Fight for you

di TrisEaton11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** memories ***
Capitolo 2: *** The past always comes back. ***
Capitolo 3: *** Christina. ***
Capitolo 4: *** Reunion. ***
Capitolo 5: *** Marcus. ***
Capitolo 6: *** Reveals. ***



Capitolo 1
*** memories ***


Le prime luci dell’alba cominciano a fare capolino inondando ogni cosa di un bagliore aranciastro, rendendo quasi tutto più magico, più surreale. Il verde delle piante sembra più brillante e vivo. La cornice perfetta per un ritratto felice.  Chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dal grido straziante del silenzio e cercando di fuggire da questa apparente serenità. No, non ero ancora pronto ad essere felice. Il mio corpo ripudiava qualsiasi cosa avrebbe potuto far tirare le mie labbra in un sorriso. Non ero pronto e nemmeno volevo esserlo.
Deglutisco sentendo la stanchezza di ripetute notti insonni battere nella testa, accompagnata dalla morsa al petto. Nulla aveva più senso, se non il dolore, l’unico compagno delle mie giornate. Tutto era diventato incolore, insapore, piatto. Lei, era l’unico colore della mia vita. Lei che aveva visto in me una persona diversa da quello che, con tutte le mie forze, cercavo di mostrare alla gente. Un Tobias forte, un Tobias coraggioso, un Tobias fiero. Quel Tobias ormai era morto con lei. Per sempre.
< Tobias. >
Riapro gli occhi, girando lievemente il volto di profilo e guardando con la coda dell’occhio. Non avevo bisogno di guardare, sapevo benissimo a chi apparteneva quella voce.
< Christina. >
Non mi sforzo nemmeno di sorridere mentre si avvicina con passo leggero. A volte ammiravo e provavo una sorta di invidia verso quella morettina. Aveva perso l’amore della sua vita, ma al contrario mio, non si commiserava, non era diventata apatica. Riusciva ad avere ancora qualche accenno di felicità. Forse il suo essere stata Candida la rendeva portatrice di verità. E la verità era che la vita continuava, prendendosi beffa della nostra sofferenza.
< Ancora non riesci a dormire? > Si piega sulle ginocchia, a pochi centimetri da me, affondando le mani sul manto erboso.
Mi limito a scuotere la testa, senza proferire parola.
< Penso che dovresti farlo, invece. Hai più occhiaie di un vecchio. > Scoppia a ridere.
Arriccio le labbra in quello che doveva essere un sorriso.
< Candida una volta, candida per sempre.  >
Mi tira un pugno sulla spalla, cercando di mostrarsi offesa.
< Parla il rigido che ha scelto gli intrepidi. >
Giro totalmente il volto verso di lei, affievolendo l’espressione dura e cerco di accennare un sorriso per poi tornare a guardare davanti a me.
< Tobias sono passati più di due anni. > Mi guarda con espressione commiserativa. < Devi cercare di dimenticare. Devi cercare di farti una nuova vita, lei vorrebbe questo. >
Un pugno mi trafigge il cuore. Lei vorrebbe questo. Lei, dov’è ora? Perché non è qui con me? Perché non è restata con me? Perché mi ha abbandonato? Conati di rabbia mischiati al dolore, mi assalgono e costringono le mie mani ad irrigidirsi, richiudendosi in pugni.
La mano di Christina, si appoggia sulla mia testa,  scendendo fino alla nuca in quella che sembrava una carezza. Una carezza per tranquillizzarmi.
Odiavo la pietà della gente.
Con un movimento repentino, mi alzo da terra e la guardo dall’alto al basso.
Avrei voluto parlare. Avrei voluto dire mille parole ma ogni suono sembrava strozzarsi fra le mie corde vocali.
Mi giro di spalle, camminando verso l’entrata di casa. Non faccio in tempo a muovere qualche passo che subito dietro di me, sento il fruscio dell’erba a contatto con i piedi della ragazza. Mi stava addosso ininterrottamente da due anni, come una mamma sta addosso al figlio cercando di farlo mangiare. A volte volevo solo restare solo ,ma lei non me lo permetteva. Se ne andava soltanto quando il buio si inghiottiva la luce ed ora di dormire. Solo allora potevo rimanere solo con il mio dolore e stringerlo fra le braccia. Forse non lo faceva nemmeno perché mi voleva bene. Forse lo faceva per allontanarsi dalla sua solitudine quotidiana e trovare un diversivo. Troppe volte mi dimenticavo che anche lei aveva perso qualcuno da amare. Aveva perso Will, proprio come io avevo perso Tris. Uccisi per uno stupido gioco di fazioni e di potere. Magari dovevo essere solamente più comprensivo.
Mi blocco, senza girarmi, sapendo di certo che lei era dietro di me.
< Pensi di riuscire a fare la torta al cioccolato?Quella che mangiavamo al quartier generale degli intrepidi? >
Non lo vedo ma riesco a percepire le sue labbra aprirsi in un sorriso.
< Si. >
E con un movimento leggiadro, mi supera entrando in casa mia. 


NOTE: E' la prima storia che scrivo, quindi abbiate pietà di me. 
Forse la delusione e la tristezza provate all'ultima pagina di Allegiant, mi hanno costretta a cercare di scrivere un continuo. Un continuo per poter rivivere ancora una volta, questa bellissima saga.

