei. Ma adesso era
molto più urgente trovare qualche notizia su Cassidy. Entrambi
gli agenti cominciarono a guardarsi attorno, attenti ad ogni
particolare.
-Da dove partiamo?- Domandò Tony, inforcando gli occhiali da sole.
-Io direi dal chiedere ai negozianti. Magari hanno visto qualcosa.-
Suggerì Kate, felice di aver qualcosa su cui concentrarsi.
-La segnalazione veniva proprio da quel minimarket lì davanti.-
Disse Tony leggendo l’indirizzo. -È un punto di partenza.-
-Giusto.- Annuì la mora. Poi prese tutto il coraggio che aveva e
si decise. -Ah, riguardo a quello che hai detto stamattina … Hai
ragione. C’è molto da dire. E appena questo caso
sarà concluso, faremo una lunga chiacchierata.- Sospirò,
orgogliosa di sé stessa. Non era sicura di riuscir a dire quelle
parole. Ma adesso ce l’aveva fatta. Si ricacciò
all’indietro una ciocca di capelli scuri e fece per seguire il
collega, ma questi si era bloccato quasi subito, fermandosi a fissarla
a bocca aperta, imbambolato. -Bhe? Che c’è?-
Domandò Kate, lievemente imbarazzata da quello sguardo fisso su
di sé. Al rallentatore, Tony si tolse gli occhiali, rivelando
gli occhi sgranati per la sorpresa.
-Mi … Mi hai dato ragione!-
-Eh? Davvero?- Fece la mora, piegando la testa da una parte, non afferrando bene il concetto.
-Tu non mi dai mai ragione!- Continuò l’agente, sempre
sorpreso. Kate rimase a fissarlo imbambolata a sua volta per
qualche istante, poi scosse la testa e lo superò. Ma un lieve
sorriso le era nato sulle labbra. Era come prima. Era una cosa
temporanea, forse, ma almeno per il momento, tra loro sarebbe stato di
nuovo come prima.
-Sei incorreggibile.- Disse solo, mentre Tony si rimetteva gli occhiali, con un sorriso enorme sulle labbra.
-Questa me la devo segnare sul calendario! Davvero!- Continuando a
battibeccare tra loro, i due agenti entrarono nel negozio. Era
piuttosto piccolo, ma ben fornito e piuttosto pulito. Alla cassa, una
donna sulla cinquantina teneva d’occhio un terzetto di ragazzini,
un po’ troppo interessati al reparto alcolici.
-La signora Hopkins?- Domandò Tony. Questa si volse verso di
loro. L’agente mostrò il distintivo. -Agente speciale
Dinozzo e Todd. È lei che ha segnalato Cassidy O’Connell,
giusto?-
-Proprio io.- Rispose sorridendo la donna, che poi si rivolse ai
ragazzi. -E in quanto a voi, scordatevi ogni tipo di alcolico. Conosco
ognuna delle vostre madri! E non credo che la prenderebbero bene, se
gli dicessi cosa volevate scolarvi!- Con qualche borbottio rassegnato,
il gruppetto rivolse a malincuore la sua attenzione agli scaffali di
coca cola e aranciata. Poi, con naturalezza disarmante, la signora
Hopkins riprese la conversazione coi due agenti, che ridacchiavano di
nascosto. -Avete trovato quella piccina?-
-No, purtroppo non ancora.- Fece Kate, porgendole la foto di Cassidy,
per scrupolo. -Per questo siamo venuti da lei. Forse può darci
ancora qualche informazione … Sa, qualche particolare che ci
possa mettere sulla pista giusta, e che magari prima le è
sfuggito.- La donna scosse la testa.
-Mi dispiace. Ma non posso dirvi nulla di nuovo. Ho visto la piccola
questa mattina, quando è venuta a fare la spesa con quella
donna. Subito ho pensato che fosse sua parente, perché la
bambina non era spaventata.- Proprio allora entrò nel negozio
una signora piuttosto anziana, che salutò cordialmente la
commessa.
-Buongiorno, Marie.- Poi, notando i due agenti, aggiunse. -È successo qualcosa?-
-No, non preoccuparti, Hanne. I due agenti Todd e Dinozzo mi stavano
solo chiedendo qualcosa sulla bambina rapita. Ma io non so proprio come
aiutarli …- Spiegò la Hopkins, sospirando. Kate e Tony
salutarono l’anziana, che, dopo aver passato lo sguardo su di
loro e aver risposto al saluto, soffermò gli occhi sulla foto di
Cassidy.
-Ma io questa bambina l’ho vista!>
-Davvero? E dove?> Domandò Kate, con un tono di voce
più agitato di quanto intendesse. -Mi scusi … Volevo dire
… Sa dirmi dove e quando ha visto questa bambina?- Si corresse
la mora, calmandosi. La donna ci pensò su qualche secondo, con
la fronte corrugata.
-Non più di un’ora fa. Era con una donna. La tirava per un
braccio, e la piccola piangeva. Non so dove fossero dirette, ma la
bambina non voleva andare. Lì per lì non ci ho fatto
molto caso. Ha idea di quanti bambini facciano i capricci per strada,
con le madri?- Un sorriso carico di tenerezza si disegnò sulle
labbra dell’agente Todd, dettato all’istinto materno.
-Sa per caso dirci da che parte erano dirette?- Fece Tony, tra
l’infastidito e l’imbarazzato per l’aspetto materno
che stava prendendo la conversazione.
-Bhe, finché le ho viste io, si dirigevano in periferia …
Verso i vecchi cantieri.- I due agenti si scambiarono
un’occhiata. Sorridendo, Tony salutò le due donne, mentre
Kate lo precedeva all’uscita del negozio. Appena fuori, la mora
si lasciò andare ad un sorrisetto soddisfatto.
-Abby ha trovato tracce di materiali edilizi, giusto?- Tony annuì, entusiasta.
-E quale posto migliore di un cantiere, specie se abbandonato, per
nascondersi?- Con un rombo malaticcio, l’auto partì verso
la periferia.
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Il posto è proprio uguale a come lo ricordava. Più
spoglio, polveroso e buio, ma esattamente come quello di allora. Gli
stadi, alla fine, si assomigliano tutti. Cassidy ha smesso di gridare.
Ora piange sommessamente, tirando su col naso di tanto in tanto. Rimane
lì, ferma nell’angolo dove Amanda l’ha lasciata,
troppo spaventata per muoversi. La donna osserva il posto, estasiata.
Il luogo è quasi uguale a quello in cui il suo Johan è
morto. Un magazzino sotterraneo di un altro stadio, in un altro luogo.
Per molti giorni lei e Richard si sono rifugiati proprio lì,
preparando ogni atto dello spettacolo. Ed ora era giunto il momento di
concluderlo.
-Li senti, Cassidy? La squadra di casa sta vincendo.- Mormorò la
donna, tendendo l’orecchio per cogliere rumori e voci che solo
lei può udire. La bambina si rannicchia ancora di più nel
suo angolo.
-Voglio andare a casa …-
-Casa non c’è più, piccola, lo sai. Ora questa
è casa.- Risponde Amanda, avvicinandosi a due pile ordinate di
taniche.
-Voglio la zia Michela … Voglio la mia mamma …- La
bambina continua a piagnucolare, ignorando le parole della donna.
-NON C’È PIU‘ NESSUNA ZIA! SONO IO LA MAMMA, ORA,
IO!- Urla Amanda, in presa ad una crisi. Cassidy si rannicchia
più che può contro il muro, terrorizzata. Perché
quella donna faceva così? Perché voleva che la chiamasse
mamma? E perché la zia non si faceva sentire? Ora aveva davvero
paura …
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È stufo. Davvero stufo. Richard, l’uomo qualunque,
è stufo di stare lì. Stufo degli ospedali, e dei finti
sorrisi di medici ed infermiere. Stufo di quel bianco ossessivo, stufo
di quei medicinali, stufo di quel torpore in cui cade la sua mente ad
ogni pastiglia ingoiata. L’agente dagli occhi di ghiaccio
è venuto. Gli ha fatto delle domande. Ma lui non ha risposto.
È a causa sua, lo sa, che la bomba non è esplosa. Ed
è colpa sua, se ha deluso Lei. Ed è sempre colpa sua se
adesso non può essere al parco con la sua piccola Cassidy.
È furioso, l’uomo qualunque. Davvero. Odia il poliziotto
dagli occhi chiari, lo odia davvero. Tanto da non sentire neppure il
dolore al braccio e alla gamba. Con uno scatto rabbioso, Richard si
strappa la flebo. E con un movimento fluido, si alza in piedi. Nessun
dolore, nessuno. Lentamente, assaporando il fatto di non provare dolore
alle ferite, in preda agli antidolorifici, si dirige alla porta.
Lentamente, provocando solo un quasi inaudibile cigolio, la apre.
Ignaro, l’agente di guardia gli sta dando le spalle.
Febbrilmente, l’uomo passa lo sguardo dalla schiena
dell’agente alla pistola che tiene sul fianco. La decisione viene
presa nel giro di un istante. Lo stesso in cui con uno scatto ruba la
pistola. L’agente non fa in tempo a voltarsi, perché
Richard lo colpisce alla nuca, stordendolo. L’agente cade a
terra, svenuto, mentre l’uomo qualunque si dirige
all’uscita.
-----
-E così O’Connell non ha parlato, eh?- Sorrise amareggiato
Ducky, mentre Gibbs ingoiava un altro sorso di caffè.
-Neanche una parola.- L’umore dell’agente non era
migliorato da quando aveva lasciato Kate e Tony all’ospedale.
Anzi, se era possibile, era anche peggiorato. Non riusciva a
capacitarsi di non aver strappato a Richard alcuna informazione. altro
che uomo qualunque! Quello era un vero professionista ne tenere la
bocca cucita!
-Non dovresti prendertela così. Se ti conosco bene, e
credimi, ti conosco, riuscirai a far cantare quel tipo come un
fringuello entro stasera.- Cercò di tirarlo su il medico legale,
mentre il telefono sulla scrivania dell’ex marine cominciò
a squillare.
-Gibbs.- Rispose, per l’ennesima volta in quella giornata,
l’agente. Mentre Gibbs ascoltava la telefonata, Ducky fece per
dirigersi alla sala autopsie per controllare Palmer, ma le urla
dell‘ex marine lo bloccarono. -CHE COSA!? COME SAREBBE A DIRE?!-
Gibbs rimase ancora per qualche istante attaccato alla cornetta, prima
di gettarla con un’imprecazione.
-Oserei dire che è successo qualcosa …- Borbottò
Ducky, senza curarsi troppo di nascondere una certa ironia.
-Puoi dirlo.- Sibilò Gibbs, preparandosi per andare. -O’Connell è scappato.-
-----
È ora di uscire. L’uomo qualunque lo sa, lo sa benissimo.
E anche se vorrebbe restare ancora un po’ al riparo, sa che deve
approfittare del momento favorevole per scappare. Il cortiletto
dell’ospedale ora è vuoto. Nessun inserviente, nessun
medico in attesa di ambulanza, nessun ragazzino a fare due tiri al
solitario canestro. Di nuovo si è nascosto tra i rifiuti, e di
nuovo ha la pistola in mano. Ma questa volta la sua mano non trema,
è ferma e immobile come una statua. La sua mente però
è in fibrillazione, eccitata dalla libertà appena
recuperata, e annebbiata dai farmaci. Senza pensarci ulteriormente,
Richard esce dal suo nascondiglio, e si getta in strada. Addosso ha
solo il camice ospedaliero, ma non gli importa. I fumi degli
psicofarmaci glielo fanno ignorare. A passi incerti si dirige in
strada, quasi non udendo le grida della gente alla vista della pistola.
In pochi istanti le sirene della polizia riempiono l’aria, e
quasi senza che l’uomo qualunque se ne renda conto, le auto
l’hanno già circondato. Eppure a lui non importa. La sua
mente si sta ancora crogiolando in un senso di invulnerabilità
insensato, accentuato dalla consapevolezza di essere ferito e non
sentire alcun dolore. Da un’auto blu esce fuori un uomo dai
capelli grigi, che gli intima di fermarsi, puntandogli addosso la
pistola. L’uomo qualunque lo riconosce. Oh, sì che lo
riconosce. L’agente dagli occhi di ghiaccio. L’uomo della
marina. Quello che lo ha interrogato. Un brivido scendo lungo la
schiena di Richard. Vuole uccidere quell’uomo. Non sa esattamente
neppure lui perché, la mente troppo annebbiata, ma sa che vuole
farlo.
-O’Connell. Sei circondato. Arrenditi!- All’ordine secco
dell’agente, l’uomo ricorda. Quell’uomo vuole
portargli via la sua Cassidy. Per la seconda volta.
