Epica - La storia di Achille di Gondolin (/viewuser.php?uid=52652)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** IO, TETI ***
Capitolo 3: *** IO, PARIDE ***
Capitolo 4: *** IO, CHIRONE ***
Capitolo 5: *** Primo incontro ***
Capitolo 6: *** Vulnerabile nel cuore e nel corpo ***
Capitolo 7: *** Dall'alba all'infinito ***
Capitolo 8: *** Elena ***
Capitolo 9: *** IO, DEIDAMIA ***
Capitolo 10: *** Un concorso di bellezza ***
Capitolo 11: *** IO, FENICE ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
IO,
L'AUTRICE
Alla
Musa chiedevano aiuto
gli aedi,
io
umilmente ringrazio
Omero
pel
suo canto che a noi
risuona
tra
le pagine dei libri,
e
Robert Graves che una
raccolta
scrisse
di miti e leggende
su dei ed eroi,
ed
anche, non ultima per
importanza,
Nadia
Scigliano, un'ottima
prof
che
in un anno l'Iliade ci
lesse e spiegò.
Già
ringrazio anche
voi,
che
di certo numerosi
commenterete.
PROLOGO
Io
sono Achille, figlio
di Peleo. Mia madre, Teti, è una dea immortale. Ero
invulnerabile. Tranne che per un piccolo, piccolo punto. Avevo poco
più di trent’anni quando Paride e Apollo arciere
mi uccisero
sotto le mura di Troia. E’ un destino che ho scelto io e non
mi
pento. Mia madre invece mi voleva immortale, o almeno avrebbe
desiderato per me una vita lunga e pacifica. Omero vi ha narrato
delle mie gesta rendendomi davvero immortale. La mia leggenda ha
attraversato i secoli. In pace sarei stato uno dei tanti, la guerra
ha fatto di me l’eroe per eccellenza. Se ancora vivo nel
vostro
ricordo lo devo ad Omero, ma leggendo il suo poema spesso trascurate
di ricordare qualcosa di molto importante: anch’io sono stato
(purtroppo?) un uomo. Ho amato, vissuto, ho sofferto e pianto, e
soprattutto ho lottato. Ma la guerra non è fatta solo di
armature scintillanti, discorsi forbiti e gesti eroici. Certo
è
più facile ricordare solo quello, ma la guerra è
sangue, morte, sudore, paura. La guerra vuol dire svegliarsi la
mattina e non sapere quanti dei tuoi compagni ritroverai la sera,
intorno al fuoco, intenti a medicarsi le ferite, né se tu
stesso sarai ancora lì. Per me era diverso: io avevo un
destino che doveva compiersi, e non sarei morto prima. Ma comunque
nella mia terra non sarei più tornato.
Io
so cosa pesate di me,
in quest’epoca dove la guerra sembra tanto lontana e
l’onore non
fa più parte della vostra vita. Credete che io sia solo un
sanguinario fanatico. Voglio dimostrarvi che non è
così.
Io vivo nel vostro ricordo e se ora posso parlarvi è
perché
qualcuno, chissà, magari uno studente, ha pensato a me e ha
visto oltre le tonnellate di carta dei libri di scuola. Oggi noi
anime non abbiamo più bisogno del sangue dei sacrifici per
parlare coi vivi. Devo ammettere che la cosa non mi dispiace affatto.
Non è che io sia uno schizzinoso, ma bere sangue... Inoltre
non si più compiono più sacrifici e gli dei
olimpici
sono stati dimenticati.
C’è
anche Omero
quaggiù: è un vecchio cieco che se ne sta sempre
per
conto suo a comporre poemi, dispiaciuto che nessuno li
ascolterà
mai. Nessuno di voi di sopra, intendo. Ma ora voglio narrarvi, e
farvi narrare, la mia storia. Mettetevi comodi. Io ho tempo: qui
nell’Ade non c’è molto da fare.
Scusate la
brevità di questo primo capitolo, ma è
una
puntata pilota (ovvero ho una paura matta che non piaccia a
nessuno^^). Posterò al più presto il seguito, che
è
già quasi pronto.
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Capitolo 2 *** IO, TETI ***
IO,
TETI
Zeus,
signore
dell’Olimpo, era molto irritato nei miei confronti. Avevo
rifiutato
le sue profferte amorose per non fare un torto alla sua sposa, Era
dalle bianche braccia, che era la mia madrina. Ma nonostante il mio
rifiuto egli avrebbe insistito, ottenendo infine ciò che
voleva poiché era molto potente, se non fosse stato per una
profezia. A quell’epoca era frequente che uomini e dei
ricevessero
dagli oracoli avvertimenti di ogni sorta sulla loro vita futura. La
profezia che ricevetti riguardava mio figlio: sarebbe stato
più
potente di suo padre. Zeus non volle correre rischi; sapeva bene
quello a cui sarebbe andato incontro con un figlio troppo potente:
egli stesso aveva detronizzato suo padre, Crono. Giurò che
se
lui non avesse potuto avermi, nessuno degli immortali avrebbe potuto,
e così decise che sarei dovuta andare in sposa ad un
mortale.
Nel frattempo Era, venuta a conoscenza di ciò che era
avvenuto, in segno di gratitudine convinse Zeus che se proprio avessi
dovuto sposare un mortale, questo sarebbe stato il più
nobile
tra loro. La scelta cadde su Peleo, re di Ftia, figlio di Eaco,
sovrano dell’isola di Egina, e di Endice, figlia di Scirone.
Dopo
alterne vicende Peleo e suo fratello Telamone erano stati costretti
ad abbandonare la loro patria. Telamone si era stabilito a Salamina,
dove aveva sposato Glauce, la figlia del re, ed ereditato il trono.
Aveva avuto da lei un figlio, Aiace, che avrebbe poi combattuto a
Troia. Peleo, invece, era stato accolto da Attore, re di Ftia, e
poiché questi non aveva figli, alla sua morte gli aveva
lasciato il regno.
Gli
dei dell’Olimpo
avevano quindi deciso del mio matrimonio senza che io ne sapessi
nulla. Il centauro Chirone conosceva Peleo da lungo tempo
poiché in gioventù gli aveva salvato la vita e
aveva
previsto che io mi sarei opposta a quelle nozze. Non serviva
l’abilità divinatoria di un centauro per
scoprirlo! Infatti
non ne fui affatto felice: non volevo dover restare vedova e
seppellire i miei figli; nessuna madre lo vorrebbe, ma io sono una
dea e loro sarebbero stati mortali. Non solo: essere costretta ad un
tale connubio minava il mio prestigio di dea. Se solo qualcuno si fosse
azzardato a farmi una simile proposta mi sarei infuriata. Chirone
quindi suggerì a Peleo stesso
dove trovarmi: vi era un’isoletta della Tessaglia dove spesso
mi
recavo a dorso di un delfino per riposare in una grotta nascosta da
un boschetto. Egli quindi si nascose là e
m’attese; poi,
quando fui immersa nel sonno, mi fu addosso con un balzo. Io non mi
lasciai sopraffare e lottammo a lungo, in silenzio. Mi trasformai in
fuoco, acqua, leone e serpente, ma Peleo era stato avvertito da quel
disgraziato di un centauro e non
allentò la presa; allora giocai la mia carta più
disperata e dando fondo a tutte le mie energie mi tramutai in una
gigantesca seppia per spruzzargli addosso una nube
d’inchiostro, ma
nemmeno allora egli cedette. In onore di quella mia trasformazione
quel luogo ora si chiama Capo Seppia. Ci accasciammo sfiniti. Peleo
era coperto di graffi, lividi, scottature ed inchiostro. Ero persino
ammirata
per come aveva sopportato i miei attacchi eppure non potei trattenere
una risata al vederlo così malridotto. Rise anche lui, di
gioia, penso, per avermi sconfitta, ma non mi offesi. Sono convinta
che Afrodite ci avesse messo lo zampino perché Peleo
iniziava
a piacermi. Però sapevo che non sarebbe durata a lungo:
presto
sarebbe stato afflitto dall'amara vecchiaia e poi sarebbe sceso nelle
case muffite di Ade.
Il
nostro matrimonio fu
celebrato con sfarzo; per compensarmi di aver dovuto sposare un
mortale tutti gli dei olimpici parteciparono alla festa grandiosa che
si svolse in quell'occasione, seduti su dodici splendidi troni. La
cerimonia fu celebrata sul monte Pelio, vicino alla grotta di
Chirone. Le nove Muse, figlie di Apollo, accompagnavano coi loro
strumenti e col canto la danza di cinquanta Nereidi, mie sorelle.
Ganimede, il mortale che per la sua bellezza era stato rapito da Zeus
e reso immortale, quella sera sostituiva Ebe, coppiera degli olimpi,
versando in ogni calice ambrosia
dorata. Non aveano tardato a diffondersi le voci sul fatto che Ganimede
non fosse un semplice servitore, e il volto corrucciato di Era mostrava
che anche lei le avava udite. Il mio
sposo appariva fiero e bello, e sorrideva, felice degli onori che gli
erano concessi. Non potei fare a meno di essere grata alla mia madrina
per aver
fatto in modo che avessi un marito tanto nobile. Peleo ricevette
numerosi doni nuziali: da Chirone una lancia la cui asta di frassino
del Pelio era stata lavorata da Atena in persona e la punta forgiata
da Efesto, dagli dei tutti una splendida armatura d'oro e da
Poseidone due cavalli immortali di nome Balio e Xanto, figli del
Vento dell'Ovest e dell'Arpia Podarga.
Mentre
venivo unita in matrimonio a Peleo Era stessa resse per noi la
fiaccola nuziale, e numerosi centauri incoronati di erbe tenevano
nelle mani torce d'abete per augurarci buona fortuna. Un alito di
vento notturno faceva leggermente ondeggiare le fiamme e scuoteva il
mio
prezioso abito intessuto di fili d'argento.
Ma
purtroppo quell'armonia si spezzò presto. La
terribile
Eris, dea della discordia, non era stata invitata a causa del suo
proverbiale brutto carattere. E proprio per questo aveva preso il
mancato invito come un terribile affronto. Nel mezzo del banchetto,
mentre tutti brindavano allegri, ecco apparire la nera figura
ammantata di Eris. Tutti tacquero, in terribile imbarazzo e temendo
una sua sfuriata, ma lei, sdegnosa, si limitò a gettare a
terra una mela d'oro, prima di sparire nuovamente. Quella mela,
però,
mosse una valanga. Sul frutto dorato infatti stava scritto Alla
più bella, titolo che da sempre si contendevano
Era, Atena
ed Afrodite. Non appena Peleo l'ebbe raccolta ed ebbe letto la
scritta che vi era incisa, le tre gli si fecero intorno ed iniziarono
a litigare ferocemente per il possesso del prezioso dono.
Potevo notare l'imbarazzo del mio novello sposo nel trovarsi in mezzo
ad una simile discussione, ma non potevo fare molto. Quelle tre
potevano spaventare anche un uomo coraggioso come lui. Eris aveva
ottenuto il suo scopo: la festa era rovinata. Ma Zeus, molto seccato,
le interruppe -Continuando a becchettarvi in questo modo non
risolverete nulla- tuonò -Pochi giorni fa un principe
è
stato abbandonato. Una famiglia di pastori lo crescerà, e
quando sarà più grande avrà uno
spirito nobile e
puro. Sarà lui a decretare chi di voi sia la più
bella:
un principe mortale- e fece un cenno col capo per sottolineare che
quella era la sua decisione, e nessuno doveva obbiettare. Noi dei per
certi versi vi somigliamo, nelle passioni del nostro cuore, ma
viviamo in eterno e sappiamo aspettare con pazienza. Una ventina
d'anni sarebbero trascorsi in fretta.
Grazie
a Pluma per
la recensione.
E
mi raccomando, commentate numerosi!
Qui
ancora non siamo entrati nel vivo della storia, quindi non
preoccupatevi se sembra un po' noiosa, credo che migliorerà.
Sono
disponibile per eventuali chiarimenti su tutti nomi e le assurde
parentele di dei ed eroi, mi rendo conto di aver vomitato sulla pagina
mezzo dizionario mitologico^^
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Capitolo 3 *** IO, PARIDE ***
IO,
PARIDE
Io
sono il colpevole. Io
sono quel Paride che rapì Elena. Io sono il gran brutto
personaggio che ha provocato la guerra di Troia, la causa di tutte
le disgrazie della mia patria. Afrodite, che mi promise l'amore della
donna più bella del mondo, incurante del fatto che fosse
già
sposata, Menelao, che se la lasciò sfuggire da sotto il
naso,
e lei, Elena, che acconsentì a seguirmi: loro, nessuno li
accusa. E' facile scaricare tutto il peso sulle spalle del giovane
principe irresponsabile. Amavo Elena e non ero il pazzo incosciente
che vi descrivono. E mi è rimasta appiccicata addosso
l'etichetta di codardo. Solo perché mentre combattevo contro
Menelao Afrodite mi ha salvato da una morte sicura e non sono rimasto
lì a farmi eroicamente massacrare come il mio fratellone
Ettore. Avevo capito che avrei perso, che male c'è in una
saggia ritirata? Avevano provato a strapparmi alla vita quando ero
ancora un neonato; non ci erano riusciti ed ora quella vita intendevo
godermela finché gli dei me l'avessero concesso. Cosa se ne
fa
un morto della gloria? Forse, in effetti, facevo addirittura paura...
ero una specie di sovversivo: negando i valori fondamentali di una
società guerriera toglievo il terreno da sotto i piedi a
coloro che per quegli stessi ideali si sarebbero fatti uccidere. Mi
giudicate male, forse a torto forse a ragione, nell'ambito del mio
tempo, ma sono certo che al giorno d'oggi avrei un grande successo.
Prima
che io nascessi mia
madre fece un sogno: dava alla luce un tizzone ardente che dava alle
fiamme la città. Il tizzone ero io. E non mi avrebbero
permesso di bruciare la loro amata patria. Così appena nato
fui portato sul monte Ida per essere esposto agli animali feroci,
legato ad un albero con una corda che mi passava attraverso i
talloni. Ne conservo ancora i segni. Ma quando, dopo cinque giorni,
l'uomo che mi aveva portato lì mi trovò ancora
vivo
pensò ad un segno divino. Infatti un'orsa mi aveva nutrito
col
suo latte invece di divorarmi. Allora l'uomo, nonostante fosse fedele
al re Priamo, mi portò a casa da sua moglie e al mio amato
paparino non consegnò come prova il mio cadavere ma quello
del
loro figlioletto neonato, morto di febbre proprio il giorno prima.
Vissi
con loro, ignaro
delle mie origini.
IO,
TETI
Poco
dopo il matrimonio
ebbi da Peleo un figlio. Il frutto del mio ventre era un mortale. Per
questo tentai almeno di renderlo invulnerabile. Ottenni da Zeus il
permesso di immergerlo nelle acque dello Stige, quando era ancora un
neonato. Il destino però volle diversamente e, tenendo
Achille
per il tallone, impedii io stessa, sebbene involontariamente, che
questo si bagnasse. Invulnerabile sì, eppure aveva
anch’egli
un punto debole. Non lo sapeva nessuno, nemmeno io. Lo scoprii solo
in seguito, quando ormai era troppo tardi, poiché seppi che
avrebbe potuto scegliere tra una vita lunga e pacifica ed una breve
de eroica.
