Kiss the chef

di lafilledeEris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


I
[The Ark - It Takes A Fool To Remain Sane]

 

 

Ci sono quelle piccole cose di cui nessuno di noi può fare a meno. Abbiamo tutti quelle persone che, in un modo o in un altro, segnano la loro strada insieme a noi. Esistono quei piccoli riti di cui nessuno al mondo può privarci.

Era una sera di metà settembre, mentre su New York imperversava un furioso temporale, Hunter era appena uscito da lavoro – lo studio legale presso cui lavorava da ormai due anni – e come al solito non poteva venire meno al suo appuntamento quotidiano. Si fermò al solito negozio, con il signore italiano che gli sorrise bonario, mentre sceglieva il vino, come sempre era indeciso se prendere il rosso o il bianco, e finiva anche col prendere una confezione da sei di Corona, perché “Non si sa mai”, ecco cosa aveva imparato con Sebastian e le sue serate culinarie.
Ormai, i due avevano un appuntamento fisso: appena finito di lavorare Hunter andava al locale dove Sebastian lavorava come chef e, in cambio, portava da bere. Che poi, era un po' un controsenso, Sebastian glielo ripeteva sempre.
Al ristorante avevano una vasta cantina, ma lui si ostinava a non volersi presentare a mani vuote. Ogni sera cambiava qualità di vino, ma la combinazione era sempre la stessa: vino rosso, vino bianco e birra, questo perché Sebastian non gli diceva mai cosa avrebbe cucinato.

Arrivato a destinazione, bussò alla piccola porta di servizio, aspettando un segno per poter entrare.

“Entra” sentì dire, attutito dal rumore di pentole che venivano agitate e sbattute sui fornelli.

“Ehi!” lo salutò Sebastian, intento a far spadellare quella che sarebbe stata la loro cena per quella serata.

“Mh, che profumo!” Hunter respirò a pieni polmoni il delizioso profumo, mentre posava sul piano dal lavoro la busta di carta con le bevande e si toglieva il giubbotto. “Che hai preparato per stasera?”

“Fettuccine panna e salmone. Ora ti faccio vedere una cosa bellissima”. Alzò il dito, come per fargli cenno di aspettare, mentre si dirigeva verso un mobiletto in fondo alla grande stanza che ospitava la cucina.

“Brandy?” domandò curioso Hunter, quando vide cosa tenesse in mano Sebastian.

“Guarda qui, uomo di poca fede!”

Sebastian versò un po' di brandy nella padella, mentre dava un piccolo colpo col polso, per far saltare ancora la pasta, facendo alzare una fiamma che arrivò sino all'altezza degli occhi di Hunter.

“Questo me lo devi insegnare! Sai com'è, io sono il solito rozzo che il brandy lo beve e basta.”

“Pensa a fare l'avvocato!” Hunter arricciò le labbra e guardò storto l'amico.

“Prima o poi mi insegnerai a cucinare?” Hunter teneva il mento posato sulle mani messe a coppa, seguendo con lo sguardo ogni gesto di Sebastian.

“Assolutamente no! È già tanto che ti faccia curiosare nella mia cucina”.

Clarington corrucciò le sopracciglia.

“La tua cucina? Ma questo non è il tuo ristorante...”

Sebastian annuì, serio.

“Questa è la mia cucina e ritieniti fortunato se ti faccio restare mentre cucino” ammonì Hunter, agitandogli il mestolo sotto il naso.

“Cosa vorresti fare con quel mestolo?” lo schernì l'altro.

“Te lo ficco su per il...”

“Uh, come siamo sboccati!”

Sebastian lo guardò in cagnesco.

“Sei un tipo strano, Clarington. E io devo ancora capire perché ti lascio mettere piede in cucina, come se niente fosse”.

“Perché ti piaccio!”

“Non dirlo nemmeno per scherzo!”

“Ehi, come sarebbe a dire?” lo punzecchiò Hunter.

“Non ti guarderei nemmeno se fossi l'ultimo bicurioso sulla faccia della Terra.”

“Così mi ferisci” Hunter si mise le mani sul cuore, mettendo in scena la sua peggior espressione affranta, mentre Sebastian sistemava la pasta nei piatti.

“Mi dirai almeno il procedimento?” domandò sbattendo le ciglia in maniera teatrale.

“Smettila!” lo rimproverò Sebastian.

“Di fare cosa?” Hunter lo guardava in maniera fintamente angelica.

“Di fare questa cosa!” indicò il viso di Hunter “Sei inquietante, un uomo grande e grosso come te che cerca di fare gli occhi dolci ad un altro uomo per ottenere qualcosa. Che diamine, non sto ancora attraversando la fase checca isterica!”

Hunter si sporse verso l'altro stringendo le labbra verso fuori e strizzando gli occhi all'inverosimile.

“Disse quello che ci prova con mezzo mondo! Ma almeno mi merito un bacetto? Ho portato da bere!”

Sebastian afferrò il naso di Hunter, dopo che se lo ritrovò a pochi centimetri.

“Hunter, stai zitto e mangia, sei qui solo per questo”.

Il rapporto fra Hunter e Sebastian non era per niente strano, come poteva sembrare ad un osservatore esterno. Erano amici sin dai tempi delle superiori – entrambi erano stati alla Dalton -, si erano scontrati parecchie volte per divergenze riguardanti il Glee club; dopo le superiori avevano preso strade diverse, Sebastian con la scuola di cucina e Hunter con la facoltà di Giurisprudenza e il rapporto ne aveva un po' risentito, dato che si erano trovati dal condividere la camera da letto ( e qualche volta anche i ragazzi), al mandarsi qualche messaggio sporadico. Così, quando si erano ritrovati a New York, avevano riallacciato del tutto i rapporti, creando i loro rituali. Ecco perché si ritrovavano a ogni sera nel ristorante dove Sebastian lavorava, raccontandosi a vicenda la loro giornata.

Sebastian sporzionò la pasta nei piatti, per poi porgere coltello e forchetta ad Hunter.

Rimasero qualche minuto in silenzio, mentre mangiavano, lasciando che lo spazio fra loro venisse riempito dal denso fumo che saliva dai piatti, svanendo nel nulla poco dopo. Sebastian si aprì una birra e ne porse un'altra a Hunter, che la prese, aprendo il tappo con una forchetta. Smythe scosse la testa, cosa che venne notata dall'altro.

“No, Sebastian, non perderò questo vizio”, lo anticipò Hunter.

“Mi spieghi perché? Sei in una cucina fornitissima e fai sempre la solita cosa con la forchetta ”.

Hunter fece spallucce e punse un gruppo di pennette con la stessa forchetta.