-No! No, è tardi … Tanto tardi …- Sbraita Richard,
muovendo a scatti la pistola sugli agenti che lo hanno circondato.
Sembrano moltiplicarsi ad ogni istante.
-Tardi per cosa, Richard?- L’uomo dagli occhi di ghiaccio lo fissa, sempre tenendo la pistola sempre puntata su di lui.
-Tardi … Cassidy … Mi aspetta … Allo stadio
… Partita … Fuochi d’artificio …- Le parole
escono sconnesse, senza una logica apparente. Ad un tratto l’uomo
qualunque non si sente più invincibile. Le ferite iniziano a
formicolare. Ed i poliziotti sono tanti, tanti. Troppi. Da dove sono
usciti? Perché ce ne sono così tanti?
-Di cosa stai parlando, O’Connell?- L’agente della marina
continua a tenerlo sotto tiro, mentre Richard comincia a perdere
totalmente il controllo.
-È tardi … I fuochi d’artificio … A Cassidy
piacciono … I fuochi … Allo stadio … Devo andare
… È l’ultimo atto.- L’uomo fa un passo
avanti. L’agente grida. Il dito pronto a premere il grilletto.
-Fermo dove sei!- Ma oramai l’uomo qualunque non lo ascolta
più. L’effetto positivo degli psicofarmaci è
arrivato al capolinea. Il senso di onnipotenza è stato ormai
rimpiazzato dall’angoscia più profonda e dal terrore puro.
Con un grido inumano, Richard punta la pistola verso l’uomo dagli
occhi di ghiaccio. L’esplosione di uno sparo. Per un momento
l’aria si congela, e il tempo sembra fermarsi. Poi il tonfo. E
Richard O’Connell, l’uomo qualunque, cade a terra. Un fiore
scarlatto sboccia sul suo petto, mentre l’agente dagli occhi di
ghiaccio tira un sospiro di sollievo.
-----
Gibbs seguì con lo sguardo gli uomini che caricavano il corpo di
Richard O’Connell sull’ambulanza. Destinazione.
L’obitorio di Ducky. Alla fine il medico legale l’aveva
indovinata. L’uomo qualunque sarebbe stato un suo paziente.
L’inconfondibile cappello del dottor Mallard troneggiava tra gli
agenti, nonostante la sua modesta statura. Lui e Jhetro avevano avuto
un breve quanto significativo scambio di parole. Ducky aveva notato un
particolare, di quelli che forse volevano dire tutto, e forse nulla. Le
dita di Richard avevano un malsano colorito giallognolo. Appena fosse
arrivato all’obitorio, Abby avrebbe avuto il suo campione da
analizzare. Con un sospiro, l’ex marine si prese una lunga
sorsata di caffè, e rivolse lo sguardo alla donna al suo fianco.
Michela Sacks non si era allontanata dall’ospedale, e aveva udito
la sparatoria. E appena realizzato quanto successo, senza una sola
parola, aveva portato un bicchiere di caffè fumante
all’agente. Sapeva tanto di ringraziamento per aver fatto fuori
l’assassino della sorella, ma a Gibbs poco importava. O meglio.
Non erano affari suoi. O’Connell aveva un buon numero di cadaveri
sulla coscienza. Uno dei quali non aveva più di dieci anni. E se
non fosse stato per il fatto che non era riuscito a farsi dire
dov’era Cassidy, non avrebbe sentito alcun tipo di rimorso. Ma
Richard era riuscito a portarsi il segreto nella tomba. E le frasi
sconnesse pronunciata prima di morire, erano un rebus. Con un sospiro,
l’agente fece per andarsene, ma Michela lo bloccò.
-La ritroverete?- Mentre pronunciava quelle parole, il guardiamarina
continuava a fissare l’ambulanza. Gibbs si passò una mano
tra i capelli. Sapeva benissimo a chi si stava riferendo.
-I miei agenti cosa le hanno detto?- La donna si volse verso di lui, gli occhi scuri lucidi e stanchi.
-Lo hanno promesso.-
-E allora lo faremo.- Sorrise l’ex marine. E detto ciò, si
allontanò, lasciando Michela Sacks persa nei suoi pensieri,
forse un po’ più ottimistici.
-----
-Sono troppi!- Esclamò Kate per la quarta volta, mentre lei e
Tony percorrevano la strada che costeggiava i vari cantieri di
periferia. L’entusiasmo che li aveva pervasi per la nuova pista,
si era già volatilizzata.
-Lo vedo benissimo anche da solo!- Sibilò Tony, mentre dava un
colpetto d’incoraggiamento al cruscotto dell’auto. Da
qualche centinaio di metri, infatti, il motore aveva iniziato ad
emettere una serie di rumori poco rassicuranti. E l’ultima cosa
che Tony voleva era restare bloccato in quel posto. Almeno prima di
trovare quello che cercavano. -Evitiamo il pessimismo, ok?- Kate
sbuffò, contrariata. Erano quasi un paio d’ore che si
muovevano da un cantiere all’altro, in cerca di qualche traccia.
Ma quasi tutti erano pieni di operai indaffarati, di cui solo un paio
avevano visto passare una donna bianca con una bimba di colore. E tutte
le indicazioni erano piuttosto vaghe.
-Evitare il pessimismo non diminuisce i cantieri da perlustrare.- I due
rimasero in silenzio per qualche istante, finché Tony non
frenò bruscamente. -Hey! Hai preso lezioni da Gibbs?!-
Ringhiò Kate, rischiando l’infarto.
-Ci sto pensando.- Sorrise sarcastico l’agente, mentre indicava
un edificio dalla parte della collega. -Ti fa venire in mente nulla?-
Nonostante le impalcature, la struttura dello stadio era inconfondibile.
-L’ultima esplosione di Smilton doveva avvenire in uno stadio
…- Ricordò Kate, memore del racconto di Tony. Questi
annuì.
-E se è vero che la Rudolph vuole seguire lo stesso piano del
marito …- Prese il cellulare, e si apprestò a chiamare
Gibbs.
-… Non avremo bisogno di controllare ogni cantiere della zona.-
Concluse Kate per lui, mentre l’edificio in costruzione
cominciava a prendere un aspetto inquietante ai suoi occhi.
-----
Una agitatissima Abby fece irruzione negli uffici, ignorando gli
sguardi curiosi dei colleghi, sorpresi per la sua presenza ai piani
alti dell’NCIS.
-Gibbs! Gibbs! Ho una notizia una notizia terribile. O almeno credo …-
-“Credi?“ Da quando “credi” che una notizia sia
terribile?- Sibilò, sorridendo tra sé divertito, semi
nascosto da un nuovo bicchiere di caffé.
-Non c’è da scherzare, Gibbs! La cosa è seria.-
Sbuffò indispettita la dark, facendo sparire il lieve sorriso
sulle labbra dell’agente. -Ducky mi ha costretto a fare delle
analisi sulla pelle delle mani di O’Connell. E ha fatto bene. Lo
sai che cosa ha provocato quell’orrido e malsano colorito
giallognolo?-
-Dimmelo tu …- Sospirò, esasperato Gibbs.
-Le sostanze chimiche usate per i vari ordigni. Probabilmente il nostro
amico non ha usato molte protezioni per le mani. Ma la parte, peggiore
o migliore che si voglia dire, viene qui.- L’occhiata fulminante
dell’agente fece continuare la scienziata senza ulteriori pause.
-Per arrivare ad un tale stato di intossicazione, il nostro uomo deve
aver maneggiato una quantità molto maggiore di quelle sostanze,
rispetto a quelle usate negli ordigni passati. Quindi …-
-Quindi?- Gibbs non aveva bisogno di fare la domanda. Aveva già
capito. Ma la forza dell’abitudine è dura a morire.
-Quindi in giro c’è un ordigno composto da qualcosa
come il doppio dell’esplosivo usato per tutte le altre bombe
messe insieme.- Un brutto colpo. Davvero. Mentre era perso nei suoi
pensieri, il cellulare di Gibbs suonò. Reprimendo la voglia di
gettare l’apparecchio nel bicchiere di caffé,
l’agente rispose.
-Gibbs.- La voce di Tony arrivò, troppo allegra per la situazione.
-Abbiamo delle novità, capo …-
-Spero che siano migliori di quelle che abbiamo qui.- Sospirò
l’ex marine, rinunciando alla solita lavata di capo ai danni del
suo agente. Non era davvero il momento. Non dopo la notizia datagli da
Abby.
-Cos’è successo?- Domandò curioso Tony.
-O’Connell è morto. Mentre cercava di scappare.- Rispose
Gibbs. Dall’altro capo del cellulare vi fu un momento di
silenzio. Decisamente Tony non si aspettava una notizia simile. -Mi
senti, Dinozzo?- Ringhiò Gibbs, scocciato.
-Sì, capo, certo!- Si affrettò a rispondere l’agente.
-Allora, vuoi dirmi le novità che avete tu e l’agente Todd?-
-Bhe, sì capo. Una donna ha visto Cassidy e la Rudolph andare
verso la periferia. Pensiamo che si siano nascoste in qualcuno dei
cantieri abbandonati.-
-Come cercare un ago in un pagliaio, Dinozzo.- Sibilò Gibbs, impaziente.
-Sì, capo, lo sappiamo. Ma io e Kate pensiamo …-
-“Pensate”, Dinozzo?- Il ringhio seccato dell’agente fece rabbrividire Tony, che cercò di redimersi.
-… Siamo sicuri che siano in uno stadio, capo. La Rudolph sta
seguendo lo schema di cinque anni fa, e Smilton tentò la sua
ultima prodezza proprio durante una partita.-
-In quale, Dinozzo!? Ci sono almeno una decina di stadi, per gli sport più diversi, e solo in questa zona!-
-la Rudolph era a piedi, e con una bambina piccola a traino non può essere andata molto lontano. E …-
-“E …” Cosa, Dinozzo? Non abbiamo tutta la
giornata!- L’impazienza fece quasi gridare Jhetro, al colmo
dell’irritazione. Una volta o l’altra avrebbe dato una
bella scrollata al suo agente …
-E io e Kate abbiamo trovato uno stadio ancora in costruzione. Sembra
che i lavori siano abbandonati … Chiedo il permesso di entrare
in azione.- Si affrettò a rispondere Tony, conscio di aver
tirato troppo la corda.
-Assolutamente no! Aspettate la squadra speciale.- Ordinò
l’ex marine. Poi aggiunse. -Intervenite solo se la situazione
precipita.- E chiuse la chiamata.
-Fine capitolo 9-
Ebbene sì, vi lascio un pò con il fiato sospeso. Al
più presto invierò gli ultimi due capitoli, ma se nel
frattempo qualcuno mi mandasse una recensioncina, anche solo per
consigliarmi di darmi al punto croce, mi farebbe sapere. Ciao!
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Capitolo 10 *** La fine non arriva mai ***
explosion10
Il titolo di questo capito è motivato anche dal fatto che
doveva, originariamente, essere l'ultimo di questa fic. Ma mi veniva
troppo lungo, così ne ho fatto un altro. Buona lettura, e, per
favore, mandatemi qualche commento! oppure non vi metto il finale
...(ebbene sì, so essere così cattiva.)
EXPLOSION
-Capitolo 10-
La fine non arriva mai.
-Ma quanto ci mettono ad arrivare quegli idioti della squadra speciale? Saranno tre ore che li aspettiamo!-
-Sono passati solo venticinque minuti, Tony.- Borbottò Kate,
esasperata dall’impazienza del collega. Ma non se la sentiva di
contraddirlo del tutto. Anche lei cominciava ad essere stufa di
aspettare. Il pensiero che la piccola Cassidy fosse da sola con la
Rudolph non le piaceva per niente. Quella donna era malata, e non si
faceva scrupoli. Se davvero era lei la mente di quella scia di bombe,
aveva già provocato la morte di cinque persone. Senza contare le
vite distrutte dei familiari. Per prima Pam e suo padre. Tony
sbuffò dal suo posto, inquieto. Lo sguardo che passava
nervosamente dalle proprie dita tamburellanti sul volante
dell’auto, al massiccio edificio in costruzione.
-Io entro.- Disse all’improvviso, facendo scattare come una molla Kate.
-Scordatelo! Gibbs ha detto …-
-Di non intervenire. Lo so. C‘ero io al telefono.- La interruppe
l’agente, continuando a guardare fuori dal finestrino.
-Benissimo. Allora sai che non puoi farlo.- Concluse Kate, palesemente
soddisfatta di aver ragione. Tony grugnì in risposta, seccato e
amareggiato per quella situazione di stallo.
