Lusus sanguinis

di JunJun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** E' per il bene di Sammy ***
Capitolo 3: *** Ariel ***
Capitolo 4: *** Tentacoli ***
Capitolo 5: *** Scuse, nel 2014 ***
Capitolo 6: *** Vorrei porre l'attenzione sul pigiama a orsetti di Sam ***
Capitolo 7: *** Speranza ***
Capitolo 8: *** Qualcuno spieghi a Dean che non può sbattere le persone su un letto e poi lasciarle così ***
Capitolo 9: *** Angeli e Demoni ***
Capitolo 10: *** Narcissistic cannibal ***
Capitolo 11: *** La porta del Limbo ***
Capitolo 12: *** Shahat ***
Capitolo 13: *** I do what I have to do ***
Capitolo 14: *** Tutti odiano Ezekiel ***
Capitolo 15: *** Lapse ***
Capitolo 16: *** Il figlio dello stregone ***
Capitolo 17: *** Imperdonabile ***
Capitolo 18: *** Over and gone ***
Capitolo 19: *** Fuse (è inglese anche se, in realtà, 'fuse' sono le mie sinapsi neuronali) ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note rapide dell'autrice:
Ok, questa è la mia prima fanfiction su Supernatural. E’ da troppo tempo che non scrivo, sono parecchio arrugginita...
La verità è che gli autori di questa sezione sono tutti così bravi… quando rileggo le scemenze che scrivo io, mi viene voglia di cestinare tutto!

 

* * *

PROLOGO


 

La mente di Dean era annebbiata. I muscoli del suo corpo erano intorpiditi e pesanti, e il sangue denso che gli colava dalla fronte lo costringeva a tenere un occhio chiuso.
“Cas… maledizione...” biascicò, rimettendosi  in piedi, appoggiandosi alla parete di pietra alle sue spalle. Stringeva ancora il coltello di Ruby. Perché continuava a farlo? Quell’affare era del tutto inutile, visto che il suo avversario era suo fratello.
(O meglio, nel corpo di suo fratello.)
Sam, in piedi in mezzo allo stretto corridoio, abbassò la mano che aveva usato per scaraventare Dean contro il muro.
“Maledetti poteri telecinetici,” pensò Dean.  “Maledetti angeli...”
“ZEKE, RAZZA DI BASTARDO!” gridò poi, cercando di farsi largo nella nebbia nella sua testa. “Non osare farlo. Hai capito? Ti sto ordinando di non farlo!” Il suo tono era fermo e perentorio, nella sua mente. In realtà, la sua voce era così impastata e roca che le frasi che pronunciò rasentavano la supplica.
Ezekiel lo fissò con occhi profondi, che la fredda luce artificiale faceva brillare di pacata inespressività.
“Non riesco a comprendere…” disse l’angelo, facendo vibrare ripetutamente le corde vocali di Sam, mentre si avvicinava a lui. Iniziò a parlare ma Dean, ancora stordito a causa della lotta, non riuscì a capire il senso delle parole che pronunciava. Solo alla fine, quando Ezekiel era ormai a pochi passi, sentì la frase: “…quando eri nel pieno delle tue facoltà mentali, hai deciso che la tua sopravvivenza e quella di tuo fratello erano più importanti di quella di Castiel.”
Dean non rispose, ed Ezekiel gli strappò di mano il coltello di Ruby come un genitore che toglie dalla mano di un bambino un oggetto pericoloso. Poi, calò due dita sulla fronte del cacciatore: il tocco dell'angelo risucchiò anche le ultime forze che gli erano rimaste, e lui scivolò a terra, inerme.
“Dean, non ti sto chiedendo di fidarti di me, ma di te stesso. Se vuoi uscire vivo da questo luogo insieme a Sam, devi lasciarmi compiere la tua volontà”.
Stronzate, sono tutte stronzate, pensò il cacciatore.
Cercò di mettersi in piedi, ma il suo corpo non rispondeva. Si rese conto che l’angelo si era allontanato da lui e, con passo lento, aveva raggiunto Castiel. Dean, frustrato, si chiese perché diavolo non avesse approfittato del suo intervento per fuggire: era rimasto fermo a pochi metri da loro per tutto il tempo, inginocchiato a terra, stretto nel suo completo nero sporco e stropicciato.
“Mi dispiace, fratello; i vostri corpi sono corrotti, ed io non ho abbastanza potere per purificarli. So che vuoi salvare questi esseri umani: questo è l’unico modo per farlo,” proferì Ezekiel.
Castiel, lo sguardo vuoto, fece un breve cenno d’assenso con la testa, come se il fratello gli avesse appena detto qualcosa di ovvio, a cui non vale neanche la pena rispondere.
Quando Ezekiel sollevò il coltello di Ruby, Castiel chiuse gli occhi.
Dean strinse i pugni e i denti, cercando disperatamente di rialzarsi.
La lama del coltello sibilò, un respiro venne mozzato e il sangue schizzò sulle pareti di pietra.

 

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Capitolo 2
*** E' per il bene di Sammy ***


Note noiose dell'autrice:
Non sono per nulla buona a scrivere e manco di allenamento, per cui, in questa fanfic, ho cercato di compensare ideando una trama simpatica(*). Per metterla in moto, ho bisogno di gettare le basi in questo e nel prossimo capitolo, che quindi saranno corti e un po' diversi da tutto il resto.Aw, spero di non annoiarvi. :(



(*) La simpatia è misurata in sofferenza, ovviamente.


* * *

Sam Winchester avanzò fra la rada boscaglia della vallata.
Il sole tiepido del tardo pomeriggio era nascosto da una coltre immobile di nubi color pastello, che rendevano l’atmosfera intorno a lui quasi fiabesca.
I rametti secchi scricchiolavano sotto gli anfibi di Sam, e una strana umidità gli si appiccicava addosso.
Il giovane continuò a camminare finché non raggiunse la riva deserta di un enorme lago in cui non ricordava di essere mai stato, e fu in quel momento che si accorse di stare sognando.
Nel sogno, un uomo apparve su un molo abbandonato a poche decine di metri da lui.
L’angelo (perché Sam in qualche modo sapeva che si trattava di un angelo) gli dava le spalle, forse perché non si era accorto della sua presenza. Sam lo vide sollevare al cielo una coppa dorata che reggeva fra le mani, e poi versarne il contenuto nel lago.  Si trattava di un liquido denso e verdastro, e non appena le acque cristalline entrarono in contatto con esso, divennero rosse.
 “Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, per aver così giudicato,” proferì l’angelo. “Hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e tu hai dato loro a bere del sangue; essi ne son degn-” Un frastuono orribile fece sobbalzare Sam, che si schiantò a terra.  Aprì gli occhi e scattò a sedere, per poi ricadere sul sedile passeggero dell’Impala. La musica assordante gli stava perforando il cervello.
Dean, alla guida dell’auto, ghignò per un attimo nella sua direzione, prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
“Buongiorno, principessa,” gridò, per sovrastare il volume indecente della radio. “Siamo quasi arrivati, quindi vedi di darti una mossa!”
“Apocalisse, capitolo 16,” esclamò d’istinto Sam, sconvolto.
“No, Thunderstruck, AC/DC,” lo corresse Dean.
Sam spense la radio con uno scatto nervoso.  Possibile che suo fratello si divertisse ancora a fare quegli scherzi idioti?
“Volevo dire, credo di aver sognato un versetto dell’Apocalisse...”
“E’ terribile, per fortuna era solo un sogno e non ci siamo mai ritrovati in mezzo a quella roba per davvero,” osservò piatto Dean.
“Era la parte in cui gli angeli versano i calici dell’ira divina sulla Terra…” continuò Sam, ignorandolo. “Ero insieme a quello che trasformava le acque in sangue. Era un tizio strano… avevo l’impressione di conoscerlo.”
“Ah, sì?” mugugnò Dean, sospettoso. “E com’era?”
“Mah… non l’ho visto in faccia, era di spalle… aveva… capelli corti, una giacca di pelle nera, una felpa grigia col cappuccio… Chiedo scusa,” dichiarò all’improvviso Sam, la voce del tutto atona. “Colpa mia. Non succederà più.”
A Dean prese quasi un colpo; rischiò persino di andare fuori strada. “Zeke…?” esclamò. Non si era ancora abituato alle improvvise sortite dell’angelo. Sortite che gli aveva già ripetutamente chiesto di evitare. “…che diavolo…”
“No, nessun diavolo,” sentenziò l’angelo. “Stavo saldando le sinapsi neuronali di Sam. Era un’operazione estremamente delicata. Mi sono distratto, così lui è entrato in me.”
“Sì, ora quest’immagine mi perseguiterà per tutto il resto della mia vita,” scherzò Dean inarcando le sopracciglia, anche se non c’era un briciolo di divertimento nella sua voce.  Sospirò. “Aspetta, durante l’Apocalisse andavi davvero in giro a trasformare l’acqua in sangue?”
“Ordini,” ammise Ezekiel.
“Beh non farlo mai più,” ordinò Dean. “Intendo, lasciare che Sam guardi i tuoi ricordi. La situazione è già abbastanza problematica così com’è.”
“Ne sono consapevole,” asserì l’angelo.  “…e, ovviamente, aveva in mano una grossa coppa dorata,” concluse Sam.
“Mi verrà un esaurimento,” osservò Dean.
“Dean, mi stai ascoltando?”
“Ne riparliamo più tardi, Sammy. Siamo arrivati,”tagliò corto lui, iniziando la manovra di parcheggio.
 

Henderson, nel Nevada, era una città nota perlopiù per il suo essere parte dell’area urbana di Las Vegas; da qualche tempo, però, era diventata sinistramente conosciuta per essere il terreno di caccia preferito di un serial killer particolarmente spietato: negli ultimi giorni, il numero di ritrovamenti di cadaveri squarciati era salito a cinque.
Sam e Dean avevano iniziato ad interessarsi del caso dopo aver letto sul giornale che accanto alle vittime, tutte ammazzate in modo estremamente violento e creativo, erano stati rinvenuti dei simboli esoterici, tracciati con il loro stesso sangue. Sam e Kevin erano riusciti ad intercettare alcuni files contenenti i referti della scientifica,  ed avevano scoperto che il sangue non era stato steso o pennellato: per quanto sembrasse impossibile, la scientifica ammetteva che era semplicemente fluito via dal cadavere di sua spontanea volontà.
Poche ore dopo quella scoperta, mentre Sam, seduto sul lungo tavolo della sala del bunker, si era tuffato nella ricerca del significato di quei simboli di sangue, Dean aveva passato gran parte del tempo a fissare la pianta della città di Henderson, chiedendosi che senso aveva soffocare una povera casalinga di mezz’età nel tentativo di farle ingoiare il proprio rene. Aveva potuto permettersi questo lusso in virtù del fatto che il suo lavoro si era rivelato molto più semplice del previsto: gli ci erano voluti pochissimi minuti per realizzare che i puntini rossi che rappresentavano il luogo in cui erano stati ritrovati i cadaveri formavano i vertici di un perfetto pentacolo.
“Figli di puttana,” aveva mugugnato Dean. Probabilmente avevano ucciso gente a caso solo perché si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. “Forse è una specie di rituale demoniaco?”
Per un attimo, Dean aveva pensato di andare da Crowley, per chiedergli se ne sapeva qualcosa.  Ma Sam aveva interrotto i suoi pensieri.
Qafsiel!” aveva esclamato di colpo.
“Salute, Sammy.”
“No. Dean, è il nome  dell’essere rappresentato dal primo simbolo apparso, quello dell’unica vittima di cui esistono foto pubbliche… visto che è l’unica ritrovata in mezzo ad una piazza.”
“Intendi dire il senzatetto a cui hanno strappato il cuore?”.
“Già.”
Il biondo aveva chiuso di scatto il suo portatile. “E’ stranamente familiare”.
“E’ una forma antica del nome di Cas,” aveva risposto Sam, il più cautamente possibile.  “Ma quel simbolo oggi è conosciuto soprattuttoper essere l’ideogramma del pianeta Saturno,” aveva poi continuato, in tono rassicurante. “In effetti, anche gli altri simboli sono molto più noti per rappresentare-”
“Questi sono i fottuti angeli, e stanno ancora cercando Cas,” aveva ruggito di colpo Dean, sbattendo un pugno sul tavolo.
Sam sospirò. Non si era neanche preoccupato di aggiungere altro. “Vado a preparare la roba,” aveva detto semplicemente, allontanandosi dalla sua postazione.
Dean era rimasto immobile al suo posto, fissando la cartina della città con sguardo a metà fra l’omicida e il disperato.
“Dean, non è a Henderson.”
La voce pigra di Kevin, proveniente dal divano lì vicino, gli aveva restituito un po’ di colore sulla faccia. Dean non si era accorto che il ragazzo fosse lì. “Ho tracciato il suo cellulare, è spento da giorni, ma è ancora a Sacramento, in California,” aveva poi precisato il ragazzo. Da dove era seduto, Dean non riusciva a vederlo, ma sentiva il ticchettio rapido dei tasti del suo portatile.

“Tu continua a tenerlo sott’occhio,” aveva puntualizzato Dean. “Se muove il culo da lì, dimmelo immediatamente.”
Kevin  aveva fatto un grugnito di assenso. “Non avresti dovuto lasciarlo andare,” aveva poi osservato, facendo cessare il ticchettio.
Dean non aveva risposto.
In effetti, che cosa avrebbe dovuto rispondere?
Era ovvio che Castiel non avrebbe dovuto allontanarsi dal bunker. Così come era ovvio che, quel maledetto giorno, dopo aver sentito la frase “Senti, amico, non puoi restare,” l’ex-angelo, passato il primo momento di sorpresa, avesse inclinato leggermente la testa da un lato, scrutando senza alcun ritegno gli occhi di Dean come se gli stesse facendo una delle sue fottute animoscopie.
Angelo o umano, era ancora Castiel, dopotutto.
Era stata in quell’occasione che Dean si era reso conto di quanto scure e stanche erano diventate le iridi di Castiel dopo la caduta: erano passati solo pochi giorni, ma lui sembrava invecchiato di anni.
Dopo quelle che a Dean era sembrate ore, Castiel aveva distolto lo sguardo, appoggiato silenziosamente sul tavolo il burrito che ancora aveva fra le mani, si era alzato ed aveva preso la strada della porta.
Così, senza dire nulla. Le labbra di Dean si erano schiuse in un sussurro di sorpresa.
Perché Castiel non aveva protestato?
Gli aveva davvero letto nel pensiero? Aveva capito che si trattava della salvezza di suo fratello?
E comunque sia, voleva davvero andarsene così?
Ma certo che sì, si era risposto Dean. In fondo, Castiel era sempre stato un figlio di puttana. Probabilmente, secondo lui era normale che Dean non lo volesse con loro: era un mero essere umano, inutile, aveva portato di nuovo il pianeta sull’orlo del disastro e per di più attirava guai.
Sì, probabilmente Castiel si era convinto che Dean lo considerasse solo un peso, e fu per questo motivo che Dean aveva quasi urlato il suo nome. Fu per questo motivo che si era mosso dal tavolo ed aveva raggiunto l’ex-angelo, gli aveva afferrato un braccio e gli aveva detto aspetta amico mio, non voglio cacciarti, fermo, ora chiamiamo Garth, ti troviamo un posto sicuro in cui stare. Castiel si era limitato ad abbassare lo sguardo esausto sulla mano di Dean, e lui l’aveva rapidamente tolta da lì.
Chissà come, Dean era riuscito almeno a ficcargli in mano uno dei suoi cellulari. Castiel l’aveva osservato stancamente, e se lo era infilato in tasca. Poi aveva fatto un cenno di saluto, ed era andato.
E’ per il bene di Sammy,” aveva iniziato a ripetersi Dean da quel momento. “E’ per il bene di Sammy.”


 

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Capitolo 3
*** Ariel ***


Note:
Vi ringrazio per essere ancora qui... e ringrazio anche chi segue questa storia. Grazie ç_ç
Ora, la brutta notizia è che questo capitolo termina la parte introduttiva, quindi è molto blah blah blah.
L’altra brutta notizia è che il titolo della fanfic si riferiva ad una parte che ho deciso di cambiare e che quindi ha fatto puff.
Mannaggia a me.
Ci ho pensato, ieri notte.”Cambiamo il titolo!” ho detto al mio chtulhupeluche, che ha annuito. Ok. Cambiamo il titolo. Mettiamone uno che richiama scene che ho già scritto, per sicurezza. Ho riletto le scene. Ho meditato. E ho scritto:
Il giorno in cui Castiel riuscì a mostrare un tesserino dell’FBI dritto” , “Tentacle rape time per Dean” ,  “Torna a cuccia, Zeke” ,  “Tesoro, hai messo il sale?”, “Tutte le donne di Sam (hanno problemi)” , “Odio quando cerco di dichiararmi e Godzilla mi interrompe”--- OKAY, ho concluso alla fine,  LASCIAMO IL TITOLO ATTUALE.


/lettori scappano



* * *


Seduto sul letto del triste motel in cui alloggiava, Dean sfiorò il touchscreen del suo smartphone, scorrendo la rubrica fino a trovare il numero del cellulare di Castiel. Kevin gli aveva detto che era spento, per cui era del tutto inutile cercare di chiamarlo, e comunque non era una cosa che Dean voleva fare.
Era trascorso quasi un mese dalla loro discussione nel bunker, ma quando ripensava a come si erano lasciati, qualcosa che Dean non aveva intenzione di affrontare gli afferrava il colletto della giacca e iniziava a trascinarlo giù, sempre più giù.
Il non aver più avuto sue notizie da allora non migliorava la situazione.
Cercando di ignorare quel peso fastidioso, Dean osservò di sottecchi il fratello che armeggiava con il suo portatile
sul tavolino lì accanto. Per quanto tempo ancora Ezekiel avrebbe dovuto curarlo? Settimane? Mesi?
Dean si rimise il cellulare in tasca. Se fossero riusciti a dare una bella lezione agli angeli che c’erano dietro agli omicidi, i loro amichetti si sarebbero resi conto che era meglio non rompere le palle a Castiel,e questa sarebbe già stata una gran cosa. Questo pensiero gli permise di scrollarsi rapidamente di dosso i suoi sensi di colpa e ritrovare la concentrazione.
“Allora Sammy, ricapitoliamo: ci sono stati cinque omicidi a distanza di cinque giorni l’uno, l’ultimo è avvenuto tre giorni fa,” riassunse il biondo.  “La nostra unica pista è quella famiglia di ricconi”.
“Reynolds,” specificò Sam, grattandosi il mento con una mano, mentre scorreva alcune pagine web. “Allora, il Dottor Reynolds lavorava come chimico in una base militare, ma ha fatto fortuna negli anni ’90 grazie a degli ottimi investimenti. Quando è morto, il primogenito, Leon, ha iniziato a darsi alla bella vita, donne, alcool, casinò... dilapidando tutto il patrimonio di famiglia.
Ora non si sa se questa famiglia sia davvero ricoperta di debiti o no, ma la sorella di questo Leon sta per sposarsi con un ricco azionista di Los Angeles che credo abbia il triplo dei suoi anni”.
Dean si era concentrato sulla trama di questa scadente soap opera solo perché la residenza della famiglia Reynolds era situata proprio al centro del pentacolo descritto dalle vittime.  
“Credi che abbiano degli angeli dentro?” chiese.
“Non ne ho idea,” ammise Sam. “La  festa per il fidanzamento di questa donna è stata annunciata da tempo… ci sarà mezza città. Potrebbero anche essere solo le prossime vittime. Insieme a molte altre.”
Sam non aveva torto. Quella festa era sicuramente una trappola.
Infatti, così come il simbolo di Saturno, che si riferiva a Castiel, anche gli altri quattro simboli di sangue avevano dei significati molto chiari, per loro:
Il simbolo di Urano, sera; il simbolo di Nettuno, gran finale; il simbolo di Plutone, morte.
L’ultimo simbolo era l’ideogramma per il pianeta Terra, ma nonostante ciò i giornali insistevano da giorni nel pubblicizzare il serial killer come “l’omicida zodiacale”.
La polizia brancolava nel buio, ma per Sam e Dean ovvio era che in realtà si trattava solo di diversivi per attirare l’attenzione di Castiel. Sospettosamente ovvio, ma in fondo gli angeli non erano mai stati delle geniali menti criminali: erano troppo arroganti per porsi dei problemi.
Probabilmente volevano semplicemente dire a Cas: “Consegnati, o tutte le persone innocenti in quel posto moriranno.”
Dean si tirò in piedi e si rimise al lavoro.


**


La sera di due giorni dopo, Sam e Dean erano riusciti ad infilarsi nel party di Tonya Reynolds.
Lei, che neanche a dirlo era un’avvenente 24enne, avrebbe sposato un triste omino di mezz’età, basso e calvo.
Dean, appoggiato alla parete della sala in cui si svolgeva la festa, dorata, scintillante e ricolma di persone schifosamente ricche (e di risatine schifosamente arroganti, e di cibo schifosamente raffinato), si era ritrovato più volte a fissare la donna, stretta nel suo lungo, costoso e leggermente scollato abito blu mare.
“Per lavoro,” si era scusato con sé stesso, anche se un riluttante Ezekiel gli aveva confermato solo poco prima che non c’era nessun angelo, demone o strano mostro nei dintorni.
Tonya aveva morbide onde di capelli corvini che le ricadevano sulla schiena seminuda, un viso delicato da bambina, e Dean l’aveva sorpresa più volte a guardare in direzione di Sam. Una volta, lei aveva persino fatto un gesto nella direzione del minore, e aveva usato la sua voce melodiosa per ringraziarlo della rapidità con cui lui era accorso e della gentilezza con cui le aveva offerto uno dei bicchieri di aperitivo che teneva in precario equilibrio su un largo vassoio argentato.
Fu in quei momenti che Dean si pentì di aver fatto infilare Sam nel servizio di catering, e di essersi finto lui uno dei sorveglianti del servizio di sicurezza privato che la famiglia aveva contattato.
Sam, fingendosi un cameriere, poteva vagare liberamente per la sala; lui invece era costretto a restare fisso in un angolo, in piedi, in professionale silenzio, le braccia incrociate sulla sua giubba nera antiproiettile d'ordinanza.
Dean trascorse gran parte della festa guardando male gli invitati, ripetendosi mentalmente il piano che aveva preparato con Sam e aspettando che gli angeli si facessero vivi.
Ma ciò non avvenne.
“Tsk,” mugugnò il cacciatore quando il suo orologio segnò le 24:00. Gli angeli avevano rinunciato? O forse,  dopotutto, avevano sbagliato ad interpretare gli omicidi?
Quando, un paio d’ore dopo, la festa finì e gli invitati, più o meno brilli, abbandonarono la sala, Dean ricevette l’ordine di farsi un giro per il piano terra  per controllare che fosse tutto a posto. Lieto di potersi finalmente sgranchire le gambe, si mosse per uscire dallo stanzone ormai vuoto, ma aveva fatto solo pochi passi che una mano gli afferrò la spalla.
“Deve essere assetato,” disse una voce roca e palesemente su di giri.
Si voltò, scorgendo nientemeno che il famigerato Leon Reynolds, che gli stava offrendo un bicchiere di champagne. Dean lo fissò per la prima volta da vicino: era un uomo sulla trentina alto, sottile, col viso scavato e con in testa una scodella di capelli neri e lunghi acconciati in un’orribile treccia femminile.  Riconfermò la prima impressione che aveva avuto su di lui: se l’aveva scelto un angelo, doveva trattarsi di un angelo dai pessimi gusti.
Dean fissò il bicchiere che l’uomo gli aveva praticamente messo sotto il naso.
“Non bevo in servizio,” disse cauto.
“Peccato,” ammise Leon,  facendo scivolare casualmente una mano addobbata con fin troppi anelli d’oro lungo il suo braccio.
GLI STAVA.
ACCAREZZANDO.
IL BRACCIO.
Prima che Dean potesse fare qualcosa, Leon ebbe l’opportunità di dargli un paio di amorevoli schiaffetti sul collo esposto, cercando forse di costringerlo ad avvicinarsi a lui, ma quando sollevò di nuovo la mano, il biondo la bloccò con un gesto rapido.
“Signore,” si accomiatò Dean nel tono più professionale possibile, immaginando internamente di spaccargli la faccia.
Uscì dalla sala, nervoso e frustrato, strofinandosi energicamente il punto del collo in cui era stato violato. Dove avevano sbagliato lui e Sam? E soprattutto, perché queste cose succedevano sempre a lui?
Continuò a grattarsi il collo d’istinto per tutto il tempo, perché ormai la pelle era irritata. Doveva rivedere Sam, e se possibile anche Ezekiel. Dean si avviò verso le cucine, quando qualcosa attirò la sua attenzione: aveva raggiunto un atrio immerso nella penombra che affacciava nel giardino, e di fronte ai suoi occhi una figura femminile evanescente, vestita di bianco, era appena apparsa in un angolo.
Dean strizzò gli occhi: uno spettro?
Cautamente, si mosse nella direzione dell’apparizione, afferrando nel contempo il cellulare.


**


Sam era distrutto.
Fare il cameriere di sala ad una festa del genere era decisamente più faticoso dell'uccidere mostri. Il capocameriere gli aveva imposto di aiutare a ripulire la cucina, ma lui non ne aveva la minima intenzione, e si era defilato alla prima occasione. Si tolse il cravattino e lo lanciò via, ma  mentre si stava sbottonando il colletto della camicia ricevette una chiamata da Dean.

 “Sono accanto nell’atrio della zona sud della casa,” disse il maggiore. “Pare che abbiamo compagnia.”
“Finalmente,” pensò Sam. Girò sui tacchi e andò nella direzione indicata da Dean. “Angeli?” chiese.
La comunicazione si interruppe.
Allarmato, Sam affrettò il passo, raggiungendo l’atrio deserto in brevissimo tempo. Si guardò intorno, sinché non notò il cellulare di Dean a terra, accanto ad un corridoio seminascosto dall’ombra e da un gioco di prospettive.
Vide un bordo bianco svolazzante.  Pensò che fosse il vestito di una donna, invece era solo una tenda, che ondeggiava a causa del vento notturno: qualcuno aveva lasciato le finestre aperte. Sam la scostò rapidamente, scoprendo che nascondeva una stretta rampa di scale, che scendeva giù, verso un livello sotterraneo. La percorse, raggiungendo una grossa stanza rettangolare e illuminata, giusto in tempo per vedere in fondo ad essa Dean che varcava uno strano portone, che si chiuse alle sue spalle.
“Dean!” chiamò Sam con ansia crescente, e si affrettò in quella direzione.
Era a metà strada, quando la stanza iniziò a tremare. I quadri appesi alle pareti caddero con un tonfo, mentre un fischio acutissimo costrinse Sam a fermarsi ed accovacciarsi a terra, le mani a coprire le orecchie. Sam strinse gli occhi. Il tremolio continuò a crescere, e poi di colpo cessò.
Come se non fosse successo nulla, Sam balzò in piedi e raggiunse il fondo della stanza a grandi passi, ma solo per accorgersi che il portone era sparito.
Interdetto, il giovane tastò la parete, cercando una fessura, un qualche meccanismo nascosto, qualunque cosa, quando una voce atona alle sue spalle attirò la sua attenzione.
“E’ inutile, Sam Winchester, ormai è andato,” disse la donna a pochi passi da lui.
Era Tonya Reynolds, realizzò Sam girandosi, o forse no. Per un attimo, gli occhi della giovane avevano brillato di una luce sovrannaturale.
Sam sentì qualcosa scalpitare dentro di lui. Qualcosa di curioso ed allo stesso tempo agitato che si sollevava in una parte profonda di sé.
“Andato?” ripeté, estraendo il coltello angelico che aveva rubato a chissà quale angelo ucciso in passato. “Sei un angelo? Hai ucciso tu quelle persone?”
La donna non si mosse dal suo posto. “Sì, sono un angelo. Mi presento,” sorrise.  “Il mio nome è Ariel, piacere”. Fece un inchino depresso e molto teatrale.
Dal nulla, comparve un velo nero da funerale a ricoprirle il volto. In mano, aveva un fitto mazzo di rose nere. “Sono qui per porgerti le mie più sentite condoglianze per la perdita di tuo fratello.”

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Capitolo 4
*** Tentacoli ***


Note:
Sarò seria. Ma non oggi.

 


* * *


 
Quando riaprì gli occhi, Dean si ritrovò disteso su qualcosa di morbido e profumato.  Tastò il terreno, e scoprì che era erba.
C’era qualcosa che gli pizzicava la guancia. Nel mettersi seduto, la prese in mano e la fissò, confuso: si trattava di una specie di strana foglia spinosa che non aveva mai visto prima.
Si sollevò da terra, guardandosi intorno. L’ultima cosa che ricordava era l’aver seguito una specie di fantasma, in una villa.
Ora non c’erano più né la villa né il fantasma: si trovava invece in una specie di radura, circondato da una gran varietà di piante ed alberi esotici, alcuni dei quali si ergevano per metri e metri. Erano ricoperti da muschi di colori brillanti, e dai rami pendevano quelle che sembravano grosse liane verdi e azzurre. Una fitta rete di rami e foglie colorate filtrava la luce del giorno, e il terreno era quasi interamente coperto da erba rosa.
Tutto, intorno a lui, era completamente immobile.
Non si sentiva neanche un rumore.
Dove diavolo era finito?
 
 
*
 
 
Sam strinse il pugnale, pronto a uccidere la creatura che si annidava nel corpo della giovane donna di fronte a lui.
“Dean è morto,” gli aveva detto lei.
“Sei stata tu?” ruggì Sam.
“Ma certo che no!” strillò lei offesa a morte, gettando via il mazzo di rose e strappandosi dalla testa il velo. “Come puoi anche solo pensare che sia stata io a uccidere tuo fratello?!”
Sam inarcò entrambe le sopracciglia. “Senti non so chi tu sia, ma mio fratello non è morto,”disse, convinto. “C’è una porta nascosta in questa parete. Mio fratello è dietro quella porta!”
No, Harry, Sirius non è più in questo mondo. Lui è nel Limbo adesso!”
“Cos- Nel Limbo?” ripeté Sam, stupito.
“Sì…. è stato Leon a farlo,” annuì l’angelo, distogliendo lo sguardo dal cacciatore e abbassandolo verso un punto imprecisato a terra. “L’aveva puntato... L’ha attirato qui… e l’ha spedito lì, ecco,” sussurrò, timidamente. “Non dovrei dirtelo… se lui venisse a sapere che sono qui…. mi ucciderebbe di sicuro, ecco.”
“Leon?” ripeté Sam. “Vuole ucciderti? E’ un angelo anche lui?”
“T-Ti prego, non farmi del male, i-io voglio solo aiutarti,” piagnucolò Ariel, in lacrime. 
“Aiutarmi?” disse Sam, dubbioso. “Allora dimmi tutto quello che sai, se non vuoi che ti faccia fuori, qui, e ora,” dichiarò, facendo un passo verso di lei, più per farle paura che per altro.
Non si fidava degli angeli, ma sembrava che questa Ariel fosse, per qualche oscuro motivo, abbastanza bendisposta nei suoi confronti.
“Oh, io so solo che quello che ha attraversato Dean è un portale che conduce in un luogo chiamato Limbo. In pochi sanno della sua esistenza. Non ne parlano neanche le scritture,” spiegò lei, calma e convincente.
Sam sbatté gli occhi, e quando li riaprì di nuovo, la vide che si stava infilando un paio di occhiali con una mano, mentre con l’altra reggeva una grossa tavoletta di argilla apparsa dal nulla.
“Tranne questa,” proseguì, scorrendo il dito sull’argilla fino a trovare il punto che le interessava. Lesse qualcosa che alle orecchie allenate di Sam parve enochiano. “Chiaro adesso, Sam Winchester?” concluse sorridendo, come se fosse davvero convinta di aver chiarito la questione.
“No che non è chiaro… non è chiaro niente,” disse Sam, confuso su più livelli. “Ascolta, come si fa a far riapparire il portale?”
“Il portale non è scomparso… sono stata io ad impedirti di entrarci in contatto, ecco. Se non l’avessi fatto… sarebbe stata una tragedia, ecco,” spiegò Ariel. Non aveva più né occhiali né tavola d’argilla, e si stava comportando di nuovo come se fosse estremamente a disagio.
“Io non voglio che ti accada qualcosa di brutto, Sam!” esclamò all’improvviso, ansiosa. “Tu… mi sei simpatico,” ammise, e poi scoppiò in una inquietante risatina sommessa.
Sam non aveva mai visto nessuno cambiare umore così velocemente. Non ci voleva molto a capire che quell’angelo aveva qualcosa che non andava. Probabilmente, era pazzo/a.
In effetti, a quanto ne sapevano, precipitare dal Paradiso era stato un evento traumatico: era probabile che qualcuno dello squadrone  angelico avesse perso la ragione.
Sam decise di abbassare il pugnale, ma non la guardia. Forse, sarebbe riuscito a cacciare qualcosa di buono da Ariel. Doveva solo armarsi di molta pazienza.
“D’accordo, ti ringrazio… Ariel, anche tu mi sei simpatica. Ma io ora ho bisogno di riportare indietro mio fratello, capisci? Puoi aiutarmi a farlo?”
“Certo che lo farò, quando ti sarai svegliato,” rispose lei, entusiasta come una ragazzina.
“Cosa vuoi dire?”
“Che questo è un sogno, Sam. Buona notte!” 
Prima che Sam potesse dire o fare qualunque cosa, l’angelo schioccò le dita e scomparve nel nulla. La stessa cosa avvenne al resto della stanza, e Sam, di colpo, precipitò nella più totale incoscienza.
 
 
*
 
 
Dean stava passeggiando in quella specie di giungla già da un paio di minuti.
Gliene erano capitate tante nella vita, ma non gli era mai capitato di finire nella Valle Incantata.
“Ok, Gabriel, vecchio mio, bella trovata… ora riportami indietro,” aveva detto poco prima, sperando di veder comparire dal nulla l’arcangelo burlone. Purtroppo, Gabriel non si era visto da nessuna parte.
Ovviamente, aveva perso il cellulare. Altrettanto ovviamente, la ricetrasmittente del servizio di sicurezza che aveva nel giubbotto antiproiettile non funzionava. Se non altro aveva ancora con sé il coltello di Ruby, la sua pistola ed un paio di altre cosette.
Di colpo, Dean si fermò ed estrasse il coltello, consapevole che di lì a pochi secondi gli sarebbe servito. Era già da un po’, infatti, che si era accorto della presenza silenziosa alle sue spalle.
“…e si comincia,” mormorò.
Dean si voltò di scatto, tirando una pugnalata verso il petto dell’assalitore, che però era molto più agile del previsto: non riuscì neanche a vederlo, capì solo che il suo colpo era andato a vuoto e che l’avversario, scattato di lato, aveva approfittato del suo squilibrio per assestargli un  colpo alla base del collo, facendolo collassare a terra sull’erba umida. Poi l’aveva voltato sulla schiena, lo aveva inchiodato a terra con il peso del suo corpo e, con un gesto rapido e preciso, gli aveva bloccato sopra la testa la mano che reggeva il coltello di Ruby, premendogli infine una lama gelida sul collo fino a farglielo sanguinare.
Dean credette per un istante che sarebbe morto in quel modo stupido, ma l’altro esitò a tagliarli la gola; fu allora che Dean si rese conto che il figlio di puttana che stava per ucciderlo non era altri che Castiel.
Il cacciatore, stravolto, spalancò la bocca per dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono.
Dal canto suo Castiel, immobile sopra di lui, non accennava ad abbassare l'arma. Considerata la facilità con cui l’aveva steso, per un attimo Dean pensò che avesse recuperato i suoi poteri da angelo; impiegò alcuni secondi per capire che, a giudicare dal modo irregolare in cui Castiel respirava, quel breve combattimento era stato uno sforzo umano considerevole per lui.
L’ex-angelo indossava un completo nero che somigliava molto alla tenuta standard angelica, ma la sua camicia era scura e aperta sul collo. Aveva i capelli scompigliati, la barba appena accennata e una sanguinosa guerra interiore in corso dentro di lui: Dean lo capì dal suo sguardo combattuto e dal modo in cui teneva serrata la mascella.
“Cas… Cas sono io,” si affrettò a dire, passato lo shock iniziale. “Io… Io e Sam ci siamo insospettiti per via di quegli omicidi…  eravamo venuti a dare un’occhiata per vedere se stavi bene,” spiegò confusamente.
“Che pensiero gentile,” ansimò Castiel con uno stanco mezzo sorriso, continuando a schiacciarlo a terra, senza togliergli il pugnale dal collo, né la mano dal braccio destro. “Dean,” concluse, in tono quasi… canzonatorio.
Ok, ora Dean si era rotto le palle. “Cas, maledizione, sono io!” esclamò, con più veemenza. “E se proprio vuoi ripetere quello che è successo quando ti controllava Naomi,  almeno abbi la decenza di non spaccarmi la faccia stavolta, visto che non puoi più guarirmi!”
Castiel parve rilassarsi. Allentò leggermente la presa sul pugnale e abbassò gli occhi su Dean, fissandolo intensamente. I loro volti erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, ma Dean sostenne quello sguardo senza cedere o protestare. Per qualche secondo, nell’aria immobile si sentirono solo i loro respiri.
Poi Castiel lo lasciò andare e si risollevò in piedi. Indietreggiò di qualche passo, mentre Dean si rialzava a sua volta, e recuperava da terra il coltello di Ruby.
Dean vide Castiel far roteare istintivamente il pugnale angelico nella mano, come se fosse pronto ad usarlo contro di lui in qualsiasi momento.
“Devi puntarmi contro quella roba ancora per molto, Cas?” chiese in tono casuale. “Non sta per spuntarmi la faccia di un Leviatano, se è questo quello che ti stai chiedendo.”
“E’ questo il nodo della questione,” ammise Castiel, riluttante. “Se io mi rilassassi e tu diventassi un Leviatano, finirei per spaventarmi.”
Dean inarcò un sopracciglio.
“Da quando sono un mortale, ho scoperto che alla base della maggior parte delle azioni umane vi è una sorta di indefinito terrore ancestrale. Quando un essere mortale abbraccia l’inevitabile, questa sensazione lentamente si perde, avvicinandolo alla pace interiore. Se, invece, dai una speranza ad un mortale e poi gliela togli, il terrore esplode, diventando quasi tangibile.”
“Cas, non sto capendo un cazzo di quello che stai blaterando, ma sono felice anche io di rivederti, amico,” disse Dean. “Ma ora che ci penso, tu non dovresti essere in California?” chiese poi, toccandosi ripetutamente il collo. Sanguinava leggermente. Quel maledetto l’aveva davvero ferito al collo.
“California?” Castiel parve confuso.
“Il cellulare che ti ho dato, Cas.”
“Oh,” disse l’ex-angelo, dispiaciuto. “Devi scusarmi, Dean. L’ho venduto. Avevo bisogno di denaro,” spiegò. “Lo rivolevi indietro?”
Dean roteò gli occhi, insultandolo silenziosamente. “Lascia perdere. Come sei finito qui dentro?”
“Qualcuno stava uccidendo degli innocenti per richiamare la mia attenzione,” spiegò Castiel. “Poco tempo dopo il quinto omicidio, sono entrato nella villa di una famiglia dal nome strano per indagare. Stavo interrogando il proprietario. Poi di colpo… non so dirti come, mi sono ritrovato qui.”
“Interrogando?” ripeté Dean.
“Sì.”
“In che se-”
Castiel rispose in anticipo alla sua domanda estraendo dalla tasca interna della giacca un finto tesserino dell’FBI. Lo guardò un attimo, giusto per assicurarsi che fosse dritto, e poi riprese a mostrarlo a Dean.
Per la seconda volta in pochi minuti, Dean schiuse le labbra, ma non riuscì a parlare. “Il nostro Cas è diventato grande,” avrebbe detto, a metà fra lo scherzoso e il commosso, in tempi normali. In realtà, si limitò ad accennare un mezzo sorriso, dimenticandosi per qualche istante che si trovava in mezzo ad una maledettissima giungla aliena saltata fuori dal nulla. Quando se ne ricordò, stava per chiedere spiegazioni a riguardo ma Castiel, dopo aver rimesso il tesserino nella giacca, gli aveva borbottato un “Ora se non ti spiace,” gli aveva voltato le spalle ed aveva iniziato ad allontanarsi nella boscaglia.
“Ehi,” esclamò Dean, preso in contropiede. “Ehi, ehi, ehi Cas, frena un attimo, dove stai andando?”
“Non ho intenzione di starti vicino, Dean,” rispose lui, senza fermarsi.
Dean gli andò dietro. “Amico, lo so che sei ancora incazzato per quello che è successo, ma davvero, ho avuto le mie ragioni per dirti di andare via.”
Castiel non rispose.
Affrettando il passo, Dean lo raggiunse e gli strinse la spalla, costringendolo a fermarsi.
Dio, se era un soddisfazione non permettergli di scomparire mentre erano a metà discorso.
“Cas-”
“Lo so che hai dei motivi segreti per non volermi intorno,” lo interruppe Castiel compostamente. “Per questo sto andando,” spiegò, passando lo sguardo dal volto di Dean alla sua mano, aspettandosi che lui mollasse la presa.
Cosa che non avvenne.
“No invece, non hai capito un bel niente. Ascoltami bene, razza d’idiota, quella cosa non riguarda me. A me non importa- Cas, che diavolo è quella roba che hai intorno al braccio?”
Castiel si voltò nel punto che Dean stava fissando, e spalancò gli occhi per lo stupore.
Una strana nebbia scura e densa galleggiava silenziosa a pochi metri da loro. Mentre stavano discutendo, una scia sottile si era allungata nella loro direzione, ed aveva iniziato ad avvolgersi in piccoli cerchi attorno al polso di Castiel.
Il moro, senza scomporsi, sollevò lentamente il braccio, liberandosi da quelle volute di fumo, e lanciò un’occhiata molto eloquente a Dean, che annuì e fece un passo indietro.
Indietreggiando in silenzio, i due riuscirono a mettere fra i loro corpi e la nebbia una decina di metri di distanza. Ma quella, qualunque cosa fosse, all’improvviso sbocciò in una miriade di ramoscelli... o meglio, di lunghi e spessi tentacoli ondeggianti.
Dean deglutì istintivamente. Guardò Castiel, sperando che lui sapesse cosa fare, ma l’altro gli rimandò un’occhiata incerta quasi quanto la sua.
Il cacciatore non sapeva cos’era quella nebbia ma in passato, involontariamente, nel corso di alcune sue ricerche…speciali su internet, gli erano capitati sott’occhio dei… fascicoli che mostravano nel dettaglio che cosa gli indefiniti mostri tentacolari potevano fare alle avvenenti ragazze asiatiche.
Non era proprio il genere di Dean, e comunque sia, lui non ci teneva a sperimentare di persona quanto aveva visto.
Fortunatamente, l’essere sembrò ignorarli.
Dean e Castiel ripresero ad allontanarsi. Ma Castiel schiacciò un rametto secco, e tutti i tentacoli della cosa si fermarono all’unisono, paralizzati come un felino che ha adocchiato la preda ed è pronto a saltarle addosso.
“Scusami, Dean,” mugolò Castiel.
I tentacoli scattarono nella loro direzione, per cui un terrorizzato Dean afferrò Castiel per la giacca ed iniziò a scappare precipitosamente con lui fra gli alberi colorati.
“Se quei cosi mi violentano, Cas, giuro che ti ammazzo,” gridò Dean al compagno, correndo per la propria verginità integrità.


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Capitolo 5
*** Scuse, nel 2014 ***


Note aggiornate il 05/01/2014:
Sono riuscita a capire come si pubblica in Cambria. Mi sento potente.
(Poi però ripenso al fatto che ho una laurea in ingegneria e che ho impiegato 3 mesi per capire come funziona l'html su EFP, e torno a sentirmi una schifezza.)
Extra: l’altro giorno ragionavo sul fatto che se dovessi immaginare un tema per Ariel, sceglierei:  http://www.youtube.com/watch?v=BgmnQzpI8o0  .
La cosa simpatica è che, mentre scrivevo gli ultimi due righi del capitolo, la riproduzione casuale del mio lettore ha scelto di far partire proprio questa musichetta.
La cosa ridicola è che mi sono spaventata.


 

* * *


Dean e Castiel, l’uno accanto all’altro, poggiarono la schiena nello stesso momento sullo stesso tronco d’albero violaceo.
Bloccati nel Limbo, avevano corso fra gli alberi secolari sino a quando non erano stati sicuri di aver seminato l’essere che aveva tentato di catturarli.
“E’…andato…?” ansimò Dean.
Castiel, troppo impegnato a riprendere fiato per rispondere, fece un gesto affermativo.
Tirando un mezzo sospiro di sollievo, Dean si lasciò scivolare contro il tronco liscio e intrecciato dell’albero, sedendosi sulle sue radici esposte. “Che diavolo… era… quel figlio di puttana?”
“Solo un’ombra,” rispose Castiel, riponendo il pugnale angelico all’interno della sua giacca e sbottonandosi ancora un po’ il collo della camicia.
Dean, dal canto suo, decise di togliersi il giubbotto antiproiettile, a suo parere inutile se non dannoso in quel posto, visto che non faceva altro che appesantirlo. Ne approfittò anche per aprirsi la giacca della sua divisa scura da sorvegliante, sotto cui indossava la sua solita T-shirt nera.
“Credo che volesse fare conoscenza con noi, Cas.”
“No, Dean. Qui le ombre divorano.”
“Qui dove, scusa?”
“Cosa intendi dire?”
“Intendo dire,” esclamò Dean esasperato, “lo so che la domanda può sembrarti banale e noiosa, ma dove Cristo siamo, Cas?”
Castiel, stupito, abbassò lo sguardo su Dean per qualche istante, come se fosse indeciso sul se prendersela con lui per l’espressione blasfema che aveva appena usato oppure no. Alla fine, decise che non gli importava. “Nel Limbo, credo,” rispose con voce profonda.
Dean sbatté le palpebre. “Nel Limbo.”
“Sì.”
“Nel Limbo,” ripeté Dean, con maggiore incredulità.
“Già.”
Il cacciatore ebbe l’impressione che avrebbero potuto continuare così per l’eternità. “Io…sono solo entrato in una stanza,” disse, perplesso.
In effetti, ora che ci pensava, perché l’aveva fatto?
Stando a quel che ricordava, aveva visto uno spettro ed aveva deciso di seguirlo.  Poi, però, qualcosa gli aveva offuscato la mente, e con essa la capacità di pensare lucidamente.
Qualcosa lo aveva spinto ad attraversare quella strana e grossa porta.
“Credo di averlo fatto anche io,” annuì Castiel, pensieroso, sedendo accanto a lui, appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. “Ma è tutto molto confuso.”
Dean imprecò in silenzio. “Beh, e cosa si fa in questo Limbo? Feste? Balli?”
Castiel inclinò la testa da un lato, inarcando un sopracciglio. “Non ne ho idea, Dean. Non sono Virgilio.”
Il biondo lo fissò come per dire: Che c’entra quell’angelo killer con noi?, ma non aprì bocca, così Castiel, dopo parecchi secondi di silenzio, decise di spiegargli quel che sapeva.
“Non so molto di questo posto. Si dice che fosse un residuo di un universo pagano mai pienamente sviluppato, a metà fra il Purgatorio e l’Inferno. Le voci che ho sentito lo descrivevano come un luogo…” si interruppe, cercando la parola adatta “…disordinato,” concluse.
“Cosa hai fatto finora qui dentro?”
“Ho visto… cose.”
“Che tipo di cose?”
Castiel si voltò dall’altra parte. “Non saprei descrivertele,” disse in tono sibillino, e Dean ebbe l’impressione che in realtà non volesse farlo, ma lasciò cadere.
“Utile come al solito, Cas.”
“E’ sarcasmo?” chiese Castiel. “Devo ancora capire il meccanismo con cui funziona il sarcasmo,” rimuginò poi ad alta voce.
Dean roteò la testa e gli occhi. Improvvisamente stanco, poggiò la nuca sul muschio soffice che ricopriva il tronco  dello strano albero alle sue spalle.
Se c’era una cosa peggiore dell’essere bloccati nel Limbo, era l’essere bloccati nel Limbo con Castiel e senza una sufficiente quantità di alcool per sopportarlo anche se, in fondo, tutto questo gli era mancato.
Questa situazione gli ricordava un po’ il Purgatorio, ma stavolta con lui non c’era la robusta presenza di Benny a lamentarsi di tipo ogni cosa. In effetti, realizzò di colpo Dean, stavolta con lui non c’era neanche un angelo conscio dei pericoli del posto: c’era solo un uomo, fragile e disorientato quanto lui.
Questa improvvisa consapevolezza fece sobbalzare qualcosa dentro Dean a cui, senza curarsi di nascondere una certa nota di preoccupazione, venne istintivo chiedere al compagno:
“Cas, tu…stai bene?”
“Mi stai davvero chiedendo questo ora?” rispose lui, per poi lanciargli un’occhiata in tralice.
Dean, stupito, aprì la bocca per rispondere. Ma non lo fece, perché in quel momento i suoi sensi di colpa avevano deciso di risvegliarsi e di ricominciare a rosicchiare qualcosa dentro di lui.
E lui, in quel momento, non aveva né la forza né la voglia di scacciarli.
Non avendo dove altro andare, i due uomini passarono alcuni minuti seduti lì completo silenzio, in quell’atmosfera immobile e calda, finché Dean non si accorse che il suo compagno, il volto cupo, stava tenendo fisso lo sguardo verso un punto poco distante da loro. Per un attimo, temette che si trattasse di nuovo della nebbia tentacolare e si affrettò a cercare di individuarla, ma non vide nulla.
“Cas, che cosa c’è?” chiese infine all’ex-angelo.
“Niente,” rispose lui velocemente, senza però distogliere lo sguardo dal suddetto niente.
Dean si rabbuiò, ma non disse nulla.
“Dean, io… dopotutto, credo che dovresti allontanarti da me,” aggiunse poco dopo Castiel, alzandosi in piedi.
“Sì,” annuì il biondo, imitandolo. “Dovrei,” disse. “Dovrei, perché sono anni che ti conosco e sono anni che non fai altro che causare problemi sia a me che a Sam. Non fai altro che fare e dire stronzate, combinare casini senza dirmi niente e poi uscirtene con il tuo  maledettissimo “scusami Dean”. Quindi non provare a fingere con me, Cas, io ti conosco. Lo so che sei ancora incazzato perché ti ho abbandonato proprio quando avevi bisogno di me. Ma quando io avevo bisogno di te, quando io ti ho pregato per notti intere nel Purgatorio, quando ti ho supplicato di tornare da me con quella fottuta tavoletta, tu che cazzo hai fatto per me? Sei tornato? No, Castiel. Mi hai lasciato solo come un coglione, perché eri convinto di fare la cosa giusta!”
 Castiel ora stava guardando Dean, le labbra screpolate schiuse in un’espressione sconcertata.
“Senti, io lo so di aver fatto una cazzata, ok? Lo so. Ma non ti ho abbandonato, Cas. Io non ti ho mai abbandonato. In questo momento sono qui per te, maledizione! Te ne rendi conto?!”
“Dean—”
“Sta’ zitto, Cas, e dimmi una volta per tutte che diavolo ti sta succedendo!” esclamò Dean, esasperato.
In quel preciso istante, la foresta cadde in mille pezzi.
Nel tempo di un respiro, l’erba aliena divenne asfalto spaccato, gli alberi più grossi lasciarono il posto a edifici cadenti, le liane a cavi tranciati. La pianta alle loro spalle, adesso, era un pezzo di un vecchio muro squarciato e ricoperto di rampicanti morti.
Vi erano automobili divelte a terra e gran parte delle porte e finestre erano sbarrate. I grattacieli semidistrutti erano stati assaltati dalle piante, e le loro cime puntavano verso un cielo cupo e nuvoloso. Ogni tanto, una goccia di pioggia cadeva sulla testa o sulle spalle di Dean.
“Figlio di…” mormorò, ormai per l’ennesima volta, il cacciatore, guardandosi intorno stravolto. “Cas… è cambiato! Ora siamo in un… nel…”
Nel 2014, concluse l’inconscio di Dean al suo posto, facendogli scorrere un brivido lungo la schiena.
“Succede continuamente,” annuì Castiel scostante, e finalmente Dean comprese il significato dell’aggettivo “disordinato” che lui aveva usato poco fa.  “Quando sono arrivato io, c’era l’ufficio di Naomi. Poi tutto ha preso la forma di un anfratto dell’inferno in cui ero stato. E così via, finché non sei arrivato tu. E’ meno monotono del Purgatorio, ma non è per niente un luogo di purificazione,” osservò l’angelo.
Dean sentì la frustrazione che aveva provato poco fa tornare a scorrergli nelle vene. Quindi stavolta non mi prenderai per il culo per cercare di restare qui? Avrebbe voluto rispondergli. Ma si trattenne, e riseppellì tutto dentro di sé, perché c’erano cose più importanti in quel momento.
Se si trovavano davvero in una copia perfetta del 2014, ragionò Dean, c’era un’elevata probabilità che la zona fosse infestata dai Croatoan. Lui aveva una pistola, ma loro erano tanti, e pericolosi. Se li avessero attaccati in gruppo, probabilmente sarebbero stati fatti a pezzi in pochi minuti.
In silenzioso accordo, i due uomini si tolsero dalla strada ed iniziarono ad esplorare il posto, riparandosi sotto i vecchi portici e cercando dentro le abitazioni maleodoranti; inizialmente, Dean era teso e nervoso, ma man mano che il tempo passava, si rendeva conto che in quella città, così come nella giungla di prima, non c’era (era proprio il caso di dirlo) anima viva.
“Mi mancava, il Limbo,” dichiarò alla fine Dean ad alta voce, calciando una lattina arrugginita in mezzo alla strada. “Mi sono fatto l’Inferno, il Paradiso, il Purgatorio, ora anche il Limbo. La prossima volta dove mi manderanno? Sul monte Olimpo? Ad Asgard? A cavallo del Drago Shenlong?”
Fu un attimo. Senza dire una parola, Castiel scattò verso di lui, scansandolo via, e subito dopo ricadde all’indietro, sbattendo forte la schiena contro il marciapiede rotto e sporco, come se un essere invisibile lo avesse appena spinto lì.
La mano di Dean scattò d’istinto sulla pistola ma ben presto il cacciatore, non riuscendo a percepire alcun pericolo all’orizzonte, decise di lasciar perdere e correre invece a verificare le condizioni del compagno, che con un gemito si era girato di lato ed ora si stava tastando il petto con una mano. Si inginocchiò accanto a lui preoccupato, ma gli bastarono pochi secondi per comprendere che sul petto di Castiel non vi era nessuna ferita.
“Cas, tutto bene? Che diavolo ti è preso?”
“Nulla,” replicò lui, di nuovo, puntellandosi sui gomiti. “Credevo… nulla, Dean.”
“Nulla?” ripeté il biondo, sbattendo le ciglia. “Come sarebbe, nulla?”
Afferrò malamente con una mano Castiel per il colletto della camicia, impedendogli di rialzarsi. “Forse, non mi sono spiegato abbastanza bene prima. Io ne ho abbastanza. Ne ho abbastanza della gente che mi dice “Nulla” e poi magari si fa ammazzare davanti ai miei occhi. E’ da quando ti ho ritrovato che hai ricominciato anche tu con quest’atteggiamento idiota.  Vuoi continuare ancora per molto, Cas, oppure vuoi dirmi una volta per tutte che cazzo ti succede?”
Castiel cercò debolmente di liberarsi dalla presa di Dean, ma lui non lo lasciò andare e anzi, premendogli l’altra mano sulla guancia, lo costrinse con ben poca gentilezza a guardarlo in faccia.
“E guardami negli occhi quando ti parlo, maledizione! Hai delle visioni? Vedi Lucifero, o qualche altra puttanata del genere?”
“No, non Lucifero,” ammise infine l’altro, crollando. “Ma molte altre allucinazioni. Tu, Sam… i miei fratelli…”
La pioggia iniziò ad intensificarsi.
Dean, sentendosi più sollevato per il fatto che l’amico si fosse finalmente deciso a parlare, esaminò attentamente il suo viso, cercando nei suoi occhi azzurri un qualche segno di pazzia, ma quel che vi lesse fu solo dolore, misto ad un’immensa stanchezza.
“Da quanto tempo non dormi, Cas?” gli venne automatico chiedergli, mentre la rabbia lasciava il posto alla preoccupazione. Senza rendersene conto, aveva lasciato scorrere le sue mani dal viso alle spalle sottili di Castiel. “Lo sai che devi dormire, vero?”
Castiel fece un cenno d’assenso, socchiudendo gli occhi esausto, e Dean ebbe la sensazione che lui non si stesse concedendo riposo da giorni. In effetti, anche se non era ferito fisicamente, stare in questo posto infernale, circondato da esseri strani e presumibilmente letali, senza mangiare, bere o riposare, non doveva essere stato salutare per lui, soprattutto ora che era umano. Forse, Castiel aveva iniziato a sviluppare delle allucinazioni a causa della debolezza e dello stress a cui era stato sottoposto.
Dean capì che avrebbe dovuto avere sospetti a riguardo sin dal primo momento che lo aveva visto: Castiel lo aveva attaccato perché probabilmente lo credeva una visione, e qualcosa del genere doveva essere accaduto nella giungla, accanto all’albero, e poco fa.
 “Avresti dovuto dirmelo prima,” disse infine il cacciatore.  “Questo è lo stesso tipo di stronzate che fa Sam. Mi fate solo venir voglia di prendervi a pugni entrambi, e credimi lo farò, non appena ti avrò tirato fuori da qui,” minacciò.
Castiel, dal canto suo, non comprendeva ancora bene come funzionassero i sentimenti umani, ma conosceva abbastanza bene Dean da capire che queste erano le cose più simili a delle scuse che lui era in grado di fare.
“Grazie,” gli rispose, accennando un sorriso.
“Piantala,” sospirò Dean, voltandosi dall’altra parte, improvvisamente a disagio.  “Non sto scherzando, lo farò davvero. Perché te lo meriti. Lo sai, tu sei…”
Ora Dean aveva tutta l’attenzione di Castiel.
“Voglio dire, lo sai, sei…”
La voce di Dean si spense nella pioggia, mentre lui cercava di trovare la parola adatta a terminare la frase.
Sì, beh, alla fine, cos’era quell’uomo, per lui? La sua famiglia, come Sam? No, no di certo. Suo fratello era su di un livello differente, e comunque sia, con Sam, Dean non aveva mai avuto dei momenti del genere; e se li aveva avuti, erano durati il tempo che Sam dicesse qualche puttanata sdolcinata e lui finisse per ridergli dietro, prendendo poi un paio di birre.
Ma Castiel non sembrava intenzionato a dire roba sdolcinata. Era lì di fronte a lui, seduto a terra, con i entrambi i palmi delle mani sul marciapiede; probabilmente inconsapevole di avere la giacca per metà aperta e la camicia semi-sbottonata; il volto teso in un’espressione tirata e i capelli ormai bagnati a causa della pioggerellina insistente. Ciò che restava dei suoi occhi severi ed antichi, ora offuscati dietro un velo di umanità e debolezza, era tutto concentrato su Dean, in attesa di una risposta che lui, si rese conto in quel momento, non era in grado di dargli.
La terra iniziò a tremare, ritmicamente, facendo sobbalzare le mattonelle del marciapiede sconnesso attorno a loro. Qualunque cosa stesse per succedere fra Castiel e Dean si interruppe lì, perché il primo distolse lo sguardo dal cacciatore, mentre l’altro, improvvisamente ripiombato nel mondo reale, riconosciuto quel tipo di rumore, balzò in piedi.
Non era possibile, pensò Dean, mentre le vibrazioni aumentavano man mano che la loro causa si faceva più vicina. Non era possibile che ci fosse davvero qualcosa del genere, nel 2014 così come nel mondo reale.
Ma quello era il fottuto Limbo.
Dopo un attimo di confusione, Dean venne assalito da una tremenda consapevolezza, che si materializzò quando nell’aria risuonò un basso ruggito.
“Dimmi che non è quello che penso,” sussurrò, stravolto.
Invece, realizzò con terrore quando una zampa gigante e squamata spuntò da un angolo di un grattacielo, era esattamente quello che pensava.
 

