The Destiny

di fourty_seven
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizia ***
Capitolo 2: *** Continua ***
Capitolo 3: *** Continua ***
Capitolo 4: *** Continua ***
Capitolo 5: *** Continua ***
Capitolo 6: *** Continua ***
Capitolo 7: *** Continua ***
Capitolo 8: *** Continua ***
Capitolo 9: *** Continua ***
Capitolo 10: *** Continua ***
Capitolo 11: *** Continua ***
Capitolo 12: *** Continua ***
Capitolo 13: *** Continua ***
Capitolo 14: *** Continua ***
Capitolo 15: *** Continua ***
Capitolo 16: *** Continua ***
Capitolo 17: *** Continua ***
Capitolo 18: *** Continua ***
Capitolo 19: *** Continua ***
Capitolo 20: *** Monica ***
Capitolo 21: *** Jack ***
Capitolo 22: *** La fine ***



Capitolo 1
*** Inizia ***


È tardi, troppo tardi. Ho perso tempo, troppo tempo e ormai è il tramonto; in più mi trovo in una zona che non conosco bene. Imbocco di corsa una strada a destra, sperando che sia quella giusta, e comincio a correre, arrivo al termine e mi blocco. Il vicolo sbocca su un vasta piazza; al centro di essa vi è ciò che ogni abitante di questa città teme più di ogni altra cosa: gli Uomini Neri. Mi fermo e inconsapevolmente trattengo il respiro. Pian piano comincio ad indietreggiare, tenendo lo sguardo fisso su di essi; quando vengono nascosti dalle mura delle case, mi volto e comincio  correre. Ritorno nella via di prima, il sole, ormai non più visibile, illumina un lembo di cielo alla mia destra, quindi devo andare dalla parte opposta per tornare a casa. Mi metto di nuovo a correre, mentre il buio cala sui vicoli. Continuo ad imboccare strade a caso: mi sono completamente perso. Quando sono senza fiato mi fermo. Mi guardo attorno e, nella quasi totale oscurità , mi sembra di riconoscere una via alla mia sinistra. Mi muovo verso di essa e mi ritrovo completamente immerso nell’oscurità. Comincio a camminare; per sapere dove vado, cammino con un piede nel canaletto dei liquami, che scorre al centro di ogni via. Se le mie supposizioni sono esatte dovrei incontrare due strade alla mia sinistra e la seconda è quella che mi porterà direttamente a casa. Cammino cercando di non fare caso a ciò che il mio piede tocca e calpesta in mezzo all’acqua, anche se la puzza togli ogni possibile dubbio. All’improvviso sotto al mio piede destro manca la terra e cado in avanti; fortunatamente riesco a mettere in avanti le mani ed evito di finire con la faccia in mezzo alla melma, in compenso sono bagnato fino al ginocchio. Però in tutto questo c’è una nota positiva: ho incontrato la prima strada, dato che sono finito dentro la polla che raccoglie i liquami ad ogni incrocio. Un tempo dal fondo delle polle partiva un canale sotterraneo, che scaricava direttamente nelle fogne della Città, poi si sono rotti e nessuno gli ha riparati. Comunque finché è la stagione secca non ci sono molti problemi; questi sorgono invece nella stagione delle piogge, quando la strade diventano veri e propri fiumi di acqua piovana e... beh potete immaginare voi di cosa. Mi rialzo e con il piede destro, che è già sporco, provo a sentire quanti canaletti, e da quale direzione, si immettono nella polla. Ne trovo, oltre il tratto alle mie spalle, due: uno alla sinistra e uno che prosegue in avanti. Forse questa è davvero la strada giusta! Riprendo a camminare, sempre con il piede nel canale; ma all’improvviso comincio a sentire un suono strano, che si fa sempre più forte, tanto da coprire quello dell’acqua smossa dal mio piede, il suono è accompagnato da vibrazioni del terreno. Due elementi che ogni abitante di questo posto ha imparato ha riconoscere e temere: sono i segni dell’arrivo di una Divoratrice. Mi blocco cercando di capire da dove arriva il suono per scappare dalla parte opposta, ma loro sono più veloci; alla mia destra, a poche decine di metri, due fasci luminosi bucano l’oscurità, rivelandomi due cose: primo, sono vicinissimi; secondo, questa non è la strada che pensavo; quindi mi sono veramente completamente perso. Comincio a correre dalla parte opposta, imboccando la strada che ho superato, almeno una cosa positiva c’è: i fari mi permettono di distinguere abbastanza bene la strada, così posso correre il più veloce possibile. Per un attimo ritorno nell’oscurità, ma dura solo un attimo, poi la luce e il rumore ritornano, facendosi più intensi; ovviamente mi hanno visto e mi inseguiranno fino all’alba. Alla destra un’altra strada, la prendo senza rallentare, loro invece sono costretti a farlo, così riesco a guadagnare un po’ di vantaggio, anche se inutile, poiché loro possono continuare ad inseguirmi tutta la notte, ma io non posso scappare per tutta la notte; in più nessuno mi aiuterebbe, dato che se lo facesse, farebbe la mia stessa fine. La strada che sto percorrendo, benché larga, è piena di curve, cosa che dovrebbe farmi guadagnare un certo vantaggio. Mi guardo alle spalle, dopo l’ultima svolta la luce si è affievolita di molto, segno che sono lontani; poi alla mia destra vedo nella penombra un vicolo troppo stretto perché ci possano passare. Così rallento e con un sorriso di trionfo sulle labbra lo imbocco. Procedo camminando con le braccia protese in avanti, dato che sono nella completa oscurità. Continuo a camminare per parecchi minuti, poi tocco qualcosa di ruvido e solido: un muro di terra, tipico di vicoli come questo; di solito sono abbastanza bassi e si possono superare facilmente, così allungo la mano verso l’alto per constatarne l’altezza, ma non ne sento la fine; provo a saltare, ma la mano continua a toccare la parete; riprovo ancora, questa volta saltando il più possibile, ma sento ancora il muro. Preso dal panico comincio a tastare ai lati per vedere se vi è una qualche apertura, ma non trovo nulla. Mi fermo ansante, sia per la fatica, che per il terrore, il terrore di essere intrappola. All’improvviso dall’alto arriva una lama di luce, luce bianca, luce della luna, che mi permette di distinguere lo spazio attorno a me. Ai lati due pareti verticali, lisce e alte, le mura delle case, i cui tetti si avvicinano senza toccarsi e da questa apertura filtra la luce; di fronte a me il muro, privo di qualsiasi appiglio, che mi possa permettere di scalarlo, muro che si innalza molto oltre i tetti delle case. Reso folle dal terrore, con un grido mi scaglio contro il muro, cercando di arrampicarmi, ma ovviamente non ci riesco e cado al suolo; mi rialzo e con un altro grido di disperazione ci riprovo, con l’unico effetto di ricadere nuovamente al suolo. Mi rialzo e mi accorgo di stare piangendo, mi asciugo le lacrime e, nel momento in cui vedo la mano bagnata, ritorno presente a me stesso, lucido, freddo, la paura e la disperazione scompaiono. Mi accorgo della gravità di quello che ho fatto: nel silenzio, che caratterizza le notti di questo luogo, le mie grida saranno risuonate per centinaia di metri, rivelando la mia posizione.  Mi volto e comincio a correre più veloce che posso. Questa volta impiego meno tempo per percorrere il vicolo e capisco che sta per finire dalla luce gialla dei fanali. Aumento maggiormente il passo e scatto a destra appena esco. Riesco distintamente a vedere, accanto all’uscita, due uomini neri, di spalle, evidentemente stavano per andarsene, che però si girano non appena esco.  Poi tutto si fa confuso e l’unica cosa su cui mi concentro è la corsa. Ormai ho rinunciato ad orientarmi e sono intenzionato a correre tutta la notte, se necessario per non farmi catturare. La strada termina in un’ ampia piazza e senza esitazioni ne imbocco un’altra, esattamente di fronte a quella da cui sono appena uscito.  Qualche metro dopo sulla sinistra un’altra strada, più larga, vi entro; grazie alla luce della luna vedo un incrocio più avanti, però quando mi avvicino noto che entrambe le strade sono troppo illuminate per i miei gusti, così proseguo dritto. Mi volto per un attimo: dietro di me il buio. Forse li ho seminati, comunque non è ancora il momento di cantare vittoria, la notte è ancora giovane. Passo un altro incrocio, poi alla destra un vicoletto; mi fermo, vi entro; è molto stretto, ma molto illuminato e riesco a vedere a pochi passi da me un muretto, alto forse un metro, così decido di scavalcarlo. Lo supero ed esco dal vicolo. Mi ritrovo in un luogo ampio, molto ampio, un luogo che riconoscerei tra mille simili. Finalmente sono riuscito a raggiungere la mia zona, il posto in cui sono cresciuto e che conosco meglio di me stesso. Però l’entusiasmo è smorzato dal fatto che al centro della piazza vi è una Divoratrice, spenta, segno che gli Uomini Neri non sono nelle vicinanze; in più da almeno un paio di strade laterali provengono dei rumori e delle luci inconfondibili. Comincio a correre, tenendomi il più lontano possibile dalla Divoratrice e prendo la strada più lontana dalle luci; la percorro a passo veloce, all’improvviso da una strada alla mia sinistra sbuca un gruppo di Uomini Neri, a piedi. Mi fermo stupito, ma solo per un attimo, poi ricomincio a correre dirigendomi verso una strada a destra e loro, purtroppo, mi inseguono; comunque ormai io gioco in casa. So che a sinistra ci sarà una strada, la prendo; esco in un incrocio con altre tre strade, prendo la prima a sinistra; mi volto per vedere se li ho distanziati, sono abbastanza lontani, forse adesso riesco a seminarli. La strada curva a sinistra e appena dopo c’è un vicolo a destra, che è buio, perché i tetti delle case sono sovrapposti, ma questa è la mia zona e potrei percorrerla ad occhi ad occhi chiusi, o al buio. Entro nel vicolo e comincio a contare i passi, dopo quindici salto. Il mio piede sinistro sfiora precisamente la sommità del basso muretto, che taglia a metà il vicolo. Sorrido. Tocco il suolo, faccio un paio di passi e scatto a sinistra, imboccando esattamente al centro un altro vicolo. Sorrido nuovamente. Guardo verso l’alto, pian piano i tetti delle case si allontanano e la luce della luna illumina nuovamente il terreno. Proseguo fino a raggiungere un altro muro, alto, ma non impossibile da scavalcare; però ciò che mi interessa è un’altra cosa. Di fianco a me c’è un cumulo di macerie, abbandonate da tempo immemore, che sono diventate la mia scorciatoia; infatti praticamente ogni giorno, per un motivo o per l’altro passo di qua, così conosco ogni sua più piccola pietra. Sto per iniziare ad arrampicarmi, quando sento un grido di dolore. Sorrido per la loro stupidità: sono andati a sbattere contro il muretto, però ciò che vedo dopo mi spegne il sorriso: hanno preso delle torce e con quelle non impiegheranno molto a trovarmi. Comincio la scalata cercando di muovermi il più veloce possibile, ma all’improvviso tutta la parte sinistra del mio corpo si ritrova senza appoggio. Spinto dalla paura non ho prestato attenzione e ho toccato il punto in cui le macerie sono instabili. Miracolosamente riesco ad afferrare un pezzo di ferro, che sporge poco sopra la mia testa, e altrettanto miracolosamente questo non si stacca; ma ormai il danno è fatto: il rumore del crollo avrà attirato decine di Uomini Neri e i due, che mi stavano inseguendo, li vedo arrivare a tutta velocità. La parte instabile era solo un piccolo tratto, così riesco ad arrivare in cima. I due sono a qualche  metro da me. Guardo in alto: fra i due tetti vi è uno spazio di qualche decina di centimetri, sufficiente per me, ma non per loro. Però i tetti si trovano a  mezzo metro dalla mia testa, se vado con calma impiegherò troppo tempo e loro mi raggiungeranno. Con sicurezza allungo le braccia e mi aggrappo ad un tubo di ferro, che sporge fra le assi di legno. Gli Uomini Neri sono arrivati alla base delle macerie ed iniziano a salire. Faccio forza con le braccia, piego la testa di lato e passo fra i tetti; sento i bordi, resi taglienti a causa del tempo, che gli ha consumati, graffiarmi le spalle e la schiena. Intanto loro devono essere quasi in cima e li sento gridare qualcosa, ma non presto attenzione alle parole. Con un altro grande sforzo riesco a sollevare tutto il corpo sul tetto, al sicuro dai due; appoggio il piede destro sulle assi di legno e mi spingo in avanti, ma mi muovo troppo velocemente. Sento il rumore del legno che si spezza accompagnato da un dolore insopportabile alla gamba sinistra. Un involontario e atroce grido di dolore mi esce dalle labbra; stringo convulsamente il tubo di ferro per evitare di scivolare in basso e cerco di trattenere le lacrime. Guardo cosa è successo: poco sotto i miei piedi vedo un pezzo di legno, che si è staccato dal bordo del tetto, una sua estremità è insanguinata; muovo gli occhi fino alla gamba, un unico taglio corre da sotto il ginocchio fino a quasi la caviglia. Fa un male terribile, ma non deve essere molto profondo e per fortuna non esce molto sangue. Intanto da sotto continuano a giungere voci, ma non capisco quello che dicono, però capisco quello che fanno; infatti stanno spaccando le assi di legno intenzionati a raggiungermi. Stringo i denti e mi alzo, ma il dolore è troppo forte e cado, rischiando di scivolare giù dal tetto. “Dannazione!” grido con le lacrime agli occhi, poi si sente un rumore più forte degli altri e un bel pezzo di legno si stacca; dal buco spunta una testa completamente coperta di stoffa nera, con due buchi bianchi: gli occhi. A questo punto la disperazione e la paura riescono là dove la volontà ha fallito. Appoggio le mani al tetto e mi sollevo, appoggiandomi alla gamba buona riesco a raggiungere la sommità del tetto; mi aggrappo e mi tiro su. Davanti a me una selva di tetti e la luna, ancora bassa sull’orizzonte alla mia sinistra, l’est, devo andare da quella parte. Mi lascio scivolare verso il basso, verso il punto in cui i tetti si toccano. A fatica riesco a rimettermi in piedi, raggiungo la cima dell’altro tetto aiutandomi anche con le braccia; questa volta i tetti sono separati, per passare all’altro dovrò saltare. Ancora una volta mi lascio scivolare, poi quando sono vicino al bordo salto; ma sono troppo debole e non riesco a saltare così lontano. Con il busto tocco l’altro tetto, ma dalla vita in giù penzolo nel vuoto. Scivolo verso il basso, disperatamente cerco qualcosa a cui aggrapparmi e lo trovo. La mia mano destra si infila in un buco fra le assi, immediatamente stringo il bordo e per poco non lascio la presa. Sotto al palmo sento un bordo scheggiato e tagliente, che mi incide la carne; con grande fatica riesco a non mollare la presa e mi aggrappo anche con l’altra mano. Poi l’oscurità diminuisce sostituita da una miriade di luci e di voci: stanno arrivando. Ancora una volta la disperazione riesce a trovare in me energie nascoste. Con un enorme sforzo comincio ad issarmi sul tetto, ignorando il dolore alle mani; riesco a sollevare oltre il bordo la gamba sana, così mi appoggio su questa per sollevarmi completamente. Evitando di appoggiarmi sull’altra provo a mettermi in piedi, per evitare di cadere all’indietro rimango piegato in avanti, con una mano appoggiata alla superficie del tetto. Provo a muovere un passo, poi un secondo, ma la gamba sinistra non regge e cado in avanti, picchiando il ginocchio. Un tremendo ed involontario urlo di dolore esce dalle mie labbra, sento gli Uomini Neri, che mi hanno raggiunto, ridere. Cosa che mi provoca una rabbia cieca, rabbia verso di loro, verso di me, verso questo mondo maledetto; rabbia che mi da nuove forze. Con un altro tremendo urlo mi rimetto in piedi e raggiungo la cima del tetto; due passi e sono sul successivo, ne raggiungo la cima e comincio a camminarci sopra per evitare una parte crollata dell’edificio; poi mi lascio scivolare verso il bordo e salto raggiungendo il successivo. Cammino fino in cima e poi mi giro a sinistra. La luna, ora più alta, brilla in tutto il suo splendore, sotto di essa la mia salvezza. Un edificio più alto di quelli che lo circondano, il tetto a capanna e sotto una grande croce bianca: casa mia. Mi sporgo per vedere la strada sottostante; di solito, dato che siamo in un paio ad usare questa scorciatoia, Franky fa posizionare una scala per aiutarci a salire, tanto di oggetti strani in giro ce ne sono molti, però di sera viene tolta, come tutte le altre cose, dalla strada per evitare che venga distrutta dagli Uomini Neri. Vado verso la parte più bassa e cerco di capire la distanza da terra, forse quattro metri; comunque il muro della casa non è perfettamente liscio, quindi, contando che il tetto non è molto sporgente, posso riuscire a scalarlo. Così con la gamba sana cerco di trovare qualche appiglio; ma all’improvviso arriva alle mie orecchie un suono, come il rombo di un tuono, che cresce di intensità velocemente. Sono qui, sono arrivati! È troppo tardi, non farò mai in tempo a scendere normalmente! Senza ragionare mi lascio cadere. Il vuoto mi accoglie per qualche secondo, poi tocco il suolo.

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Capitolo 2
*** Continua ***


Lentamente apro gli occhi, tutto ciò che vedo è luce, ovunque, accecante. Muovo gli occhi, poi la testa; ho male, ovunque; muovo le dita, so che sotto di esse vi è il suolo, ma non lo sento, non sento niente, non sento il rumore del mio respiro, il rumore delle Divoratrici che stanno arrivando. L’unica cosa che sento è il dolore, ovunque, in ogni osso, in ogni muscolo, persino gli occhi, accecati dalla luce, mi fanno male. Provo ad alzarmi, provo a muovere le braccia, ma non capisco se ci riesco; provo ad abbassare lo sguardo per vederle, ma c’è solo luce; stringo le dita, ma mi sembra che non succeda nulla. All’improvviso una sensazione nuova; un dolore diverso nasce dalla spalla sinistra, o almeno penso che sia la spalla, poi passa dalla parte destra del corpo e contemporaneamente nasce anche nelle gambe; provo di nuovo a muovere gli arti e la testa, ma non succede nulla. No, qualcosa cambia, comincio a sentire dei suoni, una voce forse, ma è incomprensibile, poi comincio a vedere qualcosa: due strane figure nere che si muovono. Poi finalmente tutto comincia a diventare nero, e con il buio il dolore scompare.
Dal nulla la prima cosa che emerge sono delle voci, prima solo come suoni confusi, poi acquisiscono senso: “Se anche si dovesse svegliare, ormai non avrebbe più possibilità”, poi svaniscono nel nulla, così come erano arrivate. In seguito qualcos’altro arriva: una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa nel nulla. Poi capisco: è il mio corpo; ciò che sento è il mio corpo! A poco a poco comincio ad uscire dal nulla. Apro gli occhi senza essere accecato; sopra di me vedo il soffitto di una stanza, sposto lo sguardo: da una parte vedo una parete, dall’altra una finestra da cui filtra poca luce. Sotto di me qualcosa di morbido, che abbraccia il mio corpo, però c’è qualcosa di strano, di sbagliato. Sento distintamente il materasso sotto la mia testa, sotto la spalla ed il braccio destro, sotto la gamba destra; ma non sento nulla dall’altra parte, è come se fosse sospesa nel vuoto. Abbasso lo sguardo, ma non vedo niente di anomalo, se non una fasciatura che ricopre la gamba sinistra dal ginocchio in giù, solo che non sento le bende toccare la pelle. Comincio ad essere spaventato. Provo ad alzare le braccia, ma solo il destro mi obbedisce con grande fatica, l’altro rimane immobile; cerco di muoverlo, ma non succede nulla, provo a stringere le dita, ma niente. Un terribile sospetto si insinua nella mente, ma cerco di scacciarlo. Riprovo a muovere il braccio, poi la gamba, ma non ottengo niente. Così faccio un ultimo tentativo: alzo il braccio destro, lo muovo sopra il mio corpo, poi lo piego e afferro il braccio sinistro. Sotto la mano destra lo sento distintamente, sento la stoffa del vestito, la morbidezza della pelle, ma dal braccio non provengono sensazioni, è come se non ci fosse, come se non fosse parte del mio corpo. Grido, grido per la paura, per la disperazione, grido mentre sento lacrime scorrere sulle guance. Poi qualcosa di scuro mi riempie la visuale e una mano comincia ad accarezzarmi la testa, mentre una voce dice qualcosa di incomprensibile.
Quando apro di nuovo gli occhi lo vedo seduto accanto a me. “Dimmi la verità” dico con un filo di voce, temendo la risposta. Senza guardarmi parla, nella sua voce la solita calma: “A parte le gambe rotte e una spalla slogata, l’unica cosa grave è il fatto che, come ti sei già accorto, tutta la parte sinistra del tuo corpo è paralizzata; non sappiamo se il danno è permanente, come sai di medici non ce ne sono qui, l’unico che siamo riusciti a procurarci è riuscito solo a ripulirti le ferite e darci un’idea generale delle tue condizioni, di più non ha potuto”. Anche se so cosa mi è successo, sentirlo dire da lui mi sembra ancora più terribile. “Quindi stai dicendo che...” inizio, “Che potresti non essere più in grado di alzarti da questo letto, almeno non con le tue gambe” conclude Franky, con la sua solita voce fredda e priva di emozioni, la voce necessaria ad un capo come lui. Sento che calde lacrime cominciano a scendere lungo le guance, me le strappo con rabbia, ma Franky fa una cosa che non mi sarei mai aspettato, mi prende la mano e la stringe: “Non c’è nulla di male nell’essere deboli, anzi ogni tanto piangere è l’unico modo per resistere a questo posto, l’unico modo per rimanere uomini”, poi si alza e in silenzio lascia la stanza.
Ogni giorno viene sempre qualcuno a trovarmi e a raccontarmi cosa succede fuori; proprio durante una di queste visite scopro che a salvarmi quel giorno era stato proprio Franky, che, con l’aiuto di due altri, ha attaccato gli Uomini Neri, però così per salvarmi ha condannato tutti.
Forse è il momento che spieghi un po’ di cose. Io vivo in una baraccopoli sorta accanto ad un enorme città secoli fa. Se all’epoca non vi era paragone fra la Città e le poche baracche dei disperati, che si trovavano sotto le sue mura; oggi la situazione è l’opposto: qualche centinaio di milione di Cittadini, contro qualche miliardo di disperati. La situazione è diventata così critica, che in Città hanno deciso di prendere drastiche soluzioni. Tra di esse vi sono quelli che noi chiamiamo Uomini Neri, il cui compito è quello di far sparire tutti coloro che non rispettano il coprifuoco, è per questo che gli abbiamo dato quel nome, si comportano come l’Uomo Nero, che si usa per fare spaventare i bambini. Le Divoratrici sono i loro mezzi di trasporto, le chiamiamo così perché chiunque vi entri non torna più. Ma questo è solo uno dei molti sistemi adottati per farci diminuire di numero. Ve ne sono molti altri, fra cui quello di rendere la nostra vita una vera lotta per la sopravvivenza, dal momento che il cibo viene distribuito solo una volta al mese e solo i più forti riescono a prenderne a sufficienza per sopravvivere; fortunatamente io appartengo ad una delle più forti bande di questo posto, quindi il cibo non manca mai.
Una mattina quando non c’è nessuno provo ad alzarmi, la sera prima un ragazzo mi ha portato quelle che dovrebbero essere stampelle; magari con quelle riesco a camminare. Né la spalla né la gamba, ancora utilizzabili, sono del tutto guarite;, ma non mi importa, ce la devo fare lo stesso. Piego il braccio destro, ma una fitta di dolore mi colpisce la spalla, la ignoro. Con grande fatica riesco a sollevarmi e appoggio le spalle al muro, poi riesco a mettermi seduto. Adesso arriva il difficile. Muovo lentamente la gamba destra fino ad appoggiarla a terra, poi con il braccio destro sposto l’altra. Afferro una stampella; usando solo questo e la gamba destra, provo ad alzarmi dal letto. Ci riesco, mi metto in piedi. Sì, posso farcela! Euforico ignoro i dolori di protesta che mi arrivano da tutto il corpo, che ha ancora sensibilità, e provo a camminare, per dimostrare di essere ancora sufficientemente forte per vivere qui. La cosa è complicata, però. Prima muovo la stampella in avanti, poi appoggiandomi solo su essa, ignorando il dolore alla spalla, faccio un piccolo salto in avanti, ma la gamba non regge il peso e cede. Cado in avanti, trascinato dalla parte morta del mio corpo; istintivamente porto in avanti le mani, ma una non mi risponde e l’altra è impacciata dalla stampella, così colpisco il pavimento con la faccia. Tra il grido di dolore e la botta della caduta faccio un frastuono infernale. Rimango fermo a terra con gli occhi chiusi, cercando di resiste al dolore, all’improvviso la porta della stanza si apre, solo che sono caduto dandole le spalle, così non vedo chi è entrato; però dalla sua voce capisco che è Tauros, il braccio destro di Franky, un essere tutto muscoli e molto intelligente. “Jack, cosa diavolo stai facendo?”, poi delicatamente mi solleva e mi rimette sul letto; “Sei impazzito? Ti avevamo detto che per almeno un mese saresti dovuto rimanere a letto, e tu dopo appena una settimana provi a camminare?”, mi guarda e capisco che ha capito perché lo ho fatto. “Non devi dimostrare che sei forte, che sei ancora in grado di cavartela da solo, nessuno tra noi ti considererà mai un peso e nessuno ti abbandonerà mai” dice, “Lo so, lo so, ma io mo sento inutile, non sono più degno di vivere, chiunque altro là fuori morirebbe se si trovasse nelle mie stesse condizioni” ribatto, “Sì ha ragione, chiunque nelle tue condizioni sarebbe morto, chiunque non appartenga a questa famiglia; qui le cose sono diverse, e lo sai bene”, detto questo esce. La sera sul tardi Franky torna a farmi visita; si siede sul letto in silenzio, poi mi guarda; sembra stanco, anzi no, sembra sconfitto. Prima che lui dica qualcosa, inizio a parlare, “So perché sei qui, mi dispiace per quello che ho fatto, è stata una stupidata e non ci...”, “Jack è finita”, “Cosa, cos’è finito?”, non mi risponde, continua a fissare la finestra di fronte a sé. Il silenzio rimane fra noi per diversi minuti, poi parla ancora: “Quando tuo padre fu portato via, poco tempo prima che tu nascessi, mi fece fare una promessa”, si interrompe, non è la prima volta che mi parla di mio padre, ma non ha mai usato un tono così serio, “Gli promisi che avrei difeso la sua famiglia ad ogni costo, soprattutto te, che eri la sua speranza. Tuo padre era tutto per me, un amico, un fratello; mi aveva salvato la vita innumerevoli volte, mentre io non sono riuscito a salvarlo; l’hanno portato via davanti ai miei occhi e non ho potuto fare nulla per difenderlo, all’epoca il capo di questa banda era un uomo troppo codardo per difendere i suoi uomini”, si volta a guardarmi, è la prima volta che mi parla di questo, “Non sono venuto a rimproverarti Jack; so perché lo hai fatto e ti capisco, proprio per questo, o meglio anche per questo, lascio a te la scelta tra rimanere qui, o andare con loro. Sappi che ognuno di noi e disposto a dare la vita per te, e credo che te lo dimostreremo questa notte, dal momento che, per qualche ragione, hanno deciso di averti a tutti i costi”. Rimango in silenzio, sorpreso da quello che ha detto, ne capisco il motivo. “Se non volessi andare? Hai detto che mi proteggereste a costo della vita, cosa inutile, perché  da quello che ho capito loro sono più forti”, “Ogni notte ne arrivano sempre di più, e io non ho abbastanza uomini per proteggerti”, “Inoltre anche se tu riuscissi ad impedire che mi prendano, il mio futuro sarebbe rimanere in questo letto, incapace di fare tutto, cosa che non posso accettare. Se mi consegnassi a loro, cosa succederebbe”, “Hanno dimostrato che tu gli interessi; è già capitato che una preda gli sfuggisse, ma non hanno mai insistito tanto come con te. Quindi posso immaginare che ti riserverebbero un trattamento speciale, magari potrebbero addirittura guariti, per loro curare una paralisi e facile come curare un raffreddore, poi penso che ti lasceranno andare”, rimango stupido da queste parole, “Cosa? Nessuno torna, una volta preso”, “Non è del tutto vero, non ti sei mai chiesto perché a volte di impedisco di venire con me?”, “Certo, un giorno ho chiesto spiegazioni a Tauros, mi ha detto che potrò saperlo solo quando sarò pronto, ma non capito cosa intendesse”, “Beh, diciamo che andare con loro è un modo per scoprilo. Comunque se ti sto facendo questa proposta è perché sono sicuro che non ti succederà nulla” conclude. Rimaniamo in silenzio per qualche secondo,  “Non ho scelta” dico “Il mio destino è segnato in ogni caso”.

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Capitolo 3
*** Continua ***


Al mattino è Tauros ad aiutarmi ad uscire e a salire sulla Divoratrice. Vengo messo accanto ad altre persone, una donna ed un bambino; quando stiamo per partire appare Franky accanto ad un Uomo Nero, che incredibilmente è senza maschera. Questo mi guarda, “A lui spetta un trattamento speciale; prima di poterlo usare deve essere rimesso in sesto” dice ai suoi compagni, così uno di questi mi solleva e mi appoggia su una lastra di metallo, che, penso, serva per trattenere prede poco riluttanti ad obbedire, perché è fornita di cinghie per mani e piedi. Dopodiché sale anche quello senza maschera, il portellone si chiude e si parte. Gli Uomini Neri si siedono in un angolo a parlare, senza badare a noi prigionieri, che comunque siamo troppo spaventati per fare qualunque cosa. Però dalla posizione in cui mi trovo, posso vedere chiaramente quello senza maschera. Noi immaginiamo gli Uomini Neri come mostri assetati di sangue, con mille bocche piene di denti taglienti, artigli come quelli degli orsi, occhi che possono vedere al buio e altri dettagli mostruosi; in realtà sono uomini come noi. Questa scoperta mi ha stupito così tanto, che la sorpresa è quasi più grande della paura. Osservo attentamente il volto, ha una bocca normale, un naso comune, due occhi normalissimi. Senza preavviso ci fermiamo. Si alzano e si avvicinano agli altri prigionieri; vedendoli il bambino scoppia a piangere dalla paura, mentre la donna si rannicchia contro la parte e si copre il volto con le mani. I due Uomini Neri gli afferrano e molto rudemente li spingono fuori dal mezzo. Io non voglio mostrarmi così debole, cerco di alzarmi da solo, ma un di loro mi rimette sdraiato, “Tu devi andare da un'altra parte”. Il portellone si richiude e ripartiamo. Mi portano in uno strano posto, con un mucchio di stanze dove ci sono una o due persone sdraiate su un letto, che alla vista deve essere comodissimo. Mi piazzano in una stanza simile e arriva una donna, giovane, con addosso un lungo vestito bianco. Mi sorride, poi prende una siringa e mi inietta qualcosa nel braccio, “Cos’è questo posto?” chiedo, lei ride, “Ma come non sei mai stato in un ospedale?”, non riesco a risponderle perché comincio a sentirmi stanco e molto assonnato, così chiudo gli occhi.
Del periodo trascorso in ospedale( che poi ho scoperto essere il luogo in cui le persone vengono curate dai veri medici, mentre da noi con medico si intende un uomo anziano, che si presume, avendo raggiunto quell’età, abbia una profonda conoscenza delle malattie e dei rispettivi rimedi) non ho ricordi precisi ma solo frammenti di immagini, che non hanno collegamenti logici fra loro. Tranne che dell’ultimo giorno, quando finalmente mi sono veramente svegliato.
Apro gli occhi e mi metto a sedere sul letto, mi strofino la faccia e sbadiglio; non ho mai dormito tanto a lungo in tutta la mia vita. Mi stiracchio per bene le braccia, poi le faccio cadere sul letto e le osservo. Mi accorgo che qualcosa è cambiato; mi ci vuole un attimo ma poi ci arrivo: ho appena mosso il braccio paralizzato. Riprovo ad alzarlo e mi obbedisce, poi muovo le gambe e tutte due mi rispondono. Si muovono, sono guarito! Per cinque secondi rimango immobile, poi esplodo. Con un unico slancio mi catapulto fuori dal letto, quando vedo che riesco a reggermi perfettamente in piedi, la gioia aumenta, con un urlo di felicità comincio a saltellare per tutta la stanza, finché non sbatto contro una persona che è appena entrata. Per la botta cado a terra; la guardo e la riconosco, è la donna che si è presentata il primo giorno; vedendo la sua espressione stupita scoppio a ridere. Quando mi passa, mi rimetto in piedi. “Ciao! Hai visto, sto bene!” le dico cominciando a saltare sul posto come un idiota, lei sorride, “Per quanto sono stato qui?” chiedo, “Quasi un mese” risponde sempre con un sorriso, “E adesso che faccio”, “Adesso vieni con me”. Ha rispondermi non è stata la donna, ma un uomo comparso sulla soglia, un uomo il cui volto mi è impossibile da dimenticare, quell’uomo che mi ha portato via dalla mia casa. Tutta la mia felicità svanisce, al suo posto ritorna la paura. Alla fine il momento di affrontare il mio destino è arrivato.
Dal giorno in cui mi hanno portato via dall’ospedale sono passati tre mesi, quindi ne sono passati quattro da quando mi hanno portato via da casa; quattro, un tempo infinito per noi, dal momento che la nostra vita può cambiare radicalmente in una sola note, proprio come è successo a me. Comunque per tutto il tempo mi hanno tenuto chiuso in una stanza. Non ho mai visto né sentito nessuno; ogni giorno, tre volte al giorno, mi compariva un pasto sulla soglia della porta della stanza; le uniche cose che ho fatto in questi mesi sono stati mangiare e dormire. E stranamente mi sentivo sempre affamato e sempre stanco. Diciamo che in questi mesi ho recuperato sedici anni di sonno arretrato e di fame; infatti mi sono accorto di aver messo su peso, ora non mi si vedono più le ossa! Un giorno, dopo il secondo pasto della giornata, la porta si apre. Sulla soglia c’è una donna, “Vieni con me, è ora”, esco ubbidiente e vedo che ci sono anche due uomini ai lati della porta, due esseri enormi, che mi mettono un po’ in soggezione. Li seguo attraverso una serie di corridoi, per me identici, infine entriamo in una stanza, bianca, dal pavimento al soffitto, con al centro un letto. La donna mi fa segno di sdraiarmi sopra, lo faccio; “Tranquillo, non sentirai nulla” dice, poi qualcosa mi punge il braccio e tutto comincia a diventare buio.
Pian piano riprendo conoscenza. Mi ritrovo in una stanza strana; da due finestre alla mia sinistra entra la luce del sole. Mi muovo un po’ nel letto, poi mi alzo e mi metto seduto. La stanza è piuttosto grande, vi sono molti letti, posti in modo più o meno ordinato. All’improvviso si apre una porta, che prima non avevo notato, ed entra un ragazzo. Rimane appoggiato sulla soglia della porta a fissarmi, “Ben sveglio” dice. Provo ad alzarmi, ma ho un capogiro e ricado sul letto. Deve essere una conseguenza di quello che mi hanno fatto, però non vedo fasciature o altro in nessuna parte del corpo, quindi non mi hanno fatto nulla di strano; in più indosso dei vestiti nuovi. Chissà che mi è successo. Riprovo a mettermi in piedi e ci riesco, ma sono un po’ traballante. “Tranquillo è normale, sei stato privo di sensi per due giorni, e ora sei debole”, ritrovo l’equilibrio e cammino verso di lui. “Chi sei?” chiedo, lui mi allunga la mano destra, che stringo, “Erik”, “Jack” rispondo. “Bene, ora se no ti dispiace andrei a fare colazione” dice, poi esce e io lo seguo. Camminiamo fino ad una porta, che Erik apre; quello che vedo mi lascia senza parole. Anche se è da qualche mese che non manca più il cibo, non sono ancora abituato ad un simile spettacolo. La stanza non è molto ampia, al centro vi sono due grandi tavole, su cui vi è una quantità inimmaginabile di ogni genere di cibo. Rimango fermo sulla soglia a guardare questa meraviglia. Erik si volta sorridendo, “Fa un certo effetto, vero? Anche se sono qui da qualche giorno non mi sono ancora abituato a questa vista!”. Si siede ad un tavolo e io lo imito. Comincio a mangiare e continuo per un tempo indeterminato, vorrei assaggiar ogni cosa, ma è fisicamente impossibile. Alla fine mi arrendo molto dopo Erik. “Adesso cosa si fa?” chiedo, “Nulla”. Si alza dalla sedia e si incammina. Lo seguo. Ritorniamo nella stanza di prima; lui va verso un letto e si siede sopra, così io mi siedo su quello in cui mi sono svegliato. “Mi potresti spiegare qualcosa su questo posto?” chiedo, “Dipende” risponde, “Da cosa?”, “Se so quello che mi chiedi, ti rispondo; altrimenti no” risponde serio, rimango per un attimo in silenzio a fissarlo, chiedendomi se c’è o ci fa, poi lui si mette a ridere; “Scusa, scusa; chiedi pure” mi dice. “Cosa ci è successo?” inizio, “Non ne ho la minima idea! Mi sono svegliato, come è successo a te, quattro giorni fa, con me c’era un altro ragazzo, che si era ritrovato qui qualche giorno prima di me; è stato lui che mi ha mostrato la mensa e mi ha spiegato qualcosa; però all’improvviso è scomparso”,  “Ah, bene. Quindi cosa sai?”,  “Allora, secondo quel ragazzo ci troviamo in Città, non molto distanti dalle Mura”,  “Perché?”,  “Cosa?”,  “Come fa ha sapere che siamo vicini alle Mura?”,  “Non ne ho idea, questo è quello che mi ha detto”,  “Ok, continua”,  “Mi ha detto che questo è il posto in cui portano tutti quelli che vengono catturati; ne era sicuro perché quando si è risvegliato con lui c’era una persona che conosceva, la quale era stata presa qualche mese prima di lui. Però non aveva la minima idea sul perché ci portino qui”,  “Ma cos’è questo posto!”,  “Un laboratorio?”,  “Cioè?”,  “Un luogo in cui delle persone si divertono a fare cose strane su altri esseri viventi; noi in questo caso”,  “Quindi siamo i giocattoli di qualcuno”,  “Sì, un esempio perfetto” conclude. Erik si sdraia e chiude gli occhi. Comincio a sentire anch’io una certa sonnolenza, così mi allungo sul letto e chiudo gli occhi. Vengo svegliato dal mio stomaco che brontola perché è vuoto. Mi metto seduto; Erik è già sveglio e passeggia per la stanza, “Stavo aspettando te, andiamo a mangiare?” chiede, annuisco. Usciamo. “Ho passato tre mesi a mangiare e dormire, eppure sento ancora fame come prima di essere preso!” dico, lui annuisce, “Secondo me mettono qualcosa nel cibo, che ci fa avere sempre fame e sonno, così non tentiamo di scappare” commenta Erik. Arriviamo in mensa; anche adesso è vuota, di persone, non di cibo. Iniziamo a mangiare, ma veniamo interrotti dalla porta che si apre. Non noto subito chi ha aperto la porta, Erik sì; in silenzio si alza e comincia a camminare, poi vedo verso chi sta andando: due Uomini Neri. Paralizzato dalla paura, rimango immobile a fissare Erik andare verso di loro. Poco prima che la porta si chiude alle sue spalle, Erik si volta a guardarmi, sul suo volto un espressione di puro terrore. Non riesco a reagire subito, impiego qualche secondo. Poi scatto in piedi, vado verso la porta e la spalanco, non c’è nessuno, Erik è sparito.

