Vita complicata di Wise girl (/viewuser.php?uid=648361)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Conosco la mia nuova famiglia ***
Capitolo 4: *** Continuo a conoscere nuove persone ***
Capitolo 5: *** Che sta succedendo? ***
Capitolo 6: *** Chi è quell'uomo? ***
Capitolo 7: *** Scopro la verità ***
Capitolo 8: *** un vuoto dentro ***
Capitolo 9: *** Medhattan Immediate Care ***
Capitolo 10: *** In partenza per... ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Okay
allora innanzi tutto ciao.
Questa
storia potrebbe presentarsi come una noia e forse lo sarà, ma
se vi ho incuriositi almeno un po’ lasciatemi una recensione
anche dicendo solo “ No guarda che non è proprio il tuo
campo”.
Prologo
Mi
presento: mi chiamo Emily Ansom, vivo a San Francisco, ho 15 anni e
sono figlia di Sean Ansom e Annabeh Chase, non sono altissima e non
riesco ad accettarlo, mi consola il fatto che ho ereditato i capelli
biondi di mia madre anche se gli occhi no, perché i miei sono
marroni scuro e quelli di mamma di un grigio intenso.
Che
altro dire... Ah si, i miei sono "divorziati" anche se non
credo che sia il termine adatto, non ho mai conosciuto mio padre, ha
lasciato la mamma non appena ha saputo che era incinta, a 18 anni.
Eh
si, si fa presto a rimanere incinta: una sbronza, sesso senza le
precauzioni adeguate e il gioco è bello che fatto! Perché
è questo che sono io, uno sbaglio, non dovevo nemmeno nascere,
ma andiamo avanti.
Sono
cresciuta con mia madre, aiutata da un suo vecchio amico Grover
Underwood, un ragazzo sudamericano con i capelli marroni e ricci, che
porta una simpatica barbetta affusolata sul mento.
Solo
all'età di 13 anni ho scoperto che Grover non era il mio padre
biologico, ma neanche il fidanzato di mamma, in primo luogo per il
mio cognome e secondo perché mi pareva strano non vederli mai
fare le coccole.
Mi
ricordo ancora il giorno in cui ho scoperto questo fatto: ero appena
rientrata dalla scuola non troppo triste per il mio 7 preso in
grammatica.
"Emily
dobbiamo parlare..." disse mia mamma con voce triste.
"Cosa
c'è?" domandai un po’ allarmata vedendola seduta
sul divano con Grover ( che allora credevo papà ) a fianco.
"Dai
siediti" aggiunse Grover indicandomi con un gesto una sedia
vicino al divano. Io la presi e dopo averla posizionata davanti al
divano mi sedetti.
"Ho
fatto qualcosa di male?" ridomandai.
"No
tesoro è che...tu insomma...sai come nascono i bambini?"
Riuscì a chiedermi.
"Beh...si"
risposi leggermente in imbarazzo.
"Bene
okay ecco... Sai che per fare un bambino ci vuole sia un uomo che una
donna e prima che.."
"Mamma
arriva al punto per favore!" La pregai.
"Grover
non è tuo padre" affermò.
Rimanemmo
tutti zitti fino a qualche secondo dopo, quando io mi alzai e corsi
in camera.
Eh
si, non proprio uno dei miei ricordi migliori, per uno davvero bello
dovrete aspettare qualche mese della mia vita.
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Capitolo 2 *** Incontro ***
Incontro
Incontro
La
campanella suonò segnalando la fine della lezione e l'inizio
dell'intervallo: tutta i miei compagni corsero verso la porta
spintonandosi per essere i primi ad uscire e arrivare primi alle
macchinette per avere la scelta migliore, io però non mi
mossi.
Rimasi
seduta a pensare a quello che mi aveva detto mia madre tre sere fa.
"Sai
dovresti mangiare qualcosa" disse una voce sedendosi accanto a
me, mettendomi davanti agli occhi un muffin.
Jerry,
uno dei miei più cari amici dalla quinta elementare: è
alto, i capelli neri mossi e gli occhi color nocciola.
"Emily
mi vuoi dire cosa c'è? È da ormai tre giorni che sei
cosi!" Mi domandò stufo di questo mio comportamento,
vedendo che rifiutavo il muffin.
Di
solito non amavo quando gli altri si preoccupavano per me, ma quando
lo faceva Jerry mi dava una sensazione strana … poi non potevo
non dirgli niente.
"Non
so come dirlo, mia madre a conosciuto un uomo e si è
innamorata" mi fermai un attimo.
"Ma
Emily è una notizia fantastica! Voglio dire tua madre
ricomincia ad amare un uomo..."
"Partiamo
domani per New York!" Annunciai zittendolo, “lui abita là”
aggiunsi.
Rimanemmo
entrambi zitti fino al suono della fine dell'intervallo, ci
aspettavano due ore di geografia.
Alla
fine delle due ore di lezione, che parvero interminabili, tutti
uscirono felici di trovarsi liberi all’area aperta.
Nell'atrio
mi ritrovai come al solito con il mio gruppetto d'amici: Shannen,
Bryan, Jerry e Lucy, a parlare in attesa che Grover venisse a
prendermi.
Di
solito si parlava del più e del meno o di quanto fossero
pesanti le lezioni, ma quel giorno attendevano tutti delle
informazioni sulla mia partenza.
"Emily,
allora è vero? Parti?" Mi chiese triste Shannen.
"A
quanto pare si. Mia madre a già sistemato tutto con la scuola,
parto domani mattina presto", confessai a malincuore.
"La
scuola senza di te non sarà più la stessa. Lo sai,
vero?" confermò Lucy con gli occhi rossi.
Lucy
era l’unica che conosceva il mio passato, a parte Jerry, ma a
differenza di lui, lei capiva perché non ero quasi mai allegra
e mi sosteneva in ogni momento. Ha i capelli marroni che porta a
caschetto e gli occhi chiari.
È
molto sveglia per la sua età, l'unico difetto che ha è
che si commuove un po’ troppo spesso.
"Lucy,
così mi fai piangere, ci possiamo sempre vedere con Skype e
sicuramente ci rivediamo, magari per le vacanze" la rassicurai
io.
Lei
mi abbracciò, l'abbraccio fu seguito da quelli di Shannen e
Bryan.
Shannen
e Bryan sono fratelli, anche se è difficile crederlo: lei ha i
capelli rossicci e porta gli occhiali, Bryan invece è biondo,
l'unica cosa che non li differenzia sono gli occhi verdi con accenni
a un marrone chiaro.
Dopo
l'abbraccio si avviarono per la strada che gli conduceva a casa.
Rimanemmo soli io e Jerry.
"E
così finisce qui? Voglio dire cioè te ne vai?"
domandò lui, anche se sapeva benissimo la risposta.
Io
mi limitai a accennare un lieve si con la testa.
"Mi
mancherai...più di tutti" sussurrai soprattutto le ultime
tre parole a bassa voce.
"Anche
tu" mi rispose.
A
quel punto i nostri corpi si avvicinarono a tal punto da sfiorarsi,
esitammo un attimo e poi mi alzai sulle punte per dargli un bacio, in
altri momenti sarei stata felicissima di baciare un ragazzo, ma
quello era un bacio d'addio malinconico.
Ad
un certo punto il clacson di un auto suonò "Grover, devo
andare ciao" gli dissi staccandomi dal bacio e dirigendomi alla
macchina.
Arrivati
a casa Grover aveva preparato dei panini che mangiammo davanti alla
televisione.
"Dové
mamma?" Chiesi.
"Doveva
finire delle cose al lavoro" rispose dando il primo morso ad un
panino.
"Com’è...
il ragazzo di mamma" chiesi esaminando il mio panino.