“Abitudine, credo”.

In tutti quegli anni, i silenzi creati fra loro non erano mai stati imbarazzanti, ma avevano sempre avuto un loro perché.

C'erano state volte in cui si erano capiti solo guardandosi dritti negli occhi, o sfiorandosi appena, come se parlare fosse sintomo di violazione di una qualche regola non scritta, ma impressa nelle loro menti. Parlare per loro era diventato superfluo, dopo tutti quegli anni vissuti a stretto contatto.

“Come va con Meredith?” domandò curioso Sebastian.

Hunter alzò gli occhi al cielo.

“Si chiama Melanie” lo corresse.

La ragazza era l'ultima conquista di Hunter, entrambi sapevano che non sarebbe stata più di un'avventura, perché per Clarington nessuna ragazza che gli capitava fra le lenzuola poteva essere definita più di questo. Così, la povera malcapitata non faceva eccezione. Magari poteva anche essersi illusa che la sua storia con Hunter sarebbe potuta durare a lungo, ma la realtà dei fatti era ben diversa.

Era stata messa in soggezione da Sebastian, l'unica sera in cui Hunter l'aveva portata al ristorante in cui il primo lavorava. Il momento era stato imbarazzante. Solo per lei, ovviamente.

L'aveva squadrata e fin da subito non gli era piaciuta. Era troppo appariscente, troppo volgare, troppo tutto per uno come Hunter.

Sebastian scosse la mano, come a voler dire che non contava, che non poteva dare peso a certe sottigliezze.

“Le hai già detto che ti piace saltare di fiore in fiore, e delle volte che ti piace impollinare?” ghignò, come soddisfatto del suo doppio senso.

“No e non credo che questa storia possa durare tanto a lungo da poterglielo dire. E per la cronaca, detesto quando parli così della mia bisessualità. Il fatto che ti piaccia giocare “all'impalato”- mimò le virgolette - non ti rende migliore di me, sai?”.

Sebastian arricciò le labbra.

“Questa era cattiva!”

“Mai quanto le tue battute, passivella”.

“E tu che ne sai?”

Fu il turno di Hunter di puntare il dito contro Sebastian.

“Devo ricordarti che ti sei preso la premura – Hunter fece una smorfia un po' schifata – di raccontarmi ogni singola avventura di una notte? E parliamo di te, quindi da quando ci conosciamo hai avuto un ragazzo diverso ogni notte. E poi, tu hai detestato tutte le ragazze con cui sono stato...”

“Perché preferisco i maschi” spiegò l'altro allargando le braccia, con un'espressione angelica.

“Talmente tanto che finivi sempre rubarmi quelli con cui stavo, da sotto il naso”.

Sebastian sbuffò, mentre stappava il vino.

“Non è colpa mia se sono più bravo di te!”

“Tu non sei più bravo di me” Hunter corrucciò le sopracciglia “ Ti diverti solo a prendere quello che appartiene ad altri”.

“Perché sono più bravo di te “ cantilenò Sebastian, dopo aver bevuto un lungo sorso di vino.

“Perché siamo ancora amici?” domandò di getto Hunter.

Era una domanda che veniva fuori spesso, nei loro discorsi. Litigavano, si scontravano, venivano a parole, una volta si picchiarono addirittura, ma tornavano sempre. Qualunque cosa succedesse, si attraevano. Come quando Sebastian venne lasciato dal suo primo ragazzo – unica storia seria di sempre per lui. Aveva chiamato Hunter, anche se da due giorni non si parlavano più, a causa dell'ennesimo litigio, di cui nessuno dei due ricordava il vero motivo. Hunter era corso a casa sua e lo aveva trovato con gli occhi rossi dal pianto, le guance arrossate a forza di asciugarsi le lacrime e le labbra tumide a forza di torturarle.

Nessuno dei due avrebbe mai davvero dimenticato quella notte, ma entrambi erano troppo orgogliosi per ammettere di ricordarla.

C'era stato qualcosa fra loro. Forse era solo un ricordo sbiadito, forse aveva la consistenza di un sogno, forse aveva il peso di una voglia da levarsi, forse nessuno custodiva più sulle dita la sensazione di quella serata.

O forse entrambi amavano crogiolarsi nel segreto di quella sera. Perché vivere nei ricordi fa meno male che stare nel presente.

“Mi piace come cucini” commentò Hunter, cambiando completamente argomento.

“ A me piace averti in mezzo alle scatole, mentre cucino. Anche se prima o poi dovrò farti pagare”.

Hunter ghignò.

“Non lo faresti mai”.

“Tu per sicurezza continua a portare da bere, non si sa mai”.

 

 

 

N.d.a Ci sono riuscita! Il merito del prompt va alla mia Elenuccia, perché sì, è la mente geniale dietro a tutto questo. Mi serviva qualcosa di davvero figo, così mi ha dato l'idea di Seb!Chef/Hunter !lawyer. Devo fare delle precisazioni: per me Hunter è bisex, punto e basta. Senza se e ma, anche perché mi serviva ai fini della storia, avrei voluto dire qualcosa di meno, riguardo al loro rapporto ma siccome so che sarà una minilong, ho dovuto cambiare il modo in cui viene “diviso” il racconto del loro rapporto. Amo che si scontrino, ma...C'è un ma, che verrà raccontato nei prossimi capitoli.

Se volete, dite la vostra.

 

Bacino,

N.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** II ***


II

 

[ Blink 182 – I Miss You]

 

 

Delle volte l'onestà non paga. Così, impariamo a costruirci dei castelli perché le nostre bugie abbiano solide fondamenta. Troviamo più facile mentire guardando la persona interessata dritta negli occhi, è come una penitenza che pensiamo possa servire a lenire il nostro peccato. Non sarà mai così, ma ci piace pensarlo. Perché ci fa comodo. Non esiste un vero metodo per fare ammenda, solo conviverci. E continuare a mentire, sperando che quel teatrino regga.

Ad Hunter piaceva guardare Sebastian mentre cucinava, insomma, gli piaceva vederlo concentrato in quello che faceva, la passione che ci metteva, la cura con cui preparava tutto, nella sua uniforme – che sicuramente all'inizio era linda e pulita – sporca di sugo e olio.

Anche in quel momento, mentre sistemava il letto di rucola sul piatto per la tagliata di vitello. Poteva sembrare una cosa stupida, ma Hunter aveva capito che quello la diceva lunga sull'animo dell'amico. Era un perfezionista, prestava attenzione a tutto, questo non riguardava solo preparare dei piatti in cucina, ma sapeva bene anche come potesse prendere a cuore le persone.

