Notti di Febbraio

di A Modern Witness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 6 ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 7. ***



Capitolo 1
*** 1. ***



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Tutti i fatti narrati non sono reali ma pura invenzione, i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.

 

.1.

Stava tamburellando le unghie, sul tavolo, da svariati minuti.
Da quando aveva “scoperto” d’essere una persona testarda e soprattutto orgogliosa, era la prima volta che ricorreva a l’aiuto di qualcuno.
Audrey, prese un lungo sorso di cioccolata, mentre osservava Jared entrare in quel piccolo bar di Malibù. Quello era il loro luogo fisso per  i loro appuntamenti in incognito, come si divertita a chiamarli la ragazza, quando il cantante non si divertiva affatto, ma lei non aveva di certo colpa se lui era una potente fonte d’ispirazione, con i suoi improponibili modi di conciarsi. Era arrivata a pensare che avesse una parte dell’armadio dedicata appositamente a quel momento: infinite serie di abbinamenti inconcepibili (che, ad essere sinceri anziché farlo rimanere nell’anonimato, lo mettevamo in luce ancora di più), abbinati ai Ray-Ban scuri e le immancabili felpe con il cappuccio. La prima volta l’aveva scambiato per un contrabbandiere di droga colombiano. Unica pecca era la carnagione troppo chiara e gli occhi azzurri, che le avevano assicurato che fosse Jared.
L’uomo raggiunse il tavolino a cui era seduta e si tolse gli occhiali – Iris – La salutò, con un sorrisetto beffardo sulle labbra.
- Diva, niente abbinamenti uccidi-diotrie sta volta? -  Contraccambiò con la stessa dose di sarcasmo, mentre le ritornava alla mente il motivo per cui l’aveva chiamato.
- E’ inutile invidiare il mio look, prima o poi seguiranno tutti la moda lanciata dal sottoscritto – Stette al gioco il cantante, mentre un cameriere gli portava il the che aveva ordinato poco prima.
La ragazza sollevò un sopraciglio – Quello sarà il primo segno che la fine è vicina – Continuò a punzecchiarlo, però evitando di guardarlo negli occhi, cosa che un sfuggì all’uomo.
Da quando la conosceva, Audrey, aveva sempre sostenuto senza nessuno particolare difficoltà il suo sguardo, erano rare le volte in cui, parlando, non lo guardava dritto negli occhi, quasi volesse capire se la stesse ascoltando davvero o no. Tuttavia era impossibile non immergersi in quegli scuri, quasi neri.
- Non mi stai guardano negli occhi, cosa c’è Audrey? – Le domandò prendendo un sorso della bevanda calda.
- Ti ricordi quand’è stata l’ultima volta che siamo venuti qui? – Chiese, ritornando a guardarlo, mentre corrucciava la fronte incuriosito dalla domando o beccato, in pieno, in un vuoto di memoria.
In ogni caso Audrey lo precedette – Prima che iniziassi a girare Dallas Buyers Club – Sottolineò la ragazza, iniziando a torturasi le mani, non le piaceva affatto dovergli chiedere un favore, di quella portata poi. Tuttavia la loro amicizia era sempre stata basata su di una frase: “Io sono il muro contro cui puoi sbattere la testa”.
- Sì, beh…Audrey, sono stato pieno d’impe…-
Lei lo fermò, facendogli segno con la mano che stava prendendo la strada sbagliata
- Non voleva essere un rimprovero, Jared – Lo rasserenò – Assolutamente, non sono arrabbiata. Solo che è… è successa una cosa – Iniziò titubante, scrutando attentamente lo sguardo del cantante, che aveva poggiato la tazza di the sul tavolino.
- Mi devo preoccupare? – Chiese indagatore l’uomo. Aveva sempre avuto uno slancio di protezione ne i suoi confronti, anche se lei non gli aveva mai permesso di intromettersi, di questo doveva farle onore. Quindi, il fatto che stesse confessando di avere un problema, lo metteva un po’ in allarme.
Dall’altra parte, Audrey stava andando contro tutte le sue regole morali, specialmente i paletti che si era autoimposta nell’amicizia con Jared.
- Si e no, diciamo che ti arrabbierai perché non te l’ho detto prima. Non metto in dubbio che mi vorrai uccidere, però mi appello a quella piccola parte di adulto che c’è in te..-
- Audrey…- La richiamò lui, turbato da questo suo girare attorno all’argomento.
La ragazza sospirò pesantemente – Lo scorso dicembre, poco prima di Natale, hanno dichiarato inagibile il palazzo dove abitavo – Audrey notò la preoccupazione serpeggiare negli occhi chiari dell’amico, ma preferì continuare, prima che lui la potesse interrompere.
- Invasione di termiti. Il piano terreno e il primo piano, che avevano nei muri portanti ancora delle parti di legno, non avrebbero retto per molto – Continuò spedita, stringendo tra le mani la tazza di ceramica.
Jared stava per parlare, ma lei glie lo impedì una seconda volta – Non sono andata a dormire sotto un ponte per tutto questo tempo, se è questo che ti stavi chiedendo – Il cantante la guardò truce, ma lei fece finta di non averlo notato – La mia coinquilina, Madison, mia ha offerto di trasferirmi a casa di sua madre, a Santa Monica. Ho alloggiato da loro per tutto questo tempo, pagando un piccolo affitto. – Audrey prese fiato, ora veniva il vero nocciolo del problema – Sfortunatamente la madre di Madison è malata. Dovranno assumere un’infermiera che stia lì a casa con lei tutto il giorno e avranno bisogno di un camera. Quella dove dormivo io – Dall’espressione preoccupata di prima, ora il volto del cantante appariva quasi rilassato. Tuttavia, Audrey aveva imparato, in otto anni d’amicizia, a diffidare di quell’espressione.
- Madison mi ha offerto di dividere la camera, ma mi sentivo di troppo, quindi ho detto di no e che mi sarei travato un altro appartamento .–
Sospirò, ma le parole le morivano in gola. Era più forte di lei chiedergli aiuto. Non sapeva nemmeno come porgli la domanda, non poteva mica saltarsene fuori con una “Hey Jared,amico mio, mi presteresti casa tua?” Oltre che maleducato, sarebbe stato altamente imbarazzante e umiliante, per la sua scarsa autostima.
- Quindi, mi chiedevo se… dato che stai allo studio adesso, potessi prestarmi casa tua – Il cantate stava per protestare, ma lei lo bloccò – Pochi giorni, una settimana al massimo, per vedere una appartamento – Lo informò la ragazza.
Il cantante inarcò un sopraciglio – Se hai già trovato un appartamento, a cosa ti serve casa mia? –
- Per pensare – Ammise la ragazza – L’appartamento si trova a Sunset Strip. Come posizione sarebbe perfetta perché non è molto lontana dall’atelier. Tuttavia, sai meglio di me della fama che gode quella zona di sera e, io, a lavoro non ho un orario fisso. Posso finire alle sei, come anche alla dieci di sera -.
Audrey lavorava come stilista e sarta in un atelier privato di Los Angeles, poco lontano, appunto, dal quartiere di Sunset strip. La clientela era selezionata a differenza di ciò che veniva offerto dall’attività. La proprietaria, Savannah Miller, aveva deciso all’apertura dell’atelier di assumere diversi stilisti, che avrebbero lavorato su commissione per abiti di diverso tipo. Audrey, ad esempio, si occupava di costumi di qualsiasi genere, dai più semplici, come quelli per i bambini, a quelli più complessi per le feste in maschera o a tema. Altre ragazze si occupavano degli abiti da sposa,da sera, dei completi uomo e lingerie. Per questo motivo molto spesso si fermava a lavoro più del normale, perché gli abiti, i costumi in particolare, necessitavano di una grande attenzione ai dettagli e quindi si fermava lei stessa per cucirli o imbastirli.
Jared parve riflettere su quelle parole, ma la risposta che le diede non se l’era aspettata.
- Mi dispiace, ma non ti darò casa mia. Nemmeno per un giorno – Chiarì l’uomo, osservando il volto delle ragazza cambiare in una smorfia di delusione.
- Andiamo Jared, sai che non sono pericolosa e tanto meno disordinata. Un paio di giorni niente di più – Ribadì la giovane, cercando di non perdere la pazienza.
- No – Ripeté il cantante – Verrai allo studio, c’è una camera in più -.
Audrey si ammutolì e lo guardò accigliata. Le aveva davvero appena proposto di condividere lo stesse tetto ventiquattrore su ventiquattro?
- Inoltre, potresti starci finché non terminiamo la registrazione dell’album. Avresti più tempo per cercare un appartamento in un’altra zona – Proseguì esponendo la propria offerta, mentre l’amica continuava ad ascoltarla senza parole. Incredula.
- Ammettilo Jared, hai paura che scopra la tua camera del sadomaso. Non è così? Non puoi farmi seriamente un offerta del genere… - Ironizzò la ragazza, perché davvero era assurda la proposta che le aveva appena fatto. In primo luogo, perché era uno dei tanti famosi paletti con Jared, era quello di non intromettersi nella sua vita da star internazionale e, accettare quella convivenza, avrebbe significato mandare a puttane quel proposito.
Seconda cosa che non le permetteva di accettare così a freddo era proprio Jared. Era suo amico, vero, ma non poteva nascondere il fatto che nella sua testa lo aveva ucciso almeno un centinaio di volte, da quanto insopportabile sapeva essere. Vivere con lui a stretto contatto tutti i giorni per i mesi la spaventava per la sua salute mentale.
- No – Gli rispose il cantante. E la prima osservazione che saltò in mente ad Audrey fu: non ha negato di avere una stanza del sadomaso.
- In ogni caso, se questa camera davvero esistesse, non mi dispiacerebbe fartela vedere, provare, magari – La stuzzicò malizioso – Invitiamo anche Shannon se ti va, sarebbe contento -.
- Jared, non puoi saltare dalle bionde alle more così, non siamo delle birre. E poi mi sembra di averti già esposto il mio pare riguardo ciò. Ok per le cose a tre, ma con un’altra donna – Ci tenne a precisare lei – Stai sviando il discorso, comunque -.
Il cantante sorrise malizioso – Audrey, sai che saresti un’accezione più che gradita alla mia routine di bionde. Comunque, l’argomento l’hai tirato fuori tu – Replicò l’uomo, passandosi una mano tra i capelli ormai lunghi quasi fino alle spalle. Non mentiva quando diceva che avrebbe volentieri fatto uno strappo alla regola con Audrey.
Quegli occhi scuri, profondi come due pozzi, gli sarebbe piaciuto leggervi il piacere che le avrebbe potuto provocare. Oppure il morbidi boccoli castani, incollati al suo viso affannato e imperlato di sudore. Se solo lei non sembrasse calcolarlo nemmeno.
- Mi lusinga la tua confessione Jared – Lo prese in giro lei, sorridendogli – Tuttavia, a maggior ragione non accetterò, dopo quello che mi hai detto e ricordandomi, soprattutto, tuo fratello – Disse ripescando dalla memoria il loro primo incontro, aveva solo vent’anni e da stupida era quasi riuscita a farla scivolare nel suo letto.
- Shannon non ti toccherebbe nemmeno per sbaglio, Audrey – Si sentì in dovere di difendere il fratello.
- Tuttavia, non puoi dire lo stesso di te, no? – Scherzò la mora.
Il cantante sospirò pesantemente – Adesso se tu che svii il discorso, devo pensare che mi hai chiamato solo prendermi per il culo? – Era vero non avrebbe mai negato di aver provato nei primi tempi una attrazione fisica per la ragazza, ma col tempo si era affievolita. Audrey era una bella ragazza, ma la loro amicizia lo frenava, lo metteva in guardia, quasi lo spaventava perdere o rovinare quel rapporto.
- Beh, come tu sei deciso a non prestarmi casa tua, io rimango ferma sul fatto che non verrò a vivere allo studio – Proclamò Audrey, bevendo l’ultimo sorso di cioccolata.
Jared scosse la testa – Tu viene allo studio Audrey, non accetto repliche –Affermò l’uomo, fissandola negli occhi.
La mora scosse la sua testa a sua volta – No, Jared. Non capisco perché tu voglia così tanto che venga allo studio con te. Sarai già circondato da una miriade di gente, impegni su impegni per terminare l’album. Vuoi davvero una persona in più che ti rompa le palle? – Scherzò la ragazza.
Jared rimase serio, senza nemmeno dare segno di divertimento per quella piccola battuta. Poteva darle ragione, perché lo studio era davvero un via e vai di gente, dalla mattina alla sera. Tuttavia, era propria la sera a cui pensava, cosa gli rimaneva a lui una volta terminato di lavorare? Ancora lavoro. Quelle sere che non usciva con Shannon, rimaneva in studio a provare, provare, provare fino a che non ce la faceva più.
L’ipotesi di avere qualcuno con cui passare la sera, anche solo per sentirsi raccontare la sua giornata o per sedersi sul divano a guardare la televisione, lo affascinava. Si prendeva questo lusso quando c’era sua madre. Evitava di perdersi nel lavoro e passare del tempo con lei, per raccogliere un po’ di vita “normale”.
L’idea di farlo più spesso, non poteva negare che lo stuzzicasse.
- Hai ragione, non posso costringerti – Convenne il cantante.
Audrey lo guardò stupita – Mi lasci in mezzo a una strada? – Le venne spontaneo chiedergli, rendendosi conto che stava facendo la figura dell’approfittatrice.
- Io te l’ho fatta un offerta, ma tu non hai accettato. Che altro dovrei fare? – Le chiese alterato.
Audrey annuì – Sì, scusa – Disse, abbandonando una banconota da dieci sul tavolino – Grazie, comunque. Ci vediamo Jared – Lo salutò, incamminandosi verso l’uscita.
Non poteva arrabbiarsi, perché come lui le aveva detto, le aveva offerto il proprio aiuto e lei lo aveva semplicemente rifiutato. E non aveva concluso nulla, non poteva nemmeno definirsi delusa da Jared.
La situazione rimaneva irrisolta solo per sua volontà, solo perché per l’ennesima volta aveva dato prova del proprio orgoglio e non era riuscita ad accettare qualcosa di diverso da quello che aveva già deciso.
- Audrey – Jared le afferrò una spalla, facendola voltare – Andiamo, che hai intenzioni hai? – Il cantante era deciso ad aiutarla, era sua amica, una delle migliori che aveva da tempo e voleva davvero esserle d’aiuto – Quanto tempo hai, prima che venga occupata la camera? – Le chiese.
Lei sospirò, consapevole di come sarebbe andata a finire. Jared Leto, ottiene sempre quello che vuole, glielo aveva detto lui qualche anno prima.
- Uno, due giorni – Rispose – Jared, non posso chiederti una favore così. Ok, chiederti casa tua non è che sia piccola come richiesta, ma… non voglio disturbarti – Spiegò, mentre lui le sorrideva comprensivo.
- Infatti non me l’hai chiesto. Te l’ho proposto io, il che vuol dire che non saresti questo gran disturbo, no? – Ribadì nuovamente il cantante – E poi… sarei più tranquillo, anziché di saperti dalle parti di Sunset Strip -.
Audrey lo fissò negli occhi per qualche istante. Se ne sarebbe pentita amaramente, sin dal primo giorno, sin dal primo secondo in cui avrebbe messo piede in quella casa.
Tuttavia, in quel momento, non aveva altre possibilità.
- Ti pago l’affitto, però – Aggiunse la ragazza.
- Però scelgo io il metodo di pagamento -.
Audrey lo guardò truce – Assegno o banconote? -.
- Dipende, di solito non mi pagano, ma tu ci tieni tanto… - Buttò lì i cantante, mentre l’accompagnava alla macchina.
- Ho appena accettato di vivere con un maniaco – Si rimproverò da sola, mentre il cantante vicino a lei si lasciò andare a una breve risata, coinvolgendo poco dopo anche l’amica.
- La casa sai dov’è, devo venire a darti una mano? – Le chiese una volta raggiunta la vettura.
Audrey annuì – Sì, mi ricordo dov’è lo studio. Ho poche cose da portare, non c’è bisogno che tu venga ad aiutarmi – Spiegò, aprendo la macchina – Grazie ancora, Jared. Cercherò di essere il meno fastidiosa possibile -.
Il cantante le sorrise – Allora ti darò io fastidio. Te l’ho detto nessun disturbo, fa come se fossi a casa tua – Replicò l’uomo – A domani -.
- Sarà difficile, ma ci proverò. A domani – Lo salutò, salendo in macchina.
 