-A meno che la situazione non precipiti, però.- La mora non
ribattè. Sperava che la situazione non dovesse affatto
precipitare. Anzi, perché, giusto per cambiare un po’, le
cose non si risolvevano tranquillamente, magari con la resa del
cattivone di turno, senza sparatorie e varie? Un sogno ben lungi
dall‘avverarsi. Alcune grida, seppur lievi, ma non abbastanza da
non essere udite, arrivarono alle orecchie dei due agenti. Questi
scattarono subito fuori dall’auto.
-È la bambina!- Esclamò Kate, riconoscendo un pianto
infantile. Tony tirò fuori la pistola e tolse la sicura.
-Direi che la situazione adesso è precipitata!-
-Avverto Gibbs!- Annuì la donna, portandosi il cellulare all’orecchio.
-----
-Abby, sto bene. Davvero!- Esclamò McGee, esasperato. Anche se
gli facevano indubbiamente piacere, le attenzioni della dark
cominciavano ad essere soffocanti. E sì che con le analisi al
laboratorio, il tempo a sua disposizione non era molto!
-Lo dici davvero? O lo dici solo per non farmi preoccupare? Lo sai che
lo capisco, quando una persona non vuole farmi preoccupare …-
-Abby, cos’è questo suono?- A causa della sua stessa
parlantina, la scienziata non si era accorta dello squillare impaziente
di un cellulare. Rapida, individuò l’apparecchio in mezzo
alle varie apparecchiature del laboratorio, e ne riconobbe subito il
proprietario.
-È di Gibbs! Deve averlo dimenticato …-
-E chi lo chiama?- Domandò, non senza una punta di
curiosità Tim, che si avvicinò ad Abby per sbirciare il
display.
-Kate. Che dici, rispondo?- McGee annuì, e la dark si portò il cellulare all’orecchio. -Pronto?-
-Pronto? Gibbs?- La voce dall’altro capo dell’apparecchio
era interrogativa. Certo che Gibbs aveva una voce davvero strana, al
telefono. Quasi femminile …
-Spiacente, l’agente Gibbs non c’è. Dovrai accontentarti della sua segretaria.-
-Abby? Che … No. Aspetta, lasciami indovinare. Gibbs ha dimenticato il cellulare, vero?-
-Indovinato.- Annuì la scienziata, divertita dalla voce esasperata dell’amica.
-Accidenti! Proprio adesso … Oh, al diavolo! Abby, avverti la squadra speciale che noi entriamo nell’edificio!-
-Come … Cosa … Ah, maledizione!- Kate aveva chiuso la
chiamata all’improvviso, senza date modo a Abby di domandare
spiegazioni.
-Allora?- Domandò McGee, che aveva capito poco, se non nulla
della conversazione telefonica tra le due donne. Abby scosse la testa,
preoccupata.
-Non ho capito tanto bene … Ma credo che Tony e Kate si stiano ficcando in un bel guaio.-
-----
Maledizione! Ma come diavolo aveva potuto? Come aveva fatto a lasciare
il cellulare da Abby? E sì che era una delle sue innumerevoli
regole! Le famose regole di Jhetro Gibbs. “Essere sempre
rintracciabili”. Accidenti! E pensare che non era neppure
l’anniversario … Uno dei tanti, comunque. Per una volta
non era lui a guidare, ma uno dei ragazzi della squadra speciale.
Indossato un giubbotto antiproiettile, si era imbarcato sul furgone con
gli altri agenti, e adesso rimpiangeva di non essere alla guida. Dal
suo punto di vista, infatti, l’autista era decisamente
troppo, troppo lento. E mancavano ancora quattro isolati, prima
di arrivare dove si trovavano Kate e Tony. Un brivido gli corse lungo
la schiena, mentre il furgone prendeva una buca un po’ troppo
profonda. Un brutto presentimento si fece strada, torcendogli
leggermente lo stomaco. Sensazione che da un po’ l’agente
non provava. Preoccupazione. Sì, assurda, immotivata
preoccupazione. Perché i suoi agenti non avrebbero mai
disobbedito ad un suo ordine. Tony forse sì, ma con Kate alle
calcagna non avrebbe mai osato. E quindi non avrebbero combinato nulla
di rischioso. O no?
-----
Amanda è spazientita. Cassidy ha cominciato a piagnucolare,
presa dalla confusione e dalla paura che tutti gli ultimi avvenimenti
le hanno provocato. Ma adesso lei non lo può più
sopportare. Non più. No davvero. Perché è arrivata
alla fine del percorso, nonostante tutto. L’ultimo atto. Quello
che non era mai andato in scena. E il piagnucolio della bambina le sta
trapanando la mente, agitandola. Lei, sempre così fredda,
calcolatrice, astuta. E crudele. Lei, che la vita l’ha privato di
ogni sorta di sentimenti, non riesce a resistere al pianto di una
bambina.
-Smettila. Smettila. SMETTILA!!!- Grida. E Cassidy si ferma. Ma le
lacrime continuano a scenderle dagli occhi, mentre soffoca i
singhiozzi. La donna si passa una mano sul volto. È assurdo,
davvero tutto assurdo … Un momento di lucidità. Uno solo.
Per rendersi conto dell’assurdità del suo gesto. Di tutte
le sue azioni. Ma il volto di Johan, il suo Johan, le danza
davanti agli occhi, reale e tangibile, come il muro a cui si appoggia.
E lei lo sente. Lei deve farlo. Deve. Non c’è un
perché. Non c’è mai stato. È solo il suo
dovere. Come lo era di Johan. Ora non c’è più adito
a dubbio. I rumori della partita, forse di football, ritornano nella
sua mente, inaudibili per Cassidy. Manca poco, ormai.
-----
Kate lanciò un’occhiata a Tony. Questi rispose con un
cenno. E Kate sapeva già cosa fare. Pistola in pugno, sensi
all’erta, i due agenti entrarono nell’edificio. Rapidi, si
divisero. Quello che doveva essere l’ingresso principale dello
stadio, era un susseguirsi di pilastri, in mezzo ad un grande salone
semicircolare, da cui si diramavano i vari corridoi per le tribune.
Tutto era assolutamente spoglio, tranne le casse di mattoni e materiali
da costruzione abbandonati. Tony richiamò un momento su di
sé l’attenzione di Kate, che gli si avvicinò, pur
continuando a scrutare la stanza. Era più forte di lei. Non
riusciva a togliersi dalla mente che Amanda Rudolph potesse sbucare
all’improvvisa da dietro un pilastro. Magari con una bella
pistola in mano.
-Allora che c’è?- Domandò Kate seccata, con un filo di voce.
-Ci sono solo due corridoi che portano al piano sotterraneo
dell’edificio.- Spiegò Tony, indicando due dei corridoi
minori. Kate guardò nella direzione che gli stava indicando il
collega.
-Ma come fai a saperlo?-
-Basta guardare in alto.- Sorrise l’agente, indicando la mappa
della stadio, che capeggiava su una parete spoglia. Uno dei pochi
oggetti superstiti ai vandali. Kate cercò di reprimere
l’istinto di usare la pistola sul suo compagno. La stava
prendendo in giro! Erano appena entrati in un edificio abbandonato,
dove una pericolosa criminale malata di mente, che poteva trovarsi
ovunque, teneva in ostaggio una ragazzina spaventata, e per giunta
erano anche entrati senza un mandato. E lui la prendeva in giro!
-E come fai a sapere che saranno nei sotterranei?- Sibilò la donna, piccata.
-Perché a suo tempo Smilton si era nascosto nei sotterranei.-
Kate inghiottì il rospo. Aveva scordato che Tony aveva avuto a
che fare con Smilton.
-Allora andiamo.- Tony annuì. Poi indicò a Kate
l’entrata destra. Non c’era bisogno di altri scambi di
parole. Si sarebbero divisi. Per poi ricongiungersi alla fine dei
corridoi, che portavano ad un unico salone, da cui si accedeva ai
magazzini sotterranei. Un lampo d’incertezza passò sul
volto dell’agente. Il ricordo dell’appartamento numero otto
ancora fisso nella mente. Kate se accorse. Con un sorriso cercò
di rassicurarlo, per poi sparire nel corridoio. Tony si attardò
a guardarla, poi si avviò per la sua strada. “E che Dio ce
la mandi buona …” Pensò, stringendo più
forte la pistola.
---
La voglia di uccidere lo stava assalendo. Sì, Leroy Jhetro Gibbs
stava davvero per uccidere qualcuno. E non solo per modo di dire. Fece
uno sforzo per non mettere mano alla pistola, mentre il coro di clacson
attorno lo assordavano. Il furgone della squadra speciale era rimasto
imbottigliato nel traffico.
-Allora vogliamo muoverci?- Ringhiò seccato l’agente, rivolgendosi al caposquadra, alla guida del mezzo.
-Siamo bloccati.-
-Questo lo vedo anch’io!-
-Allora non mi scocci!- Ribatté l’uomo, innervosito.
-Se aveste lasciato guidare me …- Sibilò Gibbs, con tono
insinuate. Il guidatore gli lanciò un’occhiataccia, che
nemmeno scalfì di striscio l’ex marine.
-Ce lo ha già detto! Ma il regolamento è questo. Lei in
questa operazione è solo un ospite.- Ma Gibbs aveva già
smesso di ascoltarlo, e fissava ansioso il mare di auto che
circondavano il furgone. Era stramaledettamente preoccupato, ed ogni
minuto perso poteva costare caro a Cassidy. Senza contare che, se
conosceva bene i suoi uomini, non avrebbero avuto ancora molta
pazienza, e sarebbero entrati in azione. Già, perché
oramai ne era certo. Né Kate né tantomeno Tony avrebbero
potuto aspettare tanto l’arrivo della squadra speciale. Non con
una bambina in pericolo. Dopotutto, anche lui si sarebbe gettato. Con
un sospiro, si lasciò cadere sul suo posto. Forse avrebbe dovuto
aggiungere una nuova regola. “Mai fare ciò che farebbe
Jhetro Gibbs, a meno che tu non sia Jhetro Gibbs“.
-----
Kate avanzava piano tra i pilastri, la pistola pronta a sparare al
primo segno di pericolo. Era tesa, molto tesa. Il cuore le batteva
furioso nel petto, mentre sentiva il sangue pompargli alla testa. Le
orecchie tese al massimo. Un grido imprigionato in gola, tanto era
forte la sua paura. Si sentiva spiata. E questo la spaventava. Si era
divisa da Tony da pochi minuti, e già ne sentiva la mancanza. In
due, ci si può guardare le spalle a vicenda. Ma da soli si
è due volte più vulnerabili. Aveva avuto più volte
la tentazione di lasciar perdere l’esplorazione del corridoio e
schizzare al salone dove si sarebbe riunita al collega. Ma sarebbe
stato inutile. Doveva esplorare il corridoio, per stanare la Rudolph.
Per un momento le venne da sorridere. Se Tony avesse anche solo
lontanamente immaginato il suo stato d’ansia, probabilmente
l’avrebbe presa in giro da lì all’eternità.
Stranamente, quel pensiero la rincuorò. Già,
perché qualunque pazzo psicopatico in agguato in un corridoio
buio e pieno di nascondigli, era di sicuro meglio della costante presa
in giro da parte del collega. Ma proprio quando il suo cuore
sembrò riprendere a battere normalmente, un rumore attirò
la sua attenzione. Passi. Rapidi, durati una frazione di secondo. Ma
quel tanto che basta per mettere la donna in allerta. Kate riprese a
puntare la pistola nei punti più bui del corridoio,
l’adrenalina in circolo, il respiro accelerato. Tese
l’orecchio, attenta ad ogni altro segno di vita. Cosa non avrebbe
dato perché apparisse Tony, e tutto fosse stato uno scherzo
idiota! Certo, poi avrebbe ucciso Tony, ma almeno tutto si sarebbe
risolto … Un altro fruscio silenzioso. Kate si girò. Ma
davanti ebbe solo il buio. E un liso pezzo di carta caduto dal muro.
Non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che qualcosa di duro
la colpì in testa. Cadde a terra, accecata dal dolore. Poteva
sentire il sangue che colava dal punto in cui era stata colpita.
C’era cascata come una pivella alle prime armi. Neppure McGee
avrebbe potuto fare peggio. Prima di perdere i sensi, sentì due
braccia esili trascinarla via. Poi più nulla.