Sebastian poteva sembrare un menefreghista egocentrico, ma Hunter lo aveva visto. Aveva visto il vero Sebastian.

“A che pensi?” Smythe interruppe il flusso dei suoi pensieri, richiamando la sua attenzione.

“Che ho fame e tu non ti muovi” rispose fintamente piccato, pur essendo stato preso in contropiede. Quei pensieri erano qualcosa di solo suo, gli affollavano la mente da troppo tempo, ma non poteva permettersi di esternarli. Sarebbe stato come lanciare una bomba e aspettare di contarne i feriti. C'erano giorni in cui quei pensieri lo accompagnavano sino al momento in cui metteva piede al ristorante. Era come se avesse una cicatrice, la cui causa era Sebastian, ma poi questo si rivelava essere la sola cura. Così, li relegava nei meandri più profondi della sua mente, concentrandosi solo sulla serata.

Quella sera aveva persino litigato con Melanie. Voleva dimenticare il motivo che aveva fatto nascere la discussione.

“Ehi!” Sebastian cercò di attirare l'attenzione di Hunter, quando gli posò davanti il piatto con la tagliata di manzo, con rucola e scaglie di parmigiano. “Tutto bene?” Lo squadrò, piegando la testa da un lato, cercando di intercettare il suo sguardo tenuto basso.

Hunter scosse la mano davanti al viso, prendendo una forchetta, mentre Sebastian gli versava un bicchiere di vino rosso.

“Tutto bene” cercò di minimizzare.

“Fammi indovinare, guai in paradiso?”

“Solo Meredith che inizia ad invadere troppi spazi. Questa tagliata è ottima!” cercò di sviare argomento, concentrandosi sul cibo di quella sera.

Sebastian si sporse oltre il bancone, guardandolo sottecchi, con un'espressione indagatrice.

“E'Melanie” lo corresse Sebastian “L'ho chiamata io così ieri sera. Ti prego, dimmi che non avete litigato perché tu l'hai chiamata con un altro nome mentre facevate sesso!”

Hunter si ficcò in bocca un boccone di carne, abbastanza grande da ritardare il momento in cui avrebbe dovuto dare spiegazioni.

Sebastian continuava a guardarlo, ancora tremendamente vicino. Ed era tutto così strano. Non per quella vicinanza – Hunter non provava vergogna nello stare così vicino all'altro perché era l'unico modo che aveva per potergli stare accanto -, quanto per quello sguardo. Quei grandi occhi verdi, che lo squadravano, lo spogliavano, lo privavano della forza per ragionare in maniera razionale. Per una frazione di secondo, temette potessero carpirgli la verità.

Ebbe la certezza di aver ripreso a respirare solo quando Sebastian si allontanò.

“Mi sono stufato” Hunter fece spallucce, per simulare una sicurezza che in quel momento non aveva “E' diventata troppo appiccicosa, sta prendendo una confidenza che io non le permetto”. Sollevò un angolo delle labbra, come schifato solo all'idea. Finì il vino nel bicchiere e lo porse a Sebastian per farselo riempire di nuovo.

“Era tutto così facile quando eravamo alle superiori” commentò Sebastian, mentre dopo aver versato il vino ad Hunter, lo versava per sé, bevendolo e facendo passare la lingua sulle labbra. Hunter non abbassò lo sguardo, un po' perché non gli piaceva sentirsi in soggezione ( e quella sera era già successo troppe volte), un po' perché gli piaceva guardare Sebastian. Non riusciva a non chiedersi come riuscisse ad essere così magnetico, così accattivante, come potesse riuscire ad concentrare l'attenzione sempre su di sé con piccoli gesti.

“Mi piacevano le superiori” rispose, pungendo con la forchetta, un pezzo di carne e parmigiano.

“O ti piaceva chi riuscivi a portarti a casa dopo le competizioni col Glee Club?” Sebastian ghignò, ricordando l'abitudine dell'amico di portarsi a casa qualcuno dei Glee Club sconfitti, come premio di consolazione, diceva lui.

“Tu sei riuscito ad andare a letto con Santana e Hummel. Insieme” puntualizzò, a ricordare quel momento come un gesto eroico degno di nota. Hunter ricordava quella sera, Santana Lopez era in un periodo di crisi con la sua biondina svampita, Hummel era un po' alticcio e stava cercando di far ingelosire Anderson, per cui, a quanto dicevano tutti, avesse una cotta pazzesca, di cui tutti si erano accorti. Tranne il diretto interessato, ovviamente.

La mattina dopo, nessuno dei tre non ricordava poi tanto di quella sera.

Era stato strano, perché poi Santana e Kurt erano entrati a far parte delle loro vite, dato che lei abitava con Sebastian e lui lavorava con Hunter nello stesso studio legale.

“E Anderson ancora me lo rifaccia” ricordò Hunter, pungendo con violenza, un innocente ciuffo di rucola.

“ Alla Dalton sei diventato un mito!” disse Sebastian, intento a sistemare varie pentole nella lavastoviglie.

“Già, cosa non si fa per la gloria!” esultò fintamente entusiasta Clarington.

“Poi ci sono stati Jeff e Nick?” cercò di ricordare Sebastian, corrucciando le sopracciglia, mentre di picchiettava il mento.

Hunter alzò gli occhi cielo.

“Quella non conta, non fa testo. Jeff voleva fare un regalo alternativo – mimò con le dita due invisibili virgolette – a Nick”.

“Beh, allora è andato sul sicuro, sul pacco e sul fiocco” commentò sarcastico Sebastian. Quel ricordo suscitava in Sebastian sempre una certa ilarità. Soprattutto perché Sterling aveva effettivamente convinto Hunter a bardarsi con grosso fiocco rosso di tessuto proprio lì.

“Giuro che se ridi ti pungo con la forchetta!” lo minacciò Hunter.

Sebastian si morse il labbro inferiore, camuffando la risata con una colpo di tosse.

Hunter non aveva mai rivelato il vero motivo per cui cercava tutte quelle distrazioni. Non era riuscito ad essere onesto con Sebastian.

Non era riuscito a confessare quale fosse la ragione che lo spingeva a finire a letto con così tante svariate persone. Forse, per la prima volta in vita sua, provava un po' di vergogna in ciò che faceva. Ma doveva, perché dopo quella sera a casa di Sebastian c'era un vuoto, all'altezza della spalla, nell'incavo del collo.

Una mancanza che col tempo aveva imparato a colmare. Ci aveva fatto l'abitudine, a cambiare subito le lenzuola dopo che si svegliava e aveva condiviso il letto con qualcuno, a non restare sino al sorgere del sole nella stanza che lo aveva ospitato per una notte.