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Capitolo 2
*** The past always comes back. ***


< Tobias, stai bene? >  La sua voce mi giunge chiara e nitida, mentre cerco di restare in equilibrio sulla ruota panoramica. Mi costringo a non abbassare lo sguardo.  Mi costringo a non pensare che sono così in alto e che, con una folata di vento, potrei riversarmi sul suolo.
< Mh. > Serro le labbra, cercando di concentrarmi il meno possibile sulle parole.
Allungo una mano davanti a me e afferro un altro piolo. Facendo trazione su entrambe le braccia, mi alzo di un altro gradino.
Mi allontano sempre di più dal basso. Ogni gradino, mi innalzo. Mi innalzo con lei.
< Vedi, non è così difficile. > Urla verso di me, lasciando cadere un braccio dalla barra di ferro.
< Tris, attaccati per favore. > La guardo, indurendo lo sguardo. Lei ride, prendendosi gioco della mia paura dell’altezza.
< Raggiungimi o mi lascio cadere. >  Sento i suoi occhi su di me. Era un’altra prova. Un’altra prova che dovevo affrontare grazie alla sua stupida incoscienza che la rendeva così tremendamente bella e coraggiosa. A volte lo era più di me.
Mancavano pochi gradini.  Prendo un respiro, focalizzando il pensiero sulla paura. Cos’era la paura infondo? Solo un codardo gioco delle nostri menti. Un motivo in più per non affrontare le cose, per non affrontare le difficoltà della vita. No, io sarei stato coraggioso. Ancora una volta.
Mi trascino, rimanendo attaccato saldamente, verso il prossimo gradino di quella scala infinita.
Non guardare giù. Non farlo. Pensa a lei.
Mi arrampico, lasciando scorrere il freddo del metallo fra le mie mani sudate e sollecito le gambe a saltare verso di lei. Un salto e sarebbe stata mia.
Mi protraggo, spingendo i piedi con la forza e salto.
< Te l’ho detto. Non è così difficile. > Mi sorride, inclinando la testa.
Mi limito ad alzare le spalle. < Non importa. Sono con te, ora. >
< Sarò sempre con te, Tobias. > Avvicina il viso al mio. Sento il suo respiro caldo sulle labbra.
Ancora più vicina, ti prego.  Scivolo nei suoi occhi, intrufolando la mano nei suoi capelli morbidi.
Lascio cadere le mani sui suoi fianchi, attirandola a me.  Stringimi ancora.
E’ mia, è fra le mie braccia.
< Ti amo, Quattro. > La luna, le illumina i lineamenti del volto, rendendo giustizia alla sua bellezza.
Le bacio la fronte. < Ti amo anche io, Tris. >
Poi un rumore metallico. I bulloni iniziano a saltare per aria, disgregando vari pezzi portanti della ruota.
Faccio pressione con le braccia intorno a lei, cercando di proteggerla. Tutto inutile. Non sento più la pressione del suo corpo contro il mio petto.
< Tris. > Urlo, mentre lei cade verso il basso, sorridendo.
Mi sveglio di soprassalto, invocando il suo nome. Alzo il busto, respirando faticosamente.
Era un sogno. Un sogno che me l’aveva portata via ancora una volta.
Sento gli occhi pesanti, ricolmi di lacrime pronte a scoppiare quando Evelyn entra, preoccupata nella mia stanza.
< Ehi, tutto bene? > Mi guarda con affetto, a cui non ero abituato. Non ero abituato allo sguardo materno di preoccupazione, tanto quanto non ero abituato ad avere una madre.
Annuisco debolmente.
Viene verso di me, sedendosi sul letto. Mi appoggia una mano sulla spalla.
< Tutto questo passerà, te lo prometto. Un giorno tutto questo sarà lontano. >
Senza aspettare una qualsiasi possibile risposta, mi abbraccia. Sa di buono. Sa di fiori, di miele, di sudore. Sa di mamma.
Scioglie l’abbraccio, allontanandosi. Si blocca sul ciglio della porta.
< Ti aspetto in cucina. Dobbiamo parlare. > Se ne va, lasciandomi ancora confuso e privo di forze. Scosto le coperte e appoggio un piede per terra, subito seguito dall’altro. Rabbrividisco per il freddo contatto con il pavimento e cerco di mettermi in piedi.
Lo specchio sulla parete stava riflettendo l’immagine di un uomo, solcato dal dolore. Il torso nudo, leggermente imperlato di sudore faticava a restare eretto. Non ero io quello. Non ero Tobias. Non ero Quattro. Ero solo uno spettro di quel che ero.
Distolgo lo sguardo, afferrando una maglietta ed esco dalla camera.
< Eccolo qui, il bell’addormentato. > Zeke, mi sorride seduto intorno al grande tavolo. Intorno a lui tutti gli altri con indosso falsi sorrisi di convenienza.
< Si, però prima vestiti. > Butto uno sguardo a Cara mentre indosso la maglietta.
< Che ci fate qui? > Li guardo, non capendo.
< Siediti, Tobias. > Evelyn, batte la mano sulla sedia accanto alla sua.
Obbediente, raggiungo la sedia e mi siedo.
< Ora che ci siete tutti, possiamo cominciare. > Evelyn, congiunge le mani sotto il mento.  < Tutti noi abitanti delle fazioni, non siamo abituati ad una vita senza fazioni e senza guerre, purtroppo. > Fa una smorfia.  < Alcuni ex membri del Parlamento, soprattutto. >
Sgrano gli occhi. Ho paura che possa continuare a parlare. Non può essere ciò che mi immagino.
Mi lancia uno sguardo comprensivo prima di continuare.  < Marcus, è tornato. E questa volta non è da solo. >  Tutti sono attoniti ma tutti gli occhi puntano verso di me. Cerco di trovare la forza per parlare.
< Cosa vuole, questa volta? >
Evelyn sospira. < Vuole sottomere tutti al suo potere e fondare un nuovo governo. > Scuote la testa.  < Beh, più che un governo, diciamo una dittatura. Chi non si sottomette a lui, verrà ucciso. > Il suo tono è pacato e affidabile.
Sbatto un pugno sul tavolo.  < Oh, andiamo non è possibile. Non ora. Non con Johanna come membro del governo attuale. Chi può credere ad un uomo del genere? >
La voce di Caleb, si erge fra gli altri.  < Marcus è un uomo molto potente. Sa convincere. Sa tirare le masse a sé. > Mi guarda ed un brivido mi trafigge la schiena. Il suo sguardo è così simile al suo, ma non abbastanza.
Sento la pressione di tutti gli occhi puntati addosso ed incapace di andare oltre, mi alzo.
< Scusate. > Abbasso la testa e mi allontano, andando verso camera mia.
Mi siedo sul letto, prendendo il volto fra le mani. La mia vita stava crollando sotto il peso del passato.
< Ehi. > Christina è accanto allo stipite della porta e mi fissa.
< Che c’è? > Le lancio uno sguardo severo.
< Dovresti essere un po’ meno egoista. Qui c’è un problema serio da dover risolvere e tu cosa fai? Te ne vai. >
La guardo, serrando la mascella.
<  Il paese potrebbe ricadere di nuovo in una guerra e tu stai lì, a cullarti fra il ricordo della tua dolce Tris e la rabbia verso il padre che non hai mai avuto. >
< Ora ne ho abbastanza. > Con un movimento repentino mi alzo di scatto, afferrandola per il collo e spingendola contro il muro.
Si dimena, cerca di spingermi via ma la mia forza è maggiore della sua. Avvicino il mio viso al suo, tanto che i nostri nasi si possono sfiorare. Digrigno i denti.  < Dovete lasciarmi in pace. Tu, gli altri, tutti. >
I suoi occhi sono iniettati di paura e la sento tremare. Deglutisco, allentando la presa intorno al suo collo, fino a lasciarla completamente andare.  Avevo orami, allontanato la violenza dalla mia vita ma ero stremato e l’unica cosa su cui potevo realmente contare era la mia forza fisica. Mi guardo la mano, con sguardo colpevole.
< Scusa. >
Mi fissa con un velo di dolcezza negli occhi.
< Tobias? >
< Mh? > Torno nuovamente a guardarla, rialzando il volto.
Si avvicina e mi bacia.