Volli
per mio figlio il
meglio, e per la sua educazione Peleo ed io scegliemmo con estrema
cura. Sarebbe dovuto diventare il guerriero più forte, in
grado di guidare i Mirmidoni in imprese grandiose
I
Mirmidoni
Eaco,
il padre di Peleo, era figlio di Zeus. Questo aveva scatenato la
gelosia di Era, che con la sua rabbia aveva sterminato tutti gli
abitanti di Egina, l'isola sulla quale regnava con una terribile
carestia. Allora Eaco, allo stremo delle forze, pregò suo
padre Zeus che ripopolasse l'isola e che questa tornasse fertile. Con
un tuono, Zeus scatenò la pioggia. Poi trasformò
in
uomini le formiche, gli ultimi esseri viventi rimasti sull'isola, per
ripopolarla. Il nome dei Mirmidoni deriva da myrmekos,
che vuol dire formica.
IO,
CHIRONE
Io
sono Chirone, il più
saggio dei centauri, e, in effetti, quasi l'unico della mia razza che
non passa il tempo a distruggere villaggi e rapire fanciulle. Ho
istruito molte generazioni di eroi e tra loro un allievo di cui ero
molto fiero era Eracle; non sapevo ancora che un giorno mi avrebbe
involontariamente ucciso con una delle sue temibili frecce.
Achille
era l'allievo più
giovane che avessi mai acconsentito ad istruire: infatti ero un po'
perplesso, ma ben presto si rivelò molto dotato e non mi
pentii di averlo accettato.
In
quel tempo avevo come
allievi anche i Dioscuri, Castore e Polluce, i famosi gemelli, il
primo mortale ed il secondo immortale. Erano figli di Zeus e Leda,
fratelli di Clitemnestra, futura moglie di Agamennone, e della famosa
Elena di Sparta, colei per la quale sarebbe addirittura stata
scatenata una guerra. Anzi, la guerra.
Sapete che prima di iniziare a scrivere
questa ff odiavo Achille? Ma
poi uno
schizzo durante l'ora di epica cambiò le cose...
Un
gigantesco grazie a
Pluma per la
recensione. Sì, anche per me è stata una scoperta
la
storia del pomo della discordia. L'ho trovata su “I miti
greci”
di Robert Graves.
Grazie anche a chi ha letto
soltanto,
spero che vi sia piaciuto e continui a piacervi.
Ma ricordate che io sono
recensioni-dipendente *occhioni dolci*
Non
so se sarò sempre così costante con gli
aggiornamenti perché ho un sacchissimo da studiare.
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Capitolo 4 *** IO, CHIRONE ***
Rieccomi...
in teoria dovrei studiare... ma Achilluccio chiama! Grazie mille a
tutti quelli che hanno letto.
Pluma
in realtà il tuo
commento non è mica tanto stupido! Una mia insegnante di
musica sostiene che i Greci sapevano già tutto, e dopo non
si
è inventato più niente... ok, magari esagera, ma
di
certo le telenovelas sono figlie di Omero. Uh, povero Omero!! La sua
anima nell'Ade starà piangendo;-)
E
qui entra in scena il nostro eroe... ma che gli succede? Anche
Achille vittima dei bulli? Allora non è un'emergenza della
scuola moderna ;-)
IO,
CHIRONE
Vivevo
sulla cima del monte Pelio
e lì accoglievo i giovani destinati ad entrare nella
leggenda.
Peleo in persona accompagnò suo figlio da me. Achille allora
aveva sei anni, e sarebbe rimasto con me fino ai nove. Lo feci
alloggiare insieme ai gemelli in una capanna poco distante dalla
grotta dove vivevo. Per quanto in molti mi considerassero un saggio,
la mia natura selvaggia si ribellava ad un'eccessiva vicinanza con la
civiltà,
e mai avrei vissuto in una vera casa. Castore e Polluce erano per
natura molto indisciplinati, ma dopo qualche anno di frustate avevano
capito che era meglio non farmi arrabbiare. Quando presentai loro
Achille non fecero commenti, ma appena credettero che non li stessi
guardando si lanciarono un'occhiata complice. A loro quel bambino non
piaceva, e gliel'avrebbero fatto capire in ogni modo.
IO,
ACHILLE
Chirone
mi presentò ai due gemelli figli di Zeus. Pensandoci, in un
certo senso eravamo parenti. -Questo è il principe Achille,
figlio di Peleo... Castore, il maggiore, e Polluce- il primo era
mortale, il secondo immortale. Quello però era un argomento
tabù, poiché i due erano molto legati e non
avrebbero
mai voluto essere divisi dal fato. Da ciò che avevo udito di
loro mi facevano quasi simpatia, ma appena vidi lo sguardo che si
lanciarono capii che l'addestramento sarebbe stato più duro
del previsto. Naturalmente Chirone non avrebbe permesso risse o
scherzi stupidi, ma il loro sottile disprezzo mi avrebbe seguito
ovunque. Salutai mio padre e mi apprestai ad ascoltare il centauro
-Per stasera mangerai ciò che hanno preparato i gemelli, ma
d'ora in poi caccerai e cucinerai insieme a loro. Per ciò
che
non possiamo procurarci qui c'è un villaggio alle pendici
del
monte. Inizierai domattina l'addestramento. Naturalmente la tua
giovane età non ti dà diritto ad una minore
fatica, ma
terrò conto del fatto che non potrai stare alla pari coi
tuoi
compagni- e sentii i loro occhi puntati su di me -Ora potete andare a
dormire-
A
partire dal mattino successivo, per tre anni, mi svegliai quando il
carro di Helios aveva appena iniziato il suo viaggio nel cielo. Prima
ancora di poter fare colazione Chirone ci faceva correre a lungo.
Sapete perché sono così rapido? Il pie'
veloce
Achille? Castore e Polluce, appena potevano, mi sputavano nel
piatto o mi rubavano il cibo. Così nelle corse mattutine
cercavo sempre di arrivare almeno insieme a loro. All'inizio era
difficile, poiché ero più piccolo, ma in due anni
divenni abbastanza rapido da batterli... e render loro pan per
focaccia. Ma nonostante fossi più giovane il nostro maestro
mi
faceva combattere con uno dei gemelli per allenarmi, poiché
non c'era nessun altro. In quegli anni ho deciso che non sarei
più
stato sconfitto. Mai più.
Probabilmente
fu mia madre ad insistere perché tornassi a palazzo, ma non
ne
sono certo. O magari anche mio padre temeva che diventassi troppo
selvaggio. Dovevo anche imparare come si comporta un re e di certo
non l'avrei fatto vivendo isolato dal mondo con un centauro e due
gemelli prepotenti, nutrendomi di carne di leone per aumentare il mio
coraggio (come se ce ne fosse stato bisogno!) e correndo nei boschi.
Poco dopo il mio ritorno giunse un ragazzino...
IO,
PATROCLO
Mio padre, Menezio,
era
uno degli uomini più nobili di Opunte, una verde isola
dell’Egeo. Io vivevo circondato da molti amici, come me figli
di
nobili, con i quali passavo le giornate divertendomi. Ero un bambino
vivace e un po’ disubbidiente ma i miei genitori mi adoravano
e
dicevano che un giorno sarei diventato un grande guerriero. Avevano
ragione: avrei partecipato alla guerra di Troia e sconfitto
l’eroe
Sarpedonte, figlio di Zeus, avrei persino combattuto contro Ettore...
Allora avevo ben altre
preoccupazioni. Un giorno, avevo dodici anni, i miei amici ed io
decidemmo di fare una partita ad astragali (gioco simile ai dadi
ndA). Non era uno dei miei giochi preferiti poiché non ero
molto fortunato, ma quella volta la dea bendata guidò la mia
mano e vinsi per molte volte di seguito. Le mie vittorie
innervosirono parecchio il figlio di Anfidamante, un tipo litigioso e
antipatico, il quale mi accusò addirittura di aver barato.
Barare è davvero disonorevole ed è qualcosa che
non
farei mai, questo lo sapeva anche lui. Mi aveva offeso e colsi al
volo l’occasione di fare a pugni con lui, sapendo che
l’avrei
facilmente battuto, e che tutti erano dalla mia parte. Con la sua
perenne aria di superiorità non si era guadagnato molte
simpatie. Davvero non capirò mai perché si mise
in quel
pasticcio. Gli altri ragazzi intorno scandivano il mio nome
aspettando che gli dessi una lezione. Ero convinto che si sarebbe
lasciato cadere subito per evitare che gli facessi troppo male.
Infatti, dopo che ebbe tentato invano un paio di colpi che schivai
con facilità finì a terra, quasi senza sforzo da
parte
mia. Credevo che la cosa si sarebbe risolta lì, invece
l’insolente si rialzò con aria di sfida e mi
colpì.
Pensai che se l’era cercata e cominciai a tempestarlo di
colpi
badando però di non farlo cadere, poi quando finalmente mi
sembrò abbastanza malridotto lo rispedii a terra con un
violento pugno. Stavolta però la dea fortuna non
aiutò
né me né lui, poiché cadendo
batté la
testa contro un sasso e morì. Il silenzio scese
all’improvviso
e ci fermammo attoniti, fissando per la prima volta gli occhi
sbarrati di un morto. Una sensazione strana mi prese allo stomaco e
un pizzicore dietro gli occhi mi avvertì che stavo per
piangere. Dopo aver combattuto molte battaglie ci si fa
l’abitudine
ma il primo uomo ucciso non si dimentica.
A quei tempi era
costume
che quando un nobile commetteva un delitto si allontanasse dalla
patria per evitare i circoli di vendette, e si facesse purificare dal
sovrano di un’altra terra, che poi lo accoglieva alla sua
corte.
Dopo che mio padre mi ebbe dato una solenne lavata di capo (non ce
n’era bisogno dopo lo spavento che avevo preso) mi
imbarcò
su una nave senza nemmeno darmi il tempo di salutare i miei amici e
di raccogliere tutte le mie cose. Mi accompagnò
personalmente
a Ftia per chiedere al re Peleo di tenermi con sé. Giungemmo
alla reggia in una cupa giornata di pioggia. Il vasto atrio di pietra
mi appariva minaccioso, o forse era solo la paura di quello che
sarebbe avvenuto di lì a poco. Mio padre avrebbe lasciato la
mia mano e mi avrebbe dato una leggera spinta in avanti, verso il
trono dove stava seduto Peleo, con accanto la bellissima sposa Teti,
ed io mi sarei inchinato; poi mi sarei voltato per vederlo scomparire
oltre la soglia. Sarebbe cominciata per me una nuova vita. Il re mi
nominò scudiero di suo figlio, un bambinetto di soli nove
anni. L'avevo largamente sottovalutato, ma, d'altra parte, non
conoscevo ancora Achille.
-Sai,-
mi raccontò un giorno -per tre anni sono stato allievo di
Chirone. Lo so che lo sai...- aggiunse, notando il mio sguardo -mio
padre se ne vanta appena può. L'allievo
più giovane che abbia mai accettato-
imitò la voce orgogliosa di Peleo -Ma non racconta mai
quanti
guai ho passato per via di Castore e Polluce-
-Cioè?-
gli chiesi -Beh, quei due erano proprio degli insopportabili boriosi.
Forse era tutto il tempo che avevano passato da soli col centauro- mi
meravigliavo sempre di come Achille si preoccupasse di mostrare il
rispetto dovuto agli anziani solo quando qualcuno lo ascoltava. Di me
ovviamente si poteva fidare. Però... passi per il suo
vecchio
maestro, ma insultare i figli di Zeus! -Achille!- esclamai -Cosa
c'è?- sbuffò lui -Hai paura di essere fulminato
dal
loro paparino se mi stai ad ascoltare? Pfui... Loro saranno i suoi
figli, ma anch'io discendo da Zeus (è il suo bisnipote ndA)-
gli dei erano una presenza costante nelle nostre vite, eppure per la
maggior parte delle persone erano distanti. Invece io ero diventato
amico di un semidio, per il quale le storie che ascoltava da bambino
da sua madre coincidevano coi miti sacri. Anche dopo parecchi tempo
non mancavo di stupirmi le rare volte in cui mi capitava di
incrociare la bellissima Teti.
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Capitolo 5 *** Primo incontro ***
Scusate
la brevità del capitolo, ma deve fare da ponte tra il
precedente e il successivo, che ho già scritto. Commentate,
please. E grazie a tutti voi, e a EFP, perché se non avessi
la
possibilità di postare questa storia e quindi di farla
leggere
a qualcuno scriverei molto meno, o forse lascerei perdere per lunghi
periodi :-) grazie
Regina
di Picche grazie tantissimo per
la recensione, mi hai davvero fatto venire voglia di proseguire. Come
mai se scrivi qualcosa poi non vuoi farlo leggere?? Comunque se ti ho
fatto venire almeno un po' di ispirazione mi sento onorata.
Buona
lettura
IO,
PATROCLO
Fu
un anziano servitore ad accompagnarmi nella mia stanzetta. Mi disse
che prima di cena sarebbe venuto a chiamarmi e che poi avrei
incontrato Achille. Uscì, ed immediatamente dopo qualcuno
bussò alla porta -Avanti-
-Ehm,
ciao. Io sono Achille. Le presentazione ufficiali le faranno stasera
ma io ero curioso di conoscerti. Tu sei quello che è appena
arrivato da Opunte, vero?- chiese squadrandomi con due occhi azzurri
spalancati
-Sì,
sono io- dimostrava più dei suoi nove anni. Era alto ed
aveva
una muscolatura ben sviluppata e la pelle abbronzata -Come ti
chiami?-
-Patroclo...-
Dall'esterno
giunse la voce di una serva -Principe! Dove siete? Vostra madre vi
cerca!-
-Sarà
meglio che vada- sbuffò Achille -vogliono strigliarmi per
bene. E va bene che mia madre è una dea marina, ma questa
sua
fissazione per i bagni...- così dicendo se ne
andò,
lasciandomi a bocca aperta. Mi sembrava di essere in uno strano sogno
sin dal giorno dell'incidente, e ogni piccola novità
contribuiva stordirmi. Mio padre mi aveva avvisato che la regina era
una dea, ed io stesso avevo potuto notare la sua bellezza
ultraterrena, ma quel modo di comportarsi del piccoletto mi aveva
lasciato molto perplesso. Conoscendolo meglio, negli anni, avrei
imparato che sua madre non era l'unica dea con la quale se la
prendeva e sbuffava, poiché non temeva affatto la collera
degli immortali.
IO,
ACHILLE
Mi
avevano detto che da Opunte sarebbe giunto un ragazzino, il quale mi
sarebbe stato assegnato come scudiero. Non c'erano molti giovani
nobili coi quali potessi trascorrere il mio tempo, quindi il suo
arrivo rappresentava un'eccitante novità. E poi il fatto che
fosse mio scudiero significava in un certo senso che io ero il capo.