Si ricordava il momento preciso in cui aveva deciso che quello sarebbe stato il suo chiodo scaccia chiodo.

Avevano vinto le Regionali, in quel periodo Sebastian stava – o meglio, finiva a letto spesso – con Thad. Così, si era domandato, perché, se poteva farlo Sebastian di finire a letto con chi volesse, non poteva farlo anche lui.

Era successo tutto dopo che era finito ad asciugare quelle dannate lacrime, dopo quella sera. Tutto era iniziato e finito quella sera. Era stata come una collisione di fatti, tutti troppo confusi, troppo affrettati.

Sembrava così facile. Spegnare il cervello, lasciarsi andare all'istinto, farsi guidare dai bisogni più primordiali.

“ E Nick sembrava anche abbastanza soddisfatto” soppesò pensieroso Sebastian.

“Tu in quel periodo stavi con Thad....”

“Ehi, frena le parole! Io e Thad ci divertivamo e basta”.

“Questo non era quello che diceva lui” lo provocò Hunter, sapendo già come avrebbe reagito.

Sebastian arricciò il naso.

“ So bene cosa dicesse Thad”.

“Aveva preso la vostra storia abbastanza seriamente”.

Sebastian alzò il dito come per zittirlo.

“Aveva capito male, anzi malissimo”.

Si accorsero che era finito il vino rosso e Sebastian ripiegò sulla birra.

“Non capirò mai perché hai questo rifiuto ad impegnarti”.

“Io- Sebastian si indicò- non sono uno da impegni a lungo termine, da rose, da anniversari...”

“Questo perché le tue storie non arrivano a durare un mese” lo anticipò Hunter.

“Ma mi ci vedi a fare tutte queste cose?”

Hunter conosceva la risposta.

“Assolutamente, no!” sentenziò serio.

“Ecco, appunto!”

Hunter diede l'ultimo lungo sorso alla birra. Capì che doveva andare. Prima che fosse troppo tardi, prima che tutto quello diventasse insostenibile.

“E' il caso che vada” Hunter guardò l'orologio che portava al polso. “Domani ho un'udienza alle otto e mezzo”. Sbuffò, spettinandosi i capelli.

“Beh, tanto ci vediamo domani?”

Hunter annuì, mentre si infilava il giubbotto.

“'Notte, Bas”.

“'Notte, Hunt”.

Accadeva spesso che Hunter, dopo quei momenti imbarazzanti, quando aveva la verità sulla punta della lingua, si desse alla fuga. Quando tutto sembrava complicarsi e Hunter sentiva la paura prendere il sopravvento, scappava. Da quel sorriso, da quelle battute, da quegli occhi verdi. Da Sebastian.

 

 

 

N.d.a Lo so, sono tornata presto, ma ne ho approfittato del tempo libero mentre ascoltavo musica trashissima e avevo l'ispirazione, anziché cazzeggiare, mi sono detta che dovevo scrivere ma sono comunque riuscita a cazzeggiare, la mia cronologia parla chiaro. u.u

Questo capitolo doveva risultare scanzonato, di passaggio. Invece è partito il megapippone mentale, mea culpa.

Amo scrivere dal punto di vista di Hunter, perché lo trovo completamente nuovo per me e mi diverto un sacco.

So che non è molto lungo come capitolo, ma conto più sulla sostanza e sul contenuto, piuttosto che sul papiro chilometrico in cui mi perdo io stessa.

Spero in un vostro commento.

 

Alla prossima,

 

Nico.

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Capitolo 3
*** III ***


III
                                       [Sinéad O'Connor - Nothing Compares 2U]   
 
 
 
