Epica - La storia di Achille

di Gondolin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** IO, TETI ***
Capitolo 3: *** IO, PARIDE ***
Capitolo 4: *** IO, CHIRONE ***
Capitolo 5: *** Primo incontro ***
Capitolo 6: *** Vulnerabile nel cuore e nel corpo ***
Capitolo 7: *** Dall'alba all'infinito ***
Capitolo 8: *** Elena ***
Capitolo 9: *** IO, DEIDAMIA ***
Capitolo 10: *** Un concorso di bellezza ***
Capitolo 11: *** IO, FENICE ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


IO, L'AUTRICE


Alla Musa chiedevano aiuto gli aedi,
io umilmente ringrazio Omero
pel suo canto che a noi risuona
tra le pagine dei libri,
e Robert Graves che una raccolta
scrisse di miti e leggende su dei ed eroi,
ed anche, non ultima per importanza,
Nadia Scigliano, un'ottima prof
che in un anno l'Iliade ci lesse e spiegò.
Già ringrazio anche voi,
che di certo numerosi commenterete.


PROLOGO


Io sono Achille, figlio di Peleo. Mia madre, Teti, è una dea immortale. Ero invulnerabile. Tranne che per un piccolo, piccolo punto. Avevo poco più di trent’anni quando Paride e Apollo arciere mi uccisero sotto le mura di Troia. E’ un destino che ho scelto io e non mi pento. Mia madre invece mi voleva immortale, o almeno avrebbe desiderato per me una vita lunga e pacifica. Omero vi ha narrato delle mie gesta rendendomi davvero immortale. La mia leggenda ha attraversato i secoli. In pace sarei stato uno dei tanti, la guerra ha fatto di me l’eroe per eccellenza. Se ancora vivo nel vostro ricordo lo devo ad Omero, ma leggendo il suo poema spesso trascurate di ricordare qualcosa di molto importante: anch’io sono stato (purtroppo?) un uomo. Ho amato, vissuto, ho sofferto e pianto, e soprattutto ho lottato. Ma la guerra non è fatta solo di armature scintillanti, discorsi forbiti e gesti eroici. Certo è più facile ricordare solo quello, ma la guerra è sangue, morte, sudore, paura. La guerra vuol dire svegliarsi la mattina e non sapere quanti dei tuoi compagni ritroverai la sera, intorno al fuoco, intenti a medicarsi le ferite, né se tu stesso sarai ancora lì. Per me era diverso: io avevo un destino che doveva compiersi, e non sarei morto prima. Ma comunque nella mia terra non sarei più tornato.

Io so cosa pesate di me, in quest’epoca dove la guerra sembra tanto lontana e l’onore non fa più parte della vostra vita. Credete che io sia solo un sanguinario fanatico. Voglio dimostrarvi che non è così. Io vivo nel vostro ricordo e se ora posso parlarvi è perché qualcuno, chissà, magari uno studente, ha pensato a me e ha visto oltre le tonnellate di carta dei libri di scuola. Oggi noi anime non abbiamo più bisogno del sangue dei sacrifici per parlare coi vivi. Devo ammettere che la cosa non mi dispiace affatto. Non è che io sia uno schizzinoso, ma bere sangue... Inoltre non si più compiono più sacrifici e gli dei olimpici sono stati dimenticati.

C’è anche Omero quaggiù: è un vecchio cieco che se ne sta sempre per conto suo a comporre poemi, dispiaciuto che nessuno li ascolterà mai. Nessuno di voi di sopra, intendo. Ma ora voglio narrarvi, e farvi narrare, la mia storia. Mettetevi comodi. Io ho tempo: qui nell’Ade non c’è molto da fare.


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Scusate la brevità di questo primo capitolo, ma è una puntata pilota (ovvero ho una paura matta che non piaccia a nessuno^^). Posterò al più presto il seguito, che è già quasi pronto.

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Capitolo 2
*** IO, TETI ***


IO, TETI

Zeus, signore dell’Olimpo, era molto irritato nei miei confronti. Avevo rifiutato le sue profferte amorose per non fare un torto alla sua sposa, Era dalle bianche braccia, che era la mia madrina. Ma nonostante il mio rifiuto egli avrebbe insistito, ottenendo infine ciò che voleva poiché era molto potente, se non fosse stato per una profezia. A quell’epoca era frequente che uomini e dei ricevessero dagli oracoli avvertimenti di ogni sorta sulla loro vita futura. La profezia che ricevetti riguardava mio figlio: sarebbe stato più potente di suo padre. Zeus non volle correre rischi; sapeva bene quello a cui sarebbe andato incontro con un figlio troppo potente: egli stesso aveva detronizzato suo padre, Crono. Giurò che se lui non avesse potuto avermi, nessuno degli immortali avrebbe potuto, e così decise che sarei dovuta andare in sposa ad un mortale. Nel frattempo Era, venuta a conoscenza di ciò che era avvenuto, in segno di gratitudine convinse Zeus che se proprio avessi dovuto sposare un mortale, questo sarebbe stato il più nobile tra loro. La scelta cadde su Peleo, re di Ftia, figlio di Eaco, sovrano dell’isola di Egina, e di Endice, figlia di Scirone. Dopo alterne vicende Peleo e suo fratello Telamone erano stati costretti ad abbandonare la loro patria. Telamone si era stabilito a Salamina, dove aveva sposato Glauce, la figlia del re, ed ereditato il trono. Aveva avuto da lei un figlio, Aiace, che avrebbe poi combattuto a Troia. Peleo, invece, era stato accolto da Attore, re di Ftia, e poiché questi non aveva figli, alla sua morte gli aveva lasciato il regno.

Gli dei dell’Olimpo avevano quindi deciso del mio matrimonio senza che io ne sapessi nulla. Il centauro Chirone conosceva Peleo da lungo tempo poiché in gioventù gli aveva salvato la vita e aveva previsto che io mi sarei opposta a quelle nozze. Non serviva l’abilità divinatoria di un centauro per scoprirlo! Infatti non ne fui affatto felice: non volevo dover restare vedova e seppellire i miei figli; nessuna madre lo vorrebbe, ma io sono una dea e loro sarebbero stati mortali. Non solo: essere costretta ad un tale connubio minava il mio prestigio di dea. Se solo qualcuno si fosse azzardato a farmi una simile proposta mi sarei infuriata. Chirone quindi suggerì a Peleo stesso dove trovarmi: vi era un’isoletta della Tessaglia dove spesso mi recavo a dorso di un delfino per riposare in una grotta nascosta da un boschetto. Egli quindi si nascose là e m’attese; poi, quando fui immersa nel sonno, mi fu addosso con un balzo. Io non mi lasciai sopraffare e lottammo a lungo, in silenzio. Mi trasformai in fuoco, acqua, leone e serpente, ma Peleo era stato avvertito da quel disgraziato di un centauro e non allentò la presa; allora giocai la mia carta più disperata e dando fondo a tutte le mie energie mi tramutai in una gigantesca seppia per spruzzargli addosso una nube d’inchiostro, ma nemmeno allora egli cedette. In onore di quella mia trasformazione quel luogo ora si chiama Capo Seppia. Ci accasciammo sfiniti. Peleo era coperto di graffi, lividi, scottature ed inchiostro. Ero persino ammirata per come aveva sopportato i miei attacchi eppure non potei trattenere una risata al vederlo così malridotto. Rise anche lui, di gioia, penso, per avermi sconfitta, ma non mi offesi. Sono convinta che Afrodite ci avesse messo lo zampino perché Peleo iniziava a piacermi. Però sapevo che non sarebbe durata a lungo: presto sarebbe stato afflitto dall'amara vecchiaia e poi sarebbe sceso nelle case muffite di Ade.

Il nostro matrimonio fu celebrato con sfarzo; per compensarmi di aver dovuto sposare un mortale tutti gli dei olimpici parteciparono alla festa grandiosa che si svolse in quell'occasione, seduti su dodici splendidi troni. La cerimonia fu celebrata sul monte Pelio, vicino alla grotta di Chirone. Le nove Muse, figlie di Apollo, accompagnavano coi loro strumenti e col canto la danza di cinquanta Nereidi, mie sorelle. Ganimede, il mortale che per la sua bellezza era stato rapito da Zeus e reso immortale, quella sera sostituiva Ebe, coppiera degli olimpi, versando in ogni calice ambrosia dorata. Non aveano tardato a diffondersi le voci sul fatto che Ganimede non fosse un semplice servitore, e il volto corrucciato di Era mostrava che anche lei le avava udite. Il mio sposo appariva fiero e bello, e sorrideva, felice degli onori che gli erano concessi. Non potei fare a meno di essere grata alla mia madrina per aver fatto in modo che avessi un marito tanto nobile. Peleo ricevette numerosi doni nuziali: da Chirone una lancia la cui asta di frassino del Pelio era stata lavorata da Atena in persona e la punta forgiata da Efesto, dagli dei tutti una splendida armatura d'oro e da Poseidone due cavalli immortali di nome Balio e Xanto, figli del Vento dell'Ovest e dell'Arpia Podarga.

Mentre venivo unita in matrimonio a Peleo Era stessa resse per noi la fiaccola nuziale, e numerosi centauri incoronati di erbe tenevano nelle mani torce d'abete per augurarci buona fortuna. Un alito di vento notturno faceva leggermente ondeggiare le fiamme e scuoteva il mio prezioso abito intessuto di fili d'argento.

Ma purtroppo quell'armonia si spezzò presto. La terribile Eris, dea della discordia, non era stata invitata a causa del suo proverbiale brutto carattere. E proprio per questo aveva preso il mancato invito come un terribile affronto. Nel mezzo del banchetto, mentre tutti brindavano allegri, ecco apparire la nera figura ammantata di Eris. Tutti tacquero, in terribile imbarazzo e temendo una sua sfuriata, ma lei, sdegnosa, si limitò a gettare a terra una mela d'oro, prima di sparire nuovamente. Quella mela, però, mosse una valanga. Sul frutto dorato infatti stava scritto Alla più bella, titolo che da sempre si contendevano Era, Atena ed Afrodite. Non appena Peleo l'ebbe raccolta ed ebbe letto la scritta che vi era incisa, le tre gli si fecero intorno ed iniziarono a litigare ferocemente per il possesso del prezioso dono. Potevo notare l'imbarazzo del mio novello sposo nel trovarsi in mezzo ad una simile discussione, ma non potevo fare molto. Quelle tre potevano spaventare anche un uomo coraggioso come lui. Eris aveva ottenuto il suo scopo: la festa era rovinata. Ma Zeus, molto seccato, le interruppe -Continuando a becchettarvi in questo modo non risolverete nulla- tuonò -Pochi giorni fa un principe è stato abbandonato. Una famiglia di pastori lo crescerà, e quando sarà più grande avrà uno spirito nobile e puro. Sarà lui a decretare chi di voi sia la più bella: un principe mortale- e fece un cenno col capo per sottolineare che quella era la sua decisione, e nessuno doveva obbiettare. Noi dei per certi versi vi somigliamo, nelle passioni del nostro cuore, ma viviamo in eterno e sappiamo aspettare con pazienza. Una ventina d'anni sarebbero trascorsi in fretta.

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Grazie a Pluma per la recensione.

E mi raccomando, commentate numerosi!

Qui ancora non siamo entrati nel vivo della storia, quindi non preoccupatevi se sembra un po' noiosa, credo che migliorerà.

Sono disponibile per eventuali chiarimenti su tutti nomi e le assurde parentele di dei ed eroi, mi rendo conto di aver vomitato sulla pagina mezzo dizionario mitologico^^

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Capitolo 3
*** IO, PARIDE ***


IO, PARIDE

Io sono il colpevole. Io sono quel Paride che rapì Elena. Io sono il gran brutto personaggio che ha provocato la guerra di Troia, la causa di tutte le disgrazie della mia patria. Afrodite, che mi promise l'amore della donna più bella del mondo, incurante del fatto che fosse già sposata, Menelao, che se la lasciò sfuggire da sotto il naso, e lei, Elena, che acconsentì a seguirmi: loro, nessuno li accusa. E' facile scaricare tutto il peso sulle spalle del giovane principe irresponsabile. Amavo Elena e non ero il pazzo incosciente che vi descrivono. E mi è rimasta appiccicata addosso l'etichetta di codardo. Solo perché mentre combattevo contro Menelao Afrodite mi ha salvato da una morte sicura e non sono rimasto lì a farmi eroicamente massacrare come il mio fratellone Ettore. Avevo capito che avrei perso, che male c'è in una saggia ritirata? Avevano provato a strapparmi alla vita quando ero ancora un neonato; non ci erano riusciti ed ora quella vita intendevo godermela finché gli dei me l'avessero concesso. Cosa se ne fa un morto della gloria? Forse, in effetti, facevo addirittura paura... ero una specie di sovversivo: negando i valori fondamentali di una società guerriera toglievo il terreno da sotto i piedi a coloro che per quegli stessi ideali si sarebbero fatti uccidere. Mi giudicate male, forse a torto forse a ragione, nell'ambito del mio tempo, ma sono certo che al giorno d'oggi avrei un grande successo.

Prima che io nascessi mia madre fece un sogno: dava alla luce un tizzone ardente che dava alle fiamme la città. Il tizzone ero io. E non mi avrebbero permesso di bruciare la loro amata patria. Così appena nato fui portato sul monte Ida per essere esposto agli animali feroci, legato ad un albero con una corda che mi passava attraverso i talloni. Ne conservo ancora i segni. Ma quando, dopo cinque giorni, l'uomo che mi aveva portato lì mi trovò ancora vivo pensò ad un segno divino. Infatti un'orsa mi aveva nutrito col suo latte invece di divorarmi. Allora l'uomo, nonostante fosse fedele al re Priamo, mi portò a casa da sua moglie e al mio amato paparino non consegnò come prova il mio cadavere ma quello del loro figlioletto neonato, morto di febbre proprio il giorno prima.

Vissi con loro, ignaro delle mie origini.

IO, TETI

Poco dopo il matrimonio ebbi da Peleo un figlio. Il frutto del mio ventre era un mortale. Per questo tentai almeno di renderlo invulnerabile. Ottenni da Zeus il permesso di immergerlo nelle acque dello Stige, quando era ancora un neonato. Il destino però volle diversamente e, tenendo Achille per il tallone, impedii io stessa, sebbene involontariamente, che questo si bagnasse. Invulnerabile sì, eppure aveva anch’egli un punto debole. Non lo sapeva nessuno, nemmeno io. Lo scoprii solo in seguito, quando ormai era troppo tardi, poiché seppi che avrebbe potuto scegliere tra una vita lunga e pacifica ed una breve de eroica.