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Capitolo 4
*** Continua ***


Comincio nella direzione opposta rispetto a quella del dormitorio; il corridoio è dritto per qualche metro, poi svolta a sinistra ad angolo retto, seguo il percorso, ma dopo altre svolte mi ritrovo davanti alla porta del dormitorio. Sicuramente non lo troverò qua dentro, comunque apro la porta per verificare; non c’è nessuno. Dove possono essere andati, questo posto è un quadrato e non ci sono stanze se non la mensa, il dormitorio ed il bagno, che ci sia una porta nascosta da qualche parte? Non sapendo cos’altro fare vado verso il mio letto, anche se non penso che riuscirò a prendere sonno, ho troppa paura. Invece mi addormento, perché vengo svegliato all’improvviso dalla porta della stanza, che viene aperta con forza. Sulla soglia c’è Erik, rimango di sasso, incapace di parlare o muovermi. “Andiamo, ci stanno aspettando” dice, poi si volta ed esce. Mi riprendo dallo stupore e mi affretto a seguirlo. Sembra diverso da prima; non che io lo conosca bene, ho passato insieme solo poche ore, però adesso mi sembra cambiato, non so dire come o in cosa; però immagino che la causa sia legata a quello che è successo ieri. “Chi ci aspetta?” chiedo, “Adesso lo scoprirai” risponde. Arriviamo davanti alla mensa ed entriamo. Ora non è vuota; seduti, che mangiano tranquillamente, ci sono tre ragazzi. Erik si siede con loro. Io sono completamente esterrefatto, soprattutto perché sembrano tranquillissimi e completamente a loro agio. Lentamente avanzo verso di loro, mi stanno guardando, soprattutto uno in particolare ha uno strano sguardo, sembra quasi ostile. Invece di sedermi vicino a loro, mi metto più lontano e comincio a mangiare, continuando a guardarli con la coda dell’occhio. L’atmosfera tranquilla e rilassata di prima è sparita; qualcuno di loro dice qualcosa a bassa voce e gli altri scoppiano a ridere; non so perché ma ho l’impressione che stiano ridendo di me. La cosa continua fino a che io non mi stufo. Mi alzo e vado verso di loro, “Se state parlando di me vi consiglio di abbassare la voce, perché vi sento; invece se state parlando con me vi conviene alzarla, perché non vi sento abbastanza bene”, questo toglie il sorriso dalle loro facce. Quello che prima mi guardava con astio si alza; è veramente enorme, gli arrivo appena al petto, ed è largo il doppio di me. “Hai ragione, non vedo perché dovremmo escluderti dalla conversazione; stavamo proprio parlando di te!” gli altri, tranne Erik, ridono come se avesse detto qualcosa di spiritoso; “Secondo loro tu dovresti essere più forte di noi, per questo ci impediscono di uscire senza di te. Ma vedendoti non mi sembri quel granché, ti potrei spezzare in due in qualsiasi momento!” esclama e ancora una volta partono delle risate. Penso che quello che ha appena detto debba essere un insulto, ma sinceramente non ho capito nulla del suo discorso, così glielo dico: “Senti amico, io non ho capito nulla di ciò che hai detto; se per caso vi ho fatto qualcosa che vi ha offesi, mi scuso”, ma non ottengo l’effetto sperato. Infatti ancora una volta tutti scoppiano a ridere, “Peggio di quanto pensassi! Se davvero dobbiamo confidare in quello, non usciamo più da qui” dice ancora, “Lo hai già detto, e io ti ho detto a mia volta, che non ho capito quello che hai detto!” gli rispondo, ma lui continua imperterrito, “Debole e pure idiota!”. Adesso ha superato il limite. Gli do un pugno, precisamente sul naso, lui barcolla all’indietro sorpreso, mentre gli altri si sono immobilizzati e mi fissano stupiti. Quello che ho colpito si riprende e reagisce. Con un urlo, troppo simile al ruggito di una bestia, scatta verso di me, superando la tavolata e i suoi amici. Io rimango immobile come un babbeo a guardarlo, mi sta per colpire, ma sento un rumore come di qualcosa che si strappa, poi uno spostamento d’aria mi getta a terra. Nella parete opposta, a più di cinque metri dal tavolo, incastrato in un buco nel muro, c’è lo spaccone di prima, davanti a lui Erik, la cui maglietta ha due enormi strappi sulla schiena. Penso che stiano parlando, o meglio a parlare è Erik, l’altro si limita ad annuire e scuotere la testa, mentre mi guarda. Posso facilmente immaginare cosa si stiano dicendo e la cosa non mi piace; né ho bisogno, né voglio la protezione di Erik. Mi rialzo in piedi e sto per andare verso di loro, quando realizzo ciò che è successo: innanzitutto lo spaccone con un solo salto ha superato il tavolo ed i suoi compagni, cosa che un semplice ragazzo non dovrebbe essere in grado di fare; in secondo luogo Erik, in meno di un secondo, è riuscito a spostarsi dal tavolo, agguantare l’altro ragazzo e coprire cinque metri, distruggendo l’altro tavolo e sfondando il muro, in più sembra che nessuno dei due si sia fatto male, cosa assolutamente impossibile per un qualunque normale essere umano. “Ma che diavolo è successo?” , mi volto verso gli altri due ragazzi, ma vedo che non sono minimamente interessati alla cosa, uno sta mangiando, mentre l’altro sta ridacchiando , vedendo la mia espressione stupita. Erik si sposta e mi fa segno di seguirlo, io obbedisco troppo stupito per reagire altrimenti. Andiamo fino al dormitorio, entriamo. Io mi siedo sul mio letto in attesa di spiegazioni, che non arrivano. “Dimentica quello che hai visto, per il momento almeno; ti verrà spiegato tutto a suo tempo, per adesso evita di fare domande, loro non apprezzano molto i curiosi”. Tutta questa faccenda mi sembra strana e anche un po’ preoccupante, ma trattengo le domande come mi ha detto lui. Così mi comporto come sempre, mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi. Dopo qualche minuto sento Erik uscire dalla stanza.
Non li ho più visti, né Erik né gli altri. Sono passati tre giorni da allora e in questo posto non c’è stato più nessuno, se non io. Finita quella che dovrebbe essere la colazione, ritorno svogliatamente verso il dormitorio, preparandomi ad un’altra dormita. Però quando apro la porta vedo una cosa incredibile: sul letto che si trova al centro della stanza è seduto un ragazzino, che alla vista sembra di qualche anno più piccolo di me. Si sta guardando attorno con aria spaesata, ma quando mi vede sembra rassicurarsi. “Dove sono?” chiede, “Non ne ho la minima idea” rispondo; tuttavia mi sembra che questa risposta non lo abbia rassicurato, così, anche per evitare future domande, decido di dirgli tutto quello che so. “In realtà adesso sei in un dormitorio e se hai fame ti posso accompagnare in mensa. Però dirti di che cosa siano il dormitorio e la mensa è difficile; ci dovremmo trovare da qualche parte vicino alle mura della Città; non chiedermi il perché ci troviamo qui, sarebbe inutile dal momento che anch’io ne ignoro il motivo. Tutto chiaro?”, lui scuote la testa, “Perfetto, allora siamo in due a non aver capito”, “Hai detto che c’è una mensa? Avrei un po’ di fame!”, “Certo, vieni con me”, mi volto e aggiungo “Io sono Jack”, ma come risposta ottengo un tonfo. Mi giro e lo vedo sul pavimento, che tenta di rialzarsi a fatica. Lo raggiungo e lo aiuto a rialzarsi, “Tranquillo è successo anche a me, sei debole, tutto qui!”, “Deve essere per quello che mi è successo...”, “Non parlarne, mi è stato consigliato di evitare certi discorsi; penso che quando sarà il momento ci verrà detto tutto” dico, per evitare che vada avanti a parlare. Quello che mi ha detto Erik, mi ha un po’ spaventato, soprattutto perché sembrava tremendamente serio quando me lo ha detto, e anche forse un po’ preoccupato. Lentamente iniziamo a camminare, ma ben presto diventa evidente che è troppo debole per continuare da solo, così lo aiuto a proseguire. Alla fine, quando arriviamo davanti alla mensa è praticamente un peso morto, non prova nemmeno a muovere le gambe, si limita a respirare il più profondamente possibile, che se non riuscisse a trovare aria a sufficienza. Lentamente lo faccio sedere su una panca e lui comincia a mangiare, più mangia, più sembra riprendersi. Alla fine esclama: “Adesso va meglio!”. Mi ha veramente preoccupato; anche io mi sono sentito debole appena sveglio, ma non così tanto; tuttavia adesso sembra veramente meglio. Si guarda attorno con curiosità, “Adesso che si fa?” chiede, io sorrido, ricordando di aver fatto la stessa domanda a Erik, così do la stessa risposta: “Nulla”, “In che senso nulla? Ci sarà qualcosa da fare?”, “Certamente; mangiare e dormire sono le principali attività, anzi le uniche attività che facciamo qui”; mi guarda strano, “Non ti preoccupare ti abituerai presto all’inattività!” dico, poi mi alzo e ritorno nel dormitorio, seguito dal ragazzo. Ci sdraiamo entrambi sui rispettivi letti, ma noto che c’è qualcosa di strano, “Ehi tutto bene?” chiedo, “No, per niente, son...” è interrotto da un involontario grido di dolore, balzo giù dal letto e corro da lui, “Che hai?”, ma non riesce a rispondermi, perché il suo corpo comincia a tremare convulsamente, cerco di impedire che cada dal letto bloccandogli le spalle; poi si calma improvvisamente. Spalanca di colpo gli occhi e mi afferra un braccio, prova a parlare, ma non ci riesce; prende faticosamente fiato, poi sussurra: “Aiutami”, poi i suoi occhi si chiudono e perde conoscenza. Passo tutto il pomeriggio vicino a lui, ma capisco che qualunque cosa abbia, non riuscirà a riprendersi di nuovo. Verso sera, almeno penso che sia sera, il suo respiro si fa affannoso, poi comincia a rallentare, fino a che non si ferma del tutto. Di solito la morte di una persona non mi sconvolge molto, ogni giorno della mia vita ho visto stramazzare al suolo persone di ogni genere ed età, per i motivi più disparati, e molti erano anche mie amici; questo ragazzo nemmeno lo conosco, eppure la sua morte mi ha scosso profondamente. Ritorno verso il mio letto e mi siedo, guardando il vuoto, incapace di avere altre reazioni. All’improvviso un’ombra entra nel mio campo visivo e una mano si appoggia sulla mia spalla, “Solo i più forti riescono a sopravvivere. Ora vieni è il momento di scoprire la verità”, mi alzo e seguo l’uomo che ha parlato.

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Capitolo 5
*** Continua ***


Seguo l’uomo; lo seguo senza provare alcuna emozione. Ci fermiamo di fronte ad una parete, che si apre rivelando un altro corridoio; lo percorriamo tutto fino ad arrivare ad una porta, mi dice di entrarci e io obbedisco. Mi trovo in un ambiente scuro e piccolo, entra poca luce da un vetro che si trova in una parete. Da qualche parte proviene una voce: “Sarà doloroso”, poi inizia. Dolore, dolore terribile il mio corpo comincia a contorcersi, cado a terra incapace di fare qualsiasi cosa, se non provare dolore. Dopo un tempo infinito tutto cessa. O meglio continuo a provare male, ma è solo una sensazione lontana. Tuttavia sento che qualcosa non va, provo a guardarmi attorno, ma i miei occhi non si muovono; nel mio campo visivo entra un mio braccio, solo che io non lo ho mosso; gli occhi si chiudono e si riaprono; mi ritrovo a guardare una parete della stanza, stanza che adesso sembra più piccola di prima; un ruggito tremendo scuote la stanza, poi un braccio, o quello che sembra essere un braccio compare nel mio campa visivo e si abbatte contro la parete disintegrandola. Una nuova tremenda fitta di dolore mi colpisce e tutto diviene buio. E rimane così per molto tempo. Immerso nel buio, nel nulla.
Che senso ha, cosa vuol dire nulla, se ora sono immerso nel nulla, significa che prima c’era qualcosa, ma cosa; io? C’ero io? E cos’ero, cosa sono ora? Nulla, non sono nulla, solo nulla. “Credete che si risveglierà?”, una voce, dal nulla emerge una voce. Una voce? Come può esserci una voce, come posso aver sentito una voce, se non sono nulla; se ho sentito una voce, vuol dire che ho delle orecchie... Sì è vero ho delle orecchie, le sento, ho delle orecchie! Ma allora cosa sono io? Magari la voce me lo dirà. Così rimango ad ascoltare per un po’, ma la voce non torna più. Ma all’improvviso dal nulla compare un’altra cosa, qualcosa di strano, che continua a ripetersi... Una mano, sono le dita di una mano che si muovono; una mano? La mia mano, ho anche una mano! Sorrido felice di aver trovato la mia mano. Un momento, se sto sorridendo ho anche una bocca? Riprovo di nuovo a sorridere e ci riesco! Quindi ho anche una bocca! La apro e comincio a respirare, e questo mi fa tornare lentamente consapevole di me stesso. Alla fine solo una cosa mi manca, gli occhi. Nel frattempo la voce è tornata e si è accorta che sono sveglio, purtroppo non sono ancora in grado di parlare o di muovermi. Continuo a sforzarmi ad aprire gli occhi o a muovermi o a parlare, ma è tutto inutile. Poi sento una voce famigliare chiamare il mio nome e questo mi fa risvegliare completamente. Apro gli occhi e mi metto a sedere sul letto.
Mi trovo in una stanza del tutto simile al dormitorio, in cui ho trascorso i giorni precedenti, solo che questa è immersa nella semioscurità; mi guardo attorno, ma ho fitte di dolore in ogni ossa del corpo e mi sento debolissimo. Senza che io chieda nulla, Erik, la voce che ha parlato prima, mi racconta ciò che è successo; a quanto pare sono rimasto tra la vita e la morte per cinque giorni, Erik dice che ciò che mi è successo è stato un evento straordinario, ma io non capisco cosa voglia dire; una cosa è certa, qualsiasi cosa sia successa ha fatto abbassare la cresta al ragazzo che in mensa si era divertito a provocarmi, anche lui è qui, solo che adesso e in silenzio, appoggiato alla parete, con lo sguardo rivolto a terra. Appena mi sono ripreso abbastanza da poter camminare, usciamo dalla stanza; Erik mi spiega che ci troviamo sempre nello stesso edificio, solo in un’altra ala, che è stata costruita specularmente alla parte in cui ho vissuto fino a cinque giorni fa. Infatti mi accompagnano in un locale identico alla mensa di prima, solo che, in questo caso, non è vuota, ma al contrario è troppo piena. Io rimango impietrito sulla soglia mentre gli altri entrano tranquillamente. Passata la sorpresa mi incammino anch’io, continuando a guardarmi attorno; passo di fronte ad una persona, che mi sembra di conoscere; mi vede e mi fa un cenno di saluto con la testa e io la riconosco. Vedendolo tutto si chiarisce; anzi, mi stupisco di come non ci sia arrivato prima, eppure Erik lo aveva detto esplicitamente il giorno in cui mi sono risvegliato. Chi ho davanti in questo momento è l’Uomo Nero che mi ha portato via da casa, a cui mi ha consegnato Franky. In preda ad emozioni contrastanti vado da Erik, lo afferro per la maglietta e lo alzo di fronte a me, “Cosa mi hanno fatto, che posto è questo?” gli chiedo, “Jack, calmo; ti, ti spiegheranno tutto...”, lo mollo, non ho bisogno di altre parole; ho già avuto la conferma che cercavo. Mi guardo attorno, sono tutti zitti, sono tutti intenti a fissarmi, sono tutti Uomini Neri e io sono diventato uno di loro. Vedendoli provo in un primo momento un terrore folle, poi viene sostituito dalla rabbia, che aumenta sempre di più, rabbia rivolta soprattutto nei confronti di Franky, che mi ha tradito, che mi ha consegnato nelle mani di mostri, pienamente consapevole che sarei anch’io diventato uno di loro, un mostro. Con un urlo, mi metto a correre per uscire dalla stanza e appena ne sono fuori, noto una porta, che prima non avevo visto; una porta spalancata su di un prato verde. “Jack!” sento gridare Erik alle mie spalle, io, per risposta, mi volto e ruggisco, al che tutte le persone uscite dalla mensa per cercare di fermarmi, si bloccano terrorizzate; con un altro tremendo ruggito, sfondo la porta, troppo piccola per permettermi di passare e mi lancio all’esterno. Per qualche secondo mi inebrio della sensazione di essere all’aperto, di sentire il calore del sole, di sentire il vento, poi la rabbia prende nuovamente il sopravvento e comincio a correre. Il prato è delimitato da un muro, che supero con un semplice salto. Atterro dall’altra parte; non vedo nessuno, quindi è vero che siamo vicino alle Mura, altrimenti ci sarebbe stato qualcuno in giro, anche se è quasi il tramonto. Sento provenire sempre più voci dall’altra parte del muro e la cosa non mi piace; così comincio a correre in una direzione casuale, pensando solo ad allontanarmi il più possibile. Quando, dopo una decina di minuti, mi sembra di essere abbastanza lontano, mi fermo. Cerco di orientarmi ascoltando i rumori che mi circondano e gli odori che mi arrivano. Ed è proprio un odore, che mi indica la strada da seguire: l’inconfondibile puzzo che caratterizza la città in cui sono nato. Mi rimetto a correre seguendo la scia; sono costretto a continue deviazioni, perché voglio cercare di rimanere nascosto tra le case; tuttavia ad un certo punto mi ritrovo in un vicolo cieco e ho un'unica possibilità, scavalcare l’ostacolo. Prendo la rincorsa e spicco un balzo, atterro precisamente sul tetto del palazzo; poi mi volto e ciò che vedo mi lascia senza parole: basso all’orizzonte il sole incendia di luce rossa gli edifici più alti della Città, al cui centro si apre un’immensa voragine scura, che è la fonte di energia di tutta la Città. Ma un’altra cosa mi impressiona maggiormente, una costruzione che si trova davanti a me, una costruzione di cui nel mia città si sente spesso parlare, ma che io non ho mai potuto vedere di persona: il Muro. Ormai è inutile continuare nascosto, quindi è meglio procedere in linea retta, così arriverò prima alla meta. Quindi continuo la mia corsa saltando di tetto in tetto. All’improvviso, oltrepassata una casa abbastanza alta, compare una piazza, io non ho abbastanza slancio per attraversarla in volo, così cado a terra, a poca distanza da dei bambini, che stanno giocando. Appena mi vedono si zittiscono, poi iniziano a gridare e piangere terrorizzati, per poi scappare via. Io rimango sorpreso; certamente vedere un ragazzo cadere dal cielo non è una cosa che si vede tutti i giorni, ma avere una reazione simile è esagerato! Non sono mica un mostro! Prima che la situazione precipiti, scappo anch’io. In meno di un minuto ho raggiunto il confine. Ma ora viene il bello. Il Muro è veramente enorme; anche se mi trovo sul tetto di una casa piuttosto alta, la cima si trova a diverse decine di metri di altezza oltre me, distanza che non penso di riuscire a superare con un salto; in più, per complicare le cose, la costruzione su cui mi trovo non è stata costruita a ridosso del Muro, ma come tutte le altre, si trova ad una decina di metri di distanza. Non riuscirò mai ad oltrepassarlo. Ma appena penso questo, succede qualcosa di strano, non so come spiegarlo, sento una sorta di brivido lungo la schiena, che mi provoca un piccolo tremore, al termine del quale mi sento diverso; guardo nuovamente verso la cima del Muro e questa volta so di poter superarla facilmente, anzi mi meraviglio di come prima abbia potuto pensare il contrario. Mi piego sulle ginocchia e salto; purtroppo ci metto troppa forza e distruggo la casa su cui stavo, che comunque era disabituata, quindi non mi preoccupo troppo. Oltrepasso il Muro senza sforzo, però non ho tenuto conto che dall’altro lato ci sarebbe stato un dislivello maggiore, e così, senza niente attorno a me, che mi possa servire da appiglio,  cado. Atterro piuttosto malamente, ma non mi rompo niente per fortuna. Quando mi rialzo e vedo che sono arrivato, tutta la rabbia svanisce. Mi lascio cadere a terra e mi accorgo di essere completamente nudo. Forse è per questa ragione che prima i bambini si sono spaventati; loro non sono abituati a vivere spesso senza vestiti, dato che  i vestiti li hanno sempre a disposizione. Comunque ciò che mi preoccupa è il fatto che non ho la più pallida idea di dove mi trovi. Mosso dalla rabbia, ho agito trascurando un piccolo dettaglio, qui è impossibile orientarsi. Non mi sono mai spinto così vicino al Muro; non perché ne sia intimorito, ma perché, da dove si trova il luogo in cui vivevo prima, è fisicamente impossibile andare e tornare prima del tramonto. Non sto esagerando! Questo posto è talmente grande che  si dice che nessuno sia mai riuscito a percorrerlo tutto; inoltre dicono, i pochi che gli hanno visti, che i margini più esterni si inoltrino così tanto in territori selvaggi, che nemmeno gli Uomini Neri osano avventurarsi; comunque là vi sono pericoli peggiori, in primo luogo non arriva cibo; secondo, il lavoro degli Uomini Neri è svolto egregiamente dalle bestie selvatiche, orsi o lupi o gli stessi uomini, i quali non si limitano a catturare solo coloro che si trovano fuori dopo il tramonto, e non sono neppure fermati dalle case, sempre se quelle cose, in cui si vive là, si possano definire case. Quindi in sostanza anche se vivessi cent’anni, non ho la minima possibilità di trovarlo. Avvilito, rimango a contemplare l’acqua scorrere nel canale al centro della strada. All’improvviso un’ombra, più scura di quella che getta sul terreno il Muro, passa sopra di me; alzo lo sguardo ma la sola cosa che vedo è Erik. “Jack, vieni con me”, io mi alzo e mi dirigo verso di lui, lo oltrepasso e continuo a camminare, allontanandomi dalla Città; “Jack, per la miseria non fare il bambino! È inutile scappare, ti possono ritrovare quando vogliono”, non lo ascolto e proseguo. Lui mi raggiunge di corsa e mi afferra per una spalla, io mi divincolo e gli rifilo un pugno in pieno volto, che lo manda a terra; “Cazzo Jack! Sta calmo!”, io mi volto e riprendo a camminare, “Ascolta, posso capire come ti senti; anch’io all’inizio appena ho realizzato ciò che mi era successo, ho avuto paura, però...”, “No, tu non capisci, non puoi capire!” grido, “Tu sei stato catturato da loro- dico indicando la Città- Io invece sono stato tradito, tradito da una persona che consideravo un padre!” concludo, riprendo a camminare, poi aggiungo: “Non ho paura, non più; ero furioso, ma ora sono solo confuso”, mi fermo e lo guardo, “Quello che ho fatto per arrivare fino a qui, non... Non capisco ciò che è successo” sussurro, “Beh, se mi segui, ti sarà chiarito tutto” mi risponde. Rassegnato comincio a camminare verso di lui, poi insieme andiamo verso la Città. “Comunque non è vero che non posso capire come ti senti, anch’io non sono stato semplicemente catturato” mi dice.

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Capitolo 6
*** Continua ***


Per tornare impieghiamo un po’ di tempo; cosa che, assieme molte altre, contribuisce ad accrescere i miei dubbi su ciò che mi è successo. Innanzitutto i miei ricordi sulla fuga sono molto confusi; ho come l’impressione che ci sia qualcosa che mi impedisce di mettere bene a fuoco. Comunque anche se così confusi, qualcosa di strano c’è; ad esempio sono abbastanza sicuro di aver oltrepassato il Muro con un salto, cosa impossibile da fare, dato che è alto più di un centinaio di metri; oppure mi sembra di essermi mosso da un certo punto in poi sui tetti di queste case, però queste non sono le baracche alte pochi metri della mia città, questi sono palazzi enormi, che un semplice uomo non può scavalcare. Quindi come mi spiego i miei ricordi? Erik mi ha detto che tutto mi verrà spiegato, speriamo.
Ed infatti tutto mi viene spiegato; e quando so la verità, vorrei non saperla.
Io mi aspettavo una qualche specie di punizione per il mio gesto, ma non è arrivata; anzi appena tornati siamo stati accolti da un comitato d’accoglienza, composto, così mi ha detto Erik, dai pezzi grossi di questo posto, tutti eccitati ed estasiati, come se avessi appena compiuto qualcosa di veramente eccezionale. Ed è la verità, stando a ciò che mi hanno spiegato; solo che non mi sento eccezionale, ma solo un mostro. In parole povere hanno fatto di me un mostro, nel vero senso della parola; mi hanno trasformato in un essere terrificante; del come hanno fatto ciò, non ne ho idea, e sinceramente non mi importa. Ciò che importa è che adesso non sono più un uomo, sono un mostro; un mostro che non può fare altro che obbedire ai suoi padroni, un mostro il cui compito è quello di trasformare altre persone in mostri.
Dopo quel giorno sono rimasto chiuso in camera, perché adesso, che sono pienamente riconosciuto come mostro, ho il diritto di avere una stanza tutta mia, come tutti gli altri mostri, che vivono in questa struttura. Sono rimasto chiuso in camera, senza mangiare né bere per i primi giorni, ma poi, purtroppo, l’istinto di sopravvivenza ha avuto la meglio. Alla fine riesco a uscire da questo stato, ci riesco grazie ad un pensiero, ad un’idea.
Esco dalla mia stanza e raggiungo gli altri nella mensa, dove abbiamo appuntamento tutte le sere. Lì mi unisco ad Erik, e gli altri tre, di cui scopro i nomi: John, lo sbruffone, Michael e Tom, che è molto più piccolo di noi, praticamente un bambino ancora. Mi aspettavo qualche commento ironico da parte di John, ma sembra aver cambiato atteggiamento. “Ci stanno aspettando; ora che ci sei anche tu, si inizia a fare sul serio” dice Erik, poi si incamminano, io li seguo senza fare domande. Dopo poco usciamo all’aperto, un pezzo di terreno brullo circondato da mura. Mi fermo a fissarle, ancora una volta provo la sensazione che ci sia qualcosa che mi blocchi i ricordi, cosa che mi capita ogni volta che penso a quel giorno. “Abbandona la speranza di poter scappare di nuovo, questa volta non saranno così tolleranti; sei importante per loro, ma non così tanto. Se dimostri di non saper ubbidire, ti uccideranno senza esitazione”, Erik deve aver notato la direzione del mio sguardo e ha tratto le sue conclusioni; gli sorrido, “Non ti preoccupare, quando me ne andrò da questo posto, sarà perché è stato raso al suolo. Da me”; poi seguo gli altri. Quando li raggiungo, vedo che con loro vi è un’altra persona, girata di spalle. All’inizio non la riconosco, ma quando si volta mi ritrovo di fronte, per la seconda volta, l’Uomo Nero, che mi ha rapito. Il mio primo impulso è quello di scappare, perché purtroppo continuo irrazionalmente a provare paura nei suoi confronti; tuttavia riesco a controllarmi, dopotutto sono già fuggito una volta, così assecondo il secondo impulso. Con un grido mi lancio contro di lui; per un attimo ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano, poiché mi sembra che quell’uomo sia troppo piccolo rispetto a me, ma è solo una sensazione passeggera; cerco di colpirlo con un pugno, ma mi blocca facilmente il braccio, per poi colpirmi a sua volta, mandandomi al tappeto. Mi metto seduto un po’ frastornato e noto di essere nudo, mentre i miei vestiti si trovano a terra stracciati. Poi mi accorgo di un’altra cosa, Erik, John, Michael e Tom mi stanno fissando un po’ me e un po’ l’altro uomo, sui loro volti si vede un espressione di terrore puro, cosa che mi fa capire ciò che è successo. Ancora una volta, involontariamente, mi sono trasformato nel mostro, sono diventato di nuovo quell’essere creato da loro. Alzo lo sguardo e fisso negli occhi l’Uomo Nero, anche lui si deve essere trasformato, altrimenti non si spiegano i miei confusi ricordi, stranamente non mi sembra arrabbiato per ciò che ho fatto, ma più che altro divertito. “Bene ora che il vostro amico ha esibito la sua forza posso iniziare a spiegarvi cosa farete da oggi in poi”; la sua spiegazione è semplice: ogni sera, prima del tramonto verremo inviati in un luogo preciso della baraccopoli; lì, teoricamente, dovremmo pattugliare la zona e catturare solo coloro che vengono trovati fuori casa dopo il coprifuoco; in pratica siamo più o meno liberi di fare ciò che vogliamo, senza esagerare ovviamente, altrimenti quegli ‘idioti’ degli Umanisti, se scoprissero che c’è stata una strage, comincerebbero a protestare e a creare disordini, cosa non gradita ai Cittadini. Dopo la spiegazione ci lascia, dicendoci di fare un po’ di pratica.
In realtà prima di mandarci fuori a fare il nostro dovere, lasciano passare un altro paio di settimane. E io, durante queste settimane, ho fatto pratica; se nei primi giorni ero terrorizzato da ciò che posso fare, pian piano mi sono abituato; anzi ora comincio a pensare che in fin dei conti non sia così male potersi trasformare in un essere sovrumano, che mi può permettere di fare cose impossibili per un semplice uomo, tra cui anche distruggere questo posto e uccidere tutti gli Uomini Neri. Questo è il solo pensiero che mi impedisce di impazzire. La mia idea è semplice, ma difficile da mettere in pratica. Voglio causare una rivolta, che coinvolga tutti quelli che, come me, rifiutano il destino che gli è stato assegnato, e anche tutte le persone che vivono, o meglio che sopravvivono, oltre i confini della Città. Soprattutto per quest’ultima parte ho bisogno dell’aiuto di Franky, il solo che possa riunire tutte le bande e guidare una rivolta contro la Città. Il problema è riuscire a trovarlo; da quanto ho capito ogni sera ogni squadra viene inviata in un preciso settore, quindi non posso fare altro che aspettare di essere spedito nel luogo giusto, oppure di finire nelle vicinanze e quindi sapermi orientare. In più un altro problema sono i miei compagni di squadra; tranne Erik, che condivide, più o meno, i miei pensieri, tutti gli altri, John in particolare, non vedono l’ora di menare le mani.
 
Appena il sole tramonta ci muoviamo. Ogni squadra è composta da cinque uomini e un mezzo di trasporto, quello che nella mia città viene chiamato Divoratrice. Dato che hanno assegnato a me il comando del gruppo, decido di lasciare John e Michael, i membri più violenti, sulla Divoratrice, con l’ordine di pattugliare le strade, in questo modo spero di limitare i danni; invece Erik, di propria iniziativa ha deciso di muoversi assieme al piccolo Tom, così da proteggerlo da se stesso. Di conseguenza io ho piena libertà di movimento, anche se la zona non mi sembra famigliare, e comunque siamo troppo vicini alle mura, di sicuro non troverò la mia vecchia casa.
Infatti, all’alba, ritorno dagli altri senza aver concluso niente; tuttavia nemmeno loro hanno avuto successo, fortunatamente non sono riusciti a catturare nessuno. Purtroppo John non sembra soddisfatto di ciò e sta sfogando il suo nervosismo su Erik. Penso che dovrei intervenire, ma non ne ho voglia. Veniamo riportati a ‘casa’, dove ci aspetta la cena; poi mi chiudo in camera mia e mi addormento.
Vengo svegliato da Erik alla sera per la cena, dopo andiamo al mezzo.
Quando arrivo sul posto che ci hanno assegnato, capisco una cosa: le zone da pattugliare non vengono assegnate con un ordine logico preciso, ma casualmente; lo capisco dalla posizione del sole, se ieri sera lo avevamo di fronte nel momento in cui stava tramontando, oggi è alla nostra sinistra, nascosto dalle alte costruzioni della Città. In sostanza diventa praticamente impossibile riuscire a ritrovare Franky.
Qualcuno mi appoggia una mano sulla spalla, mi volto e vedo Erik, che sta fissando un punto davanti alla nostra destra, fra le abitazioni, e sembra abbastanza spaventato. Guardo anch’io e ciò che vedo mi fa gelare il sangue: quattro bambini, anzi tre bambini piccolissimi, di non più di quatto anni, e uno un po’ più grandicello, stanno giocando tranquillamente in strada. Rimango immobile per qualche istante, troppo shoccato per agire. Poi mi riprendo, cerco John e vedo che fortunatamente è ancora sul mezzo. Mi rivolgo ad Erik:“Blocca John, non lasciare che li veda, io vado a farli scappare”, ma non faccio in tempo a finire di parlare, che John li nota; “Oh, finalmente!” commenta e comincia a camminare verso di loro. “Fermo!” grido, lui si ferma e mi guarda stupito, io invece lo guardo seriamente, “Non è ancora ora, il sole non è ancora tramontato”, John sorride ironico, “Ma io da qui non lo vedo, quindi per me è già tramontato... No! Stanno scappando”, guardo ancora e vedo che i bambini, avendo probabilmente sentito le nostre voci, hanno pensato bene di darsela a gambe, ma non faranno mai in tempo a mettersi in salvo. Con un urlo, che diviene un ruggito, John si lancia in avanti; una figura enorme tocca il terreno e comincia a correre verso i bambini; ma io non riesco a muovermi, cado a terra in preda ad un orrore profondo. Qualcun altro reagisce. Prima sento un fruscio provenire dalle mie spalle, subito dopo un tonfo sordo e il mostro si ferma. Sulla sua testa c’è una sagoma umana, alta come un uomo, con le forme di un normale essere umano, addirittura si possono vedere i vestiti, ma dalla sua schiena, all’altezza delle scapole, partono delle articolazioni, che poi si allargano per diventare delle ali, talmente grandi che coprono quasi tutto il mio campo visivo. Gli ho già visti entrambi, so che questi due essere sono John e Erik, solo che non gli ho visti con i miei occhi, i miei occhi di semplice essere umano, e solo ora li vedo veramente per quello che sono. Entrambi riprendono il loro vero aspetto, e io cerco di riprendermi. Mi rimetto in piedi e intervengo nella discussione, “Basta!”, John mi guarda con aria di sfida, “Perché mi hai fermato, eh? Mi dici che ti prende? Questo è ciò che dobbiamo fare!” mi inveisce contro, “Fare cosa? Massacrare dei bambini indifesi? No, finché sarai con me non succederà nulla del genere!” ribatto, “Indifesi! Anche noi eravamo indifesi quando ci hanno preso! Tom, lui non era più grande di quel moccioso, quando lo hanno catturato! Ma per noi non hanno avuto pietà!”, non ribatto, “Non sei arrabbiato per quello che ti è successo, non ti vuoi vendicare?” continua John, “Sì certo che mi voglio vendicare, ma contro le persone giuste. Ora basta, iniziamo a fare quello per cui siamo qui, ma guai a chi osa fare qualcosa a quei bambini o ad altri come loro” dico, poi mi incammino nella direzione verso cui sono scappati quei bambini, per vedere se si sono messi al sicuro o se sono ancora per strada. Dopo poco mi raggiunge Erik, “Quello che hai detto prima” mi guarda negli occhi, “Ciò che hai detto mi suona strano, non penso che tu ti riferissi a Franky”, “No non mi riferivo a lui”, “Ho capito” commenta. Continuiamo a camminare. Il giorno in cui sono scappato, al ritorno mi sono confidato con lui e gli ho raccontato di come mi hanno catturato, e anche lui mi ha raccontato la sua storia. “Non pensi che sia rischioso, troppo rischioso quello che vuoi fare?” mi dice, ha già intuito le miei intenzioni, “Sì, ne sono consapevole” ribatto, “Avremo contro più persone di quanti tu pensi1, sono pochi quelli come noi che disapprovano ciò che facciamo; la maggior parte  di loro ormai sono diventate bestie sanguinarie”, annuisco, poi gli spiego chiaramente quali sono le mie intenzioni. “Non penso che cambi qualcosa, il problema di fondo rimane: dovremmo uccidere centinaia di Uomini Neri, fra cui anche John, per esempio. E comunque la Città ha molti altri sistemi di difesa oltre a noi, non riuscirai mai ha cambiare la situazione!” dice, io rispondo: “No, io ci riuscirò”.