"Molto
dolce, almeno quando l'ho visto mi è sem..." affermò.
“Aspetta
un attimo che vuol dire l’hai visto?!” lo interruppi, ma
proprio in quel momento la porta si aprì.
"Sera"
urlò Grover alzandosi dal divano.
"Ciao"
disse mamma baciandogli la guancia, poi si rivolse a me "signorina,
tu non mi saluti?!".
Io
mi limitai ad un leggero cenno con la mano, lei sorrise. Non
sorrideva da tempo ormai, poi mi diede un sonoro bacio sulla guancia
e si mise a parlare con Grover.
La
notte mi continuavo a rigirare nel letto, mi passavano per la mente
un miliardo di cose: il bacio con Jerry, il discorso con Grover ,
l'abbandonare i miei amici, il fatto di dovermi rifarmi una vita una
volta a New York ma soprattutto la felicità di mamma.
Decisi
che era giusto così: anche se lasciavo i mie amici per
convivere con un tizio che non conoscevo la mamma sarebbe tornata
dopo tanto felice ed era questo l'importante.
Il
giorno dopo alle sei mi alzai e mi preparai per il tragitto in
macchina fino all'aeroporto.
Finita
la colazione salimmo in macchina per arrivare pochi minuti dopo in
aeroporto, scendemmo e ci dirigemmo al check-in, infine arrivammo
davanti alla coda per il metal detector.
"Bene,
a quanto pare qui le nostre strade si dividono" disse Grover col
suo solito tono che trasmette allegria.
"Si"
sospirò mia madre abbracciandolo.
“Aspetta
Emily ti ho preso un regalo”. Grover mi porse uno strano
oggetto.
“E’
un acchiappasogni, serve per intrappolare i bei sogni” mi
spiegò.
Io
lo abbracciai: "grazie…sarai sempre tu il mio primo papà"
gli sussurrai, lui mi strinse ancora più forte.
Poi
io seguii mia madre nella coda per il metaldetector, una volta saliti
sull'aereo ci preparammo per il volo che non fu tanto male, se non
teniamo conto del fatto che sedevo vicino a una famiglia felice.
Una
volta atterrati nell'aeroporto di New York contai i minuti che ci
mancavano per incontrare l'uomo che mi avrebbe sconvolto la vita, per
quanto ancora si possa sconvolgere. Recuperammo le valige dal rullo
trasportatore e ci incamminammo verso la sala degli arrivi.
"Ehi!
tutto bene amore?" Mi chiese posandomi una mano sulla spalla.
Io
non parlai.
"Tesoro
lo so che è difficilissimo anche per me, credimi, ma vedrai
come sarà facile tra qualche giorno" mi rassicurò.
"Non
è mai stato facile" dissi tristemente.
"Lo
so, ma vedi...tu sei una persona dolcissima che mette sempre le
priorità degli altri al posto suo, sei fortissima! Ce la fai a
fare questo sforzo in più, lo so che ti chiedo tanto ma vedrai
che adesso le cose andranno meglio" mi chiese. Nella sua voce
c’era approvazione, richiesta, compassione ma anche un po’
di felicità.
Io
l’abbracciai forte e mi impegnai al massimo per dire un si
abbastanza convincente.
Uscimmo
dalla porta a vetri ed io notai subito un uomo più o meno
della stessa età di mamma, e che uomo! (per un attimo
desiderai di aver ereditato la capacita di scegliere gli uomini di
mamma) era alto, muscoloso ma non troppo, con una chioma ribelle di
capelli di un nero corvino e due bellissimi occhi verdi brillante.
Capì
che era lui che ci stava aspettando perché mia madre affrettò
il passo.
"Ciao!"
proclamò il signore dando un lieve bacio sulle labbra di
mamma.
"Ciao,
ti presento mia figlia Emily" annunciò mia madre
indicandomi.
Lui
mi guardò rivolgendomi un sorriso io feci lo stesso, ma il mio
si spense non appena vidi un ragazzo che si teneva al cappotto
dell'uomo, aveva all'incirca 13 anni. Mi ricordava Jerry tranne per
gli occhi, color verde pistacchio, anche lui aveva il mio stesso
identico umore.
"Ah
si e lui è Luke, mio figlio" chiarì l’uomo.
"Ma
che maleducato che sono! Tua madre mi conosce bene, ma tu no, sono
Percy Jackson" disse porgendomi una mano.
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Capitolo 3 *** Conosco la mia nuova famiglia ***
Conosco la mia nuova famiglia
A
partire da questo capitolo alternerò alcune volte nella storia
il punto di vista di Emily con quello di Annabeth.
Conosco
la mia nuova famiglia
Percy
ha un figlio? Magnifico! Ed è anche lui frutto di una notte
non voluta sotto le lenzuola o cosa? Pensai tra me e me, mentre ci
incamminammo fuori fino ad arrivare davanti a una Mazda CX7 nera che
identificai essere di Percy. Caricammo i bagagli e partimmo.
"Allora,
dove stiamo andiamo Percy?" Domandò mia madre,
risparmiandosi parole tipo: amore, tesoro o cose del genere, che io
ma neanche Luke penso avrebbe retto.
"Da
mia madre, voglio farle conoscere la mia nuova famiglia" rispose
lui.
Io
a quella parola che avevo sentito poche volte nella vita mi sentii un
po’ meno da schifo e decisi di rompere il silenzio.
"Allora...ti
piace …. ascoltare la musica?" che
domanda stupida Emily mi disse una
voce
nella testa.
"Quella
Rock" si limitò a rispondere.
"Che
materia ti piace a scuola?, Di che segno zodiacale sei?"
ma riesci a fare le domande seguendo un filo conduttore o no?
Mi
rimproverò la voce.
"Mi
piace matematica e arte e sono leone" specificò.
Per
fortuna la macchina si fermò e scendemmo, fermando quella
conversazione che non aveva né capo né coda. Arrivammo
nel condomino della mamma di Percy.
Appena
la porta dell'appartamento si aprì venni avvolta da una
sensazione piacevole. Venimmo accolti da una signora quasi sulla
cinquantina. "Tesoro! Venite! Entrate pure" disse la
signora.
Non
ci facemmo pregare ed entrammo: subito un cane tutto nero ci venne
incontro abbaiando. "Lei è O’Leary" spiegò
la signora "…e lui e Paul" confermò indicando
un signore che ci rivolse un sorriso.
"Oh,
ma che sbadata che sono, sono Sally Jackson, la madre di Percy"
si presentò.
"Mamma,
lei è la famosa Annabeth e lei è sua figlia Emily"
dichiarò Percy indicandoci.
"Si,
Percy mi ha parlato spesso di te. Adesso capisco perché hai
colpito tanto mio figlio, sei un fiore" disse, stringendo la
mano a mia madre. "E tu mia cara non sei da meno" affermò
rivolgendosi a me. Entrambi sorridemmo lusingate.
"Bene
amore, vuoi restare per pranzo?" Propose Sally rivolta a suo
figlio.
"No
grazie mamma, abbiamo prenotato fuori" si affrettò a dire
Percy.
Usciti
dal condomino e saliti in macchina ci dirigemmo …. veramente
non ne avevo idea… credo a un ristorante visto quello che
aveva detto Percy poco prima.
“In
verità ho ordinato la cena a casa" confessò lui.
“Che
ne dici Emy (il soprannome che mi aveva dato), lo perdoniamo?”
Mi chiese mamma voltandosi verso il sedile del passeggero.
“Si,
certo” risposi sentendomi chiamata in causa.
Arrivammo
in un vialetto dove Percy parcheggiò la macchina. Entrati in
casa Percy iniziò a mostrarcela.