  NOTE: E' la prima storia che scrivo, quindi abbiate pietà di me. 
Forse la delusione e la tristezza provate all'ultima pagina di Allegiant, mi hanno costretta a cercare di scrivere un continuo. Un continuo per poter rivivere ancora una volta, questa bellissima saga.

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Capitolo 3
*** Christina. ***


Sento la pressione delle sue labbra sulle mie ed uno strano intorpidimento mi annebbia la mente. Non riuscivo a credere che Christina era lì, e mi stava baciando.
Resto immobile, sgranando gli occhi. Il dolore era troppo incarnato dentro di me per poter riuscire a provare qualcosa. Non provavo nulla. Per provare qualcosa bisognava essere vivi e io non lo ero. Non lo ero più da tempo.
Un fremito mi attanaglia lo stomaco quando la sua lingua si insinua nella mia bocca. Potevo andarmene, potevo rifiutare il bacio. Potevo, ma non lo faccio. Al contrario, accolgo la sua lingua, attorcigliandola alla mia. Aveva un sapore familiare. Un sapore di cose passate che si erano impossessate del nostre essere presente e che ci avevano costretti a racimolare i pezzi della nostra esistenza. Un sapore così simile al suo.
Oltre a Caleb, Christina era la persona più vicina a Tris. C’era un forte legame fra loro ed io ora, volevo assorbirne un po’. Volevo succhiare via tutto ciò che di lei era rimasto.
Stringo il viso di Christina fra le mani, tenendo il suo viso attaccato al mio. Continuo a baciarla, muovendo qualche passo nella sua direzione. Lei indietreggia, fino a far aderire la schiena contro il muro. Le sue mani, afferrano i lembi della mia maglietta, sfiorandomi la pelle. Il calore dei suoi polpastrelli mi inebria di tepore.
Eravamo due persone sofferenti, che prendevano a pugni la vita. Due persone che si attaccavano con ogni cosa possibile al ricordo dei nostri amori perduti.
E se solo mi fossi innamorato di Christina, invece che di Tris? Nonostante la lingua biforcuta che era caratteristica principale dei Candidi, Christina era docile, accondiscendente. Tutto il contrario di Tris.
Avrei avuto molto meno sofferenza, di questo ne ero certo, e ora non sarei stato un uomo morto. Ma questo era il prezzo che dovevo pagare per aver avuto così tanta felicità, quando lei era ancora qui. Dopotutto, avevamo avuto il nostro pezzo di ‘per sempre’ e non l’avrei cambiato con nulla al mondo. La verità era che per quanto mi sforzassi di dirottare il pensiero verso altri orizzonti, i suoi occhi mi aspettavano dovunque. Così come le sue labbra ed il suo sorriso che mi faceva sentire a casa.
Eravamo noi e lo saremmo stati per sempre.
Mi allontano da Christina, reclinando il volto. Un silenzio imbarazzante avvolge i nostri respiri ancora affannati.
Bastano pochi secondi ed entrambi scoppiamo a ridere, rendendo meno enfatico il bacio.
<  Siamo due idioti. >  Si copre la bocca con la mano, cercando di trattenere la risata.
Annuisco. < Lo siamo, davvero. > Sorrido quasi divertito da quella situazione.
Mi allontano dal suo corpo, ancora contro la parete e vado verso il letto. Butto uno sguardo sul comodino, alla sveglia. Erano quasi le 23. Non che mi importasse, realmente. Avevo assimilato una specie di fuso orario tutto mio. Potevo svegliarmi e dopo poche ore, tornare a dormire, o stare sveglio tutta notte e dormire di giorno. Non si sa mai cosa può succedere quando si ha a che fare con un dolore che ti attanaglia l’anima. Devi poter sfruttare ogni momento di sonno, quando riesci a crollare.
< E’ tardi. > La sua voce, irrompe fra i miei pensieri.
< Non che mi interessi granché. > Affermo senza alcuna esitazione.
Si avvicina, mordicchiandosi il labbro. < Quattro? >
Giro il viso verso di lei, verso i suoi occhi scuri.
Le tremano le mani anche se cerca di camuffarlo con le maniche della camicetta. < Posso dormire con te, stanotte? >
Lascio scorrere i miei occhi sulle sue occhiaie, sul suo volto eccessivamente scarno, sul leggero tremito appena percettibile. Troppo preso dal mio tormento non mi ero nemmeno accorto del suo. Anche lei come me, era sola. Avevamo perso Will, Tris, Uriah, Tori.. Tutti gli amici che avevamo imparato ad amare ci avevano abbandonati.
Annuisco, accennando un leggero sorriso. Mi stendo sul letto, completamente vestito e allargo il braccio. Prontamente, Christina, mi raggiunge. Si intrufola fra le mie braccia e poggia la testa sul mio petto. Le sue dita mi sfiorano appena il torace mentre stringo maggiormente la presa intorno alle sue spalle. Non era poi così male, avere qualcuno con cui condividere lo strazio delle mie notti.
< Grazie. > Sussurra appena.
< Per guarire, dobbiamo curarci a vicenda. >
Annuisce.
Per la prima volta, addormentarmi non mi sembra così difficile. Lascio chiudere gli occhi mentre cadiamo tutti e due in un sonno profondo, dondolati dal pensiero che potevamo contare l’uno sull’altra. Perché forse, la solitudine in due era più facile da sconfiggere .


