A shadow on the wall

di ShadowOnTheWall_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno ***
Capitolo 2: *** La Fontana dei Desideri ***
Capitolo 3: *** I ricordi del giovane cavaliere ***



Capitolo 1
*** Il ritorno ***


Love is a poison. A sweet poison, yes, but it will kill you all the same.
Cersei Lannister.
 
La città era un crepitio di fiamme che lente risalivano per le case di legno del suo quartiere più malfamato. Era un suono opprimente, l’emblema della distruzione. Le grida delle donne, i pianti dei bambini e gli ordini inutili degli uomini presto si aggiunsero a quel lamento. Il fuoco, udendo ciò, cominciò a divenire malevolo, aiutato da un vento che inesorabilmente lo stava conducendo verso la collina più alta, la collina ove era situato il palazzo reale, la collina del primo Re di Westeros.
Dalle sue stanze, in cui era stata confinata per ordine del Primo Cavaliere con suo fratello minore che gemeva piano guardando la città ridotta ad un fumo rossastro e nauseante, con l’odore della carne bruciata indice delle prime vittime, Shirhae osservava quell’incendio pregando che vi fosse qualche divinità capace di annientarlo poiché gli uomini non avrebbero mai saputo domare un essere mostruoso, un demone nero cavalcato da una donna d’argento che era giunta sulle coste del Mare Stretto per riprendersi il regno dei suoi padri.
Shirhae aveva sempre sospettato che quel giorno sarebbe arrivato da quando aveva avuto la certezza che qualche Targaryen respirasse ancora. Suo padre aveva provveduto ad uccidere due infanti e una principessa che nulla avrebbe potuto provocare, ma aveva lasciato vivere quella che poi sarebbe divenuta la Madre dei Draghi. Il regno di Robert Baratheon era stato destinato a tramontare ancor prima di essere nato per la noncuranza, per gli intrighi che soffusi si erano radicati tra le pareti del palazzo, generando infinite ed intricate ragnatele che presto li avrebbero soffocati tutti.
E il fuoco fu sovrano.
Ben presto udì gli strepiti dei nobili nella Fortezza, le vane solfe di suo fratello Joffrey, che mai si sarebbe arreso ad una ragazzina, le ancor più inconsistenti suppliche della regina Margaery che, tra le lacrime, tentava di far mutare giudizio ad un folle.
Per ultima udì sua madre, la donna di cui più si era fidata nel corso della sua esistenza, la forte regina che si era tramutata nell’ombra di un marito che nulla le aveva offerto se non un talamo colmo di vermi e complotti. Stava salendo le scale diretta verso la loro camera, la più sicura della Fortezza, ordinando a delle serve di preparare l’indispensabile per una fuga.
Una fuga che non sarebbe mai avvenuta.
Daenerys Targaryen, Nata dalla Tempesta, Regina di Westeros, era lì, dinanzi a lei, nel suo splendore di donna cresciuta prima del tempo, gli occhi d’ametista fieri e implacabili come dovevano essere stati quelli di Rhaegar, suo fratello, il Principe di Roccia del Drago, prima della battaglia del Tridente.
E Shirhae sapeva già di aver perduto quella guerra.
 
La principessa dei Sette Regni si destò di soprassalto, il respiro corto e i capelli biondi scompigliati. Non era raro che sognasse di un futuro che presto sarebbe giunto a distruggere tutte le sue certezze, facendo sprofondare la sua famiglia dal posto più alto del mondo a quello più infimo. Quel sogno, però, era stato troppo reale. Aveva potuto riconoscere l’odore della cenere, della carne. Aveva sentito le lacrime sulle sue stesse guance, il sapore della disperazione sulle labbra e il suono della morte le aveva invaso la mente. Aveva potuto contare le pagliuzze dorate nelle iridi violacee della regina dei Draghi.
L’alba era ormai sorta da qualche tempo e il Sole aveva cominciato la sua traversata dalla superficie smeraldina del Mare Stretto sino al suo Zenit nel cielo terso della capitale. L’aria era fresca, segno che l’Autunno doveva essere quasi volto al termine per lasciar spazio all’Inverno. Shirhae si portò la mano destra sul cuore che batteva concitato tentando di ritrovare la calma.
La sua dama da compagnia, Lollys, che sino ad un istante prima era perfettamente immersa in un sogno sicuramente più ameno del proprio, scattò a sedere, colpita da quel brusco risveglio che aveva scosso la sua principessa, e le sfiorò il braccio destro con una nota di comprensione nello sguardo quasi sempre assente.
Lollys non era ciò che molti uomini avrebbero definito una bella donna. Era abbastanza anonima con i suoi grandi occhi marroni e i capelli dello stesso colore, una donna robusta e bassa di statura, ma aveva un buon cuore e Shirhae si era affezionata al suo carattere ancora infantile e pieno di quella speranza tipica di coloro che si accontentavano di poco. Era stata l’unica tra le sue dame a non essersi avvicinata a lei per denaro o per desiderio di mostrarsi ai cavalieri e sposarsi con un buon partito, oppure che le avesse rubato qualche monile.
« Sono ricominciati, mia signora?» mormorò preoccupata mentre scorgeva il rossore sui suoi zigomi alti, simili a quelli di sua madre. Sin dalla più tenera età aveva sognato che i draghi avrebbero riconquistato Westeros. Da quando aveva scorto le loro spoglie in una stanza buia nelle segrete del palazzo aveva compreso che, se fossero rinati, nessun esercito avrebbe potuto contrastarli. Durante l’era Targaryen i draghi era perfettamente visibili, situati nella sala del trono a memoria della potenza di quella famiglia che si era sempre considerata al pari degli Dei. Ma Re Robert li aveva confinati nell’angolo più recondito della Fortezza Rossa, al riparo dagli sguardi e dal timore.
« È stato solo un momento,» la rassicurò, sfiorandole la gota sinistra, le labbra rosate arcuate in lieve sorriso dolce. Sperava fosse soltanto un incubo e non l’inizio di altri. Da anni non la inquietavano e non bramava ricominciassero a farlo.
« Debbo chiamare il maestro?» domandò per nulla rincuorata da quella risposta che riconosceva falsa. Lollys aveva imparato a comprendere quando mentiva poiché scostava lo sguardo dal proprio interlocutore per qualche frazione di secondo. Mentire era insito nella sua famiglia e Shirhae l’aveva imparato, ma a volte, soprattutto quand’era agitata, non era in grado di dissimulare.