Altro
che il trilocale di Grover. Quella casa era immensa! No, forse
immensa è un po’ troppo, ma per il mio concetto di casa
era grande: due piani, nel primo il salotto un bagno e la cucina, al
secondo un altro bagno e due camere.
“Fermi
un attimo quindi… io devo dormire con tuo figlio?”
reclamai, non curandomi della domanda un po’ scontata.
“Beh
si, ma se preferisci per i primi giorni puoi dormire con tua madre se
lo preferisci” spiegò Percy.
“Devo
dormire con una femmina?!” chiese con avversione Luke.
A
quelle parole affrettai il passo e aprì una porta che scoprii
portare in quella che sarebbe stata la mia stanza e mi sedetti sul
letto.
“Emy,
che ti prende, è per via di Luke?” mi domandò
Annabeth che mi aveva raggiunto.
“No,
non è lui, è che… mamma scusa ma io proprio non
ce la faccio! Mi manca Grover, i miei amici e San Francisco”
confessai cercando di trattenere le lacrime.
“Okay
allora…chiamo Grover e gli dico che torniamo” disse
alzandosi.
“No!
aspetta… scusa, restiamo”.
“Emy
non devi scusarti. Ho sbagliato io non eri ancora pronta per cambiare
città così da un giorno all’altro” mi
corresse lei.
“Mamma
io voglio che tu torni ad essere felice” dichiarai.
“Emy
io sono felice se anche tu lo sei” mi confermò
risedendosi accanto a me.
In
quel momento la porta si aprì ed entrarono Percy e Luke.
“Scusami
Emily” si affrettò a dire Luke.
“No
scusatemi voi” risposi rivolgendomi ai due appena entrati.
“Campione
perché non esci un attimo con Emily a farle vedere la città?”
propose Percy a suo figlio dandogli 20 euro.
Il
ragazzo alla vista dei soldi si animò subito: “certo!
Vieni Emily” mi chiamò e uscimmo.
“Scusami
per prima. E’ che sono un po’ nervoso, non riesco ad
accettare il fatto che mio padre abbia un'altra dopo la mamma”
mi disse.
“Posso
capirti, anche io sono nervosa, ma al contrario di te voglio che la
mamma abbia qualcuno oltre a me sai…” esitai un minuto
poi decisi di raccontargli la mia storia, visto che da ora in poi
sarebbe vissuto con me “… mia madre mi ha avuto a 18
anni con un certo Sean Ansom che mi ha riconosciuta quando sono nata,
quindi ho preso il suo cognome però poi è sparito
lasciando mamma da sola. Il mio cognome mi fa schifo perché è
di un uomo che non ho mai conosciuto e forse non si ricorda nemmeno
che esisto” dissi tutto d’un fiato.
“Invece
mia madre ci ha lasciati quando avevo 5 anni, mi ricordo che mi ha
accompagnato all’asilo e quando mio padre venne a prendermi mi
disse che c’era stato un incidente e lei non c’era più.
Allora io ero piccolo e capì solamente che non sarebbe più
tornata” mi raccontò.
“Non
so dire quale delle due storie sia la peggiore” dissi dopo aver
ascoltato.
“Beh
almeno abbiamo una cosa in comune… tutti e due abbiamo un
passato che fa pena”.
Lui
annuì.
Annabeth
pov’s
Sono
in camera con Percy a parlare.
“Certo
che tua figlia ha un bel caratterino” dichiarò lui.
“Non
lo so, a volte mi sembra di sbagliare tutto con Emily, mi sento la
mamma peggiore del mondo!” ammisi.
“No
sbagli, ti sottovaluti solamente” rispose. Io sorrisi
leggermente.
“Sai,
non so proprio come quel Sean abbia fatto a lasciati, sei bellissima
e anche molto sexy!” ammise, prima di darmi un bacio.
“Beh
anche tu non sei malaccio” controbattei, staccandomi.
Poi
si intristì un attimo ma non capii il perché. Mi venne
un’idea.
“Senti,
se io mandassi un messaggio a mia figlia dicendole di restare fuori
a mangiare qualcosa, così che possiamo avere un po’ di
tempo per noi?” gli domandai sorridendo.
“Mi
pare un’ottima idea ” ripose prima di ricominciare a
baciarmi.
Emily
pov’s
“Bene,
allora io ho ricevuto un messaggio di mia mamma che dice di restare
pure a mangiare fuori” dichiarai dopo aver letto il messaggio
sul cellulare.
“Io
e papà abbiamo appena fatto la spesa ieri, che strano”
disse Luke.
“Risparmiati
la cucina di mia madre, almeno per il primo giorno, non ti perdi
nulla , tranquillo” lo rassicurai.
Lui
rise. “Okay, allora… una pizza”.
“Mi
hai letto nel pensiero! Ti piace la pizza?”
“Moltissimo,
dai vieni”.
E
ci dirigemmo verso una pizzeria.
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Capitolo 4 *** Continuo a conoscere nuove persone ***
Mi faccio dei nuovi amici
Ho voluto
mantenere i cognomi ufficiali, ma fare che Thalia, Percy e Nico sono
cugini.
Continuo
a conoscere persone nuove
Annabeth
pov’s
“Sai,
era da tempo che non parlavo più con un uomo a parte che con
Grover” dissi.
“Se
quello lo chiami parlare… aspetta un attimo chi è
questo Grover?” domandò allarmato Percy.
“No
nessuno, un mio amico, non come potresti pensare tu” risposi.
Poi il
cellulare suonò ma non il mio.
“Pronto…
si ciao Rachel, no per quella cosa è tutto apposto ci vediamo
domani al lavoro, ciao” disse prima di riattaccare.
“E
questa Rachel invece chi è?” chiesi incrociando le mani.
“Una
mia cara amica” confutò.
“Quanto
cara?” lo incalzai.
“Ma,
per caso sei gelosa? Tranquilla se fosse tanto cara non sarei venuto
fino a San Francisco per cercarti” mi rispose.
“Okay
ti credo”. Poi il telefono suonò per dire che mi era
arrivato un messaggio.
“Emily
e Luke stanno tornando. Dai, vestiti” dissi dopo aver letto il
messaggio.
Subito
dopo qualcuno suonò alla porta:andai ad aprire.
“Ciao
cuginetto! Allora dov’e questo angelo biondo?” strillò
una voce.
“Piacere,
Annabeth Chase, l’angelo biondo” decretai, capendo che
con quel nomignolo si rivolgeva ha me.
“Oh
ciao! pensavo mi aprisse Percy. sono Nico Di Angelo” disse un
uomo di circa 30 anni, capelli neri e occhi dello stesso colore.
“Cugino,
che ci fai qui?” domandò Percy infilandosi la camicia.
“Sono
passato a farti un saluto e a conoscere la nuova arrivata in
famiglia” disse rivolgendo lo sguardo su di me: “dovrebbe
arrivare a momenti anche Talss”.
Emily
pov’s
Ci
stavamo incamminando verso casa.
“Ma
tu allora sai fare surf?” mi chiese Luke.
“Perché,
allora?”.
“Sei
di San Francisco, li vicino c’è il mare e magari lo
sapevi fare”.
“Ho
fatto qualche lezione, me la cavo si”.
“Che
forza! Ma con un istruttore?”.
“No
mi ha insegnato Jerry”.
“Uh…
e questo Jerry, non mi avevi detto di avere un fidanzato”.
“Ma
smettila è solo un mio amico”ribattei io.
“Sarà,
se lo dici tu”.
Arrivati
vicino a casa vidi una signora sulla quarantina che stava frugando
nella borsa alla ricerca delle chiavi della macchina che aveva li
vicino.
Aveva i
capelli corti e neri, vestita con dei jeans neri, una maglietta
bianca e una giacchetta di pelle nera.
“Zia
Thalia!” gridò Luke correndogli incontro.