NOTE: E' la prima storia che scrivo, quindi abbiate pietà di me. 
Forse la delusione e la tristezza provate all'ultima pagina di Allegiant, mi hanno costretta a cercare di scrivere un continuo. Un continuo per poter rivivere ancora una volta, questa bellissima saga.
P.s. Questo capitolo non è molto lungo perché è stato davvero faticoso immaginare Tobias con Christina, perdonatemi, ahah. 

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Capitolo 4
*** Reunion. ***


< Oddio, no. Bleah, che schifo. > La voce di Zeke riecheggia nella stanza, costringendomi ad aprire gli occhi ancora intorpiditi dal sonno.
< Che? > Domando, sbadigliando e confuso. Sento una leggera pressione sul braccio e abbasso lo sguardo. Christina dormiva ancora.
< Ehi, non è come pensi. > Affermo, con la fronte corrugata.
Alza le mani, contraendo la bocca in una smorfia ironica. < Io non penso proprio niente. >
Un cuscino gli arriva addosso, facendogli perdere l’equilibrio.
< Ti sta bene. > La voce di Christina era già squillante di prima mattina.
Rimaniamo in silenzio tutti e tre per poi scoppiare a ridere.
Ridere come non facevo più da tempo. Una risata vera, sincera, condivisa con due delle persone più care che mi erano rimaste al mondo. E per un attimo, mi sento normale. Mi sento un semplice ragazzo di 20 anni. Spensierato e leggero, com’è giusto che sia un ragazzo di quell’età.
Ma un attimo dopo sono di nuovo Tobias, alle prese con il dolore di una perdita da affrontare e con un padre tiranno che minaccia una nuova guerra. Addio spensieratezza, benvenuta quotidianità.
< Dovete venire di là. > Aggiunge, Zeke, prima di congedarsi.
Mi stiracchio, guardando Christina fare altrettanto. < Sei riuscita a dormire? > Sussurro, alzandomi dal letto.
< Come non facevo da tanto. Troppo tempo. > Afferma sincera, enfatizzando le parole con un sorriso.
Chino la testa, arricciando le labbra. Ultimamente era diventato quello il mio modo di sorridere.
< Dai, andiamo. > Mi afferra la mano, costringendomi a seguirla.
In cucina era in corso un’altra riunione, evidentemente, visto che erano tutti presenti. E il che significava solo una cosa: Altre cattive notizie. Vedo gli occhi di Caleb posarsi sulle mani intrecciate fra me e Christina e senza mostrarmi troppo sgarbato, sciolgo la presa. Spero che nella sua mente non si insinui qualche pensiero strano.  
< Ho preparato la torta al cioccolato. > La voce di Evelyn, ci avvolge completamente, mentre se ne sta in piedi con un piatto ricolmo di pezzi di torta.
Zeke, schiamazza proprio come facevamo alla mensa degli intrepidi e Cara, scuote la testa disturbata da tutto quel chiasso.
< Sono arrivata in tempo? > Johanna ci guarda, sul ciglio della porta spalancata. Evelyn le va incontro con un sorriso, invitandola ad entrare.
Non erano cattive notizie, erano pessime. Johanna era un rappresentante importante del nostro nuovo governo e per essere presente oggi, significava solo che le cose non stavano andando bene. No, affatto.
Pensieroso e velato da una leggera curiosità, prendo posto accanto a lei.
I capelli sciolti sul viso non riuscivano a coprire la sua cicatrice che si mostrava vittoriosa e solenne davanti ai miei occhi. Infondo, il significato di una cicatrice è proprio questo. Sta lì, a ricordarti che ce l’hai fatta. Che sei un sopravvissuto al dolore. Che sei caduto ma che ti sei rialzato. Doveva mostrarla con orgoglio.
Incapace di aspettare oltre, spingo il peso del mio corpo verso di lei. < Che succede? > Sussurro, in modo appena percettibile, tanto che non sono nemmeno sicuro che mi abbia sentito. Ma la sua mano che si posa sul mio braccio, è un chiaro segno che ha capito. Si limita a questo e non aggiunge altro, fissando il tavolo con sguardo perso.