Dopo aver trascorso anni con la sola compagnia dei Dioscuri e di
Chirone, il mio ritorno a palazzo e tutte le attenzioni con le quali
mia madre mi circondava mi stavano trasformando in un bambino alla
perenne ricerca di attenzione e, lo ammetto, un po' viziato. Mi feci
indicare la stanza del nuovo arrivato e bussai. Mi rispose una vocina
distratta. In piedi, di fronte alla porta c'era un bambino. Era
più
grande di me, ma non di molto. Ripensandoci, doveva avere un'aria
molto sperduta, ma io allora non ci feci caso. Fece appena in tempo a
dirmi il suo nome, poi venni chiamato per prepararmi per la cena.
Mentre la serva che aveva avuto l'ingrato compito di badare a me mi
conduceva nella mia stanza, pensai che quel Patroclo poteva essere
simpatico.
-Sai,
Achille- mi dice ora l'ombra di Patroclo -anche tu mi avevi fatto una
buona impressione, credo. Ma sei arrivato così
all'improvviso
che onestamente non sapevo bene cosa pensare-
-Potevi
pensare, per esempio,- lo prendo in giro -che ero il bambino
più
adorabile e affascinante del mondo e che vedevi già in me il
grande guerriero che sarei diventato-
-Da
quand'è che gira vino qui nell'Ade? No, perché tu
devi
essere ubriaco, amico mio. E comunque affascinante non lo sei mai
stato...-
-Ah,
no?-
-No-
insiste lui, testardo ed orgoglioso quasi quanto me. Chiedeteglielo
voi anime vive cosa pensa di me, se volete, a voi non può
mentire.
IO,
TETI
Appena
vidi Patroclo seppi che con lui era giunto un tassello nel mosaico
del destino di mio figlio. Quanto importante fosse quel tassello
allora non potevo dirlo, né sapevo per certo che ruolo
avrebbe
avuto. Il mio cuore fu subito diviso, ma non capii. Ora ne conosco il
motivo: Patroclo fu per mio figlio la vita e la morte. La vita,
perché da bambino gli insegnò il senso
dell'amicizia,
da adulto gli insegnò l'amore, e sempre gli fu accanto. La
morte, poiché fu per vendicare Patroclo che mio figlio scese
in battaglia di nuovo, nella funesta guerra di Troia, che altrimenti
egli avrebbe abbandonato.
IO,
PATROCLO
Appena
ho visto Achille non sono riuscito a giudicarlo, davvero! Era
speciale, questo potevo affermarlo con certezza, ma proprio per
questo sfuggì a lungo ad ogni mio tentativo di capirlo.
Se
poi volete sapere cosa ho pensato dopo, non vi resta che continuare a
leggere.
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Capitolo 6 *** Vulnerabile nel cuore e nel corpo ***
IO,
ACHILLE
Tutti
conoscevano il mio dono, ma mia madre si sentiva molto più
sicura sapendomi in compagnia di un ragazzo più grande e
responsabile, perché ero sempre troppo imprudente,
così
spesso mi recavo a caccia con Patroclo. Fu durante una di queste
battute che feci una terribile scoperta.
Era
molto caldo, e dopo aver inutilmente seguito per tutto il giorno le
tracce di un leone che infestava quei boschi mi ero tolto i calzari
per rinfrescarmi in un ruscello, il cui fondo nascondeva alcune
pietre aguzze. Patroclo si era prudentemente tenuto sulla riva,
mentre io, come al solito spericolato e troppo fiducioso in me
stesso, mi ero appostato nel centro del ruscello per vedere se
riuscivo a prendere un pesce a mani nude, come avevamo sentito dire
facevano alcuni pescatori delle tribù nomadi. Ridevamo
spensierati quando improvvisamente misi un piede in fallo ed
inciampai. Recuperai subito l’equilibrio, ma provai una
sensazione
sconosciuta e un sottile rivolo rosso si alzò nella
corrente.
Era la prima volta che mi succedeva e sarebbe stata anche l'ultima
fino alla fatale freccia di Apollo e Paride. Sarei sempre stato molto
cauto in modo che nessuno lo venisse a sapere. In quel momento
però
mi venne da piangere. Non era il dolore, ma l’improvvisa
scoperta
della mia vulnerabilità a sconvolgermi –Sei dei
nostri- mi
fece Patroclo, che aveva intuito cos’era successo, dalla riva
–Vulnerabile anche tu...- ero inorridito. Avrei potuto
sopportare
ogni sofferenza o privazione, qualche volta Chirone mi aveva anche
frustato, ma questo... Stringendo i denti e trattenendo le lacrime,
saltellai su un piede fuori dall’acqua e caddi tra le braccia
di
Patroclo, che mi sorresse e mi consolò –Coraggio!
Altrimenti
sarebbe stato troppo facile, non avresti avuto nessuna gloria!-
chissà come, aveva capito che quella era la cosa giusta da
dire. Presi un respiro profondo e, restando sempre aggrappato a lui,
sussurrai -Non lo dirai a nessuno, vero?-
-Certamente
no! Che il grande Zeus mi fulmini se tradirò il tuo segreto-
scandì con aria solenne -Ora siediti, passerà
presto.
Non hai idea di tutte le volte in cui mi sono fatto male io!-
-Secondo
te com'è possibile?- chiesi. Egli scosse la testa -Non ne ho
idea... dovresti parlare con tua madre quando torniamo-
-Già...-
-Stai
tranquillo, non è nulla di grave. Il tallone non
è un
posto dove è facile farsi male- sorrise, dapprima con
sincerità, poi con un ghigno aggiunse -Ma che hai paura?-
-Cosa?-
esclamai riprendendomi del tutto -Ti ricaccio dentro le parole a suon
di schiaffi se non mi chiedi immediatamente scusa- capii solo in
seguito che era esattamente quello che Patroclo voleva: provocarmi,
poiché sapeva come avrei reagito. E sapeva che saremmo
finiti
a fare a botte sull'erba, dimentichi almeno per un momento della mia
ferita, di mia madre e del pensiero di trionfi futuri.
Voi
ora ne potete anche ridere: “il tallone
d’Achille” è
proverbiale, ma ciò che avevo provato il era stato il colmo
dell'orrore. Quella notte dormii un sonno agitato, rigirandomi senza
tregua nel mio giaciglio ai piedi di una quercia. Nel dormiveglia
diedi una gomitata a Patroclo, che riposava accanto a me, e ci
svegliammo entrambi; dopo di che ci fu impossibile riprendere sonno.
Passammo tutta la notte a parlare. Dicono che uno dei miei
discendenti, Alessandro, che si riteneva “il novello
Achille”, ed
Efestione, creduto la reincarnazione di Patroclo, trascorressero
spesso le notti discorrendo di poesia e filosofia. Mi piaceva quel
ragazzo, gli sono stato accanto, soffiandogli nell’orecchio
buoni
consigli, nei momenti in cui non ascoltava nessuno. Mi fa onore il
fatto che mi venerasse tanto, perché lui è stato
un
Grande. Abbiamo in parte condiviso lo stesso destino, di una morte
giovane in terra straniera, preceduti di poco dal compagno di una
vita. E fu quella notte che capii che Patroclo era per me qualcosa di
più di uno dei tanti giovani nobili di cui mi circondavo.
Quando
finalmente Hypnos venne a chiuderci gli occhi era quasi
l’alba, e
quando ci svegliammo questa era da poco trascorsa. Ci stiracchiammo
indolenziti per aver dormito seduti. Io avevo il capo reclinato sulla
spalla di Patroclo, mentre lui era rimasto appoggiato al tronco della
quercia. Nonostante la stanchezza ci buttammo con allegria nella
caccia e quel giorno prendemmo un cervo e altri piccoli animali.
Quando
tornammo però mia madre notò che avevo un'aria
strana,
e mi fece chiamare nelle sue stanze prima che io stesso la fossi
andata a cercare
-Figlio
mio, cosa ti turba?-
-Oh,-
sbuffai –divina madre...-
-Cos’è
questo tono ironico?- ribatté severa
-E’
inutile che tu faccia così, tanto sai tutto... sapevi che
non
sono invulnerabile!- Teti abbassò gli occhi tristemente
–Lo
sapevo, sì, ma non avrei voluto che tu ne venissi a
conoscenza. Ho visto nel tuo futuro...-
-Cosa?
Cosa?- quasi urlai. Una lacrima le scivolò giù
lungo la
guancia. Mi sedetti accanto a lei e gliel’asciugai con una
carezza
–Arriverà un giorno in cui dovrai scegliere.
Potrai avere
una vita lunga, felice e pacifica, e una numerosa discendenza, ma
dopo che anche i tuoi figli, e i loro figli saranno morti, il tuo
nome svanirà con loro. Se invece deciderai altrimenti avrai
una vita breve e luminosa come una stella cadente e il tuo nome
sarà
ricordato per sempre. La memoria delle tue gesta non svanirà
mai, ma io...- la sua voce si spense in un singhiozzo. Si sentiva in
colpa per non essersi accorta che le acque dello Stige non mi avevano
bagnato del tutto quando, anni prima, mi ci aveva immerso; io non lo
sapevo: credetti quindi che piangesse perché avrei dovuto
affrontare una tale scelta. O forse piangeva poiché sentiva
che mi avrebbe perso presto. E così questo sarebbe stato il
mio destino. Il dubbio prese subito a lacerarmi, anche se dentro di
me sapevo cos’avrei scelto. Non volevo pensarci, almeno non
in quel
momento.
–Ma
al tallone! Sono troppo veloce, nemmeno un dio riuscirebbe a
colpirmi!- tentai di consolarla, riuscendo a strapparle un sorriso
–Sempre così sicuro di te...- mormorò.
Uscendo dagli
appartamenti delle donne però, nonostante la mia sicumera
apparentemente incrollabile, mi sentii un po’ abbattuto.
Patroclo
era lì per caso ai piedi della scalinata, come sempre quando
avevo bisogno di supporto morale. Quel ragazzo mi lasciava molto
perplesso: per qualche strano motivo, si potrebbe dire empatia, ogni
volta che mi serviva qualcosa lui ce l’aveva. Se avevo sete
la sua
borraccia era piena, se non ricordavo un verso di una poesia potete
star certi che l’aveva in mente lui. Lo guardai senza avere
il
coraggio di dire niente. Avevo troppe cose per la testa, troppe
emozioni diverse.
Molte
leggende narrano di amori infelici; i miti sono pieni di uomini e
donne che muoiono ed uccidono per amore. Per questo ero convinto che
i sentimenti potessero fare più male delle armi, ma nessuno
mi
aveva mai detto che potevano anche essere più dolci
dell'ambrosia.
IO,
PATROCLO
Lo
vidi scendere le scale con le labbra serrate in una linea sottile e
l'espressione accigliata. Lo consideravo il mio migliore amico da
tempo ormai, e vederlo preoccupato mi dispiaceva. In realtà,
avrei voluto che fosse sempre felice.
Camminammo
fianco a fianco, in silenzio. Uscimmo dal palazzo e ci dirigemmo
verso un boschetto al limitare del giardino. La luce filtrava a
fiotti tra le foglie verdi degli alberi e nel vento scherzoso si
sentiva la primavera. Ci fermammo in una radura assolata, e Achille
si sedette su un masso coperto di muschio che sembrava quasi un
cuscino. Era turbato ma non sapevo come calmarlo. Sapevo che la
consapevolezza della sua vulnerabilità lo disturbava. Voleva
essere il guerriero perfetto, forgiato per la battaglia. In genere
con le parole ci sapevo fare piuttosto bene; ora mi accontentai di
abbracciarlo, restando in piedi dietro di lui. Si appoggiò a
me come un naufrago che si lasci cadere su una spiaggia dopo una
terribile tempesta, ed io sentii un brivido. Alla fine fu lui a
parlare -Poter decidere del proprio destino... alla fin fine
è
vero ognuno sceglie il suo, ma avere davanti un bivio tanto netto...-
senza bisogno che gli chiedessi niente mi raccontò della
profezia che gli aveva fatto la madre; poi si girò
fissò
i suoi occhi nei miei con un'intensità da fare male -Ti ho
raccontato cose che nessun mortale conosce. Manterrai il segreto- non
era una domanda. Sebbene fosse ancora molto giovane aveva una grande
capacità di imporre la propria volontà che poi
avrebbe
indotto i Mirmidoni a seguirlo in ogni sorta di imprese, sebbene
molti di loro fossero già valorosi guerrieri quando lui
muoveva i primi passi.
Achille
era ancora seduto, così io mi inginocchiai per portare il
mio
viso al livello del suo. Gli posai le mani sulle ginocchia e,
scuotendo il capo, dissi -Ti ha già dato la mia parola. Il
tuo
segreto è al sicuro con me-
-Mi
fido- rispose lui sorridendo distrattamente. Mi stupii della
felicità
che mi provocavano la sua fiducia ed il suo sorriso, ed il pensiero
che io solo custodivo, ed avrei custodito per tutta la vita, il suo
più terribile segreto. Achille posò la sua fronte
sulla
mia e restammo così, ad ascoltare lo scorrere lento del
tempo.
Regina
di Picche grazie mille della
recensione, e sono molto felice che continuerai a leggere. Nel film
Troy Achille e Patroclo sono cugini, ma per quanto risulta dalle mie
fonti (ovvero l'insostituibile “I Miti Greci” di R.
Graves) non
lo erano.
Capisco che a volte nei
propri
racconti ci finisca un pezzettino di cuore (ho scritto un drabble su
questo se ti interessa), ma io sono talmente felice di scrivere che
devo assolutamente far leggere a qualcuno le mie cose.
achillefan
grazie mille della recensione!
Questa parte è
stata una delle
prime che ho scritto ed è tra le mie preferite. E'
totalmente
di mia invenzione perché, che io sappia, nessun mito parla
di
quest'argomento.
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Capitolo 7 *** Dall'alba all'infinito ***
IO,
PATROCLO
Non
sono mai stato un ragazzino timido o solitario, ma non avevo molti
amici, forse anche perché a Ftia, dove sono cresciuto, in
molti mi consideravano uno straniero. Achille ovviamente faceva
eccezione, e mi aveva preso in simpatia da subito. Era sempre
circondato da molte persone, fossero essi soldati di suo padre,
servitori, o figli dei nobili dell'isola, ma forse io solo vedevo la
distanza che lo separava da tutti. Non era lui a crearla: era vero
che aveva un certo senso di superiorità nei confronti di
quasi
tutto il resto dell'umanità, ma in fondo quella era la
convinzione nella quale venivano cresciuti tutti i nobili all'epoca,
me compreso. Era qualcosa di diverso, più sottile e profondo
nello stesso tempo.
Quando
Achille scoprì di non essere invulnerabile lui aveva tredici
anni ed io sedici. A voi può sembrare una grande differenza,
ma per noi non lo era. Certo, intorno ai sedici anni si diventava
adulti, ma non esisteva per noi la differenza tra bambini e ragazzi,
che è una vostra invenzione. E non c'erano le scuole, nelle
quali vi abituate a stare solo coi vostri coetanei. Noi invece
avevamo seguito gli stessi maestri, ci eravamo esercitati insieme
nelle arti della guerra ed insieme saremmo stati ammessi per la prima
volta ad un banchetto, centro assoluto della vita sociale del nostro
tempo.