Volli per mio figlio il meglio, e per la sua educazione Peleo ed io scegliemmo con estrema cura. Sarebbe dovuto diventare il guerriero più forte, in grado di guidare i Mirmidoni in imprese grandiose

I Mirmidoni

Eaco, il padre di Peleo, era figlio di Zeus. Questo aveva scatenato la gelosia di Era, che con la sua rabbia aveva sterminato tutti gli abitanti di Egina, l'isola sulla quale regnava con una terribile carestia. Allora Eaco, allo stremo delle forze, pregò suo padre Zeus che ripopolasse l'isola e che questa tornasse fertile. Con un tuono, Zeus scatenò la pioggia. Poi trasformò in uomini le formiche, gli ultimi esseri viventi rimasti sull'isola, per ripopolarla. Il nome dei Mirmidoni deriva da myrmekos, che vuol dire formica.

IO, CHIRONE

Io sono Chirone, il più saggio dei centauri, e, in effetti, quasi l'unico della mia razza che non passa il tempo a distruggere villaggi e rapire fanciulle. Ho istruito molte generazioni di eroi e tra loro un allievo di cui ero molto fiero era Eracle; non sapevo ancora che un giorno mi avrebbe involontariamente ucciso con una delle sue temibili frecce.

Achille era l'allievo più giovane che avessi mai acconsentito ad istruire: infatti ero un po' perplesso, ma ben presto si rivelò molto dotato e non mi pentii di averlo accettato.

In quel tempo avevo come allievi anche i Dioscuri, Castore e Polluce, i famosi gemelli, il primo mortale ed il secondo immortale. Erano figli di Zeus e Leda, fratelli di Clitemnestra, futura moglie di Agamennone, e della famosa Elena di Sparta, colei per la quale sarebbe addirittura stata scatenata una guerra. Anzi, la guerra.

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Sapete che prima di iniziare a scrivere questa ff odiavo Achille? Ma poi uno schizzo durante l'ora di epica cambiò le cose...

Un gigantesco grazie a Pluma per la recensione. Sì, anche per me è stata una scoperta la storia del pomo della discordia. L'ho trovata su “I miti greci” di Robert Graves.

Grazie anche a chi ha letto soltanto, spero che vi sia piaciuto e continui a piacervi.
Ma ricordate che io sono recensioni-dipendente *occhioni dolci*

Non so se sarò sempre così costante con gli aggiornamenti perché ho un sacchissimo da studiare.

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Capitolo 4
*** IO, CHIRONE ***


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Rieccomi... in teoria dovrei studiare... ma Achilluccio chiama! Grazie mille a tutti quelli che hanno letto.

Pluma in realtà il tuo commento non è mica tanto stupido! Una mia insegnante di musica sostiene che i Greci sapevano già tutto, e dopo non si è inventato più niente... ok, magari esagera, ma di certo le telenovelas sono figlie di Omero. Uh, povero Omero!! La sua anima nell'Ade starà piangendo;-)

E qui entra in scena il nostro eroe... ma che gli succede? Anche Achille vittima dei bulli? Allora non è un'emergenza della scuola moderna ;-)



IO, CHIRONE

Vivevo sulla cima del monte Pelio e lì accoglievo i giovani destinati ad entrare nella leggenda. Peleo in persona accompagnò suo figlio da me. Achille allora aveva sei anni, e sarebbe rimasto con me fino ai nove. Lo feci alloggiare insieme ai gemelli in una capanna poco distante dalla grotta dove vivevo. Per quanto in molti mi considerassero un saggio, la mia natura selvaggia si ribellava ad un'eccessiva vicinanza con la civiltà, e mai avrei vissuto in una vera casa. Castore e Polluce erano per natura molto indisciplinati, ma dopo qualche anno di frustate avevano capito che era meglio non farmi arrabbiare. Quando presentai loro Achille non fecero commenti, ma appena credettero che non li stessi guardando si lanciarono un'occhiata complice. A loro quel bambino non piaceva, e gliel'avrebbero fatto capire in ogni modo.


IO, ACHILLE

Chirone mi presentò ai due gemelli figli di Zeus. Pensandoci, in un certo senso eravamo parenti. -Questo è il principe Achille, figlio di Peleo... Castore, il maggiore, e Polluce- il primo era mortale, il secondo immortale. Quello però era un argomento tabù, poiché i due erano molto legati e non avrebbero mai voluto essere divisi dal fato. Da ciò che avevo udito di loro mi facevano quasi simpatia, ma appena vidi lo sguardo che si lanciarono capii che l'addestramento sarebbe stato più duro del previsto. Naturalmente Chirone non avrebbe permesso risse o scherzi stupidi, ma il loro sottile disprezzo mi avrebbe seguito ovunque. Salutai mio padre e mi apprestai ad ascoltare il centauro -Per stasera mangerai ciò che hanno preparato i gemelli, ma d'ora in poi caccerai e cucinerai insieme a loro. Per ciò che non possiamo procurarci qui c'è un villaggio alle pendici del monte. Inizierai domattina l'addestramento. Naturalmente la tua giovane età non ti dà diritto ad una minore fatica, ma terrò conto del fatto che non potrai stare alla pari coi tuoi compagni- e sentii i loro occhi puntati su di me -Ora potete andare a dormire-

A partire dal mattino successivo, per tre anni, mi svegliai quando il carro di Helios aveva appena iniziato il suo viaggio nel cielo. Prima ancora di poter fare colazione Chirone ci faceva correre a lungo. Sapete perché sono così rapido? Il pie' veloce Achille? Castore e Polluce, appena potevano, mi sputavano nel piatto o mi rubavano il cibo. Così nelle corse mattutine cercavo sempre di arrivare almeno insieme a loro. All'inizio era difficile, poiché ero più piccolo, ma in due anni divenni abbastanza rapido da batterli... e render loro pan per focaccia. Ma nonostante fossi più giovane il nostro maestro mi faceva combattere con uno dei gemelli per allenarmi, poiché non c'era nessun altro. In quegli anni ho deciso che non sarei più stato sconfitto. Mai più.


Probabilmente fu mia madre ad insistere perché tornassi a palazzo, ma non ne sono certo. O magari anche mio padre temeva che diventassi troppo selvaggio. Dovevo anche imparare come si comporta un re e di certo non l'avrei fatto vivendo isolato dal mondo con un centauro e due gemelli prepotenti, nutrendomi di carne di leone per aumentare il mio coraggio (come se ce ne fosse stato bisogno!) e correndo nei boschi. Poco dopo il mio ritorno giunse un ragazzino...

IO, PATROCLO

Mio padre, Menezio, era uno degli uomini più nobili di Opunte, una verde isola dell’Egeo. Io vivevo circondato da molti amici, come me figli di nobili, con i quali passavo le giornate divertendomi. Ero un bambino vivace e un po’ disubbidiente ma i miei genitori mi adoravano e dicevano che un giorno sarei diventato un grande guerriero. Avevano ragione: avrei partecipato alla guerra di Troia e sconfitto l’eroe Sarpedonte, figlio di Zeus, avrei persino combattuto contro Ettore...

Allora avevo ben altre preoccupazioni. Un giorno, avevo dodici anni, i miei amici ed io decidemmo di fare una partita ad astragali (gioco simile ai dadi ndA). Non era uno dei miei giochi preferiti poiché non ero molto fortunato, ma quella volta la dea bendata guidò la mia mano e vinsi per molte volte di seguito. Le mie vittorie innervosirono parecchio il figlio di Anfidamante, un tipo litigioso e antipatico, il quale mi accusò addirittura di aver barato. Barare è davvero disonorevole ed è qualcosa che non farei mai, questo lo sapeva anche lui. Mi aveva offeso e colsi al volo l’occasione di fare a pugni con lui, sapendo che l’avrei facilmente battuto, e che tutti erano dalla mia parte. Con la sua perenne aria di superiorità non si era guadagnato molte simpatie. Davvero non capirò mai perché si mise in quel pasticcio. Gli altri ragazzi intorno scandivano il mio nome aspettando che gli dessi una lezione. Ero convinto che si sarebbe lasciato cadere subito per evitare che gli facessi troppo male. Infatti, dopo che ebbe tentato invano un paio di colpi che schivai con facilità finì a terra, quasi senza sforzo da parte mia. Credevo che la cosa si sarebbe risolta lì, invece l’insolente si rialzò con aria di sfida e mi colpì. Pensai che se l’era cercata e cominciai a tempestarlo di colpi badando però di non farlo cadere, poi quando finalmente mi sembrò abbastanza malridotto lo rispedii a terra con un violento pugno. Stavolta però la dea fortuna non aiutò né me né lui, poiché cadendo batté la testa contro un sasso e morì. Il silenzio scese all’improvviso e ci fermammo attoniti, fissando per la prima volta gli occhi sbarrati di un morto. Una sensazione strana mi prese allo stomaco e un pizzicore dietro gli occhi mi avvertì che stavo per piangere. Dopo aver combattuto molte battaglie ci si fa l’abitudine ma il primo uomo ucciso non si dimentica.

A quei tempi era costume che quando un nobile commetteva un delitto si allontanasse dalla patria per evitare i circoli di vendette, e si facesse purificare dal sovrano di un’altra terra, che poi lo accoglieva alla sua corte. Dopo che mio padre mi ebbe dato una solenne lavata di capo (non ce n’era bisogno dopo lo spavento che avevo preso) mi imbarcò su una nave senza nemmeno darmi il tempo di salutare i miei amici e di raccogliere tutte le mie cose. Mi accompagnò personalmente a Ftia per chiedere al re Peleo di tenermi con sé. Giungemmo alla reggia in una cupa giornata di pioggia. Il vasto atrio di pietra mi appariva minaccioso, o forse era solo la paura di quello che sarebbe avvenuto di lì a poco. Mio padre avrebbe lasciato la mia mano e mi avrebbe dato una leggera spinta in avanti, verso il trono dove stava seduto Peleo, con accanto la bellissima sposa Teti, ed io mi sarei inchinato; poi mi sarei voltato per vederlo scomparire oltre la soglia. Sarebbe cominciata per me una nuova vita. Il re mi nominò scudiero di suo figlio, un bambinetto di soli nove anni. L'avevo largamente sottovalutato, ma, d'altra parte, non conoscevo ancora Achille.



-Sai,- mi raccontò un giorno -per tre anni sono stato allievo di Chirone. Lo so che lo sai...- aggiunse, notando il mio sguardo -mio padre se ne vanta appena può. L'allievo più giovane che abbia mai accettato- imitò la voce orgogliosa di Peleo -Ma non racconta mai quanti guai ho passato per via di Castore e Polluce-

-Cioè?- gli chiesi -Beh, quei due erano proprio degli insopportabili boriosi. Forse era tutto il tempo che avevano passato da soli col centauro- mi meravigliavo sempre di come Achille si preoccupasse di mostrare il rispetto dovuto agli anziani solo quando qualcuno lo ascoltava. Di me ovviamente si poteva fidare. Però... passi per il suo vecchio maestro, ma insultare i figli di Zeus! -Achille!- esclamai -Cosa c'è?- sbuffò lui -Hai paura di essere fulminato dal loro paparino se mi stai ad ascoltare? Pfui... Loro saranno i suoi figli, ma anch'io discendo da Zeus (è il suo bisnipote ndA)- gli dei erano una presenza costante nelle nostre vite, eppure per la maggior parte delle persone erano distanti. Invece io ero diventato amico di un semidio, per il quale le storie che ascoltava da bambino da sua madre coincidevano coi miti sacri. Anche dopo parecchi tempo non mancavo di stupirmi le rare volte in cui mi capitava di incrociare la bellissima Teti.

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Capitolo 5
*** Primo incontro ***


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Scusate la brevità del capitolo, ma deve fare da ponte tra il precedente e il successivo, che ho già scritto. Commentate, please. E grazie a tutti voi, e a EFP, perché se non avessi la possibilità di postare questa storia e quindi di farla leggere a qualcuno scriverei molto meno, o forse lascerei perdere per lunghi periodi :-) grazie


Regina di Picche grazie tantissimo per la recensione, mi hai davvero fatto venire voglia di proseguire. Come mai se scrivi qualcosa poi non vuoi farlo leggere?? Comunque se ti ho fatto venire almeno un po' di ispirazione mi sento onorata.


Buona lettura



IO, PATROCLO


Fu un anziano servitore ad accompagnarmi nella mia stanzetta. Mi disse che prima di cena sarebbe venuto a chiamarmi e che poi avrei incontrato Achille. Uscì, ed immediatamente dopo qualcuno bussò alla porta -Avanti-

-Ehm, ciao. Io sono Achille. Le presentazione ufficiali le faranno stasera ma io ero curioso di conoscerti. Tu sei quello che è appena arrivato da Opunte, vero?- chiese squadrandomi con due occhi azzurri spalancati

-Sì, sono io- dimostrava più dei suoi nove anni. Era alto ed aveva una muscolatura ben sviluppata e la pelle abbronzata -Come ti chiami?-

-Patroclo...-

Dall'esterno giunse la voce di una serva -Principe! Dove siete? Vostra madre vi cerca!-

-Sarà meglio che vada- sbuffò Achille -vogliono strigliarmi per bene. E va bene che mia madre è una dea marina, ma questa sua fissazione per i bagni...- così dicendo se ne andò, lasciandomi a bocca aperta. Mi sembrava di essere in uno strano sogno sin dal giorno dell'incidente, e ogni piccola novità contribuiva stordirmi. Mio padre mi aveva avvisato che la regina era una dea, ed io stesso avevo potuto notare la sua bellezza ultraterrena, ma quel modo di comportarsi del piccoletto mi aveva lasciato molto perplesso. Conoscendolo meglio, negli anni, avrei imparato che sua madre non era l'unica dea con la quale se la prendeva e sbuffava, poiché non temeva affatto la collera degli immortali.