Torno con il busto incollato allo schienale della sedia. Caleb, mi passa il piatto di torta.
Alzo la mano, rifiutando. Nonostante amavo quella torta, il mio stomaco era completante chiuso. Mi succedeva sempre così, quando ero agitato.
Finalmente la voce di mia madre, si erge da un silenzio di bocche masticanti.
< Siamo qui, perché la situazione è peggiorata. > Prende un respiro, per poi continuare. < Marcus, non sta solo minacciando di impossessarsi di Chicago, ma sta passando anche ai fatti. >
< Idiota sbruffone. > Christina, scuote la testa prima di afferrare un altro pezzo di torta.
< Sta raccogliendo molti consensi, purtroppo. La folla, la gente, lo ama. Non capisco come sia possibile, ma comunque.. > Deve aver pensato ad alta voce, lo stesso pensiero mio.
< Ma il dipartimento glielo impedirà. > Afferma Cara, sicura.
< E’ qui che ti sbagli. > Sussurra Johanna con tono pacato ed incredibilmente soave. < Il dipartimento è dalla parte di Marcus. Dopotutto siamo figli dei loro esperimenti. Il dipartimento, rivuole le fazioni. >
Questa volta è Caleb a parlare, con un’espressione stupita sul volto.
< Abbiamo sganciato su di loro il siero della memoria, com’è possibile che ora si ricordino di tutto questo? >
Johanna, alza le spalle. < Questo non lo so. Ma così, liberi, siamo pericolosi. Rimettendoci nelle fazioni, sarebbe tutto più facile per loro. Potrebbero continuare ad osservarci e a vivere tranquilli al di là delle recinzioni. E Marcus avrebbe il posto da sovrano tanto bramato. >
< Questo significa che la morte di Tris, sarebbe servita assolutamente a niente? > Caleb, si blocca, accorgendosi solo dopo del peso che avrebbero avuto le sue parole. Era in grado di riuscire ad analizzare ogni cosa, senza il minimo coinvolgimento emotivo.
Una fitta mi trafigge il cuore, accennando un leggero tremore ad ogni terminazione nervosa del mio corpo. Devo prendere un paio di respiri, prima di riuscire a parlare. < E’ così? > Sento tutti gli occhi addosso, ma nessuno mi risponde. Sbatto un pugno sul tavolo. < E’ così? > Urlo.
Sento il sospiro di Johanna. < Temo di si. >
Un conato di vomito e di rabbia mi assale improvvisamente, tanto che sono costretto ad alzarmi dalla sedia. Era già difficile accettare la morte di Tris in questo modo, figurarsi a pensare che era morta invano. Che il suo sacrificio per la libertà era durato solamente due anni e che ora, era nuovamente sotto assedio. E la colpa era solo di Marcus.
< Voglio vedere Marcus. > Serro la mascella in un’espressione dura, stringendo le mani in due pugni.
< E’ proprio ciò che vuole, figliolo. > Lo sguardo di Evelyn, mi trapassa la pelle.
< Proprio così. > Aggiunge, Johanna. < L’unica cosa che potrebbe far titubare la gente sul suo possibile ruolo di capo, sei tu. >
< Io? > Inarco il sopracciglio.
Si sposta i capelli dietro l’orecchio, lasciando trapelare uno scorcio di cicatrice. < Sanno di te, sanno delle voci che circolano, sanno delle possibili violenze subite ed il fatto che non ti abbiano mai visto accanto a Marcus, beh, è una chiara affermazione che tutte queste voci sono vere. > Si umetta le labbra, prima di continuare. < Vuole vederti per farvi appacificare, vuole che tu gli stia accanto, vuole mostrare che tu sei un figlio devoto e che tutte le voci su di voi, sono appunto solo voci. >
Una risata gutturale, sorge spontanea dalla mia gola. < Ma lo sa benissimo che io non lo aiuterei mai. >
Lei annuisce, per poi alzare gli occhi verso i miei. Uno sguardo profondo. < Avrà sicuramente qualcosa per poterti convincere. Marcus è tutto, ma non stupido. >
Scuoto la testa. < Non ci riuscirebbe mai, comunque. > Assumo nuovamente un’espressione dura ed irremovibile. < Ditegli che lo voglio vedere oggi stesso. >
< Noi verremo con te. > Zeke, si alza dalla sedia, seguito da tutti gli altri.
 