« Non ve ne è bisogno e gradirei che non lo riferissi a mia madre. Si preoccuperebbe inutilmente,» esclamò, issandosi in piedi. Sua madre le avrebbe fatto bere il vino dei sogni e avrebbe desiderato conoscere la ragione del suo turbamento. Shirhae non poteva raccontarle nulla, non in quel clima teso che caratterizzava le loro giornate da quando era scoppiata la Guerra dei Cinque Re.
Lollys incominciò a prepararle l’acqua calda per il bagno, profumandola con delle essenze alla vaniglia che avrebbero reso la sua pelle candida come quella di tutte le nobildonne di Westeros, le spalle piegate, certamente credendo che fosse adirata contro di lei.
« Preparami un vestito, Lollys,» sussurrò tentando di mitigare il tono che aveva adoperato quasi senza rendersene conto, irritata com’era da quella circostanza. Lollys non aveva colpe e le era rimasta accanto nonostante il suo carattere incostante, « Questa mattina son certa che lady Margaery mi inviterà ad aiutarla con il matrimonio. Sarà una lunga giornata,» soggiunse tra sé, entrando nella vasca e incominciando lavare via la stanchezza.
Margaery Tyrell, la rosa di Alto Giardino, doveva essersi imposta di far amicizia con la sorella del suo futuro marito. Shirhae avrebbe anche potuto comprenderla se non fosse stata perfettamente consapevole della realtà che la circondava. Margaery non sapeva cosa stava per affrontare, quale vita avrebbe condotto e con quale sofferenza avrebbe presto convissuto. Shirhae non aveva alcuna intenzione di affezionarsi ad una donna che presto sarebbe divenuta l’ombra di se stessa a causa di suo fratello.
Sospirò e tentò di non pensare all’espressione di pura soddisfazione sul viso di Joffrey, lo sguardo puntato alle forme attraenti della giovane dama e il sorriso sadico che non preannunciava nulla di positivo. Joffrey era sempre stato crudele, ma l’essere divenuto re non aveva fatto altro che aumentare la sua alterigia e la sua follia. Non fingeva neanche più di mantenere le apparenze, di essere permeato da un’affettata cortesia se non in presenza di quella giovane donna dagli occhi di cerbiatta. Presto però, Shirhae ne era certa, si sarebbe volto contro di lei e l’avrebbe fatta appassire.
« Subito, principessa,» esclamò Lollys riportandola alla realtà mentre cercava nella cassapanca ai piedi del letto un vestito adatto. Ne scelse uno amarantino e grazioso che ben si sposava con i suoi capelli biondi. Sua madre l’avrebbe guardata con soddisfazione quel giorno. Cersei era solita abbigliarsi con i colori della sua nobile Casata e gradiva che i suoi figli facessero altrettanto per portare onore e lustro ai leoni che sempre pagavano i loro debiti.
Si vestì tentando di non pensare a Joffrey e alla sua giovane promessa sposa né a sua madre, destinata a maritarsi con il fratello di lei. Se rimuginava su Ser Loras, il bel cavaliere di Fiori che aveva fatto innamorare molte Lady gareggiando in taluni tornei, non poteva esimersi dal domandarsi la ragione per la quale suo nonno, il Primo Cavaliere e il Protettore delle Terre del Tramonto, aveva deciso di dare in moglie sua madre e non lei, che non era mai stata promessa a nessun Lord. Myrcella, la sua giovane e bella sorella, era stata promessa al principe di Dorne, un ragazzo undicenne che le sembrava cortese e amabile, dalle lettere piene di affetto e di gioia che le arrivavano ad intervalli regolari. Joffrey si stava per sposare e vi era persino nell’aria un possibile fidanzamento di Tommen, ma per Shirhae non era stato deciso ancora nulla sebbene la sua avvenenza fosse stata cantata da bardi e menestrelli per buona parte del Continente Occidentale. Mentre Lollys le allacciava il corpetto ricamato da dei ghirigori dorati che somigliavano a rami d’alloro, togliendole il respiro, Shirhae incominciò a credere che suo nonno avesse altri piani per lei, piani ben più perigliosi di un matrimonio.
Lollys le acconciò i capelli in una treccia complicata canticchiando una ballata che in quel momento stentava a riconoscere. Dopo che ebbe terminato Shirhae le posò le labbra sulla gota per ringraziarla e lasciò le sue stanze. Mentre si dirigeva verso la sala principale in cui solitamente gustavano la colazione, notò Joffrey, adagiato contro il muro e con un sorriso crudele impresso sulle labbra esangui simili alle proprie, parlare con un uomo abbastanza alto, dai capelli stopposi e i vestiti da mendicante con un’evidente menomazione alla mano destra. Aggrottò le sopracciglia non capendo come mai il suo regale ed elitario fratello potesse perdere il suo prezioso tempo parlando con un uomo del genere. Poi udì la sua voce baritonale, profonda e perfettamente familiare.
« Zio Jaime,» esclamò non riuscendo a trattenere la gioia. Suo zio, suo padre, era ancora vivo ed era dinanzi a lei. Per quasi un anno era stato prigioniero dell’esercito di Robb Stark, il re del Nord, ma era fuggito e da settimane non avevano più sue notizie. Malignamente Joffrey aveva affermato, abbastanza lontano dalle orecchie della loro madre, che doveva essere caduto in un’imboscata e morto da tempo, ma Shirhae non aveva mai smesso di pregare per il suo ritorno.
Jaime si volse, come scottato, e i suoi occhi verdi, identici ai propri, erano colmi di un’amorevolezza che poche volte aveva riconosciuto in loro. Sembrava essere invecchiato di dieci anni senza una mano e con la barba incolta nella quale si intravedevano fili d’argento, ma Shirhae non poté impedire ai suoi occhi di divenire lucidi.
« Shirhae, sei sempre splendida, principessa,» l’accolse non senza un certo orgoglio rimirandola come se avesse dinanzi a sé la più bella tra le creature. Shirhae arrossì e si avvicinò velocemente ai due uomini che tanto si somigliavano. Joffrey era cresciuto ed era divenuto avvenente quasi quanto suo padre, dovette riconoscere. I suoi tratti non erano più quelli di un infante, ma quelli di un uomo che si preannunciava avere il fascino tipico dei Lannister. Il carattere, però, non era mutato. Era rimasto quello di un bambino bizzoso che giocava a fare il re.
« Non sorridere in quel modo,» borbottò Joffrey scortese e iracondo come se la sua contentezza fosse capace di ferirlo, gli occhi verdi che la osservavano gelidi facendola quasi impallidire. Fu solo un momento, però, « Margaery ti aspetta. Desidera che l’aiuti con il suo abito,» affermò ritrovando una parvenza di gentilezza prima di passarle accanto e sparire dietro l’angolo del corridoio. Shirhae scosse il capo e rivolse uno sguardo più armonioso verso suo padre che aveva arcuato le folte sopracciglia bionde nei confronti del suo re.