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Capitolo 7
*** Continua ***


Al mattino ritorno da solo al punto di ritrovo, ad un certo punto della notte Erik se ne è andato per conto suo. Sono l’ultimo ad arrivare; noto una certa agitazione tra gli altri e la cosa non mi piace. “Ehi che succede?” dico, Erik mi sente, si volta verso di me e si sposta di lato, rivelando la presenza di un’altra persona, che è impegnata a discutere con John. Mi da le spalle, quindi non la vedo in volto, ma mi sembra essere una ragazza; John mi nota e le fa segno di voltarsi...
 
“Jack! Ehi, tutto bene?”, e ritorno nelle realtà,
“È? Cosa, che c’è!”; guardo Erik che ha appena parlato,
“Stai bene?” mi chiede,
“Sì, sì sto... bene!”.
Riprendo a camminare verso di loro, perché quando la ragazza si era girata, mi ero bloccato; “Sicuro? Hai una faccia strana” continua Erik, ma non rispondo, la mia mente in questo momento non riesce a formulare alcun pensiero diverso da: è bellissima! Però un altro pensiero si insinua, un pensiero terribile, che cerco di scacciare, ma si impone con forza.
“Perché l’avete presa!” dico con rabbia, e guardo John, l’unico che può avere fatto una cosa simile, però anche lui sembra alquanto sconvolto;
“Nessuno l’ha catturata; l’abbiamo trovata qui, quando siamo arrivati” risponde,
“Cosa?”, mi risponde direttamente la ragazza: “Voglio venire con voi, qui non mi rimane più nulla; per me è solo un altro modo di iniziare una nuova vita”,
“No, non ha senso!” commenta John,
“Mi dispiace, ma non ti porteremo con noi; non sei stata trovata fuori dopo il coprifuoco!” dico io,
“Ma se sono stata qui praticamente tutta la notte!”,
“Sì, ma noi non ti abbiamo visto, e adesso ormai è tardi” dice John, a queste parole capisco che anche lui condivide i miei stessi pensieri riguardo questa ragazza;
“Non cambia molto, se non siete voi oggi, mi troverà domani qualcun altro”,
“Va bene, ti porteremo con noi” dico, John cerca di intervenire, ma lo fermo, “Fa’ ciò che dico”; poi salgo nella parte anteriore del mezzo assieme ad Erik.
La Divoratrice si mette in moto; noi non dobbiamo fare nulla, si guida da sola. Poco dopo dal retro arriva John, abbastanza sconvolto;
“Ma che ti salta in testa, come hai potuto permettere che Monica...”,
“Monica?”,
“La ragazza, è il suo nome. Comunque stavo dicendo che...”,
“Non c’è altra scelta; lo ha detto anche lei, domani si sarebbe comunque fatta catturare da altri, i quali potrebbero non essere così ‘buoni’ come noi!”,
“E allora cosa vuoi fare?” mi chiede John; dopo un attimo di esitazione gli spiego il mio piano. Quando finisco di parlare sembra entusiasta;
“Sì, perfetto! Troviamo questo Franky, facciamo scoppiare la rivolta, approfittiamo del caos per prendere Monica e poi scappiamo!” dice,
“Scappare dove?” interviene Erik,
“Non, ne ho idea; in un qualunque posto lontano da questa Città!”,
“Non pensi a quei disperati che parteciperanno alla rivolta?”,
“Sinceramente no, ciò che mi importa è salvare me stesso e quella ragazza; beh anche voi, ovviamente!” continua John euforico; invece Erik sembra abbastanza stupito dalle sue parole; “Fammi capire, tu agiresti solo per scopo personale?” chiede Erik,
“Sì”,
“Saresti disposto a sacrificare miliardi di vite umane, solo per salvare una ragazza?”,
“Certo” risponde John,
“Sei un mostro! L’idea di Jack è terribile, ma può, in qualche modo, essere giustificata dal fine. La tua no. Se hai veramente intenzione di scatenare una rivolta solo per evitare a quella ragazza il nostro destino, allora io sarò dalla parte di chi vorrà fermarvi” dice Erik guardandolo,
“Qui la ragazza non centra nulla” intervengo rivolgendomi ad entrambi, “Ammetto che condivido le preoccupazioni di John, riguardo a Monica; ma ti posso assicurare, Erik che non ho la minima intenzione di agire solo per salvare quella ragazza, anche se ora c’è un motivo per agire più in fretta” dico, Erik mi guarda con una strana espressione, “Per quanto ti possa sembrare strano, ho tutte le intenzioni di proteggere Monica; ho passato tutta la mia vita vedendo persone morire, perché non avevo né le capacità né il coraggio per aiutarle; ora che ho entrambi non ho la minima intenzione di rimanere fermo a guardare ciò che mi succede attorno”; non sembra molto convinto, ma smette di discutere, anche perché siamo arrivati ormai. Non ho la minima idea di cosa bisogna fare quando si cattura una persona, se bisogna portarla in un posto particolare, o altro. Così scendiamo tutti dal mezzo e, senza che ci fossimo messi d’accordo, io e John affianchiamo Monica, per proteggerla. Poi entriamo dall’entrata che usiamo di solito, sperando di non incontrare nessuno. Purtroppo incontriamo un’altra squadra appena tornata e subito ci notano; “Ehi, guardate i novellini cosa hanno pescato!”, “Però, non male”, “È quasi un peccato lasciarla ai dottori, che ne dite se prima di consegnarla ci divertiamo un po’?” cominciano a parlare e ridere tra loro; immediatamente John si sposta in avanti nascondendola completamente alla loro vista, ovviamente notano il gesto e non sembrano gradire. “C’è qualcuno che vuole fare il duro”, dice uno di loro, avvicinandosi a John, “Cos’è, vuoi che la lasciamo solo a te?”, “Crepa stronzo” gli risponde; scoppiano tutti a ridere, “Stu, questo non lo spaventi! È meglio che te ne vai prima che te le suoni!”, ma le loro risate sono interrotte da un grido di sorpresa. Mi volto verso Monica e vedo che uno di quelli la ha afferrata da dietro, bloccandola completamente con un braccio, mentre con l’altra mano le tiene il volto in modo da costringerla da guardarlo; “È veramente un bel bocconcino!” commenta, poi velocemente sposta la mano dalla faccia di Monica in un altro posto, mentre le rifila un bacio in bocca. Lei grida e io e John reagiamo, simultaneamente. Lui con una spinta allontana il bastardo da Monica,  poi la afferra e la allontana; mentre io con il primo pugno colpisco lo stronzo in pieno volto e con il secondo lo scaravento contro il muro, che sfonda. Vola per qualche metro, per poi atterrare prato; e nel momento in cui tocca il suolo, ha già perso il suo aspetto umano; grida qualcosa, che non capisco, con una voce simile allo stridore del metallo, io per risposta ruggisco il più forte possibile. Poi ci scagliamo uno contro l’altro.

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Capitolo 8
*** Continua ***


Mi fiondo nel cortile, allargando il buco nel muro già esistente. Ci scontriamo a mezz’aria; riesco ad afferrare il suo collo, cosa non molto difficile data la sua lunghezza, lo stringo e lo getto a terra, cercando di soffocarlo. Ma lui riesce a liberarsi, beccandomi il braccio, con cui lo trattengo, poi mi rifila un calcio nello stomaco. Barcollo indietro, lui ne approfitta per colpirmi altre due volte, e l’ultimo colpo sul muso mi getta a terra. Mentre sono a terra si rialza e cerca di attaccarmi di nuovo, ma sono più svelto di lui. Con un ruggito mi rialzo e sto per colpirlo, quando una voce ferma entrambi. Mi volto a guardare chi ha parlato; lui è in ombra, ma la voce è inconfondibile. Per evitare ulteriori problemi, ubbidisco all’ordine e ritorno normale, ma il mio avversario rimane trasformato,  così riesco a vedere quello che realmente è, e per poco non mi metto a ridere. Ad occhio direi che è alto attorno ai tre metri, di cui la metà è solo collo; un lungo e sottile collo, che tiene piegato verso il basso, sulla cui sommità spunta un piccola testa rotonda; gli occhi sono quasi sproporzionati rispetto alla testa, mentre il becco, con cui mi ha attaccato, è così lungo che mi chiedo come faccia a non staccarsi dalla testa. Il resto del corpo è formato da un ovale, da cui fuoriescono due lunghe zampe, con almeno tre articolazioni ciascuna. In sostanza è un enorme e strano uccello, e anche piuttosto ridicolo. Ritorna umano e comincia a camminare verso di me, quando mi passa di fianco, mi sussurra: “La prossima volta ti ucciderò”, poi rientra nell’edificio. Sinceramente non sono molto propenso a prendere sul serio le sue parole, ma è abbastanza certo che in un vero scontro, per quanto lui possa essere ridicolo, avrebbe la meglio su di me, e anche piuttosto facilmente. Ritorno anch’io dentro e trovo solo Erik, gli altri se ne sono andati con Monica. Mi strappo definitivamente la maglietta, ridotta a brandelli e mi incammino con Erik, verso le nostre stanza. “Coraggio, di quello che devi”, “Hai fatto un casino, Jack. Tutte e due, tu e quello stupido di John, avete complicato le cose proteggendola in quel modo! L’avete resa molto interessante agli occhi degli altri; in più voi due, te soprattutto, avete attirato troppa attenzione delle persone sbagliate. Un comportamento così protettivo nei confronti di una preda è anormale per i nostri standard; potrebbero cominciare a dubitare di voi, e se i dubbi dovessero aumentare troppo, verrete eliminati; soprattutto te sei a rischio, hai già dato prova di scarsa obbedienza, un’altra azione fuori dalle regole e verrai ucciso”; ha ragione, chi comanda ci considera bestie e pretende la dovuta ubbidienza, un comportamento troppo umano non è gradito. Erik arriva alla sua stanza, mi saluta ed entra; io proseguo dritto e incontro John. Mi fermo, “Dove l’hanno portata?” chiedo, “Per adesso è in isolamento; ci dovrà rimanere più o meno un mese, così mi hanno detto; abbiamo abbastanza tempo per agire, giusto?”, non gli rispondo, perché non sono sicuro della risposta. Proseguo per la mia strada e arrivo alla mia camera. Entro, mi tolgo anche i pantaloni, che non sono messi molto meglio della maglietta, e mi butto sul letto; vengo preso da un’incredibile sonnolenza, così chiudo gli occhi...
E vengo svegliato da un rumore alla porta. Mi alzo e apro, mi trovo davanti Tom; prima mi guarda in modo strano, poi con aria di sufficienza e mi dice: “Vestiti, che è ora di andare”, poi se ne va, probabilmente a mangiare. Prendo degli altri abiti, che ci vengono forniti in grande quantità, e raggiungo gli altri in mensa. Finita la colazione, anche se in realtà sarebbe più logico chiamarla cena, visto che è il tramonto, andiamo al mezzo e inizia un’altra nottata; seguita da altre tutte uguali, in cui né trovo Franky, né, per fortuna, troviamo altre persone fuori dopo il coprifuoco.
Dopo circa una settimana veniamo mandati in una zona periferica, vicina ai confini estremi dalla città; lo si capisce facilmente dagli edifici, semplici baracche di legno, marce o distrutte, e, soprattutto, dalle centinaia di cadaveri, che popolano le strade, e che aggiungono tanfo di carogna all’abituale puzza di questo posto. “Che schifo” commenta Michael, “Troppo lontani dalla Città per poter sopravvivere, troppo lontani dal confine per poter essere divorati dalle bestie; che destino spregevole e miserevole, marcire per strada” dice Erik; “E noi qui cosa dobbiamo fare, ci pensa già la natura a decimarli, siamo completamente inutili!” dice John. Questa frase provoca in me una strana reazione; mi guardo attorno e vedo, vedo veramente da cosa sono circondato, e vengo preso da una profonda tristezza e da un’enorme rabbia, verso chi permette tutto questo. Mentre involontarie lacrime mi scendono dagli occhi, mi avvio verso il centro della piazza, in cui ci siamo fermati, scavalcando corpi di tutte le età, morti per la fame e per la sete, perché i canali di scolo, così come la polla in mezzo alla piazza stessa, sono completamente secchi, segno che da questo posto deve mancare l’acqua da mesi. Quando arrivo sopra la polla, mi trasformo e con gli artigli comincio a scavare allargando la buca già esistente. Sento gli altri parlare tra di loro, soprattutto John sembra essere sorpreso dal mio comportamento, tuttavia dopo poco vengo affiancato da un'altra persona; Erik, anche lui trasformato, comincia a lavorare affianco a me. ro sicuro che avrebbe capito subito le mie intenzioni. Poi, non so se perché anche loro hanno compreso, anche gli altri iniziano a scavare con me. Continuiamo per ore, fino a che la buca diviene così profonda da non poter più continuare a scavare. Allora ci fermiamo, “Così dovrebbe bastare” dice John, io annuisco; poi guardo verso l’alto, fuori dalla buca, dove sono rimasti Tom, Erik e Michael. Poi io comincio ad arrampicarmi lungo la parete della buca, mentre Michael scende verso di me; poi cominciamo ad adagiare i corpi sul fondo della buca, passandoceli l’uno con l’altro. Mi passano tra le mani uomini, donne, giovani o già anziani; all’improvviso sento Erik dire: “Fate attenzione con questo”, vedo Tom scendere ulteriormente nella buca e porgere qualcosa a Michael, che la afferra con estrema delicatezza, per qualche istante rimane fermo a guardare, poi mi cala il corpo con le sue molte code, facendo molta attenzione; lo prendo con una sola zampa, è molto più piccolo di tutti gli altri corpi, e lo osservo: è una bambina, piccolissima, pallida, non sembra morta, ma che semplicemente stia riposando; però il particolare che più mi colpisce è ciò che indossa: un vestito, con i bordi ricamati, che prima doveva essere stato candido come la neve, ma ora è sporco di polvere e escrementi. La passo a John, lui la afferra e con estrema cura la pone sugli altri corpi, poi ritorna umano, per qualche minuto rimane fermo a contemplarla, poi si inginocchia e comincia a sistemarla meglio: le scosta i capelli dal viso e gli raccoglie sotto la testa, le posiziona le manine congiunte in grembo e cerca di pulire il vestito; poi si sposta di qualche passo e guarda verso l’alto. Tom capisce le sue intenzioni e fa cadere un po’ di terra, che John sistema attorno alla piccola, formando una tomba separata per lei, per evitare che la lordura del mondo circostante deturpi ulteriormente la sua candida purezza. Poi si ritrasforma e riprendiamo. Continuiamo fino a riempire quasi completamente la buca, poi la ricopriamo. Al termine mi guardo attorno: le strade ora sono vuote; certo ci sono altre migliaia, altri milioni di cadaveri in altre strade, in altre zone, ma almeno qui abbiamo dato a più persone possibili, ciò che è il più possibile vicino ad una sepoltura. Ritorniamo tutti normali e sulle nostre facce si può leggere il dolore, quel dolore che in tutti questi anni abbiamo imparato a ignorare per poter continuare a sopravvivere, e che ora sta cercando prepotentemente di emergere. All’improvviso sento un rumore alle mie spalle, niente più di un fruscio, che però nel silenzio risuona come il rombo di un tuono. Mi volto e vedo una cosa incredibile. Da una baracca sono uscite due figure, piccole, che si muovono rimanendo una attaccata all’altra, avanzando faticosamente verso di noi; sono due bambini, un bambino ed una bambina, che avanzano tenendosi la mano per sorreggersi a vicenda, perché dall’aspetto si capisce che non mangiano da giorni; entrambi hanno nella mano libera un fiore secco. John si avvicina a loro, che non si mostrano per nulla spaventati, delicatamente li prende in braccio e li porta vicino al cumulo, dove loro depositano i fiori. Poi, sempre in braccio a John, con delle voci debolissime, cominciano a cantare; all’inizio cantano solo loro, poi a poco a poco dalle case attorno escono altre persone, che si uniscono alla triste melodia. E infine anche noi ci uniamo al canto, riuscendo finalmente a liberare il nostro dolore, troppo a lungo trattenuto.

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Capitolo 9
*** Continua ***


Dopo poco comincia a sorgere il sole; nessuno ha voglia di tornare indietro, perché c’è la concreta possibilità che domani notte si ripresenti questa stessa situazione. “Possiamo mettere fine a tutto questo” dico, rompendo il silenzio che è sceso fra noi. Ovviamente sia John che Erik sanno ciò che intendo, ma Tom e Michael no; “Cosa vuoi dire?” chiede Michael.
“Intendo che possiamo fare in modo che tutto ciò finisca; che non ci siano più persone destinate a morire solo perché sono nate dalla parte sbagliata di un muro” rispondo.
 Michael sorride ironico: “Non sei il primo che sento dire queste cose, e non sarai l’ultimo; è impossibile, soprattutto per noi, cambiare questo mondo” commenta rassegnato.
“Al contrario; forse noi siamo gli unici che possono farlo. Gli unici con i mezzi necessari” dico e poi spiego anche a loro il mio piano. Quando finisco di parlare Tom sembra entusiasta, ma Michael non sembra molto convinto. “Mi sembra un azzardo, saremmo praticamente soli e, sinceramente, non penso che una folla di disperati possa essere di qualche aiuto, nemmeno come diversivo. Ma ovviamente non mi tiro in dietro, anch’io sono stanco di questa situazione” conclude Michael.
“Bene, visto che siamo tutti d’accordo, dobbiamo trovare un modo per accelerare i tempi; non ho la minima intenzione di rivivere un’altra esperienza simile” dice John.
“Il problema è che il piano di Jack fa affidamento sull’aiuto di Franky, ma non sappiamo né dove né come trovarlo” dice Erik.
“Se vogliamo agire il prima possibile, non si può aspettare di trovarlo casualmente una notte; come io speravo” dico. Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, poi John interviene: “Ho avuto un’idea!”, si volta verso Erik e continua a parlare, “Potresti cercare te il posto dall’alto ogni notte!”.
Erik lo guarda male: “Perché dovrei rischiare la vita per te? Se mi dovessero vedere …”.
“Se voli abbastanza in alto, potresti venire scambiato per un semplice uccello; ce ne sono di strani da queste parti!” continua John.
Ma Erik non sembra per niente convinto: “Come pretendi che possa distinguere dall’alto un edificio in mezzo a miliardi di altri uguali?”.
“Se è questo il problema, non devi preoccuparti; la mia vecchia casa ha un particolare inconfondibile. Franky ha fatto dipingere sulla facciata un immensa croce bianca” intervengo.
“Perché?” mi chiede Tom.
“Perché così i suoi figli avrebbero sempre saputo ritrovare la strada di casa,  questo è ciò che era solito dire” rispondo.
“Va bene, allora da domani notte comincerò a sorvolare la città; ma anche in questo caso, a meno che non siamo veramente fortunati, ci vorrà un po’ di tempo; e comunque rimane l’altro grande problema: gli altri Uomini Neri” dice Erik.
“A questo proposito ho pensato ad una soluzione, anche se è abbastanza  pericolosa …” comincio a parlare.
“Più pericolosa dell’altra non può essere!” commenta John.
“Ecco, ho pensato che forse si può provare a spargere la voce fra gli altri, per vedere se troviamo qualcuno disposto a schierarsi dalla nostra parte” concludo; tutti mi guardano con un’espressione stupita, “So che può sembrare una cosa stupida, ma …” vengo interrotto.
“Non è stupida, è da pazzi! Andare a dire in giro che stai progettando una rivolta! Hai già sfidato abbastanza la fortuna rivelando la tua idea a noi, perché non eri sicuro delle nostre idee, e adesso hai intenzione di fermare il primo che passa e chiedere se vuole fare parte del tuo brillante piano!” esclama Erik.
“Non ho detto questo! Come tu hai fatto notare, gli altri Uomini Neri sono effettivamente un grosso problema, da soli noi cinque non potremmo mai affrontarli! Quindi io vedo solo due possibilità o rinunciamo, oppure cerchiamo di trovare il maggior numero possibile di alleati”, nessuno risponde, così continuo: “Ovviamente bisogna scegliere attentamente a chi rivolgersi” concludo. Ancora una volta nessuno aggiunge nulla. “Dobbiamo tornare, è tardi” dice Erik dopo qualche secondo, ci incamminiamo tutti verso la Divoratrice.
Una ventina di minuti e siamo arrivati; nessuno di noi ha voglia di mangiare e di stare in mezzo ad altri mostri. Così io, come da una settimana a questa parte, prima di rientrare nella mia stanza, vado a controllare Monica; cioè, non posso vederla direttamente, ma conosco le due persone incaricate di sorvegliare l’area dell’edificio in cui vengono tenuti i nuovi arrivati. “Ehi ragazzi” li saluto, entrando nella stanza dove lavorano; “Buon giorno Jack!” mi saluta Jim, mentre Joe mi fa un cenno con la mano. Jim e Joe sono due simpatici vecchietti, che mi sono fatto amico fin dai primi giorni; Jim deve avere più di sessant’anni, all’apparenza sembra un fragile vecchietto, ma credetemi se dico che non voglio assolutamente averlo come nemico; invece Joe è l’opposto, deve essere più vecchio di Jim, ma non sembra per nulla anziano, ma oltre all’aspetto esteriore, c’è un’altra cosa che lo distingue dal suo compagno, lui crede ciecamente in ciò che fa. “La tua amica sta bene; molto probabilmente è più al sicuro adesso rispetto a prima, con te e l’altro ragazzo come custodi!” mi dice Joe per scherzare, “Bene! Ma oggi non sono venuto per avere notizie di Monica, ma per parlare un attimo con Jim” dico, “Ah, va bene” dice Jim alzandosi, “Andiamo a farci un giro, ho bisogno di prendere un po’ d’aria fresca” aggiunge; lo seguo fuori dalla stanza. Quando siamo soli gli racconto tutto quello che è successo questa notte. Di lui mi posso fidare, anzi è stato il primo in assoluto a venire a conoscenza della mia idea. “Beh, penso che chiedere al tuo amico di osservare dall’alto sia una buona idea. Però ti voglio chiedere una cosa, su cui voglio che rifletti: dopo ciò che hai visto questa notte, sei ancora sicuro di voler mettere in pratica il tuo piano? Ciò che hai visti è un assaggio di ciò che succederà se provochi una rivolta” mi dice, poi se ne va. Io invece non mi muovo; rimango fermo a fissare il vuoto, perché solo ora ho realizzato cosa comporta il mio piano. Un massacro, causerebbe un massacro tremendo, eppure non ci ho mai pensato; inconsciamente l’ho sempre vista come una conseguenza inevitabile, a cui non dare molto peso. Sono un mostro anch’io, forse peggiore di tutti gli altri; soprattutto perché in realtà la vera ragione di tutto è la vendetta. Ritorno in camera mia. Mi sento malissimo; non ho la minima idea di cosa fare, adesso avrei proprio bisogno di Franky, lui sicuramente saprebbe cosa dirmi. Quindi devo a tutti i costi trovarlo, poi deciderò cosa fare. Ed è proprio con questo pensiero che mi addormento.
Vengo svegliato da voci fuori dalla porta; quando mi alzo dal letto ho la sensazione di aver avuto un sonno pieno di incubi, anche se non ne ho memoria. Fatto sta che mi sento più stanco di quando mi sono addormentato. Raggiungo gli altri a mensa; la possibilità di riuscire a trovare Franky mi sembra ancora più remota ora. Controvoglia mi dirigo assieme agli altri al mezzo.
Ancora una volta veniamo scaricati in una zona vicina alle Mura, e il mio sconforto aumenta ulteriormente. “Appena il sole è completamente tramontato alzati in volo; cerca di coprire un’area il più estesa possibile” dice John a Erik, poi intervengo anch’io: “Inoltre spingiti più all’interno, qui siamo troppo vicini alla Città”, lui annuisce; “Intanto noi cerchiamo in questa zona?” chiede Tom, “Sì, anche se è inutile” rispondo; Erik coglie l’amarezza e la delusione nel mio tono di voce e mi dice: “Sapevi che sarebbe stato difficile trovarlo, e questa non è che la parte più semplice del tuo piano!”, “Ne sono consapevole, ma non è … Niente lascia stare. Mettiamoci al lavoro” dico. È inutile coinvolgere anche loro nei miei dubbi. Ci incamminiamo, ognuno in una direzione diversa; poi appena si fa buio, vedo davanti a me alzarsi in volo Erik e sparire nel buio della notte. Non ho alcuna voglia di continuare il pattugliamento. In questa zona non c’è pericolo di assistere a scene come quella di ieri notte, ma voglio comunque evitare il più possibile contatti con altre persone; non potrei sopportare di vedere nei loro occhi il terrore scatenato dalla mia comparsa. Così mi fermo e mi guardo attorno; noto che c’è, alla mia sinistra, una baracca malconcia, un pezzo di tetto è crollato e gli manca praticamente tutta la facciata; di sicuro non è abitata, quindi ci entro. Incredibilmente in un angolo, lontano dalle macerie, c’è una sorta di letto, niente più di qualche straccio buttati uno sull’altro, ma per me va benissimo. Mi sdraio sopra e chiudo gli occhi.

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Capitolo 10
*** Continua ***


Mi sveglio dopo un po’. Esco dalla casa e vedo che il cielo comincia a schiarirsi, mi sono ripreso giusto in tempo. Lentamente ritorno dagli altri. Ci sono tutti tranne Erik, e questa non è una buona cosa.
“Se non si sbriga a tornare, rischia di farsi scoprire” sento Michael esclamare mentre mi avvicino.
“E se si fosse perso?” chiede Tom, nessuno risponde.
“Se così fosse dovremmo aspettarlo il più possibile, un ritardo può essere giustificato; la sparizione di un compagno, no” dico, quando gli ho raggiunti. Comunque le nostre preoccupazioni cessano dopo pochi istanti, perché John indica qualcosa nel cielo proprio sopra di noi. “O è un aquila, che vola più in alto del possibile, o è Erik, che sta volando troppo basso” dice John; dopo pochi secondi diventa chiaro che si tratta proprio di Erik, poiché si comincia a distinguere il suo aspetto simile a quello umano.
“È una mia impressione, oppure sta scendendo molto velocemente?” chiede Tom.
“In effetti sembra proprio che stia scendendo in picchiata!” risponde John; in pochissimi istanti la sagoma appena visibile di Erik si ingrandisce tantissimo, e sempre John esclama: “Via presto! Se atterra a quella velocità, succederà …”. Non riesce a finire perché Erik arriva.
Si sente un sibilo, che da tenue, in meno di un secondo, diventa assordante, poi il sole nascente viene completamente oscurato e una corrente d’aria potentissima scaraventa tutti a terra. In fine un boato terribile annuncia che finalmente Erik è atterrato.
Mi rialzo da terra, sputando la polvere, che mi è entrata in bocca.
“Scusate ragazzi; ma se non fossi sceso velocemente, mi avrebbero sicuramente notato!” ci dice.
“Perché, pensi che tutto questo casino non l’abbia sentito nessuno?” ribatte John, abbastanza adirato.
Intervengo prima che la situazione degeneri: “Calmi, non è successo niente di irreparabile; ammesso che qualcuno abbia sentito quel boato, credo che nessuno possa aver capito da dove proveniva” dico; John sbuffa, ma lo ignoro, “Sei riuscito a trovarla?” chiedo, senza troppe speranze; infatti scuote la testa, “Però sono riuscito a capire come orientarmi, così, anche se ogni notte ci mandano in posti diversi, posso evitare di cercare a caso” dice, al che rimaniamo tutti stupiti, perché è impossibile trovare punti di riferimento nel groviglio di strade tutte uguali, che caratterizzano questo posto. O meglio, finché uno rimane nella zona in cui è nato e cresciuto, allora non ha problemi; ma riuscire a muoversi fra zone diverse senza perdersi è impossibile.
“In che modo?” chiede John.
“È una storia lunga, ma sono capace di orientarmi grazie alla stelle” risponde Erik.
“E chi te lo ha insegnato?” insiste John.
“Ho detto che è una storia lunga, che non ho voglia di raccontare” conclude, John sta per ribattere, ma lo fermo: “Discussione rimandata; dobbiamo tornare”. Così saliamo sul mezzo, che si avvia e comincia il viaggio di ritorno. “Ho coperto un area abbastanza ampia, ma non è sufficiente; in più ho aspettato ad abbassarmi, per vedere meglio, solo a notte inoltrata, quindi potrei averlo sorvolato senza accorgermene” mi dice Erik, quando siamo soli, non rispondo.
“Bisogna trovare un’altra soluzione” continua, io continuo a non dire nulla, troppo demoralizzato per parlare.
“A questo proposito mi è venuta in mente una cosa: potresti chiedere di essere mandato proprio nella zona in cui sei stato catturato”, mi volto a guardarlo sorpreso: “E che motivo do per una simile richiesta?” gli chiedo.
“Beh, per esempio la vendetta. Dopotutto quella volta non sei scappato proprio per cercare Franky; inoltre credo che a molti sia successa la stessa cosa che è accaduta a te, quindi non si insospettiranno”.
“Probabilmente hai ragione, ma è troppo rischioso. Continuiamo ancora a cercarlo per ora, poi si vedrà” concludo.
 
Siamo gli ultimi ad arrivare, e purtroppo non passiamo inosservati. “Come mai questo ritardo?” ci chiedono appena scendiamo dalla Divoratrice, “Abbiamo avuto qualche problema” rispondo, sperando che non insistano troppo; “Siete pieni di polvere, da quanto non vi pulite?” ci chiede una donna della squadra, che abbiamo appena incrociato. John si annusa, poi dice: “Sinceramente non saprei dire, perché sembro sporco?”.
Lei fa una faccia disgustata: “Siete tutti peggio delle bestie! Tutti tranne lui, l’unico che ha ancora cura della propria igiene personale!”; ovviamente parla di Erik, che effettivamente è l’unico di noi che tutte le mattine si lava. Scoppiano a ridere, poi si allontanano. “Va bene, vuol dire che mi laverò anch’io!” dice John, al che anche noi ci mettiamo a ridere.
Ci separiamo, ognuno va nella sua stanza. Entro e mi tolgo i vestiti, sollevando una nuvola di polvere incredibile; guardo la maglietta, effettivamente è piena di macchie e di strappi, ma sono abituato a portare vestiti conciati ancora peggio di questi; mi annuso, ma non mi sembra di avere un odore più forte del normale. Dopotutto prima ci si lavava solo quando pioveva e tra un temporale e l’altro potevano passare anche diversi mesi; mentre i vestiti venivano lavati assieme al corpo quando pioveva, e si cambiavano solo quando erano così rotti da non poterli più indossare. Quindi, anche se qui l’acqua viene tutti i giorni sprecata per lavarsi e per lavare i vestiti, io non ne ho mai approfittato.
Dopo qualche istante di riflessione, decido di andare a lavarmi. Prendo dei nuovi vestiti e getto in un angolo della stanza questi. Poi esco.
Impiego un po’ a trovare la strada giusta. Quando entro nella stanza, mi ritrovo immerso nel vapore bollente; rimango immobile, quasi cieco, senza sapere cosa fare, poi qualcuno mi chiama: “Anche te provi questa nuova esperienza?”, mi volto e vedo John: “Ti faccio vedere come devi fare; a me lo ha spiegato Erik, e ti posso assicurare che è una cosa incredibile!”; mi avvicino a lui, “Vedi quel coso la in alto” mi dice, io annuisco; “Bene, ti devi mettere sotto, poi schiacci questo” continua, indicando un cerchio grigio incastrato nella parete; faccio come mi ha detto e vengo in vestito da un getto d’acqua bollente; con un grido di dolore involontario salto via. Lui scoppia a ridere, “Mi sono dimenticato di dirti che puoi regolare la temperatura dell’acqua con questa”, gira una maniglia appesa al muro, poi mi fa segno di tornare sotto al getto d’acqua. Titubante mi avvicino, e questa volta le temperatura è davvero gradevole. Improvvisamente mi sento rilassato, calmo, come se tutti i problemi, che mi assillavano, fossero scomparsi. “Com’è?” chiede, “Fantastico!” rispondo.
Quando esco da lì, mi sento leggero, mi accorgo appena di quello che ho attorno. Inoltre lavarmi mi ha messo appetito, così  mi dirigo verso la mensa. Rispetto al solito è tardi, quindi non mi stupisce il fatto che il locale sia quasi vuoto; invece ciò che mi sorprende, è che ci sono ancora Erik, Tom, Michael e John, che non sono seduti assieme, come sempre, ma stanno parlando da soli con altre persone di altre squadre. Subito non capisco perché, poi mi ricordo della decisione di cominciare a cercare degli “alleati”.
“Ehi Jack!”, mi volto verso chi mi ha chiamato; è stato March, un ragazzo di un’altra squadra, simile alla mia per quanto riguarda i componenti. Praticamente loro sono le sole altre persone con cui ho stretto amicizia. “I tuoi non ci sono oggi?” mi chiede.
“Sì, ma sono sparpagliati; non avranno trovato posti liberi vicini” rispondo.
“Siediti con noi!” mi invita, prendo posto vicino a loro. Cominciamo a mangiare assieme, anche loro sono appena tornati.
Per un incredibile colpo di fortuna non c’è nessuno attorno a noi a portata d’orecchio, quindi sono tentato di rivelare loro qualcosa della mia idea; purtroppo non li conosco abbastanza bene per fidarmi. “Ti è capitata qualcosa di interessante ultimamente?” mi chiede uno di loro,  “Già! Non hai più portato a casa altre belle ragazze per cui fare a botte!” commenta un altro; sfortunatamente l’episodio di Monica non è per nulla passato inosservato. Sorrido, anche se l’argomento mi irrita abbastanza, “No, purtroppo sono cose che capitano raramente!” rispondo, si mettono a ridere, “Però, effettivamente mi è capitata da poco una cosa strana”; gli racconto tutto quello che è successo due notti fa. Nessuno di loro, come me del resto, era mai stato tanto in periferia e tutti rimangono abbastanza colpiti dal racconto. “Non pensavo che certe cose fossero vere” commenta uno di loro, “Cioè mi hanno sempre raccontato di come fosse terribile la vita vicino ai confini, ma ho sempre pensato che stessero esagerando” continua.
“È terribile, mostruoso. Come possono far accadere cose come queste” dice un altro.
“Ti ricordo che TU fai parte di tutto questo; NOI siamo i principali responsabili del quotidiano massacro che avviene là fuori” gli dice March,  che è il loro capo, con un tono di rimprovero.
“Lo so! Vorrei solo che si potesse far qualcosa” continua quello di prima.
“Non è possibile, quindi smettila”.
“Se invece si potesse fare qualcosa; anzi, se vi dicessi che si potrebbe cambiare completamente questa situazione?” inizio a parlare. Immediatamente tutti e cinque si concentrano su di me.
“Spiegati”.
“Ho... un piano, diciamo; non sto a darvi i dettagli, perché non sono ancora certi; però vi posso dire che l’obbiettivo sarebbe scatenare una rivolta contro la Città, quindi mi serve tutto l’aiuto possibile, per combattere contro quelli come noi” dico, rivolgendomi soprattutto a March.
“Uhm, non suona molto bene. Mi sembra troppo campato per aria; vorresti scatenare una rivolta, e come? Poi hai detto che ti serve tutto l’aiuto possibile per combattere contro gli altri di noi; sei consapevole che quelli disposti ad aiutarti saranno molto pochi?” mi chiede.
“Sì, sono pienamente consapevole che è un’idea suicida, ma...”.
“Non puoi più sopportare questa situazione; lo so, ti capisco. Penso che accetteremo di fare parte di questo massacro, tanto prima o poi bisogna pur morire, no?” conclude, poi lui e gli altri scoppiano a ridere; evidentemente quella è una battuta che solo loro possono capire. Rimango a chiacchierare con loro ancora per qualche minuto, poi me ne vado a dormire.
La sera, dopo che siamo arrivati nella zona che ci hanno assegnato per questa notte, gli altri mi aggiornano sui loro progressi: io sono l’unico ad aver trovato un’intera squadra disposta ad aiutarci, e sono l’unico ad aver detto esplicitamente le nostre intenzioni; gli altri al massimo hanno parlato con un paio di persone, ed in modo molto indiretto.
Anche questa notte non troviamo nulla, né noi, anche se questa zona mi sembrava vagamente famigliare, né Erik, che comunque ha continuato a cercare dalla zona di ieri.
 