**


In una stanza della villa dei Reynolds, il corpo esanime di Sam giaceva ammanettato su di un elegante letto a due piazze, al di sopra di morbide lenzuola color avorio.

Seduta accanto a lui vi era la ragazza che rispondeva al nome di Tonya Reynolds. Era notte fonda, ma lei era ancora vestita con l’abito della festa, scarpe e gioielli compresi. Allungò una mano sul volto di Sam, verificando il suo respiro.
“Sembra che stia dormendo,” osservò, in tono incerto. “Forse dovremmo chiamare un medico..?” propose al fratello maggiore, Leon, il quale era impegnato a tracciare simboli antidemone intorno al letto e non la degnò neanche di uno sguardo.
Tonya sospirò, come se fosse abituata ad essere ignorata da lui. “Credi che ci sia un collegamento?”
“Fra cosa?” sbottò l’uomo, tirandosi indietro la lunga treccia con un gesto nervoso. “Fra il fatto che hai aperto le finestre, rovinando la linea di sale, e quello che subito dopo, magicamente, il minore dei Winchester è finito in coma?”
“La forza dell’abitudine,” sussurrò lei irritata, a mo’ di scusa. “Faceva caldo. Ero stanca. Era la mia festa di fidanzamento. Sono io che devo sposare quel tipo perché tu sei completamente pazzo. Ho dovuto sorbirmelo tutta la sera, ed ero stanca. E comunque sia, non c’é un modo più moderno del sale per proteggersi da questi tuoi fantasmi?”
Leon le lanciò un’occhiataccia, zittendola. Poi girò intorno al letto e la raggiunse, e le mise in mano un grosso pennarello indelebile e un block notes.
“Se tutto procede secondo i piani, non dovrai sposare nessuno,” mormorò. “Ora, io devo andare. Manderò qualcuno a sorvegliare quest’uomo. Tu nel frattempo ricopia tutti i simboli riportati in questo blocchetto sulle pareti della stanza: sono protezioni dagli angeli. Grandi, e anche sulla porta, mi raccomando. Poi torna nella tua stanza e chiuditici dentro. Dormi. E non toccare più le finestre.”
Lei fece scorrere lo sguardo dal blocchetto al fratello, sconvolta. “Aspetta, e tu dove vai?”
“A controllare il resto della merce,” rispose l’uomo, allontanandosi. “Fai come ti ho detto e non preoccuparti: fra poche ore sarà finito tutto,” concluse, lasciando la stanza.
Lei sbuffò, indispettita. Poi, una luce dorata brillò per un istante nei suoi occhi, e sorrise piano.
“L’avete sentito? Che peccato,” sussurrò Ariel, accarezzando delicatamente i capelli di Sam. “Ma riusciremo lo stesso a divertirci un mondo, insieme.”

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Capitolo 6
*** Vorrei porre l'attenzione sul pigiama a orsetti di Sam ***


Note, di 400 parole:
Festeggio l’aver ricevuto 10 recensioni positive spiegando che Castiel, varcata la porta del Limbo, si è risvegliato in un luogo asettico e immacolato, dall’aria familiare. Dopo aver vagato un po’ al suo interno, si è accorto che si trattava della sede celeste dei “servizi segreti angelici”.
Ha esplorato tutte le stanze, ma non ha trovato nessun angelo. Quando, alla fine, è riuscito a raggiungere l’ufficio di Naomi, ha notato che la sua sedia era girata in modo da dare le spalle alla scrivania e a lui.
Castiel si è avvicinato, tenendo ben stretto il pugnale angelico nella mano. Ha voltato la sedia di scatto, solo per vedersi cadere addosso il cadavere ormai in decomposizione dell’angelo morto.
Lo ha calciato via, agghiacciato.
Ha visto insetti striscianti uscirle dalla bocca e dalle orbite vuote e nere, gli organi interni quasi del tutto esposti e marci; un fetore tremendo gli ha fatto venire la nausea. Si è allontanato di scatto da quell’abominio, ma solo per scoprire che, alle sue spalle, era appena apparso Metatron.
L’angelo aveva ancora in mano uno degli strumenti di Naomi. Ha raggiunto Castiel e, con un unico, fluido gesto, lo ha usato per tagliargli la gola.
Castiel si è sentito soffocare, ed il terrore si è impossessato di lui.
Si è portato le mani al collo, gemendo, mentre il sangue caldo ha iniziato a scorrergli dentro i polmoni, bruciando come acido e togliendogli l’aria di cui, da umano, aveva un bisogno disperato.
Ha agonizzato per un tempo che gli è parso infinito, ha rantolato e ha vomitato sangue, ha sentito la testa esplodere e gli è parso di impazzire e poi di colpo, in un battito di ciglia, il dolore è scomparso e lui si è ritrovato all’Inferno. Lì tutto era color del sangue e continuava a bruciare. Una catena gli si è avvolta intorno al braccio; lui l’ha tranciata con il pugnale praticamente d’istinto, voltandosi di scatto nella direzione da cui era provenuta. Castiel ha scoperto che a lanciargliela era stato un mostro dagli occhi neri, che ora lo fissava sorridendo in modo tremendo, leccandosi le labbra.
Quell’anima era un’oscenità nera e martoriata. Che doveva fare Castiel, doveva combatterla? Doveva ucciderla? No, non poteva farlo. Non poteva uccidere Dean…
…sì, e magari io per le 20 recensioni mi faccio venire in mente qualcosa che non comprenda tutto questo schifo… ¬_¬ *strofina via sangue dall’ufficio di Naomi* Idee? Suggerimenti? Parlate xD
*continua a strofinare*



* * *


“Quindi, a tuo parere, quell’essere che infestava la città abbandonata era un dinosauro,” disse Castiel con tono incerto.
“Non era un dinosauro normale, Cas. Era un tirannosauro,” spiegò Dean agitando le mani. “ Gigante. Mutante.”
I due uomini stavano percorrendo un corridoio di mattoni che, man mano che avanzavano, diventava sempre più stretto e buio. Il labirinto in cui si trovavano si era materializzato dopo il 2014, ed era così tetro ed opprimente che Dean e Castiel avevano deciso di percorrerlo per cercare di capire se c’era una via d’uscita o se magari, miracolosamente, li avrebbe condotti nel mondo reale.
Giunsero ad un incrocio, da cui si diramavano due percorsi che, all’apparenza, erano esattamente uguali. Dean scelse d’istinto quello di sinistra, e Castiel lo seguì.
Quello era un tirannosauro?” chiese Castiel, riprendendo il discorso.
Il soffitto del corridoio diventava più basso ad ogni metro: a breve, sarebbero stati costretti a proseguire con la testa abbassata.
“Certo che sì. Non hai mai visto Jurassic Park?” replicò il biondo. “Godzilla? …No dai, andiamo, tutti hanno visto Godzilla!”
“Io ho visto i dinosauri, Dean. Avevano le piume,” spiegò l’ex-angelo.“Quello non era un tirannosauro.”
“Piume? Ma dai, non erano dei polli!”
 “Credo che le ricostruzioni storiche e geografiche del Limbo non siano attinenti alla realtà terrestre...”
“Ah beh certo, perché tutto il resto è attinente.”
Ora il corridoio era diventato così stretto e basso che Dean e Castiel furono costretti a camminare in fila indiana, quasi a carponi.
“Se tutto continua a cambiare,” chiese di colpo Castiel, “qual è il vero aspetto del Limbo?”
 “Non ne ho idea, ma non credo che comprenda una private house.”
“Cos’è una…private house?”
“Cas, meglio che non— Ouch!”
Dean aveva appena battuto la fronte contro un muro: erano giunti ad un vicolo cieco. Imprecando, il cacciatore accese uno zippo, verificando l’effettiva presenza di un muro di pietra dura di fronte a lui.
“E’ un vicolo cieco.”
“C’è una porta.”
Dissero contemporaneamente.
Dean voltò la testa quel poco che bastava per lanciare uno sguardo interrogativo a Castiel, che era dietro di lui.
“Non c’è nessuna porta,” disse. “Sono le tue allucinazioni, Cas.”
“E’ davanti a te,” ribatté l’altro, testardo.
Dean stava per avere un esaurimento nervoso. “Senti—” iniziò, ma Castiel, sospirando pesantemente, lo spinse di lato, contro la parete del corridoio, cercando di passargli davanti. Il passaggio era così stretto che si ritrovarono praticamente appiccicati l’uno all’altro. La testa di Castiel premeva contro la maglietta di Dean, ancora bagnata a causa della pioggia che aveva preso nella città del 2014, e mentre Dean protestava visibilmente per quella situazione, l’ex angelo tese una mano in avanti, verso il muro.
Castiel afferrò un qualcosa che Dean non riusciva a vedere e lo spinse verso il basso.
Dean vide il muro aprirsi, e una debole luce vedastra invase il corridoio.
Castiel si tirò indietro e spinse il cacciatore verso di essa, per poi seguirlo a ruota.
Quando uscirono da quel corridoio, tirarono entrambi un grosso respiro.
“C’era davvero una porta,” osservò Dean, e il compagno, stancamente, rispose con un semplice cenno affermativo. “Beh, dove siamo finiti adesso?” 
Deam si guardò intorno: erano in un gigantesco stanzone apparentemente senza soffitto, con le pareti giallognole che trasudavano strane sostanze bianche, blu, rosa e rosso.
L’aria era pregna di odori dolciastri, le luci erano fioche e fredde.
Vi erano degli oggetti accatastati in giganteschi mucchi ai lati e negli angoli della stanza, e il pavimento era solido e scuro. Non sembrava ci fossero porte, e le grosse finestre affacciavano tutte su quella che sembrava essere la via Lattea.
Mentre Castiel si guardava intorno inquieto, Dean si avvicinò ad uno dei mucchi di oggetti, e ne raccolse uno: era morbido e caldo e dall’aria invitante… era un muffin. Un vero muffin. E il resto del mucchio era composto da torte, aste di zucchero giganti, dolciumi di ogni tipo. Dean si rese conto che il pavimento era di cioccolato, mentre quella alle pareti era probabilmente crema.
“No, dai…” mormorò. “Ma stiamo scherzando..?!”
Quella stanza sembrava uscita dal mondo delle favole.
Dean lanciò via il dolcetto: l’ultima volta che lui e Sam avevano avuto a che fare con le favole, erano quasi stati ammazzati.
Ma, ora che ci pensava, Dean non aveva toccato cibo per tutta la serata. E lì dentro c’erano decine di mucchi di dolci di ogni tipo.
Alla fine, raccolse da un altro mucchio una fetta di un una crostata alle mele. Se la avvicinò al viso: profumava di confettura e zucchero in una maniera illegale. Stava già per assaggiarla, quando Castiel gli diede un colpetto all’avambraccio, facendogliela cadere. Lui lo fulminò con lo sguardo.
“Non toccare questa roba,” lo ammonì l’ex-angelo.
“Non era roba, era una crostata,” protestò Dean.
“E’ probabile che sia una trappola.”
“Ma era… crostata,” ripetè Dean. Fissò desolato il mucchio di dolci. “Fanculo, questa è una tortura,” sbottò. “Andiamo Cas. Cerchiamo una via d’uscita,” suggerì poi, allontanandosi da quei dolci.
Ma Castiel non si mosse dal suo posto; rimase invece a fissare i resti della crostata di Dean con un’espressione indecifrabile. Il cacciatore, incuriosito dal suo comportamento, aggrottò la fronte. Lo chiamò, e a quel punto l’ex-angelo sembrò come risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti.
Castiel raggiunse Dean a grandi passi e gli poggiò una mano sulla sua spalla, avvicinandosi pericolosamente a lui. “Non devi pensare che sia una tortura,” gli disse in faccia, d’improvviso, con voce profonda.
“C-Cas—!”
Castiel sollevò gli occhi sul cacciatore: il suo sguardo era intenso e grave, più simile che mai a quello che aveva quando era un guerriero di Dio, per cui Dean rimase in silenzio, senza lamentarsi della violazione del suo spazio personale.
“Credo che il Limbo stia cercando di capire in che modo può attaccarti. Non appena farai un passo sbagliato, ne approfitterà. Suppongo che sia così che funziona questo posto,” spiegò Castiel rapidamente. “Il Limbo legge nell’anima delle sue vittime e ricrea ciò che vede dentro di loro, come succede nel Paradiso. Ma lui usa questa tecnica per disorientarle ed indebolirle. Poi si manifesta e le uccide, per l’eternità.”
Dean assunse un’espressione scettica. “Vuoi dire che Godzilla e i tentacoli erano… lo stesso essere? Roba tipo… le mie paure?” borbottò. “E’ la cosa più ridicola che abbia mai sentito.”
“No, non sono le tue paure. Con me il Limbo ha scelto scenari molto più realistici e precisi. Da quando sei arrivato tu, Dean, ha iniziato a comportarsi in modo casuale.” La voce di Castiel divenne ancora più bassa del solito. “Credo sia perché la tua essenza è più forte della mia. Tu non esponi mai i tuoi veri sentimenti. L’hai confuso e tagliato fuori, per cui ora sta grattando alla tua porta, allargando ogni fessura e tentando di forzare la serratura per entrare.”
Nonostante Castiel stesse parlando in modo troppo metaforico per i suoi gusti, Dean aveva intuito cosa stava tentando di dirgli. Si morse un labbro, ricacciando indietro l’ansia.
Con la coda dell’occhio, vide che qualcosa aveva iniziato a muoversi impercettibilmente intorno a loro. Anche Castiel doveva averlo notato, perché il suo corpo si era irrigidito e la stretta sulla sua spalla si era fatta più forte.
“Qualunque cosa sia questo Limbo, non penso sia felice del fatto che stai parlando di lui alle sue spalle, Cas.”
“Lo immaginavo. Ma era un rischio che andava corso.”
“E cosa succede se uccidiamo questo simpaticone?”
“Non possiamo ucciderlo.”
“Come fai a dirlo? Non abbiamo fatto altro che scappare!”
“Io ci ho provato, Dean. Ci ho provato decine di volte, ma mi ha sempre sconfitto. E poi riportato in vita. Ogni volta. Non è possibile ucciderlo, dobbiamo fuggire.”
“Ti sbagli, Cas,” lo corresse Dean. “Stavolta andrà diversamente. Stavolta non sei solo.”
Castiel distolse lo sguardo, senza rispondere.
Dean inarcò le sopracciglia. “Sei spaventato,” constatò.
Nel frattempo, un gruppetto di una decina di esseri dalla forma umanoide si era avvicinato silenziosamente a loro: erano
ormai a pochi metri. Dean rivolse loro la sua attenzione: osservando i corpi e i volti imputriditi, e il modo lento con cui avanzavano, Dean realizzò subito che stavolta si trattava di zombie.
“Tu fuggi, allora,” disse a Castiel. “Raggiungi la porta da cui siamo entrati, aspettami dentro quel corridoio. Io sistemo i… the walking dead qui e mi faccio dire dov’è la nave madre.”
“Dean—”
“Vai, Cas!” esclamò il cacciatore, dandogli uno spintone.
Dean afferrò la sua pistola e fece scattare la sicura. Fece qualche passo avanti, puntò l’arma contro gli zombie e sparò dodici colpi, che finirono tutti a segno.
I mostri caddero a terra l’uno dopo l’altro, penosamente. Dean raggiunse il più vicino a lui e gli si chinò affianco, puntandogli l’arma dritta sulla faccia. “Allora amico, parli da solo, oppure ti serve un aiuto?”
L’essere, per tutta risposta, spalancò le fauci in un ringhio rabbioso, mostrando una fila di denti lunghi e affilati.
Dean sparò.
“Wow, zombie vampiri,” annuì ai resti fumanti dell’essere. “Questa è una cosa che mi mancava.”
Uno degli altri comparve alle spalle di Dean, cercando il suo collo. Lui si voltò per sparargli, ma non ce ne fu bisogno: Castiel gli aveva piantato il pugnale nel cranio, vaporizzandolo.
“Questo è il mio Cas!” esclamò il cacciatore, sorridendo.
Castiel gli tese la mano e lui l’afferrò, rimettendosi in piedi. I mostri, nel frattempo, si erano ripresi dagli spari, e li avevano circondati.
Dean e Castiel si ritrovarono schiena contro schiena.
“Il loro Alfa è lì in fondo!” esclamò Castiel.
“L’Alfa?” Dean notò, alcuni metri oltre il cerchio di mostri, una figura sottile, in piedi a braccia incrociate, vestita di nero, gli occhi roventi e i canini ben esposti.
“Và a prenderlo,” gli disse Castiel, mettendogli nella mano la sua lama angelica.
“Vedi di non farti ammazzare,” replicò Dean, estraendo il coltello antidemone con l’altra mano e passandolo a lui. Poi si staccò dalla sua schiena e si lanciò nella direzione dell’Alfa. Pugnalò i mostri che gli impedivano il passaggio, cercando di aprirsi un varco, e Castiel li finì, per poi andare contro quelli che erano alle sue spalle.
Dean non si voltò indietro, ma corse dritto verso il suo avversario che, in silenzio, lo attendeva immobile, con il sorriso sulle labbra violacee. 
Quel bastardo rideva perché credeva che Dean fosse un debole essere umano, ma non era così: Dean era stato quarant’anni all’Inferno e un anno intero in Purgatorio; per tutto il resto della sua vita, aveva combattuto contro ogni tipo di mostri, e di certo non aveva intenzione di farsi sconfiggere da quello lì.
Dean si scagliò contro l’Alfa, che attese fino all’ultimo istante, per poi scattare a sua volta nella sua direzione. Dean lo scansò sulla destra e gli piantò nella gola il coltello di Castiel, tranciandogli di netto la trachea e friggendogli le viscere.
Il sangue, troppo sangue, schizzò dappertutto, tingendo le pareti e la terra sotto i suoi piedi di colore rosso. Ci fu un tuono e un tremito nella stanza, simile al movimento dell’aria calda in estate, e dal soffitto iniziarono a piovere grosse gocce di liquido nero e denso.
L’Alfa lanciò un grido disumano. Era ancora vivo, per cui Dean estrasse la lama e si preparò a dargli il colpo di grazia, ma la creatura si ricompose, gli si lanciò addosso e gli addentò la base del collo.
Due fila di denti aguzzi affondarono nella carne del cacciatore, stritolandola. Il dolore si diramò dentro di lui, vena dopo vena, arteria dopo arteria; Dean non aveva mai provato una sensazione simile, era come veleno che penetrava in ogni fibra del suo corpo. Mentre la pioggia cadeva in rivoli fumanti, Dean urlò, fino a che non ebbe più aria nei polmoni.
Poi, di colpo, il dolore scomparve, e tutto intorno a lui divenne silenzioso.
Come in un sogno, Dean udì un rumore secco, e solo molti secondi dopo si rese conto che il braccio che reggeva il coltello gli era stato spezzato.
Il dolore era come ovattato. Era stato drogato? Era probabile… ma non gli importava più di tanto, ormai. Così come non gli importava scorgere da lontano quegli esseri, che tutto erano tranne che zombie, fare a pezzi il corpo ormai senza vita di Castiel.
Dean sentiva il sapore ferroso del sangue nella sua bocca.
Aveva commesso un errore; se ne rese conto in quel momento. Vide il suo avversario riemergere dal suo collo, masticando un pezzo della sua pelle. Sollevò una mano sporca dotata di artigli. In un ultimo momento di lucidità, Dean comandò al suo corpo di reagire, ma fu troppo tardi: l’ultima cosa che avvertì fu il suono delle ossa della sua gabbia toracica che si spaccavano, e il rumore della carne schiacciata e strappata via dal suo corpo.


**

Sam si ritrovò in uno spazio argenteo apparentemente infinito, steso su una marea di cuscini bianchi. Nell’aria c’era odore di vaniglia.
Indossava un pigiama azzurro, con tanto di cappellino con ponpon e pantofole di peluche. Il tutto, decorato con una fantasia di orsetti sorridenti.
Si sfilò dalla testa il cappellino e lo fissò incredulo.
“Questo è un sogno,” mormorò, sconvolto.
“E’ un pigiama party,” lo corresse Ariel con una certa fierezza, sorseggiando una tazza di tè a pochi passi da lui.
L’angelo, ancora nel corpo di Tonya, era seduta su una pila di cuscini, a gambe accavallate. Era passata ad uno stile più… celestiale: ora indossava la camicia bianca e la giacca nera d’ordinanza. A differenza degli altri angeli, però, aveva un sottile nastro nero intorno al colletto della camicia e, invece del pantalone, una gonna che le arrivava a metà coscia. Portava un paio di stivali neri, alti fino al ginocchio, e i suoi capelli corvini erano legati in una coda mossa che teneva poggiata sulla spalla.
“Visto che sei in coma, e questa è una tragedia per te, ed abbiamo poco tempo, e questa è una tragedia per me, ho pensato di rendere la cosa più divertente organizzando un pigiama party.”
Sam non entrò nel merito della questione del pigiama party. “Perché… perché sono in coma, Ariel?”
L’angelo gli lanciò un’occhiata sorpresa. Scese dalla pila di cuscini, scivolando a terra, le mani a coprirsi il volto.
“Q-Quel cattivone di Leon voleva spedire anche te nel Limbo. Io…io non volevo che lo facesse, Sam!  L’unico modo per non farglielo fare era… renderti inadatto ad entrare in quel posto o-or…orribile!”
“La logica conclusione di questo ragionamento,” continuò Ariel comparendo alla destra di Sam, aggiustandosi un paio di occhiali sul naso, “è stata entrare in contatto con la donna chiamata Tonya Reynolds, esporle una verità accettabile a convincerla a rimuovere le protezioni che mi tenevano lontana dalla casa; convincerla poi a dirmi di sì, raggiungerti e impedirti di oltrepassare quella porta mandandoti in coma.  Infine, entrare in contatto con te attraverso i sogni.”
“Purtroppo, queste cazzo di protezioni di questa stramaledettissima casa sono state ripristinate, e anche se sono riuscita ad entrare, non posso fare un cazzo!” concluse alle spalle di Sam, facendo esplodere tutti i cuscini come se fossero bolle di sapone, con un gesto furioso della mano.
Sam deglutì, in silenzio, scostando le piume candide che gli volteggiavano intorno.
Mentre Ariel parlava, una parte di lui ascoltava le sue spiegazioni; l’altra, invece, studiava il modo strambo in cui continuava a comportarsi.
Neanche Castiel, nei suoi giorni peggiori, aveva raggiunto i livelli di Ariel; il suo non era un semplice cambiamento d’umore, come Sam aveva pensato all’inizio: no, si trattava proprio di un continuo scambio di personalità, che però fortunatamente parevano essere tutte concordi fra loro.
“Perché Leon voleva spedirci nel Limbo?” le chiese.
Ariel adesso sembrava essersi calmata di nuovo. Forse anche troppo. “Vedi,” rispose, del tutto atona, “stando a quanto si dice in giro, c’è un angelo qui in zona che vuole il povero Castiel morto. D’altra parte, ce ne sono molti altri che darebbero quel che resta della loro grazia per avere Dean e Sam Winchester fra le loro mani. Vi credono la causa delle loro sofferenze, ma sono troppo deboli per trovarvi, e troppo spaventati per cercare di uccidervi.” L’angelo scosse le spalle. “Vista la natura del Limbo, suppongo che sia un divertente compromesso mandarvi lì a farvi razzolare nella disperazione e nella pazzia come maiali nel fango. Costringervi a soffrire e a massacrarvi a vicenda per l’eternità. Mi capisci?”
“Sì, forse adesso inizio a capire…”
Sam si portò la mano al mento, accarezzandoselo. Che razza di guaio, pensò.
In realtà, c’erano ancora tante cose che Sam non riusciva a comprendere in questa storia, ma la cosa che gli premeva sapere di più in quel momento era un’altra.
“Ariel,” chiese con cautela, “tu cosa vuoi? Voglio dire… perché vuoi aiutarmi?”
“Io credo che possiamo aiutarci a vicenda,” rispose lei sorridendo.
Sam aggrottò la fronte. Ora arriva la fregatura.
“In che modo?” chiese.
Ma l’angelo aveva voltato le spalle al cacciatore, ed ora stava ridendo divertita a causa di qualcosa che Sam non riusciva a vedere.
“…Ariel?”
 “Scusa!” esclamò lei, continuando a ridere, “E’ che è troppo divertente!”
“Cosa è divertente?”
“La tua vita è divertente, Sam! Adoro le interazioni fra te e Dean. Peccato che lui ora stia marcendo nel Limbo. La cosa peggiore è che è in compagnia di Castiel. Quel bastardo non porta bene a nessuno, credo sia maledetto da Dio in persona!”
“Castiel..? Castiel è con Dean? Ne sei sicura?”
Lei annuì.
Sam non sapeva se esserne felice o meno. Ma comunque sia, erano entrambi ancora vivi, e a quanto pareva esisteva un modo per riportarli indietro. Ok, realizzò Sam, possiamo farcela.
 “Come posso tirarli fuori da lì?”
Ariel non gli rispose ma continuò a ridacchiare, così Sam la raggiunse e la fece voltare a forza.
Ariel fissò Sam stupita, come se non l’avesse mai visto, e mormorò qualcosa in enochiano.
“Ti prego, Ariel… non capisco l’enochiano. Devo sapere—”
“Silenzio!” lo zittì lei. “E’ una lettura impegnata,” spiegò.
Fu in quel momento che Sam si rese conto che Ariel aveva in mano uno dei libri di Supernatural.
Sam rimase interdetto. Dove li aveva presi?
“Questa Ruby è carina,” osservò Ariel, voltando pagina. “Mi piace. Ma lo sai, ho come l’impressione che ti stia ingannando.”






Note:
La scena finale di Dean contro l’Alfa/Limbo è stata ispirata dalla visione di un episodio di Peppa Pig.



Pensieri extra random, cancellati dal capitolo:
Dean si chiese se era normale discutere di dinosauri e torte e poi venire assaltati e maciullati da un branco di bestie feroci un istante dopo.
Ma era così che funzionava quel posto. E, in generale, la sua vita.




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Capitolo 7
*** Speranza ***


Note deliranti:
Ho paura di aver cannato tutto in questo capitolo. *piange in un angolo*
Ma ieri notte ho trovato pace con le caratteristiche della storia. Già che c’ero, ho cercato un titolo alternativo per la fanfic.
Non sapevo cosa scrivere, per cui ho aperto a caso il mio dizionario di latino e ho preso, sempre a caso, le prime due parole che sono uscite.
Credo fermamente che ci sia qualcosa di sbagliato. Nel titolo. E anche in me.
 

 

* * *


Hey Jude don’t be afraid,” canticchiò Dean sottovoce, “you were made to go out and get her…

Accarezzò piano il viso di Castiel, senza staccare gli occhi verdi da lui.
“Avevi ragione,” gli disse piano, interrompendo la canzone. “Non avresti dovuto restare con me.”
Sedeva su un tappeto di fiori pallidi, stringendo il corpo dell’ex-angelo fra le sue braccia. Non si era mai accorto di quanto fosse magro e fragile… ma non importava più perché, ormai ne era sicuro, Castiel non si sarebbe più svegliato.


 *


Il Limbo. Il 2014. I vampiri non morti. Il suo cuore strappato come un pezzo di carta.
Quando Dean aveva ripreso i sensi, le immagini degli ultimi avvenimenti si erano riversate nella sua mente come un fiume in piena, facendolo scattare in piedi sconvolto. Il cacciatore si era tastato il petto, e poi il collo e la testa, ma non vi aveva trovato nessuna ferita.
Aveva scoperto di trovarsi su un mucchio di foglie secche. Stavolta, lo scenario in cui era immerso era il semplice giardino di  una villa di periferia al tramonto.
Ma non era un giardino qualunque: Dean conosceva perfettamente ogni albero e ogni cespuglio di quei pochi metri quadri di terreno, perché quello era il giardino della casa di Lisa.
Dean, recuperata la lucidità, aveva passato i minuti successivi a cercare il suo compagno. Lo aveva chiamato più volte, senza successo. Alla fine, lo aveva visto: era in un angolo del giardino, sdraiato supino sui fiori di una grande aiuola di cui Dean non ricordava l’esistenza. Accanto a lui c’era il coltello di Ruby che lui stesso gli aveva dato; sembrava profondamente addormentato.
Dean, calpestando senza ritegno il tappeto di garofani bianchi, lo aveva raggiunto e l’aveva scosso per svegliarlo.
Gli ci era voluto poco per realizzare che il suo cuore non batteva, e che non respirava.
“Andiamo, hai detto che sei sempre tornato in vita,” gli aveva ripetuto. “Andiamo…”
Dean aveva fissato a lungo il corpo immobile del suo ex-angelo, immerso nei fiori bianchi e accarezzato dalla luce del crepuscolo, sperando continuamente che il secondo successivo sarebbe stato quello in cui sarebbe avvenuta la magia.
Alla fine, l’aveva capito.
Castiel non sarebbe tornato in vita.
Prima di morire, gli rivelato il modo in cui il Limbo torturava le sue prede; lo aveva aiutato a combatterlo, fornendo a Dean non solo informazioni e appoggio ma, soprattutto, speranza.
Un mondo che  usava la paura e la disperazione delle sue vittime a suo vantaggio non poteva permettere la presenza di un simile sentimento:
se si ragionava su questo fatto, era ovvio che il Limbo non avrebbe permesso a Castiel di continuare a stare al fianco di Dean.
Lui aveva stretto i pugni, imprecando in silenzio.
Ma se vuole lasciarlo morto, perché si è preso la briga di guarire le sue ferite? Si era chiesto.
Perché se avessi visto il suo corpo fatto a pezzi, ti saresti rassegnato, gli aveva risposto la sua mente, facendolo trasalire.
Ti ha lasciato la speranza di poterlo rivedere vivo, ed ora te la sta portando via.
Dean aveva scosso la testa, rifiutando di crederci.
Perché finora ti sei sforzato di nascondere al tuo avversario che il tuo punto debole è la tua famiglia, ma non hai fatto niente per non mostrargli quanto hai bisogno di Castiel.
Si era sentito salire un groppo in gola.
“Quindi me l’hai portato via,” aveva constatato a voce alta, inespressivo.
Dean aveva abbassato lo sguardo sul corpo di Castiel. Si era passato una mano sulla bocca, incerto.
Che doveva fare? Seppellirlo? Oppure doveva lasciarlo lì?
Non, non poteva lasciarlo solo di nuovo.
Il cacciatore aveva riposto le sue armi e si era seduto accanto a Castiel. Gli aveva cinto la vita con il braccio, sollevandogli la schiena da terra, e gli aveva fatto poggiare la testa sul suo petto. Castiel era gelido, ma almeno aveva un’aria serena.  


Dean non sapeva quanto tempo aveva passato in quel modo, ma ad un certo punto si accorse che i fiori che li circondavano erano seccati di colpo.
Indurì la sua espressione. “Ti stavo aspettando,” disse. Gli steli inariditi presero ad oscillare, mossi da un vento impercettibile.
“Ne ho abbastanza delle tue stronzate,” dichiarò il cacciatore. “Lo sai chi si nasconde, nel mio mondo? I vigliacchi. Vuoi uccidermi? Avanti, vieni a farlo di persona, razza di codardo!”
Non aveva ancora finito di parlare che sentì che qualcosa scorrergli fra le dita: sangue. Il corpo perfetto di Castiel era improvvisamente diventato come Dean ricordava di averlo visto nella sua vita precedente: un ammasso di viscere squarciate e sanguinanti. I mostri del Limbo che lo avevano divorato non avevano risparmiato neanche gli occhi, i suoi occhi stupendi: uno era stato strappato via, l’altro era semplicemente andato, insieme a metà della sua faccia.
Dean lasciò cadere quell’abominio a terra d’istinto e si allontanò da lui. Portò una mano insanguinata alla bocca e tossì più volte, cercando di reprimere un conato di vomito.
E si odiò per questo.
D’un tratto, la porta della casa di Lisa sbatté violentemente e iniziò a cigolare: qualcosa l’aveva scardinata per metà. Un istante dopo, dall’interno della casa iniziarono a provenire delle urla.
“Tu…” biascicò Dean, stringendo i denti. Deglutì pesantemente. “Ti stai divertendo, vero?”  chiese al vuoto. “E’ DIVERTENTE?”
“Certo che lo è,” proseguì, raggiungendo l’ingresso della casa, il pugnale di Castiel nella mano. Si fermò di fronte all’uscio. “Divertiti adesso, figlio di puttana, perché qualunque cosa tu sia io lo giuro… te lo giuro, io ti ammazzo.”
Le urla cessarono.
Dalla casa non provenne più alcun rumore. Ma qualcosa colpì Dean alle spalle, mandandolo a sbattere contro la soglia della casa, rischiando di spaccargli la faccia. Dean non riuscì a capire cosa fosse: era semitrasparente e senza forma, e capì che stava per abbattersi su di lui. Gli tirò un calcio: il mostro parve cadere a terra, dove fu finito da un coltello, che lanciò scintille dorate nell’aria.
Per un attimo, Dean credette che fosse stato Castiel, e che il suo cadavere fosse stato solo un’allucinazione. Poi, una voce sarcastica che conosceva molto bene giunse alle sue orecchie.
“Mi sembra di aver già vissuto una scena del genere,” sorrise Meg, rigirandosi tra le mani il coltello di Ruby.
Era proprio come Dean l’aveva vista l’ultima volta: i vestiti a brandelli, bionda, fondamentalmente sgradevole.

Dean sputò a terra un grumo di sangue, e non la degnò neanche di uno sguardo. Si rimise in piedi, chiedendosi perché diamine ora doveva sorbirsi anche un’allucinazione di Meg.
“Piantala. Sono reale,” disse lei con una smorfia di disappunto, captando i suoi pensieri.
“Certo,” annuì Dean. “Ho saputo che Crowley ora dirige il coro della chiesa...”
“Ti avevo visto da lontano, ma pensavo fossi un brutto ricordo. Invece mi hai sinceramente sorpresa,” ghignò lei. “Sentire qualcuno che minaccia il Re del Limbo è un evento raro, se non unico.”
Meg smise di sorridere quando si accorse che Dean la stava osservando come se stesse decidendo quale parte del corpo iniziare a strapparle per prima.
“Senti,” esclamò, esasperata, “puoi crederci o no, ma avevo ancora le mie conoscenze all’Inferno, okay? Mi stava stretto, non potevo tornare sulla Terra e il Purgatorio è per femminucce. Quando Crowley si è distratto, sono scappata in questo posto incasinato in attesa di tempi migliori.”
Dean le rivolse uno sguardo sprezzante.
“Quello è Castiel?” gli chiese Meg, indicando il punto in cui Dean non aveva più intenzione di guardare. “E’ reale?”
“Lo era,” rispose Dean senza alcuna emozione. “Meg, se tu sei reale, resta qui con lui. Io vado ad uccidere quel figlio di puttana lì dentro.”
“Ah certo,” protestò lei. “Perché secondo te io—”
“Resta qui, Meg,” ripeté Dean.
“Ma certo, sono ai tuoi ordini ora, eh? E comunque non preoccuparti, è  stato un piacere farmi ammazzare da Crowley per farvi fuggir—”  
“TI HO DETTO DI RESTARE CON LUI!” gridò Dean.
Meg, stupita, rimase in silenzio. Senza aggiungere altro, voltò le spalle a Dean e si diresse verso ciò che rimaneva del corpo di Castiel.
Il cacciatore  varcò la soglia della casa.
Era pulita ed ordinata come la ricordava. C’era persino lo stesso profumo di fiori che usava Lisa, e alcune loro foto, incorniciate e conservate su di un mobile. Dean ne raccolse una e la fissò per un attimo; poi la scaraventò dall’altra parte della stanza.
Era irritato dal fatto di trovarsi nuovamente in quel posto, soprattutto perché era una ricostruzione molto più precisa del 2014: ciò significava che il Limbo, alla fine, era riuscito a leggere nella sua testa.
Dean stava esplorando le stanze deserte, quando sentì un gran trambusto al piano di sopra, unitamente a delle grida infantili.
“Ben…?” disse incredulo e, d’istinto, si arrampicò su per le scale, raggiungendo la camera del bambino. Provò ad aprire la porta, ma era chiusa. Dall’altra parte, qualcuno stava battendo e graffiando disperatamente su di essa.
“DEAN! DEAN AIUTO!” gridava Ben, picchiando sul legno sottile.
Era palesemente un’altra trappola, e Dean lo sapeva bene.
Ma, nonostante ciò, non poteva lasciare che torturassero quel bambino: gliene aveva già fatte passare troppe, a lui e sua madre. E poi non sarebbe riuscito a tollerare le urla di un altro innocente che moriva per colpa sua.
Ben continuava a gridare disperato, mentre la cosa che era con lui ringhiava e mordeva.
“Ok, stai indietro, Ben,” si decise infine Dean, “adesso apro!”
Diede uno spintone alla porta, facendola incrinare. Era fragile, ne sarebbero bastati solo un altro paio per farla cedere del tutto.
Si preparò a colpirla di nuovo.
Sta grattando alla tua porta, tentando di forzare la serratura per entrare…
Dean sbarrò gli occhi, mentre le parole di  Castiel gli ritornavano alla mente,  congelando i suoi muscoli. Invece di colpire la porta, vi appoggiò la schiena sopra. Era assurdo, inconcepibile, ma in qualche modo si rese conto che in realtà, in quel momento, non si trattava di Ben che voleva uscire da quella stanza, ma del Limbo che voleva entrare dentro di lui, nella parte più profonda del suo animo, Dio solo sapeva per far cosa...
Le urla di Ben si fecero sempre più acute e disperate, finché non lanciò un ultimo strillo di dolore e terrore puro, acutissimo. Dean sentì il rumore del sangue e della carne fatta a pezzi.
Poi iniziarono i gemiti di supplica.
Il corpo del cacciatore venne scosso da un brivido gelato. Prese a tremare,  respirando pesantemente, sentendo le forze che gli scivolavano via dal corpo. Non gli era mai successa una cosa simile. Si accasciò contro la porta, stringendosi il viso con una mano. Non sapeva se l’avessero drogato, ipnotizzato o gli avessero fatto qualche altra stronzata del genere. Ma non avrebbe mai ceduto. Non sarebbe mai crollato. Anche se non sarebbe riuscito a sopportare tutto questo ancora per molto…
Ben battè un ultimo, debole colpo.
D’un tratto, Dean si chiese perché aveva deciso di restare lì, immobile.
Che cosa stava proteggendo di così importante, in fondo? Le uniche cose che c’erano in fondo a quello straccio lacerato e marcio che era la sua anima erano abbandono, dolore, rassegnazione, senso di perdita… anche se il Limbo se la fosse presa, non avrebbe trovato molto da distruggere: era già tutto a pezzi. Tutto il buono che gli era capitato, era stato usato contro di lui e poi gli era stato portato via, in un modo o nell’altro. Ed ora Dean aveva ricominciato a sentire il peso della solitudine e del senso di colpa. Era stanco. Era davvero stanco.
Alzò lo sguardo verso il soffitto, e una lacrima gli corse lungo il viso. Forse avrebbe potuto mollare lì. Sam se la sarebbe cavata da solo. Ezekiel lo avrebbe guarito, e ben presto lui si sarebbe rifatto una vita. Si concesse un singhiozzo, mentre altre lacrime cercavano di farsi strada nei suoi occhi.
Dean avvertì mani tiepide sfiorargli le spalle. Castiel, il suo Castiel, era comparso davanti a lui; i suoi occhi di un blu penetrante erano afflitti e confusi.
“Ehi,”gli  sussurrò il cacciatore, sorridendo disperato. “Ti sta per spuntare la faccia di un Leviatano, Cas?”
“Sono io, Dean,” disse lui, sinceramente preoccupato.
A Dean bastò. Si staccò dalla porta e strattonò la giacca di Castiel, costringendolo ad azzerare la distanza fra di loro, e prima che l’ex-angelo potesse capire cosa stava succedendo, premette le sue labbra contro le sue.
Non fu romantico. Fu violento, istintivo e frenetico, così sconvolgente che Castiel gemette sorpreso. Cercò di ricambiare, schiudendo le labbra quasi ingenuamente, ma il cacciatore ne approfittò per approfondire il bacio, e immerse le mani nei suoi capelli scuri, spingendolo contro di lui, cercando qualcosa che Castiel non poteva dargli, perché in quel momento il vuoto nell’animo di Dean era troppo grande per essere colmato.
Ma il corpo di Castiel era caldo e il suo cuore, ora, batteva all’impazzata, e a Dean andava bene così. Continuò a mordere, succhiare ed esplorare, e sussultò quando si accorse che le mani di Castiel stavano scorrendo lungo la sua spina dorsale, e che l’angelo aveva iniziato a rispondere al suo bisogno con un sentimento altrettanto forte e bruciante, eppure allo stesso tempo così puro da cancellare ogni traccia di tormento dentro di lui, insieme al resto del mondo. Dean non sapeva cosa fosse; sentiva solo che in quel momento non poteva farne a meno, perché forse era l’unica cosa che poteva salvarlo dall’inferno che c’era dentro di lui.
Quando furono costretti a staccarsi per respirare, Castiel cercò di posargli un bacio leggero sulle labbra, ma Dean, dopo avergli morso un’ultima volta il labbro inferiore, si girò dall’altra parte e seppellì il volto sul suo collo, ansimando in cerca d’aria, continuando ad artigliare la sua spalla e a tenere premuti insieme i loro corpi con forza.
“Non andartene mai più,” mormorò Dean con voce bassa e ferma. “Ho bisogno di te.”
“Comunque, con me si è impegnato di più,” osservò Meg con noncuranza, da dietro le spalle di uno sconvolto Castiel.
Dean si sollevò di scatto e la guardò. I suoi occhi si dilatarono per lo shock, come se si fosse reso conto in quel momento di ciò che stava facendo.
“Incredibile,” continuò Meg melliflua, le braccia incrociate e un sorriso perverso sul volto. “Non solo se ne è andato senza ucciderti, ma ti ha anche restituito il tuo angioletto. Complimenti, Dean, sei riuscito ad annoiare il Re del Limbo... Ora, potreste smetterla con questa roba? Mi sento esorcizzata solo a guardarvi...”
“Dean…?” mormorò Castiel, incerto, sciogliendo il suo abbraccio.
Soffocando un’imprecazione sulle labbra, Dean lo spinse via e si allontanò da lui, andando verso le scale. Gli ci volle tutto il suo autocontrollo per passare accanto a Meg, che ridacchiava divertita, senza tirarle un pugno sui denti.
Lei lo seguì.
Castiel restò solo, davanti alla porta della stanza di Ben, il viso arrossato e la giacca stropicciata e semiaperta. Se all’inizio era confuso, ora era del tutto sconcertato. Non sapeva neanche bene cosa era successo fra lui e il cacciatore: aveva agito per puro istinto umano.
E, a quanto pareva, era riuscito a far infuriare Dean.
 


 

Quando Castiel raggiunse Dean, lo trovò fermo sull’uscio a contemplare il giardino: sembrava essere ritornato se stesso, o perlomeno sembrava aver seppellito da qualche parte tutto ciò che non era rudezza o ironia spicciola.
“O appari all’improvviso, o impieghi un’ora per fare una rampa di scale. Non hai proprio mezze misure tu, eh?” sbottò Dean.
Castiel comprese che non aveva intenzione di spiegargli nulla di ciò che era avvenuto al piano di sopra e, per quanto la cosa gli facesse torcere qualcosa dentro, decise di assecondarlo.
Seguendo il suo sguardo, il moro vide che, a terra, c’erano almeno una decina di corpi di esseri semitrasparenti, che si stavano decomponendo rapidamente.
“Quando mi sono svegliato, erano già ridotti così,” ammise Castiel. “Sei stato tu?” gli chiese, fissando la sua lama angelica, che il cacciatore ancora teneva ben stretta fra le mani.
“Ah,” mormorò Dean velocemente, restituendogliela. “Credo che tu debba ringraziare la tua amica qui.”
 Meg, accanto a lui, sollevò entrambe le sopracciglia, senza riuscire a credere che quello fosse il massimo della gratitudine che le sarebbe toccata.
“Credevo di averla persa,” ammise Castiel, abbassando lo sguardo. “E’ stata l’unica compagna che ho avuto per così tanto tempo che quando è sparita mi sono sentito… perso anche io.”
Dean spalancò gli occhi, fissando incredulo Castiel.
Meg sorrise, avvicinandosi a lui e accarezzandogli il mento. “In fondo, mi è mancato il mio dolce angioletto.”
Dean perse un battito. “No, aspetta, Cas, stai parlando davvero di—”
“Certo,” affermò lui, lanciando un’occhiata a Dean, mentre Meg si appoggiava al suo petto.
“Ah beh,” annuì teatralmente Dean, facendo un passo indietro da loro, “allora se volete vi lascio soli.”
Castiel assunse un’aria allarmata, prendendo le distanze da Meg. “Perché dovresti farlo, Dean? Io credevo—”
“Eddai Cas,” sbottò lui. “Non far finta di non capire. Voglio dire, sei persino stato con quella April…”
“April?” dissero all’unisono Meg e Castiel.
Dean li fissò, impassibile. Che bella coppietta.
“Oh, sì April,” gli ricordò con un sorrisino. “La sexy mietitrice.”
Meg inarcò un sopracciglio. “Quale sexy mietitrice?”
“Quella che ho rispedito a calci in culo all’inferno,” replicò Dean, continuando a sorridere.
Meg si voltò verso Castiel. “Il tuo uomo ha dei seri problemi di gelosia,” osservò, ma l'ex-angelo ora stava scrutando il cacciatore con attenzione.
 “Dean,” lo chiamò, serio.
“Che c’è?”
“Mi hai mandato via dal bunker… perché ho fatto sesso con quel mietitore?”
Il pugno di Dean si infranse sul battente della porta. “NO! Castiel, tu… NO,” esclamò, voltando le spalle. Afferrò il braccio di Castiel e lo trascinò fuori dalla casa di Lisa. “Ne ho abbastanza di questo schifo. Andiamo.”
“Andiamo,” ripeté Meg, ferma sul suo posto, guardando i due uomini allontanarsi. “Dove andiamo, razza di cretino?”
“Meg, ti muovi o no?” gridò Dean.
I muscoli di Castiel di irrigidirono di colpo. Dean sussultò, temendo che stesse per succedergli qualcosa di nuovo. “Cas?” lo chiamò, mentre il ricordo dell’immagine del suo corpo martoriato gli si ripresentava davanti agli occhi. “Cas, stai bene?”
“Sì, è solo…” Castiel guardò prima Dean, e poi oltre le sue spalle dove Meg, sospirando, li  stava raggiungendo pigramente. “Credo di sapere come uccidere l’entità che infesta questo luogo.”