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Capitolo 5
*** Marcus. ***


Torno in camera, in preda ad uno strana sensazione che mi attanaglia le viscere. Vedere Marcus scatenava in me un misto fra dolore, rabbia, e sì, anche una sorta di affetto per un padre che non avevo mai avuto.
Al posto delle carezze c’erano state le cinture, che mi colpivano, che sfregiavano le mie carni, che mi sottomettevano. Al posto delle parole d’orgoglio verso un figlio, c’erano le urla, gli sguardi freddi, i pianti.
Ma dopotutto il dolore insegna, ed è grazie al mio passato se sono diventato ciò che sono ora.
La voce di Zeke, mi riporta al presente.
< Tobias, dobbiamo andare. >
Annuisco, rimanendo di spalle.
< Arrivo. >
Afferro una t-shirt pulita e la indosso.  Raggiungo il soggiorno dove occhiate di pietà mi scrutano indissolubili. Odiavo quel tipo di occhiate.
< Zeke, non c’è bisogno che veniate anche voi. Posso farcela. >
< Non dire sciocchezze. Anzi, invece di star qui a cercare di convincerci incomincia ad incamminarti, va. > Christina mi guarda, contraendo le labbra in un sorriso.
Butto uno sguardo a Johanna ed Evelyn, che a loro volta mi fissano ed annuiscono.
Accenno un lieve movimento d’assenso con la testa e senza aggiungere altro, esco dalla casa, sentendo il rumore dei passi dietro di me.
Forse non volevo ammetterlo ma era bello non essere soli. Era bello avere qualcuno alle spalle pronto a sorreggerti.
< Ti aspettano al ex quartiere degli abneganti, Quattro. > Cara m raggiunge, camminando di fianco a me.
Sogghigno.  < Tipico di Marcus incontrarmi nell’unico luogo in cui si sentiva potente. Vuol giocare in casa. >
Scuoto la testa, mordendomi il labbro.
< Lui magari può giocare in casa, ma tu hai il tuo passato dalla tua parte, Quattro. Con una sola parola puoi far crollare tutto ciò che è. Senza potere è un uomo morto, senza aspettative. Tu hai il potere di annientarlo per sempre. >
Sbatto ripetute volte le ciglia, assimilando quel groviglio di parole nella mia mente. Cara era di poche parole, ma quando parlava sviscerava la realtà nel modo più oggettivo possibile.
< Vorrà convincermi a far credere alle persone che lui è un brav’uomo. > Sorrido tristemente. < Ha tutti ai suoi piedi ma manca suo figlio e la gente questo lo vede. > Giro il volto verso Cara, accennando un timido sorriso. Per la prima volta in quella giornata, sento muoversi in me una sprinta di coraggio.
Veniamo raggiunti anche da Christina e Zeke e continuiamo a camminare allineati l’uno accanto all’altro. L’uno per l’altro. L’uno con l’altro.
Era così diversa la città senza le fazioni. Non c’erano più colori a caratterizzare le persone , non c’erano più scelte. Ognuno poteva essere ciò che voleva, senza vincoli.
L’ex quartiere degli abneganti si prostra ai nostri occhi, fatiscente, lasciato cadere in disuso, lasciato morire come il ricordo di quegli anni bui. Nessuno ricordava, nessuno voleva ricordare.
Istintivamente i miei piedi si bloccano. Zeke mi appoggia una mano sulla spalla.
< Andrà tutto bene. >
Troppe volte in questi due anni avevo sentito quelle parole ma la verità è che niente andava bene.
Forza Tobias, questo è il momento di essere coraggioso. Lo devi a lei, lo devi a te stesso.
Prendo un respiro e con tutta la forza in corpo do il comando ai miei piedi di muoversi. Li sento rigidi, proprio come le gambe mentre mi incammino all’entrata. Due guardie ci scrutano immobili.
< Dobbiamo vedere Marcus. > Li fisso negli occhi, cercando di non lasciare trapelare nessuna emozione.
< Non potete. > La voce metallica di uno dei due, ci arriva frastagliata dura. < Puoi entrare solo tu. > I suoi occhi si posano su di me.
Stringo i pugni, innervosendomi. La mano di Christina, mi afferra la mano, bloccando la mia voce.
< Va bene entra lui, ma noi lo aspettiamo qui. Non ci muoviamo. >
Le guardie restano impassibili e deglutisco.
< Noi siamo qui. > Christina mi sorride, lasciandomi la mano. < Ora vai. >
Mi allontano di qualche passo e prima di entrare mi giro a fissarli. Mi sorridevano, in posizione statica ma pronti a qualsiasi evenienza. Prendo un respiro e mi inoltro nel mio passato, presente e futuro.

Il luogo era tetro, pieno di ragnatele ed animali notturni. Faceva quasi paura.
Tastando con le mani il baratro dinnanzi a me, mi faccio strada fra scricchioli e rumori stantii di cose lasciate in rovina quando una voce mi scuote le viscere.
< Figliolo, vieni. >
Marcus mi aveva visto ma io non avevo ancora visto lui.
< Su, non avere paura. >
Una luce fioca mi arriva dritta agli occhi, illuminando tutt’intorno. Eccolo, seduto su una sedia troneggiante e circondato dalle persone più fedeli. Era invecchiato rispetto a come lo ricordavo ma aveva sempre quel ghigno beffardo dipinto sul volto.
Prendo un respiro. < Non ho paura e non chiamarmi figliolo. Non sono tuo figlio, non lo sono mai stato. > La mia voce risuona forte, nonostante il tremore del mio corpo.
Accenna una risata, scuotendo la testa. < Sento una certa ostilità da parte tua, caro. Ma qui non ci devono essere ostilità. Deve esserci fiducia. >
Sogghigno. < Fiducia? Devo forse essermi perso qualcosa, allora. >
Si alza in piedi, lievemente infastidito. < Non ho tempo da perdere, passiamo al sodo. Ti voglio dalla mia parte, Tobias. Devi essere con me, mostrarti come mio figlio, spazzare via ogni malignità. >
Rido, nervoso. < Scordatelo, Marcus. >
I suoi occhi si iniettano di sangue mentre un sorriso, lascia intravedere il bianco dei suoi denti. < Non ho detto che hai scelta, ho detto che tu starai dalla mia parte, figliolo. >
< QUATTRO, NO. >
La sua voce irrompe nel silenzio, facendo irrigidire Marcus.
Tris.
Il mio corpo trema, lo stomaco si contrae. Non potevo sopportare il suo ricordo, non di fronte a Marcus.
< Non è divertente, Marcus. > Non sentivo la sua voce da ormai due anni e sentirla chiamare il mio nome, aveva smosso tutto ciò che avevo nascosto con dolore. Quegli anni di tristezza, di lutto, di mancanza erano riemersi senza pietà e ora stavo affogando in un mare di ricordi. < Non dovevi. > Guardo Marcus fisso negli occhi, quasi sibilando. La collera si stava impossessando di me ed ogni terminazione nervosa stava saltando freneticamente. Urlo. < Prenditela con me, ma lascia stare Tris. Lascia stare la sua memoria. Prenditela con me, invece di usare questi stupidi giochini. > Respiro a fatica. < Sei un codardo, ecco cosa sei. >
Lo vedo avvicinarsi con una strana tranquillità, fino a pochi centimetri dal mio volto.
< Poco fa ho detto che non avevi scelta, beh, mi sbagliavo, una scelta ce l’hai. >
Sorride beffardo mentre fa un cenno con la mano ad uno dei suoi assistenti.