“Ehi
ciao… e tu chi sei?” chiese notando la mia presenza.
“Sono
Emily Ansom, figlia di Annabeth Chase”.
“Si
certo la ragazza di mio cugino, Percy ci ha parlato un sacco di tua
madre e anche di te” rispose, rivolgendomi i suoi occhi azzurro
metallico.
Seguì
Thalia e Luke in casa per trovare mia mamma, Percy e un altro
signore.
“Ciao
Luke, ciao Talss. E tu sei?” esordì il signore.
“La
mia straordinaria bambina Emily” si affrettò a dire mia
madre facendomi arrossire.
“Io
sono Nico” si presentò il signore.
“Come
va con Etan Nakamura cugina?” chiese Percy rivolge dosi a
Thalia.
“Come
al solito lui mia ha lasciata, si vede che ho una calamita che attira
gli uomini stronzi” disse lei con nonchalance,
come se ormai ne fosse abituata.
“Non
solo tu” commentò mia mamma.
“Ehi,
stai dicendo che sono un poco di buono?” protestò Percy.
"No,
tu sei solo paurosamente bello" lo rassicurò mia madre.
Percy
gli stampò un bacio in bocca.
Rimanemmo
a parlare ed io a conoscere i famigliari di Percy fino a quando
Thalia esordi dicendo che doveva tornare a casa e uscì seguita
da Nico.
"Il
letto che abbiamo ordinato deve ancora arrivare, puoi dormire tu sul
mio, finchè non arriva, se ti va" mi propose Luke.
"Oh
ma che gentiluomo, grazie" risposi.
Arrivati
in camera io sistemai le mie cose: vestiti nell'armadio, portatile
sulla scrivania e l'acchiappa sogni di Grover sulla testata del
letto.
"Com'è
la scuola qui?" Domandai.
"Mah,
come in tutto il mondo: noiosa e inutile"
"Ah
ah. No, dai! La scuola non è inutile, forse noiosa a volte ma
ti insegna tante cose".
"Sai
che la scuola media e le superiori sono nello stesso comprensorio".
"Ah
si? Quindi mi toccherà vederti 24 ore su 24!" Scherzai
io.
Mi
arrivò un cuscino in faccia " non sei divertente"
disse lui ridendo.
"Ah
la metti così è" decretai e iniziò una
lotta di cuscini.
"Dai
forza a letto domani si va a scuola" inruppe la voce di mia
madre.
"Okay"
confermammo io e Luke e ci buttammo ognuno nel proprio letto. Mamma
ci spense la luce.
"Sai,
sono molto felice che papà abbia trovato Annabeth"
decretò Luke.
"Anche
io che mia mamma sta insieme a tuo padre" confermai.
Ci
fu un attimo di silenzio poi Luke ad un tratto disse " sai ho
sempre voluto una sorella maggiore".
In
tutto il corpo mi pervase una sensazione bellissima " anche io
un fratello" risposi, ma parlando al vento perché Luke si
era già addormentato, non ci volle molto che mi addormentai
anche io.
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Capitolo 5 *** Che sta succedendo? ***
Che sta succedendo
Eccomi
qua! Scusatemi per il ritardo ma sia la scuola che altre cose mi
hanno tenuto impegnata.
Che
sta succedendo?
Erano
passate due settimane in cui io avevo legato moltissimo con Luke,
mamma era molto felice anche perché vedeva me contenta e in
più stavano iniziando le vacanze di pasqua.
Quella
mattina mi svegliai col dolce suono della sveglia di Luke ( il suono
di una nave che affondava) e mi vestì con dei jeans scuri e
una maglietta grigia a maniche corte. Quindi scesi con Luke per fare
colazione.
Devo dire
che la colazione era buonissima, ma non saprei dire se perché
mia madre aveva migliorato le sue doti culinarie o per quel senso di
completezza che mi sentivo dentro da quella mattina.
“Bene
ragazzi, oggi alle 13:00 pranzeremo con un mio nuovo collega di
lavoro, Fred Consarm, che ne dite se voi due preparaste una bella
torta mentre io e Annabeth pensiamo al piatto forte?” ci
propose Percy.
“Si!”
esultammo io e Luke.
“Io
amo fare le torte, soprattutto mangiarle” esclamò il
ragazzo “so tutti gli ingredienti: uova, farina,
zucchero,latte, lievo”.
“Lievo?”
domandai alzando un sopracciglio.
“Si,
quella cosa che si mette nell’impasto per farlo crescere”
spiegò come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“Quello
è lievito, fratello” lo corressi dandogli una leggera
spinta che lo fece sbilanciare.
“Hai
detto fratello” mi fece notare lui.
“Si
certo” risposi, rendendomi conto che prima non me ne ero
proprio resa conto.
Lui esitò
un attimo “si certo, siamo una famiglia ormai!” commentò
felice.
Poi
cominciammo a cucinare, mamma e pa…Percy, ma no ormai posso
chiamarlo anche papà, del resto siamo una famiglia, come ha
detto Luke.
Quindi
mentre mamma e papà cucinavano il polpettone io e… mio
fratello preparavamo l’impasto per la torta.
“Guarda
che ne stai mettendo troppa di farina” mi fece notare Luke.
“Disse
quello che fino a 3 minuti fa pensava che il lievito si chiamasse
lievo” ribattei, continuando ad aggiungere cucchiate di farina.
“Sul
serio Emy, smettila” disse prendendomi il sacchetto di farina.
“No!
sulla ricetta c’è scritto 300 g e la pesa è solo
su i 250 g”dissi, afferrando il bordo del sacchetto.
Lui a quel
puto lasciò il sacchetto e io caddi rovesciandomi il contenuto
addosso.
“Ah
ah e tu adesso ne hai decisamente troppa addosso” rise lui.
Io
raccolsi un po’ di farina da terra e gliela buttai sulla
faccia. Non l’avessi mai fatto! Diedi inizio a una lotta di
farina che finì solo con l’intervento di Percy e
Annabeth.
“Emily
Ansom, vai subito a cambiarti! La stessa cosa vale per te Luke”.
Noi eseguimmo l’ordine.
“Credi
che l’abbiamo combinata grossa?” mi chiese Luke mentre
salivamo le scale.
“No…
abbiamo sporcato tutta la cucina e sembriamo due giganteschi topi
albini, ma non è grave” dissi sarcastica.
Ci lavammo
come meglio potevamo, avendo poco tempo a disposizione. Poi dopo
esserci vestiti scendemmo pronti per accogliere l’ospite.
Un attimo
dopo il campanello suonò e papà (Percy) andò ad
aprire ed apparve un uomo si e no della stessa sua età.
“Salve
a tutti, Fred Consarm, felice di conoscervi” annunciò
l’uomo. “Oh, e questi sono i tuoi figli presumo”
chiese poi.
“In
un certo senso si… e questa invece è Annabeth”
spiegò Percy.
Mia madre
alla vista dell’uomo si inrigidi e il sorriso che aveva in
volto svanì.
“La
mia…”. “Fidanzata” propose mia mamma non
muovendosi di una virgola.
“Esatto”
aggiunse Percy.
“Piacere,
io sono Emily” mi presentai.
Fred si
bloccò per un attimo, come se avesse ricordato qualcosa di
importante, poi disse “che bel nome”.
“E
io sono Luke” irruppe mio “fratello”.
Ci sediamo
a tavola e iniziamo a mangiare, ma per tutto il tempo mamma ebbe un
comportamento strano: non apriva bocca, tremava leggermente e a volte
si mordeva il labbro inferiore, segno che era agitata.
“Se
avete finito io sparecchio” disse ad un certo punto mia madre.
“Certo
cara, aspetta ti aiuto” proferì gentilmente Percy
alzandosi. Incominciarono a sparecchiare.