IO, ACHILLE


Mi avevano detto che da Opunte sarebbe giunto un ragazzino, il quale mi sarebbe stato assegnato come scudiero. Non c'erano molti giovani nobili coi quali potessi trascorrere il mio tempo, quindi il suo arrivo rappresentava un'eccitante novità. E poi il fatto che fosse mio scudiero significava in un certo senso che io ero il capo. Dopo aver trascorso anni con la sola compagnia dei Dioscuri e di Chirone, il mio ritorno a palazzo e tutte le attenzioni con le quali mia madre mi circondava mi stavano trasformando in un bambino alla perenne ricerca di attenzione e, lo ammetto, un po' viziato. Mi feci indicare la stanza del nuovo arrivato e bussai. Mi rispose una vocina distratta. In piedi, di fronte alla porta c'era un bambino. Era più grande di me, ma non di molto. Ripensandoci, doveva avere un'aria molto sperduta, ma io allora non ci feci caso. Fece appena in tempo a dirmi il suo nome, poi venni chiamato per prepararmi per la cena. Mentre la serva che aveva avuto l'ingrato compito di badare a me mi conduceva nella mia stanza, pensai che quel Patroclo poteva essere simpatico.


-Sai, Achille- mi dice ora l'ombra di Patroclo -anche tu mi avevi fatto una buona impressione, credo. Ma sei arrivato così all'improvviso che onestamente non sapevo bene cosa pensare-

-Potevi pensare, per esempio,- lo prendo in giro -che ero il bambino più adorabile e affascinante del mondo e che vedevi già in me il grande guerriero che sarei diventato-

-Da quand'è che gira vino qui nell'Ade? No, perché tu devi essere ubriaco, amico mio. E comunque affascinante non lo sei mai stato...-

-Ah, no?-

-No- insiste lui, testardo ed orgoglioso quasi quanto me. Chiedeteglielo voi anime vive cosa pensa di me, se volete, a voi non può mentire.



IO, TETI


Appena vidi Patroclo seppi che con lui era giunto un tassello nel mosaico del destino di mio figlio. Quanto importante fosse quel tassello allora non potevo dirlo, né sapevo per certo che ruolo avrebbe avuto. Il mio cuore fu subito diviso, ma non capii. Ora ne conosco il motivo: Patroclo fu per mio figlio la vita e la morte. La vita, perché da bambino gli insegnò il senso dell'amicizia, da adulto gli insegnò l'amore, e sempre gli fu accanto. La morte, poiché fu per vendicare Patroclo che mio figlio scese in battaglia di nuovo, nella funesta guerra di Troia, che altrimenti egli avrebbe abbandonato.



IO, PATROCLO


Appena ho visto Achille non sono riuscito a giudicarlo, davvero! Era speciale, questo potevo affermarlo con certezza, ma proprio per questo sfuggì a lungo ad ogni mio tentativo di capirlo.

Se poi volete sapere cosa ho pensato dopo, non vi resta che continuare a leggere.

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Capitolo 6
*** Vulnerabile nel cuore e nel corpo ***


IO, ACHILLE


Tutti conoscevano il mio dono, ma mia madre si sentiva molto più sicura sapendomi in compagnia di un ragazzo più grande e responsabile, perché ero sempre troppo imprudente, così spesso mi recavo a caccia con Patroclo. Fu durante una di queste battute che feci una terribile scoperta.

Era molto caldo, e dopo aver inutilmente seguito per tutto il giorno le tracce di un leone che infestava quei boschi mi ero tolto i calzari per rinfrescarmi in un ruscello, il cui fondo nascondeva alcune pietre aguzze. Patroclo si era prudentemente tenuto sulla riva, mentre io, come al solito spericolato e troppo fiducioso in me stesso, mi ero appostato nel centro del ruscello per vedere se riuscivo a prendere un pesce a mani nude, come avevamo sentito dire facevano alcuni pescatori delle tribù nomadi. Ridevamo spensierati quando improvvisamente misi un piede in fallo ed inciampai. Recuperai subito l’equilibrio, ma provai una sensazione sconosciuta e un sottile rivolo rosso si alzò nella corrente. Era la prima volta che mi succedeva e sarebbe stata anche l'ultima fino alla fatale freccia di Apollo e Paride. Sarei sempre stato molto cauto in modo che nessuno lo venisse a sapere. In quel momento però mi venne da piangere. Non era il dolore, ma l’improvvisa scoperta della mia vulnerabilità a sconvolgermi –Sei dei nostri- mi fece Patroclo, che aveva intuito cos’era successo, dalla riva –Vulnerabile anche tu...- ero inorridito. Avrei potuto sopportare ogni sofferenza o privazione, qualche volta Chirone mi aveva anche frustato, ma questo... Stringendo i denti e trattenendo le lacrime, saltellai su un piede fuori dall’acqua e caddi tra le braccia di Patroclo, che mi sorresse e mi consolò –Coraggio! Altrimenti sarebbe stato troppo facile, non avresti avuto nessuna gloria!- chissà come, aveva capito che quella era la cosa giusta da dire. Presi un respiro profondo e, restando sempre aggrappato a lui, sussurrai -Non lo dirai a nessuno, vero?-

-Certamente no! Che il grande Zeus mi fulmini se tradirò il tuo segreto- scandì con aria solenne -Ora siediti, passerà presto. Non hai idea di tutte le volte in cui mi sono fatto male io!-

-Secondo te com'è possibile?- chiesi. Egli scosse la testa -Non ne ho idea... dovresti parlare con tua madre quando torniamo-

-Già...-

-Stai tranquillo, non è nulla di grave. Il tallone non è un posto dove è facile farsi male- sorrise, dapprima con sincerità, poi con un ghigno aggiunse -Ma che hai paura?-

-Cosa?- esclamai riprendendomi del tutto -Ti ricaccio dentro le parole a suon di schiaffi se non mi chiedi immediatamente scusa- capii solo in seguito che era esattamente quello che Patroclo voleva: provocarmi, poiché sapeva come avrei reagito. E sapeva che saremmo finiti a fare a botte sull'erba, dimentichi almeno per un momento della mia ferita, di mia madre e del pensiero di trionfi futuri.

Voi ora ne potete anche ridere: “il tallone d’Achille” è proverbiale, ma ciò che avevo provato il era stato il colmo dell'orrore. Quella notte dormii un sonno agitato, rigirandomi senza tregua nel mio giaciglio ai piedi di una quercia. Nel dormiveglia diedi una gomitata a Patroclo, che riposava accanto a me, e ci svegliammo entrambi; dopo di che ci fu impossibile riprendere sonno. Passammo tutta la notte a parlare. Dicono che uno dei miei discendenti, Alessandro, che si riteneva “il novello Achille”, ed Efestione, creduto la reincarnazione di Patroclo, trascorressero spesso le notti discorrendo di poesia e filosofia. Mi piaceva quel ragazzo, gli sono stato accanto, soffiandogli nell’orecchio buoni consigli, nei momenti in cui non ascoltava nessuno. Mi fa onore il fatto che mi venerasse tanto, perché lui è stato un Grande. Abbiamo in parte condiviso lo stesso destino, di una morte giovane in terra straniera, preceduti di poco dal compagno di una vita. E fu quella notte che capii che Patroclo era per me qualcosa di più di uno dei tanti giovani nobili di cui mi circondavo.

Quando finalmente Hypnos venne a chiuderci gli occhi era quasi l’alba, e quando ci svegliammo questa era da poco trascorsa. Ci stiracchiammo indolenziti per aver dormito seduti. Io avevo il capo reclinato sulla spalla di Patroclo, mentre lui era rimasto appoggiato al tronco della quercia. Nonostante la stanchezza ci buttammo con allegria nella caccia e quel giorno prendemmo un cervo e altri piccoli animali.

Quando tornammo però mia madre notò che avevo un'aria strana, e mi fece chiamare nelle sue stanze prima che io stesso la fossi andata a cercare

-Figlio mio, cosa ti turba?-

-Oh,- sbuffai –divina madre...-

-Cos’è questo tono ironico?- ribatté severa

-E’ inutile che tu faccia così, tanto sai tutto... sapevi che non sono invulnerabile!- Teti abbassò gli occhi tristemente –Lo sapevo, sì, ma non avrei voluto che tu ne venissi a conoscenza. Ho visto nel tuo futuro...-

-Cosa? Cosa?- quasi urlai. Una lacrima le scivolò giù lungo la guancia. Mi sedetti accanto a lei e gliel’asciugai con una carezza –Arriverà un giorno in cui dovrai scegliere. Potrai avere una vita lunga, felice e pacifica, e una numerosa discendenza, ma dopo che anche i tuoi figli, e i loro figli saranno morti, il tuo nome svanirà con loro. Se invece deciderai altrimenti avrai una vita breve e luminosa come una stella cadente e il tuo nome sarà ricordato per sempre. La memoria delle tue gesta non svanirà mai, ma io...- la sua voce si spense in un singhiozzo. Si sentiva in colpa per non essersi accorta che le acque dello Stige non mi avevano bagnato del tutto quando, anni prima, mi ci aveva immerso; io non lo sapevo: credetti quindi che piangesse perché avrei dovuto affrontare una tale scelta. O forse piangeva poiché sentiva che mi avrebbe perso presto. E così questo sarebbe stato il mio destino. Il dubbio prese subito a lacerarmi, anche se dentro di me sapevo cos’avrei scelto. Non volevo pensarci, almeno non in quel momento.

Ma al tallone! Sono troppo veloce, nemmeno un dio riuscirebbe a colpirmi!- tentai di consolarla, riuscendo a strapparle un sorriso –Sempre così sicuro di te...- mormorò. Uscendo dagli appartamenti delle donne però, nonostante la mia sicumera apparentemente incrollabile, mi sentii un po’ abbattuto. Patroclo era lì per caso ai piedi della scalinata, come sempre quando avevo bisogno di supporto morale. Quel ragazzo mi lasciava molto perplesso: per qualche strano motivo, si potrebbe dire empatia, ogni volta che mi serviva qualcosa lui ce l’aveva. Se avevo sete la sua borraccia era piena, se non ricordavo un verso di una poesia potete star certi che l’aveva in mente lui. Lo guardai senza avere il coraggio di dire niente. Avevo troppe cose per la testa, troppe emozioni diverse.

Molte leggende narrano di amori infelici; i miti sono pieni di uomini e donne che muoiono ed uccidono per amore. Per questo ero convinto che i sentimenti potessero fare più male delle armi, ma nessuno mi aveva mai detto che potevano anche essere più dolci dell'ambrosia.



IO, PATROCLO


Lo vidi scendere le scale con le labbra serrate in una linea sottile e l'espressione accigliata. Lo consideravo il mio migliore amico da tempo ormai, e vederlo preoccupato mi dispiaceva. In realtà, avrei voluto che fosse sempre felice.

Camminammo fianco a fianco, in silenzio. Uscimmo dal palazzo e ci dirigemmo verso un boschetto al limitare del giardino. La luce filtrava a fiotti tra le foglie verdi degli alberi e nel vento scherzoso si sentiva la primavera. Ci fermammo in una radura assolata, e Achille si sedette su un masso coperto di muschio che sembrava quasi un cuscino. Era turbato ma non sapevo come calmarlo. Sapevo che la consapevolezza della sua vulnerabilità lo disturbava. Voleva essere il guerriero perfetto, forgiato per la battaglia. In genere con le parole ci sapevo fare piuttosto bene; ora mi accontentai di abbracciarlo, restando in piedi dietro di lui. Si appoggiò a me come un naufrago che si lasci cadere su una spiaggia dopo una terribile tempesta, ed io sentii un brivido. Alla fine fu lui a parlare -Poter decidere del proprio destino... alla fin fine è vero ognuno sceglie il suo, ma avere davanti un bivio tanto netto...- senza bisogno che gli chiedessi niente mi raccontò della profezia che gli aveva fatto la madre; poi si girò fissò i suoi occhi nei miei con un'intensità da fare male -Ti ho raccontato cose che nessun mortale conosce. Manterrai il segreto- non era una domanda. Sebbene fosse ancora molto giovane aveva una grande capacità di imporre la propria volontà che poi avrebbe indotto i Mirmidoni a seguirlo in ogni sorta di imprese, sebbene molti di loro fossero già valorosi guerrieri quando lui muoveva i primi passi.

Achille era ancora seduto, così io mi inginocchiai per portare il mio viso al livello del suo. Gli posai le mani sulle ginocchia e, scuotendo il capo, dissi -Ti ha già dato la mia parola. Il tuo segreto è al sicuro con me-

-Mi fido- rispose lui sorridendo distrattamente. Mi stupii della felicità che mi provocavano la sua fiducia ed il suo sorriso, ed il pensiero che io solo custodivo, ed avrei custodito per tutta la vita, il suo più terribile segreto. Achille posò la sua fronte sulla mia e restammo così, ad ascoltare lo scorrere lento del tempo.

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Regina di Picche grazie mille della recensione, e sono molto felice che continuerai a leggere. Nel film Troy Achille e Patroclo sono cugini, ma per quanto risulta dalle mie fonti (ovvero l'insostituibile “I Miti Greci” di R. Graves) non lo erano.
Capisco che a volte nei propri racconti ci finisca un pezzettino di cuore (ho scritto un drabble su questo se ti interessa), ma io sono talmente felice di scrivere che devo assolutamente far leggere a qualcuno le mie cose.

achillefan grazie mille della recensione!

Questa parte è stata una delle prime che ho scritto ed è tra le mie preferite. E' totalmente di mia invenzione perché, che io sappia, nessun mito parla di quest'argomento.

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Capitolo 7
*** Dall'alba all'infinito ***


IO, PATROCLO


Non sono mai stato un ragazzino timido o solitario, ma non avevo molti amici, forse anche perché a Ftia, dove sono cresciuto, in molti mi consideravano uno straniero. Achille ovviamente faceva eccezione, e mi aveva preso in simpatia da subito. Era sempre circondato da molte persone, fossero essi soldati di suo padre, servitori, o figli dei nobili dell'isola, ma forse io solo vedevo la distanza che lo separava da tutti. Non era lui a crearla: era vero che aveva un certo senso di superiorità nei confronti di quasi tutto il resto dell'umanità, ma in fondo quella era la convinzione nella quale venivano cresciuti tutti i nobili all'epoca, me compreso. Era qualcosa di diverso, più sottile e profondo nello stesso tempo.

Quando Achille scoprì di non essere invulnerabile lui aveva tredici anni ed io sedici. A voi può sembrare una grande differenza, ma per noi non lo era. Certo, intorno ai sedici anni si diventava adulti, ma non esisteva per noi la differenza tra bambini e ragazzi, che è una vostra invenzione. E non c'erano le scuole, nelle quali vi abituate a stare solo coi vostri coetanei. Noi invece avevamo seguito gli stessi maestri, ci eravamo esercitati insieme nelle arti della guerra ed insieme saremmo stati ammessi per la prima volta ad un banchetto, centro assoluto della vita sociale del nostro tempo.