Note:  Avevo iniziato quest'avvenutura tempo fa ma poi, per problemi, non ho più potuto continuarla. Beh, non potevo non continuarla.
Abbiate pietà è la prima storia che scrivo.

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Capitolo 6
*** Reveals. ***


Le mura si stendevano attorno a noi, quasi creando una sorta di protezione, allontanandoci dagli occhi di tutti. Da quando erano insorte le guerre fra fazioni, non c’era più privacy, nessun attimo per poter restare solo e questo per uno come me, che amava la solitudine, era difficile.
< Ho freddo. > Tris mi fissa con i suoi grandi occhi vivi.
< Prova a respirare di più. Non è molto grande qui, dovrebbe scaldarsi in fretta. >
Mi guarda, storcendo la bocca in una smorfia divertita per poi scoppiare a ridere.
< Pensi sia divertente, mh? > Porto le braccia al petto, ribattendo. < Allora, mi trovi divertente? >
Lei continua a ridere, fino a portarsi una mano sulla bocca. Sembrava una bambina.
Troppe volte mi dimenticavo che lei non era solo la ‘prima a saltare’, la ragazza coraggiosa che tutti avevano imparato a conoscere. Dentro quel corpo forte e muscoloso, si nascondeva ancora un’adolescente.
< Sì, Tobias. Mi fai ridere. > La sua voce era un tono di sfida.
< Ah si? Beh continua a ridere e ad aver freddo allora. La giacca la terrò io. >
Mugugna qualcosa, iniziando a piagnucolare. Mi giro di spalle, trattenendo una risata.
< Eddai, mica ti sarai offeso? >
Non rispondo, continuando a restare voltato.
< Ma guarda te. > Non la vedo, ma posso immaginare la smorfia che accompagna queste parole. La fronte corrucciata, gli occhi socchiusi e l’angolo del labbro inferiore rivolto verso il basso. Avevo imparato a memoria il suo viso. Avevo impresso nella mente ogni particolare, ogni lineamento, ogni particolarità del suo essere. Se questa guerra fosse finita nel peggiore dei modi e avrei dovuto morire, almeno sarei morto cullato dal pensiero del suo volto.
Con un movimento impercettibile la sento arrivare alle mie spalle e cingermi il torace con le sue braccia. Il suo respiro mi sfiora il collo ed un brivido mi percorre la schiena.
< Abbracciami. > La sua voce è leggiadra e fluttua in tutta la stanza, facendomi rabbrividire nuovamente.
< Abbracciami, Tobias. > Stringe la presa, intorno al mio busto. < Abbracciami e dimmi che andrà tutto bene. > Le sue dita diafane cercano le mie. < Abbracciami e dimmi che staremo sempre così > Chiudo gli occhi, facendomi trasportare in un mondo parallelo mentre sento i muscoli del mio corpo iniziare a sciogliersi e a rilassarsi. < Abbracciami e dimmi che sarà per sempre. >
Le sue labbra si posano sul mio orecchio che sfiorano appena. Tutto sembra sparito. Tutto quanto. Il dolore, la guerra, le fazioni. Ci siamo solo noi.
Senza sciogliermi dal suo abbraccio mi giro, trovandomi a pochi centimetri dalla sua bocca.
< Sempre. >
Mi avvicino e mi impossesso delle sue labbra morbide e screpolate dal freddo. Quello che era iniziato come un bacio dolce e puro si trasforma in un bacio viscerale, carnale, frenetico.
Le mie mani si intrufolano fra i suoi capelli mentre le sue tastano i miei bicipiti.  Mi tira a sé, mi immobilizza e lentamente ricadiamo sul letto creato con della paglia, dietro di noi.
Il desiderio mi infiamma il sangue, sento le viscere scuotermi dentro, risvegliandomi da un letargo durato troppo. Dovevo fermarmi, ora.
Riluttante, faccio cadere le braccia e facendo trazione su di esse, mi sollevo. Mi metto seduto sul letto, sfregandomi la fronte imperlinata di sudore.
< Tris, scusa.. io.. >
Tossisce, prima di poter parlare. Chiaro segno che l’enfasi del momento non aveva rapito solo me. < Ehi, va tutto bene. Davvero. >
Cerco di riprendere il respiro regolare. < Penso che sia ora di dormire. Dobbiamo riposarci. >
< Non voglio dormire. > Si tira su con il busto, raggiungendo la mia altezza. Appoggia il mento spigoloso sulla mia spalla.  < Voglio far l’amore con te. >
Mi mordo il labbro. < Tris..  > Era più forte di me, avevo questo innato senso di protezione nei suoi confronti ed ora la stavo proteggendo anche da questo, la stavo proteggendo da me stesso.
Mi prende la mano che porta sul cuore. Battiti veloci mi perforano la carne.
< Tobias.. > I suoi occhi mi fissano, mi scrutano e mi spogliano da ogni timore.
Forse era giunto il momento per entrambi. Era una delle poche sere in cui eravamo riusciti a rimanere da soli e considerando come si metteva la situazione futura, dovevamo approfittarne.
Avrei bevuto ogni singola goccia di quella notte, avrei spolpato ogni singolo momento di noi, avrei assaporato lei. Per tutta la notte.
Senza aggiungere altro, giro lievemente la parte superiore del corpo e mi trovo davanti al suo viso solcato da un leggero rossore. Senza distogliere lo sguardo da quella perfezione, lascio scivolare le mani lungo le sue braccia, afferrando i lembi della maglietta. Con l’indice le solletico il fianco, invitandola ad alzare entrambe le braccia e lentamente innalzo la t-shirt.
Era la prima volta per entrambi.
Timore, ansia, desiderio. Confusione.
Con un filo di voce, sussurro. < Non hai paura? >
Le sue dita scivolano sul mio viso, come carboni ardenti. < Finchè staremo insieme, nulla potrà farmi paura. >
Ed il buio accoglie le nostre anime, i nostri gemiti ed insieme scivoliamo nell’oblio.