Ci sono quelle sere in cui una strana malinconia ci sorprende, trascinandoci dove vuole lei. E ci sembra così facile lasciarci andare, perché quella triste signora sembra l’opzione migliore.
L’umore di Hunter quella sera era paragonabile al tempo, era uggioso, grigio e opprimente come l’umidità che calava su tutta New York, appiccicandosi a qualunque cosa sfiorasse col suo alito leggero.
Era seduto su quella stessa panchina da circa un quarto d’ora, mentre torturava il cinturino in acciaio dell’orologio che portava al polso. Si mise la mano in tasca, tastando a vuoto all’interno del cappotto, finché non trovò ciò che cercava.  Prese  il pacchetto e lo aprì prendendo una sigaretta e l’accendino. Era quella girata, l’ultima che solitamente conservava alla fine. In effetti, senza accorgersene aveva acceso e spento quattro sigarette di fila, dal tragitto fra il suo ufficio, il negozio di vini e il ristorante di Sebastian. La panchina su cui sedeva era in un punto cieco rispetto al ristorante, in qualche modo questo lo tranquillizzava.
Lasciò che il fumo gli entrasse nei polmoni, gli era sempre piaciuta quella sensazione: se si concentrava su quello – il fumo che occupava i polmoni, il percorso per riempirli – riusciva a non pensare ad altro. Sebastian detestava vederlo fumare da quando aveva smesso e lui, un po’ per gioco, si divertiva a provocarlo, offrendogliene una di tanto in tanto.
Dopo quanto era accaduto quel pomeriggio, la sua sicurezza nel voler rimettere piede nel locale di Sebastian iniziava a vacillare. Era successo tutto così in fretta che non aveva ancora avuto davvero un momento per somatizzare l’accaduto.
Melanie lo aveva lasciato. Per lei era stato così facile guardarlo negli occhi, sputargli in faccia tutto quello che pensava e dargli un sonoro schiaffo, prima di lasciarlo da solo in quel bar.
Inconsciamente, si portò la mano alla guancia a cui lo aveva colpito. Era un ammonimento, un ricordargli quanto lui fosse codardo. Lo era per vari motivi, ma il più grave era che scappava da sé stesso.
Tirò l’ultima boccata di sigaretta e poi la buttò per terra, spegnendola con la punta della scarpa.
Si diresse alla solita porta di servizio e aspettò che Sebastian gli desse il permesso di entrare.
“Ehi” lo salutò, alzando appena il capo dal tagliere.
“Cosa mi prepari stasera?” domandò Hunter, cercando di smorzare la tensione ( che sentiva solo lui, era più o meno come una perenne scarica elettrica a fior di pelle, lungo tutto il corpo, che lo rendeva rigido e impacciato in tutto ciò che faceva).
“Stasera arancini, pizza fritta, patatine e per finire gelato e tiramisù!”
Hunter sgranò gli occhi a sentire quell’elenco che sembrava infinito.
“Ma come mai tutta questa roba fritta?”
“Oggi avevo voglia di mangiare italiano, così ho recuperato le vecchie ricette di un corso fatto a Catania, poco dopo che avevo finito la scuola. Mi ricordo anche l’insegnante” Sebastian sospirò pesantemente, con aria trasognata.
Hunter gli schioccò le dita davanti agli occhi.
“ Bas, continua quello che stavi dicendo!” Lo chef scosse la testa , come per riprendersi.
“Mh, dunque ti dicevo, avevo voglia di italiano, così mi sono dato da fare”.
Finì di tagliare le ultime patatine da friggere e le buttò nell’olio bollente della padella.
“Niente friggitrice?” domandò curioso, Hunter.
“ Non ha senso usarla solo per noi due”.
Quel noi due fece uno strano effetto ad Hunter, perché per qualche malsana ragione suonava in maniera fin troppo diversa da “ due amici”, “due compagni di scuola”, come si erano sempre definiti. Implicava un diverso livello di confidenza, di conoscenza. D’intimità, anche. Era come sancire un legame – praticamente inesistente – e non volerlo condividere nemmeno con la persona interessata.
Hunter alzò le mani in segno di resa.
“Il cuoco sei tu”.
“Chef” puntualizzò serio Sebastian, mentre levava le ultime patate dalla padella e spegneva il fornello, per poi adagiarle sulla carta, per scolarle dall’olio in eccesso, per poi depositarle in un cestino apposito e salarle.
Prese dal grande frigo lì accanto la maionese e il ketchup.
Hunter, nel frattempo, aveva aperto due birre, di cui una veniva data a Sebastian, l’altra era per sé.
“Come è andata oggi?” domandò curioso Sebastian.
“E’ stato sfiancante” disse Hunter “ Quell’udienza sembrava infinita”.
Bugiardo, bugiardo e ancora bugiardo. L’udienza era filata liscia come l’olio, ma a sfinirlo era stata quella discussione – l’ultima, evidentemente – con Melanie. Come del resto, tutta la loro storia, se pur breve, lo aveva portato ad usare mezzucci e scorciatoie per evitare la verità. Sebastian era l’amico con cui cenava, punto e basta. Eppure, lei gli aveva voltato le spalle, quando aveva capito cosa si nascondesse dietro quel mucchio informe di mezze verità e vie di fuga che Hunter si era costruito.
“Io oggi ho avuto un sacco di lavoro da fare” disse Sebastian, addentando un arancino, cercando di recuperare con la lingua quello che stava per sfuggirgli del condimento.
Hunter deglutì a vuoto, cercando una posizione più comoda sullo sgabello.
“Come mai?”
“C’è stato un pranzo di matrimonio. I due tipi sembravano davvero contenti di accasarsi”. Un’espressione schifata comparve sul suo volto.
Hunter arricciò il naso.
“Ma tu non ci pensi mai?” domandò “Ad accasarti, trovare la persona che ti faccia mettere la testa apposto?”
“Beh, ho ventisei anni, non credo che sia poi così necessario, ci sono ancora tante cose che vorrei fare”.
“Ma non sarebbe bello farle e poterle condividere con qualcuno?”
Fra i due, Hunter era sempre stato quello più riflessivo, quello che ponderava tutte le scelte, non si lasciava trascinare dagli eventi perché riusciva sempre a controllarli.
Sebastian, invece, agiva di pancia, si buttava a capofitto nelle cose, spesso senza calcolarne le conseguenze.
Per qualche strana ragione, era questo ciò che portava loro a vivere bene insieme, erano sì simili per certi versi, ma totalmente agli antipodi per altri.
“Beh, ho te, i vecchi Usignoli, i miei genitori”.
Ancora quella strana sensazione di possesso. Bastavano davvero solo delle parole – magari anche sbagliate, fuori luogo, fraintese – a rendere Hunter in quello stato?
 