Annabeth
pov’s
“E’
impossibile, non può essere lui”
pensavo tra me e me.
“Tutto
bene amore?” mi domandò Percy preoccupato.
“Ecco
se ne è accorto! E ora che gli dico?”.
“Si
si tutto bene, mi fai un favore?” chiesi.
“Certo”
rispose.
“Scusami
con il signor Consarm e digli che non mi sento tanto bene”.
“Okay,
quindi ora vai a riposare” mi suggerì, prima di tornare
di la.
Emily
pov’s
“Quindi…lavori
con Percy?” domandai a Fred per ingannare l’attesa.
“Si,
esatto” rispose l’uomo guardandomi incuriosito.
“Beh
ragazzi Annabeth si scusa ma non si sente tanto bene e andrà a
letto” ci informò Percy.
A quel
punto Fred, che aveva già mostrato segni di incertezza nei
confronti di mamma per tutta la cena, sembrò ricordarsi
qualcosa, ma dall’espressione che aveva in volto non sembrava
molto piacevole.
Dopo
qualche minuto sentimmo un tonfo proveniente dalla cucina e
accorremmo tutti a vedere.
“Annabeth,
è successo qualcosa? Come ti senti?” chiese preoccupato
Percy mentre aiutava mia mamma ad alzarsi.
“No
niente, sono solo inciampata, tutto qui” rispose lei, mentre
guardava costantemente nella direzione di Fred ma questa volta anche
lui guardava con lo stesso sguardo fermo lei.
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Capitolo 6 *** Chi è quell'uomo? ***
Chi è quell’uomo
Chi
è quell’uomo?
Quella
sera ripensai al comportamento cosi strano di mia madre in presenza
di quell’uomo. Non mi convinceva: odiavo non avere il quadro
generale delle situazione, non sapere tutto di tutti. Insomma almeno
per le cose importanti, non come forse potrete pensare, per l’ultimo
gossip su dei ragazzi o l’ultimo vestito alla moda. Nonostante
i miei continui sforzi non capivo il motivo del comportamento di mia
madre.
Decisi che
a un certo punto ovvero l’una di notte dovevo lasciare quei
pensieri e mettermi a letto. Luke dormiva già da un pezzo,
almeno per quanto sentivo, quindi cercai di dormire.
La
mattina dopo mi svegliai non troppo presto e scesi per fare
colazione.
“Buongiorno,
ci siamo svegliati presto oggi” ironizzò Percy. Lui
scherzava sempre anche nei momenti un po’… più
tristi.
“Dov’è
mamma” domandai tra uno stiracchiamento e uno sbadigliò.
“Oh
è uscita, ma non ha detto per cosa” mi rispose Luke.
“Okay
allora esco anch’io” dissi alzandomi dalla sedia.
“Ehi
frena dove vai” mi chiesero padre e figlio in coro.
“Devo…prendere
una cosa mia” mentì, in realtà volevo saperne di
più sul comportamento strano di mia madre. Si lo so è
la prima volta che mi interesso degli affari di mamma.
Uscì
in fretta e furia dalla casa. Non sapevo dove potesse essere ma
pensavo nelle vicinanze. Dopo 20 minuti però pensai di essermi
persa, quindi presi il telefono per chiamare casa, girai un angolo
mentre mi portavo il cellulare all’orecchio ed ecco che vidi
mia mamma. Ma non da sola, insieme a Fred!
“Ne
sei sicuro?” disse mia madre a braccia incrociate.
“Assolutamente!
Voglio conoscerla, ora sono pronto” affermò lui.
“Ci
devo pensare”. Concesse mia madre.
"Ti
prego Annabeth pensaci, senti anche il parere di Emily" pregò
lui, poi se ne andò per una strada.
"Emy
che ci fai qui?!" Disse Annabeth, notando per la prima volta la
mia presenza.
"Io...
Eh sono uscita per... Prendere i biscotti si, ma credo di essermi
persa” confermai.
"Okay,
beh ora scusa tesoro ti fa niente se torniamo a casa, non sono molto
in vena di stare fuori" chiarì.
"Certo,
si okay" le dissi, prima di seguirla per tornare a casa.
Durante
il tragitto volevo chiederle qualche spiegazione, ma non lo feci
perchè mamma mi sembrava già troppo nervosa.
"Oh
ecco! Sei tornata finalmente" urlò Percy stampandole un
bacio in bocca.
"Emy!
allora questa cosa importante, l'hai trovata" mi chiese Luke.
"Io
vado un attimo in camera" annunciò mia madre con un tono
un po’ perso.
Lei
iniziò ad avviarsi su e io senza farmi vedere la seguii. Lei
prese il telefono, digitò un numero e richiuse la porta dietro
di se. A quel punto bramavo così tanto di saperne di più
che tesi l'orecchio e ascoltai.
"...Grover
ciao, non sai cosa mi è successo oggi, no ieri..."
Annunciò agitata mia madre.
"Annabeth
calma respira" riuscì a sentire che rispose Grover
dall'altra parte del telefono grazie al viva voce.
"Si
okay, allora ieri Percy ha invitato un suo collega a pranzo ed era
lui!"
"Chi?...
Oh signore, non dirmi che?"
"Mmmm
… non so che fare Grover, è comunque sai cosa però
anche..." non fini la frase.
"Anie
guarda vengo li prendo il primo aereo per Ne..."
"No!
Non devi se non hai tempo".
"Ehi
per te farei di tutto, poi così rivedo anche Emy e conosco
Percy, sono li tra circa 6 ore” confermò la voce al
telefono prima di riattaccare.
Sentì
i passi di mamma dirigersi verso la porta e corsi di sotto.
Ormai
si erano fatte le 13, mangiammo dei panini e trattieni la mia
curiosità di sapere chi fosse quell’uomo, ciò non
avvenne però a cena.
“Mamma
perche stamattina eri con Fred?” proferì, facendo
ingozzare Percy che stava bevendo un bicchiere d’acqua.
“Emily
mi hai spiata” ribatté irritata Annabeth “comunque
per scusarmi per ieri”.
“Cosa!
Hai visto Fred?” domandò Percy.
“Non
è come pensi” rispose mia madre.
“No,
ora me lo spieghi” pretesi.
“Possiamo
cambiare argomento?” intervenne Luke vedendo che il clima che
si stava creando non era uno dei migliori.
“No!”
gridammo noi 3 insieme.
In
quel momento il campanello suonò e Percy andò ad
aprire.
“Ciao!
Tu devi essere Percy gusto?” domandò una voce.
“Grover!”
dissi felice, correndo verso la porta e dimenticando per un attimo la
mia domanda.
“Ciao
principessa come va?” mi sollecitò lui arruffandomi i
capelli.
“Tu
sei Grover giusto?” premette Percy.
“Si,
Annabeth mi ha parlato tanto di te… è un piacere”
confermò Grover.
“Strano
di te mi ha solo accennato qualcosa” rispose lui.
Io
e Luke ci guardammo sorridendo poi mi tornò in mente la
domanda.
“
Mamma allora… perché eri con Fred
stamattina?”.
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Capitolo 7 *** Scopro la verità ***
Mia madre guardo Grover con uno sguardo d’aiuto
Scopro
la verità
Mia madre
guardò Grover con uno sguardo d’aiuto.
“Ehi
Emy, perché non mi fai vedere la tua camera?” mi chiese
Grover.
“Vuoi
dire la nostra camera” disse Luke.
“Oh
certo e lui è Luke” spiegai io.
“Mio
figlio” aggiunse Percy con un tono non del tutto rilassato.
“Calmati
Percy, cos’hai? E’ Grover” disse Annabeth con un
tono che devo ammettere lasciava la possibilità di credere che
c’era del tenero fra loro.