Lascio passare una settimana, sperando di trovarlo, ma niente. Così mi decido, “Domani sera chiederò di essere mandato nella zona di Franky” dico ad Erik, lui annuisce, “Credo che sia l’unica soluzione” mi risponde. Scendiamo dalla Divoratrice e andiamo a mangiare, poi me ne vado a dormire.

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Capitolo 11
*** Continua ***


La sera sono un po’ nervoso; so che comunque la mia richiesta non è poi così strana, però non riesco a non pensare che, con quella semplice domanda, potrei mandare all’aria tutto. Infatti se si dovessero insospettire, e penso che su di me abbiano già molti dubbi, mi ritroverei costantemente osservato e quindi addio piano. Mi siedo con i  miei compagni, comincio a mangiare qualcosa con loro; poi, quando le prime squadre cominciano ad andarsene dalla mensa per andare in pattuglia, io ed Erik ci alziamo e raggiungiamo il tavolo dove siedono tutte le persone importanti di questo posto.
“Avete bisogno di qualcosa ragazzi?” ci chiede Wilson, che è il capo della baracca ed è anche l’Uomo Nero a cui sono stato consegnato.
“In effetti sì” inizio.
“Chiedete pure”.
“Ecco, mi chiedevo se fosse possibile assegnare da pattugliare alla mia squadra, per questa notte, la zona in cui si trova il rifugio di Franky; cioè la zona in cui sono stato preso, o meglio consegnato, non so se si ricorda ...”.
“Sì, mi ricordo molto bene. Il tuo Franky è famoso, anzi famigerato, qui. Perché questa richiesta?”.
“Beh... Per essere completamente sinceri, devo ammettere che non mi dispiace questa mia nuova... condizione; però provo ancora rancore nei confronti di Franky, per me era come un padre, padre che mi ha tradito consegnandomi spontaneamente a coloro che consideravo mostri assassini. Quindi mi piacerebbe ritrovarmi ancora faccia a faccia con lui; avrei un paio di cose da dirgli, non so se mi sono spiegato”; si mettono a ridere; “Ti sei spiegato benissimo! Anche a me è successa una cosa simile, e non mi sono sentito in pace, finché non ho strappato, con le mie stesse mani, dal petto il cuore del bastardo che mi ha tradito” mi dice, sogghignando, “Nessun problema, dirò di assegnare quella zona alla tua squadra per domani notte” conclude. A queste parole mi sta per scappare un sospiro di sollievo; è fatta! Domani incontrerò Franky finalmente! Stiamo per andarcene, quando si alza un uomo, rimasto, fino ad adesso, seduto ed in silenzio alla destra di Wilson. “Aspettate” ci dice, “Will mandali questa notte, li accompagno io; devo comunque andare a fare una visita al nostro amico prima o poi, perché non approfittare di questa occasione?”.
“Sì, mi sembra una buona idea. Bene, cominciate pure ad andare, vado a riferire i cambiamenti ai cervelloni” dice Wilson alzandosi, poi esce dalla stanza.
“Bene ragazzi, fatemi finire di mangiare, poi partiamo”, detto ciò lo sconosciuto si risiede tranquillo e riprende a mangiare. Io e Erik ritorniamo dagli altri, che erano rimasti al tavolo ad aspettarci.
“Allora?” ci chiede subito John, ma non ho la forza per rispondere. Eravamo così vicini; una notte, solo una e poi... Invece si è messo in mezzo quel tipo; perché, che vuole? Che abbia capito, o sospettato, qualcosa?
“Allora siamo punto e a capo” dice Erik.
“Che?” ribatte John.
“È un modo di dire, non lo hai mai sentito? Comunque, ciò che intendo è che siamo riusciti a farci assegnarci la zona di Franky per questa sera, ma uno degli uomini di Wilson ha deciso di accompagnarci. In sostanza non abbiamo ottenuto nulla”; la delusione si propaga fra tutti noi.
“Beh, non è così tanto grave. Basta ucciderlo” dice John.
Erik lo guarda male: “Ma ti senti quando parli? Come pensi che potremmo farcela; è il braccio destro di Wilson, quindi non è proprio una persona qualunque!”.
“Non ho mica detto di farlo da soli; troviamo questo Franky, poi assieme a lui e ai suoi uomini lo togliamo di mezzo!”.
“E poi? Ammesso che riusciamo ad ucciderlo, cosa riferiamo una volta tornati?”.
“Che Franky lo ha ucciso, cosa non diversa dalla realtà” risponde soddisfatto. “E secondo te accetteranno una risposta simile!? Come minimo mobiliteranno TUTTI gli Uomini Neri e distruggeranno il covo di Franky, se non l’intera zona come monito. Comunque non contate troppo sulle mie parole; vi ho detto che credo che anche Franky sia uno di noi, ma non ne ho la certezza assoluta” intervengo io; John si zittisce.
“Quindi cosa facciamo?” ritorna a chiedere Michael.
“Non ne ho idea” rispondo.
“Per adesso limitiamoci ad andare, poi qualcosa succederà” dice Erik.
Aspettiamo qualche minuto, poi il tipo si alza dal suo tavolo e ci raggiunge. “Allora siete pronti? Penso che ormai si possa andare” ci chiede; così ci incamminiamo verso il nostro mezzo.
Ovviamente si accomoda sul sedile anteriore, così Erik è costretto a mettersi dietro insieme agli altri; mentre io devo stare da solo con questo tipo, di cui non conosco le intenzioni. Quindi passo tutto il viaggio pronto a reagire ad ogni sua possibile mossa, ma lui passa tutto il tempo a sonnecchiare pacificamente, ignorandomi completamente.
Per la prima volta mi concentro sulla strada che sta percorrendo la Divoratrice, tuttavia dopo la decima svolta perdo completamente l’orientamento. Ma all’improvviso sbuchiamo in una piazza e il mezzo si ferma. Il sole è tramontato già da un po’, quindi tutto è immerso nell’oscurità, ma non posso non riconoscere questo posto. Velocemente esco dalla Divoratrice e appoggio i piedi al suolo. Si alza un’improvvisa folata i vento, che mi trasporta un odore inconfondibile, l’odore di casa mia, l’acre odore del posto in cui sono nato e cresciuto. Grazie anche alle luci della Divoratrice riesco ad orientarmi alla perfezione, e mi accorgo che ci ha scaricati abbastanza lontani dal rifugio di Franky.
Se non ci fosse stato quest’uomo mi sarei messo a correre per raggiungerlo il più in fretta possibile, però dobbiamo salvare le apparenze. Così dico: “Bene ragazzi, come sempre: Michael e John, prendete il mezzo e scegliete una zona da pattugliare; Tom e Erik, venite con me”, poi mi incammino. Appena usciamo dal cono di luce creato dalla Divoratrice, mi fermo e guardo il cielo; “Se aspettiamo qualche minuto, la luna uscirà da dietro quelle nubi, così potremmo vedere meglio la strada” dico.
Il tipo sorride, “Come fai ad aver dimenticato la strada di casa?” dice, poi inizia a camminare al buio proprio nella direzione giusta. Rimango esterrefatto; come può sapere la direzione da prendere, soprattutto di notte. Solamente chi, come me, ha vissuto qui, può essere in grado di orientarsi con il buio.
La certezza che questo tipo ci stia nascondendo qualcosa, aumenta ancora di più. “Seguiamolo, prima che si perda” dico, poi ci incamminiamo.
La strada me la ricordo alla perfezione, come se non me ne fossi mai andato; però anche se stiamo procedendo abbastanza rapidamente non incontriamo il tipo.
“Che fine ha fatto? Non è che si è veramente perso?” chiede Tom.
“Speriamo, così avremmo risolto tutti i nostri problemi” rispondo. Ma appena ho finito di parlare, la luna sbuca finalmente da dietro la nuvola, illuminando il percorso: a diversi metri da noi, che cammina tranquillamente c’è quel tipo. Mi fermo, “Come può essere lì, è impossibile che sia riuscito a indovinare tutte e due le svolte, soprattutto la seconda!” commento ad alta voce.
“È evidente che conosce la strada, quindi è probabile che venga spesso da queste parti” dice Erik.
“E ci deve essere venuto anche di recente, visto che questo tratto di strada è diverso da come me lo ricordavo”.
“Può darsi, che problema c’è Jack?”.
“Nulla. Quell’uomo mi da una strana sensazione, tutto qua” rispondo riprendendo a camminare.
Nessuno di noi ha intenzione di raggiungerlo, così lascio che ci preceda.
Ed è l’errore più grande che potessi commettere.
All’improvviso sento un rumore alla mia destra, mi volto velocemente e vedo un ombra, sul tetto, sparire nella notte; solo adesso mi rendo conto di dove siamo: una ventina di metri e questa strada sbucherà nella piazza di fronte alla mia vecchia casa. “Merda! Non avevo pensato alle sentinelle!” esclamo.
“Chi?” chiede Tom.
“Sentinelle; sono persone che controllano un posto per vedere se arrivano pericoli” spiega Erik.
“Esatto e in questo caso il pericolo siamo noi. O meglio lui; penso, o almeno spero che mi abbiano riconosciuto” dico.
“Pensi che lo attaccheranno?” chiede Erik.
“Di solito non sono così incauti, ma non si può mai dire. Sbrighiamoci a raggiungere Franky, prima che sia troppo tardi”. Acceleriamo il passo, per raggiungerlo, ma lui è già scomparso dietro l’ultima curva; dopo un minuto svoltiamo anche noi e entriamo nella piazza.
L’uomo è fermo che ci aspetta: “Non sembri molto impaziente di rivedere Franky” commenta, ma io non gli presto attenzione; poiché di fronte a me c’è un grande edificio, di due piani, con un enorme croce bianca dipinta sulla facciata: casa mia.
Mi ricordo improvvisamente gli ultimi istanti prima che mi potassero via; mi ritorna in mente la tacita promessa fatta a Franky, la promessa di resistere e tornare un giorno, promessa che sono riuscito a mantenere.
“Muoviamoci” dico, sicuro che più tempo perdiamo qua fuori, più sono le possibilità di venire attaccati, anche se non ho più visto, né sentito nulla.
In pochi passa sono di fronte all’ingresso, ma prima di entrare mi rivolgo a Erik e Tom: “Vado da solo, voi pattugliate i dintorni”; immediatamente si mettono in cammino. Guardo con la coda dell’occhio l’uomo misterioso, ma sembra tranquillo.  Così allungo la mano, afferro la maniglia, apro la porta ed entro. 

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Capitolo 12
*** Continua ***


Ovviamente, come ho pensato, le sentinelle mi hanno riconosciuto, quindi, quando entro, trovo tutti nell’ingresso ad aspettarmi. Sono tutti felici di vedermi, così come io lo sono di vedere loro; con un grande sorriso, Franky mi raggiunge e mi abbraccia, “Sapevo che saresti riuscito a tornare” mi dice. “Beh, non proprio” sento dire da una voce alle mie spalle; l’uomo è entrato, mi volto e vedo che se ne sta tranquillo sulla soglia, come se non gli passasse nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea che potrebbe essere in pericolo. “Bill, perché sei qui?” chiede tranquillamente Franky.
“Ho dovuto accompagnare il ragazzo, per evitare di far aumentare i sospetti su di lui” risponde; io sono abbastanza stupito da questo scambio di battute, anche se ciò dimostra che i miei sospetti non erano infondati.
“Come fate a conoscervi?” chiedo.
“Jack, lui è mio fratello minore” risponde Franky. Rimango senza parole.
“Dalla tua faccia presumo che non ti abbia mai parlato di me. C’era da immaginarselo; dopotutto non è molto fiero di suo fratello, vero?” dice Bill; ma Franky non è più interessato a lui, “Jack, che stai combinando? Se non ti hanno lasciato andare, perché sei tornato qui?” mi chiede.
Io mi riprendo abbastanza per rispondere: “Ti devo parlare di una cosa” rispondo e guardo Bill, “Ma senza orecchie indiscrete nei paraggi” aggiungo; “Non c’è problema, ormai so già abbastanza del tuo piano, e non solo io purtroppo. Perché credi che mi sia offerto di accompagnarvi? Non si fidano più di te e del tuo gruppo e sono preoccupati; un altro passo falso e vi uccideranno tutti”.
“Come puoi...” inizio, ma mi muoiono le parole in bocca.
“Conosce il tuo piano di fuga? Semplice: ne avete parlato con le persone sbagliate” completa la frase al posto mio.
“È per questo che sei venuto da me?” mi chiede Franky, io annuisco; lui sospira, “Dovevo immaginare questa tua reazione, tale e quale a tuo padre” scuote la testa, “Anche se tardi è ora che ti spieghi un paio di cose”.
Mi spinge verso una stanza laterale; verso il suo ufficio, per usare le sue parole. Ovviamente ci segue anche Bill.
“Allora da dove comincio a spiegarti...” inizia a dire.
“Innanzitutto ho una domanda: sei anche tu un Uomo Nero, giusto?” chiedo, “Sì, o meglio lo ero; comunque se vuoi sapere se mi posso ancora trasformare, la risposta è sì” risponde.
“Ma come hai fatto ad andartene?”.
“Te lo sto per spiegare, se mi dai tempo” mi dice sorridendo, io mi zittisco. “Dunque, ti ho raccontato che tuo padre è stato catturato, ti ricordi?” inizia a dire, io annuisco; “Bene, pochi giorni dopo mi sono consegnato. Non riuscivo più a convivere con il rimorso, così ho pensato di raggiungere tuo padre; pensavo che insieme a lui e a Bill, avremmo potuto distruggere quel posto tremendo...”
“Aspetta, come facevi a sapere dove ti avrebbero portato? E Bill era già stato catturato?” intervengo.
“Lui non ha mai parlato di cattura; ha detto di essersi consegnato spontaneamente. Vedi, sia per lui che per me, raggiungere gli altri Uomini Neri è stato come... tornare a casa. Nostro padre non era un essere umano, ma uno di loro; il nostro destino era già segnato nel momento della nostra nascita, solo che lui l’ha accettato più tardi di me” interviene Bill.
“Bill ha cominciato a vivere in mezzo agli altri Uomini Neri fin da quando aveva quattro anni” continua Franky.
“Fermi, aspettate; cosa state dicendo? Vostro padre era un Uomo Nero, quindi?” intervengo.
“Quindi noi siamo nati così. Non ci hanno fatto alcun tipo di intervento, come è successo a te e a tutti gli altri, siamo nati mostri” risponde Bill; rimango senza parole, ma Franky continua comunque a raccontare: “Dunque stavo dicendo che mi sono fatto catturare. Purtroppo le mie speranze si sono rivelate vane, almeno per quanto riguarda tuo padre. Come sai, chi viene catturato è tenuto per circa un mese in isolamento, prima di trasformarlo in ciò che siamo, ovviamente io non ho seguito la normale procedura. Appena sono arrivato hanno iniziato ad addestrarmi, invece tu padre era in isolamento”.
“E trent’anni fa erano ancora più severi di adesso, nessuno poteva avere notizie delle reclute” interviene Bill.
“Per questo non ho saputo cosa accadde a tuo padre, finché Bill non ascoltò per caso una conversazione, che sarebbe dovuta rimanere privata” al che si ferma e guarda il fratello, il quale continua: “Non è successo esattamente per caso, anche se è stata una cosa inaspettata. Comunque, per motivi che poi ti spiegheremo, mi trovavo dove non sarei dovuto stare, e ho sentito due guardie parlare di un incedente appena avvenuto: un ragazzo, appena ripresosi dopo l’intervento, aveva tentato la fuga. Però non si sapeva cosa fosse successo di preciso: una guardia sosteneva che era stato ucciso subito, invece l’altra che era veramente riuscito a scappare, dopo aver provocato un bel po’ di danni” si interrompe e continua Franky: “È stato abbastanza facile capire che si trattava proprio di tuo padre, anche se nessuno, ancora oggi, sa cosa sia avvenuto veramente. Io sono convinto che sia riuscito a scappare, e che adesso sia da qualche parte a realizzare tutti i sogni che aveva”. Smette di parlare, penso per darmi tempo per assimilare tutto ciò che ho appena scoperto, anche se in realtà non è cambiato nulla rispetto a prima: non sapevo cosa fosse successo a mio padre e non lo so neanche adesso.
“Però non è questa parte di storia che interessa adesso” riprende Bill, “Jack, tu non sei il primo Uomo Nero che odia, con tutto sé stesso, sé stesso. Non sei nemmeno il primo che pensa di scappare; anzi, c’è qualcuno che ci è veramente riuscito e non sto parlando di tuo padre” continua; si sta, ovviamente, riferendo a Franky .
“E adesso posso rispondere alla tua domanda; risposta che  si collega a ciò che stava facendo Bill, quando ha ascoltato la conversazione su tuo padre” riprende a parlare Franky.
“Vedi, crescere là ha avuto i suoi lati positivi” inizia a parlare Bill, “Ho stretto amicizia con tutte le persone importanti e queste si fidano quasi completamente di me; per questo ho potuto scoprire un po’ di segreti scomodi” continua sorridendo, “Ad esempio ho scoperto il vero scopo di quella baracca: è un laboratorio di ricerca!” dice con un tono importante, come se mi avesse dato chissà quale notizia sconvolgente; ma io non ho capito nulla.
“E allora?” dico.
“Allora? Non capisci?” dice sorpreso.
“Bill, non sa neanche il significato della parola laboratorio; come puoi aspettarsi che arrivi a comprendere tutto! Iniziamo dall’inizio” interviene Franky. Dopo una pausa riprende a parlare: “Tu sai, perché sono stato io a dirtelo, che gli Uomini Neri sono stati creati per controllarci”, io annuisco, “Bene, non è la verità, o meglio è solo un parte. Devi sapere che in Città ci sono due centri di potere, un po’ come due bande diverse che si contendo una zona; da una parte c’è il re, cioè colui che governa la Città, diciamo che ha il mio stesso ruolo, anche se ha più potere; dall’altra c’è il capo del Laboratorio, che è il luogo dove ora vivi. Mi segui?”, annuisco, “Entrambi hanno un problema in comune: noi. Noi che viviamo in queste baracche facciamo paura ai Cittadini, e quindi sia il re che l’altro hanno trovato diversi metodi per controllarci. Da una parte c’è l’esercito, comandato dal re, sono semplici esseri umani, ma con armi potenti. Dall’altra ci sono gli Uomini Neri, sotto il comando del capo del Laboratorio”.
“Come, non seguiamo gli ordini di Wilson?” chiedo.
“No, lui è solo un tramite” mi risponde Bill.
“Chi comanda veramente è un dottore, una di quelle persone che curano le altre persone...” continua Franky.
“Sì, ho già visto qualche dottore. Ma come è possibile che abbia creato un posto del genere?”.
“Lo ha fatto per due ragioni strettamente collegate una all’altra” continua Bill, “L’idea principale è che vuole creare un esercito personale, un esercito più potente di quello della Città, grazie al quale può prendere il potere. Per farlo ha creato qualcosa, mi hanno piegato di che cosa si tratta, ma non mi ricordo più; comunque non è importante, ciò che conta è che ha avuto bisogno, e ne ha ancora oggi, di esseri umani su cui provarlo per vedere gli effetti. Così ha iniziato a rapire persone da questo posto, con il pretesto di volerci aiutare, cercando nuove medicine per curare le nostre malattie e via dicendo, ovviamente è solo una scusa per tranquillizzare gli Umanisti. Così siamo nati noi, gli Uomini Neri, ufficialmente con lo scopo di controllare il numero di persone presenti un questo posto, per evitare che la popolazione cresca in modo esagerato, ma il vero scopo lo conosci anche tu”.
“Va bene, ho capito; ma cosa centra tutto ciò con il fatto che Franky sia qui libero?” chiedo.
“Non ho detto che ho scoperto un po’ di segreti scomodi? Forse questo è il più scomodo di tutti! Il fatto è che nessuno, nemmeno il re, sa l’intera verità sugli Uomini Neri, anzi non sanno nulla; te l’ho detto, ufficialmente siamo solo normali persone ha cui è stato dato lo spiacevole incarico di uccidere bestie, che, se dovessero diventare troppo numerose, potrebbero divenire pericolose. Nessuno potrebbe immaginare che invece siamo esseri sovrumani, e che soprattutto siamo un esercito. Puoi immaginare la reazione che scatenerebbe una simile notizia. E a questo punto entra in gioco Franky” Bill smette di parlare e riprende Franky: “Si può dire che ho ricattato il dottore, gli ho fatto capire che sapevo la verità, che ovviamente potevo provare tutto e che se mi avesse fatto fuori, sarebbe venuto tutto fuori alla luce del sole. Così ha avuto una sola possibilità, quella di lasciarmi andare. Certo per i primi tempi ha cercato comunque di zittirmi, ma poi ha abbandonato l’idea. E così eccomi qui” dice con un sorriso. Io rimango completamente allibito: “Come! Cosa vuol dire ‘e così eccomi qui’! Avete avuto la possibilità di fermare quell’uomo, di cambiare la situazione e...”.
“Ragiona un attimo Jack. Primo, se avessimo rivelato la verità, stai certo che il re avrebbe ordinato di uccidere tutti noi e di distruggere il Laboratorio. Poi avrebbero continuato a sterminare, come se nulla fosse, gli abitanti di questa città. Secondo, chi ha detto che siamo rimasti con le mani in mano? In quel Laboratorio ci sono almeno sessanta Uomini Neri, che aspettano un segnale per scatenare l’inferno e distruggere quel posto mattone per mattone!” esclama Bill. Dire che rimango scioccato è dire poco; rimango letteralmente a bocca aperta, tanto che Franky me la chiude con una mano, e Bill mi fa una boccaccia, “Ti ho già detto che non sei l’unico a voler andartene” aggiunge.
“Sì, ma... ma... Io non... Così tante persone?” balbetto.
“Beh, non sono molte; se veramente si arriverà ad uno scontro, la situazione sarà complicata”.
“Io al massimo mi aspettavo di riuscire a trovare una decina di Uomini Neri disposti ad aiutarmi!”.
“Avevi veramente intenzione di attaccare quel posto solo con una decina i persone?” mi chiede Franky.
“Non esattamente” dico; poi parlo del mio piano, che alla luce delle mie nuove scoperte mi sembra sempre più irrealizzabile, almeno per come lo avevo pensato io. Ovviamente non evito d parlare di Monica. “Ma non voglio che pensiate che abbia pensato a questo solo per salvare quella ragazza, perché non è la verità” concludo.
“Lo spero, soprattutto perché la tu idea comprende il massacro di miliardi di persone” commenta Bill, invece Franky mi cinge le spalle con un braccio: “Mi sembra di sentire tuo padre; diceva spesso: ‘siamo migliaia di volte più numerosi di loro, basta attaccarli tutti assieme e vinceremo’; poi quando ha conosciuto tua madre ha iniziato a ripeterlo così spesso, che ho iniziato ad aver paura che avrebbe agito da solo, pur di proteggerla. Se veramente hai intenzione di agire il prima possibile, noi siamo pronti; lo siamo da molto tempo, aspettavamo solo un segnale ed è arrivato. Per quanto riguarda la rivolta che vorresti scatenare; credo che non ci saranno difficoltà a convincerli a insorgere, la situazione è così disperata che basta solo una piccola scintilla per fare scoppiare un incendio incontrollabile. Tuttavia, soprattutto ora, sai contro cosa si scontreranno; anche se escludi gli Uomini Neri, che saranno impegnati a lottare contro i loro simili, l’esercito, per un branco di disperati, è un ostacolo insormontabile. Bill ha ragione, sarà una strage, la peggiore che ci sia mai stata, e tu sei sicuro di volerne sopportare le conseguenze?”. Mi ha ripetuto quasi esattamente le parole di Jim, “Io ero venuto proprio per questo motivo a parlarti; ho bisogno di un consiglio” dico.
“No Jack, né posso né voglio dartelo; è una decisione che spetta solo ed esclusivamente a te. Ti posso solo dire che qualunque sia la tua decisione, io sarò al tuo fianco per sostenerti”. Detto questo si alza, “È quasi l’alba, abbiamo parlato tutta la notte, è ora che tu vada. Quando avrai preso la tua decisione, devi solo dirla a Bill, lui me la comunicherà”. Ci incamminiamo verso l’uscita, “Arrivederci, figlio mio” dice mi dice sulla soglia, poi mi da un bacio sulla fronte e torna dentro.
Fuori ad aspettarmi ci sono sia Erik che Tom. Hanno tutti e due un’espressione di sorpresa sul volto; subito non ne capisco il motivo, poi mi rendo conto che loro non sanno nulla sul conto di Bill, quindi sono giustamente stupiti di vederlo vivo, dato che, in teoria, avrei dovuto farlo fuori aiutato da Franky. “Non vi preoccupate è tutto okay; spiegherò tutto, quando ci incontreremo con gli altri”; non sembrano per nulla soddisfatti della risposta, ma si incamminano senza farmi ulteriori domande, anche se continuano a guardare con sospetto Bill.
Ritorniamo nella piazza, da cui eravamo partiti, e troviamo John e Michael ad aspettarci. Anche loro appena vedono Bill si preoccupano, ma intervengo subito, per evitare problemi. “È tutto apposto, ora vi spiego come stanno le cose”. Riferisco per sommi capi tutto il racconto di Franky e Bill, omettendo la parte su mio padre e sulle storie personali di Bill e Franky. “Ora non mi sembra più un impresa impossibile, anche se sono sicuro che le possibilità di sopravvivere siano quasi nulle” commenta Michael, “Perché? Con sessanta Uomini Neri e qualche miliardo di uomini ad aiutarci, non vedo perché dovremmo fallire!” ribatte John, che, come sempre, non ragiona prima di parlare. “Io ho ancora dei dubbi, invece” dice Erik, “Dubbi sul tuo ruolo nella storia” continua, rivolgendosi a Bill, “Come è possibile che non sospettino di te? Se è vero ciò che hai raccontato a Jack, sei stato tu hai scoprire la verità; tu sei andato a ficcare il naso dove non dovevi, come possono non averti scoperto?”.
Bill sorride: “Sinceramente non ne ho idea. Nessuno sospetta di me, nessuno ha il benché minimo sospetto che ci siano dei traditori tra le fila di Uomini Neri; te lo posso assicurare” risponde; Erik non sembra convinto, ma non insiste oltre. Aspetto qualche minuto, poi visto che nessuno parla intervengo io: “Ora sapete come stanno veramente le cose; adesso sapete contro chi vi troverete a combattere, se deciderete di lottare assieme a me. Io ho deciso: anche se dovesse significare affrontare da solo ogni singolo Uomo Nero, ho intenzione di distruggere quel posto, quel Laboratorio, Quindi vi chiedo, amici: siete con me?”.
“Sì, certamente” risponde immediatamente John.
“Sì, ti aiuterò anch’io” dice Tom con un sorriso.
“Non penso che ci sia altra scelta” commenta Michael.
Erik non parla, mi guarda, poi dice: “Non ho intenzione di essere la causa della morte di qualcuno di voi; perché, Jack, sei consapevole che sicuramente qualcuno di noi verrà ucciso?”; so a chi si riferisce, sta parlando del piccolo Tom; è lo stesso, identico, pensiero che mi è venuto in mente, quando ha risposto tutto contento. Ci aspetta uno scontro terribile e lui... lui è solo un bambino. Annuisco, guardandolo negli occhi, e capisce che sono pienamente consapevole di tutte le terribile conseguenze che ci saranno.
“Okay Jack; combatterò con te fino alla fine” risponde Erik.
“Molto bene, riferisco immediatamente a mio fratello la tua decisione” dice Bill, poi comincia a correre nella direzione da cui siamo venuti. Molto probabilmente si trasforma, perché si sento dei rumori di vestiti lacerati e Tom lancia un grido di sorpresa, ma io non mi volto a guardarlo. Sto guardando dalla parte opposta; dove, da sopra i tetti delle case, si comincia a vedere una luce nel cielo, e per la prima volta, vedendola, ho la consapevolezza che sta veramente iniziando un nuovo giorno.

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Capitolo 13
*** Continua ***


Due settimane; tra due settimane si concluderà un’era, almeno per questa Città. Tra due settimane o saremo tutti morti, oppure non vi sarà più distinzione fra Cittadini e abitanti delle baracche. Io ritengo più probabile la prima, però, sapete come si dice, la speranza è sempre l’ultima a morire.
 
Agire dopo due settimane, questi erano i miei, i nostri piani. Ma qualcun altro ne aveva altri, e aveva più fretta di noi.
 
Dopo appena una settimana, appena tornati dal pattugliamento, quando scendo dalla Divoratrice, mi trovo di fronte Jim.
“Oh, guarda chi si vede!” esclama sorpreso.
“Ciao Jim, hai bisogno di qualcosa?” gli chiedo.
“No, no sono passato di qua per caso” mi dice, ma intanto mi indica l’uscita; capisco che mi deve parlare, ma in privato e soprattutto nessuno ci deve vedere. Che cosa mi dovrà dire di così segreto? Mi saluta e si dirige verso la porta che mi ha indicato; io raggiungo gli altri, che si trovano dall’altro lato del mezzo.
“Voi cominciate ad andare, io vi raggiungo dopo, ho dimenticato di controllare una cosa” dico, poi mi dirigo tranquillamente verso la porta che mi ha indicato Jim.
Quando mi trovo nuovamente davanti a lui, mi accorgo che è leggermente agitato.
“È successo qualcosa?” chiedo.
“Sì, purtroppo per te” risponde.
“Perché? Cosa c’è che non va?”.
“Monica. Hanno anticipato tutto a questa notte” mi dice. Impiego qualche secondo a elaborare le sue parole, poi... “NO! Non è possibile, c’è ancora tanto tempo... non è passato il mese... perché...”.
“Non lo so, Jack, non lo so. Ci è appena arrivata questa comunicazione: questa notte verranno a prelevarla. Effettivamente è strano, non si è mai verificata una situazione simile prima; anche perché, da quanto ci è stato riferito, sarà il Dottore in persona a prenderla in consegna, e lui è da molto tempo che non viene più in questa struttura”.
“Cosa... cosa posso fare?”.
“Non saprei ragazzo, la decisione di come agire spetta solo a te”, mi da una pacca sulla spalla di conforto, poi se ne va. Io rimango immobile nella mia posizione; effettivamente non sono proprio immobile, sto tremando abbastanza violentemente per la rabbia.
In questo momento l’unica cosa che voglio è trasformarmi e distruggere tutto quello che ho attorno. E so che potrei farlo, so di essere abbastanza forte per riuscire ad uccidere una buona parte degli Uomini Neri qui presenti, prima di essere fermato ed ucciso. Perché non dovrei farlo? Ora, in questo istante! Dentro nella rimessa c’erano altre due persone, non devo fare molto, mi basta spalancare la porta ed attaccarle, morirebbero senza nemmeno rendersi conto di ciò che è successo.
“Jack, che ti prende?”, sposto lo sguardo e vedo Erik, solo che lo vedo da un’angolazione strana: è troppo in basso. Capisco di essermi involontariamente trasformato. Ritorno normale e purtroppo mi ritrovo i vestiti a brandelli.
“Mi vuoi spiegare cosa vi siete detti? E soprattutto perché ti sei trasformato?” mi chiede.
“Jim mi ha... mi ha appena detto che l’operazione a Monica è stata, è stata anticipata a questa notte...”.
“Ho capito. Aspetta qui, vado a cercarti altri vestiti” dice allontanandosi. Ritorna pochi minuti dopo. “Tieni” e mi porge i nuovi abiti. Dopo qualche istante di silenzio, riprende a parlare: “Cosa hai deciso di fare?”.
“Devo parlare con Bill”.
“Va bene, ormai credo che un giorno vale un altro; anzi, forse più tardi si aspetta, più c’è il rischio che qualcuno ci scopra” commenta.
Ritorniamo entrambi dentro; io vado a cercare Bill, lo trovo fortunatamente nella sua stanza, così posso parlare senza temere di essere ascoltato. Riferisco le parole di Jim.
“Deduco che quindi avresti intenzione di agire questa notte, giusto?”, io annuisco.
“Perfetto, nessun problema. Noi siamo preparati ad agire in qualunque momento. Adesso va a dormire, penso io ad avvertire chi di dovere” mi risponde.
Ovviamente non riesco a prendere sonno e sono uno dei primi ad uscire dalla propria stanza la sera. Quando entro in mensa mi ritrovo immerso in una strana atmosfera; forse è soltanto la mia immaginazione, ma mi sembra di avvertire tensione nell’aria, cose se sapessero cosa sta per succedere, come se tutti fossero consapevoli che tra poche ore inizierà una battaglia, che cambierà per sempre questo posto. Mi siedo al tavolo con gli altri, che sono tutti presenti e vedendoli mi sembra che nemmeno loro abbiano dormito molto. Dopo poco entra anche Bill; con non curanza si dirige verso di me e quando mi passa affianco, mi sussurra: “Appena tramonta il sole”. Appena tramonta il sole, per un istante mi prende il panico. Come posso farlo, come posso vincere contro tutti loro? Poi osservando le espressioni serie di John, di Erik, guardandomi attorno e notando che su molti volti di altre persone è presente questa espressione, il panico sparisce: non sono solo, e non c’è alcun motivo per cui assieme dovremmo perdere.
 
La Divoratrice ci lascia nella piazza, dove si era fermata la notte in cui ero andato a trovare Franky; scendiamo tutti. Ad aspettarci trovo sia Franky che Bill. Il sole non è ancora completamente tramontato, ci vorrà ancora una decina di minuti. “Allora, sono riuscito a fare in modo che gli Uomini Neri più forti siano sparsi per tutto questo posto, e tutti sono circondati da qualcuno dei nostri, così non dovrebbe essere troppo difficile eliminarli. L’esercito non è stato allertato, così dovrebbe impiegare qualche minuto per agire e noi ne potremmo approfittare per aprire un varco nelle mura. Una volta in Città penso che lo scontro si volterà  nostro favore; si troverebbero a combattere fra la loro stessa gente, quindi agiranno con più cautela” dice Bill. Nessuno commenta, siamo tutti fermi a guardare il cielo, in attesa che venga il momento.
E alla fine arriva; con un ultimo intenso bagliore, il sole scompare e scende l’oscurità. Mi volto verso Franky, “Stanno solo aspettando un segnale” mi dice. Io chiudo gli occhi; sento, per la prima volta avvenire la trasformazione, forse perché per la prima volta sono consapevole di quello che sto facendo. Sento che divento più alto, sento che divento più forte, sento che anche gli altri si stanno trasformando. Riapro gli occhi nella notte, notte luminosa come il giorno per i miei nuovo occhi. Poi ruggisco. Per alcuni lunghissimi secondi il silenzio della notte è rotto dal mio richiamo, che viene udito ovunque e quando cessa molti altri riecheggiano.
È iniziata.
 
Io, Erik, Franky e tutti gli altri ci slanciamo in avanti, puntando verso la Città, accompagnati da altre decine di ruggiti, e ruggendo a nostra volta. Ma pian paino un altro suono si diffonde, simile, ma allo stesso tempo leggermente differente. Impiego qualche secondo a capire che sono grida di uomini normali. Il suono cresce fino a sommergere completamente i nostri ruggiti e la terra comincia a tremare, pezzi di muri cominciano a staccarsi dalla costruzioni ai miei lati e io mi fermo stupefatto. Con un salto raggiungo il tetto di una casa vicina e vedo. Ogni strada, ogni vicolo è invaso da esseri umani, uomini, donne, vecchi e bambini. Tutti assieme si stanno scagliando contro le mura della Città. Ogni singola persona, che vive in questo posto, si trova ora in strada. Rimango immobile a contemplarli, a contemplare la rabbia di miliardi di persone esplodere incontrollata. Per qualche istante questa visione mi spaventa, ma il tempo per riflettere finisce. Dalla folla cominciano a levarsi altri tipi di urla, urla di dolore, mentre in alcune zone vedo persone essere prese e scagliate in aria. Gli Uomini Neri sono entrati in azione. Con un altro grido mi getto in avanti nella battaglia.
 