****

- Madison? – Aveva chiamato, non appena rientrata dall’incontro con Jared.
- Hey! Allora, com’è andata con Jared? – Chiese la ragazza uscendo dalla cucina, speranzosa che Audrey fosse riuscita a trovare una soluzione. Madison conosceva il rapporto che l’amica portava avanti da anni con il cantante, non era stata una confessione volontaria, però.
Audrey si tolse il cappotto – Bene, ma non era quello che io speravo – Rispose, pensierosa.
Non era ancora convita di aver scelto per il meglio. Jared era un suo amico, ma principalmente era un uomo, affascinante. I primi tempi era stata dura sostenere quello sguardo cristallino o, semplicemente, non imbambolarsi davanti a quel sorriso.
Jared non era un tipo d’uomo, per cui dire sì mi piace o no non mi piacere, lui era lui.
Difficilmente le donne gli resistevano e Audrey, per tali motivi, a volte si diceva di essere fortuna d’averlo vicino, ma tante altre volte si dava della stupida per la freddezza con cui lo trattava. Lo faceva per proteggersi da qualunque cosa potesse andare oltre quell’amicizia, conosceva lo stile di vita di Jared, ma ancor più conosceva sé stessa e sapeva bene, di non voler un uomo con quel modo di vivere.
- Non ti ha prestato casa sua? – Domandò Madison, mentre si spostavano nella camera appartenuta, fino a quel momento, a Audrey.
- No, mi ha offerto di andare a stare da loro in studio – Spiegò la mora, sfilando uno scatolone ancora piegato, da dietro la tastiera del letto.
Madison la guardò incredula – Non mi sembri contenta. Ti ha messo un tetto sopra la testa, ok è pur sempre Jared, però si tratta di una settimana -.
Audrey scosse la testa – Sbagliato – La corresse, afferrando una coppia di libri da una mensola sopra il letto, mentre l’amica ne prendeva altri due – Non gli piace l’idea di sapermi a Sunset Strip, quindi mi ha offerto di rimanere quanto voglio, finché non troverò un altro appartamento in un’altra zona – Specificò, sistemando i libri nello scatolone.
- Beh, è stato gentile, no? – Replicò dubbiosa l’amica.
- Sì, questo è ovvio – Ribadì Audrey, afferrando altri due libri.
Madison la osservò sospettosa – Ma? C’è qualcosa che non ti va bene Aud -.
La mora sospirò – E’ Jared. Non lo so, credo sarà difficile averlo vicino tutto questo tempo, vederlo ogni giorno, vivere a contatto con il suo stile di vita, lo sai come la penso sulle star – Confessò, ritornando a riempire lo scatolone, per evitare lo sguardo indagatore che Madison doveva aver assunto.
La ragazza, infatti, la stava osservando attentamente, ma Audrey era brava a nascondere l’ansia e la preoccupazione e solo chi la conosceva, riconosceva quel sentimenti nei suoi gesti.
- Però te lo sei fatta amico. Ci sarà pur un motivo sei hai fatto un’eccezione alla regola –
Constatò la ragazza, mentre Audrey si fermava a riflettere su quelle parole.
In tutti quegli anni quel pensiero l’aveva sempre stuzzicata, ma non si era mai data una vera e propria risposta. Semplicemente aveva ingannato quel quesito, mascherandolo con una conclusione senza senso: era stata Jared ad avvicinarla, non il contrario.
- E’ stato lui a cercarmi – Tagliò corto la mora, andando a prende una pacco di fogli da sopra la scrivania.
Madison sbuffò – Cambia frase o almeno inventati un altro modo di dirla. Seriamente è solo per questo che gli sei amica? – Indagò la ragazza, aiutando Audrey a chiudere lo scatolone.
Audrey la guardò – La mia amicizia con Jared non ha secondi fini, Madison – Le disse con tono duro, mentre afferrava lo scotch da sopra il comodino. – Se avessi voluto sfruttare la nostra amicizia, in questo momento non mi troverei con il problema di cambiare casa –
La rimbeccò, chiudendo le due lingue dello scatolone.
- Non volevo dire questo. Intendevo ti è mai capitato di desiderarlo?- Propose la ragazza.
La mora si ritrovò a girare gli occhi – E’ una fissa, ammettilo! Andiamo è ovvio che mi sono ritrovata a desiderare Jared, nemmeno una suora potrebbe negarsi a tali pensieri. Ma è Jared… -
- occhioni-blu-e-fisico-da-urlo Leto – Concluse Madison, con un sorriso malizioso sulle labbra.
Audrey la fulminò -… un mio amico. Comunque, non è solo occhi blu e bel fisico – Si sentì in dovere di precisare. Jared era un bell’uomo, ma quella fortuna, sfigurava davanti alla sua mente, davanti alla capacitò d’inventiva di quell’uomo o semplicemente alla dedizione e alla passione per il proprio lavoro. Ne era la prova il suo ultimo personaggio: Rayon.
- Va bene, però non puoi nemmeno ignorare queste sue… chiamiamole qualità – Continuò spedita la ragazza, mentre la mora continuava rifilarle uno sguardo severo.
- Sono ottime qualità Madison, ma non le più importanti. Jared è di più di un bel faccino su di un giornale. Riesce a mantenere un briciolo di sé stesso, anche all’interno dello star system; non si lascia buttare giù facilmente, come aveva tenta di fare la EMI… perché mi guardi così? –.
Madison fece spallucce – Niente, ho capito qual è il tuo problema – Confessò la giovane, sorridendo soddisfatta – Hai paura di innamorarti di lui -.
Audrey alzò un sopraciglio, sorpresa – Non di lui, Madison – La corresse, sospirando a quello che sapeva già – Ma di Jared -.






NDA:
Benvenuti/ Bentornati (per chi ha seguito Where the Streets Have No Name).
Parto con alcune cose pratica, che sperio vi aiutino ad "inquadrare la storia:
1. E' ambientata a Febbraio (ma va?) 2013, quindi prima dell'uscita di Love Lust Faith + Dreams e dopo le riprese di Dallas Buyers Club, quindi dove immaginarvi un Jared ancora privo di shatush (yeee!)
2. Audrey, tale e quale a quelle del banner...mi sono illuminati gli occhi quando ho visto la foto, sembrava che google immagini mi avesse letto nel pensiero!
3. Raiting Giallo...beh cambierà.
4. In corso d'opera cambieranno anche "Le note della storia".
5. La storia non è ancora interamente scritta, quindi gli aggiornamenti saranno una volta a settimana.

Detto ciò, ringrazio chi è arrivato fino a questo e magari deciderà di lasciare un piccolo commento :3

Alla prossima,
Blume.


 

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Capitolo 2
*** 2. ***


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Tutti i fatti narrati non sono reali ma pura invenzione, i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.

 
.2.
- Cos’è quella faccia? – Protestò la ragazza, riferendosi all’espressione sbalordita con cui Jared stava fissando, da un paio di minuti, il baule della sua macchina.
- Hai davvero poca roba – Sottolineò il cantante, girandosi a guardare l’amica.
- Si chiama avere uno stipendio da persona normale, con una vita normale e che necessita solo di cose normali – Replicò la mora piccata, tirando a sè uno scatolone, mentre Jared faceva lo stesso.
- Sei acida Audrey, come mai? – Chiese il cantante sogghignando, mentre si dirigevano all’interno dello studio. Aveva lasciato Shannon e Tomo ad occuparsi di alcune cose in sala registrazione, mentre lui si era preso giusto un po’ di tempo per aiutare Audrey a trasportare al piano superiore gli scatoloni.
- E’ la tua presenza che influenza il mio umore, Jared – Specificò la ragazzo, con un sorriso ironico verso l’amico.
Jared la precedette su per le scale – Non credevo di essere così importate – La canzonò divertito, mentre salivano al piano superiore.
Audrey roteò gli occhi – Non darti troppo arie, Leto. Tu incidi nella mia giornata in modo tutt’altro che positivo – Lo corresse.
- Ma pensa un po’ che stupido che sono, ti ho pure messo un tetto sopra la testa, e guarda cosa mi tocca sentire! – Replicò il cantante, con tono deluso, mentre entrava nella camera, per poi appoggiare lo scatolone sopra al letto.
- Colpa esclusivamente tua – Precisò Audrey, entrato anche lei, in quella che sarebbe stata la sua futura camera per molto tempo.
Jared borbottò qualcosa, ma la giovane non gli prestò attenzione, troppo concentrata sull’ispezionare la camera. Non era niente di esagerato, ma era una sistemazione semplice, con lo stretto necessario.
Un letto matrimoniale, appoggiato al muro di destra, con un comodino per lato. Sopra uno di questi vi era una lampada moderna. Davanti al letto c’era una cassettiera e sopra questa, appeso al muro, uno specchio dalla cornice scura.  Sulle pareti, poi,c’erano collocate alcune mensola, che Audrey fu più che contenta di vedere.
L’intera stanza era illuminata dall’immensa vetrata che si affacciava sulla vegetazione che circondava la villa. Le tende candide, la incorniciavano, lasciando una limpida vista del paesaggio e del terrazzino.
- Volevo attaccare una mia foto, giusto per ricordati chi è il tuo Dio. Tuttavia mi vedrai tutti i giorni, credo di poter essere meglio dal vivo che in foto – Proclamò il cantante, guardandola sbuffare a quelle parole.
- Tranquillo, saprò rimediare a questo vuoto nel muro – Lo prese in giro lei, sorridendogli furba.
- Ti faccio vedere la cabina armadio – Disse il cantante, facendole segno di seguirla in fondo alla stanza, dove il muro formava una L, sul quale si apriva una porta scorrevole che portava, appunto, alla cabina armadio.
Audrey la guardò stupefatta, chiedendosi se davvero sarebbe riuscita a riempire quella cabina con solo il suoi pochi abiti. Molto probabilmente le bastava solo la cassettiera.
- Allora? – Domandò il cantante, non sentendola parlare da un paio di minuti.
Audrey lo guardò, sperando che leggesse nei suoi occhi tutta la gratitudine che gli doveva per quel gesto, che sembrava, davvero, non costargli alcun disturbo. Quando lei, invece, iniziava a sentirsi già di troppo e una spina nel fianco per il cantante, anche con il sol fatto che avesse dovuto lasciare la sala registrazione per aiutarla con gli scatoloni.
- Grazie, Jared – Proferì solamente, limitandosi a sorridere semplicemente.
- Anche se il tuo appartamento era un buco, tu avresti fatto lo stesso per me – Replicò il cantante, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte dell’amica.
- Io era affezionata al mio appartamento! – Protestò la ragazza, con un finto broncio, seguendolo al piano di sotto.
- Non lo dubito – Concesse il cantante – Ah, mi avevi detto che dovevi andare a New York, uno di questi giorni, no? – Si ricordò, mentre uscivano di nuovo a prendere gli altri scatoloni.
- Sì, dopodomani. Devo consegnare un costume nell’Upper East Side, ma sarò di ritorno il giorno dopo, il tempo di fare la consegnare e dormire un po’ – Informò la giovane, mentre Jared prendeva uno scatolone e lei le valige con i vestiti.
- Ti do una mano io – Audrey alzò gli occhi su quelli scuri di Tomo, che le porgeva una mano per farsi dare una delle due valigie.
- Ce la fa benissimo da sola, o hai fatto box per niente? – La punzecchiò Jared, passandole accanto.
Le ridusse gli occhi in due fessure, pronta a lanciargli dietro entrambe le valigie, Tuttavia sospirò, ripetendosi che se iniziava ad ucciderlo in quel momento, non le sarebbe rimasto nulla quando avrebbe iniziato a desidera di torturarlo nei peggiori dei modi.
- Grazie Tomo, TU si che se vero uomo! – Marcò quel “tu” urlando in direzione delle scale, da dove poco dopo scese Jared.
- Audrey, tu non mi hai mai dato la possibilità di dimostrare la mia vera virilità, ma se vuoi possiamo rimediare subito – Le propose maliziosamente, guardandola dritta negli occhi.
La mora scosse la testa, ormai rassegnata a dover passare mesi immersa in quelle frecciatine tipiche di Jared.
- Vado a sistemare la mia roba – Gli rispose, mentre Tomo la precedeva al piano di sopra, ridendo sotto i baffi, dicendosi che quella convivenza avrebbe dato molto su cui ridere.
 
 
La decisione di prendersi un giorno di riposo, era stata l’idea migliore della mattinata, continuava a ripetersi Audrey. Così aveva avuto tutto il tempo e la calma necessaria per organizzare la camera e, soprattutto, la cabina armadio in modo tale che non sembrasse mezza vuota.
Dopo aver sistemato i libri sulle mensole, insieme alle varie cartelline dove teneva i bozzetti dei costumi, la stanza non le sembrava poi così spoglia, come le era apparsa alcune ore prima.
Tuttavia ancora si sentiva a disagio in quella camera, come se ci fosse costantemente qualcosa che le ricordava che quella non era casa sua e che quel gesto era troppo persino per lei.
A destarla da i suoi pensieri, però, furono due colpi secchi sulla porta aperta.
- Hai salutato tutti, ma non me. Mi poteri offendere, giusto un po’, sai? –.
Il sorriso le scattò involontariamente sulle labbra, vedendo Shannon sulla soglia della porta con le bacchette della batteria ancora fermate sulla cintura dei pantaloni.
L’amicizia che la legava al batterista era più tranquilla, meno intima rispetto al rapporto con Jared. Il cantante conosceva una parte del suo passato, che nemmeno a sua madre aveva mai raccontata, non che la donna, dopo che Audrey se n’era andata da Santa Barbara, si fosse interessata alla vita della figlia.
In ogni caso, nulla toglieva che Shannon ci aveva provato con lei, riuscendo quasi a farla cedere. Nonostante questo, Audrey gli voleva bene.
-Sono state impegnata a sistemare la camera – Disse la mora, sedendosi sul letto e invitando a fare altrettanto.
Gli occhi cangianti del batterista si illuminarono, maliziosi, - E’ molto comodo quel letto, lo proviamo insieme? – Chiese Shannon con nonchalance, anche se, come amica di Jared, non si sarebbe mai permesso di sfiorarla nemmeno con un dito.
- Questo farebbe arrabbiare Jared… - Esordì la ragazza pensierosa, dando l’idea che stesse davvero pensando seriamente a quella proposta.
- Andrebbe su tutte le furie – Sottolineò il musicista, mentre alcuni passi salivano svelti al piano di sopra. Con la bocca mimò il nome di Jared e con una mano fece segno alla ragazza, che il fratello stava salendo.
Audrey scattò in piedi come una molla, capendo i pensieri di Shannon, e gli si avvicinò – Cerca di non fare cazzate, altrimenti farò in modo che tu non possa più suonare – Lo minacciò lei, mentre il musicista le posava attentamente la mane sui fianchi, indugiando di qualche centimetro su i glutei della ragazza.
Lei gli poggiò una mano sul collo, accarezzando la barba lunga e sorridendogli, cercando di contenere le risate.
Jared apparve nel corridoio.
- Quindi sta sera? – Mormorò Shannon all’orecchio di Audrey e lei si lasciò andare a un risolino, poco lontana dalle labbra di lui.
- Certo, dopo che tu… Jared? -   Come se non sapesse che l’amico sarebbe arrivato, Audrey si allontanò dal  batterista, che si stampò la stessa finta faccia sorpresa all’amica.
- Mi chiedevo quanto ci avreste messo a propormi un menage-a-trois? – Replicò il cantante, guardandoli divertito.
Shannon scoppiò a ridere, perché sapeva che sarebbe andata a finire in quel modo.
- Sei un maniaco Jared! – Sbottò la ragazza, lasciando un occhiataccia al batterista che ancora se la rideva, mentre si dirigeva in quella che doveva essere camera sua.
- Non è una novità – Puntualizzò il cantante, appoggiandosi alla parte del muro – Piuttosto, hai sistemato tutto? Ti serve qualcos’altro? – Iniziò a chiederle. Le prove in studio di registrazione erano finte e aveva mandato a casa tutti, tranne Tomo ed Emma che si erano fermati per cena.
Audrey, annuì, sistemandosi davanti al cantante – Sì, beh… diciamo che non sono ancora entrata nell’atmosfera del covo dei Thirty Seconds to Mars – Scherzò la ragazza.
Il cantante le sorrise debolmente, per niente convinto della frase – Però c’è dell’altro – Indagò l’uomo, osservandola dritta negli occhi. C’era qualcosa, che non riusciva a capire, che non permetteva ad Audrey di sentirsi a proprio agio e questo lo preoccupava. Desiderava che l’amica si sentisse tranquilla  lì con lui, la band e il resto dei collaboratori.
- Non è niente. Insomma è il primo giorno, mi devo ancora ambientare. Tutto qua. Non ti preoccupare per me Jared, mi so adattare – Lo rassicurò, alleggerendo l’espressione con un sorriso.
Jared non sorrise, perché ancora non era convinto, ma forse aveva ragione lei a dire che aveva bisogno di tempo per abituarsi a quell’ambiente a lei totalmente estraneo.
- Cucina Tomo? – Domandò la mora, abbandonando l’argomento.
Jared si raddrizzò dal muro, guardandola in un modo strano – Sì e no – Audrey lo guardò confusa, ma il cantante non la lasciò parlare – Volevo portati a mangiare fuori, ovunque tu voglia, s’intende -.
La ragazza si raddrizzò a sua volta, assumendo un’espressione seria – Non c’è bisogno Jared. Non c’è un particolare motivo per cui cenare soli e poi, sarebbe un peccato non assaggiare i manicaretti di Tomo, non trovi? Pensa poi all’eventualità di trovare un qualche giornalista che ti vede con me… -
- Ho capito – La placò il cantante, sempre più convinto che ci fosse qualcosa che non andava. Non era solita farsi tutti quei problemi e Jared non riusciva a capire perché si stesso comportando in quel modo. Tuttavia, lasciò in sospeso la questione, forse era davvero solo la tensione per essere lì a vivere con lui.
Audrey lo fisso, mentre scendeva al piano di sopra, ripetendosi che si stava comportando come un’idiota e che si doveva dare una sistemata, senza agitarsi troppo per qualsiasi cosa.
 