Una
volta Achille venne a bussare alla mia porta. Era ancora notte, ed io
mi svegliai a fatica per aprire -Achille? Che ci fai qui a quest'ora?
Per tutti gli dei, ma tu non dormi mai?- gli chiesi piuttosto seccato
-Ovvio
che dormo, ma non mi piace sprecare il mio tempo col sonno. Vieni con
me, ti porto a vedere una cosa- e voi credete che io avrei mai potuto
dirgli di no, anche se l'avrei volentieri strozzato?
-Va
bene, mi vesto e arrivo- borbottai, infilando una corta tunica e
gettandomi un mantello sulle spalle. Lo seguii in silenzio fino ad
un'uscita secondaria del palazzo e poi fuori, nella notte fresca e
luminosa di stelle. Evitammo le guardie poste intorno al perimetro
dei giardini con una facilità sorprendente e salimmo di
corsa
su una collina lì vicino -Si può sapere che
diamine c'è
da vedere qui oltre a dei campi mezzi secchi?- ansimai mentre mi
stropicciavo gli occhi per cercare di scacciare gli ultimi residui di
sonno
-Resterai
sorpreso, e smetterai di dirmi che non so apprezzare le cose belle-
ridacchiò il mio amico. Io roteai gli occhi esasperato.
-Possiamo sederci qui- annunciò, lasciandosi cadere su un
tratto pianeggiante di terreno. Io mi sistemai accanto a lui e gli
coprii le spalle con parte del mio mantello. Achille per tutto
ringraziamento sbuffò, ma poco dopo si strinse ancor di
più
a me, cercando riparo dal freddo notturno, che non accennava a
diminuire nonostante si iniziasse ad intravvedere la luce soffusa del
sole da dietro l'orizzonte -Era questo che volevi mostrarmi? Non
è
certo la prima alba che vedo- gli feci notare
-Sì,
ma da qui si intravvede la baia e la vista è semplicemente
meravigliosa- si difese lui, sbirciandomi leggermente preoccupato con
la coda dell'occhio -E poi volevo condividere con te l'emozione di
una corsetta a stomaco vuoto come quando mi allenavo con Chirone-
aggiunse con un'adorabile risata malvagia
-Ah,
la fai per il mio bene, per farmi rendere conto di quanto io sia
fortunato a non avere un centauro come maestro- ironizzai. I primi
raggi del sole iniziavano ad illuminare il cielo, che però
rimaneva di un ostinato blu chiaro, bello come un velluto prezioso.
Poi si colorò di un azzurro slavato facendo sparire le
stelle,
ed il carro di Apollo si alzò maestoso da dietro
l'orizzonte,
specchiandosi con placida vanità nelle acque della baia. Io
distolsi per un attimo lo sguardo dall'alba per osservare il volto
rilassato di Achille, immerso nella bellezza dell'astro nascente e
della natura selvaggia dell'isola che si stendeva ai nostri piedi.
Eravamo così vicini che il mio respiro gli faceva oscillare
sulla guancia una ciocca di capelli -Che c'è?- mi chiese
-Il
sole non è l'unico spettacolo stamattina- sussurrai. E
davvero
credevo che lo stesso Apollo non fosse paragonabile ad Achille, anche
se il solo pensiero costituiva un gravissimo atto di hybris, di
tracotanza -Grazie- mormorò il mio amico. Erano i riflessi
dell'alba o... possibile che fosse arrossito? Teneva gli occhi fissi
sull'orizzonte, ma si vedeva che non era più catturato dallo
spettacolo come prima. Quando si azzardò a lanciarmi
un'altra
occhiata io lo stavo ancora osservando. Il movimento portò
alle mie narici l'odore della sua pelle, intossicante come un veleno
e delizioso come ambrosia -Patroclo...- iniziò, ma poi si
interruppe e scosse la testa come a voler cacciare dei dubbi
fastidiosi. Io lo aspettavo, con la testa leggermente reclinata e
sulle labbra un sorriso. Aspettavo che nella sua adorabile testolina
bionda prendesse forma il pensiero che io potevo veder aleggiare tra
di noi. Aspettavo che si decidesse a baciarmi. Se l'avessi prevenuto,
orgoglioso com'era, avrebbe potuto avercela con me per tutta la vita.
Era da un po' che lo voleva fare ed io non aspettavo altro.
Avvicinò
il suo volto al mio con una lentezza esasperante guardandomi fisso
negli occhi. Io continuai a sorridere finché le mie labbra
non
incontrarono le sue. Allora mi persi nella sensazione di quel bacio
che da timido divenne presto irruento, di quelle labbra ancora
fresche di ragazzo, di quella lingua combattiva e dolce come il suo
proprietario... spinsi Achille in modo che si trovasse sdraiato sotto
di me, senza allontanare neppure per un attimo il mio viso dal suo.
Mi strinse in un abbraccio forte, mentre io gli portai una mano
dietro la testa per tenerlo intrappolato in quel bacio. Ci staccammo
dopo un tempo infinito -Tu sai già...- iniziai esitante.
Qualunque parola pronunciata con quelle labbra ancora pulsanti per la
violenza del nostro primo bacio sembrava superflua ed inopportuna -Tu
sai che io ti seguirò ovunque, in qualunque impresa
intraprenderai. Sai che ci sarò sempre per te. Lo sai,
vero?-
Achille annuì e sorrise -So che sei speciale. Il fato sapeva
ciò che faceva quando ti ha mandato qui-
Spero
di non aver reso i miei eroi troppo OOC. Credo di no comunque,
perché
bisogna contare che questa parte è ambientata quando loro
sono
molto giovani. Però ditemi com'è
perché a me
piace, però... non saprei... e siccome mentre scrivevo
questo
capitolo non avevo i miei biscotti al cioccolato da fanfiction ho
bisogno di tante tante recensioni O.O
Pluma
grazie mille della recensione. Credo di averla più o meno
capita, e mi hai spronato a rileggere e migliorare il mio lavoro, ed
è anche per questo che ci ho messo tanto ad aggiornare. Non
ti
chiedevo certo di riaggiungere la storia ai preferiti se non ti
convince, perché credo che il nostro tempo sia prezioso e
non
sia giusto usarlo in cose che non ci convincono.
Regina
di Picche grazie
mille anche a te, perché se le critiche costruttive sono
utili, i complimenti fanno un piacere immenso e mi spronano a
continuare! :-)
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Capitolo 8 *** Elena ***
IO,
ACHILLE
Dopo
quel bacio in fondo non cambiò molto per Patroclo e me. Da
tempo ormai eravamo molto uniti: “un'anima in due
corpi”, come
ripeteva sempre mia madre. Trascorrevamo insieme la maggior parte del
nostro tempo: ci allenavamo nell'uso delle armi coi nostri coetanei,
giocavamo e ci sfidavamo, e seguivamo insieme le lezioni di Fenice,
il mio maestro. Per una falsa accusa era stato scacciato dalla sua
terra e suo padre l'aveva maledetto, condannandolo a non poter avere
figli. E così era stato; anche per questo mi si era
affezionato moltissimo. Era come un padre per me, forse anche
più
di quanto non lo fosse Peleo. Con ciò non sto dicendo che
egli
non fosse un buon genitore: nel nostro tempo il rapporto coi padri
era totalmente diverso da ciò che è nel vostro, e
Peleo
era il re dell'isola ed il signore del palazzo, non aveva certo tempo
di essere affettuoso, né sarebbe stato decoroso esserlo. Sin
da quando ero bambino Fenice mi prendeva sulle ginocchia e mi narrava
le storie della sua infanzia e le imprese degli eroi. Io potevo
trascorrere ore ad ascoltarlo estasiato. Quando fui più
grande
mi insegnò a leggere e a scrivere e molte altre cose.
Giurò
che non mi avrebbe mai abbandonato, ed infatti mi seguì sino
a
Troia.
Ho
detto che non cambiò molto, ma un differenza molto visibile
in
realtà c'era: Patroclo sorrideva più spesso.
IO,
PATROCLO
Dopo
quella bellissima alba trascorsa insieme vedevo Achille più
tranquillo e nello stesso tempo un tantino scontento. Capivo bene il
perché: era felice, ma nello stesso tempo gli sarebbe
piaciuto
essere superiore agli affetti dei comuni mortali. Avrebbe voluto
essere invincibile, invece quando gli sorridevo vedevo bene che non
avrebbe potuto rifiutarmi nulla. Ero il suo nemico preferito.
Una
sera eravamo sdraiati su due letti del salone dei banchetti deserto a
parlare -Hai sentito parlare di una certa Elena?- mi domandò
-Ma
chi? La figlia di Zeus e Leda?-
-Proprio
lei. Si dice che sia la donna più bella del mondo-
-L'ho
sentito dire. Sarei molto curioso di vederla-
-Magari
mi somiglia- scherzò Achille -In fondo siamo lontanamente
parenti (il nonno di Achille è anch'egli figlio di Zeus.
NdA)-
-Seee-
lo presi in giro allungando la mano per dargli un buffetto su una
guancia -se ti somigliasse sarebbe messa molto male, poverina- il mio
amico mi rispose con una pernacchia ed una ripicca:-Allora non ti
racconto cosa è successo...-
-Avanti,
dimmi, per favore-
-Va
bene, ma solo per questa volta. Non puoi permetterti di insultarmi,
sai? Dovresti temermi: ormai nella lotta non mi batti più-
-Va
bene, o grande guerriero, io ti temo e ti venero- Achille
sbuffò
e proseguì: -Si è sposata. Pare che l'abbiano
chiesta
in sposa tutti i re, ma alla fine il suo patrigno Tindareo l'ha
concessa a Menelao-
-Era
ovvio- risposi -È il più ricco e potente!-
-Sì
ma Tindareo temeva di scontentare gli altri ed attirarsi inimicizie o
di vedersi scatenare una guerra dentro la sua casa, dove erano ospiti
tutti i pretendenti-
-Ma
dai, Achille, una guerra per una donna, che esagerato. Chi vuoi che
abbia un'idea simile?-
-Se
ne vale la pena...- insistette lui -Comunque Odisseo, il re di Itaca
ha proposto a Tindareo di suggerirgli una soluzione, ma solo a patto
che questi, che è molto potente, lo aiutasse a sposare una
certa Penelope, figlia di Icario-
-E
cosa ha suggerito?-
-Semplicemente
di far giurare solennemente a tutti di proteggere il futuro sposo di
Elena-
-Ah!-
esclamai -Così Menelao oltre ad una moglie ha guadagnato
parecchi alleati-
IO,
ELENA
Mia
è la colpa della guerra di Troia, dicono.
Certo.
E' sempre colpa di una donna. Il fatto che quei pazzi pieni di
testosterone abbiano una gran voglia di scannarsi a vicenda
è
colpa di una donna. Io. Colpa mia, e della mia stramaledetta
bellezza. Io, sorella di Castore e Polluce, figlia di Zeus. Io,
Elena, la cagna che ha abbandonato il marito e la figlioletta per
seguire un principe troiano. Per seguire l'amore. Oh, sì
l'amore è proprio una sciocchezza, soprattutto per una che a
quindici anni aveva dovuto sposare un uomo molto più vecchio
di lei, e a diciassette aveva messo al mondo la sua prima figlia.
Perché questa era stata la mia vita, e sarebbe rimasta tale.
Non mi sarebbe mai venuto in mente di obbiettare. Ero felice del
fatto che mio marito mi trattasse con un certo rispetto, di poter
vivere in un ricco palazzo e di aver avuto una figlia splendida e
sana. Non mi mancava nulla. Eppure ho seguito Paride, perché
dal momento in cui l'ho incontrato ho capito che la vita poteva non
essere solo un susseguirsi di giornate non spiacevoli, ma qualcosa di
meraviglioso per cui ringraziare gli dei ogni mattina. L'ho seguito
tra gioia e rimpianti, e lasciando molte lacrime sul mio cammino. A
Troia ero solo una straniera, disprezzata da molti per il male che
secondo loro avevo arrecato. Come se avessi stregato Paride e lui non
condividesse la mia colpa, il vigliacco! Sì, lo dico ad alta
voce che mio marito era un codardo. L'amore non mi aveva resa cieca,
e forse sarebbe stato meglio davvero essere una stolta per non capire
che il mio nome ed il mio onore erano usati come scusa per una
carneficina.
IO,
PATROCLO
Allora
non sapevamo ancora che proprio a causa di quell'Elena della quale in
fondo poco ci importava avremmo combattuto per dieci anni. Parlammo
invece di matrimoni e di donne. Achille era curioso di sapere
qualcosa sui piaceri della carne, ma esitava a porre domande,
poiché
non voleva sembrare un bambino. Io avevo già avuto amanti;
inizialmente più perché era costume farlo, poi
perché
avevo imparato ad apprezzare -Presto anche tu avrai il tuo bel
daffare, Achille. Sei bello, e soprattutto sei un principe. Dozzine
di donne cadranno ai tuoi piedi. Stai solo attento che qualcuna non
voglia sposarti!- ridacchiai
-Di
certo piacerebbe ad ognuna. Invece mi domando chi mai potrebbe voler
sposare te, e poi sopportarti per tutta la vita- mi prese in giro
affettuosamente, venendo a sdraiarsi accanto a me -Mi pare- lo
apostrofai -che tu mi sopporti più che volentieri-
-Eh,-
sospirò lui -mi richiede un grande sforzo- gli scompigliai
la
chioma bionda e ribelle -Sono felice che tu compia questo sforzo,
Achille- ci baciammo, interrompendoci solo per prenderci in giro e
ricordarci quanto bene ci volevamo. Ero felice di sentire le sue
labbra sulle mie ed il suo corpo solido e caldo stretto al mio.
IO,
DEIDAMIA
Cosa
volete sapere da me, ombra di una semplice fanciulla? Ah, mi chiedete
del nobile Achille... Se volete sentire di gesta eroiche non sono
affatto la persona a cui chiedere, ma se desiderate invece conoscere
del tempo prima della gloria, dell'età spensierata di
Achille,
allora c'è qualcosa che posso narrarvi. Ma badate, io per
lui
non fui che una cortigiana, mai ebbi il privilegio del suo amore o
delle sue confidenze.
Peleo
faceva partecipare ai banchetti suo figlio sin da quando aveva
tredici anni. Voleva che imparasse presto i piaceri ed i doveri di un
nobile, che in quelle occasioni si intrecciavano strettamente. Il
buon cibo ed il vino erano molto apprezzati, e, davanti ai succulenti
piatti di selvaggina, si discuteva di politica e si tessevano
alleanze. Queste ultime erano fondamentali, e persino una donna come
me poteva saperlo. Alcuni regni erano più potenti degli
altri,
ma non esisteva all'epoca una potenza sufficientemente forte
nell'area compresa tra lo Ionio ed il mar Nero da potersi dire
totalmente indipendente dai suoi alleati. Naturalmente parte
integrante dei banchetti erano danzatrici e suonatori per
intrattenere gli ospiti fino al mattino. A sedici anni, io ero tra le
donne più belle e desiderate dell'isola e prendevo parte ad
ogni festa. Potevo conversare in maniera raffinata ed ero esperta
nella arti dell'amore, sapevo suonare il flauto e danzare con una
grazia che in molti, esagerando, paragonavano a quella della Musa
Tersicore. Quando Achille aveva quattordici anni, Peleo decise che
era tempo per il ragazzo di conoscere i piaceri dell'amore.