-----
Con un sospiro di pura felicità, Tony arrivò alla fine
del suo corridoio. Un ampio spazio semicircolare piuttosto illuminato,
in quanto mancava il tetto. Con una punta di disappunto, però,
non trovò Kate. Secondo i suoi calcoli, infatti, la collega
avrebbe dovuto metterci più o meno la sua stessa quantità
di tempo. Si impose di scacciare quel lieve senso di preoccupazione che
aveva cominciato ad infastidirlo. Era solo stata più accurata di
lui. In breve sarebbe uscita anche lei. L’agente si
appoggiò ad una parete, in attesa. I sensi tesi, pronti a
captare i passi della collega. Ma dopo alcuni minuti, la preoccupazione
fece nuovamente capolino, alimentata da un ritardo ed un silenzio
ingiustificabili. Imponendosi una calma che non si sentiva affatto
addosso, Tony si inoltrò nel corridoio da dove sarebbe dovuta
uscire Kate. Mentre scivolava tra le ombre, continuava a sperare in un
colpo di pistola, un grido, un qualunque segno di vita da parte della
patner. Serrò la mascella, mentre ancora una volta la voce di
Gibbs lo sgridava:
“Sei tu l’agente più anziano. La vita di ogni altro
membro dell’NCIS che si trova con te fuori dal dipartimento,
è sotto la tua responsabilità. Specialmente se io non ci
sono!”
Una bella responsabilità, capo … Pensò tra
sé e sé l’agente, mentre il ricordo della
conversazione sostenuta di ritorno dall’appartamento della
Rudolph lo faceva ancora tremare. Erano ancora tesi per la discussione
avvenuta meno di due ore prima, quando Gibbs aveva deciso di farglielo
sapere. Aveva scelto l’agente che avrebbe preso il suo posto in
caso di una sua assenza. Tony dava già per scontato che il
predestinato fosse Kate. Era vero che lui era l’agente più
anziano, ma era convinto che il suo carattere e le sue maniere poco
ortodosse lo avessero automaticamente eliminato. E invece no. Gibbs,
andando contro ogni giudizio del suo capo, aveva scelto proprio lui.
Tanta fiducia era un vero onore, ma anche un’enorme
responsabilità. E adesso ne sentiva tutto il peso sulle spalle.
Nel giro di ventiquattrore aveva già rischiato di fare esplodere
sé stesso e Kate, McGee era stato ferito, ed ora Kate non si
trovava. Gran bel capo che era, davvero … Era già un
po’ che percorreva a ritroso il corridoio, ma ancora non aveva
trovato traccia della collega. Finché, ad un tratto, non
notò una figura distesa sul pavimento. Il cuore perse più
di un battito, mentre la riconosceva.
-KATE!!!- Mandando al diavolo ogni precauzione, corse verso la mora,
pregando che non fosse ciò che sembrava. Le prese il volto tra
le mani, mentre, trepidante, cercava di sentire se respirava. Era
pallida, ed un rivoletto di sangue le scendeva dalla tempia. Con mano
malferma, l’agente cominciò a tastare il cuoio capelluto
della collega, alla ricerca della ferita. Nell’incoscienza, Kate
emise un gemito quando la mano di Tony le sfiorò il punto in cui
era stata colpita. L’uomo si lasciò andare ad un sospiro
di gioia. Quella piccola manifestazione di fastidio gli parve il
più bel suono del mondo. Kate era viva! Ammaccata, incosciente,
ma viva! La gioia della scoperta durò poco. Il tempo di
accorgersi che la pistola di Kate era scomparsa. Tony si
irrigidì quando sentì il freddo contatto della canna di
una pistola sulla nuca. Ma il vero terrore venne quando la gelida voce
di donna gli sussurrò all’orecchio.
-Non ti muovere, “agente” …-
-----
-Allora, Abby, novità? Sei riuscita a contattare Jhetro?-
-No, Ducky, non ancora.- Sospirò la dark sconsolata. Erano
già parecchi minuti che lei e McGee tentavano, senza successo,
di mettersi in contatto con il furgone della squadra speciale.
-Non è che forse sono già sul posto?- Ipotizzò Palmer, che era salito al laboratorio con il medico legale.
-Se così fosse, avrebbero le ricetrasmittenti accese per
collegarsi al quartier generale!- Ringhiò McGee, nervoso. Il
braccio gli faceva un male cane, e battere sulla tastiera alla sua
solita velocità con un braccio solo gli era impossibile. E il
silenzio di Gibbs non lo aiutava di certo. Sommato al fatto che forse
Kate e Tony erano nei guai, bhe il cocktail era quantomeno esplosivo.
Se non fossero riusciti a contattare la squadra speciale prima
dell’irruzione, i due agenti avrebbero potuto rimanere coinvolti.
Con un sospiro, Tim si massaggiò la spalla. Stava cercando i
numeri di cellulare dei partecipanti alla missione, per riuscire a
contattare Gibbs. E per farlo stava violando non sapeva quante leggi
sulla privaci e sulla sicurezza, ma quella era una situazione
d’emergenza. Una mano calda gli si appoggiò sul braccio,
facendolo sobbalzare. Abby sorrise, intenerita. McGee era così
nervoso che era bastato il suo tocco per farlo scattare.
-Ti do una mano.- L’agente annuì, ben felice della proposta.
-Bene. Ho proprio bisogno della tua mano, Abby.- La dark si
posizionò alle spalle dell’agente, e in perfetta
sincronia, cominciarono a lavorare alla tastiera.
-----
Buio. Tutto era buio. Doveva essere notte. Ma dov’era? Non a casa
sua, se lo sentiva … Una fitta alla testa la fece rinvenire del
tutto. Mentre le ondate di dolore si attenuavano, i ricordi vennero
piano piano a galla. Il caso, le domanda alla donna del minimarket, lo
stadio in costruzione abbandonato, il corridoio buio … Con un
borbottio incomprensibile tirò tu il capo, e cercò di
aprire gli occhi. Ma subito li richiuse. Troppa luce.
-Ben svegliata Kate … Cominciavo a credere che fossi andata in
letargo …- Una voce conosciuta veniva dalle sue spalle.
-Ma che … Tony?-
-No, suo fratello …- Sogghignò l’agente.
-Tu non hai fratelli, Tony …- Borbottò la donna. Era
ancora talmente intontita da non riuscire a cogliere l’ironia del
collega. Cominciò a concentrarsi su sé stessa. Con
stupore si accorse di essere seduta su qualcosa. Una scatola, forse. Ed
era appoggiata a qualcosa di caldo … Cercò istintivamente
di portarsi una mano agli occhi, ma non ci riuscì. Con orrore si
rese conto che era legata con le mani dietro la schiena. Finalmente
riuscì ad aprire gli occhi. E ciò che scoprì non
le piacque per niente. Era legata schiena contro schiena a Tony, seduta
su alcune casse. Come c’era finta in quella posizione? Non che le
dispiacesse, ma … Non era esattamente il momento opportuno. Con
uno sforzo cercò di voltarsi verso il collega, ma un giramento
la fece rinunciare. -Che è successo, Tony?-
-Che ci siamo fatti entrambi fregare come dei pivelli.- Rispose questi con tono sarcastico, ma privo di allegria.
-Ah …- Adesso Kate ricordava. Il lieve rumore di passi, il buio, il colpo alla testa. -Chi ci ha legati?-
-Prova ad indovinare …- La risposta all’interrogativo
della mora arrivò subito. Silenziosa come un fantasma, fece il
suo ingresso Amanda Rudolph, i grandi occhi grigi incastonati in un
volto magrissimo, come il corpo. I sottili capelli castani raccolti in
una coda. Una volta doveva essere stata una donna davvero bellissima,
ma adesso sembrava che il suo corpo manifestasse il dolore provato
dalla sua anima in quegli anni. Kate notò che in mano teneva la
sua pistola e quella del suo patner. Ignorando la donna, Amanda si
inginocchiò davanti a Tony, in modo da essere sullo stesso piano
visivo.
-Io ti conosco.- Solo tre parole. Che sapevano di condanna. Tony resse
lo sguardo freddo della donna. -Tu mi hai fatto uscire dallo sgabuzzino
…- Per tutta risposta l’uomo annuì. Allora Amanda
alzò una mano sottile per accarezzargli il volto. Tony
rabbrividì a quel contatto. La mano della donna era fredda
quanto il suo sguardo. Sentì la schiena di Kate irrigidirsi
contro la sua. Non poteva sapere del feroce attacco di gelosia tutta
femminile che stava facendo esplodere la collega …
Probabilmente, se avesse visto il suo volto ne sarebbe rimasto
terrorizzato. In confronto, Gibbs quando gli versavano il caffé
era quasi sereno. La Rudolph riprese a parlare. Un sibilo rabbioso.
-… Ma hai anche ucciso il mio Jo!- Con uno scatto, la donna
puntò una delle due pistole alla fronte dell’agente.
-----
-Un’ora. UN’ORA ESATTA DI RITARDO! Ma che razza di squadra
è la sua ?! I miei uomini saranno intervenuti già da
chissà quanto!- Le urla di Gibbs erano bene udibili anche dalle
persone al di fuori del mezzo, oramai a meno di un isolato dallo stadio
abbandonato. L’autista tentò timidamente di scusarsi.
-Mi dispiace agente Gibbs …-
-Le dispiacerà molto di più se è successo qualcosa
ad uno dei miei agenti!- Ringhiò furioso Jhetro, con un tono che
sapeva di minaccia. Il capo della squadra speciale decise di lasciar
perdere. Una volta arrivati in vista dell’edificio, fece scendere
la sua squadra. Il piano era il solito: accerchiare lo stadio ed
entrare con le armi in pugno. Il tempo degli ultimi accorgimenti ai
ragazzi, e di avvertire il quartier generale. Non appena accese la
ricetrasmittente però, si trovò a ricevere una chiamata,
del tutto inaspettata. Stupito, l’uomo rispose. Una concitata
voce femminile quasi gli forò i timpani.
-SIIIII’!!!MCGEE CI SIAMO RIUSCITI!!!-
-P … Pronto … Ma chi parla?!-
-Abby, non urlare … Ehm, chiedo scusa … Agente speciale McGee, signore …-
-E che accidenti vuole?! Siamo nel bel mezzo di un’operazione,
agente … E lei non dovrebbe essere in contatto con me! Sta
infrangendo il regolamento!- Passato il primo momento di sorpresa,
l’uomo aveva reagito, furioso.
-Ehm … Sì … Lo so … Ma vede, dovrei parlare
con il mio capo, sa, l’agente speciale Gibbs … È
lì, vero?- Il caposquadra emise un gemito esasperato.
-Certo che è qui. E mi sta terrorizzando la squadra …-
-Allora è proprio Gibbs …- Intervenne di nuovo la voce femminile, subito zittita dall’agente McGee.
-Ecco, vede, noi dovremmo parlare con lui …-
-Non sono un centralinista, “agente”, quindi adesso butti
subito giù questa conversazione, altrimenti …-
-Altrimenti, cosa, agente?- Ringhiò Gibbs, che aveva
riconosciuto, nonostante il gracchiare della ricetrasmittente la voce
dei suoi uomini. Davanti all’ex marine, l’uomo
borbottò qualcosa di indefinibile, e lanciò
l’apparecchio all’agente, che se la portò
all’orecchio. -Gibbs.- Subito la voce di Abby lo raggiunse,
eccitata come una bambina.
-GIBBS! Ah, meno male! Oramai disperavamo a contattarti!-
-Perché? È successo qualcosa?-
-Hai dimenticato il cellulare in laboratorio, capo … E Kate ti
ha chiamato.- Rispose McGee. Un orrido presentimento si fece strada
nella mente di Jhetro.
-E cosa ti ha detto?-
-Ehm … Ecco … Che lei e Tony entravano.- Gibbs rimase in silenzio per qualche istante.
-CHE COSA!?!?!?- Tutti gli uomini della squadra speciale si voltarono
verso l’agente. Gibbs rimase ancora per qualche istante alla
ricetrasmittente, dopodichè chiuse la conversazione e si rivolse
al caposquadra, che lo fissava con aria rassegnata. -I miei uomini sono
dentro.- L’uomo roteò gli occhi. Decisamente avrebbe fatto
meglio a non uscire di casa, quel giorno.
-Avanti, ragazzi, si cambia strategia.-
-----
Non osava muoversi. La canna della pistola ben premuta sulla fronte.
Kate, dietro di lui, tremava. Eppure tutta la sua attenzione era
assorbita dal dito di Amanda sul grilletto. Lentamente, lo stava
premendo. Tony deglutì. Solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo
… E avvenne. Un tonfo improvviso attirò
l’attenzione della Rudolph, facendole togliere la pistola dalla
testa di Tony. Dalla sua posizione, Kate riuscì a vedere di cosa
si trattava. Seminascosta in un angolo buio, Cassidy aveva fatto cadere
alcune piccole casse. Nel vedere la pistola abbassata, l’uomo
tirò un rumoroso sospiro di sollievo. Non aveva mai provato una
paura simile. In un impeto di rabbia, Amanda colpì
l’agente con il calcio della pistola. Tony non riuscì a
trattenere un gemito di dolore. La donna parve compiaciuta, e si
apprestò a rivolgere la sua attenzione a Cassidy. Con un
ringhio, si avvicinò alla bambina, ed ignorandone i singhiozzi
terrorizzati, la trascinò lontano dai due agenti.