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Capitolo 8
*** Qualcuno spieghi a Dean che non può sbattere le persone su un letto e poi lasciarle così ***


Frequently Asked Question (da chi?!): Perché questo titolo?
Risposta: Perché ero incerta fra “Tramite” , “Qualcuno spieghi a Dean che non può sbattere le persone su un letto e poi lasciarle così” e “Maledizione Dean già qui non succede nulla almeno bacialo santo cielo asdsjfsdlfkjsd”. Alla fine, ho scelto il più pulito e professionale dei tre.
Frequently Asked Question #2: Perché fai soffrire i tuoi personaggi a caso?
Risposta: E’ il modo in cui dimostro loro il mio affetto. Più li amo, più li faccio soffrire.
Precisazione: Amo il pairing Dean/Castiel.

Avevo pronto il capitolo da tipo una settimana, ma più passavano i giorni e più, nel mio tempo libero, continuavo ad arrovellarmici sopra …  per cui alla fine ho deciso di pubblicarlo e basta! D:
Ora torno a studiare per il mio esame... ugh...

* * *


“Credo di sapere come uccidere l’entità che infesta questo luogo,” disse Castiel a Dean.

Il cacciatore, stupito, aprì la bocca per chiedergli spiegazioni in merito;  ma l’ex-angelo, scuro in volto, gli fece intendere con un’occhiata che per il momento non poteva dirgli altro.
Dean afferrò il messaggio e, seppur contrariato, annuì.
Meg, giunta proprio in quel momento, ritrovandosi in mezzo a quella conversazione fatta di sguardi, sogghignò e aprì la bocca per parlare.
“Tu non fare battute,” le disse Dean in anticipo, puntando il dito nella sua direzione.
Lei alzò le mani, fingendosi innocente.
Castiel non parlò più dell’argomento. In effetti, nelle ore successive, non parlò più molto in generale, anche se Dean lo vide più volte mentre, pensieroso, ripeteva muto delle parole a fior di labbra. All’inizio, il cacciatore cercò di capire cosa diceva, ma smise quando si rese conto che fissare per troppo tempo le labbra di Castiel era davvero una cosa davvero stupida da fare.
Nelle ore successive, il Limbo cambiò altre volte: assunse forme particolarmente assurde o spaventosamente tetre, ma non cercò più di attaccarli.
Dean, Castiel e Meg approfittarono di quella relativa tranquillità per dividersi e cercare indizi, o ancor meglio una via di fuga.
Purtroppo per loro, non scoprirono nulla.
Alla fine, dopo l’ennesimo fallimento, Dean crollò sfinito sotto lo scheletro di un albero. Era stato in piedi per ore: i suoi muscoli imploravano riposo e la sua bocca era secca e impastata per la mancanza d’acqua.
Il posto in cui si trovava in quel momento era deprimente: fetido, silenzioso come una tomba, immerso nella nebbia gelida.
Dean si concentrò sull’aquilone rosso che svolazzava mestamente nel cielo, anche perché non aveva voglia di osservare le centinaia di cadaveri che ricoprivano l’erba secca di quello che un tempo doveva essere un bel prato.
Si chiese per quanto tempo ancora avrebbe dovuto sorbirsi quella roba.
“Meg, cosa ci fai qui?” chiese in tono annoiato al demone che, silenziosamente, gli si era avvicinato alle spalle.
“Controllavo che non ti fossi fatto ammazzare,” replicò lei, le braccia incrociate, sollevando le spalle con noncuranza.
“E chi avrebbe dovuto uccidermi?” domandò il cacciatore. “In questo posto ci sono solo morti morti. E quel dannato aquilone.”
“Sì, credo che Castiel lo apprezzi molto,” replicò Meg in tono indifferente. “Non ho capito cosa stava cercando di creare, ma aveva bisogno di distrarsi un po’…”
Dean aggrottò la fronte e si girò verso di lei: il demone aveva curvato le labbra in un sorrisino.
“Che vuoi dire?”
“Davvero non capisci dove siamo?” Il sorriso di Meg si allargò.  “Questi sono angeli, idiota.”
Dean spostò lo sguardo sui corpi devastati che lo circondavano. Poi, come se dentro di lui fosse scattata una molla, trasalì. Balzò in piedi, comprendendo finalmente di fronte a cosa si trovava.
“Maledizione,” sibilò, scattando nella direzione in cui, poco prima, aveva visto allontanarsi Castiel.
Credo che se vedessi come ho ridotto il Paradiso, potrei togliermi la vita,” gli aveva confessato lui una volta, quando era ancora un angelo.
Dean non aveva paura che fosse morto, perché lì non si moriva. Aveva paura che fosse stato spezzato, come lui era stato quasi spezzato nella casa di Lisa.
Continuò a correre, chiamando più volte il compagno. Nel mentre, il Limbo cambiò di nuovo, e Dean quasi inciampò in un vecchio copertone che gli era apparso fra i piedi.
Ritrovò Castiel solo dopo alcuni minuti: era in piedi nell’oscurità della notte, all’ingresso di una vecchia abitazione che entrambi conoscevano bene, ma che il cacciatore non degnò della minima attenzione.
“CAS!”lo chiamò, raggiungendolo.  “Razza di idiota!” gli gridò contro. “Perché hai detto di non sapere che cos’era quel posto? Avresti dovuto dirmelo che era— “
La voce gli morì in gola quando si accorse dello stato in cui era ridotto Castiel: era vivo, certo, ma pallido e immobile; i suoi occhi erano spenti e fissavano il vuoto.
“Cas, che ti ha fatto?” sussurrò Dean, mentre le sue paure prendevano forma. Fece un passo verso di lui, allungando la mano. “Ehi…”
L’ex-angelo parve riconoscere in quel momento la sua presenza.  “Dean. Sto bene,” disse, dopo alcuni secondi, con voce molto più bassa del normale.  “Questa è la casa di Bobby.”
Dean abbassò la mano. Rimase a guardarlo, impotente, facendo finta di credere che, sì, era tutto a posto, e che la cosa più importante in quel momento fosse la casa di Bobby.
“Voi due che fate, restate fuori?” domandò Meg da nulla, oltrepassandoli ed entrando nella casa.
Dean la guardò fisso, stranito, e poi riportò i suoi occhi su Castiel. “Io… Andiamo, Cas,” gli disse.
Lui annuì.
 
*
 
La casa di Bobby in cui si trovavano era una copia perfetta di quella reale, così come la ricordava Dean: c’era lo stesso odore di alcool e legno e polvere da sparo, gli stessi vecchi mobili scricchiolanti e lo stesso disordine ordinato. Appurato che non ci fossero mostri nascosti negli angoli e che i libri non mordevano, Dean si chiese perché il Limbo aveva voluto mostrar loro proprio quel ricordo: forse avrebbero potuto approfittarne per  fare qualche ricerca… ma prima, si rese conto, c’erano altre incombenze.
Mentre Meg e Dean controllavano la casa, Castiel aveva gettato in un angolo la sua giacca e si era seduto su una vecchia branda che Bobby teneva in un angolo; aveva gli occhi arrossati e tremanti.
Rimase così finché non si sentì mettere in mano un bicchiere colmo di whisky.
“Non è avvelenato,” lo rassicurò Dean con un sorriso tirato. “L’ho provato io.”
Castiel strinse la presa sul bicchiere di liquido scuro e fresco e lo buttò giù in un unico sorso.
Dean gli si inginocchiò davanti per incrociare il suo sguardo. “C’è anche dell’acqua e qualcosa da mangiare,” disse in tono cauto.
Il cacciatore si sentiva come quando doveva accudire a Sam mentre sosteneva le Prove.  “Va tutto bene,” gli ripeteva a quel tempo Sam, mentendogli spudoratamente. E l’unica cosa che Dean poteva fare era badare a lui e sperare che non crollasse morto a terra all’improvviso.
“Devi mangiare,” ripeté a Castiel, in tono di rimprovero.
La nebbia parve diradarsi leggermente dagli occhi dell’angelo caduto. “Grazie… Dean,” disse piano.
Ci volle un altro bicchiere di liquore per far riacquistare a Castiel un po’ di colore. Un terzo, per farlo ricominciare a parlare. Comunque sia, per quanto Dean avesse insistito, si rifiutò di toccare cibo.
 

Un paio d’ore dopo, Dean era seduto alla scrivania di Bobby, le gambe stese sul tavolo. Castiel era in piedi di fronte ad una libreria, impegnato a sfogliare un vecchio quaderno. Meg, appoggiata ad un mobile vicino all’ingresso, si limitava a guardarli in silenzio.
Dean lanciò via l’ennesimo libro in cui aveva inutilmente cercato informazioni sul Limbo e rimise i piedi sotto la scrivania.
“Dunque,” dichiarò all’improvviso, richiamando l’attenzione degli altri, “la situazione è questa: siamo imprigionati in una specie di bolla allucinogena; non c’è nessuna via d’uscita, nessun indizio, non possiamo contattare Sam e uno squadrone di rettiliani incazzati potrebbe irrompere da quella porta in qualsiasi momento.”
“Tu continua a dargli idee, ti raccomando,” gli disse Meg, guadagnandosi un’occhiataccia.
Castiel chiuse il quaderno e lo rimise a posto. “Probabilmente, il portale che abbiamo attraversato era solo di ingresso. Non si può percorrere in direzione opposta…”
“L’ho pensato anche io. Sam starà già indagando a riguardo,” sospirò Dean, stizzito. “Maledizione, possibile che non possiamo far altro che aspettare?”
Castiel proruppe in una risatina spossata. “Potremmo bere.”
“Tu devi davvero riposare,” gli disse Dean, accigliato.
“No,” rispose lui, ritornando serio. Trasse un profondo respiro. Poi si versò dell’altro whisky.
Dean inarcò un sopracciglio, ma decise di lasciarlo stare. “Il fatto positivo è che non penso che Sammy impiegherà ancora molto a tirarci fuori da qui. Sono passate delle ore… potrebbe riportarci indietro da un momento all’altro.”
“Tutto questo è valido se il tempo qui scorresse allo stesso modo di quello del mondo esterno…”osservò casualmente Meg.
Il cuore di Dean perse un battito. “Che vuoi dire?”
“Non per spaventarti tesoro, ma io sono qui da circa… trecento anni. E non credo che siano passati trecento anni da quando sono morta.”
“Vuoi dire che qui il tempo scorre come all’Inferno?”
“No. Più lentamente.”
Dean sbarrò gli occhi: se era davvero così, ciò significava che sulla Terra erano trascorsi solo pochi istanti dalla sua scomparsa.
Il cacciatore deglutì, terrorizzato. Avrebbe davvero dovuto passare anni lì dentro, torturato dai suoi incubi e costretto a vedere Castiel che si distruggeva davanti ai suoi occhi, pezzo dopo pezzo, mentre lui non poteva far nulla per salvarlo, o per salvarsi?
Si sentì mancare il terreno sotto i piedi, ma per fortuna era seduto. Qualcosa di freddo e pesante iniziò a contorcersi nel suo petto… ma Castiel gli si parò davanti, facendolo riscuotere di colpo.
Dean gli lanciò uno sguardo confuso: l’ex-angelo si era appoggiato al bordo della scrivania di Bobby, a pochi centimetri dalla sedia occupata da Dean, e stava sorseggiando il suo ennesimo bicchiere.
“Visto che parli di tempo, potremmo sempre occuparlo in modo diverso,“ disse, guardandolo dritto negli occhi. “…Dean.”
Meg, molto lentamente, si voltò a fissarli, le sopracciglia che raggiungevano l’attaccatura dei capelli.
Il cacciatore ricambiò lo  sguardo di Castiel. “Ovvero…?”
Lui inclinò la testa di lato. “Potremmo parlare di quando ti ho trovato nella casa di Lisa,” scandì.
“Ah…”
Dean aggrottò la fronte, arrossendo nel contempo. A Castiel avevano appena sbattuto in faccia il casino che aveva combinato quando giocava a fare il Dio… possibile che il suo unico pensiero ora fosse sapere perché Dean aveva… fatto quello che aveva fatto?
E comunque, a pensarci bene, non c’era nulla da dire: era stato solo una specie di bacio, insomma. Non sapeva neanche lui perché aveva avuto questo istinto anche se, in fondo, lui…
 “Cas, non stai ragionando in questo momento,” gli disse bruscamente. Afferrò lo schienale della sedia accanto alla sua e fece leva su di esso per rialzarsi ed allontanarsi da quella situazione imbarazzante. “Hai bevuto troppo e non sei—”
Castiel diede un calcio alla sedia, facendo perdere la presa a Dean, che ricadde a sedere.
“C’eri anche tu,” gli sibilò allora il cacciatore, visibilmente incazzato, chiudendo il discorso.
Castiel si rabbuiò. “Ho bisogno di sapere…”
“Senti Cas, ne ho abbastanza! Abbiamo altri problemi ora, mi sembri una di quelle— “
“...ho bisogno di sapere perché eri ridotto in quello stato, Dean!”
L’espressione sul viso di Dean si congelò.
Ah. Quindi Castiel stava parlando di quello.
Si sentì improvvisamente stupido.
Alzò lo sguardo su Castiel: non era così distrutto come aveva pensato. I suoi occhi erano offuscati e liquidi per l’alcool, la stanchezza e la sofferenza, ma erano ancora animati da una scintilla determinata.
Si sentì quasi in colpa per aver dubitato di lui. Dopotutto, a quanto pareva, Castiel era riuscito a resistere lì dentro per settimane, forse mesi. Era stato derubato della sua grazia, era solo, perso e soffriva e continuava a morire, ma era ancora in piedi, ed ora, glielo leggeva in faccia, si stava preoccupando per lui.
“D’accordo. Te lo dirò,” sospirò Dean, arrendendosi. “In privato.”
“Meg, ho detto in  privato,” ripeté poi ad alta voce, voltandosi verso di lei.
“Perché? Mi stavo appassionando,” ammise lei, con un tono di voce che però faceva credere il contrario. “Andrò a fare la guardia,”disse subito dopo, staccandosi dal mobile e raggiungendo la porta,  stranamente accondiscendente.  “Magari vi faccio portare una pizza,” sogghignò, prima di lasciare la stanza.
Dean la guardò senza capire.
Quando fu sicuro che Meg fosse andata, il cacciatore riportò la sua attenzione su Castiel, ancora immobile davanti a lui.
“Aveva preso Ben,” disse Dean semplicemente.
“E…?”
“E lo ha ucciso, Cas! Vuoi che ti faccia anche un disegnino?”
“Dean…”
“Era dall’altra parte di una porta,” spiegò Dean. “Voleva che la aprissi, ma non l’ho fatto. Qualcosa mi diceva di non farlo.”
Castiel si staccò dalla scrivania e avvicinò a lui. Anche se non era più un angelo, non aveva perso l’abitudine di invadere il suo spazio personale. La differenza rispetto al passato era che ora il suo volto mostrava molto più apertamente i suoi sentimenti e, in quel momento, le parole di Dean sembravano averlo a dir poco terrorizzato.
Dean non capiva cosa gli stava succedendo, così restò fermo, in attesa di spiegazioni.
Castiel indugiò su di lui per molti secondi. “Sei turbato,” osservò infine, incerto.
Dean si rimangiò tutta la fiducia che gli aveva dato.
“Turbato?!” scattò. Ora lo prendeva a pugni. “Quel bastardo sguazza dentro di me e tutto quello che mi dici è che io sono turbato?!”
Castiel poggiò le mani ai lati del suo viso e glielo sollevò. Il cacciatore rimase paralizzato da quel contatto. “Non hai aperto quella porta,” disse, studiando Dean, esaminando il suo volto e soffermandosi sui suoi occhi, come se potesse guardarvi dentro. “Non è completamente dentro di te,” concluse, con una nota di sollievo nella voce roca.
“Che importa? Non legge già nella mia testa, anima, quel che è? Che altro vuole da me?” borbottò Dean, frustrato.
Castiel fece scivolare via le sue mani. Abbassò lo sguardo sul pavimento. “Dean, io… credo che stia cercando di possederti. Forse, vuole usarti come tramite.”
Dean si sentì come se qualcuno gli avesse appena rovesciato addosso un secchio d’acqua gelata.
“Cosa?” chiese, incredulo. “Me?”
Castiel annuì, e poi si allontanò da lui, per tornare a sedersi sulla branda di Bobby. Appoggiò gli avambracci sulle cosce  e chinò la testa.
“Ne sei sicuro?” domandò Dean. Scattò in piedi per guardare Castiel. “E perché mai dovrebbe volere un tramite?”
“Non lo so, Dean. Ci sono tante cose che non capisco. Ad esempio,” rispose, sollevando una mano e osservandone  incerto il palmo, “sono morto decine di volte finora. Quando mi risvegliavo, il sangue che ricominciava a scorrere nelle mie vene era come ghiaccio liquido. Era doloroso. L’ultima volta, invece, il mio corpo era così… caldo.”
Per un attimo, Dean sperò che il Re del Limbo facesse irruzione nella stanza in quel preciso momento.
Andavano bene anche i rettiliani. O qualunque altra cosa che avesse chiuso lì quella discussione.
“Lascia perdere questa roba adesso,” disse infine. “Tu sai come sbarazzarci di questa specie di burattinaio, vero?”
Castiel rimase immobile, incerto.
“…Cas?”
“Può essere,” rispose l’ex-angelo esitante.
“Andiamo, che altro c’è?” sbottò Dean, stanco. “Non può essere peggiore di tutto questo, no?”
Visto che Castiel non rispondeva, Dean sospirò esasperato e andò a sedersi accanto a lui.
“Avevo capito che non ti fidavi di Meg. Ma pare che in realtà non ti fidi neanche di me.”
“No. No, non è questo. Ma qualunque cosa accada, non devi crollare, Dean,” gli disse Castiel, cercando in ogni modo di evitare il suo sguardo.
Il cacciatore non capiva il motivo per cui il modo di fermare il fantomatico Re del Limbo dovesse restare un segreto. Poi, di colpo, comprese.
 “…o dovrai uccidermi,” concluse, atono.
Le labbra di dell’ex-angelo si storsero in un’espressione indecifrabile. “Non potrei mai farlo,” ammise.
Dean aveva l’animo in subbuglio, ma cercò ugualmente di concentrarsi sulla situazione.
Era giusto. Finché il Re giocava a fare il mutaforma a zonzo per il suo mondo personale era incontrollabile, ma se fosse entrato nel corpo di Dean, avrebbero potuto ucciderlo.
Era lo stesso principio di demoni e angeli: finché erano fumo nero o pura luce era impossibile colpirli; non appena entravano nel corpo di un pover’uomo, bastava usare il coltello o la spada angelica per cancellarli dalla faccia dell’Universo.
Unica controindicazione: lo sfortunato di turno crepava orribilmente con loro nel corso del processo.
Dean respirò forte per calmarsi. Alla fine, prese la sua decisione.
“Sai cosa ti dico, Cas? Se dovesse succedere, torturami, fatti dire da lui come uscire da qui e poi uccidimi,” spiegò, con la stessa naturalezza con cui si parla del tempo. “Preferisco essere vaporizzato dalla tua spada piuttosto che farmi sbrindellare l’anima da quel mostro. Hai capito, Cas?”
Castiel non gli rispose. Dean scorse i suoi occhi tormentati e cerchiati da pesanti occhiaie e si sentì stringere lo stomaco. Simulando noncuranza, andò a prendere la bottiglia di whisky dal tavolo e se ne versò un bicchiere.  
“Se la tua intuizione è giusta,” insistette, “tu sei l’unico che può fermarlo. Non sappiamo perché voglia prendersi me. Ma potrebbe volermi usare per andare da Sam. O per fare qualche altra stronzata di quelle che fanno i mostri che noi combattiamo da una vita.”  Si portò il bicchiere alle labbra, ma non bevve.
“Dean, se è lui che continua a riportarci in vita, ucciderlo mentre è dentro di te significherebbe farti restare morto. E se questo luogo è isolato dalla Terra e dai Regni Celesti, come credo che sia, la tua anima resterà bloccata qui per l’eternità,” spiegò Castiel in tono fermo e contrariato. “Tu sai bene cosa accade alle anime che non possono ascendere al cielo. Diventeresti uno spirito vendicativo senza nulla su cui sfogare la tua rabbia. Passerai l’eternità a maledire l’intero universo!”
Dean guardò il compagno con un sorrisino stanco. “Ascolta...”
“Dean! Ho detto di no!”
“Va bene,” annuì il cacciatore. “Va bene.” Mandò giù il suo whisky tutto d’un fiato. “Comunque sia, il problema non si pone, perché come ben sai io non cedo il mio bel culo facilmente.” Sbattè il bicchiere sul tavolo. “Ora, visto che la questione è chiarita, e che il nostro amico Re è in pausa pranzo, la domanda è: cosa facciamo?”
Castiel comprese che Dean aveva cambiato apposta argomento e lo fissò con disapprovazione. Poi sospirò. “Tu devi dormire,” dichiarò alla fine.
Dean inarcò le sopracciglia. “Ma certo. Perché non andiamo anche al cinema, già che ci siamo?”
“Ho scoperto che gli esseri umani che non dormono regolarmente accusano stanchezza fisica. La stanchezza fisica potrebbe renderti più vulnerabile anche nello spirito,” spiegò Castiel.
“Non l’avrei mai immaginato,” osservò Dean ironico.
Castiel non batté ciglio, e Dean si rese conto che non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea tanto facilmente.
“E tu scusami tu che farai nel frattempo?” chiese. Poi, sapendo già che la risposta che Castiel sarebbe stata un qualcosa alla veglierò su di te che l’avrebbe solo fatto incazzare, giocò d’anticipo. Con un gesto brusco lo spinse sulla branda, facendogli sbattere la schiena sul materasso scomodo. Castiel, interdetto, cercò di rialzarsi, ma Dean lo tenne premuto sul letto, bloccandogli le spalle.
“Dean—”
“C’è Meg di guardia qui fuori. E tu non sei più un angelo. Ascolta, va bene, ok? Domirò. Ma devi dormire anche tu. Siamo nella merda, è vero. Ma se non ti reggi in piedi non mi sarai d’aiuto, quindi ora anche tu dormirai. Almeno finché quello lì non… si fa venire nuove idee.”
“Io non… Tu non capisci,” si lamentò Castiel.
“E’ vero, io non capisco: siete tu e Sam quelli intelligenti.”
Mise enfasi sull’ultima parola come se fosse un insulto.
Alla fine, Castiel parve arrendersi, e smise di fare forza sulla presa di Dean.
“Good boy,” annuì lui.
Dean spense le luci e si sdraiò accanto a Castiel, ai bordi di quel letto di fortuna, in modo da dargli le spalle. Non poté sistemarsi meglio perché lo spazio era troppo ristretto ma, in fondo, non aveva davvero intenzione di dormire: stando al suo orologio, era in piedi da circa 30 ore ma, essendo un cacciatore, era abituato a tirate del genere.
Era più preoccupato per la salute mentale e fisica di Castiel che, ormai, era davvero l’unica cosa che gli rimaneva.
Passarono molto tempo in silenzio.
Dean riusciva a sentire il calore del corpo di Castiel accanto al suo: quella era un’altra piacevole differenza rispetto al suo tramite da angelo.
“E’ colpa mia se sei bloccato qui… farò tutto ciò che posso per farti rivedere Sam,” farfugliò improvvisamente Castiel, rigirandosi di lato, in modo da appoggiare la schiena contro il muro e lasciare più spazio a Dean. Lui, incuriosito, si girò per guardarlo, aggiustandosi meglio sulla branda: aveva gli occhi chiusi e il viso contratto in un’espressione tesa.
“Piantala di addossarti ogni colpa, Cas,” sbuffò a bassa voce. “Noi usciremo da qui, e rivedremo Sam. E se qualcosa vuole attaccarci, che ci provi pure… Abbiamo preso a calci i leviatani e mezzo Purgatorio… riusciremo a cacciarci fuori anche da qui.”
Nella penombra, Dean scorse Castiel fare un sorriso triste. Poi lo sentì raggomitolarsi contro di lui, mentre il suo braccio gli circondava la vita.
Il cacciatore lo lasciò fare. Anche perché la cosa più assurda di tutta quella situazione era che avere Castiel così vicino lo faceva sentire bene. Forse era impazzito. O forse aveva solo deciso di godersi quel po’ di calore che gli rimaneva, visto che, a quanto pareva, da lì a poco avrebbero potuto essere entrambi morti di nuovo.
Lui forse definitivamente.
“Cas,” lo chiamò piano.
“Hm?”
“Io….” si morse il labbro. “Se riesco a tornare vivo a casa, mangerò hamburger fino a scoppiare.”
Non aveva idea del perché, fra tutte le migliaia di cose che avrebbe potuto dire in quel momento, aveva scelto proprio quella. Non ne aveva la minima idea.
Castiel sorrise contro il suo petto. “Mi piace quella roba…” disse, la voce impastata dal sonno.
“Se non ti fai ammazzare neanche tu, potresti venire con me,” proseguì Dean, accarezzandogli d’istinto i capelli scompigliati. “C’è un bel posto, lì da noi. Ho sentito che fa i migliori panini con hamburger al bacon e formaggio di tutto lo Stato. Non ci sono andato finora perché Sam non—”
Dean si interruppe, accorgendosi che Castiel era crollato.
Abbassò gli occhi su di lui: aveva il respiro lento e regolare, e un vago sorriso stampato sul volto.
In effetti, da quando era umano, questa era la prima volta che lo vedeva dormire e non giacere morto. Era… insomma, era bello vederlo così.
“Grazie, Cas, per tutto. E scusami. Ma credo,” disse, sollevandosi piano dal letto, per non svegliarlo, “che sia arrivato il mio turno di vegliare su di te.”
Gli mise accanto la sua giacca e vi poggiò sopra la sua spada angelica.
Poi raccolse le sue cose ed uscì dalla casa di Bobby.
 


 

Note: Cas mentiva. In realtà voleva sapere del bacio.

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Capitolo 9
*** Angeli e Demoni ***


Note depresse:
L’episodio  9x09 mi ha fatto passare la voglia di scrivere. O forse il contrario. Non lo so. Ho concluso il capitolo in 3 ore, battendo le dita sulla tastiera senza emozione, per cui non so sinceramente che ho combinato.
No ma dai, è come se gli sceneggiatori si fossero impegnati nel rendere Castiel più OOC possibile.
Per non parlare del mio profeta preferito.
No vabbeh io ho bisogno di una pausa.
#benedlunddovesei      #piangeinunangolo        #nomal’hopresabeneeh
 

* * *



Ariel, seduta su una comoda poltroncina bianca immersa nel candido nulla del sogno di Sam, sfogliò un’altra pagina del libro che stava leggendo. Sbadigliò: quel capitolo sulle streghe era davvero noioso.
“Ariel,” la chiamò Sam, posandole una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
Il giovane non indossava più il pigiama ad orsetti, bensì una molto più familiare camicia a righe verticali e un paio di jeans.
“Che c’è?” chiese lei, annoiata.
Il cacciatore sospirò, facendo appello a tutta la sua pazienza. “Per favore,” la pregò, “aiutami.”
L’angelo lo guardò fisso, senza proferire parola. Dopo qualche secondo, puntò il dito verso di lui. “Alce,” disse con indifferenza.
“Cosa...?”
Sam avvertì un piccolo peso premergli sulla testa e vicino alle orecchie. Portò le mani in alto, cercando di capire da cosa fosse causato: tastando, si accorse che erano due oggetti morbidi, lunghi e che comprendevano dei campanellini che, al suo tocco, trillarono allegramente.
Sam, con un gesto irritato, si tolse di dosso il cerchietto dorato con le corna da alce. “Okay, d’accordo,” disse, lanciando via l’oggetto, che svanì nel nulla. “Basta così.”
Il libro cadde dalle mani di Ariel mentre un paio di catene apparse dal nulla le afferrarono i polsi e la tirarono in piedi, sollevandola da terra.
“Ho capito che siamo nel tuo sogno, ma questo è stato sgarbato,” osservò lei con calma. “Posso fare qualcosa per te, Sam?”
“Tanto per iniziare, devi farmi svegliare dal coma,” ordinò lui, senza mezze misure.
Gli occhi dell’angelo divennero umidi. “M-Ma tu non puoi svegliarti, s-se non lo voglio io,” gemette, mentre una lacrima iniziava a scorrerle lungo la guancia. “L-Liberami, Sam. Fa male. Fa davvero male!”
“No, non ti sto facendo male,” disse il cacciatore. “Ho sognato di legarti, non di farti del male.”
“Ma a me non piace essere legata,” replicò Ariel a denti stretti. “Non lo sopporto, NON LO SOPPORTO!” gridò, spezzando le catene.
Sam sentì un frullio d’ali alla sua sinistra. Non era molto veloce, per cui ebbe il tempo di scostarsi ed afferrare il pugno che stava per colpirlo. D’istinto lo storse, facendo perdere l’equilibrio all’angelo, che però volò via e gli ricomparve davanti, sferrandogli un colpo allo stomaco così forte che lo fece ricadere sulla schiena molti metri più in là.
Sam tossì più volte, cercando di rimettersi seduto, ma Ariel lo costrinse a terra premendogli uno dei suoi stivali sulla base del collo.
Era troppo piccola e magra per essere così forte, per cui il cacciatore concluse che stava sfruttando la sua Grazia.  “Hai detto che mi avresti aiutato!” protestò.
“Davvero?” disse lei, incerta, toccandosi il mento. “Non me lo ricordo…”
Senza aggiungere altro, Ariel lasciò andare Sam e gli voltò le spalle, tornando alla sua poltrona.
Stava per raccogliere il suo libro da terra quando Sam provò ad attaccarla alle spalle con un pugnale angelico: le tirò indietro il braccio e le spinse la schiena contro il suo petto, puntandole l’arma al collo, ma lei scomparve di nuovo.
“Maledizione,” imprecò.
Sam se la ritrovò davanti mentre, galleggiando a mezz’aria, gli premeva il palmo aperto sulla sua fronte. “Sammy,” sibilò sorridendo crudelmente, mentre la luce dorata cominciava a propagarsi nel corpo del cacciatore, “io sono un angelo.”
“Non nel mio sogno.”
Sam schioccò le dita: la luce angelica ebbe un guizzo e si spense come una lampadina.
Ariel scivolò a terra, perdendo l’equilibrio: cadde seduta sulle ginocchia e si guardò il palmo incredula.
Poi scoppiò a piangere rumorosamente.
Sam fece sparire il finto pugnale angelico e rimase a guardarla, incerto su cosa fare. Lei continuò a piangere. Alla fine, con cautela, decise di inginocchiarsi di fronte a lei.
“Così non andiamo da nessuna parte, Ariel,” le disse nel tono più calmo che riuscì a fare. “Ascolta, ti ringrazio per avermi salvato da Limbo. Se ora mi aiuti, io… ti regalerò una copia di tutti i manoscritti di Supernatural. Anche quelli sull’Apocalisse che nessuno ha mai pubblicato.”
“Ho letto anche quelli!” frignò lei.
Sam si chiese dove li aveva trovati. Scosse la testa.“C’è anche il seguito. Sai, i Leviatani, Dick Roman…  la guerra civile fra voi angeli, quando Raffaele e Castiel—”
“Oh,” esclamò Ariel di colpo, smettendo di piangere. “Ora ricordo!”
Sam non sapeva se essere preoccupato o rasserenato dalla notizia.
“Cosa, Ariel?” chiese con prudenza.
Lei sorrise dolcemente. “Beh, l’angelo che vuole vedere morto Castiel sono io per cui, se vuoi che io ti aiuti, devi promettermi che ucciderai Castiel.”
“Cosa…?! Perché?”
“Perché voglio che tu salvi Dean. Ti aiuterò a farlo, ma in cambio devi assolutamente uccidere Castiel. D’accordo?”  
Sam si rialzò, accigliato.“Sei alleata… con gli altri angeli? Quel Bartolomeo…?”
“Bartolomeo chi? No, io odio Castiel e basta. E’ antipatico nei libri. Non lo trovi anche tu antipatico?”
“Ariel, ti prego,” sospirò Sam con rassegnazione, “non puoi uccidere una persona solo perché è antipatica nei libri!”
“NON E’ SOLO QUELLO!” strillò lei di colpo, isterica. “LUI E’ UN MOSTRO! L’ho incontrato, migliaia di anni fa. Mi ha assalito. Mi ha fatto del male. E’ COLPA SUA, E’ TUTTA COLPA SUA! E…e poi…”
Si mise in piedi, coprendosi metà del volto con una mano: aveva gli occhi seminascosti dalla frangia, da cui colava qualcosa molto simile a sangue.  “Ho desiderato fargliela pagare per diecimila anni, ma sai? Quando finalmente sono riuscita a trovarlo, è stato rinchiuso nel Limbo, e mi è sfuggito. Io non voglio che continui a vivere lì in eterno: io lo voglio morto.”
“E allora perché non vai tu stessa a ucciderlo?” sbottò Sam spazientito, pentendosi l’istante successivo.
“No, io non ho alcuna intenzione di avvicinarmi! Ma tu vuoi farlo, Sam…”rispose lei, chiudendo i pugni sulla camicia del cacciatore e strofinando la guancia contro di essa come un gattino. “Perché Dean è lì. Quindi tu entrerai lì per me, massacrerai Castiel e io in cambio ti dirò come salvare tuo fratello, prima che lui faccia qualche sciocchezza come sacrificarsi per lui. Allora, lo farai, vero Sam? Vero?”
Sam, silenziosamente, fece ricomparire nella sua mano il pugnale. Non sapeva se ciò che stava dicendo quell’angelo era vero o meno: sapeva solo che era completamente pazza.
Ariel si staccò da lui, improvvisamente delusa. “Non lo farai… vero?”
Il cacciatore si sforzò di pensare ad una soluzione. Forse doveva fingere di accettare la sua proposta. Se solo fosse riuscito a convincerla a liberarlo dal coma, poteva benissimo imprigionarla con l’olio santo e poi costringerla a rivelargli il modo per salvare Dean e Castiel. Non sarebbe stato facile, ma forse poteva persino—
Sam aprì gli occhi, svegliandosi di soprassalto.
Si ritrovò in una camera da letto riccamente arredata, steso su un comodo materasso.
Sentì uno scatto metallico ai polsi, e si rese conto che qualcuno lo aveva appena liberato dalle manette che lo tenevano imprigionato.
“Ma cos—“
“Va bene!” sorrise Ariel, di fronte a lui, battendo le mani. “E’ tutto a posto. In piedi, Sam! Andiamo a salvare tuo fratello!”
 

******
******
 

Appena fuori dal perimetro della casa di Bobby, adesso, vi era un bosco. Era folto, buio e vagamente inquietante.

Dean scorse un piccolo sentiero tracciato con dei sassi bianchi: lo imboccò senza pensarci due volte, facendosi strada fra gli arbusti che gli graffiavano le mani e il viso.
Dopo pochi minuti, la vegetazione si diradò e lui si ritrovò in una strana radura, perfettamente circolare, illuminata da una Luna troppo grande, che emetteva una luce troppo lugubre.
Il terreno era scuro e bagnato da pozzanghere di liquido denso e rossastro. Su di esso, giacevano morti o ancora agonizzanti decine di esseri molto simili ai cani infernali: erano perlopiù cadaveri fatti a pezzi, ma quelli ancora vivi si contorcevano in agonia, lanciando ululati e singhiozzi strazianti.
Ciò che catturò l’attenzione del cacciatore fu però la grossa roccia chiara al centro della radura: era come un altare, e su di esso vi era, in piedi, Meg.
Il demone dava le spalle a Dean, e sembrava assorto nella contemplazione della Luna. Le sue mani, intrecciate dietro la schiena, erano sporche e gocciolavano sangue.
 “Sapevo che saresti venuto a cercarmi,” disse Meg con calma.  
“Che posticino romantico,” osservò Dean, avanzando verso di lei. “E’ per me?”
Dal limitare del bosco, di colpo, balzò fuori un’altra di quelle creature: si gettò addosso a Dean, puntando al suo fianco. Il cacciatore estrasse il coltello ma Meg, con un movimento rapido, si girò nella sua direzione e sollevò una mano.
L’abominio, come colpito da una forza invisibile, rovinò a terra con un tonfo ed emise un gemito strozzato.
Dean, inquieto, fece scorrere lo sguardo da lui a Meg.
“Sono residui di entità ultraterrene,” spiegò lei, leccando il sangue che le stava ancora colando dalle mani. “Spazzatura del tuo mondo che ogni tanto finisce qui dentro. Abbastanza fastidiosi, in verità. Allora, Winchester… a cosa devo la tua visita? Non ti staccheresti da Clarence senza un valido motivo. A proposito…sei sicuro che stia bene, in questo momento?”
Dean la fissò silenzioso, giocherellando con la sua arma.
“Sei davvero Meg?” chiese alla fine, in tono piatto.
“Chissà…” rispose lei. Si pulì la bocca con la manica del vestito, ma nonostante ciò le rimase un grosso alone rossastro ai lati delle labbra. “Puoi sempre provare ad esorcizzarmi e poi fare a pezzi questo corpo… ma non credo che ti converrebbe, visto che io conosco il modo per uscire da qui.”
Dean smise si rigirarsi il coltello fra le mani.
“Ora sì che sei interessato, eh?” ridacchiò il demone.
“Stai mentendo.”
“Vedo che certe cose non cambiano mai…”
“Allora spiegami perché non l’hai detto prima che quel figlio di puttana si divertisse a friggere il cervello a me e Cas!”
Meg scosse la testa, sorridendo divertita. “Dean, Dean, Dean… La situazione è complicata.”
Il cacciatore aggrottò la fronte, buio in viso, muovendosi verso di lei. “Quindi sono queste le tue ultime parole.”
“C’è bisogno di un’anima,” disse Meg. “Sfruttando un’anima umana, è possibile aprire un varco verso il mondo esterno.”
Dean sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire dove voleva andare a parare quella donna.
“Il Limbo è un gigantesco uovo, Dean. Se spacchiamo il suo guscio, possiamo uscire, ma l’unica fonte di energia abbastanza potente per farlo è dentro di te.”
Ancora, pensò Dean. “Perché io?” domandò, nervoso. Tutta questa storia gli aveva fatto perdere persino la voglia di risponderle con qualche battuta sagace.
“Tesoro, forse non l’hai notato, ma la tua anima è l’unica disponibile sulla piazza al momento. Sai com’è, io sono un demone, e il tuo Cas non è umano… o almeno, non dovrebbe.”
Dean avvertì dei bassi ringhi nervosi provenire dal bosco: a quanto pareva, erano circondati da decine di creature come quella che aveva atterrato Meg ma, probabilmente, erano troppo spaventate per attaccarli.
“Se accettassi…” disse Dean di colpo, “se accettassi, cosa succederebbe alla mia anima?” le chiese.
Meg, con quel sorriso odioso perennemente stampato sulla faccia, lo guardò dritto negli occhi, sollevando un pugno chiuso. “Per farla breve…  Boom~,” sussurrò, aprendolo con un gesto eloquente.
“Ma hai bisogno del mio consenso per farlo, vero?” sorrise a sua volta il cacciatore. “E’ per questo che sei così amichevole… perché credi che prima o poi ti darò il permesso di usare la mia anima come una bomba atomica, giusto?”
“No, non lo farai. Ma non è questo il piano. Sai…” Meg fece un mezzo giro su sé stessa, tornando a guardare la falsa Luna. “…so che anche gli angeli possono distruggere le pareti del Limbo. Pensavo che Castiel ne fosse consapevole, ma a quanto pare non è così…”
Il demone restò fermo a contemplare il satellite, mentre il suo ghigno si allargava segretamente. Non poteva vedere Dean in faccia, ma riusciva quasi a sentire nelle sue orecchie il battito del suo cuore, ogni istante sempre più veloce.
Lui era davvero spaventato.
“Castiel è stato ferito,” disse il cacciatore con indifferenza, dopo molti secondi di silenzio. “Ha bisogno di tempo per recuperare le forze. Quando avrà riposato, userà le sue ali per tirarci fuori da qui.”
“Davvero?” chiese Meg, sollevando un sopracciglio. Riportò la sua attenzione su Dean. “Io ho come l’impressione che voi due mi stiate nascondendo qualcosa. Qualunque cosa sia, nell’interesse generale, perché non vai dal tuo fidanzatino a spiegargli la situazione? O forse è meglio che vada io…”
“No,” dichiarò il cacciatore, forse troppo velocemente. “Andrò io.”
“Meglio così… sai, lui di me non si fida.”
“Chi ti dice che io mi fidi?”
“Oh, tesoro, mi offendi… sai benissimo che ciò che vogliamo tutti è solo andarcene da qui.”
“Dean, quello che ti ho detto è la verità,” proseguì poi il demone, convincente. “E secondo me, faresti meglio a sbrigarti a prendere una decisione. Sai, credo che il Re sia molto interessato a te. Lo hai notato, vero? Era di questo che ti ha parlato Castiel, no? Quell’essere ha dei piani per te. Ti sta girando attorno come uno squalo… sa come e dove colpirti. Credo che non lo abbia fatto finora solo perché, in effetti, è divertente osservare come perdi pezzi ogni istante che passa.” Scoppiò in una risatina convulsa. “Oh Lucifero, credo di essere rimasta qui dentro anche io per troppo tempo…”
Dean, immobile di fronte a lei, strinse i denti, frustrato.
Meg scese dalla roccia e lo raggiunse. Gli sfiorò il braccio muscoloso con una mano e gli sorrise, mostrandogli i suoi occhi neri e perversi. “Dean Winchester, quando vorrai che tutto questo finisca, vienimi a cercare e portami un angelo. O un’anima,” gli sussurrò prima di superarlo ed allontanarsi nel bosco, fra i latrati delle creature.
Dean non se ne curò.
Meg non lo sapeva ( o forse sì..?), ma Castiel non era più un angelo: ora aveva un’anima, ed era umana.
Di conseguenza, l’unico modo per uscire dal Limbo era farle fare il suo rituale che necessitava di un’anima umana in sacrificio.
Ciò significava che, fra lui e Castiel, solo uno di loro due poteva andarsene; l’altro sarebbe stato dato in pasto a Meg.
Dean strinse la presa sul manico del pugnale. “Maledizione,” mormorò.

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Capitolo 10
*** Narcissistic cannibal ***


Note scritte adesso perché così mentre leggete il capitolo ho il tempo di scappare:
Ieri notte, rigirandomi nel letto, ho pensato: cosa c’è di meglio del finire la settimana con un bel capitolo di spiegazioni? Così ho lanciato via i miei 2 piumoni, sono balzata in piedi e sono andata a finire il capitolo.
Ok, non è andata proprio così: la verità è che i piumoni sono 3, e che per scrivere queste poche pagine ho impiegato un sacco di tempo. *piange*
All’interno c’è una specie di recap. Non so cosa ho combinato, comunque sia… vi auguro un Buon Natale!!


* * *


Limbo, tempo indefinito; notte.
Dean era in piedi sul basso altare naturale al centro della radura, nello stesso punto in cui aveva trovato Meg poco prima.
Non ricordava di essere salito lì sopra. La sua mente era intorpidita, la sua coscienza assente; il suo corpo era come sotto pilota automatico.
Era caduto in quello stato da quando Meg gli aveva rivelato che per fuggire dal Limbo era necessario un angelo, oppure un’anima umana.
Non c’era nessun angelo nei dintorni, e le uniche anime in quel mondo erano la sua e quella di Castiel, per cui… uno di loro doveva sacrificarsi per la salvezza dell’altro.
Una roba così patetica era degna di un romanzetto di quart’ordine; ed era inaccettabile. Ma, d’altro canto, Dean non poteva più restare nel Limbo: il mostro che governava quel posto sembrava deciso a possedere lui e a distruggere Castiel, ancora e ancora; e queste erano entrambe cose che non poteva sopportare.
Dean non era il tipo di persona che cede ai ricatti, ma stavolta era diverso: sapeva di non aver altra scelta che accettare quelle condizioni, ora che aveva ancora un briciolo di sanità mentale.
Ma, chi, fra loro due, avrebbe dovuto vivere, e chi avrebbe dovuto morire?
In cuor suo sapeva di non poter lasciare suo fratello  a combattere contro gli angeli da solo, non mentre ne aveva uno in corpo senza saperlo; e Castiel, senza poteri e senza esperienza, non sarebbe stato comunque in grado di aiutare nessuno.
Per cui…
L’arma che Dean stringeva scivolò via dalla sua mano e cadde sulla pietra sferragliando.
No.
Si portò entrambe le mani alla testa, artigliando i capelli e la pelle ai lati del viso.
No, non poteva farlo.
Non poteva far uccidere Castiel per tornare nel suo mondo.
Non poteva.
Ma doveva, anche se, perché… perché doveva essere sempre lui a sopravvivere, a dover continuare a combattere e a sacrificare tutto ciò che aveva, a non trovare mai pace?

