Lusus sanguinis di JunJun (/viewuser.php?uid=230)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** E' per il bene di Sammy ***
Capitolo 3: *** Ariel ***
Capitolo 4: *** Tentacoli ***
Capitolo 5: *** Scuse, nel 2014 ***
Capitolo 6: *** Vorrei porre l'attenzione sul pigiama a orsetti di Sam ***
Capitolo 7: *** Speranza ***
Capitolo 8: *** Qualcuno spieghi a Dean che non può sbattere le persone su un letto e poi lasciarle così ***
Capitolo 9: *** Angeli e Demoni ***
Capitolo 10: *** Narcissistic cannibal ***
Capitolo 11: *** La porta del Limbo ***
Capitolo 12: *** Shahat ***
Capitolo 13: *** I do what I have to do ***
Capitolo 14: *** Tutti odiano Ezekiel ***
Capitolo 15: *** Lapse ***
Capitolo 16: *** Il figlio dello stregone ***
Capitolo 17: *** Imperdonabile ***
Capitolo 18: *** Over and gone ***
Capitolo 19: *** Fuse (è inglese anche se, in realtà, 'fuse' sono le mie sinapsi neuronali) ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Note
rapide dell'autrice:
Ok,
questa è la mia prima fanfiction su Supernatural.
E’ da troppo tempo che non scrivo, sono parecchio
arrugginita...
La
verità è che gli autori di questa sezione sono
tutti così bravi… quando rileggo le scemenze che
scrivo io, mi viene voglia di cestinare tutto!
*
* *
PROLOGO
La mente di Dean era
annebbiata. I muscoli del suo corpo erano intorpiditi e pesanti, e il
sangue denso che gli colava dalla fronte lo costringeva a tenere un
occhio chiuso.
“Cas…
maledizione...” biascicò, rimettendosi
in piedi, appoggiandosi alla parete di pietra alle sue spalle.
Stringeva ancora il coltello di Ruby. Perché continuava a
farlo? Quell’affare era del tutto inutile, visto che il suo
avversario era suo fratello.
(O meglio, nel corpo di suo fratello.)
Sam, in
piedi in mezzo allo stretto corridoio, abbassò la mano che
aveva usato per scaraventare Dean contro il muro.
“Maledetti
poteri telecinetici,” pensò Dean.
“Maledetti angeli...”
“ZEKE,
RAZZA DI BASTARDO!” gridò poi, cercando di farsi
largo nella nebbia nella sua testa. “Non osare farlo. Hai
capito? Ti sto ordinando di non farlo!” Il suo tono era fermo
e perentorio, nella sua mente. In realtà, la sua voce era
così impastata e roca che le frasi che pronunciò
rasentavano la supplica.
Ezekiel lo
fissò con occhi profondi, che la fredda luce artificiale
faceva brillare di pacata inespressività.
“Non
riesco a comprendere…” disse l’angelo,
facendo vibrare ripetutamente le corde vocali di Sam, mentre si
avvicinava a lui. Iniziò a parlare ma Dean, ancora stordito
a causa della lotta, non riuscì a capire il senso delle
parole che pronunciava. Solo alla fine, quando Ezekiel era ormai a
pochi passi, sentì la frase: “…quando
eri nel pieno delle tue facoltà mentali, hai deciso che la
tua sopravvivenza e quella di tuo fratello erano più
importanti di quella di Castiel.”
Dean non
rispose, ed Ezekiel gli strappò di mano il coltello di Ruby
come un genitore che toglie dalla mano di un bambino un oggetto
pericoloso. Poi, calò due dita sulla fronte del cacciatore:
il tocco dell'angelo risucchiò anche le ultime forze che gli
erano rimaste, e lui scivolò a terra, inerme.
“Dean,
non ti sto chiedendo di fidarti di me, ma di te stesso. Se vuoi uscire
vivo da questo luogo insieme a Sam, devi lasciarmi compiere la tua
volontà”.
Stronzate, sono tutte stronzate,
pensò il cacciatore.
Cercò
di mettersi in piedi, ma il suo corpo non rispondeva. Si rese conto che
l’angelo si era allontanato da lui e, con passo lento, aveva
raggiunto Castiel. Dean, frustrato, si chiese perché diavolo
non avesse approfittato del suo intervento
per fuggire: era rimasto fermo a pochi metri da loro per tutto il
tempo, inginocchiato a terra, stretto nel suo completo nero sporco e
stropicciato.
“Mi
dispiace, fratello; i vostri corpi sono corrotti, ed io non ho
abbastanza potere per purificarli. So che vuoi salvare questi esseri
umani: questo è l’unico modo per farlo,”
proferì Ezekiel.
Castiel, lo
sguardo vuoto, fece un breve cenno d’assenso con la testa,
come se il fratello gli avesse appena detto qualcosa di ovvio, a cui
non vale neanche la pena rispondere.
Quando
Ezekiel sollevò il coltello di Ruby, Castiel chiuse gli
occhi.
Dean
strinse i pugni e i denti, cercando disperatamente di rialzarsi.
La lama del
coltello sibilò, un respiro venne mozzato e il sangue
schizzò sulle pareti di pietra.
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Capitolo 2 *** E' per il bene di Sammy ***
Note
noiose dell'autrice:
Non
sono per nulla buona a scrivere e manco di allenamento, per cui, in questa fanfic, ho cercato di compensare ideando una trama simpatica(*). Per metterla in moto, ho bisogno di
gettare le basi in questo e nel prossimo capitolo, che quindi saranno
corti e un po' diversi da tutto il resto.Aw,
spero di non annoiarvi. :(
(*) La
simpatia è misurata in sofferenza, ovviamente.
*
* *
Sam Winchester
avanzò fra la rada boscaglia della vallata.
Il sole
tiepido del tardo pomeriggio era nascosto da una coltre immobile di
nubi color pastello, che rendevano l’atmosfera intorno a lui
quasi fiabesca.
I rametti
secchi scricchiolavano sotto gli anfibi di Sam, e una strana
umidità gli si appiccicava addosso.
Il giovane
continuò a camminare finché non raggiunse la riva
deserta di un enorme lago in cui non ricordava di essere mai stato, e
fu in quel momento che si accorse di stare sognando.
Nel sogno,
un uomo apparve su un molo abbandonato a poche decine di metri da lui.
L’angelo
(perché Sam in qualche modo sapeva che si trattava di un
angelo) gli dava le spalle, forse perché non si era accorto
della sua presenza. Sam lo vide sollevare al cielo una coppa dorata che
reggeva fra le mani, e poi versarne il contenuto nel lago. Si
trattava di un liquido denso e verdastro, e non appena le acque
cristalline entrarono in contatto con esso, divennero rosse.
“Sei giusto, tu che sei e che
eri, tu, il Santo, per aver così giudicato,”
proferì l’angelo. “Hanno sparso il sangue dei santi
e dei profeti, e tu hai dato loro a bere del sangue; essi ne son degn-”
Un frastuono orribile fece sobbalzare Sam, che si schiantò a
terra. Aprì gli occhi e scattò a
sedere, per poi ricadere sul sedile passeggero dell’Impala.
La musica assordante gli stava perforando il cervello.
Dean, alla
guida dell’auto, ghignò per un attimo nella sua
direzione, prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
“Buongiorno,
principessa,” gridò, per sovrastare il volume
indecente della radio. “Siamo quasi arrivati, quindi vedi di
darti una mossa!”
“Apocalisse,
capitolo 16,” esclamò d’istinto Sam,
sconvolto.
“No,
Thunderstruck, AC/DC,” lo corresse Dean.
Sam spense
la radio con uno scatto nervoso. Possibile che suo fratello
si divertisse ancora a fare quegli scherzi idioti?
“Volevo
dire, credo di aver sognato un versetto
dell’Apocalisse...”
“E’
terribile, per fortuna era solo un sogno e non ci siamo mai ritrovati
in mezzo a quella roba per davvero,” osservò
piatto Dean.
“Era
la parte in cui gli angeli versano i calici dell’ira divina
sulla Terra…” continuò Sam,
ignorandolo. “Ero insieme a quello che trasformava le acque
in sangue. Era un tizio strano… avevo
l’impressione di conoscerlo.”
“Ah,
sì?” mugugnò Dean, sospettoso.
“E com’era?”
“Mah…
non l’ho visto in faccia, era di spalle…
aveva… capelli corti, una giacca di pelle nera, una felpa
grigia col cappuccio… Chiedo scusa,”
dichiarò all’improvviso Sam, la voce del tutto
atona. “Colpa mia. Non succederà
più.”
A Dean
prese quasi un colpo; rischiò persino di andare fuori
strada. “Zeke…?” esclamò. Non
si era ancora abituato alle improvvise sortite dell’angelo.
Sortite che gli aveva già ripetutamente chiesto di evitare.
“…che diavolo…”
“No,
nessun diavolo,” sentenziò l’angelo.
“Stavo saldando le sinapsi neuronali di Sam. Era
un’operazione estremamente delicata. Mi sono distratto,
così lui è entrato in me.”
“Sì,
ora quest’immagine mi perseguiterà per tutto il
resto della mia vita,” scherzò Dean inarcando le
sopracciglia, anche se non c’era un briciolo di divertimento
nella sua voce. Sospirò. “Aspetta,
durante l’Apocalisse andavi davvero in giro a trasformare
l’acqua in sangue?”
“Ordini,”
ammise Ezekiel.
“Beh
non farlo mai più,” ordinò Dean.
“Intendo, lasciare che Sam guardi i tuoi ricordi. La
situazione è già abbastanza problematica
così com’è.”
“Ne
sono consapevole,” asserì
l’angelo. “…e, ovviamente,
aveva in mano una grossa coppa dorata,” concluse Sam.
“Mi
verrà un esaurimento,” osservò Dean.
“Dean,
mi stai ascoltando?”
“Ne
riparliamo più tardi, Sammy. Siamo
arrivati,”tagliò corto lui, iniziando la manovra
di parcheggio.
Henderson, nel Nevada, era una
città nota perlopiù per il suo essere parte
dell’area urbana di Las Vegas; da qualche tempo,
però, era diventata sinistramente conosciuta per essere il
terreno di caccia preferito di un serial killer particolarmente
spietato: negli ultimi giorni, il numero di ritrovamenti di cadaveri
squarciati era salito a cinque.
Sam e Dean
avevano iniziato ad interessarsi del caso dopo aver letto sul giornale
che accanto alle vittime, tutte ammazzate in modo estremamente violento
e creativo, erano stati rinvenuti dei simboli esoterici, tracciati con
il loro stesso sangue. Sam e Kevin erano riusciti ad intercettare
alcuni files contenenti i referti della scientifica, ed
avevano scoperto che il sangue non era stato steso o pennellato: per
quanto sembrasse impossibile, la scientifica ammetteva che era
semplicemente fluito via
dal cadavere di sua spontanea volontà.
Poche ore
dopo quella scoperta, mentre Sam, seduto sul lungo tavolo della sala
del bunker, si era tuffato nella ricerca del significato di quei
simboli di sangue, Dean aveva passato gran parte del tempo a fissare la
pianta della città di Henderson, chiedendosi che senso aveva
soffocare una povera casalinga di mezz’età nel
tentativo di farle ingoiare il proprio rene. Aveva potuto permettersi
questo lusso in virtù del fatto che il suo lavoro si era
rivelato molto più semplice del previsto: gli ci erano
voluti pochissimi minuti per realizzare che i puntini rossi che
rappresentavano il luogo in cui erano stati ritrovati i cadaveri
formavano i vertici di un perfetto pentacolo.
“Figli
di puttana,” aveva mugugnato Dean. Probabilmente avevano
ucciso gente a caso solo perché si era trovata nel posto
sbagliato al momento sbagliato. “Forse è una
specie di rituale demoniaco?”
Per un
attimo, Dean aveva pensato di andare da Crowley, per chiedergli se ne
sapeva qualcosa. Ma Sam aveva interrotto i suoi pensieri.
“Qafsiel!”
aveva esclamato di colpo.
“Salute,
Sammy.”
“No.
Dean, è il nome dell’essere
rappresentato dal primo simbolo apparso, quello dell’unica
vittima di cui esistono foto pubbliche… visto che
è l’unica ritrovata in mezzo ad una
piazza.”
“Intendi
dire il senzatetto a cui hanno strappato il cuore?”.
“Già.”
Il biondo
aveva chiuso di scatto il suo portatile. “E’
stranamente familiare”.
“E’
una forma antica del nome di Cas,” aveva risposto Sam, il
più cautamente possibile. “Ma quel
simbolo oggi è conosciuto soprattuttoper essere
l’ideogramma del pianeta Saturno,” aveva poi
continuato, in tono rassicurante. “In effetti, anche gli
altri simboli sono molto più noti per
rappresentare-”
“Questi
sono i fottuti angeli, e stanno ancora cercando Cas,” aveva
ruggito di colpo Dean, sbattendo un pugno sul tavolo.
Sam
sospirò. Non si era neanche preoccupato di aggiungere altro.
“Vado a preparare la roba,” aveva detto
semplicemente, allontanandosi dalla sua postazione.
Dean era
rimasto immobile al suo posto, fissando la cartina della
città con sguardo a metà fra l’omicida
e il disperato.
“Dean,
non è a Henderson.”
La voce pigra di Kevin, proveniente dal divano lì vicino,
gli aveva restituito un po’ di colore sulla faccia. Dean non
si era accorto che il ragazzo fosse lì. “Ho
tracciato il suo cellulare, è spento da giorni, ma
è ancora a Sacramento, in California,” aveva poi
precisato il ragazzo. Da dove era seduto, Dean non riusciva a vederlo,
ma sentiva il ticchettio rapido dei tasti del suo portatile.
“Tu
continua a tenerlo sott’occhio,” aveva
puntualizzato Dean. “Se muove il culo da lì,
dimmelo immediatamente.”
Kevin
aveva fatto un grugnito di assenso. “Non avresti dovuto
lasciarlo andare,” aveva poi osservato, facendo cessare il
ticchettio.
Dean non
aveva risposto.
In effetti,
che cosa avrebbe dovuto rispondere?
Era ovvio che Castiel
non avrebbe dovuto allontanarsi dal bunker. Così come era
ovvio che, quel maledetto giorno, dopo aver sentito la frase “Senti, amico, non puoi restare,”
l’ex-angelo, passato il primo momento di sorpresa, avesse
inclinato leggermente la testa da un lato, scrutando senza alcun
ritegno gli occhi di Dean come se gli stesse facendo una delle sue
fottute animoscopie.
Angelo o
umano, era ancora Castiel, dopotutto.
Era stata
in quell’occasione che Dean si era reso conto di quanto scure
e stanche erano diventate le iridi di Castiel dopo la caduta: erano
passati solo pochi giorni, ma lui sembrava invecchiato di anni.
Dopo quelle
che a Dean era sembrate ore, Castiel aveva distolto lo sguardo,
appoggiato silenziosamente sul tavolo il burrito che ancora aveva fra
le mani, si era alzato ed aveva preso la strada della porta.
Così,
senza dire nulla. Le labbra di Dean si erano schiuse in un sussurro di
sorpresa.
Perché
Castiel non aveva protestato?
Gli aveva
davvero letto nel pensiero? Aveva capito che si trattava della salvezza
di suo fratello?
E comunque
sia, voleva davvero andarsene così?
Ma certo
che sì, si era risposto Dean. In fondo, Castiel era sempre
stato un figlio di puttana. Probabilmente, secondo lui era normale che
Dean non lo volesse con loro: era un mero essere umano, inutile, aveva
portato di nuovo il pianeta sull’orlo del disastro e per di
più attirava guai.
Sì,
probabilmente Castiel si era convinto che Dean lo
considerasse solo un peso, e fu per questo motivo che Dean
aveva quasi urlato il suo nome. Fu per questo motivo che si era mosso
dal tavolo ed aveva raggiunto l’ex-angelo, gli aveva
afferrato un braccio e gli aveva detto aspetta amico mio, non voglio
cacciarti, fermo, ora chiamiamo Garth, ti troviamo un posto sicuro in
cui stare. Castiel si era limitato ad abbassare lo sguardo
esausto sulla mano di Dean, e lui l’aveva rapidamente tolta
da lì.
Chissà
come, Dean era riuscito almeno a ficcargli in mano uno dei suoi
cellulari. Castiel l’aveva osservato stancamente, e se lo era
infilato in tasca. Poi aveva fatto un cenno di saluto, ed era andato.
“E’ per il bene di Sammy,”
aveva iniziato a ripetersi Dean da quel momento. “E’ per il bene di Sammy.”
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Capitolo 3 *** Ariel ***
Note:
Vi
ringrazio per essere ancora qui... e ringrazio anche chi segue questa
storia. Grazie ç_ç
Ora,
la brutta notizia è che questo capitolo termina la parte
introduttiva, quindi è molto blah blah blah.
L’altra
brutta notizia è che il titolo della fanfic si riferiva ad
una parte che ho deciso di cambiare e che quindi ha fatto puff.
Mannaggia
a me.
Ci
ho pensato, ieri notte.”Cambiamo il titolo!” ho
detto al mio chtulhupeluche, che ha annuito. Ok. Cambiamo il titolo.
Mettiamone uno che richiama scene che ho già scritto, per
sicurezza. Ho riletto le scene. Ho meditato. E ho scritto:
“Il giorno in cui Castiel
riuscì a mostrare un tesserino dell’FBI dritto”
, “Tentacle
rape time per Dean” , “Torna a cuccia, Zeke”
, “Tesoro,
hai messo il sale?”, “Tutte le donne di Sam (hanno
problemi)” , “Odio quando cerco di
dichiararmi e Godzilla mi interrompe”--- OKAY, ho
concluso alla fine, LASCIAMO
IL TITOLO ATTUALE.
/lettori
scappano
*
* *
Seduto sul letto del triste
motel in cui alloggiava, Dean sfiorò il touchscreen del suo
smartphone, scorrendo la rubrica fino a trovare il numero del cellulare
di Castiel. Kevin gli aveva detto che era spento, per cui era del tutto
inutile cercare di chiamarlo, e comunque non era una cosa che Dean
voleva fare.
Era trascorso quasi un
mese dalla loro discussione nel bunker, ma quando ripensava a come si
erano lasciati, qualcosa che Dean non aveva intenzione di affrontare
gli afferrava il colletto della giacca e iniziava a trascinarlo
giù, sempre più giù.
Il non aver
più avuto sue notizie da allora non migliorava la situazione.
Cercando di ignorare
quel peso fastidioso, Dean osservò di sottecchi il fratello
che armeggiava con il suo portatile sul tavolino lì
accanto. Per quanto tempo ancora
Ezekiel avrebbe dovuto curarlo? Settimane? Mesi?
Dean si rimise il
cellulare in tasca. Se fossero riusciti a dare una bella lezione agli
angeli che c’erano dietro agli omicidi, i loro amichetti si
sarebbero resi conto che era meglio non rompere le palle a Castiel,e
questa sarebbe già stata una gran cosa. Questo pensiero gli
permise di scrollarsi rapidamente di dosso i suoi sensi di colpa e
ritrovare la concentrazione.
“Allora
Sammy, ricapitoliamo: ci sono stati cinque omicidi a distanza di cinque
giorni l’uno, l’ultimo è avvenuto tre
giorni fa,” riassunse il biondo. “La
nostra unica pista è quella famiglia di ricconi”.
“Reynolds,”
specificò Sam, grattandosi il mento con una mano, mentre
scorreva alcune pagine web. “Allora, il Dottor Reynolds
lavorava come chimico in una base militare, ma ha fatto fortuna negli
anni ’90 grazie a degli ottimi investimenti. Quando
è morto, il primogenito, Leon, ha iniziato a darsi alla
bella vita, donne, alcool, casinò... dilapidando tutto il
patrimonio di famiglia.
Ora non si sa se
questa famiglia sia davvero ricoperta di debiti o no, ma la sorella di
questo Leon sta per sposarsi con un ricco azionista di Los Angeles che
credo abbia il triplo dei suoi anni”.
Dean si era
concentrato sulla trama di questa scadente soap opera solo
perché la residenza della famiglia Reynolds era situata
proprio al centro del pentacolo descritto dalle vittime.
“Credi che
abbiano degli angeli dentro?” chiese.
“Non ne ho
idea,” ammise Sam. “La festa per il
fidanzamento di questa donna è stata annunciata da
tempo… ci sarà mezza città. Potrebbero
anche essere solo le prossime vittime. Insieme a molte altre.”
Sam non aveva torto.
Quella festa era sicuramente una trappola.
Infatti,
così come il simbolo di Saturno, che si riferiva a Castiel,
anche gli altri quattro simboli di sangue avevano dei significati molto
chiari, per loro:
Il simbolo di Urano, sera; il simbolo di Nettuno, gran finale; il simbolo di Plutone, morte.
L’ultimo
simbolo era l’ideogramma per il pianeta Terra, ma nonostante
ciò i giornali insistevano da giorni nel pubblicizzare il
serial killer come “l’omicida
zodiacale”.
La polizia brancolava
nel buio, ma per Sam e Dean ovvio era che in realtà si
trattava solo di diversivi per attirare l’attenzione di
Castiel. Sospettosamente
ovvio, ma in fondo gli angeli non erano mai stati delle geniali menti
criminali: erano troppo arroganti per porsi dei problemi.
Probabilmente volevano
semplicemente dire a Cas: “Consegnati, o tutte le persone
innocenti in quel posto moriranno.”
Dean si
tirò in piedi e si rimise al lavoro.
**
La sera di due giorni
dopo, Sam e Dean erano riusciti ad infilarsi nel party di Tonya
Reynolds.
Lei, che neanche a
dirlo era un’avvenente 24enne, avrebbe sposato un triste
omino di mezz’età, basso e calvo.
Dean, appoggiato alla
parete della sala in cui si svolgeva la festa, dorata, scintillante e
ricolma di persone schifosamente ricche (e di risatine schifosamente
arroganti, e di cibo schifosamente raffinato), si era ritrovato
più volte a fissare la donna, stretta nel suo lungo, costoso
e leggermente scollato abito blu mare.
“Per
lavoro,” si era scusato con sé
stesso, anche se un riluttante Ezekiel gli aveva confermato solo poco
prima che non c’era nessun angelo, demone o strano mostro nei
dintorni.
Tonya aveva morbide
onde di capelli corvini che le ricadevano sulla schiena seminuda, un
viso delicato da bambina, e Dean l’aveva sorpresa
più volte a guardare in direzione di Sam. Una volta, lei
aveva persino fatto un gesto nella direzione del minore, e aveva usato
la sua voce melodiosa per ringraziarlo della rapidità con
cui lui era accorso e della gentilezza con cui le aveva offerto uno dei
bicchieri di aperitivo che teneva in precario equilibrio su un largo
vassoio argentato.
Fu in quei momenti che
Dean si pentì di aver fatto infilare Sam nel servizio di
catering, e di essersi finto lui uno dei sorveglianti del servizio di
sicurezza privato che la famiglia aveva contattato.
Sam, fingendosi un
cameriere, poteva vagare liberamente per la sala; lui invece era
costretto a restare fisso in un angolo, in piedi, in professionale
silenzio, le braccia incrociate sulla sua giubba nera antiproiettile
d'ordinanza.
Dean trascorse gran
parte della festa guardando male gli invitati, ripetendosi mentalmente
il piano che aveva preparato con Sam e aspettando che gli angeli si
facessero vivi.
Ma ciò non
avvenne.
“Tsk,”
mugugnò il cacciatore quando il suo orologio
segnò le 24:00. Gli angeli avevano rinunciato? O
forse, dopotutto, avevano sbagliato ad interpretare gli
omicidi?
Quando, un paio
d’ore dopo, la festa finì e gli invitati,
più o meno brilli, abbandonarono la sala, Dean ricevette
l’ordine di farsi un giro per il piano terra per
controllare che fosse tutto a posto. Lieto di potersi finalmente
sgranchire le gambe, si mosse per uscire dallo stanzone
ormai vuoto, ma aveva fatto solo pochi passi che una mano gli
afferrò la spalla.
“Deve essere
assetato,” disse una voce roca e palesemente su di giri.
Si voltò,
scorgendo nientemeno che il famigerato Leon Reynolds, che gli stava
offrendo un bicchiere di champagne. Dean lo fissò per la
prima volta da vicino: era un uomo sulla trentina alto, sottile, col
viso scavato e con in testa una scodella di capelli neri e lunghi
acconciati in un’orribile treccia femminile.
Riconfermò la prima impressione che aveva avuto su di lui:
se l’aveva scelto un angelo, doveva trattarsi di un angelo
dai pessimi gusti.
Dean fissò
il bicchiere che l’uomo gli aveva praticamente messo sotto il
naso.
“Non bevo in
servizio,” disse cauto.
“Peccato,”
ammise Leon, facendo scivolare casualmente una mano addobbata
con fin troppi anelli d’oro lungo il suo braccio.
GLI STAVA.
ACCAREZZANDO.
IL BRACCIO.
Prima che Dean potesse
fare qualcosa, Leon ebbe l’opportunità di dargli
un paio di amorevoli schiaffetti sul collo esposto, cercando forse di
costringerlo ad avvicinarsi a lui, ma quando sollevò di
nuovo la mano, il biondo la bloccò con un gesto rapido.
“Signore,”
si accomiatò Dean nel tono più professionale
possibile, immaginando internamente di spaccargli la faccia.
Uscì dalla
sala, nervoso e frustrato, strofinandosi energicamente il punto del
collo in cui era stato violato.
Dove avevano sbagliato lui e Sam? E soprattutto, perché
queste cose succedevano sempre a lui?
Continuò a
grattarsi il collo d’istinto per tutto il tempo,
perché ormai la pelle era irritata. Doveva rivedere Sam, e
se possibile anche Ezekiel. Dean si avviò verso le cucine,
quando qualcosa attirò la sua attenzione: aveva raggiunto un
atrio immerso nella penombra che affacciava nel giardino, e di fronte
ai suoi occhi una figura femminile evanescente, vestita di bianco, era
appena apparsa in un angolo.
Dean
strizzò gli occhi: uno spettro?
Cautamente, si mosse
nella direzione dell’apparizione, afferrando nel contempo il
cellulare.
**
Sam era distrutto.
Fare il cameriere di sala ad una festa del genere era decisamente
più faticoso dell'uccidere mostri. Il capocameriere gli
aveva imposto di aiutare a ripulire la cucina, ma lui non ne aveva la
minima intenzione, e si era defilato alla prima occasione. Si tolse il
cravattino e lo lanciò via, ma mentre si stava
sbottonando il colletto della camicia ricevette una chiamata da Dean.
“Sono
accanto nell’atrio della zona sud della casa,”
disse il maggiore. “Pare che abbiamo compagnia.”
“Finalmente,”
pensò Sam. Girò sui tacchi e
andò nella direzione indicata da Dean.
“Angeli?” chiese.
La comunicazione si
interruppe.
Allarmato, Sam
affrettò il passo, raggiungendo l’atrio deserto in
brevissimo tempo. Si guardò intorno, sinché non
notò il cellulare di Dean a terra, accanto ad un corridoio
seminascosto dall’ombra e da un gioco di prospettive.
Vide un bordo bianco
svolazzante. Pensò che fosse il vestito di una
donna, invece era solo una tenda, che ondeggiava a causa del vento
notturno: qualcuno aveva lasciato le finestre aperte. Sam la
scostò rapidamente, scoprendo che nascondeva una stretta
rampa di scale, che scendeva giù, verso un livello
sotterraneo. La percorse, raggiungendo una grossa stanza rettangolare e
illuminata, giusto in tempo per vedere in fondo ad essa Dean che
varcava uno strano portone, che si chiuse alle sue spalle.
“Dean!”
chiamò Sam con ansia crescente, e si affrettò in
quella direzione.
Era a metà
strada, quando la stanza iniziò a tremare. I quadri appesi
alle pareti caddero con un tonfo, mentre un fischio acutissimo
costrinse Sam a fermarsi ed accovacciarsi a terra, le mani a coprire le
orecchie. Sam strinse gli occhi. Il tremolio continuò a
crescere, e poi di colpo cessò.
Come se non fosse
successo nulla, Sam balzò in piedi e raggiunse il fondo
della stanza a grandi passi, ma solo per accorgersi che il portone era
sparito.
Interdetto, il giovane
tastò la parete, cercando una fessura, un qualche meccanismo
nascosto, qualunque cosa, quando una voce atona alle sue spalle
attirò la sua attenzione.
“E’
inutile, Sam Winchester, ormai è andato,” disse la
donna a pochi passi da lui.
Era Tonya Reynolds,
realizzò Sam girandosi, o forse no. Per un attimo, gli occhi
della giovane avevano brillato di una luce sovrannaturale.
Sam sentì
qualcosa scalpitare dentro di lui. Qualcosa di curioso ed allo stesso
tempo agitato che si sollevava in una parte profonda di sé.
“Andato?”
ripeté, estraendo il coltello angelico che aveva rubato a
chissà quale angelo ucciso in passato. “Sei un
angelo? Hai ucciso tu quelle persone?”
La donna non si mosse
dal suo posto. “Sì, sono un angelo. Mi
presento,” sorrise. “Il mio nome
è Ariel, piacere”. Fece un inchino depresso e
molto teatrale.
Dal nulla, comparve un
velo nero da funerale a ricoprirle il volto. In mano, aveva un fitto
mazzo di rose nere. “Sono qui per porgerti le mie
più sentite condoglianze per la perdita di tuo
fratello.”
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Capitolo 4 *** Tentacoli ***
Note:
Sarò seria. Ma non oggi.
*
* *
Quando riaprì gli
occhi, Dean si ritrovò disteso su qualcosa di morbido e
profumato. Tastò il terreno, e scoprì
che era erba.
C’era qualcosa che gli pizzicava la guancia. Nel mettersi
seduto, la prese in mano e la fissò, confuso: si trattava di
una specie di strana foglia spinosa che non aveva mai visto prima.
Si sollevò da terra, guardandosi intorno. L’ultima
cosa che ricordava era l’aver seguito una specie di fantasma,
in una villa.
Ora non c’erano più né la villa
né il fantasma: si trovava invece in una specie di radura,
circondato da una gran varietà di piante ed alberi esotici,
alcuni dei quali si ergevano per metri e metri. Erano ricoperti da
muschi di colori brillanti, e dai rami pendevano quelle che sembravano
grosse liane verdi e azzurre. Una fitta rete di rami e foglie colorate
filtrava la luce del giorno, e il terreno era quasi interamente coperto
da erba rosa.
Tutto, intorno a lui, era completamente immobile.
Non si sentiva neanche un rumore.
Dove diavolo era finito?
*
Sam strinse il pugnale, pronto a uccidere la creatura che si annidava
nel corpo della giovane donna di fronte a lui.
“Dean è morto,” gli aveva detto lei.
“Sei stata tu?” ruggì Sam.
“Ma certo che no!” strillò lei offesa a
morte, gettando via il mazzo di rose e strappandosi dalla testa il
velo. “Come puoi anche solo pensare che sia
stata io a uccidere tuo fratello?!”
Sam inarcò entrambe le sopracciglia. “Senti non so
chi tu sia, ma mio fratello non è morto,”disse,
convinto. “C’è una porta nascosta in
questa parete. Mio fratello è dietro quella porta!”
“No, Harry,
Sirius non è più in questo mondo.
Lui è nel Limbo adesso!”
“Cos- Nel Limbo?” ripeté Sam, stupito.
“Sì…. è stato Leon a
farlo,” annuì l’angelo, distogliendo lo
sguardo dal cacciatore e abbassandolo verso un punto imprecisato a
terra. “L’aveva puntato... L’ha attirato
qui… e l’ha spedito lì,
ecco,” sussurrò, timidamente. “Non
dovrei dirtelo… se lui venisse a sapere che sono
qui…. mi ucciderebbe di sicuro, ecco.”
“Leon?” ripeté Sam. “Vuole
ucciderti? E’ un angelo anche lui?”
“T-Ti prego, non farmi del male, i-io voglio solo
aiutarti,” piagnucolò Ariel, in lacrime.
“Aiutarmi?” disse Sam, dubbioso. “Allora
dimmi tutto quello che sai, se non vuoi che ti faccia fuori, qui, e
ora,” dichiarò, facendo un passo verso di lei,
più per farle paura che per altro.
Non si fidava degli angeli, ma sembrava che questa Ariel fosse, per
qualche oscuro motivo, abbastanza bendisposta nei suoi confronti.
“Oh, io so solo che quello che ha attraversato Dean
è un portale che conduce in un luogo chiamato Limbo. In
pochi sanno della sua esistenza. Non ne parlano neanche le
scritture,” spiegò lei, calma e convincente.
Sam sbatté gli occhi, e quando li riaprì di
nuovo, la vide che si stava infilando un paio di occhiali con una mano,
mentre con l’altra reggeva una grossa tavoletta di argilla
apparsa dal nulla.
“Tranne questa,” proseguì, scorrendo il
dito sull’argilla fino a trovare il punto che le interessava.
Lesse qualcosa che alle orecchie allenate di Sam parve enochiano.
“Chiaro adesso, Sam Winchester?” concluse
sorridendo, come se fosse davvero convinta di aver chiarito la
questione.
“No che non è chiaro… non è
chiaro niente,” disse Sam, confuso su più livelli.
“Ascolta, come si fa a far riapparire il portale?”
“Il portale non è scomparso… sono stata
io ad impedirti di entrarci in contatto, ecco. Se non
l’avessi fatto… sarebbe stata una tragedia,
ecco,” spiegò Ariel. Non aveva più
né occhiali né tavola d’argilla, e si
stava comportando di nuovo come se fosse estremamente a disagio.
“Io non voglio che ti accada qualcosa di brutto,
Sam!” esclamò all’improvviso, ansiosa.
“Tu… mi sei simpatico,” ammise, e poi
scoppiò in una inquietante risatina sommessa.
Sam non aveva mai visto nessuno cambiare umore così
velocemente. Non ci voleva molto a capire che quell’angelo
aveva qualcosa che non andava. Probabilmente, era pazzo/a.
In effetti, a quanto ne sapevano, precipitare dal Paradiso era stato un
evento traumatico: era probabile che qualcuno dello squadrone
angelico avesse perso la ragione.
Sam decise di abbassare il pugnale, ma non la guardia. Forse, sarebbe
riuscito a cacciare qualcosa di buono da Ariel. Doveva solo armarsi di
molta pazienza.
“D’accordo, ti ringrazio… Ariel, anche
tu mi sei simpatica. Ma io ora ho bisogno di riportare indietro mio
fratello, capisci? Puoi aiutarmi a farlo?”
“Certo che lo farò, quando ti sarai
svegliato,” rispose lei, entusiasta come una ragazzina.
“Cosa vuoi dire?”
“Che questo è un sogno, Sam. Buona
notte!”
Prima che Sam potesse dire o fare qualunque cosa, l’angelo
schioccò le dita e scomparve nel nulla. La stessa cosa
avvenne al resto della stanza, e Sam, di colpo, precipitò
nella più totale incoscienza.
*
Dean stava passeggiando in quella specie di giungla già da
un paio di minuti.
Gliene erano capitate tante nella vita, ma non gli era mai capitato di
finire nella Valle Incantata.
“Ok, Gabriel, vecchio mio, bella trovata… ora
riportami indietro,” aveva detto poco prima, sperando di
veder comparire dal nulla l’arcangelo burlone. Purtroppo,
Gabriel non si era visto da nessuna parte.
Ovviamente, aveva perso il cellulare. Altrettanto ovviamente, la
ricetrasmittente del servizio di sicurezza che aveva nel giubbotto
antiproiettile non funzionava. Se non altro aveva ancora con
sé il coltello di Ruby, la sua pistola ed un paio di altre
cosette.
Di colpo, Dean si fermò ed estrasse il coltello, consapevole
che di lì a pochi secondi gli sarebbe servito. Era
già da un po’, infatti, che si era accorto della
presenza silenziosa alle sue spalle.
“…e si comincia,” mormorò.
Dean si voltò di scatto, tirando una pugnalata verso il
petto dell’assalitore, che però era molto
più agile del previsto: non riuscì neanche a
vederlo, capì solo che il suo colpo era andato a vuoto e che
l’avversario, scattato di lato, aveva approfittato del suo
squilibrio per assestargli un colpo alla base del collo,
facendolo collassare a terra sull’erba umida. Poi
l’aveva voltato sulla schiena, lo aveva inchiodato a terra
con il peso del suo corpo e, con un gesto rapido e preciso, gli aveva
bloccato sopra la testa la mano che reggeva il coltello di Ruby,
premendogli infine una lama gelida sul collo fino a farglielo
sanguinare.
Dean credette per un istante che sarebbe morto in quel modo stupido, ma
l’altro esitò a tagliarli la gola; fu allora che
Dean si rese conto che il figlio di puttana che stava per ucciderlo non
era altri che Castiel.
Il cacciatore, stravolto, spalancò la bocca per dire
qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono.
Dal canto suo Castiel, immobile sopra di lui, non accennava ad
abbassare l'arma. Considerata la facilità con cui
l’aveva steso, per un attimo Dean pensò che avesse
recuperato i suoi poteri da angelo; impiegò alcuni secondi
per capire che, a giudicare dal modo irregolare in cui Castiel
respirava, quel breve combattimento era stato uno sforzo umano
considerevole per lui.
L’ex-angelo indossava un completo nero che somigliava molto
alla tenuta standard angelica, ma la sua camicia era scura e aperta sul
collo. Aveva i capelli scompigliati, la barba appena accennata e una
sanguinosa guerra interiore in corso dentro di lui: Dean lo
capì dal suo sguardo combattuto e dal modo in cui teneva
serrata la mascella.
“Cas… Cas sono io,” si
affrettò a dire, passato lo shock iniziale.
“Io… Io e Sam ci siamo insospettiti per via di
quegli omicidi… eravamo venuti a dare
un’occhiata per vedere se stavi bene,”
spiegò confusamente.
“Che pensiero gentile,” ansimò Castiel
con uno stanco mezzo sorriso, continuando a schiacciarlo a terra, senza
togliergli il pugnale dal collo, né la mano dal braccio
destro. “Dean,”
concluse, in tono quasi… canzonatorio.
Ok, ora Dean si era rotto le palle. “Cas, maledizione, sono
io!” esclamò, con più veemenza.
“E se proprio vuoi ripetere quello che è successo
quando ti controllava Naomi, almeno abbi la decenza di non
spaccarmi la faccia stavolta, visto che non puoi più
guarirmi!”
Castiel parve rilassarsi. Allentò leggermente la presa sul
pugnale e abbassò gli occhi su Dean, fissandolo
intensamente. I loro volti erano a pochi centimetri di distanza
l’uno dall’altro, ma Dean sostenne quello sguardo
senza cedere o protestare. Per qualche secondo, nell’aria
immobile si sentirono solo i loro respiri.
Poi Castiel lo lasciò andare e si risollevò in
piedi. Indietreggiò di qualche passo, mentre Dean si
rialzava a sua volta, e recuperava da terra il coltello di Ruby.
Dean vide Castiel far roteare istintivamente il pugnale angelico nella
mano, come se fosse pronto ad usarlo contro di lui in qualsiasi momento.
“Devi puntarmi contro quella roba ancora per molto,
Cas?” chiese in tono casuale. “Non sta per
spuntarmi la faccia di un Leviatano, se è questo quello che
ti stai chiedendo.”
“E’ questo il nodo della questione,”
ammise Castiel, riluttante. “Se io mi rilassassi e tu
diventassi un Leviatano, finirei per spaventarmi.”
Dean inarcò un sopracciglio.
“Da quando sono un mortale, ho scoperto che alla base della
maggior parte delle azioni umane vi è una sorta di
indefinito terrore ancestrale. Quando un essere mortale abbraccia
l’inevitabile, questa sensazione lentamente si perde,
avvicinandolo alla pace interiore. Se, invece, dai una speranza ad un
mortale e poi gliela togli, il terrore esplode, diventando quasi
tangibile.”
“Cas, non sto capendo un cazzo di quello che stai blaterando,
ma sono felice anche io di rivederti, amico,” disse Dean.
“Ma ora che ci penso, tu non dovresti essere in
California?” chiese poi, toccandosi ripetutamente il collo.
Sanguinava leggermente. Quel maledetto l’aveva davvero ferito
al collo.
“California?” Castiel parve confuso.
“Il cellulare che ti ho dato, Cas.”
“Oh,” disse l’ex-angelo, dispiaciuto.
“Devi scusarmi, Dean. L’ho venduto. Avevo bisogno
di denaro,” spiegò. “Lo rivolevi
indietro?”
Dean roteò gli occhi, insultandolo silenziosamente.
“Lascia perdere. Come sei finito qui dentro?”
“Qualcuno stava uccidendo degli innocenti per richiamare la
mia attenzione,” spiegò Castiel. “Poco
tempo dopo il quinto omicidio, sono entrato nella villa di una famiglia
dal nome strano per indagare. Stavo interrogando il proprietario. Poi
di colpo… non so dirti come, mi sono ritrovato
qui.”
“Interrogando?” ripeté Dean.
“Sì.”
“In che se-”
Castiel rispose in anticipo alla sua domanda estraendo dalla tasca
interna della giacca un finto tesserino dell’FBI. Lo
guardò un attimo, giusto per assicurarsi che fosse dritto, e
poi riprese a mostrarlo a Dean.
Per la seconda volta in pochi minuti, Dean schiuse le labbra, ma non
riuscì a parlare. “Il nostro Cas è
diventato grande,” avrebbe detto, a
metà fra lo scherzoso e il commosso, in tempi normali. In
realtà, si limitò ad accennare un mezzo sorriso,
dimenticandosi per qualche istante che si trovava in mezzo ad una
maledettissima giungla aliena saltata fuori dal nulla. Quando se ne
ricordò, stava per chiedere spiegazioni a riguardo ma
Castiel, dopo aver rimesso il tesserino nella giacca, gli aveva
borbottato un “Ora se non ti spiace,” gli aveva
voltato le spalle ed aveva iniziato ad allontanarsi nella boscaglia.
“Ehi,” esclamò Dean, preso in
contropiede. “Ehi, ehi, ehi Cas, frena un attimo, dove stai
andando?”
“Non ho intenzione di starti vicino, Dean,” rispose
lui, senza fermarsi.
Dean gli andò dietro. “Amico, lo so che sei ancora
incazzato per quello che è successo, ma davvero, ho avuto le
mie ragioni per dirti di andare via.”
Castiel non rispose.
Affrettando il passo, Dean lo raggiunse e gli strinse la spalla,
costringendolo a fermarsi.
Dio, se era un soddisfazione non permettergli di scomparire mentre
erano a metà discorso.
“Cas-”
“Lo so che hai dei motivi segreti per non volermi
intorno,” lo interruppe Castiel compostamente. “Per
questo sto andando,” spiegò, passando lo sguardo
dal volto di Dean alla sua mano, aspettandosi che lui mollasse la presa.
Cosa che non avvenne.
“No invece, non hai capito un bel niente. Ascoltami bene,
razza d’idiota, quella cosa non riguarda me. A me non
importa- Cas, che diavolo è quella roba che hai intorno al
braccio?”
Castiel si voltò nel punto che Dean stava fissando, e
spalancò gli occhi per lo stupore.
Una strana nebbia scura e densa galleggiava silenziosa a pochi metri da
loro. Mentre stavano discutendo, una scia sottile si era allungata
nella loro direzione, ed aveva iniziato ad avvolgersi in piccoli cerchi
attorno al polso di Castiel.
Il moro, senza scomporsi, sollevò lentamente il braccio,
liberandosi da quelle volute di fumo, e lanciò
un’occhiata molto eloquente a Dean, che annuì e
fece un passo indietro.
Indietreggiando in silenzio, i due riuscirono a mettere fra i loro
corpi e la nebbia una decina di metri di distanza. Ma quella, qualunque
cosa fosse, all’improvviso sbocciò in una miriade
di ramoscelli... o meglio, di lunghi e spessi tentacoli ondeggianti.
Dean deglutì istintivamente. Guardò Castiel,
sperando che lui sapesse cosa fare, ma l’altro gli
rimandò un’occhiata incerta quasi quanto la sua.
Il cacciatore non sapeva cos’era quella nebbia ma in passato,
involontariamente, nel corso di alcune sue ricerche…speciali
su internet, gli erano capitati sott’occhio dei…
fascicoli che mostravano nel dettaglio che cosa gli indefiniti mostri tentacolari
potevano fare alle avvenenti ragazze asiatiche.
Non era proprio il genere di Dean, e comunque sia, lui non ci teneva a
sperimentare di persona quanto aveva visto.
Fortunatamente, l’essere sembrò ignorarli.
Dean e Castiel ripresero ad allontanarsi. Ma Castiel
schiacciò un rametto secco, e tutti i tentacoli della cosa
si fermarono all’unisono, paralizzati come un felino che ha
adocchiato la preda ed è pronto a saltarle addosso.
“Scusami, Dean,” mugolò Castiel.
I tentacoli scattarono nella loro direzione, per cui un terrorizzato
Dean afferrò Castiel per la giacca ed iniziò a
scappare precipitosamente con lui fra gli alberi colorati.
“Se quei cosi mi violentano, Cas, giuro che ti
ammazzo,” gridò Dean al compagno, correndo per la
propria verginità
integrità.
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Capitolo 5 *** Scuse, nel 2014 ***
Note
aggiornate il 05/01/2014:
Sono riuscita a
capire come si pubblica in Cambria. Mi sento potente.
(Poi
però ripenso al fatto che ho una laurea in ingegneria e che
ho impiegato 3 mesi per capire come funziona l'html su EFP, e torno a
sentirmi una schifezza.)
Extra: l’altro giorno
ragionavo sul fatto che se dovessi immaginare un tema per Ariel,
sceglierei:
http://www.youtube.com/watch?v=BgmnQzpI8o0 .
La cosa simpatica
è che, mentre scrivevo gli ultimi due righi del capitolo, la
riproduzione casuale del mio lettore ha scelto di far partire proprio
questa musichetta.
La cosa ridicola
è che mi sono spaventata.
*
* *
Dean e Castiel,
l’uno accanto all’altro, poggiarono la schiena
nello stesso momento sullo stesso tronco d’albero violaceo.
Bloccati nel Limbo,
avevano corso fra gli alberi secolari sino a quando non erano stati
sicuri di aver seminato l’essere che aveva tentato di
catturarli.
“E’…andato…?”
ansimò Dean.
Castiel, troppo
impegnato a riprendere fiato per rispondere, fece un gesto affermativo.
Tirando un mezzo
sospiro di sollievo, Dean si lasciò scivolare contro il
tronco liscio e intrecciato dell’albero, sedendosi sulle sue
radici esposte. “Che diavolo… era… quel
figlio di puttana?”
“Solo
un’ombra,” rispose Castiel, riponendo il pugnale
angelico all’interno della sua giacca e sbottonandosi ancora
un po’ il collo della camicia.
Dean, dal canto suo,
decise di togliersi il giubbotto antiproiettile, a suo parere inutile
se non dannoso in quel posto, visto che non faceva altro che
appesantirlo. Ne approfittò anche per aprirsi la giacca
della sua divisa scura da sorvegliante, sotto cui indossava la sua
solita T-shirt nera.
“Credo che
volesse fare conoscenza con noi, Cas.”
“No, Dean.
Qui le ombre divorano.”
“Qui dove,
scusa?”
“Cosa intendi
dire?”
“Intendo
dire,” esclamò Dean esasperato, “lo so
che la domanda può sembrarti banale e noiosa, ma dove Cristo
siamo, Cas?”
Castiel, stupito,
abbassò lo sguardo su Dean per qualche istante, come se
fosse indeciso sul se prendersela con lui per l’espressione
blasfema che aveva appena usato oppure no. Alla fine, decise che non
gli importava. “Nel Limbo, credo,” rispose con voce
profonda.
Dean sbatté
le palpebre. “Nel Limbo.”
“Sì.”
“Nel
Limbo,” ripeté Dean, con maggiore
incredulità.
“Già.”
Il cacciatore ebbe
l’impressione che avrebbero potuto continuare così
per l’eternità. “Io…sono solo
entrato in una stanza,” disse, perplesso.
In effetti, ora che ci
pensava, perché l’aveva fatto?
Stando a quel che
ricordava, aveva visto uno spettro ed aveva deciso di
seguirlo. Poi, però, qualcosa gli aveva offuscato
la mente, e con essa la capacità di pensare lucidamente.
Qualcosa lo aveva
spinto ad attraversare quella strana e grossa porta.
“Credo di
averlo fatto anche io,” annuì Castiel, pensieroso,
sedendo accanto a lui, appoggiando gli avambracci sulle ginocchia.
“Ma è tutto molto confuso.”
Dean imprecò
in silenzio. “Beh, e cosa si fa in questo Limbo? Feste?
Balli?”
Castiel
inclinò la testa da un lato, inarcando un sopracciglio.
“Non ne ho idea, Dean. Non sono Virgilio.”
Il biondo lo
fissò come per dire: Che
c’entra quell’angelo killer con noi?,
ma non aprì bocca, così Castiel, dopo parecchi
secondi di silenzio, decise di spiegargli quel che sapeva.
“Non so molto
di questo posto. Si dice che fosse un residuo di un universo pagano mai
pienamente sviluppato, a metà fra il Purgatorio e
l’Inferno. Le voci che ho sentito lo descrivevano come un
luogo…” si interruppe, cercando la parola adatta
“…disordinato,”
concluse.
“Cosa hai
fatto finora qui dentro?”
“Ho
visto… cose.”
“Che tipo di
cose?”
Castiel si
voltò dall’altra parte. “Non saprei
descrivertele,” disse in tono sibillino, e Dean ebbe
l’impressione che in realtà non volesse farlo, ma
lasciò cadere.
“Utile come
al solito, Cas.”
“E’
sarcasmo?” chiese Castiel. “Devo ancora capire il
meccanismo con cui funziona il sarcasmo,” rimuginò
poi ad alta voce.
Dean roteò
la testa e gli occhi. Improvvisamente stanco, poggiò la nuca
sul muschio soffice che ricopriva il tronco dello strano
albero alle sue spalle.
Se c’era una
cosa peggiore dell’essere bloccati nel Limbo, era
l’essere bloccati nel Limbo con Castiel e senza una
sufficiente quantità di alcool per sopportarlo anche se, in
fondo, tutto questo gli era mancato.
Questa situazione gli
ricordava un po’ il Purgatorio, ma stavolta con lui non
c’era la robusta presenza di Benny a lamentarsi di tipo ogni
cosa. In effetti, realizzò di colpo Dean, stavolta con lui
non c’era neanche un angelo conscio dei pericoli del posto:
c’era solo un uomo, fragile e disorientato quanto lui.
Questa improvvisa
consapevolezza fece sobbalzare qualcosa dentro Dean a cui, senza
curarsi di nascondere una certa nota di preoccupazione, venne istintivo
chiedere al compagno:
“Cas,
tu…stai bene?”
“Mi stai
davvero chiedendo questo ora?” rispose lui, per poi
lanciargli un’occhiata in tralice.
Dean, stupito,
aprì la bocca per rispondere. Ma non lo fece,
perché in quel momento i suoi sensi di colpa avevano deciso
di risvegliarsi e di ricominciare a rosicchiare qualcosa dentro di lui.
E lui, in quel momento,
non aveva né la forza né la voglia di scacciarli.
Non avendo dove altro
andare, i due uomini passarono alcuni minuti seduti lì
completo silenzio, in quell’atmosfera immobile e calda,
finché Dean non si accorse che il suo compagno, il volto
cupo, stava tenendo fisso lo sguardo verso un punto poco distante da
loro. Per un attimo, temette che si trattasse di nuovo della nebbia
tentacolare e si affrettò a cercare di individuarla, ma non
vide nulla.
“Cas, che
cosa c’è?” chiese infine
all’ex-angelo.
“Niente,”
rispose lui velocemente, senza però distogliere lo sguardo
dal suddetto niente.
Dean si
rabbuiò, ma non disse nulla.
“Dean,
io… dopotutto, credo che dovresti allontanarti da
me,” aggiunse poco dopo Castiel, alzandosi in piedi.
“Sì,”
annuì il biondo, imitandolo. “Dovrei,”
disse.
“Dovrei, perché sono anni che ti conosco e sono
anni che non fai altro che causare problemi sia a me che a Sam. Non fai
altro che fare e dire stronzate, combinare casini senza dirmi niente e
poi uscirtene con il tuo maledettissimo “scusami Dean”.
Quindi non provare a fingere con me, Cas, io ti conosco. Lo so che sei
ancora incazzato perché ti ho abbandonato proprio quando
avevi bisogno di me. Ma quando io
avevo bisogno di te, quando io
ti ho pregato per notti intere nel Purgatorio, quando ti ho supplicato
di tornare da me con quella fottuta tavoletta, tu che cazzo hai fatto
per me? Sei tornato? No, Castiel. Mi hai lasciato solo come un
coglione, perché eri convinto di fare la cosa
giusta!”
Castiel ora
stava guardando Dean, le labbra screpolate schiuse in
un’espressione sconcertata.
“Senti, io lo
so di aver fatto una cazzata, ok? Lo so. Ma non ti ho abbandonato, Cas.
Io non ti ho mai
abbandonato. In questo momento sono qui per te, maledizione! Te ne
rendi conto?!”
“Dean—”
“Sta’
zitto, Cas, e dimmi una volta per tutte che diavolo ti sta
succedendo!” esclamò Dean, esasperato.
In quel preciso
istante, la foresta cadde in mille pezzi.
Nel tempo di un
respiro, l’erba aliena divenne asfalto spaccato, gli alberi
più grossi lasciarono il posto a edifici cadenti, le liane a
cavi tranciati. La pianta alle loro spalle, adesso, era un pezzo di un
vecchio muro squarciato e ricoperto di rampicanti morti.
Vi erano automobili
divelte a terra e gran parte delle porte e finestre erano sbarrate. I
grattacieli semidistrutti erano stati assaltati dalle piante, e le loro
cime puntavano verso un cielo cupo e nuvoloso. Ogni tanto, una goccia
di pioggia cadeva sulla testa o sulle spalle di Dean.
“Figlio
di…” mormorò, ormai per
l’ennesima volta, il cacciatore, guardandosi intorno
stravolto. “Cas… è cambiato! Ora siamo
in un… nel…”
Nel 2014, concluse
l’inconscio di Dean al suo posto, facendogli scorrere un
brivido lungo la schiena.
“Succede
continuamente,” annuì Castiel scostante, e
finalmente Dean comprese il significato dell’aggettivo
“disordinato”
che lui aveva usato poco fa. “Quando sono arrivato
io, c’era l’ufficio di Naomi. Poi tutto ha preso la
forma di un anfratto dell’inferno in cui ero stato. E
così via, finché non sei arrivato tu.
E’ meno monotono del Purgatorio, ma non è per
niente un luogo di purificazione,” osservò
l’angelo.
Dean sentì
la frustrazione che aveva provato poco fa tornare a scorrergli nelle
vene. Quindi stavolta
non mi prenderai per il culo per cercare di restare qui?
Avrebbe voluto rispondergli. Ma si trattenne, e riseppellì
tutto dentro di sé, perché c’erano cose
più importanti in quel momento.