Era passata circa un’ora da quando avevano iniziato a cenare, quella sera per ragioni evidentemente differenti avevano entrambi alzato troppo il gomito, così si erano ritrovati in preda all’alcool a giocare a quello stupido gioco alcolico. Prime volte. Per chi non lo conoscesse, funziona in questo modo: uno chiede all’altro una sua prima volta, se l’altro omette la risposta deve bere, poi si passa alle dieci volte, con lo stesso meccanismo, dopo un paio di giri.
Sul bancone una bottiglia di Jack Daniel’s si frapponeva fra Hunter e Sebastian, come a ricordare – soprattutto ad Hunter – che oltre quel confine non potevano andare. Gli ricordava quanto potesse far male esporsi con Sebastian, quanto potesse essere deleterio stargli accanto, quanto potesse essere tossico il suo profumo e quanto facessero male quegli ammalianti occhi verdi.
Quel colore gli ricordava una frase di Shakespeare, “La gelosia è un mostro dagli occhi verdi”.
Non aveva mai capito davvero quei versi, eppure aveva il dubbio che prima o poi lo avrebbe scoperto.
E avrebbe fatto dannatamente male.
“Primo pompino” domandò, per riprendersi da quel momento di esclusione dal resto del mondo.
Sebastian alzò gli occhi al cielo.
“Questa è troppo facile: Blaine, avevamo quattordici anni. Ah, bei tempi. Adesso tocca a te: prima volta da passivo”.
Hunter si morse il labbro inferiore. Aveva due opzioni: mentire e raccontare una cosa fittizia o bere e lasciare che quel segreto morisse con lui.
Strinse il bicchierino in vetro più forte che poté, lasciando che le nocche si sbiancassero. Bevette tutto d’un fiato, come se l’alcool potesse pulire la sua anima da impenitente bugiardo.
“Uh” sussurrò Sebastian “Clarington ha dei segreti”. Sembrava che fosse un pensiero che gli fosse sfuggito. A giudicare dagli occhi lucidi e lo sguardo un po’ assente, poteva anche essere così. Non replicò.
“Primo bacio” domandò Hunter, la domanda scosse Sebastian dal suo torpore alcolico.
“Mh” si grattò il mento pensieroso – e decisamente ubriaco, quella risposta la sapeva anche Hunter- “ Lucy Mellory, avevamo tredici anni, era un gioco della bottiglia ad un compleanno, mi pare. Ma non ho ancora capito se vale come primo bacio ”.
Ebbene sì, anche Sebastian aveva baciato una ragazza. Era stato quando attraversava un periodo di grande confusione, non capiva se davvero gli piacessero i ragazzi. Hunter conosceva quella storia perché gli era stata raccontata da Christina, la sorella maggiore di Sebastian.
“Primo ragazzo con cui sei stato” domandò Sebastian, riempendo lo shottino e porgendolo ad Hunter.
Che invece lo stupì.
“Jake Mangano, vacanze estive fra il primo e il secondo anno alla Dalton”.
Una piccola “o” andò a formarsi sulle labbra di Sebastian, che a quanto pareva, aveva trovato il racconto molto avvincente.
“Hai davvero aspettato un gioco alcolico per raccontarmi della tua prima volta?”
“Tu non me l’hai mai chiesto!” protestò Hunter.
“ E cosa avrei dovuto dirti? Ehi, Hunter non è che mi racconti quando sei finito a letto per la prima volta con un ragazzo?”
Sembrava abbastanza infastidito e nella foga del momento si era avvicinato, come a voler fronteggiare l’altro.
Hunter vedeva nell’espressione di Sebastian rabbia e delusione.
Non capì mai perché lo fece, dove trovò il coraggio, per quale dannato motivo stava per fare una cosa così stupida.
Prese il viso di Sebastian fra le mani, cercò la consistenza della pelle del viso con i pollici, che andarono a incontrare anche la ruvidità della barba vecchia di due giorni.
Hunter temeva che Sebastian potesse ritrarsi da quel contatto. E ripensò alla bottiglia di Jack Daniel’s che quella sera era il loro confine, Sebastian l’aveva aggirata facendosene beffa.
“Ora abbiamo la nostra prima volta in una cucina” aveva sussurrato Smythe, tenendo gli occhi chiusi, mentre teneva il capo piegato da un lato, come a voler approfondire il contatto con la mano di Hunter, sospirando con le labbra socchiuse.
Fu lui ad annullare le distanze, cercando le labbra dell’altro, mordendo piano il labbro superiore, poi quello inferiore, disegnandone i contorni con la lingua.
Un sospiro leggero – che sapeva di whisky, pizza fritta e alcool, e anche un po’ di loro – abbandonò le labbra di Sebastian, mentre si aggrappava alle braccia di Hunter tirando piano il tessuto della camicia. Una mano di Hunter, si era spostata in maniera impercettibile dalla guancia di Sebastian su una spalla, sul petto, sul fianco e sulla schiena, sino a permettergli di sistemare l’altro fra le sue gambe, facendolo voltare, con la schiena contro il bancone.
Un leggero senso di vertigine colse Hunter quando realizzò che Sebastian stava litigando con la fibbia della cintura. Sorrise contro le sue labbra, quando lo sentì sbuffare e scese con le sue mani ad aiutarlo, senza mai smettere di baciarlo.
Tirò un lungo sospiro quando si sentì libero dalla costrizione del cavallo dei pantaloni, spostò le mani sul petto di Sebastian, aprendo la giacca da chef e seguendo col naso il percorso che partiva da collo, sino al petto, fino alla cintura, dovette scendere dallo sgabello a metà percorso, e rischiò anche di cadere perché la suola della scarpa si era bloccata sul piccolo poggiapiedi, calciò all’indietro e se ne liberò facendo cadere, suscitando un risolino compiaciuto in Sebastian.
Quando gli aprì la patta dei pantaloni, l’altro cercò i suoi capelli, lasciando che alcune ciocche gli si impigliassero fra le dita. Hunter baciò piano l’interno del ginocchio, alternando i baci e momenti in cui sfregava piano a la barba, a piccoli morsi leggeri, finché non arrivò vicino all’inguine.
“Hu-aaah- nter” E poi le parole di Sebastian persero di senso logico, divennero solo parole disconnesse, intervallate da versi di approvazione a ciò che Hunter gli stava facendo.
Era suo. Solo suo. Irrimediabilmente suo.
Non solo Sebastian. Ma quell’attimo, quel frammento di vita – e di Sebastian, sì perché la sua presenza era tale ancora da intossicarlo -, quei sospiri. Alla fine, tutto riportava a lui. E lo faceva stare bene.
Quando Hunter venne sollevato da Sebastian, venne travolto da un bacio di quest’ultimo. Le mani di Sebastian erano ovunque – un po’ come il proprietario che si era impossessato di Hunter – come se volessero stringerlo il più possibile.
Hunter fece voltare Sebastian, dopo avergli abbassato sino alle ginocchia l’intimo e i pantaloni.
Entrare dentro di lui fu più difficoltoso del previsto, nella foga del momento non lo aveva preparato, non si era preso la briga di fare piano.
Le unghie di Sebastian conficcate nella carne delle natiche e la sua schiena che si scontrava col suo petto lo riportarono alla realtà. Morsicò la spalla di Sebastian, sino a sentire i denti violarne la pelle.
Era suo. Per una volta.
Quella considerazione gli fece male, lo lasciò stranito e più scombussolato di quanto non avesse fatto l’orgasmo che giunse poco dopo.
Era successo tutto così in fretta, che gli faceva male al cuore pensarci. Si era bruciato col fuoco, eppure continuava a stare dentro Sebastian, mentre teneva la guancia poggiata contro la nuca dell’altro e accarezzava gli addominali.
Forse persino privo di significato.
Gli fece male al cuore pensare che il giorno dopo tutto sarebbe finito.
 
 
 
 
 
 
N.d.a Taaaa.- daaaaan! Sono tornata. Piccola precisazione: questo capitolo è andato abbastanza a braccio. Ero indecisa persino sul luogo in cui tutto doveva svolgersi, ma grazie a Nym ho dissipato ogni dubbio. Lo so, ho infranto praticamente tutte le norme igieniche di una cucina.
Anche in questo capitolo ci sono dei punti di domanda. Come sarà andata davvero la discussione fra Melanie e Hunter?
Qualcosa già si è capito, ma ci saranno altre occasioni per chiarire meglio.
Ultima cosa: la scena non finisce qui. Il prossimo capitolo riprenderà da dove finisce questo, quindi occhio.
Ho detto tutto.
 
Alla prossima,
 
N.

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Capitolo 4
*** IV ***


 
 
 
 
 
“Non dovremmo mangiare il dolce?”
Sebastian, era ancora incastrato fra il bancone e Hunter, mentre teneva il viso nascosto fra l’incavo del collo di quest’ultimo. Era una situazione così intima che Clarington temette, per un attimo, che se la sarebbe potuta dare a gambe. Non gli piaceva per nulla l’idea di trovarsi così vulnerabile, forse con l’animo addirittura più nudo di quanto non fosse lui in quel momento, con i pantaloni alle caviglie, la maglia sparita chissà dove in quella cucina, con ancora Sebastian addosso che giocherellava con i suoi capelli sulla nuca, tenendo il braccio sollevato oltre la sua spalla.
Hunter lo sentiva sorridere leggermente contro la sua pelle, quando sentiva che il respiro gli aumentava a causa sua.
“Direi che siamo andati ben oltre il dessert, non credi?”
Gli venne facile dissimulare un’ostentata sicurezza, non lo guardava negli occhi. Hunter sapeva che quello bastava, perché se i loro sguardi si fossero incrociati, lì sarebbero iniziati i problemi. E i guai.
Hunter lo sapeva, Sebastian portava solo guai. Con quei suoi grandi occhi verdi, il sorriso bastardo e strafottente quel suo modo di prendere tutto ciò che voleva.
Ma Hunter non gli avrebbe permesso di prendere anche se stesso, o il proprio cuore.
Mentendo a se stesso, spegnendo il cuore e non lasciandosi prendere la mano dai sentimenti.
 