« Sono felice che tu sia tornato, zio Jaime,» asserì con dolcezza avvicinandosi al cavaliere per poi abbracciarlo gettandogli le braccia al collo. Era così magro che poté sentire le sue ossa sporgenti anche sotto gli strati degli abiti di iuta che indossava. Neanche l’odore era dei migliori, ma Shirhae non si scostò e lacrime di sollievo le rigarono le gote magre.
« Sembri essere l’unica, cara,» sussurrò Jaime tra i suoi capelli stringendola più forte con quel tono che rade volte gli aveva sentito utilizzare e quasi mai con i suoi figli. Erano i principi di Robert, non i piccoli leoni di Jaime e i nobili avrebbero presto inteso che non vi era sangue di cervo nel loro cuore dorato, « Ma preferisco il tuo sorriso alla contrizione degli altri.» 

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Capitolo 2
*** La Fontana dei Desideri ***


La Fortezza Rossa era immersa in un clima di febbrile preparazione in vista del matrimonio reale che si sarebbe celebrato pochi giorni dopo. I servitori avevano le braccia colme di vesti, tendaggi, monili e le labbra intrise di messaggi da riferire. I Tyrell avevano riportato la vita in una città che pareva essere morta con le risate alte e scortesi del vecchio Re Robert, compianto dal popolo e da pochi nobili nostalgici dell’atmosfera festosa che il sovrano era solito emanare con le sue abitudini nel dissipare con opere futili il denaro del reame.
Nella corte di re Robert vi era stato sfarzo, lustro e magnificenza. Erano confluiti signori da molte parti del regno, dalla Valle di Arryn, dalle Terre dei Fiumi e dall’Altopiano prevalentemente, con le loro nobili consorti che tentavano di comprare il favore di sua madre, la splendida regina Cersei, con false lusinghe e sorrisi affettati. Durante l’infanzia Shirhae non aveva saputo riconoscere l’ipocrisia dei loro gesti, ma aveva imparato ben presto a comprendere chi aveva dinanzi a sé. Era stato fondamentale per poter sopravvivere all’interno di un reame fondato sul conformismo. Aveva scoperto di avere un dono nel saper interpretare gli sguardi degli aristocratici.
Le Rose avevano portato nuovi profumi a corte, cibo e vivande per le quali erano stati osannati da quelle stesse persone che avevano nutrito un sincero terrore nei loro confronti quando Lord Renly aveva risalito la Strada delle Rose diretto alla capitale per conquistarla. Il carattere del popolo era mutevole, la loro memoria di breve durata e il sguardo di non ampio respiro.
L’ala della Fortezza riservata ai Tyrell e ai loro paggi era animata dai risolini concitati delle cugine di Lady Margaery. Shirhae scosse lievemente il capo e sollevò gli occhi verdi verso il soffitto candido. Margaery aveva una famiglia numerosa, non tanto quella dei Lannister, che l’aveva seguita nella capitale quando il fidanzamento era stato reso ufficiale. Shirhae tentava di incontrare il meno possibile le giovane dame di sua cognata. Erano fanciulle frivole e la principessa non gradiva quelle risate in un clima tetro come quello della guerra. Sebbene Joffrey ritenesse che dopo la morte di Robb Stark i suoi nemici fossero stati totalmente sbaragliati, Shirhae non dimenticava che in un’isola a poche leghe dalle Terre della Corona vi era il più ostinato tra i pretendenti al trono. Stannis Baratheon, unico fratello di Robert ad essere ancora in vita, era un uomo a senso unico, amante del dovere e testardo. Non era stato spezzato dalla Battaglia delle Acque Nere e Shirhae sospettava che un giorno sarebbe giunto nella Sala del Trono e avrebbe conquistato ciò che era suo di diritto, bruciando Joffrey sulla pira dei suoi avversari.
Shirhae si domandò se quella prospettiva, che scorgeva suo fratello non più in grado di comandare Westeros imponendo un regime di terrore, fosse davvero capace di ferirla. Joffrey non era stato buono neanche da bambino. Spesso le aveva tirato le trecce lunghe che erano stato suo motivo di vanto e una volta, quando l’aveva appellato il Principe delle Lumache poiché non aveva imparato a schivare i suoi colpi, l’aveva fatta volontariamente cadere nel mare azzurrino di Lannisport, quasi annegandola. Se non fosse stato per l’intervento repentino di suo padre, che era stato posto a guardia dei due principi, sicuramente quel giorno Joffrey avrebbe compiuto il primo della sua lunga serie di crimini.
« Sorella adorata,» esclamò Lady Margaery accogliendola come se fosse stata davvero una parente rivista dopo anni di assenza. Shirhae non s’era resa conto di essere giunta dinanzi alle stanze di sua cognata, lasciate spalancate per permettere alle sarte di muoversi abilmente e prendere le stoffe per l’abito nuziale. Margaery, la bella dama sedicenne che aveva stregato il cuore del popolo di Approdo del Re, era abbigliata in un abito azzurrino e maestoso, degno di una regina, i capelli lasciati sciolti e gli occhi vispi, indagatori e scaltri. Era bella, forse ancora più graziosa dell’altra fidanzata di suo fratello, Lady Sansa Stark in Lannister, eppure Shirhae era certa che Myrcella sarebbe divenuta ancora più regale di quella rosa tra qualche anno.
« Margaery, mia cara, disturbo? » mormorò osservando lo stuolo di cugine che l’ammiravano estasiate. Erano già in età da marito, ma odoravano ancora d’Estate, di sogni inespressi e di gioie infantili. Margaery era più adulta, Shirhae l’aveva subito intuito. Poteva sedurre e incantare come una donna, poteva abbindolare suo fratello, ma non sua madre né lei. Shirhae era una Lannister, una fiera leonessa, figlia di Castel Granito e un leonessa non si sarebbe mai lasciata calpestare da una rosa nonostante le sue spine fossero affilate.
« Quale disturbo? Entra e accomodati. Spero che il mio abito ti sia gradito.» Il suo abito le era gradito, invero. Era splendente e Shirhae aveva sempre amato quei colori tenui e quei disegni elaborati in pizzo di Myr. Gli occhi della dama erano pieni di una puerile speranza, ma Shirhae, tanto abituata alle menzogne di corte, seppe riconoscere che stava tentando di ammaliarla. La principessa sorrise, tentando di non aggrottare le sopracciglia in uno sguardo di beffa che poteva significare guerra tra quelle pareti anguste, ed entrò nelle stanze ariose da cui si potevano osservare i giardini. Notò che sua madre era accomodata al fianco di Lady Olenna Tyrell e stava sorseggiando il consueto calice di vino rosso di Arbor. Era splendida nel suo abito verde che ben mostrava le sue forme ancora attraenti. Cersei le rivolse un sorriso di benvenuto, il sorriso orgoglioso per l’abito che indossava e per i capelli acconciati come una perfetta nobildonna. E Shirhae non poté che sentirsi onorata per quello sguardo amorevole.