Una volta Achille venne a bussare alla mia porta. Era ancora notte, ed io mi svegliai a fatica per aprire -Achille? Che ci fai qui a quest'ora? Per tutti gli dei, ma tu non dormi mai?- gli chiesi piuttosto seccato

-Ovvio che dormo, ma non mi piace sprecare il mio tempo col sonno. Vieni con me, ti porto a vedere una cosa- e voi credete che io avrei mai potuto dirgli di no, anche se l'avrei volentieri strozzato?

-Va bene, mi vesto e arrivo- borbottai, infilando una corta tunica e gettandomi un mantello sulle spalle. Lo seguii in silenzio fino ad un'uscita secondaria del palazzo e poi fuori, nella notte fresca e luminosa di stelle. Evitammo le guardie poste intorno al perimetro dei giardini con una facilità sorprendente e salimmo di corsa su una collina lì vicino -Si può sapere che diamine c'è da vedere qui oltre a dei campi mezzi secchi?- ansimai mentre mi stropicciavo gli occhi per cercare di scacciare gli ultimi residui di sonno

-Resterai sorpreso, e smetterai di dirmi che non so apprezzare le cose belle- ridacchiò il mio amico. Io roteai gli occhi esasperato. -Possiamo sederci qui- annunciò, lasciandosi cadere su un tratto pianeggiante di terreno. Io mi sistemai accanto a lui e gli coprii le spalle con parte del mio mantello. Achille per tutto ringraziamento sbuffò, ma poco dopo si strinse ancor di più a me, cercando riparo dal freddo notturno, che non accennava a diminuire nonostante si iniziasse ad intravvedere la luce soffusa del sole da dietro l'orizzonte -Era questo che volevi mostrarmi? Non è certo la prima alba che vedo- gli feci notare

-Sì, ma da qui si intravvede la baia e la vista è semplicemente meravigliosa- si difese lui, sbirciandomi leggermente preoccupato con la coda dell'occhio -E poi volevo condividere con te l'emozione di una corsetta a stomaco vuoto come quando mi allenavo con Chirone- aggiunse con un'adorabile risata malvagia

-Ah, la fai per il mio bene, per farmi rendere conto di quanto io sia fortunato a non avere un centauro come maestro- ironizzai. I primi raggi del sole iniziavano ad illuminare il cielo, che però rimaneva di un ostinato blu chiaro, bello come un velluto prezioso. Poi si colorò di un azzurro slavato facendo sparire le stelle, ed il carro di Apollo si alzò maestoso da dietro l'orizzonte, specchiandosi con placida vanità nelle acque della baia. Io distolsi per un attimo lo sguardo dall'alba per osservare il volto rilassato di Achille, immerso nella bellezza dell'astro nascente e della natura selvaggia dell'isola che si stendeva ai nostri piedi. Eravamo così vicini che il mio respiro gli faceva oscillare sulla guancia una ciocca di capelli -Che c'è?- mi chiese

-Il sole non è l'unico spettacolo stamattina- sussurrai. E davvero credevo che lo stesso Apollo non fosse paragonabile ad Achille, anche se il solo pensiero costituiva un gravissimo atto di hybris, di tracotanza -Grazie- mormorò il mio amico. Erano i riflessi dell'alba o... possibile che fosse arrossito? Teneva gli occhi fissi sull'orizzonte, ma si vedeva che non era più catturato dallo spettacolo come prima. Quando si azzardò a lanciarmi un'altra occhiata io lo stavo ancora osservando. Il movimento portò alle mie narici l'odore della sua pelle, intossicante come un veleno e delizioso come ambrosia -Patroclo...- iniziò, ma poi si interruppe e scosse la testa come a voler cacciare dei dubbi fastidiosi. Io lo aspettavo, con la testa leggermente reclinata e sulle labbra un sorriso. Aspettavo che nella sua adorabile testolina bionda prendesse forma il pensiero che io potevo veder aleggiare tra di noi. Aspettavo che si decidesse a baciarmi. Se l'avessi prevenuto, orgoglioso com'era, avrebbe potuto avercela con me per tutta la vita. Era da un po' che lo voleva fare ed io non aspettavo altro. Avvicinò il suo volto al mio con una lentezza esasperante guardandomi fisso negli occhi. Io continuai a sorridere finché le mie labbra non incontrarono le sue. Allora mi persi nella sensazione di quel bacio che da timido divenne presto irruento, di quelle labbra ancora fresche di ragazzo, di quella lingua combattiva e dolce come il suo proprietario... spinsi Achille in modo che si trovasse sdraiato sotto di me, senza allontanare neppure per un attimo il mio viso dal suo. Mi strinse in un abbraccio forte, mentre io gli portai una mano dietro la testa per tenerlo intrappolato in quel bacio. Ci staccammo dopo un tempo infinito -Tu sai già...- iniziai esitante. Qualunque parola pronunciata con quelle labbra ancora pulsanti per la violenza del nostro primo bacio sembrava superflua ed inopportuna -Tu sai che io ti seguirò ovunque, in qualunque impresa intraprenderai. Sai che ci sarò sempre per te. Lo sai, vero?- Achille annuì e sorrise -So che sei speciale. Il fato sapeva ciò che faceva quando ti ha mandato qui-



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Spero di non aver reso i miei eroi troppo OOC. Credo di no comunque, perché bisogna contare che questa parte è ambientata quando loro sono molto giovani. Però ditemi com'è perché a me piace, però... non saprei... e siccome mentre scrivevo questo capitolo non avevo i miei biscotti al cioccolato da fanfiction ho bisogno di tante tante recensioni O.O

Pluma grazie mille della recensione. Credo di averla più o meno capita, e mi hai spronato a rileggere e migliorare il mio lavoro, ed è anche per questo che ci ho messo tanto ad aggiornare. Non ti chiedevo certo di riaggiungere la storia ai preferiti se non ti convince, perché credo che il nostro tempo sia prezioso e non sia giusto usarlo in cose che non ci convincono.

Regina di Picche grazie mille anche a te, perché se le critiche costruttive sono utili, i complimenti fanno un piacere immenso e mi spronano a continuare! :-)

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Capitolo 8
*** Elena ***


IO, ACHILLE


Dopo quel bacio in fondo non cambiò molto per Patroclo e me. Da tempo ormai eravamo molto uniti: “un'anima in due corpi”, come ripeteva sempre mia madre. Trascorrevamo insieme la maggior parte del nostro tempo: ci allenavamo nell'uso delle armi coi nostri coetanei, giocavamo e ci sfidavamo, e seguivamo insieme le lezioni di Fenice, il mio maestro. Per una falsa accusa era stato scacciato dalla sua terra e suo padre l'aveva maledetto, condannandolo a non poter avere figli. E così era stato; anche per questo mi si era affezionato moltissimo. Era come un padre per me, forse anche più di quanto non lo fosse Peleo. Con ciò non sto dicendo che egli non fosse un buon genitore: nel nostro tempo il rapporto coi padri era totalmente diverso da ciò che è nel vostro, e Peleo era il re dell'isola ed il signore del palazzo, non aveva certo tempo di essere affettuoso, né sarebbe stato decoroso esserlo. Sin da quando ero bambino Fenice mi prendeva sulle ginocchia e mi narrava le storie della sua infanzia e le imprese degli eroi. Io potevo trascorrere ore ad ascoltarlo estasiato. Quando fui più grande mi insegnò a leggere e a scrivere e molte altre cose. Giurò che non mi avrebbe mai abbandonato, ed infatti mi seguì sino a Troia.

Ho detto che non cambiò molto, ma un differenza molto visibile in realtà c'era: Patroclo sorrideva più spesso.



IO, PATROCLO


Dopo quella bellissima alba trascorsa insieme vedevo Achille più tranquillo e nello stesso tempo un tantino scontento. Capivo bene il perché: era felice, ma nello stesso tempo gli sarebbe piaciuto essere superiore agli affetti dei comuni mortali. Avrebbe voluto essere invincibile, invece quando gli sorridevo vedevo bene che non avrebbe potuto rifiutarmi nulla. Ero il suo nemico preferito.

Una sera eravamo sdraiati su due letti del salone dei banchetti deserto a parlare -Hai sentito parlare di una certa Elena?- mi domandò

-Ma chi? La figlia di Zeus e Leda?-

-Proprio lei. Si dice che sia la donna più bella del mondo-

-L'ho sentito dire. Sarei molto curioso di vederla-

-Magari mi somiglia- scherzò Achille -In fondo siamo lontanamente parenti (il nonno di Achille è anch'egli figlio di Zeus. NdA)-

-Seee- lo presi in giro allungando la mano per dargli un buffetto su una guancia -se ti somigliasse sarebbe messa molto male, poverina- il mio amico mi rispose con una pernacchia ed una ripicca:-Allora non ti racconto cosa è successo...-

-Avanti, dimmi, per favore-

-Va bene, ma solo per questa volta. Non puoi permetterti di insultarmi, sai? Dovresti temermi: ormai nella lotta non mi batti più-

-Va bene, o grande guerriero, io ti temo e ti venero- Achille sbuffò e proseguì: -Si è sposata. Pare che l'abbiano chiesta in sposa tutti i re, ma alla fine il suo patrigno Tindareo l'ha concessa a Menelao-

-Era ovvio- risposi -È il più ricco e potente!-

-Sì ma Tindareo temeva di scontentare gli altri ed attirarsi inimicizie o di vedersi scatenare una guerra dentro la sua casa, dove erano ospiti tutti i pretendenti-

-Ma dai, Achille, una guerra per una donna, che esagerato. Chi vuoi che abbia un'idea simile?-

-Se ne vale la pena...- insistette lui -Comunque Odisseo, il re di Itaca ha proposto a Tindareo di suggerirgli una soluzione, ma solo a patto che questi, che è molto potente, lo aiutasse a sposare una certa Penelope, figlia di Icario-

-E cosa ha suggerito?-

-Semplicemente di far giurare solennemente a tutti di proteggere il futuro sposo di Elena-

-Ah!- esclamai -Così Menelao oltre ad una moglie ha guadagnato parecchi alleati-



IO, ELENA


Mia è la colpa della guerra di Troia, dicono.

Certo. E' sempre colpa di una donna. Il fatto che quei pazzi pieni di testosterone abbiano una gran voglia di scannarsi a vicenda è colpa di una donna. Io. Colpa mia, e della mia stramaledetta bellezza. Io, sorella di Castore e Polluce, figlia di Zeus. Io, Elena, la cagna che ha abbandonato il marito e la figlioletta per seguire un principe troiano. Per seguire l'amore. Oh, sì l'amore è proprio una sciocchezza, soprattutto per una che a quindici anni aveva dovuto sposare un uomo molto più vecchio di lei, e a diciassette aveva messo al mondo la sua prima figlia. Perché questa era stata la mia vita, e sarebbe rimasta tale. Non mi sarebbe mai venuto in mente di obbiettare. Ero felice del fatto che mio marito mi trattasse con un certo rispetto, di poter vivere in un ricco palazzo e di aver avuto una figlia splendida e sana. Non mi mancava nulla. Eppure ho seguito Paride, perché dal momento in cui l'ho incontrato ho capito che la vita poteva non essere solo un susseguirsi di giornate non spiacevoli, ma qualcosa di meraviglioso per cui ringraziare gli dei ogni mattina. L'ho seguito tra gioia e rimpianti, e lasciando molte lacrime sul mio cammino. A Troia ero solo una straniera, disprezzata da molti per il male che secondo loro avevo arrecato. Come se avessi stregato Paride e lui non condividesse la mia colpa, il vigliacco! Sì, lo dico ad alta voce che mio marito era un codardo. L'amore non mi aveva resa cieca, e forse sarebbe stato meglio davvero essere una stolta per non capire che il mio nome ed il mio onore erano usati come scusa per una carneficina.



IO, PATROCLO


Allora non sapevamo ancora che proprio a causa di quell'Elena della quale in fondo poco ci importava avremmo combattuto per dieci anni. Parlammo invece di matrimoni e di donne. Achille era curioso di sapere qualcosa sui piaceri della carne, ma esitava a porre domande, poiché non voleva sembrare un bambino. Io avevo già avuto amanti; inizialmente più perché era costume farlo, poi perché avevo imparato ad apprezzare -Presto anche tu avrai il tuo bel daffare, Achille. Sei bello, e soprattutto sei un principe. Dozzine di donne cadranno ai tuoi piedi. Stai solo attento che qualcuna non voglia sposarti!- ridacchiai

-Di certo piacerebbe ad ognuna. Invece mi domando chi mai potrebbe voler sposare te, e poi sopportarti per tutta la vita- mi prese in giro affettuosamente, venendo a sdraiarsi accanto a me -Mi pare- lo apostrofai -che tu mi sopporti più che volentieri-

-Eh,- sospirò lui -mi richiede un grande sforzo- gli scompigliai la chioma bionda e ribelle -Sono felice che tu compia questo sforzo, Achille- ci baciammo, interrompendoci solo per prenderci in giro e ricordarci quanto bene ci volevamo. Ero felice di sentire le sue labbra sulle mie ed il suo corpo solido e caldo stretto al mio.



IO, DEIDAMIA


Cosa volete sapere da me, ombra di una semplice fanciulla? Ah, mi chiedete del nobile Achille... Se volete sentire di gesta eroiche non sono affatto la persona a cui chiedere, ma se desiderate invece conoscere del tempo prima della gloria, dell'età spensierata di Achille, allora c'è qualcosa che posso narrarvi. Ma badate, io per lui non fui che una cortigiana, mai ebbi il privilegio del suo amore o delle sue confidenze.

Peleo faceva partecipare ai banchetti suo figlio sin da quando aveva tredici anni. Voleva che imparasse presto i piaceri ed i doveri di un nobile, che in quelle occasioni si intrecciavano strettamente. Il buon cibo ed il vino erano molto apprezzati, e, davanti ai succulenti piatti di selvaggina, si discuteva di politica e si tessevano alleanze. Queste ultime erano fondamentali, e persino una donna come me poteva saperlo. Alcuni regni erano più potenti degli altri, ma non esisteva all'epoca una potenza sufficientemente forte nell'area compresa tra lo Ionio ed il mar Nero da potersi dire totalmente indipendente dai suoi alleati. Naturalmente parte integrante dei banchetti erano danzatrici e suonatori per intrattenere gli ospiti fino al mattino. A sedici anni, io ero tra le donne più belle e desiderate dell'isola e prendevo parte ad ogni festa. Potevo conversare in maniera raffinata ed ero esperta nella arti dell'amore, sapevo suonare il flauto e danzare con una grazia che in molti, esagerando, paragonavano a quella della Musa Tersicore. Quando Achille aveva quattordici anni, Peleo decise che era tempo per il ragazzo di conoscere i piaceri dell'amore. Desiderava per suo figlio la migliore, ed io fui la prescelta.