In quel momento aveva preso ad accarezzargli piano l’avambraccio, lasciando che il suo respiro si infrangesse contro il suo petto, dopo essersi girato, facendosi un po’ di spazio.
Ti prego, non alzare lo sguardo.
Strinse le mani contro i fianchi nudi di Sebastian, sperando che le sue dita lasciassero i segni del loro passaggio.
“Com’è che non riusciamo a rivestirci?” domandò Hunter.
Sebastian aveva iniziato a disegnare pigramente dei leggeri disegni invisibili sul pettorale sinistro di Hunter, arricciando le labbra, mentre sembrava che cercasse di nascondersi ancora di più contro l’altro.
“Non mi hai mai detto il vero motivo di questo tatuaggio”.
Hunter aveva una scritta sul cuore, “ Ciò che mi nutre, mi distrugge,” a ricordo di una brutta esperienza.
“Da quando sei diventato uno da chiacchiere dopo il sesso?”
“Da quando siamo tipi da solo sesso fra noi due?”
“Non si risponde ad una domanda con una domanda” fece notare piccato, Hunter.
“Mi dirai perché sei così infastidito e silenzioso, stasera?”
Così Hunter si allontanò da Sebastian, dandogli le spalle, dopo essersi sistemato i pantaloni.
“Non mi piace tutto questo”. Smythe sospirò pesantemente, mentre in maniera silenziosa si avvicinava ad Hunter, tanto che si accorse di lui solo quando gli mise le braccia sullo stomaco.
“Non scappare”.
“Non vado da nessuna parte”. La mano di Hunter cercò quella di Sebastian, come se fosse dotata di vita propria.
C’era qualcosa di intimo in quel gesto. Più intimo di tutti i baci che si erano dati, più di tutto il sesso che avevano fatto.
Era straziante pensare che non sarebbe durato più di una notte, ma fra loro era già successo che tutto finisse col sorgere del sole.
Era come se tutto il dolore, il rimpianto, le mancanze di cui loro vivevano si nutrissero del giorno.
Solo la notte – una sola – tutto ciò era sparito, fra quelle lenzuola, quei sospiri e quei baci che ad Hunter erano costati l’anima.
“Ho lasciato Melanie”. Continuava a stringere la mano di Sebastian, lasciandosi dalla necessità di sentire quel piccolo lembo di pelle contro la propria. “Perché non era te. Ogni volta che guardavo lei, non riuscivo a non pensare a quello che non avevo. Non avevo te nel mio letto, e Dio mi perdoni, non riuscivo a toccarla come avrei dovuto. Lei lo aveva capito da tempo, mi chiedeva come mai io sentissi la necessità di venire ogni sera da te, lasciando lei da sola. Il primo periodo ha creduto alle cazzate che le raccontavo, ma poi una sera mi ha sentito che chiamavo te in sogno e non lei. Ricordo ancora cosa sognai quella notte, era la sera che sono stato a casa tua, ma niente superava il ricordo delle sensazioni che avevo provato. Credo che ormai siano passati anni dall’ultima volta che mi sono sentito davvero bene…”
“Mi ricordo la notte che sei venuto a casa mia, sai?” Le labbra di Sebastian, contro la colonna vertebrale di Hunter erano attutite dalla pelle, contro cui stava a poca distanza. “ Ricordo come hai asciugato le mie lacrime, mi hai abbracciato…”
“Siamo finiti a letto insieme” concluse Hunter.
“Abbiamo fatto l’amore” lo corresse Sebastian, andando a cercare con la mano libera il cuore di Hunter. In quel momento, sentì distintamente ogni singolo poro di quella pelle perfetta e ambrata, sentì ogni battito accellerato di quel cuore, il sangue che pompava e la cassa toracica che si alzava e si abbassava ritmicamente.
“Non devi farlo” sussurrò Hunter.
“Cosa?”
“Compatirmi, far finta che ti importi davvero”.
“Io non faccio finta” ringhiò quasi Sebastian, mentre si chiedeva perché Hunter non avesse ancora lasciato andare la mano sul suo stomaco.
Un silenzio irreale calò su di loro. Sebastian continuava a stare abbracciato ad Hunter. Per qualche strana ragione, sapeva che se lo avesse lasciato andare, lui sarebbe scappato e non avrebbe più fatto ritorno. Una strana consapevolezza si agitò in Sebastian, uno smuoversi d’ali, un battito di ciglio.
Capì che di Hunter ne riconosceva il profumo a chilometri, che distingueva ogni singola emozione sul viso.
Dal canto suo, Hunter era combattuto. Succedeva sempre così quando si trattava di Sebastian.
“Non fare niente se non te la senti. Non dire nulla”.
Quando allontanò la mano da quella di Sebastian, qualcosa si spezzò. Il dolore che li divideva si impose sul cuore, facendo rivestire Hunter e Sebastian glielo lasciò fare.
Quella pelle, quelle spalle, quel collo. Sebastian sapeva che gli appartenevano, glielo ricordavano i segni rossi delle unghie e dei denti, mentre sparivano sollo il tessuto leggero della camicia, il succhiotto e il morso sotto l’orecchio destro.
Fu doloroso e liberatorio lasciarlo andare. Doloroso perché sarebbe uscito da quella cucina, liberatorio perché ora stava solo a lui decidere se tornare o meno.
Forse non lo avrebbe mai perdonato se non fosse tornato al locale, se così non avesse fatto, sarebbe andato all’appartamento di Hunter per prendersi ciò che era suo.
Eccome, se lo avrebbe fatto.
Hunter per la prima volta non riuscì a guardalo negli occhi. Avevano parlato di quella notte, dopo anni, ma qualcosa in lui si spezzò, la magia dei ricordi si perse e quel momento non sembro più così perfetto.
Quando se ne andò Sebastian non glielo impedì, questo voleva pur dire qualcosa.
Ma per Hunter era il silenzio che costruiva una nuova distanza. Aveva giurato a sé stesso che avrebbe lasciato fuori il cuore e i propri sentimenti da tutta quella faccenda.
Quanto poteva durava ancora in piedi quella bugia?
 