« Sei splendida. Son certa che il re non potrà far altro che ammirarti per tutto il ricevimento nuziale,» affermò cortese prendendo posto accanto a sua madre che le sfiorò una gota con la mano libera in una mite carezza. Cersei Lannister amava i suoi figli, ciò era indubbio, sebbene alle volte Shirhae credesse che soltanto Joffrey fosse importante per lei. Li aveva avuti dall’uomo che amava, dal gemello, dal suo specchio, dall’altra metà di se stessa. Shirhae e Tommen somigliavano a Jaime nei loro atteggiamenti, nei loro desideri e nel carattere. Joffrey e Myrcella erano più simili a Cersei. La bellezza di tutti loro, però, era tipica dei Lannister e Shirhae sapeva che era un’avvenenza sopraffina, non discreta come quella di Margaery o di altre dame all’interno della corte. 
« Sono contenta che abbia la tua approvazione,» tintinnò Margaery facendo cenno alla sarta di prendere le ultime misure in vita per farle risaltare i fianchi morbidi. Il fascino della rosa di Alto Giardino era nei suoi modi, nella sua eleganza, nell’arte dei suoi sguardi, nella sensualità dei suoi gesti, ma non aveva nulla che la facesse risaltare sopra la massa di altre donne in quanto a mero aspetto fisico.
« Madre, sai che zio Jaime è tornato ad Approdo del Re?» bisbigliò di modo che soltanto la regina potesse udirla, una mano sulle labbra sottili per non farne percepire il movimento. Non desiderava che Lady Olenna udisse quella novità prima del tempo. Suo padre era tornato, sì, ma non era lo stesso cavaliere che era scappato dalla capitale dopo aver aggredito Lord Eddard Stark dall’uscita di un bordello di Ditocorto. Aveva perso una mano, il suo fascino era quasi sfiorito e Shirhae doveva comprendere fino a che punto fosse cambiato.
« Certamente, figliola. L’ho scorto questa mattina all’alba, ma non ho voluto disturbarti,» precisò sua madre per poi gustare un altro sorso di vino. Sembrava come se non le importasse, come se non avesse pianto per mesi da quando aveva udito la spiacevole notizia della sua cattura, come se non avesse cercato il suo abbraccio di notte per non abbandonarsi alla nostalgia e al pensiero di averlo perduto per sempre.
« Avresti dovuto. Sapevi quanto sono stata in pena per lui in questi mesi,» borbottò Shirhae incerta dinanzi a quell’atteggiamento. Avevano pianto insieme, tra gli sguardi beffardi e pungenti di Joffrey, eppure sua madre non era scalfita nemmeno in superficie dal ritorno del padre dei suoi figli. Negli occhi, però, Shirhae poté riconoscere una nota di gelo.
« Sorella, avresti il desiderio di passeggiare con me questa mattina?» domandò Margaery scendendo dal piedistallo e facendola allontanare da quei pensieri dolorosi. Jaime era stato l’uomo che aveva dovuto nascondere il proprio affetto in favore di un regno, di un futuro che avrebbe scorto i suoi figli governare Westeros, ma senza provare mai le gioie di una famiglia, di un padre amorevole che li guidasse nel cammino.
« Certamente, Margaery. Anzi bramavo mostrarti il luogo più grazioso della Fortezza Rossa, a mio dir,» asserì con gentilezza, mentre Cersei e Olenna si issavano in piedi. Sua madre si chinò e posò le labbra sulla sua fronte, i suoi capelli biondi che le sfioravano le gote, prima di allontanarsi dalle stanze soddisfatta per qualcosa che poteva conoscere soltanto lei. Olenna le sorrise e Shirhae ricambiò con gentilezza, baciandole l’anello che portava all’anulare come se fosse stata sua nonna e non un’estranea che non nutriva alcun affetto nei confronti della sua famiglia. Shirhae era una principessa e la gentilezza era l’arma di una donna, l’aveva imparato sin dall’infanzia. Olenna rivolse un ultimo sguardo soddisfatto verso sua nipote, le sorrise affabile e poi uscì seguita dalle cugine di Margaery. Shirhae sospirò dal sollievo. Finalmente regnava il silenzio. Chiuse gli occhi per un attimo, cullata dal canto dei usignoli nei giardini che soffuso attraversava i freddi muri della Fortezza. Mentre attendeva che Margaery si togliesse l’abito e ne indossasse un altro più consono ad una passeggiata, rimuginava sul luogo in cui avrebbe potuto condurla e spalancò gli occhi quando comprese che davvero le avrebbe fatto visitare il suo angolo segreto di pace. In fondo, si disse, ne avrebbe avuto bisogno anche lei.
« Allora, sorella, sarai emozionata,» incominciò Shirhae mentre uscivano dalla Fortezza per immergersi nell’aria frizzantina dell’Autunno. Margaery camminava al suo fianco, tenendole il braccio, i lunghi boccoli che le sfioravano la maniche dell’abito e l’odore di rose, intenso e quasi nauseante per lei, che le invadeva le narici.
« Sono certa che il mio re mi renderà felice,» ribatté con quel sorriso che era capace di irritarla più della voce della sua Septa. Quando lei e Joffrey erano stati abbastanza piccoli da poter essere considerati gemelli, avendo soltanto un paio d’anni di differenza, sua zia Genna aveva affermato che erano identici a Cersei e Jaime alla loro età, che il sorriso li rendeva indistinguibili. Da quel giorno Shirhae aveva deciso di sorridere il meno possibile.
« Come l’altro non ha saputo fare?» insinuò sogghignando appena. Se Margaery pensava che avrebbe potuto farsi beffe di lei con le sue leziosità e i suoi falsi atti di cortesia, non aveva ben capito il luogo nel quale era nata e cresciuta. Approdo del Re era la patria delle menzogne e la Fortezza Rossa la genitrice di inganni. E Shirhae aveva imparato che per non soccombere bisognava attaccare, « Parlavo di mio zio Renly. Lo amavi?» domandò con dolcezza con il viso mascherato di dispiacere.