(Odiava l’esistenza che era costretto a fare.
Ogni cosa, ogni volta, finiva per andare storta.
Continuava ad andare avanti, ma non poteva scappare
dal passato che gli dava la caccia e si divertiva a tormentarlo.  [1] )

Delle lacrime iniziarono a rigare le guance di Dean, senza che lui se ne accorgesse.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato in lui; qualcosa di maledetto. La verità era che Castiel non avrebbe mai dovuto recuperarlo dall’Inferno. Apocalisse o meno, avrebbe fatto meglio a lasciarlo lì a marcire visto che, da quando quell’angelo lo aveva afferrato forte e salvato dalla perdizione, la sua vita era stata un crescendo di morte, dolore, perdita e sofferenza; crudele, assurda e sempre più pesante ed insopportabile.
Ed ogni volta che credeva di aver trovato qualcosa di buono nella sua esistenza, ogni volta che si concedeva di essere felice, un attimo dopo tutto andava a puttane e le persone che amava e che cercava di proteggere erano costrette a soffrire e sparire per colpa sua.
Lasciandolo solo.
E il pensiero di dover essere lui, di nuovo, la causa della morte di Castiel fu l’ultima goccia. Voleva gridare, oppure vomitare, ma non riuscì a fare nessuna delle due cose: vuoto e smarrito, lasciò ricadere le braccia  lungo i fianchi.
Dean non riusciva più a ragionare, non si sentiva più neanche sé stesso. Voleva solo che tutto finisse, almeno per qualche minuto.
Forse, nella prossima vita la situazione sarebbe stata più chiara. O forse avrebbe smesso di sentire ogni cosa per sempre. Senza pensare a nulla, estrasse la sua beretta e tolse la sicura con un gesto meccanico.
Puntò la pistola sotto al mento, prese un ultimo respiro e premette il grilletto.
Il braccio di Dean si squarciò e la pistola gli cadde dalle mani; il colpo appena esploso sibilò nell’aria e andò a perdersi nel bosco circostante.
Le gambe gli cedettero e lui ricadde sulle ginocchia. Una lama spuntata fuori dal nulla, lanciata con precisione, gli aveva lacerato l’avambraccio destro, bruciandolo profondamente.
Dean si portò una mano sulla ferita, stupito, mentre il suo respiro affannato si condensava nell’aria a causa del freddo di quella notte irreale.
Era come se non fosse stato il suo corpo ad essere ferito: non provava alcun dolore.
Pochi secondi dopo, avvertì le mani di Castiel calare su di lui: non l’aveva visto arrivare, ma non fu sorpreso della sua presenza, perché la lama che gli aveva impedito di spararsi era stata indubbiamente la sua.
L’ex-angelo, trafelato, gli si era inginocchiato di fronte, e gli stava gridando qualcosa che a Dean giunse lontano ed ovattato. Forse Castiel aveva anche urlato il suo nome, poco prima; non ne era sicuro.
Dean non capiva. Perché si era preso la briga di venirlo a cercare e salvarlo? Perché continuava, sempre, a salvarlo?
Castiel, dopo aver recuperato il suo pugnale, allontanò con un gesto indelicato la mano di Dean dal braccio ferito e cominciò sfilargli la giacca per esaminare la sua ferita. La sua presa tremava leggermente e la sua espressione era tesa; il cacciatore si soffermò nell’osservare come quell’uomo cercava ad ogni costo di aiutarlo, mentre lui pianificava di ucciderlo, o forse no.
“Mi avevi detto che non ti saresti allontanato!” gli sentì dire, con voce molto più alta del solito.
Dean non gli rispose: i suoi occhi erano annebbiati ed era completamente deconcentrato. Si limitò ad accennare un debole sorriso divertito.
“Cosa c’è di così divertente?” mormorò l’ex-angelo, fissando nervoso la ferita che era stato costretto a infliggergli, chiedendosi come fosse possibile che Dean non stesse facendo una piega.
Il cacciatore, per tutta risposta, sollevò il braccio sano e iniziò ad accarezzargli la guancia, catturando la sua attenzione. “Ti ricordi di Benny? L’ho decapitato,” disse piano, facendo scorrere le dita sul sottile velo di barba del compagno. C’era qualcosa di spaventoso in quel tocco leggero e nel suo tono serafico: contrastava con il ghigno che gli storceva la bocca e con il nero delle sue pupille, completamente dilatate. “Dovrei decapitare anche te, adesso…?”
Castiel lo spinse via d’istinto, tirandosi poi indietro. Sconvolto, vide il sorriso di Dean trasformarsi in una risatina nervosa, che continuò ad aumentare di tono fino a che non divenne una risata tanto forte quanto disperata.
“Tu…” cominciò l’ex-angelo.
“STA’ ZITTO, CAS!” gridò l’altro, smettendo di ridere. Si strinse con la mano la ferita, richiudendo le dita sulla carne viva mista a sangue e pelle carbonizzata. “Ne ho abbastanza…” sibilò a denti stretti. “Di te, di Meg… del Paradiso, di Sammy, di Zeke… di tutto…”
Il cacciatore si accorse che Castiel, ora, lo stava squadrando gravemente. Forse pensava che fosse impazzito, e probabilmente era così: Dean era arrivato al punto di non sopportazione. L’idea di sparire per sempre, di colpo, era diventata allettante.
“Cas, dici a Meg di prendere la mia anima e và via. Salvati almeno tu. Ti prego…” gemette confusamente. Ma non aveva ancora finito di parlare che si sentì afferrare il polso destro e la lama di quel dannato pugnale degli angeli lo graffiò di nuovo.
“Ehi,“ esclamò, sorpreso. “Ma che diavol— “
“Non volevo farlo adesso, ma la situazione è peggiore di quanto credessi,” disse Castiel sbrigativo.
Gli aveva inciso profondamente la pelle del palmo della mano e poi lo aveva costretto a chiuderlo, raccogliendo il sangue pulito che aveva iniziato a colare in una minuscola ciotola.
L’aveva estratta da una borsa di cuoio che aveva portato con sé, e che solo ora Dean notò accanto a lui.
Al sangue, Castiel aggiunse altre sostanze: fra di esse, Dean riconobbe solo l’acqua benedetta, che aveva preso da una fiaschetta nella sua giacca.
Quando anche l’ultimo ingrediente fu sbriciolato nella ciotola, il composto assunse un colore scuro e una consistenza granulosa.
Dean osservò Castiel tracciare con un carboncino dei sigilli intorno a lui, sulla pietra ai suoi piedi. Non capiva cosa stava facendo: la sua testa era troppo pesante.
“Hai parlato con Meg?” domandò il moro senza guardarlo, continuando a disegnare velocemente. “Non devi darle retta. Qualunque cosa ti abbia detto, non è vera. Ha continuato a mentirti per tutto il tempo.”
“Perché è un demone?” chiese Dean con voce flebile.
“No…” Castiel gettò via il carboncino e immerse le dita affusolate nel composto. Prese un grosso respiro. “Perché, ascoltami bene,” gli rispose, avvicinandosi a lui. “Quella non è Meg. Non c’è nessuna Meg. Non c’è mai stata. Dean, tu… hai parlato al vuoto fino ad ora.”
Qualcosa di mosse nell’animo del cacciatore. “Cosa?” sussurrò, leggermente più cosciente. “…cosa?!”
Castiel, nel frattempo, aveva teso la mano sporcata da quell’intruglio verso di lui, mormorando più volte le parole “Ostende te”; fece scorrere le dita sulla fronte del cacciatore, tracciando con i polpastrelli dei piccoli segni. “Ostende te, ostende te, daemon devotus, nomine crucis evade [2].”
Dean si rese conto che si trattava di un esorcismo. Le parole che Castiel stava recitando suonavano familiari, ma non poteva credere che fossero rivolte a lui. Lui non era posseduto… o forse sì? Ad ogni sillaba che Castiel pronunciava con voce grave, la fronte marchiata gli bruciava, mentre il sangue sembrava ribollirgli in ogni singola vena. Il cuore batteva come se avesse corso per decine di chilometri, e di colpo le sue ferite iniziarono a dolergli, e il freddo a pungerlo. Fu un attimo — Dean strizzò gli occhi, e quando lì riaprì il momento era passato. Si sentì un po’ più sé stesso, un po’ meno distrutto. Raddrizzò la schiena, che finora aveva tenuto curva, e sollevò lo sguardo verso il compagno.
Aveva così tante domande da fargli che non sapeva neanche da dove iniziare.
Ma il suo braccio, ora, bruciava come l’inferno, e qualcosa si stava contorcendo nel profondo delle sue viscere.
“Che… che stai dicendo?” protestò. “Tu… hai sempre parlato con Meg!”
“Io non ho mai parlato con lei,” rispose freddo l’ex-angelo.
Seppur dolorante, ora che aveva la mente più sveglia, Dean si sforzò di ripercorrere velocemente gli avvenimenti delle ultime ore. Era vero, Castiel non aveva mai rivolto la parola a Meg. L’unica volta in cui sembrava aver parlato con lei era stato nella casa di Lisa. Mentre gli passava il suo pugnale [3].
Quell’idiota stava davvero parlando del suo pugnale?!
“Perché diavolo…non me l’hai detto prima…?” disse Dean debolmente.
Ma Castiel aveva cominciato a recitare un’altra formula, in una lingua molto più antica del latino e con un tono, se possibile, ancora più forte ed inflessibile di prima.
Dean strinse il pugno sano. Era come se quelle parole, e quella voce, gli stessero scavando dentro, perforandogli i timpani e sconquassandogli l’anima. Sentì che qualcosa gli si stava arrampicando su per la gola, graffiando e bruciando, e iniziò a tossire più e più volte, fino a che non vomitò un fluido rossastro e denso molto simile al sangue.
Quando ebbe finito, si sentì come se qualcosa gli avesse tolto un enorme peso di dosso. Continuò a tossire e a sputare anche dopo, perché il sapore acido che quella roba aveva lasciato nella sua bocca era nauseante.
Stringendosi il braccio ferito, Dean si rialzò: la ferita non era grave, poteva sopportare il dolore. Castiel lo costrinse a scendere dalla roccia, mentre il fluido che la macchiava si raggrumava rapidamente e formava la sagoma di un corpo umano seduto scompostamente sulle gambe, che Dean riconobbe essere quello di Meg.
“Ops,” mormorò lei, sorridente, quando la trasformazione fu completata.
“E’ lei…?” chiese Castiel, aggrottando la fronte.
“Tu… puoi vederla ora?”
L’ex-angelo fece un cenno affermativo.
‘Meg’ emise un finto sospiro drammatico, ghignando perversa. “Perché lo hai fatto, Clarence? Dopo tutto quello che c’è stato fra noi…”. Cercò di mettersi in piedi, ma si ritrovò imprigionata da centinaia di sottili fili invisibili argentati, che le bloccavano ogni parte del corpo. Lì agitò, cercando inutilmente di liberarsene; assunse un’aria contrariata. “Hai unito una formula di esorcismo ad un rituale di vincolo degli angeli?”
“Due rituali,” la corresse Castiel, le labbra curvate in un sorriso vagamente arrogante.
“Ma che bravo…” gli rispose lei, senza staccargli gli occhi di dosso.
Dean tossì, ma stavolta solo per attirare l’attenzione generale. “Romeo, scusami se mi intrometto nel tuo appuntamento, ma vorrei fare solo una domanda,” disse, e poi si rivolse all’essere imprigionato: “Tu non sei Meg. Cosa diavolo sei?”
“Dean Winchester…” rispose quello, “è scortese da parte tua… prima mi  chiedi di mostrarmi a te e poi, quando lo faccio, non mi riconosci…” [4]
“Mostrarti…?” ripeté Dean, sbattendo le palpebre. Poi capì. “Tu sei… Tu sei il figlio di puttana?!”
Meg inarcò le sopracciglia. “Preferisco essere chiamato Re,” rispose. “Ma, sì, lo sono. E siatemi grati, perché vi sto concedendo un’udienza,” sorrise melliflua.
Dean si girò verso Castiel: era furibondo.
“TU LO SAPEVI!” esclamò. “Tu sapevi che questo stronzo era con me, e non me lo hai detto!”
Castiel abbassò lo sguardo, annuendo colpevole. “Dean, prima che tu arrivassi nel Limbo— “
“CERTO CHE LO SAPEVA, LO HA SEMPRE SAPUTO!!” strillò il Re. “E non ha fatto altro che mentirti. Perché ti sorprendi, Dean? Lo ha già fatto in passato, no?”
“CHIUDI IL BECCO, MEG! O chiunque tu sia... ” gli gridò il cacciatore. "Cas: parla.”
“Prima che tu arrivassi,” riprese Castiel, “e anche mentre ero con te, ho avuto decine di allucinazioni, ma nessuna ha mai realmente tentato di interagire con me. Per cui ho capito che la Meg che vedevi era un’entità diversa, che aveva iniziato ad interessarsi a te. Ha continuato a tentare di circuirti per tutto il tempo. Ma se te lo avessi rivelato prima di essere sicuro di poterla fermare, lei ci avrebbe attaccati di nuovo o mi avrebbe...allontanato.”
Allontanato?” rise la falsa Meg. “No, se Castiel avesse provato a dire qualcosa che io non volevo che dicesse, lo avrei ridotto… Dean, tu lo sai come lo avrei ridotto.”
Il cacciatore digrignò i denti.
“Castiel non è mai stato un pericolo per me,” continuò il Re, sereno. “Ha cercato per tutto il tempo di trovare il modo per catturarmi.  Ero curioso di vedere cosa si sarebbe inventato… per cui vi ho fornito la casa di Bobby e la sua dispensa.”
“Quindi, in pratica,” esclamò Dean, più che altro per far zittire quell’essere odioso, “mentre voi due coglioni facevate a gara a chi era il più coglione, l’unico che non sapeva cosa stava succedendo ero io?”
“Dean, io…”
“Vaffanculo, Cas. Quando saremo al bar a raccontare a Sam di come abbiamo preso a calci questo bastardo,  le birre le offrirai tu. E quanto a te, figlio di puttana… perché hai la faccia di Meg?”
“Meg Masters è una tua proiezione mentale,” rispose docile il Re. “Voi esseri limitati non siete in grado di percepire la mia vera forma. Questo demone era la cosa più vicina a me che riconosce il tuo cervello -  perché sì, sono stato nel tuo piccolo cervello,” ghignò. “Ma non mi interessano i tuoi patetici ricordi. Su di una cosa non ti ho mentito: io ho bisogno della tua anima. Non appena avrai ceduto alla disperazione e ti sarai donato completamente a me, potrò usarti come tramite per manifestarmi sulla Terra.”
Dean guardò fisso Meg, cercando di riordinare i suoi pensieri. Scosse le spalle. “Amico, non so cosa ti hanno detto del nostro mondo, ma non è così bello come credi. Sinceramente? Io me ne resterei qui.”
“Scherzi, vero? Ho visto la Terra nelle vostre memorie. Tutta quell’angoscia e il lutto, e tutti quegli esseri mortali, deboli e fragili… è come una festa per me.”
“Perché lui e non me?” si intromise Castiel, rimasto silenzioso fino a quel momento.
“Non mi hai sentito?” replicò il Re svogliatamente. “Ho detto di avere bisogno di un’anima. Tu, angelo decaduto, non hai un’anima. Se l’avessi avuta, saresti ridotto a pezzi adesso, dopo tutto quello che ti ho fatto…”
Dean si voltò di scatto verso il suo compagno, che aveva sbarrato gli occhi.
“Non sei un umano. Sei solo un angelo… privato della sua grazia. Sei un abominio. Io avevo bisogno di un vero umano,” concluse l’essere.
 “Cas…?” mormorò Dean all’ex-angelo, poggiandogli una mano sulla spalla.
Lui, senza guardarlo, vi poggiò sopra la sua e la strinse. “Va tutto bene, Dean,” lo rassicurò con voce scossa. “Ora dobbiamo cercare un modo per fermarlo.”
Ma il Re sospirò, annoiato. “Ora, Dean Winchester, visto che ho risposto alle tue domande, con il tuo permesso, finisco di schiacciati.”
“Oh, io invece credo che tu resterai lì finché non troveremo un modo per farti fuori, dolcezza,” replicò il cacciatore, ammiccando.
“Forse ti è sfuggito il fatto che, qui dentro, le leggi le faccio io.”
“Cioé?”
Neanche a dirlo, i fili argentati che immobilizzavano il falso demone sparirono.
“Speravo che non fosse così...” mormorò Castiel, facendo un passo indietro.
Il Re si rialzò, e fissò il cacciatore, le orbite degli occhi completamente rosse.
Era difficile sostenere quello sguardo, ma Dean non abbassò gli occhi: sarebbe stato come ammettere la sua sconfitta.
“Ragazzo Winchester,” un sorriso largo e predatorio storse le labbra dell’essere, che incrociò le braccia al petto. “Continui a fare il duro, a recitare le tue battute sagaci e le tue citazioni, ma sai bene anche tu che dentro sei già morto. La sofferenza dell’essere umano non svanisce: si accumula dentro di lui, finché non riesce a prendere il sopravvento e a corromperlo, e a divorarlo. E’ rimasto ben poco di te, ormai. Ho solo bisogno di darti il colpo di grazia, e poi sarai mio. Sarà facile come schioccare queste dita,” disse, e lo fece.
La forza dell’impatto fece sbattere Dean a terra. Il cacciatore si sentì come se un treno lo avesse appena investito.
In seguito, tutto successe così velocemente che non ebbe il tempo neanche di rendersene conto. Si accorse a malapena del fatto che Meg era scomparsa. Iniziò a tossire sangue, troppo sangue: lo soffocava. Sentì un fischio crescente nella testa, e pensò che stesse per esplodergli. C’era qualcosa che lo stava stritolando dall’interno, triturando ogni singolo organo del suo corpo: il dolore era assurdo, lancinante ed innaturale. Non ci mise molto a capire che stava morendo, stava davvero morendo.
Boccheggiando in cerca d’aria, capì che quel mostro aveva ragione: sin dal momento in cui avevano messo piede nel Limbo, lui e Cas erano sempre, sempre stati solo dei giocattoli nelle sue mani. Non aveva fatto altro che divertirsi con loro. Ed ora si era di nuovo insinuato dentro di lui, e lo stava lacerando, sia nel corpo che nell'anima.
Aveva già quasi perso la sensibilità dei suoi muscoli e i suoi pensieri si stavano spegnendo, eppure continuava a sentire la voce di Castiel che gridava il suo nome.
Avvertì la sua presenza vicino a lui e questo, in qualche modo, lo rese felice.  
Dean. Dean! Non lasciarlo entrare. Devi combatterlo! Dean!” - gli stava gridando qualcosa del genere. Non gli aveva mai sentito usare quel tono di voce. Era straziante ascoltarlo. Voleva che smettesse.
Con immensa fatica, Dean aprì gli occhi – non si era accorto di averli chiusi – ma la sua visione era offuscata. Tossì altro sangue. Afferrò con una mano tremante la camicia di Castiel e la strinse, poi prese un ultimo respiro.
 “Q-Questa è…questa è l’ultima preghiera che ti faccio…” gli disse in un sussurro. “E’ dentro di me, ora… Fermalo, Cas… ti supplico… uccidimi.”



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[1] Ispirata a questo video.  (mi ha destabilizzato; sono una persona sensibile...)
[2] Rivelati, demone maledetto, nel nome della croce fuggi via. (Der exorzist, E-nomine)
[3] Vedi fine del capitolo 7.  *scansa pomodori*
[4] Vedi sempre il capitolo 7, credo al terzo paragrafetto.  *scansa patate*

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Capitolo 11
*** La porta del Limbo ***


Note:
Ho scritto e riscritto questo capitolo (e il precedente) così tante volte che ammetto che ci sono stati momenti in cui ho voluto davvero cestinare TUTTO. Ma mi avete dato così tanto sostegno e incoraggiamento che, quando ero in difficoltà, ho stretto i denti sono andata avanti.
Vi auguro un sereno 2014 e vi ringrazio di cuore tutti! *spreads love*
 
* * * *

 
Sam si massaggiò i polsi segnati dalle manette, meditando sul da farsi.
Era riuscito ad evitare di essere spedito nel Limbo, ma era stato ugualmente preso prigioniero e disarmato; doveva salvare Dean e Castiel, ma l’unica arma a sua disposizione era l’angelo folle che lo aveva liberato. Sam non si fidava di lei, per cui approfittò di quegli istanti per soppesare le varie possibilità d’azione e di fuga che aveva.
Ma il flusso dei suoi pensieri venne presto interrotto da Ariel che, incuriosita dal suo comportamento, gli era comparsa davanti e aveva iniziato a fissarlo in silenzio, con aria interrogativa.
Sam sapeva che poteva leggergli nel pensiero e per questo, dopo qualche attimo di esitazione, decise che era inutile mentirle.
“Io non farò del male a Castiel,” dichiarò.  
L’angelo inclinò leggermente la testa. “L’avevo capito,” si limitò a rispondere, atona.
“E nonostante questo vuoi ancora aiutarmi a salvare mio fratello?”
“Se si tratta di te e Dean insieme," ribatté lei, "posso passare sopra alla tua insensata voglia di proteggere quell’essere. Per cui, va bene - non ucciderai Castiel.”
Sam si accigliò. “Vuoi farlo tu?”
“Sarebbe molto soddisfacente a livello emotivo, è indubbio,” annuì l’angelo. Aveva ripescato il suo libro e i suoi occhiali; sfogliò qualche pagina con aria annoiata. “Ma... no, non ho intenzione di farlo io.”
Sam strinse gli occhi, sospettoso: c’era qualcosa che gli sfuggiva. Ma la porta si aprì di scatto, e due uomini vestiti di nero fecero irruzione nella stanza, puntando le loro pistole sul cacciatore, che fu costretto ad alzare le mani.
“Oh, gli uomini di Leon,” disse Ariel, sospirando. Si tolse gli occhiali e li lanciò via.
“Signorina, è pericoloso restare qui, si allontani!” esclamò il più anziano, verso di lei. Poi si rivolse a Sam: “Quanto a te, ragazzo, non osare—”
L’uomo non terminò mai la frase perché Ariel, apparsa di colpo di fronte a lui, poggiò una mano sulla sua fronte e usò il suoi poteri per vaporizzargli ogni singolo organo interno.
Ricadde a terra senza vita, gli occhi bruciati ancora fumanti.
L’angelo si voltò poi verso l'altro che, preso dal panico, aveva puntato contro di lei la sua arma, tremando. Lei fece un cenno della mano, ma non accadde nulla; l'uomo ne approfittò per spararle: la colpì al petto, ma l'angelo non batté ciglio, e anzi si mosse verso di lui. Gli strappò la pistola dalle mani e poi sollevò di nuovo il braccio, ma Sam la fermò tirandola indietro.
“Aspetta!”  rantolò, sconvolto.
“Perché?” chiese Ariel, confusa.
“Sono persone!”  esclamò Sam con una punta di orrore. “Non puoi… ucciderle in questo modo!”
“E in che modo dovrei ucciderle?”
“Tu non… ascolta, mi occupo io di lui, d’accordo?!”
Sam si avvicinò all'uomo che, inerme, si era rannicchiato a terra. “Non mi hanno pagato per questo! Vi prego….vi supplico!” blaterava piangendo, scosso da brividi.
Il cacciatore lo perquisì e gli tolse la ricetrasmittente e il cellulare che aveva nella tasca; poi lo imbavagliò con un pezzo di stoffa e lo ammanettò ad una delle gambe del letto.
“Se provi a chiedere aiuto sei morto,” dichiarò minaccioso, e lui annuì vigorosamente.
Sam si rivolse poi ad Ariel: “Andiamo, prima che ne arrivino altri,” le disse.
Lei, per tutta risposta, si portò le mani al petto e unì gli indici. “I-Io… Io non posso andare. Cioè… forse potrei andare, ma se andassi non potrei tornare,” disse confusamente.
Il giovane la guardò fisso, cercando di capire il senso di quelle parole. “Ci sono dei sigilli che limitano i tuoi poteri?”
“Sì… quel genio li ha piazzati in giro,” rispose l'angelo. Si guardò intorno, pensierosa. “Non sono molti, e alcuni sono completamente sbagliati, ma qualcuno funziona davvero. Finché non li cancelli, i miei poteri non saranno al massimo.”
Sam annuì, senza molta convinzione. Ariel lesse nei suoi pensieri che, nonostante tutto quello che aveva fatto per lui, una parte di Sam voleva cogliere la palla al balzo e tradirla… avrebbe potuto torturarlo o ucciderlo per questo ma, in quel momento, la sua personalità era relativamente pacifica, per cui si limitò ad incrociare le braccia al petto.
“Non ti consiglio di farlo, Sam,” esalò. “Certo, potresti trovare da solo il modo di salvare Dean, ma impiegheresti un sacco di tempo. Ed ogni secondo che perdi qui corrisponde ad anni di sofferenza per tuo fratello.”
Il cacciatore aggrottò la fronte. “Che cosa intendi dire?”
“Che io so come funziona il Limbo,” rispose lei, “Perché ci sono stata.”
Mentre parlava, Ariel raggiunse Sam e, quando gli fu davanti, premette due dita sulla sua fronte: lui spalancò gli occhi, mentre delle immagini iniziarono a scorrere rapide nella sua mente.
Quando Ariel abbassò le dita, lui scattò all’indietro, ansimando, il terrore stampato negli occhi. Impiegò qualche secondo per riprendersi.
“D’accordo!” borbottò alla fine, “d’accordo, ti credo, non ti abbandonerò!”
“Yay!” esclamò lei felice, battendo le mani. “ORA MUOVITI, FIGLIO DI PUTTANA!” gridò poi, infuriata.
 
*

La Porta del Limbo era un grosso portone di legno e ferro, che brillava di una luce tenue e sovrannaturale.
Leon fece scorrere le dita scheletriche sulla sua superficie ruvida e questa, in risposta al suo tocco, emise una scintilla bluastra.
Il trentenne sorrise internamente: se, qualche mese fa, qualcuno gli avesse detto che la magia esisteva, sarebbe scoppiato a ridere. Non aveva mai creduto a quella roba e in ogni caso, quando da bambino si era lasciato sfuggire un ingenuo “da grande voglio diventare un mago!”, si era beccato un ceffone in pieno viso da parte di sua madre.
Quell’episodio gli era rimasto impresso perché era stato il contatto più intimo che Leon aveva avuto con lei. Poteva contare sulle dita le volte in cui quella donna gli aveva rivolto la parola: pur vivendo nella stessa casa, per lei era sempre stato un estraneo e, le rare volte in cui aveva provato ad avvicinarsi, lo aveva guardato con terrore e lo aveva scacciato urlando.
Quando, anni fa, sua madre era scappata di casa portando con sé sua sorella, Leon era rimasto solo con suo padre. L’ex-chimico lo aveva educato con durezza, gli aveva imposto un percorso di studi che lui detestava e che non aveva mai terminato, e aveva continuato a trattarlo come uno stupido, un fallimento e una delusione continua, fino al giorno in cui, pochi mesi prima, era stato ritrovato morto in un parco lì vicino.
Leon aveva benedetto infinite volte i cani randagi che, stando al referto del medico legale, lo avevano sbranato vivo.
Fu al funerale del padre che rivide sua sorella. Sua madre era morta da tempo, e lei era sola e senza un lavoro fisso; colto da un improvviso senso di compatimento, aveva deciso di farla venire a vivere con lui, che campava di rendita.
Senza più la continua oppressione di suo padre, impossessatosi della sua fortuna, Leon aveva creduto che la sua vita, finalmente, sarebbe cambiata; ma la sua pace era durata poco perché, solo pochi giorni dopo il funerale, aveva ricevuto quella notizia.
Si portò le mani alla testa, scossa da un’improvvisa fitta di dolore: l’attacco durò solo pochi secondi, ma lo lasciò senza fiato e gli causò un fortissimo senso di nausea.
Appoggiò un palmo al muro, respirando forte per riprendere il controllo.
Era tutto a posto, pensò. Il suo piano avrebbe funzionato. Bastava solo che quegli stupidi angeli si sbrigassero.
 
*

Sam, acquattato in un corridoio buio, attese finché uno degli uomini in nero non gli ebbe voltato le spalle, quindi balzò fuori dall’ombra e lo colpì alla testa, facendogli perdere i sensi. Lo disarmò rapidamente, poi raccolse da un mobile un oggetto appuntito e lo usò per tracciare un lungo graffio sul sigillo angelico inciso sulla parete.
In pochi minuti aveva esplorato una decina di stanze e cancellato sei sigilli, ma non sapeva se fossero sufficienti a sbloccare i poteri di Ariel.
La risposta alla sua domanda arrivò quando una forza invisibile scaraventò sopra un tavolo la guardia che stava per sparargli alle spalle; cadde dall’altra parte della stanza e non si mosse più.
Ariel, apparsa al fianco di Sam, nell’incrociare il suo sguardo stupito inarcò le sopracciglia, come a  voler dire 'che cosa vuoi, hai detto che non dovevo ucciderli'.
Lui era stranamente felice di vederla. “Dove sei stata?” le chiese.
Lei gli lanciò il pacchetto che stringeva fra le mani: “Questo è per uccidere l’entità che tortura il tuo amato fratellino,” disse con un sospiro.
Si trattava di un oggetto non molto grande, avvolto con cura in un panno chiaro. Sam sollevò la stoffa, e sgranò gli occhi. “Come hai..?”
“Ho letto tutti i libri di Supernatural,” rispose l'angelo, innocente. “Cinque volte.”
 Sam si rigirò il pacchetto fra le mani. “Sei sicura che funzionerà?”
Ariel parve ragionarci su. “Beh, Sam,” esordì alla fine, “hai già visto nei miei ricordi ciò di cui è capace il Re del Limbo. Sai anche dov’è la porta, e sai che devi sbrigarti. Vai pure, io ti aspetterò qui.”
Al cacciatore non sfuggì il fatto che l’angelo aveva completamente ignorato la sua domanda, per cui si accigliò.
“E per tornare indietro?” domandò.
“Sono sicura che riuscirete a trovare il modo,” rispose Ariel con voce suadente.
Sam sapeva di non potersi fidare; lo sapeva davvero, ma la sua testa continuava a ripetergli che andava tutto bene. Era come se qualcuno, dentro di lui, gli stesse ordinando di credere a quanto gli veniva detto, azzerando la sua capacità critica.
Non era la prima volta che gli succedeva una cosa del genere: aveva provato la stessa sensazione quando Castiel era misteriosamente tornato in vita, quando Dean gli aveva detto di aver trovato l’indirizzo di April nella tasca di quel mietitore [1], e in molte altre occasioni. E anche stavolta, come un automa, Sam si piegò a quel comando. [2]
“Perché tu non vieni con me?” riuscì però a chiedere ad Ariel.
Lei, per tutta risposta, scattò contro di lui, afferrandogli malamente il bordo della giacca e spingendo il suo viso alla sua altezza per guardarlo negli occhi.
“Forse non ti è chiaro, stronzetto, che io non mi muovo da questo mondo.”
“Hai paura,” mormorò Sam, dopo molti secondi di silenzio.
“Fottiti,” ribatté l’angelo, mollando sgarbatamente la presa, sparendo dalla sua vista.
"L'ho offesa...?" si chiese il giovane, sbattendo le palpebre. Poi si riscosse e si diresse rapidamente verso l'atrio in cui si celava l'accesso al sotterraneo della casa.
 
*

Leon aveva impiegato piu' tempo del previsto per riprendersi.  Quando fu sicuro di riuscire a fare piu' di tre passi senza vomitare, voltò le spalle alla Porta del Limbo e si avviò verso le scale che portavano al piano superiore.
Doveva ancora controllare che le linee di sale fossero state ripristinate e decidere cosa fare con Sam Winchester: anche se era legato e incosciente, Leon non si sentiva tranquillo. Ed inoltre, non era sicuro di come l’avrebbero presa gli angeli.
Quella mattina, dopo aver catturato Castiel, Leon aveva telefonato al Reverendo Buddy Boyle [1]; ignorando la voce meccanica del centralino, aveva esordito con un semplice: ‘Dici agli Angeli che ho Castiel’ e, pochi secondi dopo, si era ritrovato a parlare al telefono con un tale Bartolomeo, Angelo del Signore.
Pur trovando assurda l’idea di parlare ad un'entità celeste al cellulare, Leon gli aveva spiegato la sua storia e le condizioni a cui era disposto a cedere Castiel.
Bartolomeo aveva ascoltato i termini dell’accordo e poi, con voce serena, gli aveva detto: “Non so come tu faccia a sapere del nostro fratello caduto, ma sono certo che sai cosa accade a chi dice falsa testimonianza.”
“Non sto mentendo, se è questo ciò che intende dire,” aveva risposto Leon, piatto.
 “Allora manderò da te alcuni dei miei angeli più fidati per visionare il tuo operato,” aveva replicato a quel punto Bartolomeo. “Impiegheranno alcune ore per raggiungerti. Potresti impegnarle catturando anche i Winchester,” aveva aggiunto poi con voce serafica. “Immagino tu conosca anche loro. Sembra che amino comparire dal nulla per aiutare i loro compagni in difficoltà e ostacolare il Piano Divino.”
“Sì, so benissimo chi sono. Ma—”
“In caso contrario, potrei non essere in grado di esaudire la tua richiesta,” aveva tagliato corto l’angelo.
Leon aveva aggrottato la fronte. “Credo di poterlo fare,” aveva mormorato alla fine.
“Perfetto. Ci manterremo in contatto,” aveva detto Bartolomeo, per poi chiudere la chiamata.
Ma le ore erano passate, e nessun angelo si era ancora fatto vivo.
"Forse hanno trovato traffico," pensò Leon con amarezza. Aveva un brutto presentimento; forse, avrebbe dovuto tracciare qualcun altro di quei sigilli che indebolivano gli angeli. Li avrebbe tolti solo quando fosse stato sicuro che Bartolomeo poteva esaudire la sua richiesta.
Era a metà scala quando uno schiocco alle sue spalle catturò la sua attenzione. Si voltò indietro di scatto, solo per scoprire che la luce che brillava intorno alla Porta del Limbo era scomparsa.
“Che cosa…” esclamò, sorpreso, tornando indietro a grandi passi. Raggiunta la porta provò a sfiorarla, a grattarne leggermente la superficie, a dare qualche colpetto sullo stipite di legno: nulla.
Era tornato ad essere il grosso ed inutile portone arrugginito che era sempre stato.
“Quei due mostri sono riusciti a liberarsi…?” pensò, inorridito.
Pochi secondi dopo, a conferma della sua intuizione, avvertì dei rumori indistinti all’interno della stanza che si celava oltre la porta; ai rumori, seguirono due voci maschili.
Istintivamente, Leon premette l’orecchio contro la porta e cercò di captare la conversazione, ma il legno era spesso e ovattava ogni suono.
Non aveva il coraggio di entrare in quella stanza; non capiva cosa stesse succedendo, ma si rese conto di dover correre a recuperare gli incantesimi in suo possesso ed elaborare un nuovo piano. Risalì le scale velocemente, il cuore che palpitava e la nausea crescente, pronto a scattare verso lo studio di suo padre, ma non appena riemerse nell’atrio si ritrovò una pistola puntata alla fronte.
“Ci devi delle spiegazioni,” dichiarò Sam, il tono che non ammetteva repliche.
Leon gettò un’occhiata alle spalle del giovane: l’uomo a cui aveva ordinato di fare la guardia all’atrio giaceva svenuto a terra, legato ed imbavagliato.
“Lo sapevo,” mormorò, sfinito. “Voi Winchester siete incontenibili.
Sam non gli rispose. “E’ laggiù la porta del Limbo?” chiese, indicando le scale da cui Leon era appena risalito.
“Sì, ma…”
“Allora con te facciamo i conti più tardi,” decise il cacciatore e, senza troppi complimenti, gli diede il calcio della pistola in faccia, mandandolo al tappeto.
Lo superò e scese nel sotterraneo.
“Dean, Castiel,” pensò nervosamente, scendendo le scale, “vi prego, resistete. Sto arrivando.”
 


 
* * * * *

[1] Vedi episodio 9x03
[2] Perché io sono davvero convinta che Sam non sia così stupido da credere a tutte le bugie inventate da Dean nel corso della nona stagione.

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Capitolo 12
*** Shahat ***


Note:
Ho scritto questo capitolo mentre ero in crisi mistica con i due precedenti.
Non volevo pubblicarlo subito, perché ho pubblicato solo l'altro ieri il 12! Ma, alla fine, ho pensato che sarebbe stato carino festeggiare l’inizio del 2014 così.
Oserei dire: "-3 alla fine" ma mi conosco fin troppo bene, quindi non oserò.


* * *


L’ultima cosa che Dean sentì fu la mano di Castiel che stringeva la sua; il suo ultimo pensiero fu rivolto a Sam. Poi il suo sguardo si spense, la sua visione si dissolse. Il dolore lo aveva completamente prosciugato: non aveva più la forza, né la voglia di continuare a resistere, per cui si lasciò scivolare nel buio.
Sprofondò per un’eternità… finché la sua coscienza non si riscosse e, preso un lungo respiro, spalancò gli occhi.
L’aria era tiepida, e degli uccellini cinguettavano nelle vicinanze. Era in piedi in un giardino abbandonato, distrutto dall’incuria e invaso dalle erbacce.
C’era luce, e un profumo tenue di rose.
Era ancora nel Limbo?
Scorse Castiel, in piedi, a pochi metri da lui: i suoi vestiti erano stracciati e macchiati di sangue, il suo sguardo basso. Era diverso, eppure familiare. Dean si chiese se fosse reale.
Restare lì immobile non l’avrebbe portato da nessuna parte, per cui decise di tentare. “Cas!” lo chiamò, cercando di attirare la sua attenzione.
Ma Castiel non reagì. Dean si fece largo fra l’erba e le rose e, quando fu abbastanza vicino al compagno, si rese conto che lui stava tenendo gli occhi fissi su un cadavere a terra, il cui collo era girato in una maniera innaturale. Dean deglutì quando si rese conto che quel corpo era il suo.
“Giusto,” realizzò, impassibile. “Come ho potuto dimenticarlo? Io sono morto…”
Ma c’era qualcosa che non quadrava. L’ambiente, i vestiti, il suo corpo… era tutto sbagliato.
Il profumo delle rose si fece più intenso, e fu in quel momento che Dean ricordò: quello non era il suo mondo. Quello era il roseto in cui, anni fa, aveva parlato con Lucifero, che stava sfruttando il corpo di suo fratello per portare l’inferno sulla terra. [1]
Solo che, stavolta, non c’erano né Sam né il diavolo: c’erano solo il cadavere spezzato del sé stesso del 2014 e il Castiel che aveva gettato in pasto ai Croatoan; il Castiel drogato e distrutto che aveva obbedito all’ultimo ordine del suo leader senza battere ciglio; il Castiel che, a quanto pareva, sopravvissuto alla carneficina, era tornato indietro a cercarlo, e l’aveva trovato senza vita.
In quel momento, le parole che Lucifero aveva pronunciato nel roseto riecheggiarono nella sua mente:
“Qualsiasi scelta tu faccia… qualsiasi dettaglio tu alteri, finirai per ritrovarti sempre qui,” aveva detto.
E aveva avuto ragione. Cinque anni dopo, erano esattamente lì: Dean morto; Castiel completamente perso; Sam in pericolo.  Il male vince.
Perché Dean era lì? Avrebbe dovuto rinunciare, avrebbe davvero dovuto lasciarsi andare. Ma — no, non poteva farlo. Non adesso che aveva visto in faccia il suo avversario.
Avevano sconfitto Satana, maledizione! Non poteva lasciarsi fregare da uno stronzo sovrannaturale con l’ego grande quanto il Canada. Doveva pur esserci un modo per fermarlo…
Quasi come se potesse sentire i suoi pensieri, il Castiel del 2014 si mosse: si abbassò sul cadavere di Dean e prese dalle sue mani un oggetto dall’aria familiare.
“La colt?” gli chiese il Dean del presente, stupito. Forse… forse gli stava suggerendo che potevano sconfiggere il Re con la colt?
Il Castiel del 2014 fece roteare le pistola nella mano e la accarezzò, prima di sollevare gli occhi stanchi, che si incrociarono con quelli di Dean.
Quando lui si accorse che Castiel non lo stava realmente guardando, e capì cosa stava per fare, mormorò un “No!” e si lanciò verso di lui.
Ma lui si era già puntato la pistola alla tempia  e aveva premuto il grilletto.
Dean spalancò la bocca, scioccato, mentre il corpo del suo compagno ricadeva a terra accanto al suo. Fu solo in quel momento che si rese conto della presenza che, silenziosamente, era scivolata intorno a lui, immobilizzandolo.
“Era stato contagiato dal virus Croatoan,” disse una voce bassa e suadente, innaturale. “O forse no.”
Dean avvertì la rabbia ribollirgli nelle vene quando capì che si trattava del Re. Non riusciva a vederlo, ma lo sentiva mentre, viscido e scivoloso, gli si avvolgeva intorno al corpo come un serpente.
“Potresti smetterla di starmi così appiccicato?” ringhiò piano. “Sai, mi fai schifo.”
“Lo so,” gli sussurrò lui. Dean poteva sentirlo alitare sul suo collo. “ E’ lo stesso sentimento che provi nei tuoi confronti. Siamo così simili...”
Anche se il suo torso era bloccato, Dean poteva ancora muovere le braccia per cui, d’istinto, portò la mano sopra la sua spalla e la richiuse: quando si rese conto di aver afferrato qualcosa, tirò più forte che poteva, stringendo e stracciando.
Avvertì dei mugolii contrariati; la presa sul suo corpo si allentò, e lui ne approfittò per liberarsi e fuggire.
Superò il roseto, i corpi a terra, uscì dal giardino e continuò a correre per la città abbandonata e sempre più scura, cercando di lasciarsi alle spalle il Re.
Forse non era ancora finita – forse poteva ancora combattere.
Ma aveva percorso poche centinaia di metri che il buio calò definitivamente, e insieme a lui il silenzio.
Che diavolo era, Silent Hill?
Dean quasi sbatté la testa contro il  muro del vicolo in cui si era infilato. Ora nell’aria si sentivano solo i suoi respiri affannati; ma dopo poco, le sue orecchie percepirono uno scalpiccio.
Era un rumore leggero, ritmico, e proveniva dalla via principale. Dean si sporse leggermente dal vicolo, cercando di capire cosa lo stava provocando: con sua grande sorpresa, scorse un lungo corteo funebre che occupava la strada; avanzava lento e silenzioso. Le persone che lo componevano erano decine, ed erano tutte vestite di nero. Non riuscì a distinguerne i volti; o forse non volle.
Nella folla anonima, però, spiccava un giovane vestito di bianco: era alto, piazzato, e aveva un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Aveva la faccia e il corpo di Sam. Si muoveva davanti al corteo con passo leggero, ridendo e facendo svolazzare la giacca candida come se fosse impegnato in una danza.
“Dean? Oh, andiamo, Dean. Credevi davvero che fossi Ezekiel?” gridava Lucifero, piroettando. “Andiamo, non ci sarebbe cascato neanche un cherubino… Dai, vieni a salutare il tuo Sammy!  Deeeean~! ANDIAMO!”
Dean roteò gli occhi, ritornando nel vicolo. Si massaggiò le tempie, stanco: quello non era Sam. Era solo un’ennesima assurda allucinazione.
Ezekiel non era Satana.
“Ezekiel è Ezekiel”, si disse, confuso, “… no?”
Ma la voce di Lucifero, di colpo, prese a strillargli direttamente nella testa, la sua risata stridente gli lacerava ogni singola fibra del cervello.
Dean sbarrò gli occhi e si portò le mani alla testa, lanciando un grido di dolore.
Alla voce di Lucifero, ben preso, si aggiunsero i mormorii sommessi del corteo funebre. Mormorii che ben presto divennero lunghi sospiri e gemiti, poi pianti, ed infine si trasformarono nelle urla orribili di sua madre, di suo padre, di Jo, Hellen, Bobby e mille altre persone morte a causa sua, che gridavano ed imprecavano e continuavano a chiamarlo. Era insopportabile, era un incubo: Dean credette di impazzire.
Si appiattì contro il muro freddo e strinse le mani sulle orecchie, gli occhi spalancati e la mascella contratta. Cercò di ignorare quelle urla, di farle andar via e di zittire Lucifero, che continuava a ripetere il suo nome usando la voce di Sam, finché lo schiocco improvviso di uno schiaffo in piena faccia non lo riportò alla realtà.
Le voci cessarono; con il cuore che gli palpitava in gola e il respiro pesante, Dean abbassò le mani.
“Dean,” lo chiamò Sam. Era davanti a lui, vestito esattamente come l’ultima volta che l’aveva visto, quando erano a quella festa maledetta. Sembravano trascorsi anni da quel momento. “Io… Ti ho cercato dappertutto!” esclamò il giovane, inquieto, stringendogli le spalle con le sue mani calde e rassicuranti.
“Sammy…?” mormorò Dean, in tono quasi supplichevole. Il punto in cui Sam lo aveva colpito bruciava.
L’altro annuì, e, dopo aver fatto un passo indietro, gli tese la mano. “Forza, andiamo via da qui,” gli disse.
Ma Dean non gli credette. Scattò in avanti, e gli tirò un pugno allo stomaco: colto di sorpresa, Sam non ebbe il tempo di reagire e subì il colpo in pieno.
Sam si piegò in due, le sue mani andarono a stringere il punto colpito. “D-Dean, che cosa…”
Prima che potesse finire di parlare, Dean gli sferrò un altro pugno, stavolta sulla mascella; poi lo afferrò per la camicia e lo scagliò a terra: cominciò a prenderlo a calci mentre Sam, incapace di reagire,  lo supplicava di fermarsi. Quando Dean non riuscì più a sopportare quei piagnistei, lo costrinse sulla schiena e andò addosso, cominciando ad assestargli una serie di pugni in pieno viso, ancora e ancora, e continuò anche dopo che Sam ebbe perso i sensi, continuò con tutte le sue forze, fino a che non si accorse che qualcosa si era spaccato sotto le sue mani, adesso completamente zuppe di sangue.  
Se le guardò, tremando, e solo in quel momento, terrorizzato, si rese conto di cosa aveva fatto. Chi aveva ucciso? Lucifero? Ezekiel? Era un sogno? E se fosse stato davvero Sam?
Il tonfo sordo di un pugno sbattuto contro il vetro lo fece sobbalzare e svegliare: era seduto nella sua Impala, parcheggiata al buio da qualche parte.
Avvertì un secondo tonfo, poi un terzo, un quarto. Colpiva i finestrini, facendoli vibrare.
“Vattene,” pensò Dean, disperato. “Vattene, maledizione, vattene… Exorcizamus te,” cominciò a recitare velocemente, “omnis immundus spiritus, omnis satanica potestas…”
Il suono si fece più martellante ed insistente, finché i vetri non si frantumarono in mille pezzi e qualcosa penetrò dentro l’auto, afferrandogli la gola. “Omnis incursio infernalis… a-adversarii—” Dean cercò di lottare, scansandola, ma quella gli si avvinghiava addosso, immobilizzandolo e penetrando dentro di lui, togliendogli il fiato.
Non poteva crollare adesso, non poteva. Lanciò un’imprecazione e allungò il braccio verso il cruscotto, cercando frenetico di afferrare la pistola: con uno sforzo infinito riuscì a sfiorarla, ad afferrarne la canna; la trasse verso di sé ma quando riuscì ad impugnarla, era troppo tardi.
Lasciando perdere la pistola, aprì la portiera dell’impala e si stiracchiò pigramente i muscoli del collo. Respirò profondamente, poi chiuse gli occhi, espirando estasiato, e sorrise.
 
*

 
Dopo aver lasciato Sam, Ariel era ricomparsa nella stanza della ragazza che le fungeva da tramite.
Seduta compostamente sul suo letto, stava per portarsi una tazza di tè fumante alle labbra quando, d’un tratto, le sue mani iniziarono a tremare così forte che il liquido bollente rischiò più volte di rovesciarsi sui suoi vestiti.
Con molta fatica, riuscì a poggiare la tazza sul piattino e poi a sistemare entrambi su un mobiletto lì accanto.  
Con aria incerta, si osservò le mani, scosse da quelli che riconobbe essere brividi di paura.  “Oh,” disse infine, pacata. “Sam non ha fatto in tempo.”
 
*

 
Quando Dean poggiò il piede a terra, ogni cosa intorno a lui era cambiata. Ma, stavolta, non era più un’illusione.
Lentamente, si guardò intorno: si trovava in una stanzona umida e scura, senza finestre. Era una specie di segreta antica, dalle mura di pietra.  Una parete era completamente occupata da una libreria colma di testi grossi e polverosi; su un tavolo, al centro della stanza, erano sparsi una serie di oggetti, fra cui candele, lame arrugginite, strumenti dall’aria antica e fogli di pergamena.
Alle sue spalle, vi era una grossa di legno e ferro, mentre dalla parte opposta c’era un’arcata che dava su un corridoio buio.
Castiel giaceva a terra a pochi passi da lui, privo di sensi. Dean si chinò su di lui: lo sfiorò appena, ma ciò bastò a fargli riprendere i sensi.
L’ex-angelo spalancò la bocca in cerca d’aria e scattò a sedere, tossendo: aveva i vestiti macchiati dal sangue del cacciatore e il suo nome sulle labbra, che schiuse in un’espressione sconvolta.
“Dean,” mormorò, con voce roca. “Dove…?”
“Siamo tornati a casa, Cas,” gli disse lui. “Niente più Limbo,” concluse, con una punta di soddisfazione.
Castiel si rabbuiò. I suoi muscoli si irrigidirono, il pugno si strinse in un gesto istintivo. Distolse lo sguardo da lui, facendolo vagare per la stanza.
“Io…l’ho visto, Cas,” disse Dean. “Ho capito cosa è quell’essere, quel Re. E’ una specie di dio.”
“Dici?” replicò l’ex-angelo, atono.
“Non so se è corretto definirlo così… è come se fosse la personificazione del tormento di coloro a cui è negato l’accesso al Purgatorio, al Paradiso e persino all’Inferno. In questo mondo… se avesse un nome, si farebbe chiamare Shahat,” spiegò. [2]
Castiel smise di esaminare la stanza e, finalmente, si concentrò su Dean. Inclinò la testa di lato, ma stavolta non in un gesto confuso, come aveva sempre fatto: stavolta, i suoi occhi valutavano, calcolavano, ed erano freddi e scuri come un mare in tempesta.
“Ho capito,” annuì infine, rialzandosi con lentezza. “Piacere di conoscerti, allora, Shahat.”
Dean sorrise e sbatté le palpebre, mostrandogli delle iridi color sangue. “Ciao, Cas,” disse, accarezzando con la voce il suo nome in un modo che a Castiel fece venire i brividi. “Quindi, questo è il mondo che ha creato vostro Padre. Un po’ freddino.”
“Non ho mai sentito parlare di te…”
“Ovvio. Nessuno si preoccupa dello scarico in cui finiscono gli scarti. Ma io ero lì, da sempre, prigioniero del mio stesso regno. E ora che ne sono uscito, trovo tutto ciò…inebriante.”
Shahat sospirò come in estasi, e Castiel non poté fare a meno di notare con dolore che quel suo atteggiamento, quell’espressione così crudele e lasciva, non aveva niente a che fare con Dean. Aveva il suo corpo, ma era un ammasso di corruzione, un essere ancora più marcio e fetido dei demoni che aveva sempre combattuto.
Mentre il Re continuava a parlare, l’ex-angelo studiò con finta noncuranza gli oggetti sparsi sul tavolo della segreta.
“Hai intenzione di distruggere questo mondo?” gli chiese, quando si accorse che aveva smesso di parlare.
“Le memorie di Dean dicono che questo è un mondo senza Dio. Potrei diventarne io uno. Mi basterebbe nutrirmi a sufficienza…” rimuginò Shahat. “Oh, Cas, io non taglierei la gola di Dean con uno di quegli arnesi, se fossi in te. Sarebbe inutile, e poi lui potrebbe dispiacersi.”
Castiel gli lanciò un’occhiata in tralice. “Dean è morto,” replicò in un sussurro spezzato.
“Ma certo,” sorrise piano Shahat. “Oppure no. No, in verità, no. Forse c’è ancora qualche frammento della sua coscienza dentro di me. Forse mi sto divertendo con lui in questo momento.”
Qualcosa nel petto di Castiel sobbalzò; lui lo represse, perché aveva avuto a che fare con i demoni per secoli e, in fondo, quello Shahat era esattamente come loro, seppur in modo amplificato.
“D’altronde, se ci uccidi, Dean andrà all’inferno e Abbaddon lo torturerà per l’eternità,” continuò il Re. “E se finisse in Paradiso, le anime degli angeli che ha ammazzato lo faranno a pezzi. Quindi dimmi, Castiel: vuoi davvero uccidere il mio tramite?”
Castiel non diede segno di reazione, e Shahat non si sorprese. Nel Limbo, aveva letto nella mente dell’ex-angelo, e sapeva che le parole o le visioni che avrebbe potuto causargli non lo avrebbero mai fatto cadere a pezzi perché, angelo o meno, con o senz’anima, lui era un soldato.
Un soldato molto pericoloso, che anche in quel preciso momento stava pensando ad un modo per scacciarlo e salvare Dean, il povero Dean, la sua nauseante ossessione, Dean, Dean, Dean.
Andava fermato subito, visto che il prezzo che Shahat aveva pagato per avere l’accesso al mondo terreno era il non essere più indistruttibile.
Ma, in fondo, Castiel non meritava di essere sventrato come un animale così su due piedi: c’era qualcos’altro che poteva fare per divertirsi con lui un’ultima volta.
Shahat allungò un braccio davanti a sé, manifestando fra le dita callose di Dean quello che Castiel riconobbe essere il suo pugnale angelico: glielo lanciò ai piedi, e curvò le labbra in un ghigno.
“Fallo,” gli disse. “Uccidimi. Che senso ha, in fondo, causare disperazione in miliardi di vermi insignificanti quando posso godere della tua? E’ meravigliosa, sotto ogni aspetto: è fatta di rancore, perdita, sensi di colpa e solitudine. E sono sicuro che, nell’istante in cui affonderai di tua spontanea volontà quel pugnale in questa carne, esploderà, e sarà come—”
“BASTA!”
“…oh?”
Castiel aveva abbassato gli occhi sul pugnale, ma non l’aveva raccolto. Aveva urlato, ma il suo corpo non aveva fatto una piega, di nuovo. Solo una cosa era cambiata in lui, un minuscolo dettaglio: era una singola lacrima. Shahat la vide sfuggire dai suoi occhi umidi e rotolare giù per la guancia: non era proprio ciò che si era aspettato, ma forse poteva accontentarsi.
“Non sono disperato,” mormorò l’ex-angelo. Prese un grosso respiro e deglutì, cercando di ricacciare dentro di lui qualcosa che non conosceva, che gli stava spezzando la voce. Sollevò la testa. “Dean, mi spiace, ma non posso fare ciò che mi hai chiesto. Ho deciso che cercherò un modo per riportarti indietro. Se sei ancora vivo, io ti troverò e ti riporterò da tuo fratello Sam. Non importa cosa sei diventato, tu non meriti di finire così.”
“Non penso, visto che non uscirai vivo da qui,” osservò il Re con fastidio, distogliendo lo sguardo. “Ho deciso: ti farò fare la fine che hai fatto fare a Raffaele.”
Sotto lo sguardo sconvolto di Castiel, Shahat sollevò una mano e poggiò il pollice sul medio, pronto a schioccare le dita.
Fu in quel preciso momento che Sam si mise in mezzo.
“DEAN!” gridò, spalancando la porta della segreta. “Cas!”
“Dean è qui,” sogghignò Shahat, le orbite sanguigne, sollevando la testa e ruotando leggermente il collo nella sua direzione, “ma non può venire a giocare adesso.”
Sam trasalì, ma non disse neanche una parola. Non esitò neanche un attimo: puntò verso di lui la pistola e sparò.
Sam aveva mirato alla spalla destra di Dean; ma, per quanto la sua mira fosse stata perfetta, il colpo non andò a segno: era come se il proiettile fosse rimbalzato via ancor prima di toccare il corpo di Dean. Shahat, per nulla sorpreso, si scostò un po’ di polvere dalla spalla, quindi prese a muoversi verso di Sam.
Il giovane, senza battere ciglio, continuò a sparare ripetutamente contro di lui, svuotandogli  addosso l’intero caricatore, indietreggiando fino a che la sua schiena non sfiorò il muro umido.
Quando i colpi terminarono, Sam fece scattare ancora un paio di volte il grilletto.
“Sam!” urlò Castiel, impotente, dall’altra parte della stanza.
“Come se fosse Sam Winchester il problema, vero, Zeke?” disse Shahat sorridendo. Ormai era di fronte a lui.
“Zeke..?” ripeté Sam, senza capire.
Shahat gli prese il mento fra le dita, e poi iniziò a fare una cosa che Sam non comprese: cominciò a recitare un esorcismo.
Omnipotentis invoco potestatem Dei,” ripeté per tre volte, e poi proseguì “ab orbe terrae, hunc angelum ob-“ [3]
Shahat si interruppe di colpo quando Sam, dopo aver fatto scivolare la mano nella sua tasca, ne aveva estratto una manciata di sale e glielo aveva gettato in faccia.
Non ebbe alcun effetto su di lui, ma il gesto improvviso di Sam lo fece tirare indietro di un passo.
“Sei uno scimmione seccante,” mormorò Shahat, pulendosi la bocca dal sale col dorso della mano, gli occhi iniettati di sangue. “Hai finito?”
“Veramente,” rispose Sam, infilando la mano dietro la schiena, “…no.”
Fu un secondo: Sam estrasse la colt, la puntò al petto del corpo di Dean, all’altezza del cuore, e premette il grilletto.

 

 

 

*

 

[1] Episodio 5x04.
[2] (be’er) shaat sta per "fossa della distruzione". Per chi volesse approfondire l'argomento, quest'informazione l'ho presa da qui:

Approfondimento

[3] Omnipotentis Invoco Potestatem Dei Ab orbe terrae, hunc angelum obsequentem, Domine expue – è un esorcismo per scacciare un angelo.

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Capitolo 13
*** I do what I have to do ***


Note:
Non pensavo che ce l'avrei fatta davvero, ma... Prologo time!
Vorrei dire che sto piangendo perché arrivare alla scena del prologo mi ha commossa, ma in realtà sto piangendo per Castiel.
No, scherzo, in realtà sto piangendo perché l’altro giorno ho iniziato a scrivere l’epilogo della fanfic.
E, a parte il fatto che me lo sono spoilerata, ci sono rimasta malissimo…



 

* * *


Fu quando Bobby aveva detto che, forse, Dio aveva tirato fuori Dean dall’Inferno perché non meritava di marcire lì.
Se esiste un Dio, perché gli dovrebbe fregare qualcosa di uno come me?” aveva risposto lui, incredulo e irritato. [1]
“Sono fatto per il 90% da cazzate,” lo sentì dire Sam un’altra volta; scherzava, ma i suoi occhi erano tristi. “Se togli quelle, che cosa rimane di me?”
“C’è sempre qualcosa che mi tormenta, okay? E’ così che sono fatto. Se succede qualcosa, io mi sento responsabile…”
“Sono sceso dalla ruota, e ho iniziato a squartare delle anime…”
“….le cose che ho visto, e che ho fatto… non posso descriverle. E non le posso dimenticare.”
“Tu pensi davvero che un po’ di comprensione e affetto possano cambiare qualcosa, Sam? Guarirmi?”
“Io ho un peso dentro di me, che mi sta distruggendo… Io vorrei tanto non sentire più nulla.”