****
Si complimentò più e più volte con Tomo per la cena deliziosa, seppure improvvisat con le ultime cose che erano rimaste nella dispensa. Erano rimasti seduti a tavola fino alle undici a parlare di qualsiasi cosa, prima che Emma annunciasse di andarsene e augurare la buona notte a tutti quanti.
Poco dopo avevano battuta in ritirata anche Shannon e Tomo.
Jared ed Audrey era rimasti alzati a sparecchiare e caricare la lavastoviglie, sotto obbligo della mora che non voleva dare qualcosa in più da fare a Nina, la domestica.
- Ti dovrai abituare anche a questo! – Le continuava a ripetere Jared, mentre uno alla volta infilava, nella lavastoviglie, le stoviglie bagnate che Audrey gli passava.
- E dai, per quattro piatti, non valeva la pena lasciarli nel lavello – Commentò la mora, passandogli l’ultimo piatto. Risciacquò il lavello e poi lo lavò con un po’ di detersivo per i piatti, mentre Jared la osservava.
- Odio ripetermi, ma Jared sembri un maniaco. Perché mi fissi con così tanta insistenza? – Chiese la ragazza, mentre si toglieva i guanti, riponendoli nel sacchettino dove li aveva trovati.
Il cantante fece spallucce – Davvero non ha intenzione di dirmi cosa ti turba? – Tornò a chiederle per l’ennesima volta. Non poteva farne a meno, detestava il pensiero che Audrey non si sentisse a proprio agio con lui. Insomma erano amici da anni, ma in quel momento le sembrava una perfetta estranea, dato che non riusciva ad afferrare  cosa la preoccupasse.
La mora sbuffò – Non c’è niente che mi turba – Ribadì nuovamente Audrey – Mi devo abituare, qui dentro è diverso dalla mia solita routine, ad esempio io sono abituata a lavare i piatti – Ironizzò, sperando di eliminare una volta per tutto quelle domande dalla testa dell’amico, anche se sapeva essere un’impresa impossibile. In fondo se non fosse stata testardo non sarebbe nemmeno arrivato dov’era ora.
- Audrey – La richiamò Jared, mentre lei stava riponendo il sacchettino con i guati nel cassetto – Non voglio che per te stare qui sia un problema e che ti debba sentire di peso, perché non lo sei, anzi forse potresti essere un toccasana per tutti quanti. Davvero, fammi questo favore non condizionarti dal sola nel crede di essere di disturbo, perché non lo sei e te lo ripeterò all’infinito. Mi fa piacere averti qui, con me, e anche agli altri – Le ribadì il cantante e se fosse stato necessario glie lo avrebbe palesato tante altre volte, finché il concetto non le si fosse conficcato in testa e radicato per bene.
- Lo so, mi dai il tempo almeno di prendermi con i vostri ritmi e il vostro di stile di vita? – Iniziava a infastidirla quell’insistenza di continuare a ripetere che non era di nessuno disturbo. Tuttavia voleva dare tempo al tempo, forse una volta che ci avrebbe fatto l’abitudine, non si sarebbe più sentita così a disagio.
- Ok, che ne dici di andare un po’ fuori? – Le propose il cantante, indicando la vetrata che dava sulla piscina.
- E’ metà febbraio – Commentò, ma senza negare.
Il cantante sorrise furbo – Una decina di minuti, poi scappiamo a letto – Chiarì il cantante, mentre si avviava verso l’esterno dell’abitazione.
Audrey lo seguì, scrutandolo mentre si arrotolava i pantaloni della tuta, per andarsi a sedere a bordo piscina con i piedi  immersi nell’acqua. Lei gli si sedette accanto a gambe incrociate e per un po’ rimasero in silenzio.
La mora fissava la superficie trasparente dell’acqua, per un momento senza pensieri, se non quello di ricordarsi di preparare cosa avrebbe indossato la mattina seguente. Oltre a quell’appunto, lasciò semplicemente lo sguardo vagasse attorno a sé stessa, contemplando l’ambiente e i riflessi che l’acqua riproduceva sulle pareti bianche della casa. Rimase incanta a guardare quella onde luminose che si muovevano sulla parete della villa, mentre Jared al sua fianco la osservava, sorprendendosi che non lo stesse notando.
Stava guardando le piccole imperfezione della pelle dell’amica: aveva un po’ di lentiggini e qualche piccola cicatrice, che forse l’era rimasta dall’adolescenza per l’acne.
Inoltre si soffermò a guardarle gli occhi scuri, ma lo incuriosì in particolare, la piccola ombra che circondava la pupilla.
- Porti le lenti a contatto? – Chiese, curioso.
Audrey si girò a guardarlo – Non mi hai mai visto con gli occhiali? – Gli chiese di rimando.
Lui scosse la testa – No, me ne ricorderei – Cercò di frugare nei ricordi, ma non c’era nemmeno uno che la ritraesse con un paio d’occhiali.
Lei fece spallucce – Beh, mi vedrai domani mattina, di solito li uso a lavoro -.
- Perché solo a lavoro? – S’incuriosì il cantante.
Lei corrugò la fronte, come se solo in quel momento si fosse veramente resa conto che quel gesto non aveva senso – Forse… sono più professionali – Fece spallucce, non sapendo con spiegarlo.
- Sai che non abbiamo un foto insieme, io e te – Audrey si girò verso Jared, con uno sguardo interrogativo. Perché ci stava pensando in quel momento?
- E’ grave? – Chiese la ragazza.
- Gravissimo, direi! – Protestò il cantante teatralmente, estraendo il telefono dalla tasca dei pantaloni – Ma possiamo rimediare, adesso –.
- Adesso? – Ripeté Audrey, per niente convinta.
Il cantante annuì serio, mentre apriva la fotocamera del telefono e la posizionava davanti a loro, evitando di guardare l’occhiata truce che Audrey gli stava riservando.
- Sorridi – La incentivò in cantante, facendole segno di girarsi verso il piccolo obbiettivo del telefono.
Audrey s’impose di non protestare  e, cercando di non sembrare una disagiata, sorrise, mentre Jared al suo fianco fece lo stesso, cercando di posizionare il telefono in modo che entrambi apparissero nella foto. Anche la ragazza cercò di aiutarlo, avvicinandosi ulteriormente.
Jared scattò la foto, per poi spostare il telefono e guardare la foto appena scattata.
- Hai la solita faccia da poker – Esordì la ragazza, riferendosi al quel sorriso tirato che era uscito a Jared nella foto.
- Beh non che tu sia di tutta questa felicità – Fece notare il cantante, indicandole le palpebre mezze chiuse – Sembra ti sia appena fatta di qualcosa -.
Audrey scoppiò a ridere. Forse era la stanchezza che non le faceva più controllare l’anima o, forse, era proprio quella foto assurda ad essere divertente. Jared, dopo un momento di tentennamento, si mise a ridere anche lui con l’amica. La prima foto insieme era stato un disastro, proprio come il loro primo incontro.
- Riproveremo un’altra volta – Disse la ragazza, rialzandosi da terra – Buonanotte, Jared - gli augurò mentre rientrava in casa.
- Buonanotte – Le rispose di rimando Jared, girandosi verso di lei e guardandola entrare.
Tuttavia, come d’abitudine, lui non aveva sonno. Ritornò a guardare la foto appena scatta. Nel disastro di quella foto, però c’era il sorriso sincero di Audrey, che per lui valeva tanto. Averla vista tutto il giorno, con quello sguardo un po’ assorto e turbato, lo rasserenava quel piccolo gesto, forse involontario.
Decise di caricarla su Twitter.
Il commento non poteva che essere uno “Me +  my best friend, goodnight. xo”.


NDA:
Che dire? Io e le promesse sul fatto di postare una volta alla settima...a volte ci perdiamo di vista e io faccio quello che voglio u.u
Idiozie a parte... il capitolo era fatto, riguardato fino alla nausea, quindi non mi andava di fargli fare la muffa :D

Spero vi piaccia e ringrazione chi ha già messo la storia tra le seguite e le preferite...siete dei pazzi! Quindi vorrei sapere cosa ne pensate:)

Un bacio,
Blume.

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Capitolo 3
*** 3. ***


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Tutti i fatti narrati non sono reali ma pura invenzione, i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.


.3.

 
- Così adesso tutti gli Echelon hanno un nuovo mistero da risolvere! – Esordì Madison, dall’altra parte del telefono, dopo essere andata sul profilo di Twitter di Jared è aver guardato la foto che il cantante aveva caricato la sera precedente.
- Io lo uccido – Minacciò Audrey, poteva immaginare l’amica ghignare davanti alla foto, soddisfatta di quei risvolti.
- Daii, non sembri nemmeno tu. Assomigli… -
- …a una che si è appena fatta di qualcosa – Ripeté Audrey le stesse parole con cui Jared, la sera prima, l’aveva descritta. Si sistemò gli occhiali sul naso, mentre teneva il telefono stretto tra il viso e il la spalla destra, versandosi una tazza di caffè.
Madison, nel fra tempo, stava ridendo, cercando in tutti i modo di non farsi sentire dall’amica – Però ha qualcosa di bello come foto. Siete naturali, nel suo far schifo è originale – Commentò la ragazza.
Audrey lanciò un’occhiataccia al telefono, non potendo rifarsi sulla’amica – Come vuoi. Cambiando argomento, per il regalo di Manuel che si fa? – Le ricordò la mora, andandosi a sedere su di uno sgabello della cucina.
- Ho parlato con Jordan – Esordì Madison – Stava pensando a una servizio fotografico, solo che non sappiamo dove si può fare. –
Audrey ci pensò, mentre sorseggiava il caffè, guardando Jared entrare in cucina e farle un cenno con la mano come saluto.
- L’Alaska Photos potrebbe andare bene – Commentò, guadagnarsi un’occhiata curiosa da parte del cantante; Audrey gli fece segno di lasciar perdere.
- Come la conosci? – Le domandò repentinamente la ragazza.
Audrey roteò gli occhi – Ho miei scheletri nell’armadio. Ci vediamo a pranzo? –.
- Va bene, ma mi spieghi quali sono questi scheletri. A dopo – Salutò la ragazza, ricambiata poco dopo da Audrey che chiuse la chiamata. Incrociò lo sguardo con quello celeste di Jared: sospettoso e interessato a quello che aveva appena sentito.
- Cosa devi fare all’Alaska? – Chiese l’uomo. L’espressione seria, perché sapeva il motivo per cui Audrey era legata a quello studio fotografico.
- Niente di quello che ti sta passando per la testa – Lo rasserenò lei, alzandosi dallo sgabello e lasciando a Jared la possibilità di vedere la longette, che le fasciava le gambe.  Con lo sguardo salì al busto, coperto da una blusa, a maniche lunghe, color cipria, decorata con dei piccoli bottoncini bianchi, ma non chiusa del tutto. Era la prima volta che la vedeva così professionale, dovette ammettere che la preferiva più sbarazzina; magari con un semplice maglione e un paio di jeans. Tuttavia, la vide per la prima volta con gli occhiali, e nemmeno quelli gli piacevano. Le ombre che questi creavano sul volto della ragazza, la faceva sembrare più grande.
- Devo incontrare un cliente – Spiegò Audrey, a cui non era sfuggito il modo in cui l’amico la stava fissando – Savannah mi uccide se mi presento in jeans – Continuò, con un piccola smorfia.
Jared le sorrise, ma era rimasto con i pensieri al regalo di cui Audrey aveva parlato poco prima. I pensieri concentrati su quello studio fotografico in cui aveva incontrato l’amica otto anni prima.
- Jared? – La mora gli sventolò una mano davanti agli occhi – Non stavi pensando a come ci siamo incontrati vero? – Lo canzonò la ragazza, con un sorriso furbo sulle labbra.
In quei giorni ci aveva pensato anche e lei e, come tutte le volte, si era sentita sprofondare nell’imbarazza più sincero a quei ricordi.
 
