Welcome to Venus

di Clary F
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Winner Takes All ***
Capitolo 3: *** Curiosity Is Not a Sin ***
Capitolo 4: *** Teen Dramas ***
Capitolo 5: *** Bikini Race ***
Capitolo 6: *** Bad Dreams ***
Capitolo 7: *** The Mystery Deepens ***
Capitolo 8: *** Dark Side of Love ***
Capitolo 9: *** The Past Always Comes Back ***
Capitolo 10: *** Stand by Me ***
Capitolo 11: *** Wicked Children ***
Capitolo 12: *** Bitter Revenge ***
Capitolo 13: *** Downworlders and Shadowhunters ***
Capitolo 14: *** So It Ends ***
Capitolo 15: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Titolo: Welcome to Venus
Contesto: Altro contesto.
Personaggi: Clary, Jonathan, Jace, Isabelle, Alec, Magnus, Helen, Aline, Mark, Maureen, Lily, Kaelie, Hyacinth e Nuovi Personaggi.
Coppie: Clary/Jace, Magnus/Alec, Helen/Aline, accenni Clary/Jonathan.
Disclaimer: I nuovi personaggi presenti nella storia, ovvero le Cacciatrici partecipanti alla gara, sono invenzione di Life before his eyes.
Spin off: Scars, una one-shot incentrata sul personaggio di Leah Silvermark, scritta da Life before his eyes.
Note: La storia è ambientata in un universo in cui Clary è nata e cresciuta come una Cacciatrice a Idris, insieme a Jocelyn e Jonathan; l'età di Mark Blackthorn è inesatta, essendo questa storia stata scritta prima di Città del Fuoco Celeste; per il resto gli avvenimenti precedenti alla storia rimangono uguali a quelli dei libri, compresa la storia del Circolo e del passato in generale.