Se si trovavano davvero
in una copia perfetta del 2014, ragionò Dean,
c’era un’elevata probabilità che la zona
fosse infestata dai Croatoan. Lui aveva una pistola, ma loro erano
tanti, e pericolosi. Se li avessero attaccati in gruppo, probabilmente
sarebbero stati fatti a pezzi in pochi minuti.
In silenzioso accordo,
i due uomini si tolsero dalla strada ed iniziarono ad esplorare il
posto, riparandosi sotto i vecchi portici e cercando dentro le
abitazioni maleodoranti; inizialmente, Dean era teso e nervoso, ma man
mano che il tempo passava, si rendeva conto che in quella
città, così come nella giungla di prima, non
c’era (era proprio il caso di dirlo) anima viva.
“Mi mancava,
il Limbo,” dichiarò alla fine Dean ad alta voce,
calciando una lattina arrugginita in mezzo alla strada. “Mi
sono fatto l’Inferno, il Paradiso, il Purgatorio, ora anche
il Limbo. La prossima volta dove mi manderanno? Sul monte Olimpo? Ad
Asgard? A cavallo del Drago Shenlong?”
Fu un attimo. Senza
dire una parola, Castiel scattò verso di lui, scansandolo
via, e subito dopo ricadde all’indietro, sbattendo forte la
schiena contro il marciapiede rotto e sporco, come se un essere
invisibile lo avesse appena spinto lì.
La mano di Dean
scattò d’istinto sulla pistola ma ben presto il
cacciatore, non riuscendo a percepire alcun pericolo
all’orizzonte, decise di lasciar perdere e correre invece a
verificare le condizioni del compagno, che con un gemito si era girato
di lato ed ora si stava tastando il petto con una mano. Si
inginocchiò accanto a lui preoccupato, ma gli bastarono
pochi secondi per comprendere che sul petto di Castiel non vi era
nessuna ferita.
“Cas, tutto
bene? Che diavolo ti è preso?”
“Nulla,”
replicò lui, di nuovo, puntellandosi sui gomiti.
“Credevo… nulla, Dean.”
“Nulla?”
ripeté il biondo, sbattendo le ciglia. “Come
sarebbe, nulla?”
Afferrò
malamente con una mano Castiel per il colletto della camicia,
impedendogli di rialzarsi. “Forse, non mi sono spiegato
abbastanza bene prima. Io
ne ho abbastanza. Ne ho abbastanza della gente che mi dice
“Nulla” e poi magari si fa ammazzare davanti ai
miei occhi. E’ da quando ti ho ritrovato che hai ricominciato
anche tu con quest’atteggiamento idiota. Vuoi
continuare ancora per molto, Cas, oppure vuoi dirmi una volta per tutte
che cazzo ti succede?”
Castiel
cercò debolmente di liberarsi dalla presa di Dean, ma lui
non lo lasciò andare e anzi, premendogli l’altra
mano sulla guancia, lo costrinse con ben poca gentilezza a guardarlo in
faccia.
“E guardami
negli occhi quando ti parlo, maledizione! Hai delle visioni? Vedi
Lucifero, o qualche altra puttanata del genere?”
“No, non
Lucifero,” ammise infine l’altro, crollando.
“Ma molte altre allucinazioni. Tu, Sam… i miei
fratelli…”
La pioggia
iniziò ad intensificarsi.
Dean, sentendosi
più sollevato per il fatto che l’amico si fosse
finalmente deciso a parlare, esaminò attentamente il suo
viso, cercando nei suoi occhi azzurri un qualche segno di pazzia, ma
quel che vi lesse fu solo dolore, misto ad un’immensa
stanchezza.
“Da quanto
tempo non dormi, Cas?” gli venne automatico chiedergli,
mentre la rabbia lasciava il posto alla preoccupazione. Senza
rendersene conto, aveva lasciato scorrere le sue mani dal viso alle
spalle sottili di Castiel. “Lo sai che devi dormire,
vero?”
Castiel fece un cenno
d’assenso, socchiudendo gli occhi esausto, e Dean ebbe la
sensazione che lui non si stesse concedendo riposo da giorni. In
effetti, anche se non era ferito fisicamente, stare in questo posto
infernale, circondato da esseri strani e presumibilmente letali, senza
mangiare, bere o riposare, non doveva essere stato salutare per lui,
soprattutto ora che era umano. Forse, Castiel aveva iniziato a
sviluppare delle allucinazioni a causa della debolezza e dello stress a
cui era stato sottoposto.
Dean capì
che avrebbe dovuto avere sospetti a riguardo sin dal primo momento che
lo aveva visto: Castiel lo aveva attaccato perché
probabilmente lo credeva una visione, e qualcosa del genere doveva
essere accaduto nella giungla, accanto all’albero, e poco fa.
“Avresti
dovuto dirmelo prima,” disse infine il cacciatore.
“Questo è lo stesso tipo di stronzate che fa Sam.
Mi fate solo venir voglia di prendervi a pugni entrambi, e credimi lo
farò, non appena ti avrò tirato fuori da
qui,” minacciò.
Castiel, dal canto suo,
non comprendeva ancora bene come funzionassero i sentimenti umani, ma
conosceva abbastanza bene Dean da capire che queste erano le cose
più simili a delle scuse che lui era in grado di fare.
“Grazie,”
gli rispose, accennando un sorriso.
“Piantala,”
sospirò Dean, voltandosi dall’altra parte,
improvvisamente a disagio. “Non sto scherzando, lo
farò davvero. Perché te lo meriti. Lo sai, tu
sei…”
Ora Dean aveva tutta
l’attenzione di Castiel.
“Voglio dire,
lo sai, sei…”
La voce di Dean si
spense nella pioggia, mentre lui cercava di trovare la parola adatta a
terminare la frase.
Sì, beh,
alla fine, cos’era quell’uomo, per lui? La sua
famiglia, come Sam? No, no di certo. Suo fratello era su di un livello
differente, e comunque sia, con Sam, Dean non aveva mai avuto dei momenti del
genere; e se li aveva avuti, erano durati il tempo che Sam dicesse
qualche puttanata sdolcinata e lui finisse per ridergli dietro,
prendendo poi un paio di birre.
Ma Castiel non sembrava
intenzionato a dire roba sdolcinata. Era lì di fronte a lui,
seduto a terra, con i entrambi i palmi delle mani sul marciapiede;
probabilmente inconsapevole di avere la giacca per metà
aperta e la camicia semi-sbottonata; il volto teso in
un’espressione tirata e i capelli ormai bagnati a causa della
pioggerellina insistente. Ciò che restava dei suoi occhi
severi ed antichi, ora offuscati dietro un velo di umanità e
debolezza, era tutto concentrato su Dean, in attesa di una risposta che
lui, si rese conto in quel momento, non era in grado di dargli.
La terra
iniziò a tremare, ritmicamente, facendo sobbalzare le
mattonelle del marciapiede sconnesso attorno a loro. Qualunque cosa
stesse per succedere fra Castiel e Dean si interruppe lì,
perché il primo distolse lo sguardo dal cacciatore, mentre
l’altro, improvvisamente ripiombato nel mondo reale,
riconosciuto quel tipo di rumore, balzò in piedi.
Non era possibile,
pensò Dean, mentre le vibrazioni aumentavano man mano che la
loro causa si faceva più vicina. Non era possibile che ci
fosse davvero qualcosa del genere, nel 2014 così come nel
mondo reale.
Ma quello era il fottuto Limbo.
Dopo un attimo di
confusione, Dean venne assalito da una tremenda consapevolezza, che si
materializzò quando nell’aria risuonò
un basso ruggito.
“Dimmi che
non è quello che penso,” sussurrò,
stravolto.
Invece,
realizzò con terrore quando una zampa gigante e squamata
spuntò da un angolo di un grattacielo, era esattamente
quello che pensava.
**
In una stanza della villa dei Reynolds, il corpo esanime di Sam giaceva
ammanettato su di un elegante letto a due piazze, al di sopra di
morbide lenzuola color avorio.
Seduta accanto a lui vi
era la ragazza che rispondeva al nome di Tonya Reynolds. Era notte
fonda, ma lei era ancora vestita con l’abito della festa,
scarpe e gioielli compresi. Allungò una mano sul volto di
Sam, verificando il suo respiro.
“Sembra che
stia dormendo,” osservò, in tono incerto.
“Forse dovremmo chiamare un medico..?” propose al
fratello maggiore, Leon, il quale era impegnato a tracciare simboli
antidemone intorno al letto e non la degnò neanche di uno
sguardo.
Tonya
sospirò, come se fosse abituata ad essere ignorata da lui.
“Credi che ci sia un collegamento?”
“Fra
cosa?” sbottò l’uomo, tirandosi indietro
la lunga treccia con un gesto nervoso. “Fra il fatto che hai
aperto le finestre, rovinando la linea di sale, e quello che subito
dopo, magicamente, il minore dei Winchester è finito in
coma?”
“La forza
dell’abitudine,” sussurrò lei irritata,
a mo’ di scusa. “Faceva caldo. Ero stanca. Era la
mia festa di fidanzamento. Sono io che devo sposare quel tipo
perché tu sei completamente pazzo. Ho dovuto sorbirmelo
tutta la sera, ed ero stanca. E comunque sia, non
c’é un modo più moderno del sale per
proteggersi da questi tuoi fantasmi?”
Leon le
lanciò un’occhiataccia, zittendola. Poi
girò intorno al letto e la raggiunse, e le mise in mano un
grosso pennarello indelebile e un block notes.
“Se tutto
procede secondo i piani, non dovrai sposare nessuno,”
mormorò. “Ora, io devo andare. Manderò
qualcuno a sorvegliare quest’uomo. Tu nel frattempo ricopia
tutti i simboli riportati in questo blocchetto sulle pareti della
stanza: sono protezioni dagli angeli. Grandi, e anche sulla porta, mi
raccomando. Poi torna nella tua stanza e chiuditici dentro. Dormi. E
non toccare più le finestre.”
Lei fece scorrere lo
sguardo dal blocchetto al fratello, sconvolta. “Aspetta, e tu
dove vai?”
“A
controllare il resto della merce,” rispose l’uomo,
allontanandosi. “Fai come ti ho detto e non preoccuparti: fra
poche ore sarà finito tutto,” concluse, lasciando
la stanza.
Lei sbuffò,
indispettita. Poi, una luce dorata brillò per un istante nei
suoi occhi, e sorrise piano.
“L’avete
sentito? Che peccato,” sussurrò Ariel,
accarezzando delicatamente i capelli di Sam. “Ma riusciremo
lo stesso a divertirci un mondo, insieme.”
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Capitolo 6 *** Vorrei porre l'attenzione sul pigiama a orsetti di Sam ***
Note,
di 400 parole:
Festeggio
l’aver ricevuto 10 recensioni positive spiegando che Castiel, varcata la porta del
Limbo, si è risvegliato in un luogo asettico e immacolato,
dall’aria familiare. Dopo aver vagato un po’ al suo
interno, si è accorto che si trattava della sede
celeste dei “servizi segreti angelici”.
Ha
esplorato tutte le stanze, ma non ha trovato nessun angelo. Quando,
alla fine, è riuscito a raggiungere l’ufficio di
Naomi, ha notato che la sua sedia era girata in modo da dare le spalle
alla scrivania e a lui.
Castiel
si è avvicinato, tenendo ben stretto il pugnale angelico
nella mano. Ha voltato la sedia di scatto, solo per vedersi cadere
addosso il cadavere ormai in decomposizione dell’angelo
morto.
Lo
ha calciato via, agghiacciato.
Ha
visto insetti striscianti uscirle dalla bocca e dalle orbite vuote e
nere, gli organi interni quasi del tutto esposti e marci; un fetore
tremendo gli ha fatto venire la nausea. Si è allontanato di
scatto da quell’abominio, ma solo per scoprire che, alle sue
spalle, era appena apparso Metatron.
L’angelo
aveva ancora in mano uno degli strumenti di Naomi. Ha raggiunto Castiel
e, con un unico, fluido gesto, lo ha usato per tagliargli la gola.
Castiel
si è sentito soffocare, ed il terrore si è
impossessato di lui.
Si
è portato le mani al collo, gemendo, mentre il sangue caldo
ha iniziato a scorrergli dentro i polmoni, bruciando come acido e
togliendogli l’aria di cui, da umano, aveva un bisogno
disperato.
Ha
agonizzato per un tempo che gli è parso infinito, ha
rantolato e ha vomitato sangue, ha sentito la testa esplodere e gli
è parso di impazzire e poi di colpo, in un battito di
ciglia, il dolore è scomparso e lui si è
ritrovato all’Inferno. Lì tutto era color del
sangue e continuava a bruciare. Una catena gli si è avvolta
intorno al braccio; lui l’ha tranciata con il pugnale
praticamente d’istinto, voltandosi di scatto nella direzione
da cui era provenuta. Castiel ha scoperto che a lanciargliela era stato
un mostro dagli occhi neri, che ora lo fissava sorridendo in modo
tremendo, leccandosi le labbra.
Quell’anima
era un’oscenità nera e martoriata. Che doveva fare
Castiel, doveva combatterla? Doveva ucciderla? No, non poteva farlo.
Non poteva uccidere Dean…
…sì,
e magari io per le 20 recensioni mi faccio venire in mente qualcosa che
non comprenda tutto questo schifo… ¬_¬
*strofina via sangue dall’ufficio di Naomi* Idee?
Suggerimenti? Parlate xD
*continua
a strofinare*
* * *
“Quindi, a tuo
parere, quell’essere che infestava la città
abbandonata era un dinosauro,” disse Castiel con tono
incerto.
“Non era un
dinosauro normale, Cas. Era un tirannosauro,”
spiegò Dean agitando le mani. “ Gigante.
Mutante.”
I due uomini stavano
percorrendo un corridoio di mattoni che, man mano che avanzavano,
diventava sempre più stretto e buio. Il labirinto in cui si
trovavano si era materializzato dopo il 2014, ed era così
tetro ed opprimente che Dean e Castiel avevano deciso di percorrerlo
per cercare di capire se c’era una via d’uscita o
se magari, miracolosamente, li avrebbe condotti nel mondo reale.
Giunsero ad un
incrocio, da cui si diramavano due percorsi che,
all’apparenza, erano esattamente uguali. Dean scelse
d’istinto quello di sinistra, e Castiel lo seguì.
“Quello era un
tirannosauro?” chiese Castiel, riprendendo il discorso.
Il soffitto del
corridoio diventava più basso ad ogni metro: a breve,
sarebbero stati costretti a proseguire con la testa abbassata.
“Certo che
sì. Non hai mai visto Jurassic Park?”
replicò il biondo. “Godzilla? …No dai,
andiamo, tutti hanno visto Godzilla!”
“Io ho visto
i dinosauri, Dean. Avevano le piume,” spiegò
l’ex-angelo.“Quello non era un
tirannosauro.”
“Piume? Ma
dai, non erano dei polli!”
“Credo
che le ricostruzioni storiche e geografiche del Limbo non siano
attinenti alla realtà terrestre...”
“Ah beh
certo, perché tutto il resto è attinente.”
Ora il corridoio era
diventato così stretto e basso che Dean e Castiel furono
costretti a camminare in fila indiana, quasi a carponi.
“Se tutto
continua a cambiare,” chiese di colpo Castiel,
“qual è il vero aspetto del Limbo?”
“Non
ne ho idea, ma non credo che comprenda una private house.”
“Cos’è
una…private house?”
“Cas, meglio
che non— Ouch!”
Dean aveva appena
battuto la fronte contro un muro: erano giunti ad un vicolo cieco.
Imprecando, il cacciatore accese uno zippo, verificando
l’effettiva presenza di un muro di pietra dura di fronte a
lui.
“E’
un vicolo cieco.”
“C’è
una porta.”
Dissero
contemporaneamente.
Dean voltò
la testa quel poco che bastava per lanciare uno sguardo interrogativo a
Castiel, che era dietro di lui.
“Non
c’è nessuna porta,” disse.
“Sono le tue allucinazioni, Cas.”
“E’
davanti a te,” ribatté l’altro, testardo.
Dean stava per avere
un esaurimento nervoso. “Senti—”
iniziò, ma Castiel, sospirando pesantemente, lo spinse di
lato, contro la parete del corridoio, cercando di passargli davanti. Il
passaggio era così stretto che si ritrovarono praticamente
appiccicati l’uno all’altro. La testa di Castiel
premeva contro la maglietta di Dean, ancora bagnata a causa della
pioggia che aveva preso nella città del 2014, e mentre Dean
protestava visibilmente per quella situazione, l’ex angelo
tese una mano in avanti, verso il muro.
Castiel
afferrò un qualcosa che Dean non riusciva a vedere e lo
spinse verso il basso.
Dean vide il muro
aprirsi, e una debole luce vedastra invase il corridoio.
Castiel si
tirò indietro e spinse il cacciatore verso di essa, per poi
seguirlo a ruota.
Quando uscirono da
quel corridoio, tirarono entrambi un grosso respiro.
“C’era
davvero una porta,” osservò Dean, e il compagno,
stancamente, rispose con un semplice cenno
affermativo. “Beh, dove siamo finiti
adesso?”
Deam si
guardò intorno: erano in un gigantesco stanzone
apparentemente senza soffitto, con le pareti giallognole che
trasudavano strane sostanze bianche, blu, rosa e rosso.
L’aria era
pregna di odori dolciastri, le luci erano fioche e fredde.
Vi erano degli oggetti
accatastati in giganteschi mucchi ai lati e negli angoli della stanza,
e il pavimento era solido e scuro. Non sembrava ci fossero porte, e le
grosse finestre affacciavano tutte su quella che sembrava essere la via
Lattea.
Mentre Castiel si
guardava intorno inquieto, Dean si avvicinò ad uno dei
mucchi di oggetti, e ne raccolse uno: era morbido e caldo e
dall’aria invitante… era un muffin. Un vero
muffin. E il resto del mucchio era composto da torte, aste di zucchero
giganti, dolciumi di ogni tipo. Dean si rese conto che il pavimento era
di cioccolato, mentre quella alle pareti era probabilmente crema.
“No,
dai…” mormorò. “Ma stiamo
scherzando..?!”
Quella stanza sembrava
uscita dal mondo delle favole.
Dean lanciò
via il dolcetto: l’ultima volta che lui e Sam avevano avuto a
che fare con le favole, erano quasi stati ammazzati.
Ma, ora che ci
pensava, Dean non aveva toccato cibo per tutta la serata. E
lì dentro c’erano decine di mucchi di dolci di
ogni tipo.
Alla fine, raccolse da
un altro mucchio una fetta di un una crostata alle mele. Se la
avvicinò al viso: profumava di confettura e zucchero in una
maniera illegale. Stava già per assaggiarla, quando Castiel
gli diede un colpetto all’avambraccio, facendogliela cadere.
Lui lo fulminò con lo sguardo.
“Non toccare
questa roba,” lo ammonì l’ex-angelo.
“Non era roba, era una
crostata,” protestò Dean.
“E’
probabile che sia una trappola.”
“Ma
era… crostata,” ripetè Dean.
Fissò desolato il mucchio di dolci. “Fanculo,
questa è una tortura,” sbottò.
“Andiamo Cas. Cerchiamo una via
d’uscita,” suggerì poi, allontanandosi
da quei dolci.
Ma Castiel non si
mosse dal suo posto; rimase invece a fissare i resti della crostata di
Dean con un’espressione indecifrabile. Il cacciatore,
incuriosito dal suo comportamento, aggrottò la fronte. Lo
chiamò, e a quel punto l’ex-angelo
sembrò come risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti.
Castiel raggiunse Dean
a grandi passi e gli poggiò una mano sulla sua spalla,
avvicinandosi pericolosamente a lui. “Non devi pensare che
sia una tortura,” gli disse in faccia,
d’improvviso, con voce profonda.
“C-Cas—!”
Castiel
sollevò gli occhi sul cacciatore: il suo sguardo era intenso
e grave, più simile che mai a quello che aveva quando era un
guerriero di Dio, per cui Dean rimase in silenzio, senza lamentarsi
della violazione del suo spazio personale.
“Credo che
il Limbo stia cercando di capire in che modo può attaccarti.
Non appena farai un passo sbagliato, ne approfitterà.
Suppongo che sia così che funziona questo posto,”
spiegò Castiel rapidamente. “Il Limbo legge
nell’anima delle sue vittime e ricrea ciò che vede
dentro di loro, come succede nel Paradiso. Ma lui usa questa tecnica
per disorientarle ed indebolirle. Poi si manifesta e le uccide, per
l’eternità.”
Dean assunse
un’espressione scettica. “Vuoi dire che Godzilla e
i tentacoli erano… lo stesso essere? Roba tipo…
le mie paure?” borbottò. “E’
la cosa più ridicola che abbia mai sentito.”
“No, non
sono le tue paure. Con me il Limbo ha scelto scenari molto
più realistici e precisi. Da quando sei arrivato tu, Dean,
ha iniziato a comportarsi in modo casuale.” La voce di
Castiel divenne ancora più bassa del solito.
“Credo sia perché la tua essenza è
più forte della mia. Tu non esponi mai i tuoi veri
sentimenti. L’hai confuso e tagliato fuori, per cui ora sta
grattando alla tua porta, allargando ogni fessura e tentando di forzare
la serratura per entrare.”
Nonostante Castiel
stesse parlando in modo troppo metaforico per i suoi gusti, Dean aveva
intuito cosa stava tentando di dirgli. Si morse un labbro, ricacciando
indietro l’ansia.
Con la coda
dell’occhio, vide che qualcosa aveva iniziato a muoversi
impercettibilmente intorno a loro. Anche Castiel doveva averlo notato,
perché il suo corpo si era irrigidito e la stretta sulla sua
spalla si era fatta più forte.
“Qualunque
cosa sia questo Limbo, non penso sia felice del fatto che stai parlando
di lui alle sue spalle, Cas.”
“Lo
immaginavo. Ma era un rischio che andava corso.”
“E cosa
succede se uccidiamo questo simpaticone?”
“Non
possiamo ucciderlo.”
“Come fai a
dirlo? Non abbiamo fatto altro che scappare!”
“Io ci ho
provato, Dean. Ci ho provato decine di volte, ma mi ha sempre
sconfitto. E poi riportato in vita. Ogni volta. Non è
possibile ucciderlo, dobbiamo fuggire.”
“Ti sbagli,
Cas,” lo corresse Dean. “Stavolta andrà
diversamente. Stavolta non sei solo.”
Castiel distolse lo
sguardo, senza rispondere.
Dean inarcò
le sopracciglia. “Sei spaventato,”
constatò.
Nel frattempo, un
gruppetto di una decina di esseri dalla forma umanoide si era
avvicinato silenziosamente a loro: erano ormai a pochi metri. Dean rivolse
loro la sua attenzione: osservando i corpi e i volti imputriditi, e il
modo lento con cui avanzavano, Dean realizzò subito che
stavolta si trattava di zombie.
“Tu fuggi,
allora,” disse a Castiel. “Raggiungi la porta da
cui siamo entrati, aspettami dentro quel corridoio. Io sistemo
i… the
walking dead qui e mi faccio dire
dov’è la nave madre.”
“Dean—”
“Vai,
Cas!” esclamò il cacciatore, dandogli uno
spintone.
Dean
afferrò la sua pistola e fece scattare la sicura. Fece
qualche passo avanti, puntò l’arma contro gli
zombie e sparò dodici colpi, che finirono tutti a segno.
I mostri caddero a
terra l’uno dopo l’altro, penosamente. Dean
raggiunse il più vicino a lui e gli si chinò
affianco, puntandogli l’arma dritta sulla faccia.
“Allora amico, parli da solo, oppure ti serve un
aiuto?”
L’essere,
per tutta risposta, spalancò le fauci in un ringhio
rabbioso, mostrando una fila di denti lunghi e affilati.
Dean sparò.
“Wow, zombie
vampiri,” annuì ai resti fumanti
dell’essere. “Questa è una cosa che mi
mancava.”
Uno degli altri
comparve alle spalle di Dean, cercando il suo collo. Lui si
voltò per sparargli, ma non ce ne fu bisogno: Castiel gli
aveva piantato il pugnale nel cranio, vaporizzandolo.
“Questo
è il mio Cas!” esclamò il cacciatore,
sorridendo.
Castiel gli tese la
mano e lui l’afferrò, rimettendosi in piedi. I
mostri, nel frattempo, si erano ripresi dagli spari, e li avevano
circondati.
Dean e Castiel si
ritrovarono schiena contro schiena.
“Il loro
Alfa è lì in fondo!” esclamò
Castiel.
“L’Alfa?”
Dean notò, alcuni metri oltre il cerchio di mostri, una
figura sottile, in piedi a braccia incrociate, vestita di nero, gli
occhi roventi e i canini ben esposti.
“Và
a prenderlo,” gli disse Castiel, mettendogli nella mano la
sua lama angelica.
“Vedi di non
farti ammazzare,” replicò Dean, estraendo il
coltello antidemone con l’altra mano e passandolo a lui. Poi
si staccò dalla sua schiena e si lanciò nella
direzione dell’Alfa. Pugnalò i mostri che gli
impedivano il passaggio, cercando di aprirsi un varco, e Castiel li
finì, per poi andare contro quelli che erano alle sue
spalle.
Dean non si
voltò indietro, ma corse dritto verso il suo avversario che,
in silenzio, lo attendeva immobile, con il sorriso sulle labbra
violacee.
Quel bastardo rideva
perché credeva che Dean fosse un debole essere umano, ma non
era così: Dean era stato quarant’anni
all’Inferno e un anno intero in Purgatorio; per tutto il
resto della sua vita, aveva combattuto contro ogni tipo di mostri, e di
certo non aveva intenzione di farsi sconfiggere da quello lì.
Dean si
scagliò contro l’Alfa, che attese fino
all’ultimo istante, per poi scattare a sua volta nella sua
direzione. Dean lo scansò sulla destra e gli
piantò nella gola il coltello di Castiel, tranciandogli di
netto la trachea e friggendogli le viscere.
Il sangue, troppo
sangue, schizzò dappertutto, tingendo le pareti e la terra
sotto i suoi piedi di colore rosso. Ci fu un tuono e un tremito nella
stanza, simile al movimento dell’aria calda in estate, e dal
soffitto iniziarono a piovere grosse gocce di liquido nero e denso.
L’Alfa
lanciò un grido disumano. Era ancora vivo, per cui Dean
estrasse la lama e si preparò a dargli il colpo di grazia,
ma la creatura si ricompose, gli si lanciò addosso e gli
addentò la base del collo.
Due fila di denti
aguzzi affondarono nella carne del cacciatore, stritolandola. Il dolore
si diramò dentro di lui, vena dopo vena, arteria dopo
arteria; Dean non aveva mai provato una sensazione simile, era come
veleno che penetrava in ogni fibra del suo corpo. Mentre la pioggia
cadeva in rivoli fumanti, Dean urlò, fino a che non ebbe
più aria nei polmoni.
Poi, di colpo, il
dolore scomparve, e tutto intorno a lui divenne silenzioso.
Come in un sogno, Dean
udì un rumore secco, e solo molti secondi dopo si rese conto
che il braccio che reggeva il coltello gli era stato spezzato.
Il dolore era come
ovattato. Era stato drogato? Era probabile… ma non gli
importava più di tanto, ormai. Così come non gli
importava scorgere da lontano quegli esseri, che tutto erano tranne che
zombie, fare a pezzi il corpo ormai senza vita di Castiel.
Dean sentiva il sapore
ferroso del sangue nella sua bocca.
Aveva commesso un
errore; se ne rese conto in quel momento. Vide il suo avversario
riemergere dal suo collo, masticando un pezzo della sua pelle.
Sollevò una mano sporca dotata di artigli. In un ultimo
momento di lucidità, Dean comandò al suo corpo di
reagire, ma fu troppo tardi: l’ultima cosa che
avvertì fu il suono delle ossa della sua gabbia toracica che
si spaccavano, e il rumore della carne schiacciata e strappata via dal
suo corpo.
**
Sam si
ritrovò in uno spazio argenteo apparentemente infinito,
steso su una marea di cuscini bianchi. Nell’aria
c’era odore di vaniglia.
Indossava un pigiama
azzurro, con tanto di cappellino con ponpon e pantofole di peluche. Il
tutto, decorato con una fantasia di orsetti sorridenti.
Si sfilò
dalla testa il cappellino e lo fissò incredulo.
“Questo
è un sogno,” mormorò, sconvolto.
“E’
un pigiama party,” lo corresse Ariel con una certa fierezza,
sorseggiando una tazza di tè a pochi passi da lui.
L’angelo,
ancora nel corpo di Tonya, era seduta su una pila di cuscini, a gambe
accavallate. Era passata ad uno stile più…
celestiale: ora indossava la camicia bianca e la giacca nera
d’ordinanza. A differenza degli altri angeli,
però, aveva un sottile nastro nero intorno al colletto della
camicia e, invece del pantalone, una gonna che le arrivava a
metà coscia. Portava un paio di stivali neri, alti fino al
ginocchio, e i suoi capelli corvini erano legati in una coda mossa che
teneva poggiata sulla spalla.
“Visto che
sei in coma, e questa è una tragedia per te, ed abbiamo poco
tempo, e questa è una tragedia per me, ho pensato di rendere
la cosa più divertente organizzando un pigiama
party.”
Sam non
entrò nel merito della questione del pigiama party.
“Perché… perché sono in
coma, Ariel?”
L’angelo gli
lanciò un’occhiata sorpresa. Scese dalla pila di
cuscini, scivolando a terra, le mani a coprirsi il volto.
“Q-Quel
cattivone di Leon voleva spedire anche te nel Limbo. Io…io
non volevo che lo facesse, Sam! L’unico modo per
non farglielo fare era… renderti inadatto ad entrare in quel
posto o-or…orribile!”
“La logica
conclusione di questo ragionamento,” continuò
Ariel comparendo alla destra di Sam, aggiustandosi un paio di occhiali
sul naso, “è stata entrare in contatto con la
donna chiamata Tonya Reynolds, esporle una verità
accettabile a convincerla a rimuovere le protezioni che mi tenevano
lontana dalla casa; convincerla poi a dirmi di sì,
raggiungerti e impedirti di oltrepassare quella porta mandandoti in
coma. Infine, entrare in contatto con te attraverso i
sogni.”
“Purtroppo,
queste cazzo
di protezioni di questa stramaledettissima
casa sono state ripristinate, e anche se sono riuscita ad entrare, non
posso fare un cazzo!”
concluse alle spalle di Sam, facendo esplodere tutti i cuscini come se
fossero bolle di sapone, con un gesto furioso della mano.
Sam
deglutì, in silenzio, scostando le piume candide che gli
volteggiavano intorno.
Mentre Ariel parlava,
una parte di lui ascoltava le sue spiegazioni; l’altra,
invece, studiava il modo strambo in cui continuava a comportarsi.
Neanche Castiel, nei
suoi giorni peggiori, aveva raggiunto i livelli di Ariel; il suo non
era un semplice cambiamento d’umore, come Sam aveva pensato
all’inizio: no, si trattava proprio di un continuo scambio di
personalità, che però fortunatamente parevano
essere tutte concordi fra loro.
“Perché
Leon voleva spedirci nel Limbo?” le chiese.
Ariel adesso sembrava
essersi calmata di nuovo. Forse anche troppo.
“Vedi,” rispose, del tutto atona, “stando
a quanto si dice in giro, c’è un angelo qui in
zona che vuole il povero Castiel morto. D’altra parte, ce ne
sono molti altri che darebbero quel che resta della loro grazia per
avere Dean e Sam Winchester fra le loro mani. Vi credono la causa delle
loro sofferenze, ma sono troppo deboli per trovarvi, e troppo
spaventati per cercare di uccidervi.” L’angelo scosse le
spalle. “Vista la natura del Limbo, suppongo che sia un
divertente compromesso mandarvi lì a farvi razzolare nella
disperazione e nella pazzia come maiali nel fango. Costringervi a
soffrire e a massacrarvi a vicenda per l’eternità.
Mi capisci?”
“Sì,
forse adesso inizio a capire…”
Sam si
portò la mano al mento, accarezzandoselo. Che razza di
guaio, pensò.
In realtà,
c’erano ancora tante cose che Sam non riusciva a comprendere
in questa storia, ma la cosa che gli premeva sapere di più
in quel momento era un’altra.
“Ariel,”
chiese con cautela, “tu cosa vuoi? Voglio dire…
perché vuoi aiutarmi?”
“Io credo
che possiamo aiutarci a vicenda,” rispose lei sorridendo.
Sam
aggrottò la fronte. Ora arriva la fregatura.
“In che
modo?” chiese.
Ma l’angelo
aveva voltato le spalle al cacciatore, ed ora stava ridendo divertita a
causa di qualcosa che Sam non riusciva a vedere.
“…Ariel?”
“Scusa!”
esclamò lei, continuando a ridere, “E’
che è troppo divertente!”
“Cosa
è divertente?”
“La tua vita
è divertente, Sam! Adoro le interazioni fra te e Dean.
Peccato che lui ora stia marcendo nel Limbo. La cosa peggiore
è che è in compagnia di Castiel. Quel bastardo
non porta bene a nessuno, credo sia maledetto da Dio in
persona!”
“Castiel..?
Castiel è con Dean? Ne sei sicura?”
Lei annuì.
Sam non sapeva se
esserne felice o meno. Ma comunque sia, erano entrambi ancora vivi, e a
quanto pareva esisteva un modo per riportarli indietro. Ok,
realizzò Sam, possiamo
farcela.
“Come
posso tirarli fuori da lì?”
Ariel non gli rispose
ma continuò a ridacchiare, così Sam la raggiunse
e la fece voltare a forza.
Ariel fissò
Sam stupita, come se non l’avesse mai visto, e
mormorò qualcosa in enochiano.
“Ti prego,
Ariel… non capisco l’enochiano. Devo
sapere—”
“Silenzio!”
lo zittì lei. “E’ una lettura
impegnata,” spiegò.
Fu in quel momento che
Sam si rese conto che Ariel aveva in mano uno dei libri di
Supernatural.
Sam rimase interdetto.
Dove li aveva presi?
“Questa Ruby
è carina,” osservò Ariel, voltando
pagina. “Mi piace. Ma lo sai, ho come l’impressione
che ti stia ingannando.”
Note:
La
scena finale di Dean contro l’Alfa/Limbo è stata
ispirata dalla visione di un episodio di Peppa Pig.
Pensieri
extra random, cancellati dal capitolo:
Dean
si chiese se era normale discutere di dinosauri e torte e poi venire
assaltati e maciullati da un branco di bestie feroci un istante dopo.
Ma
era così che funzionava quel posto. E, in generale, la sua
vita.
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Capitolo 7 *** Speranza ***
Note
deliranti:
Ho paura di
aver cannato tutto in questo capitolo. *piange in un angolo*
Ma ieri notte
ho trovato pace con le caratteristiche della storia. Già che
c’ero, ho cercato un titolo alternativo per la fanfic.
Non sapevo
cosa scrivere, per cui ho aperto a caso il mio dizionario di latino e
ho preso, sempre a caso, le prime due parole che sono uscite.
Credo
fermamente che ci sia qualcosa di sbagliato. Nel titolo. E
anche in me.
* * *
“Hey Jude
don’t be afraid,”
canticchiò Dean sottovoce, “you were made to go out and get
her…”
Accarezzò
piano il viso di Castiel, senza staccare gli occhi verdi da lui.
“Avevi
ragione,” gli disse piano, interrompendo la canzone.
“Non avresti dovuto restare con me.”
Sedeva su un tappeto
di fiori pallidi, stringendo il corpo dell’ex-angelo fra le
sue braccia. Non si era mai accorto di quanto fosse magro e
fragile… ma non importava più perché,
ormai ne era sicuro, Castiel non si sarebbe più svegliato.
*
Il Limbo. Il 2014. I
vampiri non morti. Il suo cuore strappato come un pezzo di
carta.
Quando Dean aveva
ripreso i sensi, le immagini degli ultimi avvenimenti si erano
riversate nella sua mente come un fiume in piena, facendolo scattare in
piedi sconvolto. Il cacciatore si era tastato il petto, e poi il collo
e la testa, ma non vi aveva trovato nessuna ferita.
Aveva scoperto di
trovarsi su un mucchio di foglie secche. Stavolta, lo scenario in cui
era immerso era il semplice giardino di una villa di
periferia al tramonto.
Ma non era un giardino
qualunque: Dean conosceva perfettamente ogni albero e ogni cespuglio di
quei pochi metri quadri di terreno, perché quello era il
giardino della casa di Lisa.
Dean, recuperata la
lucidità, aveva passato i minuti successivi a cercare il suo
compagno. Lo aveva chiamato più volte, senza successo. Alla
fine, lo aveva visto: era in un angolo del giardino, sdraiato supino
sui fiori di una grande aiuola di cui Dean non ricordava
l’esistenza. Accanto a lui c’era il coltello di
Ruby che lui stesso gli aveva dato; sembrava profondamente addormentato.
Dean, calpestando
senza ritegno il tappeto di garofani bianchi, lo aveva raggiunto e
l’aveva scosso per svegliarlo.
Gli ci era voluto poco
per realizzare che il suo cuore non batteva, e che non respirava.
“Andiamo,
hai detto che sei sempre tornato in vita,” gli aveva
ripetuto. “Andiamo…”
Dean aveva fissato a
lungo il corpo immobile del suo ex-angelo, immerso nei fiori bianchi e
accarezzato dalla luce del crepuscolo, sperando continuamente che il
secondo successivo sarebbe stato quello in cui sarebbe avvenuta la
magia.
Alla fine,
l’aveva capito.
Castiel non sarebbe
tornato in vita.
Prima di morire, gli
rivelato il modo in cui il Limbo torturava le sue prede; lo aveva
aiutato a combatterlo, fornendo a Dean non solo informazioni e appoggio
ma, soprattutto, speranza.
Un mondo che usava la paura e la disperazione delle
sue vittime a suo vantaggio non poteva permettere la presenza di un
simile sentimento: se
si ragionava su questo fatto, era ovvio che il Limbo non avrebbe
permesso a Castiel di continuare a stare al fianco di Dean.
Lui aveva
stretto i pugni, imprecando in silenzio.
Ma se vuole lasciarlo morto,
perché si è preso la briga di guarire le sue
ferite? Si era chiesto.
Perché se avessi
visto il suo corpo fatto a pezzi, ti saresti rassegnato,
gli aveva risposto la sua mente, facendolo trasalire.
Ti
ha lasciato la speranza di poterlo rivedere vivo, ed ora te la sta
portando via.
Dean aveva scosso la
testa, rifiutando di crederci.
Perché
finora ti sei sforzato di nascondere al tuo avversario che il tuo punto
debole è la tua famiglia, ma non hai fatto niente per non
mostrargli quanto hai bisogno di Castiel.
Si era sentito salire
un groppo in gola.
“Quindi me
l’hai portato via,” aveva constatato a voce alta,
inespressivo.
Dean aveva abbassato
lo sguardo sul corpo di Castiel. Si era passato una mano sulla bocca,
incerto.
Che doveva fare?
Seppellirlo? Oppure doveva lasciarlo lì?
Non, non poteva
lasciarlo solo di nuovo.
Il cacciatore aveva
riposto le sue armi e si era seduto accanto a Castiel. Gli aveva cinto
la vita con il braccio, sollevandogli la schiena da terra, e gli aveva
fatto poggiare la testa sul suo petto. Castiel era gelido, ma almeno
aveva un’aria serena.
Dean non
sapeva quanto tempo aveva passato in quel modo, ma ad un certo punto si
accorse che i fiori che li circondavano erano seccati di colpo.
Indurì la
sua espressione. “Ti stavo aspettando,” disse. Gli
steli inariditi presero ad oscillare, mossi da un vento impercettibile.
“Ne ho
abbastanza delle tue stronzate,” dichiarò il
cacciatore. “Lo sai chi si nasconde, nel mio mondo? I
vigliacchi. Vuoi uccidermi? Avanti, vieni a farlo di persona, razza di
codardo!”
Non aveva ancora
finito di parlare che sentì che qualcosa scorrergli fra le
dita: sangue. Il corpo perfetto di Castiel era improvvisamente
diventato come Dean ricordava di averlo visto nella sua vita
precedente: un ammasso di viscere squarciate e sanguinanti. I mostri
del Limbo che lo avevano divorato non avevano risparmiato neanche gli
occhi, i suoi occhi stupendi: uno era stato strappato via,
l’altro era semplicemente andato, insieme a metà
della sua faccia.
Dean lasciò
cadere quell’abominio a terra d’istinto e si
allontanò da lui. Portò una mano insanguinata
alla bocca e tossì più volte, cercando di
reprimere un conato di vomito.
E si odiò
per questo.
D’un tratto,
la porta della casa di Lisa sbatté violentemente e
iniziò a cigolare: qualcosa l’aveva scardinata per
metà. Un istante dopo, dall’interno della casa
iniziarono a provenire delle urla.
“Tu…”
biascicò Dean, stringendo i denti. Deglutì
pesantemente. “Ti stai divertendo, vero?”
chiese al vuoto. “E’ DIVERTENTE?”
“Certo che
lo è,” proseguì, raggiungendo
l’ingresso della casa, il pugnale di Castiel nella mano. Si
fermò di fronte all’uscio. “Divertiti
adesso, figlio di puttana, perché qualunque cosa tu sia io
lo giuro… te lo giuro, io
ti ammazzo.”
Le urla cessarono.
Dalla casa non
provenne più alcun rumore. Ma qualcosa colpì Dean
alle spalle, mandandolo a sbattere contro la soglia della casa,
rischiando di spaccargli la faccia. Dean non riuscì a capire
cosa fosse: era semitrasparente e senza forma, e capì che
stava per abbattersi su di lui. Gli tirò un calcio: il
mostro parve cadere a terra, dove fu finito da un coltello, che
lanciò scintille dorate nell’aria.
Per un attimo, Dean
credette che fosse stato Castiel, e che il suo cadavere fosse stato
solo un’allucinazione. Poi, una voce sarcastica che conosceva
molto bene giunse alle sue orecchie.
“Mi sembra
di aver già vissuto una scena del genere,” sorrise
Meg, rigirandosi tra le mani il coltello di Ruby.
Era proprio come Dean l’aveva vista l’ultima volta:
i vestiti a brandelli, bionda, fondamentalmente sgradevole.
Dean sputò
a terra un grumo di sangue, e non la degnò neanche di uno
sguardo. Si rimise in piedi, chiedendosi perché diamine ora
doveva sorbirsi anche un’allucinazione di Meg.
“Piantala.
Sono reale,” disse lei con una smorfia di disappunto,
captando i suoi pensieri.
“Certo,”
annuì Dean. “Ho saputo che Crowley ora dirige il
coro della chiesa...”
“Ti avevo
visto da lontano, ma pensavo fossi un brutto ricordo. Invece mi hai
sinceramente sorpresa,” ghignò lei.
“Sentire qualcuno che minaccia il Re del Limbo è
un evento raro, se non unico.”
Meg smise di sorridere
quando si accorse che Dean la stava osservando come se stesse decidendo
quale parte del corpo iniziare a strapparle per prima.
“Senti,”
esclamò, esasperata, “puoi crederci o no, ma avevo
ancora le mie conoscenze all’Inferno, okay? Mi stava stretto,
non potevo tornare sulla Terra e il Purgatorio è per
femminucce. Quando Crowley si è distratto, sono scappata in
questo posto incasinato in attesa di tempi migliori.”
Dean le rivolse uno
sguardo sprezzante.
“Quello
è Castiel?” gli chiese Meg, indicando il punto in
cui Dean non aveva più intenzione di guardare.
“E’ reale?”
“Lo
era,” rispose Dean senza alcuna emozione. “Meg, se tu sei reale, resta
qui con lui. Io vado ad uccidere quel figlio di puttana lì
dentro.”
“Ah
certo,” protestò lei. “Perché
secondo te io—”
“Resta qui,
Meg,” ripeté Dean.
“Ma certo,
sono ai tuoi ordini ora, eh? E comunque non preoccuparti,
è stato un piacere farmi ammazzare da Crowley per
farvi fuggir—”
“TI HO DETTO
DI RESTARE CON LUI!” gridò Dean.
Meg, stupita, rimase
in silenzio. Senza aggiungere altro, voltò le spalle a Dean
e si diresse verso ciò che rimaneva del corpo di Castiel.
Il
cacciatore varcò la soglia della casa.
Era pulita ed ordinata
come la ricordava. C’era persino lo stesso profumo di fiori
che usava Lisa, e alcune loro foto, incorniciate e conservate su di un
mobile. Dean ne raccolse una e la fissò per un attimo; poi
la scaraventò dall’altra parte della stanza.
Era irritato dal fatto
di trovarsi nuovamente in quel posto, soprattutto perché era
una ricostruzione molto più precisa del 2014: ciò
significava che il Limbo, alla fine, era riuscito a leggere nella sua
testa.
Dean stava esplorando
le stanze deserte, quando sentì un gran trambusto al piano
di sopra, unitamente a delle grida infantili.
“Ben…?”
disse incredulo e, d’istinto, si arrampicò su per
le scale, raggiungendo la camera del bambino. Provò ad
aprire la porta, ma era chiusa. Dall’altra parte, qualcuno
stava battendo e graffiando disperatamente su di essa.
“DEAN! DEAN
AIUTO!” gridava Ben, picchiando sul legno sottile.
Era palesemente
un’altra trappola, e Dean lo sapeva bene.
Ma, nonostante
ciò, non poteva lasciare che torturassero quel bambino:
gliene aveva già fatte passare troppe, a lui e sua madre. E
poi non sarebbe riuscito a tollerare le urla di un altro innocente che
moriva per colpa sua.
Ben continuava a
gridare disperato, mentre la cosa che era con lui ringhiava e mordeva.
“Ok, stai
indietro, Ben,” si decise infine Dean, “adesso
apro!”
Diede uno spintone
alla porta, facendola incrinare. Era fragile, ne sarebbero bastati solo
un altro paio per farla cedere del tutto.
Si preparò
a colpirla di nuovo.
Sta
grattando alla tua porta, tentando di forzare la serratura per
entrare…
Dean sbarrò
gli occhi, mentre le parole di Castiel gli ritornavano alla
mente, congelando i suoi muscoli. Invece di colpire la porta,
vi appoggiò la schiena sopra. Era assurdo, inconcepibile, ma
in qualche modo si rese conto che in realtà, in quel
momento, non si trattava di Ben che voleva uscire da quella stanza,
ma del Limbo che voleva entrare
dentro di lui, nella parte più profonda del suo
animo, Dio solo sapeva per far cosa...
Le urla di Ben si
fecero sempre più acute e disperate, finché non
lanciò un ultimo strillo di dolore e terrore puro,
acutissimo. Dean sentì il rumore del sangue e della carne
fatta a pezzi.
Poi iniziarono i
gemiti di supplica.
Il corpo del
cacciatore venne scosso da un brivido gelato. Prese a
tremare, respirando pesantemente, sentendo le forze che gli
scivolavano via dal corpo. Non gli era mai successa una cosa simile. Si
accasciò contro la porta, stringendosi il viso con una mano.
Non sapeva se l’avessero drogato, ipnotizzato o gli avessero
fatto qualche altra stronzata del genere. Ma non avrebbe mai ceduto.
Non sarebbe mai crollato. Anche se non sarebbe riuscito a sopportare
tutto questo ancora per molto…
Ben battè
un ultimo, debole colpo.
D’un tratto,
Dean si chiese perché aveva deciso di restare lì,
immobile.
Che cosa stava
proteggendo di così importante, in fondo? Le uniche cose che
c’erano in fondo a quello straccio lacerato e marcio che era
la sua anima erano abbandono, dolore, rassegnazione, senso di
perdita… anche se il Limbo se la fosse presa, non avrebbe
trovato molto da distruggere: era già tutto a pezzi. Tutto
il buono che gli era capitato, era stato usato contro di lui e poi gli
era stato portato via, in un modo o nell’altro. Ed ora Dean
aveva ricominciato a sentire il peso della solitudine e del senso di
colpa. Era stanco. Era davvero stanco.
Alzò lo
sguardo verso il soffitto, e una lacrima gli corse lungo il viso. Forse
avrebbe potuto mollare lì. Sam se la sarebbe cavata da solo.
Ezekiel lo avrebbe guarito, e ben presto lui si sarebbe rifatto una
vita. Si concesse un singhiozzo, mentre altre lacrime cercavano di
farsi strada nei suoi occhi.
Dean
avvertì mani tiepide sfiorargli le spalle. Castiel, il suo
Castiel, era comparso davanti a lui; i suoi occhi di un blu penetrante
erano afflitti e confusi.
“Ehi,”gli
sussurrò il cacciatore, sorridendo disperato. “Ti
sta per spuntare la faccia di un Leviatano, Cas?”
“Sono io,
Dean,” disse lui, sinceramente preoccupato.
A Dean
bastò. Si staccò dalla porta e
strattonò la giacca di Castiel, costringendolo ad azzerare
la distanza fra di loro, e prima che l’ex-angelo potesse
capire cosa stava succedendo, premette le sue labbra contro le sue.
Non fu romantico. Fu
violento, istintivo e frenetico, così sconvolgente che
Castiel gemette sorpreso. Cercò di ricambiare, schiudendo le
labbra quasi ingenuamente, ma il cacciatore ne approfittò
per approfondire il bacio, e immerse le mani nei suoi capelli scuri,
spingendolo contro di lui, cercando qualcosa che Castiel non poteva
dargli, perché in quel momento il vuoto nell’animo
di Dean era troppo grande per essere colmato.
Ma il corpo di Castiel
era caldo e il suo cuore, ora, batteva all’impazzata, e a
Dean andava bene così. Continuò a mordere,
succhiare ed esplorare, e sussultò quando si accorse che le
mani di Castiel stavano scorrendo lungo la sua spina dorsale, e che
l’angelo aveva iniziato a rispondere al suo bisogno con un
sentimento altrettanto forte e bruciante, eppure allo stesso tempo
così puro da cancellare ogni traccia di tormento dentro di
lui, insieme al resto del mondo. Dean non sapeva cosa fosse; sentiva
solo che in quel momento non poteva farne a meno, perché
forse era l’unica cosa che poteva salvarlo
dall’inferno che c’era dentro di lui.
Quando furono
costretti a staccarsi per respirare, Castiel cercò di
posargli un bacio leggero sulle labbra, ma Dean, dopo avergli morso
un’ultima volta il labbro inferiore, si girò
dall’altra parte e seppellì il volto sul suo
collo, ansimando in cerca d’aria, continuando ad artigliare
la sua spalla e a tenere premuti insieme i loro corpi con forza.
“Non
andartene mai più,” mormorò Dean con
voce bassa e ferma. “Ho bisogno di te.”
“Comunque,
con me si è impegnato di più,”
osservò Meg con noncuranza, da dietro le spalle di uno
sconvolto Castiel.
Dean si
sollevò di scatto e la guardò. I suoi occhi si
dilatarono per lo shock, come se si fosse reso conto in quel momento di
ciò che stava facendo.
“Incredibile,”
continuò Meg melliflua, le braccia incrociate e un sorriso
perverso sul volto. “Non solo se ne è andato senza
ucciderti, ma ti ha anche restituito il tuo angioletto. Complimenti,
Dean, sei riuscito ad annoiare il Re del Limbo... Ora, potreste
smetterla con questa roba? Mi sento esorcizzata solo a
guardarvi...”
“Dean…?”
mormorò Castiel, incerto, sciogliendo il suo abbraccio.
Soffocando
un’imprecazione sulle labbra, Dean lo spinse via e si
allontanò da lui, andando verso le scale. Gli ci volle tutto
il suo autocontrollo per passare accanto a Meg, che ridacchiava
divertita, senza tirarle un pugno sui denti.
Lei lo
seguì.
Castiel
restò solo, davanti alla porta della stanza di Ben, il viso
arrossato e la giacca stropicciata e semiaperta. Se all’inizio era
confuso, ora era del tutto sconcertato. Non sapeva neanche bene cosa
era successo fra lui e il cacciatore: aveva agito per puro istinto
umano.
E, a quanto pareva,
era riuscito a far infuriare Dean.
*
Quando Castiel
raggiunse Dean, lo trovò fermo sull’uscio a
contemplare il giardino: sembrava essere ritornato se stesso, o
perlomeno sembrava aver seppellito da qualche parte tutto
ciò che non era rudezza o ironia spicciola.
“O appari
all’improvviso, o impieghi un’ora per fare una
rampa di scale. Non hai proprio mezze misure tu, eh?”
sbottò Dean.
Castiel comprese che
non aveva intenzione di spiegargli nulla di ciò che era
avvenuto al piano di sopra e, per quanto la cosa gli facesse torcere
qualcosa dentro, decise di assecondarlo.
Seguendo il suo
sguardo, il moro vide che, a terra, c’erano almeno una decina
di corpi di esseri semitrasparenti, che si stavano decomponendo
rapidamente.
“Quando mi
sono svegliato, erano già ridotti
così,” ammise Castiel. “Sei stato
tu?” gli chiese, fissando la sua lama angelica, che il
cacciatore ancora teneva ben stretta fra le mani.
“Ah,”
mormorò Dean velocemente, restituendogliela.
“Credo che tu debba ringraziare la tua amica qui.”
Meg, accanto
a lui, sollevò entrambe le sopracciglia, senza riuscire a
credere che quello fosse il massimo della gratitudine che le sarebbe
toccata.
“Credevo di
averla persa,” ammise Castiel, abbassando lo sguardo.
“E’ stata l’unica compagna che ho avuto
per così tanto tempo che quando è sparita mi sono
sentito… perso anche io.”
Dean
spalancò gli occhi, fissando incredulo Castiel.
Meg sorrise,
avvicinandosi a lui e accarezzandogli il mento. “In fondo, mi
è mancato il mio dolce angioletto.”
Dean perse un battito.
“No, aspetta, Cas, stai parlando davvero
di—”
“Certo,”
affermò lui, lanciando un’occhiata a Dean, mentre
Meg si appoggiava al suo petto.
“Ah
beh,” annuì teatralmente Dean, facendo un passo
indietro da loro, “allora se volete vi lascio soli.”
Castiel assunse
un’aria allarmata, prendendo le distanze da Meg.
“Perché dovresti farlo, Dean? Io
credevo—”
“Eddai
Cas,” sbottò lui. “Non far finta di non
capire. Voglio dire, sei persino stato con quella
April…”
“April?”
dissero all’unisono Meg e Castiel.
Dean li
fissò, impassibile. Che bella coppietta.
“Oh,
sì April,” gli ricordò con un
sorrisino. “La sexy mietitrice.”
Meg inarcò
un sopracciglio. “Quale sexy mietitrice?”
“Quella che
ho rispedito a calci in culo all’inferno,”
replicò Dean, continuando a sorridere.
Meg si
voltò verso Castiel. “Il tuo uomo ha dei seri
problemi di gelosia,” osservò, ma l'ex-angelo ora
stava scrutando il cacciatore con attenzione.
“Dean,”
lo chiamò, serio.
“Che
c’è?”
“Mi hai
mandato via dal bunker… perché ho fatto sesso con
quel mietitore?”
Il pugno di Dean si
infranse sul battente della porta. “NO! Castiel,
tu… NO,” esclamò, voltando le spalle.
Afferrò il braccio di Castiel e lo trascinò fuori
dalla casa di Lisa. “Ne ho abbastanza di questo schifo.
Andiamo.”