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Scusate la brevità del capitolo, ma la scuola mi dà abbastanza da fare, e sto scrivendo anche un sacco di altre cose. Comunque dei ed eroi sono sempre nei miei pensieri e non abbandono la fic.

Grazie ad Artemis00, Caillean e Pluma per avere questa storia nei preferiti

Regina di Picche Sono molto molto felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto:-) e tranquilla, meglio tardi che mai! Anche io sono stata lentissima ad aggiornare... ed anch'io ho avuto dei problemi con internet (maledetta fastweb!).
Ma no, dai, non sei ignorante, è facilissimo pensare che Patroclo sia più giovane dato che Achille è il più forte, e questa è anche la versione che dà il film Troy, che però non si attiene molto all'epica classica. Non si sa precisamente di quanti anni più grande fosse, comunque ti cito per esempio l'Iliade (libro XI, vv. da 786 a 789), Menezio parla a Patroclo: “Figlio mio, Achille ti è superiore per stirpe, ma tu sei più anziano. Lui è molto più forte; tu devi dirgli sagge parole, consigliarlo, guidarlo, e lui ti darà retta per il suo bene”
P.S. Ho controllato meglio sul mio meraviglioso librone e, in effetti, dato che la discendenza di Patroclo è incerta ed i nobili erano tutti imparentati tra loro, c'è una versione che lo dà come cugino di Achille, ma non è quella che compare nell'Iliade.

Pluma Sono strafelice di essere riuscita a migliorare questa fic e a “creare” un mio Achile!
Secondo me Ulisse non è né un pessimo marito né un pessimo padre, tutt'al più è un gran bastardo coi nemici e a volte persino con gli amici, però insomma si sa che nella mitologia greca di santi non ce n'erano.
Ho apprezzato molto la recensione lunga e articolata, davvero, è così che dovrebbero essere. E grazie per i complimenti!

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Capitolo 9
*** IO, DEIDAMIA ***


IO, DEIDAMIA


Era stato organizzato un banchetto, uno dei più sontuosi che si fossero visti negli ultimi anni a Ftia. Era in quell'occasione che io sarei stata offerta ad Achille. Ne ero felice, poiché era giovane e bello, ed inoltre il mio compenso sarebbe stato ottimo. Ma le cose non andarono come previsto. Il giorno precedente ci fu detto che era stato annullato tutto. Scoprii in seguito che Teti, la regina, aveva deciso proprio allora di abbandonare il palazzo e tornare a vivere nel regno sottomarino di suo padre Nereo. Si diceva che non volesse veder invecchiare il suo sposo, o che avesse litigato con lui. In ogni caso, il banchetto era stato solo rimandato e si sarebbe svolto in pompa magna qualche settimana più tardi.

Alcuni schiavi mescevano il vino nelle coppe, diluito con acqua e miele, altri servivano le numerose pietanze a base principalmente di carne, accompagnate da focacce e formaggi e salse esotiche. Il profumo del cinghiale arrostito, e del pavone in umido e di mille altre prelibatezze mi stuzzicava le narici mentre facevo il mio ingresso nella sala a seguito delle mie compagne. Nonostante la mia bassa condizione sociale avevo spesso assaggiato quei cibi raffinati: non me li potevo certo permettere, ma spesso mi venivano offerti dai commensali particolarmente soddisfatti delle danze o ne sgraffignavo gli avanzi dalle cucine, dove nessun servetto poteva resistere al mio sbatter di ciglia. Iniziai a ballare, muovendomi leggera al ritmo dei flauti e dei tamburelli. I miei passi si incrociavano armoniosamente con quelli delle altre danzatrici. Lasciai cadere la stola che mi copriva le spalle, restando solo col corto chitone azzurrino, la cui stoffa ondeggiava sulle mie cosce ad ogni movimento. Eseguii un piccolo balzo ed i miei piedi scalzi toccarono il pavimento di pietra proprio di fronte al letto del principe. Mentre la musica rallentava chinai la schiena in modo tale da lasciar scivolare gli sguardi all'interno della mia scollatura. Mi azzardai ad alzare gli occhi ed intercettai quelli di Achille, che mi osservava affascinato. A quel punto ero certa che mi avrebbe osservata con particolare attenzione per il resto della serata. La musica ricominciò ad un ritmo sfrenato ed io piroettai tra i letti, svelta come una gazzella. La crocchia che mi tratteneva i capelli sulla nuca si sciolse rivelando una ribelle cascata castana. Eseguii una capriola passando tra due mie compagne; mi rimisi in piedi sulle ultime, flebili note dei flauti ed alzai graziosamente le braccia per poi inchinarmi. Fui molto applaudita. Tutte noi andammo a sederci vicino a qualcuno, per riposarci prima della prossima danza ed iniziare a conversare con gli uomini. Io mi accoccolai sul pavimento davanti al letto del principe Achille, appoggiandovi la schiena. Questi mi passò una mano tra i capelli e mi chiese gentilmente il mio nome -Deidamia, per servirvi- egli accennò un sorriso, ben sapendo che genere di servigi potesse offrirgli una come me. Probabilmente aveva già sentito il mio nome, o forse mi aveva già vista ad un altro banchetto. Il vino e le danze continuarono a fluire liberamente, gli uomini chiacchieravano tra loro mentre le mie compagne si strusciavano contro di loro già mezze nude, o fingevano di sfuggire le mani avide di coloro coi quali avrebbero trascorso la notte. Può apparirvi squallido, può urtare il vostro falso senso del pudore o la vostra strana morale, ma quelle erano le migliori feste della Grecia. A voi moderni la mia vita può apparire ben misera, ma in realtà a me andava bene. Non dovevo spaccarmi la schiena tutto il giorno sotto il sole rischiando anche le frustate, o peggio morire lentamente in una miniera. Ero pagata per dare quello che, se fossi stata una schiava qualunque, probabilmente i miei padroni si sarebbero presi con la forza. Senza contare che godevo di una libertà di movimento nettamente maggiore rispetto alle donne perbene e ricche, confinate nei ginecei.

Mi sdraiai accanto ad Achille, mentre questi intavolava una discussione alquanto sconnessa col suo amico Patroclo -Io non sono affatto ubriaco- affermò ad un certo punto quest'ultimo, ed il principe rispose: -Io di certo non lo sono...- poi scoppiò a ridere -ma secondo me tu lo sei!-

-Taci, piccoletto!- ribatté offeso il giovane, rischiando di far cadere giù dal letto la danzatrice che era con lui per il movimento improvviso che aveva accompagnato quelle parole -Non chiamarmi mai più così!- sbottò Achille, poi si rivolse a me -Vuoi accompagnarmi nella mia stanza e lasciare questo povero ubriacone alla sua coppa, Deidamia?- mi chiese. Nonostante l'ironia nelle sue parole rivolse all'amico un sorriso sincero e gli diede una sonora pacca su una spalla. Patroclo lo salutò strizzandogli l'occhio. Ero rimasta colpita dal fatto che mi avesse chiamata per nome. In molti non lo facevano per puro senso di superiorità, altri semplicemente lo dimenticavano dopo due coppe di vino.



IO, ACHILLE


Mi sentivo la testa piacevolmente leggera e non credo fosse solo a causa del vino. La ragazza si appoggiava languidamente a me mentre camminava. Uscendo dalla sala passai accanto a mio padre, il quale mi strizzò l'occhio con approvazione. L'aria fresca e priva di odori del corridoio, il silenzio e la penombra costituivano un grande contrasto con l'affollato salone dei banchetti. Giungemmo alla mia stanza ed entrammo senza scambiarci una parola. Non appena la porta fu chiusa alle nostre spalle, Deidamia iniziò a slacciare lentamente le fibbie che chiudevano la mia tunica, sfiorandomi con le sue dita sottili. Io le sfilai il vestito e potei osservare quelle forme perfette che durante la danza avevo potuto solo cogliere di sfuggita. Il respiro mi si mozzava in gola mentre il mio sangue sembrava girare impazzito per farmi bruciare dall'interno. Fu lei a condurmi a letto prendendomi una mano. Si distese con un movimento fluido e sensuale, fissandomi con espressione indecifrabile ed un sorriso strano ma invitante. Mi chinai sul suo volto ed accarezzai quelle guance lisce. La baciai sul collo e lei rabbrividì. Mi chiesi se fingesse, me poi le sue mani mi fecero dimenticare ogni cosa. Mi spinse e si sistemò sopra di me. La sua pelle quasi riluceva nella semioscurità della camera, e le sue curve morbide parevano quelle di Venere in persona. Il suo corpo caldo premeva sopra il mio, facendomi letteralmente impazzire.



IO, DEIDAMIA


Mi svegliai il mattino successivo ancora appoggiata ad Achille, il cui respiro regolare era l'unico, flebile, rumore della stanza. Ci eravamo addormentati sfiniti in quell'esatta posizione. Il mio innato disprezzo per gli uomini, ricchi e nobili in particolare, mi aveva sempre salvato dalla pericolosa possibilità di affezionarmi a loro, e per il principe non facevo eccezione, ma per quanto inesperto dovevo ammettere che era stato un ottimo amante, nonché il più vicino alla mia età che avessi mai avuto. Con un po' di allenamento, del quale naturalmente mi sarei incaricata io, sarebbe diventato il sogno di ogni donna.

Quando si svolgeva un banchetto noi trovavamo nuovi amanti, ma spesso restavamo, per così dire, fedeli ad un uomo solo anche per lunghi periodi, vivendo come servitrici presso di loro, magari persino come cameriere delle loro mogli e visitandoli ogni notte. Era un accordo comodo sia per noi che per loro, e così sarebbe stato anche quella volta. Non ne immaginavo le conseguenze, nonostante ciò che i maligni potrebbero insinuare...


Vissi a palazzo in quel periodo. Ero libera da quasi tutte le incombenze della casa e non avevo preoccupazioni economiche. Ero, e sarei sempre stata, una schiava, ma una schiava fortunata e ben trattata. Il giovane Achille era sempre gentile con me e imparando a conoscerlo scoprii che era molto orgoglioso, e persino permaloso, ma non gettava disprezzo addosso a coloro che non erano nobili come lui, cosa che invece altri signori facevano. Ma lui era convinto, probabilmente a ragione, di essere di gran lunga superiore anche a costoro. Era anche, tratto comune a tutti coloro che non dovevano guadagnarsi da vivere, molto viziato, ma fortunatamente per la servitù non era dispotico né pignolo. Era però facile farlo arrabbiare, anche se la sua collera, specie se Patroclo era nelle vicinanze, sbolliva in fretta. Patroclo... somigliava un po' ad Achille, ma la vicinanza col giovane semidio gli aveva insegnato una certa modestia, che gli conferiva un'aria simpatica e nient'affatto boriosa. Inoltre aveva sempre una parola gentile per chiunque e metà delle servette di palazzo erano pazze di lui. L'altra metà naturalmente sognava il principe.


Erano passati quasi tre mesi dalla sera in cui Achille mi aveva fatta sua per la prima volta. Prima di lui... no, non era possibile, riflettei. La conclusione a cui ero giunta non era delle più felici: ero incinta. Avevo la certezza che il padre fosse Achille, il che sarebbe stato una fortuna se solo la mia parola fosse valsa a qualcosa. In ogni caso dovevo almeno tentare di parlargli. Se ciò non fosse servito, almeno sarei riuscita a scucirgli i soldi per un aborto. Nessuno mi aveva spiegato come mi sarei dovuta sentire in una situazione simile, né cosa avrei dovuto fare. E non sapevo cosa provare. Oltre ad essere terrorizzata da qualunque cosa fosse successa, di tenere il... bambino o no, non riuscivo bene a riflettere su cosa mi succedeva. La mia freddezza e la mia lucidità furono messe a dura prova. Fu con timore che mi recai da lui per parlargli. Un servitore mi accolse trattandomi con aria di sufficienza mi annunciò al giovane principe.

-Salve- salutai timidamente

-Salve- mi rispose lui, freddamente ma con un interessamento non falso -Come mai qui?- mi mordicchiai il labbro inferiore cercando di trovare un modo convincente di iniziare tra i mille che avevo provato la sera precedente prima di dormire. Alla fine mi decisi a comunicare semplicemente il motivo che mi aveva spinta lì: -Sono incinta- notai una strana espressione dipingersi sul bel volto di Achille e non capii cosa stava pensando.