Otto anni prima.
Los Angeles,  gennaio 2006
Studio fotografico: Alaska Photos
 
- Accavalla una gamba e nascondi il seno con un braccio – Le impartì il fotografo, mentre i suoi collaboratori le faceva cadere addosso piccoli mucchi di iris viola, che andavano a ricoprire parte della sua pelle candida.
Sentì qualcuno piegarsi accanto a lei e sistemargli i capelli, allungati dalla exstension, lasciando che alcune ciocche seguissero la linea delle spalle, altre le sentì accarezzarle il collo, mentre altre veniva sparpagliate sul pavimento.
La nuvola di profumo che l’avvolgeva era nauseante, ma cercava di non darvi peso, benché sentisse quel profumo dolciastro invaderle la bocca e scendere lungo la gola.
- Devi aprire gli occhi – Le intimò la voce del fotografo e le obbedì.
Spalancò gli occhi, osservando l’obbiettivo sopra di lei.
Il fotografo le sorrise compiaciuto e iniziò a dare forma al quel servizio, di cui Audrey ogni minuto si vergognava sempre di più, prendendosela semplicemente con sé stessa, che ingenua aveva lasciato che la generosa somma di denaro che le modelle guadagnavano, l’attraesse tentatrice. Tuttavia, tutto avrebbe immaginato, tranne che posare per un calendario di nudo, con tema i fiori.
Ridicolo.
- Sorridi – Esordì il fotografo, mentre l’immortalava un’altra volta. Audrey sorrise automaticamente, lasciando che quel sorriso truccato soddisfacesse l’uomo.
- Ho finito, fate entrare la prossima – Impartì l’uomo, allontanandosi da Audrey che, con la mano ancora stretta al seno, accetto l’accappatoio che le venne offerto da un’assistente.
Lo indosso con profondo sollievo, beandosi di quel tocco leggero che la fece sentire protetta e non più vulnerabile agli occhi di tutti.
Picchiettando con i tacchi sul pavimento, raggiunse il camerino, mentre l’altra ragazza si lasciava condurre sul set. Audrey ne osservò le forme accentuate, delineate dall’accappatoio, le gambe lunghe e magre, slanciate ancor più dai tacchi. Gli occhi celesti, limpidi, ma non puri. Meschini, come quelli di tanti che vivano in quell’ambiente, se non per quel lavoro.
Lei, appunto, c’era capitata per ingenuità, dettata dal desiderio di poter essere indipendente e aggiudicarsi il sogno che coltivava da molti anni. Un sogno per cui aveva concesso il suo corpo a un obbiettivo fotografico e a mani esperte di truccatori, che l’avevano resa irriconoscibile, di plastica.
Si sedette sulla sedia, davanti allo specchio e la prima cosa che fece fu togliere le exstension, applicate alla base della testa con dei pettini. Da lunghi, fino a metà schiena, i capelli ritornarono alla loro solita lunghezza, poco più in giù delle spalle.
Appoggiò le ciocche sul tavolo davanti a lei e prese un salvietta struccante.
Nel farlo si guardò allo specchio, ma non vide sé stessa, bensì due occhi azzurri, malamente cerchiati da della matita nera, osservarla dallo spiraglio della porta aperta.
- Te la potrei sbattere in faccia, la porta – Mormorò, continuando ad osservare quegli occhi dallo specchio, fin tanto che si passava la salvietta sulle guance.
- Come ti chiami? – Il ragazzo entrò nel camerino con nonchalance, mentre non schiodava il suo sguardo da quello scuro della giovane.
Audrey l’osservò attentamente, prendendo un’altra salvietta: portava i capelli lunghi neri, che gli accarezzavano i collo, con alcune ciocche rosse. Negli occhi aveva quell’azzurro chiarissimo, angelico, ma che stonava con l’abbigliamento scombinato o semplicemente, con l’espressione indagatrice che le stava rivolgendo.
Lei sorrise – Ophelia – Gli disse, girandosi verso di lui e accavallando le gambe.
Lui osservò quel movimento, concentrandosi su quanto fosse corto l’indumento che lei indossava.
- Ophelia? – Chiese titubante, che strano nome.
Lei fece spallucce – Se preferisci puoi chiamarmi Grace -.
Il ragazzo corrugò la fronte, confuso.
- o Audrey – Continuò divertita.
- Forse Iris, se ti va -.
Lui continuava a fissarlo stranito, da tutti quei nomi, non capendo cosa stesse facendo o se semplicemente fosse pazza.
 – Credo, però, che l’unica cosa che tu possa fare è uscire – Aggiunse con freddezza, cambiando repentinamente sguardo.
- Mi piace Iris – Intervenne il giovane.
Lei assottigliò lo sguardo – Audrey Ophelia Grace, mi chiamo così – Confutò la mora continuando a fissarlo. Era bello, ma quegli occhi celesti, limpidi, erano il punto caldo del fascino di quell’uomo. In quelle due gocce d’acqua si riversavano sensazione che Audrey non sapeva descrivere. L’effetto quasi ipnotico di quello sguardo, sembrava pura follia alla sola portata di chi sapeva coglierla.
- Ti offro un the? – Le chiese il giovane facendo spallucce.
Audrey lo guardò alzando un sopraciglio – Mi vuoi offrire un the? – Ripeté confusa – La norma non vuole che si offra un caffè? -.
- Non mi piace i caffè. Tuttavia se vuoi berne uno ti presento mi fratello – Propose.
Adesso era Audrey quella confusa: aveva addirittura un fratello?
- No – Si limitò a dire.
Il ragazzo sorrise – Io sono Jared, comunque. Ti aspetto fuori – Le disse voltandosi per uscire dal camerino, anche se una parte di lui (forse tutte) avrebbe preferito rimanersene lì a godersi la ragazza rivestirsi.
- Non ho detto… - Iniziò Audrey, ma lui si voltò.
- Mi hai chiesto perché non ti ho offerto un caffè, non hai rifiutato l’invito – Le palesò, quasi con disappunto. Come se lei fosse costretta oramai ad accettare quella tazza di the.
- Posso rifiutarla adesso – Precisò Audrey.
Lui la inchiodò con lo sguardo – Non puoi -.
Lei strinse le labbra, gli avrebbe volentieri lanciato addosso le scarpe che stava indossando, augurandosi che gli centrassero quegli occhi dannati.
- La mia non era una domanda -.
Lui sospirò, indispettito – E la mia non era un risposta -.
 
 
- Eri più acida di adesso – La prese in giro il cantante, mentre lei guance di lei si tingeva di un delizioso porpora; un po’ per la vergogna, un po’ per il fastidio.
- Tu invece sei peggiorato. Eri un tiranno allora,lo sei tuttora – Lo canzonò la ragazza.
Lui mise un broncio giocoso, che fece sorride Audrey – Non è vero! – Piagnucolò il cantante teatralmente, mentre la ragazza lo guardava divertita.
D’un colpo lui ritornò serio e fissandola negli occhi – Ma tu mi vuoi bene per questo? Cattivo o buono, che sia. Sai che non sono così – Glie lo chiese con una tale dolcezza, che sembrava una profonda insicurezza, nata negli anni di quel successo che lui si era creato, permettendosi tutti i sogni che desiderava.
Il sorriso di Audrey cambiò e a Jared piacque quello che vide. L’amica sorrideva, sincera a quella domanda. Come risposta valeva più di mille sì detti con sincerità.
- Sì, non dubitarne a patto che tu non mi faccia male, io ti vorrò sempre bene, Jared –
Si alzò – Ma non farmi più un tiro del genero! Dovrebbero negarti la possibilità di dire certe frasi, sono illegali sparate così all’improvviso – Borbottò scocciata, mentre si alzava per andare a mettere la tazza nel lavello. Quando se ne usciva con quelle frasi, così sincere, ma deboli al  tempo stesso, la spiazzava. C’era una tale ingenuità in quelle domande, stupide, che Audrey non sapeva cosa pensare e, soprattutto, come rispondere. Gli voleva un bene che nemmeno lei capiva; Jared era diventato così indispensabile in quegli anni, che il tormento di perderlo per il lato peggiore di sé stessa a volte le faceva abbassare la guardia, che alzava con tutti. Tuttavia Jared era così, contraddizione resa materia. In lui c’era l’artista-guerriero, combattivo, superficiale a volte, affascinante nelle parole, che non voleva perdere i propri sogni, non permetteva a nessuno allontanarlo da essi. Poi c’era l’uomo-sognatore, che si preoccupava per gli atri, attento, premuroso, in primis con la madre e il fratello; colui che desiderava trasmettere ciò che la vita gli aveva impartito, ma essendo uomo aveva i suoi difetti: l’egocentrismo, il stacanovismo, la maniacalità per la perfezione. Però, erano questi difetti a renderlo l’artista che era e non si poteva accettare Jared, volergli bene, senza abbracciare anche questo suo lato.
- E’ bello sentirselo dire – Audrey si voltò. Lui la stava guardando, pensieroso.
- Shan e mamma, me lo dicono spesso, ma loro sono la mia famiglia. Gli Echelon dicono di amarmi, ma non mi conoscono così affondo, guardano e basta. Tu, invece,… mi piace quando mi dici che mi vuoi bene -.
Audrey gli sorrise. C’erano tanti demoni dentro quell’uomo, così forte. Era sinceramente sorpresa di aver quell’effetto, lenitivo? Poteva considerarsi tanto? Davvero le sue parole potevano allievare qualche turbamento di Jared?
Gli sorrise semplicemente, perché non sapeva cosa dire. Lei era sincera quando diceva quelle parole. Le diceva automaticamente, non vedendole sotto quell’ottica positiva, che il cantante le stava mostrando.
- Sono sincera quando lo dico Jared, non saprei che altra risposta darti – Proferì, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzata dallo sguardo dell’amico.
- Lo spero Audrey – Le disse alzandosi – Ti voglio con me, come una squadra – Le disse poggiando anche la propria tazza nel lavello – Ho la possibilità di ucciderti, se menti -.
Lei spalancò la bocca dallo stupore – Sei… sei impossibile, Jared. Un momento prima tutto piccolo, piccolo a fare domande idiote e poi liberi la tua furia omicida – Berciò lei – Mai pensato di andare da qualcuno di bravo, dato che te lo puoi permettere. Magari si tratta di bipolarità -.
Lui la guardò divertito – Se ci vado, viene anche tu però. Non sono il solo ad aver qualche problema – La punzecchiò, guardandola dritta negli occhi.
Lei sbuffò alzando gli occhi al cielo – Da qua, - Gli disse, prendendogli la tazza che stava le mani – Sei abituato troppo bene, Leto – Biascicò – E sappi che mi sono offesa -.
- Shannon vuole sapere se vi va bene, ordinare greco per sta sera? – Tomo entrò in cucina, ritrovandosi due paia d’occhio che lo fissavano – Che c’è? – Domandò, notando l’espressione corrucciata di Audrey e lo sguardo divertito del cantante.
- Lascia stare, per me va bene, Shan sa cosa prendere… - Commentò Jared, facendo spallucce.
- Audrey? – Si rivolse il musicista alla ragazza, che ancora aveva tra le mani la tazza da lavare.
- Beh… non ho mai mangiato greco, ma non è un problema – Accettò sorridendo all’uomo, che sparì nuovamente in salotto.
- A pranzo torni? – Le chiese Jared, guardandola ancora divertito, poiché aveva ancora quell’aria scocciata a delinearle i lineamenti. Era buffa.
Lei gli scoccò un occhiataccia – No, però aveva pensato di andare a fare un po’ di spesa. Tra un po’ vi mettere a mangiare i ripiani del frigo, intanto non sono di derivazione animale per te non dovrebbe essere un problema, o sbaglio? – Lo canzonò lei, sistemando la tazza sulla griglia lì affiancò per farla asciugare.
- Sono, comunque, nocivi – Controbatté il cantante.
Audrey si asciugò le mani su uno strofinaccio – Allora vado a fare la spesa. Ci vediamo sta sera – Gli disse, mentre usciva dalla cucina. S’infilò le la scarpe, semplici decolté nere non troppo alte, che si era portata giù prima e aveva lasciato accanto all’entrata della cucina.
- Hey, te ne vai già? – La salutò Shannon, mentre scendeva dalle scale.
- Sì. Ci vediamo sta sera! – Salutò, afferrando la borsa e uscendo da casa.
 
 
Chiuse la porta sbadigliando e ripose le chiavi sulla ciottolina accanto alla porta.  Dopo aver incontrato il cliente della mattinata, era uscita a pranza con Madison. Si erano accordate per il regalo di Manuel e Audrey le aveva lasciato il numero dello studio fotografico. Come promesso, dopo pranzo, era andata a fare un po’ di spesa. Dopo ciò aveva messo in programma di andare in palestra, il suo fondoschiena si stava afflosciando. Tuttavia i piani erano saltati uno dopo l’altro: Savannah l’aveva chiamata, proprio mentre stava pagando, sensibilmente irritata. Una delle ricamatrici era dovuta tornare a casa perché figlio aveva avuto un incidente in macchina e l’abito, che Audrey avrebbe dovuto consegnare a New York il giorno dopo, era incompleto e senza una mano in più sarebbe rimasto incompiuto.
Audrey non aveva avuto altra scelta se non quella di chiamare Jared e farsi mandare qualcuno a prendere la spesa, per poi, tra un imprecazione e l’altra, dirigersi all’atelier e darci sotto con ago e filo, maledicendosi per ogni singolo ricamo messo su quell’abito.
Aveva, così, saltato la cena greca con gli altri; non aveva nemmeno preparato la valigia per il giorno dopo. Sbadigliò nuovamente, togliendosi le scarpe guardando l’orologio: le dieci e quarantotto.
Aveva una fame terribile addosso. Mollò con poca grazia scarpe, cappotto e borsa all’entrata e si diresse in cucina.
- Ti abbiamo lasciato dell’insalata – Le urlò Jared dal salotto, mentre lei si fermava sullo soglia della porta. Insalata? Le venne nausea al solo pensiero, alle undici di sera di certo non si sarebbe messa a mangiare dell’insalata per placare la fame che le attanagliava lo stomaco.
- Mi dispiace ferire i tuo sentimenti da capretta – Iniziò, cercando il pane nei vari scompartimenti della cucina – Ma, per placare la mia fame, non mi basteranno quattro foglie d’insalata – Disse trovando il pacco di pane. Aprì il frigo, afferrando la confezione di fettine di  rosbif, comprato quel pomeriggio, e vi ci imbottì il panino. Una volta soddisfatta, afferrò una bottiglia di birra dal frigo e raggiunse Jared in salotto.
Lui la guardò arrivare – Non ti vorrai mica avvicinare con quella cosa? – Le disse fintamente disgustato, indicando il panino che l’amica stava addentando.
Lei lo guardò assottigliando gli occhi – Sono stata seduto su una sedia di plastica tutto il pomeriggio, non provare nemmeno a negarmi la morbidezza del tuo divano – Gli disse sedendosi e allungando le gambe sul tavolino, come Jared,
Lui le sorrise divertito – Avete almeno concluso? – Chiese il cantante.
Audrey sbuffò, esausta – Sì. Ci ho rimesso le mani – Disse, mentre gli mostrava gli svariati cerotti che aveva sulle mani – ma almeno è finito, stirato, impacchetto e pronto per New York – Biascicò, prendendo un sorso di birra.
- Voi, cosa avete fatto? – Chiese al cantante, addentando nuovamente il panino.
Lui fece spallucce – Lavorato in studio, modificato qualche melodia e provato. Tra non molto andremmo a registrare – Le raccontò, cambiando canale – A che ora hai l’aereo?-
- Alle dieci se non sbaglio. Ho biglietti in borsa, no ho voglia di alzarmi – Replicò, gemendo con disappunto al vedere la serie televisiva su cui aveva fermato Jared – American Horror History? – Chiese girandosi verso l’amico.
- Non avrai mica paura? – La canzonò.
Lei girò gli occhi – Sono rimasta traumatizzata a vedere l’esorcista, ti basta come spiegazione? – Confessò irritata, con un boccone ancora in bocca.
Jared si girò a guardarla con un sopraciglio alzato, genuinamente stupito – Sul serio?- Domandò.
Lei sbuffò, quanto voleva tirarla lunga? – Sì, non sono riuscita a dormire bene per una settimana, sentivo continuamente il letto tremare – Borbottò sempre più scocciata, come le era saltato in testa di raccontarglielo?
Jared la guardò qualche attimo e poi scoppiò a ridere. Una risata di cuore, tanto che sentì le lacrime salirgli agli occhi  e il respiro venire meno, mentre Audrey lo guadava come se lo volesse soffocarlo infilandogli il telecomando giù per la gola, lasciando perde quella parte della sua testa che stava gongolando per aver provocato quella risata tanto cristallina e sincera. Non lo aveva mai sentito ridere così.
Si alzò con il sorriso sulle labbra, contagiata dall’ilarità dell’amico, e ritornò in cucina a gettare la bottiglia di birra finita, mentre Jared, in salotto, stava ancora ghignando per quell’ingenua confessione. Adorava quella semplicità con cui lei si fidava di raccontargli quegli aneddoti della sua vita.
- Quanti anni avevi? – Le chiese, quando lei riapparve in salotto.
- Sedici, avevo sedici anni – Borbottò, andando a recupera la borsa all’entrata. Per lei quel film era stato tremendo, l’aveva lasciata veramente terrorizzata. Lo aveva guardato a scuola con tutti i compagni e in un primo momento non l’aveva spaventata più di tanto. Tuttavia una volta tornata a casa le scene del film l’aveva tormentata. Dal quel giorno ogni volta che sentiva parlare di possessioni, esorcismo le venivano i brividi.
 Prese la borsa e controllò sui biglietti che il volo fosse davvero alle dieci. Raccolse, anche, le scarpe e ritornò in salotto.
Trovò Jared alle prese con un fazzoletto di carta che gli ricopriva il viso – Tutto bene? – Gli chiese.
Il cantante annuì – Naso chiuso, niente di più. Stai andando a letto? – Le chiese, spegnendo la televisione.
- Faccio la valigia, prima. Tu cosa fai? – Gli chiese, appoggiandosi allo stipite della porta.
- Andrò a letto – Fece spallucce il cantante – Ti devo svegliare domani mattina? – Le chiese alzandosi e prendere il computer, che aveva abbandonato tempo prima sul tavolino affianco al divano.
- No, punto la sveglia – Rispose la ragazza salendo le scale, seguita dal cantante.
- Ah Jared! – Si voltò a metà scala – Quando torno da New York, inizierò a cercare un’appartamento… - Gli disse sorridendo.
Quelle parole ebbero uno strano effetto su Jared. Furono tristi per il cantante, che non le rispose, lasciando il suo sguardo immerso in quello scuro di lei. Perché voleva andarsene così presto?
- Perché?- Chiese solamente.
Audrey lo guardò confusa – Non voglio disturbare troppo, Jared. Te l’ho già detto qualche giorno fa – Gli ricordò,
- Ma, ti trovi bene qui, no? Insomma… - Si sentiva deluso da Audrey, ma non ne capiva il significato, in fondo lei aveva la sua vita.
Lei lo guardò sorpresa – Sì. Ti sono grata di avermi ospitato, ma è momentaneo Jared te lo avevo detto. Non capisco questo tuo stupore – Biascicò impacciata, la prendeva sempre in contropiede con quelle domande.
- Hai ragione – Si riprese, Jared, salendo gli ultimi gradini – Scusami Aud, buon viaggio se domani non ci vediamo – Tagliò corto il cantante andando in camera.
Audrey salì le scale, ma si fermò a fissare la porta chiusa della camera di Jared, turbata da quel comportamento, non se lo spiegava.
Tuttavia, quello che lo piacque della conversazione, fu come l’aveva chiamato. Non l’aveva mai chiamata Aud, perché Jared sapeva perfettamente quanto lo odiasse. 