Sam conosceva suo fratello meglio di chiunque altro. Conosceva la sua anima, e tutta la rabbia e l’odio verso sé stesso che lui nascondeva al suo interno. Non c’era bisogno che Dean gliene parlasse e, comunque sia, in genere Dean non parlava di queste cose.
Preferiva seppellirle dentro si sè, sperando che scomparissero; ma sapevano entrambi che non sarebbe mai accaduto.
Sam non aveva intenzione di uccidere Dean. Era sceso in quel sotterraneo, con la Colt che gli aveva dato Ariel, per entrare nel Limbo e sparare al Re che aveva visto nei suoi ricordi.
Quando aveva capito che quel mostro si era infilato nel corpo di suo fratello, Sam aveva impiegato tutte le sue energie per trovare un modo di salvarlo.
Aveva iniziato a consumare le pallottole della sua pistola, nel tentativo di prendere tempo per pensare.
Forse, aveva ragionato, la possessione del Re del Limbo era come una possessione demoniaca, e Dean era ancora vivo ed era possibile riportarlo indietro con un esorcismo o un rituale.
Ma l’ultima volta che si erano ritrovati in una situazione del genere era stata quando Cas venne posseduto dai Leviatani.
Quegli esseri lo istigarono a massacrare decine  e decine di persone, prima che lui riuscisse a scacciarli; ed anche quando uscirono dal suo corpo, continuarono a seminare morte e terrore per mesi.
Sam sapeva che se una cosa del genere fosse successa a Dean, lui non se lo sarebbe mai perdonato. I sensi di colpa lo avrebbero tormentato per sempre, rendendo la sua vita una lunga agonia.
Per questo motivo, per la salvezza dell’anima di suo fratello, Sam decise che il Re del Limbo doveva essere fermatoe adesso.
Sam non aveva intenzione di uccidere Dean. Ma la Colt funzionava solo se il colpo sparato causava una ferita mortale.
Per cui, quando la impugnò, Sam mirò al cuore. E anche quando, un giorno, Sam seppe di aver avuto un angelo dentro di lui, non riuscì a capire se in quel frangente era stato lui a premere il grilletto oppure no.

Quando Sam estrasse la Colt, Shahat fu colto di sorpresa. Sapeva della pistola, perché i ricordi di Dean erano i suoi, ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsela davanti in quel momento. Era veloce, certo, ma era troppo vicino a Sam quando lui aveva premuto il grilletto, per cui non ebbe il tempo di scansarsi, o trasportarsi via usando i suoi poteri.
La pallottola gli si conficcò nel petto, penetrando in profondità, e il corpo di Dean reagì come se fosse stato sottoposto ad un elettroshock.
Durò un istante, un interminabile istante – e subito dopo, Dean si accasciò a terra, mentre una macchia di sangue rosso vivo cominciò ad allargarsi sulla maglietta.
Sam abbassò la Colt, ansimando. Fissò il corpo sul pavimento, come in un sogno, e si riscosse dallo shock solo quando si rese conto che lo aveva fatto davvero, che Dean era davvero lì, e che stava agonizzando.
Lo vide schiudere le labbra, lo sentì singhiozzare e soffocare. I suoi occhi erano tornati normali, ma erano vitrei e spaventati. Sam si precipitò al suo fianco; la sua disperazione nel vederlo ridotto in quello stato era tale che quasi non si accorse della presenza di Castiel, che, in piedi a pochi passi lui, era pallido come un cadavere.
“S-Sam…my…” balbettò Dean, quando il fratello gli fu accanto, stendendo una mano verso di lui.
“Dean, sono qui,” gli disse rapidamente lui. “Sono io. Sono qui, è tutto finito. Conosco un angelo che può guarirti, non ti preoccupare. Cerca di resistere. Starai bene. Andrà tutto…”
“No, Sammy, io…” sussurrò Dean, piano. Poi non riuscì più a trattenersi e sogghignò, reprimendo a malapena una risatina. “…oh, io credo di essere una delle famose cinque cose che quella pistola non può uccidere.”
La mano di Dean si strinse sulla gola di Sam, affondando le dita nella pelle morbida del suo collo. Shahat scoppiò in una grossa risata, mentre i suoi occhi tornavano a iniettarsi di sangue.
“Ariel…maledizione,” fu l’unica cosa che riuscì a pensare Sam, mentre il suo respiro veniva spezzato. Portò le mani su quella del fratello, cercando di liberarsi dalla sua stretta, forte come l’acciaio.
“Avresti dovuto vedere la tua espressione, Sammy, era impagabile,” rise intanto Shahat. “Era davvero stupenda.” Si rialzò, e solo a quel punto decise di spostare la mano dal collo al petto di Sam; aprì il palmo, e una forza sovrumana scagliò il cacciatore all’indietro.
Sam a finì contro quella che un tempo era la porta del Limbo: l’impatto fu così forte che il legno consunto si spaccò, e Sam ricadde nel corridoio dall’altra parte.
A quel punto, il Re cercò con lo sguardo Castiel che, quando lo aveva visto alzarsi, era corso a recuperare la sua arma. Senza troppi complimenti si avventò su di lui, rompendo la sua difesa. Castiel cercò di reagire, ma il Re gli agguantò il polso destro, storcendoglielo fino a strappargli un gemito di dolore; lo finì con un calcio al ventre che lo scaraventò sul tavolo degli attrezzi della segreta. Alcune ampolle si spaccarono sotto la sua schiena e i vetri lo ferirono ulteriormente alle mani e alla testa, mentre gli strumenti arrugginiti che vi erano sopra resero l’impatto ancora più doloroso.
“Ehi, non so se sei morto o meno,” gli disse Shahat da lontano, vedendo che non si muoveva più, “ma in ogni caso non resta fermo lì. Torno subito.”
Nel voltargli le spalle, si accorse che il pugnale di Castiel era caduto proprio lì accanto: lo spezzò in due sotto i piedi senza alcuna fatica, e poi si diresse da Sam.
Lo ritrovò nel corridoio illuminato, ancora a terra fra i pezzi di legno spaccato: era ferito in più punti, e lottava per restare cosciente. Gli sembrò strano: era sicuro di non averlo colpito così forte. Ma lasciò correre, perché probabilmente non riusciva ancora a dosare  bene la sua forza nel corpo del suo tramite. 
Prima che Sam potesse avvertire la sua presenza, Shahat era già sopra di lui. Posizionò le gambe ai lati dei suoi fianchi, quasi stendendoglisi addosso, e gli mise rudemente una mano sulla faccia. “Potestas Inferna, me confirma![2]” gridò.
Ripeté questa frase una seconda volta, ed infine una terza.
Non accadde nulla. Non accadde assolutamente nulla e anzi, quando Shahat scoprì il volto di Sam, contorto in una smorfia sofferente, si accorse che il giovane era svenuto.
Ritrasse la mano con lentezza, stupito. Impiegò alcuni secondi per rendersi conto della situazione.
“Ezekiel non è più nel tuo corpo,” mormorò. “Ma allora dove…?”
Shahat si allontanò da Sam, e in quello stesso momento un fulmine di luce, precipitato dall’alto, lo colpì al petto, laddove era stato ferito dalla Colt. Usando il foro del proiettile come punto d’accesso, la luce penetrò per intero nel suo corpo e lo pervase.
Scorse nelle vene di Dean, raggiungendo ogni singolo capillare, e risalì lungo il collo, la bocca e gli occhi, mentre Shahat storceva il suo viso in un’espressione terrificata.
Ci fu un lampo, uno scoppio di luce bianca e purissima; quando si dissolse, Dean cadde ginocchioni a terra, reggendosi la gola con una mano e il petto con l’altra, e respirando l'aria a pieni polmoni come se fosse appena riemerso dalle profondità dell’oceano.
Una nebbiolina bianca uscì dalla sua bocca e rifluì silenziosa dentro quella di Sam.
Le lampade al neon appese al soffitto tremarono per qualche secondo.
Dean continuò a respirare.
Era senza parole.
Era tornato. Non sapeva come, ma era tornato.
Anche quando il battito del cuore si regolarizzò, Dean restò immobile, inspirando ed espirando lentamente, a bocca aperta.
Non riusciva a credere che fosse tutto finito, e che lui fosse illeso. E calmo, così calmo.
“Come faccio ad essere qui?” si chiese.
Lasciò ricadere le mani lungo i fianchi. Prese un ultimo, ampio respiro, e poi decise di concentrarsi sulla situazione.
Notò che Sam si era ripreso. Si era rimesso in piedi e si era posizionato di fronte a lui, silenzioso. Dal suo comportamento, Dean comprese che in quel momento era Ezekiel a scrutarlo dall’alto.
Le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso, senza che lui potesse impedirlo. “Che c’è, Zeke?” gli chiese. “Vuoi forse un bacio di ringraziamento?”
Dean era felice, ma quella sensazione era qualcosa che non gli apparteneva davvero. Una parte di lui stava gridando, ma lui la ignorò e quella scomparve, inghiottita dalla luce che risplendeva dentro di lui.
“Cosa diavolo mi succede?” 
“Non starai bene,” dichiarò Ezekiel, serio. “Ho guarito la ferita della Colt, ma sei stato corrotto troppo in profondità da quell'essere, e io non sono abbastanza forte per sistemarti. Quando l’effetto del passaggio della mia Grazia sarà svanito, dovrai cercare di sopravvivere da solo.”
Dean inarcò le sopracciglia. Impiegò del tempo prima di comprendere il significato delle parole pronunciate dall'angelo.
Quindi, la sensazione di pace forzata che stava provando era dovuta ad Ezekiel.
Non riusciva a combatterla.
“Morfina angelica,” la ribattezzò, con una punta di amarezza. “Non è poi così male...”
Si passò una mano fra i capelli, sospirando. “Potevi farlo prima,” disse, “questo giochetto.”
“Il mio intervento non era previsto,” spiegò Ezekiel. “Eravamo sicuri che la Colt avrebbe funzionato.”  
“Quindi… è davvero andato?” chiese Dean. “Quel bastardo è morto?”
“No.” Ezekiel strinse le labbra. “Ho solo esorcizzato la sua essenza. Era tutto ciò che potevo fare. Non avendo più un tramite, suppongo sia ritornato nel suo mondo. Ma, Dean, una parte di lui si era fusa con la tua anima, e non mi è stato possibile eliminarla.”
“Troveremo il modo di buttare fuori a calci anche quella,” replicò Dean con noncuranza. “Sam come sta?”
“Sono stato costretto ad allontanarmi dal suo corpo per cogliere quell’abominio di sorpresa, ma starà bene. Anche se… tutto questo mi ha indebolito molto. Non credo di poter  fare di nuovo qualcosa del genere.”
Dean aggrottò la fronte. “Allora và a dormire... o a fare quel che fate voi al posto di dormire. Al resto ci pensiamo noi.”  
Decise di essersi ripreso a sufficienza per riuscire a rimettersi  in piedi senza che le gambe gli cedessero. Ma, non appena lo fece, una voce profonda alle sue spalle lo fece trasalire.
“Tu non sei Sam,” aveva detto. Era la voce di Castiel. Dean si girò e lo vide, appoggiato ai resti della porta: i suoi vestiti erano ridotti male, e c’era del sangue sul suo viso e sulle sue mani; con una di esse,  si stringeva un fianco. La sua espressione era accigliata e confusa, ma quando incrociò gli occhi di Dean, il suo atteggiamento cambiò.
Il cacciatore se ne accorse, chiunque se ne sarebbe accorto. Era come se Castiel lo stesse guardando per la prima volta, come se Dean fosse una sorta di miracolo. I suoi occhi blu rilucevano di sollievo e adorazione, e Dean non riuscì a distogliere lo sguardo; erano così intensi che il cacciatore si dimenticò della presenza di Ezekiel, del suo stato di salute, e del resto dell’universo. Restò lì in piedi, in attesa di qualcosa, ma non sapeva bene neanche lui cosa.
Castiel schiuse le labbra screpolate e per un secondo sembrò non trovare le parole. Alla fine, fece un cenno composto con la testa e disse, semplicemente:  “Ciao, Dean.”
Gli sorrise, e fu in quel momento che Dean capì che era questo ciò che stava aspettando; fu in quel momento che, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì come se ogni cosa fosse tornata al suo posto; come se finalmente fosse tornato a casa.
Castiel si staccò dalla porta e lo raggiunse, zoppicando leggermente. Quando gli fu a pochi centimetri, mise su un cipiglio severo, e Dean lo guardò, confuso.
“Non farlo mai più,” lo ammonì l’ex-angelo con voce grave, in una sorta di goffa imitazione di quanto lui stesso gli aveva detto, tempo addietro.
Dean quasi scoppiò a ridere. Voleva abbracciarlo, attirarlo a sé, ma non sapeva fino a che punto lui era ferito; si concesse di far scorrere una mano lungo la sua spalla, soffermandosi poi a stringergli piano il braccio.
“Potrei promettertelo,” osservò con un lieve sorriso. Forse era l’effetto della Grazia; non lo sapeva. Sapeva solo che non gli importava se Castiel era sporco, o se sanguinava, o aveva i vestiti stracciati – era vivo, erano vivi; sarebbe andato tutto bene. Sarebbero stati bene, insieme, perché Dean non si sarebbe più separato da lui.
Continuarono a guardarsi, in silenzio, finché Ezekiel, spazientito, non mormorò un ben udibile “Voi,” richiamandoli alla realtà.
Castiel tornò a puntare la sua attenzione su di lui, e di nuovo la sua fronte si corrugò.
“E’ tutto a posto, Cas,” si affrettò a rassicurarlo Dean. “Lui è Zek- voglio dire, Ezekiel…  Ha rispedito il bastardo nella fogna. Sta aiutando Sam a guarire dalle Prove.”
“Lo so. Vi ho sentiti,” ammise Castiel. Scosse la testa: “Avresti dovuto dirmelo subito,” osservò.
Dean non gli rispose, ma concordava con lui.
“Ezekiel,”ripeté  l'ex-angelo, andando verso di lui. “Credo di doverti ringraziare per aver salvato Dean. E Sam,” gli disse, con voce calma e piena di gratitudine, quando gli fu davanti.
Ezekiel fece scattare la mano destra sulla fronte di Castiel, così velocemente che quando lui comprese le sue intenzioni, era già troppo tardi.
La Grazia dell’angelo iniziò a inondare il suo palmo e Castiel sentì la fronte andare a fuoco e il calore bruciante pervadere il suo corpo, ma Dean lo spinse indietro e si mise davanti a lui, praticamente prendendo il suo posto.
Ezekiel fu costretto a fermarsi.
“Ohi, ohi, calma, calma, Zeke!”esclamò il cacciatore, inorridito. “Questo… questo è Castiel, ti ricordi? Tuo fratello, quello che ha garantito per te. E’ dei nostri. Non fa niente se ti ha scoperto, va bene?” Tremava leggermente. Era scattato per puro istinto, ma se avesse esitato un solo secondo… un brivido freddo gli risalì lungo la schiena. “Ora... vai pure a riposare, come abbiamo deciso, e lascia il corpo a Sam, d’accordo?” Le parole di Dean era informali, ma il suo tono era di comando.
Ezekiel non lo degnò neanche di uno sguardo: afferrò la sua spalla e lo buttò di lato, con tale forza da fargli perdere l’equilibrio.
Dean rovinò a terra. L’angelo puntò una mano nella sua direzione, e lui si sentì come se qualcuno gli avesse annodato una corda al collo. Annaspò, rovesciando la testa, cercando di respirare.
“Dean!” esclamò Castiel.
 “Lo sto facendo per il suo bene,” gli spiegò Ezekiel.
“Cosa vuol dire?”
“Sei ricercato,” rispose l’angelo. Sollevò appena il mento. “Molti dei nostri fratelli stanno venendo per te. Una di loro è già qui: è molto potente, e non avrà pace finché tu continuerai a respirare. Non ti lascerà andare – non ci lascerà andare, Castiel.”
Fece una pausa, riempiendola con un sospiro pesante. Dean era ancora inchiodato a terra, fra i trucioli di legno, ma Castiel si accorse che, lentamente, stava stendendo il braccio, allungandosi verso qualcosa a poca distanza da lui. Fece finta di nulla.
“Quell’angelo mi ha chiesto di ucciderti, come pagamento per aver aiutato Sam,” continuò Ezekiel, avanzando verso Castiel, mentre lui indietreggiava.  “Ma io non ho intenzione di farlo per lei. Ho intenzione di farlo per te. Mi capisci, vero? Castiel... un tempo, tu eri una leggenda. L’eco della tua Grazia faceva risplendere l’intero Paradiso. Ed ora guardati, guarda cosa sei diventato. Così… fragile. Umano. E corrotto, corrotto quasi quanto Dean. Se mi lasciassi agire… potrei salvarti da tutto questo. Potrei salvare tutti noi.” 
Castiel urtò la schiena contro la parete. La sua mano esitò sull’intonaco chiaro. In altre circostanze, avrebbe approfittato del monologo di Ezekiel per tracciare con il suo sangue un sigillo per scacciarlo… ma se l’avesse fatto, avrebbe indebolito ancora di piu’ l'angelo già provato, mettendo a rischio la vita di Sam. Strinse il pugno, scartando quell'idea. “Tu menti,” replicò. “Ezekiel... tu sei solo spaventato. Hai paura, perché se ti schierassi dalla mia parte, finiresti per dover combattere contro i nostri fratelli.”
L'angelo socchiuse gli occhi vacui. “Sono debole, Castiel,” mormorò, a mò di scusa. “E ferito. Non sopravviverei ad uno scontro, e così il mio tramite. Sto solo facendo ciò che devo fare per proteggere me stesso e queste persone. Tu rappresenti un pericolo per la loro sicurezza, ne sono sempre stato consapevole. E’ per questo motivo che non avresti più dovuto avvicinarti a loro,” disse.
E Castiel non poté dargli torto.
“E-Ehi… Zeke!” Il grido soffocato di Dean, dall’altra parte della stanza, attirò l’attenzione di entrambi. “Dici a Sam...che mi spiace,” ansimò, sorridendo, il cacciatore. Aveva la Colt fra le mani, e la stava puntando contro Ezekiel.
“No!” esclamò lui, ma Dean aveva già sparato.
Il proiettile consacrato ferì il polpaccio dell’angelo, bruciandogli i muscoli e costringendolo sulle ginocchia.
La forza sul collo di Dean svanì. “Per te invece non mi spiace, Zeke,” continuò il giovane, alzandosi rapido, strofinandosi la gola. “Tu sei un cazzone, esattamente come tutti gli altri.”
L'angelo portò il palmo della mano sulla ferita, iniziando a guarirla. Dean sapeva di aver guadagnato solo pochi minuti, per cui raggiunse uno sconvolto Castiel, e senza dire una parola gli afferrò un polso e lo trascinò via da lì.
Ezekiel era proprio davanti alle scale che risalivano al piano terra, per cui Dean ripiegò verso la segreta e prese il corridoio interno che aveva visto con Shahat poco prima. Non sapeva dove li avrebbe condotti, ma era la loro unica speranza.
Strinse la presa su Castiel. Avrebbe risolto tutto. Avrebbe risolto tutto, ne era sicuro.
Il corridoio non era molto lungo. Girava per un angolo, e terminava su un portoncino metallico, non molto ampio. Robusto. Chiuso.
Dean lasciò Castiel ed iniziò ad esaminarsi le tasche. Ne estrasse un coltellino dalla punta sottile e cominciò a lavorare sulla serratura.
“Dean,” lo chiamò l'ex-angelo, piano.
Il cacciatore si interruppe, ricordandosi in quel momento di avere con sé anche un’altra cosa – una minuscola fiaschetta di olio benedetto che si era portato nella giacca per usarlo in caso di emergenza.  Il loro non era un caso di emergenza… era un caso disperato, ma sarebbe andata bene lo stesso.
 La lanciò a Castiel, che la prese al volo, e poi tornò sulla serratura.
“Cas, è quel vostro olio, usalo per—”
“Dean…”
“STA’ ZITTO, CAS, HO APPENA SPARATO A MIO FRATELLO PER TE!” urlò lui. Le sue mani tremarono per un attimo. Prese un lungo respiro per calmarsi, e tornò al suo lavoro. “Quindi stà zitto,” sibilò.
“Non dovevi farlo,” insistette Castiel, stringendo le dita sulla fiaschetta. “E’ nel corpo di Sam. Persino io capisco che è gravemente ferito…. Sono feriti entrambi. Hai detto che è nel corpo di Sam perché lo sta guarendo.”
“Sì, doveva fare solo questo, rimetterlo in sesto. Non fare di testa sua, come fate sempre voi tutti maledetti idioti!”
Il coltellino di Dean fece scattare un meccanismo nella serratura del portoncino. Dean si allontanò di un passo, gli diede un calcio, e quello si aprì.
La porta dava sul garage. L’odore di chiuso e di benzina si appiccicò addosso a Dean, che esaminò il posto: era troppo grande per appartenere ad una sola abitazione, ma non era quello il punto. C’erano due auto, e persino una motocicletta; le chiavi erano appese su una mensola a pochi metri da loro, e ciò significava che Castiel era salvo.
“Ora và,” gli disse senza guardarlo, “faccio ragionare io quel coglione di tuo fratello.”
Gli prese di mano la fiaschetta e raggiunse l’angolo del corridoio di pietra. L’olio santo che aveva a disposizione non era sufficiente a creare un cerchio, perché era stato pensato per friggere qualche angelo al volo, per cui Dean svitò il tappo e lo versò a terra, creando una linea dritta all’ingresso del corridoio, in modo da bloccare il passaggio.
Contava sul fatto che Ezekiel sarebbe stato troppo debole per superarlo. Accese il suo zippo, lo lanciò a terra e diede fuoco all’olio.
“Ti ho detto di andartene,” sibilò poi a Castiel, che era rimasto fermo dietro di lui.
“Non voglio,” fu la risposta, e Dean impallidì. “Non posso.”
“Che significa?”
Dean sentiva un peso all'altezza del petto.
“Ezekiel ha ragione,” ammise Castiel.“Se fuggo, i miei fratelli vi tortureranno per farvi rivelare la mia posizione. O vi useranno come esca.”
“Prima devono prenderci,” osservò Dean.
“Non è solo questo. E se si ripresentasse una situazione del genere?”
“Cas, non abbiamo il tempo di—”
“Dean, io non posso rischiare di mettervi in pericolo di nuovo! Non lo vedi cosa ti ho fatto?”
“Io sto benissimo, Cas!”
Castiel non replicò. Distolse lo sguardo, e lo abbassò sul pavimento sconnesso. Lo riportò su Dean solo perché lui gli afferrò i lati della giacca, costringendolo a guardarlo in faccia, ma anche allora la sua risposta non cambiò.
“Ridotto in questo stato, io sono solo un pericolo per voi,” disse, ostinato.
“Non me ne frega un cazzo di cosa sei, io non ti lascio morire,” ringhiò Dean, la voce spaventosamente bassa.
“Ascoltami, Dean. Io voglio vivere, ma da un punto di vista razionale—”
Le parole di Castiel gli morirono in gola quando Dean lo baciò. Fu un contatto così improvviso che, all’inizio, Castiel non capì cosa stesse succedendo. Sentì solo il calore di Dean, le sue labbra morbide. Durò il tempo di un respiro, poi Dean tirò indietro.
“Cas non c’è… non c’è proprio nulla di razionale in questo, d’accordo?”mormorò. Lasciò andare la sua giacca, e si morse le labbra. “Ora per favore,” scandì, portando le mani sulle sue spalle, dandogli una spinta verso l'uscita. “Ti prego, me la vedo io con Ezekiel.”
Se Dean aveva cercato di convincere Castiel a scappare, aveva scelto il peggior metodo possibile.
Castiel non voleva di lasciare Dean solo in mezzo alla battaglia; e dopo questo, era certo che non l’avrebbe fatto.
Ma la voce di Dean era troppo spezzata perché lui potesse protestare. Per cui si sottrasse alle sue mani, e fece per seguire il suo ordine.
Ma era troppo tardi, perché Ezekiel aveva già raggiunto la linea di fuoco sacro.
“Stando ai pensieri di Sam, hai finto per anni che l'attrazione che provi per Castiel fosse un surrogato dell’affetto che provi per i tuoi familiari,” proferì l’angelo, atono. “E questo perché sapevi bene che si trattava di un impulso diverso, sbagliato che, se posso darti la mia opinione, aumenterà solo il tuo degrado fisico e spirituale.”
“Certo, tutto quello che vuoi Freud, ma per ora stai tranquillo lì,” sbottò Dean, il viso leggermente arrossato.
Ezekiel sospirò, sfinito. Sollevò una mano davanti a sé e lentamente la abbassò, spegnendo le fiamme.
“Beh,” osservò il cacciatore,  preso in contropiede,“io ci ho provato.”
“Per favore, Dean. Non costringermi a farti del male.”
“Mi dispiace, Zeke, ma dovrai farlo, perché io non ho intenzione di—”
Ezekiel agitò una mano, e Dean si ritrovò di nuovo a terra. Urtò la fronte contro le pietre a terra, graffiandosi. Si rimise in piedi, recuperando dall'interno della giacca l'unica arma che gli era rimasta, il coltello antidemone. Ma non aveva il coraggio di colpire, di nuovo, Sam, e il sangue che gli scendeva dalla fronte gli appannava la vista.
Ezekiel lo spinse contro il muro di pietra viva con un altro gesto, e Dean imprecò.
L’angelorimase a fissarlo, meditando sul da farsi, quando si sentì chiamare da Castiel.
“Fratello, smettila,” gli disse. “Lui non c’entra. E’ me che vuoi.”
Ezekiel strinse gli occhi. “E’ un altro trucco?” chiese.
“No,” disse Castiel. “No, non lo è.” Indietreggiò di qualche passo, e si lasciò cadere a terra in ginocchio. “Sono qui. Non fuggirò.”



*
*
*
*
*
*

[1] Questa e quelle che seguono sono citazioni da vari episodi. (Mi dimentico sempre di scriverlo, ma anche nei capitoli precedenti ho citato un sacco di frasi dalla serie tv. In effetti lo faccio ogni volta che ne ho l’opportunità.)
[2] La formula usata da Alistair per esorcizzare Castiel
[*] Riguardo Ezekiel: la sua scena con Castiel è un richiamo all'episodio 9x06; il suo giudizio su Dean è dovuto al fatto che, nella Bibbia, Ezechiele (ovviamente il profeta!) parla di Sodoma e spiega che Dio condanna tutti gli atti peccaminosi ivi commessi (fra cui in generale si tende a leggere soprattutto quello dell'omosessualità).

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Capitolo 14
*** Tutti odiano Ezekiel ***



Note sconsolate: Ormai non ci provo neanche più con i titoli.
Non amo l’episodio 9x09, ma ho finito per riprendere una sua scena. *dies*
Questo avrebbe dovuto essere il penultimo capitolo; in realtà, credo che proseguirò ancora un po’, perché sono logorroica. (non so se è un bene o un male... quello che so è che mi piacerebbe saper scrivere meglio.)



* * *


Quando le dita di Ezekiel sfiorarono la fronte di Dean, i suoi muscoli si paralizzarono. Impotente, il giovane ricadde sul pavimento di pietra.
L’angelo lo guardò lottare per riacquistare il controllo del suo corpo: lo sforzo che Dean stava facendo era così grande che, se avesse continuato così, avrebbe finito per spezzarsi le ossa. “Tutto questo è per Castiel?” si chiese, stupito. “Dean,” disse poi, in tono grave, “non ti sto chiedendo di fidarti di me, ma di te stesso. Se vuoi uscire vivo da questo luogo insieme a Sam, devi lasciarmi compiere la tua volontà.”
Incapace di parlare, il cacciatore riuscì appena a muovere le labbra, su cui si formarono delle imprecazioni silenziose. Invece di rinunciare, prese a combattere più forza contro l’influenza dell’angelo.
L’intera essenza di Dean era un misto di rabbia, dolore e frustrazione. Ezekiel strinse gli occhi: aveva creduto che le sue parole lo avrebbero calmato e spinto a ragionare, ma solo ora capiva che si era sbagliato. Dean lo detestava, e – stando a quanto la mente di Sam gli suggeriva – avrebbe fatto di tutto per fargliela pagare.

L'angelo stirò le labbra, contrariato: non gliel’avrebbe permesso. Ma, per il momento, lo lasciò perdere e si diresse verso Castiel.
Lui era stato di parola: inginocchiato a terra così come Ezekiel lo aveva lasciato, non si era mosso di un millimetro.
Castiel sapeva che, se fosse scappato, i suoi fratelli si sarebbero vendicati su Sam e Dean, ed era fermamente deciso ad evitarlo. D’altra parte, l’umano Castiel era un pericolo per l’incolumità dei Winchester: aveva già causato loro un’immensità di problemi, e non voleva farli rischiare oltre.
“Devo proteggerli,” aveva continuato a ripetersi. Ma se la decisione che aveva preso era davvero la più giusta, che cos’era quel nodo alla gola?
Castiel deglutì. “…so che vuoi salvare questi esseri umani,” sentì ribadire da Ezekiel, ormai a pochi passi da lui. “Questo è l’unico modo per farlo…”
L’ex-angelo annuì con aria assente. Sentiva qualcosa dibattersi dentro di lui, nel vuoto che un tempo era riempito dalla sua Grazia. Ora quel luogo era un groviglio confuso di pensieri ed emozioni che non era mai riuscito a comprendere fino in fondo.
Ezekiel afferrò un lembo della giacca di Castiel con una mano, mentre con l’altra sollevò il coltello di Ruby. Esitò, come se non si sentisse a suo agio nell’usare quell’arma; ma guarire la ferita della Colt lo aveva indebolito molto, e ciò gli impediva di utilizzare le sue abilità per uccidere.
Probabilmente, Dean aveva calcolato anche questo. Castiel lo maledisse, perché farsi vaporizzare gli organi sarebbe stata una morte molto meno dolorosa di questa. Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, ma il cuore gli martellava nel petto così forte da fargli male. La bocca gli si asciugò e i suoi pugni, tremanti, si serrarono. La sensazione che stava provando in quel momento era qualcosa di estremamente semplice, primordiale: era paura, e non era per niente facile da controllare. L’unica cosa che Castiel poteva fare, in quegli ultimi secondi, era cercare di ingannarla: poteva pretendere di essere ancora nel Limbo e che, una volta ritornato in vita, si sarebbe ritrovato accanto a Dean. Non ci sarebbero stati più avversari o pericoli da affrontare. Ci sarebbe stato solo un lago tranquillo, un vento piacevole e una luce calda, come in quei sogni sereni in cui Dean immaginava di pescare. Castiel avrebbe infilato le mani nelle tasche del suo trench e sarebbe rimasto in silenzio vicino a lui, guardandolo sorridere.
Quando Ezekiel strinse la presa sui suoi vestiti, Castiel cercò di aggrapparsi a quella visione. E, anche quando quell’immagine svanì, l’ex-angelo si rese conto che poteva lasciarsi andare, se era per il bene di Dean.
Prese un ultimo respiro, sentendosi finalmente pronto.
Per questo motivo, quando Ezekiel abbassò il pugnale e Castiel scattò con i resti del suo, intercettando la traiettoria del suo attacco e quasi tranciandogli il polso di netto, il primo a sorprendersi fu proprio lui.
Ezekiel finì per colpire Castiel di striscio, alla spalla sinistra. Il sangue di Sam schizzò dappertutto ma l’angelo, dopo il primo istante di sorpresa, sfruttò la presa che ancora aveva su Castiel per sollevarlo da terra e tenerlo fermo mentre gli tirava un calcio allo stomaco.
Lui rovinò a terra dolorante. Approfittò del tempo che Ezekiel impiegò per guarire il polso per rialzarsi. Si strinse la spalla colpita e sputò a terra il sangue che gli inzuppava la bocca. Non sapeva cosa fare; sapeva solo che, nonostante tutte le sue logiche, nonostante tutte le sue convinzioni, non voleva morire. Incrociò lo sguardo di Dean per un solo istante: era disperato quasi quanto il suo.
Ezekiel gli fu addosso prima che potesse pensare ad un modo per uscire da quella situazione; lo sbatté contro uno dei pilastri del garage, così forte che il calcestruzzo si crepò profondamente. A giudicare dalla fitta di dolore che lo assalì, Castiel fu sicuro di essersi rotto almeno un paio di costole. Ma ciò era irrilevante, perché Ezekiel aveva chiuso le dita intorno al suo collo e aveva iniziato a strangolarlo.
L’ex-angelo gli strinse le mani intorno al braccio, cercando di liberarsi, ma sapevano entrambi che si trattava di un tentativo inutile.
“P-Perc..c-ché?” sibilò allora, gli occhi ricolmi di lacrime.
Ezekiel lesse nel suo pensiero. “Perché non riesci ad accettare l’idea della tua morte? Suppongo che sia ciò che gli esseri umani definiscono istinto di conservazione,” spiegò con calma. “Non puoi far nulla per salvarti. Ma, se ti è di consolazione,” proseguì in tono più basso, “la morte che darò a Dean Winchester sarà molto più rapida della tua.”
Incredulo, senza piu’ aria, Castiel ripeté a fior di labbra il nome di Dean.
Ezekiel lo avrebbe ucciso. Lo avrebbe ucciso mentre era nel corpo di Sam, e lui non avrebbe potuto fare nulla per impedirglielo.
“Non puoi permetterlo,” pensò, mentre la sua visione si annebbiava. “Padre.... Padre, ti prego,” si ritrovò a supplicare. Le lacrime scivolarono lungo la sua guancia, si mescolarono al sangue che gli bagnava il viso e gocciolarono a terra.
Non arrivò nessun padre. Non arrivò nessun aiuto, ed Ezekiel iniziò a stringere più forte la gola di Castiel, che di colpo sentì montare l’ira dentro di sé.
Dean ha ragione, ha sempre avuto ragione. Padre, a te non importa nulla di noi. Ma io non posso permetterlo.” Castiel stese il braccio verso Ezekiel,  che aggrottò la fronte quando percepì la presenza di una forza invisibile che cercava di respingerlo.
“Che cosa stai cercando di fare?” domandò, opponendo resistenza. Non era neanche sicuro che Castiel fosse in sé. “C'é… c’è ancora della Grazia dentro di te?”
“Non posso,” continuava a ripetere l’altro nella sua mente.   “Non… POSSO!” Poggiò il palmo sul petto di Sam e lo scagliò via, mandandolo a sbattere contro un SUV scuro parcheggiato a pochi metri da loro, così forte da far squarciare una portiera.
Ezekiel non si rialzò.
Castiel si portò le mani al collo e tossì altro sangue. Si sentiva come se il suo corpo fosse stato fatto a pezzi. I polmoni bruciavano ad ogni respiro ed avvertiva delle fitte lancinanti all’altezza del petto. Il suo tramite…no, il suo corpo non avrebbe resistito ancora per molto. Non aveva tempo per cercare di capire cosa era successo. A questo punto, non c’era più tempo per pensare: se voleva aiutare i Winchester, doveva agire in fretta.
Con uno sforzo immenso, si costrinse a camminare. Raccolse il suo pugnale spezzato e si trascinò verso il corpo di Sam.
“C-Cas, no,” sentì pregare con voce flebile Dean che, a poca distanza, si stava riprendendo. “Non farlo… non farlo, Cas!”
Lui lo ignorò. Senza curarsi di sopprimere un gemito di dolore, si lasciò cadere in ginocchio davanti a Sam. Ansimando, lo afferrò per i capelli e lo costrinse a sollevare la testa.
Ezekiel, ancora cosciente, sorrise debolmente: “Hai davvero intenzione di trapassare il suo cuore davanti a Dean?”
Castiel non aveva più la forza di parlare. La presa sulla sua arma tremava. La rese più salda possibile, e senza ulteriori esitazioni recise la giugulare di Sam con un colpo secco.
Sotto lo sguardo terrorizzato di Dean, un velo argenteo fuoriuscì dalla gola di suo fratello e si insinuò nella bocca di Castiel, che lo inghiottì. Quando il processo fu completato, il suo corpo venne scosso da brividi e iniziò a risplendere.
Dean aveva già assistito a quella scena: era la stessa cosa che era accaduta ad Anna quando aveva recuperato la sua Grazia.

“Dean, chiudi gli occhi!” ordinò Castiel. “Chiudi gli occhi ORA!”
Dean serrò le palpebre e si voltò dalla parte opposta, ma l’esplosione di luce che inondò la stanza lo colpì ugualmente in pieno. Un fischio pauroso risuonò nell’aria e gli perforò i timpani, mentre la Grazia lo travolse come un'onda di marea, fece tremare le pareti e saltare tutti i vetri.
Quando cessò, nell'aria riecheggiava il suono degli allarmi delle automobili parcheggiate nel garage, scattati tutti contemporaneamente.
Castiel era ancora inginocchiato a terra. Il suo respiro si era fermato, e non provava più alcun dolore. Sollevò una mano, e gli allarmi si spensero.
Di fronte a lui, il sangue sgorgava a fiotti dalla gola di Sam che, agonizzante, lo fissava con occhi spenti. Posò il palmo aperto sulla sua ferita: impiegò molti più secondi del normale, ma alla fine riuscì a guarirla. Subito dopo, fece scivolare la mano sul suo petto: “Addio, Ezekiel,” disse. Cominciò a fare pressione sul cuore del cacciatore, spingendo il palmo all’interno del suo corpo, facendolo penetrare in profondità.  Sam iniziò ad urlare, e la sua schiena si inarcò terribilmente. Castiel frugò all’interno della sua anima, finché non trovò ciò che cercava; afferrò l'essenza di Ezekiel e la trascinò fuori, mentre le urla di Sam si intensificavano.
Non appena Castiel la riportò alla luce, quella si ridusse in polvere evanescente e si dissolse nell’aria.
Sam smise di contorcersi e si accasciò contro la lamiera.
“Sam…” mormorò Dean. Terminato l’effetto del potere di Ezekiel, era riuscito a raggiungerli. “Sammy!”
Castiel si rialzò e si allontanò di un passo per lasciargli spazio.
Dean si abbassò accanto al fratello e verificò il suo battito.
“Sta bene,” lo rassicurò Castiel, alle sue spalle. “Ho guarito le sue ferite. E’ molto provato, ma posso aiutarlo a riprendersi.”
Dean circondò le spalle di Sam con le braccia per evitare che crollasse a terra. “Perché sei di nuovo un angelo,” constatò, con un tono di voce che Castiel non riuscì ad interpretare.
Sospirò e gli diede a sua volta le spalle. “E’ così,” si limitò a rispondere.
“Ti avevo detto di andare via. Saresti dovuto andare via.”
“Possiamo andare via insieme adesso.”
Castiel avvertì Dean rialzarsi e muoversi verso di lui; le dita del cacciatore sfiorarono le sue.
 “Cas…” iniziò il giovane, ma non terminò mai la frase, perché venne tirato indietro e costretto al silenzio.
Allarmato, Castiel sbarrò gli occhi, scoprendo di avere un pugnale angelico a pochi centimetri dal collo. Delle mani gli strinsero le braccia dietro la schiena, e un istante dopo l’angelo avvertì il suono di due oggetti metallici che si chiudevano intorno ai suoi polsi. Venne fatto voltare, e scoprì che Dean aveva appena subito lo stesso trattamento.
Approfittando della confusione generale e della loro distrazione, delle persone erano scivolate alle loro spalle. Erano state troppo silenziose per essere umani. Erano in quattro, due per ognuno di loro, ma ben presto altri tre si fecero strada nel garage, passando per la porta principale.
Confuso, Castiel li studiò: indossavano tutti degli eleganti vestiti neri e delle camicie bianche; avevano un portamento fiero e la loro stretta era gelida e ferrea.
“Grazie per esserti occupato di Ezekiel il traditore al posto nostro, Castiel,” disse l’unica donna del gruppo, sistemandosi fra lui e i Winchester.  A differenza degli altri, sfoggiava un completo grigio e teneva la camicia di cotone ben allacciata sul collo. Era bassa, magrolina ed aveva delle grosse sopracciglia, mentre i capelli erano corti e scuri.
Castiel si soffermò sul suo vero aspetto.
“Bethael,” mormorò, riconoscendola.
“E’ un piacere vedere che sei tornato ad essere uno di noi,” proseguì lei. Dal modo in cui faceva sorridere nervosamente il suo tramite, Castiel capì che stava pensando l’opposto.
“Per favore,” la pregò, “lasciaci andare.”
“No. Bartolomeo desidera parlare con te,” rispose l’angelo. Si girò per guardare altri due sottoposti tirare su Sam, che era ancora privo di sensi.
Castiel schiuse le labbra in un’espressione sorpresa. “Bartolomeo?”
“Sono una dei suoi luogotenenti adesso,” spiegò lei.
“Gli piacciono piatte, oppure non c’era nessuna con un tramite migliore?” si intromise Dean.
Bethael chiuse le dita della sua mano in un pugno e il cuore di Dean si fermò. Il cacciatore divenne pallido e annaspò, barcollando pericolosamente.
D’istinto, Castiel cercò di andare da lui, ma i due angeli che lo immobilizzavano lo trattennero.
Bethael abbassò la mano, lasciando andare Dean; il cacciatore rovesciò la testa in avanti, il respiro irregolare.
“Quanto a voi due,” gli disse l’angelo, degnandolo della sua attenzione per la prima volta, “Bartolomeo ha espresso la volontà di fare la vostra conoscenza.”
“Beh,” replicò Dean con voce debole, ansimando, “digli…che la mia volontà è che lui vada a farsi fottere.”
Bethael strinse nuovamente il pugno, ricominciando a torturarlo. Dean cercò di non darle la soddisfazione di sentire i suoi lamenti.
“Quali sono le vostre intenzioni?” le domandò Castiel, quasi gridando.
“Non sono autorizzata a parlartene,” fu la sua risposta. Quando le gambe di Dean cedettero, lei decise finalmente di far ripartire il suo cuore. Poi estrasse uno smartphone dalla tasca e iniziò a pigiare una serie di tasti, mormorando a fior di labbra ciò che stava scrivendo: “Con…fer…ma...ti…. Win…chest…”  “Rinchiudete Castiel insieme al minore dei Winchester,” ordinò d’un tratto, continuando a comporre il messaggio. “L’altro resta con me.”
Gli angeli al suo servizio eseguirono senza fiatare. “Bethael!” ringhiò Castiel, mentre veniva trascinato via.
“Se fai….se fai loro del male,” sussurrò invece Dean, strattonando a sua volta i due angeli ai suoi lati. “Io… ti giuro che…”
“Con chi credi di stare parlando?” lo interruppe la ragazza. “Siamo esseri celesti. Non siamo dei barbari, noi.”
Dean serrò i denti. “Siete…un ammasso di coglioni alati,” sibilò, e poi sorrise. “No… dimenticavo… non avete più le ali.”
Bethael richiuse di scatto la custodia del suo telefono. “Esiste un modo per farti restare in silenzio?” gli chiese irritata. Prima che Dean potesse ribattere, gli si avvicinò e gli sollevò il mento sgarbatamente, scrutandolo con attenzione. Esaminò il suo corpo, i suoi vestiti stracciati, e raccolse su un dito il sangue raggrumato che gli sporcava la faccia.
“Hai qualcosa di disgustoso addosso,” gli disse, tastandogli il petto. “Ma non riesco a capire cosa sia.”
Dean inarcò le sopracciglia, fissando le mani dell’angelo. “Io un’idea l’avrei, Ugly Betty.”
Bethael sospirò esasperata, rinunciandoci. “Abbiamo davvero molto lavoro da fare con te.”


*
*
*
*
*

In uno dei primi episodi della 4^ stagione c'è Anna che, inconsciamente, utilizza la telecinesi per abbattere un demone, per cui ho supposto che anche Castiel fosse in grado di farlo. >___<

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Capitolo 15
*** Lapse ***


cap16 Note a caso: Questo capitolo, prima che me ne accorgessi, è stato contaminato dall’influenza di quella festa orribile che sta per arrivare. ;_;
Per quel che riguarda il titolo, stavolta l'ho scelto con criterio:
Lapse
...ma  non ho ben capito se si riferisce al contenuto del capitolo o al mio stato mentale.


* * *


Un angelo scaraventò Castiel in una grossa camera da letto al primo piano. Altri due gettarono Sam sul letto a due piazze vicino al balcone e poi, senza dire una parola, uscirono dalla stanza e chiusero la porta.
Castiel sapeva che almeno uno di loro sarebbe rimasto di guardia all’esterno. Sbirciando dalle tende violacee, ne individuò altri due che stazionavano per il giardino.
Esaminò la stanza, semispoglia, ma non trovò nulla che potesse essere usato per combattere o fuggire. Scorse un pannello scorrevole nascosto in un angolo: lo aprì, ma si trattava solo di una stanza cieca piena di vestiti da uomo. Sospirò deluso e andò a sedersi sul letto, accanto a Sam.
Si guardò i polsi, studiando i due spessi bracciali argentati che gli erano stati infilati dai suoi fratelli: erano decorati con dei sigilli enochiani che conosceva bene, ma non aveva mai provato direttamente sulla sua pelle.

Castiel non sapeva quanto potenti fossero le restrizioni incise su quelle speciali manette, né fino a che punto fosse in grado di gestire il mojo di Ezekiel: decise allora di fare una prova.  Chiuse gli occhi e si immerse in uno stato di profonda concentrazione, richiamando a sé la Grazia che aveva rubato. Quella, pur obbedendo al suo comando, quella continuò a pulsare e scalpitare con violenza all’interno del contenitore a lei estraneo.
Castiel cercò di farla sua. Dopo averla visualizzata nella sua mente, la condusse in un punto al centro del suo petto ed iniziò a modellarla a suo piacimento. Quando fu sicuro di poterla controllare, iniziò a farla scorrere nelle vene del suo tramite, tentando di ripristinarlo. Gli organi interni, gravemente compromessi da Ezekiel, iniziarono a ripararsi, e il sangue che gli macchiava i vestiti si dissolse; ma, ben presto, i bracciali angelici si riscaldarono e generarono una scarica che trafisse la Grazia, causandogli una terribile fitta di dolore al petto. Castiel non si aspettava una cosa del genere: perse il controllo, il cuore del suo tramite collassò e lui tossì un fiotto di sangue rosso vivo.
L’angelo rilasciò la Grazia e le manette smisero di torturarlo. Quando si fu ripreso tornò ad osservarle, accigliato: se avesse commesso un errore simile con Sam, lo avrebbe ucciso.
Quando fu sicuro di poter sopportare l’effetto delle manette, poggiò tre dita sulla fronte del cacciatore e cercò nuovamente di accedere alla fonte dei suoi poteri angelici. Le scariche, stavolta, iniziarono subito, ma Castiel non si fermò: convogliò la Grazia sul suo palmo e la fece fluire dentro Sam.
Riusciva a vedere la sua anima. Come sospettava, era grigia e strappata e rattoppata a malapena: Ezekiel non aveva mai tentato sul serio di guarirla.
Castiel iniziò a prendersi cura di lui. Le manette lo tormentavano e rallentavano il processo; la Grazia vibrava pericolosamente e lui sentiva l’odore della sua carne che bruciava, ma continuò imperterrito a ricucire l’anima di Sam, finché non sentì una presa sul suo braccio.
Era un tocco leggero ed esitante, ma Castiel sobbalzò lo stesso, perché era così concentrato sul suo lavoro che non aveva sentito nessuno entrare. Fortunatamente aveva quasi terminato, e comunque sia la Grazia di Ezekiel era ormai troppo provata per poter causare altri danni.
Ricondusse ciò che ne restava dentro di sé e tolse le dita dalla fronte di Sam, poi riaprì gli occhi e si focalizzò sul nuovo arrivato.
La prima cosa che vide fu la sua mano, che gli stava ancora stringendo il braccio con preoccupazione. All’inizio, notando il taglio elegante della manica della giacca scura, l'angelo pensò che fosse un suo fratello;  sollevando lo sguardo, si sorprese nello scoprire che si trattava di Dean.