« Non l’ho mai conosciuto,» rispose quella che sarebbe divenuta la Regina dei Sette Regni, la moglie di suo fratello, la moglie del suo mostro. Tu non sai cosa ti aspetta, cara rosellina. Non sposi il re delle antiche ballate sui cavalieri e sulle loro dame dagli occhi lucenti. Joffrey non è Aegon il Conquistare e tu non sei la sua Rhaenys. Joffrey è Maegor il Crudele, ucciso dal trono che aveva tentato di rubare a suo fratello. Avrei compassione delle tue sorti se non stessi tentando di irretire anche me.
« Non conosci neanche Joffrey, ma gli Dei hanno deciso che dovesse essere lui a sedersi sul Trono di Spade e il loro volere è irrevocabile.»
Shirhae aveva sognato, come molte fanciulle di buona famiglia, di poter divenire una regina. Osservava sua madre, la sua corona, le riverenze delle dame nei suoi riguardi, gli sguardi che i nobili le dedicavano e aveva pregato gli Dei di poter avere il suo stesso ruolo. Era persino arrivata a domandare a Re Robert se un giorno le avrebbe permesso di sposare Joffrey e di divenire la sua regina. Il compianto sovrano le avrebbe dato uno schiaffo il cui segno l’avrebbe macchiata per giorni se non fossero stati presenti Jaime, Tyrion e Tywin.  Non erano dei Targaryen ed era una lezione che non avrebbe mai dimenticato.
« Cosa intendi affermare, mia signora?» aggrottò le sottili sopracciglia di un castano chiaro, come i lucidi boccoli che le arrivavano sino alla schiena scoperta.
« Nulla, Margaery. Era una semplice constatazione,» espose tranquilla, un lieve sorriso sulle labbra mentre giungevano nel luogo più ameno dei giardini reali. Era un piccolo angolo di perenne estate in una corte insidiosa quanto il gelido vento invernale. L’aveva soprannominata la Fontana dei Desideri, ma nessuno di essi era mai stato esaudito. Aveva pianto e le sue lacrime si erano mescolate all’acqua cristallina a volte inframmezzata da ninfee odorose, si era specchiata e la sua immagine era cresciuta con lei sino a divenire quella di una principessa splendida, ma imprigionata in una torre senza uscite, « Quella fontana è stata la protettrice dei miei giochi infantili con il re. Adoravo arrampicarmi e nascondermi tra l’edera mentre Joffrey mi cercava. Non l’ha mai scoperto,» sorrise amaramente, rimembrando quei momenti di dolcezza che aveva condiviso con suo fratello, mentre la sua cattiveria cresceva e il loro rapporto si affievoliva. Joffrey era stato un fratello affettuoso in qualche momento della loro infanzia. L’aveva presa per mano quando non poteva ancora camminare, le era stato raccontato da sua madre. Le aveva persino intrecciato una piccola corona di bocche di leone.
« Devi aver vinto molto spesso,» esclamò Margaery facendo scomparire le immagini di due bambini ridenti dai suoi ricordi.
« Non proprio, ma debbo ammettere che ho avuto le mie soddisfazioni,» soggiunse ridendo appena, riconoscendo che la sua gloria era sempre stata di breve durata. Joffrey non sopportava le sconfitte e Shirhae era una donna. Septa Gyler le aveva insegnato a rispettare gli uomini e la principessa, a malincuore, aveva chinato il suo capo dorato dinanzi alle convenzioni.
« Sorella mia, perché una bella dama come te non è ancora promessa? Son certa che hai ricevuto molte proposte,» stemperò la curiosità. Shirhae tentò di non mostrarsi sfiorata da quella domanda a cui non sapeva come replicare. Aveva quindici anni. Alla sua età sua madre era stata incoronata regina dei Sette Regni al fianco di Robert Baratheon, il demone del Tridente. E Shirhae perpetrava nel suo nubilato che, se fosse stato per Cersei, sarebbe stato infinito.
« In verità sì, Margaery. E da molti Lord facoltosi, ma mia madre ha sempre rifiutato.»
La regina Cersei era sempre stata gelosa di ciò che le apparteneva. Aveva schiaffeggiato balie che avevano avuto l’ardire di domandarle se desiderasse lasciar loro i piccoli principi. Aveva cacciato la Septa quando aveva scoperto che Shirhae, a cinque anni, non sapeva ancora inchinarsi come una perfetta nobildonna. Erano i suoi figli, i suoi bambini e non avrebbe mai permesso a nessuno di separarli da lei.
« Non desideri una famiglia tua?» insistette la bella Lady con quella sua voce flautata adatta al canto. Margaery non sapeva nulla della sua vita, ma aveva mirato a ciò che più le importava. La famiglia. Shirhae aveva vissuto per suo fratello Tommen e sua sorella Myrcella, per i suoi genitori, per suo zio Tyrion e per suo nonno e non attendeva altro che la comparsa di un cavaliere pronto ad amarla e onorarla.
« Certamente. Vi è stato un cavaliere che è stato capace di abbagliarmi, ma non era abbastanza nobile da poter essere preso in considerazione,» dissimulò il dispiacere, accantonando il pensiero di quel ragazzo che aveva incontrato qualche anno prima nei pressi del Gran Tempio di Baelor. Non era un cavaliere, non ne conosceva il nome ed era certa che fosse figlio di un mercante, ma quel suo sorriso aveva reso le sue notti insonni e i suoi giorni colmi di sospiri. Non l’aveva più rivisto e non aveva mai dimenticato la sua gentilezza e la sua voce cortese, quei suoi occhi blu come le profondità marine che l’avevano affascinata e in cui avrebbe mai potuto smettere di immergersi, « Re Robert mi vedeva ammogliata con il figlio del Primo Cavaliere, Robin Arryn,» aggiunse pacata ringraziando gli Dei che il sovrano fosse morto prima di poter attuare quel piano mortifero. Robin Arryn era più piccolo di Tommen, petulante come sua madre e con una vena sadica molto simile a quella di Joffrey.
« Avresti dovuto sposare mio fratello Loras. Saresti stata felice con lui,» mormorò dispiaciuta Margaery, gli occhi velati e le labbra imbronciate. Shirhae sospirò e le fece cenno di accomodarsi sul marmo della fontana a pochi metri da un pettirosso che beveva tranquillo. Vi erano poche dame di passaggio e qualche paggio che portava pietanze diretto ai nobili accomodati nei pressi della veranda che si affacciava sul mare. Lady Olenna doveva aver indetto un altro pranzo a spese della famiglia Tyrell per mostrare la loro ricchezza.