IO, ACHILLE


Due semplici parole. Per un momento faticai a capire: era l'ultima cosa a cui pensavo al momento. Poi capii che se si rivolgeva a me ci doveva essere un motivo. Avrei avuto mille motivi per non crederle, ma mi fidavo di lei. Perché era stata la mia prima donna? Perché il suo bel visetto comune non aveva tratti da intrigante? Quell'incertezza, quell'aria di aspettare un ordine non le erano abituali e me la fecero apparire più bambina di quanto in realtà non fosse. Anzi, lei aveva due anni più di me. Ed io... io ero troppo giovane e per un momento mi sentii davvero un “piccoletto”. Non che nella nostra epoca gli uomini usassero prendersi cura dei figli -Provvederò affinché tu possa crescere il bambino- la rassicurai

-Grazie- il suo sorriso era molto dolce

-E'... sarà anche figlio mio, non c'è nulla di cui ringraziare- le risposi, forse un po' troppo bruscamente

-Se non avete altro da dirmi, posso andare?-

-Ma certo- la salutai, senza prestarle molta attenzione. Il mio pensiero si era già allontanato. Mi chiedevo cosa ne avrebbe detto mio padre. Forse era il caso che gliene parlassi. Ma in quel momento c'era una sola persona la cui compagnia desideravo veramente, ed era Patroclo. Non trovandolo nella sua stanza andai a cercarlo vicino agli alloggi dei soldati, dove si stava allenando nell'uso della spada con un anziano veterano di mio padre -Ehi, Patroclo, trovati qualcuno alla tua altezza!- lo sfidai senza neppure salutarlo. Il soldato mi cedette la spada con un sorriso ed il mio amico, senza neppure un attimo di pausa trovò di fronte un nuovo avversario -Non vale, io sono già stanco!- protestò lui -Se qualcuno ti attacca all'improvviso non ti chiede come stai- lo rimproverai cercando di simulare il tono del nostro istruttore. Patroclo tentò un affondo molto rapido, ma io lo parai in tempo, e risposi con un colpo laterale che egli fece fatica a schivare. Ci studiammo per un momento sotto gli occhi attenti del veterano. Fui io ad attaccare per primo, ma lo feci troppo lentamente ed il mio colpo andò a vuoto, cosicché per un momento mi trovai in equilibrio precario. Patroclo ne volle approfittare ma fu troppo lento. Colpo su colpo, il nostro duello proseguiva, ed io lasciavo indietreggiare il mio amico senza disarmarlo -Achille, ancora non ti sei stufato di giocare con me al gatto e il topo? Lo so che saresti più forte di me anche se non avessi lo sleale vantaggio di essere fresco e riposato- la sua pelle sudata riluceva sotto il caldo sole pomeridiano, e lui mi guardava aspettando una risposta, continuando a difendersi stancamente. Con un movimento del polso feci saltar via la sua spada e lui alzò gli occhi al cielo -Era ora!-

-Eh, no! Devi migliorare, sai? Se qualche nemico ti facesse la pelle potrei essere abbastanza dispiaciuto-


-Potrei?! Dispiaciuto?! Patroclo, ti ricordi come mi divertivo a prenderti in giro?-

-Eccome se me lo ricordo. È un'abitudine che non hai perso neanche da morto, non so se te ne accorgi- mi rinfaccia. Sbuffo, e riprendo a parlare -Se ci pensi è...-

-E' tutto collegato, è come una profezia se si sa leggerla- completa le mie parole

-Già! Non sarei stato solo un po' dispiaciuto, sarei morto per vendicarti...-

-Senti Achille, è inutile che tu mi dica ora che mi volevi bene, lo so da me. Risparmiati il miele per metterlo nel vino-

-Almeno ce ne fosse di vino quaggiù... Forse è il caso di riprendere la narrazione o quelli di sopra si stuferanno-


-Che c'è?- mi chiese Patroclo con un tono falsamente scocciato -Che accidenti devi dirmi? Di solito mi batti molto più in fretta...- io lo fissai per un attimo sbigottito. In effetti non mi sarei dovuto stupire più di tanto neppure se mi avesse letto nel pensiero, ma la sua capacità di capirmi così bene è sempre stata un mistero per me -Dato che non sembri propenso ad esprimere un pensiero coerente, mio grandissimo guerriero, io proporrei di andare al fiume a darci una lavata, giusto per non puzzare come dei cavalli- e si avviò senza darmi il tempo di rispondere. Lo seguii e, mentre camminavamo fianco a fianco iniziai a parlare -Hai presente Deidamia?-

-Eccome. Ne hai parlato in un modo... e poi dopo averla vista danzare è difficile dimenticarla. Perché me lo chiedi?-

-E' incinta- gli risposi senza pensare. Mi resi conto di quello che gli avevo detto solo davanti al suo sguardo stupito. Nel frattempo eravamo giunti al fiume e Patroclo si era riavuto dalla sorpresa -Ah, ti sei fatto fregare da una di quelle intriganti, piccoletto! Lo fanno apposta per spillarti soldi. Credi che non potrebbero evitarlo se volessero?-

-Primo:- sibilai -non chiamarmi “piccoletto”- ricordarmi la mia età era il suo meschino modo di vendicarsi per il fatto che lo superavo praticamente in tutto -secondo: mai farti cogliere distratto da un nemico-

-Quale nemico?- fece in tempo a chiedere prima che lo facessi cadere nell'acqua ancora tutto vestito

-Per esempio il tuo migliore amico che hai appena insultato, e della cui amante tu diffidi-

-Andiamo, Achille, non te la sarai presa per quello che ho detto su di lei? È la pura verità: così fanno quelle- si difese mentre lanciava la tunica fuori dall'acqua

-Non sarai geloso?- gli chiesi parafrasando il suo tono, col quale gli pareva di aver chiesto un'ovvietà. Per un momento sembrò che dovesse affogare per la sorpresa, poi rispose: -Ti piacerebbe, eh?-

-Tu sei tutto scemo- gli risposi tuffandomi a mia volta nelle acque fresche. Restai sotto la superficie per un attimo, poi riemersi schizzando tutto intorno -Chi ti credi di essere, mia moglie?-

-Che gli dei me ne scampino! E poi ti ho detto che non è così. Semmai eri tu che, prima che arrivasse Deidamia, mi guardavi con certi occhi se solo si nominava una donna... eri invidiosissimo, quanto ti rodeva...- interruppi il suoi sghignazzo tentando di affogarlo. Quando riemerse, arrabbiato e sputacchiante, mi si avvicinò minaccioso -Abbiamo già avuto il nostro duello oggi, cerchiamo di non farci del male per il resto della giornata, dai. La rivincita te la do domani, va bene?-



IO, PATROCLO


In quel momento l'avrei annegato molto, molto volentieri. Eravamo inseparabili, vero, ci volevamo in bene dell'anima, vero anche questo, ma Achille era la persona che più al mondo riusciva ad innervosirmi. Sebbene sapessi di non doverci cascare era inevitabile. Quando poi mi chiedeva di fare pace alla fine cedevo quasi sempre, perché sapevo che altrimenti saremmo finiti a darcele di santa ragione... anzi, per la precisione, io le avrei prese -Va bene. E domani ci battiamo veramente alla pari, chiaro?-

-Sissignore- ci fu un momento di silenzio, poi chiesi: -Peleo lo sa?-

-Ancora no. Secondo te che mi dice?-

-”Achille, come ti salta in mente di iniziare a generare bastardi già così giovane?- tuonai in una grossolana imitazione del re -Quando morirai scatenerai una guerra civile se continui così!”-

-Padre...- iniziò lui ridendo, poi si fece serio -Le ho detto che avrà tutto ciò che le serve per crescere il bambino-

-Il che, ritornando al discorso di prima, è quello che vogliono tutte, ovvero farsi mantenere- insistetti. Sapevo che Achille non era un ingenuo, ma ritenevo comunque mio dovere metterlo in guardia. Conoscevo persone che avevano parecchi figli sparsi da diverse donne, e non sempre tutto si risolveva facilmente. O conoscevo di quelle intriganti assetate di potere che salivano la scala gerarchica di letto in letto e magari trovavano persino qualcuno così pazzo da sposarle, anche solo come seconde o terze mogli. Non che ritenessi Deidamia una di queste -Sappi che non le biasimo affatto. In ogni caso credo che tu abbia fatto bene così... Poi si vedrà quando nasce. Se è davvero figlio tuo sarà particolarmente snervante- aggiunsi acidamente. Un figlio: non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea di una specie di Achille in miniatura che scorrazzava in giro, anche se non era affatto certo che sarebbe stato così.

-Ma senti chi parla! Io snervante?-

-Sì, proprio tu, e non far finta di non saperlo- il mio amico semplicemente si allontanò a nuoto di qualche metro, senza prendersi il disturbo di negare. Io nuotai lentamente in direzione opposta, godendomi il fresco delle onde ed il caldo del sole. Mi fermai galleggiando sulla schiena con gli occhi chiusi e Achille mi si avvicinò -Hai ragione, con te mi viene molto facile essere insopportabile. Ti capisco quando mi rispondi male, sai?- io restai immobile, quasi preoccupato. Era la cosa più simile a delle scuse che avessi mai sentito da parte sua. Intuii che temeva, ebbene sì, c'era qualcosa che lui temeva, che io potessi offendermi sul serio, litigare con lui, smettere di essergli amico -E' vero, lo sei, ma io non ti lascerò mai solo- lo abbracciai forte e posai un bacio silenzioso sulla sua guancia. I nostri corpi aderivano perfettamente e solo l'acqua mi impedì di andare a fuoco. La nudità non era mai stata un problema; ai nostri tempi non lo era per nessuno. Gli atleti partecipavano nudi alle gare, solo per citare un esempio. Eppure in quel momento credo di essere arrossito. Come se l'avesse intuito, Achille allontanò il volto quel tanto che bastava per potermi osservare e mi lanciò uno sguardo degno delle migliori concubine. Ma poi si staccò e riprese a nuotare. Insomma, lasciava a me la prima mossa, quel... quel... mentre cercavo un insulto adatto mi persi osservando il moto ipnotico delle sue spalle muscolose e i miliardi di minuscoli schizzi che sollevavano. Si girò e venne verso di me. Alcune ciocche di capelli bagnati si erano attaccate al contorno del suo volto, mettendo in risalto le ossa degli zigomi e la sua espressione decisa. Quando mi passò vicino lo bloccai e lo portai a riva; egli mi lasciò fare. Ci stendemmo ad asciugarci ed io approfittai della sua immobilità per baciare le sue labbra. Il contatto mi era mancato. Erano forse pochi giorni che non accadeva, ma ogni volta era più intossicante della precedente. Achille rispose al bacio, passandomi la lingua sulle labbra e poi mordendole per gioco, e facendo incontrare le nostre lingue. Ero semi sdraiato, poggiato sui gomiti; fui trascinato a terra, ma mi alzai un attimo dopo, ansimante, per recuperare i miei abiti, ormai asciutti, e quelli di Achille, che gli lanciai poco cerimoniosamente -Andiamo, conosco un posto molto più bello di questo- gli dissi

-Più... tranquillo?-

-Non ci passa mai nessuno-


-E' stata la prima volta che ho fatto l'amore con amore, anche se ancora non lo sapevo- mi interrompe Achille

-Anche per me- gli rispondo, ma non c'è neanche bisogno di dirlo. Il suo volto scarmigliato e le sue labbra gonfie di baci sono una delle memorie più tenere che conservo, sebbene il momento proprio tenero non sia stato. E le foglie che abbiamo trovato nei nostri capelli per giorni e giorni...


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Pluma no, non ho idea di cosa significhi il nome Deidamia.

Artemis00 oh, grazie dei complimenti! Ulisse e Diomede?? Questa mi giunge nuova, ed anche molto interessante. In effetti, quei due, sempre a compiere imprese insieme... Ora che me l'hai detto credo che qualcosa ce lo metterò.

Regina di Picche prego, è un piacere spulciare il mio caro vecchio librone per diffondere il Sapere :-P Graziegrazie, troppi complimenti!

Puntiglio mitologico

In “realtà” Deidamia sarebbe una figlia del re di Sciro, un'isola dove Achille si reca subito prima di partire per Troia. Ma è alquanto difficile coniugare questo ed il fatto che Nettolemo, il figlio di Achille, (come narra anche Enea a Didone nell'Eneide) è tra i primi ad entrare a Troia e compie atti efferati durante il saccheggio. Ora, se l'assedio è durato dieci anni, significa che quella è anche l'età del figlio di Achille. Un tantino improbabile che un bambino combatta, non trovate? Inoltre mi stupiva molto il fatto che una principessa potesse mettere al mondo un figlio pur non essendo sposata e che nessuno se ne preoccupasse, senza contare la difficoltà dei contatti tra uomini e donne nelle classi sociali più elevate.
Insomma, tutto ciò per giustificare il mio cambiamento rispetto ai miti originali.

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Capitolo 10
*** Un concorso di bellezza ***


IO, PARIDE


Vivevo ancora sui monto coi miei genitori adottivi senza conoscere le mie vere origini, ma mostravo già di essere diverso dagli altri figli dei contadini. Una volta avevo salvato mio padre ed altri suoi amici da una banda di briganti che volevano rubar loro il bestiame, guadagnandomi il soprannome di Alessandro, che significa appunto protettore dell'uomo. La cosa aveva fatto grande impressione e mi aveva procurato una discreta fama, ma in realtà mi erano bastate un po' di astuzia e la mia buona mira con la fionda. E, devo confessarlo, le informazioni della bella ninfa Enone, signora di quei boschi. Ella si era innamorata di me; io non potevo dire lo stesso, ma la sua grazia ed il suo fascino mi avevano sedotto, senza contare l'orgoglio che mi provocava l'essere stato scelto come amante da una divinità, io, un semplice ragazzo di campagna.

Quando avevo circa quattordici anni, accadde qualcosa che mutò per sempre il corso della mia vita. Come voi di certo saprete, poco dopo la mia nascita Eris aveva gettato il pomo della discordia con la famosa scritta “alla più bella”, titolo che Era, Atena ed Afrodite si litigavano da sempre. Io ero colui che Zeus aveva scelto per dirimere la contesa. Così, mentre un giorno conducevo al pascolo la mandria di mio padre, incontrai sul mio cammino Ermes, il messaggero degli dei. Dapprima fui spaventato poiché uno dei suoi compiti è quello di condurre le anime all'Ade, ma egli mi rassicurò -Sappiamo che hai un cuore nobile e puro, e per questo c'è un compito che ti aspetta- mi narrò brevemente del disastroso banchetto nuziale, senza però rivelarmi le mie vere origini. Poi condusse le tre dee di fronte a me, proprio sui pascoli sui quali camminavo sin da bambino, a me tanto familiari. Ed il contrasto che esse facevano col paesaggio circostante contribuiva a renderle ancor più splendide. Rimasi a bocca aperta, zitto e intimidito -Forza, Paride, devi assegnare questo pomo ad una di loro- incitò Ermes porgendomi uno strano oggetto sferico, terribilmente pesante: non avevo mai visto tanto oro tutto insieme. Il metallo freddo si adattava bene al palmo della mia mano, ed io restai ancora un attimo a soppesarlo, curioso -Ehm... ma... io non so come giudicare- mi rivolsi ad Ermes poiché era l'unico ad aver parlato fino a quel momento -Per... per esempio: devono essere nude o vestite?- il dio mi sorrise malizioso e scuotendo i bei riccioli rispose che potevo scegliere, non c'erano regole prestabilite. Allora io, facendomi coraggio, mi avvicinai alle tre divinità, che erano rimaste indietro rispetto ad Ermes -Signore, sarò costretto a scegliere una di voi, ma sappiate che siete le più belle creature sulle quali io abbia mai posato gli occhi-

-Come sei galante- commentò Atena con un sorriso

-Già, sembri un vero principe- si fece avanti Afrodite sbattendo le lunghe ciglia