“Io
sono tranquillissimo” cercò di far credere lui.
“Beh
io vado, sono passato solo ha salutare, dormo in un hotel e torno
domani” decretò Grover avviandosi alla porta.
“No
aspetta. Grover puoi dormire qui, vero?” chiese rivolta a
Percy.
“Si…
è, no…non abbiamo spazio” si affrettò a
rispondere lui.
“Il
divano mi andrà benissimo” disse Grover.
“Si
dai Percy, Papà, amore” pregammo io, mia mamma e Luke
insieme.
“D’accordo”
concesse lui.
“Evviva!”
esultai “dai vieni ti faccio vedere la mia…nostra
stanza” e lo portai di sopra seguita da Luke.
La notte
mi svegliai. Mentre mi dirigevo verso il bagno sentì un rumore
provenire da sotto.
Sapevo che
Grover russava e, credetemi, in 15 anni vissuti sotto lo stesso tetto
come non saperlo! Ma quel suono era più come un bisbiglio come
quello tra due persone che non vogliono essere scoperte, così
mi avvicinai in silenzio alle scale per ascoltare.
“Annabeth
tu sei assolutamente sicura di questo, vero?”Chiese la voce di
Grover.
“Ma
si, si certo ci siamo anche visti oggi, cioè ieri mattina"
rispose mamma con un bisbiglio.
“Certo
io sapevo che era uscito di prigione ma non che aveva cambiato nome”
continuò.
“Ma
come ha cambiato nome?”.
“Si,
poi non immaginavo che non mi avesse più contattato perché
si vergognava e insomma…” la voce si fermò.
“Su
dai, vedrai che tutto si sistemerà, magari anche in un modo
migliore di come pensi” la consolò Grover.
Il
discorso più o meno mi pareva chiaro, mi mancava solamente un
soggetto.
“Certo
tutto si sistemerà: dico a Emy che suo padre era uno
scavezzacollo che però quando è uscito dalla prigione
ha rimesso la testa apposto, per 15 anni non ha avuto contatti con
noi ma ora è qui sotto il nome di Fred Consarm e vuole
vederla! Semplice no?!” disse mia madre a voce più alta.
Io mi
tappai la bocca per non emettere suoni di nessun genere, volevo
scendere e protestare, ma qualcosa mi bloccava come quando rimani
paralizzato dalla paura.
Poi sentì
dei passi salire le scale ma non mi mossi.
“Emy!”
disse sbalordita Annabeth.
Io non
dissi niente e corsi verso la mia camera, mente attraversavo il
corridoio sentivo scorrere le lacrime che mi bagnavano il viso,
richiusi dietro di me la porta della camera.
“Cosa
c’è?” domandò Luke assonnato dopo il brusco
risveglio.
“Lascia
perdere” gli risposi.
“Emy,
ma stai piangendo. Perché?” mi chiese.
Io non gli
risposi e incominciai a mettere in uno zainetto un po’ di soldi
e qualche vestito.
“E
ora che fai ?”.
“Oh,
ma i fatti tuoi mai, è?!” ribattei seccata.
“No,
ma adesso i tuoi fatti sono anche miei. Ti ricordi? Siamo una
famiglia” mi ricordò lui.
“Ecco
su questo fatto, meglio avere un padre vero che un fratello finto!”
urlai.
Lui rimase
un attimo in silenzio. “Scusa” dissi poi rendendomi conto
di quanto fosse cattiva quella frase.
“No.
Sai che ti dico? Hai ragione. Continua pure a fare quello che stavi
facendo” e si rimise sotto le coperte.
Presi lo
zaino e scesi.
“Emy
dove stai andando?” mi domandò Grover che era rimasto di
sotto sul divano.
Io non gli
risposi neanche e sbattei la porta dietro di me.
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Capitolo 8 *** un vuoto dentro ***
Okay ero fuori stavo scappando di casa, ma cosa fere
Scusatemi
tantissimo per l’immenso ritardo ma (chi come me ha 15 anni) sa
benissimo che la scuola ti toglie moltissimo tempo; con questo non
voglio dire che chi non và ancora alle superiori sia meno
indaffarato di chi ci va. Comunque ecco il nuovo capitolo spero vi
piaccia.
Un
vuoto dentro
Okay, ero
fuori. Stavo scappando di casa, ma cosa fare? Andare da mio padre no,
non sapevo nemmeno dove abitasse, inoltre a piedi non potevo andare
molto lontano.
Nonostante
questa riflessione mi incamminai per le strade di New York, sebbene
fosse aprile il clima era freddo anche perché erano le tre di
notte. Decisi di entrare in un bar per aspettare la mattina, cosi
appena vidi l’insegna lampeggiante di un bar entrai.
“Salve”
disse la voce di una commessa che stava asciugando dei bicchieri.
“Salve,
c’è posto per uno?” domandai, effettivamente la
domanda era stupida perché oltre a tre uomini in un tavolo
all’angolo il locale era vuoto.
“Certo,
accomodati dove preferisci” mi rispose sorridendo.
Io mi
sedetti a un tavolo all’angolo opposto di quello dei 3 uomini.
Mi sentivo
da schifo: per tutti questi anni mia madre mi aveva lasciato pensare
che mio padre fosse un buono a nulla. No, alla fine solo due, perché
solo due anni fa ho saputo che mio pare non era Grover. Inoltre mia
madre mi ha lasciato pensare che non si fosse degnato minimamente di
conoscermi.
Del resto
non aveva tutti i torti: se era andato in prigione … ma per
cosa? Che crimine aveva commesso?
A tutte
queste domande non trovai nessuna risposta: mi sentivo un vuoto
dentro, come quando sei troppo in imbarazzo per far qualsiasi cosa.
“Desideri
qualcosa?” mi domandò la barista. In realtà non
volevo niente: avevo un nodo allo stomaco, ma non potevo occupare il
tavolo senza chiedere nulla.
“Un
caffè grazie” dissi con scarso entusiasmo.
“Subito”
annunciò, prima di sparire dietro il bancone e ricomparire
qualche minuto dopo con una tazza di caffè.
“Ecco
a te. Mi sono permessa di aggiungerti della panna” spiegò.
“Grazie”
mormorai.
“Mi
sembri un po’ giù: è successo qualcosa?” mi
domandò.
Io scossi
la testa in segno di negazione, ma la mia interpretazione non la
ingannò.
“Vuoi
dirmi perché ti trovi in questo bar alle tre di notte da
sola?” mi chiese sedendosi di fronte a me.
Io non
risposi, non sapevo nemmeno chi fosse, figuriamoci se gli raccontavo
la mia storia.
“Senti
se non vuoi parlarmi io devo chiamare la polizia, sei minore e non
posso lasciarti qui” chiarì lei con voce gentile.
“Okay”
annunciò alzandosi, vedendo che non parlavo.
“No,
aspetta” la fermai.
Lei sembro
soddisfatta e si risedette.
“Sono
scappata di casa” le risposi dopo un secondo.
“E
mi vuoi dire anche il perché?” mi incitò.
“Silena”
chiamò una voce maschile dal retro del bancone.
“Arrivo”
gridò di rimando.
“Senti,
io devo tornare al lavoro non chiamerò la polizia, ma per
qualunque cosa chiamami okay” chiarì lei e se ne andò.
Rimasi
sola con la tazza di caffè davanti. Ormai erano quasi le 4 e
le prime macchine si facevano vedere sfrecciando sull’asfalto.
Si cominciavano ad udire i clacson.
Nel locale
non c’era alcun rumore se non le voci dei 3 uomini, da quanto
potevano essere li? Da un po’ di tempo penso, visto la
moltidine di biccheri di birra vuoti presenti sul tavolo.