« Ser Loras sarà il mio patrigno e spero di potergli divenire amica,» replicò con un lieve sorriso, per nulla dispiaciuta di non aver sposato un uomo che non avrebbe mai potuto amarla come la principessa desiderava. Margaery annuì e le labbra si arcuarono in un sorriso tenero. Era sul punto di affermare qualcosa quando Shirhae notò una figura bassa che si dirigeva a passo svelto verso di loro, il farsetto rosso sul quale spuntava il leone rampante dei Lannister e i capelli biondi, segno distintivo della loro Casata, « Mio zio Tyrion,» esclamò sorpresa di trovarlo fuori dalle mura della Fortezza con accanto un uomo sulla quarantina, abbastanza avvenente ed esotico, dalle vesti inusuali per Approdo del Re. Il viso le si illuminò e gli rivolse un sorriso colmo di affetto non appena incontrò i suoi occhi verdi e meravigliosamente graditi.
« Shirhae, dolcezza,» la salutò baldanzoso appropinquandosi con la sua camminata caracollante che, quand’era bambina, aveva reputato buffa. Suo zio era forse l’uomo a cui aveva voluto più bene durante la sua vita. Era stato lui ad insegnarle a leggere, scrivere e far di conto. Le aveva insegnato ballate, sebbene non cantasse quasi mai, e le aveva mostrato i resti dei draghi. Era un uomo di cultura, scaltro e gentile, delicato con loro. Tyrion le prese la mano destra, ove brillava un anello d’oro dono del suo sesto compleanno, e la baciò. Shirhae quasi rise e si chinò a sfiorargli entrambe le gote, « Mia signora,» si chinò poi più formale verso Lady Margaery, che ricambiò con un cenno del capo, « Potrei presentarvi il Principe Oberyn Martell da Dorne? E la sua… dama Ellaria Sand?» esclamò mostrando l’uomo che sorrideva sornione e la donna che lo seguiva e che prima non aveva avuto modo di notare. Shirhae si issò subito in piedi, in segno di rispetto per il nobile ospite, e il principe si chinò a sfiorarle la mano scrutandola con i suoi occhi neri capaci di turbarla. Oberyn Martell aveva la fama di essere una vipera velenosa e letale. Lo poteva ben notare da quello sguardo e dal sorriso che celava insidie, « Mio principe, la mia dolce nipote, la principessa Shirhae, Luce del Continente Occidentale. E Lady Margaery Tyrell, figlia di Lord Mace, la promessa sposa di Re Joffrey,» le presentò con delicatezza sebbene Shirhae notò il cambiamento di tono nel passare da se stessa alla Lady. Poteva percepire Margaery irrigidirsi per quella presentazione così scarna e fredda al contrario della sua piena di affetto. Luce del Continente Occidentale, un titolo da regine.
« Benvenuti nella capitale,» li accolse con una riverenza la principessa osservando il principe e la sua dama abbastanza soddisfatti da quell’ospitalità.
« Sono onorata della vostra presenza al mio matrimonio con il nostro adorato re,» esclamò Margaery facendo quasi sovrapporre le loro voci, stendendo la mano destra affinché il principe potesse baciarla. Incrociò lo sguardo di suo zio che tratteneva a stento un sorriso beffardo. Sì, Margaery non aveva ancora compreso chi avesse dinanzi a sé. 

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Capitolo 3
*** I ricordi del giovane cavaliere ***


Mentre Myrcella si allontanava da Approdo del Re, Tommen aveva cercato in tutti i modi di non piangere e di non salire egli stesso sulla piccola imbarcazione che la stava portando via. In un luogo in cui non avrebbe mai potuto raggiungerla senza una motivazione accettabile. Aveva pianto, ma non aveva urlato di bloccare la nave e di restituirgli la sua amata sorella. Perché Myrcella era sua e di nessun altro. Mai. Sempre sua. Solo sua. Questo, però, non aveva avuto rilevanza per nessuno all’interno della corte.
Non aveva emesso fiato neanche quando Joffrey l’aveva ridicolizzato dinanzi a tutte le persone riunite per scontrare la più giovane delle due principesse di Westeros. Tommen sapeva che se solo avesse schiuso le labbra, tutti i suoi sentimenti si sarebbero riversati intorno a lui. E non poteva far sì che accadesse. A dispetto di ciò che suo fratello poteva pensare, Tommen non era affatto uno sciocco. Sapeva attendere.
Shirhae era al suo fianco, in uno splendido abito smeraldino che le faceva risaltare gli occhi colmi di lacrime trattenute, fiera e orgogliosa leonessa che non avrebbe mai mostrato la propria debolezza. Tommen l’ammirava. Tommen non riusciva a nascondere nulla.
 Sua madre aveva promesso a suo zio che gli avrebbe strappato la sua gioia più grande, ma Tommen non aveva trovato sollievo in quella minaccia. Myrcella non sarebbe tornata in ogni caso. E Tommen avrebbe preferito in cuor suo che suo zio fosse felice, che conoscesse anche lui l’amore vero. Forse l’avrebbe aiutato a comprendere cosa provasse il piccolo leone che non riusciva a smettere di osservare la barca divenire sempre più puntiforme. Il piccolo e coraggioso leone che non riusciva a smettere di piangere.
Myrcella era entrata quasi in lacrime nelle sue stanze di primo mattino. Aveva subito chiuso la spessa porta di noce dietro di sé per non attirare gli sguardi indiscreti e aveva fatto del suo meglio per trattenere le lacrime. Era una Baratheon e una Lannister. Una principessa di Westeros. Non doveva mostrarsi debole. E poi non voleva spaventare il suo fratellino, l’unico che potesse confortarla. L’unico che provasse così tanto amore per lei da ascoltare il suo dolore. Sua sorella, la splendida e affascinante Shirhae, la dolce e solare principessa, non avrebbe mai potuto comprendere cosa turbasse davvero la giovane poiché aveva sempre sognato di sposarsi e divenire la Lady cantata nelle ballate, e Myrcella necessitava di qualcuno con cui potesse sfogarsi.
Tommen era ancora a letto e stava sognando. Suo zio Jaime era tornato alla Fortezza Rossa, dopo essersi liberato abilmente dalla sua prigionia, come un vero cavaliere, e gli stava insegnando ad utilizzare la spada. Nel suo sogno Tommen brandiva un bastone, proprio come durante i primi allenamenti un anno prima. Gli mancavano, i loro scontri sotto il Sole della capitale. Sua madre e la sua sorella maggiore non erano presenti, ma in quel momento non gli sembrò affatto un problema. Myrcella li stava osservando accomodata su una panchina. Era più bella del solito e Tommen poteva bearsi del suo dolce e luminoso sorriso che avrebbe rischiarato la più uggiosa mattinata invernale. In verità Tommen non aveva mai sentito il gelo dell’inverno, ma sapeva che sua sorella avrebbe potuto riportare l’Estate soltanto ridendo leggermente. Nel suo sogno Myrcella lo spronava a combattere e si complimentava con lui per i suoi affondi. Anche suo zio sorrideva. Negli occhi verdi poteva scorgere tutto l’orgoglio che suo fratello Joffrey non avrebbe mai potuto mai sentire su di sé. Stava quasi per sferrare il colpo finale e disarmare suo zio quando percepì delle scosse sulle spalle.