Nda:
Buondì, un regalino per voi e anche per me dato che oggi è il mio compleanno!

Un bacio, 
Blume.

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Capitolo 4
*** 4. ***


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Tutti i fatti narrati non sono reali ma pura invenzione, i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.

.4.

- Jared, mi dispiace che tu ci sia rimasto male, ieri sera. Mi ha stupita, quel tuo cambiamento  d’umore… -
- Stupito? –
-Sì, insomma, apprezzo sinceramente quello che stai facendo, ma non puoi pretende che io rimanga per tutto il tempo che vuoi tu, me la so cavare da sola… -
- Allora, perché sei venuta a chiedermi di aiutarti? –
- Non fare lo stronzo Jared, che stai dicendo? –
- Sto dicendo che ti ha fatto comodo venire da me! Non mi hai nemmeno detto che non avevi più un appartamento, che abitavi da Madison. Tuttavia quando hai sentito la necessitò sei venuta a cercarmi .–
- Dove sarei dovuto andare? Da mia madre? Jared, ho solo te al di fuori di Madison, cosa avrei dovuto fare? –
- Rimanere da lei…non te la cavi da sola? -
- Smettila! Che ti prende? Guarda che non sono stata io a chiederti di venire a stare qui allo studio, bensì hai fatto tutto da solo!-
- Lo so… -
- Lo sai? Si può sapere che ti prende? Se… ho finito i se Jared, Mi  spieghi cosa è cambiato da ieri sera nella tua testa a riguardo della tua offerta? Devo rifare le valigie? basta dirlo… -
- Te ne andresti comunque… -
- Me ne an… eh? -
- Te ne andresti Audrey, come tutti. Ti faccio comodo perché sai che ti voglio bene e che, dopo la mia famiglia, sei la persona più cara che ho. Non capisci che non voglio che tu mi sia grata per questo? Mi da fastidio che tu non riesca ad accettare una mia gentilezza e voglia sbarazzartene così facilmente. Non lo sopporto, Audrey. –

 
Il resto di ciò che si erano detti non era proprio così rilevante, data la faccia di Jared. L’ultima parte della conversazione dove gli ribadiva che lei ci sarebbe stata sempre, quando lui voleva, in qualsiasi giorno, mese, minuto, che lui avesse avuto voglia di parlare o semplicemente di bere un tazza di the, lei ci sarebbe stata. Tuttavia le era sembrato che Jared non l’avesse nemmeno ascoltato, rispondendo solo da copione, per farla contenta.
Tuttavia, Audrey, non aveva lasciato lo studio contenta. Aveva provato a chiamarlo, quando era atterrata a New York, ma non le aveva risposto.
Ci aveva riprovato dopo l’incontro con i clienti.
Un altro tentativo dopo essersi fatta una doccia in hotel.
Altra chiamata dopo cena.
Prima di dormire.
Inutile dire che quella notte non aveva dormito. Era scesa per le vie di New York alla ricerca di un negozio ancora aperto. Trovatone uno aveva comprato un sacchetto di pop-corn ed era ritornata in hotel, si era infilata sotto le coperte e aveva acceso la Tv, sfogandosi sul soffice mais salato.
Te ne andresti, comunque.
Lo avrebbe fatto davvero? Non ci aveva mai realmente pensato che, forse, un giorno trovando un ragazzo, innamorandosi sul serio, decidendo di condividere la vita con un’altra persona, farsi una famiglia, avrebbe potuto allontanarsi da Jared. Tuttavia era assurdo. Il solo pensiero, le disorientava i sensi. Jared nel suo non esserci, era l’unica constante che Audrey aveva avuto in quegli anni, lontano da casa. Aveva i suoi amici, Madison, Manuel, Jordan, ma… non erano amici nello stesso modo in cui vedeva il cantante.
Lui era l’estraneo alla sua normalità, era un paradosso.
Riusciva a starci lontana per mesi, in assenza di qualsiasi tipo di contatto o comunicazione, eppure non glie ne faceva una colpa, quando si incontravano e quando questo succedeva, sembrava che non si vedessero dal giorno prima. Il tempo era solo una condizione a cui si era adattata, ma le veniva meno quando iniziava a parlare con lui.
Si passò una mano sugli occhi, guardando fuori dall’oblò dell’aereo.
Era stanca, eppure la sua testa sembrava voler trovare soluzioni impossibili, capire cose di quell’amicizia che lei stessa aveva abbandonato da tempo, vivendola così come veniva, senza mai averne avuto rimorso, perché quel rapporto con Jared, lo custodiva con una morbosa gelosia, per quanto non si ritenesse degna di essergli così vicina.
Passò tutto il volo rivoltandosi tra un pensiero e un ricordo, sciogliendo la mente da qualsiasi vincolo, confidando che primo o poi si sarebbe addormentata.
L’aereo toccò il suolo di Los Angeles alle otto di sera.
Audrey recuperò frettolosamente il trolley e si diresse verso il parcheggio, confortata di essere di nuovo a casa, ergo avrebbe potuto dormire fino al mattino seguente.
Non ci mise molto ad arrivare allo studio, ma il sonno sembrò meno pensate quando vide un’altra macchina parcheggiata sul vialetto di casa, le sembrava la macchina di Costance, ma era da troppo tempo che non vedeva la donna, per esserne certa.
S’impose di non andare a pensare al peggio ed entrò in casa.
- Audrey? – La voce di Shannon la raggiunse non appena mise piede nell’abitazione.
- Sì sono io Shan, di chi è la macchina sul vialetto? – Chiese entrando in cucina, dove fu investita da un forte odore di brodo.
Il batterista sbadigliò, sembrava stanco – E’ di mia madre – Biascicò girandosi verso la ragazza, scrutandola sospettoso – Va tutto bene? Sembra ti sia passato sopra un camion.- – Facciamo un treno che trasportava camion. Non ho dormito questa notte e tanto meno in aereo. Comunque, perché è qui tua madre? E poi cos’è questo odore? – Disse indicando la pentola sul fornello.
- Jared. E’ da ieri che stava male, starnutiva senza sosta, ma si è ostinato a dire che non era niente di che. Ieri sera aveva qualche linea di febbre, ma non ha voluto prendre niente. Sta mattina sembrava star bene e, io era fuori per portare la macchina in carrozzeria, sono tornato ed era mezzo morto sul divano con la febbre a trentotto e mezzo – Spiegò esasperato il batterista, mentre faceva spallucce.
- E adesso come sta? – S’informò la ragazza, stordita dalla notizia – Potevi chiamarmi.-
Shannon le sorrise, comprensivo – Non sarebbe servito a nulla, mia madre era più vicina – Spiegò, sedendosi su uno sgabello – Comunque, la febbre non gli è scesa, così mamma sta provando con il metodo che usava quando eravamo piccoli. –
- Il panno immerso nell’acqua con ghiaccio? – Suppose la giovane, ricordandosi che anche sua madre gli aveva fatto abbassare la febbre usando quel metodo.
- Sì, su fronte e polsi, Di solito funzi… -
- Oh! Audrey! – La ragazza si voltò, ritrovando il viso sorridente, ma terribilmente stanco di Costance, che le andò incontro, abbracciandola con affetto.
- Costance è un piacere rivederti – Mormorò la mora, ricambiando il gesto, cercando di metterci lo stesso sentimento, con cui la donna la stava avvolgendo con quella braccia esili.
- Shannon mi ha raccontato cosa è successo. Jared, dorme? – Chiese, una volta sciolto l’abbraccio.
- Non è propriamente un sonno, però diciamo di sì – Replicò la donna, sorridendo debolmente – Shannon, mi prepareresti un caffè, per favore? – Chiese al maggiore dei figli, che annuì scendendo dallo sgabello.
- Se vuoi riposarti, sto io un po’ con Jared – Si propose Audrey, non era facile stare dietro a una qualcuno di ammalato e lei lo sapeva bene.
- Sembri distrutta Audrey, non vorrei… - Iniziò dolcemente la donna. Shannon le aveva detto che sarebbe ritornata da New York e sapeva, per esperienza, che tutte quelle ore di aereo potevano essere davvero pesanti.
Fu il turno di Audrey di sorridere, rassicurante – Ho il sonno leggero, se mi dovessi addormentare, mi sveglierei, comunque, al primo movimento di Jared. Riposati un paio di ore, poi ci diamo il cambio – Espose la ragazza, guadagnandosi un’occhiata di gratitudine da parte di Shannon, che era ancora alle prese con il bollitore del caffè.
- Mi offro anchio, se volte – Si aggiunse il  batterista.
- Vedremo Shan – Lo riprese la madre – Grazie Audrey – Le sorrise avvicinandosi al figlio maggiore.
Audrey li lasciò soli, salendo a piano superiore. Si diresse in bagno, per scaldare un po’ le mani sotto l’acqua calda, sapeva quando Jared odiasse essere toccato con le mani fredde. Con le mani calde entrò nella camera del cantante, immersa nel buio, se non fosse stato per la luce che filtrava dalle due grandi finestre.
Il respiro affannato di Jared, riempiva la stanza e faceva anche parecchio caldo. Audrey si guardò attorno, trovando la piccola stufa elettrica accesa, poco lontana dal letto.
Si avvicinò a Jared e gli tolse il panno sulla fronte, costando che la febbre era ancora alta, dato che il pezzo di stoffa era tiepido. Lo immerse nella ciotola che conteneva l’acqua con il ghiaccio, lo strizzò e poi lo poggiò nuovamente sulla fronte di Jared, il quale mosse leggermente la testa al contatto con il panno freddo.
Audrey fermò una goccia d’acqua con un dito e poi si sedette sulla sedia lì accanto, lasciandosi inghiottire dal buio.
Osservò Jared, mentre leggeva le proprie sensazioni.
Non era spaventata, era solo febbre.
Non era, nemmeno, timore.
Era qualcosa di più leggero che le invadeva il cuore. Qualcosa di meno palpabile, ma così forte, da farle accettare di passere l’intera notte seduta su quella sedia.
Si passò una mano tra i capelli, evitando di sospirare pesantemente, come avrebbe voluto, sfogando la frustrazione che provava a dover vivere tutta quella tensione, che si stava auto infliggendo. 
 
 
- Potevi chiamarmi – Shannon sbucò nel terrazzino, della camera di Audrey, dove la ragazza, seduta con la schiena contro la porta finestra di vetro, si stava concedendo una lunga serie di sigarette.
- Te ne sei accorto, comunque, no? Era destino – Borbottò lei, con la sigaretta stretta tra le labbra, passandone una al batterista, che le si era seduta accanto e mettendo tra di loro il posacenere -  E poi cosa facevo? Venivo a saltarti nel letto urlando che era intenzionata a fumare? – Lo incalzò, gettando via un po’ di cenere.
- Non è una brutta visione quella di te che mi salti nel letto…e urli – Ribatté Shannon, lanciandole il tipico sguardo che le Echelon si divertivano a chiamare “boom pregnant”.
Lei roteò gli occhi, riportandosi la sigaretta alle labbra.
Come previsto si era addormentata sulla sedia, accanto al letto di Jared, e vi ci aveva dormito fino a poco prima. Era ancora notte fonda, le quattro,forse. Nonostante avesse dormito su una scomodissima sedia di plastica e, di conseguenza, avesse il collo e la schiena a pezzi, non era stanca.
Era da tempo che non prendeva in mano una sigaretta, di solito fumava per noia, quando le capitavano quelle giornate in cui non aveva voglia di fare nulla, se non di starsene in balcone a consumare una sigaretta dopo l’altra. Per tali ragioni, ne teneva,sempre, un pacchetto di scorta dentro alla borsa.
- A cosa pensi? – S’intromise Shannon.
Lei fece spallucce – Era da un po’ che non fumavo – Replicò, schiacciando il mozzico sulla ciottolina, straboccante di cenere. – Tu non avevi smesso? –.
Il batterista espirò un po’ di fumo – Sì, ma ogni tanto me ne concedo una. Allieva la tensione, riempie la noia, blocca i pensieri…-.
- Già – Convenne Audrey, appoggiando la testa sul muro.
Sapeva perché si era intossicata di nicotina, proprio per i pensieri. Non voleva immergersi dentro ad essi. Ne aveva abbastanza in così pochi giorni.
- E’ bastato così poco, Shan… - Mormorò in un sussurro.
Un niente, semplicemente un tetto da condividere, per convincerla.
- Per mandare a puttane tutto. Questo surrogato d’amicizia, che non c’è mai stato –
Amicizia? Ah, le veniva da ridere. Era stata brava a fregarsi per tutto questo tempo, in fondo come sarebbe potuto venire a galla? Fino a quel momento c’erano sempre stati solo, incontri fuggitivi, una tazza di thè e una di caffè. Qualche parola per riempire il vuoto di non essersi visti per tanto tempo.
E l’attesa.
Quanto odiava aspettare. Tuttavia aspettarlo era diventata parte della sua vita, ma non si era mai soffermata a pensare a quel barlume strano che la attraversava testa e piede tutte le volte la chiamava.
Shannon finì la sigaretta, mentre l’ascoltava. Ne aveva parlato con sua madre, giusto quella sera, ed entrambi si erano chiesti cosa avrebbe portato quella convivenza.
Costance non aveva voluto crederci troppo, mentre Shannon era scettico. Conosceva suo fratello, per Audrey si sarebbe potuto, forse, sbilanciare, ma era la reazione di Audrey che non sapeva decifrare.
Poteva dire di conoscerla abbastanza bene, da sapere che avrebbe potuto far soffrire suo fratello, ma senza nemmeno rendersene conto.
Ne era prova il fatto che non volesse rimanere da loro più del necessario. Questo tormentava Jared, perché non sapeva spiegarselo e detestava ammettere che c’era di più del fastidio per il rifiuto di un favore.
Tuttavia, Shannon, era di un parere, quei due contavano troppo sull’amicizia. Audrey voleva tenere Jared a debita distanza, cercandosi un appartamento e suo fratello, voleva passare solo per l’amico che ti aiuta.
- Cosa c’è tra voi due? Un patto? – Le domandò a brucia pelo.
Lei si strinse nelle spalle – Da parte mia tanta stupidità, nel aver creduto all’impossibile – Un sorriso triste le apparve sulle labbra – Ho pensato davvero di poter essere immune a tuo fratello… - Mormorò con compassione verso sé stessa.
Shannon si voltò verso di lei –Lo dovresti accettare e dovrebbe farlo anche Jared -.
Audrey abbassò gli occhi, abbandonando l’ultima sigaretta nel posacenere – Lo farei Shan, davvero. Tuttavia Jared non è l’uomo con cui mi vedo a passare la vita. Ho bisogno di qualcuno che sia presente fisicamente, ogni giorno… e beh, non offenderti, ma il vostro stile di vita non è la soluzione migliore per me- Detestava quei pensieri e sentimenti che facevano a pugni tra di loro.
Shannon aggrottò le sopraciglia – Jared c’è sempre stato per te… -
Le alzò un mano, fermandolo – Non mi ha ascoltato. Jared c’è, anche troppo, ma non è questo quello che chiedo. Io ho bisogno di qualcuno di fisico, che sia lontano da me non più di cinque chilometri. Credo che non sarei capace di vivere una relazione che prevede lunghi periodi di chiamate a fuso orari diversi, videochiamate in sostituzione alle chiacchierate sul divano o… riviste di gossip o social network che spiattellano a destra e manca foto del tuo fidanzato con mezzo universo femminile – Disse, passandosi una mano tra i capelli.
- Jared quando è innamorato cambia Audrey, ti da sé stesso… -
- Ma sono abbastanza per farlo innamorare Shan? Insomma, non mi ritengono una persona orribile, sono nella media – Replicò la ragazza, girandosi ad osservare il batterista.
- E secondo te chi dovrebbe stare con Jared? – Shannon, era sinceramente curioso di sapere cosa pensava la ragazza a riguardo.
Lei si morse un labbro, pensierosa, tornando a guardare il blu scuro del cielo – Qualcuno più intelligente di me. Non sono un’amante della filosofia, dei simbolismi e tanto meno della mitologia. Non sono un’oratrice. Non mi piace girare attorno agli argomenti e tanto meno lasciare che le persone leggano tra le righe. Inoltre sono pigra, l’unica cosa che faccio attivamente è il mio lavoro perché mi piace. Non sono vegetariana, alla mattina uccido un’infinità di pulcini, senza rimpianto – Si bloccò, e Shannon la osservò con un ghigno divertito sulle labbra.  Audrey si voltò verso l’amico, con una smorfia di disappunto – Insomma se mi mettessi con tuo fratello diventerei un pianta, erba di qua, un boccone di tofu di là, seitan a non finire…è un prospettiva poco allettante, Shannon – Sembrava davvero seria, ma il batterista sapeva che in parte sarebbe stata disposta a rinunciare a qualcosa.
- Io sono il nemico che combatte tutti i giorni, non sono un filantropo… -
A qual punto Shannon scoppiò a ridere, sinceramente divertito da quel discorso senza senso a cui era giunta la ragazza. Ora capiva perché Jared c’era tanto legato. Quella ragazza era una ventata di genuinità, nel loro mondo così torbido, colmo di trabocchetti.
Audrey invece era spontanea, un po’ come Jared durante i concerti, dove si  lanciava nei vaneggiamenti a braccia aperte.
Audrey non lo stava nemmeno calcolando, troppo presa a lasciare i pensieri sciolti alla notte.
- Audrey – La richiamò, Shannon, non appena l’ilarità sciamò – Tu hai capito Jared. Accetti la sua dedizione per i suoi sogni e non ti permetteresti mai di interferire con essi.
Dopo, Costance ed Emma, sei la donna che più è rimasta nella vita di mio fratello. Sai aspettarlo. Sei spontanea, perché lasci che i pensieri e la paranoie di scivolino sulla lingua, sei sincera, qualità che va sempre apprezzata. Se fai ridere mio fratello come hai fatto con me, mi chiedo cosa stia aspettando quell’imbecille – La vide arrossire – E, cosa non da me, sei un tantino perversa – La punzecchiò.
Lei ridusse gli occhi in due fessure, ma non commentò l’ultima frase – Grazie, Shan – Si limitò a dire, anche se avrebbe voluto dirgli che non credeva in una possibile storia. Avrebbe continuato a sperare e, soprattutto, a convincersi che Jared era solo  un amico.