Non ho tempo per pensare, agisco d’istinto.
Mi lancio sopra due Uomini Neri, che stanno massacrando delle persone. Uno di loro lo schiaccio con il mio peso, essendo molto più piccolo di me, l’altro lo afferro con una zampa e prima che possa reagire, gli stacco la testa con un morso. Getto a terra il corpo e riprendo la carica, circondato dal fiume di uomini la cui carica non è stata ancora rallentata.
Dal fianco una sagoma si alza da un edificio e mi piomba addosso, gettandomi a terra e, purtroppo, schiacciando le persone che si trovano i fianco a me. Non mi da il tempo di riprendermi, che subito mi attacca di nuovo, mordendomi ad un fianco. Fortunatamente qualche centinaio di persone arrivano in mio soccorso, aggredendolo contemporaneamente e togliendomelo di dosso. Impiegano qualche secondo a fare il loro lavoro, poi quando se ne vanno, di quell’essere non rimane che una carcassa informe. Non voglio saper come hanno potuto ridurlo in quel modo, visto che nessuno di loro era armato.
Ma le sorprese non sono ancora finite.
Prima si sente una sola grande esplosione, dopo pochi istanti ne seguono altre a raffica e la carica della folla si ferma. All’improvviso dal cielo scende un’ombra, che mi atterra di fianco. Per fortuna che ho riconosciuto immediatamente Erik, altrimenti lo avrei attaccato. “L’esercito. Bill ha detto che è intervenuto l’esercito, a quanto pare non si aspettava un intervento così rapido; teme che fossero già preparati, che tutti fossero preparati”; ho capito cosa intende, qualcuno ha tradito, qualcuno ha rivelato il nostro piano. Ma non c’è tempo per pensare a ciò, le esplosioni più piccole si avvicinano, mentre in lontananza ne risuonano altre di quelle potenti. “A quelli davanti ci penso io, tu occupati di quelli che stanno dietro” mi dice, poi vola via. Io mi volto e vedo che si stanno facendo largo tra la folla tre Uomini Neri, e ne riconosco uno: è il tipo che ho affrontato il giorno in cui abbiamo catturato Monica. “Non vedevo l’ora che arrivasse questo giorno” sibila. Io mi limito a ruggire. Uno dei tre si lancia in avanti, schiacciando volontariamente le poche persone che non si sono ancora spostate; e questo gesto mi provoca un’ondata di rabbia immensa. Corro verso di lui e ci scontriamo a mezz’aria. Indubbiamente mi avrebbe ucciso, dato che sicuramente è più esperto di me nel combattimento; ma io sono molto, molto più grosso di lui. Lo afferro tra le zampe e lo spezzo in due, lasciando cadere le due metà a terra. Probabilmente è uno degli amici del bastardo, perché questo lancia un sibilo furioso e mi attacca. Ricordate che avevo detto di non essere sicuro di riuscire a vincere uno scontro contro di lui, anche se il suo aspetto da uccello deforme è ridicolo? Bene, ribadisco ciò che ho detto. Non faccio in tempo ad alzare una zampa, che mi ritrovo a terra. Una sua beccata mi apre un profondo taglio nella spalla destra; cerco di spostarmi, ma mi blocca saltandomi addosso, e commette un errore. Anche lui, anche se è più grosso del suo amico, non è abbastanza per me. Con un piccolo sforzo riesco a scrollarlo via rialzandomi. Lo attacco, ma riesce a fermarmi agitando le sue lunghe zampe; una mi colpisce di striscio, ma io ne approfitto per afferrarla. Basta una leggera pressione e gliela stacco dal corpo. Lui lancia un terribile e acuto grido di dolore, ma non reagisce; così lo faccio io. Mi lancio in avanti verso il suo collo e lo afferro con entrambe le zampe, poi lo piego, solo che non si spezza. Rimango per qualche istante sorpreso, lui ne approfitta per darmi un calcio nello stomaco; ma è un colpo debole, evidentemente devo avergli fatto molto male e ha perso forza. Con un movimento veloce e deciso faccio scattare il muso affondando i denti nel suo collo, tranciandolo in due. Getto a terra i resti e sputo il sangue che mi è rimasto in bocca, prima che a tentazione di inghiottirlo diventi troppo forte per resistere. Per un attimo il pensiero di stare diventando un mostro vero e proprio mi balena nella mente, ma ancora una volta non ho tempo per pensare. Ne ho ancora uno da uccidere e lui ha fretta di concludere. Purtroppo questo può volare. Dalla sua schiena spuntano due ali e con un salto si alza in volo. Io senza pensare salto a mia volta per raggiungerlo, capendo troppo tardi di aver fatto un’idiozia. Più veloce di quanto immaginassi mi è addosso; mi colpisce, poi mi afferra e mi trascina più in alto. Comincio ad essere sballottato da una parte e dall’altra, perdendo completamente la cognizione di dove sia l’alto e il basso; fino a che tocco il suolo, di testa. Prima di svenire riesco solo a vedere il suo volto solcato da un sorriso di trionfo.

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Capitolo 14
*** Continua ***


Appena mi riprendo mi accorgo immediatamente di due cose: non mi trovo più in strada, dato che sono in una stanza quasi buia, in più non sono più trasformato. Provo a muovermi per guardarmi attorno, ma scopro di essere legato e l’unica cosa che riesco a fare è farmi male.
“Buona sera, Jack” dice una voce fuori campo. Subito dopo una luce non troppo intensa si alza dal pavimento e nel mio campo visivo entra un uomo.
A vederlo sembra piuttosto anziano, penso che abbia sui sessanta, settant’anni, non mi intendo molto di persone anziane, da me ce n’erano molte poche. Comunque questo è abbastanza stempiato, porta quello strano coso sul naso, che mi hanno che si chiama “occhiali”, ha un po’ di barba e mi sta sorridendo. Insomma ha tutta l’aria di essere una persona crudele e spietata. “Sai chi sono, Jack?” chiede, con un tono di voce, calmo e tranquillo, il tipico tono di una persona terribilmente spaventosa.
“Non ne ho la minima idea” rispondo tranquillamente; lui si finge sorpreso: “Eppure so che ti hanno paralato di me!” e a queste parole capisco di chi si tratta. Non so cosa me lo fa capire, ma mi rendo conto di trovarmi al cospetto del famigerato Dottore, la persona che ha creato il Laboratorio, che ha dato origine agli Uomini Neri, che ha distrutto la mia vita e che io desidero uccidere. E vedendola, invece di provare rabbia, ho paura; penso sia dovuta la fatto che mi trovo in questa particolare situazione: sono praticamente alla sua mercé, può fare di me ciò che vuole e di sicuro non avrei mai voluto incontrarlo in una situazione simile.
“Non sei curioso di sapere la ragione della tua presenza in questo luogo, che, se ti può interessare, è il mio personale laboratorio, un luogo a cui hanno accesso solo pochi eletti?” mi stuzzica. In verità non me ne può fregar di meno: là fuori c’è una guerra in corso e io mi trovo chissà dove legato ad una specie di letto; l’unica mia preoccupazione è tornare a combattere con gli altri. “Non parli? Pazienza, te lo dico comunque. Giusto per fare conversazione” continua, poi si allontana da me, uscendo dal mio campo visivo. Sento degli strani rumori, poi ciò su cui sono sdraiato comincia ad muoversi, mettendosi in posizione verticale. E io comincio a vedere più cose, prima fra tutte un altro letto, su cui è sdraiata un’altra persona. Purtroppo è in ombra e non riesco a vederla bene. L’unica fonte di luce si trova ai miei piedi ed è troppo debole per riuscire ad illuminare l’intera stanza, che comunque non mi sembra molto grande.
“Dunque, da dove posso iniziare a spiegare? Temo che se parlassi nello specifico, tu purtroppo non riusciresti a comprendere; ma non importa. Penso che anche tu ti sia reso conto che dentro di te c’è un grande potenziale; in nessun altro soggetto la mutazione genetica ha dato risultati incredibili come i tuoi, anzi mi correggo, solo un altro ragazzo ha quasi raggiunto il tuo livello di perfezione molti anni fa. Sto parlando di tuo padre, Jack, e credo che ciò non sia casuale, ma sia connesso a fattori ereditari e mi...”, si ferma e mi sorride nuovamente, “Ma non mi posso dilungare in digressioni tecniche, per quelle verrà un momento opportuno. Comunque stavo dicendo: in te c’è un enorme potenziale, a mio parere appena intaccato, che vorrei sviluppare appieno; tuttavia sapevo, e oggi ne ho avuto la conferma definitiva, che tu non sarai mai disponibile a collaborare con me, per soddisfare i miei interessi. Così ho deciso di intraprendere una strada alternativa; rischiosa certo, ma i vantaggi nel caso in cui riuscisse, superano di gran lunga gli svantaggi nel caso di fallimento. In questi anni ho notato che il siero non ha effetti casuali sui soggetti, come credevo in passato, ma in alcuni soggetti, collegati fra loro, ad esempio da legami di parentela, le mutazioni si presentano, se non uguali, simili, in aggiunta a questo è da menzionare anche il caso di due persone che conosci bene, Franky e Bill; insomma questi ed altri fattori mi hanno spinto a credere che sia possibile attuare ciò che voglio fare adesso, cioè trasferire la tua mutazione ad un’altra persona, che reputo più malleabile e più facile da gestire” finisce di parlare e si allontana un’altra volta. Io, di tutto il suo bel discorso ho capito, solo la parte finale, cioè che vuole usare me per trasformare la persona sdraiata sul letto di fronte.
“Ah, tra l’altro tu dovresti conoscerla” dice, poi si accende un’altra luce, vicina all’altro letto e vedo il volto di quella persona. La mia prima ed istintiva reazione e di lanciarmi verso di lei, cercando di trasformarmi; ma il solo risultato sono fitte lancinanti di dolori alle braccia e alle gambe. Riesco a trattenere un grido di dolore, tuttavia sento qualcosa di caldo colare dalle parti in cui mi sono fatto male. Non faccio fatica a capire che si tratta di sangue; ciò che  mi trattiene deve avere all’interno qualcosa di appuntito.
“Bastardo, lasciala andare!” grido, o almeno ci provo, perché all’improvviso mi sento debole e mi muore la voce in gola, “Che... che mi succede? Cosa mi... mi...”, gli occhi mi si chiudono e la mia mente è sempre più annebbiata; “Tranquillo Jack, andrà tutto bene, per lei almeno, tu morirai, così ho la certezza che almeno un membro della tua famiglia sia veramente sparito da questo mondo”. Le sue ultime parole mi sembrano importanti, ma non ne riesco a coglie il senso, ormai sono quasi completamente immerso nel buio...
 
All’improvviso i miei occhi si riaprono con forza e ritorno a vedere, più chiaramente di prima; solo che non sono io che li sto usando. Mi ricordo di aver già provato questa sensazione, la sensazione di essere ospiti nel proprio corpo. “Ora basta, non posso tollerare oltre questo insulto, non posso permettere che un misero essere umano mi sfrutti come un oggetto” dice la mia voce, che nelle ultime parole si fa sempre più roca. Gli occhi si chiudono e si riaprono, ma non per mia volontà. Noto che la stanza comincia a rimpicciolirsi e capisco che il mio corpo si sta trasformando. Il dottore, che già quando la mia voce ha parlato era sbiancato, ora cade letteralmente a terra per lo stupore.
“Non è possibile, come puoi fare ciò! Il farmaco avrebbe dovuto fare effetto ormai! Tu dovrei essere morto ormai!” esclama con una punta di isteria nella voce.
Hai giocato con poteri che vanno oltre la tua comprensione” dice sempre la mia voce, solo che ora è completamente cambiata, inoltre mi sembra che ve ne sia un’altra, che parla contemporaneamente nella mia testa. Con un sonoro strappo le cinghie, che mi tenevano legato al letto si rompono e il letto si sfonda. Il mio corpo si erge in tutta la sua statura e vedo che arriva quasi a sfiorare il soffitto. “Hai osato troppo ed è ora che arrivi la dovuta punizione” dice ancora la doppia voce; dopo di che, con un movimento fulmineo, il mio braccio colpisce con violenza il Dottore, scagliandolo contro la parete, che cede e il suo corpo sparisce dalla mia vista. Fatto ciò gli occhi si abbassano e per la prima volta vedo l’aspetto del mio corpo durante la trasformazione. È ricoperto da una folta pelliccia marrone, le zampe anteriori sono molto lunghe e appoggiano al suolo. Una i queste si muove in avanti verso Monica, che giace ancora addormentata sul letto. No!, grido; o meglio grido con il pensiero, visto che no ho più voce. La sto salvando, mi risponde la voce di prima, che ora risuona solo nella mia mente. Infatti la solleva delicatamente dal letto, dopo averle strappato le cinghie, che la legavano. Poi il corpo comincia ad ingrandirsi sempre di più, tanto che si piega in avanti, poiché è troppo piccolo per la stanza. Contemporaneamente le zampe posteriori fanno leva contro il pavimento per cercare di sfondare il soffitto, e alla fine ci riesce.  Mi ritrovo, anzi ci ritroviamo, io, Monica e la voce, che credo sia il vero padrone del corpo, in cui io al momento sono un ospite, all’aria aperta in mezzo ad alti palazzi, che non possono che appartenere che alla Città. Con un salto esce dalle macerie, poi si mette a correre. Si ferma dopo qualche minuto, appoggia Monica a terra e il corpo comincia a cambiare, rimpicciolendosi; dopo pochi secondi sento come una forza spingermi in avanti e, dopo un attimo di buio, ritorno padrone del mio corpo, ora in forma umana. Ovviamente sono completamente nudo, ma questo è solo l’ultimo dei miei pensieri; al momento ne ho così tanti e così incredibili, che mi sembra di stare per scoppiare. Calma, va tutto bene. Sentire di nuovo la voce è la goccia che fa traboccare il vaso. Comincio a gridare come un pazzo frasi senza senso, fino a che la mia voce sparisce. Calmati per un secondo, gridare non serve a nulla! Anche per me tutto ciò è strano! Ritorno lucido.
“Innanzitutto chi o cosa sei?” chiedo ad alta voce.
Spiegarti chi sono è complicato, anche perché non ne sono sicuro nemmeno io.
“Cosa vuol dire che non ne sei sicuro! Io...”.
Non c’è bisogno che parli ad alta voce, basta che pensi ed io ti sento comunque.
Ok, ammetto che tutto ciò mi fa paura; comunque cosa diavolo è successo?.
Mi sono risvegliato.
Ti sei risvegliato,ok. Che cosa significa! Cos’è prima dormivi?!
In un certo senso sì; più che altro non ero consapevole di me stesso, ora invece sì.
Non ti seguo.
Eppure anche tu hai provato questa sensazione, quando ti trasformavi. Adesso mi è tutto abbastanza chiaro.
Bene, sono contento per te, chiunque tu sia; ora chiariscilo anche a me.
Quando ti trasformavi, non ti è sempre sembrato tutto strano?
Certo, il fatto stesso che possa trasformarmi è strano!
Non intendo questo! Voglio dire che mentre eri trasformato non ti è mai successo di fare o di vedere qualcosa, che in un primo momento ti è sembrava sbagliata, fuori posto, ma subito dopo questa sensazione ti passava?
Effettivamente sì, quasi sempre, soprattutto le prime volte. Avevo come l’impressione che ci fosse qualcosa, come un velo, che mi annebbiava la mente e non mi permetteva di capire con chiarezza ciò che stavo facendo.
Ecco, questa stessa sensazione la provavo io quando tu eri in forma umana. I nostri veli erano rispettivamente io per te, e tu per me.
Cosa?
Quando tu ti trasformi entri nel mio corpo, e le nostre menti si uniscono, si collegano, ma non perfettamente. Una parte della tua coscienza umana resta e questa registra come errata, come fuori dall’ordinario, ogni azione che compivi con il mio corpo; tuttavia non puoi sviluppare con chiarezza questi pensieri a causa della presenza della mia coscienza, per la quale quelle azioni sono normali. Da qui la sensazione di annebbiamento. E io la provo ogni volta che sei in forma umana; in questo caso sono io che entro nel tuo corpo, è la mia mente che si fonde con la tua, di conseguenza trova strane tutte le tue normali azioni da essere umano, ma non posso capire, poiché la tua mente mi ostacola.
Ok, forse ho capito. Ma la domanda fondamentale resta: chi sei e perché io posso diventare te e tu puoi diventare me?
Purtroppo alla seconda parte non posso darti risposta, perché non la conosco nemmeno io, mentre la prima richiede una storia molto lunga.
Non importa.
Va bene, vuol dire che cercherò di sintetizzarla il più possibile. Io appartengo ad una razza antica, molto, molto antica, ormai scomparsa ovviamente. O meglio, non esistono più altri miei simili in carne ed ossa, ma esistiamo dentro quelli che tu chiami Uomini Neri.
Aspetta, stai dicendo che ogni altro Uomo Nero ha una voce nella sua testa?
No, o meglio non saprei. Come ti ho detto nemmeno io ho le idee molto chiare, soprattutto per quanto riguarda la mia storia personale. Comunque dai tuoi ricordi mi sembra di aver riconosciuto altri della mia stessa razza, altri che conoscevo quando ero in vita, e so che io rispetto a quelli sono molto più forte, anche se non saprei dirti il motivo. E questa penso che sia la ragione per cui io sono riuscito a divenire cosciente di me stesso.
Non è che mi hai spiegato molto.
Mi dispiace, ma più di così non posso dirti.
Un’altra cosa, come ti chiami? Se dobbiamo condividere la mente, mi sembra giusto sapere il tuo nome!
Non ne ho, non esiste un termine, o anche solo un suono nella tua lingua che possa rappresentare il mio ‘nome’.
Vengo distolto da questa strana conversazione da dei rumori particolari. Abbasso lo sguardo su Monica, che stava dormendo tranquilla appoggiata al muro di una casa, ma che ora si sta risvegliando. Mi allontano da lei e cerco di nascondermi nell’ombra. Lentamente si sveglia e comincia a guardarsi attorno spaesata; per evitare che si spaventi le parlo: “Monica, sono Jack, il ragazzo della squadra da cui ti sei fatta catturare, ti ricordi di me?”; non risponde, ma cerca di capire da dove proviene la mia voce.
“Non ti preoccupare, adesso sei al sicuro. Io non mi faccio vedere, perché purtroppo sono senza vestiti”; lei, che ha capito dove sono, scoppia a ridere. Rimango sorpreso, è l’ultima reazione che mi sarei aspettato.
“Non farti problemi, ho visto di peggio! Comunque perché mi trovo qui? Mi ricordo di essermi addormentata nel mio letto e adesso mi ritrovo in strada” mi dice.
“Non hai idea di quello che ti è successo?”.
“Non ne ho la minima idea, te l’ho detto, mi ricordo solo di essermi addormentata nel mio letto!”.
“Beh, allora non importa. Meglio se non ricordi nulla!”.
“Jack!” grida qualcuno alle mie spalle interrompendo il nostro discorso. Riconosco immediatamente la voce.
“Erik, che ci fai qui!” esclamo, lui avanza fino a me, che sto ancora cercando di rimanere fuori dal fascio delle luci artificiali, che illuminano le strade della Città. “Per due motivi: primo, ti ho portato questi” dice lanciandomi quelli che scopro essere vestiti, “Ho visto che venivi portato via, così vi ho seguito; purtroppo ti ho perso, sono riuscito a trovarti solo grazie a casino che hai fatto, quando sei scappato da quel posto; e, vedendo le dimensioni che avevi raggiunto, ho pensato che avessi bisogno di altri abiti. Davvero Jack è stato incredibile, sei diventato enorme! Come è possibile?”.
“Una storia strana e lunga ed ora non penso che ce ne sia il tempo!” rispondo.
“Infatti, hai ragione e questo ci riporta al secondo motivo per cui sono qui. Le cose stanno andando, o meglio stavano andando male quando mi ero allontanato. Da quello che ho potuto vedere la carica della folla è stata fermata e sono stati messi in fuga, non so quanti sopravvissuti ci possano essere al momento. Per quanto riguarda gli Uomini Neri, anche se lo maggior parte di loro è già stata uccisa, i più forti, sotto la guida diretta di Wilson, si sono riunirti e ci hanno messo in seria difficoltà”.
“Non pensavo potesse veramente succedere ciò. Alla fine mi ero convinto che sarebbe stata un’impresa abbastanza facile. A questo punto che possiamo fare?” chiedo, ma Erik non risponde, perché interviene Monica.
“Ragazzi di che cosa state parlando? Che sta succedendo?” chiede lei.
“Si è scatenata, anzi abbiamo dato vita ad una rivolta con lo scopo di eliminare tutti gli Uomini Neri e salvare tutti quelli che abitano fuori dalle mura della Città” dico serio.
“Ah, e così per salvarli hai dato vita ad un massacro, da quello che mi è sembrato di capire” commenta. Io rimango senza parole, ma risponde Erik: “Ne è consapevole, ma anche se io non ho mai condiviso l’idea, ammetto che riuscissimo a vincere, allora le conseguenze compenserebbero le perdite”.
“Non mi sembra una motivazione valida, soprattutto perché siete entrambi qui, lontano dalle persone che dovreste teoricamente salvare!” dice seria Monica.
“Siamo entrambi qui per cercare di capire come salvarle! La situazione è disperata per noi, perché qualcuno, che teoricamente era schierato dalla nostra parte, ci ha tradito. Così i nostri avversari hanno avuto tutto il tempo per prepararsi in tranquillità! Basta guardare questo posto. Di solito in Città, indipendentemente dall’ora, c’è sempre un’enorme folla per le strade; mentre ora sono tutte completamente deserte e anche le case sembrano disabitate. Evidentemente sapendo che ci sarebbe stato uno scontro hanno messo in salvo i Cittadini!” ribatte Erik, abbastanza risentito dalle parole di Monica.
“Allora cosa avete intenzione di fare voi due?” insiste ancora.
“Un’idea ce l’ho, o meglio me l’ha passata Bill: un giorno mi ha spiegato come vengono assegnate le zone da pattugliare e come vengono inviati ordini alle squadre in azione. Per entrambi si possono usare due, chiamiamoli percorsi, differenti; a uno hanno accesso un po’ di persone, l’altro lo può usare solo una particolare persona” dice Erik, sentendo l’enfasi con cui pronuncia le ultime parole, capisco che sta parlando del Dottore, “Quindi la mia idea è questa: usiamo questo secondo percorso per inviare l’ordine a tutti gli Uomini Neri, che stanno ancora combattendo, di ritirarsi. Ovviamente non mi aspetto che obbediscano, ma il mio scopo è di creare un attimo di confusione tra le loro file, così noi ne possiamo approfittare per capovolgere la situazione” continua.
“Anche perché non potrebbero mai sapere che è un ordine finto, dato che mi sembra di aver ucciso il Dottore, che quindi non potrebbe mai smentirlo. Ma questo come si può fare?” chiedo.
“Ecco, qui sta il punto, per farlo bisogna tornare nel Laboratorio e inviarlo da una stanza particolare, e questo implica che uno di noi due non può andare ad aiutare gli altri. Ovviamente ci andrò io, perché sono l’unico a conoscere la posizione della stanza e l’unico a saper far funzionare quelle apparecchiature. Inoltre penso che tu risulteresti molto più utile in combattimento che me”.
“Invece ci andrò io, voi due siete Uomini Neri, giusto? Quindi dovete andare a fermare i vostri simili, penserò io a fere quello che hai detto” afferma seria Monica.
Al che intervengo io: “Neanche per idea! Adesso tu ti nascondi da qualche parte e te ne stai buona fino a che non è finita!” esclamo risoluto.
“E perché dovrei?”.
“Perché stanno lottando forze ben superiori a quelle di un semplice essere umano, tu saresti solamente in pericolo e quindi tutto quello che ho fatto sarebbe inutile!”.
“In che senso?” mi chiede. E io non so cosa rispondere, ho parlato d’impulso e ho fatto male.
“Cosa vuoi dire?” chiede ancora.
“Ecco... so che potrebbe, anzi forse è abbastanza stupido, però, uhm, io mi sono... in... innamorato di te e per questo, cioè anche per questo, sto partecipando a tutto questo; volevo impedire che ti succedesse la stessa cosa che è successa a me, non volevo che anche tu diventassi un Uomo Nero” dico con un filo di voce. Lei rimane seria per qualche secondo, poi scoppia a ridere: “È la cosa più idiota che abbia mai sentito! Non ci conosciamo nemmeno, sinceramente mi ricordo appena di te, e tu staresti facendo tutto questo per me? Ma mi prendi in giro?” esclama tra le risate.
Anche Erik a questa parola sorride e commenta : “Comincia a piacere anche a me! Condividiamo le stesse opinioni su certi argomenti!”. Io mantengo un’espressione seria, e rivolgo un’occhiataccia a Erik; Monica se ne accorge e dice: “Ma sei serio? Mi dispiace, non volevo offenderti, solo che mi sembra così assurda che...”.
“Fa niente, lascia perdere. Fatti spiegare cosa devi fare da Erik; io intanto vado, non c’è tempo da perdere dietro certe stronzate” dico, forse faccio male ad parlare così, soprattutto usando questo tono, ma mi sono un po’ offeso. Mi volto e mi metto a correre.

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Capitolo 15
*** Continua ***


Se ti trasformassi, penso che faresti più in fretta.
Sentendo nuovamente la voce mi blocco, mi ero quasi dimenticato di lei.
Forse se mi dai un nome è meglio; non mi piace essere chiamato ‘la voce’.
Scusa, non volevo offenderti. Ma hai detto che non hai nome!
Forse un appellativo che puoi usare c’è. Mi puoi chiamare Regina, perché ero una sorta di sovrano, ma c’era una forza ancora più potente al di sopra di me che regnava su tutto, quindi penso che il ruolo di regina mi si addice.
Erik, la notte dopo aver visitato Franky, mi ha spiegato bene la storia del re: cos’è, cosa fa, eccetera, quindi so chi è una regina.
Dunque sei una donna!
No! Esclama e si mette a ridere, Non puoi paragonare la mia razza alla tua, non c’erano uomini o donne, vecchi o bambini. Posso essere paragonato ad una regina, perché come loro, pur governando un popolo, non possedevo il potere assoluto.
Penso di aver capito. Ok, allora Regina, come faccio a trasformarmi?
Come hai sempre fatto. Anzi ora per te dovrebbe essere più facile trasformarti e dovresti, anzi, dovremmo essere più forti di prima.
Perché?
Perché ci sono io, e chi meglio di me sa usare il mio corpo?
Effettivamente non fa un a piega come ragionamento.
Ok, proviamoci.
Chiudo gli occhi e quando gli riapro mi ritrovo trasformato. Questa volta sono pienamente consapevole di ciò che mi circonda; infatti per la prima volta realizzo le mie dimensioni: circa tre metri, più o meno.
Ma queste sono le nostre normali dimensioni? Perché Erik ha detto che gli sono sembrato ancora più enorme del normale!
Sì, ho sentito. Sinceramente non saprei rispondere. Ti ho già detto che sono un po’ confuso riguardo chi sono veramente. Mi ricordo ad esempio qual’era il mio compito, ma non mi ricordo quale fosse il mio vero aspetto. Tuttavia posso supporre che non sia quello attuale, visto che possiamo trasformarci ulteriormente, e, da quanto mi sembra di ricordare, solo un’altra volta, oltre ad oggi, abbiamo raggiunto il secondo stadio. E in entrambi i casi è successo perché io mi sono risvegliato, anche se la prima volta solo per qualche istante.
Ok, però adesso come faccio a muovermi?
Come hai sempre fatto.
Ma questo è il tuo corpo, non il mio! Non ti do fastidio?
Mentre eri umano ti dava fastidio la mia presenza?
No; anzi mi ero scordato che ci sei anche tu!
Per me è la stessa cosa. Quindi ora che hai chiarito i tuoi dubbi, penso che sia meglio affrettarsi.
Sì, hai ragione.
Comincio a camminare, per i primi passi provo una strana sensazione, come se i miei arti non fossero completamente sotto il mio controllo, il che effettivamente è vero.
Mi dispiace, ma tu cammini troppo da essere umano e questo corpo non è molto adatto a quel tipo di camminata.
Nessun problema.
Così si mette a correre e dopo poco mi sono completamente abituato a questa strana situazione.
Continuiamo per un po’, poi mi rendo conto che in realtà non ho la minima idea di dove si possano trovare gli altri.
Ascoltiamo attentamente, se stanno ancora lottando, si dovrebbe sentire qualcosa.
Così restiamo immobili a cercare di udire qualche suono, che ci possa indicare la loro posizione.
Trovati, mi sembra che questi siano delle urla molto poco umane.
Sì, concordo. Andiamo.
La direzione, da cui provengono questi rumori, è alla nostra destra, quasi dalla parte opposta rispetto a dove stavamo andando. Ci muoviamo più veloci di quanto avessi mai immaginato.
Adesso si che comincio ad apprezzare questo corpo!
E non hai ancora visto nulla!
Con un ruggito di sfida accelera ulteriormente, arriva a qualche decina di metri da un palazzo di una decina di piani e salta. Lo superiamo con un solo balzo. Riusciamo ad andare così in alto da poter vedere completamente tutta la Città, e per qualche secondo vedo anche i partecipanti allo scontro, verso cui ci stiamo dirigendo.
Se quelli sono i tuoi compagni, se la stanno cavando piuttosto male.
Sbrighiamoci. È l’unica cosa che riesco a pensare. Dopo pochi minuti scavalchiamo il Muro, e ciò che vedo aumenta ulteriormente la mia disperazione: ogni singola superficie, strade, tetti, pavimenti di case distrutte, è piena di cadaveri. Per la maggior parte sono uomini, ma solo pochi sono soldati.
Non mi sarei mai immaginato un massacro simile.
Quando si tratta di guerra, devi essere in grado di immaginare situazioni ancora peggiori di questa. Ti posso assicurare che questo numero di vittime è ‘normale’, ho partecipato a scontri che hanno dato risultati veramente inimmaginabili. Fidati, tutto questo è niente in confronto.
Rimango stupito dalle sue parole, soprattutto dal tono con cui le pronuncia: rassegnato, atono. La sua storia deve essere terribile, forse è per questo che non riesce a ricordarla completamente. Comunque rimaniamo solo pochi istanti fermi, perché subito veniamo riportati all’urgenza della realtà da rumori che provengono vicino a noi. Corriamo verso quella direzione; la prima cosa che vediamo è un piccolo gruppo di persone, nascoste dietro un muro parzialmente demolito, che cercano di ripararsi da piccole esplosioni, provocate da strani strumenti, che sono usati da una decina di soldati, i quali stanno ridendo di gusto. Siamo troppo veloci perché i soldati possano reagire. Pochi secondo dopo sono tutti morti, ma non ci fermiamo, continuiamo la nostra corsa. Attacchiamo e massacriamo almeno altri tre gruppi di soldati, prima di arrivare nella zona dove infuriano i veri scontri. La prima cosa in cui ci imbattiamo è un vero è proprio muro di soldati, impegnanti a decimare qualche migliaio di uomini, che non si sono ancora arresi.
Andiamo a ribaltare la situazione.
Attacchiamo i soldati alle spalle. Riusciamo ad ucciderne una ventina, prima che si accorgano della nostra presenza, al che smettiamo di trattenerci. Le due zampe anteriori si muovono indipendentemente l’una dall’altra, poiché una la controlla Regina, l’altra io. E a momenti alterni attacchiamo con le zanne. I soldati cadono davanti ai nostri occhi come erba secca, sventrati, tranciati in due, schiacciati dal nostro peso. Comunque loro sono così tanti, che è impossibile evitare di venire feriti, ma per fortuna sono solo ferite superficiali. Dopo qualche minuto di esitazione, anche gli altri uomini si uniscono allo scontro, così finisce abbastanza velocemente. Alla fine, quando sono rimasti in pochi, i soldati decidono di darsi alla fuga, ma vengono inseguiti dagli uomini. Io preferisco non vedere cosa succede, così mi allontano, anche perché non è ancora finita. Di fronte a noi ci sono un po’ di Uomini Neri impegnati a combattere. Ovviamente non ne riconosco nemmeno uno, ma siccome la maggior parte sta attaccando un piccolo gruppo, deduco, perché preferisco non essere ottimista, che il gruppetto sono i buoni, mentre gli altri sono i cattivi. Stiamo per muoverci, quando dalle nostre spalle proviene una voce umana: “Jack, finalmente sei arrivato”. Ci voltiamo e vediamo un uomo, un piccolo, misero, insignificante essere umano, che riconosco immediatamente e immediatamente vengo colto da un improvviso terrore. Di fronte a me c’è Wilson in persona. Improvvisamente la testa si volta nuovamente verso quelli che stavano combattendo, solo che adesso hanno smesso. Io non capisco quello che sta succedendo, sono troppo spaventato, Regina invece lo capisce benissimo.
Una trappola. Ci hanno teso una trappola. Hanno finto questo scontro per attirarci qui. Non so come, ma hanno saputo che eravamo riusciti a scappare da quell’uomo e hanno deciso di catturarci nuovamente.
Effettivamente questo spiega ciò che sta accadendo.
Ma perché e come!
Perché lo hanno fatto? Evidentemente hanno capito quanto siamo pericoloso e vogliono impedirci di agire. Del come abbiano fatto non ne ho la minima idea. Non saremo stati soli là dentro, ci sarà stato qualcuno che ha assistito alla scena e ha dato l’allarme. È l’unica spiegazione che mi viene in mente.
Quanti saranno?
Una cinquantina, forse sessanta.
Pensi che riusciremo a ucciderli tutti?
Non abbiamo alternative.
Se sono qui, significa che sono riusciti ad eliminare ogni altro avversario oltre a noi?
Probabile.
Poi ci attaccano tutti contemporaneamente.
Per me questo scontro è troppo, non riesco a seguire i loro movimenti. Sono consapevole solo delle ferite che riceviamo, ferite che continuano ad aumentare di numero; fino a che qualcuno non ci colpisce da dietro, ferendoci abbastanza gravemente. Con uno scatto riusciamo a voltarci in tempo per afferrare chi ci ha colpito. È un essere piccolissimo, quasi delle dimensioni di un uomo normale, e vedendolo ci sentiamo quasi umiliati, per essere stati colpiti da un coso così insignificante. Lo uccidiamo semplicemente schiacciandolo tra le zampe.
È ora di cominciare a fare sul serio.
Subito dopo cominciamo a crescere in altezza, superando la maggior parte dei nostri avversari di qualche metro. Ora solo due o tre sono abbastanza grossi da essere in grado di affrontarci direttamente. Ma loro hanno il vantaggio del numero.
Ma non per molto.
Ovviamente sono rimasti tutti sorpresi dal nostro cambiamento, così adesso sono tutti immobili a fissarci. E noi ne approfittiamo.
Per prima cosa attacchiamo i più piccoli, che sono quelli che ci potrebbero dare più problemi nella mischia. Ne uccidiamo tre, prima che il resto si sia ripreso. E poi inizia il vero scontro. Uno essere volante ci attacca frontalmente, lo evitiamo mentre ne blocchiamo un secondo. Quest’ultimo muore tranciato in due e scagliamo una parte verso quello che vola, facendolo precipitare ai piedi di uno di quelli enormi, che ci sta caricando, così viene schiacciato. Poi facciamo una cosa molto poco animalesca e più umana. Ci abbassiamo e intercettiamo il bestione afferrandolo a metà busto, così riusciamo a sollevarlo in aria e a lanciarlo via. Ma impieghiamo troppo tempo per questa mossa e veniamo attaccati. Due piccolini, saltando, ci azzannano i fianchi; mentre un altro più massiccio cerca di colpirci alla gola. Fermiamo quest’ultimo, afferrandogli all’ultimo il muso; un pugno, in quello che credo sia lo stomaco, e cade a terra, lo finiamo schiacciandogli la testa. Poi ci liberiamo degli altri due, che sono ancora aggrappati ai nostri fianchi. E poi accade l’inevitabile: tutti i restanti Uomini Neri, avendo visto che gli attacchi singoli non sono efficaci, caricano assieme, in testa i tre bestioni. Riusciamo, non so come, a fermargli rimanendo in piedi; a questo punto solo le nostre dimensioni ci salvano da una morte certa. Ma qualcuno riesce a infilarsi tra le nostre zampe e ci colpisce.
Cadiamo all’indietro.
Ci ritroviamo completamente schiacciati da loro. I tre più grossi trattengono le zampe anteriori, assieme ad altri, mentre uno di loro ci ha afferrato il muso. Tutti gli altri ci immobilizzano il resto del corpo. Quello che ci ha preso il muso ci sorride, scoprendo le sue impressionanti zanne. Cerchiamo di dibatterci, ma otteniamo solo un morso nel braccio.
Lentamente ci solleva il muso, scoprendoci la gola. Lentamente, come se stesse assaporando un banchetto squisito, si abbassa verso di questa, poi con un crack fortissimo il suo collo si spezza e tutto il suo corpo collassa sul nostro. Pochi istanti dopo la pressione sulle braccia sparisce, così scagliamo via il corpo di quello morto e ci liberiamo degli ultimi ancora addosso a noi, scattando in piedi. Non ci fermiamo a capire quello che è successo. Non ne abbiamo ancora il tempo. Saltiamo alla gola dell’ultimo bestione ancora in vita, poi ci dedichiamo agli ultimi rimasti, assieme al nostro salvatore. Pochi minuti dopo è tutto finito. Dal cielo scende Erik, che si è dedicato a quelli con le ali. Nella nostra forma attuale, Erik mi sembra quasi insignificante, tanto è piccolo rispetto a noi.
Così, per curiosità, quanto pensi che siamo alti adesso?
Direi sui quattro metri, forse un po’ di più.
Però!
Non ti deconcentrare, non è ancora finita, ne manca uno.
È vero, manca il più pericoloso. Ci voltiamo e a diversi metri da noi vediamo Wilson, che sta battendo le mani: “Proprio bravi, bello spettacolo! Complimenti ragazzi miei!”. Mi scappa un ruggito.
Ma chi si crede di essere?
Non ci conosce abbastanza bene da avere paura di noi.
Allora insegniamogli ad averla.
Stiamo per muoversi, quando un ala di Erik, che, tra parentesi, è grande tanto quanto noi, ci blocca, comparendo davanti a noi. “Aspetta, guarda” dice, indicando dietro di me. Ci voltiamo e quello che vedo mi lascia senza parole. Immediatamente ritorno umano e comincio a correre verso il gruppo di persone, che ci sta venendo in contro. Sono vivi, sono ancora tutti vivi. Mi lancio tra le braccia di Franky, che mi stringe a se.