Era trascorsa poco meno di un’ora da quando lo aveva visto l’ultima volta, ma lui era completamente cambiato: adesso, era vestito di tutto punto ed il suo viso era rasato e liscio; i suoi capelli erano stati tagliati e pettinati, e profumava di incenso e vaniglia. L’unica cosa che stonava nella perfezione del suo aspetto era lo sguardo torvo che, adesso, gli stava rivolgendo.
“Non posso lasciarti per cinque maledettissimi minuti!” sbraitò, affrettandosi a togliere la mano dal suo braccio.
L’angelo aprì la bocca per rispondere, ma Dean lo precedette. “E se provi a dire di nuovo ‘Scusa’, ti tiro un pugno: avevi detto che Sam stava bene!”
“Fisicamente, Sam era fuori pericolo,” spiegò Castiel con calma. “Il problema era la sua anima.”
Dean strinse i denti e portò la sua attenzione sul fratello, che adesso riposava con un’espressione serena sul volto. Il battito del suo cuore era normale e aveva riacquistato un po’ di colore rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. Si rilassò un po'.
Tornò da Castiel, che era ancora seduto sul letto. “Che cosa sono questi?” gli chiese, indicando con lo sguardo i bracciali argentati ai polsi dell’angelo, seminascosti dalla camicia. Senza attendere una risposta, gli afferrò la mano e ne strinse uno: Castiel si lasciò sfuggire un gemito di dolore, e Dean si rese conto con orrore che la pelle al di sotto di essi era bruciata e consumata quasi fino all’osso. Inoltre, al suo tocco, delle catene trasparenti si materializzarono intorno al braccio dell’angelo: risalivano lungo il suo torso, fin dietro le sue spalle dove – Dean lo sapeva – c’erano i resti delle sue ali spezzate. Le catene emanavano delle scintille, come se fossero elettrificate: sconvolto, il cacciatore mollò rapidamente la presa sul bracciale, e quelle scomparvero.
“Sono restrizioni,” esalò l’angelo dopo qualche secondo, la voce che tremava leggermente. “Frenano la mia Grazia.”
Dean lo fulminò con lo sguardo. “Per cui è saggio usarla adesso, no?”
“Andava fatto adesso,” ribatté lui, scuotendo la testa. “ Visto che, suppongo, Bartolomeo mi…”
Castiel non concluse la frase, ma Dean sapeva già dove voleva andare a parare. Si rifiutò di pensarci.
Tirò su le maniche della sua giacca, mostrando a Castiel il bracciale che era stato infilato a lui. “E questo a che serve? Ho provato a toglierlo, ma sembra incollato. C’è un solo geroglifico sopra, ed è uguale ad uno dei tuoi.”
“E’ un sigillo di protezione,” gli disse Castiel, dopo averlo esaminato. “Consente di non ricevere ferite superficiali. In questo modo…”
“…non possiamo usare il nostro sangue per rispedirli all'angolo,” concluse amaramente Dean. “Grandioso.”
Frustrato, il giovane iniziò a vagare per la camera da letto, scompigliandosi i capelli con un gesto nervoso. Poi, dopo aver lanciato un’occhiata rapida a Sam, si sedette al bordo del letto, così vicino a Castiel che le loro cosce si toccavano. Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto elegante e lo usò per tamponargli in silenzio il  filo di sangue che aveva all’angolo delle labbra.
Castiel rimase a guardarlo.
“Quindi eccoci qui,” esordì Dean, quando il silenzio si fece troppo pesante, “kittens in a cage [1].”
L’angelo, come al solito, non capì la referenza, ma sorrise debolmente. Abbassò lo sguardo sulle mani di Dean, pulite e curatissime. “Cosa ti hanno fatto?”
“Vuoi dire questo?” domandò lui, studiando la sua tenuta con aria disgustata. “La tua amica è una fanatica della pulizia,” sbottò, visibilmente scocciato. “Era tutta un ‘non posso permetterti di incontrare il grande Bartolomeo in queste condizioni’,” disse, imitando la voce acuta di Bethael. Di colpo, si allentò la cravatta rossa a righe che gli era stata stretta al collo e si alzò dal letto; raggiunse la cabina armadio al lato della stanza e vi si infilò dentro. Castiel lo seguì, ma si fermò all’ingresso.
“L’armadio di questo tizio è più grande della stanza di un motel,” borbottò Dean. “Comunque sia,” disse, iniziando a rovistare al suo interno, “Bartolomeo: che cosa sappiamo di lui?”
 “Bartolomeo era un essere umano,” rispose pronto Castiel, “ma, circa duemila anni fa, venne scelto personalmente da nostro Padre per diventare un angelo [2].”
Dean si fermò per un secondo, poi fece una strana smorfia e ritornò a scorrere i vestiti di Leon. “Possibile che non ci sia un maledettissimo paio di jeans qui dentro?”
“Dean, mi stai ascoltando?”
“Sì, sì, ma non mi interessano la vita e le opere del grande Bart. Come lo prendiamo a calci?”
L’angelo inarcò le sopracciglia, stupito e lievemente rassegnato. “Dean, noi… noi non possiamo prendere a calci uno degli Apostoli.”
“Apostoli?” ripeté l’altro. “Quelli del Codice da Vinci?”
“Lascia stare,” sospirò Castiel. “Adesso Bartolomeo è un Hashmallim,” disse.
Dean si voltò verso di lui, la fronte aggrottata. “Un marsh…mellow?”
“Le Dominazioni,” tradusse paziente Castiel. “Sono angeli che devono assicurarsi che il cosmo sia sempre in ordine. Raramente entrano in contatto con le gerarchie angeliche più basse di loro. Sono coloro a cui Dio ha affidato la forza del Dominare e, per quanto riguarda Bartolomeo, lui domina con la forza della lama.”
“Anche tu sei in gamba con quella roba,” osservò Dean, con una nota di speranza nella voce.
Castiel scosse la testa. “Non quanto lui.”
Il cacciatore si passò le dita sul mento, inquieto. “Allora siamo fottuti,” disse, scorrendo per inerzia l’ultima fila di vestiti. “Ohi, Cas, vieni qui,” esclamò di colpo, “guarda cos’ho trovato!”
Castiel entrò nella stanza, incuriosito, pur sapendo che era alquanto improbabile che i suoi fratelli avessero lasciato al suo interno delle armi o qualcosa che avrebbe potuto essergli utile.
Il cacciatore gli andò incontro e ben presto l'angelo si ritrovò circondato da un mare di stoffa dall’aria familiare: una giacca da uomo, Dean aveva trovato una giacca da uomo. Somigliava un po’ a quella che aveva tanto amato indossare, ma il colore era più scuro ed il modello molto più insulso e corto.
“Non è il mio trench,” commentò.
“Non è la tua Grazia,” replicò Dean.
Castiel piegò leggermente la testa di lato: la logica di quel ragionamento era sciocca, ma corretta.
Dean lo aiutò ad infilare il soprabito, che era della sua misura, e poi gli aggiustò il collo della giacca. Sbottonò un paio di bottoni della sua camicia, ed in infine si tirò indietro di un passo per osservare, soddisfatto, il suo lavoro. “Ma guardati: come ai vecchi tempi, pronto a tornare in corsa,” disse e, nonostante stesse andando tutto a puttane, gli rivolse un sorriso sincero.  [3] “Che c’è?” domandò preoccupato un attimo dopo, quando colse lo sguardo accigliato del compagno.
“Utilizzare la Grazia di un altro angelo non è semplice,” ammise lui, dopo qualche secondo. “Non so fino a che punto sono in grado di farlo, né quali saranno le conseguenze.”
“Che vuol dire? E’ come se fossi un pilota della Flotta Stellare che si ritrova di colpo sul Millennium Falcon?”
Castiel si chiese se Dean lo facesse apposta. Si limitò a scrollare le spalle.
“Non puoi fare nulla?”
“Potrei strapparmela di dosso e tornare umano.”
“Bene, fallo adesso. Abbiamo già abbastanza problemi.”
Castiel parve seccato dall’idea. Distolse lo sguardo da Dean per osservarsi le ferite ai polsi, che si erano già cicatrizzate.  
Lui poggiò le mani sulle sue spalle. “Cas, tu devi uscire vivo da qui. Devi prenderti cura di Sam,” incalzò, con voce ferma. “Non hai sentito Ezekiel? Io sono spacciato.”
“Ezekiel non sapeva niente. Io posso….”
“Cas, è già iniziato,” sussurrò Dean con un mezzo sorriso amaro, lasciando ricadere le braccia sui fianchi. “Mi trascina in basso, ogni istante che passa.”
“Anche se lo facesse, tu sei forte,” replicò Castiel, invadendo il suo spazio personale. “Riuscirai a distruggerlo e ritornerai da Sam.”
“Io non–”
“E da me,” concluse l’angelo, e alzò lo sguardo su Dean, che deglutì.
Durò un secondo, poi lui scosse la testa. “E’ facile parlare quando sei un fottutissimo Angelo del Signore,” borbottò in risposta, sentendosi improvvisamente molto stanco. “Mi è già successo una volta, come fai a sapere che non succederà ancora?”
Castiel poggiò le mani ai lati del suo viso e lo baciò.
Le sue labbra screpolate sfiorarono appena quelle piene del cacciatore, che rimase immobile. L'angelo si tirò indietro e lo guardò attentamente, come se stesse studiando la sua reazione.
Lui se ne accorse. “No,” mormorò a voce bassa, con un mezzo sorriso, “non ho capito la tua risposta.”  
Castiel aggrottò la fronte, ma il cacciatore aveva già afferrato il collo sua giacca e lo aveva attirato a sé. Il mugolio sorpreso dell'angelo si perse sulla bocca di Dean, che cercò subito di approfondire il bacio. Castiel non glielo permise: lo fece indietreggiare contro una parete libera, immerse i suoi occhi nei suoi color verde foresta e poi scese ad accarezzargli le labbra con le sue in modo così lento da farlo impazzire.
I suoi baci erano leggeri e morbidi, caldi, la sua barba corta strofinava piano contro gli angoli della sua bocca e Dean non riusciva più a pensare.
Il suo cuore pulsava così rapidamente da fargli male, si sentiva galleggiare nell’aria; non ricordava l’ultima volta che aveva provato una sensazione simile. Si rese conto solo dopo molti secondi di aver iniziato a rispondere all’angelo, imitando i suoi movimenti. Voleva che non finisse mai. Castiel era così puro e Dean era completamente perso di lui, e si stavano solo baciando. Senza staccarsi da lui, l’angelo cercò la sua mano e la intrecciò nella sua. Dean sospirò il suo nome e lui sorrise contro le sue labbra, mordendole piano e facendogli perdere la testa. Avvertì il bisogno improvviso di sentirlo più vicino a lui. Immerse la mano libera nei suoi capelli scuri e lambì le sue labbra con la lingua. Castiel sospirò e le schiuse, e Dean si soffermò ad assaggiare e poi divorare il sapore di cui, lo sentiva, era già diventato dipendente.
Finora, era sempre stato tutto troppo improvviso e istintivo per dargli il tempo di capire; solo ora si rendeva conto di quanto avesse desiderato trasformare il legame più profondo che avevano sempre avuto in qualcosa di più fisico. Non gli importava che quell’angelo fosse intrappolato nel corpo di un uomo; non gli era mai davvero importato, in fondo.
Quando si staccarono, Dean impiegò qualche secondo prima di riuscire a riprendere fiato. Castiel non ne aveva bisogno, per cui fece scorrere le dita fra i suoi capelli biondi ormai del tutto spettinati, 
guardandolo con quei suoi occhi blu che adesso sembravano quasi brillare.
“Nel nome della sanità mentale,” esclamò una voce femminile a poca distanza, “che cosa sta succedendo in questa casa?”
Dean ruppe il contatto con Castiel e si sporse a guardare la figura che aveva parlato. All’ingresso della stanza c’era la ragazza che lui riconobbe come Tonya Reynolds.
La giovane donna faceva scorrere lo sguardo dall’uno all’altro. Indossava una giacca nera elegante, una camicia bianca con un nastrino e portava una gonna strana e abbastanza corta.
“Basta,” dichiarò Tonya, dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, “io ci rinuncio.”
Uscì dalla cabina armadio e chiuse la porta, lasciando dentro Dean e Castiel.
I due, dopo essersi scambiata un'occhiata incerta, la raggiunsero nella camera da letto.
“Chi sei?” le domandò Castiel, con voce bassa e quasi minacciosa.

“Una domanda interessante, visto che io abito qui,” osservò lei, per nulla spaventata. “Il mio nome è Tonya Reynolds. Suppongo che voi siate la famosa merce.
Dean sbattè le palpebre. “Hai detto 'merce'?”
“Sì, mio fratello voleva scambiarvi con qualcosa,” spiegò la ragazza, con la leggerezza con cui si parla delle previsioni meteo. “Credo che c’entri l’organizzazione criminale qui fuori. Non prendetela male, mio fratello era una brava persona, ma negli ultimi tempi è come impazzito: ha iniziato a bere, giocare e poi si è messo a parlare di fantasmi, mostri, queste cose assurde qui.”
Tonya scosse la testa e sospirò, lanciando un’occhiata a Sam, che era ancora addormentato. “Ad un certo punto, ha cominciato a comportarsi in modo così strano da farmi paura. Non avrei mai dovuto accettare di venire a vivere con lui,” concluse, sconsolata. “Avrei dovuto tentare di fermarlo. Secondo voi l’hanno ucciso? Mi useranno per chiedere un riscatto?”
Dal letto di Sam provenne un grosso sospiro. Castiel raggiunse il ragazzo, e notò che le sue palpebre si muovevano impercettibilmente. “Sta per svegliarsi,” disse a Dean, che annuì.
“Ascolta, Tonya,” disse il cacciatore alla ragazza, “che cosa faceva di preciso tuo fratello nei suoi momenti… strani?”
La ragazza assunse un’espressione corrucciata. “Si chiudeva per giorni interi nello studio di nostro padre, oppure in quell’interrato… io avevo comprato dei libri horror, lui ha iniziato a leggerli e credo si fosse convinto che quelle storie erano vere.”
“Scusami… Scusami, per curiosità, come si intitolavano quei libri?”
Supernatural,” rispose calma la ragazza.
Dean si portò una mano alla fronte e maledì silenziosamente Chuck in tutte le lingue che conosceva.
“Questo è tutto quello che so,” riprese Tonya. “Non so bene neanche io cosa è successo qui. Non ricordo molto. Credo di aver bevuto troppo, stanotte. Ho fatto dei sogni strani su degli angeli che mi parlavano e poi quei maniaci sono entrati nella mia stanza, mi hanno svegliata e mi hanno portata qui. Io non voglio morire,” aggiunse, gli occhi pericolosamente umidi.
“D’accordo, non preoccuparti,” replicò Dean, sfoderando il sorriso più falso e meno convincente che aveva. “Io e il mio collega stiamo preparando un piano per tirarti fuori da qui.”
Lei lo fulminò con un’occhiataccia allusiva. “Sì, ho visto.”
Dean avvampò. “Quello? No, quello non era…”
Tonya inarcò le sopracciglia.
“Senti è stata una giornata stressante, d’accordo?” sbottò il cacciatore. “Ora vai in un angolo a piangere e resta lì ferma finché non ti salviamo.”
In quel momento, Sam mugugnò qualcosa e schiuse gli occhi.
Dean gli fu accanto in un attimo, mentre Castiel rimase in piedi a fissare pensieroso Tonya.
“Che hai da guardare, Capitan Sexy?” gli chiese lei, brusca.
L’angelo si riscosse. “Nulla. E’ come se…” , lanciò un’ultima occhiata alla ragazza. “No, nulla.”
“Dean, dove… dove siamo?” domandò intanto Sam al fratello, strofinandosi la testa.
“Dai ricconi col nome strano,” rispose lui, guardandolo con ansia. “Il Limbo, gli angeli… Ti ricordi qualcosa?”
Sam strinse gli occhi, pensando. “Gli angeli sono caduti. Io… stavo sostenendo le Prove…?”
“Sì. E tutto il resto?”
Il ragazzo scosse la testa e iniziò a massaggiarsi le tempie.
Dean si voltò verso Castiel con aria colpevole e disperata e lui percepì chiaramente nella sua mente un 'Cas, Ezekiel gli ha fritto il cervello'.
Sam notò in quel momento il bracciale argenteo che aveva al polso. “E questo cosa...?”
“Va tutto bene, Sam,” lo rassicurò l’angelo. “I tuoi ricordi torneranno molto presto.”
“Io… non capisco,” rispose lui.
“Benvenuto nel club,” gli fece eco Tonya.
Sam si accorse di lei solo in quel momento. “Ci conosciamo?” le chiese, confuso.
“Sì,” rispose lei sorridendo. “Mi hai servito del Vermouth alla mia festa di fidanzamento e poi io ti ho ammanettato ad un letto.”
Sam la guardò terrorizzato.
“Scherzavo, tesoro: era del Martini.”
“E questo spiega perché hai impiegato così tanto tempo per venire a salvarmi,” sospirò Dean. “Avanti, rubacuori, mettiamoci al lavoro,” aggiunse poi, battendo le mani.
Dean aveva appena finito di parlare quando la porta della stanza si spalancò per lasciare entrare Bethael e quattro dei suoi sottoposti.
“Oh, cavoli,” esclamò Sam, balzando in piedi.
“Che tempismo,” commentò Dean sottovoce, dopo un primo attimo di sconcerto.
“Bartolomeo è arrivato,” dichiarò Bethael. “Andiamo.”
Castiel si mosse verso di lei con aria truce, ma Dean lo trattenne.
“Ascolta, lo so che fra noi non è iniziata nel migliore dei modi,” le disse con un sorriso sfacciato, facendo qualche passo nella sua direzione. “Ma non potresti darci solo cinque minuti? Vedi, mio fratello si è appena ripreso e deve incipriarsi il naso. Se non è tirato a lucido come me, Bartolomeo potrebbe restarci male.”
Bethael lo fissò profondamente. “No,” dichiarò. “Ma hai ragione. Sam Winchester,” esclamò.
“Che… che c’è?”
Bethael lo raggiunse a grandi passi e gli poggiò una mano sul petto. Un attimo dopo, Sam si ritrovò addosso un completo elegante, con tanto di cravatta grigia e bottoni d'argento. “Oh mio Dio,” commentò il giovane.
“Ora andiamo,” disse l’angelo, voltandogli le spalle.
“Ehi, ehi,” protestò Dean. “Perché io sono stato spogliato con la forza?”
“Tu puzzavi. Avevi bisogno di essere lavato.”
Il biondo sbarrò gli occhi, poi aggrottò la fronte, offeso. “Certo che avevo bisogno di essere lavato, sono rimasto giorni interi in quel posto schifoso!”
“Trascinateli via,” ordinò Bethael, annoiata. “Non ho intenzione di far attendere oltre Bartolomeo.”
Gli angeli, armati di pugnale, si avventarono su Sam, Dean e Castiel, ma Sam si affrettò ad alzare le mani e a dichiarare un: D’accordo, calma, camminiamo da soli!, che li convinse a non usare le maniere forti.
“E la femmina?” chiese il più robusto del gruppo, un armadio alto quasi due metri.
“Tienila d’occhio. Bartolomeo non ha dato particolari disposizioni per lei,” fu la risposta piatta di Bethael.
Lui annuì e si mosse verso Tonya, che esibì un sorrisino isterico.
“Bene,” disse la ragazza, con una voce molto più acuta del normale, “allora io aspetto qui con il maniaco armato. Fate con comodo!” esclamò, mentre l’angelo usava i suoi poteri telecinetici per chiudersi nella stanza con lei.
Sam, Dean e Castiel vennero scortati per i corridoi della grossa villa.
“Carina la tua nuova ragazza,” osservò Dean.
Il minore lo ignorò e continuò a massaggiarsi la fronte con aria sofferente.  “Sto cominciando a ricordare qualcosa di questo Bartolomeo,” disse, “ma non capisco come siamo finiti qui. Puoi farmi un riassunto della situazione?”
Dean sospirò. “Castiel si è cacciato nei guai e noi siamo venuti a salvarlo.”
Sam annuì, pensieroso.
“Poi tu hai preso la Colt e mi hai sparato.”
“Stai scherzando?!”
“No. Un angelo ti aveva… strapazzato il cervello, ma Cas l’ha spedito all’Inferno. Poi è arrivato lo squadrone angelico, e adesso probabilmente ci faranno fuori.”
Sam seppur sconvolto da quelle parole, si schiarì la gola e, con voce appena percettibile, mormorò all’orecchio del fratello: “Abbiamo un piano?”
“No,” ammise Dean.
“Non avete preparato un piano?” gli domandò Sam incredulo, facendo scorrere lo sguardo da lui a Castiel. “E che cosa avete fatto finora?”
“Io e Dean ci siamo baciati,” rispose Castiel in tono innocente. “Che c’è, non avrei dovuto dirlo?” chiese poi al biondo, percependo la sua aura omicida.
Sam era rimasto a bocca aperta.
“Frena, Sam. Non è come pensi tu.”
 “L’hai baciato? Per tutto il tempo? Voglio dire, ma è successo per caso o…”
“Sam maledizione, stiamo per essere ammazzati e a te interessa sapere quante volte ho…baciato Cas?!”
“Tre volte, comunque,” precisò Castiel, mentre scendevano l
a rampa di scale che portava al piano terra.
Sam curvò le labbra in una smorfia soddisfatta, e Dean ci rinunciò.
“Vi sarei grata se manteneste un certo contegno,” li richiamò Bethael. “State per incontrare Bartolomeo.”
“Ma certo, Effie,” commentò, com’è ovvio, Dean. “Che cosa vuoi che facciamo? Chins up, smiles on?” [4]
“Se provi anche solo a muovere di nuovo quella lingua,” minacciò l’angelo in risposta, “te la faccio bruciare.”
Dean si zittì; quando però il gruppetto giunse davanti ad una massiccia porta di legno, mentre Bethael bussava, non riuscì a trattenersi e, afferrata la spalla di Castiel, gli disse: “Quattro.”
“Cosa?” chiese lui, incerto.
“Quattro volte,” ripeté Dean, premendo rapidamente le sue labbra su quelle dell’angelo, che lo ricambiò quasi disperato.
Bethael roteò gli occhi. “Oh, per favore.”
Castiel venne tirato indietro, mentre Dean venne afferrato per le braccia e rigettato addosso ad uno sconvolto Sam.
“Dean, scherzi a parte, io… io non credo che questa storia finirà bene,” mormorò lui.
“Lo so,” annuì il cacciatore, mentre il sorriso gli moriva sulle labbra. “Neanch’io.”



* * *



[1]
Motivazione da fangirl: Perché in QUESTE immagini promozionali sono davvero tutti dei kittens in a cage.
Motivazione semiseria: E’ pubblicizzato come “
Bad girls doing bad things in bad places”; dovrebbe essere una parodia di Caged (film del 1950). Non ho capito se sarà una web series o un film indipendente… so solo che in QUESTA immagine promozionale c'è anche Misha Collins. PS: Non chiedetemi come faccia Dean a conoscerlo. 4th wall.

[2]
Ovviamente  non so cosa abbia in mente Carver, ma Bartolomeo era uno degli apostoli, per cui ho ipotizzato che sia diventato un angelo dopo la sua morte.
L'ho messo fra le Dominazioni, che sono superiori ai Serafini (Castiel è un serafino). San Bartolomeo, inoltre, è il protettore di coloro che usano coltelli e arnesi da taglio (grazie, Wikipedia), da cui tutto il resto.


[3]
Citazione dell'episodio 9x10

[4]
E’ canon il fatto che Dean conosca Hunger Games, ma io ho prestato il mio libro e quindi non posso leggere come hanno tradotto la frase in italiano, per cui:
CHINS UP, SMILES ON

 

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Capitolo 16
*** Il figlio dello stregone ***


Note influenzali: Ho sempre avuto un rifiuto mentale nei confronti di queste pagine, per cui riuscire a pubblicarle (anche se sotto l'effetto del paracetamolo) mi dà un senso di liberazione.
L'unica cosa che mi spiace è che adesso non ho piu' scuse e mi tocca trovare la forza psicologica per scrivere l'ultimo capitolo. ;_;
Per il momento, mi limiterò a strisciare sotto i miei piumoni e a cercare conforto nel mio Chtulhupeluche, mentre assicuro lo stipendio ad almeno un paio di operai della Scottex. *etcì*


* * *




Leon Reynolds non aveva mai sofferto di emicrania.
Subito dopo la morte di suo padre,  però, aveva iniziato ad avere degli improvvisi attacchi di mal di testa. All’inizio non ci diede peso; ma quando, dopo alcune settimane, Leon ebbe fra le mani i risultati della risonanza magnetica che gli era stato consigliato di fare, impallidì.
Rimase fermo a fissare il foglio con aria incredula per dei lunghissimi minuti, leggendolo e rileggendolo. Alla fine, lo stracciò e lo gettò via.

Aneurisma cerebrale. Nel suo cervello c’era una bomba ad orologeria di cui non si poteva leggere il timer, posizionata in un punto così delicato da rendere impossibile qualunque operazione chirurgica di rimozione. Premeva contro le arterie alla base del suo cervello e minacciava costantemente di rompersi e ucciderlo, ma tutti i medici che sentì lo rassicurarono sul fatto che non era detto che sarebbe successo.
All’inizio, Leon protestò. Poi lo accettò. Quando però notò che i suoi mal di testa diventavano sempre più frequenti, decise di godersi quelli che supponeva fossero i suoi ultimi mesi di vita, e iniziò a frequentare sempre più spesso la parte divertente di Las Vegas.

Gli ci volle un tempo sorprendentemente breve per rovinarsi. A quel punto, preso dal senso di colpa, si preoccupò almeno di salvaguardare ciò che restava della sua famiglia: trovò un fidanzato per sua sorella, un brav’uomo. Cercò di non lasciarle troppi debiti sulle spalle. E poi si rassegnò.
Una notte, Leon stava rovistando nello studio del suo defunto padre in cerca di qualche oggetto di valore da poter rivendere per pagare i suoi debiti da gioco. Quel posto lo disgustava a causa dei ricordi che gli faceva tornare alla mente, ma sapeva che nella biblioteca personale di quell’uomo vi erano edizioni rare, forse uniche, che avrebbero potuto fruttargli qualche migliaio di dollari.
Prese un libro dalla copertina nera e consunta: le pagine, sottili come carta di riso, erano riempite di scritte e strani disegni fatti a mano. Sembrava valere qualcosa, ma, quando Leon riconobbe la scrittura piccola ed elaborata di suo padre, seccato, lo gettò a terra e passò ad altro.
Pochi secondi dopo, avvertì un fruscio alle sue spalle: voltandosi, l'uomo scoprì che il libro nero, senza apparente spiegazione logica, adesso era poggiato sulla scrivania.
Più incuriosito che spaventato, Leon gli si avvicinò: non senza timore iniziò a sfogliarlo, e scoprì che parlava di alchimia, spiriti ed incantesimi. Avvertì uno strano brivido percorrergli la schiena. Non credeva alla magia, non ci aveva mai creduto – ma suo padre non era un folle, si era sempre comportato in modo strano e nessuno aveva mai veramente capito come avesse tirato su la sua fortuna.
Esaminando meglio quella biblioteca, Leon scoprì molti altri tomi di magia nera. Lesse appunti, trovò pergamene antiche e ritagli di giornale che parlavano di omicidi e satanismo.
Sono il figlio di uno stregone,” concluse Leon dopo molte ore, quando ormai, fuori, l’alba era sorta da un pezzo.
Il comportamento della donna che lo aveva dato alla luce, di colpo, gli fu più chiaro.

All’interno di uno scrittoio, Leon trovò una grossa chiave di ferro che apriva la cantina in cui aveva visto scendere suo padre tante volte: scoprì che, in realtà, era una grossa stanza occupata per la maggior parte da elaborati strumenti alchemici, arnesi arrugginiti e, soprattutto, ingredienti.
Da quel giorno, Leon cambiò: abbandonò i suoi discutibili passatempi e si chiuse nello studio del padre.
Sentiva che ormai era questione di poche settimane per lui – ma, se la scienza non poteva aiutarlo, forse, il sovrannaturale avrebbe potuto salvarlo.

Scoprì che i Demoni degli Incroci potevano esaudire un suo desiderio: lo avrebbero guarito, ma, dopo 10 anni, i cani del diavolo lo avrebbero trascinato all’Inferno.
Come è successo a mio padre,” realizzò mentre leggeva.
La prospettiva venire sbranato vivo e di essere condannato alla dannazione eterna non lo allettava, per cui continuò a sfogliare, studiare e frugare fra gli oggetti dello stregone, fino a che non scoprì la trascrizione di un’antica tavoletta di argilla denominata ‘Limbo’.
La notte stessa, Leon scese nella cantina, tracciò dei simboli sul pavimento e, seguendo le indicazioni della trascrizione, sistemò le offerte, le ceneri, il sangue, le candele di grasso e tracciò a terra un grosso cerchio con sale del Mar Morto.
Cominciò a recitare la lunga formula riportata nella trascrizione; quando finì, scoprì con disappunto che non era successo nulla.
Deluso, stava già per andarsene, quando qualcosa precipitò, letteralmente, all’interno del cerchio di sale. Leon sobbalzò per lo shock.
L'essere era un ammasso di pezzi di carne grigiastra e sangue rappreso, vestito di stoffe stracciate e insanguinate. Era accasciato a terra, la testa seppellita in un mucchio di capelli rossi e sporchi. L
e sue spalle si sollevavano e si abbassavano senza un ritmo preciso, mosse da sospiri e singulti irregolari.
Tremando di gioia e stupore, Leon gli si avvicinò per guardarlo più da vicino, ma, quando fu a pochi passi, quello sollevò di scatto la schiena e smise di fare qualunque cosa stesse facendo.
 “Scusi…“ provò l’uomo con cautela, “…sei per caso un’Entità Superiore dell’Oltretomba?” chiese.
L’entità rimase perfettamente immobile. “Sei per caso un idiota?” rispose con la voce arrochita di una donna, perché, sì – seppur conciato male, sembrava proprio una donna umana.
Leon si accigliò. Non pensava che gli Spiriti Antichi fossero così antipatici.
“Qual è il tuo nome?” le domandò.
“J…?” provò quella. Poi rovesciò la testa all’indietro e scoppiò in una risata orribile. In quel frangente, Leon notò che aveva un grosso foro al centro della gola.
“N-Non ha importanza,” borbottò l’uomo, deglutendo. “Ora tu mi aiuterai,” dichiarò poi.
L’essere, furioso, mosse una mano ischeletrita nella sua direzione, e cercò di oltrepassare la linea di sale, ma non ci riuscì, perché Leon lo aveva vincolato e imprigionato lì dentro. Iniziò a gridare e minacciare, ma Leon non vi diede peso e la lasciò semplicemente sfogare.
Lui ci credeva davvero. La trascrizione diceva che le Entità del Limbo avevano poteri immensi, e  lui era convinto che quel mostro potesse guarirlo con uno schiocco delle dita.
O roba del genere.
Dopo qualche ora scoprì con disappunto che quell'entità sembrava non essere in grado di far nulla a parte parlare in lingue strane, supplicarlo, ridere sguaiatamente, piangere, gridare come un ossesso o fissare il vuoto come se stesse ascoltando delle voci  inesistenti.
L’uomo si chiese se tutte le entità ultraterrene fossero così; non aveva né il coraggio né gli ingredienti per evocarne altre, per cui decise di continuare a tentare con quella che aveva.
Un paio di giorni dopo, Leon stava facendo colazione insieme a sua sorella, che era immersa nella lettura di uno dei suoi romanzetti. Lei non sapeva né del suo stato di salute né dell'esistenza del sovrannaturale, ed era ancora arrabbiata con lui per il suo fidanzamento forzato; ma, al momento, l’irritazione di sua sorella era l’ultimo dei problemi di Leon.
Il notiziario televisivo gli mostrò le immagini di una inaspettata caduta di meteore che aveva interessato l’intero pianeta.  Quando, poco dopo, Leon ridiscese nella segreta, scoprì che l’entità stava ridendo istericamente.
“Quindi sono caduti,” mormorava con soddisfazione. “Ben gli sta.”
“Caduti chi?”
“Gli angeli.”
“Angeli?”
“Possono aiutarti. Chuck. Chuck Shurley, il Profeta,” farfugliò l’entità, e poi ricominciò a ghignare cupamente.
Era la prima volta che diceva qualcosa di sensato, per cui Leon decise di seguire le sue istruzioni e cercare informazioni sull'uomo chiamato Chuck Shurley.


*


Molti giorni dopo, Leon spalancò furioso la porta della segreta.
Raggiunse l’entità a grandi passi e sbatté davanti dal cerchio di sale un grosso manoscritto spaginato.
“Questi,” sibilò con rabbia, “sono i testi dei libri mai pubblicati del disperso signor Shurley, e io ho speso un sacco di soldi per riuscire a procurarmeli. Credevo fossero testi di magia, invece sono solo stupide storie sul sovrannaturale. Che cosa significa?”
“Se tu potessi… liberarmi,” biascicò lei supplichevole, gli occhi bassi, “potrei spiegare.”
“Inizia a parlare,” le ordinò Leon, massaggiandosi piano la testa.
Con aria docile, quella gli spiegò che quanto riportato in quei manoscritti, e in generale tutto ciò che aveva scritto Chuck Shurley, era reale, perché lui era un Profeta.
L'uomo passò i giorni successivi a leggere i manoscritti con attenzione. Si rese conto che, pur essendo stati scritti anni fa, quei fogli descrivevano con precisione fatti recenti, come l’ascesa di Dick Roman, e terminavano con la descrizione della pioggia di meteore che, in realtà, Leon scoprì essere una pioggia di angeli.

Non gli ci volle molto a rintracciare anche il resto dei libri che il Profeta aveva pubblicato sotto falso nome: non lesse l’intera collana ma si limitò a sfogliare solo quelli che, aveva scoperto, sua sorella aveva comprato qualche tempo fa.
Si chiese se avere sempre avuto quei libri in casa non fosse stato un segno del Destino.

Leggeva velocemente, nervosamente e questo gli causava una grande stanchezza, insieme ad un forte senso di nausea.
“Supponendo che il trio Brokeback Mountain esista davvero,” disse qualche sera dopo all’entità, che in quel momento era tutta presa dal costruire una torre con le candele usate da Leon per evocarla, “come può essermi d’aiuto?”
“Gli angeli,” gracchiò lei in risposta, come al solito. La torre di candele rovinò a terra. “Io li sento. Stanno cercando Castiel. Io non posso guarirti, ma gli angeli… se glielo consegni, ti ricompenseranno. Con la salute. E il Paradiso.”
Leon sospirò, speranzoso. I libri di suo padre non parlavano molto degli angeli, probabilmente perché gli stregoni erano piu’ interessati alle loro controparti infernali. Ma lui non voleva avere niente a che fare con quelle creature violente: lui voleva solo sopravvivere. E, possibilmente, non finire ai piani bassi a prendere il tè con Satana.
Il problema maggiore era che, stando a quanto diceva Shurley, quel Castiel aveva una fortuna sfacciata.
Inoltre, Leon aveva la bruttissima sensazione che quel tale Dean Winchester lo avrebbe fatto a pezzi senza troppi complimenti se avesse fatto del male al suo angioletto preferito.
Mentre ragionava su come sbrogliare quella matassa, i suoi piccoli occhi corsero sulla pergamena con la trascrizione: fu così che ebbe l’idea di spalancare le porte del Limbo e di gettarci dentro l’ex-angelo.

La tavoletta descriveva quel luogo come una fossa senza via d’uscita, situata nel livello più basso dell’oltretomba, completamente isolata. Solo lui conosceva il rituale per aprire e chiudere quelle porte e, una volta dentro, Castiel sarebbe scomparso, e i Winchester non avrebbero sospettato di lui.
Nei giorni successivi, Leon organizzò la catena di omicidi sovrannaturali che, a suo parere, avrebbero attirato l’angelo caduto. Ma non aveva il fegato di uccidere delle persone,  né la volontà di sporcarsi le mani, per cui decise di liberare l’entità che aveva sottomesso e mandarla a svolgere il lavoro.
Il piano di Leon andò a gonfie vele; come da copione, un fintissimo agente dell’FBI bussò alla sua porta: una volta riconosciuto in lui il famoso Castiel, Leon non impiegò molto per usare su di lui un semplice incantesimo per farlo assopire.
Stava già per organizzare il trasporto di quel corpo semiaddormentato nella segreta, in cui aveva già spalancato le Porte del Limbo; ma l’entità, apparsa di colpo nella stanza, catturò la sua attenzione.
 “Castiel,” sussurrò con voce piatta, indicando con l’indice teso verso l’uomo accasciato a terra.
“L’avevo capito,” rispose Leon, accigliandosi.
A quelle parole, lei iniziò a tremare violentemente; sbarrò gli occhi e spalancò la bocca, mugolando frasi senza senso e poi, un istante dopo, tornò normale:  
“Lascia che lo uccida,” disse tranquilla.
“Hai detto che dovevamo consegnarlo agli angeli,” le fece notare Leon, frugando nella sua tasca.
“No. Devo ucciderlo,” ribatté a quel punto l’entità con urgenza crescente nella voce, “è colpa sua! E’ colpa SUA!
Leon si accorse che i vincoli di controllo che aveva imposto su di lei stavano vacillando, ma non era un problema, perché aveva già deciso di distruggere le prove una volta preso Castiel.
Sospirando, tirò fuori dalla tasca una ciocca di capelli rossi.
L’entità si calmò di colpo.
“Ho capito perché non potevi aiutarmi,” disse con calma Leon, prendendo un accendino. “Tu non sei uno Spirito Antico, sei solo un fantasma di una povera donna finita nel Limbo. Ho fatto qualche ricerca su di te. Ho ritrovato le tue ossa e le ho fatte bruciate,” disse, dando fuoco ai capelli della donna. “Riposa in pace, Jane.”
“Tornerò,” gli sussurrò lei con voce dolce, bruciando.
Leon avrebbe preferito vederla urlare e dimenarsi. Rimase a fissare il punto in cui scomparve, leggermente scosso da quella minaccia così velata e tranquilla, poi scosse la testa e chiamò gli uomini che aveva assoldato, ordinando loro di occuparsi di Castiel.
Per sicurezza, decise che avrebbe continuato a spargere del sale intorno alla sua casa.

Poche ore dopo, su richiesta di Bartolomeo, Leon riuscì a catturare anche Sam e Dean Winchester.
Ma rinchiudere Dean nel Limbo e Sam nella sua casa non fusufficiente: non aveva idea di come, ma erano riusciti a fuggire, tutti e tre.
Fortunatamente, la schiera di Bartolomeo era intervenuta prima che fossero riusciti a scappare.
Leon, che per dei terribili istanti aveva creduto di aver fallito, mentre attendeva docile l’arrivo di Bartolomeo e del Team Free Will al completo, non riusciva a smettere di sorridere.
Ancora pochi minuti, e sarebbe finito tutto.



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Capitolo 17
*** Imperdonabile ***


18 Chiedo scusa.
Volevo chiudere baracca prima del nuovo episodio (perché lo so che è stupido, ma ho paura che ciò che accadrà fra Bart e Cas mi farà passare la voglia di scrivere per giorni), ma non ce l’ho fatta. 

Per cui, per limitare i danni, pubblico adesso quanto scritto finora e, visto che ormai sono le 2:30 passate, vado a godermi lo streaming della  9x14.
Mi occuperò del finale di questo tristissimo salto dello squalo (che in verità è l'unica cosa che ho mantenuto della trama che avevo scritto a novembre ma vabbeh xD) e dell'epilogo quanto prima.



* * *


Sul comodino accanto al letto di Leon c’era un’orribile abat-jour laccata d’oro a forma di cervo.
Ariel la afferrò e la scaraventò sul pavimento senza troppi complimenti.
“Non posso crederci!” strillò isterica, “mi assento un attimo e questa stupida incontra Castiel!”
L’angelo chiuso nella stanza con lei, steso a terra in un lago di sangue, emise un gemito strozzato.
Ariel sospirò, calmandosi. “Lo so,” gli disse, come se stesse dialogando con lui, “ma non posso farci niente se il Re del Limbo mi fa paura. Farebbe paura anche te, se avessi trascorso diecimila anni con lui.”
L’angelo tossì e rotolò su un fianco, ignorando il fatto che il suo tramite stava soffocando nel suo stesso sangue. Era stato colto di sorpresa: non si aspettava che dentro l’essere umano che gli era stato ordinato di osservare ci fosse quel mostro addormentato.
Non appena riuscì a mettersi seduto, aprì e chiuse più volte il pugno destro, ma non accadde nulla.
“Cerchi questa?” gli chiese Ariel, annoiata, mostrandogli la sua spada angelica. Gliela conficcò in mezzo alla fronte ancor prima che lui riuscisse a provare terrore.
L’essenza dell’angelo venne strappata via dal tramite e si dissolse.
Ariel estrasse lo spadino e osservò la lama sporca di sangue. Di colpo, curvò le labbra all’ingiù’. “Ti prego di scusarmi,”disse, dispiaciuta, al cadavere della sua sentinella, “ma ho davvero un po’ di cose da fare adesso.”


*


Quando Dean, Sam e Castiel varcarono la soglia dello studio dello stregone, Leon si voltò di scatto verso di loro. In quell’ultima ora era rimasto seduto sul divano di pelle nera al centro della stanza senza fiatare, così come gli era stato ordinato dagli angeli.
Bethael lo ignorò e chiuse la porta, lasciando la loro scorta all’esterno. Raggiunse la scrivania disposta davanti alla finestra e incrociò le braccia dietro la schiena, restando in piedi accanto alla sedia vuota.
Leon provò a rivolgerle la parola, ma lei gli lanciò un’occhiata così gelida che l’uomo rinunciò ancor prima di iniziare.
I tre prigionieri, dopo essersi scambiati uno sguardo incerto, studiarono la situazione.
La prima cosa che notarono fu l’assenza del famoso Bartolomeo. La seconda fu l’atmosfera oppressiva che permeava quel luogo: si trattava di un normalissimo studio – pulito, molto luminoso, arredato con uno stile moderno ed elegante – eppure, c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quei pochi metri quadri.
Sam e Dean conoscevano quella sensazione: la provavano ogni volta che entravano in un luogo in cui era stata praticata della magia nera.
“Quindi adesso siamo finiti nella versione infernale di The Apprentice,[1]” commentò Dean per spezzare la tensione, non sapendo cos’altro fare. Stanchi e privi di armi, erano in balia degli angeli e senza idee su come tirarsi fuori da quella situazione.
“E lui sarebbe Donald Trump?” scherzò Sam senza allegria, indicando con lo sguardo Leon, che sembrava essere terrorizzato dalla loro presenza.
“No, fratellino. Tu non te lo ricordi, ma quello è L-”
“…Lu…no…L-Leon?”
“Stavo per dire 'l'idiota che ucciderò con le mie mani',” borbottò Dean solo per spaventare l’uomo, “ma va bene lo stesso”. Squadrò ansioso il fratello. “Come ti senti? Ti è tornata la memoria?” gli chiese.
Sam si massaggiò le tempie con aria sofferente e non rispose.
“I ricordi sono come gli anelli di una catena,” osservò Castiel, distogliendo per la prima volta l’attenzione dalla stanza. “Basta afferrarne uno e gli altri inizieranno a riemergere di conseguenza.”
“Ariel,” mormorò Sam di colpo.
“Cosa?”
“Dean, quella ragazza che era con noi...era… è…un angelo…?” gemette. Sembrava abbastanza confuso, per cui il fratello gli scoccò un’occhiata poco convinta.
“E’ possibile?” chiese a Castiel.
L’angelo strinse gli occhi. “Quella donna era singolare, ma non credo che…” lasciò cadere la frase, incerto. “Sam, hai detto… Ariel?”
“Sì,” annuì lui, cercando di concentrarsi.  “Era una di quelle fan di Supernatural che tifano per… Sam per Dean. Come Becky, Dean, ti ricordi? E, Cas, ora che ci penso… credo che ce l’avesse a morte con te.”
Castiel scosse la testa. “Sam, io non conosco nessun angelo di nome Ariel,” ammise.
Dean sospirò esasperato.
“Non me lo sono sognato!” protestò il cacciatore più giovane.
La discussione terminò lì perché, un attimo dopo, un angelo fece il suo ingresso nella stanza. Il suo tramite era un uomo biondo attraente, sulla quarantina; il suo fisico asciutto era avvolto in un vestito d’affari semplice ma visibilmente costoso e, quando i suoi occhi azzurro ghiaccio si posarono su di loro, Sam e Dean avvertirono l’impellente bisogno di inchinarsi.
Durò solo un istante, poi tutto tornò normale.
“Bartolomeo,” spiegò Castiel, con voce  traboccante di devozione.
L’hashmallim sedette alla scrivania, accanto al suo luogotenente. Notando gli scaffali pieni di libri di magia nera, storse un poco gli angoli della bocca, anche lui in evidente disagio.
“Cerchiamo di fare in fretta,” disse a Bethael in tono composto e professionale.
“Mi scusi,” si intromise Leon tossicchiando. Si avvicinò alla scrivania abbastanza da poter posare i palmi sul legno laccato.  “Lei è Bartolomeo, vero? Abbiamo parlato al telefono qualche ora fa. Come mi ha chiesto, io ho…”
Bartolomeo sollevò una mano e non fu chiaro se Leon smise di parlare di sua spontanea volontà o se qualcosa lo costrinse a farlo.
Ad ogni modo, l’uomo indietreggiò di un passo e ricadde seduto su una delle due sedie alle sue spalle, le labbra serrate.
Bartolomeo si focalizzò su Castiel. “Castiel, quanto tempo,” lo salutò con un sorriso ipocrita. “L’ultima volta che ti ho visto, Naomi ti stava supplicando di non tradirci. Dimmi, sei soddisfatto della scelta che hai fatto? Ti stai divertendo?”
L'angelo, in risposta, scosse la testa in modo impercettibile. Era stranamente disorientato e sembrava che fosse quasi sul punto di piangere.
Dean roteò gli occhi. “Ne hai ancora per molto, coglione?” disse a Bartolomeo.
Bethael trasalì come se qualcuno l’avesse appena pugnalata, ma l'ex-apostolo rivolse a Dean un’occhiata che si potrebbe definire divertita.
“Chiedo scusa?”
“Sì, andiamo. Torturaci,” proseguì il cacciatore, lottando contro l’istinto di prostrarsi a terra e chiedere perdono. “Uccidici tutti e facciamola finita qui. E’ questo quello che vuoi fare, no?”
Bartolomeo continuò sorridere. Il suo sorriso era così perfetto ed educato da essere spaventoso.
La sua reazione mandò Sam in un panico silenzioso, ma Dean non si lasciò intimidire e mantenne la testa alta.
Alla fine, Bartolomeo si alzò dalla scrivania e iniziò a camminare verso di loro, senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo. Per dei lunghissimi secondi, il rumore dei passi dell’angelo e i respiri nervosi dei due cacciatori furono gli unici suoni a riempire la stanza.
Bartolomeo materializzò la sua spada angelica e la tenne in equilibrio fra le dita affusolate per mostrarla a Dean.
“Sai come si chiama questa?” gli chiese, quando gli fu di fronte. “Il suo nome è Misericordia [2],” si rispose subito dopo. “E’ un’arma benedetta da nostro Padre. Voi mortali, nel passato, la usavate per uccidere i servitori di Dio gravemente feriti in battaglia, in un atto di compassione. Vedi, Dean, utilizzare Misericordia per torturare significherebbe dissacrarla.”
Lui sbuffò una risata ironica. “Lo terrò a mente quando te la infilerò su per il–“
“Dean!” lo richiamò Castiel, interrompendolo.
Lui si voltò a guardarlo. “Ma sei impazzito?!” mormorò, incredulo. Fu solo in quel momento che si rese conto che il suo compagno gli stava rivolgendo uno sguardo tanto confuso quanto sconvolto. C’era una sorta di battaglia interiore dentro di lui – ed in effetti, realizzò Dean, se la sola presenza di Bartolomeo non lasciava indifferente lui stesso, figuriamoci cosa doveva provare Castiel di fronte al suo superiore. Gli lanciò comunque un’occhiataccia.
“Winchester, che esseri peculiari. Ammetto che all’inizio non eravate fra i miei interessi,” dichiarò Bartolomeo, allontanandosi, “ma ho cambiato idea.”
“Che cosa vuoi da noi ?” domandò Sam.
Bartolomeo indicò loro il lussuoso divano lì vicino. “Sedetevi.”
Sam, Dean e Castiel eseguirono l’ordine con riluttanza, e ben presto le molle sensibili del divano cigolarono rumorosamente sotto il loro peso. Bartolomeo si accomodò sulla poltrona di fronte: appoggiò il gomito sul bracciolo e accavallò le gambe, accarezzandosi il mento ben rasato.
“Come sapete,” esordì dopo una pausa, “noi angeli stiamo cercando dei tramiti. La maggior parte delle gerarchie minori è riuscita a trovarne di dignitosi, ma noi hashmallim stiamo incontrando delle difficoltà. Il nostro potere è troppo grande per essere contenuto in un generico involucro umano. Io stesso ho faticato enormemente per trovare questo,” disse, indicando l’uomo che stava indossando. “Al momento, sono l’unica dominazione  a camminare sulla Terra.”
“Che peccato,” mormorò sarcastico Dean.
“E quindi?” chiese invece Sam, sospettoso.
“Voi Winchester siete dei tramiti molto potenti,” tagliò corto Bartolomeo, “ospiterete l’essenza di due hashmallim.”
“No,” si lasciò sfuggire Castiel, impallidendo.
Bartolomeo gli rivolse un altro dei suoi larghi sorrisi di circostanza.
“Forse non lo sai, Bart, ma io e mio fratello abbiamo rifiutato degli arcangeli,” rispose Dean con particolare strafottenza. “Perché dovremmo dire di sì a delle toffolette?”
L’angelo non colse la battuta, o forse decise di passarci sopra. “Perché la situazione è drammatica,” rispose, accigliandosi. “Appena fuori da qui, migliaia di angeli smarriti stanno generando il caos. Sono soli, disperati, del tutto fuori controllo. Ad esempio, in questo momento,” proseguì, socchiudendo gli occhi, “quella che voi chiamate 'radio angelo' mi sta informando che la guarnigione medica dei Rit Zien sta uccidendo tutti gli esseri umani con un'anima ferita, perché non riesce a capire come guarirli.[3]
Sam e Dean lanciarono uno sguardo interrogativo a Castiel, che confermò la notizia con un cenno desolato.
Dean gettò le spalle contro lo schienale della poltrona e imprecò a bassa voce.
“Il compito di noi dominazioni è quello di assicurare l’ordine delle cose. Io, da solo, non posso badare all’intero pianeta, ma, se riuscissi a far manifestare i miei fratelli, insieme potremmo fermare questa follia. Organizzeremmo le schiere angeliche, placheremmo le violenze; ci occuperemmo dei demoni e dei mostri. Abbiamo perso il nostro Paradiso, ma possiamo ricrearne uno in questo mondo.”
“Un Paradiso governato da voi,” concluse Sam in tono piatto.
“Ovvio.”
“E se ci rifiutassimo?”
“Continuerò a cercare dei contenitori utilizzando i miei metodi,” rispose Bartolomeo senza battere ciglio, rialzandosi in piedi. Si rivolse finalmente a Leon: “Tu hai detto di essere malato,” gli disse, e lui annuì rapido. “I miei fratelli possono guarirti dall’interno, ma, affinché ciò avvenga, devi dar loro il permesso di entrare dentro di te.”
Leon non ci pensò neanche per un secondo. “D’accordo,” dichiarò.
Bartolomeo allargò le braccia e recitò la giusta preghiera di invocazione: un’essenza angelica si manifestò nella stanza e discese sul giovane uomo.
“Aspetta!” gridò Castiel balzando in piedi, ma l’angelo si era già infilato nella bocca di Leon.
All’inizio, non successe niente. L’istante dopo, però, il corpo dell’uomo non riuscì a sopportare la presenza dell’angelo al suo interno ed esplose come un palloncino troppo gonfio. Sam e Dean si ritrovarono ricoperti di sangue e pezzi di interiora, nonostante Castiel avesse tentato di fare del suo meglio per coprirli con il suo corpo, abbassandosi su di loro.
Sam lo scansò, scattò in piedi e prese a tossire, cercando di sputare fuori qualcosa che gli era finita in bocca. In generale, frammenti di pelle, ossa e organi erano schizzati dappertutto, sporcando ogni singolo centimetro della stanza.
Il vestito di Bartolomeo era rimasto immacolato. L’angelo tirò fuori dalla tasca un fazzoletto profumato e si rinfrescò il viso. “Neanche lui era un buon contenitore. Andrà meglio al prossimo tentativo,” constatò, beandosi dello sguardo scioccato dei due cacciatori. “Continuiamo il nostro discorso da un'altra parte, per favore? Non credo ci siano più sedie pulite,” disse poi. Diede loro le spalle e scivolò fuori dallo studio.
Castiel era ancora chino su Dean. “Vi sta provocando,” riuscì a sussurrargli.
“Tu dici, Patrick Jane?” replicò lui amaramente. [4]
“Stai calmo.”
Dean digrignò i denti. Sam, da quando si era ripreso, era un pendolo che oscillava fra il terrore e lo sconcerto, complice anche il suo vuoto mentale. Lui, invece, era frustrato e palesemente agitato.
Nelle ultime ore aveva subìto troppo, e le ultime novità di Bartolomeo erano state solo un ulteriore trauma da aggiungere alla lista dello schifo generale che Dean giudicava essere era la sua esistenza.