Presi un
sorso dalla tazza: nonostante ci fosse la panna il caffè era
amaro e non perché mancasse del dolce.
Quando
finì il caffè mi diressi verso il bancone per pagare.
“No,
non scomodarti offre la casa” mi disse Silena vedendo che stavo
prendendo il portafoglio.
“Sul
serio” chiesi alzando un sopracciglio.
“Si
si, tranquilla, basta che mi prometti che adesso torni a casa”
confermò lei con un sorriso raggiante.
“Certo”
le rassicurai e uscì dal bar.
Ma cosa mi
era saltato in mente, cosa pensavo di risolvere comportandomi in
questo modo? Svoltai l’angolo che avrebbe dovuto riportarmi a
casa.
“Ehi
ragazzina” disse una voce fonda.
Io mi
girai: uno dei 3 uomini al bar, avrà avuto all’incirca
25 anni, era appoggiato al muro.
“Avvicinati
non ti faccio niente” mi incoraggiò.
Non ero
molto sicura di quello che mi stava dicendo, ma mi avvicinai lo
stesso.
“Che
hai li dentro” indico con un cenno del capo il mio zaino, io
indietreggiai di un passo.
“Eh
no ora me lo dici” disse afferrandomi e circondandomi da
dietro.
“Lasciami!”
urlai dimenandomi.
“Soldi
eh?!” gridò.
Riuscì
a liberarmi con un calcio sugli stinchi e corsi verso la parte
opposta, a un certo punto mi trovai davanti a una biforcazione e
attraversai di fretta. Non l’avessi mai fatto: una macchina nel
vedermi passare frenò di scatto, ma troppo tardi. Mi colpì,
rotolai per terra e l’ultimo suono che sentì fu quello
della sirena dell’ambulanza.
Annabeth’s
pov
Quella
notte mi ero sentita tremendamente male per aver nascosto la verità
a Emily,
non potevo
neanche consolarla: sicuramente non avrebbe voluto neanche vedermi.
Pensai di
aspettare a dirlo a Percy almeno fino a quando non mi fossi
riappacificata con Emily.
Verso le
cinque mi decisi e bussai alla camera dei ragazzi.
“Avanti”
una voce impastata ed entrai.
“Luke,
scusa se ti ho svegliato, dov’è Emily?” reclamai.
“Chi?
Ah… non so” rispose prima di sprofondare a letto.
Io
richiusi la porta e scesi.
“Grover?”
dissi accigliata nel vederlo in piedi “che ci fai in piedi?”.
“Io
em stavo… sai avevo fame così…” .
“C’è
qualcosa che mi nascondi?” gli chiesi incrociando le mani.
“Io?
A te? Ma no! Scherzi?”.
“Okay
senti Grover hai visto Emy” chiesi.
“Si
è… lei è uscita ma già quasi da tre ore”
annunciò tutto d’un fiato.
“Cosa!?
E l’hai lasciata uscire!”.
“Si,
pensavo che tornasse”.
Io sbuffai
e corsi di sopra a cambiarmi, poi corsi di sotto e andai verso la
porta.
“Dove
vai?” mi domandò Grover.
“A
cercare Emy: potrebbe essersi persa” risposi mentre prendevo la
borsa e mi infilavo la giacca.
“Vengo
con te”.
“No,
tu aspettami qui e se Percy si sveglia spiegagli cos’è
successo…non proprio tutto, insomma hai capito” e
richiusi la porta dietro di me.
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Capitolo 9 *** Medhattan Immediate Care ***
Medhattan Immediate Care
Medhattan
Immediate Care
Annabeth's
pov
Uscì
di casa in fretta, quella ragazzina sapevo per certo dov'era andata,
da suo padre! Certo, da chi se no? Forse anche a darmi tutte le colpe
del mondo e quello là neanche un messaggio per avvisarmi?
Sapevo
che Fred o Sane aveva preso in affitto un appartamento in un isolato
li vicino e mi ci diressi. Dopo qualche minuto arrivai alla porta e
bussai frettolosamente: mi aprì un uomo in accappatoio.
"Dov'è
mia figlia!" Dissi con voce severa.
"Chi?"
domandò assonnato il trentacinquenne.
"Emily"
risposi, entrando in casa.
"Come...non
è con te?" ribatté lui sgranchendosi le braccia.
Così facendo il laccio che legava l'accappatoio si allentò
mostrando il suo petto. Devo ammettere che non era cambiato affatto
da 15 anni fa: capelli biondo cenere, occhi marroni chiaro e fisico
da paura, l'unica differenza era che si era fatto crescere un po' di
barba.
"Oh
Dio!" dissi lasciandomi cadere sul divano con le mani sulla
faccia.
"Mi
vuoi spiegare che è successo?" Disse lui sedendosi
accanto a me.
"Questa
notte Emily mi ha sentito parlare con Grover del fatto che tu sei suo
padre..." Iniziai a spiegare.
"E
lei non l'ha presa bene" dichiarò lui, sospirando.
"Se
l’è presa con me" e sentì una lacrima
bagnarmi il viso.
“Certe
volte…io non so” riuscì a dire prima di iniziare
a cercare di trattenere le lacrime.
"Non
fare così, sicuramente non si è arrabbiata con te, se
mai con me. Il padre che è stato assente per 15 anni”
affermò per farmi sentire meglio.
Mi
asciugò una lacrima con un pollice.
“Sai
che sei bellissima, come se non fosse cambiato niente da 15 anni fa”.
Io
sorrisi leggermente, ma prima che fosse potuto succedere altro il mio
cellulare squillò.
“Emily
Ansom dove sei finita?!” risposi con voce autoritaria.
“Signora
è lei la madre di Emily Ansom?” domandò la voce.
Impallidii.
Era la voce di una sconosciuta che mi chiamava con il cellulare di
mia figlia.
"Si,
sono io" riuscì a dire.
"Dovrebbe
venire al pronto soccorso Medhattan Immediate Care, in 106 Liberty
Street, è per sua figlia" rispose la voce.
Il
telefono mi scivolò dalle mani.
"Cosa
c'è?" chiese Fred.
"Mi
devi accompagnare al pronto soccorso" chiarì agitata
alzandomi in piedi.
Arrivammo
in meno di mezz’ora al Medhattan Immediate Care. Una volta
entrati chiesi affannosamente a un’infermiera di Emily Ansom e
lei mi indicò in quale stanza trovarla.
Emily's
pov
Mi
risvegliai su un lettino. Capii di essere in un ospedale, perché
tutto intorno a me sapeva di alcol e disinfettante, insomma
quell'odore che si sente in un ospedale.
La
stanza non era molto grande ma c’erano due finestroni che
davano sul corridoio, tutto era abbastanza tranquillo.
Mi
toccai la fronte con una mano: avevo un cerotto sul lato sinistro e
mi bruciava un sacco la guancia destra. Decisi che in faccia avevo
un’abrasione; poi vidi i lividi sulle braccia che si potevano
vedere perché non avevo più la maglia con cui ero
scappata.
La
porta si aprì e apparve un dottore, seguito da mamma e un
signore che riconobbi come Fred: cominciano i guai, pensai.
"Stai
bene amore?...che hai combinato?" mi domandò preoccupata
mia madre correndomi in contro e abbracciandomi.
Mi
sorpresi di quel comportamento, lei di solito per disastri del genere
mi sgridava.
"Mamma
io...mi dispiace".
"Oh,
smettila di dire mi dispiace per tutto" disse lei stringendomi
più forte.
"Ehm,
ehm" ci interruppe la voce del medico e mamma si tolse
imbarazzata da davanti a me.
"Voi
siete i genitori, presumo" iniziò il medico.
"Si"
rispose prima di mia madre Fred.