Desiderava per suo figlio la migliore, ed io fui la prescelta.
Scusate
la
brevità del capitolo, ma la scuola mi dà
abbastanza da fare, e sto scrivendo anche un sacco di altre cose.
Comunque dei ed eroi sono sempre nei miei pensieri e non abbandono la
fic.
Grazie
ad Artemis00,
Caillean
e Pluma
per avere
questa storia nei preferiti
Regina
di Picche
Sono molto molto felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto:-) e
tranquilla, meglio tardi che mai! Anche io sono stata lentissima ad
aggiornare... ed anch'io ho avuto dei problemi con internet
(maledetta fastweb!).
Ma
no, dai, non sei ignorante, è facilissimo pensare che
Patroclo
sia più giovane dato che Achille è il
più forte,
e questa è anche la versione che dà il film Troy,
che
però non si attiene molto all'epica classica. Non si sa
precisamente di quanti anni più grande fosse, comunque ti
cito
per esempio l'Iliade (libro XI, vv. da 786 a 789), Menezio parla a
Patroclo: “Figlio mio, Achille ti è superiore per
stirpe, ma
tu sei più anziano. Lui è molto più
forte; tu
devi dirgli sagge parole, consigliarlo, guidarlo, e lui ti
darà
retta per il suo bene”
P.S.
Ho controllato meglio sul mio meraviglioso librone e, in effetti,
dato che la discendenza di Patroclo è incerta ed i nobili
erano tutti imparentati tra loro, c'è una versione che lo
dà
come cugino di Achille, ma non è quella che compare
nell'Iliade.
Pluma
Sono
strafelice di essere riuscita a migliorare questa fic e a
“creare”
un mio Achile!
Secondo
me Ulisse non è né un pessimo marito
né un
pessimo padre, tutt'al più è un gran bastardo coi
nemici e a volte persino con gli amici, però insomma si sa
che
nella mitologia greca di santi non ce n'erano.
Ho
apprezzato molto la recensione lunga e articolata, davvero,
è
così che dovrebbero essere. E grazie per i complimenti!
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Capitolo 9 *** IO, DEIDAMIA ***
IO,
DEIDAMIA
Era
stato organizzato un banchetto, uno dei più sontuosi che si
fossero visti negli ultimi anni a Ftia. Era in quell'occasione che io
sarei stata offerta ad Achille. Ne ero felice, poiché era
giovane e bello, ed inoltre il mio compenso sarebbe stato ottimo. Ma
le cose non andarono come previsto. Il giorno precedente ci fu detto
che era stato annullato tutto. Scoprii in seguito che Teti, la
regina, aveva deciso proprio allora di abbandonare il palazzo e
tornare a vivere nel regno sottomarino di suo padre Nereo. Si diceva
che non volesse veder invecchiare il suo sposo, o che avesse litigato
con lui. In ogni caso, il banchetto era stato solo rimandato e si
sarebbe svolto in pompa magna qualche settimana più tardi.
Alcuni
schiavi mescevano il vino nelle coppe, diluito con acqua e miele,
altri servivano le numerose pietanze a base principalmente di carne,
accompagnate da focacce e formaggi e salse esotiche. Il profumo del
cinghiale arrostito, e del pavone in umido e di mille altre
prelibatezze mi stuzzicava le narici mentre facevo il mio ingresso
nella sala a seguito delle mie compagne. Nonostante la mia bassa
condizione sociale avevo spesso assaggiato quei cibi raffinati: non
me li potevo certo permettere, ma spesso mi venivano offerti dai
commensali particolarmente soddisfatti delle danze o ne sgraffignavo
gli avanzi dalle cucine, dove nessun servetto poteva resistere al mio
sbatter di ciglia. Iniziai a ballare, muovendomi leggera al ritmo dei
flauti e dei tamburelli. I miei passi si incrociavano armoniosamente
con quelli delle altre danzatrici. Lasciai cadere la stola che mi
copriva le spalle, restando solo col corto chitone azzurrino, la cui
stoffa ondeggiava sulle mie cosce ad ogni movimento. Eseguii un
piccolo balzo ed i miei piedi scalzi toccarono il pavimento di pietra
proprio di fronte al letto del principe. Mentre la musica rallentava
chinai la schiena in modo tale da lasciar scivolare gli sguardi
all'interno della mia scollatura. Mi azzardai ad alzare gli occhi ed
intercettai quelli di Achille, che mi osservava affascinato. A quel
punto ero certa che mi avrebbe osservata con particolare attenzione
per il resto della serata. La musica ricominciò ad un ritmo
sfrenato ed io piroettai tra i letti, svelta come una gazzella. La
crocchia che mi tratteneva i capelli sulla nuca si sciolse rivelando
una ribelle cascata castana. Eseguii una capriola passando tra due
mie compagne; mi rimisi in piedi sulle ultime, flebili note dei
flauti ed alzai graziosamente le braccia per poi inchinarmi. Fui
molto applaudita. Tutte noi andammo a sederci vicino a qualcuno, per
riposarci prima della prossima danza ed iniziare a conversare con gli
uomini. Io mi accoccolai sul pavimento davanti al letto del principe
Achille, appoggiandovi la schiena. Questi mi passò una mano
tra i capelli e mi chiese gentilmente il mio nome -Deidamia, per
servirvi- egli accennò un sorriso, ben sapendo che genere di
servigi potesse offrirgli una come me. Probabilmente aveva
già
sentito il mio nome, o forse mi aveva già vista ad un altro
banchetto. Il vino e le danze continuarono a fluire liberamente, gli
uomini chiacchieravano tra loro mentre le mie compagne si
strusciavano contro di loro già mezze nude, o fingevano di
sfuggire le mani avide di coloro coi quali avrebbero trascorso la
notte. Può apparirvi squallido, può urtare il
vostro
falso senso del pudore o la vostra strana morale, ma quelle erano le
migliori feste della Grecia. A voi moderni la mia vita può
apparire ben misera, ma in realtà a me andava bene. Non
dovevo
spaccarmi la schiena tutto il giorno sotto il sole rischiando anche
le frustate, o peggio morire lentamente in una miniera. Ero pagata
per dare quello che, se fossi stata una schiava qualunque,
probabilmente i miei padroni si sarebbero presi con la forza. Senza
contare che godevo di una libertà di movimento nettamente
maggiore rispetto alle donne perbene e ricche, confinate nei ginecei.
Mi
sdraiai accanto ad Achille, mentre questi intavolava una discussione
alquanto sconnessa col suo amico Patroclo -Io non sono affatto
ubriaco- affermò ad un certo punto quest'ultimo, ed il
principe rispose: -Io di certo non lo sono...- poi scoppiò a
ridere -ma secondo me tu lo sei!-
-Taci,
piccoletto!- ribatté offeso il giovane, rischiando di far
cadere giù dal letto la danzatrice che era con lui per il
movimento improvviso che aveva accompagnato quelle parole -Non
chiamarmi mai più così!- sbottò
Achille, poi si
rivolse a me -Vuoi accompagnarmi nella mia stanza e lasciare questo
povero ubriacone alla sua coppa, Deidamia?- mi chiese. Nonostante
l'ironia nelle sue parole rivolse all'amico un sorriso sincero e gli
diede una sonora pacca su una spalla. Patroclo lo salutò
strizzandogli l'occhio. Ero rimasta colpita dal fatto che mi avesse
chiamata per nome. In molti non lo facevano per puro senso di
superiorità, altri semplicemente lo dimenticavano dopo due
coppe di vino.
IO,
ACHILLE
Mi
sentivo la testa piacevolmente leggera e non credo fosse solo a causa
del vino. La ragazza si appoggiava languidamente a me mentre
camminava. Uscendo dalla sala passai accanto a mio padre, il quale mi
strizzò l'occhio con approvazione. L'aria fresca e priva di
odori del corridoio, il silenzio e la penombra costituivano un grande
contrasto con l'affollato salone dei banchetti. Giungemmo alla mia
stanza ed entrammo senza scambiarci una parola. Non appena la porta
fu chiusa alle nostre spalle, Deidamia iniziò a slacciare
lentamente le fibbie che chiudevano la mia tunica, sfiorandomi con le
sue dita sottili. Io le sfilai il vestito e potei osservare quelle
forme perfette che durante la danza avevo potuto solo cogliere di
sfuggita. Il respiro mi si mozzava in gola mentre il mio sangue
sembrava girare impazzito per farmi bruciare dall'interno. Fu lei a
condurmi a letto prendendomi una mano. Si distese con un movimento
fluido e sensuale, fissandomi con espressione indecifrabile ed un
sorriso strano ma invitante. Mi chinai sul suo volto ed accarezzai
quelle guance lisce. La baciai sul collo e lei rabbrividì.
Mi
chiesi se fingesse, me poi le sue mani mi fecero dimenticare ogni
cosa. Mi spinse e si sistemò sopra di me. La sua pelle quasi
riluceva nella semioscurità della camera, e le sue curve
morbide parevano quelle di Venere in persona. Il suo corpo caldo
premeva sopra il mio, facendomi letteralmente impazzire.
IO,
DEIDAMIA
Mi
svegliai il mattino successivo ancora appoggiata ad Achille, il cui
respiro regolare era l'unico, flebile, rumore della stanza. Ci
eravamo addormentati sfiniti in quell'esatta posizione. Il mio innato
disprezzo per gli uomini, ricchi e nobili in particolare, mi aveva
sempre salvato dalla pericolosa possibilità di affezionarmi
a
loro, e per il principe non facevo eccezione, ma per quanto inesperto
dovevo ammettere che era stato un ottimo amante, nonché il
più
vicino alla mia età che avessi mai avuto. Con un po' di
allenamento, del quale naturalmente mi sarei incaricata io, sarebbe
diventato il sogno di ogni donna.
Quando
si svolgeva un banchetto noi trovavamo nuovi amanti, ma spesso
restavamo, per così dire, fedeli ad un uomo solo anche per
lunghi periodi, vivendo come servitrici presso di loro, magari
persino come cameriere delle loro mogli e visitandoli ogni notte. Era
un accordo comodo sia per noi che per loro, e così sarebbe
stato anche quella volta. Non ne immaginavo le conseguenze,
nonostante ciò che i maligni potrebbero insinuare...
Vissi
a palazzo in quel periodo. Ero libera da quasi tutte le incombenze
della casa e non avevo preoccupazioni economiche. Ero, e sarei sempre
stata, una schiava, ma una schiava fortunata e ben trattata. Il
giovane Achille era sempre gentile con me e imparando a conoscerlo
scoprii che era molto orgoglioso, e persino permaloso, ma non gettava
disprezzo addosso a coloro che non erano nobili come lui, cosa che
invece altri signori facevano. Ma lui era convinto, probabilmente a
ragione, di essere di gran lunga superiore anche a costoro. Era
anche, tratto comune a tutti coloro che non dovevano guadagnarsi da
vivere, molto viziato, ma fortunatamente per la servitù non
era dispotico né pignolo. Era però facile farlo
arrabbiare, anche se la sua collera, specie se Patroclo era nelle
vicinanze, sbolliva in fretta. Patroclo... somigliava un po' ad
Achille, ma la vicinanza col giovane semidio gli aveva insegnato una
certa modestia, che gli conferiva un'aria simpatica e nient'affatto
boriosa. Inoltre aveva sempre una parola gentile per chiunque e
metà
delle servette di palazzo erano pazze di lui. L'altra metà
naturalmente sognava il principe.
Erano
passati quasi tre mesi dalla sera in cui Achille mi aveva fatta sua
per la prima volta. Prima di lui... no, non era possibile, riflettei.
La conclusione a cui ero giunta non era delle più felici:
ero
incinta. Avevo la certezza che il padre fosse Achille, il che sarebbe
stato una fortuna se solo la mia parola fosse valsa a qualcosa. In
ogni caso dovevo almeno tentare di parlargli. Se ciò non
fosse
servito, almeno sarei riuscita a scucirgli i soldi per un aborto.
Nessuno mi aveva spiegato come mi sarei dovuta sentire in una
situazione simile, né cosa avrei dovuto fare. E non sapevo
cosa provare. Oltre ad essere terrorizzata da qualunque cosa fosse
successa, di tenere il... bambino o no, non riuscivo bene a
riflettere su cosa mi succedeva. La mia freddezza e la mia
lucidità
furono messe a dura prova. Fu con timore che mi recai da lui per
parlargli. Un servitore mi accolse trattandomi con aria di
sufficienza mi annunciò al giovane principe.
-Salve-
salutai timidamente
-Salve-
mi rispose lui, freddamente ma con un interessamento non falso -Come
mai qui?- mi mordicchiai il labbro inferiore cercando di trovare un
modo convincente di iniziare tra i mille che avevo provato la sera
precedente prima di dormire. Alla fine mi decisi a comunicare
semplicemente il motivo che mi aveva spinta lì: -Sono
incinta-
notai una strana espressione dipingersi sul bel volto di Achille e
non capii cosa stava pensando.
IO,
ACHILLE
Due
semplici parole. Per un momento faticai a capire: era l'ultima cosa a
cui pensavo al momento. Poi capii che se si rivolgeva a me ci doveva
essere un motivo. Avrei avuto mille motivi per non crederle, ma mi
fidavo di lei. Perché era stata la mia prima donna?
Perché
il suo bel visetto comune non aveva tratti da intrigante?
Quell'incertezza, quell'aria di aspettare un ordine non le erano
abituali e me la fecero apparire più bambina di quanto in
realtà non fosse. Anzi, lei aveva due anni più di
me.
Ed io... io ero troppo giovane e per un momento mi sentii davvero un
“piccoletto”. Non che nella nostra epoca gli uomini
usassero
prendersi cura dei figli -Provvederò affinché tu
possa
crescere il bambino- la rassicurai
-Grazie-
il suo sorriso era molto dolce
-E'...
sarà anche figlio mio, non c'è nulla di cui
ringraziare- le risposi, forse un po' troppo bruscamente
-Se
non avete altro da dirmi, posso andare?-
-Ma
certo- la salutai, senza prestarle molta attenzione. Il mio pensiero
si era già allontanato. Mi chiedevo cosa ne avrebbe detto
mio
padre. Forse era il caso che gliene parlassi. Ma in quel momento
c'era una sola persona la cui compagnia desideravo veramente, ed era
Patroclo. Non trovandolo nella sua stanza andai a cercarlo vicino
agli alloggi dei soldati, dove si stava allenando nell'uso della
spada con un anziano veterano di mio padre -Ehi, Patroclo, trovati
qualcuno alla tua altezza!- lo sfidai senza neppure salutarlo. Il
soldato mi cedette la spada con un sorriso ed il mio amico, senza
neppure un attimo di pausa trovò di fronte un nuovo
avversario -Non vale, io sono già stanco!-
protestò lui
-Se qualcuno ti attacca all'improvviso non ti chiede come stai- lo
rimproverai cercando di simulare il tono del nostro istruttore.