-Ti ho già detto un sacco di volte che non devi muoverti!-
Tuonò la donna, inferocita. La bambina si fece piccola piccola,
gli occhi pieni di lacrime e paura. Sparirono dalla visuale dei due
agenti, ma il rumore di una porta che si apriva e poi si chiudeva, fece
capire che erano uscite. Kate sentì la rabbia bollirgli dentro.
Come poteva quella donna trattare così una bambina? Serrò
più che potè la mascella, nel tentativo di recuperare
lucidità. Un mugolio alle sue spalle la distasse.
-Tutto bene, Tony?- Cercò di mantenere la voce bassa.
-… Mi ha spaccato la faccia …- Grugnì l’agente, provocando il sorriso della mora.
-Strano, dovresti esserci abituato ad essere preso a botte dalle donne …-
-Non è divertente …- Borbottò Tony, cominciando a
muoversi per mettersi di fianco alla collega. Quando Kate riuscì
a vederlo in viso per poco non si spaventò: la Rudolph lo aveva
colpito appena sotto all’occhio, ferendogli lo zigomo, dal quale
stava uscendo del sangue.
-Dio, Tony! Sembri uscito da uno dei film horror di Abby!-
-… Ha parlato quella a cui sembrava avessero spaccato la testa
… Ah, già, dimenticavo. Hai la testa troppo dura
perché qualcuno ci riesca …-
-Spiritoso!- Sibilò Kate, facendo una smorfia. Poi
continuò. -Dai, dobbiamo trovare il modo per liberarci …-
-Ci vorrebbe un coltello …- Borbottò l’uomo, tentando inutilmente di forzare le corde.
-Un coltello! Come ho fatto a non pensarci prima?! Tony aiutami.- Senza
dare il tempo di chiedere spiegazioni al collega, la mora
cominciò a tirarsi su la gonna. Teneva sempre un coltello legato
a metà coscia, per i casi d’emergenza. Certo tirare su
quei pochi centimetri di stoffa non era semplice, senza mani, e con uno
sguardo assatanato “alla Tony” addosso, ma, movimento di
qua, strusciatina di là, riuscì nell’impresa.
-Fatto! Adesso, Tony, prendi il coltello …-
-Lo farei, ma …-
-“Ma”, cosa, Tony? Non sarai diventato tutto ad un tratto
così pudico da non volermi toccare una gamba, vero? Vedi di
prendere quel coltello, e se provi a far andare la mano più su
di quel che dovresti, sappi che taglierò prima te delle corde!-
Sbuffando offeso, l’agente passò un dito sulla gamba di
Kate, percorrendone la lunghezza della coscia. La donna saltò
dalla scatola. -MA CHE CAVOLO FAI?!-
-Ma non dirmi che non te ne sei accorta! Allora hai preso proprio un
brutto colpo …- Kate riportò lo sguardo sulla sua gamba.
-Ma che … Il coltello non c’è più!
Perché non me l’hai detto prima?!- Tony le
indirizzò un sorriso bastardo dentro.
-Primo: perché non me ne hai lasciato il tempo … Secondo:
perché quando mi ricapita di vederti tirare su la gonna a quel
modo?- Kate avrebbe voluto spaccare quella faccia irradiante malizia da
ogni poro. Peccato che ci avesse già pensato la Rudolph …
Un brivido le percorse la schiena, al pensiero di quanto quella donna
fosse stata vicina a sparare a Tony. Se non fosse stato per la bambina,
l’agente Dinozzo sarebbe andato a far compagnia a santi e
cherubini.
-Benissimo. E adesso, cosa proponi di fare, genio?-
-Allora … Non so ancora infilarmi in una lampada, ma se tu riuscissi a slacciarmi la cintura …-
-DINOZZO!!!- Esplose kate, paonazza. -TI SEMBRA IL MOMENTO?!- Tony
continuò tranquillamente, ignorando l’indignazione della
patner.
-… Potrei prendere la lama che c’ho nascosto nella fodera. Ma che hai pensato, Kate?-
-… Lasciamo perdere …- Mormorò con un fil di voce
la donna, esasperata. Il viso coloro porpora, fece sorridere
maliziosamente Tony.
-----
Con un forte cigolio la porta si apre, facendo uscire dalla
stanza Amanda e Cassidy. La donna è furiosa. C’era andata
vicina, così vicina … Era quasi riuscita uccidere
l’agente. L’uomo che le aveva portato via il suo Jo
… Ma il trambusto provocato dalla bambina l’aveva
distratta, togliendole l’ebbrezza dell’omicidio. Ora non
sarebbe più riuscita ad uccidere l’agente. Non più
così, a sangue freddo, con calma, come merita la pena sofferta
in quegli anni per la sua perdita. Cassidy continua a piangere, in
silenzio. Gli occhi scuri gonfi per le numerose lacrime versate. Ma
Amanda non sembra farvi caso. Si avvicinano ad una cassa. La donna
dà un’occhiata al contenuto. Un ordigno, costituito da due
bottiglie e un detonatore, da cui parte un filo, che percorre
l’intero corridoio. La Rudolph continua a camminare seguendo il
filo, finché non arriva ad una stanza. È praticamente
spoglia. Un tavolo sgangherato ed alcune apparecchiature di vetro sono
il solo arredamento, oltre ad una pila di casse, che troneggia in mezzo
all‘ambiente. Da ognuna parte un filo conduttore, che va a
collegarsi ad un apparecchio elettronico. Un piccolo display con la
cifra 10.00 attende solo di essere attivato.
-----
-Liberi!!!- Esultò Kate, strofinandosi i polsi. In qualche modo
il piano di Tony aveva avuto buon esito, ed erano riusciti a liberarsi.
-Non cantare vittoria …- La ammonì l’uomo, mentre
si asciugava dalla guancia il sangue uscito dall’escoriazione
allo zigomo. -Abbiamo ancora una pazza psicopatica da arrestare
… Da soli.- Fantastico. Davvero fantastico. Nel preciso istante
in cui stava cominciando a sentirsi più ottimista, ecco che Tony
riusciva a farla precipitare nella più schifosa delle
prospettive. Kate stava per dirlo al collega, ma un rumore di passi la
zittì. Si scambiò un’ occhiata con Tony. Quando la
posta si aprì, Amanda trovò i due agenti esattamente come
li aveva lasciati. Immobilizzati sulle casse, in attesa della sua
decisione. Non era sola. La bambina era con lei. Kate trattenne un
sospiro di sollievo. La piccolina stava bene. Per quanto si possa star
bene alla mercè di un’assassina. Aveva ancora gli occhi
gonfi, ma aveva smesso di piangere.
-Come sta Cassidy?- Domandò comunque. La donna la guardò appena, mentre rispondeva per la piccola.
-Lei sta bene. La mia bambina sta bene.- Ad un cenno della donna,
Cassidy andò a risistemarsi nel suo angolo, senza osar fiatare.
Amanda si riavvicinò a Tony, senza degnare di uno sguardo
l’altro agente. Kate ebbe un brivido di rabbia. Non tollerava che
quella donna la considerasse così poco. E soprattutto che
prestasse tutte quelle attenzioni al suo collega. Accidenti! Stava
diventando gelosa di un’assassina! Forse la pazza era lei
… La Rudolph si avvicinò di nuovo a Tony. Gli occhi grigi
inespressivi incrinati da una vena di rabbia gelida. L’agente non
potè fare a mano di rabbrividire nuovamente. Quello sguardo non
aveva nulla di umano. Non ricordava di averne mai visti di così
freddi. Ma stavolta non si sarebbe fatto prendere a mazzate. Non appena
si chinò per guardarlo negli occhi, Tony si alzò di
scatto, bloccandole i polsi. Rapida, Kate si avventò sulla
pistola che la donna teneva in mano. Presa alla sprovvista, Amanda
capitolò. Non oppose resistenza, mentre Tony usava le corde che
avevano legato lui e Kate su di lei. Cassidy uscì dal suo
angolo. Una luce speranzosa le illuminava gli occhi. Senza dire nulla,
si avvicinò all’agente donna, che la accolse con un
sorriso.
-Ciao Cassidy. È tutto finito, ora.-
-Vi ha mandato la zia?- Domandò, timidamente. Kate si sciolse in un sorriso.
-Sì. Era molto preoccupata per te, sai?- La bimba abbracciò la mora.
-Voglio andare a casa …-
-Ti ci riporteremo subito.- Sorrise Tony, che teneva saldamente per un
braccio la Rudolph. Poi uno squillo lungo e prolungato attirò
l’attenzione dei due agenti, che si guardarono un momento in
viso. Poi un enorme sorriso si allargò sulle labbra di entrambi.
Senza usare molta delicatezza, Kate prese di tasca alla Rudolph il
proprio cellulare. Doveva averglielo preso mentre era svenuta.
-Pronto?- Il gridolino di gioia di Abby fece sorridere ulteriormente la mora.
-KATE! Stai bene! Meno male! E Tony? state tutti okay?-
-Sì, Abby tutto a posto. Abbiamo preso la Rudolph. Gibbs?-
-È in contatto con noi attraverso i canali della squadra
speciale … Ha sentito tutto!- Kate si lasciò andare ad un
sospiro liberatore. Era sfinita, ma felice. Era finita. Ora per tutto
il resto ci sarebbe stato tempo. Persino il pensiero del rapporto che
avrebbe dovuto scrivere a Gibbs non era poi tanto male. Stava
assaporando il momento liberatorio, quando Amanda cominciò a
ridere. Una risata isterica, senza gioia. Confusa, Kate le
guardò in volto. E ciò che vede la fece star male. Gli
occhi della donna, sempre freddi, ora erano infuocati dalla libidine
della vendetta. No. Non era ancora finita. Il cuore della mora venne
come trafitto. Quanto odiava essere illusa.
-Che vuol dire? Che cosa sai!?- Sibilò Tony. Il sorriso freddo
di Amanda non era ancora sparito. I suoi occhi grigi, ebbri di trionfo,
passavano da un agente all’altro. Kate non capiva. Per quale
motivo si comportava così? Ormai era finita … Poi le
venne in mente.
-La bomba! Dov’è la bomba?!- Per tutta risposta la donna la fissò gelida.
-Al sicuro.- Tony perse la pazienza.
-Dov’è!?- Prese Amanda per le spalle e la costrinse a
guardarlo negli occhi. Kate si ritrovò, suo malgrado, ad
ammirarla. Lo sguardo di Tony era paragonabile ad un incendio, ma la
Rudolph non ne sembrava minimente impressionata. L’ennesimo
indizio della pazzia della donna.
-Trovala …- Disse solo. -… Come hai trovato me …
Prima che sia tardi.- Scoppiò di nuovo a ridere, lasciando Tony
confuso e furioso. Ora ne aveva la certezza. La bomba era stata
attivata. L’agente Todd non potè fare a meno di
rabbrividire, mentre Cassidy le si stringeva più forte. Quella
storia era ben lungi dall’essere arrivata alla fine …
-Fine capitolo 10-
dimenticavo....ringrazio lillium purpurea per aver commentato "morto due volte" ^^ grazie carissima!
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Capitolo 11 *** Epilogo ***
explosion11
Ebbene sì, sono tropo buona. Eccovi il finale di Explosion.
EXPLOSION
-Capitolo 11-
Epilogo.
-Kate? Kate, mi senti? Sei ancora in linea?- L’agente sobbalzò. Si era scordata di avere ancora il telefono acceso.
-Sì, Abby, ti sento.-
-Gibbs e la squadra speciale stanno entrando. Saranno lì tra pochi istanti.- Kate sbiancò.
-Abby, la Rudolph ha attivato la bomba! Anzi, le bombe! Esploderanno,
ma non sappiamo ancora dove siano! Potrebbero essere da qualunque
parte!- Un momento di silenzio.
-Merda.-
-Sono d‘accordo con te.- Esclamò l‘agente Todd.
-Kate, questa volta non è come le altre, questa è la
bomba regina, è cinquanta volte più potente
dell’ultima … Potrebbe distruggere l‘intero
edificio!- La voce della dark era disperata.
-Merda! Abby, avverti la squadra speciale, non devono … Oh, al
diavolo!- Il display lampeggiò, per poi spegnersi. Batteria
scarica.
-Kate!- L’agente si girò verso il collega, che la fissava
con uno sguardo a metà tra la presa in giro ed il rimprovero.
-Cosa c’è adesso, Tony?!- Con un sorrisetto l’uomo le indicò Cassidy.