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Capitolo 16
*** Continua ***


“Ragazzo, figlio mio. Sono così contento!” dice. Rimaniamo così per qualche istante, poi mi lascia andare.
“Cos’è successo?” chiedo.
“Non lo sappiamo. Stavamo per essere sopraffatti, quando all’improvviso tutti gli Uomini Neri, che ci stavano affrontando, se ne sono andati. Non abbiamo potuti inseguirli subito, perché avevamo addosso praticamente tutto l’esercito. Comunque non c’è stato bisogno del nostro intervento, a quanto vedo” mi risponde.
“Jack, abbiamo vinto. Non ne rimangono altri, né di Uomini Neri, né di sodati” mi dice John.
“Ma come! Erik mi ha detto...” inizio.
“È ciò che credevo anch’io, quando mi sono allontanato per cercarti; evidentemente durante la notte sono cambiate molte cose” dice Erik.
Dal gruppo si stacca una figura, che mi corre incontro e si getta contro di me, facendomi barcollare all’indietro. Impiego qualche secondo a riconoscere Tom e vedo che sta piangendo.
“Ehi che succede?” chiedo.
“Michael. È morto” dice John. Rimango impietrito, guardo i volti delle persone che mi circondano, ma non c’è nessuno che assomiglia a Michael. Stringo forte Tom, lui è quello che fra tutti ha legato più con Michael, stavano sempre assieme. Sapevo che sarebbe successa una cosa simile, ma non sono lo stesso preparato.
“Il punto che non è stato ucciso durante uno scontro. È stato un Uomo Nero, poco dopo l’inizio, lo ha colpito alle spalle, poi è scappato” continua John. Non so cosa rispondere, ma comunque non ne ho l’occasione, perché interviene immediatamente Franky: “Jack, adesso riposati un po’. Penso io a finire il lavoro; Wilson lo voglio uccidere con le mie mani per vendicare mio fratello”. Quindi è morto anche Bill. Mi volto verso Wilson e vedo che ora non è più solo. Rimango per un attimo spaesato, perché sono sicurissimo che l’uomo affianco a Wilson sia uno di quelli che ho appena finito di affrontare. Me lo ricordo per il suo particolare aspetto: è praticamente un uomo normale, solo che la sua pelle ricorda la roccia. Mi chiedo come possa essere ancora vivo.
Forse è veramente roccia.
Mi sembra molto improbabile.
“Eccolo, è quello il bastardo che ha ucciso Erik!” grida John con rabbia; mi volto verso di lui, ma non faccio in tempo, perché qualcosa di enorme mi sorpassa, scagliandomi a terra a causa dello spostamento d’aria. John si lancia verso le due figure, ma solo una reagisce, è non è Wilson. L’altro uomo, alto forse un terzo di John, si lancia in avanti.
È già morto.
E invece no. Incredibilmente riesce a fermare, apparentemente senza sforzo, John. Un colpo e l’enorme massa da orso di John vola a terra. Rimane steso per qualche secondo, molto probabilmente è così stupito di ciò che è appena successo, che non riesce a reagire; ma la rabbia sostituisce immediatamente lo stupore. Con un ruggito si rialza e lo attacca nuovamente. Questa volta il colpo va a segno e il tipo viene lanciato a qualche centinaio di metri di distanza; tocca il suolo con violenza: ma si rialza tranquillamente, come se non avesse sentito nulla, anche se il colpo che ha subito è stato tremendo.
Mi sa che è veramente fatto di roccia.
I due si attaccano nuovamente. Si scontrano e cominciano a tempestarsi di colpi, che sembrano praticamente inefficaci; dopotutto John, in questo momento, ma non solo quando è trasformato, è un bestione, e ci vogliono più di un paio di colpi per ucciderlo.
“Continuando così non combinerà nulla. Vado ad aiutarlo” dice Erik.
“No, aspetta; penso che questo scontro per John sia una questione d’onore, vuole vendicare Michael e lo vuole fare da solo” intervengo io. Ma devo ammettere che ha ragione; la pelle di quell’uomo veramente di roccia, quindi lui non si fa male. John invece sì, e lo si comincia a notare. Infatti, dopo poco, John si ferma e cerca di arretrare, ma l’uomo, vedendolo cedere, ne approfitta. Salta in avanti, con l’intenzione di raggiungere il collo di John, ma è un po’ troppo lento. Una zampata e si ritrova a terra; poi John ci salta letteralmente sopra e comincia a tempestarlo di colpi, così forti che fanno tremare tutto e che fanno affondare sempre di più l’uomo nel terreno. Ma sono inutili. Lo si capisce dal ruggito di frustrazione, che si sente prima che l’uomo riemerga dalla buca, tranquillo e beato, come se si fosse appena alzato dal letto. In preda alla rabbia John fa scattare le fauci, ma l’unico effetto è quello di danneggiarsi le zanne. “Ora basta; io vado” e prima che possa dire qualcosa, Erik è già in volo. Grida qualcosa, che non capisco, a John, il quale però capisce. Infatti da un pugno, dal basso verso l’alto, al tipo, scagliandolo in aria nell’esatto momento in cui arriva Erik; contemporaneamente Erik gli afferra la testa e John il resto del corpo, poi uno tira verso il basso con tutta la sua forza, mentre l’altro, con un poderoso battito d’ali, si solleva più in alto. Con un tremendo suono la testa dell’uomo si stacca dal corpo. Le due parti si sbriciolano all’istante.
Erik atterra e John si mette in posizione d’attacco, entrambi voltati verso Wilson, entrambi convinti che li avrebbe attaccati. Invece Wilson è ancora una volta rimasto fermo a godersi lo spettacolo; “Tranquilli ragazzi, per adesso non mi interessate; prima mi devo occupare di pesci più grandi di voi” dice guardando nella mia direzione, ma ovviamente non si sta riferendo a me. Comincia a camminare in avanti, contemporaneamente John e Erik arretrano e Franky mi supera, camminando tranquillamente verso Wilson. All’improvviso entrambi, come se per loro sia la cosa più normale al mondo, si trasformano. Anche questo scontro sarà impari per quanto riguarda le dimensioni: Franky ha l’aspetto di un animale che mi è già capitato un paio di volte di vedere, ovvero il leone, solo che, a differenza dell’animale, cammina su due zampe e quelle anteriori sono molto simili a mani. E purtroppo è molto, ma molto più piccolo di Wilson. Vedere Wilson trasformato è tremendo, non so cosa mi impedisce di scappare, forse il fatto che davanti a lui c’è proprio Franky. Nel complesso è una gigantesca massa di peli e muscoli, con due braccia larghe almeno tre volte me. Il volto è molto simile a quello di un uomo, anche se nessun uomo potrebbe avere uno sguardo simile. Si fermano a qualche metro di distanza e cominciano a studiarsi. Wilson rimane praticamente immobile, mentre Franky continua a muoversi in modo irregolare. Vedendoli capisco la differenza tra scontri fra novellini e scontri fra veterani. All’improvviso Franky sparisce e sul braccio destro di Wilson si apre uno squarcio, poi Franky compare qualche metro più spostato rispetto a prima.
Cosa è successo!
Incredibile che sia così veloce! Nemmeno io sono riuscito a seguire l’intero movimento. Direi che Wilson ha già perso.
Franky attacca nuovamente, e si aprono altre ferite sul corpo di Wilson, senza che lui possa fare nulla per reagire. Lo scontro continua con questa modalità per qualche altro minuto, e più passa il tempo, più le ferite che Franky infligge a Wilson diventano profonde e sempre più vicine al cuore. Ma all’improvviso qualcosa cambia. Non so come ma Wilson riesce ad intercettare un attacco di Franky e reagisce; fortunatamente l’enorme pugno di Wilson si abbatte a pochi centimetri da Franky, che è riuscito a fermarsi in tempo. Ma, prima che possa fare un movimento qualunque, dai fianchi di Wilson spunta un altro paio di braccia; una di queste scatta con una velocità incredibile verso Franky e lo afferra. Si sente solo un suono, prima delle risata di trionfo di Wilson, prima che il corpo di Franky tocchi il suolo, un suono orribile, che scatena dentro di me un’ira tremenda.
 
No!”.
Poi mi lancio in avanti; gli occhi fissi su Wilson, con tutta la mia forza salto in alto e, quando ho raggiunto il punto più alto, spalanco le ali, tuffandomi verso di lui. Sono velocissimo, riesco ad evitare due suoi colpi facilmente con una virata improvvisa, poi affondo gli artigli nel braccio più vicino, continuando ad avanzare verso il suo volto. All’altezza della spalle con un colpo d’ali mi allontano da lui. Ora ha un braccio completamente inutilizzabile, ne mancano tre. Mi tuffo in picchiata, ma sono troppo diretto; un suo pugno, grande quanto me, mi colpisce. Tutta la parte sinistra si disintegra, ma non me ne preoccupo, neanche un secondo dopo sono completamente guarito. E lui non se lo aspetta. Due, tre colpi d’ala e sono così veloce che neanche riesce a vedermi; lo colpisco in pieno petto con tutto il mio corpo, sfondandolo. Sento sotto di me le sue costole incrinarsi e rompersi, alcune gli bucano la pelle ed escono a pochi centimetri da me; l’impatto è stato così violento che ci muoviamo in avanti, fino a che non incontriamo un’abitazione, che è facilmente sfondata dal corpo di Wilson, ma che lo ferma completamente. Così ne approfitto per alzarmi in volo e allontanarmi. Dopo qualche metro mi fermo per osservare ciò che ho fatto: riesco a vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi con difficoltà, molto probabilmente il mio colpo gli ha bucato i polmoni. Perfetto. Sono tentato di lasciarlo morire così, ma la pietà ha la meglio. Salgo ancora per qualche centinaio di metri, giusto per sicurezza, poi mi limito a chiudere le ali e a cadere.
Fracasso il cranio di Wilson con grandissima facilità, tanto andavo veloce; però mi faccio male anch’io: le mie gambe non sono ridotte molto bene, ci sono ossa in posti in cui non dovrebbero esserci, ma dopo pochi secondi si sistemano e mi alzo nuovamente in volo per raggiungere gli altri, mentre mentalmente dico addio a Franky. Atterro in mezzo a loro: “Ora è veramente finita” commento, ma nessuno mi risponde; mi stanno tutti fissando, come se fosse la prima volta che mi vedono.
“Che avete tutti?” chiedo.
Tom alza il braccio e indica qualcosa dietro di me, per un momento penso che sia arrivato qualche altro nemico, ma voltandomi vedo solo il cadavere di Wilson, ora ritornato in forma umana. “Tu, tu sei, sei... tu h-hai l-le ali...” balbetta Tom.
Lo guardo: “È che cosa c’è di strano! Ho sempre avuto ali!”. No un momento, ho le ali? Da quando ho le ali?
Da sempre.
Davvero? Ma mi sembra di ricordare che invidiavo Erik perché lui poteva volare e io no.
No, ti starai sbagliando.
Eppure sono abbastanza sicuro. È c’è un'altra cosa, di solito non siamo più alti di così, quando siamo trasformati?
Ehm, già ora che me lo fai notare hai ragione, siamo troppo bassi. Di solito abbiamo queste dimensioni quando tu sei umano.
Io?
Sì, tu...
Io? Io chi sono? Sono umano?
Sì, no, non lo so. Tu chi sei? E io chi sono?
Io sono Io e sono umano.
Anch’Io sono Io, ma non sono umano. Quindi non sono te.
Quindi non sono te. Ma chi sono?
Ma chi siamo?
“Jack, ci vuoi spiegare cosa sta succedendo?” dice John.
Jack?
Jack?
Jack! Io! Io sono Jack e tu sei...
E all’improvviso tutto ritorna chiaro.
Che cosa è successo! Cosa siamo diventati ora? Abbiamo le ali! Le ali! Regina che è successo?
Ma non risponde. Il nostro corpo prende un profondo respiro, poi gli occhi si chiudono, ma non sono io a volerli muovere; la mani si flettono, le ali si distendono, poi si chiudono e si riaprono.
Finalmente. Da quanti anni aspettavo questo momento. Finalmente ricordo tutto, finalmente il mio vero corpo. Dice la voce di Regina, solo che è differente rispetto a prima, più profonda, più antica, più autorevole.
Regina? Che succede? Cosa significa che sono anni che aspetti?
Niente, non significa nulla. Succede che finalmente si è pienamente risvegliato il mio potere, il mio vero potere.
“Jack? Ci dobbiamo preoccupare?”, mettiamo a fuoco chi ha parlato e riconosco Erik.
“No, tranquilli, tutto bene. Aspettate...” dico.
Posso tornare umano? chiedo, e come risposta sento come una spinta e mi ritrovo nel mio corpo. Per qualche istante contemplo le mie mani e le mie braccia, che sono molto, molto simili, anche nel colore, a quelle della nostra nuova trasformazione, che da quanto ho potuto capire è molto simile ad un uomo nell’aspetto, tranne che per le ali ovviamente.
“Ma che diavolo ti è successo?” chiede John.
“A quanto pare si è risvegliato il suo vero potere” rispondo.
“Suo?”.
Jack, non ora.
“No, niente, ho sbagliato a parlare. Sono un po’ stanco, tutto qui”, Erik tuttavia mi continua ad osservare in modo strano, come se sapesse di cosa sto parlando. Faccio un passo in avanti e le gambe mi cedono. Qualcuno mi afferra prima che tocchi il suolo, per fortuna. Effettivamente sono veramente molto stanco, tutto il mio corpo sta tremando e ho addosso una sonnolenza incredibile.
È colpa mia, o meglio della trasformazione. Il tuo copro umano non è abbastanza resistente per sopportare tutto il mio potere; ci vorrà un po’ prima che ti ci abitui.
All’improvviso una luce comincia a spuntare dal cielo. Il sole sta di nuovo sorgendo, dopo questa notte terribile, dopo questa notte in cui... In cui NOI ABBIAMO VINTO! Mi rendo conto solo ora che anche l’ultimo nemico è stato sconfitto! Non c’è più nessuno ora! Il Dottore è morto, tutti gli Uomini Neri sono morti, l’esercito è stato distrutto e la Città è nostra! Finalmente siamo liberi, finalmente possiamo andarcene da questo posto terribile!
Mi metto a ridere e guardo tutti gli altri, che in un primo momento sembrano stupiti, ma poi capiscono il perché sto ridendo e scoppiano a ridere anche loro!
Finalmente è veramente finita!

 

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Capitolo 17
*** Continua ***


Le risate si spengono dopo qualche minuto, e al loro posto arriva la tristezza. Questa notte sono morte molte persone; abbiamo vinto, ma ad un prezzo altissimo. Improvvisamente mi torna in mente Monica. Mi rivolgo ad Erik: “Pensi che sia stata lei a far allontanare il gruppo di Uomini Neri da Franky?”.
“Non penso proprio, non sarebbe mai riuscita ad arrivare così velocemente al Laboratorio, e poi perché avrebbe dovuto ordinare loro di tendenti una trappola? Non penso che ti voglia morto!”.
“Sì, hai ragione, ho fatto una domanda stupida”.
“State parlando di Monica, vero?” chiede John.
“Sì” rispondo.
“Perché dovrebbe tornare al Laboratorio, non è già là?”.
“È una storia lunga. Al momento non è al Laboratorio, per fortuna direi; comunque ci sta tornando per un compito che le ha assegnato Erik, compito che ora non ha più utilità” gli rispondo.
“Che le è successo!” continua John.
“Niente di grave, più o meno. Comunque ora sta bene ed è al sicuro. Dobbiamo solo tornare al Laboratorio e la troverai là. Ci dobbiamo tornare comunque, perché per porre veramente la parola fine a tutto, manca ancora una cosa: dobbiamo distruggere quel posto”. Tutti gli altri annuiscono. Ma all’improvviso sentiamo la voce di qualcuno. Ci voltiamo tutti, e vediamo che stanno avanzando verso di noi due uomini e uno, da come cammina, sembra avere mani e piedi legati. Mi dirigo verso di loro e scopro che, sorprendentemente, l’uomo non legato è Tauros, il braccio destro di Franky, non che mio amico. Gli corro incontro. “Jack! Che bello rivederti!” esclama, appena mi riconosce. Ci abbracciamo, poi mi spiega cosa ha fatto, e rimango ancora più sorpreso: appena è iniziato lo scontro, ha scoperto chi ci ha tradito, che è ovviamente è l’uomo legato, così lo ha seguito; la sua intenzione era di ucciderlo, ma si è accorto che non stava semplicemente scappando dalla battaglia, ma si stava dirigendo in un posto preciso, probabilmente per incontrare qualcuno. Quindi ha continuato a seguirlo senza farsi scoprire, sono arrivati fino quasi al centro della Città, già vuota, e ha scoperto che la persona che doveva incontrare era niente meno che il Dottore. Mi riferisce che hanno discusso per qualche minuto, poi assieme si sono diretti da qualche parte, e con loro c’era un’altra persona, una ragazza priva di sensi. Quindi ha visto quando il Dottore ha portato nel suo laboratorio Monica, e molto probabilmente avrebbe visto anche me essere portato là, se non se ne fosse andato. Invece è tornato immediatamente indietro per partecipare allo scontro. Infine, poco fa, si è ritrovato di fronte il traditore, e lo ha catturato; poi si è diretto qua.
“Perché non ti sei limitato ad ucciderlo?” chiede John, dopo che ha sentito la storia.
“Perché ho pensato che potrebbe tornarci utile, probabilmente sa cose, che ha noi serve sapere, e io so come farlo parlare” risponde Tauros; effettivamente il suo compito era far parlare chi non voleva, e lo faceva con grande impegno. Questa parte del suo carattere mi ha sempre spaventato.
A questo punto il prigioniero scoppia a ridere: “Cosa volete che sappia più di voi! Non sono che una semplice pedina, come voi del resto! Credete di aver vinto, credete che quelli fossero gli unici soldati che il Dottore possiede? Siete patetici! Fino ad ora avete schiacciato delle inutili formiche! I veri guerrieri devono ancora scendere in campo!” e continua a ridere, fino a che le sue risate diventano dei suoni rauchi e il suo corpo è scosso dalle convulsioni, poi si accascia a terra morto. Rimaniamo tutti scioccati, tutti meno Tauros. “Veleno, mi era capitato già qualche volta di vedere uomini uccidersi, pur di non parlare. Evidentemente sapeva molto più di quanto voleva farci credere; quindi io prenderei sul serio le sue parole” commenta.
“Quindi dovremmo aspettarci di trovarci di fronte guerrieri più forti di quelli che abbiamo affrontato fino ad ora?” dice qualcuno, che non conosco.
“Il messaggio era questo”.
Questo scambio di parole deprime tutti; non è possibile, non posso credere che ci sia ancora qualcuno da sconfiggere, che ci sia un nemico ancora più forte degli altri. Non penso di riuscire a sopravvivere ad un altro contro.
Devi riuscirci, non hai altra possibilità. Certo, ti puoi arrendere, ma hai quasi raggiunto la meta finale, vuoi davvero mollare tutto?
No, non ora; troppe persone sono morte, e sarebbe stata una morte inutile, se mi arrendessi.
Allora non lamentarti, non disperarti; mostrati sicuro, determinato. Ora fanno affidamento su di te.
Chi?
Tutti loro.
Cosa? Che stai dicendo?
Jack, io regnavo su un impero, so riconoscere l’atteggiamento di chi si sottomette ad un capo, che al momento sei tu.
Perché! Io non ho detto nulla, non voglio essere il capo di nessuno!
Non è una decisione che spetta a te; hanno riconosciuto il tuo valore, hanno compreso la nostra forza, e hanno fatto, involontariamente, l’unica cosa possibile.
Quindi cosa devo fare? Gli devo ordinare di seguirmi?
No, devi semplicemente guidarli con le tue azioni.
“Cominciamo ad andare in Città, restare qui a pensare non serve a nulla” dico. Mi incammino e tutti mi seguono. Dopo un po’ arriviamo alla base delle Mura, proprio di fronte ad uno dei cancelli che danno accesso alla Città, però è chiuso. Guardo John: “Pensi di riuscire a sfondarlo?”, lui si avvicina e preme le mani contro la superficie del cancello: “Sembra veramente resistente, e considerando le sue dimensioni... Sarà dura, ma posso provarci”, solo che non fa in tempo a fare nulla, che Erik si trasforma e vola dall’alta parte. Qualche istante dopo il cancello, con un fastidiosissimo stridio, si apre; dall’altra parte c’è Erik ad aspettarci, con un sorriso sulle labbra.
“Visto? Non sempre i muscoli servono, a volte basta un po’ di cervello, anche se per te è quasi impossibile, vero John?”; rimango abbastanza sconvolto a queste parole, perché non avrei mai pensato che Erik potesse arrivare a dire cose del genere, soprattutto a John; inoltre conoscendo John, mi aspetto che scoppi una violenta rissa, e non è per nulla il momento adatto. Invece non avviene nulla, John si limita a sbuffare e dice: “Te le avrei date, se non fossi così stanco. Rimando ad un altro giorno, quando meno te lo aspetti. Comunque volevo sfondarlo per fare un’entrata ad effetto, per fare colpo sui Cittadini!”.
“Sarebbe stato inutile, non c’è nessuno che può vederti” commenta Erik.
“Perché?” chiede John.
“Perché in Città non c’è nessuno, si sono messi tutti al sicuro”.
“Beh, proprio nessuno no. Quel bambino si deve essere perso” dice Tom, indicando alla sua destra. Guardo da quelle parte e effettivamente c’è un bambino, non più piccolo di Tom, capelli rossi e qualche lentiggine.
“Ehi, piccolo, cosa ci fai qui da solo?” dice John. Il bambino si mette a ridere, una risata terribile, malvagia, che lascia tutti shoccati. Poi esclama: “Siete morti!” e dagli edifici attorno a lui cominciano ad uscire degli uomini. Li conto, sono dieci, due meno di noi. Devono essere quelli di cui parlava l’uomo che avevamo catturato. Si mettono in formazione; al centro un uomo, che deve essere il loro capo, da come si atteggia, si allontana dagli altri e si avvicina di qualche passo. Vedo che sta sorridendo, un sorriso di trionfo, lo stesso che c’è sul volto degli altri suoi compagni.
“Nella mia clemenza vi do la possibilità di arrendervi” ci dice; John sbuffa, “Ma fammi il piacere” commenta qualcun altro. Mi volto a guardare i miei compagni e vedo sui loro volti la volontà di continuare a combattere. Così, con un urlo, mi lancio in avanti contro il loro capo. Ma anche loro sono pronti.
La prima cosa che vedo, è uno di loro alzarsi in volo e puntare verso di me, ma viene immediatamente fermato da Erik e da altri due dei miei: il suo corpo cade a terra diviso in più pezzi. Poi mi ritrovo di fronte il mio avversario e non posso più vedere cosa succede agli altri. Purtroppo questo non è il loro capo, ma il bambino.
Non devi più considerarlo tale, ormai è solo un nemico.
No! Mi rifiuto di lottare contro di lui!
Se tu non vuoi combattere, non posso farlo nemmeno io. Ci ucciderà, ne sei consapevole?
Ed infatti ci colpisce; per fortuna per un puro riflesso istintivo, all’ultimo riusciamo a scansarci, così evitiamo di essere uccisi sul colpo; ma veniamo comunque feriti e il dolore mi sottrae ogni freno morale. Ci slanciamo in avanti, ma lui è più veloce di noi e con un guizzo si scansa; contemporaneamente fa scattare un braccio in avanti, che, con mia grande sorpresa, si allunga fino a noi. Riusciamo ad abbassarci all’ultimo secondo, altrimenti il suo colpo ci avrebbe trapassato.
È abbastanza forte, ma non può competere con la tua vera forza.
Sì, è vero.
Allora perché non la usiamo?
Per due ragioni: primo, il tuo corpo non si è ancora ripreso e uno sforzo simile rischierebbe di farti collassare, e se il tuo corpo cede, non possiamo più trasformarci.
Ah, questo non lo sapevo.
Sì, è un idea che mi sono fatto. Ma non è la sola ragione, la mia forza non è infinita, e qualcosa mi dice che avremmo bisogno di tutte le energie possibili per un altro scontro.
Lo osserviamo muoversi, ed è probabile che possa allungare anche le gambe, oltre alle braccia; e non abbiamo idea di quanto possa allungarle. In ogni caso direi che sulla lunga distanza è un avversario pericoloso. A parte questo, nel complesso sembra piuttosto debole: piccolo, magro, con una testa abbastanza ridicola, lunga e sottile, con un paio di antenne nella parte finale.
Pensi che in lui si sia risvegliato l’essere della tua specie? Scusa per il termine, ma non so come definirvi.
No, non credo, non è forte a sufficienza.
Allora credo che potremmo batterlo in astuzia, dopotutto tu sai come lottare, mentre lui è solo un bambino.
Non mi risponde, ma comincia a correre verso di lui. Ci concentriamo su parti del corpo diverse contemporaneamente (devo ammettere che è utile, in uno scontro, avere due mente diverse, che, però, cooperano come se fossero una sola!); lui scatta di lato, e muove il braccio sinistro, come se fosse intenzionato a colpirci, ma è facile capire che è una finta, così scartiamo di lato, evitando il vero attacco. Se rimane stupito dalla nostra mossa, non lo da a vedere. Balziamo verso di lui, ma, con un movimento velocissimo, allunga il braccio verso il tetto di una casa vicina e viene trascinato verso di esso, sfuggendoci da sotto le zampe. Senza interrompere la carica, cambiamo direzione e ci muoviamo verso di lui; ma poco prima di saltare verso di lui, ripete la manovra di prima, passando al tetto di fronte. Così freniamo a cominciamo a correre nella direzione opposta, ma ancora una volta, poco prima di raggiungerlo, passa sul tetto dove stava prima.
Si sta prendendo gioco di noi!
Corriamo nuovamente verso di lui, ma abbiamo una strategia in mente. Infatti appena si muove verso il tetto della casa di fronte, noi reagiamo. Istantaneamente facciamo dietrofront e corriamo, il più velocemente possibile, verso il muro della casa, su cui sta per atterrare il nostro avversario, intenzionati a precederlo; ed infatti ci riusciamo. Prima che lui possa mettere piede sul tetto, noi abbiamo saltato verso di lui con tutta la forza possibile, usando come appoggio il muro stesso della casa. Ci scontriamo a mezz’aria e lo trasciniamo verso l’alto assieme a noi. Fa un paio di tentativi di attaccarci, ma i suoi colpi sono molto deboli, evidentemente la forza dipende dalla velocità con cui li tira. Però, dato che siamo praticamente appiccicati, anche in nostri colpi sono inefficaci. Dopo un paio di tentativi infruttuosi, decidiamo di allontanarci un poco da lui, così mollo la presa. E faccio la cosa sbagliata, per fortuna che c’è anche Regina. Appena lo lascio, ne approfitta per far partire un braccio verso il basso, con cui si aggrappa ad una sporgenza; ma poco prima che schizzi via, Regina riesce ad afferrargli una gamba, così veniamo trascinati verso il basso anche noi. Regina prova a spezzargli la caviglia con una torsione del polso, ma questa si piega tranquillamente, senza danni. Questo proprio non ce lo aspettavamo, e l’attimo di stupore ci è fatale.
Senza poter fare nulla, ci colpisce proprio sopra gli occhi, accecandoci e purtroppo lasciamo la presa. Restiamo ciechi solo per qualche secondo, poi riusciamo a toglierci il sangue dagli occhi e ritorniamo a vedere, ma avrei preferito rimanere cieco.
QUANTO DIAVOLO SIAMO IN ALTO!
Forse ho un tantino esagerato prima, quando abbiamo saltato.
Solo un tantino?!
Ci troviamo in alto, molto in alto, troppo in alto, incredibilmente troppo in alto! E il fatto che riesca comunque a distinguere alla perfezione ogni particolare delle strade, delle case, che sono sotto di noi, non aiuta.
Forse un paio d’ali farebbero comodo, o no?
Concordo.
Ma non abbiamo tempo per agire; dal basso arriva un pugno così tanto veloce, che lo vediamo solo quando ci colpisce in pieno la gola. Rimaniamo senza fiato e comincio a vedere puntini neri, cosa che non mi sembra molto positiva. Ma non è finita; mentre si ritira, il braccio ci afferra e ci trascina verso il basso.
Non so se è più doloroso il colpo alla gola, o l’impatto con il tetto del palazzo, contro cui ci ha scagliati. Quello che so è che è quest’ultimo a mandarmi KO.
 
Ehi Jack, risvegliati.
Uh... eh... che succede?
Poi arrivano tutti i dolori, e vorrei svenire ancora, ma non posso.
Non è stata poi un brutta caduta, poteva andarci peggio, dopo una decina di piani ci siamo fermati su qualcosa di morbido, altrimenti prima di toccare il suolo ce ne voleva!
Come puoi essere ottimista in una situazione del genere.
Ci rialziamo, ma una gamba cede. Atterriamo pesantemente sul pavimento che cede e finiamo nel piano sottostante. In questa caduta ci facciamo ancora più male.
Conciati così, come potremmo affrontarlo?
Come risposta il nostro corpo comincia prima ad ingrandirsi, fino ad essere così enorme da occupare quasi tutto lo spazio in cui ci troviamo. Poi dopo una breve esitazione, comincia a rimpicciolirsi. E vedo per la seconda volta il vero aspetto di Regina. La folta pelliccia comincia a cadere, sostituita dalle pelle nuda, di uno strano color rosa, incredibilmente sulla testa compaiono lunghi capelli e contemporaneamente a ciò, con un risucchio, dalla schiena sbucano le ali. Quando la trasformazione è completa, ci ritroviamo alti come un normale uomo e completamente guariti.
Perché c’è così tenta differenza di potere tra questa forma e le altre?
Non ne ho idea; cioè non capisco perché il mio potere si manifesti in diversi stadi, fra cui c’è così tanta differenza, non solo di forza, ma anche nell’aspetto; poi anche il fatto che proprio ora abbia ottenuto queste sembianze, dopo aver passato anni cercando di capire... Che la sua idea sia giusta...
Regina che stai dicendo?
Nulla, lascia perdere. Usciamo da qui e mettiamo fine a questo scontro.
Ma non in questa forma.
Cosa? Perché potremmo ucciderlo in tre secondi!
E in quei tre secondi in tuo corpo si distruggerebbe. E ti ho già detto cosa succederebbe in quel caso. Abbi pazienza. Inoltre è meglio non scoprire le proprie carte subito.
Sfortunatamente cominciamo a tornare grandi, e dopo pochi istanti siamo tornati nella prima forma.
Quindi come intendi sconfiggerlo?
Non ne ho idea, ci inventeremo qualcosa al momento.
Con un pugno sfonda la parete e ci lasciamo cadere in strada. Ma lui non c’è, lo cerco, ma non lo vedo da nessuna parte.
La vista non è il tuo unico senso. Se vuoi che sfruttiamo al meglio i miei poteri, devi cercare di eliminare le differenze fra le nostre coscienze.
Ah, e me lo dici solo ora?
Cerco di concentrarmi, per immedesimarmi il più possibile con Regina...
Un tonfo non lontano, qui vicino ci deve essere un altro scontro. Dovrei andare ad aiutare, sto perdendo tempo qui. Si è nascosto da qualche in queste costruzioni, lo sento muoversi a volte, ma devo ammettere che è molto silenzioso...
Mi stacco, esco dalla sua mente, il più velocemente possibile, non sarei riuscito a sopportare un istante di più. In questi pochi istanti ho compreso l’enorme differenza fra me e lui. Sono consapevole che mi ha reso partecipe solo di una minima parte dei suoi pensieri, delle sue percezioni; ma comunque la sua mente, la sua coscienza è così immensa, così antica, così profonda, da essere quasi inconcepibile per me. È la mente di un essere superiore, troppo al di là di un essere umano.
Devi riuscirci Jack; devi diventare un tutt’uno con me, o saremo menomati. Ti devi fidare di me, non permetterò che il contatto con la mia coscienza ti annienti.
Prendo un profondo respiro e mi lascio andare...
Oh, finalmente, trovato. Ha fatto un errore e ora la pagherà. Attaccarlo direttamente non servirà, devo riuscire ad intrappolarlo, e so come fare. Faccio qualche passo in avanti, rivolgendogli appositamente le spalle. Dopotutto è solo un ragazzo, non ha ancora sufficiente esperienza per riconoscere una trappola. Fingo di cercarlo nei palazzi di fronte a me, fingo di annusare l’aria e alla fine fa la sua mossa. Il colpo è veramente veloce, ma sono preparato; invece di tranciarmi di netto la testa, mi trapassa semplicemente la spalla sinistra. Immediatamente gli blocco l’arto con l’altra zampa. Ora è in mio potere. Cerca di ritrarre il braccio, ma questa volta non è l’arto ad andare da lui, ma è lui a raggiungere il suo arto. Riesco ad afferrare il suo volto poco prima dell’impatto tra i nostri corpi, poi lo sbatto a terra con tutta la forza che ho. Purtroppo non ottengo l’effetto voluto, lui non muore, si spacca solo la strada. Con uno strattone riesce a liberare il braccio, che era ancora conficcato nella mia spalla, e questa volta mi fa veramente molto male, tanto che mi scappa un involontario ruggito di dolore. Mentre sono ancora annebbiato dal dolore, riesce a circondarmi la gola con entrambi gli arti e comincia a stringere. Immediatamente mi manca l’aria. Mi rimetto in piedi, per cercare di togliermelo di dosso, ma le sue braccia ovviamente si allungano senza staccarsi dalla mia gola. Tento di afferrarle con le zampe, ma riesce a bloccarmi anche queste con le sue gambe. Sono completamente inerme. Comincio a vedere sempre meno, le mie gambe cedono...
Improvvisamente davanti agli occhi mi compare una figura, che non ho mai visto, eppure so perfettamente chi è. E questa figura mi riscuote. Spalanco gli occhi e con uno strattone libero le braccia, poi afferro il corpo di quest’essere insignificante, che rispetto alla mia mano diviene sempre più piccolo. Quando ho raggiunto le dimensioni giuste, me lo strappo dal collo staccandogli le braccia, dopodiché lo schiaccio, come un insetto fastidioso...
BASTA! Questo è troppo!
Mi stacco dalla sua mente, è stato... terribile, tremendo... non capisco come possa essere così...
Jack è la mia natura, io sono così. Sono, ero un capo, il mio compito era di proteggere una popolazione inerme da un mondo incredibilmente ostile e violento.
NO! Non lo accetto! TU, tu desideri uccidere, tu provi gusto nel farlo! Tu hai provato gioia nell’ucciderlo in quel modo terribile! E hai fatto provare queste emozioni anche a me! Siete veramente dei mostri!
No Jack. Solo io, solo quelli come me nascevano così, solo pochi di noi avevano questa maledizione da portarsi sulle spalle. Tutti gli altri erano esseri puri ed innocenti. Non hai idea di come fosse il mio mondo! Tu pensi di vivere in un luogo terribile, ma non è nulla in confronto al mio. Gli scontri, le guerre avvenivano ogni giorno e la mia razza stava soccombendo. Troppi nuovi esseri affollavano quel mondo e non c’era più spazio per creature antiche e pure come noi. Voi, siete stati voi esseri umani a causare la fine di tutto, piccoli ed insignificanti, eppure numerosi e terribilmente violenti; capaci di commettere azioni terribili per sopravvivere. È in quel periodo che la mia razza ha scoperto la violenza, è in quel periodo che alcuni di quegli esseri puri e candidi si sono sporcati, per poter proteggere noi stessi dai nuovi pericoli. Ma è stato tutto inutile; così noi, noi le creature più antiche che abitavano questo mondo fin dalla sua creazione, siamo stati sterminati da vermi nati per caso dal fango.
Cala il silenzio tra noi, mentre cerco di capire cosa mi vuole dire.
Non so cosa dire.
Non devi dire nulla.
Ok, per favore andiamocene da qui, prima che ritorni umano.
Ci allontaniamo.