“Andiamo,”
ripeté Meg, ferma sul suo posto, guardando i due uomini
allontanarsi. “Dove andiamo, razza di cretino?”
“Meg, ti
muovi o no?” gridò Dean.
I muscoli di Castiel
di irrigidirono di colpo. Dean sussultò, temendo che stesse
per succedergli qualcosa di nuovo. “Cas?” lo
chiamò, mentre il ricordo dell’immagine del suo
corpo martoriato gli si ripresentava davanti agli occhi.
“Cas, stai bene?”
“Sì,
è solo…” Castiel guardò
prima Dean, e poi oltre le sue spalle dove Meg, sospirando,
li stava raggiungendo pigramente. “Credo di sapere
come uccidere l’entità che infesta questo
luogo.”
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Capitolo 8 *** Qualcuno spieghi a Dean che non può sbattere le persone su un letto e poi lasciarle così ***
Frequently Asked Question (da
chi?!): Perché questo titolo?
Risposta:
Perché ero incerta fra “Tramite”
, “Qualcuno
spieghi a Dean che non può sbattere le persone su un letto e
poi lasciarle così” e “Maledizione Dean già
qui non succede nulla almeno bacialo santo cielo asdsjfsdlfkjsd”.
Alla fine, ho scelto il più pulito e professionale dei tre.
Frequently Asked Question
#2: Perché fai soffrire i tuoi personaggi a
caso?
Risposta:
E’ il modo in cui dimostro loro il mio affetto.
Più li amo, più li faccio soffrire.
Precisazione:
Amo il pairing Dean/Castiel.
Avevo pronto il capitolo da tipo una settimana, ma più
passavano i giorni e più, nel mio tempo libero, continuavo
ad arrovellarmici sopra … per cui alla fine ho
deciso di pubblicarlo e basta! D:
Ora torno a studiare per il mio esame... ugh...
* * *
“Credo di sapere come uccidere l’entità
che infesta questo luogo,” disse Castiel a Dean.
Il cacciatore, stupito,
aprì la bocca per chiedergli spiegazioni in
merito; ma l’ex-angelo, scuro in volto, gli fece
intendere con un’occhiata che per il momento non poteva
dirgli altro.
Dean afferrò il
messaggio e, seppur contrariato, annuì.
Meg, giunta proprio in quel
momento, ritrovandosi in mezzo a quella conversazione fatta di sguardi,
sogghignò e aprì la bocca per parlare.
“Tu non fare
battute,” le disse Dean in anticipo, puntando il dito nella
sua direzione.
Lei alzò le mani,
fingendosi innocente.
Castiel non parlò
più dell’argomento. In effetti, nelle ore
successive, non parlò più molto in generale,
anche se Dean lo vide più volte mentre, pensieroso, ripeteva
muto delle parole a fior di labbra. All’inizio, il cacciatore
cercò di capire cosa diceva, ma smise quando si rese conto
che fissare per troppo tempo le labbra di Castiel era davvero una cosa
davvero stupida da fare.
Nelle ore successive, il Limbo
cambiò altre volte: assunse forme particolarmente assurde o
spaventosamente tetre, ma non cercò più di
attaccarli.
Dean, Castiel e Meg
approfittarono di quella relativa tranquillità per dividersi
e cercare indizi, o ancor meglio una via di fuga.
Purtroppo per loro, non
scoprirono nulla.
Alla fine, dopo
l’ennesimo fallimento, Dean crollò sfinito sotto
lo scheletro di un albero. Era stato in piedi per ore: i suoi muscoli
imploravano riposo e la sua bocca era secca e impastata per la mancanza
d’acqua.
Il posto in cui si trovava in
quel momento era deprimente: fetido, silenzioso come una tomba, immerso
nella nebbia gelida.
Dean si concentrò
sull’aquilone rosso che svolazzava mestamente nel cielo,
anche perché non aveva voglia di osservare le centinaia di
cadaveri che ricoprivano l’erba secca di quello che un tempo
doveva essere un bel prato.
Si chiese per quanto tempo
ancora avrebbe dovuto sorbirsi quella roba.
“Meg, cosa ci fai
qui?” chiese in tono annoiato al demone che, silenziosamente,
gli si era avvicinato alle spalle.
“Controllavo che non
ti fossi fatto ammazzare,” replicò lei, le braccia
incrociate, sollevando le spalle con noncuranza.
“E chi avrebbe
dovuto uccidermi?” domandò il cacciatore.
“In questo posto ci sono solo morti morti. E quel
dannato aquilone.”
“Sì,
credo che Castiel lo apprezzi molto,” replicò Meg
in tono indifferente. “Non ho capito cosa stava cercando di
creare, ma aveva bisogno di distrarsi un
po’…”
Dean aggrottò la
fronte e si girò verso di lei: il demone aveva curvato le
labbra in un sorrisino.
“Che vuoi
dire?”
“Davvero non capisci
dove siamo?” Il sorriso di Meg si
allargò. “Questi sono angeli,
idiota.”
Dean spostò lo
sguardo sui corpi devastati che lo circondavano. Poi, come se dentro di
lui fosse scattata una molla, trasalì. Balzò in
piedi, comprendendo finalmente di fronte a cosa si trovava.
“Maledizione,”
sibilò, scattando nella direzione in cui, poco prima, aveva
visto allontanarsi Castiel.
“Credo che se vedessi come ho
ridotto il Paradiso, potrei togliermi la vita,”
gli aveva confessato lui una volta, quando era ancora un angelo.
Dean non aveva paura che fosse
morto, perché lì non si moriva. Aveva paura che
fosse stato spezzato, come lui era stato quasi spezzato nella casa di
Lisa.
Continuò a correre,
chiamando più volte il compagno. Nel mentre, il Limbo
cambiò di nuovo, e Dean quasi inciampò in un
vecchio copertone che gli era apparso fra i piedi.
Ritrovò Castiel
solo dopo alcuni minuti: era in piedi
nell’oscurità della notte, all’ingresso
di una vecchia abitazione che entrambi conoscevano bene, ma che il
cacciatore non degnò della minima attenzione.
“CAS!”lo
chiamò, raggiungendolo. “Razza di
idiota!” gli gridò contro.
“Perché hai detto di non sapere che
cos’era quel posto? Avresti dovuto dirmelo che era—
“
La voce gli morì in
gola quando si accorse dello stato in cui era ridotto Castiel: era
vivo, certo, ma pallido e immobile; i suoi occhi erano spenti e
fissavano il vuoto.
“Cas, che ti ha
fatto?” sussurrò Dean, mentre le sue paure
prendevano forma. Fece un passo verso di lui, allungando la mano.
“Ehi…”
L’ex-angelo parve
riconoscere in quel momento la sua presenza. “Dean.
Sto bene,” disse, dopo alcuni secondi, con voce molto
più bassa del normale. “Questa
è la casa di Bobby.”
Dean abbassò la
mano. Rimase a guardarlo, impotente, facendo finta di credere che,
sì, era tutto a posto, e che la cosa più
importante in quel momento fosse la casa di Bobby.
“Voi due che fate,
restate fuori?” domandò Meg da nulla,
oltrepassandoli ed entrando nella casa.
Dean la guardò
fisso, stranito, e poi riportò i suoi occhi su Castiel.
“Io… Andiamo, Cas,” gli disse.
Lui annuì.
*
La casa di Bobby in cui si
trovavano era una copia perfetta di quella reale, così come
la ricordava Dean: c’era lo stesso odore di alcool e legno e
polvere da sparo, gli stessi vecchi mobili scricchiolanti e lo stesso
disordine ordinato. Appurato che non ci fossero mostri nascosti negli
angoli e che i libri non mordevano, Dean si chiese perché il
Limbo aveva voluto mostrar loro proprio quel ricordo: forse avrebbero
potuto approfittarne per fare qualche ricerca… ma
prima, si rese conto, c’erano altre incombenze.
Mentre Meg e Dean
controllavano la casa, Castiel aveva gettato in un angolo la sua giacca
e si era seduto su una vecchia branda che Bobby teneva in un angolo;
aveva gli occhi arrossati e tremanti.
Rimase così
finché non si sentì mettere in mano un bicchiere
colmo di whisky.
“Non è
avvelenato,” lo rassicurò Dean con un sorriso
tirato. “L’ho provato io.”
Castiel strinse la presa sul
bicchiere di liquido scuro e fresco e lo buttò
giù in un unico sorso.
Dean gli si
inginocchiò davanti per incrociare il suo sguardo.
“C’è anche dell’acqua e
qualcosa da mangiare,” disse in tono cauto.
Il cacciatore si sentiva come
quando doveva accudire a Sam mentre sosteneva le Prove. “Va tutto
bene,” gli ripeteva a quel tempo Sam,
mentendogli spudoratamente. E l’unica cosa che Dean poteva
fare era badare a lui e sperare che non crollasse morto a terra
all’improvviso.
“Devi
mangiare,” ripeté a Castiel, in tono di rimprovero.
La nebbia parve diradarsi
leggermente dagli occhi dell’angelo caduto.
“Grazie… Dean,” disse piano.
Ci volle un altro bicchiere di
liquore per far riacquistare a Castiel un po’ di colore. Un
terzo, per farlo ricominciare a parlare. Comunque sia, per quanto Dean
avesse insistito, si rifiutò di toccare cibo.
Un paio d’ore dopo,
Dean era seduto alla scrivania di Bobby, le gambe stese sul tavolo.
Castiel era in piedi di fronte ad una libreria, impegnato a sfogliare
un vecchio quaderno. Meg, appoggiata ad un mobile vicino
all’ingresso, si limitava a guardarli in silenzio.
Dean lanciò via
l’ennesimo libro in cui aveva inutilmente cercato
informazioni sul Limbo e rimise i piedi sotto la scrivania.
“Dunque,”
dichiarò all’improvviso, richiamando
l’attenzione degli altri, “la situazione
è questa: siamo imprigionati in una specie di bolla
allucinogena; non c’è nessuna via
d’uscita, nessun indizio, non possiamo contattare Sam e uno
squadrone di rettiliani incazzati potrebbe irrompere da quella porta in
qualsiasi momento.”
“Tu continua a
dargli idee, ti raccomando,” gli disse Meg, guadagnandosi
un’occhiataccia.
Castiel chiuse il quaderno e
lo rimise a posto. “Probabilmente, il portale che abbiamo
attraversato era solo di
ingresso. Non si può percorrere in direzione
opposta…”
“L’ho
pensato anche io. Sam starà già indagando a
riguardo,” sospirò Dean, stizzito.
“Maledizione, possibile che non possiamo far altro che
aspettare?”
Castiel proruppe in una
risatina spossata. “Potremmo bere.”
“Tu devi davvero
riposare,” gli disse Dean, accigliato.
“No,”
rispose lui, ritornando serio. Trasse un profondo respiro. Poi si
versò dell’altro whisky.
Dean inarcò un
sopracciglio, ma decise di lasciarlo stare. “Il fatto
positivo è che non penso che Sammy impiegherà
ancora molto a tirarci fuori da qui. Sono passate delle ore…
potrebbe riportarci indietro da un momento
all’altro.”
“Tutto questo
è valido se il tempo qui scorresse allo stesso modo di
quello del mondo esterno…”osservò
casualmente Meg.
Il cuore di Dean perse un
battito. “Che vuoi dire?”
“Non per spaventarti
tesoro, ma io sono qui da circa… trecento anni. E non credo
che siano passati trecento anni da quando sono morta.”
“Vuoi dire che qui
il tempo scorre come all’Inferno?”
“No. Più
lentamente.”
Dean sbarrò gli
occhi: se era davvero così, ciò significava che
sulla Terra erano trascorsi solo pochi istanti dalla sua scomparsa.
Il cacciatore
deglutì, terrorizzato. Avrebbe davvero dovuto passare anni
lì dentro, torturato dai suoi incubi e costretto a vedere
Castiel che si distruggeva davanti ai suoi occhi, pezzo dopo pezzo,
mentre lui non poteva far nulla per salvarlo, o per salvarsi?
Si sentì mancare il
terreno sotto i piedi, ma per fortuna era seduto. Qualcosa di freddo e
pesante iniziò a contorcersi nel suo petto… ma
Castiel gli si parò davanti, facendolo riscuotere di colpo.
Dean gli lanciò uno
sguardo confuso: l’ex-angelo si era appoggiato al bordo della
scrivania di Bobby, a pochi centimetri dalla sedia occupata da Dean, e
stava sorseggiando il suo ennesimo bicchiere.
“Visto che parli di
tempo, potremmo sempre occuparlo in modo diverso,“ disse,
guardandolo dritto negli occhi. “…Dean.”
Meg, molto lentamente, si
voltò a fissarli, le sopracciglia che raggiungevano
l’attaccatura dei capelli.
Il cacciatore
ricambiò lo sguardo di Castiel.
“Ovvero…?”
Lui inclinò la
testa di lato. “Potremmo parlare di quando ti ho trovato
nella casa di Lisa,” scandì.
“Ah…”
Dean aggrottò la
fronte, arrossendo nel contempo. A Castiel avevano appena sbattuto in
faccia il casino che aveva combinato quando giocava a fare il
Dio… possibile che il suo unico pensiero ora fosse sapere
perché Dean aveva… fatto quello che aveva fatto?
E comunque, a pensarci bene,
non c’era nulla da dire: era stato solo una specie di bacio,
insomma. Non sapeva neanche lui perché aveva avuto questo
istinto anche se, in fondo, lui…
“Cas, non
stai ragionando in questo momento,” gli disse bruscamente.
Afferrò lo schienale della sedia accanto alla sua e fece
leva su di esso per rialzarsi ed allontanarsi da quella situazione
imbarazzante. “Hai bevuto troppo e non
sei—”
Castiel diede un calcio alla
sedia, facendo perdere la presa a Dean, che ricadde a sedere.
“C’eri
anche tu,” gli sibilò allora il cacciatore,
visibilmente incazzato, chiudendo il discorso.
Castiel si rabbuiò.
“Ho bisogno di sapere…”
“Senti Cas, ne ho
abbastanza! Abbiamo altri problemi ora, mi sembri una di
quelle— “
“...ho bisogno di
sapere perché eri ridotto in quello stato, Dean!”
L’espressione sul
viso di Dean si congelò.
Ah. Quindi Castiel stava
parlando di quello.
Si sentì
improvvisamente stupido.
Alzò lo sguardo su
Castiel: non era così distrutto come aveva pensato. I suoi
occhi erano offuscati e liquidi per l’alcool, la stanchezza e
la sofferenza, ma erano ancora animati da una scintilla determinata.
Si sentì quasi in
colpa per aver dubitato di lui. Dopotutto, a quanto pareva, Castiel era
riuscito a resistere lì dentro per settimane, forse mesi.
Era stato derubato della sua grazia, era solo, perso e soffriva e
continuava a morire, ma era ancora in piedi, ed ora, glielo leggeva in
faccia, si stava preoccupando per lui.
“D’accordo.
Te lo dirò,” sospirò Dean,
arrendendosi. “In privato.”
“Meg, ho detto
in privato,” ripeté poi ad alta voce,
voltandosi verso di lei.
“Perché?
Mi stavo appassionando,” ammise lei, con un tono di voce che
però faceva credere il contrario.
“Andrò a fare la guardia,”disse subito
dopo, staccandosi dal mobile e raggiungendo la porta,
stranamente accondiscendente. “Magari vi faccio
portare una pizza,” sogghignò, prima di lasciare
la stanza.
Dean la guardò
senza capire.
Quando fu sicuro che Meg fosse
andata, il cacciatore riportò la sua attenzione su Castiel,
ancora immobile davanti a lui.
“Aveva preso
Ben,” disse Dean semplicemente.
“E…?”
“E lo ha ucciso,
Cas! Vuoi che ti faccia anche un disegnino?”
“Dean…”
“Era
dall’altra parte di una porta,” spiegò
Dean. “Voleva che la aprissi, ma non l’ho fatto.
Qualcosa mi diceva di non farlo.”
Castiel si staccò
dalla scrivania e avvicinò a lui. Anche se non era
più un angelo, non aveva perso l’abitudine di
invadere il suo spazio personale. La differenza rispetto al passato era
che ora il suo volto mostrava molto più apertamente i suoi
sentimenti e, in quel momento, le parole di Dean sembravano averlo a
dir poco terrorizzato.
Dean non capiva cosa gli stava
succedendo, così restò fermo, in attesa di
spiegazioni.
Castiel indugiò su
di lui per molti secondi. “Sei turbato,”
osservò infine, incerto.
Dean si rimangiò
tutta la fiducia che gli aveva dato.
“Turbato?!”
scattò. Ora lo prendeva a pugni. “Quel bastardo
sguazza dentro di me e tutto quello che mi dici è che io
sono turbato?!”
Castiel poggiò le
mani ai lati del suo viso e glielo sollevò. Il cacciatore
rimase paralizzato da quel contatto. “Non hai aperto quella
porta,” disse, studiando Dean, esaminando il suo volto e
soffermandosi sui suoi occhi, come se potesse guardarvi dentro.
“Non è completamente dentro di te,”
concluse, con una nota di sollievo nella voce roca.
“Che importa? Non
legge già nella mia testa, anima, quel che è? Che
altro vuole da me?” borbottò Dean, frustrato.
Castiel fece scivolare via le
sue mani. Abbassò lo sguardo sul pavimento. “Dean,
io… credo che stia cercando di possederti. Forse, vuole
usarti come tramite.”
Dean si sentì come
se qualcuno gli avesse appena rovesciato addosso un secchio
d’acqua gelata.
“Cosa?”
chiese, incredulo. “Me?”
Castiel annuì, e
poi si allontanò da lui, per tornare a sedersi sulla branda
di Bobby. Appoggiò gli avambracci sulle cosce e
chinò la testa.
“Ne sei
sicuro?” domandò Dean. Scattò in piedi
per guardare Castiel. “E perché mai dovrebbe
volere un tramite?”
“Non lo so, Dean. Ci
sono tante cose che non capisco. Ad esempio,” rispose,
sollevando una mano e osservandone incerto il palmo,
“sono morto decine di volte finora. Quando mi risvegliavo, il
sangue che ricominciava a scorrere nelle mie vene era come ghiaccio
liquido. Era doloroso. L’ultima volta, invece, il mio corpo
era così… caldo.”
Per un attimo, Dean
sperò che il Re del Limbo facesse irruzione nella stanza in
quel preciso momento.
Andavano bene anche i
rettiliani. O qualunque altra cosa che avesse chiuso lì
quella discussione.
“Lascia perdere
questa roba adesso,” disse infine. “Tu sai come
sbarazzarci di questa specie di burattinaio, vero?”
Castiel rimase immobile,
incerto.
“…Cas?”
“Può
essere,” rispose l’ex-angelo esitante.
“Andiamo, che altro
c’è?” sbottò Dean, stanco.
“Non può essere peggiore di tutto questo,
no?”
Visto che Castiel non
rispondeva, Dean sospirò esasperato e andò a
sedersi accanto a lui.
“Avevo capito che
non ti fidavi di Meg. Ma pare che in realtà non ti fidi
neanche di me.”
“No. No, non
è questo. Ma qualunque cosa accada, non devi crollare,
Dean,” gli disse Castiel, cercando in ogni modo di evitare il
suo sguardo.
Il cacciatore non capiva il
motivo per cui il modo di fermare il fantomatico Re del Limbo dovesse
restare un segreto. Poi, di colpo, comprese.
“…o
dovrai uccidermi,” concluse, atono.
Le labbra di
dell’ex-angelo si storsero in un’espressione
indecifrabile. “Non potrei mai farlo,” ammise.
Dean aveva l’animo
in subbuglio, ma cercò ugualmente di concentrarsi sulla
situazione.
Era giusto. Finché
il Re giocava a fare il mutaforma a zonzo per il suo mondo personale
era incontrollabile, ma se fosse entrato nel corpo di Dean, avrebbero
potuto ucciderlo.
Era lo stesso principio di
demoni e angeli: finché erano fumo nero o pura luce era
impossibile colpirli; non appena entravano nel corpo di un
pover’uomo, bastava usare il coltello o la spada angelica per
cancellarli dalla faccia dell’Universo.
Unica controindicazione: lo
sfortunato di turno crepava orribilmente con loro nel corso del
processo.
Dean respirò forte
per calmarsi. Alla fine, prese la sua decisione.
“Sai cosa ti dico,
Cas? Se dovesse succedere, torturami, fatti dire da lui come uscire da
qui e poi uccidimi,” spiegò, con la stessa
naturalezza con cui si parla del tempo. “Preferisco essere
vaporizzato dalla tua spada piuttosto che farmi sbrindellare
l’anima da quel mostro. Hai capito, Cas?”
Castiel non gli rispose. Dean
scorse i suoi occhi tormentati e cerchiati da pesanti occhiaie e si
sentì stringere lo stomaco. Simulando noncuranza,
andò a prendere la bottiglia di whisky dal tavolo e se ne
versò un bicchiere.
“Se la tua
intuizione è giusta,” insistette, “tu
sei l’unico che può fermarlo. Non sappiamo
perché voglia prendersi me. Ma potrebbe volermi usare per
andare da Sam. O per fare qualche altra stronzata di quelle che fanno i
mostri che noi combattiamo da una vita.” Si portò
il bicchiere alle labbra, ma non bevve.
“Dean, se
è lui che continua a riportarci in vita, ucciderlo mentre
è dentro di te significherebbe farti restare morto. E se
questo luogo è isolato dalla Terra e dai Regni Celesti, come
credo che sia, la tua anima resterà bloccata qui per
l’eternità,” spiegò Castiel
in tono fermo e contrariato. “Tu sai bene cosa accade alle
anime che non possono ascendere al cielo. Diventeresti uno spirito
vendicativo senza nulla su cui sfogare la tua rabbia. Passerai
l’eternità a maledire l’intero
universo!”
Dean guardò il
compagno con un sorrisino stanco. “Ascolta...”
“Dean! Ho detto di
no!”
“Va bene,”
annuì il cacciatore. “Va bene.”
Mandò giù il suo whisky tutto d’un
fiato. “Comunque sia, il problema non si pone,
perché come ben sai io non cedo il mio bel culo
facilmente.” Sbattè il bicchiere sul tavolo.
“Ora, visto che la questione è chiarita, e che il
nostro amico Re è in pausa pranzo, la domanda è:
cosa facciamo?”
Castiel comprese che Dean
aveva cambiato apposta argomento e lo fissò con
disapprovazione. Poi sospirò. “Tu devi
dormire,” dichiarò alla fine.
Dean inarcò le
sopracciglia. “Ma certo. Perché non andiamo anche
al cinema, già che ci siamo?”
“Ho scoperto che gli
esseri umani che non dormono regolarmente accusano stanchezza fisica.
La stanchezza fisica potrebbe renderti più vulnerabile anche
nello spirito,” spiegò Castiel.
“Non
l’avrei mai immaginato,” osservò Dean
ironico.
Castiel non batté
ciglio, e Dean si rese conto che non sarebbe riuscito a fargli cambiare
idea tanto facilmente.
“E tu scusami tu che
farai nel frattempo?” chiese. Poi, sapendo già che
la risposta che Castiel sarebbe stata un qualcosa alla veglierò su di te
che l’avrebbe solo fatto incazzare, giocò
d’anticipo. Con un gesto brusco lo spinse sulla branda,
facendogli sbattere la schiena sul materasso scomodo. Castiel,
interdetto, cercò di rialzarsi, ma Dean lo tenne premuto sul
letto, bloccandogli le spalle.
“Dean—”
“C’è
Meg di guardia qui fuori. E tu non sei più un angelo.
Ascolta, va bene, ok? Domirò. Ma devi dormire anche tu.
Siamo nella merda, è vero. Ma se non ti reggi in piedi non
mi sarai d’aiuto, quindi ora anche tu dormirai. Almeno
finché quello lì non… si fa venire
nuove idee.”
“Io non…
Tu non capisci,” si lamentò Castiel.
“E’ vero,
io non capisco: siete tu e Sam quelli intelligenti.”
Mise enfasi
sull’ultima parola come se fosse un insulto.
Alla fine, Castiel parve
arrendersi, e smise di fare forza sulla presa di Dean.
“Good
boy,” annuì lui.
Dean spense le luci e si
sdraiò accanto a Castiel, ai bordi di quel letto di fortuna,
in modo da dargli le spalle. Non poté sistemarsi meglio
perché lo spazio era troppo ristretto ma, in fondo, non
aveva davvero intenzione di dormire: stando al suo orologio, era in
piedi da circa 30 ore ma, essendo un cacciatore, era abituato a tirate
del genere.
Era più preoccupato
per la salute mentale e fisica di Castiel che, ormai, era davvero
l’unica cosa che gli rimaneva.
Passarono molto tempo in
silenzio.
Dean riusciva a sentire il
calore del corpo di Castiel accanto al suo: quella era
un’altra piacevole differenza rispetto al suo tramite da
angelo.
“E’ colpa
mia se sei bloccato qui… farò tutto
ciò che posso per farti rivedere Sam,”
farfugliò improvvisamente Castiel, rigirandosi di lato, in
modo da appoggiare la schiena contro il muro e lasciare più
spazio a Dean. Lui, incuriosito, si girò per guardarlo,
aggiustandosi meglio sulla branda: aveva gli occhi chiusi e il viso
contratto in un’espressione tesa.
“Piantala di
addossarti ogni colpa, Cas,” sbuffò a bassa voce.
“Noi usciremo da qui, e rivedremo Sam. E se qualcosa vuole
attaccarci, che ci provi pure… Abbiamo preso a calci i
leviatani e mezzo Purgatorio… riusciremo a cacciarci fuori
anche da qui.”
Nella penombra, Dean scorse
Castiel fare un sorriso triste. Poi lo sentì raggomitolarsi
contro di lui, mentre il suo braccio gli circondava la vita.
Il cacciatore lo
lasciò fare. Anche perché la cosa più
assurda di tutta quella situazione era che avere Castiel
così vicino lo faceva sentire
bene. Forse era impazzito. O forse aveva solo deciso di
godersi quel po’ di calore che gli rimaneva, visto che, a
quanto pareva, da lì a poco avrebbero potuto essere entrambi
morti di nuovo.
Lui forse definitivamente.
“Cas,” lo
chiamò piano.
“Hm?”
“Io….”
si morse il labbro. “Se riesco a tornare vivo a casa,
mangerò hamburger fino a scoppiare.”
Non aveva idea del
perché, fra tutte le migliaia di cose che avrebbe potuto
dire in quel momento, aveva scelto proprio quella. Non ne aveva la
minima idea.
Castiel sorrise contro il suo
petto. “Mi piace quella roba…” disse, la
voce impastata dal sonno.
“Se non ti fai
ammazzare neanche tu, potresti venire con me,”
proseguì Dean, accarezzandogli d’istinto i capelli
scompigliati. “C’è un bel posto,
lì da noi. Ho sentito che fa i migliori panini con hamburger
al bacon e formaggio di tutto lo Stato. Non ci sono andato finora
perché Sam non—”
Dean si interruppe,
accorgendosi che Castiel era crollato.
Abbassò gli occhi
su di lui: aveva il respiro lento e regolare, e un vago sorriso
stampato sul volto.
In effetti, da quando era
umano, questa era la prima volta che lo vedeva dormire e non giacere morto.
Era… insomma, era bello vederlo così.
“Grazie, Cas, per
tutto. E scusami. Ma credo,” disse, sollevandosi piano dal
letto, per non svegliarlo, “che sia arrivato il mio turno di
vegliare su di te.”
Gli mise accanto la sua giacca
e vi poggiò sopra la sua spada angelica.
Poi raccolse le sue cose ed
uscì dalla casa di Bobby.
Note: Cas mentiva.
In realtà voleva sapere del bacio.
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Capitolo 9 *** Angeli e Demoni ***
Note depresse:
L’episodio 9x09 mi ha fatto passare la voglia di
scrivere. O forse il contrario. Non lo so. Ho concluso il capitolo in 3
ore, battendo le dita sulla tastiera senza emozione, per cui non so
sinceramente che ho combinato.
No ma dai, è come se gli sceneggiatori si fossero impegnati
nel rendere Castiel più OOC possibile.
Per non parlare del mio profeta preferito.
No vabbeh io ho bisogno di una pausa.
#benedlunddovesei
#piangeinunangolo
#nomal’hopresabeneeh
* * *
Ariel, seduta su una comoda
poltroncina bianca immersa nel candido nulla del sogno di Sam,
sfogliò un’altra pagina del libro che stava
leggendo. Sbadigliò: quel capitolo sulle streghe era davvero
noioso.
“Ariel,”
la chiamò Sam, posandole una mano sulla spalla per
richiamare la sua attenzione.
Il giovane non
indossava più il pigiama ad orsetti, bensì una
molto più familiare camicia a righe verticali e un paio di
jeans.
“Che
c’è?” chiese lei, annoiata.
Il cacciatore
sospirò, facendo appello a tutta la sua pazienza.
“Per favore,” la pregò,
“aiutami.”
L’angelo lo
guardò fisso, senza proferire parola. Dopo qualche secondo,
puntò il dito verso di lui. “Alce,”
disse con indifferenza.
“Cosa...?”
Sam avvertì
un piccolo peso premergli sulla testa e vicino alle orecchie.
Portò le mani in alto, cercando di capire da cosa fosse
causato: tastando, si accorse che erano due oggetti morbidi, lunghi e
che comprendevano dei campanellini che, al suo tocco, trillarono
allegramente.
Sam, con un gesto
irritato, si tolse di dosso il cerchietto dorato con le corna da alce.
“Okay, d’accordo,” disse, lanciando via
l’oggetto, che svanì nel nulla. “Basta
così.”
Il libro cadde dalle
mani di Ariel mentre un paio di catene apparse dal nulla le afferrarono
i polsi e la tirarono in piedi, sollevandola da terra.
“Ho capito
che siamo nel tuo sogno, ma questo è stato
sgarbato,” osservò lei con calma. “Posso
fare qualcosa per te, Sam?”
“Tanto per
iniziare, devi farmi svegliare dal coma,” ordinò
lui, senza mezze misure.
Gli occhi
dell’angelo divennero umidi. “M-Ma tu non puoi
svegliarti, s-se non lo voglio io,” gemette, mentre una
lacrima iniziava a scorrerle lungo la guancia. “L-Liberami,
Sam. Fa male. Fa davvero male!”
“No, non ti
sto facendo male,” disse il cacciatore. “Ho sognato di legarti,
non di farti del male.”
“Ma a me non
piace essere legata,” replicò Ariel a denti
stretti. “Non lo sopporto, NON LO SOPPORTO!”
gridò, spezzando le catene.
Sam sentì
un frullio d’ali alla sua sinistra. Non era molto veloce, per
cui ebbe il tempo di scostarsi ed afferrare il pugno che stava per
colpirlo. D’istinto lo storse, facendo perdere
l’equilibrio all’angelo, che però
volò via e gli ricomparve davanti, sferrandogli un colpo
allo stomaco così forte che lo fece ricadere sulla schiena
molti metri più in là.
Sam tossì
più volte, cercando di rimettersi seduto, ma Ariel lo
costrinse a terra premendogli uno dei suoi stivali sulla base del collo.
Era troppo piccola e
magra per essere così forte, per cui il cacciatore concluse
che stava sfruttando la sua Grazia. “Hai detto che
mi avresti aiutato!” protestò.
“Davvero?”
disse lei, incerta, toccandosi il mento. “Non me lo
ricordo…”
Senza aggiungere
altro, Ariel lasciò andare Sam e gli voltò le
spalle, tornando alla sua poltrona.
Stava per raccogliere
il suo libro da terra quando Sam provò ad attaccarla alle
spalle con un pugnale angelico: le tirò indietro il braccio
e le spinse la schiena contro il suo petto, puntandole l’arma
al collo, ma lei scomparve di nuovo.
“Maledizione,”
imprecò.
Sam se la
ritrovò davanti mentre, galleggiando a mezz’aria,
gli premeva il palmo aperto sulla sua fronte.
“Sammy,” sibilò sorridendo crudelmente,
mentre la luce dorata cominciava a propagarsi nel corpo del cacciatore,
“io sono un angelo.”
“Non nel mio
sogno.”
Sam
schioccò le dita: la luce angelica ebbe un guizzo e si
spense come una lampadina.
Ariel
scivolò a terra, perdendo l’equilibrio: cadde
seduta sulle ginocchia e si guardò il palmo incredula.
Poi scoppiò
a piangere rumorosamente.
Sam fece sparire il
finto pugnale angelico e rimase a guardarla, incerto su cosa fare. Lei
continuò a piangere. Alla fine, con cautela, decise di
inginocchiarsi di fronte a lei.
“Così
non andiamo da nessuna parte, Ariel,” le disse nel tono
più calmo che riuscì a fare. “Ascolta,
ti ringrazio per avermi salvato da Limbo. Se ora mi aiuti,
io… ti regalerò una copia di tutti i manoscritti
di Supernatural. Anche quelli sull’Apocalisse che nessuno ha
mai pubblicato.”
“Ho letto
anche quelli!” frignò lei.
Sam si chiese dove li
aveva trovati. Scosse la testa.“C’è
anche il seguito. Sai, i Leviatani, Dick Roman… la
guerra civile fra voi angeli, quando Raffaele e
Castiel—”
“Oh,”
esclamò Ariel di colpo, smettendo di piangere.
“Ora ricordo!”
Sam non sapeva se
essere preoccupato o rasserenato dalla notizia.
“Cosa,
Ariel?” chiese con prudenza.
Lei sorrise
dolcemente. “Beh, l’angelo che vuole vedere morto
Castiel sono io per cui, se vuoi che io ti aiuti, devi promettermi che
ucciderai Castiel.”
“Cosa…?!
Perché?”
“Perché
voglio che tu salvi Dean. Ti aiuterò a farlo, ma in cambio
devi assolutamente uccidere Castiel. D’accordo?”
Sam si
rialzò, accigliato.“Sei alleata… con
gli altri angeli? Quel Bartolomeo…?”
“Bartolomeo
chi? No, io odio Castiel e basta. E’ antipatico nei libri.
Non lo trovi anche tu antipatico?”
“Ariel, ti
prego,” sospirò Sam con rassegnazione,
“non puoi uccidere una persona solo perché
è antipatica
nei libri!”
“NON
E’ SOLO QUELLO!” strillò lei di colpo,
isterica. “LUI E’ UN MOSTRO! L’ho
incontrato, migliaia di anni fa. Mi ha assalito. Mi ha fatto del male.
E’ COLPA SUA, E’ TUTTA COLPA SUA! E…e
poi…”
Si mise in piedi,
coprendosi metà del volto con una mano: aveva gli occhi
seminascosti dalla frangia, da cui colava qualcosa molto simile a
sangue. “Ho desiderato fargliela pagare per
diecimila anni, ma sai? Quando finalmente sono riuscita a trovarlo,
è stato rinchiuso nel Limbo, e mi è sfuggito. Io
non voglio che continui a vivere lì in eterno: io lo voglio
morto.”
“E allora
perché non vai tu stessa a ucciderlo?”
sbottò Sam spazientito, pentendosi l’istante
successivo.
“No, io non
ho alcuna intenzione di avvicinarmi! Ma tu vuoi farlo,
Sam…”rispose lei, chiudendo i pugni sulla camicia
del cacciatore e strofinando la guancia contro di essa come un gattino.
“Perché Dean è lì. Quindi tu
entrerai lì per me, massacrerai Castiel e io in cambio ti
dirò come salvare tuo fratello, prima che lui faccia qualche
sciocchezza come sacrificarsi per lui. Allora, lo farai, vero Sam?
Vero?”
Sam, silenziosamente,
fece ricomparire nella sua mano il pugnale. Non sapeva se
ciò che stava dicendo quell’angelo era vero o
meno: sapeva solo che era completamente pazza.
Ariel si
staccò da lui, improvvisamente delusa. “Non lo
farai… vero?”
Il cacciatore si
sforzò di pensare ad una soluzione. Forse doveva fingere di
accettare la sua proposta. Se solo fosse riuscito a convincerla a
liberarlo dal coma, poteva benissimo imprigionarla con l’olio
santo e poi costringerla a rivelargli il modo per salvare Dean e
Castiel. Non sarebbe stato facile, ma forse poteva persino—
Sam aprì
gli occhi, svegliandosi di soprassalto.
Si ritrovò
in una camera da letto riccamente arredata, steso su un comodo
materasso.
Sentì uno
scatto metallico ai polsi, e si rese conto che qualcuno lo aveva appena
liberato dalle manette che lo tenevano imprigionato.
“Ma
cos—“
“Va
bene!” sorrise Ariel, di fronte a lui, battendo le mani.
“E’ tutto a posto. In piedi, Sam! Andiamo a salvare
tuo fratello!”
******
******
Appena fuori dal perimetro della casa di Bobby, adesso, vi era un
bosco. Era folto, buio e vagamente inquietante.
Dean scorse un piccolo
sentiero tracciato con dei sassi bianchi: lo imboccò senza
pensarci due volte, facendosi strada fra gli arbusti che gli
graffiavano le mani e il viso.
Dopo pochi minuti, la
vegetazione si diradò e lui si ritrovò in una
strana radura, perfettamente circolare, illuminata da una Luna troppo
grande, che emetteva una luce troppo lugubre.
Il terreno era scuro e
bagnato da pozzanghere di liquido denso e rossastro. Su di esso,
giacevano morti o ancora agonizzanti decine di esseri molto simili ai
cani infernali: erano perlopiù cadaveri fatti a pezzi, ma
quelli ancora vivi si contorcevano in agonia, lanciando ululati e
singhiozzi strazianti.
Ciò che
catturò l’attenzione del cacciatore fu
però la grossa roccia chiara al centro della radura: era
come un altare, e su di esso vi era, in piedi, Meg.
Il demone dava le
spalle a Dean, e sembrava assorto nella contemplazione della Luna. Le
sue mani, intrecciate dietro la schiena, erano sporche e gocciolavano
sangue.
“Sapevo
che saresti venuto a cercarmi,” disse Meg con calma.
“Che
posticino romantico,” osservò Dean, avanzando
verso di lei. “E’ per me?”
Dal limitare del
bosco, di colpo, balzò fuori un’altra di quelle
creature: si gettò addosso a Dean, puntando al suo fianco.
Il cacciatore estrasse il coltello ma Meg, con un movimento rapido, si
girò nella sua direzione e sollevò una mano.
L’abominio,
come colpito da una forza invisibile, rovinò a terra con un
tonfo ed emise un gemito strozzato.
Dean, inquieto, fece
scorrere lo sguardo da lui a Meg.
“Sono
residui di entità ultraterrene,” spiegò
lei, leccando il sangue che le stava ancora colando dalle mani.
“Spazzatura del tuo mondo che ogni tanto finisce qui dentro.
Abbastanza fastidiosi, in verità. Allora,
Winchester… a cosa devo la tua visita? Non ti staccheresti
da Clarence
senza un valido motivo. A proposito…sei sicuro che stia
bene, in questo momento?”
Dean la
fissò silenzioso, giocherellando con la sua arma.
“Sei davvero
Meg?” chiese alla fine, in tono piatto.
“Chissà…”
rispose lei. Si pulì la bocca con la manica del vestito, ma
nonostante ciò le rimase un grosso alone rossastro ai lati
delle labbra. “Puoi sempre provare ad esorcizzarmi e poi fare
a pezzi questo corpo… ma non credo che ti converrebbe, visto
che io conosco il modo per uscire da qui.”
Dean smise si
rigirarsi il coltello fra le mani.
“Ora
sì che sei interessato, eh?” ridacchiò
il demone.
“Stai
mentendo.”
“Vedo che
certe cose non cambiano mai…”
“Allora
spiegami perché non l’hai detto prima che quel
figlio di puttana si divertisse a friggere il cervello a me e
Cas!”
Meg scosse la testa,
sorridendo divertita. “Dean, Dean, Dean… La
situazione è complicata.”
Il cacciatore
aggrottò la fronte, buio in viso, muovendosi verso di lei.
“Quindi sono queste le tue ultime parole.”
“C’è
bisogno di un’anima,” disse Meg.
“Sfruttando un’anima umana, è possibile
aprire un varco verso il mondo esterno.”
Dean sbatté
le palpebre un paio di volte, cercando di capire dove voleva andare a
parare quella donna.
“Il Limbo
è un gigantesco uovo, Dean. Se spacchiamo il suo guscio,
possiamo uscire, ma l’unica fonte di energia abbastanza
potente per farlo è dentro di te.”
Ancora,
pensò Dean. “Perché io?”
domandò, nervoso. Tutta questa storia gli aveva fatto
perdere persino la voglia di risponderle con qualche battuta sagace.
“Tesoro,
forse non l’hai notato, ma la tua anima è
l’unica disponibile sulla piazza al momento. Sai
com’è, io sono un demone, e il tuo Cas non
è umano… o almeno, non dovrebbe.”
Dean
avvertì dei bassi ringhi nervosi provenire dal bosco: a
quanto pareva, erano circondati da decine di creature come quella che
aveva atterrato Meg ma, probabilmente, erano troppo spaventate per
attaccarli.
“Se
accettassi…” disse Dean di colpo, “se
accettassi, cosa succederebbe alla mia anima?” le chiese.
Meg, con quel sorriso
odioso perennemente stampato sulla faccia, lo guardò dritto
negli occhi, sollevando un pugno chiuso. “Per farla
breve… Boom~,” sussurrò,
aprendolo con un gesto eloquente.
“Ma hai
bisogno del mio consenso per farlo, vero?” sorrise a sua
volta il cacciatore. “E’ per questo che sei
così amichevole… perché credi che
prima o poi ti darò il permesso di usare la mia anima come
una bomba atomica, giusto?”
“No, non lo
farai. Ma non è questo il piano. Sai…”
Meg fece un mezzo giro su sé stessa, tornando a guardare la
falsa Luna. “…so che anche gli angeli possono
distruggere le pareti del Limbo. Pensavo che Castiel ne fosse
consapevole, ma a quanto pare non è
così…”
Il demone
restò fermo a contemplare il satellite, mentre il suo ghigno
si allargava segretamente. Non poteva vedere Dean in faccia, ma
riusciva quasi a sentire nelle sue orecchie il battito del suo cuore,
ogni istante sempre più veloce.
Lui era davvero
spaventato.
“Castiel
è stato ferito,” disse il cacciatore con
indifferenza, dopo molti secondi di silenzio. “Ha bisogno di
tempo per recuperare le forze. Quando avrà riposato,
userà le sue ali per tirarci fuori da qui.”
“Davvero?”
chiese Meg, sollevando un sopracciglio. Riportò la sua
attenzione su Dean. “Io ho come l’impressione che
voi due mi stiate nascondendo qualcosa. Qualunque cosa sia,
nell’interesse generale, perché non vai dal tuo
fidanzatino a spiegargli la situazione? O forse è meglio che
vada io…”
“No,”
dichiarò il cacciatore, forse troppo velocemente.
“Andrò io.”
“Meglio
così… sai, lui di me non si fida.”
“Chi ti dice
che io mi fidi?”
“Oh, tesoro,
mi offendi… sai benissimo che ciò che vogliamo
tutti è solo andarcene da qui.”
“Dean,
quello che ti ho detto è la verità,”
proseguì poi il demone, convincente. “E secondo
me, faresti meglio a sbrigarti a prendere una decisione. Sai, credo che
il Re sia molto interessato a te. Lo hai notato, vero? Era di questo
che ti ha parlato Castiel, no? Quell’essere ha dei piani per
te. Ti sta girando attorno come uno squalo… sa come e dove
colpirti. Credo che non lo abbia fatto finora solo perché,
in effetti, è divertente osservare come perdi pezzi ogni
istante che passa.” Scoppiò in una risatina
convulsa. “Oh Lucifero, credo di essere rimasta qui dentro
anche io per troppo tempo…”
Dean, immobile di
fronte a lei, strinse i denti, frustrato.
Meg scese dalla roccia
e lo raggiunse. Gli sfiorò il braccio muscoloso con una mano
e gli sorrise, mostrandogli i suoi occhi neri e perversi.
“Dean Winchester, quando vorrai che tutto questo finisca,
vienimi a cercare e portami un angelo. O un’anima,”
gli sussurrò prima di superarlo ed allontanarsi nel bosco,
fra i latrati delle creature.
Dean non se ne
curò.
Meg non lo sapeva ( o
forse sì..?), ma Castiel non era più un angelo:
ora aveva un’anima, ed era umana.
Di conseguenza,
l’unico modo per uscire dal Limbo era farle fare il suo
rituale che necessitava di un’anima umana in sacrificio.
Ciò
significava che, fra lui e Castiel, solo uno di loro due poteva
andarsene; l’altro sarebbe stato dato in pasto a Meg.
Dean strinse la presa
sul manico del pugnale.
“Maledizione,” mormorò.
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Capitolo 10 *** Narcissistic cannibal ***
Note
scritte adesso perché così mentre leggete il
capitolo ho il tempo di scappare:
Ieri notte,
rigirandomi nel letto, ho pensato: cosa c’è di
meglio del finire la settimana con un bel capitolo di spiegazioni?
Così ho lanciato via i miei 2 piumoni, sono balzata in piedi
e sono andata a finire il capitolo.
Ok, non è
andata proprio così: la verità è che i
piumoni sono 3, e che per scrivere queste poche pagine ho impiegato un
sacco di tempo. *piange*
All’interno
c’è una specie di recap. Non so cosa ho combinato,
comunque sia… vi auguro un Buon Natale!!
* * *
Limbo, tempo indefinito; notte.
Dean era in piedi sul basso
altare naturale al centro della radura, nello stesso punto in cui aveva
trovato Meg poco prima.
Non ricordava di essere salito
lì sopra. La sua mente era intorpidita, la sua coscienza
assente; il suo corpo era come sotto pilota automatico.
Era caduto in quello stato da
quando Meg gli aveva rivelato che per fuggire dal Limbo era necessario
un angelo, oppure un’anima umana.
Non c’era nessun
angelo nei dintorni, e le uniche anime in quel mondo erano la sua e
quella di Castiel, per cui… uno di loro doveva sacrificarsi
per la salvezza dell’altro.
Una roba così
patetica era degna di un romanzetto di quart’ordine; ed era
inaccettabile. Ma, d’altro canto, Dean non poteva
più restare nel Limbo: il mostro che governava quel posto
sembrava deciso a possedere lui e a distruggere Castiel, ancora e
ancora; e queste erano entrambe cose che non poteva sopportare.
Dean non era il tipo di
persona che cede ai ricatti, ma stavolta era diverso: sapeva di non
aver altra scelta che accettare quelle condizioni, ora che aveva ancora
un briciolo di sanità mentale.
Ma, chi, fra loro due, avrebbe
dovuto vivere, e chi avrebbe dovuto morire?
In cuor suo sapeva di non
poter lasciare suo fratello a combattere contro gli angeli da
solo, non mentre ne aveva uno in corpo senza saperlo; e Castiel, senza
poteri e senza esperienza, non sarebbe stato comunque in grado di
aiutare nessuno.
Per cui…
L’arma che Dean
stringeva scivolò via dalla sua mano e cadde sulla pietra
sferragliando.
No.
Si portò entrambe
le mani alla testa, artigliando i capelli e la pelle ai lati del viso.
No, non poteva farlo.
Non poteva far uccidere
Castiel per tornare nel suo mondo.
Non poteva.
Ma doveva, anche se,
perché… perché doveva essere sempre
lui a sopravvivere, a dover continuare a combattere e a sacrificare
tutto ciò che aveva, a non trovare mai pace?
(Odiava l’esistenza
che era costretto a fare.
Ogni cosa, ogni volta, finiva
per andare storta.
Continuava ad andare avanti,
ma non poteva scappare
dal passato che gli dava la
caccia e si divertiva a tormentarlo. [1] )
Delle lacrime iniziarono a
rigare le guance di Dean, senza che lui se ne accorgesse.
C’era qualcosa di
profondamente sbagliato in lui; qualcosa di maledetto. La
verità era che Castiel non avrebbe mai dovuto recuperarlo
dall’Inferno. Apocalisse o meno, avrebbe fatto meglio a
lasciarlo lì a marcire visto che, da quando
quell’angelo lo aveva afferrato forte e salvato dalla
perdizione, la sua vita era stata un crescendo di morte, dolore,
perdita e sofferenza; crudele, assurda e sempre più pesante
ed insopportabile.
Ed ogni volta che credeva di
aver trovato qualcosa di buono nella sua esistenza, ogni volta che si
concedeva di essere felice, un attimo dopo tutto andava a puttane e le
persone che amava e che cercava di proteggere erano costrette a
soffrire e sparire per colpa sua.
Lasciandolo solo.
E il pensiero di dover essere
lui, di nuovo, la causa della morte di Castiel fu l’ultima
goccia. Voleva gridare, oppure vomitare, ma non riuscì a
fare nessuna delle due cose: vuoto e smarrito, lasciò
ricadere le braccia lungo i fianchi.
Dean non riusciva
più a ragionare, non si sentiva più neanche
sé stesso. Voleva solo che tutto finisse, almeno per qualche
minuto.
Forse, nella prossima vita la
situazione sarebbe stata più chiara. O forse avrebbe smesso
di sentire ogni cosa per sempre. Senza pensare a nulla, estrasse la sua
beretta e tolse la sicura con un gesto meccanico.
Puntò la pistola
sotto al mento, prese un ultimo respiro e premette il grilletto.
Il braccio di Dean si
squarciò e la pistola gli cadde dalle mani; il colpo appena
esploso sibilò nell’aria e andò a
perdersi nel bosco circostante.
Le gambe gli cedettero e lui
ricadde sulle ginocchia. Una lama spuntata fuori dal nulla, lanciata
con precisione, gli aveva lacerato l’avambraccio destro,
bruciandolo profondamente.
Dean si portò una
mano sulla ferita, stupito, mentre il suo respiro affannato si
condensava nell’aria a causa del freddo di quella notte
irreale.
Era come se non fosse stato il
suo corpo ad essere ferito: non provava alcun dolore.
Pochi secondi dopo,
avvertì le mani di Castiel calare su di lui: non
l’aveva visto arrivare, ma non fu sorpreso della sua
presenza, perché la lama che gli aveva impedito di spararsi
era stata indubbiamente la sua.
L’ex-angelo,
trafelato, gli si era inginocchiato di fronte, e gli stava gridando
qualcosa che a Dean giunse lontano ed ovattato. Forse Castiel aveva
anche urlato il suo nome, poco prima; non ne era sicuro.
Dean non capiva.
Perché si era preso la briga di venirlo a cercare e
salvarlo? Perché continuava, sempre, a salvarlo?
Castiel, dopo aver recuperato
il suo pugnale, allontanò con un gesto indelicato la mano di
Dean dal braccio ferito e cominciò sfilargli la giacca per
esaminare la sua ferita. La sua presa tremava leggermente e la sua
espressione era tesa; il cacciatore si soffermò
nell’osservare come quell’uomo cercava ad ogni
costo di aiutarlo, mentre lui pianificava di ucciderlo, o forse no.
“Mi avevi detto che
non ti saresti allontanato!” gli sentì dire, con
voce molto più alta del solito.
Dean non gli rispose: i suoi
occhi erano annebbiati ed era completamente deconcentrato. Si
limitò ad accennare un debole sorriso divertito.
“Cosa
c’è di così divertente?”
mormorò l’ex-angelo, fissando nervoso la ferita
che era stato costretto a infliggergli, chiedendosi come fosse
possibile che Dean non stesse facendo una piega.
Il cacciatore, per tutta
risposta, sollevò il braccio sano e iniziò ad
accarezzargli la guancia, catturando la sua attenzione. “Ti
ricordi di Benny? L’ho decapitato,” disse piano,
facendo scorrere le dita sul sottile velo di barba del compagno.
C’era qualcosa di spaventoso in quel tocco leggero e nel suo
tono serafico: contrastava con il ghigno che gli storceva la bocca e
con il nero delle sue pupille, completamente dilatate.
“Dovrei decapitare anche te, adesso…?”
Castiel lo spinse via
d’istinto, tirandosi poi indietro. Sconvolto, vide il sorriso
di Dean trasformarsi in una risatina nervosa, che continuò
ad aumentare di tono fino a che non divenne una risata tanto forte
quanto disperata.
“Tu…”
cominciò l’ex-angelo.
“STA’
ZITTO, CAS!” gridò l’altro, smettendo di
ridere. Si strinse con la mano la ferita, richiudendo le dita sulla
carne viva mista a sangue e pelle carbonizzata. “Ne ho
abbastanza…” sibilò a denti stretti.
“Di te, di Meg… del Paradiso, di Sammy, di
Zeke… di tutto…”
Il cacciatore si accorse che
Castiel, ora, lo stava squadrando gravemente. Forse pensava che fosse
impazzito, e probabilmente era così: Dean era arrivato al
punto di non sopportazione. L’idea di sparire per sempre, di
colpo, era diventata allettante.
“Cas, dici a Meg di
prendere la mia anima e và via. Salvati almeno tu. Ti
prego…” gemette confusamente. Ma non aveva ancora
finito di parlare che si sentì afferrare il polso destro e
la lama di quel dannato pugnale degli angeli lo graffiò di
nuovo.
“Ehi,“
esclamò, sorpreso. “Ma che diavol—
“
“Non volevo farlo
adesso, ma la situazione è peggiore di quanto
credessi,” disse Castiel sbrigativo.
Gli aveva inciso profondamente
la pelle del palmo della mano e poi lo aveva costretto a chiuderlo,
raccogliendo il sangue pulito che aveva iniziato a colare in una
minuscola ciotola.
L’aveva estratta da
una borsa di cuoio che aveva portato con sé, e che solo ora
Dean notò accanto a lui.
Al sangue, Castiel aggiunse
altre sostanze: fra di esse, Dean riconobbe solo l’acqua
benedetta, che aveva preso da una fiaschetta nella sua giacca.
Quando anche
l’ultimo ingrediente fu sbriciolato nella ciotola, il
composto assunse un colore scuro e una consistenza granulosa.
Dean osservò
Castiel tracciare con un carboncino dei sigilli intorno a lui, sulla
pietra ai suoi piedi. Non capiva cosa stava facendo: la sua testa era
troppo pesante.
“Hai parlato con
Meg?” domandò il moro senza guardarlo, continuando
a disegnare velocemente. “Non devi darle retta. Qualunque
cosa ti abbia detto, non è vera. Ha continuato a mentirti
per tutto il tempo.”
“Perché
è un demone?” chiese Dean con voce flebile.
“No…”
Castiel gettò via il carboncino e immerse le dita affusolate
nel composto. Prese un grosso respiro. “Perché,
ascoltami bene,” gli rispose, avvicinandosi a lui.
“Quella non è Meg. Non c’è
nessuna Meg. Non c’è mai stata. Dean,
tu… hai parlato al vuoto fino ad ora.”
Qualcosa di mosse
nell’animo del cacciatore. “Cosa?”
sussurrò, leggermente più cosciente.
“…cosa?!”
Castiel, nel frattempo, aveva
teso la mano sporcata da quell’intruglio verso di lui,
mormorando più volte le parole “Ostende te”;
fece scorrere le dita sulla fronte del cacciatore, tracciando con i
polpastrelli dei piccoli segni. “Ostende te, ostende te, daemon
devotus, nomine crucis evade [2].”
Dean si rese conto che si
trattava di un esorcismo. Le parole che Castiel stava recitando
suonavano familiari, ma non poteva credere che fossero rivolte a lui.