NDA:
Buondì :)
Mmmm.... per chi sperava che il raffreddore si prolungasse... spero vi sia piaciuto! 
Per i prossiimo capitolo forse ci sarà, forse, da aspettare un pò!

Un bacio e buon week-end,
Blume.


 

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Capitolo 5
*** 6 ***


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 .6.
 
Sbadigliò rumorosamente, mentre l’ago trapassava per l’ennesima volta la stoffa.
Ritornata da Santa Barbara si era rifugiata in atelier per terminare tre costumi per bambini che sarebbero serviti il giorno successivo a un servizio fotografico.
- Dovresti andare a dormire sai? Faceva giusto un po’ di casino quello sbadiglio… - Consigliò la voce di Madison, proveniente dal telefono abbandonato sul tavolo in vivavoce.
- Non ho il potere di richiamare a me topolini e uccellini come cenerentola, per farmi finire i costumi – Replicò la mora, chiudendo un punto con un nodino, per poi tagliare i filo.
- Tu attiri rockstar, infatti – La punzecchiò l’amica.
- Fottiti, per davvero. Trovati qualcuno che ti tolga dalla testa Jared… anzi se vuoi vi combino un appuntamento – Berciò la mora, sistemando l’ago sul porta spilli.  Alzò il costume da leoncino, soddisfatta del risultato.
- Oh, come la fai lunga! La scopata serve più a te che a me, oltretutto ce l’hai anche a portata di camera… - Controbatté divertita Madison.
Audrey si alzò dalla sedia, afferrando il telefono portandoselo vicino alle labbra – Faccio a cambio volentieri – Riferì, dirigendosi al tavolino dall’altra parte della stanza dove si trovavano gli altri due costumi.
- Eh, ma queste fortune capitano solo a te – C’era una strana velatura di serietà in quelal frase, ma Audrey preferì non darci importanza – Comunque adesso vado a letto, ci vediamo – Si congedò la ragazzo, ricambiata dalla mora che poi spense il telefono.
Silenzio, un’altra volta.
Piegò i costumi e poi l’impilò uno sopra l’altro, per portali a piano inferiori, dove la mattina sarebbero stati stirati e impacchettati, pronti per il set fotografico.
Mentre scendeva le scale, sentì bussare alla portata d’entrata.
Si bloccò a metà rampa, con un brivido lungo la schiena. Erano anni che si fermava a lavoro oltre l’orario normale e aveva sempre temuto che qualcuno, passando, e vedendo le luci accesi avrebbe potuto avventurarsi in qualcosa di inaspettato.
Bussarono un’atra volta, ma più lievemente.
Ancora dubbiosa percorse gli ultimi gradini, appoggiò i costumi e una sedia e andò ad aprire, dandosi un’occhiata attorno per vedere quale fosse l’oggetto contundente più vicino alla porta.
Sospirò e aprì.
- Ciao straniera – Salutò Jared, con un sorrisetto furbo sulle labbra.
- Mi hai fatto prendere una colpo Jared… - Lo rimproverò flebile, passandosi una mano sugli occhi, mentre si spostava dalla porta d’entrata per farlo entrate.
- Mi dispiace – Si scusò sorridente il cantante.
Lei lo guardò di tralice, prima di sparire nella stanzetta adiacente con le postazione per la stiratura e depositò i costumi. Ritornò da Jared.
- Come mai qua? – Gli chiese mentre salivano al piano di sopra.
- Ti stavamo dando per dispersa, non c’eri a colazione, ho provato a chiamarti e il telefono era in camera… - Si passò una mano sul collo. Non voleva rimprovera, era solo preoccupato.
Audrey si affrettò a raccogliere le scatole di cibo greco abbandonato sul tavolo – Avevo un sacco di roba da finire e… il telefono non ci avevo fatto caso – Mentì, dato che aveva lasciato il cellulare di proposito in camera e per chiamare Madison aveva usato quello dell’ufficio. Buttò i contenitori nel cestino, mentre Jared rimaneva fermo accanto al tavolo a guardarsi attorno.
Non era la prima volta in quel posto, ma qualcosa era, ovviamente, cambiate. C’era di più Audrey che lavoro: il pannello in sughero dove era attaccati tre bozzetti di costumi da bambini, un busto da sartoria con dei ghirigori verdi disegnati sopra e la macchina da cucire rossa. Niente di troppo anormale per qualcuno, Invece non era così: i ghirigori erano chiari segni di noia e una via alternativa per farsi venire un’idea, mentre il rosso della macchina era… la passione per quel lavoro.
Il rosso era il colore universale dell’amore.
Rossa era la felpa di Audrey.
- Ti va di andare a fare un giro?- Propose il cantante.
Audrey si riavviò il capelli con un mano  - Va bene, aspettami giù, Chiudo e arrivo – Gli disse, andando a chiudere le tende.
Uscire con lui, sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che erano entrati nel bar di Malibù. Chissà se era aperto anche a quell’ora?
- Non sono venuto in macchina – Precisò Jared, facendola voltare – Ho preso un taxi – Rispose alla domanda silenziosa dell’amica.
Audrey era stupefatta.
- Sei salito in un taxi con tutti i germi che ci sono? – Lo apostrofò divertita.
- Non ci avevo pensato… - Ribatté il cantante, confuso.
La ragazza gli sorrise avvicinò, poggiando una mano sulla spalla dell’amico  -E’ l’inesorabile e lenta mano della vecchiaia, prima o poi doveva prenderti – Lo canzonò sarcastica, mentre lui la fissava dritta negli occhi.
 
 
Il solito bar di Malibù era chiuso, cosi si erano appropriati di una panchina, sistemata sotto una palma.
Spalla contro spalla, in silenzio per alcuni minuti a riordinare tutto e niente.
Erano solo loro due, sotto le foglie larghe di una palma, poco lontani dalla spiaggia, dove l’infrangersi delle onde riempiva l’aria salmastra.
- Jared – Lo chiamò Audrey, facendolo voltare verso di lei. Era così piacevole lasciare che quel nome le scivolasse sulla lingua, era un privilegio: chiamarlo e ottenere una reazione.
Era dozzinalmente bello.
- Sono andata a Santa Barbara questa mattina .- Snocciolò, con gli occhi fisse su una piccola foglia che piroettava nella brezza.
Non voleva prolungarsi nei perchè, non ci sarebbe riuscita senza sprofondare. Tuttavia confidava nella capacità di leggere tra le righe di Jared, di capire che la sua famiglia era un disastro.
Jared non si scompose, davanti a quelle esplicita bugia appena confessata, quando poco prima le aveva detto di essere rimasta tutto l giorno in atelier.
- Non la sento più come casa mia – Confessò facendo spallucce, voleva minimizzare la situazione, effettivamente nella sua famiglia non c’era più un collante a tenerli uniti.
Erano liberi. Un libertà che li aveva allontananti.
Nell’adolescenza quando aveva desiderato evadere da sua madre, essere indipendente, sembra una prospettiva piacevole pur consapevole delle difficoltà. Tuttavia non aveva considerato lo smarrimento, poiché dopo aver sentito la porta di casa cigolare per un’ultima volta, Audrey aveva avuto solo se stessa, come sua madre le aveva chiarito prima di andarsene.
Per un po’ era andata bene così.
Poi era arrivato Jared.
- Casa non deve essere per forza il posto in cui sei nata – Le fece notare Jared – Di solito è dove sai di poter te stesso – Le sistemò un riccio ribelle – Tu non ti dovresti preoccupare di non sentire più Santa Barbare tale. Sai che con me sei a casa, credo possa bastare, no? – Aveva continuato accarezzandole i capelli.
Audrey sorrise: stava pensando la stessa cosa.
- Anche tu sei a casa con me, Jared. Se questo ti basta, ovvio – Fu un risposta mormorata. Non voleva sembrare presuntuosa, arrogante o acida, ma qualcosa dentro di lei chiedeva, ormai, di sentirsi di non essere chiunque. Quella sera ne aveva bisogno e ci avrebbe creduto.
- Credi di non potermi bastare? –
- Credo di essere di troppo – Rispose secca, passandosi una mano sopra la manica della felpa – Insomma hai gli Echelon, tua madre, tuo fratello… -
- Sai di non doverla pensare così – La interruppe il cantante.
- E’ perché sono normale, esterna al tuo stile di vita – Si rispose da sola, chiudendo le mani attorno al bordo dei polsini della felpa – Tutto qua? –
Jared la guardò sorpresa, mentre lei ricambiava lo sguardo a disagio: quella frase lei era sfuggita, anche se ora curiosa di sapere cosa avrebbe risposto.
Il cantante soppesò lo sguardo dell’amica e seppe che quello che avrebbe detto non sarebbe andato bene. Gli occhi, adesso, aperti, limpidi, dicevano più di quello che Jared pensavano, andavano oltre a qualcosa… che aveva preferito non considerare.
Non con Audrey.
- Non è solo questo. So di potermi fidare, sei una boccata d’aria dalla routine…-
- Appunto, è quello che ho detto io. Ma se ti bastava questo, perché io? Non ho mai avuto niente di speciale – Domandò ricacciando indietro quel velo di delusione a sentire quelle parole, si era illusa lo sapeva, ma ormai poteva passarci sopra.
- Ti sminuisci Iris – Un sorrisetto gli comparve sulle labbra – Sei genuina e non credo tu abbia bisogno di altro per essere descritta. Sei semplice, spontanea, vera – In realtà avrebbe potuto continuare, dirle che con lei non c’erano filtri, aveva abbassato tutte le sue barriere, anche dopo Cameron. Lei era rimasta l’unica a poter sbirciare nella sua anima tutte le volte che voleva.
- Ma non è sufficiente – Commentò, mordendosi una labbro.
- Per cosa? –
Rimase un domanda sospesa, nel nulla. Fluttuò, mentre Audrey lo baciava. Un bacio a stampo, un piccolo e leggerissimo contatto per provarne il sapore, il subbuglio dentro di sé. Un azzardo improvviso causato dal cedimento di quel giorno. Tuttavia a cede furono in due, entrambi, persi.
Un secondo bacio, passionale.
Ancora, ancora…sempre di più.
Quella notte persero colore, il blu intenso di sfumò con il nero carbone. Divenne una notte eterna, lambita da sospiri, sorrisi, nomi sussurrati, strappati dalla gola una piacere pieno, intenso, completo in ogni sfaccettatura.
 