-Ti ricordo che qua c’è una bambina …- La prese in
giro. -… Non vorrai darle il cattivo esempio proprio tu
…- Kate si battè una mano sulla fronte. Ma gli pareva
questo il momento? Avrebbe voluto tirargli il cellulare in faccia,
tanto era inutilizzabile. Ma non aveva tutti i torti. Così
lasciò cadere l’argomento e si maledisse in tutte le
lingue che conosceva, ma mentalmente. Da quando era iniziato il caso
non aveva più pensato di mettere il telefono a caricare. Ed
ovviamente la batteria si era scaricata. Curioso come ci siano solo due
momenti in cui un cellulare si scarica. Quando si è in ritardo
agli appuntamenti, e quando si rischia di morire. Cercò lo
sguardo del collega. Ora erano davvero nei casini. Tony lasciò
andare Amanda. Avrebbe voluto prenderla a pugni, infischiandosene della
galanteria. Ma adesso non c’era davvero tempo. La squadra
speciale era già entrata nell‘edificio, mentre da qualche
parte c’era una bomba pronta ad esplodere, e loro erano
impossibilitati ad avvertirli. Se la bomba fosse esplosa, nessuno
avrebbe avuto scampo. Alla fine Amanda voleva davvero colpire degli
agenti. Forse aveva previsto l‘arrivo della squadra speciale.
Kate prese in braccio Cassidy, e fece per uscire dalla stanza. Tony la
seguì subito, prendendo Amanda per un braccio, oramai ritenuta
inoffensiva. Non fecero che pochi passi, quando un’esplosione
investì il corridoio. Tony fece appena in tempo a tirare
all’interno Kate e la piccola. Con orrore vide l’onda
d’urto fuori dalla porta, seguita da una lingua di fuoco. Cassidy
gridò, terrorizzata. Pezzi di macerie svolazzavano
nell’ambiente, completamente saturo di fumo e polveri.
L’agente strinse più forte a sé la collega e la
bambina, nel tentativo di proteggerle. Tra colpi di tosse ed i
singhiozzi spaventati di Cassidy, i due agenti cercarono di rimettersi
in piedi. La prima bomba era esplosa. Tony fece per voltarsi a vedere
in che condizioni fosse la Rudolph, ma questa era sparita.
-Maledizione! porc ...*****!!!- Imprecò l’uomo, vedendo la
corda tranciata. Si era scordato che Amanda aveva con sé il
coltello di Kate.
-Tony!- Lo riprese questa, con occhi furenti, ma velati da un sottile velo di vendetta.
-Cosa, Kate!- La mora le indicò con gli occhi la bambina che
teneva in braccio. Il suo sguardo era eloquente: “modera il
linguaggio davanti a lei“. Accidenti alla sua linguaccia. -Ah
… Sì … Piccola non stare mai a ripetere quello che
dicono i poliziotti!- La bimba lo fissò confusa tra le lacrime.
Kate sorrise soddisfatta. Aveva avuto la sua piccola ripicca. Poi si
arrischiò a guardare i danni dell’esplosione. Abby aveva
ragione. Era molto più potente delle altre con cui avevano avuto
a che fare. E pensare che si trattava solo della prima bomba. Non
voleva sapere come sarebbe stata la prossima. E chissà quando
sarebbe esplosa. Forse il meccanismo era già scattato. Forse il
detonatore stava già contando i secondi. Dovevano uscire. Ma
anche trovare la squadra speciale in tempo. E forse non ce
l’avrebbero fatta. Kate fissò Tony, preoccupata. Gli occhi
verdi dell’uomo scintillavano di determinazione. Avrebbe trovato
la bomba, e l‘avrebbe disattivata. A qualunque costo. La mora
aveva visto troppe volte quello sguardo, per non riconoscerlo.
-Kate. Porta via la bambina. Io vado a cercare la bomba.-
-Cosa? Ma è una pazzia!- Cercò di ribattere
l’agente, ma lo sguardo del collega gli fece morire le proteste
in gola. Non ammetteva repliche. Quello che aveva dato era un ordine.
Kate abbassò lo sguardo. Si sentiva intimorita. Maledizione!
Intimorita da Tony! Si faceva venir da ridere da sola! Ma in quel
momento non era Tony a fissarla così. Era l’agente
speciale Dinozzo. Fino ad allora solo Gibbs era riuscito a farle
quell’effetto. Così alla fine cedette, ripromettendosi di
dire due paroline al suo capo. Aveva insegnato troppo bene al suo
agente. E lei non aveva intenzione di lavorare con due Gibbs nello
stesso ufficio. Uno bastava e avanzava.
-D’accordo. Ma stai attento.- Il solito sorriso alla Tony echeggiò sulle labbra dell’uomo.
-Non lo sono sempre?-
-Preferisco non risponderti …- Sibilò Kate. Poi Tony fece
l’ultima cosa che ci si sarebbe aspettato facesse. Le si
avvicinò e le prese delicatamente il viso tra le mani. Kate
avvampò. Il cuore le batteva furioso nel petto, mentre non
riusciva a scollare gli occhi da quelli smeraldini di Tony. Ma era
davvero Tony? Tony-l’idiota,
Tony-il-suo-collega-che-faceva-il-cretino-in-ogni-occasione? No, non in
quel momento. Adesso era solo l’uomo che vi si nascondeva dietro.
Quello che solo in alcune rare occasioni lasciava intravedere.
Come la sera precedente, il viso di Tony si avvicinò al suo. A
mano a mano che la distanza diminuiva, il cuore di Kate galoppava
sempre più veloce. La mente era solo un confuso insieme di
domande ed emozioni da troppo tempo inascoltate. Poteva sentire il
calore del suo volto sul suo. Le labbra a pochi millimetri dalle sue.
Ma stavolta non vi fu alcuna interruzione. Tony la baciò. Un
bacio ricco di una dolcezza che Kate pensava fosse impossibile che si
annidasse dentro a quell’uomo che era il suo collega, il suo
amico, il suo incubo peggiore, il suo sogno segreto, ed adesso sentiva
essere tutto ciò e qualcosa di più. Solo qualcosa? Da
come stava rispondevano al bacio senza ascoltare minimante la testa
… Al diavolo, era molto di più! Quando Tony interruppe il
bacio, Kate sentì come se avesse perso il sostegno che la teneva
in piedi. Traballò leggermente, mentre riprendeva fiato. Si
ritrovò a boccheggiare. In tutto era durato solo una manciata di
secondi. Ma le era parso che durasse una vita. Forse perché era
esattamente il tempo che lo aveva atteso. La mente ricominciò a
funzionare.
-Adesso vai.- La voce di Tony era roca, ma rassicurante. La mora
annuì, stringendo più forte Cassidy, che li guardava
curiosa. La paura al momento lasciata in disparte. Un sorriso birichino
le illuminò il visino. I due agenti si guardarono negli occhi
ancora una volta. Poi Kate si voltò e si immerse nel corridoio
semidistrutto. Tony la guardò andare via, poi si mise a correre
nella direzione opposta, dove aveva avuto luogo la prima esplosione.
-----
-Stiamo entrando.- Le parole che davano il via alle operazioni.
Stavolta non ci sarebbero stati ulteriori ritardi. La squadra speciale
sarebbe entrata, ed avrebbe fatto il suo lavoro. Come d’accordo,
l’agente speciale Gibbs era in prima fila. Pistola in mano,
sguardo glaciale. Non aveva notizie dei suoi agenti da troppo tempo,
per i suoi gusti. Ma se erano nei guai, li avrebbe tirati fuori. Un
cenno del caposquadra. Avevano già ispezionato il grande salone
d’entrata, quando avvenne la prima esplosione. Atterriti, gli
uomini si aggrapparono alle colonne. Dall’area più
periferica del grande cantiere, più precisamente dai
sotterranei, si irradiava una coltre di fumo e polveri. Che diavolo
stava succedendo? Gibbs lo aveva già capito. Erano arrivati
tardi, maledizione! Di lì a poco ce ne sarebbe stata
un’altra, di esplosione, ma ben più forte. Sperava
ardentemente che Tony e Kate stessero bene, e con loro la bambina. Una
mano sulla spalla lo richiamò. Era il capo della squadra
speciale.
-È pericoloso! Dobbiamo uscire!-
-No, non senza i miei agenti!- Ribatté Jethro, testardo.
-La prossima bomba esploderà di qui a poco!- Celiò,
paziente l’uomo. -Non posso mettere in pericolo i miei uomini!-
-Ed io devo salvare i miei!- I due si fissarono a lungo negli occhi.
-D’accordo. Verrò io con lei.- Cedette alla fine il caposquadra. -Mark!- Un giovane con il casco si voltò.
-Comandi!-
-Porta fuori i ragazzi! Io e l’agente Gibbs continuiamo. Se non torniamo, non cercateci.-
-Ma capo …- Un’occhiataccia del superiore zittì
ogni protesta. -D’accordo, capo.- Mentre il giovane Mark si
allontanava coi suoi compagni, Gibbs e l’agente si inoltrarono
del corridoio, invaso dall’odore acre del fumo.
-----
Tony percorreva il corridoio semi buio a grandi falcate, guidato dalla
scia di fumo che la bomba esplosa emanava ancora. Non gli volle molto
per trovare il luogo dove era avvenuta la detonazione. Una stanza poco
distante da quella in cui erano stati imprigionati lui e Kate.
Avanzando tra le macerie, cercò i fili che, presumibilmente,
sarebbero dovuti essere collegati al secondo ordigno. Dovette spostare
tre assi cadute a causa dello spostamento d’aria, prima di
trovarli. Muovendosi a fatica in quel campo di battaglia, raggiunse una
porta, parzialmente nascosta da un serie di detriti. Smuovendo una
nuvola di polvere, Tony riuscì a farsi largo, e ad entrare.
Mezzo accecato dalla polvere che gli faceva lacrimare gli occhi, non si
rese subito conto del mostro che aveva davanti. Ma quando lo vide, la
sua esclamazione riassunse perfettamente la situazione.
-Oh, cazzo!- I fili della prima bomba si andavano a collegare ad una
scatola nera sottile, ma molto ampia, su cui troneggiava un display a
numeri rossi. Decine e decine di cavetti si diramavano dalla scatola
nera, per collegarsi ai numerosi barili che riempivano l’ampia
stanza. Ognuno era pieno di materiale esplosivo, che non aspettava
altro che di essere mescolato con la sua controparte, per esplodere.
-Questo sì che è un bel casino …-
-----
Kate si perse un paio di volte, prima di imboccare il corridoio giusto,
quello in cui era stata sorpresa dalla Rudolph. Era nel panico
più totale, e non solo per sé e la piccola che aveva tra
le braccia. Tony non era con lei, e non le piaceva per niente. Le
pareva di essere entrata nel corridoio colonnato da un sacco di tempo,
eppure continuava a non vederne la fine. Accidenti! Non le era sembrato
così lungo, all’andata! Rischiò più volte
d’inciampare su casse ed oggetti abbandonati in mezzo ai piedi, e
solo la presenza di Cassidy le impedì d’imprecare a voce
alta, limitandosi a farlo mentalmente. Le gambe cominciavano a dolerle
per il peso che portava, quando la luce di una torcia la colpì
in pieno volto.
-Todd! Dinozzo!- Il cuore di Kate ebbe un tuffo di felicità.
Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Seccata nonostante la
preoccupazione.
-Gibbs!- In pochi attimi il volto di Gibbs le danzò davanti al
volto, accanto a quello di un uomo della squadra speciale. Dopo
un’occhiata indagatrice, Gibbs prese in braccio la bimba, che,
istintivamente, cinse il collo dell’agente con le sue braccine.
Kate sospirò, felice di essersi sgravata dal peso di Cassidy.
-Dov’è Dinozzo?!- La domanda fatidica. Kate non sapeva
come rispondere. Ma sapeva che era inutile fere tanti giri di parole
con Gibbs.
-È andato a prendere la Rudolph … E a cercare la bomba.-
Uno scintillio di preoccupazione attraversò gli occhi chiari
dell’uomo, ma non profuse parola. La mora si stava già
pentendo di ciò che aveva detto, quando la voce calda
dell’ex marine la acquietò.
-Adesso usciamo. Tony sa quello che fa.- Ripresero a correre. Pochi
minuti dopo, li salutò il sole dell’uscita. Prima di
sentire nuovamente il calore dei raggi, Kate si guardò ancora
una volta indietro. Sapeva che era inutile, che era una speranza vana.
Tony non poteva essere già di ritorno. Ma non aveva potuto farne
a meno. La mano sulla spalla di Gibbs la riscosse. Con un groppo allo
stomaco, uscì dallo stadio. L’aria fresca e il sole le
tolsero il fiato per il piacere.