« Tom…,» lo richiamò una voce lontana, dolce e musicale. Una voce amata. Vi era una nota sbagliata. Di afflizione e preoccupazione, però al bambino non importava. Voleva ancora riposare e sognare. Poteva percepire le braccia di suo zio stringerlo a sé mentre lo sollevava e gli baciava la fronte, fiero per i suoi progressi, « Svegliati, Tom,» continuò imperterrita scuotendolo ancora un po’. Tommen fu costretto a destarsi del tutto e l’immagine di suo zio scomparve. Fu sostituita da una altrettanto gradita. Quella dell’unica fanciulla che avrebbe mai potuto toccargli il cuore.
« Cella,» la chiamò dolcemente prima di scoccarle un sorriso pieno e splendente. Era felice di vederla. Non era inusuale che sua sorella lo svegliasse al mattino. Per questo non si allarmò. Di solito, però, spalancava le tende e lasciava entrare il Sole. Poi rideva, come solo lei sapeva fare, e gli baciava leggermente le labbra. A Tommen sembrava sempre di destarsi da un sogno e viverne un altro, « Un così bel sogno,» aggiunse tra sé sbadigliando e stropicciandosi gli occhi smeraldini. Vi era una nota sbagliata. Questo il bambino lo percepiva. Sua sorella non rideva. Schiuse gli occhi e la osservò. Myrcella era sempre splendida e la sua avvenenza oscurava persino quella del Sole. Quella mattina indossava un abito rosato impreziosito da dei disegni dorati su di una fascia violetta intorno alla vita. I lunghi e profumati capelli biondi le ricadevano sulle spalle strette e la fasciavano come creando degli immaginari monili aurei. Myrcella non aveva bisogno di gioielli per risplendere. Era una leonessa dorata. E lui era un leone, nonostante Shirhae avesse affermato, a malincuore e sospirando, che erano cervi come il padre. Il loro posto era l’uno al fianco dell’altra. Però Myrcella aveva gli occhi arrossati e gli zigomi erano velati da una patina cristallina, « Stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?» domandò divenendo improvvisamente serio, accarezzandole gli avambracci e facendola avvicinare alle lenzuola candide del suo enorme letto principesco. Myrcella accolse l’offerta e salì sulle coperte per poi immergersi nell’abbraccio dolce e invitante di suo fratello. Tommen si lasciò invadere dal profumo lieve della fanciulla e la strinse maggiormente a sé, baciandole la fronte. Myrcella sorrise per quel gesto confortevole e quasi paterno, ma subito tutta quella orribile situazione la investì con la potenza di un tornado. Quella era l’ultima mattina in cui avrebbe potuto condividere il letto con Tommen. L’ultima mattina in cui avrebbe potuto baciarlo e stringerlo e sperare. Sperare che anche ad un Baratheon poteva essere concessa la stessa possibilità di un Targaryen.
« Lo zio Tyrion,» sussurrò posando una mano sul petto di suo fratello. I loro visi erano quasi a contatto e Tommen poteva percepire il respiro di sua sorella sulle labbra. Quasi si chinò a sfiorare quelle calde e rosee di Myrcella e accarezzarle con le proprie. Ma la notizia lo sconvolse a tal punto da fargli spalancare gli occhi smeraldini screziati di oro.
« Cosa?» esclamò quasi inorridito, come per invitare la sorella a negare ciò che aveva appena affermato. Suo zio era un uomo buono. Portava sempre dei doni per lui e Myrcella. Aveva sempre una parola gentile e raccontava loro storie di draghi e di leoni. Era un uomo furbo e straordinario, che riusciva sempre a strappargli un’allegra risata. No, lo zio non avrebbe mai potuto fare del male a sua sorella, « Lo zio non lo farebbe mai, Cella. Lui ci vuole bene. Tanto bene,» tentò di farla ragionare sottovoce, stringendola maggiormente a sé. Myrcella scosse il capo e alcune ciocche dorate coprirono il medaglione con lo stemma dei Lannister che la loro madre le aveva donato sette anni prima.
« Mi darà in sposa a Trystane Martell,» annunciò d’un fiato con voce sommessa. Fu come se Tommen avesse ricevuto una stiletta gelida dritta al cuore. Sposa. Trystane Martell. Sposa. Quelle parole gli attraversarono la mente per arrivare sino al cuore che perse un battito. Sua sorella era troppo giovane per sposarsi. E poi nessuno, nessuno avrebbe mai potuto amarla quanto la amava lui. Turbato dalla notizia, Tommen schiuse le labbra incapace di articolare parola, « Non lo voglio,» sussurrò contro la sua guancia prima di accoccolarsi nell’incavo del suo collo. Sua sorella non voleva quel lontano Principe di Dorne. Sua sorella voleva lui, Tommen ne era certo. Myrcella l’amava proprio quanto lui amasse lei.
« Andrò a parlare con lo zio,» le promise tentando di mantenere la calma. Però tremava già perché in cuor suo sapeva di non poter far nulla per impedirlo. Se l’accordo con Doran Nymeros Martell, il Principe di Dorne, era stato già sottoscritto, allora niente e nessuno avrebbe mai potuto spezzarlo, « Lui non può. Non può mandarti via. Non è possibile,» quasi rantolò prima di piangere e stringerla più forte. Nessuno poteva portare Myrcella via da lui. Dorne distava leghe da Approdo del Re. Leghe che li avrebbero irrimediabilmente divisi. Al solo pensiero che la sua Myrcella potesse stringersi in un abbraccio con altri, o che potesse baciare un altro, o che potesse ridere alle battute di qualcun altro, gli stringeva il cuore in una morsa crudele e gelida. Ma Tommen era un leone. E i leoni dovevano rimanere imperturbabili. Ricacciò le lacrime e carezzò le braccia di sua sorella, baciandole il capo e facendosi più vicino a lei.
Myrcella tremava leggermente, domandandosi perché suo zio aveva deciso che lei, una bambina di soli nove anni, dovesse sposarsi quando sua sorella, quindicenne e in condizione di potersi maritare, era ancora nubile. L’aveva chiesto a sua madre, ma la regina non le aveva risposto. Si era limitata a bere un sorso di vino dal suo calice d’oro continuando a guardare dinanzi a sé come se sua figlia non fosse stata nelle sue stanze.
La risposta di Shirhae non era stata più esplicativa, anzi l’aveva resa ancora più dubbiosa. Shirhae aveva sospirato, melanconica e infelice, mentre affermava che forse non era nel suo Destino sposarsi e creare una famiglia.  