Lui non era posseduto… o forse sì? Ad ogni
sillaba che Castiel pronunciava con voce grave, la fronte marchiata gli
bruciava, mentre il sangue sembrava ribollirgli in ogni singola vena.
Il cuore batteva come se avesse corso per decine di chilometri, e di
colpo le sue ferite iniziarono a dolergli, e il freddo a pungerlo. Fu
un attimo — Dean strizzò gli occhi, e quando
lì riaprì il momento
era passato. Si sentì un po’ più
sé stesso, un po’ meno distrutto.
Raddrizzò la schiena, che finora aveva tenuto curva, e
sollevò lo sguardo verso il compagno.
Aveva così tante
domande da fargli che non sapeva neanche da dove iniziare.
Ma il suo braccio, ora,
bruciava come l’inferno, e qualcosa si stava contorcendo nel
profondo delle sue viscere.
“Che… che
stai dicendo?” protestò. “Tu…
hai sempre parlato con Meg!”
“Io non ho mai parlato con
lei,” rispose freddo l’ex-angelo.
Seppur dolorante, ora che
aveva la mente più sveglia, Dean si sforzò di
ripercorrere velocemente gli avvenimenti delle ultime ore. Era vero,
Castiel non aveva mai rivolto la parola a Meg. L’unica volta
in cui sembrava aver parlato con lei era stato nella casa di Lisa.
Mentre gli passava il suo pugnale [3].
Quell’idiota stava
davvero parlando del suo pugnale?!
“Perché
diavolo…non me l’hai detto
prima…?” disse Dean debolmente.
Ma Castiel aveva cominciato a
recitare un’altra formula, in una lingua molto più
antica del latino e con un tono, se possibile, ancora più
forte ed inflessibile di prima.
Dean strinse il pugno sano.
Era come se quelle parole, e quella voce, gli stessero scavando dentro,
perforandogli i timpani e sconquassandogli l’anima.
Sentì che qualcosa gli si stava arrampicando su per la gola,
graffiando e bruciando, e iniziò a tossire più e
più volte, fino a che non vomitò un fluido
rossastro e denso molto simile al sangue.
Quando ebbe finito, si
sentì come se qualcosa gli avesse tolto un enorme peso di
dosso. Continuò a tossire e a sputare anche dopo,
perché il sapore acido che quella roba aveva lasciato nella
sua bocca era nauseante.
Stringendosi il braccio
ferito, Dean si rialzò: la ferita non era grave, poteva
sopportare il dolore. Castiel lo costrinse a scendere dalla roccia,
mentre il fluido che la macchiava si raggrumava rapidamente e formava
la sagoma di un corpo umano seduto scompostamente sulle gambe, che Dean
riconobbe essere quello di Meg.
“Ops,”
mormorò lei, sorridente, quando la trasformazione fu
completata.
“E’
lei…?” chiese Castiel, aggrottando la fronte.
“Tu… puoi
vederla ora?”
L’ex-angelo fece un
cenno affermativo.
‘Meg’
emise un finto sospiro drammatico, ghignando perversa.
“Perché lo hai fatto, Clarence? Dopo tutto quello
che c’è stato fra noi…”.
Cercò di mettersi in piedi, ma si ritrovò
imprigionata da centinaia di sottili fili invisibili argentati, che le
bloccavano ogni parte del corpo. Lì agitò,
cercando inutilmente di liberarsene; assunse un’aria
contrariata. “Hai unito una formula di esorcismo ad un
rituale di vincolo degli angeli?”
“Due
rituali,” la corresse Castiel, le labbra curvate in un
sorriso vagamente arrogante.
“Ma che
bravo…” gli rispose lei, senza staccargli gli
occhi di dosso.
Dean tossì, ma
stavolta solo per attirare l’attenzione generale.
“Romeo, scusami se mi intrometto nel tuo appuntamento, ma
vorrei fare solo una domanda,” disse, e poi si rivolse
all’essere imprigionato: “Tu non sei Meg. Cosa
diavolo sei?”
“Dean
Winchester…” rispose quello,
“è scortese da parte tua… prima
mi chiedi di mostrarmi a te e poi, quando lo faccio, non mi
riconosci…” [4]
“Mostrarti…?”
ripeté Dean, sbattendo le palpebre. Poi capì.
“Tu sei… Tu sei il figlio di puttana?!”
Meg inarcò le
sopracciglia. “Preferisco essere chiamato Re,”
rispose. “Ma, sì, lo sono. E siatemi grati,
perché vi sto concedendo un’udienza,”
sorrise melliflua.
Dean si girò verso
Castiel: era furibondo.
“TU LO
SAPEVI!” esclamò. “Tu sapevi che questo
stronzo era con me, e non me lo hai detto!”
Castiel abbassò lo
sguardo, annuendo colpevole. “Dean, prima che tu arrivassi
nel Limbo— “
“CERTO CHE LO
SAPEVA, LO HA SEMPRE SAPUTO!!” strillò il Re.
“E non ha fatto altro che mentirti. Perché ti
sorprendi, Dean? Lo ha già fatto in passato, no?”
“CHIUDI IL BECCO,
MEG! O chiunque tu sia... ” gli gridò il
cacciatore. "Cas: parla.”
“Prima che tu
arrivassi,” riprese Castiel, “e anche mentre ero
con te, ho avuto decine di allucinazioni, ma nessuna ha mai realmente
tentato di interagire con me. Per cui ho capito che la Meg che vedevi
era un’entità diversa, che aveva iniziato ad
interessarsi a te. Ha continuato a tentare di circuirti per tutto il
tempo. Ma se te lo avessi rivelato prima di essere sicuro di poterla
fermare, lei ci avrebbe attaccati di nuovo o mi
avrebbe...allontanato.”
“Allontanato?”
rise la falsa Meg. “No, se Castiel avesse provato a dire
qualcosa che io non volevo che dicesse, lo avrei ridotto…
Dean, tu lo sai come lo avrei ridotto.”
Il cacciatore
digrignò i denti.
“Castiel non
è mai stato un pericolo per me,”
continuò il Re, sereno. “Ha cercato per tutto il
tempo di trovare il modo per catturarmi. Ero curioso di
vedere cosa si sarebbe inventato… per cui vi ho fornito la
casa di Bobby e la sua dispensa.”
“Quindi, in
pratica,” esclamò Dean, più che altro
per far zittire quell’essere odioso, “mentre voi
due coglioni facevate a gara a chi era il più coglione,
l’unico che non sapeva cosa stava succedendo ero
io?”
“Dean,
io…”
“Vaffanculo, Cas.
Quando saremo al bar a raccontare a Sam di come abbiamo preso a calci
questo bastardo, le birre le offrirai tu. E quanto a te,
figlio di puttana… perché hai la faccia di
Meg?”
“Meg Masters
è una tua proiezione mentale,” rispose docile il
Re. “Voi esseri limitati non siete in grado di percepire la
mia vera forma. Questo demone era la cosa più vicina a me
che riconosce il tuo cervello - perché
sì, sono stato nel tuo piccolo cervello,”
ghignò. “Ma non mi interessano i tuoi patetici
ricordi. Su di una cosa non ti ho mentito: io ho bisogno della tua
anima. Non appena avrai ceduto alla disperazione e ti sarai donato
completamente a me, potrò usarti come tramite per
manifestarmi sulla Terra.”
Dean guardò fisso
Meg, cercando di riordinare i suoi pensieri. Scosse le spalle.
“Amico, non so cosa ti hanno detto del nostro mondo, ma non
è così bello come credi. Sinceramente? Io me ne
resterei qui.”
“Scherzi, vero? Ho
visto la Terra nelle vostre memorie. Tutta quell’angoscia e
il lutto, e tutti quegli esseri mortali, deboli e fragili…
è come una festa per me.”
“Perché
lui e non me?” si intromise Castiel, rimasto silenzioso fino
a quel momento.
“Non mi hai
sentito?” replicò il Re svogliatamente.
“Ho detto di avere bisogno di un’anima. Tu, angelo
decaduto, non hai un’anima. Se l’avessi avuta,
saresti ridotto a pezzi adesso, dopo tutto quello che ti ho
fatto…”
Dean si voltò di
scatto verso il suo compagno, che aveva sbarrato gli occhi.
“Non sei un umano.
Sei solo un angelo… privato della sua grazia. Sei un
abominio. Io avevo bisogno di un
vero umano,” concluse l’essere.
“Cas…?”
mormorò Dean all’ex-angelo, poggiandogli una mano
sulla spalla.
Lui, senza guardarlo, vi
poggiò sopra la sua e la strinse. “Va tutto bene,
Dean,” lo rassicurò con voce scossa.
“Ora dobbiamo cercare un modo per fermarlo.”
Ma il Re sospirò,
annoiato. “Ora, Dean Winchester, visto che ho risposto alle
tue domande, con il tuo permesso, finisco di schiacciati.”
“Oh, io invece credo
che tu resterai lì finché non troveremo un modo
per farti fuori, dolcezza,” replicò il cacciatore,
ammiccando.
“Forse ti
è sfuggito il fatto che, qui dentro, le leggi le faccio
io.”
“Cioé?”
Neanche a dirlo, i fili
argentati che immobilizzavano il falso demone sparirono.
“Speravo che non
fosse così...” mormorò Castiel, facendo
un passo indietro.
Il Re si rialzò, e
fissò il cacciatore, le orbite degli occhi completamente
rosse.
Era difficile sostenere quello
sguardo, ma Dean non abbassò gli occhi: sarebbe stato come
ammettere la sua sconfitta.
“Ragazzo
Winchester,” un sorriso largo e predatorio storse le labbra
dell’essere, che incrociò le braccia al petto.
“Continui a fare il duro, a recitare le tue battute sagaci e
le tue citazioni, ma sai bene anche tu che dentro sei già
morto. La sofferenza dell’essere umano non svanisce: si
accumula dentro di lui, finché non riesce a prendere il
sopravvento e a corromperlo, e a divorarlo. E’ rimasto ben
poco di te, ormai. Ho solo bisogno di darti il colpo di grazia, e poi
sarai mio. Sarà facile come schioccare queste
dita,” disse, e lo fece.
La forza
dell’impatto fece sbattere Dean a terra. Il cacciatore si
sentì come se un treno lo avesse appena investito.
In seguito, tutto successe
così velocemente che non ebbe il tempo neanche di rendersene
conto. Si accorse a malapena del fatto che Meg era scomparsa.
Iniziò a tossire sangue, troppo sangue: lo soffocava.
Sentì un fischio crescente nella testa, e pensò
che stesse per esplodergli. C’era qualcosa che lo stava
stritolando dall’interno, triturando ogni singolo organo del
suo corpo: il dolore era assurdo, lancinante ed innaturale. Non ci mise
molto a capire che stava morendo, stava davvero morendo.
Boccheggiando in cerca
d’aria, capì che quel mostro aveva ragione: sin
dal momento in cui avevano messo piede nel Limbo, lui e Cas erano
sempre, sempre stati solo dei giocattoli nelle sue mani. Non aveva
fatto altro che divertirsi con loro. Ed ora si era di nuovo insinuato
dentro di lui, e lo stava lacerando, sia nel corpo che nell'anima.
Aveva già quasi
perso la sensibilità dei suoi muscoli e i suoi pensieri si
stavano spegnendo, eppure continuava a sentire la voce di Castiel che
gridava il suo nome.
Avvertì la sua
presenza vicino a lui e questo, in qualche modo, lo rese felice.
“Dean. Dean! Non lasciarlo
entrare. Devi combatterlo! Dean!” - gli stava
gridando qualcosa del genere. Non gli aveva mai sentito usare quel tono
di voce. Era straziante ascoltarlo. Voleva che smettesse.
Con immensa fatica, Dean
aprì gli occhi – non si era accorto di averli
chiusi – ma la sua visione era offuscata. Tossì
altro sangue. Afferrò con una mano tremante la camicia di
Castiel e la strinse, poi prese un ultimo respiro.
“Q-Questa
è…questa è l’ultima
preghiera che ti faccio…” gli disse in un
sussurro. “E’ dentro di me, ora…
Fermalo, Cas… ti supplico… uccidimi.”
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[1] Ispirata a questo
video. (mi ha destabilizzato; sono una persona
sensibile...)
[2] Rivelati, demone
maledetto, nel nome della croce fuggi via. (Der exorzist, E-nomine)
[3] Vedi fine del
capitolo 7. *scansa pomodori*
[4] Vedi sempre il
capitolo 7, credo al terzo paragrafetto. *scansa patate*
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Capitolo 11 *** La porta del Limbo ***
Note:
Ho scritto e riscritto questo capitolo (e il precedente)
così tante volte che ammetto che ci sono stati momenti in
cui ho voluto davvero cestinare TUTTO. Ma
mi avete dato così tanto sostegno e incoraggiamento che,
quando ero in difficoltà, ho stretto i denti sono andata
avanti.
Vi auguro un sereno 2014 e vi ringrazio di cuore tutti! *spreads love*
* * * *
Sam si massaggiò i
polsi segnati dalle manette, meditando sul da farsi.
Era riuscito ad
evitare di essere spedito nel Limbo, ma era stato ugualmente preso
prigioniero e disarmato; doveva salvare Dean e Castiel, ma
l’unica arma a sua disposizione era l’angelo folle
che lo aveva liberato. Sam non si fidava di lei, per cui
approfittò di quegli istanti per soppesare le varie
possibilità d’azione e di fuga che aveva.
Ma il flusso dei suoi
pensieri venne presto interrotto da Ariel che, incuriosita dal suo
comportamento, gli era comparsa davanti e aveva iniziato a fissarlo in
silenzio, con aria interrogativa.
Sam sapeva che poteva
leggergli nel pensiero e per questo, dopo qualche attimo di esitazione,
decise che era inutile mentirle.
“Io non
farò del male a Castiel,” dichiarò.
L’angelo
inclinò leggermente la testa. “L’avevo
capito,” si limitò a rispondere, atona.
“E
nonostante questo vuoi ancora aiutarmi a salvare mio
fratello?”
“Se si
tratta di te e Dean insieme," ribatté lei, "posso passare
sopra alla tua insensata voglia di proteggere quell’essere.
Per cui, va bene - non ucciderai Castiel.”
Sam si
accigliò. “Vuoi farlo tu?”
“Sarebbe
molto soddisfacente a livello emotivo, è
indubbio,” annuì l’angelo. Aveva
ripescato il suo libro e i suoi occhiali; sfogliò qualche
pagina con aria annoiata. “Ma... no, non ho intenzione di
farlo io.”
Sam strinse gli occhi,
sospettoso: c’era qualcosa che gli sfuggiva. Ma la porta si
aprì di scatto, e due uomini vestiti di nero fecero
irruzione nella stanza, puntando le loro pistole sul cacciatore, che fu
costretto ad alzare le mani.
“Oh, gli
uomini di Leon,” disse Ariel, sospirando. Si tolse gli
occhiali e li lanciò via.
“Signorina,
è pericoloso restare qui, si allontani!”
esclamò il più anziano, verso di lei. Poi si
rivolse a Sam: “Quanto a te, ragazzo, non
osare—”
L’uomo non
terminò mai la frase perché Ariel, apparsa di
colpo di fronte a lui, poggiò una mano sulla sua fronte e
usò il suoi poteri per vaporizzargli ogni singolo organo
interno.
Ricadde a terra senza
vita, gli occhi bruciati ancora fumanti.
L’angelo si
voltò poi verso l'altro che, preso dal panico, aveva puntato
contro di lei la sua arma, tremando. Lei fece un cenno della mano, ma
non accadde nulla; l'uomo ne approfittò per spararle: la
colpì al petto, ma l'angelo non batté ciglio, e
anzi si mosse verso di lui. Gli strappò la pistola dalle
mani e poi sollevò di nuovo il braccio, ma Sam la
fermò tirandola indietro.
“Aspetta!”
rantolò, sconvolto.
“Perché?”
chiese Ariel, confusa.
“Sono persone!”
esclamò Sam con una punta di orrore. “Non
puoi… ucciderle in questo modo!”
“E in che
modo dovrei ucciderle?”
“Tu
non… ascolta, mi occupo io di lui,
d’accordo?!”
Sam si
avvicinò all'uomo che, inerme, si era rannicchiato a terra.
“Non mi hanno pagato per questo! Vi prego….vi
supplico!” blaterava piangendo, scosso da brividi.
Il cacciatore lo
perquisì e gli tolse la ricetrasmittente e il cellulare che
aveva nella tasca; poi lo imbavagliò con un pezzo di stoffa
e lo ammanettò ad una delle gambe del letto.
“Se provi a
chiedere aiuto sei morto,” dichiarò minaccioso, e
lui annuì vigorosamente.
Sam si rivolse poi ad
Ariel: “Andiamo, prima che ne arrivino altri,” le
disse.
Lei, per tutta
risposta, si portò le mani al petto e unì gli
indici. “I-Io… Io non posso andare.
Cioè… forse potrei andare, ma se andassi non
potrei tornare,” disse confusamente.
Il giovane la
guardò fisso, cercando di capire il senso di quelle parole.
“Ci sono dei sigilli che limitano i tuoi poteri?”
“Sì…
quel genio li ha piazzati in giro,” rispose l'angelo. Si
guardò intorno, pensierosa. “Non sono molti, e
alcuni sono completamente sbagliati, ma qualcuno funziona davvero.
Finché non li cancelli, i miei poteri non saranno al
massimo.”
Sam annuì,
senza molta convinzione. Ariel lesse nei suoi pensieri che, nonostante
tutto quello che aveva fatto per lui, una parte di Sam voleva cogliere
la palla al balzo e tradirla… avrebbe potuto torturarlo o
ucciderlo per questo ma, in quel momento, la sua personalità
era relativamente pacifica, per cui si limitò ad incrociare
le braccia al petto.
“Non ti
consiglio di farlo, Sam,” esalò. “Certo,
potresti trovare da solo il modo di salvare Dean, ma impiegheresti un
sacco di tempo. Ed ogni secondo che perdi qui corrisponde ad anni di
sofferenza per tuo fratello.”
Il cacciatore
aggrottò la fronte. “Che cosa intendi
dire?”
“Che io so
come funziona il Limbo,” rispose lei,
“Perché ci sono stata.”
Mentre parlava, Ariel
raggiunse Sam e, quando gli fu davanti, premette due dita sulla sua
fronte: lui spalancò gli occhi, mentre delle immagini
iniziarono a scorrere rapide nella sua mente.
Quando Ariel
abbassò le dita, lui scattò
all’indietro, ansimando, il terrore stampato negli occhi.
Impiegò qualche secondo per riprendersi.
“D’accordo!”
borbottò alla fine, “d’accordo, ti
credo, non ti abbandonerò!”
“Yay!”
esclamò lei felice, battendo le mani. “ORA
MUOVITI, FIGLIO DI PUTTANA!” gridò poi, infuriata.
*
La Porta del Limbo era
un grosso portone di legno e ferro, che brillava di una luce tenue e
sovrannaturale.
Leon fece scorrere le
dita scheletriche sulla sua superficie ruvida e questa, in risposta al
suo tocco, emise una scintilla bluastra.
Il trentenne sorrise
internamente: se, qualche mese fa, qualcuno gli avesse detto che la
magia esisteva, sarebbe scoppiato a ridere. Non aveva mai creduto a
quella roba e in ogni caso, quando da bambino si era lasciato sfuggire
un ingenuo “da
grande voglio diventare un mago!”, si era
beccato un ceffone in pieno viso da parte di sua madre.
Quell’episodio
gli era rimasto impresso perché era stato il contatto
più intimo che Leon aveva avuto con lei. Poteva contare
sulle dita le volte in cui quella donna gli aveva rivolto la parola:
pur vivendo nella stessa casa, per lei era sempre stato un estraneo e,
le rare volte in cui aveva provato ad avvicinarsi, lo aveva guardato
con terrore e lo aveva scacciato urlando.
Quando, anni fa, sua
madre era scappata di casa portando con sé sua sorella, Leon
era rimasto solo con suo padre. L’ex-chimico lo aveva educato
con durezza, gli aveva imposto un percorso di studi che lui detestava e
che non aveva mai terminato, e aveva continuato a trattarlo come uno
stupido, un fallimento e una delusione continua, fino al giorno in cui,
pochi mesi prima, era stato ritrovato morto in un parco lì
vicino.
Leon aveva benedetto
infinite volte i cani randagi che, stando al referto del medico legale,
lo avevano sbranato vivo.
Fu al funerale del
padre che rivide sua sorella. Sua madre era morta da tempo, e lei era
sola e senza un lavoro fisso; colto da un improvviso senso di
compatimento, aveva deciso di farla venire a vivere con lui, che
campava di rendita.
Senza più
la continua oppressione di suo padre, impossessatosi della sua fortuna,
Leon aveva creduto che la sua vita, finalmente, sarebbe cambiata; ma la
sua pace era durata poco perché, solo pochi giorni dopo il
funerale, aveva ricevuto quella notizia.
Si portò le
mani alla testa, scossa da un’improvvisa fitta di dolore:
l’attacco durò solo pochi secondi, ma lo
lasciò senza fiato e gli causò un fortissimo
senso di nausea.
Appoggiò un
palmo al muro, respirando forte per riprendere il controllo.
Era tutto a posto,
pensò. Il suo piano avrebbe funzionato. Bastava solo che
quegli stupidi angeli si sbrigassero.
*
Sam, acquattato in un
corridoio buio, attese finché uno degli uomini in nero non
gli ebbe voltato le spalle, quindi balzò fuori
dall’ombra e lo colpì alla testa, facendogli
perdere i sensi. Lo disarmò rapidamente, poi raccolse da un
mobile un oggetto appuntito e lo usò per tracciare un lungo
graffio sul sigillo angelico inciso sulla parete.
In pochi minuti aveva
esplorato una decina di stanze e cancellato sei sigilli, ma non sapeva
se fossero sufficienti a sbloccare i poteri di Ariel.
La risposta alla sua
domanda arrivò quando una forza invisibile
scaraventò sopra un tavolo la guardia che stava per
sparargli alle spalle; cadde dall’altra parte della stanza e
non si mosse più.
Ariel, apparsa al
fianco di Sam, nell’incrociare il suo sguardo stupito
inarcò le sopracciglia, come a voler dire 'che cosa vuoi, hai detto che
non dovevo ucciderli'.
Lui era stranamente
felice di vederla. “Dove sei stata?” le chiese.
Lei gli
lanciò il pacchetto che stringeva fra le mani:
“Questo è per uccidere
l’entità che tortura il tuo amato
fratellino,” disse con un sospiro.
Si trattava di un
oggetto non molto grande, avvolto con cura in un panno chiaro. Sam
sollevò la stoffa, e sgranò gli occhi.
“Come hai..?”
“Ho letto
tutti i libri di Supernatural,” rispose l'angelo, innocente.
“Cinque volte.”
Sam si
rigirò il pacchetto fra le mani. “Sei sicura che
funzionerà?”
Ariel parve ragionarci
su. “Beh, Sam,” esordì alla fine,
“hai già visto nei miei ricordi ciò di
cui è capace il Re del Limbo. Sai anche
dov’è la porta, e sai che devi sbrigarti. Vai
pure, io ti aspetterò qui.”
Al cacciatore non
sfuggì il fatto che l’angelo aveva completamente
ignorato la sua domanda, per cui si accigliò.
“E per
tornare indietro?” domandò.
“Sono sicura
che riuscirete a trovare il modo,” rispose Ariel con voce
suadente.
Sam sapeva di non
potersi fidare; lo sapeva davvero, ma la sua testa continuava a
ripetergli che andava tutto bene. Era come se qualcuno, dentro di lui,
gli stesse ordinando di credere a quanto gli veniva detto, azzerando la
sua capacità critica.
Non era la prima volta
che gli succedeva una cosa del genere: aveva provato la stessa
sensazione quando Castiel era misteriosamente tornato in vita, quando
Dean gli aveva detto di aver trovato l’indirizzo di April
nella tasca di quel mietitore [1], e in molte altre occasioni. E anche
stavolta, come un automa, Sam si piegò a quel comando. [2]
“Perché
tu non vieni con me?” riuscì però a
chiedere ad Ariel.
Lei, per tutta
risposta, scattò contro di lui, afferrandogli malamente il
bordo della giacca e spingendo il suo viso alla sua altezza per
guardarlo negli occhi.
“Forse non
ti è chiaro, stronzetto, che io non mi muovo da questo
mondo.”
“Hai
paura,” mormorò Sam, dopo molti secondi di
silenzio.
“Fottiti,”
ribatté l’angelo, mollando sgarbatamente la presa,
sparendo dalla sua vista.
"L'ho offesa...?" si
chiese il giovane, sbattendo le palpebre. Poi si riscosse e si diresse
rapidamente verso l'atrio in cui si celava l'accesso al sotterraneo
della casa.
*
Leon aveva impiegato
piu' tempo del previsto per riprendersi. Quando fu sicuro di
riuscire a fare piu' di tre passi senza vomitare, voltò le
spalle alla Porta del Limbo e si avviò verso le scale che
portavano al piano superiore.
Doveva ancora
controllare che le linee di sale fossero state ripristinate e decidere
cosa fare con Sam Winchester: anche se era legato e incosciente, Leon
non si sentiva tranquillo. Ed inoltre, non era sicuro di come
l’avrebbero presa gli angeli.
Quella mattina, dopo
aver catturato Castiel, Leon aveva telefonato al Reverendo Buddy Boyle [1]; ignorando la
voce meccanica del centralino, aveva esordito con un semplice:
‘Dici agli
Angeli che ho Castiel’ e, pochi secondi dopo, si
era ritrovato a parlare al telefono con un tale Bartolomeo, Angelo del
Signore.
Pur trovando assurda
l’idea di parlare ad un'entità celeste al
cellulare, Leon gli aveva spiegato la sua storia e le condizioni a cui
era disposto a cedere Castiel.
Bartolomeo aveva
ascoltato i termini dell’accordo e poi, con voce serena, gli
aveva detto: “Non so come tu faccia a sapere del nostro
fratello caduto, ma sono certo che sai cosa accade a chi dice falsa
testimonianza.”
“Non sto
mentendo, se è questo ciò che intende
dire,” aveva risposto Leon, piatto.
“Allora
manderò da te alcuni dei miei angeli più fidati
per visionare il
tuo operato,” aveva replicato a quel punto Bartolomeo.
“Impiegheranno alcune ore per raggiungerti. Potresti
impegnarle catturando anche i Winchester,” aveva aggiunto poi
con voce serafica. “Immagino tu conosca anche loro. Sembra
che amino comparire dal nulla per aiutare i loro compagni in
difficoltà e ostacolare il Piano Divino.”
“Sì,
so benissimo chi sono. Ma—”
“In caso
contrario, potrei non essere in grado di esaudire la tua
richiesta,” aveva tagliato corto l’angelo.
Leon aveva aggrottato
la fronte. “Credo di poterlo fare,” aveva mormorato
alla fine.
“Perfetto.
Ci manterremo in contatto,” aveva detto Bartolomeo, per poi
chiudere la chiamata.
Ma le ore erano
passate, e nessun angelo si era ancora fatto vivo.
"Forse hanno trovato
traffico," pensò Leon con amarezza. Aveva un brutto
presentimento; forse, avrebbe dovuto tracciare qualcun altro di quei
sigilli che indebolivano gli angeli. Li avrebbe tolti solo quando fosse
stato sicuro che Bartolomeo poteva esaudire la sua richiesta.
Era a metà
scala quando uno schiocco alle sue spalle catturò la sua
attenzione. Si voltò indietro di scatto, solo per scoprire
che la luce che brillava intorno alla Porta del Limbo era scomparsa.
“Che
cosa…” esclamò, sorpreso, tornando
indietro a grandi passi. Raggiunta la porta provò a
sfiorarla, a grattarne leggermente la superficie, a dare qualche
colpetto sullo stipite di legno: nulla.
Era tornato ad essere
il grosso ed inutile portone arrugginito che era sempre stato.
“Quei due
mostri sono riusciti a liberarsi…?”
pensò, inorridito.
Pochi secondi dopo, a
conferma della sua intuizione, avvertì dei rumori indistinti
all’interno della stanza che si celava oltre la porta; ai
rumori, seguirono due voci maschili.
Istintivamente, Leon
premette l’orecchio contro la porta e cercò di
captare la conversazione, ma il legno era spesso e ovattava ogni suono.
Non aveva il coraggio
di entrare in quella stanza; non capiva cosa stesse succedendo, ma si
rese conto di dover correre a recuperare gli incantesimi in suo
possesso ed elaborare un nuovo piano. Risalì le scale
velocemente, il cuore che palpitava e la nausea crescente, pronto a
scattare verso lo studio di suo padre, ma non appena riemerse
nell’atrio si ritrovò una pistola puntata alla
fronte.
“Ci devi
delle spiegazioni,” dichiarò Sam, il tono che non
ammetteva repliche.
Leon gettò
un’occhiata alle spalle del giovane: l’uomo a cui
aveva ordinato di fare la guardia all’atrio giaceva svenuto a
terra, legato ed imbavagliato.
“Lo
sapevo,” mormorò, sfinito. “Voi
Winchester siete incontenibili.”
Sam non gli rispose.
“E’ laggiù la porta del
Limbo?” chiese, indicando le scale da cui Leon era appena
risalito.
“Sì,
ma…”
“Allora con
te facciamo i conti più tardi,” decise il
cacciatore e, senza troppi complimenti, gli diede il calcio della
pistola in faccia, mandandolo al tappeto.
Lo superò e
scese nel sotterraneo.
“Dean,
Castiel,” pensò nervosamente, scendendo le scale,
“vi prego, resistete. Sto arrivando.”
* * * * *
[1] Vedi episodio
9x03
[2]
Perché io sono davvero convinta che Sam non sia
così stupido da credere a tutte le bugie inventate da Dean
nel corso della nona stagione.
|
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Capitolo 12 *** Shahat ***
Note:
Ho scritto questo capitolo mentre ero in crisi mistica con i due
precedenti.
Non volevo pubblicarlo subito, perché ho pubblicato solo
l'altro ieri il 12! Ma, alla fine, ho pensato che sarebbe stato carino
festeggiare l’inizio del 2014 così.
Oserei dire: "-3 alla fine" ma mi conosco fin troppo bene, quindi non
oserò.
* * *
L’ultima cosa che
Dean sentì fu la mano di Castiel che stringeva la sua; il
suo ultimo pensiero fu rivolto a Sam. Poi il suo sguardo si spense, la
sua visione si dissolse. Il dolore lo aveva completamente prosciugato:
non aveva più la forza, né la voglia di
continuare a resistere, per cui si lasciò scivolare nel
buio.
Sprofondò
per un’eternità… finché la
sua coscienza non si riscosse e, preso un lungo respiro,
spalancò gli occhi.
L’aria era
tiepida, e degli uccellini cinguettavano nelle vicinanze. Era in piedi
in un giardino abbandonato, distrutto dall’incuria e invaso
dalle erbacce.
C’era luce,
e un profumo tenue di rose.
Era ancora nel Limbo?
Scorse Castiel, in
piedi, a pochi metri da lui: i suoi vestiti erano stracciati e
macchiati di sangue, il suo sguardo basso. Era diverso, eppure
familiare. Dean si chiese se fosse reale.
Restare lì
immobile non l’avrebbe portato da nessuna parte, per cui
decise di tentare. “Cas!” lo chiamò,
cercando di attirare la sua attenzione.
Ma Castiel non
reagì. Dean si fece largo fra l’erba e le rose e,
quando fu abbastanza vicino al compagno, si rese conto che lui stava
tenendo gli occhi fissi su un cadavere a terra, il cui collo era girato
in una maniera innaturale. Dean deglutì quando si rese conto
che quel corpo era il suo.
“Giusto,”
realizzò, impassibile. “Come ho potuto
dimenticarlo? Io sono morto…”
Ma c’era
qualcosa che non quadrava. L’ambiente, i vestiti, il suo
corpo… era tutto sbagliato.
Il profumo delle rose
si fece più intenso, e fu in quel momento che Dean
ricordò: quello non era il suo mondo. Quello era il roseto
in cui, anni fa, aveva parlato con Lucifero, che stava sfruttando il
corpo di suo fratello per portare l’inferno sulla terra. [1]
Solo che, stavolta,
non c’erano né Sam né il diavolo:
c’erano solo il cadavere spezzato del sé stesso
del 2014 e il Castiel che aveva gettato in pasto ai Croatoan; il
Castiel drogato e distrutto che aveva obbedito all’ultimo
ordine del suo leader senza battere ciglio; il Castiel che, a quanto
pareva, sopravvissuto alla carneficina, era tornato indietro a
cercarlo, e l’aveva trovato senza vita.
In quel momento, le
parole che Lucifero aveva pronunciato nel roseto riecheggiarono nella
sua mente:
“Qualsiasi scelta tu
faccia… qualsiasi dettaglio tu alteri, finirai per
ritrovarti sempre qui,” aveva detto.
E aveva avuto ragione.
Cinque anni dopo, erano esattamente lì: Dean morto; Castiel
completamente perso; Sam in pericolo. Il male vince.
Perché Dean
era lì? Avrebbe dovuto rinunciare, avrebbe davvero dovuto
lasciarsi andare. Ma — no, non poteva farlo. Non adesso che
aveva visto in faccia il suo avversario.
Avevano sconfitto
Satana, maledizione! Non poteva lasciarsi fregare da uno stronzo
sovrannaturale con l’ego grande quanto il Canada. Doveva pur
esserci un modo per fermarlo…
Quasi come se potesse
sentire i suoi pensieri, il Castiel del 2014 si mosse: si
abbassò sul cadavere di Dean e prese dalle sue mani un
oggetto dall’aria familiare.
“La
colt?” gli chiese il Dean del presente, stupito.
Forse… forse gli stava suggerendo che potevano sconfiggere
il Re con la colt?
Il Castiel del 2014
fece roteare le pistola nella mano e la accarezzò, prima di
sollevare gli occhi stanchi, che si incrociarono con quelli di Dean.
Quando lui si accorse
che Castiel non lo stava realmente guardando, e capì cosa
stava per fare, mormorò un “No!” e si
lanciò verso di lui.
Ma lui si era
già puntato la pistola alla tempia e aveva premuto
il grilletto.
Dean
spalancò la bocca, scioccato, mentre il corpo del suo
compagno ricadeva a terra accanto al suo. Fu solo in quel momento che
si rese conto della presenza che, silenziosamente, era scivolata
intorno a lui, immobilizzandolo.
“Era stato
contagiato dal virus Croatoan,” disse una voce bassa e
suadente, innaturale. “O forse no.”
Dean
avvertì la rabbia ribollirgli nelle vene quando
capì che si trattava del Re. Non riusciva a vederlo, ma lo
sentiva mentre, viscido e scivoloso, gli si avvolgeva intorno al corpo
come un serpente.
“Potresti
smetterla di starmi così appiccicato?”
ringhiò piano. “Sai, mi fai schifo.”
“Lo
so,” gli sussurrò lui. Dean poteva sentirlo
alitare sul suo collo. “ E’ lo stesso sentimento
che provi nei tuoi confronti. Siamo così simili...”
Anche se il suo torso
era bloccato, Dean poteva ancora muovere le braccia per cui,
d’istinto, portò la mano sopra la sua spalla e la
richiuse: quando si rese conto di aver afferrato qualcosa,
tirò più forte che poteva, stringendo e
stracciando.
Avvertì dei
mugolii contrariati; la presa sul suo corpo si allentò, e
lui ne approfittò per liberarsi e fuggire.
Superò il
roseto, i corpi a terra, uscì dal giardino e
continuò a correre per la città abbandonata e
sempre più scura, cercando di lasciarsi alle spalle il Re.
Forse non era ancora
finita – forse poteva ancora combattere.
Ma aveva percorso
poche centinaia di metri che il buio calò definitivamente, e
insieme a lui il silenzio.
Che diavolo era,
Silent Hill?
Dean quasi
sbatté la testa contro il muro del vicolo in cui
si era infilato. Ora nell’aria si sentivano solo i suoi
respiri affannati; ma dopo poco, le sue orecchie percepirono uno
scalpiccio.
Era un rumore leggero,
ritmico, e proveniva dalla via principale. Dean si sporse leggermente
dal vicolo, cercando di capire cosa lo stava provocando: con sua grande
sorpresa, scorse un lungo corteo funebre che occupava la strada;
avanzava lento e silenzioso. Le persone che lo componevano erano
decine, ed erano tutte vestite di nero. Non riuscì a
distinguerne i volti; o forse non volle.
Nella folla anonima,
però, spiccava un giovane vestito di bianco: era alto,
piazzato, e aveva un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
Aveva la faccia e il corpo di Sam. Si muoveva davanti al corteo con
passo leggero, ridendo e facendo svolazzare la giacca candida come se
fosse impegnato in una danza.
“Dean? Oh,
andiamo, Dean. Credevi davvero che fossi Ezekiel?” gridava
Lucifero, piroettando. “Andiamo, non ci sarebbe cascato
neanche un cherubino… Dai, vieni a salutare il tuo
Sammy! Deeeean~! ANDIAMO!”
Dean roteò
gli occhi, ritornando nel vicolo. Si massaggiò le tempie,
stanco: quello non era Sam. Era solo un’ennesima assurda
allucinazione.
Ezekiel non era
Satana.
“Ezekiel
è Ezekiel”, si disse, confuso,
“… no?”
Ma la voce di
Lucifero, di colpo, prese a strillargli direttamente nella testa, la
sua risata stridente gli lacerava ogni singola fibra del cervello.
Dean sbarrò
gli occhi e si portò le mani alla testa, lanciando un grido
di dolore.
Alla voce di Lucifero,
ben preso, si aggiunsero i mormorii sommessi del corteo funebre.
Mormorii che ben presto divennero lunghi sospiri e gemiti, poi pianti,
ed infine si trasformarono nelle urla orribili di sua madre, di suo
padre, di Jo, Hellen, Bobby e mille altre persone morte a causa sua,
che gridavano ed imprecavano e continuavano a chiamarlo. Era
insopportabile, era un incubo: Dean credette di impazzire.
Si appiattì
contro il muro freddo e strinse le mani sulle orecchie, gli occhi
spalancati e la mascella contratta. Cercò di ignorare quelle
urla, di farle andar via e di zittire Lucifero, che continuava a
ripetere il suo nome usando la voce di Sam, finché lo
schiocco improvviso di uno schiaffo in piena faccia non lo
riportò alla realtà.
Le voci cessarono; con
il cuore che gli palpitava in gola e il respiro pesante, Dean
abbassò le mani.
“Dean,”
lo chiamò Sam. Era davanti a lui, vestito esattamente come
l’ultima volta che l’aveva visto, quando erano a
quella festa maledetta. Sembravano trascorsi anni da quel momento.
“Io… Ti ho cercato dappertutto!”
esclamò il giovane, inquieto, stringendogli le spalle con le
sue mani calde e rassicuranti.
“Sammy…?”
mormorò Dean, in tono quasi supplichevole. Il punto in cui
Sam lo aveva colpito bruciava.
L’altro
annuì, e, dopo aver fatto un passo indietro, gli tese la
mano. “Forza, andiamo via da qui,” gli disse.
Ma Dean non gli
credette. Scattò in avanti, e gli tirò un pugno
allo stomaco: colto di sorpresa, Sam non ebbe il tempo di reagire e
subì il colpo in pieno.
Sam si
piegò in due, le sue mani andarono a stringere il punto
colpito. “D-Dean, che cosa…”
Prima che potesse
finire di parlare, Dean gli sferrò un altro pugno, stavolta
sulla mascella; poi lo afferrò per la camicia e lo
scagliò a terra: cominciò a prenderlo a calci
mentre Sam, incapace di reagire, lo supplicava di fermarsi.
Quando Dean non riuscì più a sopportare quei
piagnistei, lo costrinse sulla schiena e andò addosso,
cominciando ad assestargli una serie di pugni in pieno viso, ancora e
ancora, e continuò anche dopo che Sam ebbe perso i sensi,
continuò con tutte le sue forze, fino a che non si accorse
che qualcosa si era spaccato sotto le sue mani, adesso completamente
zuppe di sangue.
Se le
guardò, tremando, e solo in quel momento, terrorizzato, si
rese conto di cosa aveva fatto. Chi aveva ucciso? Lucifero? Ezekiel?
Era un sogno? E se fosse stato davvero Sam?
Il tonfo sordo di un
pugno sbattuto contro il vetro lo fece sobbalzare e svegliare: era
seduto nella sua Impala, parcheggiata al buio da qualche parte.
Avvertì un
secondo tonfo, poi un terzo, un quarto. Colpiva i finestrini, facendoli
vibrare.
“Vattene,”
pensò Dean, disperato. “Vattene, maledizione,
vattene… Exorcizamus te,” cominciò a
recitare velocemente, “omnis immundus spiritus, omnis
satanica potestas…”
Il suono si fece
più martellante ed insistente, finché i vetri non
si frantumarono in mille pezzi e qualcosa penetrò dentro
l’auto, afferrandogli la gola. “Omnis incursio
infernalis… a-adversarii—” Dean
cercò di lottare, scansandola, ma quella gli si avvinghiava
addosso, immobilizzandolo e penetrando dentro di lui, togliendogli il
fiato.
Non poteva crollare
adesso, non poteva. Lanciò un’imprecazione e
allungò il braccio verso il cruscotto, cercando frenetico di
afferrare la pistola: con uno sforzo infinito riuscì a
sfiorarla, ad afferrarne la canna; la trasse verso di sé ma
quando riuscì ad impugnarla, era troppo tardi.
Lasciando perdere la
pistola, aprì la portiera dell’impala e si
stiracchiò pigramente i muscoli del collo.
Respirò profondamente, poi chiuse gli occhi, espirando
estasiato, e sorrise.
*
Dopo aver lasciato
Sam, Ariel era ricomparsa nella stanza della ragazza che le fungeva da
tramite.
Seduta compostamente
sul suo letto, stava per portarsi una tazza di tè fumante
alle labbra quando, d’un tratto, le sue mani iniziarono a
tremare così forte che il liquido bollente
rischiò più volte di rovesciarsi sui suoi
vestiti.
Con molta fatica,
riuscì a poggiare la tazza sul piattino e poi a sistemare
entrambi su un mobiletto lì accanto.
Con aria incerta, si
osservò le mani, scosse da quelli che riconobbe essere
brividi di paura. “Oh,” disse infine,
pacata. “Sam non ha fatto in tempo.”
*
Quando Dean
poggiò il piede a terra, ogni cosa intorno a lui era
cambiata. Ma, stavolta, non era più un’illusione.
Lentamente, si
guardò intorno: si trovava in una stanzona umida e scura,
senza finestre. Era una specie di segreta antica, dalle mura di
pietra. Una parete era completamente occupata da una libreria
colma di testi grossi e polverosi; su un tavolo, al centro della
stanza, erano sparsi una serie di oggetti, fra cui candele, lame
arrugginite, strumenti dall’aria antica e fogli di pergamena.
Alle sue spalle, vi
era una grossa di legno e ferro, mentre dalla parte opposta
c’era un’arcata che dava su un corridoio buio.
Castiel giaceva a
terra a pochi passi da lui, privo di sensi. Dean si chinò su
di lui: lo sfiorò appena, ma ciò bastò
a fargli riprendere i sensi.
L’ex-angelo
spalancò la bocca in cerca d’aria e
scattò a sedere, tossendo: aveva i vestiti macchiati dal
sangue del cacciatore e il suo nome sulle labbra, che schiuse in
un’espressione sconvolta.
“Dean,”
mormorò, con voce roca.
“Dove…?”
“Siamo
tornati a casa, Cas,” gli disse lui. “Niente
più Limbo,” concluse, con una punta di
soddisfazione.
Castiel si
rabbuiò. I suoi muscoli si irrigidirono, il pugno si strinse
in un gesto istintivo. Distolse lo sguardo da lui, facendolo vagare per
la stanza.
“Io…l’ho
visto, Cas,” disse Dean. “Ho capito cosa
è quell’essere, quel Re. E’ una specie
di dio.”
“Dici?”
replicò l’ex-angelo, atono.
“Non so se
è corretto definirlo così…
è come se fosse la personificazione del tormento di coloro a
cui è negato l’accesso al Purgatorio, al Paradiso
e persino all’Inferno. In questo mondo… se avesse
un nome, si farebbe chiamare Shahat,”
spiegò. [2]
Castiel smise di
esaminare la stanza e, finalmente, si concentrò su Dean.
Inclinò la testa di lato, ma stavolta non in un gesto
confuso, come aveva sempre fatto: stavolta, i suoi occhi valutavano,
calcolavano, ed erano freddi e scuri come un mare in tempesta.
“Ho
capito,” annuì infine, rialzandosi con lentezza.
“Piacere di conoscerti, allora, Shahat.”
Dean sorrise e
sbatté le palpebre, mostrandogli delle iridi color sangue.
“Ciao, Cas,”
disse, accarezzando con la voce il suo nome in un modo che a Castiel
fece venire i brividi. “Quindi, questo è il mondo
che ha creato vostro Padre. Un po’ freddino.”
“Non ho mai
sentito parlare di te…”
“Ovvio.
Nessuno si preoccupa dello scarico in cui finiscono gli scarti. Ma io
ero lì, da sempre, prigioniero del mio stesso regno. E ora
che ne sono uscito, trovo tutto
ciò…inebriante.”
Shahat
sospirò come in estasi, e Castiel non poté fare a
meno di notare con dolore che quel suo atteggiamento,
quell’espressione così crudele e lasciva, non
aveva niente a che fare con Dean. Aveva il suo corpo, ma era un ammasso
di corruzione, un essere ancora più marcio e fetido dei
demoni che aveva sempre combattuto.
Mentre il Re
continuava a parlare, l’ex-angelo studiò con finta
noncuranza gli oggetti sparsi sul tavolo della segreta.
“Hai
intenzione di distruggere questo mondo?” gli chiese, quando
si accorse che aveva smesso di parlare.
“Le memorie
di Dean dicono che questo è un mondo senza Dio. Potrei
diventarne io uno. Mi basterebbe nutrirmi a
sufficienza…” rimuginò Shahat.
“Oh, Cas, io non taglierei la gola di Dean con uno di quegli
arnesi, se fossi in te. Sarebbe inutile, e poi lui potrebbe
dispiacersi.”
Castiel gli
lanciò un’occhiata in tralice. “Dean
è morto,” replicò in un sussurro
spezzato.
“Ma
certo,” sorrise piano Shahat. “Oppure no. No, in
verità, no. Forse c’è ancora qualche
frammento della sua coscienza dentro di me. Forse mi sto divertendo con
lui in questo momento.”
Qualcosa nel petto di
Castiel sobbalzò; lui lo represse, perché aveva
avuto a che fare con i demoni per secoli e, in fondo, quello Shahat era
esattamente come loro, seppur in modo amplificato.
“D’altronde,
se ci uccidi, Dean andrà all’inferno e Abbaddon lo
torturerà per l’eternità,”
continuò il Re. “E se finisse in Paradiso, le
anime degli angeli che ha ammazzato lo faranno a pezzi. Quindi dimmi,
Castiel: vuoi davvero uccidere il mio tramite?”
Castiel non diede
segno di reazione, e Shahat non si sorprese. Nel Limbo, aveva letto
nella mente dell’ex-angelo, e sapeva che le parole o le
visioni che avrebbe potuto causargli non lo avrebbero mai fatto cadere
a pezzi perché, angelo o meno, con o senz’anima,
lui era un soldato.
Un soldato molto
pericoloso, che anche in quel preciso momento stava pensando ad un modo
per scacciarlo e salvare Dean, il povero Dean, la sua nauseante
ossessione, Dean, Dean,
Dean.
Andava fermato subito,
visto che il prezzo che Shahat aveva pagato per avere
l’accesso al mondo terreno era il non essere più
indistruttibile.
Ma, in fondo, Castiel
non meritava di essere sventrato come un animale così su due
piedi: c’era qualcos’altro che poteva fare per
divertirsi con lui un’ultima volta.
Shahat
allungò un braccio davanti a sé, manifestando fra
le dita callose di Dean quello che Castiel riconobbe essere il suo
pugnale angelico: glielo lanciò ai piedi, e curvò
le labbra in un ghigno.
“Fallo,”
gli disse. “Uccidimi. Che senso ha, in fondo, causare
disperazione in miliardi di vermi insignificanti quando posso godere
della tua? E’ meravigliosa, sotto ogni aspetto: è
fatta di rancore, perdita, sensi di colpa e solitudine. E sono sicuro
che, nell’istante in cui affonderai di tua spontanea
volontà quel pugnale in questa carne, esploderà,
e sarà come—”
“BASTA!”
“…oh?”
Castiel aveva
abbassato gli occhi sul pugnale, ma non l’aveva raccolto.
Aveva urlato, ma il suo corpo non aveva fatto una piega, di nuovo. Solo
una cosa era cambiata in lui, un minuscolo dettaglio: era una singola
lacrima. Shahat la vide sfuggire dai suoi occhi umidi e rotolare
giù per la guancia: non era proprio ciò che si
era aspettato, ma forse poteva accontentarsi.
“Non sono
disperato,” mormorò l’ex-angelo. Prese
un grosso respiro e deglutì, cercando di ricacciare dentro
di lui qualcosa che non conosceva, che gli stava spezzando la voce.
Sollevò la testa. “Dean, mi spiace, ma non posso
fare ciò che mi hai chiesto. Ho deciso che
cercherò un modo per riportarti indietro. Se sei ancora
vivo, io ti troverò e ti riporterò da tuo
fratello Sam. Non importa cosa sei diventato, tu non meriti di finire
così.”
“Non penso,
visto che non uscirai vivo da qui,” osservò il Re
con fastidio, distogliendo lo sguardo. “Ho deciso: ti
farò fare la fine che hai fatto fare a Raffaele.”
Sotto lo sguardo
sconvolto di Castiel, Shahat sollevò una mano e
poggiò il pollice sul medio, pronto a schioccare le dita.
Fu in quel preciso
momento che Sam si mise in mezzo.
“DEAN!”
gridò, spalancando la porta della segreta.
“Cas!”
“Dean
è qui,” sogghignò Shahat, le orbite
sanguigne, sollevando la testa e ruotando leggermente il collo nella
sua direzione, “ma non può venire a giocare
adesso.”
Sam
trasalì, ma non disse neanche una parola. Non
esitò neanche un attimo: puntò verso di lui la
pistola e sparò.
Sam aveva mirato alla
spalla destra di Dean; ma, per quanto la sua mira fosse stata perfetta,
il colpo non andò a segno: era come se il proiettile fosse
rimbalzato via ancor prima di toccare il corpo di Dean. Shahat, per
nulla sorpreso, si scostò un po’ di polvere dalla
spalla, quindi prese a muoversi verso di Sam.
Il giovane, senza
battere ciglio, continuò a sparare ripetutamente contro di
lui, svuotandogli addosso l’intero caricatore,
indietreggiando fino a che la sua schiena non sfiorò il muro
umido.
Quando i colpi
terminarono, Sam fece scattare ancora un paio di volte il grilletto.
“Sam!”
urlò Castiel, impotente, dall’altra parte della
stanza.
“Come se
fosse Sam Winchester il problema, vero, Zeke?” disse Shahat
sorridendo. Ormai era di fronte a lui.
“Zeke..?”
ripeté Sam, senza capire.
Shahat gli prese il
mento fra le dita, e poi iniziò a fare una cosa che Sam non
comprese: cominciò a recitare un esorcismo.
“Omnipotentis invoco potestatem
Dei,” ripeté per tre volte, e poi
proseguì “ab orbe terrae, hunc angelum
ob-“ [3]
Shahat si interruppe
di colpo quando Sam, dopo aver fatto scivolare la mano nella sua tasca,
ne aveva estratto una manciata di sale e glielo aveva gettato in faccia.
Non ebbe alcun effetto
su di lui, ma il gesto improvviso di Sam lo fece tirare indietro di un
passo.
“Sei uno
scimmione seccante,” mormorò Shahat, pulendosi la
bocca dal sale col dorso della mano, gli occhi iniettati di sangue.
“Hai finito?”
“Veramente,”
rispose Sam, infilando la mano dietro la schiena,
“…no.”
Fu un secondo: Sam
estrasse la colt, la puntò al petto del corpo di Dean,
all’altezza del cuore, e premette il grilletto.
*
[1] Episodio 5x04.
[2]
(be’er) shaḥat
sta per "fossa della distruzione". Per chi volesse approfondire
l'argomento, quest'informazione l'ho presa da qui:
[3] Omnipotentis Invoco Potestatem
Dei Ab
orbe terrae, hunc angelum obsequentem, Domine expue
– è un esorcismo per
scacciare un angelo.
|
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Capitolo 13 *** I do what I have to do ***
Note:
Non pensavo
che ce l'avrei fatta davvero, ma... Prologo time!
Vorrei dire
che sto piangendo perché arrivare alla scena del prologo mi
ha commossa, ma in realtà sto piangendo per Castiel.
No, scherzo,
in realtà sto piangendo perché l’altro
giorno ho iniziato a scrivere l’epilogo della fanfic.
E, a parte il
fatto che me lo sono spoilerata, ci sono rimasta malissimo…
*
* *
Fu
quando Bobby aveva detto che, forse, Dio aveva tirato fuori Dean
dall’Inferno perché non meritava di
marcire lì.
“Se esiste un
Dio, perché gli dovrebbe fregare qualcosa di uno come
me?” aveva risposto lui, incredulo e irritato. [1]
“Sono fatto
per il 90% da cazzate,” lo sentì dire
Sam un’altra volta; scherzava, ma i suoi occhi erano tristi. “Se togli quelle, che
cosa rimane di me?”
“C’è
sempre qualcosa che mi tormenta, okay? E’ così che
sono fatto. Se succede qualcosa, io mi sento
responsabile…”
“Sono sceso
dalla ruota, e ho iniziato a squartare delle
anime…”
“….le
cose che ho visto, e che ho fatto… non posso descriverle. E
non le posso dimenticare.”
“Tu pensi
davvero che un po’ di comprensione e affetto possano cambiare
qualcosa, Sam? Guarirmi?”
“Io ho un peso
dentro di me, che mi sta distruggendo… Io vorrei tanto non
sentire più nulla.”
Sam conosceva suo fratello meglio di chiunque altro. Conosceva la sua
anima, e tutta la rabbia e l’odio verso sé stesso
che lui nascondeva al suo interno. Non c’era bisogno che Dean
gliene parlasse e, comunque sia, in genere Dean non parlava di queste
cose.
Preferiva seppellirle dentro si sè, sperando che
scomparissero; ma sapevano entrambi che non sarebbe mai accaduto.
Sam non aveva intenzione di uccidere Dean. Era sceso in quel
sotterraneo, con la Colt che gli aveva dato Ariel, per entrare nel
Limbo e sparare al Re che aveva visto nei suoi ricordi.
Quando aveva capito che quel mostro si era infilato nel corpo di suo
fratello, Sam aveva impiegato tutte le sue energie per trovare un modo
di salvarlo.
Aveva iniziato a consumare le pallottole della sua pistola, nel
tentativo di prendere tempo per pensare.
Forse, aveva ragionato, la possessione del Re del Limbo era come una
possessione demoniaca, e Dean era ancora vivo ed era possibile
riportarlo indietro con un esorcismo o un rituale.