“Ed uscimmo a riveder le stelle …”
-----
-Ok. Allora, non sarà così difficile …
Disinnescare una bomba … Nei film ci riescono sempre dei tipi
che non se ne capiscono nulla …- Continuava a ripetersi tra
sé l’agente Dinozzo, in un disperato tentativo di farsi
coraggio. Aveva spostato il coperchio della scatola, stando ben attento
a non muovere troppo i fili sopra di essa. Ma all’interno vi era
lo stesso dedalo di cavi al contrario. Sospirò, demoralizzato e
disperato. Di sicuro si era già trovato in situazioni poco
felici, ma al momento non ne ricordava di peggiori di quella.
Lanciò un’occhiata al timer. I numeri rossi segnavano che
aveva ancora circa una decina di minuti. Si asciugò il sudore
che gli colava dalla fronte. Il tempo era poco. Troppo poco. Ma non
poteva arrendersi. Prese in mano il suo coltello e cominciò ad
esaminare i cavi. Ma quanti diavolo erano?! Si passò la lingua
sulle labbra secche. Ci avrebbe messo ore. Peccato che avesse meno di
dieci minuti, come lo informava lo schermetto del timer. Chiuse gli
occhi e cercò di ricordare le nozioni principali sugli ordigni
esplosivi seguiti all’accademia di polizia.
-Fossero almeno colorati!!!- Piagnucolò tornando a guardare i
fili bianchi. Nella sua mente cominciava a vederli come una nidiata di
serpentelli albini. Lanciò un’occhiata al display. Ancora
cinque minuti. Accidenti come passa il tempo, quando ti occorre! Ed
allora arrivò il lampo di genio. Solo uno dei cavi che si
collegavano al timer mandava l‘impulso di detonazione. Ed aveva
notato che uno era più grande degli altri. Pregò che la
sua intuizione fosse esatta. Affiancò la lama del coltello al
cavo. Un ultimo sospiro. E recise il filo.
Si aspettava il botto. Ma non arrivò. Solo dopo qualche secondo
si decise ad aprire gli occhi. I numerini rossi del timer erano fissi.
Esalò un sospiro che non si era accorto di trattenere. Le gambe
gli stavano tremando. Con una risatina isterica si accasciò
contro il muro.
-Sono … Sono vivo. Sono vivo! C’E L’HO FATTA!!!-
Cominciò ad urlare, mentre due lacrime di sollievo gli rigavano
le guance. Era così nervoso da non rendersi conto della tensione
accumulata in quei pochi minuti. Il cuore batteva così forte da
sfondargli il petto. Quando si fu calmato quel tanto da rimettersi in
piedi, si diresse all’uscita.
-----
Dalla sua postazione, Amanda non gli ha tolto gli occhi di dosso da
quando è entrato, a quando si è allontanato, traballando
come un ubriaco.
Perché non lo ha fermato? Non lo sa neanche lei. E non vuole
neppure chiederselo. È solo uno dei tanti interrogativi che
quella storia si porterà dietro.
I passi del poliziotto sono ormai lontani. Ma lei non vi bada
più di tanto. Ha in mente un’immagine della sera prima.
Quando aveva messo la coperta a Richard e Cassidy, addormentati sul
divano. Il suo desiderio più grande. La cosa a cui agoniava di
più. Una famiglia. C’era andata così vicino
… Eppure, dentro di sé, sapeva che era stata solo
un’illusione. Che quel quadretto casalingo davanti ai suoi occhi
era solo un’immagine effimera. Un sogno. E nulla di più.
Perché la sua famiglia era svanita lo stesso giorno in cui il
suo Johan era stato ucciso. O forse prima. Nel momento stesso in cui il
primo ordigno esplodeva in quel supermercato. Da allora la sua
famiglia, o quella che avrebbe potuto avere era stata distrutta.
Cancellata.
I suoi occhi fissano i cavi dell’ordigno lasciati scoperti
dall’agente. E si rende conto di non provare più nulla.
Neppure odio verso l’uomo che le ha ucciso il marito anni prima.
È stanca, Amanda. Stanca di tante cose. Stanca di soffrire.
Stanca di combattere. Stanca anche di cercar vendetta. Accarezza lo
schermo del timer, quasi stesse sfiorando la guancia di un amante. Le
labbra le tremano un momento. La mano si abbassa sul cavo reciso. E sa
esattamente cosa deve fare. Un sorriso aleggia sul volto pallido,
mentre attiva manualmente la bomba. Finalmente avrebbe riposato.
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-Cassidy! Cassidy!- La guardiamarina Michela Sacks schizzò fuori
dall’auto federale con una velocità fuori dal comune, un
razzo candido dal portamento militare.
-Mamma!- La bimba riconosce la sua tutrice all’istante, e
sgambetta impaziente, imprigionata dall’abbraccio di Gibbs, che
con un sorriso la lascia andare. Quasi inciampa per tuffarsi
nell’abbraccio rassicurante della donna, che non riesce a
trattenere qualche lacrima di sollievo. Poi, come se si fosse ricordata
in quel momento di una cosa molto seria, Cassidy scioglie un pochino
l’abbraccio. -Posso chiamarti mamma, vero?- Michela esplose in
una risata tra le lacrime.
-Puoi chiamarmi come vuoi, tesoro!- L’abbraccio si fece
più serrato, protettivo, mentre la piccola rideva. Accanto a
Gibbs, Kate sorrise teneramente. Michela sarà anche un militare,
ma prima di tutto è una donna, ed una donna con una bambina,
poco importa il grado di parentela. Ed ha mantenuto la promessa che gli
aveva strappato Tony all’ospedale. La mora sente pungere un
occhio. Con uno scatto si asciugò all’istante una lacrima
di commozione, sperando che il suo capo non l’abbia notata. Gibbs
sorrise di fronte all’ingenuità di quel gesto inutile, ma
fece finta di nulla. Si voltò in direzione dello stadio, ed il
sorriso scomparve, sostituito da uno sguardo granitico. Non aveva
dimenticato che mancavano ancora due persone all’appello.
-----
Tony aveva superato la stanza in cui era stato imprigionato già
da un pezzo, quando lo sentì. Un rumore. Nitido, quasi
assordante nel silenzio del cantiere in disuso. Si guardò
attorno, allarmato. Ben lontano dall’aver scordato che la Rudolph
era ancora nell’edificio. Scrutò il buio per lunghi
istanti, finché non ne trovò la fonte. Rimase lì,
sorpreso ed immobile.
-No … Questo no …-
-----
Kate era nervosa. Erano passati quasi dieci minuti, e Tony non si era
ancora fatto vivo. Aveva già resistito qualcosa come tre volte
all’impulso di schizzare a cercarlo. Solo l’apparente calma
di Gibbs le aveva impedito di ricacciarsi in quel dedalo di corridoi e
pilastri bui. Continuava a camminare avanti e indietro, sbuffando e
lanciando occhiate impazienti all’entrata del cantiere. La
domanda le rimbombava nella mente come una pallina in un flipper. Dove
diavolo si era cacciato Tony? Avrebbe voluto gridarlo, ma sapeva che
nessuno dei presenti era in grado di risponderle.
Ed infine cedette. Con passo sicuro si diresse dentro lo stadio.
-Adesso basta! Vado a cercarlo!- Non aveva fatto neppure un paio di
passi, che la mano di Gibbs l’aveva trattenuta per un braccio.
-Lasciami, Gibbs!- Kate cercò di liberarsi dalla presa del suo
superiore, ma era inutile. Era troppo salda. Una vena
d’irritazione la attraversò: nel giro di due giorni aveva
sperimentato troppe volte, per i suoi gusti, che la forza fisica dei
suoi colleghi era maggiore della sua. Forse avrebbe dovuto fare una
sessione intensiva di palestra … Gibbs la costrinse a guardarlo
negli occhi.
-Non è il momento di …- La mora non sentì mai il
seguito della frase. Un’enorme esplosione ricoprì ogni
rumore, talmente improvvisa da assordare tutti i presenti. Quando il
fumo e le polveri si diradarono, la metà posteriore dello stadio
non esisteva più. Solo un cumulo di macerie.
E quando Kate riuscì a riprendersi dallo shock dello spavento,
il suo cervello fece due più due. L’edificio, anche se
solo in parte, era crollato. E questo poteva solo voler dire che Tony
non era riuscito a disinnescare la bomba. La gola le si era
improvvisamente seccata, e non solo per la polvere che impregnava ogni
centimetro cubo d’aria. Con gli occhi sbarrati, fece qualche
passo verso ciò che restava dell’edificio.
Una serie di lacrime le correvano sulle guance, senza che lei riuscisse
a trattenerle. Perché l’agente Todd lo sapeva. Erano
pochissime, se non nulle, le possibilità che il suo collega
fosse ancora vivo. Ma Kate, la semplice Kate, la donna che stava dietro
all’agente federale, si rifiutava di crederci. Rifiutava anche
solo di pensarlo. Perché avrebbe voluto dire lasciare insoluta
la questione con Tony, e soprattutto, non rivedere più il suo
sorriso. Nè quello strafottente che sembrava prendere per i
fondelli tutto il mondo, né quello sincero, adulto,
rassicurante, così raro da essere prezioso. Abbandonando la
razionalità, si lanciò di corsa verso le macerie, ma di
nuovo nel giro di pochi minuti, la mano di Gibbs la bloccò,
costringendola a fermarsi, ancora contro la sua volontà, a pochi
metri dall’ingresso di quello che doveva essere uno stadio.
-Lasciami, Gibbs … Perfavore!- La voce della donna era poco
più di una supplica. Supplica che l’ex marine non
esaudì. Pochi istanti, e Kate crollò. Cominciò a
piangere. Quasi non si accorse che Jethro le cingeva le spalle con un
braccio, per darle un qualche conforto. Si lasciò semplicemente
andare ai singhiozzi, quasi più di rabbia che di dolore.
Perché non avrebbe mai potuto perdonare Tony di aver fatto
quell’idiozia. Ma così come lui, non sarebbe riuscita a
perdonare neppure se stessa. Per non averlo fermato. Per non aver
chiarito a tempo debito tra loro. Per aver aspettato così tanto,
per capire che le barriere tra loro erano solo nella loro testa. Per
non aver voluto ammettere, neanche con se stessa, che si era innamorata
di quell’idiota donnaiolo da strapazzo di Anthony Dinozzo.
-Kate …- La voce calma e comprensiva di Gibbs cercò di
scuoterla, con fare quasi paterno. Kate si liberò
dall’abbraccio, colma di stizza e dolore. E gridò conscia
che le sue parole finivano rivolte al vento.
-SEI UN IDIOTA, ANTHONY DINOZZO!!!-
-Ma non perdi mai occasione per ricordarmelo? Mai una volta che mi
dicessi che so … Che sono bello, simpatico, altruista …
Affascinante …- Colta da un semi infarto, la mora si
voltò di scatto. Impolverato, ammaccato e ansimante, ma
decisamente vivo, l’agente Dinozzo se ne stava a pochi metri da
lei, appoggiato ad un pilastro di cemento, una mano nascosta
all’interno della giacca.
-Perché ci hai messo tanto, Dinozzo!- Sibilò Gibbs col
suo tono seccato. La preoccupazione già dimenticata. Tony
sorrise e tirò fuori la mano dalla giacca, tirandone fuori un
batuffolo grigio miagolante.
-Francis!- Trillò Cassidy, sfuggendo all’abbraccio della zia, e schizzando dal suo gattino.
-L’ho trovato mentre venivo via …- Spiegò Tony, mentre porgeva la bestiola alla bambina.
-E la Rudolph?- Domandò Jethro. Tony scosse la testa.
-Non so che fine abbia fatto, capo. Ma prima di uscire, posso assicurarti che la bomba l’avevo disinnescata …-
-Capisco …- Mormorò l’ex marine. Non era difficile
immaginarsi come una bomba disarmata potesse esplodere. Qualcuno
l’aveva riattivata. Solo allora Dinozzo focalizzò la sua
attenzione su Kate, che fino a quel momento non si era mossa di un
millimetro.
-Bhe, Kate, non mi dici niente? Non mi dirai che non ti sei preoccupata
neanche un pochino …- Senza neppure guardarlo, la mora poteva
immaginarsi benissimo il sorriso vagamente beffardo di Tony, che sotto
la polvere e il sangue, la prendeva in giro. Di sicuro Tony si stava
godendo la scena, trovando la sua disperazione divertente. Di colpo
ogni briciolo di paura svanì, sostituito da una stizza sfociante
nella rabbia. Con un ringhio inferocito, Kate si lanciò contro
il collega, cominciando a tempestargli il petto di pugni.