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Capitolo 18
*** Continua ***


Durante lo scontro ci siamo allontanati tutti dal punto in cui abbiamo incontrato quei tizi, e adesso si sentono rumori di scontri tutt’attorno a noi.
Dobbiamo andare ad aiutare gli altri?
No, a questo punto è inutile. Riposiamoci piuttosto.
Ritorno umano e immediatamente vengo colto da una grande stanchezza. Mi appoggio ad un muro vicino e mi lascio scivolare a terra. Il terreno è un po’ freddo, e l’aria non è ancora stata scaldata abbastanza dal sole, quindi ho un po’ freddo;  ma il tremito delle mie membra non è dovuto solo a quello.
Avevi ragione sono abbastanza stanco.
Chiudo gli occhi e appoggio la testa alla parete, sento di stare per sprofondare nel sonno. La testa mi cade di lato, e comincio a scivolare verso il suolo, ma non ho alcuna intenzione di...
Un’esplosione violentissima mi scaglia in aria, quando tocco il suolo mi ritrovo trasformato, per fortuna, altrimenti sarei morto. L’esplosione è stata causata da una cosa che al momento si trova nel centro della strada. Questa cosa è grande quanto me, ricoperta di una fitta pelliccia nera, e ha due teste. Per un attimo rimango sconvolto. Poi dall’ammasso si staccano due esseri quasi identici. Entrambi con le sembianze di John, quando è trasformato. Ho detto quasi perché uno dei due è gravemente ferito ad una zampa e la tiene sollevata, inoltre sembra leggermente più piccolo dell’altro. Quello ferito, che è girato dalla mia parte, si accorge di me e sembra riconoscermi, perché comincia a fare qualche strano verso, che mi accorgo essere parole. Dopo qualche istante ne capisco il senso: “Ti prego aiutami”. Non ho dubbi su chi sia John. Scatto in avanti, contemporaneamente passiamo al secondo stadio, così da superarli abbondantemente in altezza. Purtroppo l’altro tipo ci sente e si gira per affrontarci. Ma è tardi. Con una sola zampa lo solleviamo dal suolo tenendolo per la gola, poi con l’altra lo trapassiamo da parte a parte. Il corpo, con un ultimo spasmo si affloscia e noi lo lasciamo cadere a terra. Immediatamente comincia a tornare umano. È un uomo, giovane, deve avere solo qualche anno in più di me. Ritorno umano anch’io, e la sensazione di stanchezza aumenta. Ma non mi posso più davvero concedere riposo. Contemporaneamente torna umano anche John, e, appena ha ritrovato la facoltà di parlare normalmente, gli chiedo: “Ma quello chi era? Perché eravate così simili?”.
“Mio fratello” risponde. Rimango di sasso.
“Cosa... Mi, mi dispiace...”.
“Di che, era un bastardo e si meritava quella fine. Fin da quando ero piccolo volevo ucciderlo con le mie mani, ma sono sempre stato troppo debole”. Ancora abbastanza sconvolto, soprattutto dalle freddezza con cui ne ha parlato, abbasso lo sguardo e vedo le condizioni del suo braccio sinistro. In sostanza è attraversato da taglio, direi abbastanza profondo, vista la quantità di sangue che sta uscendo. Mi ero dimenticato che non tutti hanno la possibilità di guarire istantaneamente come accade a me.
“John, se non fai nulla rischierai di morire dissanguato”.
“E cosa posso fare, non c’è niente da usare per fasciarlo; non ti preoccupare sono sopravvissuto a ferite peggiori. Piuttosto hai notizie degli altri?”.
Sto per rispondere, ma qualcuno mi anticipa: “Gli altri stanno bene, o almeno noi due siamo ancora in vita”. Subito dopo da una via laterale, vicina a noi, sbucano Erik e Tom. Il primo sembra essere abbastanza sano, il secondo ha un brutto taglio in fronte ed è abbastanza pallido.
“Questa volta non ho vestiti da darti” mi dice Erik.
Io sorrido per un attimo: “Tanto non credo che resterò umano ancora a lungo. Cos’è successo?”.
“A me nulla di che, ho trovato uno dei più scarsi; il piccolino invece se ne è beccato uno tosto ed è qui solo perché sono intervenuto in tempo. Per quanto riguarda tutti gli altri non ne ho idea, c’è ancora qualcuno che sta combattendo, comunque”. A questo punto interviene Tom: “Però anche se era forte sono riuscito a metterlo in difficoltà” dice con un tono, che vuole essere di spavalderia. Ci mettiamo a ridere tutti e quattro, poi John prende la parola: “Bene, direi che è ora di andare al Laboratorio, prendiamo Monica, ci risistemiamo, poi decidiamo cosa si farà”. Concordiamo tutti, tranne Erik che esclama: “Oh merda!”. Mi volto per vedere ciò che ha visto lui e per un attimo tutte le mie speranze svaniscono.
Davanti a noi, che stanno camminando tranquillamente, ci sono quattro uomini, tre è evidente che hanno già affrontato degli scontri, il quarto è il loro capo ed è ancora vestito, perfettamente pulito ed in ordine, quindi non ha ancora combattuto, quindi sicuramente lui è molto più in forma di tutti noi messi assieme; inoltre, se fino ad adesso non è ancora sceso in campo, significa che è il più forte di tutti.
In conclusione: siamo morti, tutti. Tutto ciò che ho fatto fino ad adesso si risolverà in nulla.
Jack, sollevati da terra, trasformati e annientali tutti, dal primo all’ultimo.
Vengo investito da ondate di forza, rabbia, desiderio di uccidere, che questa volta non rifiuto. Adesso è il momento di diventare la creatura nata per uccidere...
 


“John, prendi Tom e allontanatevi da qui; fatevi spiegare da Erik come raggiungere il Laboratorio e raggiungetelo”. Io comincio a muovermi in avanti, contemporaneamente mi trasformo. Guardo i miei avversari: debole, debole, forte, ma ferito. Lui. Scatto in avanti e loro mi imitano; uno di quelli si alza in volo, ma non ci bado, ho già una preda. Salto alla gola di quello ferito e con un morso gli stacco la testa; poco dopo da cielo cade un corpo. L’ultimo mi artiglia il fianco, con un colpo lo getto a terra, poi Erik gli piomba addosso spaccandogli la testa. Poi si posiziona di fianco a me e rivolgiamo la nostra attenzione all’ultimo rimasto. Che se ne sta tranquillamente appoggiato ad un muro, senza minimamente preoccuparsi per i suoi compagni. Dopo qualche istante scuote la testa e con una spinta delle spalle, si stacca alla parete e comincia ad avanzare verso di noi così, in forma umana. Erik sbuffa, scatta in avanti con un colpo d’ali, così forte, che mi fa perdere per un attimo l’equilibrio, e lo colpisce con un pugno in pieno volto. L’uomo viene scagliato all’indietro, vola per qualche centinaio di metri; tocca il suolo e continua a rotolare, fino a che non sbatte contro uno di quei cosi che illuminano le strade di notte. E rimane immobile. “Solo un esaltato” commenta Erik, ma succede qualcosa di incredibile a questo punto. Si rialza, emettendo un suono stranissimo, almeno per una situazione del genere: una risata. Tranquillamente si rimette in piedi e si spazzola  vestiti dalla polvere, poi si pulisce il sangue da un taglio sul labbro, l’unica ferita che si è procurato. Entrambi siamo rimasti senza parole. È l’avversario più forte che abbia mai incontrato. Erik spalanca nuovamente le ali e attacca con ancora più forza di prima. Ma il suo colpo viene bloccato. Con una sola mano riesce a fermare il pugno di Erik, anche se viene spostato all’indietro di qualche metro; poi quando si è fermato, con uno scatto velocissimo colpisce Erik allo stomaco con una ginocchiata, il corpo di Erik si inarca per il colpo, e lui ne approfitta per colpirlo con un pugno in pieno volto, che lo scaglia al suolo. Sta per colpirlo ancora, ma intervengo io, assalendolo. Lo allontano, poi gli do un pugno, che è quasi grande quanto lui, ma che non ha effetto. Lui risponde con un calcio al mio ginocchio, che cede e con un salto all’indietro mi da un altro calcio sul muso. Io cado all’indietro, con la vista leggermente annebbiata. In quel momento sopra di me passa un’ombra alata. Riesco a vederlo colpire l’uomo con un’ala, questo è un colpo veramente tremendo, e l’uomo viene scagliato in cielo con una velocità incredibile. Poi sfonda l’ultimo piano di un palazzo a qualche centinaio di metri da noi. Ora è morto di sicuro.
Mi rialzo, guardo Erik: “Tutto bene, non mi ha fatto granché, più che altro è stata la sorpresa che mi ha spiazzato”. Lo capisco. Percepisco uno spostamento d’aria e il mio istinto agisce, allontano Erik e salto indietro, un istante dopo qualcosa si disintegra proprio nell’esatta posizione in cui eravamo noi. Qualcosa che è stato lanciato da lontano. Guardo il buco creato dall’uomo quando si era schiantato contro il palazzo e vedo che, appena oltre la linea della luce, c’è una sagoma. Non è possibile, “Come può essere ancora vivo” completa il mio pensiero Erik. Poi dal buco si lascia cadere un essere, che è ancora il tipo di prima, dato che ha la stessa faccia, ma è tre volte più grosso.
“Ora ammirerete l’incredibile, immenso, potere di Flint!” ruggisce.
Ah, mi aspettavo un nome più terrificante, tipo Jimmy o Tommy. Con dei nomi simili si che mi sarei preoccupato! Purtroppo mi spavento anche se ha un nome simile. In meno di un secondo, con sole tre falcate, ha coperto la distanza che ci separava. Prima che possa anche solo muovere un muscolo, Flint colpisce in pieno Erik con un pugno tremendamente potente, che lo scaglia in aria, poi, senza rallentare minimamente, mi viene addosso. Riesco solo a spostarmi leggermente di lato, così invece di essere scagliato all’indietro dal suo colpo, vengo lanciato di lato, contro un palazzo, che non ferma minimamente la mia corsa.
 
Impossibile. Come può avere così tanto potere.
Il colpo è stato così potente, che io, Jack, non sono riuscito a sopportare il dolore, e quindi sono svenuto. O almeno credo, perché quando sono ritornato consapevole di me stesso, mi sono ritrovato in piedi, a qualche metro di distanza da dove ci eravamo fermati. Da ciò deduco che sia stato Regina a muovere il corpo.
Jack, dovete, dobbiamo fare gioco di squadra, noi ed Erik. Da soli non potremmo mai batterlo, non ha neanche iniziato a lottare.
Va bene, è quello che avevamo comunque intenzione di fare, ma ci ha stupito la sua azione così veloce.
Chiudo gli occhi...
 
Esco dalle macerie attraverso il buco che ho fatto. Quando ritorno in strada fortunatamente non è ancora successo nulla. Erik è a qualche decina di metri da terra, mentre Flint è tranquillamente fermo in mezzo alla strada. Appena mi vede, Erik scende verso di me. È sufficiente uno sguardo per capirci. Ho già combattuto assieme a lui in passato, ed colui con cui ho l’intesa migliore, assieme non abbiamo mai perso uno scontro. Con un battito d’ali si lancia verso il bestione, io lo seguo da terra. Si tuffa verso di lui, cercando di colpirlo al volto, ma Flint gli afferra il braccio e lo scaglia via; contemporaneamente io salto in avanti e lo attacco dal fianco, si sposta di lato, evitandomi, poi mi colpisce con l’altra mano, allontanandomi. Appena tocco il suolo con le zampe scatto in avanti, mentre Erik ha ripreso quota e lo sta attaccando dall’alto. Flint si gira dalla mia parte e mi sorride e questo mi fa tentennare. Un pugno incredibilmente potente mi colpisce lo stomaco. Immediatamente tutta l’aria che ho nei polmoni esce, e mi ritrovo a boccheggiare, incapace di respirare, mentre salgo sempre più in alto nel cielo. Prima di iniziare a cadere verso il basso, qualcosa mi afferra e vengo posato delicatamente al suolo. Ma non sono ancora riuscito a far rientrare l’aria nei polmoni; ormai comincio a vedere nero, ma è inutile, il colpo è stato veramente tremendo e il mio corpo è letteralmente paralizzato dal dolore... Poi, improvvisamente, riesco a respirare. I miei polmoni si riempio di aria, meravigliosa aria. E mi riprendo. Riapro gli occhi, e mi metto seduto. Tutta la parte anteriore è dolorante, ma non come prima. Erik mi appoggia una mano sulla spalla. “Sono riuscito a colpirlo. Per poter colpire te, si è scoperto. Evidentemente era convinto sia di riuscire ad ucciderti con quel colpo, sia di sopportare il mio. È infatti non gli ho fatto praticamente nulla; teoricamente avrei dovuto staccargli la testa, ma molto probabilmente non sono nemmeno riuscito a fargli saltare un dente”. Guardo Flint, è talmente sicuro di sé, che non approfitta nemmeno di queste occasioni per colpirci. Sa che saremo noi a perdere. Mi rimetto in piedi a fatica. Non mi posso arrendere, prima o poi riusciremo pure a colpirlo.
Ripartiamo all’attacco, questa volta abbiamo una strategia opposta. Io corro in avanti, mentre Erik rimane in aria a qualche metro dietro di me. Lui non muove un muscolo. Quando gli sono vicino,con un ruggito mi scaglio contro di lui frontalmente, ma volutamente ho saltato troppo forte; così lo supero e, nell’esatto momento in cui lo sorpasso, Erik piomba dall’alto e lo colpisce in pieno volto con un pugno. Si sente chiaramente il rumore delle ossa che si scontrano, e dalla bocca di Flint esce un lamento di dolore; lentamente, o almeno così mi sembra, il suo corpo si stacca dal suolo, cominciando a muoversi all’indietro, esattamente dove volevo io. Con un altro pugno in faccia lo atterro, poi cado sopra di lui e comincio a prenderlo a pugni, e per finire lo azzanno. Volevo colpirlo alla gola, ma all’ultimo si è spostato, così le mie zanne affondano nella carne della spalla. Ma non ho il tempo di fare altre mosse. Qualcosa mi colpisce nell’addome e involontariamente lascio la presa, poi vengo ancora colpito sul muso e per finire un calcio nel fianco mi scaglia via. Rotolo per qualche centinaio di metri, poi finalmente riesco ad impiantare gli artigli nel terreno e mi fermo. La bocca mi fa malissimo, sputo e assieme ad un grumo di sangue esce un dente.
Perfetto.
Alzo lo sguardo e noto che, ancora una volta, Flint è da solo fermo in mezzo alla strada. Erik dove può essere? Guardo attorno a me, fino a che vedo uscire da una casa una figura piccola. È Erik, ma è in forma umana e vedo che si sta stringendo un braccio al petto...
 
 

Improvvisamente mi ritrovo umano anch’io.
Regina, che succede?
Un momento... Va bene riprovate ancora una volta.
 
 

L’ultimo attacco, poi dovremmo cambiare strategia. Ancora una volta partiamo assieme; questa volta Flint non rimane fermo, ma corre verso di noi. A metà strada salta e io lo imito. Ci scontriamo a mezz’aria, ma io ho messo più forza di lui nel salto, così comincio a trascinarlo verso il basso; in più dall’altro arriva in picchiata Erik e il nostro piano fallisce miseramente. Flint riesce ad afferrare un’ala di Erik e lo scaglia via, poi, poco prima di toccare il suolo, si gira su se stesso e schiaccia me sotto il suo peso. Tutte le ossa del mio corpo scricchiolano, mentre lui mi colpisce ancora e ancora, prima che Erik, provi a colpirlo, ma non ottiene alcun effetto. O meglio, qualcosa la ottiene; Flint usa me come scudo. Io e Erik ci scontriamo, lui finisce a terra, mentre io continuo a volare sempre più in alto, fino a che atterro da qualche parte.
 
 

Jack, riprenditi. Forza Jack, alzati!
Sono stanco.
Sì, lo so, anch’io. Per questo è il momento di finire questo scontro. Iniziamo a fare sul serio.
Immediatamente riapro gli occhi. Sono da qualche parte molto in alto, perché attorno a me c’è solo cielo. Sono ancora trasformato e accanto a me c’è Erik. Mi alzo in piedi. “Jack, tutto bene?”, io annuisco, “Quindi si inizia a fare sul serio” dice serio; sto per chiedergli cosa intende, ma ottengo la risposta prima ancora di formulare la domanda. Si trasforma, cioè si trasforma ulteriormente, perché è già trasformato. Comincia a crescere in altezza, raggiungendomi quasi; il suo volto, quasi umano, diventa molto più simile a quello di un uccello, così come le sue gambe. Ma ciò che mi impressiona veramente sono le sue ali, già grandi rispetto al corpo, ora diventano immense, enormi. Il sole, che sta sorgendo alle nostre spalle viene completamente oscurato. Contemporaneamente anche noi siamo passati alla seconda forma, quindi ritorno ad essere come sempre più alto di Erik, ma comunque molto, molto più piccolo delle sue ali.
Preparati.
 
 
 
Salto giù dal palazzo e contemporaneamente Erik batte le ali. Tutto ciò che mi circonda viene distrutto dall’onda d’urto creata, e ovviamente vengo scagliato in avanti a velocità folle. Dopo tre, quattro secondi, Flint, che si trova molto, molto lontano da qui, viene colpito da qualcosa che lo scaglia in aria. Subito dopo Erik compare sopra di lui e con un calcio lo scaglia verso il suolo. L’impatto è così forte che il corpo di Flint sprofonda nel terreno. Io finalmente tocco il suolo e comincio a correre verso di loro. Li raggiungo nell’esatto momento in cui Flint si sta faticosamente rialzando. Non gli lascio tempo per reagire. Con un colpo lo butto nuovamente al suolo. Poi lo afferro per le spalle e lo lancio in aria, dove Erik lo colpisce con un pugno in pieno addome, lanciandolo ancora più in alto. Poi scatta su e comincia a colpirlo ripetutamente, e, ad ogni colpo lo lancia sempre più in alto. Quando raggiunge l’apice, lo colpisce così forte, che anch’io sento il boato dell’impatto; e Flint cade e io sono pronto. Mentre Erik saliva verso l’alto, io mi sono arrampicato su un palazzo, il più in alto possibile; e ora mi lancio in avanti afferrando il corpo di Flint. Giusto per sicurezza lo colpisco un altro paio di volte, poi mi assicuro che colpisca il suolo proprio con la testa. Infatti lo lascio andare solo a meno di un metro da  terra, così che non possa fare nulla, se non morire, finalmente. Io invece vengo afferrato per un bracco da Erik e ci allontaniamo. Tra i vari suoni, che si sentono quando Flint tocca il suolo, risuona anche la dolce melodia di ossa che si spezzano. Erik mi lasca andare dopo qualche metro.
 
 
 
Ora è veramente finita.
Sì, credo proprio di sì.
Quindi Erik è come noi?
Sì, anzi in realtà è più forte di me, ma non si è risvegliata completamente la sua vera forza.
E tu come puoi saperlo?
Ehm... Lo so e basta! Adesso cosa ti...
 Non finisce di parlare, perché veniamo distratti da un suono strano. Un rombo, simile ad un tuono, ma più regolare. Ci guardiamo attorno per capire da dove arrivi, poi Erik si gira verso il corpo di Flint e con un gemito cade in ginocchio. Mi volto anch’io e anch’io cado a terra per la disperazione. Il corpo di Flint sta cambiando, si ingrossa, contemporaneamente le innumerevoli ferite che gli avevamo inferto con gli ultimi attacchi cominciano a guarire; intanto si rimette in piedi, e più guarisce più in rombo, che è il battito del suo cuore diventa forte. Per ultima la testa, che era rimasta a penzolare con un’inclinazione anormale, si raddrizza. Per qualche secondo rimane immobile, poi gli occhi si spalancano e dalla sua bocca esce un grido disumano.

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Capitolo 19
*** Continua ***


Io e Erik rimaniamo fermi, immobili; incapaci di reagire.
Era morto; lo avevo ucciso; avevo sentito le ossa del suo collo spezzarsi. Ora invece è in piedi, più grande e più potente di prima.
Erik è il primo a riprendersi, ed è il primo a reagire.
Scatta in avanti e si scontra contro Flint, che ci sta caricando a tutta velocità. Basta un semplice, veloce colpo della mano di Flint, e Erik viene spazzato via. Io non faccio nulla. Non riesco a fare nulla. Un suo pugno mi colpisce in pieno muso, e, prima di sprofondare nel buio, sento quasi tutte le ossa della mia faccia frantumarsi.
 
 
 
Ciò che mi desta è una sensazione di calore sul viso. Apro gli occhi, ma vengo accecato dalla luce del sole. Istintivamente porto le mani davanti agli occhi per ripararmi dalla luce, troppo intensa rispetto al solito. Quando mi sono abituato alla luce, comincio ad accorgermi di altre cose. Primo fra tutto sotto al mio corpo c’è qualcosa che mi solletica, e da cui proviene un odore molto intenso, ma molto gradevole, ben lontano dalla puzza a cui sono solitamente abituato. Giro la testa e vedo che sono in mezzo a strane cose verdi e sottili, alte non più di pochi centimetri. Impiego qualche istante a riconoscere che è erba, e che ciò da cui proviene il profumo sono dei fiori. Mi metto a sedere con uno scatto improvviso. Nel mio mondo è quasi impossibile trovare un posto del genere, perché, fino a che i miei occhi possono vedere, c’è erba, solo erba e fiori. Impossibile, che posto è questo?
Un leggero venticello, fresco e piacevole, che fa ondeggiare leggermente l’erba; guardo in alto e la mia meraviglia cresce ulteriormente: vedo un cielo azzurro, spruzzato di nuvole bianchissime, e, al centro, uno stupendo sole illumina tutto.
Non è possibile, dove sono, questo non è il mio mondo.
Poi mi rendo conto contemporaneamente di altre due cose: non sono trasformato e non si vedono più né Erik, né Flint. Mi guardo attorno per cercarli, ma ciò che vedo è una strana forma scura, che si trova a qualche metro di distanza da me. All’improvviso questa parla: “È molto bello, vero?”, per la sorpresa scatto in piedi. Poi riconosco la voce, anche se non lo ho mai sentita veramente.
Questo essere scuro, più scuro della notte stessa, è Regina.
Si alza in piedi e riesco a vederlo veramente, e rimango ancora più sconvolto. Finalmente vedo il suo vero aspetto ed è completamente diverso da come l’ho visto io. Innanzitutto è più alto, ma non è questo il particolare più importante. Ho detto che è scuro, nero come la notte, ma non è propriamente vero. Non so come descriverlo; sembra quasi che la luce del sole non lo colpisca, come se lo evitasse appositamente; infatti non è solo lui, non è solo il suo corpo ad essere nero, ma anche il cielo, l’erba e la terra attorno la suo corpo sono neri, senza luce.
“Esatto. Sono una creatura delle tenebre, sono stato creato dal buio e dalla morte, ed è ciò che porto al mio passaggio. Ma non ti ho portato qui per questo; vieni”.
Io lo seguo senza fiatare, ancora troppo sorpreso per parlare. Vedo che ci stiamo dirigendo verso un gruppo di alberi, che si trovano a qualche centinaio di metri da noi, quasi in cima ad un leggero pendio. Questo posto non può essere reale.
“No, non lo è; questo è un mio ricordo”.
“Eppure sembra tutto così vero!”.
“La mente umana è facile da ingannare, tu stai provando tutte le sensazioni, che provavo io”. Arriviamo ai piedi degli alberi, che si rivelano essere molti di più e molto più alti di quanto mi era sembrato.
“Questa è una foresta” dice Regina, rispondendo ancora una volta ad una domanda che ho solo pensato.
“E questo odore?”.
“Resina e fiori; guarda, ne vedrai molti crescere nelle radure, dove il sole riesce a filtrare tra il fogliame”; infatti adesso siamo immersi nella penombra, ma attorno a noi vedo raggi di luce sbucare dall’alto, e, al centro di questi, crescono stupendi fiori di forme e colori sempre diversi. Io respiro a pieni polmoni e mi guardo attorno, cercando di vedere ogni cosa, consapevole che non potrò mai più vedere nulla di così bello.
“Ho così tante domande da farti!”. Lui ride, “Lo so, ma purtroppo non posso rispondere. Adesso guarda attentamente, perché siamo arrivati”.
All’improvviso la foresta finisce e ci ritroviamo all’aperto, ancora sotto la luminosa volta celeste, ma mi sembra che il sole si sia mosso, ora è un po’ più in basso, come se stesse iniziando a tramontare, anche se non abbiamo impiegato molto ad attraversare la foresta. Però non mi soffermo molto su questo, perché davanti ai miei occhi c’è qualcosa di incredibile e meraviglioso, qualcosa che supera di gran lunga tutto ciò che ho visto fino ad ora. Io e Regina si ci troviamo sulla cima di un pendio, sotto di noi si estende una vallata, che termina all’orizzonte con delle alte montagne. Tutto è ricoperto da erba verdissima e al centro della valle si trova un lago, non molto grande, la cui superficie e leggermente mossa dalla brezza. Ma tutto questo non è nulla in confronto a ciò che si trova sulla riva del lago.
Scintille di luce; non possono essere definite in altro modo le figure che si vedono muoversi sulla sponda del lago. Siamo ancora lontani da loro, quindi non riesco a distinguerle bene, però quando ci avviciniamo capisco chi sono.
“Ma quelli sono...”.
“Sì, sono gli altri che appartengono alla mia specie”.
“Sono completamente differenti da te, sembrano così... Pure, innocenti, non riesco a collegare questi essere a quelli che abbiamo combattuto fino ad ora”. Infatti queste creature non hanno nessuna caratteristica, che possa ricordare le bestie assassine che sono nel mio mondo. Queste sono di pura luce, è veramente uno scempio ciò che ha fatto quel pazzo.
“Ora osserva il lago”.
Faccio come dice e sposto la mia attenzione dalle figure al centro del lago; ne vedo un’altra, diversa a quelle che ci sono sulla riva, questa è più imponente e, non so da cosa nasce quest’impressione, mi sembra antica, molto antica, come se fosse esistita da sempre. Non so perché ho quest’idea, forse per la sua differente luce, meno intensa delle altre, vecchia, appunto. Inoltre sono sicuro di averlo già visto, di averlo già incontrato...
“Quello... Quello è Flint!”.
“Lui è colui che si trova nel corpo di quell’abominevole essere umano” mi risponde, con una nota di dolore nella voce. Io osservo quell’essere gigantesco, che si sta dirigendo al centro dello specchio d’acqua.
“Cosa sta facendo?”.
“Sta per far nascere una di noi”.
“Cosa? Voi nascevate dall’acqua?”.
“Ora vedrai”. Il gigante si ferma al centro dal lago, con l’acqua che gli arriva alla vita, poi immerge le enormi braccia ed estrae del fango, che getta da parte, dopodiché immerge ancora le braccia ed estrae ancora una mancata di fango.
“Ma sta scavando una buca?”.
“Esattamente. Noi, o meglio loro, sono generati direttamente dalla Sua essenza, che si condensa in cavità nel sottosuolo, esattamente al centro di specchi d’acqua come questo”.
“Cosa vuoi dire? Chi è che vi crea, come fate a nascere!”.
“Non posso darti altre risposte oltre a quella che ti ho già dato. Tutto ciò non può essere spiegato e non può essere compreso da chi non appartiene alla mia razza”. Non faccio altre domande, perché qualcosa cambia. Prima questi esseri candidi stavano cantando, o almeno ho avuto quest’impressione, e pensavo che fosse normale, ma ora mi rendo conto che il loro canto è legato a ciò che sta succedendo in acqua. Perché all’improvviso il ritmo e l’intensità delle voci, sarebbe meglio dire suoni, sono aumentati e contemporaneamente Flint, cioè la creatura in mezzo al lago, ha iniziato a scavare con maggiore frenesia. Io osservo rapito ciò che sta facendo, venendo involontariamente coinvolto nell’evento. Mi ritrovo a cantare anch’io, pur non sapendo la loro lingua, mi ritrovo a danzare anch’io assieme alle figure sulla spiaggia. Tutto attorno a me ha iniziato a muoversi, a vibrare sempre più forte, il sole stesso ha iniziato a risplendere con intensità crescente, il vento soffia più forte, l’acqua si agita sempre di più, fino a che con un’ultima altissima nota, con un ultima tremenda vibrazione, tutto si ferma e da sotto la superficie del lago risuona un suono meraviglioso e una nuova, intensissima scintilla luminosa, così intensa da superare le luce del sole, viene al mondo, sorretta con estrema cura e delicatezza dalle stesse mani, che, fino a pochi istanti prima, spostavano metri e metri di terreno con estrema facilità.
Lentamente il gigante si muove verso la spiaggia e tutti gli altri esseri in attesa gli si accalcano attorno. Vorrei andare anch’io a vedere quella creatura stupenda appena venuta al mondo, ma Regina comincia a camminare dalla parte opposta.
“Non andiamo anche noi?”.
“No”.
“Perché?”.
“Perché io non ci sono andato, non era mio compito assistere alle nascite. Il mio scopo era di farti vedere il mio mondo, e soprattutto di farti vedere lui, colui che ha appena portato alla luce una creatura della mia specie. Volevo farti capire la mia rabbia nei confronti di quell’essere umano, che ha osato profanare il corpo di uno degli esseri più antichi e più puri del mio mondo. Volevo darti una ragione per continuare a lottare, per impedirti di arrenderti, cosa che stavi per fare”. Io rimango in silenzio, perché ha ragione. Mi sono arreso; poco prima che Flint ci colpisse, mi sono lasciato andare. Ho sentito distintamente Regina cercare di opporsi, ma non gli ho permesso di reagire. Però adesso è diverso, adesso che mi ha mostrato ciò, ho cambiato idea. Adesso voglio uccidere Flint, lo voglio uccidere il prima possibile per evitare che contamini ulteriormente la purezza di quell’essere.
“Okay, torniamo indietro e facciamolo fuori” dico.
 
 
Riapro gli occhi e mi rialzo. Sgranchisco le membra, e provo a saggiare le ali, mi sembra ancora strano aver ritrovato il mio vero corpo, ed il mio vero potere; non che non ne sia felice. Respiro profondamente, poi batto le ali e mi alzo in volo. Immediatamente capisco che la situazione si sta facendo critica, se avessi ritardato ancora un poco, per Erik sarebbe finita. Infatti non sta più provando ad attaccare Flint, ma sta cercando di evitare i suoi attacchi, e non sempre ci riesce. Poi entrambi mi notano arrivare e si fermano. E Erik ci raggiunge in volo.
“Non è possibile! Eri morto!” esclama, evidentemente non sa che quando riacquistiamo il nostro vero potere siamo pressoché immortali, quindi questo conferma la mia idea che lui non si sia ancora completamente risvegliato.
“Comunque sono più che felice di rivederti, la situazione si sta facendo critica. È in grado di guarire istantaneamente qualunque tipo di ferita! E io non so più cosa inventarmi!”.
“Nulla, adesso lascia gestire la situazione a me, tu va a raggiungere gli altri”. Mi guarda come se fossi impazzito.
“Ma da solo...”.
“Non preoccuparti, il nostro scontro sarà ad armi pari, adesso”. Lui annuisce, fidandosi di me, si alza in volo e cerca di allontanarsi. Ma Flint non vuole permetterglielo, così salta per cercare di raggiungerlo, ma io lo fermo. In meno di un secondo sono di fronte a lui, gli afferro il viso e lo lancio a terra. Poi scendo anch’io. Sul suo viso c’è un espressione di stupore, evidentemente non si aspettava che fossi così forte, forse perché si basa solo sull’aspetto fisico. Infatti penso di arrivargli, forse, al ginocchio. Parte alla carica e lo imito. Ci scontriamo, io gli sfondo la cassa toracica, ma anche la parte del mio corpo che ha impattato con lui si frantuma. Entrambi cadiamo a terra, ed entrambi ci rialziamo dopo qualche secondo come nuovi.
“E tu da dove sbuchi, nanerottolo!”. Rimango sorpreso, ha raggiunto questo livello di potere eppure non si è ancora risvegliato? Tuttavia è comprensibile, un essere pacifico come lui non potrebbe mai arrivare a commettere simili azioni, di conseguenza è l’essere umano che ha il controllo. E ciò mi fa arrabbiare ancora di più. Scatto in avanti e lo colpisco in pieno volto con un pugno, ma contemporaneamente anche lui mi attacca dall’alto. Provo a fermare il suo colpo, ma sono ancora leggermente più debole di lui, quindi non riesco a fermare il pugno, che di conseguenza mi schiaccia al suolo, sfracellandomi tutta la parte superiore del corpo. Con un paio di calci ben assestati gli spacco il braccio e mi rimetto in piedi. Le mie ossa ritornano in sesto con un sonoro schiocco e lo colpisco all’addome con tutta la mia forza, spostandolo di qualche metro. Lui sorride, quell’uomo si sta divertendo, quell’essere disgustoso si sta divertendo. Ripartiamo entrambi all’attacco.
Dopo una serie rapidissima di colpi, ci separiamo. A questo livello di forza non possiamo fare nulla. Lui ci è comunque superiore. Ma io non ho ancora iniziato a fare sul serio.
Non so perché, ma penso che sia un bene, la mia forza posso rilasciarla poco per volta, e adesso è il momento di liberarla, anche se non completamente. Immediatamente il mio corpo comincia ad ingrandirsi, e questa è un’altra cosa che non mi spiego, adesso gli arrivo alla vita.
Ripartiamo alla carica.
Immediatamente mi rendo conto che ora siamo veramente alla pari. E la cosa non va molto bene, perché in queste condizioni questo scontro potrebbe durare troppo a lungo, e non mi resta molto tempo.
Con un grido ci colpiamo con tutte le nostre forze, ed entrambi veniamo scagliati via.