Ma l’ultima volta che si erano ritrovati in una situazione
del genere era stata quando Cas venne posseduto dai Leviatani.
Quegli esseri lo istigarono a massacrare decine e decine di
persone, prima che lui riuscisse a scacciarli; ed anche quando uscirono
dal suo corpo, continuarono a seminare morte e terrore per
mesi.
Sam sapeva che se una cosa del genere fosse successa a Dean, lui non se
lo sarebbe mai perdonato. I sensi di colpa lo avrebbero tormentato per
sempre, rendendo la sua vita una lunga agonia.
Per questo motivo, per la salvezza dell’anima di suo
fratello, Sam decise che il Re del Limbo doveva essere fermato lì e adesso.
Sam non aveva intenzione di uccidere Dean. Ma la Colt funzionava solo
se il colpo sparato causava una ferita mortale.
Per cui, quando la impugnò, Sam mirò al cuore. E
anche quando, un giorno, Sam seppe di aver avuto un angelo dentro di
lui, non riuscì a capire se in quel frangente era stato lui
a premere il grilletto oppure no.
Quando Sam estrasse la Colt, Shahat fu colto di sorpresa.
Sapeva della pistola, perché i ricordi di Dean erano i suoi,
ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsela davanti in quel momento.
Era veloce, certo, ma era troppo vicino a Sam quando lui aveva premuto
il grilletto, per cui non ebbe il tempo di scansarsi, o trasportarsi
via usando i suoi poteri.
La pallottola gli si conficcò nel petto, penetrando in
profondità, e il corpo di Dean reagì come se
fosse stato sottoposto ad un elettroshock.
Durò un istante, un interminabile istante – e
subito dopo, Dean si accasciò a terra, mentre una macchia di
sangue rosso vivo cominciò ad allargarsi sulla maglietta.
Sam abbassò la Colt, ansimando. Fissò il corpo
sul pavimento, come in un sogno, e si riscosse dallo shock solo quando
si rese conto che lo aveva fatto davvero, che Dean era davvero
lì, e che stava agonizzando.
Lo vide schiudere le labbra, lo sentì singhiozzare e
soffocare. I suoi occhi erano tornati normali, ma erano vitrei e
spaventati. Sam si precipitò al suo fianco; la sua
disperazione nel vederlo ridotto in quello stato era tale che quasi non
si accorse della presenza di Castiel, che, in piedi a pochi passi lui,
era pallido come un cadavere.
“S-Sam…my…”
balbettò Dean, quando il fratello gli fu accanto, stendendo
una mano verso di lui.
“Dean, sono qui,” gli disse rapidamente lui.
“Sono io. Sono qui, è tutto finito. Conosco un
angelo che può guarirti, non ti preoccupare. Cerca di
resistere. Starai bene. Andrà tutto…”
“No, Sammy, io…” sussurrò
Dean, piano. Poi non riuscì più a trattenersi e
sogghignò, reprimendo a malapena una risatina.
“…oh, io credo di essere una delle famose cinque
cose che quella pistola non può uccidere.”
La mano di Dean si strinse sulla gola di Sam, affondando le dita nella
pelle morbida del suo collo. Shahat scoppiò in una grossa
risata, mentre i suoi occhi tornavano a iniettarsi di sangue.
“Ariel…maledizione,”
fu l’unica cosa che riuscì a pensare Sam, mentre
il suo respiro veniva spezzato. Portò le mani su quella del
fratello, cercando di liberarsi dalla sua stretta, forte come
l’acciaio.
“Avresti dovuto vedere la tua espressione, Sammy, era
impagabile,” rise intanto Shahat. “Era davvero
stupenda.” Si rialzò, e solo a quel punto decise
di spostare la mano dal collo al petto di Sam; aprì il
palmo, e una forza sovrumana scagliò il cacciatore
all’indietro.
Sam a finì contro quella che un tempo era la porta del
Limbo: l’impatto fu così forte che il legno
consunto si spaccò, e Sam ricadde nel corridoio
dall’altra parte.
A quel punto, il Re cercò con lo sguardo Castiel che, quando
lo aveva visto alzarsi, era corso a recuperare la sua arma. Senza
troppi complimenti si avventò su di lui, rompendo la sua
difesa. Castiel cercò di reagire, ma il Re gli
agguantò il polso destro, storcendoglielo fino a strappargli
un gemito di dolore; lo finì con un calcio al ventre che lo
scaraventò sul tavolo degli attrezzi della segreta. Alcune
ampolle si spaccarono sotto la sua schiena e i vetri lo ferirono
ulteriormente alle mani e alla testa, mentre gli strumenti arrugginiti
che vi erano sopra resero l’impatto ancora più
doloroso.
“Ehi, non so se sei morto o meno,” gli disse Shahat
da lontano, vedendo che non si muoveva più, “ma in
ogni caso non resta fermo lì. Torno subito.”
Nel voltargli le spalle, si accorse che il pugnale di Castiel era
caduto proprio lì accanto: lo spezzò in due sotto
i piedi senza alcuna fatica, e poi si diresse da Sam.
Lo ritrovò nel corridoio illuminato, ancora a terra fra i
pezzi di legno spaccato: era ferito in più punti, e lottava
per restare cosciente. Gli sembrò strano: era sicuro di non
averlo colpito così forte. Ma lasciò correre,
perché probabilmente non riusciva ancora a dosare
bene la sua forza nel corpo del suo tramite.
Prima che Sam potesse avvertire la sua presenza, Shahat era
già sopra di lui. Posizionò le gambe ai lati dei
suoi fianchi, quasi stendendoglisi addosso, e gli mise rudemente una
mano sulla faccia. “Potestas
Inferna, me confirma![2]”
gridò.
Ripeté questa frase una seconda volta, ed infine una terza.
Non accadde nulla. Non accadde assolutamente nulla e anzi, quando
Shahat scoprì il volto di Sam, contorto in una smorfia
sofferente, si accorse che il giovane era svenuto.
Ritrasse la mano con lentezza, stupito. Impiegò alcuni
secondi per rendersi conto della situazione.
“Ezekiel non è più nel tuo
corpo,” mormorò. “Ma allora
dove…?”
Shahat si allontanò da Sam, e in quello stesso momento un
fulmine di luce, precipitato dall’alto, lo colpì
al petto, laddove era stato ferito dalla Colt. Usando il foro del
proiettile come punto d’accesso, la luce penetrò
per intero nel suo corpo e lo pervase.
Scorse nelle vene di Dean, raggiungendo ogni singolo capillare, e
risalì lungo il collo, la bocca e gli occhi, mentre Shahat
storceva il suo viso in un’espressione terrificata.
Ci fu un lampo, uno scoppio di luce bianca e purissima; quando si
dissolse, Dean cadde ginocchioni a terra, reggendosi la gola con una
mano e il petto con l’altra, e respirando l'aria a pieni
polmoni come se fosse appena riemerso dalle profondità
dell’oceano.
Una nebbiolina bianca uscì dalla sua bocca e
rifluì silenziosa dentro quella di Sam.
Le lampade al neon appese al soffitto tremarono per qualche secondo.
Dean continuò a respirare.
Era senza parole.
Era tornato. Non sapeva come, ma era tornato.
Anche quando il battito del cuore si regolarizzò, Dean
restò immobile, inspirando ed espirando lentamente, a bocca
aperta.
Non riusciva a credere che fosse tutto finito, e che lui fosse illeso.
E calmo, così calmo.
“Come faccio
ad essere qui?” si chiese.
Lasciò ricadere le mani lungo i fianchi. Prese un ultimo,
ampio respiro, e poi decise di concentrarsi sulla situazione.
Notò che Sam si era ripreso. Si era rimesso in piedi e si
era posizionato di fronte a lui, silenzioso. Dal suo comportamento,
Dean comprese che in quel momento era Ezekiel a scrutarlo
dall’alto.
Le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso, senza che lui potesse
impedirlo. “Che c’è, Zeke?”
gli chiese. “Vuoi forse un bacio di ringraziamento?”
Dean era felice, ma quella sensazione era qualcosa che non gli
apparteneva davvero. Una parte di lui stava gridando, ma lui la
ignorò e quella scomparve, inghiottita dalla luce che
risplendeva dentro di lui.
“Cosa diavolo
mi succede?”
“Non starai bene,” dichiarò Ezekiel,
serio. “Ho guarito la ferita della Colt, ma sei stato
corrotto troppo in profondità da quell'essere, e io non sono
abbastanza forte per sistemarti. Quando l’effetto del
passaggio della mia Grazia sarà svanito, dovrai cercare di
sopravvivere da solo.”
Dean inarcò le sopracciglia. Impiegò del tempo
prima di comprendere il significato delle parole pronunciate
dall'angelo.
Quindi, la sensazione di pace forzata che stava provando era dovuta ad
Ezekiel.
Non riusciva a combatterla.
“Morfina
angelica,” la ribattezzò, con una
punta di amarezza. “Non
è poi così male...”
Si passò una mano fra i capelli, sospirando.
“Potevi farlo prima,” disse, “questo
giochetto.”
“Il mio intervento non era previsto,”
spiegò Ezekiel. “Eravamo sicuri che la Colt
avrebbe funzionato.”
“Quindi… è davvero andato?”
chiese Dean. “Quel bastardo è morto?”
“No.” Ezekiel strinse le labbra. “Ho solo
esorcizzato la sua essenza.
Era tutto ciò che potevo fare. Non avendo più un
tramite, suppongo sia ritornato nel suo mondo. Ma, Dean, una parte di
lui si era fusa con la tua anima, e non mi è stato possibile
eliminarla.”
“Troveremo il modo di buttare fuori a calci anche
quella,” replicò Dean con noncuranza.
“Sam come sta?”
“Sono stato costretto ad allontanarmi dal suo corpo per
cogliere quell’abominio di sorpresa, ma starà
bene. Anche se… tutto questo mi ha indebolito molto. Non
credo di poter fare di nuovo qualcosa del genere.”
Dean aggrottò la fronte. “Allora và a
dormire... o a fare quel che fate voi al posto di dormire. Al resto ci
pensiamo noi.”
Decise di essersi ripreso a sufficienza per riuscire a
rimettersi in piedi senza che le gambe gli cedessero. Ma, non
appena lo fece, una voce profonda alle sue spalle lo fece trasalire.
“Tu non sei Sam,” aveva detto. Era la voce di
Castiel. Dean si girò e lo vide, appoggiato ai resti della
porta: i suoi vestiti erano ridotti male, e c’era del sangue
sul suo viso e sulle sue mani; con una di esse, si stringeva
un fianco. La sua espressione era accigliata e confusa, ma quando
incrociò gli occhi di Dean, il suo atteggiamento
cambiò.
Il cacciatore se ne accorse, chiunque se ne sarebbe accorto. Era come
se Castiel lo stesse guardando per la prima volta, come se Dean fosse
una sorta di miracolo. I suoi occhi blu rilucevano di sollievo e
adorazione, e Dean non riuscì a distogliere lo sguardo;
erano così intensi che il cacciatore si dimenticò
della presenza di Ezekiel, del suo stato di salute, e del resto
dell’universo. Restò lì in piedi, in
attesa di qualcosa, ma non sapeva bene neanche lui cosa.
Castiel schiuse le labbra screpolate e per un secondo sembrò
non trovare le parole. Alla fine, fece un cenno composto con la testa e
disse, semplicemente: “Ciao, Dean.”
Gli sorrise, e fu in quel momento che Dean capì che era
questo ciò che stava aspettando; fu in quel momento che, per
la prima volta dopo tanto tempo, si sentì come se ogni cosa
fosse tornata al suo posto; come se finalmente fosse tornato a casa.
Castiel si staccò dalla porta e lo raggiunse, zoppicando
leggermente. Quando gli fu a pochi centimetri, mise su un cipiglio
severo, e Dean lo guardò, confuso.
“Non farlo mai più,” lo
ammonì l’ex-angelo con voce grave, in una sorta di
goffa imitazione di quanto lui stesso gli aveva detto, tempo addietro.
Dean quasi scoppiò a ridere. Voleva abbracciarlo, attirarlo
a sé, ma non sapeva fino a che punto lui era ferito; si
concesse di far scorrere una mano lungo la sua spalla, soffermandosi
poi a stringergli piano il braccio.
“Potrei promettertelo,” osservò con un
lieve sorriso. Forse era l’effetto della Grazia; non lo
sapeva. Sapeva solo che non gli importava se Castiel era sporco, o se
sanguinava, o aveva i vestiti stracciati – era vivo,
erano vivi; sarebbe andato tutto bene. Sarebbero stati bene, insieme,
perché Dean non si sarebbe più separato da lui.
Continuarono a guardarsi, in silenzio, finché Ezekiel,
spazientito, non mormorò un ben udibile
“Voi,” richiamandoli alla realtà.
Castiel tornò a puntare la sua attenzione su di lui, e di
nuovo la sua fronte si corrugò.
“E’ tutto a posto, Cas,” si
affrettò a rassicurarlo Dean. “Lui è
Zek- voglio dire, Ezekiel… Ha rispedito il
bastardo nella fogna. Sta aiutando Sam a guarire dalle Prove.”
“Lo so. Vi ho sentiti,” ammise Castiel. Scosse la
testa: “Avresti dovuto dirmelo subito,”
osservò.
Dean non gli rispose, ma concordava con lui.
“Ezekiel,”ripeté l'ex-angelo,
andando verso di lui. “Credo di doverti ringraziare per aver
salvato Dean. E Sam,” gli disse, con voce calma e piena di
gratitudine, quando gli fu davanti.
Ezekiel fece scattare la mano destra sulla fronte di Castiel,
così velocemente che quando lui comprese le sue intenzioni,
era già troppo tardi.
La Grazia dell’angelo iniziò a inondare il suo
palmo e Castiel sentì la fronte andare a fuoco e il calore
bruciante pervadere il suo corpo, ma Dean lo spinse indietro e si mise
davanti a lui, praticamente prendendo il suo posto.
Ezekiel fu costretto a fermarsi.
“Ohi, ohi, calma, calma, Zeke!”esclamò
il cacciatore, inorridito. “Questo… questo
è Castiel, ti ricordi? Tuo fratello, quello che ha garantito
per te. E’ dei nostri. Non fa niente se ti ha scoperto, va
bene?” Tremava leggermente. Era scattato per puro istinto, ma
se avesse esitato un solo secondo… un brivido freddo gli
risalì lungo la schiena. “Ora... vai pure a
riposare, come abbiamo deciso, e lascia il corpo a Sam,
d’accordo?” Le parole di Dean era informali, ma il
suo tono era di comando.
Ezekiel non lo degnò neanche di uno
sguardo: afferrò la sua spalla e lo
buttò di lato, con tale forza da fargli perdere
l’equilibrio.
Dean rovinò a terra. L’angelo puntò una
mano nella sua direzione, e lui si sentì come se qualcuno
gli avesse annodato una corda al collo. Annaspò, rovesciando
la testa, cercando di respirare.
“Dean!” esclamò Castiel.
“Lo sto facendo per il suo bene,” gli
spiegò Ezekiel.
“Cosa vuol dire?”
“Sei ricercato,” rispose l’angelo.
Sollevò appena il mento. “Molti dei nostri
fratelli stanno venendo per te. Una di loro è già
qui: è molto potente, e non avrà pace
finché tu continuerai a respirare. Non ti lascerà
andare – non ci
lascerà andare, Castiel.”
Fece una pausa, riempiendola con un sospiro pesante. Dean era ancora
inchiodato a terra, fra i trucioli di legno, ma Castiel si accorse che,
lentamente, stava stendendo il braccio, allungandosi verso qualcosa a
poca distanza da lui. Fece finta di nulla.
“Quell’angelo mi ha chiesto di ucciderti, come
pagamento per aver aiutato Sam,” continuò Ezekiel,
avanzando verso Castiel, mentre lui indietreggiava.
“Ma io non ho intenzione di farlo per lei. Ho intenzione di
farlo per te.
Mi capisci, vero? Castiel... un tempo, tu eri una leggenda.
L’eco della tua Grazia faceva risplendere l’intero
Paradiso. Ed ora guardati, guarda cosa sei diventato.
Così… fragile. Umano. E corrotto, corrotto quasi
quanto Dean. Se mi lasciassi agire… potrei salvarti da tutto
questo. Potrei salvare tutti noi.”
Castiel urtò la schiena contro la parete. La sua mano
esitò sull’intonaco chiaro. In altre circostanze,
avrebbe approfittato del monologo di Ezekiel per tracciare con il suo
sangue un sigillo per scacciarlo… ma se l’avesse
fatto, avrebbe indebolito ancora di piu’ l'angelo
già provato, mettendo a rischio la vita di Sam. Strinse il
pugno, scartando quell'idea. “Tu menti,”
replicò. “Ezekiel... tu sei solo spaventato. Hai
paura, perché se ti schierassi dalla mia parte, finiresti
per dover combattere contro i nostri fratelli.”
L'angelo socchiuse gli occhi vacui. “Sono debole,
Castiel,” mormorò, a mò di
scusa. “E ferito. Non sopravviverei ad uno scontro,
e così il mio tramite. Sto solo facendo ciò che
devo fare per proteggere me stesso e queste persone. Tu rappresenti un
pericolo per la loro sicurezza, ne sono sempre stato consapevole.
E’ per questo motivo che non avresti più dovuto
avvicinarti a loro,” disse.
E Castiel non poté dargli torto.
“E-Ehi… Zeke!” Il grido soffocato di
Dean, dall’altra parte della stanza, attirò
l’attenzione di entrambi. “Dici a Sam...che mi
spiace,” ansimò, sorridendo, il cacciatore. Aveva
la Colt fra le mani, e la stava puntando contro Ezekiel.
“No!” esclamò lui, ma Dean aveva
già sparato.
Il proiettile consacrato ferì il polpaccio
dell’angelo, bruciandogli i muscoli e costringendolo sulle
ginocchia.
La forza sul collo di Dean svanì. “Per te invece
non mi spiace, Zeke,” continuò il giovane,
alzandosi rapido, strofinandosi la gola. “Tu sei un cazzone,
esattamente come tutti gli altri.”
L'angelo portò il palmo della mano sulla ferita, iniziando a
guarirla. Dean sapeva di aver guadagnato solo pochi minuti, per cui
raggiunse uno sconvolto Castiel, e senza dire una parola gli
afferrò un polso e lo trascinò via da
lì.
Ezekiel era proprio davanti alle scale che risalivano al piano terra,
per cui Dean ripiegò verso la segreta e prese il corridoio
interno che aveva visto con Shahat poco prima. Non sapeva dove li
avrebbe condotti, ma era la loro unica speranza.
Strinse la presa su Castiel. Avrebbe risolto tutto. Avrebbe risolto
tutto, ne era sicuro.
Il corridoio non era molto lungo. Girava per un angolo, e terminava su
un portoncino metallico, non molto ampio. Robusto. Chiuso.
Dean lasciò Castiel ed iniziò ad esaminarsi le
tasche. Ne estrasse un coltellino dalla punta sottile e
cominciò a lavorare sulla serratura.
“Dean,” lo chiamò l'ex-angelo, piano.
Il cacciatore si interruppe, ricordandosi in quel momento di avere con
sé anche un’altra cosa – una minuscola
fiaschetta di olio benedetto che si era portato nella giacca per usarlo
in caso di emergenza. Il loro non era un caso di
emergenza… era un caso disperato, ma sarebbe andata bene lo
stesso.
La lanciò a Castiel, che la prese al volo, e poi
tornò sulla serratura.
“Cas, è quel vostro olio, usalo
per—”
“Dean…”
“STA’ ZITTO, CAS, HO APPENA SPARATO A MIO FRATELLO
PER TE!” urlò lui. Le sue mani tremarono per un
attimo. Prese un lungo respiro per calmarsi, e tornò al suo
lavoro. “Quindi stà zitto,”
sibilò.
“Non dovevi farlo,” insistette Castiel, stringendo
le dita sulla fiaschetta. “E’ nel corpo di Sam.
Persino io capisco che è gravemente ferito…. Sono
feriti entrambi. Hai detto che è nel corpo di Sam
perché lo sta guarendo.”
“Sì, doveva fare solo questo, rimetterlo in sesto.
Non fare di
testa sua, come fate sempre voi tutti maledetti idioti!”
Il coltellino di Dean fece scattare un meccanismo nella serratura del
portoncino. Dean si allontanò di un passo, gli diede un
calcio, e quello si aprì.
La porta dava sul garage. L’odore di chiuso e di benzina si
appiccicò addosso a Dean, che esaminò il posto:
era troppo grande per appartenere ad una sola abitazione, ma non era
quello il punto. C’erano due auto, e persino una
motocicletta; le chiavi erano appese su una mensola a pochi metri da
loro, e ciò significava che Castiel era salvo.
“Ora và,” gli disse senza guardarlo,
“faccio ragionare io quel coglione di tuo
fratello.”
Gli prese di mano la fiaschetta e raggiunse l’angolo del
corridoio di pietra. L’olio santo che aveva a disposizione
non era sufficiente a creare un cerchio, perché era stato
pensato per friggere qualche angelo al volo, per cui Dean
svitò il tappo e lo versò a terra, creando una
linea dritta all’ingresso del corridoio, in modo da bloccare
il passaggio.
Contava sul fatto che Ezekiel sarebbe stato troppo debole per
superarlo. Accese il suo zippo, lo lanciò a terra e diede
fuoco all’olio.
“Ti ho detto di andartene,” sibilò poi a
Castiel, che era rimasto fermo dietro di lui.
“Non voglio,” fu la risposta, e Dean
impallidì. “Non posso.”
“Che significa?”
Dean sentiva un peso all'altezza del petto.
“Ezekiel ha ragione,” ammise Castiel.“Se
fuggo, i miei fratelli vi tortureranno per farvi rivelare la mia
posizione. O vi useranno come esca.”
“Prima devono prenderci,” osservò Dean.
“Non è solo questo. E se si ripresentasse una
situazione del genere?”
“Cas, non abbiamo il tempo di—”
“Dean, io non posso rischiare di mettervi in pericolo di
nuovo! Non lo vedi cosa ti ho fatto?”
“Io sto benissimo, Cas!”
Castiel non replicò. Distolse lo sguardo, e lo
abbassò sul pavimento sconnesso. Lo riportò su
Dean solo perché lui gli afferrò i lati della
giacca, costringendolo a guardarlo in faccia, ma anche allora la sua
risposta non cambiò.
“Ridotto in questo stato, io sono solo un pericolo per
voi,” disse, ostinato.
“Non me ne frega un cazzo di cosa sei, io non ti lascio
morire,” ringhiò Dean, la
voce spaventosamente bassa.
“Ascoltami, Dean. Io voglio vivere, ma da un punto di vista
razionale—”
Le parole di Castiel gli morirono in gola quando Dean lo
baciò. Fu un contatto così improvviso che,
all’inizio, Castiel non capì cosa stesse
succedendo. Sentì solo il calore di Dean, le sue labbra
morbide. Durò il tempo di un respiro, poi Dean
tirò indietro.
“Cas non c’è… non
c’è proprio nulla di razionale in questo,
d’accordo?”mormorò. Lasciò
andare la sua giacca, e si morse le labbra. “Ora per favore,”
scandì, portando le mani sulle sue spalle, dandogli una
spinta verso l'uscita. “Ti prego, me la vedo io con
Ezekiel.”
Se Dean aveva cercato di convincere Castiel a scappare, aveva scelto il
peggior metodo possibile.
Castiel non voleva di lasciare Dean solo in mezzo alla battaglia; e
dopo questo, era certo che non l’avrebbe fatto.
Ma la voce di Dean era troppo spezzata perché lui potesse
protestare. Per cui si sottrasse alle sue mani, e fece per seguire il
suo ordine.
Ma era troppo tardi, perché Ezekiel aveva già
raggiunto la linea di fuoco sacro.
“Stando ai pensieri di Sam, hai finto per anni che
l'attrazione che provi per Castiel fosse un surrogato
dell’affetto che provi per i tuoi familiari,”
proferì l’angelo, atono. “E questo
perché sapevi bene che si trattava di un impulso diverso, sbagliato che, se
posso darti la mia opinione, aumenterà solo il tuo degrado
fisico e spirituale.”
“Certo, tutto quello che vuoi Freud, ma per ora stai
tranquillo lì,” sbottò Dean, il viso
leggermente arrossato.
Ezekiel sospirò, sfinito. Sollevò una mano
davanti a sé e lentamente la abbassò, spegnendo
le fiamme.
“Beh,” osservò il cacciatore,
preso in contropiede,“io ci ho provato.”
“Per favore, Dean. Non costringermi a farti del
male.”
“Mi dispiace, Zeke, ma dovrai farlo, perché io non
ho intenzione di—”
Ezekiel agitò una mano, e Dean si ritrovò di
nuovo a terra. Urtò la fronte contro le pietre a terra,
graffiandosi. Si rimise in piedi, recuperando dall'interno della giacca
l'unica arma che gli era rimasta, il coltello antidemone. Ma non aveva
il coraggio di colpire, di nuovo, Sam, e il sangue che gli scendeva dalla fronte
gli appannava la vista.
Ezekiel lo spinse contro il muro di pietra viva con un altro gesto, e
Dean imprecò.
L’angelorimase a fissarlo, meditando sul da farsi, quando si
sentì chiamare da Castiel.
“Fratello, smettila,” gli disse. “Lui non
c’entra. E’ me che vuoi.”
Ezekiel strinse gli occhi. “E’ un altro
trucco?” chiese.
“No,” disse Castiel. “No, non lo
è.” Indietreggiò di qualche passo, e si
lasciò cadere a terra in ginocchio. “Sono qui. Non
fuggirò.”
*
*
*
*
*
*
[1]
Questa
e quelle che seguono sono citazioni da vari episodi. (Mi dimentico
sempre di scriverlo, ma anche nei capitoli precedenti ho citato un
sacco di frasi dalla serie tv. In effetti lo faccio ogni volta che ne
ho l’opportunità.)
[2]
La
formula usata da Alistair per esorcizzare Castiel
[*] Riguardo Ezekiel: la
sua scena con Castiel è un richiamo all'episodio 9x06; il
suo giudizio su Dean è dovuto al fatto che, nella Bibbia,
Ezechiele (ovviamente il profeta!) parla di Sodoma e spiega che Dio
condanna tutti gli atti peccaminosi ivi commessi (fra cui in generale
si tende a leggere soprattutto quello dell'omosessualità).
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Capitolo 14 *** Tutti odiano Ezekiel ***
Note sconsolate:
Ormai non ci provo neanche più con i titoli.
Non
amo l’episodio 9x09, ma ho finito per riprendere una sua
scena. *dies*
Questo
avrebbe dovuto essere il penultimo capitolo; in realtà,
credo che proseguirò ancora un po’,
perché sono logorroica. (non so se è un bene o un
male... quello che so è che mi piacerebbe saper scrivere
meglio.)
*
* *
Quando le dita di Ezekiel
sfiorarono la fronte di Dean, i suoi muscoli si paralizzarono.
Impotente, il giovane ricadde sul pavimento di pietra.
L’angelo
lo guardò lottare per riacquistare il controllo del suo
corpo: lo sforzo che Dean stava facendo era così grande che,
se avesse continuato così, avrebbe finito per spezzarsi le
ossa. “Tutto questo
è per Castiel?” si chiese, stupito.
“Dean,” disse poi, in tono grave, “non ti
sto chiedendo di fidarti di me, ma di te stesso. Se vuoi uscire vivo da
questo luogo insieme a Sam, devi lasciarmi compiere la tua
volontà.”
Incapace di
parlare, il cacciatore riuscì appena a muovere le labbra, su
cui si formarono delle imprecazioni silenziose. Invece di rinunciare,
prese a combattere più forza contro l’influenza
dell’angelo.
L’intera essenza di Dean era un misto di rabbia, dolore e
frustrazione. Ezekiel strinse gli occhi: aveva creduto che le sue
parole lo avrebbero calmato e spinto a ragionare, ma solo ora capiva
che si era sbagliato. Dean lo detestava, e – stando a quanto
la mente di Sam gli suggeriva – avrebbe fatto di tutto per
fargliela pagare.
L'angelo
stirò le labbra, contrariato: non gliel’avrebbe
permesso. Ma, per il momento, lo lasciò perdere e si diresse
verso Castiel.
Lui era
stato di parola: inginocchiato a terra così come Ezekiel lo
aveva lasciato, non si era mosso di un millimetro.
Castiel
sapeva che, se fosse scappato, i suoi fratelli si sarebbero vendicati
su Sam e Dean, ed era fermamente deciso ad evitarlo. D’altra
parte, l’umano
Castiel era un pericolo per l’incolumità dei
Winchester: aveva già causato loro
un’immensità di problemi, e non voleva farli
rischiare oltre.
“Devo
proteggerli,” aveva continuato a ripetersi.
Ma se la
decisione che aveva preso era davvero la più giusta, che
cos’era quel nodo alla gola?
Castiel
deglutì. “…so che vuoi salvare questi
esseri umani,” sentì ribadire da Ezekiel, ormai a
pochi passi da lui. “Questo è l’unico
modo per farlo…”
L’ex-angelo
annuì con aria assente. Sentiva qualcosa dibattersi dentro
di lui, nel vuoto che un tempo era riempito dalla sua Grazia. Ora quel
luogo era un groviglio confuso di pensieri ed emozioni che non era mai
riuscito a comprendere fino in fondo.
Ezekiel
afferrò un lembo della giacca di Castiel con una mano,
mentre con l’altra sollevò il coltello di Ruby.
Esitò, come se non si sentisse a suo agio
nell’usare quell’arma; ma guarire la ferita della
Colt lo aveva indebolito molto, e ciò gli impediva di
utilizzare le sue abilità per uccidere.
Probabilmente,
Dean aveva calcolato anche questo. Castiel lo maledisse,
perché farsi vaporizzare gli organi sarebbe stata una morte
molto meno dolorosa di questa. Chiuse gli occhi, cercando di
calmarsi, ma il cuore gli martellava nel petto così forte da
fargli male. La bocca gli si asciugò e i suoi pugni,
tremanti, si serrarono. La sensazione che stava provando in quel
momento era qualcosa di estremamente semplice, primordiale: era paura,
e non era per niente facile da controllare. L’unica cosa che
Castiel poteva fare, in quegli ultimi secondi, era cercare di
ingannarla: poteva pretendere di essere ancora nel Limbo e che, una
volta ritornato in vita, si sarebbe ritrovato accanto a Dean. Non ci
sarebbero stati più avversari o pericoli da affrontare. Ci
sarebbe stato solo un lago tranquillo, un vento piacevole e una luce
calda, come in quei sogni sereni in cui Dean immaginava di pescare.
Castiel avrebbe infilato le mani nelle tasche del suo trench e sarebbe
rimasto in silenzio vicino a lui, guardandolo sorridere.
Quando
Ezekiel strinse la presa sui suoi vestiti, Castiel cercò di
aggrapparsi a quella visione. E, anche quando quell’immagine
svanì, l’ex-angelo si rese conto che poteva
lasciarsi andare, se era per il bene di Dean.
Prese un
ultimo respiro, sentendosi finalmente pronto.
Per questo
motivo, quando Ezekiel abbassò il pugnale e Castiel
scattò con i resti del suo, intercettando la traiettoria del
suo attacco e quasi tranciandogli il polso di netto, il primo a
sorprendersi fu proprio lui.
Ezekiel
finì per colpire Castiel di striscio, alla spalla sinistra.
Il sangue di Sam schizzò dappertutto ma l’angelo,
dopo il primo istante di sorpresa, sfruttò la presa che
ancora aveva su Castiel per sollevarlo da terra e tenerlo fermo mentre
gli tirava un calcio allo stomaco.
Lui
rovinò a terra dolorante. Approfittò del tempo
che Ezekiel impiegò per guarire il polso per rialzarsi. Si
strinse la spalla colpita e sputò a terra il sangue che gli
inzuppava la bocca. Non sapeva cosa fare; sapeva solo che, nonostante
tutte le sue logiche, nonostante tutte le sue convinzioni, non voleva
morire. Incrociò lo sguardo di Dean per un solo istante: era
disperato quasi quanto il suo.
Ezekiel gli
fu addosso prima che potesse pensare ad un modo per uscire da quella
situazione; lo sbatté contro uno dei pilastri del garage,
così forte che il calcestruzzo si crepò
profondamente. A giudicare dalla fitta di dolore che lo
assalì, Castiel fu sicuro di essersi rotto almeno un paio di
costole. Ma ciò era irrilevante, perché Ezekiel
aveva chiuso le dita intorno al suo collo e aveva iniziato a
strangolarlo.
L’ex-angelo
gli strinse le mani intorno al braccio, cercando di liberarsi, ma
sapevano entrambi che si trattava di un tentativo inutile.
“P-Perc..c-ché?”
sibilò allora, gli occhi ricolmi di lacrime.
Ezekiel
lesse nel suo pensiero. “Perché non riesci ad
accettare l’idea della tua morte? Suppongo che sia
ciò che gli esseri umani definiscono istinto di
conservazione,” spiegò con calma. “Non
puoi far nulla per salvarti. Ma, se ti è di
consolazione,” proseguì in tono più
basso, “la morte che darò a Dean Winchester
sarà molto più rapida della tua.”
Incredulo,
senza piu’ aria, Castiel ripeté a fior di labbra
il nome di Dean.
Ezekiel lo
avrebbe ucciso. Lo avrebbe ucciso mentre era nel corpo di Sam, e lui
non avrebbe potuto fare nulla per impedirglielo.
“Non puoi
permetterlo,” pensò, mentre la sua
visione si annebbiava. “Padre....
Padre, ti prego,” si ritrovò a
supplicare. Le lacrime scivolarono lungo la sua guancia, si mescolarono
al sangue che gli bagnava il viso e gocciolarono a terra.
Non
arrivò nessun padre. Non arrivò nessun aiuto, ed
Ezekiel iniziò a stringere più forte la gola di
Castiel, che di colpo sentì montare l’ira dentro
di sé.
“Dean ha ragione, ha sempre avuto
ragione. Padre, a te non importa nulla di noi. Ma io non posso
permetterlo.” Castiel stese il braccio verso
Ezekiel, che aggrottò la fronte quando
percepì la presenza di una forza invisibile che cercava di
respingerlo.
“Che
cosa stai cercando di fare?” domandò, opponendo
resistenza. Non era neanche sicuro che Castiel fosse in sé.
“C'é… c’è ancora
della Grazia dentro di te?”
“Non posso,”
continuava a ripetere l’altro nella sua
mente. “Non…
POSSO!” Poggiò il palmo sul petto di
Sam e lo scagliò via, mandandolo a sbattere contro un SUV
scuro parcheggiato a pochi metri da loro, così forte da far
squarciare una portiera.
Ezekiel non
si rialzò.
Castiel si
portò le mani al collo e tossì altro sangue. Si
sentiva come se il suo corpo fosse stato fatto a pezzi. I polmoni
bruciavano ad ogni respiro ed avvertiva delle fitte lancinanti
all’altezza del petto. Il suo tramite…no, il suo corpo non avrebbe
resistito ancora per molto. Non aveva tempo per cercare di capire cosa
era successo. A questo punto, non c’era più
tempo per pensare: se voleva aiutare i Winchester, doveva agire in
fretta.
Con uno
sforzo immenso, si costrinse a camminare. Raccolse il suo pugnale spezzato e si trascinò verso il corpo di Sam.
“C-Cas,
no,” sentì pregare con voce flebile Dean che, a
poca distanza, si stava riprendendo. “Non farlo…
non farlo, Cas!”
Lui lo
ignorò. Senza curarsi di sopprimere un gemito di dolore, si
lasciò cadere in ginocchio davanti a Sam. Ansimando, lo
afferrò per i capelli e lo costrinse a sollevare la testa.
Ezekiel,
ancora cosciente, sorrise debolmente: “Hai davvero intenzione
di trapassare il suo cuore davanti a Dean?”
Castiel non
aveva più la forza di parlare. La presa sulla sua arma
tremava. La rese più salda possibile, e senza ulteriori
esitazioni recise la giugulare di Sam con un colpo secco.
Sotto lo
sguardo terrorizzato di Dean, un velo argenteo fuoriuscì
dalla gola di suo fratello e si insinuò nella bocca di
Castiel, che lo inghiottì. Quando il processo fu completato,
il suo corpo venne scosso da brividi e iniziò a risplendere.
Dean aveva già assistito a quella scena: era la stessa cosa
che era accaduta ad Anna quando aveva recuperato la sua Grazia.
“Dean,
chiudi gli occhi!” ordinò Castiel.
“Chiudi gli occhi ORA!”
Dean
serrò le palpebre e si voltò dalla parte opposta,
ma l’esplosione di luce che inondò la stanza lo
colpì ugualmente in pieno. Un fischio pauroso
risuonò nell’aria e gli perforò i
timpani, mentre la Grazia lo travolse come un'onda di marea, fece
tremare le pareti e saltare tutti i vetri.
Quando
cessò, nell'aria riecheggiava il suono degli allarmi delle
automobili parcheggiate nel garage, scattati tutti contemporaneamente.
Castiel era
ancora inginocchiato a terra. Il suo respiro si era fermato, e non
provava più alcun dolore. Sollevò una mano, e
gli allarmi si spensero.
Di fronte a
lui, il sangue sgorgava a fiotti dalla gola di Sam che, agonizzante, lo
fissava con occhi spenti. Posò il palmo
aperto sulla sua ferita: impiegò molti più
secondi del normale, ma alla fine riuscì a guarirla. Subito
dopo, fece scivolare la mano sul suo petto: “Addio,
Ezekiel,” disse. Cominciò a fare pressione sul
cuore del cacciatore, spingendo il palmo all’interno del suo
corpo, facendolo penetrare in profondità. Sam
iniziò ad urlare, e la sua schiena si inarcò
terribilmente. Castiel frugò all’interno della sua
anima, finché non trovò ciò che
cercava; afferrò l'essenza di Ezekiel e la
trascinò fuori, mentre le urla di Sam si intensificavano.
Non appena Castiel la riportò alla luce, quella
si ridusse in polvere evanescente e si dissolse nell’aria.
Sam smise
di contorcersi e si accasciò contro la lamiera.
“Sam…”
mormorò Dean. Terminato l’effetto del potere di
Ezekiel, era riuscito a raggiungerli. “Sammy!”
Castiel si
rialzò e si allontanò di un passo per lasciargli
spazio.
Dean si
abbassò accanto al fratello e verificò il suo
battito.
“Sta
bene,” lo rassicurò Castiel, alle sue spalle.
“Ho guarito le sue ferite. E’ molto provato, ma
posso aiutarlo a riprendersi.”
Dean
circondò le spalle di Sam con le braccia per evitare che
crollasse a terra. “Perché sei di nuovo un
angelo,” constatò, con un tono di voce che Castiel
non riuscì ad interpretare.
Sospirò
e gli diede a sua volta le spalle. “E’
così,” si limitò a rispondere.
“Ti
avevo detto di andare via. Saresti dovuto andare via.”
“Possiamo
andare via insieme adesso.”
Castiel
avvertì Dean rialzarsi e muoversi verso di lui; le dita del
cacciatore sfiorarono le sue.
“Cas…”
iniziò il giovane, ma non terminò mai la frase,
perché venne tirato indietro e costretto al silenzio.
Allarmato,
Castiel sbarrò gli occhi, scoprendo di avere un pugnale
angelico a pochi centimetri dal collo. Delle mani gli strinsero le
braccia dietro la schiena, e un istante dopo l’angelo
avvertì il suono di due oggetti metallici che si chiudevano
intorno ai suoi polsi. Venne fatto voltare, e scoprì che
Dean aveva appena subito lo stesso trattamento.
Approfittando
della confusione generale e della loro distrazione, delle persone erano
scivolate alle loro spalle. Erano state troppo
silenziose per essere umani. Erano in quattro, due per ognuno di loro,
ma ben presto altri tre si fecero strada nel garage, passando per la
porta principale.
Confuso,
Castiel li studiò: indossavano tutti degli eleganti vestiti
neri e delle camicie bianche; avevano un portamento fiero e la loro
stretta era gelida e ferrea.
“Grazie
per esserti occupato di Ezekiel il traditore al posto nostro,
Castiel,” disse l’unica donna del gruppo,
sistemandosi fra lui e i Winchester. A differenza degli
altri, sfoggiava un completo grigio e teneva la camicia di cotone ben
allacciata sul collo. Era bassa, magrolina ed aveva delle grosse
sopracciglia, mentre i capelli erano corti e scuri.
Castiel si soffermò sul suo vero aspetto.
“Bethael,” mormorò, riconoscendola.
“E’
un piacere vedere che sei tornato ad essere uno di noi,”
proseguì lei. Dal modo in cui faceva sorridere nervosamente
il suo tramite, Castiel capì che stava pensando
l’opposto.
“Per
favore,” la pregò, “lasciaci
andare.”
“No.
Bartolomeo desidera parlare con te,” rispose
l’angelo. Si girò per guardare altri due
sottoposti tirare su Sam, che era ancora privo di sensi.
Castiel
schiuse le labbra in un’espressione sorpresa.
“Bartolomeo?”
“Sono
una dei suoi luogotenenti adesso,” spiegò lei.
“Gli
piacciono piatte, oppure non c’era nessuna con un tramite
migliore?” si intromise Dean.
Bethael
chiuse le dita della sua mano in un pugno e il cuore di Dean
si fermò. Il cacciatore divenne pallido e
annaspò, barcollando pericolosamente.
D’istinto,
Castiel cercò di andare da lui, ma i due angeli che lo
immobilizzavano lo trattennero.
Bethael
abbassò la mano, lasciando andare Dean; il cacciatore
rovesciò la testa in avanti, il respiro irregolare.
“Quanto
a voi due,” gli disse l’angelo, degnandolo della
sua attenzione per la prima volta, “Bartolomeo ha espresso la
volontà di fare la vostra conoscenza.”
“Beh,”
replicò Dean con voce debole, ansimando,
“digli…che la mia volontà è
che lui vada a farsi fottere.”
Bethael
strinse nuovamente il pugno, ricominciando a torturarlo. Dean cercò di non darle la soddisfazione di sentire i suoi lamenti.
“Quali
sono le vostre intenzioni?” le domandò Castiel,
quasi gridando.
“Non
sono autorizzata a parlartene,” fu la sua risposta. Quando le
gambe di Dean cedettero, lei decise finalmente di far ripartire il suo
cuore. Poi estrasse uno smartphone dalla tasca e iniziò a
pigiare una serie di tasti, mormorando a fior di labbra ciò
che stava scrivendo: “Con…fer…ma...ti….
Win…chest…”
“Rinchiudete Castiel insieme al minore dei
Winchester,” ordinò d’un tratto,
continuando a comporre il messaggio. “L’altro resta
con me.”
Gli angeli
al suo servizio eseguirono senza fiatare.
“Bethael!” ringhiò Castiel, mentre
veniva trascinato via.
“Se
fai….se fai loro del male,” sussurrò
invece Dean, strattonando a sua volta i due angeli ai suoi lati.
“Io… ti giuro che…”
“Con
chi credi di stare parlando?” lo interruppe la ragazza.
“Siamo esseri celesti. Non siamo dei barbari, noi.”
Dean
serrò i denti. “Siete…un ammasso di
coglioni alati,” sibilò, e poi sorrise.
“No… dimenticavo… non avete
più le ali.”
Bethael
richiuse di scatto la custodia del suo telefono. “Esiste un
modo per farti restare in silenzio?” gli chiese irritata.
Prima che Dean potesse ribattere, gli si avvicinò e gli
sollevò il mento sgarbatamente, scrutandolo con attenzione.
Esaminò il suo corpo, i suoi vestiti stracciati, e raccolse
su un dito il sangue raggrumato che gli sporcava la faccia.
“Hai
qualcosa di disgustoso addosso,” gli disse, tastandogli il
petto. “Ma non riesco a capire cosa sia.”
Dean
inarcò le sopracciglia, fissando le mani
dell’angelo. “Io un’idea
l’avrei, Ugly Betty.”
Bethael
sospirò esasperata, rinunciandoci. “Abbiamo
davvero molto lavoro da fare con te.”
*
*
*
*
*
In uno dei primi episodi
della 4^ stagione c'è Anna che, inconsciamente, utilizza la
telecinesi per abbattere un demone, per cui ho supposto che anche
Castiel fosse in grado di farlo. >___<
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Capitolo 15 *** Lapse ***
cap16
Note a caso: Questo
capitolo, prima che me ne accorgessi, è stato contaminato
dall’influenza di quella festa orribile che sta per arrivare.
;_;
Per quel che riguarda il titolo, stavolta l'ho scelto con criterio:
...ma non
ho ben capito se si riferisce al contenuto del capitolo o al mio stato
mentale.
*
* *
Un angelo
scaraventò Castiel in una grossa camera da letto al primo
piano. Altri due gettarono Sam sul letto a due piazze vicino al balcone
e poi, senza dire una parola, uscirono dalla stanza e chiusero la
porta.
Castiel sapeva che
almeno uno di loro sarebbe rimasto di guardia all’esterno.
Sbirciando dalle tende violacee, ne individuò altri due che
stazionavano per il giardino.
Esaminò la
stanza, semispoglia, ma non trovò nulla che potesse essere
usato per combattere o fuggire. Scorse un pannello scorrevole nascosto
in un angolo: lo aprì, ma si trattava solo di una stanza
cieca piena di vestiti da uomo. Sospirò deluso e
andò a sedersi sul letto, accanto a Sam.
Si guardò i polsi, studiando i due spessi bracciali
argentati che gli erano stati infilati dai suoi fratelli: erano
decorati con dei sigilli enochiani che conosceva bene, ma non aveva mai
provato direttamente sulla sua pelle.
Castiel non sapeva
quanto potenti fossero le restrizioni incise su quelle speciali
manette, né fino a che punto fosse in grado di gestire il mojo di Ezekiel:
decise allora di fare una prova. Chiuse gli occhi e si
immerse in uno stato di profonda concentrazione, richiamando a
sé la Grazia che aveva rubato. Quella, pur obbedendo al suo
comando, quella continuò a pulsare e scalpitare con violenza
all’interno del contenitore a lei estraneo.
Castiel
cercò di farla sua. Dopo averla visualizzata nella sua
mente, la condusse in un punto al centro del suo petto ed
iniziò a modellarla a suo piacimento. Quando fu sicuro di
poterla controllare, iniziò a farla scorrere nelle vene del
suo tramite, tentando di ripristinarlo. Gli organi interni, gravemente
compromessi da Ezekiel, iniziarono a ripararsi, e il sangue che gli
macchiava i vestiti si dissolse; ma, ben presto, i bracciali angelici
si riscaldarono e generarono una scarica che trafisse la Grazia,
causandogli una terribile fitta di dolore al petto. Castiel non si
aspettava una cosa del genere: perse il controllo, il cuore del suo
tramite collassò e lui tossì un fiotto di sangue
rosso vivo.
L’angelo
rilasciò la Grazia e le manette smisero di torturarlo.
Quando si fu ripreso tornò ad osservarle, accigliato: se
avesse commesso un errore simile con Sam, lo avrebbe ucciso.
Quando fu sicuro di
poter sopportare l’effetto delle manette, poggiò
tre dita sulla fronte del cacciatore e cercò
nuovamente di accedere alla fonte dei suoi poteri angelici. Le
scariche, stavolta, iniziarono subito, ma Castiel non si
fermò: convogliò la Grazia sul suo palmo e la
fece fluire dentro Sam.
Riusciva a vedere la
sua anima. Come sospettava, era grigia e strappata e rattoppata a
malapena: Ezekiel non aveva mai tentato sul serio di guarirla.
Castiel
iniziò a prendersi cura di lui. Le manette lo tormentavano e
rallentavano il processo; la Grazia vibrava pericolosamente e lui
sentiva l’odore della sua carne che bruciava, ma
continuò imperterrito a ricucire l’anima di Sam,
finché non sentì una presa sul suo braccio.
Era un tocco leggero
ed esitante, ma Castiel sobbalzò lo stesso,
perché era così concentrato sul suo lavoro che
non aveva sentito nessuno entrare. Fortunatamente aveva quasi
terminato, e comunque sia la Grazia di Ezekiel era ormai troppo provata
per poter causare altri danni.
Ricondusse
ciò che ne restava dentro di sé e tolse le dita
dalla fronte di Sam, poi riaprì gli occhi e si
focalizzò sul nuovo arrivato.
La prima cosa che vide fu la sua mano, che gli stava ancora stringendo
il braccio con preoccupazione. All’inizio, notando il taglio
elegante della manica della giacca scura, l'angelo pensò che
fosse un suo fratello; sollevando lo sguardo, si sorprese
nello scoprire che si trattava di Dean.
Era trascorsa poco
meno di un’ora da quando lo aveva visto l’ultima
volta, ma lui era completamente cambiato: adesso, era vestito di tutto
punto ed il suo viso era rasato e liscio; i suoi capelli erano stati
tagliati e pettinati, e profumava di incenso e vaniglia. L’unica cosa che
stonava nella perfezione del suo aspetto era lo sguardo torvo che,
adesso, gli stava rivolgendo.
“Non posso
lasciarti per cinque maledettissimi minuti!”
sbraitò, affrettandosi a togliere la mano dal suo braccio.
L’angelo
aprì la bocca per rispondere, ma Dean lo precedette.
“E se provi a dire di nuovo ‘Scusa’,
ti tiro un pugno: avevi detto che Sam stava bene!”
“Fisicamente,
Sam era fuori pericolo,” spiegò Castiel con calma.
“Il problema era la sua anima.”
Dean strinse i denti e
portò la sua attenzione sul fratello, che adesso riposava
con un’espressione serena sul volto. Il battito del suo cuore
era normale e aveva riacquistato un po’ di colore rispetto
all’ultima volta che l’aveva visto. Si
rilassò un po'.
Tornò da
Castiel, che era ancora seduto sul letto. “Che cosa sono
questi?” gli chiese, indicando con lo sguardo i bracciali
argentati ai polsi dell’angelo, seminascosti dalla camicia.
Senza attendere una risposta, gli afferrò la mano e ne
strinse uno: Castiel si lasciò sfuggire un gemito di dolore,
e Dean si rese conto con orrore che la pelle al di sotto di essi era
bruciata e consumata quasi fino all’osso. Inoltre, al suo
tocco, delle catene trasparenti si materializzarono intorno al braccio
dell’angelo: risalivano lungo il suo torso, fin dietro le sue
spalle dove – Dean lo sapeva – c’erano i
resti delle sue ali spezzate. Le catene emanavano delle scintille, come
se fossero elettrificate: sconvolto, il cacciatore mollò
rapidamente la presa sul bracciale, e quelle scomparvero.
“Sono
restrizioni,” esalò l’angelo dopo
qualche secondo, la voce che tremava leggermente. “Frenano la
mia Grazia.”
Dean lo
fulminò con lo sguardo. “Per cui è
saggio usarla adesso, no?”
“Andava
fatto adesso,” ribatté lui, scuotendo la testa.
“ Visto che, suppongo, Bartolomeo mi…”
Castiel non concluse
la frase, ma Dean sapeva già dove voleva andare a parare. Si
rifiutò di pensarci.
Tirò su le
maniche della sua giacca, mostrando a Castiel il bracciale che era
stato infilato a lui. “E questo a che serve? Ho provato a
toglierlo, ma sembra incollato. C’è un solo
geroglifico sopra, ed è uguale ad uno dei tuoi.”
“E’
un sigillo di protezione,” gli disse Castiel, dopo averlo
esaminato. “Consente di non ricevere ferite superficiali. In
questo modo…”
“…non
possiamo usare il nostro sangue per rispedirli all'angolo,”
concluse amaramente Dean. “Grandioso.”
Frustrato, il giovane
iniziò a vagare per la camera da letto, scompigliandosi i
capelli con un gesto nervoso. Poi, dopo aver lanciato
un’occhiata rapida a Sam, si sedette al bordo del letto,
così vicino a Castiel che le loro cosce si
toccavano. Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto elegante e
lo usò per tamponargli in silenzio il filo di
sangue che aveva all’angolo delle labbra.
Castiel rimase a
guardarlo.
“Quindi
eccoci qui,” esordì Dean, quando il silenzio si
fece troppo pesante, “kittens
in a cage [1].”
L’angelo,
come al solito, non capì la referenza, ma sorrise
debolmente. Abbassò lo sguardo sulle mani di Dean, pulite e
curatissime. “Cosa ti hanno fatto?”
“Vuoi dire
questo?” domandò lui, studiando la sua tenuta con
aria disgustata. “La tua amica è una fanatica
della pulizia,” sbottò, visibilmente scocciato.
“Era tutta un ‘non
posso permetterti di incontrare il grande Bartolomeo in queste
condizioni’,” disse, imitando la voce
acuta di Bethael. Di colpo, si allentò la cravatta rossa a
righe che gli era stata stretta al collo e si alzò dal
letto; raggiunse la cabina armadio al lato della stanza e vi si
infilò dentro. Castiel lo seguì, ma si
fermò all’ingresso.
“L’armadio
di questo tizio è più grande della stanza di un
motel,” borbottò Dean. “Comunque
sia,” disse, iniziando a rovistare al suo interno,
“Bartolomeo: che cosa sappiamo di lui?”
“Bartolomeo
era un essere umano,” rispose pronto Castiel, “ma,
circa duemila anni fa, venne scelto personalmente da nostro Padre per
diventare un angelo [2].”
Dean si
fermò per un secondo, poi fece una strana smorfia e
ritornò a scorrere i vestiti di Leon. “Possibile
che non ci sia un maledettissimo paio di jeans qui dentro?”
“Dean, mi
stai ascoltando?”
“Sì,
sì, ma non mi interessano la vita e le opere del grande
Bart. Come lo prendiamo a calci?”
L’angelo
inarcò le sopracciglia, stupito e lievemente rassegnato.
“Dean, noi… noi non possiamo prendere a calci uno
degli Apostoli.”
“Apostoli?”
ripeté l’altro. “Quelli del Codice da
Vinci?”
“Lascia
stare,” sospirò Castiel. “Adesso
Bartolomeo è un Hashmallim,”
disse.
Dean si
voltò verso di lui, la fronte aggrottata. “Un
marsh…mellow?”
“Le
Dominazioni,” tradusse paziente Castiel. “Sono
angeli che devono assicurarsi che il cosmo sia sempre in ordine.
Raramente entrano in contatto con le gerarchie angeliche più
basse di loro. Sono coloro a cui Dio ha affidato la forza del Dominare
e, per quanto riguarda Bartolomeo, lui domina con la forza della
lama.”
“Anche tu
sei in gamba con quella roba,” osservò Dean, con
una nota di speranza nella voce.
Castiel scosse la
testa. “Non quanto lui.”
Il cacciatore si
passò le dita sul mento, inquieto. “Allora siamo
fottuti,” disse, scorrendo per inerzia l’ultima
fila di vestiti. “Ohi, Cas, vieni qui,”
esclamò di colpo, “guarda cos’ho
trovato!”
Castiel
entrò nella stanza, incuriosito, pur sapendo che era
alquanto improbabile che i suoi fratelli avessero lasciato al suo
interno delle armi o qualcosa che avrebbe potuto essergli utile.