-Idiota idiota idiota idiota!- Ed una lunga serie di altri epiteti poco
simpatici che costrinsero Michela a tappare le orecchie a Cassidy. Tony
la lasciò sfogare, finchè questa non cadde in un pianto
liberatorio. Passata la disperazione, passata la rabbia, ciò che
le restava era il sollievo. Si abbandonò contro il petto
dell’uomo. Stava facendo la figura della pazza isterica, ma
almeno si sarebbe goduta la sua vicinanza per qualche minuto, quel
tanto che le sarebbe bastato per liberarsi della tensione accumulata.
Quando poi Tony la cinse con le braccia, seppellì il viso contro
la sua spalla, per nascondere il sorriso che quel gesto le aveva fatto
sbocciare sulle labbra. Rimasero così, abbracciati per qualche
minuto. Kate si crogiolava in quel calore protettivo e rassicurante,
mentre Tony gustava il profumo dei suoi capelli, ancora presente,
nonostante l’odore di polvere ed esplosivo. Entrambi ben lungi
dal voler interrompere qual contatto fisico. Ma ci pensò la voce
dell’innocenza a far tornare i due agenti con i piedi per terra.
-Mamma, ma i due signori sono fidanzati, vero? E quando si sposano?- Un
momento di silenzio generale avvolse il quintetto. La semplice domanda
di Cassidy era suonata come un allarme. Michela non sapeva esattamente
cosa rispondere, non sapendo come stavano le cose tra Tony e Kate.
Gibbs aveva sfoderato uno sguardo di puro ghiaccio, e la promessa di un
bello scappellotto a testa ai suoi agenti aleggiava nell’aria.
Kate e Tony, dopo qualche istante di congelamento, si staccarono a
razzo. Kate rossa con sfumature bordeaux, Tony con un’improvvisa
tosse, da lui attribuita al pelo di gatto. Jethro mantenne le iridi
cristalline per un lungo minuto puntate sui due agenti, che sudavano
freddo. Poi spostò lo sguardo verso gli agenti che si davano da
fare con le macerie dell’esplosione.
-Andiamo. Qui ci penseranno quelli della squadra speciale … Ah, Dinozzo?-
-Sì, capo?-
-Pulisciti la faccia. Sembri uscito da uno dei film horror di Abby!-
Tony si passò una mano sul volto. Non si era più tolto il
sangue e si era raggrumato. Kate, indecisa se ridere o tirare un
sospiro di sollievo, diede una pacca amichevole al collega.
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-Ahia!-
-Avanti, Tony la vuoi smettere di fare il bambino? Ho quasi finito.-
Esclamò Kate, esasperata, mentre cercava di disinfettare il
taglio sullo zigomo di Tony. Quando erano tornati in ufficio, Kate si
era offerta di fare la crocerossina. Ma i continui capricci
dell’uomo l’avevano fatta pentire amaramente.
-Sei tu che hai la mano pesante! Ma chi ti ha insegnato, Mike Tyson?-
-Ancora una parola, Tony e giuro che ti faccio vedere cos’altro
ho imparato …- Sibilò la mora, premendo più forte
la garza sul taglio. Ignorando il mugolio di dolore di Tony, Gibbs
avvisò che gli uomini della squadra speciale avevano trovato dei
resti umani tra le macerie, vicino al punto dov’era avvenuta
l’esplosione.
-Dovranno fare gli esami del DNA, ma sono quasi sicuri che si tratti
della Rudolph.- Spiegò l’uomo, mentre si accasciava sulla
sua poltrona. Un sospiro di sollievo si diffuse nell’ufficio. In
qualche modo, quella storia era finalmente finita. E, cattivi a parte,
non ci avevano rimesso la vita altre persone. Michela e la piccola
Cassidy avrebbero potuto vivere senza più il terrore dello
spettro di Richard O’Connell. Tony, in qualche modo, aveva chiuso
un capitolo oscuro del suo passato. I sensi di colpa nei riguardi di
Amanda Rudolph, d’ora in poi, se ne sarebbero rimasti per sempre
sepolti in fondo alla sua coscienza. Nella mente degli agenti,
però rimaneva ancora un dilemma. “Perché?”
Quale era stata la ragione scatenante di quella scia di morte? Fu McGee
a trovare tale risposta. Richiamò l’attenzione dei
presenti sventolando una busta giallina con la mano sana, per poi
posarla sulla scrivania davanti a Gibbs.
-Hey, guardate che cosa ho trovato!- Incuriositi, Tony e Kate si
avvicinarono al loro superiore. Con un sorriso orgoglioso, Tim
spiegò quale fosse il contenuto della busta, mentre Gibbs
l’apriva. -È la cartella clinica della Rudolph. Riguarda
una visita fatta poche settimane prima dell’inizio delle pazzie
di Johan Smilton.-
-Era incinta.- Lesse Gibbs.
-Non mi sembra una novità, capo …- Borbottò Tony,
che venne freddato da un‘occhiataccia dell‘ex marine,
mentre McGee completava il resoconto.
-Ma era già stata diagnosticata una gravidanza a rischio. Ed il
feto era malformato. Nelle ultime radiografie si vede bene. Se anche la
Rudolph fosse riuscita a portare a termine una gravidanza così
difficile, il bambino sarebbe nato con forti handicap, sia mentali che
fisici.-
-Forse …- Kate deglutì. -Forse è per questo che
Smilton ha disposto quelle bombe …- Gli occhi dei tre colleghi
uomini si piantarono sulla mora, assetati di risposte che una pro
filers era decisamente più in grado di dare rispetto a loro.
-Sì … Voglio dire … Da quello che abbiamo visto,
Amanda era ossessionata dall’idea di avere una famiglia. Figli,
marito e quant’altro. Probabilmente Johan non era diverso. Ora,
se non sbaglio, c’è un particolare che accomuna tutti i
luoghi delle esplosioni.- Gibbs annuì.
-Ognuno di quei posti era collegato ai bambini. Nei supermercati si vedono sempre madri a far la spesa con i figli … -
-Il figlio della Rudolph avrebbe avuto handicap mentali, se fosse nato.
Niente biblioteca e scuola come tutti, per lui.- Continuò Tony.
-Non parliamo poi di andare allo stadio … Il sogno di ogni
padre, è quello di portare il figlio a vedere la squadra del
cuore disputare un incontro.- Sospirò McGee. -Ma la casa?-
-Il bambino avrebbe dovuto crescervi. E tutto era già pronto per
accoglierlo.- Spiegò Gibbs, riponendo i fogli nella busta. -Un
motivo più che ovvio per volerla distruggere. Anch’io
avrei voluto farlo con la casa delle mie ex mogli …- Un sorriso
fugace si disegnò sulle labbra dei tre agenti, oramai in
procinto di uscire. Era stato un weekend davvero sfibrante. Nella sede
dell’NCIS erano rimasti soltanto loro. Gibbs salutò la sua
squadra ricordando che per l’indomani voleva un rapporto
dettagliato sul caso. Con un borbottio di disapprovazione, McGee si
diresse al laboratorio, dove Abby lo aspettava. Tony e Kate si
attardarono in ufficio. Un silenzio carico di tensione calò tra
i due. Avevano atteso così tanto di poter restare per un
po’ da soli, che adesso non avevano la più pallida idea di
come e da dove cominciare. Come sempre, fu Tony il primo a cominciare.
-Allora … Finalmente siamo soli, eh?-
-Già …- Mormorò Kate, che improvvisamente aveva
preso interesse per la punta delle sue scarpe, troppo imbarazzata per
alzare lo sguardo sul collega. Si faceva schifo da sola. Peggio di una
ragazzina al primo anno di liceo. E sì che con tutto quello che
aveva passato con lui, non avrebbe dovuto avere grandi
difficoltà a parlargli guardandolo in faccia! Ma l’angolo
più pauroso e imbarazzato della sua testa sapeva solo che il
momento che temeva di più in assoluto era arrivato, e stavolta
non ci sarebbero state malate di mente o esplosioni di sorta ad
interromperli. Sussultò, quando Tony riprese la parola.
-Dovevamo fare un discorsetto, noi due, vero?>-Kate sussultò
quando si rese conto che la voce di Tony veniva da pochi centimetri dal
suo volto. Senza che lei se ne fosse accorta, le si era avvicinato, e
con una delicatezza infinita, le stava sollevando il mento con una
mano, in modo che fossero faccia a faccia. La mora si sentì
arrossire. Gli occhi di Tony erano esattamente come quando
l’aveva baciata dopo l’esplosione. Profondi e caldi.
-Vero …- Le labbra dell’agente si distesero in un sorriso.
Kate non potè fare a meno di ricordare il momento in cui lui
l’aveva baciata. Ad un tratto le venne voglia di sentire di nuovo
il sapore delle sue labbra. Mandando al diavolo l’imbarazzo, la
donna colmò la distanza che separava la sua bocca da quella di
lui. Piacevolmente sorpreso dell’improvvisa temerarietà
della collega, Tony approfondì il bacio, e le cinse la vita con
il braccio, mentre con la mano libera le toglieva una ciocca di capelli
dal viso. Kate da parte sua fece aderire perfettamente il suo corpo a
quello dell’uomo, e gli mise le braccia attorno al collo. Il
bacio durò molto più a lungo rispetta alla prima volta.
Dopotutto non c’erano bombe pronte ad esplodere da un momento
all’altro, escludendo i loro stessi cuori impazziti di gioia. Si
staccarono solo per mancanza d‘ossigeno, ma già disposti a
ricominciare subito.
-Dì, ma non dovevamo fare un discorsetto, noi?- Domandò
ridacchiando Tony, mentre Kate si accoccolava contro il suo petto.
-Per parlare c’è sempre tempo, no?- Rispose lei. Tony
scoppiò in una sonora risata. Solo lo sguardo corrucciato che
gli rivolse la mora lo fece smettere.
-È che credo che la mia presenza ti faccia male … Stai
cominciando a pensare come il sottoscritto!- Si scusò lui,
leggermente impacciato. Kate rimase qualche istante in silenzio, poi
scoppiò a ridere a sua volta.
-Sei un idiota …-
-Se non me lo dicevi cominciavo a preoccuparmi ….- La risata dei
due echeggiò per tutto l’ufficio, in cui gli unici
testimoni di quella notte erano le lampade al neon delle scrivanie, che
emanavano una particolare luce soffusa, quasi ideale per
l’occasione. Quella sera, sarebbe stata solo loro, non
dell’agente Todd o dell’agente Dinozzo. Solo di Kate e
Tony. Le persone che stavano dietro gli agenti. Sarebbe stata una notte
fatta per scoprirsi a vicenda, senza maschere e senza distintivi. Forse
sarebbe stato troppo presto perché si potessero pronunciare
alcune parole come “ti amo”, ma per le parole ci sarebbe
stato tempo. Ora c’era solo una notte. Due persone, un uomo ed
una donna. Ed una luce soffusa.
-----
Gibbs rimase a contemplare il cielo. Era una bella serata, dopotutto.
Ed anche se si trovava all’ingresso della sede dell’NCIS,
in piena città, le stelle mostravano tutta la loro lucentezza,
al cospetto di una luna sottile, ma non per questo meno imponente.
-Ancora qui, Jethro?- Domandò Ducky, col solito impermeabile, mentre si sistemava il cappello.
-Così pare.- Fece l’ex marine, con un’alzata di spalle. Il medico legale gli si avvicinò.
-C’è un cielo stupendo, questa sera.- Gibbs annuì.
Non c’era molto da dire tra loro. Quando ci si conosce da tanto
tempo, le parole possono anche diventare superflue. -Dimmi Jethro
… Hai intenzione di fare qualcosa, per quei due?- L’ex
marine sorrise. Non c’era bisogno di saper leggere nel pensiero
per capire a chi si stava riferendo l’amico.
-No. Non per il momento. Voglio lasciarli in pace, almeno per stasera.
Non è il caso di fargli sapere che so già tutto …-
Il sorriso si trasformò in un ghigno divertito. -Tanto, gli
scappellotti sono come le parole. C’è sempre tempo
…-
-Fine capitolo 11-
-THE END-
T-T… Buaaaaaah! È finita! La mia fic è finita! È assurdo, sono triste …
Ma quanto accidenti di zucchero ci ho messo, in questo finale?! Se lo
leggesse gente che mi conosce mi prenderebbe in giro a vita! Questa non
sono io!!! Giuro! O meglio ... lo sono, ma solo per le fan fic ... e
spesso neppure per quelle. Le parti romantiche sono quelle che mi danno
più difficoltà in assoluto. bhe, fatemi sapere che ne
pensate, se devo cambiare stile, se devo smettere di scrivere, se vi va
di leggere altre mie fic su NCIS!
Salutissimi!!!
Will
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