Patroclo tentò un affondo molto rapido, ma io lo parai in
tempo, e risposi con un colpo laterale che egli fece fatica a
schivare. Ci studiammo per un momento sotto gli occhi attenti del
veterano. Fui io ad attaccare per primo, ma lo feci troppo lentamente
ed il mio colpo andò a vuoto, cosicché per un
momento
mi trovai in equilibrio precario. Patroclo ne volle approfittare ma
fu troppo lento. Colpo su colpo, il nostro duello proseguiva, ed io
lasciavo indietreggiare il mio amico senza disarmarlo -Achille,
ancora non ti sei stufato di giocare con me al gatto e il topo? Lo so
che saresti più forte di me anche se non avessi lo sleale
vantaggio di essere fresco e riposato- la sua pelle sudata riluceva
sotto il caldo sole pomeridiano, e lui mi guardava aspettando una
risposta, continuando a difendersi stancamente. Con un movimento del
polso feci saltar via la sua spada e lui alzò gli occhi al
cielo -Era ora!-
-Eh,
no! Devi migliorare, sai? Se qualche nemico ti facesse la pelle
potrei essere abbastanza dispiaciuto-
-Potrei?!
Dispiaciuto?! Patroclo, ti ricordi come mi divertivo a prenderti in
giro?-
-Eccome
se me lo ricordo. È un'abitudine che non hai perso neanche
da
morto, non so se te ne accorgi- mi rinfaccia. Sbuffo, e riprendo a
parlare -Se ci pensi è...-
-E'
tutto collegato, è come una profezia se si sa leggerla-
completa le mie parole
-Già!
Non sarei stato solo un po' dispiaciuto, sarei morto per
vendicarti...-
-Senti
Achille, è inutile che tu mi dica ora che mi volevi bene, lo
so da me. Risparmiati il miele per metterlo nel vino-
-Almeno
ce ne fosse di vino quaggiù... Forse è il caso di
riprendere la narrazione o quelli di sopra si stuferanno-
-Che
c'è?- mi chiese Patroclo con un tono falsamente scocciato
-Che
accidenti devi dirmi? Di solito mi batti molto più in
fretta...- io lo fissai per un attimo sbigottito. In effetti non mi
sarei dovuto stupire più di tanto neppure se mi avesse letto
nel pensiero, ma la sua capacità di capirmi così
bene è
sempre stata un mistero per me -Dato che non sembri propenso ad
esprimere un pensiero coerente, mio grandissimo guerriero, io
proporrei di andare al fiume a darci una lavata, giusto per non
puzzare come dei cavalli- e si avviò senza darmi il tempo di
rispondere. Lo seguii e, mentre camminavamo fianco a fianco iniziai a
parlare -Hai presente Deidamia?-
-Eccome.
Ne hai parlato in un modo... e poi dopo averla vista danzare
è
difficile dimenticarla. Perché me lo chiedi?-
-E'
incinta- gli risposi senza pensare. Mi resi conto di quello che gli
avevo detto solo davanti al suo sguardo stupito. Nel frattempo
eravamo giunti al fiume e Patroclo si era riavuto dalla sorpresa -Ah,
ti sei fatto fregare da una di quelle intriganti, piccoletto! Lo
fanno apposta per spillarti soldi. Credi che non potrebbero evitarlo
se volessero?-
-Primo:-
sibilai -non chiamarmi “piccoletto”- ricordarmi la
mia età
era il suo meschino modo di vendicarsi per il fatto che lo superavo
praticamente in tutto -secondo: mai farti cogliere distratto da un
nemico-
-Quale
nemico?- fece in tempo a chiedere prima che lo facessi cadere
nell'acqua ancora tutto vestito
-Per
esempio il tuo migliore amico che hai appena insultato, e della cui
amante tu diffidi-
-Andiamo,
Achille, non te la sarai presa per quello che ho detto su di lei?
È
la pura verità: così fanno quelle- si difese
mentre
lanciava la tunica fuori dall'acqua
-Non
sarai geloso?- gli chiesi parafrasando il suo tono, col quale gli
pareva di aver chiesto un'ovvietà. Per un momento
sembrò
che dovesse affogare per la sorpresa, poi rispose: -Ti piacerebbe,
eh?-
-Tu
sei tutto scemo- gli risposi tuffandomi a mia volta nelle acque
fresche. Restai sotto la superficie per un attimo, poi riemersi
schizzando tutto intorno -Chi ti credi di essere, mia moglie?-
-Che
gli dei me ne scampino! E poi ti ho detto che non è
così.
Semmai eri tu che, prima che arrivasse Deidamia, mi guardavi con
certi occhi se solo si nominava una donna... eri invidiosissimo,
quanto ti rodeva...- interruppi il suoi sghignazzo tentando di
affogarlo. Quando riemerse, arrabbiato e sputacchiante, mi si
avvicinò minaccioso -Abbiamo già avuto il nostro
duello
oggi, cerchiamo di non farci del male per il resto della giornata,
dai. La rivincita te la do domani, va bene?-
IO,
PATROCLO
In
quel momento l'avrei annegato molto, molto volentieri. Eravamo
inseparabili, vero, ci volevamo in bene dell'anima, vero anche
questo, ma Achille era la persona che più al mondo riusciva
ad
innervosirmi. Sebbene sapessi di non doverci cascare era inevitabile.
Quando poi mi chiedeva di fare pace alla fine cedevo quasi sempre,
perché sapevo che altrimenti saremmo finiti a darcele di
santa
ragione... anzi, per la precisione, io le avrei prese -Va bene. E
domani ci battiamo veramente alla pari, chiaro?-
-Sissignore-
ci fu un momento di silenzio, poi chiesi: -Peleo lo sa?-
-Ancora
no. Secondo te che mi dice?-
-”Achille,
come ti salta in mente di iniziare a generare bastardi già
così giovane?- tuonai in una grossolana imitazione del re
-Quando morirai scatenerai una guerra civile se continui
così!”-
-Padre...-
iniziò lui ridendo, poi si fece serio -Le ho detto che
avrà
tutto ciò che le serve per crescere il bambino-
-Il
che, ritornando al discorso di prima, è quello che vogliono
tutte, ovvero farsi mantenere- insistetti. Sapevo che Achille non era
un ingenuo, ma ritenevo comunque mio dovere metterlo in guardia.
Conoscevo persone che avevano parecchi figli sparsi da diverse donne,
e non sempre tutto si risolveva facilmente. O conoscevo di quelle
intriganti assetate di potere che salivano la scala gerarchica di
letto in letto e magari trovavano persino qualcuno così
pazzo
da sposarle, anche solo come seconde o terze mogli. Non che ritenessi
Deidamia una di queste -Sappi che non le biasimo affatto. In ogni
caso credo che tu abbia fatto bene così... Poi si
vedrà
quando nasce. Se è davvero figlio tuo sarà
particolarmente snervante- aggiunsi acidamente. Un figlio: non
riuscivo a togliermi dalla testa l'idea di una specie di Achille in
miniatura che scorrazzava in giro, anche se non era affatto certo che
sarebbe stato così.
-Ma
senti chi parla! Io snervante?-
-Sì,
proprio tu, e non far finta di non saperlo- il mio amico
semplicemente si allontanò a nuoto di qualche metro, senza
prendersi il disturbo di negare. Io nuotai lentamente in direzione
opposta, godendomi il fresco delle onde ed il caldo del sole. Mi
fermai galleggiando sulla schiena con gli occhi chiusi e Achille mi
si avvicinò -Hai ragione, con te mi viene molto facile
essere
insopportabile. Ti capisco quando mi rispondi male, sai?- io restai
immobile, quasi preoccupato. Era la cosa più simile a delle
scuse che avessi mai sentito da parte sua. Intuii che temeva, ebbene
sì, c'era qualcosa che lui temeva, che io potessi offendermi
sul serio, litigare con lui, smettere di essergli amico -E' vero, lo
sei, ma io non ti lascerò mai solo- lo abbracciai forte e
posai un bacio silenzioso sulla sua guancia. I nostri corpi aderivano
perfettamente e solo l'acqua mi impedì di andare a fuoco. La
nudità non era mai stata un problema; ai nostri tempi non lo
era per nessuno. Gli atleti partecipavano nudi alle gare, solo per
citare un esempio. Eppure in quel momento credo di essere arrossito.
Come se l'avesse intuito, Achille allontanò il volto quel
tanto che bastava per potermi osservare e mi lanciò uno
sguardo degno delle migliori concubine. Ma poi si staccò e
riprese a nuotare. Insomma, lasciava a me la prima mossa, quel...
quel... mentre cercavo un insulto adatto mi persi osservando il moto
ipnotico delle sue spalle muscolose e i miliardi di minuscoli schizzi
che sollevavano. Si girò e venne verso di me. Alcune ciocche
di capelli bagnati si erano attaccate al contorno del suo volto,
mettendo in risalto le ossa degli zigomi e la sua espressione decisa.
Quando mi passò vicino lo bloccai e lo portai a riva; egli
mi
lasciò fare. Ci stendemmo ad asciugarci ed io approfittai
della sua immobilità per baciare le sue labbra. Il contatto
mi
era mancato. Erano forse pochi giorni che non accadeva, ma ogni volta
era più intossicante della precedente. Achille rispose al
bacio, passandomi la lingua sulle labbra e poi mordendole per gioco,
e facendo incontrare le nostre lingue. Ero semi sdraiato, poggiato
sui gomiti; fui trascinato a terra, ma mi alzai un attimo dopo,
ansimante, per recuperare i miei abiti, ormai asciutti, e quelli di
Achille, che gli lanciai poco cerimoniosamente -Andiamo, conosco un
posto molto più bello di questo- gli dissi
-Più...
tranquillo?-
-Non
ci passa mai nessuno-
-E'
stata la prima volta che ho fatto l'amore con amore, anche se ancora
non lo sapevo- mi interrompe Achille
-Anche
per me- gli rispondo, ma non c'è neanche bisogno di dirlo.
Il
suo volto scarmigliato e le sue labbra gonfie di baci sono una delle
memorie più tenere che conservo, sebbene il momento proprio
tenero non sia stato. E le foglie che abbiamo trovato nei nostri
capelli per giorni e giorni...
Pluma
no, non ho idea di cosa significhi il nome Deidamia.
Artemis00
oh, grazie dei complimenti! Ulisse e Diomede?? Questa mi giunge
nuova, ed anche molto interessante. In effetti, quei due, sempre a
compiere imprese insieme... Ora che me l'hai detto credo che qualcosa
ce lo metterò.
Regina
di Picche
prego, è un piacere spulciare il mio caro vecchio librone
per
diffondere il Sapere :-P Graziegrazie, troppi complimenti!
Puntiglio mitologico
In
“realtà” Deidamia sarebbe una figlia del
re di Sciro,
un'isola dove Achille si reca subito prima di partire per Troia. Ma
è
alquanto difficile coniugare questo ed il fatto che Nettolemo, il
figlio di Achille, (come narra anche Enea a Didone nell'Eneide)
è
tra i primi ad entrare a Troia e compie atti efferati durante il
saccheggio. Ora, se l'assedio è durato dieci anni, significa
che quella è anche l'età del figlio di Achille.
Un
tantino improbabile che un bambino combatta, non trovate? Inoltre mi
stupiva molto il fatto che una principessa potesse mettere al mondo
un figlio pur non essendo sposata e che nessuno se ne preoccupasse,
senza contare la difficoltà dei contatti tra uomini e donne
nelle classi sociali più elevate.
Insomma,
tutto ciò per giustificare il mio cambiamento rispetto ai
miti
originali.
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Capitolo 10 *** Un concorso di bellezza ***
IO,
PARIDE
Vivevo
ancora sui monto coi miei genitori adottivi senza conoscere le mie
vere origini, ma mostravo già di essere diverso dagli altri
figli dei contadini. Una volta avevo salvato mio padre ed altri suoi
amici da una banda di briganti che volevano rubar loro il bestiame,
guadagnandomi il soprannome di Alessandro, che significa appunto
protettore dell'uomo. La cosa aveva fatto grande impressione e mi
aveva procurato una discreta fama, ma in realtà mi erano
bastate un po' di astuzia e la mia buona mira con la fionda. E, devo
confessarlo, le informazioni della bella ninfa Enone, signora di quei
boschi. Ella si era innamorata di me; io non potevo dire lo stesso,
ma la sua grazia ed il suo fascino mi avevano sedotto, senza contare
l'orgoglio che mi provocava l'essere stato scelto come amante da una
divinità, io, un semplice ragazzo di campagna.
Quando
avevo circa quattordici anni, accadde qualcosa che mutò per
sempre il corso della mia vita. Come voi di certo saprete, poco dopo
la mia nascita Eris aveva gettato il pomo della discordia con la
famosa scritta “alla più bella”, titolo
che Era, Atena ed
Afrodite si litigavano da sempre. Io ero colui che Zeus aveva scelto
per dirimere la contesa. Così, mentre un giorno conducevo al
pascolo la mandria di mio padre, incontrai sul mio cammino Ermes, il
messaggero degli dei. Dapprima fui spaventato poiché uno dei
suoi compiti è quello di condurre le anime all'Ade, ma egli
mi
rassicurò -Sappiamo che hai un cuore nobile e puro, e per
questo c'è un compito che ti aspetta- mi narrò
brevemente del disastroso banchetto nuziale, senza però
rivelarmi le mie vere origini. Poi condusse le tre dee di fronte a
me, proprio sui pascoli sui quali camminavo sin da bambino, a me
tanto familiari. Ed il contrasto che esse facevano col paesaggio
circostante contribuiva a renderle ancor più splendide.