Il cacciatore gli
andò incontro e ben presto l'angelo si ritrovò
circondato da un mare di stoffa dall’aria familiare: una
giacca da uomo, Dean aveva trovato una giacca da uomo. Somigliava un
po’ a quella che aveva tanto amato indossare, ma il colore
era più scuro ed il modello molto più insulso e
corto.
“Non
è il mio trench,” commentò.
“Non
è la tua Grazia,” replicò Dean.
Castiel
piegò leggermente la testa di lato: la logica di quel
ragionamento era sciocca, ma corretta.
Dean lo
aiutò ad infilare il soprabito, che era della sua misura, e
poi gli aggiustò il collo della giacca. Sbottonò
un paio di bottoni della sua camicia, ed in infine si tirò
indietro di un passo per osservare, soddisfatto, il suo lavoro.
“Ma guardati: come ai vecchi tempi, pronto a tornare in
corsa,” disse e, nonostante stesse andando tutto a puttane,
gli rivolse un sorriso sincero. [3] “Che
c’è?” domandò preoccupato un
attimo dopo, quando colse lo sguardo accigliato del compagno.
“Utilizzare
la Grazia di un altro angelo non è semplice,”
ammise lui, dopo qualche secondo. “Non so fino a che punto
sono in grado di farlo, né quali saranno le
conseguenze.”
“Che vuol
dire? E’ come se fossi un pilota della Flotta Stellare che si
ritrova di colpo sul Millennium Falcon?”
Castiel si chiese se
Dean lo facesse apposta. Si limitò a scrollare le spalle.
“Non puoi
fare nulla?”
“Potrei
strapparmela di dosso e tornare umano.”
“Bene, fallo
adesso. Abbiamo già abbastanza problemi.”
Castiel parve seccato
dall’idea. Distolse lo sguardo da Dean per osservarsi le
ferite ai polsi, che si erano già cicatrizzate.
Lui poggiò
le mani sulle sue spalle. “Cas, tu devi uscire vivo da qui.
Devi prenderti cura di Sam,” incalzò, con voce
ferma. “Non hai sentito Ezekiel? Io sono spacciato.”
“Ezekiel non
sapeva niente. Io posso….”
“Cas,
è già iniziato,” sussurrò
Dean con un mezzo sorriso amaro, lasciando ricadere le braccia sui
fianchi. “Mi trascina in basso, ogni istante che
passa.”
“Anche se lo
facesse, tu sei forte,” replicò Castiel, invadendo
il suo spazio personale. “Riuscirai a distruggerlo e
ritornerai da Sam.”
“Io
non–”
“E da
me,” concluse l’angelo, e alzò lo
sguardo su Dean, che deglutì.
Durò un
secondo, poi lui scosse la testa. “E’ facile
parlare quando sei un fottutissimo Angelo
del Signore,” borbottò in risposta,
sentendosi improvvisamente molto stanco. “Mi è
già successo una volta, come fai a sapere che non
succederà ancora?”
Castiel
poggiò le mani ai lati del suo viso e lo baciò.
Le sue labbra
screpolate sfiorarono appena quelle piene del cacciatore, che rimase
immobile. L'angelo si tirò indietro e lo guardò
attentamente, come se stesse studiando la sua reazione.
Lui se ne accorse.
“No,” mormorò a voce bassa, con un mezzo
sorriso, “non ho capito la tua risposta.”
Castiel
aggrottò la fronte, ma il cacciatore aveva già
afferrato il collo sua giacca e lo aveva attirato a sé. Il
mugolio sorpreso dell'angelo si perse sulla bocca di Dean, che
cercò subito di approfondire il bacio. Castiel non glielo
permise: lo fece indietreggiare contro una parete libera, immerse i
suoi occhi nei suoi color verde foresta e poi scese ad
accarezzargli le labbra con le sue in modo così lento da
farlo impazzire.
I suoi baci erano
leggeri e morbidi, caldi, la sua barba corta strofinava piano contro
gli angoli della sua bocca e Dean non riusciva più a
pensare. Il suo cuore pulsava
così rapidamente da fargli male, si sentiva galleggiare
nell’aria; non ricordava l’ultima volta che aveva
provato una sensazione simile. Si rese conto solo dopo molti
secondi di aver iniziato a rispondere all’angelo, imitando i
suoi movimenti. Voleva che non finisse mai. Castiel era così puro e Dean era
completamente perso di lui, e si stavano solo baciando.
Senza staccarsi da lui, l’angelo cercò la sua mano
e la intrecciò nella sua. Dean sospirò il suo
nome e lui sorrise contro le sue labbra, mordendole piano e facendogli
perdere la testa. Avvertì il bisogno improvviso di sentirlo
più vicino a lui. Immerse la mano libera nei suoi capelli
scuri e lambì le sue labbra con la lingua. Castiel
sospirò e le schiuse, e Dean si soffermò ad
assaggiare e poi divorare il sapore di cui, lo sentiva, era
già diventato dipendente.
Finora, era sempre
stato tutto troppo improvviso e istintivo per dargli il tempo di
capire; solo ora si rendeva conto di quanto avesse desiderato
trasformare il legame
più profondo che avevano sempre avuto in
qualcosa di più fisico. Non gli importava che
quell’angelo fosse intrappolato nel corpo di un uomo; non gli
era mai davvero importato, in fondo.
Quando si staccarono,
Dean impiegò qualche secondo prima di riuscire a riprendere
fiato. Castiel non ne aveva bisogno, per cui fece scorrere le dita fra
i suoi capelli biondi ormai del tutto spettinati, guardandolo con quei
suoi occhi blu che adesso sembravano quasi brillare.
“Nel nome
della sanità mentale,” esclamò una voce
femminile a poca distanza, “che cosa sta succedendo in questa
casa?”
Dean ruppe il contatto
con Castiel e si sporse a guardare la figura che aveva parlato.
All’ingresso della stanza c’era la ragazza che lui
riconobbe come Tonya Reynolds.
La giovane donna
faceva scorrere lo sguardo dall’uno all’altro.
Indossava una giacca nera elegante, una camicia bianca con un nastrino
e portava una gonna strana e abbastanza corta.
“Basta,”
dichiarò Tonya, dopo qualche secondo di silenzio
imbarazzato, “io ci rinuncio.”
Uscì dalla
cabina armadio e chiuse la porta, lasciando dentro Dean e Castiel.
I due, dopo essersi
scambiata un'occhiata incerta, la raggiunsero nella camera da letto.
“Chi sei?” le domandò Castiel, con voce
bassa e quasi minacciosa.
“Una domanda
interessante, visto che io abito qui,” osservò
lei, per nulla spaventata. “Il mio nome è Tonya
Reynolds. Suppongo che voi siate la famosa merce.”
Dean sbattè
le palpebre. “Hai detto 'merce'?”
“Sì,
mio fratello voleva scambiarvi con qualcosa,”
spiegò la ragazza, con la leggerezza con cui si parla delle
previsioni meteo. “Credo che c’entri
l’organizzazione criminale qui fuori. Non prendetela male,
mio fratello era una brava persona, ma negli ultimi tempi è
come impazzito: ha iniziato a bere, giocare e poi si è messo
a parlare di fantasmi, mostri, queste cose assurde qui.”
Tonya scosse la testa
e sospirò, lanciando un’occhiata a Sam, che era
ancora addormentato. “Ad un certo punto,
ha cominciato a comportarsi in modo così strano da farmi
paura. Non avrei mai dovuto accettare di venire a vivere con
lui,” concluse, sconsolata. “Avrei dovuto tentare
di fermarlo. Secondo voi l’hanno ucciso? Mi useranno per
chiedere un riscatto?”
Dal letto di Sam
provenne un grosso sospiro. Castiel raggiunse il ragazzo, e
notò che le sue palpebre si muovevano impercettibilmente.
“Sta per svegliarsi,” disse a Dean, che
annuì.
“Ascolta,
Tonya,” disse il cacciatore alla ragazza, “che cosa
faceva di preciso tuo fratello nei suoi momenti…
strani?”
La ragazza assunse
un’espressione corrucciata. “Si chiudeva per giorni
interi nello studio di nostro padre, oppure in
quell’interrato… io avevo comprato dei libri
horror, lui ha iniziato a leggerli e credo si fosse convinto che quelle
storie erano vere.”
“Scusami…
Scusami, per curiosità, come si intitolavano quei
libri?”
“Supernatural,”
rispose calma la ragazza.
Dean si
portò una mano alla fronte e maledì
silenziosamente Chuck in tutte le lingue che conosceva.
“Questo
è tutto quello che so,” riprese Tonya.
“Non so bene neanche io cosa è successo qui. Non
ricordo molto. Credo di aver bevuto troppo, stanotte. Ho fatto dei
sogni strani su degli angeli che mi parlavano e poi quei maniaci sono
entrati nella mia stanza, mi hanno svegliata e mi hanno portata qui. Io
non voglio morire,” aggiunse, gli occhi pericolosamente umidi.
“D’accordo,
non preoccuparti,” replicò Dean, sfoderando il
sorriso più falso e meno convincente che aveva.
“Io e il mio collega stiamo preparando un piano per tirarti
fuori da qui.”
Lei lo
fulminò con un’occhiataccia allusiva.
“Sì, ho visto.”
Dean
avvampò. “Quello? No, quello non
era…”
Tonya
inarcò le sopracciglia.
“Senti
è stata una giornata stressante,
d’accordo?” sbottò il cacciatore.
“Ora vai in un angolo a piangere e resta lì ferma
finché non ti salviamo.”
In quel momento, Sam
mugugnò qualcosa e schiuse gli occhi.
Dean gli fu accanto in
un attimo, mentre Castiel rimase in piedi a fissare pensieroso Tonya.
“Che hai da
guardare, Capitan Sexy?”
gli chiese lei, brusca.
L’angelo si
riscosse. “Nulla. E’ come
se…” , lanciò
un’ultima occhiata alla ragazza. “No,
nulla.”
“Dean,
dove… dove siamo?” domandò intanto Sam
al fratello, strofinandosi la testa.
“Dai ricconi
col nome strano,” rispose lui, guardandolo con ansia.
“Il Limbo, gli angeli… Ti ricordi
qualcosa?”
Sam strinse gli occhi,
pensando. “Gli angeli sono caduti. Io… stavo
sostenendo le Prove…?”
“Sì.
E tutto il resto?”
Il ragazzo scosse la
testa e iniziò a massaggiarsi le tempie.
Dean si
voltò verso Castiel con aria colpevole e disperata e lui
percepì chiaramente nella sua mente un 'Cas, Ezekiel gli ha fritto il
cervello'.
Sam notò in
quel momento il bracciale argenteo che aveva al polso. “E
questo cosa...?”
“Va tutto
bene, Sam,” lo rassicurò l’angelo.
“I tuoi ricordi torneranno molto presto.”
“Io…
non capisco,” rispose lui.
“Benvenuto
nel club,” gli fece eco Tonya.
Sam si accorse di lei
solo in quel momento. “Ci conosciamo?” le chiese,
confuso.
“Sì,”
rispose lei sorridendo. “Mi hai servito del Vermouth alla mia
festa di fidanzamento e poi io ti ho ammanettato ad un letto.”
Sam la
guardò terrorizzato.
“Scherzavo,
tesoro: era del Martini.”
“E questo
spiega perché hai impiegato così tanto tempo per
venire a salvarmi,” sospirò Dean.
“Avanti, rubacuori, mettiamoci al lavoro,” aggiunse
poi, battendo le mani.
Dean aveva appena
finito di parlare quando la porta della stanza si spalancò
per lasciare entrare Bethael e quattro dei suoi sottoposti.
“Oh,
cavoli,” esclamò Sam, balzando in piedi.
“Che
tempismo,” commentò Dean sottovoce, dopo un primo
attimo di sconcerto.
“Bartolomeo
è arrivato,” dichiarò Bethael.
“Andiamo.”
Castiel si mosse verso
di lei con aria truce, ma Dean lo trattenne.
“Ascolta, lo
so che fra noi non è iniziata nel migliore dei
modi,” le disse con un sorriso sfacciato, facendo qualche
passo nella sua direzione. “Ma non potresti darci solo cinque
minuti? Vedi, mio fratello si è appena ripreso e deve
incipriarsi il naso. Se non è tirato a lucido come me,
Bartolomeo potrebbe restarci male.”
Bethael lo
fissò profondamente. “No,”
dichiarò. “Ma hai ragione. Sam
Winchester,” esclamò.
“Che…
che c’è?”
Bethael lo raggiunse a
grandi passi e gli poggiò una mano sul petto. Un attimo
dopo, Sam si ritrovò addosso un completo elegante, con tanto
di cravatta grigia e bottoni d'argento. “Oh mio
Dio,” commentò il giovane.
“Ora
andiamo,” disse l’angelo, voltandogli le spalle.
“Ehi,
ehi,” protestò Dean. “Perché
io sono stato spogliato con la forza?”
“Tu puzzavi.
Avevi bisogno di essere lavato.”
Il biondo
sbarrò gli occhi, poi aggrottò la fronte, offeso.
“Certo che avevo bisogno di essere lavato, sono rimasto
giorni interi in quel posto schifoso!”
“Trascinateli
via,” ordinò Bethael, annoiata. “Non ho
intenzione di far attendere oltre Bartolomeo.”
Gli angeli, armati di
pugnale, si avventarono su Sam, Dean e Castiel, ma Sam si
affrettò ad alzare le mani e a dichiarare un: D’accordo, calma,
camminiamo da soli!, che li convinse a non usare le
maniere forti.
“E la
femmina?” chiese il più robusto del gruppo, un
armadio alto quasi due metri.
“Tienila
d’occhio. Bartolomeo non ha dato particolari disposizioni per
lei,” fu la risposta piatta di Bethael.
Lui annuì e
si mosse verso Tonya, che esibì un sorrisino isterico.
“Bene,”
disse la ragazza, con una voce molto più acuta del normale,
“allora io aspetto qui con il maniaco armato. Fate con
comodo!” esclamò, mentre l’angelo usava
i suoi poteri telecinetici per chiudersi nella stanza con lei.
Sam, Dean e Castiel
vennero scortati per i corridoi della grossa villa.
“Carina la
tua nuova ragazza,” osservò Dean.
Il minore lo
ignorò e continuò a massaggiarsi la fronte con
aria sofferente. “Sto cominciando a ricordare
qualcosa di questo Bartolomeo,” disse, “ma non
capisco come siamo finiti qui. Puoi farmi un riassunto della
situazione?”
Dean
sospirò. “Castiel si è cacciato nei
guai e noi siamo venuti a salvarlo.”
Sam annuì,
pensieroso.
“Poi tu hai
preso la Colt e mi hai sparato.”
“Stai
scherzando?!”
“No. Un
angelo ti aveva… strapazzato il cervello, ma Cas
l’ha spedito all’Inferno. Poi è arrivato
lo squadrone angelico, e adesso probabilmente ci faranno
fuori.”
Sam seppur sconvolto
da quelle parole, si schiarì la gola e, con voce appena
percettibile, mormorò all’orecchio del fratello:
“Abbiamo un piano?”
“No,”
ammise Dean.
“Non avete
preparato un piano?” gli domandò Sam incredulo,
facendo scorrere lo sguardo da lui a Castiel. “E che cosa
avete fatto finora?”
“Io e Dean
ci siamo baciati,” rispose Castiel in tono innocente.
“Che c’è, non avrei dovuto
dirlo?” chiese poi al biondo, percependo la sua aura omicida.
Sam era rimasto a
bocca aperta.
“Frena, Sam.
Non è come pensi tu.”
“L’hai
baciato? Per tutto il tempo? Voglio dire, ma è successo per
caso o…”
“Sam
maledizione, stiamo per essere ammazzati e a te interessa sapere quante
volte ho…baciato Cas?!”
“Tre volte,
comunque,” precisò Castiel, mentre scendevano la rampa di scale che portava
al piano terra.
Sam curvò
le labbra in una smorfia soddisfatta, e Dean ci rinunciò.
“Vi sarei
grata se manteneste un certo contegno,” li
richiamò Bethael. “State per incontrare
Bartolomeo.”
“Ma certo,
Effie,” commentò, com’è
ovvio, Dean. “Che cosa vuoi che facciamo? Chins up, smiles
on?” [4]
“Se provi
anche solo a muovere di nuovo quella lingua,”
minacciò l’angelo in risposta, “te la
faccio bruciare.”
Dean si
zittì; quando però il gruppetto giunse davanti ad
una massiccia porta di legno, mentre Bethael bussava, non
riuscì a trattenersi e, afferrata la spalla di Castiel, gli
disse: “Quattro.”
“Cosa?”
chiese lui, incerto.
“Quattro
volte,” ripeté Dean, premendo rapidamente le sue
labbra su quelle dell’angelo, che lo ricambiò
quasi disperato.
Bethael
roteò gli occhi. “Oh, per favore.”
Castiel venne tirato
indietro, mentre Dean venne afferrato per le braccia e rigettato
addosso ad uno sconvolto Sam.
“Dean,
scherzi a parte, io… io non credo che questa storia
finirà bene,” mormorò lui.
“Lo
so,” annuì il cacciatore, mentre il sorriso gli
moriva sulle labbra. “Neanch’io.”
*
* *
[1]
Motivazione da fangirl: Perché
in QUESTE
immagini promozionali sono davvero tutti dei kittens in a cage.
Motivazione semiseria:
E’ pubblicizzato come “Bad
girls doing bad things in bad places”; dovrebbe
essere una parodia di Caged (film del 1950). Non ho capito se
sarà una web series o un film indipendente… so
solo che in QUESTA
immagine promozionale c'è anche Misha Collins. PS: Non
chiedetemi come faccia Dean a conoscerlo. 4th wall.
[2]
Ovviamente non so cosa abbia in mente Carver, ma Bartolomeo
era uno degli apostoli, per cui ho ipotizzato che sia diventato un
angelo dopo la sua morte.
L'ho messo fra le Dominazioni, che sono superiori ai Serafini (Castiel
è un serafino). San Bartolomeo, inoltre, è il
protettore di coloro che usano coltelli e arnesi da taglio (grazie,
Wikipedia), da cui tutto il resto.
[3]
Citazione dell'episodio 9x10
[4]
E’ canon il fatto che Dean conosca Hunger Games, ma io ho
prestato il mio libro e quindi non posso leggere come hanno tradotto la
frase in italiano, per cui: CHINS
UP, SMILES ON
|
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Capitolo 16 *** Il figlio dello stregone ***
Note
influenzali: Ho sempre avuto un
rifiuto mentale nei confronti di queste pagine, per cui riuscire a
pubblicarle (anche se sotto l'effetto del paracetamolo) mi
dà un senso di liberazione.
L'unica
cosa che mi spiace è che adesso non ho piu' scuse e mi
tocca trovare la forza psicologica per scrivere l'ultimo
capitolo. ;_;
Per il momento, mi limiterò a strisciare sotto i miei
piumoni e a cercare conforto nel mio Chtulhupeluche, mentre assicuro lo
stipendio ad almeno un paio di operai della Scottex. *etcì*
*
* *
Leon Reynolds non aveva mai
sofferto di emicrania.
Subito dopo
la morte di suo padre, però, aveva iniziato ad
avere degli improvvisi attacchi di mal di testa. All’inizio
non ci diede peso; ma quando, dopo alcune settimane, Leon ebbe fra le
mani i risultati della risonanza magnetica che gli era stato
consigliato di fare, impallidì.
Rimase fermo a fissare il foglio con aria incredula per dei lunghissimi
minuti, leggendolo e rileggendolo. Alla fine, lo stracciò e
lo gettò via.
Aneurisma
cerebrale. Nel suo cervello c’era una bomba ad orologeria di
cui non si poteva leggere il timer, posizionata in un punto
così delicato da rendere impossibile qualunque operazione
chirurgica di rimozione. Premeva contro le arterie alla base del suo
cervello e minacciava costantemente di rompersi e ucciderlo, ma tutti i medici che
sentì lo rassicurarono sul fatto che non era detto che
sarebbe successo.
All’inizio, Leon protestò. Poi lo
accettò. Quando però notò che i suoi
mal di testa diventavano sempre più frequenti, decise di
godersi quelli che supponeva fossero i suoi ultimi mesi di vita, e
iniziò a frequentare sempre più spesso la parte divertente di Las
Vegas.
Gli ci
volle un tempo sorprendentemente breve per rovinarsi. A quel punto,
preso dal senso di colpa, si preoccupò almeno di
salvaguardare ciò che restava della sua famiglia:
trovò un fidanzato per sua sorella, un brav’uomo.
Cercò di non lasciarle troppi debiti sulle spalle. E poi si
rassegnò.
Una notte,
Leon stava rovistando nello studio del suo defunto padre in cerca di
qualche oggetto di valore da poter rivendere per pagare i suoi debiti
da gioco. Quel posto lo disgustava a causa dei ricordi che gli faceva
tornare alla mente, ma sapeva che nella biblioteca personale di
quell’uomo vi erano edizioni rare, forse uniche, che
avrebbero potuto fruttargli qualche migliaio di dollari.
Prese un
libro dalla copertina nera e consunta: le pagine, sottili come carta di
riso, erano riempite di scritte e strani disegni fatti a mano. Sembrava
valere qualcosa, ma, quando Leon riconobbe la scrittura piccola ed
elaborata di suo padre, seccato, lo gettò a terra e
passò ad altro.
Pochi
secondi dopo, avvertì un fruscio alle sue spalle:
voltandosi, l'uomo scoprì che il libro nero, senza apparente
spiegazione logica, adesso era poggiato sulla scrivania.
Più
incuriosito che spaventato, Leon gli si avvicinò: non senza
timore iniziò a sfogliarlo, e scoprì che parlava
di alchimia, spiriti ed incantesimi. Avvertì uno strano
brivido percorrergli la schiena. Non credeva alla magia, non ci aveva
mai creduto – ma suo padre non era un folle, si era sempre
comportato in modo strano e nessuno aveva mai veramente capito come
avesse tirato su la sua fortuna.
Esaminando
meglio quella biblioteca, Leon scoprì molti altri tomi di
magia nera. Lesse appunti, trovò pergamene antiche e
ritagli di giornale che parlavano di omicidi e satanismo.
“Sono il figlio di uno stregone,”
concluse Leon dopo molte ore, quando ormai, fuori, l’alba era
sorta da un pezzo.
Il comportamento della donna che lo aveva dato alla luce, di colpo, gli
fu più chiaro.
All’interno
di uno scrittoio, Leon trovò una grossa chiave di ferro che
apriva la cantina in cui aveva visto scendere suo padre tante volte:
scoprì che, in realtà, era una
grossa stanza occupata per la maggior parte da elaborati
strumenti alchemici, arnesi arrugginiti e, soprattutto, ingredienti.
Da quel
giorno, Leon cambiò: abbandonò i suoi discutibili
passatempi e si chiuse nello studio del padre.
Sentiva che ormai era questione di poche settimane per lui –
ma, se la scienza non poteva aiutarlo, forse, il sovrannaturale avrebbe
potuto salvarlo.
Scoprì
che i Demoni
degli Incroci potevano esaudire un suo
desiderio: lo avrebbero guarito, ma, dopo 10 anni, i cani del diavolo
lo avrebbero trascinato all’Inferno.
“Come è successo a mio
padre,” realizzò mentre leggeva.
La
prospettiva venire sbranato vivo e di essere condannato alla dannazione
eterna non lo allettava, per cui continuò a sfogliare,
studiare e frugare fra gli oggetti dello stregone, fino a che non
scoprì la trascrizione di un’antica tavoletta di
argilla denominata ‘Limbo’.
La notte
stessa, Leon scese nella cantina, tracciò dei simboli sul
pavimento e, seguendo le indicazioni della trascrizione,
sistemò le offerte, le ceneri, il sangue, le candele di
grasso e tracciò a terra un grosso cerchio con sale del Mar
Morto.
Cominciò
a recitare la lunga formula riportata nella trascrizione; quando
finì, scoprì con disappunto che non era successo
nulla.
Deluso,
stava già per andarsene, quando qualcosa
precipitò, letteralmente, all’interno del cerchio
di sale. Leon sobbalzò per lo shock.
L'essere era
un ammasso di pezzi di carne grigiastra e sangue rappreso, vestito di
stoffe stracciate e insanguinate. Era accasciato a terra, la testa
seppellita in un mucchio di capelli rossi e sporchi. Le sue spalle si sollevavano e
si abbassavano senza un ritmo preciso, mosse da sospiri e singulti
irregolari.
Tremando di
gioia e stupore, Leon gli si avvicinò per guardarlo
più da vicino, ma, quando fu a pochi passi, quello
sollevò di scatto la schiena e smise di fare qualunque cosa
stesse facendo.
“Scusi…“
provò l’uomo con cautela,
“…sei per caso un’Entità Superiore
dell’Oltretomba?” chiese.
L’entità
rimase perfettamente immobile. “Sei per caso un
idiota?” rispose con la voce arrochita di una donna,
perché, sì – seppur conciato male,
sembrava proprio una donna umana.
Leon si
accigliò. Non pensava che gli Spiriti Antichi
fossero così antipatici.
“Qual
è il tuo nome?” le domandò.
“J…?”
provò quella. Poi rovesciò la testa
all’indietro e scoppiò in una risata orribile. In
quel frangente, Leon notò che aveva un grosso foro al centro
della gola.
“N-Non
ha importanza,” borbottò l’uomo,
deglutendo. “Ora tu mi aiuterai,”
dichiarò poi.
L’essere,
furioso, mosse una mano ischeletrita nella sua direzione, e
cercò di oltrepassare la linea di sale, ma non ci
riuscì, perché Leon lo aveva vincolato e
imprigionato lì dentro. Iniziò a gridare e
minacciare, ma Leon non vi diede peso e la lasciò
semplicemente sfogare.
Lui ci
credeva davvero. La trascrizione diceva che le Entità del Limbo
avevano poteri immensi, e lui era convinto che quel mostro potesse
guarirlo con uno schiocco delle dita.
O roba del
genere.
Dopo
qualche ora scoprì con disappunto che
quell'entità sembrava non essere in grado di far nulla a
parte parlare in lingue strane, supplicarlo, ridere sguaiatamente,
piangere, gridare come un ossesso o fissare il vuoto come se
stesse ascoltando delle voci inesistenti.
L’uomo
si chiese se tutte le entità ultraterrene fossero
così; non aveva né il coraggio né gli
ingredienti per evocarne altre, per cui decise di continuare a tentare
con quella che aveva.
Un paio di
giorni dopo, Leon stava facendo colazione insieme a sua sorella, che
era immersa nella lettura di uno dei suoi romanzetti. Lei non sapeva
né del suo stato di salute né dell'esistenza del
sovrannaturale, ed era ancora arrabbiata con lui per il suo
fidanzamento forzato; ma, al momento, l’irritazione di sua
sorella era l’ultimo dei problemi di Leon.
Il
notiziario televisivo gli mostrò le immagini di una
inaspettata caduta di meteore che aveva interessato l’intero
pianeta. Quando, poco dopo, Leon ridiscese nella segreta,
scoprì che l’entità stava ridendo
istericamente.
“Quindi
sono caduti,” mormorava con soddisfazione. “Ben gli
sta.”
“Caduti
chi?”
“Gli
angeli.”
“Angeli?”
“Possono
aiutarti. Chuck. Chuck Shurley, il Profeta,”
farfugliò l’entità, e poi
ricominciò a ghignare cupamente.
Era la
prima volta che diceva qualcosa di sensato,
per cui Leon decise di seguire le sue istruzioni e cercare informazioni
sull'uomo chiamato Chuck Shurley.
*
Molti giorni dopo, Leon
spalancò furioso la porta della segreta.
Raggiunse
l’entità a grandi passi e sbatté
davanti dal cerchio di sale un grosso manoscritto spaginato.
“Questi,”
sibilò con rabbia, “sono i testi dei libri mai
pubblicati del disperso
signor Shurley, e io ho speso un sacco di soldi per riuscire a
procurarmeli. Credevo fossero testi di magia, invece sono solo stupide
storie sul sovrannaturale. Che cosa significa?”
“Se
tu potessi… liberarmi,” biascicò lei
supplichevole, gli occhi bassi, “potrei spiegare.”
“Inizia
a parlare,” le ordinò Leon, massaggiandosi piano
la testa.
Con aria
docile, quella gli spiegò che quanto riportato in quei
manoscritti, e in generale tutto ciò che aveva scritto Chuck
Shurley, era reale, perché lui era un Profeta.
L'uomo passò i giorni successivi a leggere i manoscritti con
attenzione. Si rese conto che, pur essendo stati scritti anni fa, quei
fogli descrivevano con precisione fatti recenti, come
l’ascesa di Dick Roman, e terminavano con la descrizione
della pioggia di meteore che, in realtà, Leon
scoprì essere una pioggia
di angeli.
Non gli ci volle molto a rintracciare anche il resto dei libri che il
Profeta aveva pubblicato sotto falso nome: non lesse l’intera
collana ma si limitò a sfogliare solo quelli che, aveva
scoperto, sua sorella aveva comprato qualche tempo fa.
Si chiese se avere sempre avuto quei libri in casa non fosse stato un
segno del Destino.
Leggeva
velocemente, nervosamente e questo gli causava una grande stanchezza,
insieme ad un forte senso di nausea.
“Supponendo
che il trio Brokeback
Mountain esista davvero,” disse qualche sera
dopo all’entità, che in quel momento era tutta
presa dal costruire una torre con le candele usate da Leon per
evocarla, “come può essermi
d’aiuto?”
“Gli
angeli,” gracchiò lei in risposta, come al
solito. La torre di candele rovinò a terra.
“Io li sento. Stanno cercando Castiel. Io non posso guarirti,
ma gli angeli… se glielo consegni, ti ricompenseranno. Con
la salute. E il Paradiso.”
Leon
sospirò, speranzoso. I libri di suo padre non parlavano
molto degli angeli, probabilmente perché gli stregoni erano
piu’ interessati alle loro controparti infernali. Ma lui non
voleva avere niente a che fare con quelle creature violente: lui voleva
solo sopravvivere. E, possibilmente, non finire ai piani bassi a
prendere il tè con Satana.
Il problema
maggiore era che, stando a quanto diceva Shurley, quel Castiel aveva
una fortuna sfacciata.
Inoltre,
Leon aveva la bruttissima sensazione che quel tale Dean Winchester lo
avrebbe fatto a pezzi senza troppi complimenti se avesse fatto del male al suo angioletto preferito.
Mentre ragionava su come sbrogliare quella matassa, i suoi piccoli
occhi corsero sulla pergamena con la trascrizione: fu così
che ebbe l’idea di spalancare le porte del Limbo e di
gettarci dentro l’ex-angelo.
La
tavoletta descriveva quel luogo come una fossa senza via
d’uscita, situata nel livello più basso
dell’oltretomba, completamente isolata. Solo lui conosceva il
rituale per aprire e chiudere quelle porte e, una volta dentro, Castiel
sarebbe scomparso, e i Winchester non avrebbero sospettato di lui.
Nei giorni
successivi, Leon organizzò la catena di omicidi
sovrannaturali che, a suo parere, avrebbero attirato l’angelo
caduto. Ma non aveva il fegato di uccidere delle persone,
né la volontà di sporcarsi le mani, per cui
decise di liberare l’entità che aveva sottomesso e
mandarla a svolgere il lavoro.
Il piano di
Leon andò a gonfie vele; come da copione, un fintissimo
agente dell’FBI bussò alla sua porta: una volta
riconosciuto in lui il
famoso Castiel, Leon non impiegò molto per
usare su di lui un semplice incantesimo per farlo assopire.
Stava
già per organizzare il trasporto di quel corpo
semiaddormentato nella segreta, in cui aveva già spalancato
le Porte del Limbo; ma l’entità, apparsa di colpo
nella stanza, catturò la sua attenzione.
“Castiel,”
sussurrò con voce piatta, indicando con l’indice
teso verso l’uomo accasciato a terra.
“L’avevo
capito,” rispose Leon, accigliandosi.
A quelle
parole, lei iniziò a tremare violentemente;
sbarrò gli occhi e spalancò la bocca, mugolando
frasi senza senso e poi, un istante dopo, tornò normale:
“Lascia
che lo uccida,” disse tranquilla.
“Hai
detto che dovevamo consegnarlo agli angeli,” le fece notare
Leon, frugando nella sua tasca.
“No.
Devo ucciderlo,” ribatté a quel punto
l’entità con urgenza crescente nella voce,
“è colpa sua! E’
colpa SUA!”
Leon si
accorse che i vincoli di controllo che aveva imposto su di lei stavano
vacillando, ma non era un problema, perché aveva
già deciso di distruggere
le prove una volta preso Castiel.
Sospirando,
tirò fuori dalla tasca una ciocca di capelli rossi.
L’entità
si calmò di colpo.
“Ho
capito perché non potevi aiutarmi,” disse con
calma Leon, prendendo un accendino. “Tu non sei uno Spirito
Antico, sei solo un fantasma di una povera donna finita nel Limbo. Ho
fatto qualche ricerca su di te. Ho ritrovato le tue ossa e le ho fatte
bruciate,” disse, dando fuoco ai capelli della donna.
“Riposa in pace, Jane.”
“Tornerò,”
gli sussurrò lei con voce dolce, bruciando.
Leon
avrebbe preferito vederla urlare e dimenarsi. Rimase a fissare il punto
in cui scomparve, leggermente scosso da quella minaccia così
velata e tranquilla, poi scosse la testa e chiamò gli uomini
che aveva assoldato, ordinando loro di occuparsi di Castiel.
Per sicurezza, decise che avrebbe continuato a spargere del sale
intorno alla sua casa.
Poche ore
dopo, su richiesta di Bartolomeo, Leon riuscì a catturare
anche Sam e Dean Winchester.
Ma
rinchiudere Dean nel Limbo e Sam nella sua casa non fusufficiente: non
aveva idea di come, ma erano riusciti a fuggire, tutti e tre.
Fortunatamente,
la schiera di Bartolomeo era intervenuta prima che fossero riusciti a
scappare.
Leon, che per dei terribili istanti aveva creduto di aver fallito, mentre attendeva docile l’arrivo di Bartolomeo e del Team Free Will al
completo, non riusciva a smettere di sorridere.
Ancora
pochi minuti, e sarebbe finito tutto.
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Capitolo 17 *** Imperdonabile ***
18
Chiedo scusa.
Volevo chiudere baracca prima del nuovo episodio (perché lo
so che è stupido, ma ho paura che ciò che
accadrà fra Bart e Cas mi farà passare la voglia
di scrivere per giorni), ma non ce l’ho fatta.
Per cui, per
limitare i danni, pubblico adesso quanto scritto finora e, visto che
ormai sono le 2:30 passate, vado a godermi lo streaming della
9x14.
Mi
occuperò del finale di questo tristissimo salto dello squalo (che in verità è l'unica cosa che ho mantenuto della trama che avevo scritto a novembre ma vabbeh xD) e dell'epilogo quanto prima.
*
* *
Sul comodino accanto al letto
di Leon c’era un’orribile abat-jour laccata
d’oro a forma di cervo.
Ariel la
afferrò e la scaraventò sul pavimento senza
troppi complimenti.
“Non posso
crederci!” strillò isterica, “mi assento
un attimo e questa stupida
incontra Castiel!”
L’angelo
chiuso nella stanza con lei, steso a terra in un lago di sangue, emise
un gemito strozzato.
Ariel
sospirò, calmandosi. “Lo so,” gli disse,
come se stesse dialogando con lui, “ma non posso farci niente
se il Re del Limbo mi fa paura. Farebbe paura anche te, se avessi
trascorso diecimila anni con lui.”
L’angelo
tossì e rotolò su un fianco, ignorando il fatto
che il suo tramite stava soffocando nel suo stesso sangue. Era stato
colto di sorpresa: non si aspettava che dentro l’essere umano
che gli era stato ordinato di osservare ci fosse quel mostro
addormentato.
Non appena
riuscì a mettersi seduto, aprì e chiuse
più volte il pugno destro, ma non accadde nulla.
“Cerchi
questa?” gli chiese Ariel, annoiata, mostrandogli la sua
spada angelica. Gliela conficcò in mezzo alla fronte ancor
prima che lui riuscisse a provare terrore.
L’essenza
dell’angelo venne strappata via dal tramite e si dissolse.
Ariel estrasse lo
spadino e osservò la lama sporca di sangue. Di colpo,
curvò le labbra all’ingiù’.
“Ti prego di scusarmi,”disse, dispiaciuta, al
cadavere della sua sentinella, “ma ho davvero un
po’ di cose da fare adesso.”
*
Quando Dean, Sam e
Castiel varcarono la soglia dello studio dello stregone, Leon si
voltò di scatto verso di loro. In quell’ultima ora
era rimasto seduto sul divano di pelle nera al centro della stanza
senza fiatare, così come gli era stato ordinato dagli angeli.
Bethael lo
ignorò e chiuse la porta, lasciando la loro scorta
all’esterno. Raggiunse la scrivania disposta davanti alla
finestra e incrociò le braccia dietro la schiena, restando
in piedi accanto alla sedia vuota.
Leon provò
a rivolgerle la parola, ma lei gli lanciò
un’occhiata così gelida che l’uomo
rinunciò ancor prima di iniziare.
I tre prigionieri,
dopo essersi scambiati uno sguardo incerto, studiarono la situazione.
La prima cosa che
notarono fu l’assenza del famoso Bartolomeo. La seconda fu
l’atmosfera oppressiva che permeava quel luogo: si trattava
di un normalissimo studio – pulito, molto luminoso, arredato
con uno stile moderno ed elegante – eppure, c’era
qualcosa di terribilmente sbagliato in quei pochi metri quadri.
Sam e Dean conoscevano
quella sensazione: la provavano ogni volta che entravano in un luogo in
cui era stata praticata della magia nera.
“Quindi
adesso siamo finiti nella versione infernale di The Apprentice,[1]”
commentò Dean per spezzare la tensione, non sapendo
cos’altro fare. Stanchi e privi di armi, erano in balia degli
angeli e senza idee su come tirarsi fuori da quella situazione.
“E lui
sarebbe Donald Trump?” scherzò Sam senza allegria,
indicando con lo sguardo Leon, che sembrava
essere terrorizzato dalla loro presenza.
“No,
fratellino. Tu non te lo ricordi, ma quello è L-”
“…Lu…no…L-Leon?”
“Stavo per
dire 'l'idiota che
ucciderò con le mie mani',”
borbottò Dean solo per spaventare l’uomo,
“ma va bene lo stesso”. Squadrò ansioso
il fratello. “Come ti senti? Ti è tornata la
memoria?” gli chiese.
Sam si
massaggiò le tempie con aria sofferente e non rispose.
“I ricordi
sono come gli anelli di una catena,” osservò
Castiel, distogliendo per la prima volta l’attenzione dalla
stanza. “Basta afferrarne uno e gli altri inizieranno a
riemergere di conseguenza.”
“Ariel,”
mormorò Sam di colpo.
“Cosa?”
“Dean,
quella ragazza che era con noi...era…
è…un angelo…?” gemette.
Sembrava abbastanza confuso, per cui il fratello gli scoccò
un’occhiata poco convinta.
“E’
possibile?” chiese a Castiel.
L’angelo
strinse gli occhi. “Quella donna era singolare, ma non credo
che…” lasciò cadere la frase, incerto.
“Sam, hai detto… Ariel?”
“Sì,”
annuì lui, cercando di concentrarsi.
“Era una di quelle fan di Supernatural che tifano
per… Sam per
Dean. Come Becky, Dean, ti ricordi? E, Cas, ora che ci
penso… credo che ce l’avesse a morte con
te.”
Castiel scosse la
testa. “Sam, io non conosco nessun angelo di nome
Ariel,” ammise.
Dean
sospirò esasperato.
“Non me lo
sono sognato!” protestò il cacciatore
più giovane.
La discussione
terminò lì perché, un attimo dopo, un
angelo fece il suo ingresso nella stanza. Il suo tramite era un uomo
biondo attraente, sulla quarantina; il suo fisico asciutto era avvolto
in un vestito d’affari semplice ma visibilmente costoso e,
quando i suoi occhi azzurro ghiaccio si posarono su di loro, Sam e Dean
avvertirono l’impellente bisogno di inchinarsi.
Durò solo
un istante, poi tutto tornò normale.
“Bartolomeo,”
spiegò Castiel, con voce traboccante di devozione.
L’hashmallim
sedette alla scrivania, accanto al suo luogotenente. Notando gli
scaffali pieni di libri di magia nera, storse un poco gli angoli della
bocca, anche lui in evidente disagio.
“Cerchiamo
di fare in fretta,” disse a Bethael in tono composto e
professionale.
“Mi
scusi,” si intromise Leon tossicchiando. Si
avvicinò alla scrivania abbastanza da poter posare i palmi
sul legno laccato. “Lei è Bartolomeo,
vero? Abbiamo parlato al telefono qualche ora fa. Come mi ha chiesto,
io ho…”
Bartolomeo
sollevò una mano e non fu chiaro se Leon smise di parlare di
sua spontanea volontà o se qualcosa lo costrinse a farlo.
Ad ogni modo,
l’uomo indietreggiò di un passo e ricadde seduto
su una delle due sedie alle sue spalle, le labbra serrate.
Bartolomeo si
focalizzò su Castiel. “Castiel, quanto
tempo,” lo salutò con un sorriso ipocrita.
“L’ultima volta che ti ho visto, Naomi ti stava
supplicando di non tradirci. Dimmi, sei soddisfatto della scelta che
hai fatto? Ti stai divertendo?”
L'angelo, in risposta,
scosse la testa in modo impercettibile. Era stranamente disorientato e
sembrava che fosse quasi sul punto di piangere.
Dean roteò
gli occhi. “Ne hai ancora per molto, coglione?”
disse a Bartolomeo.
Bethael
trasalì come se qualcuno l’avesse appena
pugnalata, ma l'ex-apostolo rivolse a Dean un’occhiata che si
potrebbe definire divertita.
“Chiedo
scusa?”
“Sì,
andiamo. Torturaci,”
proseguì il cacciatore, lottando contro l’istinto
di prostrarsi a terra e chiedere perdono. “Uccidici tutti e
facciamola finita qui. E’ questo quello che vuoi fare,
no?”
Bartolomeo
continuò sorridere. Il suo sorriso era così
perfetto ed educato da essere spaventoso.
La sua reazione
mandò Sam in un panico silenzioso, ma Dean non si
lasciò intimidire e mantenne la testa alta.
Alla fine, Bartolomeo
si alzò dalla scrivania e iniziò a camminare
verso di loro, senza interrompere neanche per un istante il contatto
visivo. Per
dei lunghissimi secondi, il rumore dei passi dell’angelo e i
respiri nervosi dei due cacciatori furono gli unici suoni a riempire la
stanza.
Bartolomeo
materializzò la sua spada angelica e la tenne in equilibrio
fra le dita affusolate per mostrarla a Dean.
“Sai come si
chiama questa?” gli chiese, quando gli fu di fronte.
“Il suo nome è Misericordia [2],”
si rispose subito dopo. “E’ un’arma
benedetta da nostro Padre. Voi mortali, nel passato, la usavate per
uccidere i servitori di Dio gravemente feriti in battaglia, in un atto
di compassione. Vedi, Dean, utilizzare Misericordia per torturare
significherebbe dissacrarla.”
Lui sbuffò
una risata ironica. “Lo terrò a mente quando te la
infilerò su per il–“
“Dean!”
lo richiamò Castiel, interrompendolo.
Lui si
voltò a guardarlo. “Ma sei impazzito?!”
mormorò, incredulo. Fu solo in quel momento che si rese
conto che il suo compagno gli stava rivolgendo uno sguardo tanto
confuso quanto sconvolto. C’era una sorta di battaglia
interiore dentro di lui – ed in effetti, realizzò
Dean, se la sola presenza di Bartolomeo non lasciava indifferente lui
stesso, figuriamoci cosa doveva provare Castiel di fronte al suo
superiore. Gli lanciò comunque un’occhiataccia.
“Winchester,
che esseri peculiari. Ammetto che all’inizio non eravate fra
i miei interessi,” dichiarò Bartolomeo,
allontanandosi, “ma ho cambiato idea.”
“Che cosa
vuoi da noi ?” domandò Sam.
Bartolomeo
indicò loro il lussuoso divano lì vicino.
“Sedetevi.”
Sam, Dean e Castiel
eseguirono l’ordine con riluttanza, e ben presto le molle
sensibili del divano cigolarono rumorosamente sotto il loro peso.
Bartolomeo si accomodò sulla poltrona di fronte:
appoggiò il gomito sul bracciolo e accavallò le
gambe, accarezzandosi il mento ben rasato.
“Come
sapete,” esordì dopo una pausa, “noi
angeli stiamo cercando dei tramiti. La maggior parte delle gerarchie
minori è riuscita a trovarne di dignitosi, ma noi hashmallim
stiamo incontrando delle difficoltà. Il nostro potere
è troppo grande per essere contenuto in un generico
involucro umano. Io stesso ho faticato enormemente per trovare
questo,” disse, indicando l’uomo che stava
indossando. “Al momento, sono l’unica
dominazione a camminare sulla Terra.”
“Che
peccato,” mormorò sarcastico Dean.
“E
quindi?” chiese invece Sam, sospettoso.
“Voi
Winchester siete dei tramiti molto potenti,”
tagliò corto Bartolomeo, “ospiterete
l’essenza di due hashmallim.”
“No,”
si lasciò sfuggire Castiel, impallidendo.
Bartolomeo gli rivolse
un altro dei suoi larghi sorrisi di circostanza.
“Forse non
lo sai, Bart, ma io e mio fratello abbiamo rifiutato degli arcangeli,”
rispose Dean con particolare strafottenza. “Perché
dovremmo dire di sì a delle toffolette?”
L’angelo non
colse la battuta, o forse decise di passarci sopra.
“Perché la situazione è
drammatica,” rispose, accigliandosi. “Appena fuori
da qui, migliaia di angeli smarriti stanno generando il caos. Sono
soli, disperati, del tutto fuori controllo. Ad esempio, in questo
momento,” proseguì, socchiudendo gli occhi,
“quella che voi chiamate 'radio
angelo' mi sta informando che la guarnigione medica dei
Rit Zien sta uccidendo tutti gli esseri umani con un'anima ferita,
perché non riesce a capire come guarirli.[3]”
Sam e Dean lanciarono
uno sguardo interrogativo a Castiel, che confermò la notizia
con un cenno desolato.
Dean gettò
le spalle contro lo schienale della poltrona e imprecò a
bassa voce.
“Il compito
di noi dominazioni è quello di assicurare l’ordine
delle cose. Io, da solo, non posso badare all’intero pianeta,
ma, se riuscissi a far manifestare i miei fratelli, insieme potremmo
fermare questa follia. Organizzeremmo le schiere angeliche, placheremmo
le violenze; ci occuperemmo dei demoni e dei mostri. Abbiamo perso il
nostro Paradiso, ma possiamo ricrearne uno in questo mondo.”
“Un Paradiso
governato da voi,” concluse Sam in tono piatto.
“Ovvio.”
“E se ci
rifiutassimo?”
“Continuerò
a cercare dei contenitori utilizzando i miei metodi,” rispose
Bartolomeo senza battere ciglio, rialzandosi in piedi. Si rivolse
finalmente a Leon: “Tu hai detto di essere malato,”
gli disse, e lui annuì rapido. “I miei fratelli
possono guarirti dall’interno, ma, affinché
ciò avvenga, devi dar loro il permesso di entrare dentro di
te.”
Leon non ci
pensò neanche per un secondo.
“D’accordo,” dichiarò.
Bartolomeo
allargò le braccia e recitò la giusta preghiera
di invocazione: un’essenza angelica si manifestò
nella stanza e discese sul giovane uomo.
“Aspetta!”
gridò Castiel balzando in piedi, ma l’angelo si
era già infilato nella bocca di Leon.
All’inizio,
non successe niente. L’istante dopo, però, il
corpo dell’uomo non riuscì a sopportare la
presenza dell’angelo al suo interno ed esplose come un
palloncino troppo gonfio. Sam e Dean si ritrovarono ricoperti di sangue
e pezzi di interiora, nonostante Castiel avesse tentato di fare del suo
meglio per coprirli con il suo corpo, abbassandosi su di loro.
Sam lo
scansò, scattò in piedi e prese a tossire,
cercando di sputare fuori qualcosa che gli era finita in bocca. In
generale, frammenti di pelle, ossa e organi erano schizzati
dappertutto, sporcando ogni singolo centimetro della stanza.
Il vestito di
Bartolomeo era rimasto immacolato. L’angelo tirò
fuori dalla tasca un fazzoletto profumato e si rinfrescò il
viso. “Neanche lui era un buon contenitore. Andrà
meglio al prossimo tentativo,” constatò, beandosi
dello sguardo scioccato dei due cacciatori. “Continuiamo il
nostro discorso da un'altra parte, per favore? Non credo ci siano
più sedie pulite,” disse poi. Diede loro le spalle
e scivolò fuori dallo studio.
Castiel era ancora
chino su Dean. “Vi sta provocando,”
riuscì a sussurrargli.
“Tu dici,
Patrick Jane?” replicò lui amaramente. [4]
“Stai
calmo.”
Dean
digrignò i denti. Sam, da quando si era ripreso, era un
pendolo che oscillava fra il terrore e lo sconcerto, complice anche il
suo vuoto mentale. Lui, invece, era frustrato e palesemente agitato.
Nelle ultime ore aveva subìto troppo, e le ultime
novità di Bartolomeo erano state solo un ulteriore trauma da
aggiungere alla lista dello schifo generale che Dean giudicava essere
era la sua esistenza.
Per lui, sarebbe stato
meglio se quell’angelo si fosse rivelato un semplice pazzo
sadico. Lui e Sam avevano rifiutato la sua richiesta a prescindere, ma
Dean non era affatto sicuro di aver fatto la cosa giusta: si sentiva
come ai bei vecchi tempi dell’Apocalisse, quando la gente
moriva a dozzine ogni volta che lui ripeteva il suo ostinato ‘no’ a
Michele.
“Muovetevi,”
ordinò Bethael con voce ferma. Li aveva raggiunti e
sfiorati, facendo tornare i loro vestiti come nuovi.
Non avendo
nessun’altra scelta, Sam, Dean e Castiel furono costretti ad
obbedire.
Bartolomeo aveva
deciso di attenderli nell’immenso salone che aveva ospitato
la festa di quella notte; quando Sam, Dean, Castiel e Bethael lo
raggiunsero, lui era fermo ai piedi degli scaloni di marmo in fondo
alla stanza; era impegnato ad ammirare i giochi di luce che i cristalli
del sontuoso lampadario appeso alcuni metri sopra di lui creavano con
le luci del sole appena sorto.
L’ambiente
era freddo e il silenzio che aleggiava nella casa era innaturale.
C’erano
almeno dieci angeli in quel salone; uno di essi si avvicinò
a Bartolomeo e gli porse una scatola di legno.
“L’abbiamo recuperata nel sotterraneo,”
spiegò.
L’hasmallim
la aprì e ne estrasse la Colt. La rigirò fra le
dita con poco interesse e poi la rimise a posto.
“Quest’arma è pericolosa. Va fatta
sparire, ma ci penseremo dopo.”
L’angelo
fece un cenno affermativo e poi si allontanò, con la scatola
ancora fra le mani. Sam seguì i suoi movimenti con la coda
dell’occhio e tirò una gomitata al fratello, che
annuì in risposta.
Se fossero riusciti a
creare abbastanza casino da arrivare a mettere mano su quella
pistola…
“E’
un piano ridicolo,” osservò Bartolomeo, serafico,
senza neanche girarsi a guardarli.
Quella fu la goccia
che fece traboccare il vaso.
“D’accordo,”
esordì Dean, muovendosi a grandi passi verso
l’angelo. “Ascolta, figlio di
puttana…”
Un istante dopo, il
cacciatore fu costretto a fermarsi. Tirò indietro la testa
d’istinto, ma non riuscì a capire subito
perché l’aveva fatto.
Dean
impiegò qualche secondo per realizzare che un qualcosa era
apparso a pochi centimetri dalla sua gola. Non riusciva a vederlo, ma
percepiva chiaramente la sua presenza: era un oggetto piccolo, gelido e
molto potente.
Fece corre lo sguardo
verso Bartolomeo e scoprì che l’angelo si era
voltato di profilo verso di lui; aveva allargato le gambe,
sollevato un braccio e teneva le dita chiuse in un pugno largo.
A giudicare dalla
distanza e dalla posizione che aveva assunto, Dean capì che,
per quanto assurdo fosse, Bartolomeo gli stava puntando contro una
lancia invisibile lunga almeno un paio di metri.
Dietro di lui, Sam si
voltò verso Castiel in una muta richiesta di spiegazioni, ma
l’angelo teneva gli occhi fissi sulla scena e
sembrò non accorgersi di lui. Anche Bethael era rimasta a
bocca aperta, e per questo motivo Sam capì che
quell’arma incorporea, qualunque cosa fosse, era qualcosa di grosso.
“Heilige
Lanze,” sussurrò Bartolomeo con dolcezza.
“La Lancia Sacra,” tradusse poi. “Quella
vera [5].
Non che mi aspettassi che voi mortali sareste riusciti a
vederla.”
Bartolomeo
abbassò il pugno e Dean avvertì la punta della
Lancia allontanarsi dal suo collo. “Non potete sperare di
sopraffarmi,” disse semplicemente. “Quanto a Leon
Reynolds, era corrotto dal sangue di uno stregone e meritava di essere
distrutto. Ma molti altri esseri umani no, e so che voi ci tenete a
loro.”
Quindi erano
già passati ai ricatti. “Vaffanculo,”
rispose Dean con fin troppa rapidità.
“Capisco. E
tu, Castiel, cosa ne pensi?”
In un lampo di panico
del tutto irrazionale, Dean si chiese se Bartolomeo avesse intenzione
torturare a morte Castiel per costringerli a dire di sì.
Lui parve pensare la
stessa cosa. “Se vuoi uccidermi, fallo e basta,”
rispose con voce sommessa.
“Credo che
ci sia un equivoco, fratello. Quello che ho detto ai Winchester vale
anche per te,” spiegò l'ex-apostolo.
“Vedi, è colpa tua se siamo caduti e
ciò ti rende virtualmente imperdonabile. Ma il tuo tramite
non merita di essere sprecato in questo modo; per cui, ho
deciso che riconsegnerai la Grazia che hai rubato e ti concederai a
Zadkiel.”
Castiel perse ogni
traccia di colore sul viso.
“Ed ora chi
sarebbe questo stronzo?” domandò Dean con
disprezzo.
“Zadkiel,”
lo corresse Bartolomeo. “E’ l’angelo che
ha impedito ad Abramo di uccidere Isacco.” Ignorò
il fatto che Dean avesse alzato gli occhi al cielo.
“E’ il comandante di noi dominazioni,”
continuò a spiegare, “l’Angelo del
Perdono.”
Castiel era incredulo.
“Vuoi farmi davvero
possedere da Zadkiel?” domandò.
“Sì.
Ironico, vero?” sussurrò dolcemente Bartolomeo.
Dal modo in cui iniziò a muovere le mani, Dean e Sam
capirono che aveva preso a giocherellare con la Lancia, facendola
roteare con casuale destrezza. Di colpo, la puntò verso
Castiel. “Tu ce
lo devi,” proferì, grave,
“quindi acconsenti.”