-Inizi subito a farci dei complimenti- la interruppe Era -ma ciò che noi vogliamo è una decisione- le sue parole scatenarono nuovamente un litigio che probabilmente continuava, pur con varie interruzioni, da secoli. Io mossi un passo indietro, ma il messaggero mi bloccò -Non farti spaventare. Ti converrà chiedere loro di lasciarsi esaminare una alla volta, così non ti distrarranno coi loro litigi-

-Vi prego- iniziai -vi prego, non serve prendersela. Devo poter riflettere bene e con calma. Se è possibile, vorrei potervi vedere senza abiti- le tre si spogliarono in fretta, libere di ogni pudore, mostrando fiere i loro corpi ben fatti -Afrodite! Devi toglierti la cintura che fa innamorare tutti di te, è uno sleale vantaggio- rimproverò Atena con cipiglio severo

-E tu allora? Levati immediatamente l'elmo. Senza sei orribile-

-Orribile a chi?- fortunatamente fu Ermes ad intervenire, poiché io stavo per arrendermi, e dopo aver momentaneamente placato le tre si allontanò rispettosamente volgendoci le spalle. Riuscirono a restare distanti l'una dall'altra, e silenziose. Per prima mi si avvicinò la sposa di Zeus -Esaminami con cura- sussurrò, mentre girava su se stessa, lasciando che i raggi del sole sfiorassero ogni curva della sua figura perfetta, ed alzando fieramente il meraviglioso viso -E se mi giudicherai degna della mela d'oro- gettò un'occhiata cupida al frutto che tenevo in mano -ti renderò il padrone dell'Asia e l'uomo più ricco del mondo-

-Io non mi lascio comprare, mia signora- risposi con tono piatto e cortese, prima di chiamare la dea della saggezza. Ella si avvicinò con passo deciso, mettendo in mostra i suoi muscoli flessuosi che guizzavano sotto la pelle chiara, e mi puntò addosso i suoi grandi occhi azzurri. Mentre si sistemava una ciocca di capelli offrì: -Se hai tanto senno da assegnarmi il premio diverrai il più bello ed il più saggio degli uomini, vincitore di ogni battaglia-

-Ma qui non ci sono guerre- le feci notare -e il re Priamo regna incontrastato su molte terre, mia signora. Cosa mai se ne potrebbe fare un umile contadino come me dei vostri doni?-

-Tu rifletti bene- mi ammonì lei. E forse sarebbe stata una scelta ben assennata, sebbene io non rimpianga quella che ho compiuto; ero giovane, inesperto e sognatore, non avevo mai veduto una battaglia, né sapevo cosa fosse la saggezza, e per quanto riguarda la bellezza, avevo la vaga ed imprecisa sensazione di esserne provvisto. Chiamai Afrodite ed ella si avvicinò ancheggiando in maniera sensuale, ed il suo corpo candido pareva attirare la luce del sole, mentre i lunghissimi capelli biondi si spargevano lungo tutta la sua schiena. Girò su se stessa, poi tendendosi verso di me fin quasi a sfiorarmi mormorò, ignorando il mio rossore -Sei bello, Paride, molto bello. Che ci fai sepolto qui tra i monti della Frigia? Perché non pensi ad andare in città per esempio?- non capii dove volesse andare a parare, forse perché quel tono ed i suoi complimenti mi avevano distratto molto -Perché non pensi a sposare una bella donna? Una come, per esempio, Elena di Sparta? Ella non esiterebbe a lasciare la sua casa per te, ne sono certa, poiché invero tu somigli a un dio. Di certo hai sentito parlare di Elena di Sparta?-

-Mai, mia signora, ma vi sarei grato se me la descriveste-

-E' la più affascinante fra le donne mortali, e può vantare come padre lo stesso Zeus. Nacque da un uovo di cigno e la sua carnagione è chiara, i suoi capelli somigliano ai miei e in tutta la sua persona non vi è che grazia. Provocò una guerra quando era ancora bambina e tutti i principi di Grecia l'hanno chiesta in sposa; ora è moglie di Menelao, re di Sparta, ma può essere tua se la desideri- tutte quelle parole che la dea mi soffiava nel cuore eccitarono la mia fantasia. Nominava terre lontane come promesse di qualcosa di insondabile e meraviglioso, parlava di una donna ammaliante, e faceva mostra della propria bellezza in modo tanto sfacciato da risultare gradevole. Già mi vedevo in un futuro radioso quando un dubbio mi prese -Ma se è sposata?- Afrodite emise una risata argentina, chiudendo gli occhi e gettando il capo all'indietro, forse per evidenziare il suo morbido collo -Non sai, giovane Paride, che è proprio mio compito preoccuparmi di questioni simili? Se io lo desidero un matrimonio non è un impedimento-

-Mi potete giurare che ella mi amerà ed io amerò lei di tutto cuore?- esclamai al colmo delle gioia

-Certamente. Vedrai che presto il tuo destino ti condurrà in Grecia, presso Menelao. Mio figlio Eros verrà con te e porterà le sue letali frecce...- prima ancora che potessi finire la frase le porsi la mela -E' lei la vincitrice- annunciai -La più bella tra le dee immortali- Era e Atena, che sino a quel momento non si erano rivolte la parola, si rivestirono in fretta e si allontanarono a braccetto, complottando sventure contro di me ed il mio popolo, e pianificando la distruzione di Troia. Afrodite mi rivolse un sorriso radioso prima di allontanarsi anche lei. Mi parve tutto un sogno, e non potevo esser certo di nulla; della ninfa Enone mi ero scordato completamente, anche se lei invece si sarebbe ricordata di me fino alla fine.

-In ogni caso, sarebbero rimaste in due ad odiarti- commentò lconico il messaggero degli dei, tornando verso di me -Addio-



IO, ACHILLE


Mio padre reagì alla notizia della gravidanza di Deidamia quasi come Patroclo aveva predetto, senza prenderla troppo sul serio. Approvò la mia decisione di farle tenere il bambino. Poi, mentre me ne stavo andando mi posò una mano su una spalla -L'hai detto a tua madre?-

-Ancora no- risposi titubante, non sapendo se ci fosse un secondo fine dietro la domanda

-Prima o poi dovresti farlo. Tanto lo verrà a sapere comunque- sembra che nella sua voce ci fosse come una traccia di amarezza, ma non potevo esserne certo -Sei giovane, ragazzo mio- mi disse guardandomi fisso negli occhi -ma imparerai quanto un figlio possa essere importante, quanto possa renderti fiero... imparerai che sapere che il tuo sangue non morirà con te è di gran conforto, come è di conforto un figlio vicino nella vecchiaia. Ah,- si interruppe sorridendo -ma ai tuoi occhi sembra così lontana, non è vero? E questo ti sembra un discorso sciocco-

-No padre- gli risposi sinceramente. Stavo per proseguire, per dirgli che capivo ciò che voleva dire, ma egli mi interruppe e mi salutò con una pacca sulla schiena -E vedi di comportarti bene!- fece strizzandomi un occhio. Io sorrisi e me ne andai. I miei passi mi portarono quasi inconsciamente verso il fiume. Mi lasciai cadere sull'erba fresca lì vicino ed osservai il cielo azzurro sopra di me, e le nuvole grigie che, in lontananza, annunciavano tempesta. Gli steli d'erba mi solleticavano le guance ed il vento sembrava soffiare sopra di me senza sfiorarmi. Con un sospiro rotolai su un fianco per poi alzarmi -Madre...- borbottai -tanto saprà già tutto...- immersi le mani nell'acqua e la chiamai. Probabilmente poteva sentirmi ovunque, ma un fiume mi sembrava il luogo più adatto tramite il quale giungere dal mare. Mi stavo spruzzando qualche goccia fresca sulla faccia quando la vidi emergere come una nuvola di vapore, scintillante di riflessi -Figlio mio!- esclamò uscendo completamente dal fiume e venendo ad abbracciarmi -Mi sembra un'eternità dall'ultima volta che ti ho visto- poggiò il viso sulla mia spalla ed emise un lieve sospiro -Forse sarei dovuta venire più spesso-

-Non preoccuparti, non sono più un bambino- le sorrisi, sciogliendomi dalla sua stretta -Ma se vuoi farmi visita non sentirti... fuori posto. Dopo tutto sei ancora la regina qui- ella non mi rispose e rimase silenziosa per un attimo, prima di chiedere: -Mi hai chiamato per un motivo particolare?-

-Sì, ma suppongo che come al solito tu sappia tutto-

-Non parlarmi con quel tono offeso, Achille: tenermi informata sulla vita di mio figlio mi sembra il minimo che io possa fare-

-E' solo- spiegai, trattenendomi dallo sbuffare -che è piuttosto inquietante parlare con te. A volte fai sentire il tuo interlocutore leggermente inutile-

-Io conosco i fatti, poiché la Fama alata li porta al mio orecchio, ma non posso leggerti nel pensiero, e anche se potessi non lo farei- la ringraziai, conducendola via dalla riva del fiume per poterci sedere su dei massi lì vicini -Dunque sai già di Deidamia?-

-Certo, e ne sono felice- annuì lei con serietà ed un timido sorriso -Conosci anche tu la profezia sul tuo futuro, ed io conosco bene il tuo carattere di fuoco e la tua fierezza e temo per te...- si asciugò furtivamente una lacrima dall'occhio, prima ancora che cadesse sulla sua morbida guancia -Temevo che ti sarebbe potuto accadere qualcosa di male prima che avessi il tempo di generare un erede. Almeno mi resta questa consolazione-

-Madre, smetti di parlarmi come fossi già morto! La mia vita forse è solo un soffio in confronto alla tua, ma è comunque una vita!- non potevo sopportare di vederla così triste, di vederla piangere per me, meravigliosa e malinconica nella sua eternità immutabile, nella quale i giorni si succedevano sempre uguali, come per tutti gli dei. In fondo neanche lei, pur avendo sposato un mortale, ci capiva. Poteva solo rendersi infelice per una parte di quella sua vita eterna nelle convinzione che la morte fosse il male assoluto.


Il tempo trascorreva tranquillo, portando ben pochi cambiamenti. Avevo preso a frequentare sempre più i soldati di mio padre e partecipavo al loro stesso addestramento. Alcuni veterani si prendevano cura dei soldati più giovani, guidandoci in marce estenuanti per temprare la nostra resistenza e facendoci combattere con spade poco affilate fino allo sfinimento. Patroclo era sempre al mio fianco; sebbene non riuscisse più a battermi né nella lotta né nella corsa era l'unico col quale valesse la pena competere, il migliore tra i giovani guerrieri. L'invidia esisteva, certo, ma sapevamo tutti che avremmo dovuto combattere insieme un giorno o l'altro e che la sua abilità o la mia avrebbero potuto salvare la pelle a molti altri. Il mio mondo allora si componeva della polvere e del sudore del campo di allenamento, dei banchetti e delle sporadiche visite di mia madre.

Deidamia viveva a palazzo, ma non l'avevo più vista dopo che mi aveva detto di essere incinta. Una mattina mi alzai particolarmente presto dopo un sonno breve e agitato e mi recai a vedere l'alba sulla collina vicina al palazzo. Stavo per addormentarmi appoggiato al tronco contorto e rinsecchito di un albero quando mi venne in mente che avrei anche potuto recarmi a farle visita. Tornai di buon passo nella mia stanza e mi cambiai gli abiti sgualciti e pieni di pagliuzze, poi chiamai un servitore e gli ordinai di preparare da mangiare per due persone. Mi diressi verso l'ala del palazzo riservata alla servitù, dove alloggiava Deidamia. Bussai debolmente alla sua porta -Chi è?- mi rispose una voce sospettosa

-Sono Achille- mi parve di udire una specie di gridolino trattenuto: di certo non aspettava la mia visita, e probabilmente a quell'ora si era alzata da poco

-Un momento- chiese la voce, stavolta esitante. E trascorse davvero solo un momento prima che la ragazza mi aprisse. Era vestita semplicemente ma col suo solito buon gusto, ed aveva i lunghi capelli raccolti frettolosamente sulla nuca. La sua stanza era modesta ma pulita e abbastanza ordinata; comunque non era la prima volta che mi recavo da lei lì.

-Vuoi venire a fare colazione con me?- proposi. Lei abbassò gli occhi ad arte, come richiedeva la modestia, ma senza un briciolo di timidezza ed annuì -Vi ringrazio- proseguimmo in silenzio fino alla mia stanza, dove ci accomodammo nel piccolo salotto che affacciava sulla camera da letto vera e propria. Su un tavolino erano già posate due ciotole colme di latte di capra, del pane col miele ed un cesto di fichi e noci -Come stai?- le chiesi mentre allungavo una mano verso il latte

-Molto bene- rispose sorridendo -E voi?-

-Anch'io. C'è qualcosa di cui hai bisogno?-

-No, niente. Si può dire che sto vivendo come una signora!- diede un morso al pane poi proseguì -Devo solo occuparmi di me stessa e del mio alloggio, lavoro anche troppo poco-

-Troppo poco?- ripetei con una risata leggera -Questa mi giunge nuova-

-Non mi sto affatto lamentando- si affrettò a specificare lei -Intendevo solo dire che...- si interruppe. Qualunque cosa fosse che non andava sicuramente non era abbastanza grave da farle correre il rischio di sembrare un'ingrata lamentandosi. Io però non l'avrei mai creduta tale. Riflettei un momento, poi arrischiai -Le altre donne ti invidiano?- Deidamia mi rivolse uno sguardo assai stupito e nascose un sorriso dietro la coppa di latte. Quando terminò di bere si passò la lingua rosa sulle labbra con uno scatto, poi disse che avevo ragione -Non è accaduto nulla se non qualche occhiata, ma capita sempre, in qualunque casa ci troviamo, a noi danzatrici- spiegò

-Ma io non vorrei che ci fosse nulla di spiacevole per te, dal momento che resterai qui molto a lungo-

-Forse se io avessi qualche lavoro da svolgere...- propose.

Una volta certa che dietro il mio invito non si nascondesse qualcos'altro e che avrei accettato la sua richiesta, la giovane si mostrò molto più rilassata e la sua conversazione tornò brillante e allegra. La sua compagnia era piacevole, e dimenticai completamente dell'allenamento di corsa che era in programma quella mattina. Quando sentii bussare mi assalì la sensazione di aver scordato qualcosa, ma fu solo quando entrò Patroclo che ricordai cosa. Mi rivolse un cenno di saluto, poi si rivolse cortesemente a Deidamia -Salve. Temo che dovrò privarti della compagnia di Achille per un po'-

-Oh, nessun problema. Me ne vado immediatamente- rispose alzandosi -Grazie per la colazione, e scusate se vi ho distratto dai vostri impegni- salutò ed uscì con velocità e con grazia.