Rimasi
a bocca aperta, zitto e intimidito -Forza, Paride, devi assegnare
questo pomo ad una di loro- incitò Ermes porgendomi uno
strano
oggetto sferico, terribilmente pesante: non avevo mai visto tanto oro
tutto insieme. Il metallo freddo si adattava bene al palmo della mia
mano, ed io restai ancora un attimo a soppesarlo, curioso -Ehm...
ma... io non so come giudicare- mi rivolsi ad Ermes poiché
era
l'unico ad aver parlato fino a quel momento -Per... per esempio:
devono essere nude o vestite?- il dio mi sorrise malizioso e
scuotendo i bei riccioli rispose che potevo scegliere, non c'erano
regole prestabilite. Allora io, facendomi coraggio, mi avvicinai alle
tre divinità, che erano rimaste indietro rispetto ad Ermes
-Signore, sarò costretto a scegliere una di voi, ma sappiate
che siete le più belle creature sulle quali io abbia mai
posato gli occhi-
-Come
sei galante- commentò Atena con un sorriso
-Già,
sembri un vero principe- si fece avanti Afrodite sbattendo le lunghe
ciglia
-Inizi
subito a farci dei complimenti- la interruppe Era -ma ciò
che
noi vogliamo è una decisione- le sue parole scatenarono
nuovamente un litigio che probabilmente continuava, pur con varie
interruzioni, da secoli. Io mossi un passo indietro, ma il messaggero
mi bloccò -Non farti spaventare. Ti converrà
chiedere
loro di lasciarsi esaminare una alla volta, così non ti
distrarranno coi loro litigi-
-Vi
prego- iniziai -vi prego, non serve prendersela. Devo poter
riflettere bene e con calma. Se è possibile, vorrei potervi
vedere senza abiti- le tre si spogliarono in fretta, libere di ogni
pudore, mostrando fiere i loro corpi ben fatti -Afrodite! Devi
toglierti la cintura che fa innamorare tutti di te, è uno
sleale vantaggio- rimproverò Atena con cipiglio severo
-E
tu allora? Levati immediatamente l'elmo. Senza sei orribile-
-Orribile
a chi?- fortunatamente fu Ermes ad intervenire, poiché io
stavo per arrendermi, e dopo aver momentaneamente placato le tre si
allontanò rispettosamente volgendoci le spalle. Riuscirono a
restare distanti l'una dall'altra, e silenziose. Per prima mi si
avvicinò la sposa di Zeus -Esaminami con cura-
sussurrò,
mentre girava su se stessa, lasciando che i raggi del sole
sfiorassero ogni curva della sua figura perfetta, ed alzando
fieramente il meraviglioso viso -E se mi giudicherai degna della mela
d'oro- gettò un'occhiata cupida al frutto che tenevo in mano
-ti renderò il padrone dell'Asia e l'uomo più
ricco del
mondo-
-Io
non mi lascio comprare, mia signora- risposi con tono piatto e
cortese, prima di chiamare la dea della saggezza. Ella si
avvicinò
con passo deciso, mettendo in mostra i suoi muscoli flessuosi che
guizzavano sotto la pelle chiara, e mi puntò addosso i suoi
grandi occhi azzurri. Mentre si sistemava una ciocca di capelli
offrì: -Se hai tanto senno da assegnarmi il premio diverrai
il
più bello ed il più saggio degli uomini,
vincitore di
ogni battaglia-
-Ma
qui non ci sono guerre- le feci notare -e il re Priamo regna
incontrastato su molte terre, mia signora. Cosa mai se ne potrebbe
fare un umile contadino come me dei vostri doni?-
-Tu
rifletti bene- mi ammonì lei. E forse sarebbe stata una
scelta
ben assennata, sebbene io non rimpianga quella che ho compiuto; ero
giovane, inesperto e sognatore, non avevo mai veduto una battaglia,
né sapevo cosa fosse la saggezza, e per quanto riguarda la
bellezza, avevo la vaga ed imprecisa sensazione di esserne provvisto.
Chiamai Afrodite ed ella si avvicinò ancheggiando in maniera
sensuale, ed il suo corpo candido pareva attirare la luce del sole,
mentre i lunghissimi capelli biondi si spargevano lungo tutta la sua
schiena. Girò su se stessa, poi tendendosi verso di me fin
quasi a sfiorarmi mormorò, ignorando il mio rossore -Sei
bello, Paride, molto bello. Che ci fai sepolto qui tra i monti della
Frigia? Perché non pensi ad andare in città per
esempio?- non capii dove volesse andare a parare, forse
perché
quel tono ed i suoi complimenti mi avevano distratto molto
-Perché
non pensi a sposare una bella donna? Una come, per esempio, Elena di
Sparta? Ella non esiterebbe a lasciare la sua casa per te, ne sono
certa, poiché invero tu somigli a un dio. Di certo hai
sentito
parlare di Elena di Sparta?-
-Mai,
mia signora, ma vi sarei grato se me la descriveste-
-E'
la più affascinante fra le donne mortali, e può
vantare
come padre lo stesso Zeus. Nacque da un uovo di cigno e la sua
carnagione è chiara, i suoi capelli somigliano ai miei e in
tutta la sua persona non vi è che grazia. Provocò
una
guerra quando era ancora bambina e tutti i principi di Grecia l'hanno
chiesta in sposa; ora è moglie di Menelao, re di Sparta, ma
può essere tua se la desideri- tutte quelle parole che la
dea
mi soffiava nel cuore eccitarono la mia fantasia. Nominava terre
lontane come promesse di qualcosa di insondabile e meraviglioso,
parlava di una donna ammaliante, e faceva mostra della propria
bellezza in modo tanto sfacciato da risultare gradevole. Già
mi vedevo in un futuro radioso quando un dubbio mi prese -Ma se
è
sposata?- Afrodite emise una risata argentina, chiudendo gli occhi e
gettando il capo all'indietro, forse per evidenziare il suo morbido
collo -Non sai, giovane Paride, che è proprio mio compito
preoccuparmi di questioni simili? Se io lo desidero un matrimonio non
è un impedimento-
-Mi
potete giurare che ella mi amerà ed io amerò lei
di
tutto cuore?- esclamai al colmo delle gioia
-Certamente.
Vedrai che presto il tuo destino ti condurrà in Grecia,
presso
Menelao. Mio figlio Eros verrà con te e porterà
le sue
letali frecce...- prima ancora che potessi finire la frase le porsi
la mela -E' lei la vincitrice- annunciai -La più bella tra
le
dee immortali- Era e Atena, che sino a quel momento non si erano
rivolte la parola, si rivestirono in fretta e si allontanarono a
braccetto, complottando sventure contro di me ed il mio popolo, e
pianificando la distruzione di Troia. Afrodite mi rivolse un sorriso
radioso prima di allontanarsi anche lei. Mi parve tutto un sogno, e
non potevo esser certo di nulla; della ninfa Enone mi ero scordato
completamente, anche se lei invece si sarebbe ricordata di me fino
alla fine.
-In
ogni caso, sarebbero rimaste in due ad odiarti- commentò
lconico il messaggero degli dei, tornando verso di me -Addio-
IO,
ACHILLE
Mio
padre reagì alla notizia della gravidanza di Deidamia quasi
come Patroclo aveva predetto, senza prenderla troppo sul serio.
Approvò la mia decisione di farle tenere il bambino. Poi,
mentre me ne stavo andando mi posò una mano su una spalla
-L'hai detto a tua madre?-
-Ancora
no- risposi titubante, non sapendo se ci fosse un secondo fine dietro
la domanda
-Prima
o poi dovresti farlo. Tanto lo verrà a sapere comunque-
sembra
che nella sua voce ci fosse come una traccia di amarezza, ma non
potevo esserne certo -Sei giovane, ragazzo mio- mi disse guardandomi
fisso negli occhi -ma imparerai quanto un figlio possa essere
importante, quanto possa renderti fiero... imparerai che sapere che
il tuo sangue non morirà con te è di gran
conforto,
come è di conforto un figlio vicino nella vecchiaia. Ah,- si
interruppe sorridendo -ma ai tuoi occhi sembra così lontana,
non è vero? E questo ti sembra un discorso sciocco-
-No
padre- gli risposi sinceramente. Stavo per proseguire, per dirgli che
capivo ciò che voleva dire, ma egli mi interruppe e mi
salutò
con una pacca sulla schiena -E vedi di comportarti bene!- fece
strizzandomi un occhio. Io sorrisi e me ne andai. I miei passi mi
portarono quasi inconsciamente verso il fiume. Mi lasciai cadere
sull'erba fresca lì vicino ed osservai il cielo azzurro
sopra
di me, e le nuvole grigie che, in lontananza, annunciavano tempesta.
Gli steli d'erba mi solleticavano le guance ed il vento sembrava
soffiare sopra di me senza sfiorarmi. Con un sospiro rotolai su un
fianco per poi alzarmi -Madre...- borbottai -tanto saprà
già
tutto...- immersi le mani nell'acqua e la chiamai. Probabilmente
poteva sentirmi ovunque, ma un fiume mi sembrava il luogo
più
adatto tramite il quale giungere dal mare. Mi stavo spruzzando
qualche goccia fresca sulla faccia quando la vidi emergere come una
nuvola di vapore, scintillante di riflessi -Figlio mio!-
esclamò
uscendo completamente dal fiume e venendo ad abbracciarmi -Mi sembra
un'eternità dall'ultima volta che ti ho visto-
poggiò
il viso sulla mia spalla ed emise un lieve sospiro -Forse sarei
dovuta venire più spesso-
-Non
preoccuparti, non sono più un bambino- le sorrisi,
sciogliendomi dalla sua stretta -Ma se vuoi farmi visita non
sentirti... fuori posto. Dopo tutto sei ancora la regina qui- ella
non mi rispose e rimase silenziosa per un attimo, prima di chiedere:
-Mi hai chiamato per un motivo particolare?-
-Sì,
ma suppongo che come al solito tu sappia tutto-
-Non
parlarmi con quel tono offeso, Achille: tenermi informata sulla vita
di mio figlio mi sembra il minimo che io possa fare-
-E'
solo- spiegai, trattenendomi dallo sbuffare -che è piuttosto
inquietante parlare con te. A volte fai sentire il tuo interlocutore
leggermente inutile-
-Io
conosco i fatti, poiché la Fama alata li porta al mio
orecchio, ma non posso leggerti nel pensiero, e anche se potessi non
lo farei- la ringraziai, conducendola via dalla riva del fiume per
poterci sedere su dei massi lì vicini -Dunque sai
già
di Deidamia?-
-Certo,
e ne sono felice- annuì lei con serietà ed un
timido
sorriso -Conosci anche tu la profezia sul tuo futuro, ed io conosco
bene il tuo carattere di fuoco e la tua fierezza e temo per te...- si
asciugò furtivamente una lacrima dall'occhio, prima ancora
che
cadesse sulla sua morbida guancia -Temevo che ti sarebbe potuto
accadere qualcosa di male prima che avessi il tempo di generare un
erede. Almeno mi resta questa consolazione-
-Madre,
smetti di parlarmi come fossi già morto! La mia vita forse
è
solo un soffio in confronto alla tua, ma è comunque una
vita!-
non potevo sopportare di vederla così triste, di vederla
piangere per me, meravigliosa e malinconica nella sua
eternità
immutabile, nella quale i giorni si succedevano sempre uguali, come
per tutti gli dei. In fondo neanche lei, pur avendo sposato un
mortale, ci capiva. Poteva solo rendersi infelice per una parte di
quella sua vita eterna nelle convinzione che la morte fosse il male
assoluto.
Il
tempo trascorreva tranquillo, portando ben pochi cambiamenti. Avevo
preso a frequentare sempre più i soldati di mio padre e
partecipavo al loro stesso addestramento. Alcuni veterani si
prendevano cura dei soldati più giovani, guidandoci in marce
estenuanti per temprare la nostra resistenza e facendoci combattere
con spade poco affilate fino allo sfinimento. Patroclo era sempre al
mio fianco; sebbene non riuscisse più a battermi
né
nella lotta né nella corsa era l'unico col quale valesse la
pena competere, il migliore tra i giovani guerrieri. L'invidia
esisteva, certo, ma sapevamo tutti che avremmo dovuto combattere
insieme un giorno o l'altro e che la sua abilità o la mia
avrebbero potuto salvare la pelle a molti altri. Il mio mondo allora
si componeva della polvere e del sudore del campo di allenamento, dei
banchetti e delle sporadiche visite di mia madre.
Deidamia
viveva a palazzo, ma non l'avevo più vista dopo che mi aveva
detto di essere incinta. Una mattina mi alzai particolarmente presto
dopo un sonno breve e agitato e mi recai a vedere l'alba sulla
collina vicina al palazzo. Stavo per addormentarmi appoggiato al
tronco contorto e rinsecchito di un albero quando mi venne in mente
che avrei anche potuto recarmi a farle visita. Tornai di buon passo
nella mia stanza e mi cambiai gli abiti sgualciti e pieni di
pagliuzze, poi chiamai un servitore e gli ordinai di preparare da
mangiare per due persone. Mi diressi verso l'ala del palazzo
riservata alla servitù, dove alloggiava Deidamia. Bussai
debolmente alla sua porta -Chi è?- mi rispose una voce
sospettosa
-Sono
Achille- mi parve di udire una specie di gridolino trattenuto: di
certo non aspettava la mia visita, e probabilmente a quell'ora si era
alzata da poco
-Un
momento- chiese la voce, stavolta esitante. E trascorse davvero solo
un momento prima che la ragazza mi aprisse. Era vestita semplicemente
ma col suo solito buon gusto, ed aveva i lunghi capelli raccolti
frettolosamente sulla nuca. La sua stanza era modesta ma pulita e
abbastanza ordinata; comunque non era la prima volta che mi recavo da
lei lì.
-Vuoi
venire a fare colazione con me?- proposi. Lei abbassò gli
occhi ad arte, come richiedeva la modestia, ma senza un briciolo di
timidezza ed annuì -Vi ringrazio- proseguimmo in silenzio
fino
alla mia stanza, dove ci accomodammo nel piccolo salotto che
affacciava sulla camera da letto vera e propria. Su un tavolino erano
già posate due ciotole colme di latte di capra, del pane col
miele ed un cesto di fichi e noci -Come stai?- le chiesi mentre
allungavo una mano verso il latte
-Molto
bene- rispose sorridendo -E voi?-
-Anch'io.
C'è qualcosa di cui hai bisogno?-
-No,
niente. Si può dire che sto vivendo come una signora!- diede
un morso al pane poi proseguì -Devo solo occuparmi di me
stessa e del mio alloggio, lavoro anche troppo poco-
-Troppo
poco?- ripetei con una risata leggera -Questa mi giunge nuova-
-Non
mi sto affatto lamentando- si affrettò a specificare lei
-Intendevo solo dire che...- si interruppe. Qualunque cosa fosse che
non andava sicuramente non era abbastanza grave da farle correre il
rischio di sembrare un'ingrata lamentandosi. Io però non
l'avrei mai creduta tale. Riflettei un momento, poi arrischiai -Le
altre donne ti invidiano?- Deidamia mi rivolse uno sguardo assai
stupito e nascose un sorriso dietro la coppa di latte. Quando
terminò
di bere si passò la lingua rosa sulle labbra con uno scatto,
poi disse che avevo ragione -Non è accaduto nulla se non
qualche occhiata, ma capita sempre, in qualunque casa ci troviamo, a
noi danzatrici- spiegò
-Ma
io non vorrei che ci fosse nulla di spiacevole per te, dal momento
che resterai qui molto a lungo-
-Forse
se io avessi qualche lavoro da svolgere...- propose.
Una
volta certa che dietro il mio invito non si nascondesse qualcos'altro
e che avrei accettato la sua richiesta, la giovane si mostrò
molto più rilassata e la sua conversazione tornò
brillante e allegra. La sua compagnia era piacevole, e dimenticai
completamente dell'allenamento di corsa che era in programma quella
mattina. Quando sentii bussare mi assalì la sensazione di
aver
scordato qualcosa, ma fu solo quando entrò Patroclo che
ricordai cosa. Mi rivolse un cenno di saluto, poi si rivolse
cortesemente a Deidamia -Salve. Temo che dovrò privarti
della
compagnia di Achille per un po'-
-Oh,
nessun problema. Me ne vado immediatamente- rispose alzandosi -Grazie
per la colazione, e scusate se vi ho distratto dai vostri impegni-
salutò ed uscì con velocità e con
grazia.