PROLOGUE


Era tardo pomeriggio a Idris e il sole iniziava a tramontare sulle casette color crema di Alicante e sui loro tetti rosso vermiglio. Le torri anti demone gettavano bagliori argentei sulle acque dei canali, che spaccavano l'intera cittadina in tanti piccoli pezzi. Clary stava camminando su una delle innumerevoli stradine acciottolate che conducevano alla Piazza dell'Angelo, con la sua imponente statua di bronzo raffigurante Raziel. Indossava la sua tenuta nera da Cacciatrice, nonostante quella fosse una serata di festa. Mancava una settimana alla firma dei nuovi Accordi tra Nephilim e Nascosti e, a detta del Conclave, quello era un motivo più che valido per organizzare un festival dove, ovviamente, i Nascosti non erano invitati. Quella contraddizione lampante irritava Clary al punto da non voler partecipare alla festa, ma la voglia di uscire dalla tenuta dei Fairchild, in cui viveva con sua madre e suo fratello, aveva avuto la meglio sui suoi principi morali. Clary non aveva mai conosciuto suo padre, Valentine, almeno non di persona visto che era scomparso da circa diciassette anni, dopo aver mandato all'aria gli ultimi Accordi; ma ne aveva sentite tante su di lui. Come ad esempio l'odio che nutriva contro i Nascosti e la corruzione e la debolezza del Conclave. Su quell'ultimo punto, Clary non poteva non trovarsi d'accordo con lui, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. La piazza dell'Angelo era addobbata a festa: fiori bianchi simili a gigli, lunghi tavoli apparecchiati, piante esotiche che avvolgevano la statua di Raziel, lanterne luminose di stregaluce e una melodia avvolgeva l'intera atmosfera festosa con le sue dolci note. Era uno spettacolo per gli occhi, anche se Alicante era sempre uno scenario spettacolare in qualsiasi momento del giorno e in ogni stagione. Clary non immaginava altro luogo in cui poter vivere se non quello, ma del resto non era mai uscita dai confini di Idris in vita sua. Strano, visto che aveva il potere di creare Portali con l'unico ausilio di uno stilo e di una runa. Ma l'utilizzo delle sue doti le sembrava sprecato e ingiusto, se si trattava di un semplice capriccio personale.
«Clary,» la voce di una ragazzo attirò la sua attenzione. Si stava sbracciando, seduto ad un lungo tavolo affollato, facendole segno di raggiungerlo. Clary sorrise e si avvicinò. Il ragazzo aveva dei deliziosi boccoli bianco-dorati, orecchie appuntite e un occhio azzurro e l'altro color oro. Un occhio per Dio e un occhio per il Diavolo. Pensò la ragazza, sedendosi accanto a lui.
«Ciao, Mark.» Disse al più grande dei fratelli Blackthorn. Molti visi si alzarono a scrutarla, alcuni erano visi noti fin dai tempi dell'Accademia, la scuola per i giovani Nephilim che vivevano a Idris, altri era diventati familiari nelle ultime settimane, come quello di Mark, durante le quali molti Cacciatori, provenienti da tutto il mondo, erano tornati ad Alicante per assistere agli Accordi.
«Questa festa è l'emblema dell'ipocrisia, non trovi?» Le chiese lui, versandole un bicchiere di vino. Clary odiava il vino; ma adorava Mark per ciò che era appena uscito dalla sue labbra rosee.
«È assurdo.» Bisbigliò lei per non farsi sentire dagli altri giovani Cacciatori seduti al tavolo. «Stiamo festeggiando gli Accordi, eppure non c'è traccia di Nascosto.» Gli lanciò un'occhiata in tralice alle orecchie a punta, ereditate dalla sua madre fata. Le trovava affascinanti e le mani le prudevano dalla voglia di riprodurle sul suo blocco da disegno.
Mark intercettò il suo sguardo. «Che c'è? Stai pensando che devo nascondermi o presto mi cacceranno via scambiandomi per un Nascosto?» Le disse con un sorriso.
Clary arrossì, non era quello il motivo per cui l'aveva guardato in quel modo. Ma forse non era il caso di dirgli che adorava le sue orecchie e che avrebbe tanto desiderato disegnarle. Finse un colpo di tosse e per fortuna fu salvata dall'entrata in scena di Helen, la sorella di Mark e Aline Penhallow, la figlia del nuovo Console. La ragazza dai lineamenti asiatici stringeva qualcosa tra le mani pallide e aveva il viso arrossato, in preda all'emozione. A differenza di Helen, che sembrava osservare la ragazza con la coda dell'occhio e una punta di malinconia. Aline squittì qualcosa di incomprensibile e si fiondò tra le altre ragazze sedute al tavolo, mostrando loro ciò che teneva in mano. Il tavolo venne subito scosso da strilli, risatine e comportamenti che, secondo Clary, minavano molto al termine 'femminismo'.
«Che diavolo succede?» Chiese a Mark, con un sopracciglio alzato. Lui rispose con una scrollata di spalle, come per dire che non ne aveva la minima idea. A quel punto Helen si lasciò cadere stancamente sulla panca tra lei e il fratello, mostrando loro un giornale accartocciato.
«Questo. Ecco che succede.» Disse Helen, con voce piatta, posando sul tavolo il pezzo di carta. Clary lo prese tra due dita. Sfogliando il giornale, si fermò sulla terza pagina, sulla quale spiccava una grande foto in bianco e nero di una ragazzo piuttosto giovane, della sua età circa, dai lineamenti affilati, i capelli chiari e due adorabili fossette. Il ragazzo nella foto ostentava un sorriso compiaciuto e strizzava l'occhio con fare ammiccante proprio nella sua direzione. Sotto la foto, il titolo recitava:
Jace Wayland cerca moglie.
Clary scoppiò a ridere. Era la cosa più stupida che avesse mai sentito. E allora perché le ragazze si comportava come galline impazzite, invece che come giovani Cacciatrici dal sangue freddo?
Leah Silvermark, una ragazza alta, con lunghi cappelli biondi e occhi azzurri, che Clary ricordava dai giorni passati in Accademia, le apparve da dietro una spalla come un gufo, per sbirciare il contenuto dell'articolo.
«C'è anche un premio in soldi!» Esclamò, guadagnando altri strilli e risate. Clary scosse la testa esasperata.
«Che c'è? Tu non hai intenzione di partecipare?» Le chiese Leah, con aria innocente, squadrandola da capo a piedi, come a voler valutare se potesse essere una possibile rivale.
«Io? Mi prendi in giro? Non ho intenzione di partecipare a questa …» Clary strattonò il giornale che ancora teneva in mano, recitando ad alta voce le parole dell'articolo. «… competizione per conquistare il cuore dello scapolo più ambito di Idris, Jace Wayland. Ha!» Lanciò il giornale nell'erba alta, con fare sprezzante e le ragazze, compresa Leah, lo inseguirono come bravi cani da riporto.
Clary si massaggiò le tempie, captando alcuni dei discorsi eccitati provenienti dalle giovani Cacciatrici.
«Dovrò comprarmi un bikini nuovo.» Stava dicendo Aline, ad una ragazza con i capelli neri e la pelle abbronzata.
«Un cosa?» Sussurrò Clary, scioccata.
Helen fece una smorfia. «Pare che ci sarà anche una gara in bikini.»
Lei roteò gli occhi. Gli Accordi stavano per essere firmati e queste ragazze pensavano ai bikini? Il mondo dei Nephilim stava andando in rovina, pensò fra sé e sé, alzandosi dalla tavola. Poi si immobilizzò. L'aria davanti al suo viso si era fatta calda e ondeggiante, apparve una fiamma, che si estinse una frazione di secondo dopo, lasciandosi dietro un piccolo pezzo di carta, bruciacchiato ai lati: un messaggio di fuoco. Clary lo afferrò e lesse avidamente le parole contenute in esso. Era da parte di Jonathan, suo fratello, e diceva: Torna subito a casa. Nostra madre è sparita. Valentine è tornato. Avvisa il Conclave.
Il cuore di Clary iniziò a battere forte contro il suo sterno. La vista le si annebbiò per un attimo, prima di riuscire ad accumulare tutto il suo autocontrollo e iniziare a correre verso la tenuta dei Fairchild.
 