 
****
 
La notte porta consiglio, si dice. E la mattina? Cosa succede, quando i postumi di quei consigli fornitici dalla voce greve della notte, ci esplodono nella testa? Quando la realtà è pelle contro pelle.
Un lembo di luce entrava da una spiraglio delle tende bianche, accarezzando una felpa rossa abbandonata sul pavimento e proprio in quel punto Jared stava guardando, mentre Audrey al suo fianco dormiva ancora tranquillamente.
C’era qualcosa di strano quella mattina, ma non una stranezza nuova, era una di quelle che non sei più abituato a provare. Una sensazione mormorata, che il torpore del sonno ancora culla, lasciando che solo un leggero soffio invada la testa, anticipandone il carattere burrascoso.
Forse, quella volta, però non sarebbe stata una tempesta fredda.
Si voltò verso Audrey e quella sensazione divenne piacevole, confortante, come i baci che le labbra di lei avevano percorso tutta la notte.
Era stata una notte bellissima.
- Maniaco, smettila – Biascicò Audrey con la voce impastata dal sonno, mentre apriva gli occhi, ritrovandosi immersa nel chiarore dell’azzurro – Ricordami di regalarti una mascherina da notte – Si appuntò mentalmente la mora, non avrebbe di certo retto un altro risveglio con quel gli occhi puntanti addosso…
Momento, ma chi aveva detto che ci sarebbe stato un altro risveglio così? Sospirò.
- Cosa c’è? – S’intromise il cantante, girandosi su in fianco.
- Mi chiedevo se… mi risveglierò ancora, così – Ormai non aveva più senso negare quello che già era palese. Non avrebbe potuto mascherarla come una necessità ciò che l’aveva travolta quella notte, nemmeno se avesse voluto. Sapeva di essere andata ben oltre al bisogno fisico.
- Certo – La consolò Jared, scontato, baciandole le labbra.
Quando si allontanò, Audrey lo tenne vicino a sé giocherellando con una ciocca di capelli – Non ce la faccio, Jared – Mormorò, con gli occhi puntanti sulle proprio mani, mentre attorcigliavano i capelli castani.
Debole, si sentiva così, priva della protezione o di nascondigli, dove ignorare ancora quella dannata parola, quel fottuto brivido che l’aveva risvegliata percependo Jared accanto a sé, quella mattina.
- Perché? – Chiese il cantante, alzandole il viso.
- Non è mancanza di fiducia in te, ma vagliare la possibilità di averti a una giorno d’aereo da me… è frustrante, non… mi piace – Confessò, quelle parole erano ancora più stupide dette ad alta voce.
Jared le accarezzò a guancia con il pollice  - Mi hai sempre aspettato, Audrey –
- Presuntuoso – Lo apostrofò, arricciando il naso – Non è bello doverti aspettare Jared. Soprattutto sapendo che sono una qualunque, non ho niente di speciale… sono addirittura mora! – Enfatizzò allontanandosi dalla mano di Jared e abbandonando la testa sul cuscino morbido.
- Sono curioso di vedere questa scenetta melodrammatica… - La punzecchiò, fissandola divertito: quel modo di fare insicura, ma che la portava a credere a tutte le paranoie che si faceva in testa.
Lei girò gli occhi – Vedi, sono piccolezze a cui non dai la giusta importanza  Lo rimproverò appoggiando le mani sopra le lenzuola – Ad esempio io odio Parigi, non ci verrei nemmeno se mi torturarsi – Jared corrucciò la fronte, poteva accettarlo era solo un posto nel mondo, c’erano altri migliaia che le avrebbe volentieri mostrato.
Ovvio, che avrebbe provato e sarebbe riuscito a farle piacere la capitale francese.
- A me Los Angeles, piace – Fece spallucce Jared.
- Si ma se tu volessi andare a Parigi a fare un giro? – Suppose la mora.
- Ti lego e ti imbavaglio, ti stordisco con un sacchetto di biscotti e di faccio prendere l’aereo, non vedo dov’è il problema, Iris – Snocciolò il cantante, lasciandole un secondo bacio sulla labbra, più lungo del precedente.
Audrey lo guardo quasi a bocca aperta prende scendeva dal letto e si rivestiva, sotto lo sguardo della mora con le guance color porpora, perché ora c’era di più.
- Non sei una persona seria, Diva – Lo canzonò, girandosi dall’altra parte, portandosi le coperte fin sopra alla testa.
- E tu sei una creatura imbarazzante… -
Audrey scattò a sedere sul letto – Io imbarazzante? Scherzi, guarda che quello che si truccava come un Drag Queen ai concerti eri tu! – Il cantante stava per controbattere, ma le lo precedette – E ti sei fatto una cresta color melograno! –
Il cantante la guardò assottigliando lo sguardo – Questo è un affronto, sei ingiusta… a tutti piaceva la mia cresta – Si difese, mettendo un piccolo broncio.
Audrey si prese a mazzate mentalmente per non sorridere a quell’espressione buffa e dolce che il cantante sapeva benissimo usare per disarmare l’altro  - Togliti quella cosa dalla faccia – Minimizzò facendo un veloce gesto con la mano, come a volerlo allontanare. Difficoltà o meno, nessuna delle sue paranoie le avrebbe mai tolto quei piacevoli battibecchi con lui.
- Ti vesti? – Le chiese Jared all’orecchio, non si era nemmeno accorta che si fosse avvicina nato.
- Perché? Hai fretta? – Gli domandò. Provando a scendere dal letto.
Jared la frenò, posandole una mano sul braccio e la baciò di nuovo, succhiandole il labbro inferiore, in modo tale da distrarla mentre con il Blackberry scattava una foto di loro due, la seconda di una lunga serie.
- Questa va su twitter – Le sussurrò.
- Sei un manipolatore – Mormorò lei, spostandogli un ciuffo di capelli dal naso.
Lui si allontanò sorridendogli e prendendo a smanettare con il telefono – Ti aspetto giù – Disse mentre la foto si caricava sul profilo del cantante.
 
Non scrisse nulla su quella foto, gli occhi chiusi di Audrey e il leggero sorriso che lui non si era nemmeno accorto di avere, parlarono per ore, ore su tutto il web.


Nda:
Chi non muore si rivede 
Vi chiedo scusa per l'assenza, ma la scuola in questo ultimo perio mi sta prendendo troppo, anche perchè il capitolo non è tutto sto gran chè e anche più corto rispetto agli altri.
In ogni caso questo è l'ultimo capitolo prima del epilogo che sarà decisamente più breve di tutti i capitoli della storia,

Però, nonostante la scuola, purtroppo ho sempre la testa in funzione....che macina
Se vi va fatte una salto, qui ---->
Anche gli Angeli cadono, al momento c'è solo il prologo ma conto di iniziare con i capitoli dalla settimana prossima, non appena avrò finito questa :)

Un bacio,

Blume.

 

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Capitolo 6
*** 5. ***


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Tutti i fatti narrati non sono reali ma pura invenzione, i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.

.5.

Quella notte, non sarebbe riuscita a prendere sonno, così era scesa al piano di sotto alla ricerca di qualcosa di orribile da mettere sotto i denti. C’era chi era meteoropatico, mentre c’era lei (forse l’unica caso in tutto il globo) ad essere cibopatica, non sapeva se esistesse davvero un parole per questa sua peculiarità. Ovvero magiare cibi che rispecchiassero come si sentiva, ad esempio una persone normale per riprendersi da un momento di depressione si strafogava in un vasetto di nutella, invece, Audrey, si dava ai cibi spossati, come li definiva lei. Ad esempio il sacchetto di biscotti che aveva appena trovato: biscotti alla farina di farro,con cinque cereali, zucchero di canna e zenzero.
Urgh. Quello era un cibo spossato. Spossato, perché gli era stata tolta ogni bontà e data la consistenza della segatura, un po’ come una persona che torna in palestra dopo mesi di pigrizia e volendo strafare, si prosciuga tutte le energie e, una volta a casa, si sente talmente a pezzi che se si buttasse a letto si ridurrebbe in polvere.
Il che li rendeva perfetti per lo scopo di Audrey, li agguantò dalla mensola e lì aprì, appoggiandosi al ripiano della cucina.
Era passata una settimana da quando Jared era stato male, fortunatamente era durato poco e lui si sera ripreso velocemente. Non erano più ritornati sulla questione dell’appartamento, anche se lei aveva iniziato a sfogliare qualche offerta mentre era a lavoro. Però, a causa di questo e altri impegni, come la festa per Manuel, non aveva mai avuto occasione di prendere un appuntamento con un agente mobiliare.
Stava iniziando a illudersi e quei biscotti facevano davvero schifo. Aveva in testa la conversazione con Shannon a rallegrarla un po’, anche se non sapeva di doversi crogiolare troppo in quella parole. In fin dei conti poteva averle dette tanto per  rincuorarla, no?
No, non Shannon.
Tuttavia il problema non era nemmeno quello.
Sbuffò, addentando il  biscotto.
- Sono i miei biscotti quelli? -
Audrey alzò gli occhi, con il biscotto ancora appoggiato sulle labbra e annuì.
- Annuisci e basta? – Le chiese Jared, frugando dentro il sacchetto e prendendone uno anche lui.
Audrey sembrò pensare ad una risposta, mentre masticava.
- Beh, potrei rovesciarti il sacchetto in testa, fammi dire il numero della cassaforte e scappare con i soldi e… tagliarti i capelli – Ok, non glie avrebbe mai tagliati i capelli, ma l’ultima frase le serviva solo d’effetto, d’altronde rovesciare un sacchetto di biscotti in testa a una persona non era poi così utile a tramortirla.
Jared la inchiodò con lo sguardo – Osa soltanto – La minacciò.
Lei fece spallucce e ritornò all’altra metà del biscotto, chiedendosi cosa sarebbe potuto cambiare se…niente, non ci sarebbe stato un se.
- Avanti, perché stai mangiando i miei biscotti? Che c’è? – La conosceva troppo bene, per non sapere che lei si dava ai cibi che lui riteneva salutari (mentre per i resto del genero umano erano immangiabili) solo quando c’erano problemi nell’aria.
Audrey si morse una guancia – Niente .-
Mancava ‘solite cose’ e allora il cantante le avrebbe potuto credere. Forse.
- Hai le pantofole addosso – Le fece notare, indicandole – Tu non fai mai le scale con le pantofole, se non quando hai altro per la testa .-
Maledetto.
- Avevo freddo ai piedi – Mentì, consapevole che lui lo sapeva, ma fece finta di nulla  - E’ pur sempre febbraio… - Di male in peggio.
Il cantante alzò un sopraciglio, peccato che quando gli aveva spiegato che lei e le ciabatte non andavano d’accordo per fare le scale, fosse dicembre.
Audrey né saliva né scendeva le scale con ciabatte o pantofole ai piedi, perché si sentiva un’idiota. Di solito quel tipo di calzature anche se le comprava del suo numero, erano sempre più grandi e fare le scale con quelle cose addosso si sentiva una papera. Insomma si doveva concentrare ad ogni passo, per evitare di non sembrare una disabile e la infastidiva, perché le piaceva correre giù per le scale e salire di fretta, arrivando in cima senza più aria nei polmoni.
- Non ti credo – Ammise con noncuranza Jared, addentando un altro biscotto.
Audrey si girò a guardarlo. Aveva i capelli spettinati, segno che qualunque cosa stesse facendo prima di arrivare in cucina, l’aveva reso nervoso al punto di mettersi le mani tra i capelli.
- Cosa stavi facendo? – Gli chiese, non aveva voglia di rispondere.
Anche Jared la guardò. Cielo con tenebre, il buio assoluto in quegli occhi ora sprangati a sicurezza. Vuoti persino per lui, che li conosceva da anni.
- Provavo…-
- Cosa? – Domandò la ragazza, non voleva lasciargli il tempo di porre altre domande.
Il cantante la guardò con disappunto.
- Cosa stai facendo, Aud?-
Lei accartocciò l’inizio del sacchetto – Non chiamarmi Aud – Lo rimbeccò in un sussurro, mentre si alzava in punta di piedi per rimettere i biscotti al loro posto.
- Va bene – Concesse il cantante bonariamente – Posso sapere cosa c’è che non va? Cosa ci stai facendo qui in cucina alle tre del mattino? – Le domandò dolcemente, mentre lei tornava a guardarlo. Nel tempo trascorso lì, con loro, era riuscita a scrollarsi di dosso l’espressione turbata, quella sensazione di disagio dei primi giorni e lui non poteva che esserne contento; più tranquillo. Tuttavia quell’ombra più scura dello sguardo di Audrey era ritornata, a persuaderlo a non fare altre domande.
Lei si passò una mano sugli occhi, distogliendo lo sguardo e sorrise lievemente, non poteva chiederglielo in quel modo, così semplice, così disponibile ad ascoltarla, non in suoi miseri problemi di tutti i giorni. Non quella quotidianità comune a migliaia di persone.
- Stavo semplicemente… niente .- 
Jared si allontanò dal bancone per sistemarsi davanti a lei, stava iniziando ad infastidirlo quel distacco che Audrey tentava di mettere quella sera.
- C’è qualcosa Audrey – Le palesò.
Lei corrugò la fronte, prendendo tra le mani una ciocca castana dei capelli dell’amico
- Dove? –
- Qui – Le toccò una tempia.
Sbagliato.
- Già – Convenne lei – Ma non ne vale la pena parlarne -.
- Perché no?  - Insistette il cantante.
Lei fece spallucce – Non è rilevante .-
Il cantante sospirò – Per chi? Per i tuoi amici? -
Audrey scosse la testa – Per il mio migliore amico, presente si chiama Jared. Lui… diventerebbe paranoico – Lo apostrofò, lasciando la ciocca di capelli.
- C’è qualcosa che no so? – Le chiese dubbioso, pensava si fidasse.
Lei gli sorrise – Sì, però deve essere così. Se lo sapessi ne me faresti parlare, perché mi vuoi bene, ma otterresti l’effetto contrario, io non voglio parlarne, non è abbastanza importante da meritarsi un’intera conversazione – Specificò, sistemando un’inesistente piega sulla propria maglietta.
La stava piacevolmente soffocando, davanti a lei, anche se le mani erano serrate sul suo petto. Tuttavia era imbarazzante, era troppo intimo condividere quello spazio insieme.
Non era normale, perché ci avrebbe messo un secondo, se non di me, a sfiorargli le labbra sottili, lasciando cadere nel limbo la loro amicizia.
 
***
 
Iglesia de Nuestra Señora de Dolores, Santa Barbara, ci andava sempre da piccola… in verità si ricordava di esserci stata da bambina, ma se le avessero chiesto di descriverne l’interno, avrebbe parlato di qualcos’altro. In ogni caso lei in quella chiesa c’era stata.
Pobrecita, ecco forse avrebbe parlato di sua zia Maite, che le sgualciva le guance tutte le volte che la vedeva. Sì, sicuramente si sarebbe dilungata sulla parte messicana della famiglia, da cui però non aveva ereditato nulla di caratteristico, ma sulla quale correvano i ricordi migliori della sua infanzia.
Adorava quei parenti. Un po’ come tutti i bambini era sempre stata attratta dalle cose divertenti, rumorose e quelle persone, i suoi zii, sapevano come intrattenere una bambina. Anche solo sentirli parlare. Una lingua così lontana dall’inglese, più musicale, morbida, calda, emblema di quella cultura. Più rilassata, un turbine di vita e… un po’ di sana pigrizia.
La siesta, se la ricordava. In braccio a suo padre, seduta su un divano di vimini e cullata dell’odore di tabacco e il profumo di frutta, che variava secondo le stagioni: arancia per l’autunno, pera per l’inverno, albicocca per la primavera e pompelmo per l’estate.
Sorrise, spingendo la porta dell’ospedale.
Anche se non era l’uomo perfetto, fissato con la gerarchia patriarcale, non aveva mai negato a lei e a suo fratello l’affetto di un padre. Tuttavia non poteva dire che fosse stato un confronto per lei. Non si era mai potuta rapportare con lui come donna, il tempo, il ciclo della cita, la sfortuna con la vista di un aquila, glie l’aveva tolto quando era piccola.
Il motivo era fin troppo banale: cancro ai polmoni in stadio avanzato.
Si avvicinò al bancone, sorridendo ad una delle infermiere di turno.
- Buongiorno, la stanza di Marshall Suarez? – Chiese.
La donna la guardò. Non era la prima volta che veniva a trovare suo fratello, ci veniva più spesso di quanto ricordava, tuttavia loro due non si assomigliavano per niente.
- Buongiorno, lei è? – Domandò.
La mora sorrise affabile – Audrey Suarez, la sorella – Si presentò.
- Reparto di oncologia, quarto piano, stanza numero quattrocentoventisette – Le disse dopo aver controllato nel computer.
Audrey ringraziò e si diresse verso gli ascensori.
Dopo la morte di suo padre non c’era più stata una famiglia. Tuttavia non c’erano di mezzo figli drogati, dato che erano ancora troppo piccoli, o una madre alcolizzata. No, peggio: l’indifferenza. L’indifferenza era stata peggio dei ricordi. La recita ben interpretata da sua madre che nulla fosse successo, al punto di dimenticarsi della sua prole e ricominciare come se avesse avuto diciotto anni. Come se l’uomo che se n’era andato, non fosse stato il marito con cui aveva progettato una famiglia, ma solo una relazione di passeggio, da cui imparare cos’era l’amore. 
Sua madre non sapeva nemmeno come si scrivesse “amore”.
 