Per lui, sarebbe stato meglio se quell’angelo si fosse rivelato un semplice pazzo sadico. Lui e Sam avevano rifiutato la sua richiesta a prescindere, ma Dean non era affatto sicuro di aver fatto la cosa giusta: si sentiva come ai bei vecchi tempi dell’Apocalisse, quando la gente moriva a dozzine ogni volta che lui ripeteva il suo ostinato ‘no’ a Michele.
“Muovetevi,” ordinò Bethael con voce ferma. Li aveva raggiunti e sfiorati, facendo tornare i loro vestiti come nuovi.
Non avendo nessun’altra scelta, Sam, Dean e Castiel furono costretti ad obbedire.
Bartolomeo aveva deciso di attenderli nell’immenso salone che aveva ospitato la festa di quella notte; quando Sam, Dean, Castiel e Bethael lo raggiunsero, lui era fermo ai piedi degli scaloni di marmo in fondo alla stanza; era impegnato ad ammirare i giochi di luce che i cristalli del sontuoso lampadario appeso alcuni metri sopra di lui creavano con le luci del sole appena sorto.
L’ambiente era freddo e il silenzio che aleggiava nella casa era innaturale.
C’erano almeno dieci angeli in quel salone; uno di essi si avvicinò a Bartolomeo e gli porse una scatola di legno.  “L’abbiamo recuperata nel sotterraneo,” spiegò.
L’hasmallim la aprì e ne estrasse la Colt. La rigirò fra le dita con poco interesse e poi la rimise a posto. “Quest’arma è pericolosa. Va fatta sparire, ma ci penseremo dopo.”
L’angelo fece un cenno affermativo e poi si allontanò, con la scatola ancora fra le mani. Sam seguì i suoi movimenti con la coda dell’occhio e tirò una gomitata al fratello, che annuì in risposta.
Se fossero riusciti a creare abbastanza casino da arrivare a mettere mano su quella pistola…
“E’ un piano ridicolo,” osservò Bartolomeo, serafico, senza neanche girarsi a guardarli.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“D’accordo,” esordì Dean, muovendosi a grandi passi verso l’angelo. “Ascolta,  figlio di puttana…”
Un istante dopo, il cacciatore fu costretto a fermarsi. Tirò indietro la testa d’istinto, ma non riuscì a capire subito perché l’aveva fatto.
Dean impiegò qualche secondo per realizzare che un qualcosa era apparso a pochi centimetri dalla sua gola. Non riusciva a vederlo, ma percepiva chiaramente la sua presenza: era un oggetto piccolo, gelido e molto potente.
Fece corre lo sguardo verso Bartolomeo e scoprì che l’angelo si era voltato di profilo verso di lui; aveva allargato le  gambe, sollevato un braccio e teneva le dita chiuse in un pugno largo.
A giudicare dalla distanza e dalla posizione che aveva assunto, Dean capì che, per quanto assurdo fosse, Bartolomeo gli stava puntando contro una lancia invisibile lunga almeno un paio di metri.
Dietro di lui, Sam si voltò verso Castiel in una muta richiesta di spiegazioni, ma l’angelo teneva gli occhi fissi sulla scena e sembrò non accorgersi di lui. Anche Bethael era rimasta a bocca aperta, e per questo motivo Sam capì che quell’arma incorporea, qualunque cosa fosse, era qualcosa di grosso.
“Heilige Lanze,” sussurrò Bartolomeo con dolcezza. “La Lancia Sacra,” tradusse poi. “Quella vera [5]. Non che mi aspettassi che voi mortali sareste riusciti a vederla.”
Bartolomeo abbassò il pugno e Dean avvertì la punta della Lancia allontanarsi dal suo collo. “Non potete sperare di sopraffarmi,” disse semplicemente. “Quanto a Leon Reynolds, era corrotto dal sangue di uno stregone e meritava di essere distrutto. Ma molti altri esseri umani no, e so che voi ci tenete a loro.”
Quindi erano già passati ai ricatti. “Vaffanculo,” rispose Dean con fin troppa rapidità.
“Capisco. E tu, Castiel, cosa ne pensi?”
In un lampo di panico del tutto irrazionale, Dean si chiese se Bartolomeo avesse intenzione torturare a morte Castiel per costringerli a dire di sì.
Lui parve pensare la stessa cosa. “Se vuoi uccidermi, fallo e basta,” rispose con voce sommessa.
“Credo che ci sia un equivoco, fratello. Quello che ho detto ai Winchester vale anche per te,” spiegò l'ex-apostolo. “Vedi, è colpa tua se siamo caduti e ciò ti rende virtualmente imperdonabile. Ma il tuo tramite non merita di essere sprecato in questo modo;  per cui, ho deciso che riconsegnerai la Grazia che hai rubato e ti concederai a Zadkiel.”
Castiel perse ogni traccia di colore sul viso.
“Ed ora chi sarebbe questo stronzo?” domandò Dean con disprezzo.
Zadkiel,” lo corresse Bartolomeo. “E’ l’angelo che ha impedito ad Abramo di uccidere Isacco.” Ignorò il fatto che Dean avesse alzato gli occhi al cielo. “E’ il comandante di noi dominazioni,” continuò a spiegare, “l’Angelo del Perdono.”
Castiel era incredulo. “Vuoi farmi davvero possedere da Zadkiel?” domandò.
“Sì. Ironico, vero?” sussurrò dolcemente Bartolomeo. Dal modo in cui iniziò a muovere le mani, Dean e Sam capirono che aveva preso a giocherellare con la Lancia, facendola roteare con casuale destrezza. Di colpo, la puntò verso Castiel. “Tu ce lo devi,” proferì, grave, “quindi acconsenti.”
Lui si morse le labbra, respirando forte. I due cacciatori sapevano che stava cercando di combattere contro l’aura di obbedienza e rispetto che emanava Bartolomeo, ma non osarono parlare.
Castiel strinse i pugni e solo dopo molti secondi osò sollevare lo sguardo sul suo superiore. “Fottiti,” scandì, anche se con voce tremante.
Dean si lasciò sfuggire una risatina soddisfatta.
Bartolomeo, che evidentemente non si aspettava di essere respinto in quel modo, storse le labbra e, per la prima volta dal loro incontro, iniziò ad incupirsi. Fece un cenno a Bethael e lei materializzò la sua spada.
L’angelo sembrò decisamente contenta di poter finalmente affondare la sua lama nella carne di colui che l’aveva fatta cadere. Trapassò il fianco di Castiel in un punto non così importante da ucciderlo, ma delicato abbastanza da farlo gridare dal dolore e cadere in ginocchio.
Dean scattò automaticamente verso di lui, ma due seguaci di Bartolomeo gli presero le spalle e lo mantennero fermo. “Avevi detto che non ci avresti torturato!” ringhiò allora il cacciatore, furioso.
“Infatti quella era una punizione,” precisò lui in tono neutro.
“Siete davvero degli stronzi, sapete?” incalzò Sam, mentre veniva a sua volta immobilizzato.
“Può darsi. In ogni caso, voi tre verrete con me. Sono sicuro che prima o poi riuscirò a farvi cambiare idea.”
“Sei un…”
“…dominatore,” terminò Bartolomeo, aggiustandosi la giacca, “e ottengo sempre quello che voglio.” Raggiunse Dean e gli prese il mento fra le dita, costringendolo a guardarlo in faccia. “E, tu, invece, cosa sei, Dean? Pensaci. Puoi scegliere di farti purificare dalla presenza di uno di noi oppure distruggere il mondo, perché temo che sia questo ciò che finirai per fare.”
“Devo dirtelo, Bartolomeo,” si intromise a quel punto una voce femminile sopra le loro teste. “Eri partito bene, ma ora sta diventando una noia totale.”
L’hashmallim lasciò andare la presa su Dean e portò lo sguardo sul punto in cui proveniva quella voce.
Seduta in equilibrio sulla cima della balaustra, c’era Ariel. L’angelo teneva le mani poggiate sulla ringhiera e li stava guardando, probabilmente da tempo.
“Che razza…” sobbalzò Bartolomeo, sorpreso dal fatto di non essersi accorto prima di quella presenza, “che razza di abominio sei tu?”
Dean parve stupito dal fatto che Sam non si fosse sognato che la sorella di Leon fosse un angelo. Non era però certo se quella era una buona notizia o meno. Cercò di approfittare della distrazione di Bartolomeo per liberarsi, ma la presa dei suoi sottoposti era di marmo e, per quanto il cacciatore tentasse di strattonarli, non riuscì a farli smuovere di un millimetro.
Dal canto suo Sam, dopo un primo attimo di incertezza, fece l’unica cosa sensata che gli venne in mente.
“Ehi, Ariel!” gridò. “L’hai sentito? Bartolomeo vuole usarci come tramiti!”
“Che idea stupida,” osservò lei. “Io ne ho una migliore.”
Sparì con un frullio d’ali per ricomparire al centro nella stanza, e a quel punto sorrise. “Tutti gli angeli muoiono!” esclamò. Sollevò la mano e una luce argentea e accecante esplose nel salone con un boato.
Dean e Sam serrarono gli occhi d’istinto e non osarono aprirli nemmeno quando sentirono la presa degli angeli svanire dai loro corpi. Udirono delle grida sconnesse e dei tonfi sordi, e solo quando la situazione tornò stabile si resero conto che tutti i subordinati di Bartolomeo erano stati letteralmente spazzati via, ed ora giacevano immobili al suolo.
I due cacciatori non ebbero il tempo di allietarsi della cosa perché si accorsero presto che Castiel aveva subito la stessa sorte.
“Maledizione,” sibilò Sam in un sussurro colpevole, ma Dean non lo sentì perché si era già precipitato verso il suo compagno.
La visione periferica del cacciatore biondo registrò a malapena l’immagine di quella Ariel che, dall'altra parte del salone, rovesciava la testa e scoppiava in una risata degna di un pessimo film horror.
Castiel era stato scaraventato contro la parete dietro di lui ed era scivolato a terra inerte. Aveva gli occhi semichiusi e il respiro assente. Dean non aveva idea di come funzionassero gli angeli, per cui lo scrollò più volte, ma senza successo. Spaventato, gli prese il viso fra le mani e chiamò il suo nome e sì calmò solo quando lui riprese i sensi.
“D-Dean,” mugolò l’angelo in un sussurro appena percepibile.
Dean esaminò il suo corpo in cerca di ferite, ma non trovò nulla. Persino quella che Bethael gli aveva inflitto era scomparsa, probabilmente a causa dei sigilli sul suo bracciale.  
Tutto sommato, Castiel se l’era cavata bene rispetto ai suoi fratelli: gli altri angeli erano ancora a terra e privi di sensi. Due di loro non ce l’avevano fatta, e i resti delle loro ali spezzate stavano bruciando il pavimento e le finestre.
Bartolomeo era l’unico angelo che era riuscito a mantenersi in piedi. Aveva i pugni serrati sulla Lancia, che a quanto pareva aveva piantato a terra e usato come appoggio per non lasciarsi trascinare via. Ansimava, aveva i capelli spettinati e il bel viso contorto in un’espressione sfinita.
Dean non osò immaginare che tipo di potere potesse aver causato una devastazione tale in così pochi secondi.
“Chi diamine è quella?” domandò a Castiel, mentre Sam li raggiungeva.
L’angelo, indebolito e incatenato dalle restrizioni, avvertì il controllo che aveva sulla sua Grazia vacillare, ma cercò ugualmente di usarla per esaminare Ariel.
Scoprì che il suo vero aspetto era del tutto simile a quello di un umano, ma, dalla sua schiena, dipartiva una grossa protuberanza dotata di tre teste deformi che si dimenavano sofferenti; Ariel, inoltre, aveva una sola ala composta da piume aguzze e completamente marce. La sola presenza di quell’essere rivoltante faceva contorcere dolorosamente la Grazia di Castiel, causando all’angelo una fitta di disgusto quasi palpabile. Il suo tramite doveva aver reagito in modo strano, perché Dean iniziò a scuotergli le spalle.
“Ehi, ehi, Cas, resta con noi!”
Castiel non riusciva a coordinare bene i pensieri, ma si rese conto che doveva avvertire Dean e Sam del pericolo. “No…” disse con voce flebile, “…n-non  è un angelo. Non… del tutto, almeno. Sam, l-lei ti...ti ha mentito.”
“Che cosa?!” esclamò lui, sbalordito.
Castiel cercò di riscuotersi. Ricordava benissimo il giorno in cui aveva incontrato quell’essere. Era stato alcuni mesi fa, ad Ojai, in California. Lui si trovava nel caffè che serviva le migliori crêpes alla mela caramellata del mondo, e lei era una cameriera sorridente di nome Jane.
Metatron gli aveva rivelato che era la sua Prima Prova. All’inizio, Castiel aveva visto solo il suo involucro umano ed aveva creduto che la dolce Jane fosse solo una vittima sacrificale; ma, quando in seguito lei aveva mostrato il suo vero aspetto e si era scagliato contro Metatron, Castiel aveva compreso che era giusto distruggerla, perché quegli esseri erano dei mostri.
“Nephilim,” esalò. “Lei… era la progenie di un angelo ed un umano.”
Dean si girò a guardare Ariel, che ora li stava osservando da lontano, in attesa. Aveva smesso di ridere come una psicopatica già da un paio di minuti. “Hai detto …era?” disse rapidamente.
“Io… l-l’ho uccisa, in passato.”
“Stai dicendo che è mezzo angelo e mezzo umano?!” domandò Sam.
“Sto dicendo,” scandì Castiel, cercando di mantenere la voce ferma, “che è...per metà angelo e per metà spirito.”
Il viso di Sam formò un’espressione di shock che, in un’altra situazione, sarebbe apparsa decisamente comica.
“Okay, come la uccidiamo?” chiese invece Dean in tono pratico.
Purtroppo, Castiel non aveva idea di come farlo. Non sapeva se una spada angelica fosse in grado di uccidere qualcosa che era già stato ucciso, e lui era troppo debole e troppo vincolato per riuscire ad esorcizzare Ariel usando il suo mojo.
Non sapeva cosa fare, ma sapeva che non poteva permettersi di restarsene seduto in un momento del genere. Cercò allora di rialzarsi, puntellandosi sui palmi. Dean lo aiutò ma, una volta in piedi, l’angelo fu costretto ad aggrapparsi a lui per non cadere a terra a causa del dolore. Infatti, anche se aveva smesso di sanguinare, la ferita che gli aveva inferto Bethael continuava a bruciargli il fianco: probabilmente, era troppo profonda per essere guarita interamente da un semplice sigillo.
In quelle condizioni, Castiel si sentiva ancora più inutile di quando era un essere umano.
Dean parve accorgersi del suo turbamento e strinse appena la presa che aveva su di lui.
I tre prigionieri non avevano bisogno di parlarsi per capire qual era il vero problema: se Ariel era mezzo fantasma perché Castiel l’aveva uccisa, non avrebbe trovato pace finché non fosse riuscita a vendicarsi di lui.
In pratica, si trovavano nella stessa stanza con uno spirito vendicativo con i poteri di un angelo, così potente da riuscire ad atterrare in un battito di ciglia un’intera schiera celeste: le probabilità di uscire vivi da quella casa, se qualche minuto prima erano basse, adesso erano precipitate al di sotto dello zero.
Quando vide che Castiel si era rimesso in piedi, Ariel esibì un largo sorriso allegro e agitò la mano nella sua direzione come per salutarlo. “Ciao Castiel! Ti ricordi di me? Mi hai rubato il cuore, tu, ignobile, maledetto imperdonabile bastardo,” disse, trasformando la voce, man mano che parlava, in un ringhio tetro e sovrannaturale.
“Lei intende… in senso fisico,” si sentì in dovere di spiegare Castiel ai due cacciatori. “Gliel’ho strappato via.”
“Come hai fatto a tornare?” domandò poi ad Ariel.
Lei inclinò la testa, improvvisamente confusa. “Tornare?” rispose, con voce di nuovo cristallina. “Tornare da dove? Dove andiamo noi quando moriamo? Io non sono andata né all’Inferno, né in Paradiso, né in Purgatorio. Mi sono risvegliata in un posto orribile, e credo di esserci stata per diecimila anni.” Si portò le mani al petto, abbracciandosi. “Orribile,” ripeté, tremando visibilmente.
“Credo che si stia riferendo a quel Limbo,” sussurrò Sam all’orecchio del fratello.
“Esagerata. Sono stato in motel del Texas peggiori,” rispose lui.
“Tu sei un abominio!” gridò Bartolomeo, in tono velenoso, dall’altra parte del salone. Si era ripreso abbastanza da poter restare in piedi senza appoggiarsi alla sua arma. La estrasse dal pavimento e si incamminò verso la nephilim, furente. “Sei un difetto che turba l’ordine divino. Era ovvio che non avresti avuto accesso a nessuno dei regni dell’aldilà.”
Ariel lo fissò, stanca.
“L’unica cosa che meritano quelli come te è essere cancellati da ogni piano dell’esistenza. E’ per questo che sei precipitata in quella fossa.”
La nephilim inclinò la testa nella sua direzione. “Non sei stato tu  a farmi del male,” osservò con calma.
Bartolomeo si era posizionato a metà fra lei e i Winchester e Castiel.
Ariel provò a superarlo ma, dopo pochi passi, si ritrovò la strada bloccata dall’asta della Lancia.
Voltò la testa e incrociò lo sguardo minaccioso dell’hashmallim. I due si fissarono a lungo, studiandosi in silenzio, ognuno aspettando che l’altro fosse il primo ad attaccare.
Nel mentre, Sam e Dean si guardarono in faccia e, di colpo, senza parlare, capirono cosa dovevano fare.  
Il piano era semplice e cristallino, e poteva riassumersi in una sola parola:
Filiamocela.






**



[1] The Apprentice, il reality show. Qui abbiamo Briatore, nella versione americana c’è Donald Trump.
[2] Personalmente credo che la spada degli angeli sia ispirata a quest’arma, ma non ho trovato nulla di canon a riguardo quindi boh! ç_ç 
[3] Vedi episodio 9x06, oppure QUI.
[4] Protagonista del tf americano “The Mentalist”.
[5] Heilige Lanze è la famosissimissima Lancia Sacra .

Ah, Jane invece è QUI; e, yep, l'altro nome che ha scelto ha un suo perché e verrà spiegato giuro dkfslfsdkfjsdlf..



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Capitolo 18
*** Over and gone ***


Nota che continuo a dimenticarmi da tipo 3 capitoli:
Guys guys guys questa è Ariel, l'ha schizzata Natsu per me ♥

Ariel



* * *




Sam e Dean non capirono se fosse stato Bartolomeo o Ariel ad iniziare.

In effetti, non riuscirono neanche a capire bene cosa stava succedendo fra loro due, perché i contorni dei loro corpi ardevano di una luce dolorosa da guardare.
Bartolomeo maneggiava la Lancia con una destrezza e una naturalezza tali che sembrava non aver fatto altro per tutta la sua vita: quell’arma era parte integrante del corpo, e i suoi affondi erano precisi e violenti. Ariel, dal canto suo, si limitava a evitare o parare gli attacchi del suo avversario. L’aria intorno a loro era elettrica e, ad ogni colpo, i vetri e le pareti tremavano e si crepavano pericolosamente.
Quando grossi pezzi di intonaco del soffitto cominciarono a staccarsi e rovinare ai loro piedi, Sam e Dean si scambiarono uno sguardo ansioso: sapevano che quella fra Bartolomeo ed Ariel non era una semplice zuffa fra mostri, ma che quei due erano forze sovrannaturali estremamente potenti che lottavano fra di loro; loro due e Castiel sarebbero stati il premio di chiunque avesse vinto.
Bartolomeo li avrebbe torturati fino a farli supplicare di consegnare i loro corpi agli angeli; Ariel, invece, innanzitutto avrebbe massacrato Castiel, e poi chissà cosa avrebbe fatto loro.
La prospettiva non era allettante in nessuno dei due casi, e fu per questo motivo che i due fratelli convennero che la strategia migliore era la cara, vecchia ritirata strategica.
Purtroppo, il loro piano era irrealizzabile.
Infatti, era chiaro che Bartolomeo era in seria difficoltà: l’angelo impegnava ogni singola fibra del suo tramite nel combattimento, ma riusciva a malapena a scalfire le difese del suo nemico. Era come se fosse troppo debole o troppo lento, e molto probabilmente ciò era dovuto al fatto che, a differenza di Ariel, lui aveva le ali spezzate.
Stando a quanto Sam e Dean sapevano sulla resistenza degli angeli, Bartolomeo avrebbe potuto continuare in eterno, ma la verità era che l’angelo avrebbe continuato finché Ariel non si fosse stancata.
Sam fu il primo a comprenderlo e a concludere che, anche se fossero fuggiti, non sarebbero riusciti ad andare lontano. Scartata l'idea della fuga, il cacciatore impiegò tre secondi netti per ricordarsi che la Colt era a una ventina di metri da loro: la individuò nel lato opposto del salone, ai piedi di una delle due rampe di scale che si arrampicavano simmetricamente al piano di sopra, e subito scattò in quella direzione.
“Sam!” urlò Dean allarmato, non appena intuì le intenzioni del fratello. Lui era limitato nei movimenti, perché stava ancora sostenendo Castiel.

Sam lo ignorò e si concentrò sulla sua missione. Tenendosi a distanza, riuscì ad aggirare con facilità Ariel e Bartolomeo, che parvero non badare a lui.
L’angelo che custodiva la Colt era disteso sul pavimento di marmo, cosciente ma apparentemente troppo debilitato o impaurito per osare muoversi: Sam lo superò e si buttò a terra, lì dove giaceva la scatola che conteneva l’antico revolver. La raccolse, la aprì e, ben presto, le sue dita si chiusero di nuovo attorno all’arma.
Il giovane ebbe un flashback di quando, solo poche ore prima, aveva puntato quella pistola al petto di suo fratello, e gli si strinse il cuore.
Nonostante i suoi ricordi fossero ancora nebulosi, Sam decise che Dean ne aveva già passate abbastanza per quel giorno. Non gli avrebbe fatto rischiare oltre: avrebbe messo lui la parola ‘fine’ a quella storia.
Si era appena rimesso in piedi quando sentì Dean gridare il suo nome, facendolo accorgere appena in tempo del pericolo imminente. Sam si gettò di lato un attimo prima che uno dei grossi lampadari della stanza si sfracellasse nel punto esatto in cui si trovava: Ariel vi aveva scagliato contro Bartolomeo, ed ora il tramite dell’hashmallim era a terra, sanguinante e trafitto dai pezzi di cristallo che gli si erano conficcati dappertutto.
Sam rotolò sul pavimento, coprendosi la faccia per evitare che i frammenti appuntiti gli finissero in bocca o negli occhi.

Nello stesso momento, dall’altra parte della sala, Dean avvertì un sibilo fendere l’aria, e percepì qualcosa guizzare alla sua destra. Comprese che si trattava della Lancia di Bartolomeo: lui doveva averla persa nella concitazione, ma Dean non riusciva a capire se si fosse infilzata da qualche parte o se fosse finita in mezzo al tappeto di intonaco e suppellettili spaccate che si erano rovesciate a terra durante la lotta. Dean non sapeva cosa fare.
Di colpo, Castiel premette la mano sul suo petto e spinse forte, costringendolo a mollare la presa che aveva su di lui.
“Vai da Sam,” gemette l'angelo. Senza più Dean a sorreggerlo, ricadde sulle ginocchia, corrugando il viso per il dolore.

Dean esitò ad allontanarsi da lui, ma decise di dargli retta.

Intanto, Sam aveva perso la Colt, che non era più in vista. I pezzi di cristallo brillante, che adesso occupavano gran parte del pavimento chiaro, gli avevano ferito le mani ma, per sua sorpresa, i tagli guarirono in pochi secondi. Mentre la sua pelle si ricuciva, il bracciale che gli angeli gli avevano infilato si riscaldò fino a far avvampare in modo fastidioso un punto imprecisato dentro di lui.
Sam capì che era quello a proteggere il suo corpo. Si era già domandato quale fosse la vera natura di quella banda metallica, ma adesso il motivo gli era chiaro. Quando la sensazione sgradevole fu passata, provò a strapparsi di dosso quell’oggetto, ma, in risposta al suo primo ingenuo tentativo, da esso partì una scarica di dolore così violenta da togliergli il fiato.

Ariel, nel frattempo, aveva sollevato di peso Bartolomeo, tirandolo su per la camicia stracciata.
“Tu credi di essere la più forte, vero?” mormorò lui derisorio, la traccia di un leggero sorriso sul viso sfregiato dai tagli.
Ariel non rispose; palesemente annoiata, lo scaraventò a terra e poi gli diede le spalle, abbandonandolo lì.
Bartolomeo non si arrese: materializzò nella mano sinistra un pugnale elaborato e si lanciò contro Ariel per colpirla. Lei si voltò indietro all’ultimo momento, stringendo una spada angelica fra le mani, mirando al suo petto.
Bartolomeo si spostò di lato ed evitò l’attacco. Nel mentre, sfiorò un punto preciso sull’elsa del suo pugnale e, in risposta a quel tocco, quello si aprì di scatto come se fosse un compasso a tre bracci: Bartolomeo intrappolò fra le lame la spada di Ariel e, con uno strattone, la disarmò.
L’hasmallim caricò un altro fendente, ma Ariel scomparve davanti ai suoi occhi con un frullio d’ali.
“Perché voi angeli non mi lasciate mai in pace?” si lamentò lei, ricomparendo a tre passi da lui. Affondò le mani nei capelli e se li scompigliò, lanciando un grido esasperato. “Se stato tu a volerlo!” gridò istericamente un attimo dopo, puntando il dito contro uno sconvolto Bartolomeo.
Gli occhi chiari di Ariel cominciarono a brillare di una luce argentea, che si diffuse rapidamente per tutto il suo corpo. Un potere rivoltante oscurò la stanza, lo spazio intorno a lei si contorse e distorse in un modo che somigliava al movimento dell’aria calda in estate; l’ombra della singola ala della nephilim diventò visibile agli occhi di Sam e Dean.
Bartolomeo fece un passo indietro, sudando freddo. Il suo istinto gli diceva di uccidere quell’essere indegno, ma sapeva benissimo che, allo stato attuale, non era in grado di farlo.
I nephilim erano dotati di poteri paragonabili a quelli di un angelo, ma lui ne aveva perso la maggior parte dopo la Caduta. Se l’avesse attaccata, sarebbe sicuramente morto, e Bartolomeo era consapevole di non meritare di una fine del genere.
L’angelo prese la sua decisione: in un tentativo tanto disperato quanto da vigliacco, mentre Ariel si preparava per annientarlo, spalancò la bocca ed evacuò il suo tramite il più velocemente possibile.
La nephilim si interruppe e sollevò la testa nel punto in cui l’essenza di Bartolomeo era sparita. Circondò la bocca con le mani. “Codardo!” gli gridò dietro. Avrebbe potuto inseguirlo o fermarlo, ma decise di lasciarlo andare.
Il corpo di Bartolomeo ricadde ginocchioni a terra. L’essere umano al suo interno riguadagnò la sua coscienza: il pover'uomo ebbe appena il tempo di notare che le sue mani erano ricoperte di sangue che si ritrovò davanti Ariel, che si era rannicchiata di fronte a lui.
“A-Aspetta,” mugolò con urgenza, spaventato. Lei gli strinse il collo con una mano e rilasciò il suo potere nel suo corpo, vaporizzandolo dall’interno mentre lui strillava e l’odore di carne bruciata si diffondeva nella stanza.
Quando ebbe terminato con il tramite di Bartolomeo, Ariel si rilassò e l’atmosfera divenne meno carica di tensione. Sospirò e poi, finalmente, si focalizzò su Castiel. Gli rivolse un sorriso allegro, come se fosse la sua migliore amica.
“Scusami se ti ho fatto aspettare,” gli disse, iniziando a camminare verso di lui. Intrecciò le mani e se le portò al petto, raggiante. “Sai, mentre ero in quel posto, ho dimenticato ogni cosa, tranne la necessità che ho di fare a pezzi la tua patetica, lurida essenza,” spiegò.
C’era qualcosa di terribilmente sbagliato nella felicità innocente con cui stava parlando in quel momento.
Castiel poggiò una mano sul ginocchio e cercò di rimettersi in piedi: impiegò fin troppi secondi ed energie per farlo. Vacillava, ma non si mostrò spaventato. La sua espressione era ferma e indecifrabile.
Aggrottò la fronte quando Dean si mise davanti a lui.
Ariel si fermò, interdetta. “Lui è mio. Vattene,” gli ordinò, con voce improvvisamente bassa e minacciosa.
“Costringimi, puttana,” replicò lui sprezzante.
“Dean,” disse Castiel, nel tono più deciso che poteva, “è una questione fra me e lei.”
Il cacciatore increspò le labbra. “Quella Meg, in fondo, aveva ragione,” osservò in tono casuale. “Scusa, Cas. Credo di essere davvero il tipo geloso.”
Ariel parve rattristata dal suo comportamento. Abbassò la testa. “Lo proteggerai fino a che non ti avrò ridotto in cenere, vero?” sospirò con una certa rassegnazione, giocando ad unire gli indici delle sue mani.
“Non lo so,” la provocò il cacciatore, “perché non ci provi?”
Uno sparo riecheggiò nell’aria, ed Ariel volò via, evitando un colpo altrimenti mortale. Riapparve a pochi metri di distanza, nel punto da cui era provenuto il suono, ovvero a metà di una delle due grosse scalinate di marmo.
“Ciao, Sam,” sorrise al cacciatore, afferrandogli il polso che stringeva la Colt. Lo strinse così forte che Sam fu costretto a lasciare la presa che aveva sull’arma con un gemito. A quel punto, la nephilim usò la mente per spingerlo giù dalle scale, facendogli fare un volo di almeno un paio di metri.
Sam ricadde miseramente ai piedi della scala.
Dean schizzò verso di lui, ma Sam se ne accorse e sollevò un braccio, avvertendolo di fermarsi. Lui, di malavoglia, lo fece.
“E’ che… avevo visto tuo fratello restituirti questa cosa,” spiegò Ariel, imbarazzata, riapparendo a un passo da Sam, facendo ciondolare la Colt fra due dita. “E ti avevo visto sparire dal mio campo visivo. Non sono stupida,” disse, offesa, incrociando le braccia. Poi riprese a puntare Castiel.
Sam si girò sul fianco e si mise seduto; la schiena gli doleva, ma sembrava non essersi fatto nulla di grave. Alzò le mani in segno di resa, sollevandosi in piedi.
“D’accordo, Ariel. D’accordo, ci dispiace,” disse, in un fintissimo tono di scuse.
“Ti dispiace? Ora ti dispiace?” sbottò lei. “E comunque, non sono Ariel. Il mio nome è J...Jenny? Come aveva detto, quello?” ci pensò su, incerta, ma ci rinunciò dopo qualche secondo. “Era un nome stupido, comunque. Non fa niente. Chiamami Ariel. Mi piace Ariel.”
Sam deglutì e fece un cenno affermativo per assecondarla, come aveva fatto in passato. “Ascolta,” azzardò, diplomatico, approfittando del fatto che fosse tranquilla, “riguardo questa storia, perché non ne discutiamo con calma e cerchiamo di trovare un accordo?”
Ariel inclinò la testa, focalizzandosi su di lui. “Come ai vecchi tempi? Va bene,” disse, accomodante.
Prima che Sam potesse aggiungere altro, Ariel lanciò la Colt a Dean, che la afferrò senza pensarci due volte. Poi puntò la mano verso Sam, paralizzandolo. “Questo è il mio accordo,” spiegò, rivolgendosi al maggiore dei Winchester. “Visto che non vi toglierete dalle scatole, tu usi l’ultimo proiettile contro quell’essere schifoso e io lascio vivere Sammy.”
Castiel assunse un’espressione smarrita, molto simile a quella che aveva appena fatto spalancare la bocca di Dean.
Il cacciatore si riscosse quasi immediatamente. Puntò la pistola verso di lei. “Sì, beh, io preferisco spararti,” ammise.
Ariel soffocò una risatina divertita. “L’hai appena visto, Dean: io sono più veloce di qualunque proiettile. Se mi spari, userò Sam come scudo.”
Dean aggiustò la mira, le mani che presero a tremare in modo impercettibile.
“N-Non dice sul serio,” sibilò Sam, cercando di combattere il potere che lo teneva immobile. “L-Lei… n-non ci farebbe m-mai del male.”
Ariel scrollò le spalle. “Sam, se tuo fratello non ha più interesse in te, io non ho più interesse in voi due,” disse semplicemente. “Allora, Dean?”
Lui chiuse gli occhi e abbassò la pistola. “Non farò una cosa del genere,” dichiarò, perdendo ogni traccia di spavalderia.
Ariel alzò gli occhi al cielo, esasperata.“Andiamo, lo hai già fatto migliaia di volte. Devo elencartele tutte? Seriamente?”
Uno dei libri di Supernatural, aperto su una pagina a caso, le comparve nella mano libera.
Dean inarcò le sopracciglia e risollevò la Colt, chiedendosi spaesato se quello fosse il momento buono per spararle. Non sapeva come comportarsi: oltre ad avere poteri assurdi, quel mostro sembrava cambiare idea e personalità ogni istante e questo la rendeva fondamentalmente imprevedibile.
“Dean,” gli sussurrò Castiel dietro di lui, poggiando una mano sulla sua spalla, ma in pratica aggrappandosi ad essa. “Non era così quando l’ho conosciuta. Credo sia rimasta per troppo tempo nel Limbo. Quel luogo… l’ha resa instabile. Occupati di Sam. Io me la caverò.”
Dean voltò la testa per incrociare il suo sguardo. L’ultima frase pronunciata dall’angelo non era un commento di circostanza fatto per rassicurarlo e poteva leggerglielo negli occhi. La cosa lo tranquillizzò, perché significava che Castiel aveva qualcosa in mente. Appariva anche meno provato di poco fa, quindi era probabile che fosse riuscito a recuperare un po’. Ma, nonostante questo, Dean non se la sentiva di abbandonarlo. “E tu credi che io-“
“Mi sono stancata di questo gioco.”
Ariel mosse due dita e una luce argentea affilata come una lama balenò nello spazio fra Castiel e Dean. L’angelo indietreggiò di un passo, soffocando un gemito, e si portò una mano sul lato destro del viso. Dean lo vide premersi il palmo sull’occhio e, mentre osservava le sue dita macchiarsi di rosso, capì che glielo aveva leso.
Quella puttana malata aveva osato ferire Castiel agli occhi, e presto avrebbe finito il lavoro. Il sangue gli ribollì nelle vene.

“Aspetta, maledizione!” le gridò, sentendosi del tutto impotente.
Ma Ariel sembrò non ascoltarlo: il libro era scomparso e, adesso, stava fissando Castiel con un’espressione a dir poco famelica. Dean capì che lo spirito vendicativo dentro di lei stava prendendo il sopravvento, e che doveva fare qualcosa per fermarla.
Non si trattava di scegliere a chi sparare. Era vero, aveva sacrificato tantissime persone che amava pur di salvare suo fratello, ma stavolta era diverso. Non solo perché si trattava di Cas, ma perché, dopo tutto ciò che aveva passato, non avrebbe potuto sopportare un’altra perdita o un altro senso di colpa.
Dean non aveva intenzione di lasciare Castiel, doveva salvare suo fratello e non aveva il tempo di ideare un piano… per cui mandò al diavolo ogni logica e decise di fidarsi di Castiel e di quello che gli aveva detto Sam, sperando che anche loro si fidassero di lui.
Voltò le spalle all’angelo e mosse qualche passo in avanti, verso Ariel, ma si rivolse a suo fratello. “Sam! Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe successo tutto questo casino in questo paese bizzarro, eh?” gli disse, sorridendo con malcelata amarezza.
Lui, seppur ancora immobilizzato, sgranò gli occhi, afferrando al volo quel messaggio in codice.
“N-No,” mormorò, “D-Dean…”
“Sammy,” continuò l’altro, lanciandogli uno sguardo colmo di rammarico, “mi dispiace. Ho fatto del mio meglio, ma ora… vivi la tua vita,” disse. “Sii felice.”
Ariel si distrasse dalla sua preda per ascoltare con stupore quella manciata di parole confuse. Sia lei che il suo tramite avevano letto tanto sui Winchester, ma… quella voce, e quegli occhi. Capì subito che quella non era una farsa. I sentimenti di Dean erano sinceri. Confusamente, realizzò che era questo ciò che voleva vedere, il sentimento che legava i due fratelli, un legame che al suo tramite era sempre stato negato, che le fece dimenticare per un attimo il suo desiderio di vendetta, proiettandola in una sorta di estasi malata.
Ariel non ebbe il tempo di incamerare la sensazione che Dean si era già puntato la pistola alla tempia.
“Fe-FERMO!” Terrorizzata, d'istinto si sporse verso di lui, lasciando la presa su Sam. Nel tentativo di salvarlo, puntò il palmo aperto in avanti e il cacciatore venne spinto brutalmente all’indietro da una forza invisibile un istante dopo aver premuto il grilletto.
Dean batté la testa contro qualcosa di duro, forse un pannello di marmo o una colonna o una statua, delle ossa nel suo corpo si spezzarono e per la terza volta in poche ore il proiettile che avrebbe dovuto ucciderlo non raggiunse il suo obiettivo.
Sì, credo che sia una specie di record, Cas,” pensò delirante un angolo della sua mente, prima di spegnersi.
Sam non era rimasto a guardare la scena: non appena fu libero, si lanciò a terra con impeto e afferrò il pugnale di Bartolomeo, deciso a piantarlo nel collo di Ariel.
Sfortunatamente per lui, lei se ne accorse e glielo fece volare via di mano con la telepatia, inchiodandolo poi di nuovo sul posto. Ma non si trattava solo di questo: questa volta, qualcosa dentro di Sam iniziò a torcersi e a spingere dolorosamente, come se i suoi organi stessero premendo per uscire dal suo corpo.
“Mi avete imbrogliato,” constatò la nephilim, sinceramente sorpresa. Schiuse le labbra, prese un grosso respiro e, mentre Sam emetteva dei gemiti strozzati e supplici, sorrise maligna. “Avevo ragione, tu e Dean siete davvero i migliori,” sospirò entusiasta, stringendo con lentezza il pugno, intensificando la sua tortura su Sam. “Ora che l’ho visto con i miei occhi, posso-”
Ariel sussultò e mosse un passo breve e forzato in avanti, verso Sam. Lo lasciò andare di nuovo. Lui la guardò incerto, finché non si accorse del buco che le si era aperto al centro del petto.
Il corpo di Ariel venne percorso da increspature di luce, e fu in quel momento che la punta della Lancia Sacra divenne visibile agli occhi del cacciatore: era la cosa più bella e terrificante che Sam avesse mai visto, una lancia a tre lame che brillava di luce dorata e penetrante.
Era stato Castiel a lanciarla. Sam e Dean l’avevano dimenticata, e forse anche Ariel. Loro due non potevano vederla, ma Castiel sì: usare quell’arma per distruggere la nephilim doveva essere stata la sua idea sin dall’inizio, e i due Winchester, con il loro diversivo, gli avevano fornito il tempo necessario per recuperarla.
Ariel digrignò i denti in un ringhio, cercando di portare una mano dietro la schiena per estrarre l’arma.
Castiel non glielo permise: la raggiunse e afferrò per primo il manico, spingendo più a fondo. “Tu non li sfiorerai mai più,” disse. La sua voce era grave e furiosa e risuonò nella testa di Sam, spaventandolo.
Ariel lanciò un ultimo grido, incapace di resistere oltre, e cedette.
Quando la luce si fu esaurita, di Ariel rimase solo una statua di polvere che si sgretolò rapidamente.
Sam sbatté le palpebre. Così era morta, alla fine.
La Lancia si consumò e scomparve dalle mani di Castiel con un tenue baluginio. Sam non lo vide riporla o lasciarla cadere e si rese conto che era andata distrutta. Ma la perdita dell’arma sacra, al momento, era l’ultimo dei suoi pensieri.
“Cas,” mormorò all’angelo, grato.
Lui respirava affannosamente per lo sforzo appena compiuto; si portò una mano sul fianco ferito e lo strinse, lottando per restare in piedi.
Poi successe una cosa che Sam non si aspettava.
Senza dire una parola, Castiel si gettò su di lui e lo spinse a terra, sulla schiena. Gli afferrò il braccio e Sam venne investito da una fitta dell’ormai familiare dolore, stavolta così orribile e violento da farlo a pezzi. Si propagava nelle vene, che sembravano voler andare in fiamme, gli lacerava il petto e saliva su per la gola, graffiava e torceva e lo faceva gridare. Sam sentì qualcosa squarciarsi e pensò che Castiel gli avesse strappato via il polso a mani nude. Ma il suo supplizio cessò di colpo, e il giovane si irrigidì stupito quando si rese conto che l’angelo aveva semplicemente frantumato il suo bracciale.
Castiel gli ricadde addosso senza più forze, il corpo scosso da tremiti convulsi. Sembrava in preda ad un’agonia ancora più terribile di quella che aveva provato Sam e teneva la bocca spalancata in un grido muto. Tutto il suo viso era contorto in una maschera di sofferenza e Sam fu sicuro di poter scorgere delle catene vive strisciargli addosso come serpenti e raschiare la sua carne sotto i vestiti.
Lo prese per le spalle, cercando di pensare contemporaneamente perché Castiel avesse compiuto un gesto simile e cosa poteva fare lui per aiutarlo, ma la risposta alla prima domanda arrivò non appena si guardò intorno.
Gli angeli della schiera di Bartolomeo. Ora che Ariel era sparita, si stavano rimettendo in piedi uno dopo l’altro, ed erano incazzati.
Sam impiegò pochi secondi per realizzare cosa Castiel voleva che lui facesse. Senza realmente pensare alle conseguenze, stese a terra l’angelo e recuperò il pugnale di Bartolomeo. Incise un lungo taglio sul braccio, calciò via i detriti dal pavimento costoso e iniziò a lavorare freneticamente con il sangue che sgorgava dalla sua ferita.
“CHE COSA AVETE FATTO?!”
Sam sentì Bethael gridare con rabbia, avanzando a grandi passi con la sua arma in pugno, la voce mutata in un ronzio acuto che minacciava di fargli scoppiare la testa.

Lui si portò una mano sull’orecchio e accennò un sorriso debole e ironico.
“Scusate, ragazzi. Basta mostri per oggi,” disse, e premette una mano sul sigillo anti-angelo.
Il consueto vortice di luce che si sprigionò spazzò via in pochi istanti ogni singola creatura celeste nel giro di trenta metri.
Alla fine, rimasero solo Sam e Dean. La sala, così come gran parte della villa, era ridotta così male che sembrava vi fosse scoppiata una bomba.
Adesso era riempita solo dall’eco dei respiri di Sam, che non riusciva a credere che fosse davvero tutto finito.
Il cacciatore si spostò i capelli indietro. Erano zuppi di sudore. Prese qualche boccata d’aria, poi raggiunse il fratello e si inginocchiò accanto a lui.
Dean era ancora svenuto. Giaceva immobile e i suoi occhi erano rovesciati all’indietro. Un filo sottile di sangue stranamente diluito gli colava dall’orecchio, nel lato in cui si era puntato la Colt.
Se si fosse trattato di un timpano perforato, Sam non si sarebbe preoccupato; ma Dean non si riprendeva, il suo battito era irregolare e un liquido denso e incolore continuò a colargli dal naso e dall’orecchio anche dopo che il sangue si fu asciugato.
Il danno è all’interno”, pensò Sam con orrore. A quanto pareva, la magia degli angeli si limitava a guarire solo le ferite superficiali. Dean aveva bisogno di cure immediate.
“Cas!” gridò disperato, pur sapendo che era inutile. “CASTIEL!”



*
*
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*
*
*

Note finali:
Giustamente nei giorni in cui ho il tempo per finire la fanfic io mi ammalo ç_ç . Non è stato piacevole scrivere così, ma mi dispiaceva farvi aspettare ancora. Va beh, è andata.
Spero di non aver delirato troppo nella scrittura. Per il momento, la regia mi avvisa che sto delirando nel sonno: pare che stanotte, in un momento imprecisato, io abbia gridato: “No, West, no!”
Non ricordo assolutamente nulla, ma è bello sapere che il mio inconscio si preoccupa per la prole di Misha Collins.
Ma a parte questo. “Funky town” (paese bizzarro?) è il codice che usano i Winchester per dire 'ho una pistola puntata alla testa'.
Il pugnale di Bartolomeo era un pugnale a seste simile a QUESTO.
E, no, non sono così crudele da far morire Dean o Castiel così. Sono ancora tutti vivi e in salute.

A tutti i lettori, grazie per essere giunti fin qui!
Ci si rivede per il lieto fine l’epilogo.


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Capitolo 19
*** Fuse (è inglese anche se, in realtà, 'fuse' sono le mie sinapsi neuronali) ***


(‘)Not(t)e:
Quando ho iniziato a scrivere queste pagine, erano solo 3.
POI NON SO COSA E’ SUCCESSO MA QUANDO HO ABBASSATO GLI OCCHI SUL CONTAPAGINE ERANO DIVENTATE 15 AKLJKALSFKSASDFA
Also, posticipo l’epilogo al prossimo giro. E’ brevissimo (stavolta seriamente), ma non mi andava di metterlo in coda qui… anche perché devo ancora renderlo in un italiano leggibile. @_@
Infine, vi chiedo scusa per il casino di queste pagine: impegni mi costringono a scrivere da tempo nei pochi minuti fra l’1:00 AM e il mio cedimento fisico (l’asterisco non indica un cambio di scena… era il tasto che urtava il mio naso quando crollavo di faccia sulla tastiera).

* * *



Castiel riusciva a sentire la voce di Sam: le sue preghiere disperate risuonavano nella mente dell’angelo in un eco debole e sempre più lontano.
Il cacciatore lo stava supplicando di tornare, ma Castiel non poteva, perché le sue ali erano state spezzate.
Castiel non sapeva si trovava. Il sigillo attivato da Sam avrebbe dovuto rispedirlo in Paradiso, ma i Cancelli erano stati sbarrati da Metatron, per cui lui e i suoi fratelli erano precipitati nuovamente nel mondo terreno, ognuno in un diverso angolo del mondo.
Castiel stava ancora cadendo: si era schiantato contro un muro d’acqua con la forza di una meteora, e da quel momento non aveva più smesso di precipitare verso il basso, allontanandosi sempre più dalle preghiere di  Sam e da Dean
Ora, la sua caduta era lenta e silenziosa; man mano che sprofondava, il peso che gravava sul suo corpo aumentava.
Ad un certo punto, la sua schiena si adagiò sul fondo di quella fossa. Era freddo, buio e un peso immenso premeva sul suo corpo. Se fosse stato un umano, sarebbe morto schiacciato; ma lui non rispondeva alle leggi fisiche per cui, ovunque fosse finito, Castiel avrebbe continuato a sopravvivere.
Non aveva davvero la forza di muoversi. Poco prima, la Grazia di Ezekiel aveva rischiato di sfuggire dal suo controllo e bruciarlo; inoltre, ne aveva rilasciata troppa per spezzare il fragile incantesimo che bloccava Sam, ed era stato punito severamente per questo: le catene avevano scavato nella sua pelle e lacerato la sua essenza, lasciandolo a terra devastato dall’agonia, ma non ferito abbastanza gravemente da ucciderlo.
Tentò di muoversi, ma una nuova ondata di dolore dardeggiò nel suo corpo, facendolo trasalire. D’istinto, schiuse le labbra per esalare un gemito, ma la sua bocca si riempì di un fluido freddo e disgustoso che scese giù per la gola e invase i suoi polmoni. La sensazione era fastidiosa, ma l'angelo non poteva far nulla per evitarla.
Era prigioniero delle sue catene, disperso in quel luogo oscuro. Non avrebbe potuto rispondere alle preghiere di Sam neanche se avesse voluto.
Castiel desiderò di essere morto.


*

Dean venne operato d’urgenza al Saint Rose Hospital di Henderson.
Non riuscendo a svegliarlo, Sam lo aveva caricato sull’impala e lo aveva trasportato lì, spiegando ai medici che era stato investito da un pirata della strada.
Dean aveva riportato svariate fratture e un trauma cranico. L’operazione alla testa era stata molto delicata, e il chirurgo aveva stabilito che era necessario procedere con i piedi di piombo. Di conseguenza, Sam aveva prenotato una stanza nelle vicinanze e aveva avvertito Kevin che si sarebbero trattenuti ad Henderson ancora un po’.
Sam rimase seduto accanto al letto di Dean per cinque interminabili giorni: fissava desolato i tubicini che pompavano nelle vene di suo fratello il mix di anestetici e barbiturici che lo tenevano addormentato; chiedeva continue delucidazioni sul suo stato di salute al medico che si occupava di lui; sobbalzava ogni volta che l’elettrocardiografo emetteva un bip anomalo.
Il tempo sembrava non trascorrere mai, e Sam lo riempiva cercando di fare mente locale sugli ultimi eventi: ormai ricordava tutto, ma c’erano cose che ancora non riusciva a comprendere, come ad esempio il modo in cui Dean e Castiel erano riusciti a fermare Shahat.
Sam sospettava che questa parte della storia fosse collegata all’angelo che, a dire di Dean, si era impossessato di lui.
Il giovane non ricordava nulla di lui, e si chiedeva cosa fosse accaduto di così grave da convincerlo a dirgli di sì.
Dean gli doveva parecchie spiegazioni a riguardo.
C’era poi un’altra cosa su cui Sam continuava a rimuginare. Dopo anni di caccia, si era abituato a vedere Dean fare cose stupide, ma mai avrebbe pensato che sarebbe arrivato al punto da puntarsi la Colt alla tempia e sparare contro sé stesso con tale rapidità e freddezza. Lo aveva fatto per creare un diversivo, ed era questo ciò che terrorizzava Sam: suo fratello aveva rischiato l’oblio solo per creare un diversivo. Avrebbe potuto distrarre Ariel in decine di altri modi, ma aveva scelto il più pericoloso di tutti. Certo, doveva aveva immaginato che lei lo avrebbe salvato, ma Sam aveva avuto sin dall’inizio l’impressione che, anche se così non fosse stato, a Dean non sarebbe importato.
Si chiese se, dopotutto, il Limbo non lo avesse fatto impazzire, così come aveva fatto impazzire Ariel.
Non era sicuro di voler conoscere la risposta.

*

Quando i medici decisero che Dean poteva uscire dal coma farmacologico, Sam tirò un sospiro di sollievo.
Dean riaprì gli occhi tre giorni dopo, mentre Sam era seduto a due metri da lui con il portatile in grembo: stava digitando le parole ‘strani avvistamenti di meteore’ sulla barra del motore di ricerca quando Dean mugolò qualcosa  di incomprensibile e i macchinari che lo circondavano iniziarono a trillare in modo preoccupante. Nella foga di correre a chiamare gli infermieri, Sam rischiò seriamente di far cadere a terra il computer.

*

La prima cosa che Dean disse a Sam quando tornò ad essere lucido fu un fiacco: “A-Allora, Sammy… sono… sono stato convincente?”
“No, sei stato un idiota,” replicò lui con un sorriso sfinito.
Dean ricambiò il sorriso, e poi passò ad esaminare con lo sguardo la stanza in cui si trovava: era piccola, spoglia e asettica; al momento, lui e Sam erano gli unici occupanti.
Si sollevò goffamente per sbirciare dietro le robuste spalle del fratello.
“Cas non è qui,” annunciò lui con voce tesa, intuendo i suoi pensieri.
“Dov’è? E’… E’ ferito?” chiese Dean con urgenza,  preoccupato dall’espressione funerea che aveva assunto Sam.
“Non agitarti. Sei ancora debole,” mormorò lui in tono evasivo.
“Sam, che cosa è successo?!”
Il giovane spinse la sedia vicino al letto e vi si sedette, poggiando i gomiti sulle cosce. “L’ho mandato via io,” ammise.
Un lampo di confusione balenò sul viso scavato di Dean.
Sam gli raccontò il modo in cui Castiel aveva polverizzato Ariel, e di come  lui era stato costretto a usare il sigillo per allontanare gli angeli. Mantenne la voce ferma e pacata e non si dilungò nei dettagli, ma era evidente che le sue, più che spiegazioni, erano un’ammissione di colpa.
“Ma il Paradiso è diventato un club privato,” obiettò Dean debolmente, sfregando le dita sulla barba che gli era cresciuta mentre era in coma. “Non credo che si possa entrare senza invito... neanche se vieni sparato lì dentro con un cannone.”
“Lo so. Per questo motivo ho ipotizzato che quegli angeli siano ancora qui. Ma in questi giorni ho setacciato internet e i notiziari, e…”
“E…?”
Sam scosse la testa, depresso.
Dean non parve reagire. “Ah,” constatò, voltandosi verso la finestra.
Poco dopo, l’infermiera di turno avvertì Sam che l’orario delle visite era terminato, e lui fu costretto ad andare via.
Dean rimase solo.

*

Insieme alla coscienza di Dean, tornarono anche i poteri del bracciale degli angeli. Conscio del pericolo di quell'oggetto, Sam aveva supplicato sin dal primo momento i medici di non toccarlo “perché era un caro ricordo di famiglia”, ma adesso dovette sbrigarsi a trovare il modo di distruggerlo perché, da quando Dean si era svegliato, gli aghi delle flebo che gli infermieri cercavano di infilargli nel braccio venivano espulsi spontaneamente dopo pochi secondi.
La cosa aveva iniziato ad attirare l’attenzione degli infermieri, e questo non andava per nulla bene.
Visto che il bunker distava 16 ore d’auto, Sam fu costretto a lavorare con Kevin a distanza: barcamenandosi fra cellulare e webcam, i due riuscirono a trovare un fascicolo degli Uomini di Lettere che sembrava fare al caso loro. Kevin ripescò dal fondo del deposito del bunker la lama di ossidiana a cui faceva riferimento la documentazione e la spedì a Sam con un corriere espresso.
Non appena Sam segò il bracciale e ne sfilò i resti dal polso di Dean, lui li scaraventò dall’altra parte della stanza con un’imprecazione. Era uscito dal coma da meno di due giorni, ma già non sopportava più l’idea di dover stare in quel posto.
Dean firmò le carte per uscire dall’ospedale la sera stessa e quella notte, quando Sam uscì dalla doccia della sua stanza nel motel, lo ritrovò seduto sul suo letto a fare zapping per i canali della TV via cavo alla ricerca di un porno a caso.

*

Un’ora dopo essere partiti da Henderson, Dean aveva già litigato tre volte con Sam, che si rifiutava di cedergli il volante.
“Sono perfettamente in grado di guidare,” protestò il maggiore per la quarta volta.
“No. Hai una faccia orribile,” dichiarò l’altro senza troppi complimenti.
“Andiamo, Sam, non ti fidi di me?”
“Dean, come posso fidarmi di una persona che si è puntata una pistola in fronte ed ha sparato?”
Lui gli rivolse uno sguardo in tralice. “Già, in fondo eravamo tutti pieni di idee geniali in quel momento, no?” replicò a denti stretti.
Sam strinse il volante, concentrandosi sul lungo serpente di asfalto che si snodava davanti a lui. Non voleva discutere; erano entrambi troppo provati per discutere. E poi, Sam sapeva benissimo qual’era il vero problema di Dean, ma non sapeva cosa dirgli per farlo stare meglio. Un “mi dispiace per Castiel” non avrebbe cambiato lo stato delle cose.
“Sai benissimo anche tu che non potevamo combattere contro di loro,” disse alla fine.
“Non stavo pensando agli angeli,” rispose rapidamente Dean.
Sam emise uno sbuffo poco convinto.  “Senti, starà bene,” insistette. “Gli è successo altre volte, ed è sempre tornato. Lo farà anche stavolta.”
Dean non rispose. Gettò la schiena contro il sedile dell’auto e mormorò qualche imprecazione esasperata.
Non parlarono per molto tempo.
Sapevano entrambi benissimo che, le altre volte, Castiel aveva le sue belle ali bibliche, non era stato ferito da una stronza psicotica e non aveva delle catene che lo torturavano ogni volta che faceva appello ai suoi poteri.
Le altre volte non aveva neanche un Apostolo incazzato alle calcagna che voleva impossessarsi del suo corpo. E, ad ogni modo, non avevano  idea di dove il sigillo lo avesse mandato: per quanto ne sapevano, Castiel poteva essere benissimo morto.
Dean deglutì, la bocca improvvisamente impastata.
Non era riuscito neanche a dirgli addio.
Lo aveva pregato, mentre era in ospedale. All’inizio si era rifiutato di farlo e aveva cercato di pensare ad altro: ad esempio, aveva scoperto che l’infermiera del turno della mattina, oltre ad essere molto attraente, era una grande fan dei Led Zeppelin. Ma, dopo un po’, Dean aveva capito che era tutto una farsa inutile. Aveva lasciato perdere la ragazza e, ben presto, i suoi pensieri si erano trasformati in implorazioni, ma Castiel non era tornato.
“Non possiamo farci niente, Sam. E comunque, se si è fatto ammazzare, sono problemi suoi,” concluse il cacciatore ad alta voce. Mentiva: se Castiel era stato costretto a tornare ad essere un angelo e a sacrificarsi, era stato per colpa sua. Era sempre colpa sua. Si era ripromesso di tirarlo fuori da quel posto e, alla fine, non solo non era riuscito a salvarlo, ma, a causa della sua stupida debolezza, lo aveva quasi ammazzato con le sue stesse mani.
Ignorando la sensazione del cuore che gli si stringeva nel petto, Dean si accorse che Sam lo stava studiando di sottecchi. Aprì la bocca per vomitare una qualche battuta sul fatto che, se proprio voleva guidare, doveva guardare la strada e non il suo bellissimo fratello maggiore, quando improvvisamente trovò difficile coordinare le parole. Boccheggiò.
“Ehi, ti senti bene?”
Il respiro di Dean divenne rapido e pesante. Le sue pupille si dilatarono, mentre il controllo che aveva sul suo corpo si allentava. Di colpo, la luce venne risucchiata via; qualcosa si infranse. Sam scomparve, così come l’Impala e tutti i suoi pensieri. Ciò che rimase fu un miscuglio di urla, visioni e impulsi orribili che gli riempirono la testa in un flusso così rapido e violento che Dean non riuscì ad elaborare più nulla. Nel buio, qualcosa allungò le mani verso di lui e lo afferrò. Terrorizzato, il cacciatore lottò per divincolarsi, accorgendosi solo dopo molti secondi che era suo fratello a stringerlo.
Quando tutto cessò, Dean si accorse che Sam aveva accostato la macchina sul bordo della strada e che lo stava tenendo saldamente per le spalle, scuotendolo nel tentativo di farlo tornare in sé.
C’era orrore nei suoi occhi. Dean lo ricambiò con uno sguardo incredulo, incapace di comprendere ciò che gli era appena successo. Si accorse che le sue mani stavano tremando.
“Sto… sto bene,” gemette. “Va tutto bene,” ripeté poi, con voce leggermente più ferma. “Hai ragione, Sammy. Forse è meglio se guidi tu.”
Sam allentò la presa su di lui e lo guardò inquieto. “Ascolta,” iniziò.
“Ti ho detto che sto bene!”  sbottò Dean in tono nervoso, chiudendo la discussione.