Sento la pressione dell’alito di Marcus addosso, proprio come i suoi occhi.
Ogni posto del passato aveva racchiuso in sé un ricordo ed io non ce la facevo più. Non senza lei. Ciò che mi spingeva ad essere coraggioso erano le mie paure ma da quando lei se n’era andata, nulla riusciva a spaventarmi. Avevo già perso tutto.
Trovo il modo di muovere le labbra. < Marcus, per favore. Lasciami in pace. >
Stremato e tremante, cerco il suo sguardo impenetrabile.
< Sai, a cosa stavo pensando Tobias? > Si allontana da me ed incrocia le braccia dietro la schiena, camminando avanti ed indietro. < Tu mi hai sempre odiato. Hai sempre pensato che non fossi un uomo degno di stima. Com’è che mi chiami tu? > Si ferma e mi scruta con disprezzo. < Ah si, codardo. > Riprende a camminare con andatura lenta e sicura. < Io invece penso che tu mi abbia sottovalutato. Dovresti darmi un’altra possibilità, figliolo. >
Torno a guardarlo negli occhi con un baleno d’ira. < Marcus, dove vuoi arrivare? >
Indietreggio di un passo, per precauzione. Dovevo allontanarmi il più possibile da lui o non avrei trattenuto la collera.
Lo vedo accigliarsi e sogghignare. < Sei proprio mio figlio. >
Un velo di ribrezzo mi annebbia la mente e in un attimo gli sono addosso. Il suo collo raggrinzito fra le mie mani. Il suo odore di sudore mischiato alla paura mi pervade il naso e per un attimo mi sento potente, mi sento impenetrabile.
Sibilo come una furia, senza fiato. < Potrei ucciderti lo sai? > Allento leggermente la presa.
< Basterebbe stringere… > La sua bocca contratta si tira in un ghigno. La voce roca.
< Sono sicuro che non lo farai. > Si mostra forte, ma sento i suoi nervi tremare sotto la mia presa.
Improvvisamente le luci si spengono e tutto viene inghiottito dall’oscurità. Passano alcuni secondi quando una luce fioca illumina un cubo metallico. Non capisco cosa sta succedendo. Non riesco a vedere. Li strizzo più volte cercando di farli abituare a quella visuale quando finalmente riesco a scorgere una chioma bionda.
Tutto si immobilizza intorno a me.
< Cosa diavolo significa questo, Marcus? Che diavolo è? > Urlo, stringendo maggiormente la presa intorno al suo collo e ringhio. Ringhio come un’animale in trappola.
Giro nuovamente il volto verso quel cubo che dei fili sospesi in aria, avvicinano sempre più a me.
I suoi occhi.
Un tonfo al cuore.
La gola secca.
Inizio a tremare, sempre più confuso.
Il cubo si blocca sospeso a mezz’aria, a pochi passi da me. I suoi occhi ora sono nei miei. Il suo corpo è immobile, paralizzato e riversato al suolo. La bocca repressa da un nastro adesivo.
Lascio cadere Marcus a terra e sgrano gli occhi.
Tris.
Rimango immobile, incapace di pensare, di agire o anche solo di respirare. Lo stomaco si contrae, provocandomi dei conati di vomito.
< Tris.. > Sussurro con un misto di incredulità e timore accecante.
< Tris > Invoco il suo nome, sperando in una sua reazione ma vedo solamente due occhi grandi e stanchi che mi fissano.
< Tris. > Corro verso di lei, lasciando sfogare un pianto di rabbia. Mi lascio scivolare sulle ginocchia, portando entrambe le mani sul cubo mentre mi riverso lentamente sul pavimento.
Un volto scarno, diafano e solcato da cicatrici, mi osserva impassibile. I capelli ormai cresciuti ed arruffati fanno da cornice ad un’espressione repressa di morte.
Non potevo credere che fosse ancora viva, che fosse sotto al mio sguardo stupito. Avevo lanciato personalmente le sue ceneri sulla zip line. Com’era possibile? Troppe domande e nessuna risposta. Ma era lì e per qualche strano motivo ancora ignoto, era viva.
 La rassegnazione alla sua scomparsa aveva preso il sopravvento su di me ed ora, incredulo, mi ritrovavo ad osservare un viso che credevo ormai perso nel baratro della memoria.
Le lacrime percorrono le mie guance, avide e salate. 
Urlo, dimenandomi e sbraitando inferocito. Una mano da dietro, mi afferra la spalla, tentando invano di bloccare quegli spasmi di acuto tormento.
< Ti ho detto che avevi una scelta, figliolo. > Un respiro pungente mi colpisce la nuca. < Ecco la tua scelta. > 

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