- Sospettavo saresti venuta – Iniziò Marshall distogliendo lo sguardo dalla Tv, mentre Audrey si fermava sulla soglia della porta.
- E’ la vecchiaia, mi rende prevedibile – Aveva scherzato lei, andando ad abbracciarlo.
Il solito profumo asettico da ospedale -  Come sta Lisa? – Gli chiese una volta sciolto l’abbraccio.
- Sta bene, è riuscita ad aprire lo studio – La informò entusiasta dei progressi della moglie, un promettente avvocato della zona.
- Tu, a lavoro come va? Tutto bene? – Le chiese di rimando il fratello.
Audrey annuì – Sta andando abbastanza bene. Savannah ha deciso creare la  pagina web dell’atelier, per farsi conoscere in giro. A fine mese devo partire per Rio a consegnare un costume .–
Il fratello la guardò sorpreso, completamente impressionato da quella bimba che lui ricordava pestare i piedi anche solo per fare un viaggio in macchina.
- Per il resto come te la passi? -  Le chiese passandosi una mano sulla testa ormai calva.
Audrey si sedette sul lettino, sorridendogli. Marshall aveva sempre avuto quella particolarità che si riscontra in poche persone: il coraggio, ma non di quelli pomposi di cui una persona si vanta, quello semplice adatto per la vita di tutti i giorni. Un coraggio lungimirante, troppo positivo a volte. Come quando gli era stata diagnosticata la stessa malattia del padre, un anno e mezzo fa. Fortunatamente aveva subito iniziato il ciclo di chemio, anche se non aveva portato a grandi risvolti, non l’aveva placato e non l’aveva nemmeno rallentato.
E poi c’era lei, che si sfracassava l’anima perché viveva sotto lo stesso tetto di Jared.
- Sto cercando un nuovo appartamento – Gli raccontò.
- Come mai? – Le chiese il fratello.
Audrey fece spallucce – Infestazione di termiti. Stavo a casa di Madison una decina di giorni fa, solo che a causa dei problemi di salute della madre ho dovuto lasciarle la camera libera – Fece un pausa distogliendo lo sguardo, perché anche suo fratello era per il partito Jared – Adesso sto allo studio con…Jared .-
Dalla bocca del fratello fuoriuscì un “oh” prolungato, di completo interesse sull’argomento.
- Queste belle notizie me dovresti dare con il sorriso sulle la labbra – La prese in giro il ragazzo, mentre lei girava gli occhi – Potrebbe portare a dei piacevoli risvolti…-
- Perché non sei una fratello normale, mh? – Gli chiese sarcasticamente – Uno di quelli che mi prenderebbero la testa e me la sbatterebbero contro il muro, pur di non sentirmi farneticare su un uomo che ha più di quarant’anni .-
Tuttavia lo sguardo che Marshall le rifilò era tutt’altro che disapprovazione – Non dovrei essere io a sbatterti contro il muro… -
Lo schiaffo sul braccio del fratello, partì involontario ad Audrey – Sei… fai schifo – Commentò imbarazzata e con un smorfia disgustata in volto.
Il fratello rise – Non deve per forza essere Jared… -
Un altro schiaffo sta volta più forte, mentre le risate del fratello aumentavo sotto lo sguardo febbrile di Audrey.
- Smettila – Berciò lei – E poi cos’è tutto questo apprezzamento per Jared? –
Marshall tornò serio e allungò la mano verso il telefono – Ho visto la foto che ha caricato su twitter .- Annunciò, mentre Audrey avrebbe voluto lasciarsi andare a un “Oh no”.
Sua fratello aveva un’ossessione, insana per gli sguardi delle persone.
 - Non sono venuta qua per parlare di Jared, ok? Me la cavo, sopravvivrò in qualche modo – Proferì calma, sfilandogli il telefono dalle mani – Tra un po’ sarò fuori dallo studio e quindi, spero tornerò ad avere meno tarli per la testa -.
Il fratello la guardò poco convinto, nonostante questo sapevo che la sorella ci stava già sbattendo la testa abbastanza addosso a quel “tarlo”, come l’aveva definito.
- Quindi…?-
- Hanno invitato Lisa al matrimonio? – Esordì guardandolo dritto negli occhi.
Marshall sospirò – No, ti pare – Negò l’uomo – Tu..?-
Lei scosse la testa – No, devo tornare a Los Angeles il prima possibile per lavoro. Credo andrò all’hotel per …vederla e basta .-
- Non starci troppo male, Audrey, sai che com’è fatta, non le importerebbe niente vederti lì, non ci vuole – Snocciolò con freddezza il fratello, poggiandole una mano sulla spalla, era pur sempre la sua sorellina. La piccolina che non si sarebbe dovuta prendere cura di lui, che non avrebbe dovuto vedere sua madre sposarsi due volte dopo la morte del padre, senza invitare i figli.
Lei si morse un labbro – E’ inutile, sai che… insomma, anche a te importa nella sua felicità no? – Odiava sentirsi così, triste e vulnerabile. Soprattutto detestava trasformare le visite a sua fratello in patetiche scenette melodrammatiche, ma poteva parlarne solo con lui.
Jared non sapeva nulla.
- No – Rispose secco Marshall – Audrey, nemmeno a te interessa – Le palesò.
- M’importa invece- Lo contraddette la mora -  E’ mamma, anche se lei non… sembra più volerci dimostrare il suo affetto, non è necessario seguire il suo esempio. Non voglio essere come lei – Gli spiegò, mentre si alzava dal lettino.
- Non esagerare però – Le consigliò il fratello, mentre lei gli lasciava un bacio sulla guancia, prima che si salutassero con la promessa di Audrey di tornare prima di ripartire per Los Angeles.
 
 
Calle.
Audrey le sfiorò, lasciandovi danzare sopra le dita, curiose di ritrovare la superficie familiare di quel fiore. Sua madre, Leah, amava ricevere calle in regalo e suo padre glie ne faceva sempre trovare un mazzo per il suo compleanno. E lei non le faceva mancare ai suoi matrimoni.
Allontanò la mano dalla corolla e si guardò attorno. Si sarebbe sposata in un hotel di Santa Barbara, e già c’era un po’ di gente. Tuttavia Audrey non riconosceva nessuno.
Gli anni lontano da quella città le avevano facilitato l’eliminazione di molti volti. Tuttavia, in quei momenti la considerava una sfortuna non riconoscere nessuno, dato che chiunque poteva ritrovare nel suo volto, il viso della figlia di Leah.
Stava bene così, nell’anonimato. Non voleva ritornare in quella bolgia per sentirsi superflua o solo una presenza a cui fare attenzione. Un essere piccolo, di cui ricordarsi quando cominciava a tossire o non mangiava.
Era sempre stata fragile con le persone, ma sua madre l’aveva indebolita maggiormente.
Ora aveva bisogna di punti fermi, sicuri…vicini. Le presenze passive non le bastavano, non era soddisfatta dalla lontananza, necessitava di fisicità, di un affetto sulla pelle. Una carezza in più, non sorriso di troppo.
Voleva esagerare con i sentimenti.
Voleva dare sé stessa.
Jared era imperfetto, sapeva che per lei non era giusto.  Avrebbe avuto troppo paura di non essere sufficiente, di non bastare abbastanza per fidarsi di lui. Shannon avrebbe potuto contraddirla per giorni interi, ma quella non era paura, era una fobia. Insidiosa, demolitrice, infetta. Abbassava ogni difesa, pungeva nel vivo e non lasciava vivere, tormentando nella realtà e nel sogno. Era fredda, tanto da far diventare le labbra bianche e tremare le gambe, anche se non riusciva a pensare a quel nome, perché quando una sentimento, una sensazione, trova il nominativo a lui più adatto diventa reale. Non te ne liberi perché esiste, perché ha un nome. Un po’ come una malattia quando trova la propria collocazione medica. Da quel momento ne conosci le cause e glie effetti e sai che uno di quelli toccherà anche a te.
Audrey non ci voleva arrivare a quel nome, che alleggiava pensate, come il fumo nell’aria. Pressante, denso, carico di tutto e niente, inconsistente e soffocante.
Si sarebbe violentata mentalmente, ma non avrebbe dato la possibilità a quel nome di farsi sentire. Partendo da quel fottuto appartamento che si sarebbe messa a cercare il prima possibile.
Il quartetto d’archi iniziò a suonare e Audrey si avvicinò alla piccola folla, rimanendo in disparte.
Sua madre entrò a braccetto di un uomo che Audrey non conosceva, eppure Leah sorrideva. Era radiosa, come tutte le volte che otteneva qualcosa, lontana dai figli.
Un sorriso allegro disteso comodamente sulle labbra sottili della donna, mentre camminava nel corridoio che la folla aveva creato. I suoi picchiettii, sul pavimento di marmo, erano accompagnati dal panneggio leggero di chiffon dell’abito bianco. La scollatura a V, che dolcemente risaltava le curve leggere di sua madre, a renderla sensuale. Il corpo sottile, che Audrey aveva ereditato, non l’avrebbe mai resa volgare, anzi sembrava leggera e fresca, sottomettendo i cinquantenni anagraficamente dichiarati.
Leah, guardava i volti che la circondava sorridendo di circostanza, mentre Audrey si allontanava, attutendo quella fuga con la suola delle converse che indossava.
Un magone alla gola, anche quella volta, come la precedente, ma era inutile doveva solo riuscire a mandarlo giù anche quella volta, ritornare nella consapevolezza di poter contare solo su se stessa, definitivamente. Coraggiosamente. 


NDA:
Buona domenica a tutte :)
Ieri sono riuscita a finire il capitolo così l'ho subito aggiunto, dato che la prossima settimana si prospetta incasinata, e anche perchè volevo lasciarvi con un pò di suspanse :P
Questo spccato di vita di Audrey è fondamentale e spero riusciate a congliere la "decisione" implicita che il viaggio a Santa Barbara le suggerisce. 

Con questo vi auguro una buona domenica,
alla prossima,
Blume.

 

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Capitolo 7
*** 7. ***


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Epilogo
 
Scatto n. 1
 
“Audrey era ed è la mia migliore amica, prima di tutto.”
 
Terry era inginocchiato davanti a loro, mentre sistemava la macchina fotografica.
Lo sfondo bianco del set, risaltava il divano vittoriano marrone in pelle, dove vi era distesa Audrey. Indossava una semplice maglietta bianca, con leggero scollo a V e dei jeans scuri ad avvolgerle le gambe, piegate e leggermente divaricate, per permettere a Jared a sistemarsi fra esse. Lui vestito con un paio di jeans chiari e una maglietta nera, anch’essa con lo scollo a V.
I boccoli scuri di lei erano sparsi sul divano, mentre i capelli lunghi del cantante ondeggiavano sospesi, con solo due ciocche sistemate dietro le orecchie, in modo da lasciare visibile il profilo.
Le  braccia di Audrey, sorreggevano quelle di Jared, allacciate tra di loro , mentre loro si sorridevano complici.
 

Scatto n.2
 
“Lei è… un’ottima amante.”
 
Il set era cambiato, c’erano solo Jared e Audrey in piedi. Lei di spalle, mentre il cantante osservava l’obbiettivo.
Entrambi sono con l’intimo.
Pizzo nero per Audrey e dei semplici boxer del medesimo colore per Jared.
I cantante tenevano una mano sul gancetto dei reggiseno nero di lei, mentre  la ragazza gli baciava una spalla nuda, proprio sopra il tatuaggio sulla clavicola.
 
“Quando quella mattina ho caricato la foto su Twitter… beh, è andata nel panico, non si staccava più dal telefono!”
“Non sono andata nel panico, semplicemente avevo persino paura di mettere un piedi fori di casa. Ma poi mi ha detto di essere educata con gli Echelon e i fotografi,
salutare sempre… è stato un po’ più semplice così.”

 

Scatto n.3
 
“ Il primo viaggio? L’ho portata a Parigi. Mi aveva fatto giurare di non portarcela, ma l’ho imbottita di morfina o qualche sedativo per cavalli e le ho fatta prendere quell’aereo.
Alla fine però non ha cambiato idea, mi sono sorbito una settimana di prediche. Odia quella città, quando io l’adoro, peggio per lei.”
 
Sullo sfondo bianco risaltavano due semplici sedie nere.
Jared fu il primo ad accomodarsi.
Lo smoking nero era tradito dagli anfibi slacciati ai piedi e dalla mancanza di cravatta o papillon. La camicia candida era chiusa fino al penultimo bottone.
Le gambe accavallate, per permettergli di tenere Artemis in equilibrio.
I capelli lunghi erano morbidamente abbandonati sulle spalle e l’espressione completamente concentrata sulle propria mano, che delicatamente bloccava le corde dello strumento.
 
 

Scatto n.4
 
“Non lo ammetterà mai, ma ogni tanto gli capita, forse inconsciamente, di curiosare qua e la per il web per sentire cosa dicono di me e
quando legge commenti come ‘ha un bel culo’, ‘che fisico’ o ‘che bel sorriso’, ovunque io sia, mi trovoa e mi si attacca addosso dicendomi,
‘ Sei troppo brutta per stare con chiunque altro, il mio è stato un atto di benevolenza, ricordatelo’. ”

 
Jared non c’era più, ma la seconda sedia era occupata da Audrey.
La gonna ampia dell’abito bianco, copriva anche la sedia accanto.
Lei vestiva con bellissimo abito da sposa. Il busto avvolto da una corpetto in pizzo, mentre le spalle e le braccia erano accarezzate da una leggerissima stoffa trasparente.
Anche lei seduta con le gambe accavallate, per mostrare le parigine rosse che indossava.
Sulle gambe aveva appoggiato un blocco da disegno e tra le mani un matita, per tracciare uno dei suoi costumi. Il volto concentrato su quello che stava disegnando, mentre con la ma no libera si teneva il mento.
 

Scatto n.5
 
“Dopo mia madre e mia fratello, è l’unica che conosce i miei punti deboli. Ha la possibilità di distruggermi,
quando vuole… per questo me la tengo stretta.”

 
Jared è leggero, ma non è così impossibile acchiapparlo. La sua  fiducia è come un tesoro, va custodito con cura, tanta,
ed è facile farlo… è difficile svincolarsi da lui. Quasi impossibile.”

 
 
Entrambe le sedie erano occupate.
Jared e Audrey, uno accanto all’altra con i gli abiti del matrimonio.
Ora, però era la ragazza a tenere Artemis in grembo.
La mano destra appoggiata sulla cassa dello strumento, accarezzata da quella di Jared,
La sinistra, invece, era sistemata sulle corde della chitarra, premendo un accordo che la ragazza non conosceva, aveva semplicemente aveva lasciato che fosse la mano di Jared a guidarla.
Un dettaglio accomunava la due mani.
Le fedi dorate, che impegnavano le mani di entrambi.
 
Era stata un cerimonia privata, all’insaputa di tutti, anche per gli Echelon quel servizio fotografico era stata un sorpresa. Si era sposati il giorno prima di presenziare sul set di Terry.
 
 
 - Adesso puoi farlo… -
Concesse Audrey, una volta cambiati.
Jared agguantò l’Iphon da sopra il tavolino.
- Sei stata crudele. –
Disse mentre le afferrava la mano sinistra e glie la faceva chiudere a pugno. Lui fece lo stesso l’avvicinò a quella della moglie.
- Esagerato, non aveva senso caricare delle foto delle fedi su Twitter, se non volevamo che nessuno sapesse del matrimonio. -
Gli palesò Audrey, mentre lui sembrava nemmeno ascoltarla mentre caricava la foto.
- Fatto, adesso lo sanno… - Annunciò, guardandola.
Erano passati anni da quando quella mattina era scesi, battibeccando come sempre, ma con un nuovo luccichio negli occhi.
Adesso erano marito e moglie.
Jared aveva un Oscar in cucina e Audrey era diventa co-propietaria dall’Atelier Miller.
Una cosa li accomunava: Giselle Iris Leto, boccoli neri carbone e occhi azzurro cielo.


 
.THE END.
 
Nda:
Se non lo postavo adesso so che si avrei messo un casino di tempo a farlo...
Fine anche a questa storia, che era nata senza tante pretese... che però mi vede soddisfatta, mi è piaciuto scriverla e leggere le recensioni di Piratessa93 e MartyRudolf, grazie mille ragazze.

Spero non vi lascia l'amore in bocca questo finale, ho cercato di tenerlo in linea con l'atmosfera "scherzosa" che volevo creare nella storia. Forse è scontanto terminare con un matrimonio e una bambina, quindi Jared inserto all'interno di famiglia, ma l'idea di tutta la storia è sempre stata incarnare in Audrey, e di conseguenza nel rapporto d'amicizia tra i due, quella normalità che un vita da "star" tende a sottomettere. Perciò dato che tutti mettono su famiglia e si sposano, ho voluto aggrare anche Jared nella cerchia xD
Anzi, spero non sia troppo confuso...dato che il tempo di questo servizio fotografio è indefinito, e forse la struttura del capitolo è un pò confusonaria :D 

Per chiudere, ringranzio tutte coloro che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite... se vi da farmi sapere cosa ne pensate adesso che è finita, anche per criticare, non esitate!

Grazie ancora a tutte,
Blume.
 
p.s.:Questo è l'abito di Audrey ---> Link.
 

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