*

Dean non stava affatto bene.
Con il passare dei giorni, iniziò ad avere degli attacchi molto simili a crisi epilettiche. In quei momenti, mentre la sua visione si oscurava, aveva delle allucinazioni. Le prime volte erano delle esplosioni di immagini rapide e confuse; ma, pian piano, con l’aumentare della durata delle crisi, le visioni di Dean divennero più lunghe, dettagliate e dolorose.
Era colpa di Shahat. Quando Dean era crollato, concedendogli l’accesso, quell’essere si era insinuato nella sua anima e l’aveva spezzata. Aveva scavato, strappato, squarciato e alla fine era ritornato trionfante in superficie in compagnia di tutti i traumi, gli orrori e i sensi di colpa che Dean aveva accuratamente seppellito dentro di sé per anni. Per il Re del Limbo, che si nutriva di tutto ciò che causava quella roba, l’anima di Dean era una specie di ristorante di lusso.
La luce della Grazia di Ezekiel aveva momentaneamente allontanato tutta quell’oscurità ma, ormai, si era consumata così tanto da essere poco meno di una fiammella tremolante in mezzo ad una notte di tempesta.
Così, ora che le luci si erano abbassate, lo spettacolo era ricominciato: Dean rivedeva il male che aveva causato, gli errori che aveva commesso, le anime che aveva torturato. Riviveva tutte le volte in cui aveva fallito, tutte quelle in cui aveva fatto rischiare la vita a Sam; tutte le persone che non era riuscito a salvare. Le sensazioni che provava erano così vivide da essere quasi palpabili. Anche quando la crisi finiva, i sensi di colpa lo laceravano, i rimorsi lo tormentavano acuiti e,  ogni volta che Dean cercava di soffocarli nel sonno, si trasformavano in incubi che lo facevano svegliare gridando.
Di giorno, Dean fissava il vuoto in silenzio per lunghi minuti, facendo preoccupare Sam. Se lui tentava di parlargli, non provava più neanche a cercare una scusa, ma si limitava semplicemente ad ignorarlo.
Ricominciò a bere. L’alcool riusciva a soffocare gran parte dei suoi pensieri, trasformandoli in un groviglio indefinito di dolore.
Pregava Castiel. Non sapeva neanche lui perché continuava a farlo e spesso, più che di preghiere, si trattava di insulti; ma sperava ugualmente che, da qualche parte, lui lo stesse ascoltando.
Sam, dal canto suo, era mortificato. Sentiva che suo fratello era sempre più assente e lontano e si sforzò di convincersi che si trattava solo di stress post-traumatico. Cercò di tenergli la mente impegnata, costringendolo a lavorare con lui sul problema di Abbaddon. Sam evitava accuratamente di discutere degli angeli in presenza di Dean, lo trascinava a letto quando era troppo ubriaco, gli offriva la sua presenza fisica e faceva finta di non sentire le sue urla durante la notte.
Era consapevole che ci sarebbe voluto del tempo prima che suo fratello fosse tornato normale, ma era sicuro che alla fine ce l’avrebbe fatta perché diamine, si ripeteva, è di Dean Winchester che stiamo parlando.

*

Due settimane dopo, Sam capì che le cose non stavano così.
Erano in un’acciaieria abbandonata, sulle tracce di alcuni demoni molto vicini ad Abbaddon, ma le cose precipitarono e i demoni gli tesero una trappola. Sam cercò di recitare un esorcismo, ma perse i sensi quando uno di loro lo sollevò di peso e lo scaraventò in mezzo ad un ammasso di lamiere arrugginite.
Quando si svegliò, Dean gli stava fasciando il braccio destro con un lembo di stoffa.
“Dove… dove sono i demoni?” gli chiese il giovane, facendo guizzare gli occhi nella penombra a cui non era ancora abituato.
“Morti,” rispose apatico Dean, assicurando il bendaggio di fortuna con un nodo. “Li ho interrogati. Non sapevano dov’era la stronza.”
Sam deglutì, individuando a pochi metri da lui il cadavere a pezzi di uno dei demoni. “Dean… eravate tre contro uno,” gli fece notare in un sussurro carico di tensione.
Il fratello gli rivolse uno sguardo vuoto. “E allora?”

*

Qualche tempo dopo, durante un caso a Lexington, Dean lottò contro un demone che stava possedendo il corpo di un bambino: gli squarciò il ventre con il coltello senza battere ciglio, per poi continuare ad infierire su di lui fino a che Sam non lo tirò indietro con la forza. Dean reagì come se le mani di Sam fossero roventi e lo spinse via. Sam lo fissò, sconvolto, e lui gli lanciò di rimando uno sguardo così furioso da farlo rabbrividire.
Durò un istante, poi Dean lasciò cadere il coltello insanguinato e tornò normale.
Un paio di giorni più tardi, Sam fu costretto ad allontanarsi per qualche ora da Dean per incontrare dei cacciatori. Quando ritornò nel bunker, Kevin era steso a terra in un lago di sangue e Dean, svenuto, stringeva ancora il coltello nel pugno chiuso.

*

*

Dean si svegliò di soprassalto, scattando a sedere sul letto. Sudava freddo e il suo corpo era scosso da brividi. Massaggiandosi le tempie, emise un gemito lieve. Allungò una mano verso la lampada che teneva sul comodino, ma la lasciò sospesa a mezz’aria quando scoprì che non c’era nessuna lampada, perché non era più nella sua camera.
La panic room in cui si trovava era una grossa stanza tonda, fredda e vuota. Lui e Sam l’avevano scoperta mentre esploravano il bunker, ma non avevano mai avuto il bisogno di usarla. Sulle pareti di marmo grigio erano scolpiti simboli esoterici di ogni tipo, mentre a terra e sul soffitto erano incise delle trappole del diavolo. L’unica luce disponibile era fioca e fredda e proveniva da due lampade poste ai lati del portone di ferro su cui Sam stava poggiando la schiena.
Dean si strofinò la fronte, perplesso. “Che cosa è successo?” chiese al fratello, “perché siamo qui?”
Sam non si mosse. “Hai perso il controllo, e hai colpito Kevin,” spiegò con calma dopo alcuni secondi, le braccia incrociate. “Sono stato costretto a portarti qui.”
“Che cosa?” esclamò Dean, allarmato. Strizzò gli occhi, cercando di ricordare ciò che era successo: nella sua mente, era tutto così irreale e confuso da sembrare un sogno.“K-Kevin..?” balbettò. “Io… io ho…?”
“Era solo questione di tempo,” osservò Sam, incamminandosi nella sua direzione. “Sei pieno di rabbia, Dean. Soffri perché continui a tenerti tutto dentro. Se solo riuscissi ad accettarti per quello che sei...”
“Dov’è Kevin?” domandò Dean, balzando in piedi. “L’ho ucciso? L’ho ucciso, Sam?!”
Sam curvò la labbra in un sorriso. “Già, proprio come hai ucciso il povero Cas.”
Il respiro di Dean si spezzò. “Tu non sei Sam.”
“Non importa chi io sia. Tu sei maledetto,” sospirò l’altro, affranto, imitando perfettamente la voce e l’aspetto di Sam.
“Vattene,” bisbigliò Dean, stringendo gli occhi.
Sam si grattò il mento, guardandolo con aria di sufficienza. “Non avresti mai dovuto uscire dall’Inferno, fratello mio. Non hai fatto altro che deluderci, in ogni modo possibile – non sei stato in grado neanche di restare morto,” lo schernì.
“VATTENE!” urlò Dean, scagliandosi contro di lui, che lo respinse usando i suoi poteri demoniaci.

Sam, il vero Sam, fuori dalla panic room, osservò suo fratello combattere e gridare contro il nulla tramite la feritoia del portone.
Aveva commesso un errore; la situazione era peggiore di quanto avesse immaginato.
Non era stress post- traumatico, Dean stava impazzendo e lui non aveva idea di come aiutarlo.
Una parte di lui avrebbe voluto entrare nella stanza e cercare di tranquillizzarlo, ma l’altra sapeva che sarebbe stato inutile. Alla fine, odiandosi, Sam chiuse la feritoia e lasciò suo fratello solo con i suoi incubi.

*

 “Mi ha attaccato all’improvviso, senza alcun motivo. Era come se fosse un demone,” raccontò poco dopo Kevin a Sam, mentre lui gli ricuciva la ferita alla spalla. “Credevo che sarei morto,” ammise il ragazzo.
Anche Sam lo aveva creduto. Ma Kevin si era ripreso quasi subito, rispondendo ai suoi tentativi di rianimarlo, e il cacciatore aveva presto constatato con sollievo che Dean non gli aveva inflitto dei colpi mortali.
Kevin si era spaventato a morte e ed aveva perso molto sangue, ma, grazie al cielo, le sue ferite non erano gravi.

“Non preoccuparti, Kev,” lo rassicurò il cacciatore, riponendo il disinfettante e le forbici in un cassetto. “Ti riprenderai. Ora riposa.”
Kevin, distrutto, fece del suo meglio per trovare una posizione sul letto che non gli facesse contorcere il viso dal dolore. “Che cosa gli sta succedendo, Sam?” gli domandò non appena si fu sistemato.
Lui corrugò la fronte, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Non lo so. Ma lo scoprirò.”

*
 
Sfortunatamente, le ricerche di Sam non portarono a nulla. Setacciò l’archivio degli Uomini di Lettere da cima a fondo, ma non trovò nessuna informazione né sul Limbo né sui sintomi del malessere di Dean.
Lui continuava a peggiorare rapidamente.  Rinchiuso nella panic room, era perseguitato giorno e notte dalle sue allucinazioni: non era in sé per la maggior parte del tempo, mangiava a malapena e, se Sam provava ad entrare nella stanza, scattava senza esitazione verso la sua gola con l’intento di ucciderlo.
Le ricerche di Sam arrivarono ad un punto morto tale che il cacciatore iniziò seriamente a considerare la possibilità di chiedere aiuto a Crowley, che tenevano ancora prigioniero.
L’ennesima notte in cui le urla di Dean riempirono il bunker, Sam scese nel sotterraneo in cui era rinchiuso il Re dell’Inferno, ma si fermò un istante prima di aprire la cella del demone: realizzò che la situazione era disperata, ma che stringere un patto con Crowley era un'eventualità inaccettabile in ogni caso.
Sam tornò alla panic room e si accasciò contro il portone, ascoltando impotente la voce singhiozzante di suo fratello dall’altra parte dello stipite. Rovesciò la testa verso il soffitto.
“Castiel,” mormorò. “Dean sta male. Molto male. Ha bisogno di te. Ti prego, se sei ancora vivo, torna.”

*

Dean perse la cognizione del tempo. Ormai passava da incoscienza a realtà a sprazzi e non capiva più cosa fosse reale e cosa no.
Il dolore che le sue visioni gli infliggevano era così grande da essere tangibile, e lo faceva a pezzi. Aveva trascorso quarant’anni all’Inferno, ma quello che stava vivendo… riusciva ad essere anche peggio. Dean lottava per non essere costretto a provare altro dolore, ma ormai cedeva sempre più spesso. Ad un certo punto, nella panic room si materializzò Meg, o forse era Shahat? Poi rivide suo padre: l’odio e la delusione nei suoi occhi erano così profondi che Dean non riuscì far altro che crollare a terra e scoppiare a piangere, ripetendo all’infinito, con voce appena udibile Scusami, papà. Mi dispiace. E’ colpa mia.  E’ colpa mia, mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace.

John lo ascoltò per ore, ma alla fine si stancò di lui e gli tirò un calcio in pieno petto, facendolo strisciare sul pavimento freddo. Dean sapeva di meritarsi ogni cosa, per cui lasciò che suo padre continuasse a colpirlo. Era come se fosse tornato bambino, e incassava ogni colpo senza fiatare.
Di colpo, la porta della panic room si spalancò e la stanza venne invasa dalla luce abbagliante. John smise di colpire Dean e indietreggiò, coprendosi gli occhi con un braccio; si dissolse in pochi istanti.
La luce avvolse Dean: era calda e familiare, densa ed emanava un tepore rassicurante.
Smarrito, la schiena ancora premuta contro il pavimento, Dean tese d’istinto una mano verso di essa per toccarla, avvertendo una presa gentile richiudersi intorno alle sue dita.
“E’ finita, Dean. Scusami se ho impiegato così tanto tempo,” disse Castiel.
 
*

Quando riprese conoscenza, Dean era ancora nella panic room.
Era la prima volta dopo… quanto tempo era trascorso? Non lo sapeva più, ma era la prima volta da tanto che non si risvegliava urlando.
Trascorsero più di dieci secondi e nessuno si ripresentò a torturarlo – il suo oroscopo del giorno doveva essere davvero buono, pensò.
Poi schiuse gli occhi e, nella penombra, lo vide e sussultò.
Castiel era in piedi accanto al suo letto, ma era molto diverso dal solito: era magro, molto più di quanto Dean ricordasse, ed indossava una camicia chiara con il collo alla coreana sopra un paio di jeans strappati. Delle ciocche di capelli scuri spettinati che gli ricadevano sulla fronte. Ciò che colpì Dean, però, fu il fatto che il suo occhio destro era coperto da una benda medica: quella cosa era così strana e sbagliata che provò l’istinto di strappargliela via.
“Perché devi farmi sempre questo?” borbottò invece fiaccamente, premendo due dita della mano sulle tempie. “Castiel, le persone… perdono anni di vita, in questo modo.”
L'angelo aprì la bocca per dire qualcosa, ma Dean non glielo permise. “Lasciami in pace,” comandò. “Tornatene al tuo 2014. E magari manda a quel paese il me stesso di quel mondo. Era un coglione,” concluse.
Dean non voleva concedersi di sperare. Non voleva pensare di poter essere così fortunato. Quante altre visioni di Castiel aveva avuto nelle ultime settimane? Nessuna di loro era finita bene. Prima o poi, tutte avevano iniziato a sanguinare e a maledire la sua esistenza fino a che Dean non si fosse ridotto ad una massa tremante e terrificata.
Eppure, quel Castiel non era come le altre visioni: aveva la fronte corrugata in un’espressione malinconica e, quando gli parlò, Dean il petto di Dean sobbalzò per la nostalgia.
“Sono io,” gli disse l'angelo con voce rauca. “Il sigillo mi ha scagliato in fondo ad un oceano. Ero vivo, ma non potevo muovermi. Ho impiegato settimane per ritornare sulla terraferma.”
Dean sospirò lievemente. Non aveva la forza di affrontare tutto questo. Era stanco, stanco e completamente prosciugato.
“Dovrebbe importarmi?” osservò piatto, chiudendo gli occhi per non vederlo.
Sentì Castiel muoversi dal suo posto e sperò che uscisse dalla stanza, ma l’angelo si limitò ad andargli più vicino. Si sedette accanto a lui, appoggiando la schiena sulla testiera del letto; infilò un braccio fra il cuscino e la nuca di Dean, sollevandolo con gentilezza per sistemarlo sul suo grembo.
Dean era troppo sfinito per protestare, per cui lo lasciò fare.
Castiel allungò una mano sul suo viso per scostargli una ciocca di capelli corti e biondi dalla fronte e Dean fu sicuro che gli stesse facendo qualcosa di angelico, perché non si era sentito così rilassato neanche quando era sano. La sola presenza dell’angelo lo tranquillizzava, anzi, il solo pensiero che Castiel stesse ancora respirando lo faceva stare meglio.
Ma represse velocemente quell'emozione.

“Non dovresti avvicinarti troppo a me, potrei morderti,” bisbigliò, cercando di essere ironico, ma cadde a pezzi nel momento stesso in cui pronunciò le prime parole.
Castiel abbassò la testa per guardarlo, e Dean si girò dall'altra parte. Gli occhi lucidi, contrasse le dita sulle lenzuola. “Io… ho fatto del male a Kevin. E credo… credo anche a Sam. Cas, te l’avevo detto, sta succedendo di nuovo,” si sfogò, mandando al diavolo l’orgoglio. “Sono così debole… non sono riuscito a combatterlo. Io… sono diventato un mostro. Dovete fermarmi.”

Castiel sospirò.“Non sei nulla del genere,” replicò con fermezza. “E chiunque altro, al tuo posto, sarebbe già impazzito. Questa non è una cosa che puoi affrontare da solo.”
“Quindi cosa?” mugolò Dean con amarezza, muovendo il viso per incrociare lo sguardo intenso di Castiel. “Ho bisogno che un angelo mi faccia il lavaggio del cervello ogni volta che sto per trasformarmi in Mr. Hyde?”
“Non sei un… Mr. Hyde,” replicò Castiel, addolcendosi. “Tu mi hai salvato. Ti ho sentito, Dean. Quando ero lì in fondo, ho desiderato di dormire per sempre. Ma ho continuato a cercare una via d’uscita perché sentivo la tua voce ogni giorno. Continuavi a pregare per me. Pregavi per Kevin. Per Sam. Non sei un mostro,” ripeté.
Dean ne non era per nulla convinto. Castiel gli stava accarezzando distrattamente i capelli in un modo che, in tempi normali, lo avrebbe forse fatto sentire a disagio, ma adesso andava bene: la mano di Castiel era calda e il suono della sua voce lo confortava. Dean notò che i suoi polsi erano segnati da una lunga ferita, profonda e non ancora cicatrizzata: Sam doveva avergli tolto quelle dannate manette solo da poco. Doveva essere per questo che ancora non era riuscito a guarire le sue ferite.
“L’ombra di tuo padre che ti stava tormentando… Dean, lui non prova rancore nei tuoi confronti,” osservò l’angelo dopo qualche minuto.
Qualcosa tremò nel petto del cacciatore al pensiero di John. “Avrei dovuto badare a Sammy,” mormorò cupamente. “Me lo aveva ordinato, e invece io…”
“Hai sempre fatto del tuo meglio. Se adesso Sam è vivo, è solo grazie a te.”
“L’ho fatto possedere da un bastardo, Cas! Avrebbe potuto ucciderti... avrebbe potuto incenerirlo. Ma la cosa peggiore di tutte è che, se tornassi indietro… lo rifarei.”
Castiel smise di sfiorare i capelli di Dean e si chiuse nel silenzio il tempo necessario affinché il cacciatore si convincesse che stava per rimangiarsi tutto e abbandonarlo in quella stanza. 
“Quello non eri tu, Dean,” disse però Castiel in tono gentile poco dopo. “Sono state le circostanze a spingerti a compiere quelle decisioni. Volevi salvare Sam e, in quel momento, non c’era altro modo per farlo. Non credo ci sia nulla di sbagliato nel voler salvare coloro che ami,” aggiunse, con aria triste. “Potrei dire di parlare per esperienza personale.”
Dean roteò gli occhi. Certo che parlava per esperienza personale: Castiel aveva trascorso la tua intera vita a fare idiozie peggiori delle sue, a cominciare dal farsi fare a pezzi da Raffaele o al farsi uccidere da Lucifero. Non aveva mai dubitato di aver commesso un errore, e Dean glielo aveva rinfacciato innumerevoli volte – ma, in effetti, Dean sapeva bene che Castiel non aveva mai deciso che strada intraprendere, aveva solo preso l’unica possibile per raggiungere il suo obiettivo. E, per quanto fosse difficile ammetterlo, riusciva a capirlo. Loro due erano molto più simili di quanto avesse immaginato.
Mise una mano sulla sua gamba. “Io credo che siamo semplicemente una coppia di idioti,” osservò.
“E’ molto probabile,” gli fece eco Castiel con un sorriso malinconico.
Puntellandosi sulle braccia, Dean si mise seduto per arrivare all’altezza del suo sguardo. Senza staccare gli occhi dal suo viso, sistemò i gomiti sulle sue spalle,  premendo i fianchi contro i suoi. Appoggiò la fronte sulla sua e sospirò piano quando percepì il calore piacevole del corpo caldo dell’angelo premuto con il suo. Riusciva a sentire il suo respiro solleticargli le labbra. Chiuse gli occhi e lo baciò lentamente, perdendosi nella sensazione. Castiel immerse una mano nei suoi capelli e inclinò la testa di lato per approfondire il bacio, e Dean mormorò il suo nome come in una preghiera quando lui stuzzicò il suo labbro inferiore con i denti. Lo voleva, aveva bisogno di lui. Non l’aveva ancora perdonato per ciò che gli aveva fatto, ma gli era mancato così tanto.
Era ancora avvinto a lui quando, di colpo, avvertì una scossa nella sua testa, come se il suo cervello fosse andato in cortocircuito. Ebbe un’altra crisi prima di poter pensare altro.
Castiel svanì e Dean batté la testa sul marmo freddo. Suo padre gli sferrò un altro calcio, ricordandogli che cosa fosse e cosa si meritasse davvero, e Dean si chiese se fosse quella la realtà, mentre Castiel era stato il sogno.

*

Dean era spezzato. Sapeva di essere stato spezzato, così tanto che nemmeno Castiel poteva aiutarlo. Non voleva morire: il suo corpo fisico era morto troppe volte perché a lui importasse veramente qualcosa. Voleva solo l’oblio. Voleva che la sua anima fosse distrutta e che scomparisse dalla faccia dell’universo.
Non sapeva quanto tempo era passato da quando aveva visto Castiel, ma, quando si ritrovò di nuovo steso sul letto della panic room, l’angelo era di nuovo accanto a lui. Sam era in piedi a due passi, e sembrava terrorizzato dal fatto che lui fosse sveglio. Ora che Dean ci pensava, non gli piaceva quando suo fratello esibiva quella faccia da cucciolo abbandonato in mezzo alla strada: in genere, significava che stava per succedere qualcosa di pessimo.
Illusioni o realtà, lui voleva solo che sparissero entrambi. Non ne poteva più.
Castiel gli rivolse un’occhiata, e Sam annuì. L’angelo si accomodò accanto Dean e si chinò appena su di lui. Aveva ancora la benda sull’occhio.
“Perché non te lo sei curato?” mormorò delirante Dean, accorgendosene. “Mi piacevano quegli occhi.”
Castiel non rispose, ma si abbassò su di lui e iniziò a sbottonargli la camicia, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
“Usate la Colt,” pregò Dean, troppo confuso per fare altro. “Non voglio farvi del male.”
“Non lo farai,” replicò Sam. “Cas mi ha detto che può aiutarti, ma dobbiamo fare in fretta. Per favore… lascialo fare.”
Il cacciatore scosse la testa debolmente. “Non… non me lo merito.”
“Non essere ridicolo!” esclamò Sam, esasperato.
Prima che Dean potesse ribattere, Castiel scostò i lembi aperti della camicia e fece scivolare le mani sulle sue spalle, facendole combaciare con l’impronta che vi aveva lasciato anni prima.
A quel contatto, Dean avvertì un formicolio e poi un tepore meraviglioso che partiva dai palmi di Castiel; fu sicuro di poter scorgere un alone luminoso propagarsi dai contorni della sua figura al suo corpo.
Qualcosa iniziò a scorrere dentro di lui. Era un’essenza pura, triste e inafferrabile; era come la tempesta, come la brezza estiva; filtrava nelle crepe profonde della sua anima, riempiendole, colmando ogni vuoto.  
“C-Cosa mi stai facendo?” chiese lui, spaventato.
Castiel non gli rispose. Non lo stava neanche guardando, ma Dean riusciva a vedere i suoi lineamenti contratti per la concentrazione e la fatica, mentre continuava a guarirlo.
Dean non impiegò molto a capire cosa gli stava accadendo.
“La  Grazia di Ezekiel,” realizzò, ricordando quanto Castiel gli aveva detto, settimane addietro. “Quella roba… usarla ti uccide. Per questo non curi le tue ferite…” gemette. “Non puoi farlo. Se continui così, morirai. Sam… Sam, fermalo!”
Sentendo le sue parole, Sam aveva lasciato ricadere le braccia sui fianchi, sconvolto quanto lui. “Cas…” mormorò, facendo scorrere lo sguardo da suo fratello all’angelo.
“Lasciami fare, Sam,” lo supplicò l’angelo, il respiro che iniziava a diventare irregolare. “Dean, io… io voglio solo che tu viva.”
“Sei un idiota,” disse lui, digrignando i denti. Riuscì a trovare la forza di sollevare le braccia e posare le mani sui polsi di Castiel. “Tu credi… che basti salvarmi la vita per farmi stare bene…. che basti tirarmi fuori dall’Inferno…. ma non è così,” scandì, cercando di tirarlo via. “Non è così… maledizione, Cas! Io sono nel mio inferno… Tutte le persone che amavo sono morte a causa mia, e io non voglio – non voglio sopravvivere… e sapere che ho perso anche te a causa mia. Non lo sopporterei, Castiel!”
Attraverso il loro legame, Dean avvertì l’angelo esitare, e cercò di aggrapparsi a quella debolezza per fermarlo. Mentre continuava a tentare di smuovere le mani di Castiel dalle sue spalle, d’istinto, iniziò a desiderare ardentemente che il suo potere non riuscisse a penetrare dentro di lui. Si oppose a lui con tutte le sue forze.
Quando Castiel lo realizzò, sgranò il suo unico occhio, incredulo.
“Se hai… se hai voglia di sacrificarti, Cas, combatti contro Abbaddon perché è un demone. Combatti contro Metatron perché è un coglione, ma non osare… non osare morire per me. Non ti permettere...di farlo!”
In quel momento, Dean riuscì a spingere via le mani di Castiel.
La connessione fra loro due si interruppe.
Dean si sentì come se qualcuno avesse staccato improvvisamente tutte le luci. Non sapeva se aveva fatto in tempo, e perse i sensi prima di poterlo scoprire.

*
*
*

Accadde poco dopo, mentre era perso in un altro incubo.
Dean seppe il momento preciso in cui l’essenza di Castiel si spense.  Riuscì a capirlo perché, in quell’istante, tutto il mondo si congelò e poi cadde a pezzi. Ogni cosa perse colore e un freddo pungente iniziò a dilagare nel suo corpo a partire dal punto in cui Castiel lo aveva marchiato, costringendo i suoi muscoli a contrarsi in uno scatto doloroso.
“Cas ….” Il nome dell’angelo si formò sulle sue labbra senza che lui se ne accorgesse.
Dean tentò di raggiungere l'uscita della panic room per supplicare Sam di aprirgli, ma le gambe gli cedettero dopo pochi passi. La testa iniziò a girargli e delle ombre si formarono intorno a lui.
“No, non adesso,” sussurrò frenetico, iniziando a tremare. “Non adesso!”
Voleva alzarsi, ma qualcosa lo agguantò, sbattendolo contro un muro gelido.
Quando Dean si riprese, si ritrovò incatenato per i polsi, prigioniero di un’altra visione. O, forse, non era stato sveglio sin dal principio.
Sentì dei passi lenti avvicinarsi a lui e lo stridio sottile di due lame strofinate fra di loro. Strattonò le catene, cercando di liberarsi. “Chiunque tu sia, grandissimo figlio di puttana,” disse al buio, minaccioso, “non ho tempo per questo!”
Diede un altro scossone alle catene, mentre una figura umana emergeva  dall’ombra davanti a lui. Non riusciva a vedere il suo viso, ma si accorse che stringeva fra le mani due pugnali.
“Maledizione,” imprecò Dean, lottando per liberarsi. Aveva già vissuto questo scenario innumerevoli volte, ma ora era diverso, lui era diverso: si sentiva rinvigorito, più forte e consapevole; e, soprattutto, sentiva di avere uno scopo: doveva uscire da lì, perché Castiel aveva bisogno di lui. Stava male, forse stava morendo. Doveva andare da lui.
“Sai perché ti senti meglio, Dean?” lo punzecchiò la figura nell’ombra. “Perché quell’angelo ha usato quei poteri blasfemi per rimetterti assieme. Non credo che gli sia rimasto molto da vivere ormai.”
Dean contrasse le dita  in un pugno, mordendosi le labbra mentre iniziava a maledire Castiel, e poi il suo aguzzino. Ma ben presto, rovesciò la testa verso il basso e strinse gli occhi, rinunciandoci. “No, non è questo il punto,” disse, respirando forte. “Non è questo. Il punto è che nella mia vita ho fatto un sacco di stronzate. E mi va bene soffrire per i miei errori – mi va bene. Ma non posso restare bloccato qui per sempre a farmi uccidere dal mio passato, mentre le persone lì fuori continuano a morire. Mi sento un mostro perché non posso salvare tutti, ma se non potessi salvare nessuno… lo sarei davvero.”
“Io non merito Sam,” proseguì Dean rialzando gli occhi, senza riuscire a capire da quale parte di lui provenissero le parole che stava pronunciando, “non merito neanche Cas. Ma loro hanno bisogno di me e Dio mio, che io possa tornare giù all’Inferno in questo preciso momento se ho intenzione di abbandonarli.”
La figura restò immobile, rigirandosi il coltelli fra le mani. “Capisco,” sospirò infine, lanciandoli via con un gesto annoiato. Scomparvero a mezz’aria, così come le catene che imprigionavano Dean. Il cacciatore ricadde in ginocchio a terra e si massaggiò i polsi, puntando gli occhi sull’allucinazione.
“Vai pure da lui, per ora. Ma sappi che tornerò a trovarti, Dean,” lo avvertì quella, dandogli le spalle. “Molto prima di quanto tu creda,” soggiunse sogghignando.
 Furono le ultime parole che proferì perché, un attimo dopo, Dean piombò alle sue spalle e gli afferrò la testa e il braccio, rompendogli l’osso del collo con un colpo secco.
Dean vide le orbite rosse del sé stesso demoniaco spegnersi davanti a lui e disgregarsi insieme al resto del suo corpo. L’urlo strozzato che quell’incubo aveva lanciato riecheggiò nel vuoto.
Quando tutto fu tornato normale, Dean non si soffermò a ragionare su cosa aveva fatto, né su come era riuscito a farlo. Non gli importava. Raggiunse la porta della panic room e la trovò socchiusa: senza pensarci due volte, la varcò.
Era da quando si era ritrovato prigioniero delle catene che Dean non riusciva più a sentire il dolore di Castiel, e non sapeva se questo fosse un bene o un male. Lo cercò per tutto il bunker, ma il rifugio degli Uomini di Lettere sembrava completamente deserto.
Chiamò più volte il nome dell’angelo; chiamò Sam e Kevin, ma non ottenne alcuna risposta. Alla fine, angosciato, decise di tornare nella sala principale per cercare un cellulare.
Dalle bocche di lupo ai lati della stanza filtrava una luce chiara; l’aria era fresca, ma non afosa. Doveva essere mattina.
Dopo tanto buio e sofferenza, Dean fu quasi infastidito da quell’atmosfera così ordinata e familiare.
Individuò uno dei suoi vecchi telefoni, che Sam aveva messo sotto carica. Dean stava componendo rapidamente il numero quando si accorse che Castiel lo stava fissando in silenzio dall’altra parte della stanza. Scioccato, il cacciatore rimase paralizzato sul posto.
“Ciao, Dean,” lo salutò lui con un sorriso lieve.
Castiel era pallido, molto più pallido di quanto non fosse mai stato. La benda sul viso era scomparsa, ma i suoi occhi erano spenti ed arrossati. Aveva i vestiti stropicciati, e dal colletto insanguinato della camicia si intravedeva un enorme livido scuro comparso ad un lato del collo. In generale, sembrava che l’angelo stesse per crollare da un momento all’altro – o forse, era già successo; forse, dopotutto, Castiel non ce l’aveva fatta ed era morto, ed ora di lui non restava altro che il suo spettro.  Dean si sentì male al solo pensiero. Le sue gambe si mossero da sole; non si fermò finché non ebbe raggiunto Castiel. Quando gli fu davanti, avvolse le braccia intorno alla sua schiena e lo strinse: era vivo, pensò, riprendendo a respirare. Dio mio, ti ringrazio.
Sentì Castiel posare le mani sui suoi fianchi nel tentativo di ricambiare l'abbraccio.
“Ti sei ripreso,” mormorò semplicemente, quando Dean sciolse la stretta. Il cacciatore lo osservò con preoccupazione mentre raggiungeva la sedia più vicina e vi si lasciava cadere.
“Già. E’ stato un gioco da ragazzi,” gli disse, scrollando le spalle.
Il viso stanco dell’angelo si rasserenò e, di riflesso, Dean fece la stessa cosa.
“Come ti senti?” gli domandò Castiel.
Dean ci pensò su. “Me stesso,” mormorò alla fine. “Non so come spiegarti. E’ ancora tutto dentro di me, ma credo di aver raggiunto un accordo con me stesso.”
Castiel annuì, ma non disse altro.
“Dove sono Sam e Kevin?” domandò allora Dean.
“Non conosco i dettagli,” rispose l’angelo, “ma so che Kevin era molto provato dalla ferita che gli hai causato qualche giorno fa. Credo che si fosse infettata. Il giorno in cui sono arrivato, Sam l’aveva già portato all’ospedale. Ora sta bene, è con sua madre. Sam ha deciso di andare a trovarli.”
“Qualche giorno fa,” ripeté Dean sottovoce. Quindi, alla fine, aveva iniziato a dare di matto solo qualche giorno fa? E perché Sam aveva deciso di andare via proprio quella mattina?
Dean decise che avrebbe ragionato su questa roba più tardi.
“E tu come te la passi?” chiese a Castiel, anche se la domanda suonava parecchio retorica.
“Sopravvivo,” replicò lui dopo qualche secondo.
“Ne dubito,” borbottò Dean, cercando di mantenere un tono neutro. Afferrò un’altra sedia e si sedette di fronte a lui. Avrebbe voluto prendersela con lui per il fatto di aver di nuovo rischiato la vita per lui, ma si trattenne. “Ti ho sentito, Cas. Non so perché, ma era come se sapessi che tu stavi soffrendo.” 
“Sto bene adesso,” affermò lui.
Dean aveva da ridire a riguardo, ma Castiel non gli diede il tempo di rispondere.
“Ho meditato sulle tue parole,” cominciò, “e ho capito. Avevi ragione, Dean. Io… ho sempre creduto che la salvezza fisica di te e Sam fosse la cosa più importante. E ho sempre agito perseguendo questo obiettivo, anche quando ciò significava distruggere me stesso, perché ero convinto che il fine giustificasse i mezzi. Ma mi sbagliavo. Ho finito per causare ancora più danni e farti soffrire ancora di più. Non avevo capito che cosa tu desiderassi davvero. Mi dispiace. Mi dispiace per tutto,” ammise.
Dean lo ascoltò in silenzio, senza interromperlo. Quando lui finì, prese una delle sue mani fra le sue e prese a giocare distrattamente con le sue dita. “Siamo così simili, Cas. Ma tu… tu non puoi pretendere di fare quello che vuoi solo perché puoi farlo,” gli fece notare.
“E’ così,” convenne lui. “Ma voglio che tu capisca che quello che ho fatto non è mai stato quello che avrei voluto fare. Io non ti ho mai abbandonato, Dean: ogni volta che sono andato via, l’ho fatto perché stavo rinunciando a te. Dean… anche io ho bisogno di te,” gli disse Castiel in un soffio. “E l'unica cosa che voglio fare adesso è restare al tuo fianco.”
Lui non ebbe alcuna reazione visibile a quelle parole, ma le sue mani strinsero d’istinto quella dell'angelo; il cuore iniziò a palpitargli nel petto quando commise l’errore di sollevare gli occhi ed incrociare quelli blu e imploranti del compagno. Stavano brillando di una luce intensa, e qualcosa si contorse dentro di lui. Erano così vicini.
Rimasero in silenzio per molti secondi, ma, alla fine, Dean lasciò andare Castiel e portò indietro la sedia, rialzandosi.
“Io… Io non sono sicuro di poterti credere,” borbottò, indietreggiando. Si grattò la testa, il viso arrossato. “Sono stanco, Cas. Sono un umano che non vale quattro soldi, e tu sei un angelo che tenta di ammaestrare una grazia rubata ad un pezzo d’imbecille. Io… io ne ho abbastanza.”
“E’ comprensibile,” concordò Castiel con calma, con molta più calma di quanto Dean avesse potuto sperare. “Andrò via.”
Dean annuì, convincendosi che sarebbe stata la cosa migliore per entrambi. Appartenevano a due mondi diversi. Castiel avrebbe continuato a combattere battaglie del tutto fuori dalla sua portata e, alla fine, avrebbe usato i suoi poteri del cazzo per fare qualcosa di idiota e se ne sarebbe andato, spegnendosi come un fiammifero. E Dean non l’avrebbe sopportato. Preferiva dirgli addio sin da subito.
“Vorrei solo che tu conservassi questa per me: io non ne ho più bisogno.”
Dean alzò gli occhi su di lui appena in tempo per vederlo staccare un laccio sottile che teneva annodato al collo. Castiel lo raggiunse, gli aprì il palmo della mano destra e vi depositò un sottile ciondolo a forma di prisma.
Il prisma era trasparente e brillava di luce propria, emanando un fievole chiarore argento: era, indiscutibilmente, la Grazia di un angelo.
Sotto shock, Dean trasse un profondo respiro prima di parlare. “Che cosa significa?” domandò.
“Ieri notte, quella sensazione che hai provato,” spiegò Castiel, scrutandolo, “era perché mi stavo liberando della Grazia di Ezekiel. Dopo che tu mi hai respinto, quando sei svenuto… avrei voluto continuare, ma Sam mi ha fermato. Mi ha chiesto di fidarmi di te, e poi mi ha fatto leggere un fascicolo che ipotizzava un modo per estrarre la Grazia di un angelo. Ho guarito il mio tramite, e poi ho chiesto a Sam di procedere. E’ stato traumatico, Dean. Ma mi riprenderò,” sospirò, toccandosi il livido al collo, abbozzando un sorriso stanco.
“Perché lo hai fatto?” chiese Dean, incredulo.
Castiel sollevò le spalle. “Se fossi stato un angelo, avrei potuto essere molto più utile in guerra. Mi sarei battuto per voi e per la mia famiglia, fino a che quella Grazia non mi avesse consumato. Ma per una volta, io… ho desiderato essere egoista.”
Dean si sentì come se il muro che aveva appena eretto gli fosse crollato addosso. “Quindi, adesso… sei umano?” domandò, con un tono di voce più alto di quanto avesse voluto. “Voglio dire, sei davvero umano? Non stai per morire?”
Castiel annuì e sorrise di fronte all’espressione spaventata che aveva assunto Dean. “Sono umano. Non sto per morire,” lo rassicurò. “Un giorno, però, accadrà: non credo riuscirò mai ad abituarmi all’idea,” aggiunse, incerto.
Lanciò un’occhiata al cacciatore e gli sorrise un’ultima volta. Dean rimase a fissarlo ad occhi sbarrati così a lungo che, dopo un paio di minuti, Castiel distolse lo sguardo, sentendosi in imbarazzo.
“Credo… credo di dover andare adesso,” osservò.
Per tutta risposta, Dean gettò da qualche parte il prisma con la Grazia e afferrò il braccio di Castiel, tirandolo contro di sé. Lui era ancora debilitato e Dean fu fin troppo impulsivo, e come risultato quasi gli cadde addosso. Dean lo strinse contro il suo petto, impedendogli di cadere, e  lo baciò con veemenza tale togliergli il fiato. Castiel sembrava non stare aspettando altro fino a quel momento. Portò le braccia dietro il suo collo e lo ricambiò con altrettanta urgenza, spingendolo, se possibile, ancora più vicino a lui. La sensazione della bocca di Dean premuta sulla sua, dei suoi respiri accelerati e delle braccia che scorrevano sul suo corpo era meravigliosa. Se fosse stato un angelo, Castiel avrebbe continuato a baciarlo letteralmente fino alla fine dei tempi. Ma erano entrambi dei umani, e lui aveva appena iniziato a recuperare le forze, per cui fu costretto a staccarsi dalla sua bocca quando i suoi polmoni cominciarono a supplicare per l’assenza di aria. Mentre Castiel cercava di riprendere fiato, Dean continuò a lasciare una scia di baci e carezze sul suo viso e il suo collo, sfiorando appena il livido dovuto all’estrazione della Grazia.
Per quanto fosse delicato, non era piacevole: ben presto, Castiel contrasse la mascella d’istinto per il dolore, e Dean si fermò.
“Scusami,” gli disse rapidamente, baciandogli le labbra più e più volte. “Scusami, Cas.”
Lui fece un cenno con la testa, facendogli capire che non era importante.
“Devo dedurre,” gli sussurrò, ricambiando i suoi baci leggeri, “che hai cambiato idea?”
“Sei umano,” constatò Dean in tono pratico, muovendo un passo indietro. “Questo significa che hai bisogno di un posto in cui dormire, e qui siamo pieni di stanze. Scegli pure quella che vuoi. Ma sappi,” soggiunse, ammiccando, “che la mia ha un letto con un materasso in memory foam.”


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PS.
Sam SAPEVA

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


gg
Castiel appoggiò pigramente la schiena ad una delle portiere dell’Impala.
Lui e Dean avevano fatto sosta in una stazione di servizio a pochi chilometri da La Crosse, dove si erano occupati di una coppia di Leviatani sopravvissuti Dio-sa-come sino a quel momento.
Quello era stato il primo caso serio che avevano avuto da settimane: da quando avevano annientato Abbaddon e sistemato Crowley, i demoni erano diventati molto meno attivi di quanto non fossero stati negli ultimi duemila anni. Anche gli attacchi dei mostri si erano notevolmente ridotti; gli angeli, invece, a causa della lontananza dal Paradiso, si erano indeboliti sempre di più, sino a consumarsi o degenerare in semplici esseri umani.
Non c'era stato alcun modo di evitare che ciò accadesse: l’incantesimo di Metatron era risultato essere irreversibile.
A seguito di questa scoperta, Castiel aveva deciso di espiare il proprio peccato diventando un cacciatore: avrebbe protetto il genere umano fino a che non fosse arrivata la sua ora. Dopotutto, era il compito che suo Padre gli aveva assegnato; e forse, un giorno, sarebbe riuscito ad incontrare Metatron e a fargliela pagare per tutto ciò che aveva fatto.
I primi tempi da umano e cacciatore erano stati tragici per Castiel, ma Sam e Dean erano stati dei buoni insegnanti e lui aveva imparato in fretta.
Ancora adesso, ogni tanto, Dean se la prendeva con lui perché non era particolarmente portato per le armi da fuoco, perché le sue abilità sociali continuavano ad essere imbarazzanti e perché maledizione Cas, non puoi essere ubriaco dopo aver bevuto solo una birra. Ma Castiel sapeva che Dean si fidava di lui e che, se lavoravano insieme, non c’era uomo, demone o spirito in grado di sopraffarli.
L’ex-angelo spostò lo sguardo dal cielo cristallino del Wisconsin a terra: con la primavera, ogni centimetro di terreno incolto in quella zona si era ricoperto di fiori dai colori vivaci; l’aria era tiepida e la brezza sul viso piacevole. Castiel assorbì le sensazioni che il mondo in cui era immerso gli causava, trovandole perfettamente naturali. Era così perso nel suo stato di contemplazione che sobbalzò leggermente quando avvertì Dean sistemarsi accanto a lui.
“Se fossi stato un mostro, adesso saresti morto,” dichiarò il biondo, a metà fra il serio e il divertito,
passandogli una tazza di caffè freddo.
“Non lo eri,” constatò Castiel, sollevando appena le spalle.
“Hm,” grugnì Dean in risposta. Diede un morso alla fetta di crostata alle arance che aveva appena comprato e si lasciò sfuggire un gemito estasiato così intenso che fece sgranare gli occhi di Castiel.
“Quando stanotte quel bestione è entrato in modalità Shark Attack,” spiegò il Winchester, la bocca ancora piena, “ho creduto che non avrei più potuto mangiare una di queste.”

L’ex-angelo inclinò la testa di lato, scrutandolo come per chiedergli: “stavi davvero pensando a questo?”, ma, dopo alcuni secondi, si girò dall’altra parte e si limitò a prendere in silenzio un sorso della sua bevanda.
Dean notò il suo comportamento e lo trovò strano. “Cosa c’è?” gli chiese, rinunciando a dare un altro morso al suo dolce.
Castiel non rispose. Osservandolo meglio, Dean notò che le occhiaie sotto i suoi occhi erano più segnate del solito e che aveva assunto un’espressione incerta. Le mani avevano iniziato a tremargli, e il caffè ondeggiava pericolosamente nella sua tazza di plastica.
Dean portò una mano sulla sua spalla, attirando la sua attenzione. “Ehi,” gli disse con fermezza, richiamandolo alla realtà.
Castiel si voltò verso di lui. “Io non dovrei essere qui,” mormorò l’ex-angelo con aria smarrita, premendosi una mano sul viso.
Dean rimase fermo a fissarlo, preoccupato.
“Che diavolo stai dicendo?! Certo che dovresti essere qui!”
Castiel gli rivolse uno sguardo colpevole. Impiegò molti secondi per trovare le parole per rispondergli. “Dean, io... Continuavo a ripensare a stanotte. Non meritavo di essere salvato. Mi sono comportato in modo sconsiderato,” ammise infine, tornando in sé. Scosse la testa. “Se non fosse stato per te, quel Leviatano mi avrebbe divorato.”
A quelle parole Dean sogghignò, rilassandosi. Accartocciò l’involucro con i resti della crostata e lo gettò via. “Ho perso il conto delle volte in cui tu hai tirato fuori dai guai me negli ultimi mesi, Cas. Ogni tanto tocca anche a me farlo. Siamo una squadra, è così che funziona. Resta comunque il fatto che, stanotte, sono stato fantastico,” scherzò, scrollando le spalle.
Castiel posò una mano sulla sua e la strinse. “E’ così,” gli disse in tono sincero, lasciandolo interdetto.
Dean voleva ribattere con una battuta, ma le parole gli morirono in gola quando Castiel si portò davanti a lui e appoggiò la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Dean sentiva il suo respiro leggero sulla sua pelle. Non riuscì a capire chi fosse stato il primo a catturare le labbra dell'altro, e non gli importava. Sorrise piano, abbandonandosi a quel contatto.
Castiel lo baciò avidamente, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena, scendendo sino a soffermarsi sui bordi del suo jeans, per poi scendere appena un po' più giù. Dean emise un gemito appena percettibile e, d'istinto, lo spinse contro la macchina, premendo il petto contro il suo. Il corpo perfetto di
Castiel fremeva ad ogni tocco di Dean e il cacciatore rimpianse il fatto di essere con lui in un parcheggio all'aperto e non nella stanza del motel che avevano appena lasciato.
Dean lo amava. Non gliel'avrebbe mai detto e forse non si rendeva conto neanche lui di quanto profondo fosse il suo sentimento, ma era così.
Ciò che provava quando era con Castiel era sconvolgente e, a volte, gli faceva paura. Eppure, non sarebbe mai riuscito a farne a meno. Mentre prendeva fra i denti il labbro inferiore del suo compagno, strappandogli un sospiro, Dean ripensò a ciò che gli aveva appena detto. Era vero: quella notte, Castiel aveva rischiato davvero grosso. Ora che era tutto finito, Dean si permetteva di riderci sopra, ma, se non fosse riuscito a fermare quel Leviatano in tempo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Continuarono a baciarsi a lungo, completamente estraniati dal resto del mondo. Alla fine, il bisogno di aria cominciò a diventare bruciante per entrambi, ma nessuno di loro voleva staccarsi dall'altro. Quando però il cellulare di Dean iniziò a vibrare con insistenza, il cacciatore fu costretto ad allontanarsi per primo.
Respirando affannato, estrasse il telefono di malavoglia. Controllò l’origine della chiamata e poi se lo rimise in tasca senza rispondere.
“E’ Charlie,” sbuffò, seppellendo la fronte nell'incavo della spalla di Castiel. “E’ la terza volta che mi chiama. Non approva la risposta che ho dato a Sammy.”
Castiel aggrottò la fronte, confuso.
Sam, alcune settimane dopo la caduta di Abbaddon, aveva iniziato sempre più spesso a chiedere a Dean e Castiel di andare a caccia da soli: lui preferiva restare nel bunker a studiare e, quando necessario, forniva loro supporto a distanza. In generale, Sam divideva i suoi giorni fra la biblioteca e l’archivio del bunker. In pochi mesi, aveva accumulato nella sua mente una mole di informazioni tale che, ben presto, era divenuto un vero e proprio Uomo di Lettere. Non c’era cacciatore in America che non sapesse il suo nome o quanto fosse esperto ed affidabile. Dean era fiero di lui, ma, certe volte, aveva l’impressione che il suo fratellino esagerasse.
“Quando l’ho chiamato per avvertirlo che qui avevamo finito,” spiegò Dean a Castiel, facendo un passo indietro, “mi ha informato che lui e Charlie hanno deciso di infilare nel computer tutta la dannatissima biblioteca,” borbottò, passandosi poi una mano sulla bocca.
L'ex-angelo impiegò alcuni secondi per comprendere la mole titanica dell’impresa. “Hanno… bisogno di aiuto?” chiese infine, con una punta di rassegnazione.
“Sono disperati. Al telefono, Sammy parlava con voce soffocata. Credo che stiano annegando nei libri o qualcosa del genere, per cui stavo pensando... che potremmo prenderci un po’ di ferie?”
Castiel sbatté le palpebre. “Dici sul serio?”
“Maledizione,.”
L’espressione stupita dell’ex-angelo sfumò presto in un sorriso fintamente rassegnato. “Quella donna ci rintraccerà e ci ucciderà,” osservò a braccia incrociate, divertendosi a osservare il modo in cui Dean lottava per rifiutare una nuova chiamata in arrivo e spegnere in contemporanea il cellulare.
“Le loro idee assurde uccideranno me,” bofonchiò il cacciatore, imbronciato.
Castiel non replicò. Era molto più responsabile di lui, ma Dean ormai lo conosceva abbastanza da sapere che neanche lui aveva intenzione di trascorrere settimane rinchiuso nel bunker a scannerizzare libri. Si sarebbe costretto a farlo, se non ci fosse stato Dean. Lui si sentiva un po’ come il suo diavolo tentatore ma in fondo, diamine, erano stati con l’acqua alla gola per mesi, e solo poche ore fa avevano salvato decine di persone da un destino orribile. Si meritavano un po’ di pace. Cas si meritava un po’ di pace.
“Andiamo. Sono sicuro che se la caveranno da soli,” disse, prendendo le chiavi dell’Impala.
“E dove vorresti andare?” gli domandò Castiel, staccandosi dalla portiera.
Dean si rigirò fra le mani le chiavi fra le mani. “Non ne ho idea,” rispose, rivolgendogli un sorriso complice.
L’ex-angelo lo guardò negli occhi, ricambiando il sorriso. “E’ un buon inizio,” disse, salendo sull’auto insieme a lui.





* * *



Note finali? Note finali.

Grazie per essere giunti fin qui, grazie a voi che mi avete messo fra i preferiti etc., ma soprattutto grazie a voi che mi avete, in modi più o meno brutali, incoraggiato a continuare. Mi sono divertita a scrivere questa fanfic, ma sono una persona che difficilmente conclude i progetti che inizia e, se non avessi ricevuto continuamente dei feedback, non sarei mai riuscita ad arrivare fin qui. Per questo motivo... vi ringrazio! *abbracc* ;_;!
Ho due brutte notizie: la prima è che stavo pensando di scrivere un seguito di questa fanfic; la seconda è che ho già iniziato a farlo, perché sì.
In verità, non ho ancora deciso se continuare il progetto o no. Ci penserò su piu' in là. Per ora, a causa degli impegni, penso che mi limiterò a revisionare questa fanfic (vorrei modificare alcuni punti e poi farne un pdf), e a terminare le altre storie che ho in sospeso. Quindi… per il momento è tutto!

Ragazzi e ragazze, ci si vede in giro!

Vi ho voluti tutti bene.

Non ho meritato un decimo dei vostri complimenti.

Grazie, davvero, di cuore.



Extra.
Alcune delle musiche con cui mi stordivo mentre scrivevo questa fanfic:
R.E.F. Warrior's Lullabye |
Remember Execute Forget | Requiem of the night | vc-pf20130218 | Zack Hemsey in generale | Fuse | Bittersweet | Cities in dust

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