 
 
 
N.d.a Lo so, sono partita in quarta con la pubblicazione poi ha avuto una botta d’arresto. Posso essere onesta? Non riuscivo a scrivere, ho cazzeggiato allegramente in questi giorni.
Ma ora parliamo di cose serie. Il motivo per cui Melanie scarica Hunter e per cui lui non era innamorato di lei è scontato, ma pensateci, mi serviva qualcosa da spiegare in breve, dato che questa sarà una mini long, credo davvero che si debba andare oltre il cliché e basarsi sulle sensazioni che vengono descritte.
Detto questo, vi ringrazio di cuore per come seguite la mia storia, siete adorabili. Il riscontro che ho avuto è incredibile.
 
 
Alla prossima,
 
N.

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Capitolo 5
*** V ***


V

[Demons at the door- Sleeping Wolf]

 

 

 

 

Un anno dopo.

 

Hunter quando lo vide si sentì cadere. E forse lo fece anche fisicamente. Lui a pochi metri di distanza, che sorrideva.

Portava i capelli più lunghi dall'ultima volta che si erano visti. Se li sistemava dietro l'orecchio, quegli adorabili ciuffi ribelli che gli incorniciavano il viso. Era bello, da straziare il cuore, come fosse un dolore fisico.

 

Sebastian:Ci vediamo domani?

[nessuna risposta]

 

 

Era lì, dopo un anno, a un centinaio di metri di distanza. Quando quella tremenda giornata era iniziata non pensava veramente che sarebbe andata così male, dopo aver rovesciato il caffè bollente sulla camicia nuova, aver dimenticato l'ombrello a casa in una giornata di pioggia, aver scordato parte dei documenti che gli sarebbero dovuti servire quella mattina a lavoro.

Invece, eccolo lì, il suo “cosa può andare sorto?”, dall'altra parte della strada, davanti al suo ufficio.

Bello coi suoi occhi verdi, così veri e profondi.

 

Sebastian: Hunter, sono preoccupato. Fatti sentire

[nessuna risposta]

 

Dopo quella sera, l'ultima che avevano passato insieme, tutto era crollato. Ad Hunter era mancato il coraggio, di andare avanti, di immischiarsi coi sentimenti, di coinvolgere qualcosa che non fosse il cervello.

La distanza, i silenzi, il dolore, è come qualcosa che si impossessa di te, ma tu nemmeno te ne rendi conto. Diventi mano a mano, come di pezza, ti lasci morire. All'inizio, ti sembra così giusto.

Hunter, lo vede come allontanarsi nella sua mente.

 

Sebastian: Hunter...

[nessuna risposta]

 

Sa che non ricorda più il suo profumo, o la sua voce dopo il sesso – l'amore, dannazione, l'amore-, o di come si comportasse quando cucinava.

Eppure gli piaceva così tanto guardarlo, impegnato fra i fornelli, per nulla impettito.

Ma in fondo, non poteva biasimarlo. Era stato lui stesso a sparire, nel nulla, come un prestigiatore. Non ci sono applausi per chi spezza un cuore, solo le mani sporche di sangue.

 

Sebastian: Vaffanculo.

 

Sa che la sua anima è macchiata, peggio del caffè su quella dannata camicia, del peccato di superbia di poter scegliere per entrambi. Erano in due, ogni volta in quella cucina, lo erano anche la prima volta che erano stati insieme, ma lui aveva deciso per entrambi.

Era stato giudice e giustiziato.

E si odiava, si guardava allo specchio e si odiava. Forse tanto quanto amava Sebastian.

No, quello mai.

L'amore, quello vero, lo aveva visto nei suoi occhi, nei suoi nei, nelle sue labbra, nei suoi sorrisi, nelle sue mani, nei suoi gemiti.

Si rende conto di essere sul quel marciapiede da troppo tempo.

“Hunter?”

Avrebbe fatto meno danni una bomba esplosa in centro città in pieno giorno nell'ora di punta.

Hunter solleva la mano, in cenno di un vago saluto, ormai Sebastian è vicinissimo a lui . Lo sguardo di Sebastian è severo e Hunter nota che Smythe tiene salda la presa alla mano di un ragazzo che è con lui. Vorrebbe fargli tante domanda, ma sa anche che non può arrogarsi questo diritto. Forse non l'ha mai avuto.

“Sei sparito”. E' una constatazione.

“Non...” cerca di dire Hunter.

“Questo è Eddie”.

Che nome idiota, pensa Hunter mentre il ragazzo biondo accanto a Sebastian gli porge la mano. È distinto nel suo completo grigio antracite, col nodo della cravatta talmente stretto che deve fare un male cane e Hunter si chiede come faccia a respirare.

Sembra stridere accanto a Sebastian, nella sua maglietta di Superman, i jeans scoloriti e le converse consunte e vissute.

“Sebastian non mi ha mai parlato di te”, dice mentre passa un braccio attorno alla vita del suddetto ragazzo e lo guarda.

Dio solo sa quanto Hunter vorrebbe vedere scorrere fiumi di sangue su quel viso d'angelo.

Che tu sia dannato, tu e la tua mano.

“Perché non ne ho mai sentito il bisogno”. È veleno, puro veleno, ma Hunter incassa e tace.

“Sentite, adesso devo tornare in ufficio...” dice Clarington. Mentre inizia la frase sta già voltando le spalle ai due ragazzi.

Non si volta, mentre sale le scale. Lo fa, sapendo quanto è difficile voltare le spalle al passato.

Hunter Clarington non si guarda indietro. Nemmeno quando volta le spalle all'amore.

 

 

N.d.a

L'ultimo aggiornamento di questa storia risale al 6 aprile 2014, praticamente è passato un anno. Non lo so, è stato un anno strano. Avevo davvero voglia di scrivere, qualcosa è stata anche pubblicata per altri fandom, ma se riprendevo in mano le cose già iniziate, boh mi veniva l'angoscia. Mi sentivo colpevole, scrivevo e cancellavo e così di seguito.

Oggi mi sono decisa, però. Dovevo dare un finale a questa storia.

Nella versione originale, tecnicamente sarebbe dovuto esserci l'happy ending, ma ahimè e ahivoi (???), come già detto è passato un anno, forse nemmeno vi ricorderete di questa storia, nel frattempo sono cambiate tante cose.

Così, eccomi qua a dire addio a loro due, come avrei dovuto fare tempo fa.

 

N.

 

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