Lui si morse le
labbra, respirando forte. I due cacciatori sapevano che stava cercando
di combattere contro l’aura di obbedienza e rispetto che
emanava Bartolomeo, ma non osarono parlare.
Castiel strinse i
pugni e solo dopo molti secondi osò sollevare lo sguardo sul
suo superiore. “Fottiti,” scandì, anche
se con voce tremante.
Dean si
lasciò sfuggire una risatina soddisfatta.
Bartolomeo, che
evidentemente non si aspettava di essere respinto in quel modo, storse
le labbra e, per la prima volta dal loro incontro, iniziò ad
incupirsi. Fece un cenno a Bethael e lei materializzò la sua
spada.
L’angelo
sembrò decisamente contenta di poter finalmente affondare la
sua lama nella carne di colui che l’aveva fatta cadere.
Trapassò il fianco di Castiel in un punto non
così importante da ucciderlo, ma delicato abbastanza da
farlo gridare dal dolore e cadere in ginocchio.
Dean scattò
automaticamente verso di lui, ma due seguaci di Bartolomeo gli presero
le spalle e lo mantennero fermo. “Avevi detto che non ci
avresti torturato!” ringhiò allora il cacciatore,
furioso.
“Infatti
quella era una punizione,” precisò lui in tono
neutro.
“Siete
davvero degli stronzi, sapete?” incalzò Sam,
mentre veniva a sua volta immobilizzato.
“Può
darsi. In ogni caso, voi tre verrete con me. Sono sicuro che prima o
poi riuscirò a farvi cambiare idea.”
“Sei
un…”
“…dominatore,”
terminò Bartolomeo, aggiustandosi la giacca, “e
ottengo sempre quello che voglio.” Raggiunse Dean e gli prese
il mento fra le dita, costringendolo a guardarlo in faccia.
“E, tu, invece, cosa sei, Dean? Pensaci. Puoi scegliere di
farti purificare dalla presenza di uno di noi oppure distruggere il
mondo, perché temo che sia questo ciò che finirai
per fare.”
“Devo
dirtelo, Bartolomeo,” si intromise a quel punto una voce
femminile sopra le loro teste. “Eri partito bene, ma ora sta
diventando una noia totale.”
L’hashmallim
lasciò andare la presa su Dean e portò lo sguardo
sul punto in cui proveniva quella voce.
Seduta in equilibrio
sulla cima della balaustra, c’era Ariel. L’angelo
teneva le mani poggiate sulla ringhiera e li stava guardando,
probabilmente da tempo.
“Che
razza…” sobbalzò Bartolomeo, sorpreso
dal fatto di non essersi accorto prima di quella presenza,
“che razza di abominio sei tu?”
Dean parve stupito dal
fatto che Sam non si fosse sognato che la sorella di Leon fosse un
angelo. Non era però certo se quella era una buona notizia o
meno. Cercò di approfittare della distrazione di Bartolomeo
per liberarsi, ma la presa dei suoi sottoposti era di marmo e, per
quanto il cacciatore tentasse di strattonarli, non riuscì a
farli smuovere di un millimetro.
Dal canto suo Sam,
dopo un primo attimo di incertezza, fece l’unica cosa sensata
che gli venne in mente.
“Ehi,
Ariel!” gridò. “L’hai sentito?
Bartolomeo vuole usarci come tramiti!”
“Che idea
stupida,” osservò lei. “Io ne ho una
migliore.”
Sparì con
un frullio d’ali per ricomparire al centro nella stanza, e a
quel punto sorrise. “Tutti gli angeli muoiono!”
esclamò. Sollevò la mano e una luce argentea e
accecante esplose nel salone con un boato.
Dean e Sam serrarono
gli occhi d’istinto e non osarono aprirli nemmeno quando
sentirono la presa degli angeli svanire dai loro corpi. Udirono delle
grida sconnesse e dei tonfi sordi, e solo quando la situazione
tornò stabile si resero conto che tutti i subordinati di
Bartolomeo erano stati letteralmente spazzati via, ed
ora giacevano immobili al suolo.
I due cacciatori non
ebbero il tempo di allietarsi della cosa perché si accorsero
presto che Castiel aveva subito la stessa sorte.
“Maledizione,”
sibilò Sam in un sussurro colpevole, ma Dean non lo
sentì perché si era già precipitato
verso il suo compagno.
La visione periferica
del cacciatore biondo registrò a malapena
l’immagine di quella Ariel
che, dall'altra parte del salone, rovesciava la testa e scoppiava in
una risata degna di un pessimo film horror.
Castiel era stato
scaraventato contro la parete dietro di lui ed era scivolato a terra
inerte. Aveva gli occhi semichiusi e il respiro assente. Dean non aveva
idea di come funzionassero gli angeli, per cui lo scrollò
più volte, ma senza successo. Spaventato, gli prese il viso
fra le mani e chiamò il suo nome e sì
calmò solo quando lui riprese i sensi.
“D-Dean,”
mugolò l’angelo in un sussurro appena percepibile.
Dean
esaminò il suo corpo in cerca di ferite, ma non
trovò nulla. Persino quella che Bethael gli aveva inflitto
era scomparsa, probabilmente a causa dei sigilli sul suo bracciale.
Tutto sommato, Castiel
se l’era cavata bene rispetto ai suoi fratelli: gli altri
angeli erano ancora a terra e privi di sensi. Due di loro non ce
l’avevano fatta, e i resti delle loro ali spezzate stavano
bruciando il pavimento e le finestre.
Bartolomeo era
l’unico angelo che era riuscito a mantenersi in piedi. Aveva
i pugni serrati sulla Lancia, che a quanto pareva aveva piantato a
terra e usato come appoggio per non lasciarsi trascinare via. Ansimava,
aveva i capelli spettinati e il bel viso contorto in
un’espressione sfinita.
Dean non
osò immaginare che tipo di potere potesse aver causato una
devastazione tale in così pochi secondi.
“Chi diamine
è quella?” domandò a Castiel, mentre
Sam li raggiungeva.
L’angelo,
indebolito e incatenato dalle restrizioni, avvertì il
controllo che aveva sulla sua Grazia vacillare, ma cercò
ugualmente di usarla per esaminare Ariel.
Scoprì che
il suo vero aspetto era del tutto simile a quello di un umano, ma,
dalla sua schiena, dipartiva una grossa protuberanza dotata di tre
teste deformi che si dimenavano sofferenti; Ariel, inoltre, aveva una
sola ala composta da piume aguzze e completamente marce. La sola
presenza di quell’essere rivoltante faceva contorcere
dolorosamente la Grazia di Castiel, causando all’angelo una
fitta di disgusto quasi palpabile. Il suo tramite doveva aver reagito
in modo strano, perché Dean iniziò a scuotergli
le spalle.
“Ehi, ehi,
Cas, resta con noi!”
Castiel non riusciva a
coordinare bene i pensieri, ma si rese conto che doveva avvertire Dean
e Sam del pericolo. “No…” disse
con voce flebile, “…n-non è
un angelo. Non… del tutto, almeno. Sam, l-lei ti...ti ha
mentito.”
“Che
cosa?!” esclamò lui, sbalordito.
Castiel
cercò di riscuotersi. Ricordava benissimo il giorno in cui
aveva incontrato quell’essere. Era stato alcuni mesi fa, ad
Ojai, in California. Lui si trovava nel caffè che serviva le
migliori crêpes alla mela caramellata del mondo, e lei era
una cameriera sorridente di nome Jane.
Metatron gli aveva
rivelato che era la sua Prima Prova. All’inizio, Castiel
aveva visto solo il suo involucro umano ed aveva creduto che la dolce
Jane fosse solo una vittima sacrificale; ma, quando in seguito lei
aveva mostrato il suo vero aspetto e si era scagliato contro Metatron,
Castiel aveva compreso che era giusto distruggerla, perché
quegli esseri erano dei mostri.
“Nephilim,”
esalò. “Lei… era la progenie di un
angelo ed un umano.”
Dean si
girò a guardare Ariel, che ora li stava osservando da
lontano, in attesa. Aveva smesso di ridere come una psicopatica
già da un paio di minuti. “Hai detto …era?”
disse rapidamente.
“Io…
l-l’ho uccisa, in passato.”
“Stai
dicendo che è mezzo angelo e mezzo umano?!”
domandò Sam.
“Sto
dicendo,” scandì Castiel, cercando di mantenere la
voce ferma, “che è...per metà angelo e
per metà
spirito.”
Il viso di Sam
formò un’espressione di shock che, in
un’altra situazione, sarebbe apparsa decisamente comica.
“Okay, come
la uccidiamo?” chiese invece Dean in tono pratico.
Purtroppo, Castiel non
aveva idea di come farlo. Non sapeva se una spada angelica fosse in
grado di uccidere qualcosa che era già stato ucciso, e lui
era troppo debole e troppo vincolato per riuscire ad esorcizzare Ariel
usando il suo mojo.
Non sapeva cosa fare,
ma sapeva che non poteva permettersi di restarsene seduto in un momento
del genere. Cercò allora di rialzarsi, puntellandosi sui
palmi. Dean lo aiutò ma, una volta in piedi,
l’angelo fu costretto ad aggrapparsi a lui per non cadere a
terra a causa del dolore. Infatti, anche se aveva smesso di sanguinare,
la ferita che gli aveva inferto Bethael continuava a bruciargli il
fianco: probabilmente, era troppo profonda per essere guarita
interamente da un semplice sigillo.
In quelle condizioni,
Castiel si sentiva ancora più inutile di quando era un
essere umano.
Dean parve accorgersi
del suo turbamento e strinse appena la presa che aveva su di lui.
I tre prigionieri non
avevano bisogno di parlarsi per capire qual era il vero problema: se
Ariel era mezzo fantasma perché Castiel l’aveva
uccisa, non avrebbe trovato pace finché non fosse riuscita a
vendicarsi di lui.
In pratica, si
trovavano nella stessa stanza con uno spirito vendicativo con i poteri
di un angelo, così potente da riuscire ad atterrare in un
battito di ciglia un’intera schiera celeste: le
probabilità di uscire vivi da quella casa, se qualche minuto
prima erano basse, adesso erano precipitate al di sotto dello zero.
Quando vide che
Castiel si era rimesso in piedi, Ariel esibì un largo
sorriso allegro e agitò la mano nella sua direzione come per
salutarlo. “Ciao Castiel! Ti ricordi di me? Mi hai rubato il
cuore, tu, ignobile, maledetto imperdonabile bastardo,”
disse, trasformando la voce, man mano che parlava, in un ringhio tetro
e sovrannaturale.
“Lei
intende… in senso fisico,” si sentì in
dovere di spiegare Castiel ai due cacciatori.
“Gliel’ho strappato via.”
“Come hai
fatto a tornare?” domandò poi ad Ariel.
Lei inclinò
la testa, improvvisamente confusa. “Tornare?”
rispose, con voce di nuovo cristallina. “Tornare da dove?
Dove andiamo noi quando moriamo? Io non sono andata né
all’Inferno, né in Paradiso, né in
Purgatorio. Mi sono risvegliata in un posto orribile, e credo di
esserci stata per diecimila anni.” Si portò le mani al
petto, abbracciandosi. “Orribile,”
ripeté, tremando visibilmente.
“Credo che
si stia riferendo a quel Limbo,” sussurrò Sam
all’orecchio del fratello.
“Esagerata.
Sono stato in motel del Texas peggiori,” rispose lui.
“Tu sei un
abominio!” gridò Bartolomeo, in tono velenoso,
dall’altra parte del salone. Si era ripreso abbastanza da
poter restare in piedi senza appoggiarsi alla sua arma. La estrasse dal
pavimento e si incamminò verso la nephilim, furente.
“Sei un difetto che turba l’ordine divino. Era ovvio che non
avresti avuto accesso a nessuno dei regni
dell’aldilà.”
Ariel lo
fissò, stanca.
“L’unica
cosa che meritano quelli come te è essere cancellati da ogni
piano dell’esistenza. E’ per questo che sei
precipitata in quella fossa.”
La nephilim
inclinò la testa nella sua direzione. “Non sei
stato tu a farmi del male,” osservò con
calma.
Bartolomeo si era
posizionato a metà fra lei e i Winchester e Castiel.
Ariel provò
a superarlo ma, dopo pochi passi, si ritrovò la strada
bloccata dall’asta della Lancia.
Voltò la
testa e incrociò lo sguardo minaccioso
dell’hashmallim. I due si fissarono a lungo, studiandosi in
silenzio, ognuno aspettando che l’altro fosse il primo ad
attaccare.
Nel mentre, Sam e Dean
si guardarono in faccia e, di colpo, senza parlare, capirono cosa
dovevano fare.
Il piano era semplice
e cristallino, e poteva riassumersi in una sola parola:
‘Filiamocela.’
**
[1]
The Apprentice, il reality show. Qui abbiamo Briatore, nella versione
americana c’è Donald Trump.
[2]
Personalmente credo che la spada degli angeli sia ispirata a quest’arma,
ma non ho trovato nulla di canon a riguardo quindi boh!
ç_ç
[3]
Vedi episodio 9x06, oppure QUI.
[4]
Protagonista del tf americano “The Mentalist”.
[5]
Heilige Lanze è la famosissimissima Lancia Sacra
.
Ah, Jane invece è QUI; e, yep, l'altro nome che ha scelto ha un suo perché e verrà spiegato giuro dkfslfsdkfjsdlf..
|
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Capitolo 18 *** Over and gone ***
Nota
che continuo a dimenticarmi da tipo 3 capitoli:
Guys
guys guys questa è Ariel, l'ha schizzata Natsu per me
♥
*
* *
Sam e Dean non capirono se fosse stato Bartolomeo o Ariel ad iniziare.
In effetti, non riuscirono
neanche a capire bene cosa stava succedendo
fra loro due, perché i contorni dei loro corpi ardevano di
una luce dolorosa da guardare.
Bartolomeo
maneggiava la Lancia con una destrezza e una naturalezza
tali che sembrava non aver fatto altro per tutta la sua vita:
quell’arma era parte integrante del corpo, e i suoi affondi
erano precisi e violenti. Ariel, dal canto suo, si limitava a
evitare o parare gli attacchi del suo
avversario. L’aria intorno a loro era elettrica e, ad ogni
colpo, i vetri e le pareti tremavano e si
crepavano pericolosamente.
Quando
grossi pezzi di intonaco del soffitto cominciarono a staccarsi e
rovinare ai loro piedi, Sam e Dean si scambiarono uno sguardo ansioso:
sapevano che quella fra Bartolomeo ed Ariel non era una semplice zuffa
fra mostri, ma che quei due erano forze sovrannaturali estremamente
potenti che lottavano fra di loro; loro due e Castiel sarebbero stati
il premio di chiunque avesse vinto.
Bartolomeo
li avrebbe torturati fino a farli supplicare di consegnare i
loro corpi agli angeli; Ariel, invece, innanzitutto avrebbe massacrato
Castiel, e poi chissà cosa avrebbe fatto loro.
La
prospettiva non era allettante in nessuno dei due casi, e fu per
questo motivo che i due fratelli convennero che la strategia migliore
era la cara, vecchia ritirata strategica.
Purtroppo,
il loro piano era irrealizzabile.
Infatti,
era chiaro che Bartolomeo era in seria difficoltà:
l’angelo impegnava ogni singola fibra del suo tramite nel
combattimento, ma riusciva a malapena a scalfire le difese del suo
nemico. Era come se fosse troppo debole o troppo lento, e molto
probabilmente ciò era dovuto al fatto che, a differenza di
Ariel, lui aveva le ali spezzate.
Stando a
quanto Sam e Dean sapevano sulla resistenza degli angeli,
Bartolomeo avrebbe potuto continuare in eterno, ma la verità
era che l’angelo avrebbe continuato finché Ariel
non si fosse stancata.
Sam fu il
primo a comprenderlo e a concludere che, anche se fossero fuggiti, non
sarebbero riusciti ad andare lontano. Scartata l'idea della fuga, il
cacciatore impiegò
tre secondi netti per ricordarsi che la Colt era a una ventina di metri
da loro: la individuò nel lato opposto del salone, ai piedi
di una delle due rampe di scale che si arrampicavano simmetricamente al
piano di sopra, e subito scattò in quella direzione.
“Sam!”
urlò Dean allarmato, non appena
intuì le intenzioni del fratello. Lui era limitato nei
movimenti, perché stava ancora sostenendo Castiel.
Sam lo
ignorò e si concentrò sulla sua missione.
Tenendosi a distanza, riuscì ad aggirare con
facilità Ariel e
Bartolomeo, che parvero non badare a lui.
L’angelo
che custodiva la Colt era disteso sul pavimento di
marmo, cosciente ma apparentemente troppo debilitato o impaurito per
osare muoversi: Sam lo superò e si buttò a terra,
lì dove giaceva la scatola che conteneva l’antico
revolver. La raccolse, la aprì e, ben presto, le sue dita si
chiusero di nuovo attorno all’arma.
Il giovane
ebbe un flashback di quando, solo poche ore prima, aveva
puntato quella pistola al petto di suo fratello, e
gli si strinse il cuore.
Nonostante
i suoi ricordi fossero ancora nebulosi, Sam decise che Dean
ne aveva già passate abbastanza per quel giorno. Non gli
avrebbe fatto rischiare oltre: avrebbe messo lui la parola
‘fine’
a quella storia.
Si era
appena rimesso in piedi quando sentì Dean gridare il
suo nome, facendolo accorgere appena in tempo del pericolo imminente.
Sam si gettò di lato un attimo prima che uno dei grossi
lampadari della stanza si sfracellasse nel punto esatto in cui si
trovava: Ariel vi aveva scagliato contro Bartolomeo, ed ora il tramite
dell’hashmallim era a terra, sanguinante e trafitto dai pezzi
di
cristallo che gli si erano conficcati dappertutto.
Sam
rotolò sul pavimento, coprendosi la faccia per evitare
che i frammenti appuntiti gli finissero in bocca o negli occhi.
Nello
stesso momento, dall’altra parte della sala, Dean
avvertì un sibilo fendere l’aria, e
percepì qualcosa guizzare alla sua destra. Comprese che si
trattava della Lancia di Bartolomeo: lui doveva
averla persa nella concitazione, ma Dean non riusciva a capire se si
fosse infilzata da qualche parte o se fosse finita in mezzo al tappeto
di intonaco e suppellettili spaccate che si erano rovesciate a terra
durante
la lotta. Dean non sapeva cosa fare.
Di colpo,
Castiel premette la mano sul suo petto e spinse forte, costringendolo a
mollare la presa che aveva su di lui.
“Vai da Sam,”
gemette l'angelo. Senza più Dean a sorreggerlo,
ricadde sulle ginocchia, corrugando il viso per il dolore.
Dean
esitò ad allontanarsi da lui, ma decise di dargli
retta.
Intanto,
Sam aveva perso la Colt, che non era più in vista.
I pezzi di cristallo brillante, che adesso occupavano gran parte del
pavimento chiaro, gli avevano ferito le mani ma, per sua sorpresa, i
tagli
guarirono in pochi secondi. Mentre la sua pelle si ricuciva, il
bracciale che gli angeli gli avevano infilato si riscaldò
fino a far avvampare in modo fastidioso un punto imprecisato dentro di
lui.
Sam
capì che era quello a proteggere il suo corpo. Si era
già domandato quale fosse la vera natura di quella banda
metallica, ma adesso il motivo gli era chiaro. Quando la sensazione
sgradevole fu
passata, provò a strapparsi di dosso
quell’oggetto, ma, in risposta al suo primo ingenuo
tentativo, da esso
partì una scarica di dolore così violenta da
togliergli il fiato.
Ariel, nel
frattempo, aveva sollevato di peso Bartolomeo, tirandolo su
per
la camicia stracciata.
“Tu
credi di essere la più forte, vero?”
mormorò lui derisorio, la traccia di un leggero sorriso sul
viso sfregiato dai tagli.
Ariel non
rispose; palesemente annoiata, lo scaraventò a
terra e poi gli diede le spalle, abbandonandolo lì.
Bartolomeo
non si arrese: materializzò nella mano sinistra un
pugnale elaborato e si lanciò contro Ariel per
colpirla. Lei si voltò indietro
all’ultimo momento, stringendo una spada angelica fra le
mani, mirando al suo petto.
Bartolomeo
si spostò di lato ed evitò
l’attacco. Nel mentre, sfiorò un punto preciso
sull’elsa del suo pugnale e, in risposta a quel tocco, quello si aprì di scatto
come se fosse un compasso a tre bracci: Bartolomeo intrappolò
fra le lame la spada di Ariel e, con uno strattone, la
disarmò.
L’hasmallim
caricò un altro fendente, ma Ariel
scomparve davanti ai suoi occhi con un frullio d’ali.
“Perché
voi angeli non mi lasciate mai
in
pace?” si lamentò lei, ricomparendo a tre passi da
lui. Affondò le mani nei capelli e se li
scompigliò, lanciando un grido esasperato. “Se
stato tu a volerlo!” gridò istericamente un
attimo dopo, puntando il dito contro uno sconvolto Bartolomeo.
Gli occhi
chiari di Ariel cominciarono a brillare di una luce argentea,
che si diffuse rapidamente per tutto il suo corpo. Un potere rivoltante
oscurò la stanza, lo spazio intorno a lei si contorse e
distorse in un modo che somigliava al movimento dell’aria calda in
estate; l’ombra della singola ala della nephilim
diventò visibile agli occhi di Sam e Dean.
Bartolomeo
fece un passo indietro, sudando freddo. Il suo istinto
gli diceva di uccidere quell’essere indegno, ma sapeva
benissimo che, allo stato attuale, non era in grado di farlo.
I nephilim
erano dotati di poteri paragonabili a quelli di un angelo,
ma lui ne aveva perso la maggior parte dopo la Caduta. Se
l’avesse attaccata, sarebbe sicuramente morto, e Bartolomeo
era consapevole di non meritare di una fine del genere.
L’angelo
prese la sua decisione: in un tentativo
tanto disperato quanto da vigliacco, mentre Ariel si preparava per
annientarlo, spalancò la bocca ed
evacuò il suo tramite il più velocemente
possibile.
La nephilim
si interruppe e sollevò la testa nel punto in cui
l’essenza di Bartolomeo era sparita. Circondò la
bocca con le mani. “Codardo!” gli gridò
dietro. Avrebbe potuto inseguirlo o fermarlo, ma decise di lasciarlo
andare.
Il corpo di
Bartolomeo ricadde ginocchioni a terra. L’essere
umano al suo interno riguadagnò la sua coscienza: il
pover'uomo ebbe
appena il tempo di notare che le sue mani erano ricoperte di sangue che
si ritrovò davanti Ariel, che si era rannicchiata di fronte
a lui.
“A-Aspetta,”
mugolò con urgenza,
spaventato. Lei gli strinse il collo con una mano e
rilasciò il suo potere nel suo corpo, vaporizzandolo
dall’interno mentre lui strillava e l’odore di
carne bruciata si diffondeva nella stanza.
Quando ebbe
terminato con il tramite di Bartolomeo, Ariel si
rilassò e l’atmosfera divenne meno carica di
tensione. Sospirò e poi, finalmente, si focalizzò
su Castiel. Gli rivolse un sorriso allegro, come se
fosse la sua migliore amica.
“Scusami
se ti ho fatto aspettare,” gli disse,
iniziando a camminare verso di lui. Intrecciò le mani e se
le portò al petto, raggiante. “Sai, mentre ero in
quel posto, ho dimenticato ogni cosa, tranne la necessità
che ho di fare a pezzi la tua patetica, lurida essenza,”
spiegò.
C’era
qualcosa di terribilmente sbagliato nella
felicità innocente con cui stava parlando in quel momento.
Castiel
poggiò una mano sul ginocchio e cercò di
rimettersi in piedi: impiegò fin troppi secondi ed energie
per farlo. Vacillava, ma non si
mostrò spaventato. La sua espressione era ferma e
indecifrabile.
Aggrottò
la fronte quando Dean si mise davanti a lui.
Ariel si
fermò, interdetta. “Lui è mio.
Vattene,” gli ordinò, con voce improvvisamente
bassa e minacciosa.
“Costringimi,
puttana,” replicò lui
sprezzante.
“Dean,”
disse Castiel, nel tono più
deciso che poteva, “è una questione fra me e
lei.”
Il
cacciatore increspò le labbra.
“Quella Meg, in fondo, aveva ragione,”
osservò in tono casuale. “Scusa, Cas. Credo di
essere davvero il tipo geloso.”
Ariel parve
rattristata dal suo comportamento. Abbassò la testa.
“Lo
proteggerai fino a che non ti avrò ridotto in cenere,
vero?” sospirò con una certa rassegnazione,
giocando ad unire gli indici delle sue mani.
“Non
lo so,” la provocò il cacciatore,
“perché non ci provi?”
Uno sparo
riecheggiò nell’aria, ed Ariel
volò via, evitando un colpo altrimenti mortale. Riapparve a
pochi metri di distanza, nel punto da cui era provenuto il suono,
ovvero a metà di una delle due grosse
scalinate di marmo.
“Ciao,
Sam,” sorrise al cacciatore, afferrandogli
il polso che stringeva la Colt. Lo strinse così forte che
Sam fu costretto a lasciare la presa che aveva sull’arma con
un gemito. A quel punto, la nephilim usò la mente per
spingerlo giù dalle scale, facendogli fare un volo di almeno
un paio di metri.
Sam ricadde
miseramente ai piedi della scala.
Dean
schizzò verso di lui, ma Sam se ne accorse e
sollevò un braccio, avvertendolo di fermarsi.
Lui, di malavoglia, lo fece.
“E’
che… avevo visto tuo fratello
restituirti questa cosa,” spiegò Ariel,
imbarazzata, riapparendo a un passo da Sam, facendo ciondolare la Colt
fra due dita. “E ti avevo visto sparire dal mio campo visivo.
Non sono stupida,” disse, offesa, incrociando le braccia. Poi
riprese a puntare Castiel.
Sam si
girò sul fianco e si mise seduto; la schiena gli
doleva, ma sembrava non essersi fatto nulla di grave. Alzò
le mani in segno di resa, sollevandosi in piedi.
“D’accordo,
Ariel. D’accordo, ci
dispiace,” disse, in un fintissimo tono di
scuse.
“Ti
dispiace? Ora
ti dispiace?” sbottò
lei.
“E comunque, non sono Ariel. Il mio nome è
J...Jenny? Come aveva detto, quello?” ci pensò su,
incerta, ma ci rinunciò dopo qualche secondo. “Era
un nome stupido, comunque. Non fa niente. Chiamami Ariel. Mi piace
Ariel.”
Sam
deglutì e fece un cenno affermativo
per assecondarla, come aveva fatto in passato.
“Ascolta,” azzardò, diplomatico,
approfittando del fatto che fosse tranquilla, “riguardo
questa storia, perché non ne discutiamo con calma e
cerchiamo di trovare un accordo?”
Ariel
inclinò la testa, focalizzandosi su di lui. “Come
ai vecchi tempi? Va bene,” disse,
accomodante.
Prima che
Sam potesse aggiungere altro, Ariel lanciò la Colt
a Dean, che la afferrò senza pensarci due volte. Poi
puntò la mano verso Sam, paralizzandolo. “Questo
è il mio accordo,” spiegò, rivolgendosi
al maggiore dei Winchester. “Visto che non vi toglierete
dalle scatole, tu usi l’ultimo proiettile contro
quell’essere schifoso e io lascio vivere
Sammy.”
Castiel
assunse un’espressione smarrita, molto simile a
quella che aveva appena fatto spalancare la bocca di Dean.
Il
cacciatore si riscosse quasi immediatamente. Puntò la
pistola verso di lei. “Sì, beh, io preferisco spararti,”
ammise.
Ariel
soffocò una risatina divertita.
“L’hai appena visto, Dean: io sono più
veloce di qualunque proiettile. Se mi spari, userò Sam come
scudo.”
Dean
aggiustò la mira, le mani che presero a tremare in modo
impercettibile.
“N-Non
dice sul serio,” sibilò Sam,
cercando di combattere il potere che lo teneva immobile.
“L-Lei… n-non ci farebbe m-mai del
male.”
Ariel
scrollò le spalle. “Sam, se tuo fratello non
ha più interesse in te, io non ho più interesse
in voi due,” disse semplicemente. “Allora,
Dean?”
Lui chiuse
gli occhi e abbassò la pistola. “Non
farò una cosa del genere,” dichiarò,
perdendo ogni traccia di spavalderia.
Ariel
alzò gli occhi al cielo,
esasperata.“Andiamo, lo hai già fatto migliaia di
volte. Devo elencartele tutte? Seriamente?”
Uno dei
libri di Supernatural, aperto su una pagina a caso, le comparve
nella mano libera.
Dean
inarcò le sopracciglia e risollevò la Colt,
chiedendosi spaesato se quello fosse il momento buono per spararle. Non
sapeva come comportarsi: oltre ad avere poteri assurdi, quel mostro
sembrava cambiare idea e personalità ogni istante e questo
la rendeva fondamentalmente imprevedibile.
“Dean,”
gli sussurrò Castiel
dietro di lui, poggiando una mano sulla sua spalla, ma in pratica
aggrappandosi ad essa. “Non era così quando
l’ho conosciuta. Credo sia rimasta per troppo tempo nel
Limbo. Quel luogo… l’ha resa instabile. Occupati
di Sam. Io me la caverò.”
Dean
voltò la testa per incrociare il suo sguardo.
L’ultima frase
pronunciata dall’angelo non era un commento di circostanza
fatto per rassicurarlo e poteva leggerglielo negli occhi. La cosa lo
tranquillizzò, perché significava che Castiel
aveva qualcosa in mente. Appariva anche meno provato di poco fa, quindi
era probabile che fosse riuscito a recuperare un po’. Ma,
nonostante questo, Dean non se la sentiva di abbandonarlo. “E
tu credi che io-“
“Mi
sono stancata di questo gioco.”
Ariel mosse
due dita e una luce argentea affilata come una lama
balenò nello spazio fra Castiel e Dean. L’angelo
indietreggiò di un passo, soffocando un gemito, e si
portò una mano sul lato destro del viso. Dean lo vide
premersi il palmo sull’occhio e, mentre osservava le sue dita
macchiarsi di rosso, capì che glielo aveva
leso.
Quella puttana malata aveva osato ferire Castiel agli occhi, e
presto avrebbe finito il lavoro. Il sangue gli ribollì nelle
vene.
“Aspetta,
maledizione!” le gridò,
sentendosi del tutto impotente.
Ma Ariel
sembrò non ascoltarlo: il libro era scomparso e,
adesso, stava fissando Castiel con un’espressione a dir poco
famelica. Dean capì che lo spirito vendicativo dentro di lei
stava prendendo il sopravvento, e che doveva fare qualcosa per
fermarla.
Non si
trattava di scegliere a chi sparare. Era vero, aveva sacrificato
tantissime persone che amava pur di salvare suo fratello, ma stavolta
era diverso. Non solo perché si trattava di Cas, ma
perché, dopo tutto ciò che aveva passato, non
avrebbe potuto sopportare un’altra perdita o un altro senso
di colpa.
Dean non
aveva intenzione di lasciare Castiel, doveva salvare suo
fratello e non aveva il tempo di ideare un piano… per cui
mandò al diavolo ogni logica e decise di fidarsi di Castiel e di
quello che gli aveva detto Sam, sperando che anche loro si fidassero di
lui.
Voltò
le spalle all’angelo e mosse qualche passo
in avanti, verso Ariel, ma si rivolse a suo fratello. “Sam!
Chi
l’avrebbe mai detto che sarebbe successo tutto questo casino
in questo paese bizzarro, eh?” gli disse, sorridendo con
malcelata amarezza.
Lui, seppur
ancora immobilizzato, sgranò gli occhi,
afferrando al volo quel messaggio in codice.
“N-No,”
mormorò, “D-Dean…”
“Sammy,”
continuò l’altro,
lanciandogli uno sguardo colmo di rammarico, “mi dispiace. Ho
fatto del mio meglio, ma ora… vivi la tua vita,”
disse. “Sii felice.”
Ariel si
distrasse dalla sua preda per ascoltare con stupore quella
manciata di parole confuse. Sia lei che il suo tramite avevano letto
tanto sui Winchester, ma… quella voce, e quegli occhi.
Capì subito che quella non era una farsa. I sentimenti di
Dean erano sinceri. Confusamente, realizzò che era questo
ciò che voleva vedere, il sentimento che legava i due
fratelli, un legame che al suo tramite era sempre stato negato, che le
fece dimenticare per un attimo il suo desiderio di vendetta,
proiettandola in una sorta di estasi malata.
Ariel non
ebbe il tempo di incamerare la sensazione che Dean si era
già puntato la pistola alla tempia.
“Fe-FERMO!”
Terrorizzata, d'istinto si sporse verso di lui,
lasciando la presa su Sam. Nel tentativo di salvarlo, puntò
il palmo aperto in avanti e il cacciatore venne spinto brutalmente
all’indietro da una forza invisibile un istante dopo aver
premuto il grilletto.
Dean
batté la testa contro qualcosa di duro, forse un
pannello di marmo o una colonna o una statua, delle ossa nel suo corpo
si spezzarono e per la terza volta in poche ore il proiettile che
avrebbe dovuto ucciderlo non raggiunse il suo obiettivo.
“Sì, credo che sia una
specie di
record, Cas,” pensò delirante un angolo
della sua
mente, prima di spegnersi.
Sam non era
rimasto a guardare la scena: non appena fu libero, si
lanciò a terra con impeto e afferrò il pugnale di
Bartolomeo, deciso a piantarlo nel collo di Ariel.
Sfortunatamente
per lui, lei se ne accorse e glielo fece volare via di
mano con la telepatia, inchiodandolo poi di nuovo sul posto. Ma non si
trattava solo di questo: questa volta, qualcosa dentro di Sam
iniziò a torcersi e a spingere dolorosamente, come se i suoi
organi stessero premendo per uscire dal suo corpo.
“Mi
avete imbrogliato,” constatò la
nephilim, sinceramente sorpresa. Schiuse le labbra, prese un grosso
respiro e, mentre Sam emetteva dei gemiti strozzati e supplici, sorrise
maligna. “Avevo ragione, tu e Dean siete davvero i
migliori,” sospirò entusiasta, stringendo
con lentezza il pugno, intensificando la sua tortura su Sam.
“Ora che
l’ho visto con i miei occhi, posso-”
Ariel
sussultò e mosse un passo breve e forzato in avanti,
verso Sam. Lo lasciò andare di nuovo. Lui la
guardò
incerto, finché non si accorse del buco che le si era aperto
al centro del petto.
Il corpo di
Ariel venne percorso da increspature di luce, e fu in quel
momento che la punta della Lancia Sacra divenne visibile agli occhi del
cacciatore: era la cosa più bella e terrificante che Sam
avesse mai visto, una lancia a tre lame che brillava di luce dorata e
penetrante.
Era stato
Castiel a lanciarla. Sam e Dean l’avevano
dimenticata, e forse anche Ariel. Loro due non potevano vederla, ma
Castiel sì: usare quell’arma per distruggere la
nephilim doveva essere stata la sua idea sin dall’inizio, e i
due Winchester, con il loro diversivo, gli avevano fornito il tempo
necessario per recuperarla.
Ariel
digrignò i denti in un ringhio, cercando di portare una mano
dietro
la schiena per estrarre l’arma.
Castiel non
glielo permise: la raggiunse e afferrò per primo
il manico, spingendo più a fondo. “Tu non li
sfiorerai mai
più,” disse. La sua voce era grave e
furiosa e risuonò nella testa di Sam, spaventandolo.
Ariel
lanciò un ultimo grido, incapace di resistere oltre, e
cedette.
Quando la
luce si fu esaurita, di Ariel rimase solo una statua di
polvere che si sgretolò rapidamente.
Sam
sbatté le palpebre. Così era morta, alla fine.
La Lancia
si consumò e scomparve dalle mani di Castiel con
un tenue baluginio. Sam non lo vide riporla o lasciarla cadere e si
rese
conto che era andata distrutta. Ma la perdita dell’arma
sacra, al momento, era l’ultimo dei suoi pensieri.
“Cas,”
mormorò all’angelo,
grato.
Lui respirava affannosamente
per lo sforzo appena compiuto; si portò una mano sul fianco
ferito e lo strinse, lottando per restare in piedi.
Poi
successe una cosa che Sam non si aspettava.
Senza dire
una parola, Castiel si gettò su di lui e lo
spinse a terra, sulla schiena. Gli afferrò il braccio e Sam
venne investito da una fitta dell’ormai familiare dolore,
stavolta così orribile e violento da farlo a pezzi. Si
propagava nelle
vene, che sembravano voler andare in fiamme, gli lacerava il petto e
saliva su per la gola, graffiava e torceva e lo faceva gridare. Sam
sentì qualcosa squarciarsi e pensò che Castiel
gli avesse strappato via il polso a mani nude. Ma il suo supplizio
cessò di colpo, e il giovane si irrigidì stupito
quando si rese conto che l’angelo aveva semplicemente
frantumato il suo bracciale.
Castiel gli
ricadde addosso senza più forze, il corpo scosso
da tremiti convulsi. Sembrava in preda ad un’agonia ancora
più terribile di quella che aveva provato Sam e teneva la bocca
spalancata in un grido
muto. Tutto il suo viso era contorto in una maschera di sofferenza e
Sam fu sicuro di poter scorgere delle catene vive strisciargli addosso
come serpenti e raschiare la sua carne sotto i vestiti.
Lo prese
per le spalle, cercando di pensare contemporaneamente perché Castiel avesse compiuto un gesto simile e cosa poteva
fare lui per aiutarlo, ma la risposta alla prima domanda
arrivò non appena si guardò intorno.
Gli angeli
della schiera di Bartolomeo. Ora che Ariel era sparita, si
stavano rimettendo in piedi uno dopo l’altro, ed erano
incazzati.
Sam
impiegò pochi secondi per realizzare cosa Castiel voleva
che lui facesse. Senza realmente pensare alle conseguenze, stese a
terra l’angelo e recuperò il pugnale di
Bartolomeo. Incise un lungo taglio sul braccio, calciò via i
detriti dal pavimento costoso e iniziò a lavorare
freneticamente con il sangue che sgorgava dalla sua ferita.
“CHE
COSA AVETE FATTO?!”
Sam sentì Bethael gridare con rabbia, avanzando a
grandi passi con la sua arma in pugno, la voce mutata in un ronzio
acuto che minacciava di fargli scoppiare la testa.
Lui si
portò una mano sull’orecchio e
accennò un sorriso debole e ironico.
“Scusate,
ragazzi. Basta mostri per oggi,” disse, e
premette una mano sul sigillo anti-angelo.
Il consueto
vortice di luce che si sprigionò
spazzò via in pochi istanti ogni singola creatura celeste
nel giro di trenta metri.
Alla fine,
rimasero solo Sam e Dean. La sala, così come gran
parte della villa, era ridotta così male che sembrava vi
fosse scoppiata una bomba.
Adesso era
riempita solo dall’eco dei respiri di Sam, che non
riusciva a credere che fosse davvero tutto finito.
Il
cacciatore si spostò i capelli indietro. Erano zuppi di
sudore. Prese qualche boccata d’aria, poi raggiunse il
fratello e si inginocchiò accanto a lui.
Dean era
ancora svenuto. Giaceva immobile e i suoi occhi erano
rovesciati all’indietro. Un filo sottile di sangue
stranamente diluito gli colava dall’orecchio, nel lato in cui
si era puntato la Colt.
Se si fosse
trattato di un timpano perforato, Sam non si sarebbe
preoccupato; ma Dean non si riprendeva, il suo battito era irregolare e
un liquido denso e incolore continuò a colargli dal naso e
dall’orecchio anche dopo che il sangue si fu asciugato.
“Il danno è
all’interno”,
pensò Sam con orrore. A quanto pareva, la magia degli angeli
si limitava a guarire solo le ferite superficiali. Dean aveva bisogno
di cure immediate.
“Cas!”
gridò disperato,
pur sapendo che era inutile.
“CASTIEL!”
*
*
*
*
*
*
Note
finali:
Giustamente
nei giorni in cui ho il tempo per finire la fanfic io mi
ammalo ç_ç . Non è stato piacevole
scrivere così, ma mi dispiaceva farvi aspettare ancora. Va
beh, è andata.
Spero
di non aver delirato troppo nella scrittura. Per il momento, la
regia mi avvisa che sto delirando nel sonno: pare che stanotte, in un
momento
imprecisato, io abbia gridato:
“No, West, no!”
Non
ricordo assolutamente nulla, ma è bello sapere che il
mio inconscio si preoccupa per la prole di Misha Collins.
Ma
a parte questo. “Funky
town” (paese bizzarro?)
è il codice che usano i Winchester per dire 'ho una pistola
puntata alla testa'.
Il
pugnale di Bartolomeo era un pugnale a seste simile a QUESTO.
E,
no, non sono così crudele da far morire Dean o Castiel
così. Sono ancora tutti vivi e
in salute.
A
tutti i lettori, grazie per essere giunti fin qui!
Ci
si rivede per il
lieto fine
l’epilogo.
|
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Capitolo 19 *** Fuse (è inglese anche se, in realtà, 'fuse' sono le mie sinapsi neuronali) ***
(‘)Not(t)e:
Quando
ho iniziato a scrivere queste pagine, erano solo 3.
POI
NON SO COSA E’ SUCCESSO MA QUANDO HO ABBASSATO GLI OCCHI SUL
CONTAPAGINE ERANO DIVENTATE 15 AKLJKALSFKSASDFA
Also, posticipo
l’epilogo al prossimo giro. E’ brevissimo (stavolta
seriamente), ma non mi andava di metterlo in coda qui… anche
perché devo ancora renderlo in un italiano
leggibile. @_@
Infine,
vi chiedo scusa per il casino di queste pagine: impegni mi
costringono a scrivere da tempo nei pochi minuti fra l’1:00
AM e il mio cedimento fisico (l’asterisco non indica un
cambio di scena… era il tasto che urtava il mio naso quando
crollavo di faccia sulla tastiera).
*
* *
Castiel
riusciva a sentire la voce di Sam: le sue preghiere disperate
risuonavano nella mente dell’angelo in un eco debole e sempre
più lontano.
Il
cacciatore lo stava supplicando di tornare, ma Castiel non poteva,
perché le sue ali erano state spezzate.
Castiel non
sapeva si trovava. Il sigillo attivato da Sam avrebbe dovuto rispedirlo
in Paradiso, ma i Cancelli erano stati sbarrati da Metatron, per cui
lui e i suoi fratelli erano precipitati nuovamente nel mondo terreno,
ognuno in un diverso angolo del mondo.
Castiel
stava ancora cadendo: si era schiantato contro un muro
d’acqua con la forza di una meteora, e da quel momento non
aveva più smesso di precipitare verso il basso,
allontanandosi sempre più dalle preghiere di Sam e
da Dean
Ora, la sua
caduta era lenta e silenziosa; man mano che sprofondava, il peso che
gravava sul suo corpo aumentava.
Ad un certo
punto, la sua schiena si adagiò sul fondo di quella fossa.
Era freddo, buio e un peso immenso premeva sul suo corpo. Se fosse
stato un umano, sarebbe morto schiacciato; ma lui non rispondeva alle
leggi fisiche per cui, ovunque fosse finito, Castiel avrebbe continuato a sopravvivere.
Non aveva
davvero la forza di muoversi. Poco prima, la Grazia di Ezekiel aveva
rischiato di sfuggire dal suo controllo e bruciarlo; inoltre, ne aveva
rilasciata troppa per spezzare il fragile incantesimo che bloccava Sam,
ed era stato punito severamente per questo: le catene avevano scavato
nella sua pelle e lacerato la sua essenza, lasciandolo a terra
devastato dall’agonia, ma non ferito abbastanza gravemente da
ucciderlo.
Tentò
di muoversi, ma una nuova ondata di dolore dardeggiò nel suo
corpo, facendolo trasalire. D’istinto, schiuse le labbra per
esalare un gemito, ma la sua bocca si riempì di un fluido
freddo e disgustoso che scese giù per la gola e invase i
suoi polmoni. La sensazione era fastidiosa, ma l'angelo non poteva far
nulla per evitarla.
Era
prigioniero delle sue catene, disperso in quel luogo oscuro. Non
avrebbe potuto rispondere alle preghiere di Sam neanche se avesse
voluto.
Castiel
desiderò di essere morto.
*
Dean venne
operato d’urgenza al Saint Rose Hospital di Henderson.
Non
riuscendo a svegliarlo, Sam lo aveva caricato sull’impala e
lo aveva trasportato lì, spiegando ai medici che era stato
investito da un pirata della strada.
Dean aveva
riportato svariate fratture e un trauma cranico. L’operazione
alla testa era stata molto delicata, e il chirurgo aveva stabilito che
era necessario procedere con i piedi di piombo. Di conseguenza, Sam
aveva prenotato una stanza nelle vicinanze e aveva avvertito Kevin che
si sarebbero trattenuti ad Henderson ancora un po’.
Sam rimase
seduto accanto al letto di Dean per cinque interminabili giorni: fissava desolato i
tubicini che pompavano nelle vene di suo fratello il mix di anestetici
e barbiturici che lo tenevano addormentato; chiedeva continue
delucidazioni sul suo stato di salute al medico che si occupava di lui;
sobbalzava ogni volta che l’elettrocardiografo emetteva un bip anomalo.
Il tempo
sembrava non trascorrere mai, e Sam lo riempiva cercando di fare mente
locale sugli ultimi eventi: ormai ricordava tutto, ma c’erano
cose che ancora non riusciva a comprendere, come ad esempio il modo in
cui Dean e Castiel erano riusciti a fermare Shahat.
Sam
sospettava che questa parte della storia fosse collegata
all’angelo che, a dire di Dean, si era impossessato di lui.
Il giovane
non ricordava nulla di lui, e si chiedeva cosa fosse accaduto di
così grave da convincerlo a dirgli di sì.
Dean gli
doveva parecchie spiegazioni a riguardo.
C’era
poi un’altra cosa su cui Sam continuava a rimuginare. Dopo
anni di caccia, si era abituato a vedere Dean fare cose stupide, ma mai
avrebbe pensato che sarebbe arrivato al punto da puntarsi la Colt alla
tempia e sparare contro sé stesso con tale
rapidità e freddezza. Lo aveva fatto per creare un
diversivo, ed era questo ciò che terrorizzava Sam: suo
fratello aveva rischiato l’oblio solo per creare un
diversivo. Avrebbe potuto distrarre Ariel in decine di altri modi, ma
aveva scelto il più pericoloso di tutti. Certo, doveva aveva
immaginato che lei lo avrebbe salvato, ma Sam aveva avuto sin
dall’inizio l’impressione che, anche se
così non fosse stato, a Dean non sarebbe importato.
Si chiese
se, dopotutto, il Limbo non lo avesse fatto impazzire, così
come aveva fatto impazzire Ariel.
Non era
sicuro di voler conoscere la risposta.
*
Quando i
medici decisero che Dean poteva uscire dal coma farmacologico, Sam
tirò un sospiro di sollievo.
Dean
riaprì gli occhi tre giorni dopo, mentre Sam era seduto a
due metri da lui con il portatile in grembo: stava digitando le parole
‘strani
avvistamenti di meteore’ sulla barra del motore
di ricerca quando Dean mugolò qualcosa di
incomprensibile e i macchinari che lo circondavano iniziarono a
trillare in modo preoccupante. Nella foga di correre a chiamare gli
infermieri, Sam rischiò seriamente di far cadere a terra il
computer.
*
La prima
cosa che Dean disse a Sam quando tornò ad essere lucido fu
un fiacco: “A-Allora, Sammy… sono… sono
stato convincente?”
“No,
sei stato un idiota,” replicò lui con un sorriso
sfinito.
Dean
ricambiò il sorriso, e poi passò ad esaminare con
lo sguardo la stanza in cui si trovava: era piccola, spoglia e
asettica; al momento, lui e Sam erano gli unici occupanti.
Si
sollevò goffamente per sbirciare dietro le robuste spalle
del fratello.
“Cas
non è qui,” annunciò lui con voce tesa,
intuendo i suoi pensieri.
“Dov’è?
E’… E’ ferito?” chiese Dean
con urgenza, preoccupato dall’espressione funerea
che aveva assunto Sam.
“Non
agitarti. Sei ancora debole,” mormorò lui in tono
evasivo.
“Sam,
che cosa è successo?!”
Il giovane
spinse la sedia vicino al letto e vi si sedette, poggiando i gomiti
sulle cosce. “L’ho mandato via io,”
ammise.
Un lampo di
confusione balenò sul viso scavato di Dean.
Sam gli
raccontò il modo in cui Castiel aveva polverizzato Ariel, e
di come lui era stato costretto a usare il sigillo per
allontanare gli angeli. Mantenne la voce ferma e pacata e non si
dilungò nei dettagli, ma era evidente che le sue,
più che spiegazioni, erano un’ammissione di colpa.
“Ma
il Paradiso è diventato un club privato,”
obiettò Dean debolmente, sfregando le dita sulla barba che
gli era cresciuta mentre era in coma. “Non credo che si possa
entrare senza invito... neanche se vieni sparato lì dentro
con un cannone.”
“Lo
so. Per questo motivo ho ipotizzato che quegli angeli siano ancora qui.
Ma in questi giorni ho setacciato internet e i notiziari,
e…”
“E…?”
Sam scosse
la testa, depresso.
Dean non
parve reagire. “Ah,” constatò,
voltandosi verso la finestra.
Poco dopo,
l’infermiera di turno avvertì Sam che
l’orario delle visite era terminato, e lui fu costretto ad
andare via.
Dean rimase
solo.
*
Insieme
alla coscienza di Dean, tornarono anche i poteri del bracciale degli
angeli. Conscio del pericolo di quell'oggetto, Sam aveva supplicato sin
dal primo momento i medici di non toccarlo “perché era un caro
ricordo di famiglia”, ma adesso dovette
sbrigarsi a trovare il modo di distruggerlo perché, da
quando Dean si era svegliato, gli aghi delle flebo che gli infermieri
cercavano di infilargli nel braccio venivano espulsi spontaneamente
dopo pochi secondi.
La cosa
aveva iniziato ad attirare l’attenzione degli infermieri, e
questo non andava per nulla bene.
Visto che
il bunker distava 16 ore d’auto, Sam fu costretto a lavorare
con Kevin a distanza: barcamenandosi fra cellulare e webcam, i due
riuscirono a trovare un fascicolo degli Uomini di Lettere che sembrava
fare al caso loro. Kevin ripescò dal fondo del deposito del
bunker la lama di ossidiana a cui faceva riferimento la documentazione
e la spedì a Sam con un corriere espresso.
Non appena
Sam segò il bracciale e ne sfilò i resti dal
polso di Dean, lui li scaraventò dall’altra parte
della stanza con un’imprecazione. Era uscito dal coma da meno
di due giorni, ma già non sopportava più
l’idea di dover stare in quel posto.
Dean
firmò le carte per uscire dall’ospedale la sera
stessa e quella notte, quando Sam uscì dalla doccia della
sua stanza nel motel, lo ritrovò seduto sul suo letto a fare
zapping per i canali della TV via cavo alla ricerca di un porno a caso.
*
Un’ora
dopo essere partiti da Henderson, Dean aveva già litigato
tre volte con Sam, che si rifiutava di cedergli il volante.
“Sono
perfettamente in grado di guidare,” protestò il
maggiore per la quarta volta.
“No.
Hai una faccia orribile,” dichiarò
l’altro senza troppi complimenti.
“Andiamo,
Sam, non ti fidi di me?”
“Dean,
come posso fidarmi di una persona che si è puntata una
pistola in fronte ed ha sparato?”
Lui gli
rivolse uno sguardo in tralice. “Già, in fondo
eravamo tutti pieni di idee geniali in quel momento, no?”
replicò a denti stretti.
Sam strinse
il volante, concentrandosi sul lungo serpente di asfalto che si snodava
davanti a lui. Non voleva discutere; erano entrambi troppo provati per
discutere. E poi, Sam sapeva benissimo qual’era il vero
problema di Dean, ma non sapeva cosa dirgli per farlo stare meglio. Un
“mi dispiace
per Castiel” non avrebbe cambiato lo stato delle
cose.
“Sai
benissimo anche tu che non potevamo combattere contro di
loro,” disse alla fine.
“Non
stavo pensando agli angeli,” rispose rapidamente Dean.
Sam emise
uno sbuffo poco convinto. “Senti, starà
bene,” insistette. “Gli è successo altre
volte, ed è sempre tornato. Lo farà anche
stavolta.”
Dean non
rispose. Gettò la schiena contro il sedile
dell’auto e mormorò qualche imprecazione
esasperata.
Non parlarono per molto tempo.
Sapevano entrambi benissimo
che, le altre volte,
Castiel aveva le sue belle ali bibliche, non era stato ferito da una
stronza psicotica e non aveva delle catene che lo torturavano ogni
volta che faceva appello ai suoi poteri.
Le altre volte non
aveva neanche un Apostolo incazzato alle calcagna che voleva
impossessarsi del suo corpo. E, ad ogni modo, non avevano
idea di dove il sigillo lo avesse mandato: per quanto ne sapevano,
Castiel poteva essere benissimo morto.
Dean
deglutì, la bocca improvvisamente impastata.
Non era
riuscito neanche a dirgli addio.
Lo aveva
pregato, mentre era in ospedale. All’inizio si era rifiutato
di farlo e aveva cercato di pensare ad altro: ad esempio, aveva
scoperto che l’infermiera del turno della mattina, oltre ad
essere molto attraente, era una grande fan dei Led Zeppelin. Ma, dopo
un po’, Dean aveva capito che era tutto una farsa inutile.
Aveva lasciato perdere la ragazza e, ben presto, i suoi pensieri si
erano trasformati in implorazioni, ma Castiel non era tornato.
“Non
possiamo farci niente, Sam. E comunque, se si è fatto
ammazzare, sono problemi suoi,” concluse il cacciatore ad
alta voce. Mentiva: se Castiel era stato costretto a tornare ad essere
un angelo e a sacrificarsi, era stato per colpa sua. Era sempre colpa
sua. Si era ripromesso di tirarlo fuori da quel posto e, alla fine, non
solo non era riuscito a salvarlo, ma, a causa della sua stupida
debolezza, lo aveva quasi ammazzato con le sue stesse mani.
Ignorando
la sensazione del cuore che gli si stringeva nel petto, Dean si accorse
che Sam lo stava studiando di sottecchi. Aprì la bocca per
vomitare una qualche battuta sul fatto che, se proprio voleva guidare,
doveva guardare la strada e non il suo bellissimo fratello
maggiore, quando improvvisamente trovò difficile coordinare
le parole. Boccheggiò.
“Ehi,
ti senti bene?”
Il respiro
di Dean divenne rapido e pesante. Le sue pupille si dilatarono, mentre
il controllo che aveva sul suo corpo si allentava. Di colpo, la luce
venne risucchiata via; qualcosa si infranse. Sam scomparve,
così come l’Impala e tutti i suoi pensieri.
Ciò che rimase fu un miscuglio di urla, visioni e impulsi
orribili che gli riempirono la testa in un flusso così
rapido e violento che Dean non riuscì ad elaborare
più nulla. Nel buio, qualcosa allungò le mani
verso di lui e lo afferrò. Terrorizzato, il cacciatore
lottò per divincolarsi, accorgendosi solo dopo molti secondi
che era suo fratello a stringerlo.