-E' un po' che ti cerco, gli altri hanno iniziato senza di noi- mi rimproverò. Io alzai gli occhi al cielo -Cosa vuoi che sia?-

-Il fatto che tu sia già il migliore non implica che tu non possa peggiorare se non ti alleni- ribatté lui, mentre io mi rimettevo rapidamente la corta tunica che indossavo quella mattina -Va bene, eccomi- feci, spingendolo fuori dalla porta -Non eri tu che avevi fretta?-




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Pluma
grazie! Oh, non hai idea di quanto felice mi rendi! Siccome nella mia mente vedo le storie che scrivo come fossero film già fatti che devo solo mettere su carta, a volte mi “dimentico” delle descrizioni dei gesti e scrivo come fosse un copione, con solo i dialoghi, quindi sono fiera di essere riuscita a fare delle coreografie che ti siano piaciute. E sono molto felice che ti piaccia Deidamia. Anche a me sarebbe stato stretto il ruolo di donna rispettabile nell'antichità.

Artemis00 Sono onorata dalla tua ammirazione, e dal fatto che tu consideri IC i “miei” personaggi. Io trovo l'antica Grecia, nonostante i guai che mi aveva dato il greco, molto affascinante. Spero di vedere il frutto del tuo lavoro se mai deciderai di cimentarti in una storia con quell'ambientazione.

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Capitolo 11
*** IO, FENICE ***


IO, FENICE


Trascorsi i primi anni della mia lunga vita in Dolopia, una piccolo e prosperoso regno incastonato tra l'Epiro, la Tessaglia e l'Etolia. Ero figlio del Re, Amintore, e nacqui nel suo palazzo, ma quello non fu mai davvero la mia casa. Mio padre non si comportò mai come tale, né amò me e mia madre Cleobula. Si dimostrava affettuoso solo nei confronti della mia sorella minore, Astidamia, ma ho seri dubbi sul fatto che l'amasse davvero.

Per tutta la mia infanzia però, sopportai d'essere solo tollerato, e non amato, e nulla turbò la quiete della mia famiglia, fino a che, un giorno sciagurato, mio padre si prese un'amante. Non che non fosse mai stato con alte donne oltre a mia madre, ma si era sempre trattato di cose da una notte sola. Quella volta invece se la tenne a lungo vicina, quasi come una seconda sposa, e non girava mai senza quell'offensiva sgualdrina.

Quando la cosa divenne davvero intollerabile, mia madre mi fece chiamare -Fenice, figlio mio, consolazione della mia vecchiaia...-

-Madre, non dire così, l'amara vecchiaia non ti ha ancora raggiunta- la confortai, stringendola a me. Ormai ero più alto di lei e le sue lacrime salate caddero sulla mia spalla

-Non sarò vecchia, ma il mio volto mostra sin troppo sfacciatamente tutto ciò che ho sofferto- io chinai il capo; mi era impossibile ribattere poiché sapevo che era vero. Mia madre era stata una donna molto bella ma le lacrime e le notti insonni alle quali quel matrimonio odioso e privo d'amore l'avevano costretta avevano lasciato sulle sue guance e nei suoi occhi segni profondi, che avevano rovinato la sua beltà prima che lo facesse il tempo.

-Figlio mio, ho una cosa sola da dirti: lo sgarbo che mio padre fa a me, lo fa a te- si era asciugata le lacrime con un gesto rabbioso, e tratteneva a stento la collera, parlando in tono quieto e dignitoso, ma vibrante di sdegno -Ciò che macchia il mio onore macchia il tuo, finché sei in questa casa. Tu devi difendermi, Fenice- la guardai negli occhi, alla ricerca di una risposta, per scoprire cosa desiderava da me, e tremai nello scorgervi abissi d'odio. Non vi era amore neppure per me, non in quel momento. Se avessi compiuto la sua vendetta avrei forse potuto trovare gratitudine negli occhi di mia madre, ma affetto no. L'infelicità le aveva rubato anche la capacità di amare. Io giurai a me stesso, vedendo quegli occhi, che avrei ubbidito, se pure quei laghi gemelli mi avessero chiesto di uccidere mio padre durante il sonno. Ma non era quello il piano della donna che io chiamavo madre.

-Portagli via la donna- mi sussurrò, come se avesse pronunciato una bestemmia infame -Prendigli quella meretrice, prenditela per te-

-Lo farò- annuii.

Mantenni la mia promessa. Non fu difficile: la sgualdrinella non si rendeva conto delle conseguenze del tradire il re, e peggio ancora del farlo con suo figlio, e si concesse a me. Ella era attraente, ma non bella. Aveva fattezze da contadina, appena ingentilite dall'incarnato chiaro e dai capelli lisci e curati; aveva un corpo flessuoso e forte, e fianchi larghi. Nel complesso era volgare, o forse mi appariva così per l'antipatia ed il fastidio che provavo nei suoi confronti. Non mi importava di lei, non pensai a lei neppure mentre giacevamo insieme nel mio letto, nel quale da quel momento mi ripugnò dormire.

Quando mia madre seppe dell'accaduto, venne lei stessa a ringraziarmi, vestita dei suoi abiti migliori, che stridevano con le spoglie pareti in pietra dei miei alloggi, e coi nostri volti tirati, sbattuti dal sonno e dall'astio che ci consumava.

Quando mio padre seppe dell'accaduto, venne lui stesso a cercarmi, per disconoscermi e rinnegare di aver mai avuto un figlio. Mi disse addio coi calci e mi maledisse a bastonate, ma io non emisi un lamento. Chiamando a testimoni gli dei dell'oltretomba, custodi dei giuramenti, decretò che non avrei mai avuto figli miei. Implorò che il mio nome morisse con me, e che mai donna si unisse con me in matrimonio -E forse ti faccio anche un favore, cane, a privarti dei figli, se essi debbono essere ingrati e canaglie come te!- mi urlò, sputandomi addosso.

E così fu: non ebbi né una moglie, né dei figli. Ma il mio destino non fu gramo. Il Fato condusse i miei passi verso Ftia, dove il sovrano non mi accolse solo come un povero supplice scacciato e maledetto qual ero, ma concesse grandi onori. Mi affidò il governo di una parte del suo regno e l'educazione del suo unico figlio ed erede, Achille.

Sin da quando tornò dopo essere stato affidato a Chirone, io gli feci da maestro e da padre. Già da piccolo si sentiva grande, ma quando credeva che non ci fosse nessuno ad osservarlo si arrampicava sulle mie ginocchia per essere cullato, o per ascoltare incantato le storie che gli narravo. Ancora e ancora mi avrebbe ascoltato per ore, per anni. Quando giunse Patroclo, presi sotto la mia protezione anche lui. Era un esule come me, anche se più fortunato: ad Opunte aveva ancora genitori che lo amavano ed attendevano sue notizie.

Achille fu la mia consolazione, il mio pupillo, il mio orgoglio. Lo seguii sempre, fino alla fine.



IO, DEIDAMIA


Per la prima volta dopo molto tempo, forse per la prima volta nella mia vita, non dovevo preoccuparmi del futuro. Sapevo che la gentilezza e le premure di Achille sarebbero finite non appena egli si fosse dovuto allontanare per qualche tempo o avesse trovato una bella donna a distrarlo, ma mi fidavo di lui e sapevo che in quanto madre di suo figlio non sarei stata gettata sulla strada. La parola madre suonava ancora strana sulle mie labbra; quelle labbra delle quali avevo fatto usi innominabili avrebbero presto cantato ninne nanne? In alcuni momenti il pensiero di un figlio mi rendeva felice, mentre in altri dimenticavo completamente di essere incinta. Col passare delle settimane però divenne sempre più difficile scordarlo, poiché il mio ventre cresceva lentamente ma visibilmente. Quando Achille veniva a trovarmi notavo le occhiate curiose che mi lanciava di soppiatto. Era buffo e quasi tenero: in quei momenti perdeva quell'aria di autorità e forza che si andava formando sempre più in lui. Sembrava chiedersi: “Ma davvero io ho avuto parte in questo? Cosa c'è di me in lei?” e socchiudeva gli occhi, perplesso dal mistero della vita, ma mai spaventato.

Non prese una nuova amante per molto tempo dopo di me. Ho il sospetto che la compagnia di Patroclo gli fosse sufficiente; senza contare che non avrebbe mai voluto nel suo letto una schiava qualunque. Probabilmente aspettava un'altra bellissima danzatrice come me. Ma ci fu un periodo durante il quale non ebbe molto tempo per dedicarsi ai divertimenti: una nuova guerra era cominciata. Non erano una novità gli scontri regionali, nei quali vincitori e vinti si sarebbero presto alleati, per poi scontrarsi di nuovo in un ciclo infinito di rancori e vendette incrociate, e di interessi economici e politici.

Non fu una lunga guerra, né vi erano in gioco grandi potenze, ma fu la prima combattuta da Achille. Durò una sola estate (in inverno nessun popolo civile combatteva). Quando il principe tornò era cambiato. Ma cosa ne posso sapere io, una semplice donna, di ciò che vide e ciò che fece in quegli scontri? Cosa ne posso sapere io, una danzatrice, di cosa vuol dire dare la morte e rischiare la vita?



IO, PELEO


Il sovrano di Ica, un'isola vicina a Ftia, aveva stipulato con me un trattato nel quale si impegnava a concedere libero approdo alle navi provenienti dal mio regno; in cambio la sua piccola flotta avrebbe ricevuto lo stesso trattamento in tutti i nostri porti. Io non regnavo, come spesso credete voi, solo sull'isola di Ftia, ricca ma di dimensioni piuttosto ridotte, bensì estendevo il mio potere su un piccolo arcipelago.

Non molto tempo dopo il trattato però, il re di Ica aveva iniziato a chiedere alle nostre imbarcazioni pesanti dazi per poter commerciare nell'isola. Dopo alcuni vani tentativi di trattare, mi ero reso conto che tutto quello che il mio antico alleato voleva ottenere era uno scontro. Lo stolto non aveva riflettuto sul fatto che i miei Mirmidoni fossero i combattenti migliori della Grecia. Raccolsi la sfida, benché l'esito dello scontro mi apparisse scontato. I nostri soldati non vedevano l'ora di partire e dar prova del proprio valore, dopo un periodo di relativa pace piuttosto lungo. Ora, vorrei chiarire cosa s'intende per lungo periodo: forse per voi sono vent'anni, o dieci, ma allora le guerre erano pressoché continue. Ftia aveva goduto di cinque o sei anni di pace al massimo.

Mi recai personalmente a parlare ad Achille dell'imminente guerra. Ci sedemmo l'uno di fronte all'altro, e gli spiegai la situazione. Ormai era grande abbastanza per farsi carico delle sue responsabilità e prendere parte agli scontri; sapevo che attendeva da sempre quel momento.

-In quanto mio erede, ti spetta un posto di comando, ma siccome non hai nessuna esperienza combatterai insieme a tutti gli altri- decretai in tono severo, ma poi proseguii più dolcemente -Non porterai insegne regali, in modo che i nemici non concentrino le loro forze contro di te o tentino di prenderti prigioniero- stranamente mio figlio non aveva replicato alle prime affermazioni, ma vidi che la rabbia si faceva strada in lui prima ancora che sbottasse: -Padre!-

-So cosa vuoi dirmi, ma non si discute. Non vedrò morire il mio unico figlio, ucciso alla sua prima battaglia!-

-Ed io non sarò disonorato combattendo senza insegne!- reagì Achille, palesemente irato, offeso e deluso dalle mie parole. Io però non mi lasciai impressionare: avevo i miei buoni motivi e non avrei cambiato idea -Non capisci che è proprio per il tuo onore che lo faccio?-

Egli si azzittì all'istante e prese a fissarmi interrogativo. Mi passai una mano fra i capelli e spiegai in tono quieto: -Questa guerra è molto importante per noi. Da essa dipende il futuro di Ftia. Però non riguarda altri che noi e Ica. Tu, figlio mio, hai davanti un cammino glorioso, e non è destino che termini ora, prima che tu abbia potuto brillare davanti a molti popoli e mostrare al mondo la tua forza-



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Grazie, titemi, per aver aggiunto questa fic ai preferiti.

Pluma grazie mille dei complimenti. Eh, sì abbiamo un Achille proprio buono e “puccioso”, ma è solo che la sua parte sanguinaria non ha ancora trovato con chi sfogarsi... e dire che quando ho iniziato a scrivere era antipatico pure a me! Però durante un'ora di epica in cui mi annoiavo molto ho preso un foglio già mezzo scribacchiato (mai che io inizi a scrivere su un bel figlio pulito) e ho scritto, così senza pensare: Il mio nome è Achille... e così ho iniziato. Ho passato il resto dell'ora a scribacchiare e a cancellare l'inizio. Meglio “io sono Achille” o “il mio nome è Achille”? Quello era il dilemma! Poi ho copiato a computer quella parte e per giorni mi sono alzata un'ora prima del solito per scrivere in pace del nostro eroe; dopo di che però è rimasto più di un anno a languire incompiuto nel computer. Ok, magari non te ne fregava niente, però io volevo raccontartelo (ho la fissa di raccontare storie, non so se si nota^^)

Puntiglio mitologico:

Questa guerra è solo frutto della mia invenzione. Infatti per quanto abbia cercato non ho trovato alcuna descrizione di scontri a cui abbia partecipato Achille prima della guerra di Troia. Ciò è anche comprensibile, dato che i miti sono più o meno concordi nell'affermare che egli salpò alla volta di Ilio a quindici anni, sebbene mi paia di ricordare (ma non ne sono certa) che si faccia effettivamente riferimento a prove di valore dell'eroe acheo precedenti all'assedio di Troia.

Ica invece esiste, o meglio, è la versione italianizzata di Icus, isoletta nei pressi di Ftia, che ho scovato su una mappa della Grecia antica.

La storia di Fenice è solo una delle molte versioni fornite dal mito. La più conosciuta narra che Ftia, una concubina di Amintore, avesse accusato Fenice di aver tentato di violentarla. Amintore dunque in preda alla rabbia l'avrebbe accecato e maledetto, condannandolo a non avere mai figli. Quando Fenice giunse a Ftia, Peleo non solo gli offrì ospitalità, ma convinse il centauro Chirone a guarirlo dalla cecità e fu lui ad affidargli il governo della Dolopia.


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