-E'
un po' che ti cerco, gli altri hanno iniziato senza di noi- mi
rimproverò. Io alzai gli occhi al cielo -Cosa vuoi che sia?-
-Il
fatto che tu sia già il migliore non implica che tu non
possa
peggiorare se non ti alleni- ribatté lui, mentre io mi
rimettevo rapidamente la corta tunica che indossavo quella mattina
-Va bene, eccomi- feci, spingendolo fuori dalla porta -Non eri tu che
avevi fretta?-
Pluma
grazie!
Oh, non hai idea di quanto felice mi rendi! Siccome nella mia mente
vedo le storie che scrivo come fossero film già fatti che
devo
solo mettere su carta, a volte mi “dimentico” delle
descrizioni
dei gesti e scrivo come fosse un copione, con solo i dialoghi, quindi
sono fiera di essere riuscita a fare delle coreografie che ti siano
piaciute. E sono molto felice che ti piaccia Deidamia. Anche a me
sarebbe stato stretto il ruolo di donna rispettabile
nell'antichità.
Artemis00
Sono
onorata dalla tua ammirazione, e dal fatto che tu consideri IC i
“miei” personaggi. Io trovo l'antica Grecia,
nonostante i guai
che mi aveva dato il greco, molto affascinante. Spero di vedere il
frutto del tuo lavoro se mai deciderai di cimentarti in una storia
con quell'ambientazione.
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Capitolo 11 *** IO, FENICE ***
IO,
FENICE
Trascorsi
i primi anni della mia lunga vita in Dolopia, una piccolo e
prosperoso regno incastonato tra l'Epiro, la Tessaglia e l'Etolia.
Ero figlio del Re, Amintore, e nacqui nel suo palazzo, ma quello non
fu mai davvero la mia casa. Mio padre non si comportò mai
come
tale, né amò me e mia madre Cleobula. Si
dimostrava
affettuoso solo nei confronti della mia sorella minore, Astidamia, ma
ho seri dubbi sul fatto che l'amasse davvero.
Per
tutta la mia infanzia però, sopportai d'essere solo
tollerato,
e non amato, e nulla turbò la quiete della mia famiglia,
fino
a che, un giorno sciagurato, mio padre si prese un'amante. Non che
non fosse mai stato con alte donne oltre a mia madre, ma si era
sempre trattato di cose da una notte sola. Quella volta invece se la
tenne a lungo vicina, quasi come una seconda sposa, e non girava mai
senza quell'offensiva sgualdrina.
Quando
la cosa divenne davvero intollerabile, mia madre mi fece chiamare
-Fenice, figlio mio, consolazione della mia vecchiaia...-
-Madre,
non dire così, l'amara vecchiaia non ti ha ancora raggiunta-
la confortai, stringendola a me. Ormai ero più alto di lei e
le sue lacrime salate caddero sulla mia spalla
-Non
sarò vecchia, ma il mio volto mostra sin troppo
sfacciatamente
tutto ciò che ho sofferto- io chinai il capo; mi era
impossibile ribattere poiché sapevo che era vero. Mia madre
era stata una donna molto bella ma le lacrime e le notti insonni alle
quali quel matrimonio odioso e privo d'amore l'avevano costretta
avevano lasciato sulle sue guance e nei suoi occhi segni profondi,
che avevano rovinato la sua beltà prima che lo facesse il
tempo.
-Figlio
mio, ho una cosa sola da dirti: lo sgarbo che mio padre fa a me, lo
fa a te- si era asciugata le lacrime con un gesto rabbioso, e
tratteneva a stento la collera, parlando in tono quieto e dignitoso,
ma vibrante di sdegno -Ciò che macchia il mio onore macchia
il
tuo, finché sei in questa casa. Tu devi difendermi, Fenice-
la
guardai negli occhi, alla ricerca di una risposta, per scoprire cosa
desiderava da me, e tremai nello scorgervi abissi d'odio. Non vi era
amore neppure per me, non in quel momento. Se avessi compiuto la sua
vendetta avrei forse potuto trovare gratitudine negli occhi di mia
madre, ma affetto no. L'infelicità le aveva rubato anche la
capacità di amare. Io giurai a me stesso, vedendo quegli
occhi, che avrei ubbidito, se pure quei laghi gemelli mi avessero
chiesto di uccidere mio padre durante il sonno. Ma non era quello il
piano della donna che io chiamavo madre.
-Portagli
via la donna- mi sussurrò, come se avesse pronunciato una
bestemmia infame -Prendigli quella meretrice, prenditela per te-
-Lo
farò- annuii.
Mantenni
la mia promessa. Non fu difficile: la sgualdrinella non si rendeva
conto delle conseguenze del tradire il re, e peggio ancora del farlo
con suo figlio, e si concesse a me. Ella era attraente, ma non bella.
Aveva fattezze da contadina, appena ingentilite dall'incarnato chiaro
e dai capelli lisci e curati; aveva un corpo flessuoso e forte, e
fianchi larghi. Nel complesso era volgare, o forse mi appariva
così
per l'antipatia ed il fastidio che provavo nei suoi confronti. Non mi
importava di lei, non pensai a lei neppure mentre giacevamo insieme
nel mio letto, nel quale da quel momento mi ripugnò dormire.
Quando
mia madre seppe dell'accaduto, venne lei stessa a ringraziarmi,
vestita dei suoi abiti migliori, che stridevano con le spoglie pareti
in pietra dei miei alloggi, e coi nostri volti tirati, sbattuti dal
sonno e dall'astio che ci consumava.
Quando
mio padre seppe dell'accaduto, venne lui stesso a cercarmi, per
disconoscermi e rinnegare di aver mai avuto un figlio. Mi disse addio
coi calci e mi maledisse a bastonate, ma io non emisi un lamento.
Chiamando a testimoni gli dei dell'oltretomba, custodi dei
giuramenti, decretò che non avrei mai avuto figli miei.
Implorò che il mio nome morisse con me, e che mai donna si
unisse con me in matrimonio -E forse ti faccio anche un favore, cane,
a privarti dei figli, se essi debbono essere ingrati e canaglie come
te!- mi urlò, sputandomi addosso.
E
così fu: non ebbi né una moglie, né
dei figli.
Ma il mio destino non fu gramo. Il Fato condusse i miei passi verso
Ftia, dove il sovrano non mi accolse solo come un povero supplice
scacciato e maledetto qual ero, ma concesse grandi onori. Mi
affidò
il governo di una parte del suo regno e l'educazione del suo unico
figlio ed erede, Achille.
Sin
da quando tornò dopo essere stato affidato a Chirone, io gli
feci da maestro e da padre. Già da piccolo si sentiva
grande,
ma quando credeva che non ci fosse nessuno ad osservarlo si
arrampicava sulle mie ginocchia per essere cullato, o per ascoltare
incantato le storie che gli narravo. Ancora e ancora mi avrebbe
ascoltato per ore, per anni. Quando giunse Patroclo, presi sotto la
mia protezione anche lui. Era un esule come me, anche se più
fortunato: ad Opunte aveva ancora genitori che lo amavano ed
attendevano sue notizie.
Achille
fu la mia consolazione, il mio pupillo, il mio orgoglio. Lo seguii
sempre, fino alla fine.
IO,
DEIDAMIA
Per
la prima volta dopo molto tempo, forse per la prima volta nella mia
vita, non dovevo preoccuparmi del futuro. Sapevo che la gentilezza e
le premure di Achille sarebbero finite non appena egli si fosse
dovuto allontanare per qualche tempo o avesse trovato una bella donna
a distrarlo, ma mi fidavo di lui e sapevo che in quanto madre di suo
figlio non sarei stata gettata sulla strada. La parola madre suonava
ancora strana sulle mie labbra; quelle labbra delle quali avevo fatto
usi innominabili avrebbero presto cantato ninne nanne? In alcuni
momenti il pensiero di un figlio mi rendeva felice, mentre in altri
dimenticavo completamente di essere incinta. Col passare delle
settimane però divenne sempre più difficile
scordarlo,
poiché il mio ventre cresceva lentamente ma visibilmente.
Quando Achille veniva a trovarmi notavo le occhiate curiose che mi
lanciava di soppiatto. Era buffo e quasi tenero: in quei momenti
perdeva quell'aria di autorità e forza che si andava
formando
sempre più in lui. Sembrava chiedersi: “Ma davvero
io ho
avuto parte in questo? Cosa c'è di me in lei?” e
socchiudeva
gli occhi, perplesso dal mistero della vita, ma mai spaventato.
Non
prese una nuova amante per molto tempo dopo di me. Ho il sospetto che
la compagnia di Patroclo gli fosse sufficiente; senza contare che non
avrebbe mai voluto nel suo letto una schiava qualunque. Probabilmente
aspettava un'altra bellissima danzatrice come me. Ma ci fu un periodo
durante il quale non ebbe molto tempo per dedicarsi ai divertimenti:
una nuova guerra era cominciata. Non erano una novità gli
scontri regionali, nei quali vincitori e vinti si sarebbero presto
alleati, per poi scontrarsi di nuovo in un ciclo infinito di rancori
e vendette incrociate, e di interessi economici e politici.
Non
fu una lunga guerra, né vi erano in gioco grandi potenze, ma
fu la prima combattuta da Achille. Durò una sola estate (in
inverno nessun popolo civile combatteva). Quando il principe
tornò
era cambiato. Ma cosa ne posso sapere io, una semplice donna, di
ciò
che vide e ciò che fece in quegli scontri? Cosa ne posso
sapere io, una danzatrice, di cosa vuol dire dare la morte e
rischiare la vita?
IO,
PELEO
Il
sovrano di Ica, un'isola vicina a Ftia, aveva stipulato con me un
trattato nel quale si impegnava a concedere libero approdo alle navi
provenienti dal mio regno; in cambio la sua piccola flotta avrebbe
ricevuto lo stesso trattamento in tutti i nostri porti. Io non
regnavo, come spesso credete voi, solo sull'isola di Ftia, ricca ma
di dimensioni piuttosto ridotte, bensì estendevo il mio
potere
su un piccolo arcipelago.
Non
molto tempo dopo il trattato però, il re di Ica aveva
iniziato
a chiedere alle nostre imbarcazioni pesanti dazi per poter
commerciare nell'isola. Dopo alcuni vani tentativi di trattare, mi
ero reso conto che tutto quello che il mio antico alleato voleva
ottenere era uno scontro. Lo stolto non aveva riflettuto sul fatto
che i miei Mirmidoni fossero i combattenti migliori della Grecia.
Raccolsi la sfida, benché l'esito dello scontro mi apparisse
scontato. I nostri soldati non vedevano l'ora di partire e dar prova
del proprio valore, dopo un periodo di relativa pace piuttosto lungo.
Ora, vorrei chiarire cosa s'intende per lungo periodo: forse per voi
sono vent'anni, o dieci, ma allora le guerre erano pressoché
continue. Ftia aveva goduto di cinque o sei anni di pace al massimo.
Mi
recai personalmente a parlare ad Achille dell'imminente guerra. Ci
sedemmo l'uno di fronte all'altro, e gli spiegai la situazione. Ormai
era grande abbastanza per farsi carico delle sue
responsabilità
e prendere parte agli scontri; sapevo che attendeva da sempre quel
momento.
-In
quanto mio erede, ti spetta un posto di comando, ma siccome non hai
nessuna esperienza combatterai insieme a tutti gli altri- decretai in
tono severo, ma poi proseguii più dolcemente -Non porterai
insegne regali, in modo che i nemici non concentrino le loro forze
contro di te o tentino di prenderti prigioniero- stranamente mio
figlio non aveva replicato alle prime affermazioni, ma vidi che la
rabbia si faceva strada in lui prima ancora che sbottasse: -Padre!-
-So
cosa vuoi dirmi, ma non si discute. Non vedrò morire il mio
unico figlio, ucciso alla sua prima battaglia!-
-Ed
io non sarò disonorato combattendo senza insegne!-
reagì
Achille, palesemente irato, offeso e deluso dalle mie parole. Io
però
non mi lasciai impressionare: avevo i miei buoni motivi e non avrei
cambiato idea -Non capisci che è proprio per il tuo onore
che
lo faccio?-
Egli
si azzittì all'istante e prese a fissarmi interrogativo. Mi
passai una mano fra i capelli e spiegai in tono quieto: -Questa
guerra è molto importante per noi. Da essa dipende il futuro
di Ftia. Però non riguarda altri che noi e Ica. Tu, figlio
mio, hai davanti un cammino glorioso, e non è destino che
termini ora, prima che tu abbia potuto brillare davanti a molti
popoli e mostrare al mondo la tua forza-
Grazie,
titemi,
per aver aggiunto questa fic ai preferiti.
Pluma
grazie mille dei complimenti. Eh, sì abbiamo un
Achille
proprio buono e “puccioso”, ma è solo
che la sua parte
sanguinaria non ha ancora trovato con chi sfogarsi... e dire che
quando ho iniziato a scrivere era antipatico pure a me! Però
durante un'ora di epica in cui mi annoiavo molto ho preso un foglio
già mezzo scribacchiato (mai che io inizi a scrivere su un
bel
figlio pulito) e ho scritto, così senza pensare: Il
mio
nome è Achille... e così ho iniziato.
Ho passato il
resto dell'ora a scribacchiare e a cancellare l'inizio. Meglio
“io
sono Achille” o “il mio nome è
Achille”? Quello era il
dilemma! Poi ho copiato a computer quella parte e per giorni mi sono
alzata un'ora prima del solito per scrivere in pace del nostro eroe;
dopo di che però è rimasto più di un
anno a
languire incompiuto nel computer. Ok, magari non te ne fregava
niente, però io volevo raccontartelo (ho la fissa di
raccontare storie, non so se si nota^^)
Puntiglio mitologico:
Questa
guerra è solo frutto della mia invenzione. Infatti per
quanto
abbia cercato non ho trovato alcuna descrizione di scontri a cui
abbia partecipato Achille prima della guerra di Troia. Ciò
è
anche comprensibile, dato che i miti sono più o meno
concordi
nell'affermare che egli salpò alla volta di Ilio a quindici
anni, sebbene mi paia di ricordare (ma non ne sono certa) che si
faccia effettivamente riferimento a prove di valore dell'eroe acheo
precedenti all'assedio di Troia.
Ica
invece esiste, o meglio, è la versione italianizzata di
Icus,
isoletta nei pressi di Ftia, che ho scovato su una mappa della Grecia
antica.
La
storia di Fenice è solo una delle molte versioni fornite dal
mito. La più conosciuta narra che Ftia, una concubina di
Amintore, avesse accusato Fenice di aver tentato di violentarla.
Amintore dunque in preda alla rabbia l'avrebbe accecato e maledetto,
condannandolo a non avere mai figli. Quando Fenice giunse a Ftia,
Peleo non solo gli offrì ospitalità, ma convinse
il
centauro Chirone a guarirlo dalla cecità e fu lui ad
affidargli il governo della Dolopia.
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