« Cosa farò senza di te?» mormorò tornando a d osservare suo fratello che le stava accarezzando i lunghi capelli biondi, lasciati sciolti e ricci sulle spalle strette, « Senza nostra madre? Senza Shirhae? Non avrò nessuno,» soggiunse tra sé sottovoce, angosciata, pregando gli Dei, Antichi, Nuovi e tutti gli altri mai esistiti, che il suo promesso sposo non fosse crudele e che non fosse un selvaggio. Sua madre una volta le aveva riferito che i Martell erano pericolosi e scortesi, ma Shirhae aveva ribattuto che la sua era soltanto gelosia poiché Rhaegar Targaryen aveva sposato Elia Martell e non Cersei Lannister.
« Io parlerò con zio Tyrion.»
« Oh Tom, tu non puoi far nulla. È stato già tutto deciso. Partirò domani all’alba,» esclamò Myrcella, spezzando tutti i suoi sogni. E tutto ciò che Tommen poté fare fu baciarle la labbra e stringerla a sé, pregando che l’alba del giorno dopo non sorgesse mai.
Il Mare Stretto brillava sotto la luce del Sole tiepido tipico dell’Autunno. Non vi erano nubi nel cielo, ma il vento soffiava gelido agitando la superficie cristallina. Il canto dei gabbiani risuonava alto sulla spiaggia dorata. Era un paesaggio malinconico e il principe Tommen, un ragazzo di nove anni, biondo e alto per la sua età, lo osservava con un lieve sorriso sulle labbra. Aveva i gomiti appoggiati sulla fredda pietra delle mura cittadine, Ser Merryn Trant alle sue spalle osservava il popolo e i soldati che passeggiavano trasportando vasi e armamenti. Gli ultimi effetti della battaglia delle Acque Nere, che tanto l’aveva atterrito, erano le tre catapulte dalle quali Joffrey aveva lanciato i dissidenti traditori che avevano tentato di far penetrare Stannis Baratheon all’interno della capitale. Le mura erano state riparate in fretta, per il timore di un altro attacco che avrebbe trovato impreparati soldati e cittadini. Sulla spiaggia erano ancora presenti i resti delle navi nemiche incendiate dall’Altofuoco, l’arma utilizzata da suo zio Tyrion per evitare il massacro.
Tanto era mutato in un anno. Dalla morte di suo padre, Re Robert Baratheon, Primo del suo Nome, gli avvenimenti si erano succeduti frenetici e incalzanti, mentre il principe rimpiangeva la pace della sua infanzia. La morte di Ned Stark, il suo capo reciso da Ilyn Payne che ancora lo tormentava di notte, come la supplica di Lady Sansa nelle orecchie e il sorriso compiaciuto di Joffrey dinanzi al suo viso, era stata la miccia che aveva scatenato la guerra contro il Nord e le Terre dei Fiumi. Robb Stark, il Giovane Lupo, era morto per mano del suo alfiere e di Lord Frey e il Nord era caduto in disgrazia. Suo zio Stannis, il quale aveva promulgato una lettera nella quale vi era scritto che lui, Joffrey e Myrcella erano frutto di incesto, li aveva attaccati, ma era stato annientato da suo nonno e dai Tyrell. Suo zio Renly, nominatosi re, era morto in circostanze misteriose. La guerra sembrava essere volta al termine, ma Tommen nutriva un vigoroso senso di oppressione sul cuore. Quel mondo era crudele e il principe avrebbe dovuto comprenderlo prima che lo divorasse con i suoi denti aguzzi. Soltanto i più forti potevano vivere e Tommen doveva armarsi di astuzia e saggezza.
« Tom,» lo chiamò una voce cristallina e dolce, facendolo riemergere da quei pensieri di guerra. Tommen, in verità, non comprendeva la ragione per la quale quel gioco, quella corsa al trono, era cominciato. Nessuno gli aveva spiegato che gli uomini erano avidi di potere e che era piuttosto semplice incoccarne le frecce. Nessuno tranne Shirhae. Si volse ad osservare sua sorella avanzare verso di lui, i lunghi capelli biondi acconciati in una treccia elaborata, gli orli dell’abito amarantino animati dal vento e le forme gentili che si intravedevano. Suo zio Kevan, non appena l’aveva scorta, l’aveva chiamata Cersei per poi correggersi e scusarsi con lei. Shirhae era la loro madre da giovane, la fierezza nello sguardo e la grazia nei modi. Una regina.
« Shirhae,» la accolse con un sorriso mite per poi tornare ad osservare il mare. Poteva scorgere degli uomini a cavallo e dei servitori intenti ad erigere tende per un accampamento fuori dalle mura, ben distante da quello dei Tyrell. Riconosceva qualche vessillo. Erano i signori Dorniani, la delegazione che suo zio Tyrion avrebbe dovuto accogliere quella mattina. Tommen sospirò scuotendo il capo. Sua sorella sicuramente non era tornata.
« Cosa stai facendo, fratellino?» gli domandò posando la mano destra, piccola e candida, sulla sua spalla. Shirhae era una fanciulla dolce, una guida, e il suo sorriso era sempre stato sincero. Aveva raccontato loro favole e leggende, li aveva fatti sognare, ma non aveva mai spiegato loro che quelle storie non erano vere. Che le canzoni non raccontavano nulla di reale.
« Secondo te nostra madre mi permetterà di andare a Dorne da Cella ora che la guerra è finita?» rimuginò tra sé, osservando un vessillo con il Sole caldo di Dorne trafitto da una lancia. Myrcella gli scriveva e le sue lettere erano colme di gioia poiché il principe Trystane era un ragazzo nobile e cortese.
« Tommen, fratellino, Myrcella oramai è una principessa Dorniana. Certamente potrai andare a farle visita, la vedrai ai tornei e alle occasioni ufficiali, ma non sarà mai come prima,» replicò dispiaciuta, gli occhi verdi striati di malinconia. Tommen era certo che ne avvertiva l’assenza tanto quanto mancava a lui, « Forse inizierai il tuo addestramento per divenire un cavaliere. Non ti piacerebbe essere Ser Tommen?» esclamò prima che le sue labbra rosee si distendessero in un sorriso armonioso che le faceva risaltare i tratti gentili. Tutto ciò che Tommen aveva sempre desiderato era divenire un cavaliere come suo zio Jaime, invincibile e senza timore alcuno, e Shirhae lo sapeva bene. Tommen ricambiò il sorriso e posò le labbra sulla sua guancia, ringraziandola per il suo affetto. L’avrebbe resa orgogliosa, era una promessa. 

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