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Capitolo 20
*** Monica ***


Svolto per l’ennesima volta a destra, sperando che questa volta sia la strada giusta.
Quel ragazzo, Erik mi sembra, mi ha spiegato molto bene la strada; ma io sono capace di perdermi anche in casa mia, quindi ovviamente adesso non so più dove sto andando. Da quello che mi è sembrato di capire dai loro discorsi, la situazione è seria e ciò che devo fare è estremamente importante; spero che il mio ritardo non abbia causato problemi!
Guardo in alto, il cielo si sta già schiarendo, devo sbrigarmi; non so quanto tempo sia passato da quando mi hanno lasciata, ma ho la sensazione che ne sia passato troppo.
Riprendo nuovamente a correre. E uscita dalla via che avevo imboccato, finalmente ritrovo la strada. Infatti davanti a me ci sono i tre alberi molto alti, che circondano un laghetto, di cui mi aveva parlato Erik. Quindi secondo le sue indicazioni dovrei andare... Da quella parte.
Imbocco con decisione la strada, ma ho la sensazione di aver sbagliato, perché non è come me la aveva descritta lui. Comunque decido di proseguire; ormai una strada vale l‘altra.
Quando esco da questa, la mia confusione aumenta ancora di più. Perché ci sono ancora i tre alberi, il lago e la strada nelle stesse, identiche posizioni degli altri. Frustrata imbocco ancora la strada che si trova nella stessa posizione, in cui si trova quella da cui sono appena uscita. Tuttavia questa assomiglia molto a quella che mi ha descritto Erik. Forse sono riuscita a trovare la strada giusta. Anzi sono riuscita a trovare la strada giusta!
Infatti già da qui si vede che sbocca su un grande spiazzo, occupato da un enorme edificio grigio, che a sua volta è circondato da un alto muro. Questo non può che essere il laboratorio di cui parlavano. Mi metto a correre il più velocemente possibile, per evitare di rimanere troppo tempo allo scoperto; quando arrivo al muro mi ci getto contro, sia perché sono incredibilmente stanca, sia per cercare di nascondermi. Anche se questo posto dovrebbe essere vuoto, come mi ha riferito, la prudenza non è mai troppa, per citare mia nonna, che, essendo riuscita a raggiungere l’incredibile età di cinquant’anni, qualcosa sa.
Ora però arrivano i problemi, devo riuscire a superare questo muro e in proposito Erik non ha saputo darmi suggerimenti. Ha detto che c’è un cancello, ma che sicuramente sarà chiuso; quindi mi devo arrangiare da sola.
Comincio a camminare, rasente al muro, in una direzione casuale. Svolto, seguendo il muro, e mi ritrovo davanti al cancello, di cui mi aveva parlato, ma ovviamente è chiuso. Però forse ho trovato una soluzione.
Infatti da questo lato sia le case attorno al muro, sia il laboratorio sono molto vicini al muro stesso; quindi... Sì, potrei farcela.
La mia idea è di salire più in alto rispetto alla cima del muro e poi saltarci sopra, per poi entrare nell’edificio. Solo che devo trovare un modo per salire, se ci fosse una porta o una finestra aperta potrei entrare da li per poi salire; ma non ne vedo. Mi sa che mi dovrò arrampicarmi su un edificio, cosa che, a differenza dell’orientarmi, mi riesce molto bene. D'altronde mi avevano soprannominata “scimmia”! Per un attimo mi ritornano in mente i miei vecchi amici e i giochi che facevamo sui tetti. È proprio dalla mia bravura in questi giochi, che è nato il soprannome. Ma ormai quei tempi sono passati, ormai sono tutti morti, ero rimasta solo io. Per questo mi sono lasciata catturare. Comunque ora non è il momento per i ricordi. Ora mi devo concentrare su ciò che devo fare.
Mi muovo verso la finestra più bassa, che è protetta da delle sbarre di ferro e ci salgo sopra. Per fortuna, tutte le finestre hanno un davanzale sufficientemente ampio per i miei piedi.
Lentamente, soprattutto grazie alle sbarre di questa finestra, riesco a passare a quella del piano successivo. Questa volta mi sposto verso destra e raggiungo la finestra di fianco, da cui salgo su quella al terzo piano. Fin qui è andato tutto bene, mi mancano solo due piani da fare. Ma ora viene la parte difficile.
Al quarto piano non ci sono finestre accessibili da dove mi trovo, e non posso muovermi da questa. L’unica cosa che posso fare è salire direttamente al quinto piano, e questo significa arrampicarmi su un tratto di parete nuda. Respiro profondamente, poi agisco. Per prima cosa mi arrampico fino alla fine della finestra, che è più alta di me; poi con una mano cerco un appiglio.
Lo trovo. Mi tiro su, appoggiando i piedi sull’ultima sbarra orizzontale della finestra, mentre con l’altra mano cerco un nuovo appiglio, che trovo. Continuo così, pian piano, fino a che gli appigli finisco a meno di un metro dalla meta. Non riesco più a sentire nessun tipo di rientranza con la mano, così provo a guardare. Effettivamente la parete da adesso in poi sembra liscia, quindi cosa faccio? Tornare indietro non se ne parla, perché non ho la minima intenzione di arrendermi ora.
Posso fare solo una cosa, che ho già fatto in passato, ma mai in una situazione così pericolosa.
Guardo verso il basso; sono veramente in alto, se non dovessi riuscire, morirei di sicuro. Però il davanzale di quella finestra è ancora più ampio degli altri e ciò mi sembra un invito a provarci.
Chiudo gli occhi, respiro profondamente, poi mi muovo. Spalanco gli occhi tenendoli fissi sul mio obbiettivo e stringo maggiormente la presa; con un movimento fluido tolgo i piedi dagli appigli e piego le gambe, appoggiandole al muro, poi salto verso l’alto, usando tutta la forza possibile e tendendo le braccia il più possibile. Rimango in volo per qualche istante, che a me sembrano eterni, poi la mia mano sinistra tocca il davanzale e immediatamente mi ci aggrappo con tutte le mie forze.
Mi ritrovo sospesa a non so quanti metri da terra, appesa solo per un braccio. Mi scappa un involontario grido di paura, poi riesco a calmarmi a agire prima di perdere la presa. Con uno scatto velocissimo riesco ad afferrare il bordo del davanzale anche con l’atra mano; poi cerco di issarmi sopra di questo usando sia le braccia che le gambe. Dopo molta fatica e molta paura, riesco ad arrivare oltre il bordo con tutto il busto. Fortunatamente anche la finestra di questo piano ha le sbarre, così le afferro con entrambe le mani e mi tiro completamente su.
Rimango per qualche minuto rannicchiata su me stessa, il più lontano possibile dal bordo, cercando di riprendere fiato.
Quando riesco a respirare normalmente, e quando le gambe hanno smesso di tremarmi, mi rialzo e guardo ciò che mi aspetta ora.
Come pensavo, sono più in alto del muro di circa mezzo metro, e la cima non è più distante da dove sono di un metro.
Se sono riuscita ad arrivare fin qui, riuscirò anche a saltare.
Sempre tenendo una mano aggrappata alle sbarre, mi sporgo il più possibile per valutare bene le distanze.
Quando sono sicura, salto, questa volta urlando senza ritegno per la paura.
Ma riesco ad atterrare esattamente dove volevo: dal bacino in su esattamente sul muro, solo le gambe penzolano nel vuoto. Senza molta fatica riesco a salirvi sopra.
E adesso è fatta.
Proprio di fronte a me c’è una finestra aperta, che mi sta chiamando a gran voce. Ci salto dentro senza difficoltà.
Cado sul pavimento della stanza, e rimango per qualche minuto seduta, appoggiata contro la parete a riprendere fiato. Quando mi sono ripresa, mi rialzo ed esco dalla stanza. Dunque, mi trovo al terzo piano, il posto dove devo andare è al primo. Quindi mi servono delle scale.
Al momento sono in un lungo corridoio, lo percorro tutto e al termine trovo delle scale!
Ma che fortuna!
Scendo al piano sottostante, ma le scale non vanno oltre. Dato che sono in un corridoio simile all’altro, presumo che le altre scale si trovino in fondo a questo. Ma mi sbaglio; infatti, dopo una svolta, mi ritrovo davanti una porta.
E adesso?
Provo ad aprire la porta, ma è chiusa. Provo ad aprire tutte le altre porte in questo piano, ma le uniche non chiuse, danno su semplici stanze. Quando sto per perdere la speranza, finalmente ne trovo una che da su di un corridoio. Speranzosa lo percorro tutto di corsa e alla fine trovo le altre scale!
Le scendo come un fulmine e mi ritrovo in una stanza circolare, con un po’ di porte. Ora; Erik mi ha spiegato che il piano terra è diviso in due parti speculari: una destinata a quelli che sono stati appena catturati, l’altra agli Uomini Neri, e lui mi ha spiegato come arrivare nella sala di comando, partendo da due punti di riferimento unici per parte: cioè la sua stanza, oppure il dormitorio comune.
Spero di riuscire a trovare uno dei due.
Prendo una porta a caso e continuo ad aprire tutte quelle che mi ritrovo davanti.
Sinceramente spero di trovare il dormitorio, così posso portare via i due ragazzi che erano con me, sempre che ci siano ancora. Però all’improvviso apro una porta e mi trovo di fronte una stanza da letto perfettamente in ordine. Questa è la stanza di Erik.
“Okay, ora devo evitare di confondere i due percorsi. Però da qui è più corta”. Mi metto in cammino, dopo poco passo di fronte alla mensa. Quindi sto andando nella direzione giusta. Svolto a sinistra. Dopo altro tempo mi trovo di fronte ad un bivio e...
Non mi ricordo più!
In entrambi i casi c’è un bivio e non li distinguo più!
Comincio a farmi prendere dal panico.
“Maledizione!” urlo e do un pugno contro il muro.
“Calma, Monica, calma. Pensa, cerca di ricordare”.
Solo questo è il punto critico, non so se devo andare a destra o a sinistra, ma so che dopo il bivio mi dovrei trovare in un corridoio con un’uscita sulla sinistra. Quindi posso provarne una a caso e vedere se riesco a ritrovare la strada.
Prendo la svolta a destra. Cammino fino al punto in cui ci dovrebbe essere la svolta successiva, ma non c’è. Allora deve essere l’altra. Ritorno sui miei passi e prendo l’altra strada. Qui trovo la svolta esattamente dove dovrebbe essere. Proseguo sempre più sicura di aver preso la strada giusta, fino a che non mi ritrovo di fronte ad una porta diversa dalle altre: è completamente nera. Afferro la maniglia e la apro.
Entro nella stanza.
È più piccola di quanto mi aspettassi, scura, illuminata solo da strani cosi quadrati che mandano strani bagliori. Mi avvicino a una di queste e vedo che ci sono delle figure che si muovono. All’inizio penso di avere delle allucinazioni, poi capisco invece che sono immagini vere. Queste immagini mostrano degli strani esseri, esseri mostruosi, che stanno lottando tra loro.
Molto probabilmente dovrei essere terrorizzata da loro, ma non lo sono; anzi mi sento attratta da quegli esseri, mi affascinano. Rimango immobile ad osservarli.
“Sono stupendi, vero?”. Sobbalzo per lo spavento e mi giro verso la voce che ha appena parlato. Noto solo ora che nella stanza c’è un altro uomo, che prima non avevo visto. Causa anche la penombra, impiego un po’ a riconoscerlo.
“Ma tu sei... Lei è l’uomo che è venuto a prendermi prima!”.
“Sì, figliola, sono io. E adesso sono tornato, ancora per te. I miei progetti su di te e il tuo amico Jack non sono cambiati; anzi, visti i recenti sviluppi, sono ancora più convinto a procedere” dice, con una smorfia terrificante sul viso, intanto si alza e viene verso di me. Io sono terrorizzata, faccio un passo indietro, ma sono contro la parte.
Sono in trappola.
Con uno scatto rapidissimo mi si scaglia contro.

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Capitolo 21
*** Jack ***


Mi rialzo da terra.
Ora sono più forte di lui, ma comunque non riesco a batterlo.
Esco dalle macerie di quello che un tempo era un palazzo, e mi fermo ad osservare Flint. Mi sembra di cominciare a cogliere segni di stanchezza, colpi non più potenti come prima, riflessi più lenti. Però purtroppo anch’io sto cedendo.
Ancora una volta parte alla carica, e io lo imito. Il primo colpo lo evito e il secondo lo paro. Salto e batto le ali e lo colpisco con tutte le mie forze all’addome; il suo corpo si piega in due e ne approfitto per colpirlo con una ginocchiata sotto al mento. Sento le sue ossa spezzarsi sotto la mia gamba, ma lui riesce comunque a reagire, facendomi volare via con un pugno.
Impatto contro una casa, prima di poter reagire, e un pezzo di una trave mi trapassa il corpo. Spazientito la rompo e mi alzo in volo.
Lui è ancora fermo, in piedi al centro della strada, che mi osserva con un ghigno sul volto.
Mi tuffo verso di lui e lui salta verso di me.
Ci scontriamo a mezz’aria e ci scambiamo una rapida serie di colpi. Poi tocchiamo terra e ci separiamo. Sono riuscito a ferirlo abbastanza seriamente e, anche se tutte le sue ferite si rimarginano davanti ai miei occhi, mi sembra più stanco di prima.
“È stato divertente giocare con te, ma è ora di finirla. Non ho più tempo” dice, e queste parole confermano la mia idea: non riuscirà a continuare ancora a lungo. Si getta verso di me, caricandomi a testa bassa. Io reagisco velocemente; con due possenti battiti d’ali lo raggiungo e, prima che possa spostarsi, lo colpisco in faccia con un calcio; mentre barcolla, gli afferro un braccio e con un singolo colpo glielo trancio di netto. Vengo investito da una fontana di sangue, mentre lui prorompe in un agghiacciante urlo di dolore. Senza dargli tregua, gli afferro la testa e mi alzo in volo, salendo sempre più in alto. Però lui si riprende troppo in fretta. Il braccio ricresce, con un movimento rapido mi afferra le ali e tira, strappandone una. Immediatamente perdo quota e cominciamo a cadere verso il basso. Provo a allontanarmi da lui, ma con una mano mi afferra una gamba e mi tira a se, schiacciandomi fra le sue braccia e rompendomi ogni singolo osso del corpo. Poi colpisco il suolo di testa.
 
 
 
 
 
Sono morto?
No, non penso. Semplicemente il nostro corpo è completamente a pezzi.
Ah, questo spiega perché non sento più nulla.
Infatti ho la sensazione di essere nel vuoto, come se fossi sospeso in aria. Menomale che non proviamo dolore, altrimenti sarebbero stati guai. Poi qualcosa comincia a ritornare, prima comincio a sentire, poi mi ritorna la vista e infine, osso dopo osso, il corpo si sistema. A fatica ci rimettiamo in piedi. Ho la vista un po’ annebbiata e le gambe non sono molto stabili.
Dobbiamo finire questo combattimento, possiamo resistere ancora solo per qualche minuto.
Un rumore di macerie spostate cattura la nostra attenzione. Da una parete distrutta esce Flint, in forma umana.
Com’è possibile!
L’impatto deve essere stato troppo violento anche per lui, e non è riuscito a rimanere trasformato.
Effettivamente non è conciato molto bene: barcolla vistosamente, un braccio gli pende inerte da un fianco e ha una brutta ferita sulla fronte. Per un attimo provo pena per lui. Ma solo per un attimo, poi lui con un grido si trasforma nuovamente e si lancia verso di noi. E noi ci lanciamo verso di lui.
Tira un pugno alla cieca, noi lo evitiamo facilmente e il nostro braccio affonda nel suo petto, proprio all’altezza del cuore. I suoi occhi si spalancano per la sorpresa, mentre dalla sua bocca esce un grido strozzato. Noi con una spinta ci allontaniamo di qualche passo.
Per qualche istante il suo cuore pulsa nella nostra mano, poi si ferma. Il corpo di Flint viene scosso da uno spasmo, mentre lui barcolla verso di noi.
Riuscirà a guarire anche da questa ferita?
No, non credo, è troppo grave.
Dopo un altro passo, il corpo di Flint cede e cade sulle ginocchia. Lentamente i suoi occhi si chiudono.
È finita?
Ma prima che possa parlare, gli occhi di Flint si spalancano. Non può essere. Mi muovo, mi vorrei muovere in avanti per colpirlo, ma Regina mi ferma.
No, fermo; guarda, non c’è più pericolo.
Davanti ai miei occhi avviene una cosa incredibile. Flint, il corpo che era di Flint, comincia a cambiare. Gli occhi, che erano neri, si schiariscono fino a divenire azzurri, azzurri come il cielo che ho visto nei ricordi di Regina. La sua pelle grigia comincia a risplendere, di una luce tenue, antica.
Davanti ai miei occhi ora c’è quell’essere magnifico, quel gigante che ho visto nei ricordi di Regina; anche se non capisco come possa essere possibile. All’improvviso ci muoviamo, si muove, Regina, io non volevo fare nulla. Ci, si avvicina alla creatura e le pone una mano sulla fronte, che in questa posizione è alla nostra altezza. Poi dalle nostre, dalle sue, in questo momento questo corpo non mi appartiene, dalle sue labbra escono dei suoni, che penso siano parole. Sul viso dell’essere compare un sorriso incredibile, mentre Regina parla; poi quando ha finito esala un ultimo grande respiro e si accascia fra le sue braccia. Delicatamente depone il corpo a terra; entrambi rimaniamo fermi ad osservare mentre, lentamente, le spoglie di questa creatura antica sono sostituite da quelle di Flint, da quelle umane di Flint, che rimane disteso a terra con un buco nel petto.
Ora è veramente finita.
Che cosa li hai detto, se posso saperlo?
L’ho semplicemente congedato dalla vita, ho decretato che il suo compito può considerarsi concluso.
Lentamente ci allontaniamo dal corpo, e cominciamo ad uscire dalla trasformazione. Più il potere e le energie di Regina abbandonano il mio corpo, più mi sento debole e stanco.
Penso che sverrò per qualche minuto, ti va bene?
Lo sento ridere.
Sì, d’accordo.
Appena ritorno completamente umano le gambe mi cedono e gli occhi mi si chiudono. Prima ancora di aver toccato il suolo, sono immerso del buio.
 
Ehi Jack, sveglia. È già passata quasi un ora, penso che sia sufficiente.
Lentamente apro gli occhi.
Pensi che troveremmo da mangiare? Sono abbastanza affamato.
Prova ad entrare in una delle case ancora intatte e vedi se c’è qualcosa.
Uhm, buona idea.
Mi metto in piedi con un po’ si sforzo, e mi incammino traballante verso una casa mezza sfondata. Passo attraverso le macerie e ho molta fortuna: trovo immediatamente da mangiare. Prendo quello che posso ed esco. Mangio mentre cammino.
E ora dove andiamo? Io mi sono completamente perso.
Io non completamente, comincia a seguire la scia di distruzione che vi siete lasciati dietro e torna al punto di partenza. Da lì dovrei riuscire a guidarti fino al Laboratorio.
Come puoi sapere dove andare?
Ho ascoltato le istruzioni di Erik; la mia mente non è limitata come la tua, riesco a fare due cose contemporaneamente.
Ti stai per caso prendendo gioco di me?
No, assolutamente no! Non mi permetterei mai di compiere un’azione simile!
Fai anche del sarcasmo! Però, come sei cambiato! Non sei più quello di un tempo!
Di cosa stai parlando?
Parlo dei bei vecchi tempi!
Quali vecchi tempi?
Quelli di... Quanto? Sette, otto ore fa? Quando non avevamo ancora compiuto una strage simile?
Già, hai ragione. Quelli sì che erano bei tempi.
Intanto sono riuscito a tornare da punto di partenza, e da qui Regina comincia a guidarmi verso il Laboratorio.
Non impieghiamo molto ad arrivare. E quando vedo il muro grigio innalzarsi di fronte a me, sono colpito da un leggero tremito.
Che ti prende Jack?
Niente, solo un brivido di paura. Andiamo.
Cammino seguendo il muro, fino a che non trovo il cancello, che è stato sfondato.
Scommetto che è opera di John.
Entro nel cortile e poi nell’edificio.
“Ehi, ragazzi? C’è qualcuno?” urlo, mentre procedo verso la mensa. Chiamo ancora, ma nessuno risponde. Arrivo nella mensa, ma non li trovo. Avevo pensato che anche loro fossero affamati, e che quindi si sarebbero messi a mangiare. Ma mi sono sbagliato. Magari sono ancora in infermeria; dopotutto erano feriti. La raggiungo, ma trovo anche questa vuota. Tuttavia vedo dei segni, che indicano che è stata usata di recente. Quindi sono stati qui. Ma adesso dove potrebbero essere?
Potrebbero essere nella stanza che doveva cercare quella ragazza.
Giusto hai ragione! Ma come la trovo?
Conosco io la strada, ma prima devi raggiungere la camera di Erik.
No, un momento. Come puoi saperlo? Io me ne ero già andato, quando ha spiegato la strada a Monica!
Lascia stare, fidati di me e basta!
Okay, va bene! Guidami.
Dopo aver raggiunto la stanza di Erik, seguendo ancora una volta le sue indicazioni e raggiungiamo la meta.
Trovo la porta aperta. Entro e faccio appena in tempo a vedere che appesi alle pareti ci sono degli strani oggetti quadrati, che un ruggito terrificante risuona nell’aria, facendo tremare ogni cosa.
Che diavolo era?
Temo di saperlo, ma spero di sbagliarmi.
Corro fuori, perché sono sicuro che, anche se è stato terribilmente forte, il ruggito non proviene da dentro il Laboratorio. Mi guardo attorno, ma non noto nulla; quando mi volto, per vedere il pezzo di Città alle mie spalle, rimango pietrificato dal terrore.
Verso il centro della Città, dove i palazzi si fanno molto alti, un qualcosa, una sagoma, come una specie di ombra, li sovrasta.
Non può essere. Non è possibile che sia lui.
Lui chi? Cos’è quel... coso là!
Quello è il responsabile della scomparsa del mio popolo. È, era come me; anche lui nato per combattere, ma amava più la morte che la vita. Non è stato possibile fermarlo, ci ha annientati tutti dal primo all’ultimo.
Guardo nuovamente il mostro, ancora più terrorizzato dalle parole di Regina, ida cui ho capito che anche lui è spaventato da quell’essere. Da questo posto si vede solo la testa, simile a quella di un serpente, che supera di molto i palazzi circostanti. Poi con un altro terribile ruggito, ne compare una seconda.
È enorme, mostruoso!
Dall’alto vedo scendere qualcosa ad una velocità folle, qualcosa che colpisce una testa e la manda a sbattere contro l’altra, ed entrambe spariscono dalla mia vista, colpendo il terreno.
Veloce, dobbiamo raggiungerlo.
Ci mettiamo a correre, fino a che non ci spunta un paio d’ali e ci alziamo in volo. Mi alzo fino a superare i palazzi, per vedere le reali dimensioni di quell’essere; e rimango ancora più sconvolto.
In uno spiazzo, creato dal mostro stesso, c’è questo essere immenso, deve essere lungo un centinaio di metri e alto qualche decina; mi ricorda molto una lucertola, se non fosse per le due orribili teste, che si trovano al termine di due lunghi colli, e le due lunghe code. Per adesso se ne sta immobile, le zampe piantate nel terreno, solo le code e le teste si muovono, ma penso che sia così tanto massiccio da essere limitato nei movimenti. Però c’è un particolare che mi terrorizza ancora di più, il suo colore: è nero come la notte.
Regina, non mi dirai che è nella sua vera forma, che ha accesso al suo vero potere?
No, non ci arriva neanche lontanamente, fortunatamente. Forse potrete sperare di riuscire a sconfiggerlo. Tu ed Erik assieme.
Appena lo menziona, appare a qualche decina di metri da me una figura alata, che si posa sul tetto di un palazzo, vicino al mostro. Atterro di fianco a lui.
“Jack” mi saluta con un cenno del capo, “Chi avrebbe mai pensato che avremmo dovuto combatterlo ancora assieme?” continua. Io rimango per un attimo spiazzato, poi capisco che non è veramente Erik a parlare, ma entrambi assieme. Lui e L’altro.
“Anche se non è nel pieno delle forze, è comunque un osso duro; per quanto colpisca forte, non riesco a scalfire la sua pelle” dice ancora.
“Sai chi è? È uno di quelli che abbiamo incontrato prima?” chiedo.
Esita un attimo, poi capisce che mi riferisco all’uomo, che si è trasformato in quell’essere.
“Sì, è il Dottore. L’ho incontrato per caso, mentre mi dirigevo al Laboratorio e con lui c’era la tua a mica, Monica, svenuta”.
“Cosa?! Com’è possibile! L’ho ucciso! Non può essere ancora qui! Nessun uomo sarebbe potuto sopravvivere a quel colpo!” grido.
“Appunto, lui non è un uomo. Comunque non ricordi Flint? Ci ha tenuto testa per qualche minuto in forma umana, e lui è ancora più forte; quindi eccolo qui” conclude.
“E Monica, dov’è ora?” continuo io, più preoccupato per lei, che del mostro.
“Per adesso è al sicuro con John e Tom; sono nascosti in una casa da quella parte” mi risponde, indicandomi una direzione. Abbastanza rassicurato, mi preparo per iniziare a combattere.
Ancora insieme come prima, io e te?
Certo e dobbiamo dare il massimo subito. Non ha senso trattenersi contro di lui.
Perfetto.
 
 
 
 
 
Riapro gli occhi e scatto. Lui è lentissimo. Si accorge di me solo quando gli sono addosso. Lo colpisco con tutta la mia forza in mezzo agli occhi della testa di destra. La mia intenzione è quella di fracassargli il cranio; invece si fracassa il mio braccio.
Mi allontano, evitano tranquillamente l’altra testa, che nel frattempo si è mossa per cercare di mordermi. Male gli ho fatto, perché quando l’ho colpito gli è scappato un grugnito di dolore, però non ho ottenuto altri effetti.
“Come ti dicevo, per quanto lo si colpisca forte, non si riesce a ferirlo seriamente. Per fortuna che è lento. L’unica cosa che potremmo fare a questo punto è cercare di sfinirlo e sperare che il corpo dell’umano ceda tra breve” mi dice Erik, affiancandomi.
“Non so te, ma io non so per quanto ancora riuscirò a resistere, lo scontro di prima mi ha sfinito” rispondo.
Lui mi guarda per qualche istante, poi parla: “Allora abbiamo bisogno d’aiuto. Va a chiamare anche John e Tom”.
“Cosa credi possano fare! Inoltre sono feriti!” ribatto.
“Se noi due veniamo sconfitti ora, loro dovranno affrontarlo da soli dopo; quante probabilità hanno di vincere?”. Non rispondo. “Dunque è meglio affrontarlo ora tutti assieme” conclude. Io annuisco.
Erik si fionda in avanti, per distrarre il mostro, mentre io mi dirigo il più velocemente possibile dalla parte opposta.
Non impiego molto tempo a trovare gli altri, li sento parlare ad alta voce. Così entro nella casa, sfondando una finestra.

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Capitolo 22
*** La fine ***


Penso che debba parlare te con i tuoi amici.
D’accordo.
Mi guardo attorno, sono in una piccola, o a me sembra tale, stanza. Contro la parete di fondo, vedo Tom e John, spaventati, che mi stanno fissando. Poi Tom grida, correndomi incontro: “Jack sei tu! Sei ancora vivo!”, mi inginocchio per poter essere quasi alto come lui, poi Tom mi abbraccia.
“Jack, per la miseria, che ti è successo? Sei molto diverso rispetto a prima!” esclama John. Penso che si riferisca al fatto che ora, in questo momento, sia molto più alto, rispetto alla prima volta in cui ha visto questa forma. Come avevo già notato, più la nostra forza aumenta, più il nostro corpo si ingrossa.
Comunque non rispondo a John, prima mi guardo attorno per cercare Monica, e la vedo sdraiata su di un materasso, un po’ pallida, ma viva. Poi mi rialzo.
“Dovete venire entrambi con me” dico.
“Ma Monica... Non la possiamo lasciare qua da sola!” dice John.
“È al sicuro finché terremo lontano quel mostro da questo posto; mostro che dobbiamo sconfiggere, altrimenti nessuno sarà più al sicuro; io ed Erik, da soli, non possiamo farcela”. Questo sembra convincerli. “Okay, allora voi raggiungetemi, io vi precedo in volo” detto questo usciamo dalla finestra da cui siamo entrati.
 
 
 
 
Ritorno da Erik il più velocemente possibile, e senza neanche farlo apposta lui sta attaccando. Sta per colpire una testa dalla direzione opposta alla mia, e io decido di fare un attacco combinato. Accelero ulteriormente e nell’esatto momento in cui lui colpisce una testa, io colpisco l’altra, facendole così scontrare fra di loro. Il boato dell’impatto è fortissimo, ma non mi sembra che si sia fatto granché. Io ed Erik ci allontaniamo.
“Ottimo tempismo” dice.
Io sorrido: “Dopotutto non eravamo la miglior coppia di guerrieri?”.
Sorride anche lui: “Già”. E ci lanciamo all’attacco assieme, perfettamente coordinati. Evitiamo una coda, e colpiamo ancora una volta una testa, scagliandola a terra; riprendiamo quota e ci lanciamo sull’altra. Continuiamo così per qualche minuto. Ma anche se gli facciamo male, non riusciamo a ferirlo.
“È inutile” commenta Erik, quando ci fermiamo, entrambi con il fiato grosso.
“Ho un idea. Colpiamolo contemporaneamente” dico.
“Fino ad ora che abbiamo fatto?” risponde.
“No, intendo colpire lo stesso identico punto assieme, con tutte le nostre forze”.
“Sì, forse potrebbe funzionare”.
Atterriamo a qualche centinaio di metri da lui. Con un gesto indico il punto: la gola della testa di destra. Ci prepariamo. Poi scattiamo contemporaneamente. Battiamo le ali contemporaneamente, producendo un’onda d’urto che distrugge le poche costruzioni rimaste ancora in piedi alle nostre spalle. E voliamo in avanti, veloci, troppo veloci per lui.
Colpiamo il punto contemporaneamente, esattamente lo stesso punto nello stesso istante; i nostri due pugni affiancati sprofondano per qualche centimetro nella gola del mostro. Mentre l’onda d’urto del nostro colpo scaglia via sia noi che lui.
Mi rialzo da terra, spazzolando via polvere e detriti vari con un sorriso sulle labbra; questa volta ci siamo riusciti. Ho il ricordo preciso dalla mia mano che affonda nella sua gola; se non è morto, ci è andato vicino. Mi volto verso Erik e vedo che anche lui sta sorridendo. Sento dei passi alle mie spalle; mi volto e vedo John e Tom, sono arrivati un pochino in ritardo.
“Mi spiace, la vostra presenza non è più richiesta” commenta divertito Erik.
“Perché?” chiede John. Erik indica il corpo del mostro: “Ormai è morto” dice, sorridendo. Ma John ribatte serio: “Penso che lui non condivida il tuo parere”. Non capisco subito a chi si sta riferendo, poi un’idea assurda mi nasce nella mente. Mi volto e purtroppo quest’idea trova conferma: non è ancora morto, anzi sembra più in forze di prima. È immobile con le quattro zampe ben piantate nel suolo, i colli inarcati e le due teste che ci osservano dall’alto, con la bocca aperta, in quello che potrebbe essere un sorriso di trionfo.
Quello che succede dopo è troppo veloce, perché possa reagire in tempo.
Le due teste e le due code si muovono contemporaneamente contro noi quattro. Riesco a capire che una delle code è diretta verso di me, ma non riesco a fare null’altro che ripararmi con un braccio, il quale, assieme a tutta la parte sinistra del mio corpo, dalla spalla in giù, viene tranciato di netto. Mentre cado vedo che Erik riesce miracolosamente ad evitare la coda diretta verso di lui, altrimenti sarebbe morto. John, che si è trasformato da pochi secondi, riesce a bloccare la testa, che si è diretta contro di lui.
Invece Tom non reagisce in tempo. L’enorme bocca si spalanca e lo inghiotte.
Per qualche secondo rimaniamo immobili; io a terra, Erik in aria e John, che sta ancora tenendo la testa tra le zampe.
Poi un ruggito bestiale squarcia l’aria; un ruggito che proviene da John. Lancia la testa a terra e inizia a colpirla e mentre la colpisce cambia, comincia a trasformarsi nuovamente.
Il suo corpo si ingrandisce, diventa alto quasi quanto il mostro; i suoi occhi cominciano a brillare di un rosso intenso, mentre, partendo proprio da sotto gli occhi, la sua pelle comincia a venire ricoperta di qualcosa simile al metallo; questa copertura riveste il suo corpo fino all’addome.
Quando la trasformazione è terminata, quindi dopo pochi secondi, John con una zampata colpisce la testa, lanciandola via, con tale forza da riuscire a spostare l’intero corpo, che si rovescia su di un fianco. Poi continua ad attaccarlo senza dargli tregua. Il mostro prova a reagire, cercando di mordergli una spalla, ma le sue zanne stridono al contatto della pelle metallica di John e poi si spezzano. Erik scoppia a ridere e io lo imito. C’è molta soddisfazione nel vedere quel lucertolone prendersele di santa ragione.
Dopo l’ennesimo colpo, John si allontana ansimante. Purtroppo non ha ottenuto molti risultati, solo qualche graffio.
Non ci credo, non è possibile che sia così forte.
Io e Erik ci prepariamo ad intervenire per aiutare John, che sta per attaccarlo nuovamente, ma veniamo anticipati.
Una coda guizza fulminea e apre uno squarcio nell’addome scoperto di John.
Si sente un urlo di dolore, poi l’enorme mole di John cade pesantemente al suolo, facendo tremare tutto. Rimango immobile per qualche istante, poi mi lancio in avanti urlano; una testa scatta nella mia direzione e con un morso mi trancia in due.
Cado a terra.
 
 
 
 
 
La prima cosa che faccio quando mi riprendo è cercare Erik. Gli occhi si spostano da soli e mettono a fuoco una figura in cielo.
Là, non è ancora morto, ma è ferito abbastanza gravemente.
Dobbiamo... Dobbiamo andare ad aiutarlo.
Ci rialziamo con grande fatica, abbiamo la vista annebbiata e le nostre gambe non ci reggono più. Con un colpo d’ali ci alziamo in cielo, diretti verso Erik. Senza neanche muovere una testa nella nostra direzione il mostro ci colpisce da dietro con una coda. Veniamo lanciati via.
Ci schiantiamo contro il tetto di un palazzo e fortunatamente ci fermiamo. Proviamo ad alzarci, ma cadiamo in ginocchio.
Ormai è finita.
Vedo Erik venire colpito e cadere a terra; non si rialza. Lentamente il suo corpo torna umano.
Basta. Basta è finita, è inutile continuare; ha vinto lui. È troppo forte.
No! Jack non arrenderti!
Per quale motivo. Se ci arrendiamo magari ci grazierà con una morte rapida.
NO! JACK! Jack reagisci, ti prego! Se tu non vuoi combattere, non posso farlo neanche io!
Perché? A che scopo continuare. Basta, basta, basta...
Chiudo gli occhi e lentamente sprofondo nel buio, mentre ritorno umano.
Poi all’improvviso un urlo, un urlo umano. Apro gli occhi e vedo una figura correre verso il mostro. La riconosco immediatamente: Monica.
 
 
 
(Erik)
L’ultimo colpo non riesco ad evitarlo e vengo scaraventato al suolo.
 
 
 
 
 
Mi spiace, ma ho raggiunto il limite.
Non ti preoccupare, non solo tu. Anch’io mi sento a pezzi.
Lentamente ritorno umano, ed è ancora peggio. Riesco solo a voltarmi a pancia in su, e rimango in questa posizione ad osservare il mostro.
Stiamo per morire.
Sì, ancora una volta siamo stati sconfitti da quell’abominio.
Mi spiace. Però non è ancora detto. Magari Jack può...
Ma non completo la frase perché Jack sta lentamente tornando umano sotto ai miei occhi.
No, maledizione Jack, non puoi arrenderti! Solo tu puoi ancora riuscire a sconfiggerlo!
Provo ad alzarmi in piedi, ma vengo fermato da un grido. Metto a fuoco una figura che sta correndo verso la zampa del mostro armata di un tubo di ferro.
Che uomo coraggioso.
Poi riesco a vederla bene e mi accorgo che è Monica.
Nel momento in cui la riconosco, un altro grido, che non ha nulla umano risuona nell’aria. Dopodiché la costruzione su cui si trovava Jack crolla.
Dal nulla sbuca una figura, proprio di fronte a Monica, che ferma con una sola mano la zampa del mostro, che si stava per abbattere su Monica.
Osservo la figura appena comparsa: è un essere incredibile, che non ho mai visto, ma che in qualche modo mi ricorda la trasformazione di Jack. Solo che rispetto a questa ha un particolare in più: è scuro, nero, come se la luce del sole non lo illuminasse, come se deviasse prima di toccare il suo corpo.
L’altro braccio di Jack compie un leggero movimento e l’intera zampa del mosto si stacca dal corpo, cadendo al suolo accompagnata da una fontana di sangue nero. Contemporaneamente la figura di Jack sparisce e sul corpo del mostro si apre un profondo squarcio, da fianco a fianco. L’intero corpo dell’essere si inarca, mentre un terribile grido di dolore esce dalle sue due bocche; grido che viene interrotto poiché su entrambe le gole, contemporaneamente, si apre un taglio, che continua ad ingrossarsi, finché entrambe non si staccano e cadono al suolo.
Jack, anzi un essere che dovrebbe essere Jack, compare qualche istante dopo accanto al corpo, senza vita, del mostro.
Io non faccio nulla, anche perché non ne avrei la forza, rimango semplicemente fermo a contemplare questo essere d’ombra, che mi è al tempo stesso sconosciuto e famigliare.
All’improvviso il corpo ha uno spasmo e la figura cade in ginocchio, con le mani si afferra la testa, mentre dalla sua bocca esce un urlo, anzi un suono, acuto e lacerante.
 
 
 
 
(Jack)
Improvvisamente ritorno a vedere. Di fronte a me c’è il mostro, morto; entrambe le teste giacciono al suolo, staccate di netto dal resto del corpo.
Ma che...
Poi mi torna in mente tutto e, urlando di dolore, sprofondo nel buio.
 
 
Sospiro, allungando le braccia dietro di me e mettendomi in una posizione più comoda, mentre osservo il sole tramontare sul rifugio di Franky, su ciò che un tempo era la mia casa. Sono voluto tornare qui oggi, perché domani mattina questo posto verrà raso al suolo, tanto non ce n’è più bisogno. Così ho voluto dargli un ultimo saluto, a lui e a tutti quelli della mia vecchia famiglia, che ora non ci sono più.
“Senti Jack, ti volevo dire una cosa. Quando, quando la situazione sarà tornata abbastanza alla normalità, mi piacerebbe tornare nel luogo in cui sono nato. Ora che qui è tutto finito, mi piacerebbe tornare a casa”. Io continuo a guardare il sole.
Sono passati quasi tre mesi dal giorno in cui, da quanto mi dicono, ho ucciso anche l’ultimo dei nostri nemici. E la maggior parte di questo tre mesi li ho passati dormendo. Beh, non proprio dormendo, perché ero stanco; diciamo che ero svenuto molto profondamente e nessuno riusciva a svegliarmi. Quell’esperienza, l’aver liberato completamente il vero potere di Regina, ha sconvolto entrambi, sia me che lui.
Non soltanto ne ho risentito fisicamente, ancora oggi mi sono debolissimo: ogni azione, che richiede un certo impegno, per me è impossibile da compiere (è per questo che mi sono fatto accompagnare qui da Erik, da solo non sarei mai riuscito ad arrivarci); ma anche mentalmente. Come ha detto Regina stesso, è già un bel risultato che io ora non sia completamente pazzo, anche se spesso mi capita di dimenticarmi che sono, così, all’improvviso, oppure di non riuscire più a distinguere i miei ricordi, la mia vita, dalla sua. E questo è successo perché in quei minuti, in cui abbiamo sconfitto i dottore, le nostre menti, le nostre coscienze erano diventate completamente un tutt’uno; ma la mente di un uomo normale viene completamente annientata al contatto di quella di un essere come Regina.
Tuttavia una nota positiva c’è: ora siamo più legati, più... vicini. Non abbiamo più bisogno di comunicare, capiamo istantaneamente le intenzioni dell’altro.
Mi volto verso Erik: “Non ti devi sentire in obbligo verso di noi; questa non era la tua casa, eppure hai lottato per proteggerla. Sentiti libero di andare quando vuoi”. Lui torna a contemplare la Città, ora diversa rispetto a prima.
 Infatti, mentre io dormivo, gli altri si sono dati da fare. I sopravvissuti dello scontro, soltanto qualche milione di persone, sui miliardi che erano prima, si sono uniti hai pochi Cittadini, che hanno preferito uscire dalla città sotterranea e tornare a vivere in superficie, approfittando di un momento di confusione generale, appena dopo la nostra vittoria.
Abbiamo scoperto che sotto la Città ne esiste un’altra, forse ancora più grande, in cui erano stati fatti evacuare i cittadini quella notte, e in cui la maggior parte di loro continuerà a vivere. Mentre qui in superficie abbiamo iniziato ad abbattere il Muro e le baracche che circondavano la Città, dato che da ora in poi saremo tutti uguali.
Certo, c’è comunque un senso di risentimento fra i Cittadini e gli abitanti delle baracche; ci vorranno anni prima che scompaia, però ora siamo tutti più felici; anche se questa felicità è costata cara.
“Grazie, Jack” mi risponde Erik, “Ora andiamo. Monica e John ci staranno aspettando, anche se la prima penso che sia più interessata a te che a me!” continua, deridendomi.
“Ancora con questa storia! Secondo me sei geloso!” dico, ridendo,  mentre mi alzo in piedi. Poi Erik mi afferra e ci alziamo in volo.
Guardo per un ultima volta il rifugio di Franky, la croce bianca spicca, illuminata dal sole.
Franky, Michael, Tom, Tauros e tutti voi, miei vecchi fratelli.
Addio.

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