Quando
tutto cessò, Dean si accorse che Sam aveva accostato la
macchina sul bordo della strada e che lo stava tenendo saldamente per
le spalle, scuotendolo nel tentativo di farlo tornare in sé.
C’era
orrore nei suoi occhi. Dean lo ricambiò con uno sguardo
incredulo, incapace di comprendere ciò che gli era appena
successo. Si accorse che le sue mani stavano tremando.
“Sto…
sto bene,” gemette. “Va tutto bene,”
ripeté poi, con voce leggermente più ferma.
“Hai ragione, Sammy. Forse è meglio se guidi
tu.”
Sam
allentò la presa su di lui e lo guardò inquieto.
“Ascolta,” iniziò.
“Ti
ho detto che sto bene!” sbottò Dean in
tono nervoso, chiudendo la discussione.
*
Dean non
stava affatto bene.
Con il
passare dei giorni, iniziò ad avere degli attacchi molto
simili a crisi epilettiche. In quei momenti, mentre la sua visione si
oscurava, aveva delle allucinazioni. Le prime volte erano delle
esplosioni di immagini rapide e confuse; ma, pian piano, con
l’aumentare della durata delle crisi, le visioni di Dean
divennero più lunghe, dettagliate e dolorose.
Era colpa
di Shahat. Quando Dean era crollato, concedendogli l’accesso,
quell’essere si era insinuato nella sua anima e
l’aveva spezzata. Aveva scavato, strappato, squarciato e alla
fine era ritornato trionfante in superficie in compagnia di tutti i
traumi, gli orrori e i sensi di colpa che Dean aveva accuratamente
seppellito dentro di sé per anni. Per il Re del Limbo, che
si nutriva di tutto ciò che causava quella roba,
l’anima di Dean era una specie di ristorante di lusso.
La luce
della Grazia di Ezekiel aveva momentaneamente allontanato tutta
quell’oscurità ma, ormai, si era consumata
così tanto da essere poco meno di una fiammella tremolante
in mezzo ad una notte di tempesta.
Così,
ora che le luci si erano abbassate, lo spettacolo era ricominciato:
Dean rivedeva il male che aveva causato, gli errori che aveva commesso,
le anime che aveva torturato. Riviveva tutte le volte in cui aveva
fallito, tutte quelle in cui aveva fatto rischiare la vita a Sam; tutte
le persone che non era riuscito a salvare. Le sensazioni che provava
erano così vivide da essere quasi palpabili. Anche quando la
crisi finiva, i sensi di colpa lo laceravano, i rimorsi lo tormentavano
acuiti e, ogni volta che Dean cercava di soffocarli nel
sonno, si trasformavano in incubi che lo facevano svegliare gridando.
Di giorno,
Dean fissava il vuoto in silenzio per lunghi minuti, facendo
preoccupare Sam. Se lui tentava di parlargli, non provava
più neanche a cercare una scusa, ma si limitava
semplicemente ad ignorarlo.
Ricominciò
a bere. L’alcool riusciva a soffocare gran parte dei suoi
pensieri, trasformandoli in un groviglio indefinito di dolore.
Pregava
Castiel. Non sapeva neanche lui perché continuava a farlo e
spesso, più che di preghiere, si trattava di insulti; ma
sperava ugualmente che, da qualche parte, lui lo stesse ascoltando.
Sam, dal
canto suo, era mortificato. Sentiva che suo fratello era sempre
più assente e lontano e si sforzò di convincersi
che si trattava solo di stress post-traumatico. Cercò di
tenergli la mente impegnata, costringendolo a lavorare con lui sul
problema di Abbaddon. Sam evitava accuratamente di discutere degli
angeli in presenza di Dean, lo trascinava a letto quando era troppo
ubriaco, gli offriva la sua presenza fisica e faceva finta di non
sentire le sue urla durante la notte.
Era
consapevole che ci sarebbe voluto del tempo prima che suo fratello
fosse tornato normale, ma era sicuro che alla fine ce
l’avrebbe fatta perché diamine, si
ripeteva, è
di Dean Winchester che stiamo parlando.
*
Due
settimane dopo, Sam capì che le cose non stavano
così.
Erano in
un’acciaieria abbandonata, sulle tracce di alcuni demoni
molto vicini ad Abbaddon, ma le cose precipitarono e i demoni gli
tesero una trappola. Sam cercò di recitare un esorcismo, ma
perse i sensi quando uno di loro lo sollevò di peso e lo
scaraventò in mezzo ad un ammasso di lamiere arrugginite.
Quando si
svegliò, Dean gli stava fasciando il braccio destro con un
lembo di stoffa.
“Dove…
dove sono i demoni?” gli chiese il giovane, facendo guizzare
gli occhi nella penombra a cui non era ancora abituato.
“Morti,”
rispose apatico Dean, assicurando il bendaggio di fortuna con un nodo.
“Li ho interrogati. Non sapevano dov’era la
stronza.”
Sam
deglutì, individuando a pochi metri da lui il cadavere a
pezzi di uno dei demoni. “Dean… eravate tre contro
uno,” gli fece notare in un sussurro carico di tensione.
Il fratello
gli rivolse uno sguardo vuoto. “E allora?”
*
Qualche
tempo dopo, durante un caso a Lexington, Dean lottò contro
un demone che stava possedendo il corpo di un bambino: gli
squarciò il ventre con il coltello senza battere ciglio, per
poi continuare ad infierire su di lui fino a che Sam non lo
tirò indietro con la forza. Dean reagì come se le
mani di Sam fossero roventi e lo spinse via. Sam lo fissò,
sconvolto, e lui gli lanciò di rimando uno sguardo
così furioso da farlo rabbrividire.
Durò
un istante, poi Dean lasciò cadere il coltello insanguinato
e tornò normale.
Un paio di
giorni più tardi, Sam fu costretto ad allontanarsi per
qualche ora da Dean per incontrare dei cacciatori. Quando
ritornò nel bunker, Kevin era steso a terra in un lago di
sangue e Dean, svenuto, stringeva ancora il coltello nel pugno chiuso.
*
*
Dean si
svegliò di soprassalto, scattando a sedere sul letto. Sudava
freddo e il suo corpo era scosso da brividi. Massaggiandosi le tempie,
emise un gemito lieve. Allungò una mano verso la lampada che
teneva sul comodino, ma la lasciò sospesa a
mezz’aria quando scoprì che non c’era
nessuna lampada, perché non era più nella sua
camera.
La panic
room in cui si trovava era una grossa stanza tonda, fredda e vuota. Lui
e Sam l’avevano scoperta mentre esploravano il bunker, ma non
avevano mai avuto il bisogno di usarla. Sulle pareti di marmo grigio
erano scolpiti simboli esoterici di ogni tipo, mentre a terra e sul
soffitto erano incise delle trappole del diavolo. L’unica
luce disponibile era fioca e fredda e proveniva da due lampade poste ai
lati del portone di ferro su cui Sam stava poggiando la schiena.
Dean si
strofinò la fronte, perplesso. “Che cosa
è successo?” chiese al fratello,
“perché siamo qui?”
Sam non si
mosse. “Hai perso il controllo, e hai colpito
Kevin,” spiegò con calma dopo alcuni secondi, le
braccia incrociate. “Sono stato costretto a portarti
qui.”
“Che
cosa?” esclamò Dean, allarmato. Strizzò
gli occhi, cercando di ricordare ciò che era successo: nella
sua mente, era tutto così irreale e confuso da sembrare un
sogno.“K-Kevin..?” balbettò.
“Io… io ho…?”
“Era
solo questione di tempo,” osservò Sam,
incamminandosi nella sua direzione. “Sei pieno di rabbia,
Dean. Soffri perché continui a tenerti tutto dentro. Se solo
riuscissi ad accettarti per quello che sei...”
“Dov’è
Kevin?” domandò Dean, balzando in piedi.
“L’ho ucciso? L’ho ucciso,
Sam?!”
Sam
curvò la labbra in un sorriso. “Già,
proprio come hai ucciso il povero Cas.”
Il respiro
di Dean si spezzò. “Tu non sei Sam.”
“Non
importa chi io sia. Tu sei maledetto,” sospirò
l’altro, affranto, imitando perfettamente la voce e
l’aspetto di Sam.
“Vattene,”
bisbigliò Dean, stringendo gli occhi.
Sam si
grattò il mento, guardandolo con aria di sufficienza.
“Non avresti mai dovuto uscire dall’Inferno,
fratello mio. Non hai fatto altro che deluderci, in ogni modo possibile
– non sei stato in grado neanche di restare morto,”
lo schernì.
“VATTENE!”
urlò Dean, scagliandosi contro di lui, che lo respinse
usando i suoi poteri demoniaci.
Sam, il
vero Sam, fuori dalla panic room, osservò suo fratello
combattere e gridare contro il nulla tramite la feritoia del portone.
Aveva
commesso un errore; la situazione era peggiore di quanto avesse
immaginato.
Non era
stress post- traumatico, Dean stava impazzendo e lui non aveva idea di
come aiutarlo.
Una parte
di lui avrebbe voluto entrare nella stanza e cercare di
tranquillizzarlo, ma l’altra sapeva che sarebbe stato
inutile. Alla fine, odiandosi, Sam chiuse la feritoia e
lasciò suo fratello solo con i suoi incubi.
*
“Mi
ha attaccato all’improvviso, senza alcun motivo. Era come se
fosse un demone,” raccontò poco dopo Kevin a Sam,
mentre lui gli ricuciva la ferita alla spalla. “Credevo che
sarei morto,” ammise il ragazzo.
Anche Sam
lo aveva creduto. Ma Kevin si era ripreso quasi subito, rispondendo ai
suoi tentativi di rianimarlo, e il cacciatore aveva presto constatato
con sollievo che Dean non gli aveva inflitto dei colpi mortali.
Kevin si era spaventato a morte e ed aveva perso molto sangue, ma,
grazie al cielo, le sue ferite non erano gravi.
“Non
preoccuparti, Kev,” lo rassicurò il cacciatore,
riponendo il disinfettante e le forbici in un cassetto. “Ti
riprenderai. Ora riposa.”
Kevin,
distrutto, fece del suo meglio per trovare una posizione sul letto che
non gli facesse contorcere il viso dal dolore. “Che cosa gli
sta succedendo, Sam?” gli domandò non appena si fu
sistemato.
Lui
corrugò la fronte, aggiustandosi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. “Non lo so. Ma lo
scoprirò.”
*
Sfortunatamente,
le ricerche di Sam non portarono a nulla. Setacciò
l’archivio degli Uomini di Lettere da cima a fondo, ma non
trovò nessuna informazione né sul Limbo
né sui sintomi del malessere di Dean.
Lui
continuava a peggiorare rapidamente. Rinchiuso nella panic
room, era perseguitato giorno e notte dalle sue allucinazioni: non era
in sé per la maggior parte del tempo, mangiava a malapena e,
se Sam provava ad entrare nella stanza, scattava senza esitazione verso
la sua gola con l’intento di ucciderlo.
Le ricerche
di Sam arrivarono ad un punto morto tale che il cacciatore
iniziò seriamente a considerare la possibilità di
chiedere aiuto a Crowley, che tenevano ancora prigioniero.
L’ennesima
notte in cui le urla di Dean riempirono il bunker, Sam scese nel
sotterraneo in cui era rinchiuso il Re dell’Inferno, ma si
fermò un istante prima di aprire la cella del demone:
realizzò che la situazione era disperata, ma che stringere
un patto con Crowley era un'eventualità inaccettabile in
ogni caso.
Sam
tornò alla panic room e si accasciò contro il
portone, ascoltando impotente la voce singhiozzante di suo fratello
dall’altra parte dello stipite. Rovesciò la testa
verso il soffitto.
“Castiel,”
mormorò. “Dean sta male. Molto male. Ha bisogno di
te. Ti prego, se sei ancora vivo, torna.”
*
Dean perse
la cognizione del tempo. Ormai passava da incoscienza a
realtà a sprazzi e non capiva più cosa fosse
reale e cosa no.
Il dolore che le sue visioni gli infliggevano era così
grande da essere tangibile, e lo faceva a pezzi. Aveva trascorso
quarant’anni all’Inferno, ma quello che stava
vivendo… riusciva ad essere anche peggio. Dean lottava per
non essere costretto a provare altro dolore, ma ormai cedeva sempre
più spesso. Ad un certo punto, nella panic room si
materializzò Meg, o forse era Shahat? Poi rivide suo padre:
l’odio e la delusione nei suoi occhi erano così
profondi che Dean non riuscì far altro che crollare a terra
e scoppiare a piangere, ripetendo all’infinito, con voce
appena udibile Scusami,
papà. Mi dispiace. E’ colpa mia.
E’ colpa mia, mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi
dispiace.
John lo
ascoltò per ore, ma alla fine si stancò di lui e
gli tirò un calcio in pieno petto, facendolo strisciare sul
pavimento freddo. Dean sapeva di meritarsi ogni cosa, per cui
lasciò che suo padre continuasse a colpirlo. Era come se
fosse tornato bambino, e incassava ogni colpo senza fiatare.
Di colpo,
la porta della panic room si spalancò e la stanza venne
invasa dalla luce abbagliante. John smise di colpire Dean e
indietreggiò, coprendosi gli occhi con un braccio; si
dissolse in pochi istanti.
La luce
avvolse Dean: era calda e familiare,
densa ed emanava un tepore rassicurante.
Smarrito,
la schiena ancora premuta contro il pavimento, Dean tese
d’istinto una mano verso di essa per toccarla, avvertendo una
presa gentile richiudersi intorno alle sue dita.
“E’
finita, Dean. Scusami se ho impiegato così tanto
tempo,” disse Castiel.
*
Quando
riprese conoscenza, Dean era ancora nella panic room.
Era la
prima volta dopo… quanto tempo era trascorso? Non lo sapeva
più, ma era la prima volta da tanto che non si risvegliava
urlando.
Trascorsero
più di dieci secondi e nessuno si ripresentò a
torturarlo – il suo oroscopo del giorno doveva essere davvero
buono, pensò.
Poi schiuse
gli occhi e, nella penombra, lo vide e sussultò.
Castiel era
in piedi accanto al suo letto, ma era molto diverso dal solito: era
magro, molto più di quanto Dean ricordasse, ed indossava una
camicia chiara con il collo alla coreana sopra un paio di jeans
strappati. Delle ciocche di capelli scuri spettinati che gli ricadevano
sulla fronte. Ciò che colpì Dean,
però, fu il fatto che il suo occhio destro era coperto da
una benda medica: quella cosa era così strana e sbagliata
che provò l’istinto di strappargliela via.
“Perché
devi farmi sempre questo?” borbottò invece
fiaccamente, premendo due dita della mano sulle tempie.
“Castiel, le persone… perdono anni di vita, in
questo modo.”
L'angelo
aprì la bocca per dire qualcosa, ma Dean non glielo permise.
“Lasciami in pace,” comandò.
“Tornatene al tuo
2014. E magari manda a quel paese il me stesso di quel mondo. Era un
coglione,” concluse.
Dean non
voleva concedersi di sperare. Non voleva pensare di poter essere
così fortunato. Quante altre visioni di Castiel aveva avuto
nelle ultime settimane? Nessuna di loro era finita bene. Prima o poi,
tutte avevano iniziato a sanguinare e a maledire la sua esistenza fino
a che Dean non si fosse ridotto ad una massa tremante e terrificata.
Eppure,
quel Castiel non era come le altre visioni: aveva la fronte corrugata
in un’espressione malinconica e, quando gli parlò,
Dean il petto di Dean sobbalzò per la nostalgia.
“Sono
io,” gli disse l'angelo con voce rauca. “Il sigillo
mi ha scagliato in fondo ad un oceano. Ero vivo, ma non potevo
muovermi. Ho impiegato settimane per ritornare sulla
terraferma.”
Dean
sospirò lievemente. Non aveva la forza di affrontare tutto
questo. Era stanco, stanco e completamente prosciugato.
“Dovrebbe
importarmi?” osservò piatto, chiudendo gli occhi
per non vederlo.
Sentì
Castiel muoversi dal suo posto e sperò che uscisse dalla
stanza, ma l’angelo si limitò ad andargli
più vicino. Si sedette accanto a lui, appoggiando la schiena
sulla testiera del letto; infilò un braccio fra il cuscino e
la nuca di Dean, sollevandolo con gentilezza per sistemarlo sul suo
grembo.
Dean era
troppo sfinito per protestare, per cui lo lasciò fare.
Castiel
allungò una mano sul suo viso per scostargli una ciocca di
capelli corti e biondi dalla fronte e Dean fu sicuro che gli stesse
facendo qualcosa di angelico,
perché non si era sentito così rilassato neanche
quando era sano. La sola presenza dell’angelo lo
tranquillizzava, anzi, il solo pensiero che Castiel stesse ancora
respirando lo faceva stare meglio.
Ma represse velocemente quell'emozione.
“Non
dovresti avvicinarti troppo a me, potrei morderti,”
bisbigliò, cercando di essere ironico, ma cadde a pezzi nel
momento stesso in cui pronunciò le prime parole.
Castiel abbassò la testa per guardarlo, e Dean si
girò dall'altra parte. Gli occhi lucidi, contrasse le dita
sulle lenzuola. “Io… ho fatto del male a Kevin. E
credo… credo anche a Sam. Cas, te l’avevo detto,
sta succedendo di nuovo,” si sfogò, mandando al
diavolo l’orgoglio. “Sono così
debole… non sono riuscito a combatterlo. Io… sono
diventato un mostro. Dovete fermarmi.”
Castiel
sospirò.“Non sei nulla del genere,”
replicò con fermezza. “E chiunque altro, al tuo
posto, sarebbe già impazzito. Questa non è una
cosa che puoi affrontare da solo.”
“Quindi
cosa?” mugolò Dean con amarezza, muovendo il viso
per incrociare lo sguardo intenso di Castiel. “Ho bisogno che
un angelo mi faccia il lavaggio del cervello ogni volta che sto per
trasformarmi in Mr. Hyde?”
“Non
sei un… Mr. Hyde,” replicò Castiel,
addolcendosi. “Tu mi hai salvato. Ti ho sentito, Dean. Quando
ero lì in fondo, ho desiderato di dormire per sempre. Ma ho
continuato a cercare una via d’uscita perché
sentivo la tua voce ogni giorno. Continuavi a pregare per me. Pregavi
per Kevin. Per Sam. Non sei un mostro,” ripeté.
Dean ne non
era per nulla convinto. Castiel gli stava accarezzando distrattamente i
capelli in un modo che, in tempi normali, lo avrebbe forse fatto
sentire a disagio, ma adesso andava bene: la mano di Castiel era calda
e il suono della sua voce lo confortava. Dean notò che i
suoi polsi erano segnati da una lunga ferita, profonda e non ancora
cicatrizzata: Sam doveva avergli tolto quelle dannate manette solo da
poco. Doveva essere per questo che ancora non era riuscito a guarire le
sue ferite.
“L’ombra
di tuo padre che ti stava tormentando… Dean, lui non prova
rancore nei tuoi confronti,” osservò
l’angelo dopo qualche minuto.
Qualcosa
tremò nel petto del cacciatore al pensiero di John.
“Avrei dovuto badare a Sammy,” mormorò
cupamente. “Me lo aveva ordinato, e invece
io…”
“Hai
sempre fatto del tuo meglio. Se adesso Sam è vivo,
è solo grazie a te.”
“L’ho
fatto possedere da un bastardo, Cas! Avrebbe potuto ucciderti...
avrebbe potuto incenerirlo. Ma la cosa peggiore di tutte è
che, se tornassi indietro… lo rifarei.”
Castiel
smise di sfiorare i capelli di Dean e si chiuse nel silenzio il tempo
necessario affinché il cacciatore si convincesse che stava
per rimangiarsi tutto e abbandonarlo in quella stanza.
“Quello
non eri tu, Dean,” disse però Castiel in tono
gentile poco dopo. “Sono state le circostanze a spingerti a
compiere quelle decisioni. Volevi salvare Sam e, in quel momento, non
c’era altro modo per farlo. Non credo ci sia nulla di
sbagliato nel voler salvare coloro che ami,” aggiunse, con
aria triste. “Potrei dire di parlare per esperienza
personale.”
Dean
roteò gli occhi. Certo che parlava per esperienza personale:
Castiel aveva trascorso la tua intera vita a fare idiozie peggiori
delle sue, a cominciare dal farsi fare a pezzi da Raffaele o al farsi
uccidere da Lucifero. Non aveva mai dubitato di aver commesso un
errore, e Dean glielo aveva rinfacciato innumerevoli volte –
ma, in effetti, Dean sapeva bene che Castiel non aveva mai deciso che
strada intraprendere, aveva solo preso l’unica possibile per
raggiungere il suo obiettivo. E, per quanto fosse difficile ammetterlo,
riusciva a capirlo. Loro due erano molto più simili di
quanto avesse immaginato.
Mise una
mano sulla sua gamba. “Io credo che siamo semplicemente una
coppia di idioti,” osservò.
“E’
molto probabile,” gli fece eco Castiel con un sorriso
malinconico.
Puntellandosi
sulle braccia, Dean si mise seduto per arrivare all’altezza
del suo sguardo. Senza staccare gli occhi dal suo viso,
sistemò i gomiti sulle sue spalle, premendo i
fianchi contro i suoi. Appoggiò la fronte sulla sua e
sospirò piano quando percepì il calore piacevole
del corpo caldo dell’angelo premuto con il suo. Riusciva a
sentire il suo respiro solleticargli le labbra. Chiuse gli occhi e lo
baciò lentamente, perdendosi nella sensazione. Castiel
immerse una mano nei suoi capelli e inclinò la testa di lato
per approfondire il bacio, e Dean mormorò il suo nome come
in una preghiera quando lui stuzzicò il suo labbro inferiore
con i denti. Lo voleva, aveva bisogno di lui. Non l’aveva
ancora perdonato per ciò che gli aveva fatto, ma gli era
mancato così tanto.
Era ancora
avvinto a lui quando, di colpo, avvertì una scossa nella sua
testa, come se il suo cervello fosse andato in cortocircuito. Ebbe
un’altra crisi prima di poter pensare altro.
Castiel
svanì e Dean batté la testa sul marmo freddo. Suo
padre gli sferrò un altro calcio, ricordandogli che cosa
fosse e cosa si meritasse davvero, e Dean si chiese se fosse quella la
realtà, mentre Castiel era stato il sogno.
*
Dean era
spezzato. Sapeva di essere stato spezzato, così tanto che
nemmeno Castiel poteva aiutarlo. Non voleva morire: il suo corpo fisico
era morto troppe volte perché a lui importasse veramente
qualcosa. Voleva solo l’oblio. Voleva che la sua anima fosse
distrutta e che scomparisse dalla faccia dell’universo.
Non sapeva
quanto tempo era passato da quando aveva visto Castiel, ma, quando si
ritrovò di nuovo steso sul letto della panic room,
l’angelo era di nuovo accanto a lui. Sam era in piedi a due
passi, e sembrava terrorizzato dal fatto che lui fosse sveglio. Ora che
Dean ci pensava, non gli piaceva quando suo fratello esibiva quella
faccia da cucciolo abbandonato in mezzo alla strada: in genere,
significava che stava per succedere qualcosa di pessimo.
Illusioni o
realtà, lui voleva solo che sparissero entrambi. Non ne
poteva più.
Castiel gli
rivolse un’occhiata, e Sam annuì.
L’angelo si accomodò accanto Dean e si
chinò appena su di lui. Aveva ancora la benda
sull’occhio.
“Perché
non te lo sei curato?” mormorò delirante Dean,
accorgendosene. “Mi piacevano quegli occhi.”
Castiel non
rispose, ma si abbassò su di lui e iniziò a
sbottonargli la camicia, un’espressione indecifrabile dipinta
sul volto.
“Usate
la Colt,” pregò Dean, troppo confuso per fare
altro. “Non voglio farvi del male.”
“Non
lo farai,” replicò Sam. “Cas mi ha detto
che può aiutarti, ma dobbiamo fare in fretta. Per
favore… lascialo fare.”
Il
cacciatore scosse la testa debolmente. “Non… non
me lo merito.”
“Non
essere ridicolo!” esclamò Sam, esasperato.
Prima che
Dean potesse ribattere, Castiel scostò i lembi aperti della
camicia e fece scivolare le mani sulle sue spalle, facendole combaciare
con l’impronta che vi aveva lasciato anni prima.
A quel
contatto, Dean avvertì un formicolio e poi un tepore
meraviglioso che partiva dai palmi di Castiel; fu sicuro di poter
scorgere un alone luminoso propagarsi dai contorni della sua figura al
suo corpo.
Qualcosa
iniziò a scorrere dentro di lui. Era un’essenza
pura, triste e inafferrabile; era come la tempesta, come la brezza
estiva; filtrava nelle crepe profonde della sua anima, riempiendole,
colmando ogni vuoto.
“C-Cosa
mi stai facendo?” chiese lui, spaventato.
Castiel non
gli rispose. Non lo stava neanche guardando, ma Dean riusciva a vedere
i suoi lineamenti contratti per la concentrazione e la fatica, mentre
continuava a guarirlo.
Dean non
impiegò molto a capire cosa gli stava accadendo.
“La
Grazia di Ezekiel,” realizzò, ricordando quanto
Castiel gli aveva detto, settimane addietro. “Quella
roba… usarla ti uccide. Per questo non curi le tue
ferite…” gemette. “Non puoi farlo. Se
continui così, morirai. Sam… Sam,
fermalo!”
Sentendo le
sue parole, Sam aveva lasciato ricadere le braccia sui fianchi,
sconvolto quanto lui. “Cas…”
mormorò, facendo scorrere lo sguardo da suo fratello
all’angelo.
“Lasciami
fare, Sam,” lo supplicò l’angelo, il
respiro che iniziava a diventare irregolare. “Dean,
io… io voglio solo che tu viva.”
“Sei
un idiota,” disse lui, digrignando i denti. Riuscì
a trovare la forza di sollevare le braccia e posare le mani sui polsi
di Castiel. “Tu credi… che basti salvarmi la vita
per farmi stare bene…. che basti tirarmi fuori
dall’Inferno…. ma non è
così,” scandì, cercando di tirarlo via.
“Non è così… maledizione,
Cas! Io sono nel mio
inferno… Tutte le persone che amavo sono morte a causa mia,
e io non voglio – non voglio sopravvivere… e
sapere che ho perso anche te a causa mia. Non lo sopporterei,
Castiel!”
Attraverso
il loro legame, Dean avvertì l’angelo esitare, e
cercò di aggrapparsi a quella debolezza per fermarlo. Mentre
continuava a tentare di smuovere le mani di Castiel dalle sue spalle,
d’istinto, iniziò a desiderare ardentemente che il
suo potere non riuscisse a penetrare dentro di lui. Si oppose a lui con
tutte le sue forze.
Quando
Castiel lo realizzò, sgranò il suo unico occhio,
incredulo.
“Se
hai… se hai voglia di sacrificarti, Cas, combatti contro
Abbaddon perché è un demone. Combatti contro
Metatron perché è un coglione, ma non
osare… non
osare morire per me. Non ti permettere...di
farlo!”
In quel
momento, Dean riuscì a spingere via le mani di Castiel.
La
connessione fra loro due si interruppe.
Dean si
sentì come se qualcuno avesse staccato improvvisamente tutte
le luci. Non sapeva se aveva fatto in tempo, e perse i sensi prima di
poterlo scoprire.
*
*
*
Accadde
poco dopo, mentre era perso in un altro incubo.
Dean seppe
il momento preciso in cui l’essenza di Castiel si
spense. Riuscì a capirlo perché, in
quell’istante, tutto il mondo si congelò e poi
cadde a pezzi. Ogni cosa perse colore e un freddo pungente
iniziò a dilagare nel suo corpo a partire dal punto in cui
Castiel lo aveva marchiato, costringendo i suoi muscoli a contrarsi in
uno scatto doloroso.
“Cas
….” Il nome dell’angelo si
formò sulle sue labbra senza che lui se ne accorgesse.
Dean
tentò di raggiungere l'uscita della panic room per
supplicare Sam di aprirgli, ma le gambe gli cedettero dopo pochi passi.
La testa iniziò a girargli e delle ombre si formarono
intorno a lui.
“No,
non adesso,” sussurrò frenetico, iniziando a
tremare. “Non adesso!”
Voleva
alzarsi, ma qualcosa lo agguantò, sbattendolo contro un muro
gelido.
Quando Dean
si riprese, si ritrovò incatenato per i polsi, prigioniero
di un’altra visione. O, forse, non era stato sveglio sin dal
principio.
Sentì
dei passi lenti avvicinarsi a lui e lo stridio sottile di due lame
strofinate fra di loro. Strattonò le
catene, cercando di liberarsi. “Chiunque tu sia, grandissimo
figlio di puttana,” disse al buio, minaccioso, “non
ho tempo per questo!”
Diede un
altro scossone alle catene, mentre una figura umana emergeva
dall’ombra davanti a lui. Non riusciva a vedere il suo viso,
ma si accorse che stringeva fra le mani due pugnali.
“Maledizione,”
imprecò Dean, lottando per liberarsi. Aveva già
vissuto questo scenario innumerevoli volte, ma ora era diverso, lui era diverso: si
sentiva rinvigorito, più forte e consapevole; e,
soprattutto, sentiva di avere uno scopo: doveva uscire da
lì, perché Castiel aveva bisogno di lui. Stava
male, forse stava morendo. Doveva
andare da lui.
“Sai
perché ti senti meglio, Dean?” lo
punzecchiò la figura nell’ombra.
“Perché quell’angelo ha usato quei
poteri blasfemi per rimetterti assieme. Non credo che gli sia rimasto
molto da vivere ormai.”
Dean
contrasse le dita in un pugno, mordendosi le labbra mentre
iniziava a maledire Castiel, e poi il suo aguzzino. Ma ben presto,
rovesciò la testa verso il basso e strinse gli occhi,
rinunciandoci. “No, non è questo il
punto,” disse, respirando forte. “Non è
questo. Il punto è che nella mia vita ho fatto un sacco di
stronzate. E mi va bene soffrire per i miei errori – mi va
bene. Ma non posso restare bloccato qui per sempre a farmi uccidere dal
mio passato, mentre le persone lì fuori continuano a morire.
Mi sento un mostro perché non posso salvare tutti, ma se non
potessi salvare nessuno… lo sarei davvero.”
“Io
non merito Sam,” proseguì Dean rialzando gli
occhi, senza riuscire a capire da quale parte di lui provenissero le
parole che stava pronunciando, “non merito neanche Cas. Ma
loro hanno bisogno di me e Dio mio, che io possa tornare giù
all’Inferno in questo preciso momento se ho intenzione di
abbandonarli.”
La figura
restò immobile, rigirandosi il coltelli fra le mani.
“Capisco,” sospirò infine, lanciandoli
via con un gesto annoiato. Scomparvero a mezz’aria,
così come le catene che imprigionavano Dean. Il cacciatore
ricadde in ginocchio a terra e si massaggiò i polsi,
puntando gli occhi sull’allucinazione.
“Vai
pure da lui, per ora. Ma sappi che tornerò a trovarti,
Dean,” lo avvertì quella, dandogli le spalle.
“Molto prima di quanto tu creda,” soggiunse
sogghignando.
Furono
le ultime parole che proferì perché, un attimo
dopo, Dean piombò alle sue spalle e gli afferrò
la testa e il braccio, rompendogli l’osso del collo con un
colpo secco.
Dean vide
le orbite rosse del sé stesso demoniaco spegnersi davanti a
lui e disgregarsi insieme al resto del suo corpo. L’urlo
strozzato che quell’incubo aveva lanciato
riecheggiò nel vuoto.
Quando
tutto fu tornato normale, Dean non si soffermò a ragionare
su cosa aveva fatto, né su come era riuscito a farlo. Non
gli importava. Raggiunse la porta della panic room e la
trovò socchiusa: senza pensarci due volte, la
varcò.
Era da
quando si era ritrovato prigioniero delle catene che Dean non riusciva
più a sentire il dolore di Castiel, e non sapeva se questo
fosse un bene o un male. Lo cercò per tutto il bunker, ma il
rifugio degli Uomini di Lettere sembrava completamente deserto.
Chiamò
più volte il nome dell’angelo; chiamò
Sam e Kevin, ma non ottenne alcuna risposta. Alla fine, angosciato,
decise di tornare nella sala principale per cercare un cellulare.
Dalle
bocche di lupo ai lati della stanza filtrava una luce chiara;
l’aria era fresca, ma non afosa. Doveva essere mattina.
Dopo tanto
buio e sofferenza, Dean fu quasi infastidito da
quell’atmosfera così ordinata e familiare.
Individuò
uno dei suoi vecchi telefoni, che Sam aveva messo sotto carica. Dean
stava componendo rapidamente il numero quando si accorse che Castiel lo
stava fissando in silenzio dall’altra parte della stanza.
Scioccato, il cacciatore rimase paralizzato sul posto.
“Ciao,
Dean,” lo salutò lui con un sorriso lieve.
Castiel era
pallido, molto più pallido di quanto non fosse mai stato. La
benda sul viso era scomparsa, ma i suoi occhi erano spenti ed
arrossati. Aveva i vestiti stropicciati, e dal colletto insanguinato
della camicia si intravedeva un enorme livido scuro comparso ad un lato
del collo. In generale, sembrava che l’angelo stesse per
crollare da un momento all’altro – o forse, era
già successo; forse, dopotutto, Castiel non ce
l’aveva fatta ed era morto, ed ora di lui non restava altro
che il suo spettro. Dean si sentì male al solo
pensiero. Le sue gambe si mossero da sole; non si fermò
finché non ebbe raggiunto Castiel. Quando gli fu davanti,
avvolse le braccia intorno alla sua schiena e lo strinse: era vivo,
pensò, riprendendo a respirare. Dio mio, ti ringrazio.
Sentì
Castiel posare le mani sui suoi fianchi nel tentativo di ricambiare
l'abbraccio.
“Ti sei
ripreso,” mormorò semplicemente, quando Dean
sciolse la stretta. Il cacciatore lo osservò con
preoccupazione mentre raggiungeva la sedia più vicina e vi
si lasciava cadere.
“Già.
E’ stato un gioco da ragazzi,” gli disse,
scrollando le spalle.
Il viso
stanco dell’angelo si rasserenò e, di riflesso,
Dean fece la stessa cosa.
“Come
ti senti?” gli domandò Castiel.
Dean ci
pensò su. “Me stesso,”
mormorò alla fine. “Non so come spiegarti.
E’ ancora tutto dentro di me, ma credo di aver raggiunto un
accordo con me stesso.”
Castiel
annuì, ma non disse altro.
“Dove
sono Sam e Kevin?” domandò allora Dean.
“Non
conosco i dettagli,” rispose l’angelo,
“ma so che Kevin era molto provato dalla ferita che gli hai
causato qualche giorno fa. Credo che si fosse infettata. Il giorno in
cui sono arrivato, Sam l’aveva già portato
all’ospedale. Ora sta bene, è con sua madre. Sam
ha deciso di andare a trovarli.”
“Qualche
giorno fa,” ripeté Dean sottovoce. Quindi, alla
fine, aveva iniziato a dare di matto solo qualche giorno fa? E
perché Sam aveva deciso di andare via proprio quella
mattina?
Dean decise
che avrebbe ragionato su questa roba più tardi.
“E
tu come te la passi?” chiese a Castiel, anche se la domanda
suonava parecchio retorica.
“Sopravvivo,”
replicò lui dopo qualche secondo.
“Ne
dubito,” borbottò Dean, cercando di mantenere un
tono neutro. Afferrò un’altra sedia e si sedette
di fronte a lui. Avrebbe voluto prendersela con lui per il fatto di
aver di nuovo rischiato la vita per lui, ma si trattenne. “Ti
ho sentito, Cas. Non so perché, ma era come se sapessi che
tu stavi soffrendo.”
“Sto
bene adesso,” affermò lui.
Dean aveva
da ridire a riguardo, ma Castiel non gli diede il tempo di rispondere.
“Ho
meditato sulle tue parole,” cominciò, “e
ho capito. Avevi ragione, Dean. Io… ho sempre creduto che la
salvezza fisica di te e Sam fosse la cosa più importante. E
ho sempre agito perseguendo questo obiettivo, anche quando ciò
significava distruggere me stesso, perché ero
convinto che il fine giustificasse i mezzi. Ma mi sbagliavo. Ho finito
per causare ancora più danni e farti soffrire ancora di
più. Non avevo capito che cosa tu desiderassi davvero. Mi
dispiace. Mi dispiace per tutto,” ammise.
Dean lo
ascoltò in silenzio, senza interromperlo. Quando lui
finì, prese una delle sue mani fra le sue e prese a giocare
distrattamente con le sue dita. “Siamo così
simili, Cas. Ma tu… tu non puoi pretendere di fare quello
che vuoi solo perché puoi farlo,” gli fece notare.
“E’
così,” convenne lui. “Ma voglio che tu
capisca che quello che ho fatto non è mai stato quello che avrei voluto fare.
Io non ti ho mai abbandonato, Dean: ogni volta che sono andato via,
l’ho fatto perché stavo rinunciando a te.
Dean… anche io ho bisogno di te,” gli disse
Castiel in un soffio. “E l'unica cosa che voglio fare adesso
è restare al tuo fianco.”
Lui non
ebbe alcuna reazione visibile a quelle parole, ma le sue mani strinsero
d’istinto quella dell'angelo; il cuore iniziò a
palpitargli nel petto quando commise l’errore di sollevare
gli occhi ed incrociare quelli blu e imploranti del compagno. Stavano
brillando di una luce intensa, e qualcosa si contorse dentro di lui.
Erano così vicini.
Rimasero in
silenzio per molti secondi, ma, alla fine, Dean lasciò
andare Castiel e portò indietro la sedia, rialzandosi.
“Io…
Io non sono sicuro di poterti credere,” borbottò,
indietreggiando. Si grattò la testa, il viso arrossato.
“Sono stanco, Cas. Sono un umano che non vale quattro soldi,
e tu sei un angelo che tenta di ammaestrare una grazia rubata ad un
pezzo d’imbecille. Io… io ne ho
abbastanza.”
“E’
comprensibile,” concordò Castiel con calma, con
molta più calma di quanto Dean avesse potuto sperare.
“Andrò via.”
Dean
annuì, convincendosi che sarebbe stata la cosa migliore per
entrambi. Appartenevano a due mondi diversi. Castiel avrebbe continuato
a combattere battaglie del tutto fuori dalla sua portata e, alla fine,
avrebbe usato i suoi poteri del cazzo per fare qualcosa di idiota e se
ne sarebbe andato, spegnendosi come un fiammifero. E Dean non
l’avrebbe sopportato. Preferiva dirgli addio sin da subito.
“Vorrei
solo che tu conservassi questa per me: io non ne ho più
bisogno.”
Dean
alzò gli occhi su di lui appena in tempo per vederlo
staccare un laccio sottile che teneva annodato al collo. Castiel lo
raggiunse, gli aprì il palmo della mano destra e vi
depositò un sottile ciondolo a forma di prisma.
Il prisma
era trasparente e brillava di luce propria, emanando un fievole
chiarore argento: era, indiscutibilmente, la Grazia di un angelo.
Sotto
shock, Dean trasse un profondo respiro prima di parlare. “Che
cosa significa?” domandò.
“Ieri
notte, quella sensazione che hai provato,” spiegò
Castiel, scrutandolo, “era perché mi stavo
liberando della Grazia di Ezekiel. Dopo che tu mi hai respinto, quando
sei svenuto… avrei voluto continuare, ma Sam mi ha fermato.
Mi ha chiesto di fidarmi di te, e poi mi ha fatto leggere un fascicolo
che ipotizzava un modo per estrarre la Grazia di un angelo. Ho guarito
il mio tramite, e poi ho chiesto a Sam di procedere. E’ stato
traumatico, Dean. Ma mi riprenderò,”
sospirò, toccandosi il livido al collo, abbozzando un
sorriso stanco.
“Perché
lo hai fatto?” chiese Dean, incredulo.
Castiel
sollevò le spalle. “Se fossi stato un angelo,
avrei potuto essere molto più utile in guerra. Mi sarei
battuto per voi e per la mia famiglia, fino a che quella Grazia non mi
avesse consumato. Ma per una volta, io… ho desiderato essere
egoista.”
Dean si
sentì come se il muro che aveva appena eretto gli fosse
crollato addosso. “Quindi, adesso… sei
umano?” domandò, con un tono di voce
più alto di quanto avesse voluto. “Voglio dire,
sei davvero umano? Non stai per morire?”
Castiel
annuì e sorrise di fronte all’espressione
spaventata che aveva assunto Dean. “Sono umano. Non sto per
morire,” lo rassicurò. “Un giorno,
però, accadrà: non credo riuscirò mai
ad abituarmi all’idea,” aggiunse, incerto.
Lanciò
un’occhiata al cacciatore e gli sorrise un’ultima
volta. Dean rimase a fissarlo ad occhi sbarrati così a lungo
che, dopo un paio di minuti, Castiel distolse lo sguardo, sentendosi in
imbarazzo.
“Credo…
credo di dover andare adesso,” osservò.
Per tutta
risposta, Dean gettò da qualche parte il prisma con la
Grazia e afferrò il braccio di Castiel, tirandolo contro di
sé. Lui era ancora debilitato e Dean fu fin troppo
impulsivo, e come risultato quasi gli cadde addosso. Dean lo strinse
contro il suo petto, impedendogli di cadere, e lo
baciò con veemenza tale togliergli il fiato. Castiel
sembrava non stare aspettando altro fino a quel momento.
Portò le braccia dietro il suo collo e lo
ricambiò con altrettanta urgenza, spingendolo, se possibile,
ancora più vicino a lui. La sensazione della bocca di Dean
premuta sulla sua, dei suoi respiri accelerati e delle braccia che
scorrevano sul suo corpo era meravigliosa. Se fosse stato un angelo,
Castiel avrebbe continuato a baciarlo letteralmente fino alla fine dei
tempi. Ma erano entrambi dei umani, e lui aveva appena iniziato a
recuperare le forze, per cui fu costretto a staccarsi dalla sua bocca
quando i suoi polmoni cominciarono a supplicare per l’assenza
di aria. Mentre Castiel cercava di riprendere fiato, Dean
continuò a lasciare una scia di baci e carezze sul suo viso
e il suo collo, sfiorando appena il livido dovuto
all’estrazione della Grazia.
Per quanto
fosse delicato, non era piacevole: ben presto, Castiel contrasse la
mascella d’istinto per il dolore, e Dean si fermò.
“Scusami,”
gli disse rapidamente, baciandogli le labbra più e
più volte. “Scusami, Cas.”
Lui fece un
cenno con la testa, facendogli capire che non era importante.
“Devo
dedurre,” gli sussurrò, ricambiando i suoi baci
leggeri, “che hai cambiato idea?”
“Sei
umano,” constatò Dean in tono
pratico, muovendo un passo indietro. “Questo significa che hai bisogno di un posto in cui
dormire, e qui siamo pieni di stanze. Scegli pure quella che vuoi. Ma
sappi,” soggiunse, ammiccando, “che la mia ha un letto con un
materasso in memory foam.”
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
PS.
Sam
SAPEVA
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Capitolo 20 *** Epilogo ***
gg
Castiel
appoggiò pigramente la schiena ad una delle portiere
dell’Impala.
Lui e Dean avevano
fatto sosta in una stazione di servizio a pochi
chilometri da La Crosse, dove si erano occupati di una coppia di
Leviatani sopravvissuti Dio-sa-come sino a quel momento.
Quello era stato il
primo caso serio che avevano avuto da settimane: da
quando avevano annientato Abbaddon e sistemato Crowley, i
demoni erano diventati molto meno attivi di quanto non fossero stati
negli ultimi duemila anni. Anche gli attacchi dei mostri si erano
notevolmente ridotti; gli angeli, invece, a causa della lontananza dal
Paradiso, si erano indeboliti sempre di più, sino a
consumarsi o
degenerare in semplici esseri umani.
Non c'era stato alcun
modo di evitare che ciò accadesse: l’incantesimo
di Metatron era risultato essere irreversibile.
A seguito di questa scoperta, Castiel aveva
deciso di espiare il proprio peccato
diventando un cacciatore: avrebbe protetto il genere umano fino a
che non fosse arrivata la sua ora. Dopotutto, era il compito che suo
Padre gli aveva assegnato; e forse, un giorno, sarebbe riuscito ad
incontrare Metatron e a fargliela pagare per tutto ciò che
aveva fatto.
I primi tempi da umano
e cacciatore erano stati tragici per Castiel, ma Sam e Dean erano stati
dei buoni insegnanti e lui aveva imparato in fretta.
Ancora adesso, ogni
tanto, Dean se la prendeva con lui perché non era
particolarmente portato per le armi da fuoco, perché le sue
abilità
sociali continuavano ad essere imbarazzanti e
perché maledizione
Cas, non puoi essere ubriaco dopo aver bevuto
solo una birra. Ma Castiel sapeva che Dean si
fidava di lui e che, se lavoravano insieme, non c’era uomo,
demone o
spirito in grado di sopraffarli.
L’ex-angelo
spostò lo sguardo dal cielo cristallino del
Wisconsin a terra: con la primavera, ogni centimetro di terreno
incolto in quella zona si era ricoperto di fiori dai colori vivaci;
l’aria era tiepida e la brezza sul viso
piacevole. Castiel
assorbì le sensazioni che il mondo in cui era immerso
gli causava, trovandole perfettamente naturali. Era così
perso
nel suo stato di contemplazione che sobbalzò leggermente
quando
avvertì Dean sistemarsi accanto a lui.
“Se fossi
stato un mostro, adesso saresti morto,” dichiarò
il biondo, a metà fra il serio e il divertito, passandogli una tazza
di caffè freddo.
“Non lo
eri,” constatò Castiel, sollevando appena le
spalle.
“Hm,”
grugnì Dean in risposta. Diede un morso alla fetta di
crostata
alle arance che aveva appena comprato e si lasciò
sfuggire un gemito
estasiato così intenso che fece sgranare gli occhi di
Castiel.
“Quando stanotte quel bestione è entrato in
modalità Shark Attack,” spiegò il
Winchester, la bocca
ancora piena, “ho creduto che non avrei più potuto
mangiare una di queste.”
L’ex-angelo
inclinò la testa di lato, scrutandolo come per
chiedergli: “stavi
davvero pensando a questo?”, ma, dopo
alcuni secondi, si girò dall’altra parte e si limitò a
prendere in silenzio un sorso della sua bevanda.
Dean notò
il suo comportamento e lo trovò strano. “Cosa
c’è?” gli chiese, rinunciando a dare un
altro morso al suo dolce.
Castiel non rispose.
Osservandolo meglio, Dean notò che le occhiaie sotto i suoi
occhi erano più
segnate del solito e che aveva assunto
un’espressione incerta. Le mani avevano iniziato a tremargli, e il caffè ondeggiava pericolosamente nella sua tazza di plastica.
Dean portò
una mano sulla sua spalla, attirando la sua attenzione. “Ehi,”
gli disse con fermezza, richiamandolo alla realtà.
Castiel si
voltò verso di lui. “Io non dovrei
essere qui,” mormorò l’ex-angelo con aria smarrita,
premendosi una mano sul viso.
Dean
rimase fermo a fissarlo, preoccupato. “Che diavolo stai
dicendo?! Certo che dovresti essere qui!”
Castiel gli
rivolse uno sguardo colpevole. Impiegò molti secondi per trovare le parole per rispondergli. “Dean, io... Continuavo a
ripensare a stanotte. Non meritavo di essere salvato. Mi sono
comportato in modo sconsiderato,” ammise infine, tornando in sé. Scosse la testa.
“Se non fosse stato
per te, quel Leviatano mi avrebbe divorato.”
A quelle parole Dean
sogghignò, rilassandosi. Accartocciò
l’involucro con i resti della crostata e lo
gettò via. “Ho perso il conto delle volte in
cui tu hai tirato fuori dai guai me negli ultimi mesi, Cas. Ogni tanto
tocca anche a me farlo. Siamo una squadra, è così
che
funziona. Resta comunque il fatto che, stanotte, sono stato
fantastico,” scherzò, scrollando le spalle.
Castiel
posò una mano sulla sua e la strinse.
“E’ così,” gli disse in tono
sincero,
lasciandolo interdetto.
Dean voleva ribattere
con una battuta, ma le parole gli morirono in gola quando Castiel si
portò davanti a lui e appoggiò la fronte contro
la sua, chiudendo gli occhi. Dean sentiva il suo respiro leggero sulla sua pelle. Non
riuscì a capire chi fosse stato il primo a catturare le
labbra dell'altro, e non gli importava. Sorrise piano, abbandonandosi a
quel
contatto.
Castiel lo
baciò avidamente, facendo scorrere le mani lungo la sua
schiena, scendendo sino a soffermarsi sui bordi del suo
jeans, per poi scendere appena un po' più giù.
Dean emise un gemito appena percettibile e, d'istinto, lo spinse contro
la macchina, premendo il petto contro il suo. Il corpo perfetto di Castiel fremeva ad ogni tocco
di Dean e il cacciatore rimpianse il fatto di essere
con lui in un parcheggio all'aperto e non nella stanza del motel che
avevano appena lasciato.
Dean lo amava. Non gliel'avrebbe mai detto e forse non si rendeva conto
neanche lui di quanto profondo fosse il suo sentimento, ma era
così. Ciò che provava
quando era con Castiel era sconvolgente e, a volte, gli faceva paura.
Eppure, non sarebbe mai riuscito a farne a meno. Mentre prendeva fra i denti il labbro inferiore del suo compagno, strappandogli un sospiro, Dean ripensò a ciò che gli aveva appena detto. Era vero: quella notte, Castiel aveva rischiato davvero grosso. Ora che era tutto finito, Dean si permetteva di riderci sopra, ma, se non fosse riuscito a fermare quel Leviatano in tempo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Continuarono a
baciarsi a lungo, completamente estraniati dal resto del mondo. Alla
fine, il bisogno di aria cominciò a diventare bruciante per
entrambi, ma nessuno di loro voleva staccarsi dall'altro. Quando però il
cellulare di Dean iniziò a vibrare con insistenza, il
cacciatore fu costretto ad allontanarsi per primo.
Respirando affannato,
estrasse il
telefono di malavoglia. Controllò l’origine della
chiamata e poi se lo
rimise in tasca senza rispondere.
“E’
Charlie,” sbuffò, seppellendo la fronte
nell'incavo della spalla di Castiel. “E’ la terza
volta che mi chiama. Non approva la risposta che ho dato a
Sammy.”
Castiel
aggrottò la fronte, confuso.
Sam, alcune settimane
dopo la caduta di Abbaddon, aveva iniziato sempre
più spesso a chiedere a Dean e Castiel di andare a caccia da
soli: lui preferiva restare nel bunker a studiare e, quando necessario,
forniva loro supporto a distanza. In generale, Sam
divideva i suoi giorni fra la biblioteca e
l’archivio del bunker. In pochi mesi, aveva accumulato nella
sua
mente una mole di informazioni tale che, ben presto, era divenuto un
vero e proprio Uomo di Lettere. Non c’era cacciatore in
America
che non sapesse il suo nome o quanto fosse esperto ed affidabile. Dean era fiero di lui, ma, certe volte, aveva l’impressione
che
il suo fratellino esagerasse.
“Quando
l’ho chiamato per avvertirlo che qui avevamo
finito,” spiegò Dean a Castiel, facendo un passo indietro,
“mi ha informato che lui e
Charlie hanno deciso di infilare nel computer tutta la dannatissima
biblioteca,” borbottò, passandosi poi una mano
sulla bocca.
L'ex-angelo
impiegò alcuni secondi per comprendere la mole titanica
dell’impresa. “Hanno… bisogno di
aiuto?”
chiese infine, con una punta di rassegnazione.
“Sono
disperati. Al telefono, Sammy parlava con voce
soffocata. Credo che stiano annegando nei libri o qualcosa del genere,
per cui stavo pensando... che potremmo prenderci un po’ di
ferie?”
Castiel
sbatté le palpebre. “Dici sul serio?”
“Maledizione, sì.”
L’espressione
stupita dell’ex-angelo sfumò presto in
un sorriso fintamente rassegnato. “Quella donna ci
rintraccerà
e ci ucciderà,” osservò a braccia
incrociate,
divertendosi a osservare il modo in cui Dean lottava per rifiutare una
nuova chiamata in arrivo e spegnere in contemporanea il cellulare.
“Le loro idee
assurde uccideranno me,” bofonchiò il cacciatore,
imbronciato.
Castiel non
replicò. Era molto più responsabile di lui, ma
Dean ormai lo conosceva abbastanza da sapere che
neanche lui aveva intenzione di trascorrere settimane
rinchiuso nel bunker a scannerizzare libri. Si sarebbe costretto a
farlo, se non ci
fosse stato Dean. Lui si sentiva un po’ come il suo diavolo
tentatore ma in fondo, diamine, erano stati con l’acqua alla
gola
per mesi, e solo poche ore fa avevano salvato decine di persone da un
destino orribile. Si meritavano un po’ di pace. Cas si meritava
un po’ di pace.
“Andiamo.
Sono sicuro che se la caveranno da soli,” disse, prendendo le
chiavi dell’Impala.
“E dove
vorresti andare?” gli domandò Castiel, staccandosi
dalla portiera.
Dean si
rigirò fra le mani le chiavi fra le mani. “Non ne
ho idea,” rispose, rivolgendogli un sorriso complice.
L’ex-angelo
lo guardò negli occhi, ricambiando il sorriso.
“E’ un buon inizio,” disse, salendo
sull’auto
insieme a lui.
* * *
Note finali? Note finali.
Grazie
per essere giunti fin qui, grazie a voi che mi
avete messo fra i preferiti etc., ma soprattutto grazie a voi che mi
avete, in modi
più o meno brutali, incoraggiato a continuare. Mi sono
divertita
a scrivere questa fanfic, ma sono una persona che difficilmente
conclude i progetti che inizia e, se non avessi ricevuto continuamente
dei feedback, non sarei mai riuscita ad arrivare fin qui. Per questo
motivo... vi
ringrazio! *abbracc* ;_;!
Ho
due brutte notizie: la prima è che stavo pensando di
scrivere un
seguito di questa fanfic; la seconda è che ho già
iniziato a farlo, perché sì.
In
verità, non ho ancora deciso se continuare il progetto o no.
Ci
penserò su piu' in là. Per
ora, a causa degli impegni, penso che mi limiterò a revisionare questa
fanfic (vorrei modificare
alcuni punti e poi farne un pdf), e a terminare le altre storie che ho in
sospeso.
Quindi… per il momento è tutto!
Ragazzi
e ragazze, ci si vede in giro!
Vi
ho voluti tutti bene.
Non
ho meritato un decimo dei vostri complimenti.
Grazie,
davvero, di cuore.
Extra.
Alcune
delle musiche con cui mi stordivo mentre scrivevo questa fanfic:
R.E.F.
Warrior's Lullabye |
Remember
Execute Forget |
Requiem
of the night | vc-pf20130218
| Zack Hemsey in
generale | Fuse | Bittersweet |
Cities
in dust
|
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