"Vostra
figlia non ha niente, forse ha riporta solo un trauma psicologico,
comunque appena dichiarerà di sentirsi bene potrà
uscire" chiarì il dottore, poi uscì dalla stanza.
"Tu
stai bene?" mi domandò Annabeth sedendosi sul lettino.
"Quante dita hai in una mano? Come ti chiami? Che giorno è
oggi?".
"Il
giorno delle domande sceme?".
Senti
Fred ridere silenziosamente.
"Non
scherzare rispondimi".
"Nella
mano ci sono 5 dita, mi chiamo Emily Ansom e oggi è il 19
aprile" risposi tirandomi con un po’ di fatica a sedere.
Lei
tirò un sospiro di sollievo, credo che pensasse che avessi
perso la memoria o roba simile. In quel momento Fred si avvicinò
e io lo guardai sorridendo.
"Posso
chiamarti papà?" esordì.
“Ma
certo!” concesse lui, sedendosi sullo spazio libero del
lettino.
Poi ci
unimmo tutti e tre in un abbraccio, caldo e confortevole, che mi fece
dimenticare tutta la mia tristezza.
“Ti
voglio bene mamma… ti voglio bene… papà”
dissi per quanto riuscivo a parlare stretta dall’abbraccio.
Dopo vidi
una scena che non mi piacque per niente: Percy stava guardando deluso
la scena da dietro i vetri e dopo poco se ne andò.
Avrei
voluto dire qualcosa, ma mi sentivo cosi bene in quell’abbraccio
che non parlai e desiderai intensamente di bloccare quel attimo e far
si che non finisse mai.
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Capitolo 10 *** In partenza per... ***
In partenza per…
In
partenza per…
Era
finita la scuola io e mia madre stavamo andando all'SFO l'aeroporto
internazionale di San Francisco.
"A
che ora arriva l'aereo a Toronto?" chiese mia madre.
"Verso
le 4:00" risposi.
"Hai
messo tutto in valigia" mi domando lei mentre sfrecciavamo con
la macchina per la strada che portava all'aeroporto.
"Certo"
l'assicurai.
"Vestiti
a sufficienza, calzini, intimo, soldi..." Iniziò a
elencare.
"Mamma!"
Esclamai.
Lei
rise mentre stava parcheggiando poi ci dirigemmo verso l'entrata.
La
valigia è pesante ma grazie all'aiuto delle rotelle che
ruotavano perfettamente sulla strada asfaltata e successivamente sul
pavimento del aeroporto mi consentiva di far muovere la valigia senza
molti problemi.
"Sei
sicura di volerlo fare" chiesi ad un certo punto mente stavamo
andando al checkin.
"Tesoro
è la cosa migliore sta tranquilla" mi rassicurò
accarezzandomi la guancia dopo essersi chinata.
Io
sorrisi, avevo qualche incertezza, ma nel vedere mamma così
serena mi tranquillizzai.
"Okay
andiamo" affermai.
Arrivati
alla coda per il checkin, che era allucinante, ma tutti di venerdì
dovevano partire? Pensai.
Visto
che ci sarebbero voluti al minimo 40 minuti decisi di ingannare il
tempo guardandomi in Giro.
La
percentuale maggiore erano le famiglie con i figli prevalentemente
piccoli che piangevano, forse perché avevano dimenticato
qualcosa a casa o perché volevano un gioco che i genitori non
gli compravano o semplicemente per attirare l'attenzione.
"Che
hai" mi chiese.
"Io
ero così?" Le domandai l'altra fila che era piena di
famiglie con i rispettivi
Figli
urlanti.
"No
tu eri molto più brava" mi rispose stringendomi a se.
Io
sorrisi soddisfatta poi mi passo una domanda per la testa che non mi
ero ma permessa di chiedere ad Annabeth.
"Mamma
come hai conosciuto papà?"
Lei
si irrigidì un momento.
"Visto
che torniamo a breve a stringere contatti con lui sai..." Mi
affrettai a dire.
"Ero
in discoteca con un gruppetto d'amiche,ad un tratto mi sono
avvicinata al bancone per prendere qualcosa e il bar man era tuo
padre, appena ci vedemmo scatto qualcosa nei nostri cervelli, lui mi
offri da bere e per tutto il resto della serata fu gentile con me.
Dovevo essere un po' ubriaca perché non mi ricordo cosa
successe dopo ma visto che sei nata tu la cosa è intuibile"
spiegò lei.
Io
guardai il pavimento imbarazzata.
"
la tua nascita che è stata la cosa più bella della mia
vita!" Confermo lei abbracciandomi.
Io
ricambiai l'abbraccio.
Poco
dopo la coda finì e prendemmo i nostri 2 biglietti dopo aver
imbarcato le valige.
Arrivano
davanti al metaldetector, anche li la coda non ci risparmio, ma il
pensare a quello ce sarebbe successo qualche giorno dopo faceva
sembrare tutto meno noioso.
Vedrai
a Toronto nella casa di Fred avrai una camera tutta per te e ti
assicuro che sarà più comoda del metro quadro che avevi
nell’appartamento di Grover” disse mamma per ingannare.
“Ah
ah lo spero” risi.
Dopo
aver passato anche questa barriera ci preparammo per imbarcarci.
Ultimi
imbarchi per Toronto, Latest sailings for Toronto e tante altre
lingue che non riconobbi
Disse
una voce nell'altoparlante.
"Dai
mamma sbrigati!" dissi affrettando il passo.
"Aspetta!"
Ribatté facendomi fermare.
"Fai
la brava con Fred mi raccomando" mi ricordò.
"Tranquilla
mamma" la rassicura abbracciandola, lei mi strinse a se.
"Ti
voglio bene mamma"annunciai nell'abbraccio.
"Anche
io tesoro" confermò.
"Allora
ci rivediamo tra una settimana a New York per il mio matrimonio con
Percy" disse una volta sciolta dall'abbraccio “ora vai se
no perdi l’aereo; il mio parte fra mezz’ora”
aggiunse.
Sorrisi,
e dopo essermi girata corsi verso l'imbarco.
Dopo
essermi imbarcata, seduta al mio posto ripensai alle parole che mi
disse mia mamma prima di incontrare Percy e Luke a New York.
Vedrai
come saranno semplici le cose tra qualche giorno.
Forse
aveva ragione, magari aveva anticipato la premessa di un po' di
tempo, ma aveva ragione.
Percy
aveva accettato che Annabeth e io tornassimo a frequentare Fred e non
era troppo geloso di questo. Luke mi aveva perdonato e mi
considerava di nuovo una sorella. E io avevo ritrovato un padre che
pensavo essere una persona orribile a cui non importava niente di me
e invece era molto simpatico.
Non
dimentichiamoci la felicità della mamma, che si sarebbe
sposata con Percy tra una settimana. Sarei diventata emotivamente
anche una Jackson, oltre che una Ansom: Emily Ansom Jackson, non
suonava male devo direi.
“Dlin
Dlan! Benvenuti su questo volo per Toronto. Lo staff vi da il
benvenuto ...” E la voce al microfono disse tante altre
informazioni a cui non prestai molta attenzione, perché quella
era tutta riservata a pensare al resto della mia vita che avrei
trascorso tra New York con mia madre, Percy e Luke e Toronto con mio
padre.
Poi
l'aereo partì.
Angolo
autrice
Ed
eccoci alla fine di questa mia storia contorta.
Ringrazio
infinitamente: AxXx, saretta2323, Poseidonson97, AveJackson,
Perseoxx, cheesecake314, ailoros e tutti i lettori silenziosi.
Ma
in particolar modo ringrazio il mio amico Gatto che mia ha dato molti
spunti per questa storia.
Spero
vi sia piaciuta, saluti e alla prossima.
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