 
Due giorni dopo.
 
Il salone della Guardia era illuminato dal sole del mattino, che penetrava attraverso le grandi vetrate a bovindo. Clary e Jonathan erano al cospetto del Console, Jia Penhallow, e degli altri membri del Consiglio.
«Quella che state affermando, giovani Morgenstern, è una faccenda molto seria.» Stava dicendo il Console. «Il ritorno di Valentine non è uno scherzo. Non potete semplicemente venire qui e inoltrare supposizioni del genere.»
Jonathan sbuffò, passandosi una mano fra i capelli bianchi. Clary lo conosceva abbastanza bene per sapere che si stava trattenendo dall'imprecare contro il Console. Nonostante in lui ci fosse sangue di demone, crescendo con lei e Jocelyn il ragazzo aveva imparato a controllare la sua parte oscura, come la chiamava Clary. Anche se era pur sempre incline alla violenza e allo scontro, oltre che al sarcasmo tagliente.
«Crede che il ritorno di nostro padre sia uno scherzo per noi, vostra altezza?» Disse Jonathan, in tono mellifluo, calcando sulle ultime due parole con palese ironia.
«Non usare quel tono, Morgenstern.» Abbaiò il Console. «Sto solo dicendo che abbiamo bisogno di prove.»
«E le abbiamo!» Gridò Clary, con voce stridula. Sventolò davanti al naso di Jia Penhallow la boccetta in ottone che aveva trovato sul pavimento della camera di Jocelyn. La stessa boccetta che conteneva la pozione soporifera che Jocelyn doveva aver ingurgitato prima di essere rapita. «Nostra madre ci ha sempre detto che se un giorno lei fosse scomparsa e noi avessimo trovato questa,» la sventolò ancora una volta con enfasi, «ci sarebbe stata un'unica spiegazione. Ovvero che Valentine è tornato.»
Jia Penhallow sospirò, a disagio. Il ritorno di Valentine in un momento così delicato come quello era davvero una dannazione per l'intero Conclave. «Terremo in considerazione la vostra teoria e cercheremo vostra madre ovunque. Per il momento, nel caso Valentine fosse veramente tornato, credo sia opportuno che voi due andiate a stare dai Lightwood.»
«Come? Ma noi abbiamo già una casa in cui stare!» Disse Clary, con veemenza, lanciando un'occhiata a Jonathan in cerca di sostegno morale.
«La residenza dei Lightwood, come credo sappiate già, ospiterà un importante evento per le prossime due settimane. L'intera tenuta sarà abitata da giovani Cacciatrici promettenti, oltre che da guardie addestrate a difendere. Voi siete i figli di Valentine, se ha già rapito vostra madre tornerà anche per voi due, presumibilmente. La tenuta dei Lightwood è il posto più sicuro di tutta Idris, in questo momento.»
Jonathan aprì la bocca per controbattere, ma il Console lo fermò alzando una mano. «La decisione è già stata presa.»
I membri del Consiglio iniziarono a sgomberare le loro postazioni e due Cacciatori in divisa scortarono Jonathan e Clary fuori dalla Guardia.
«Non ci credo!» Esclamò Clary, appoggiandosi stancamente ad un muretto di pietra una volta fuori. «Nostra madre è scomparsa e noi siamo costretti a vivere con quella gente!» Sibilò, frustrata. «Gente che organizza ridicole competizioni tra altrettanto ridicole ragazze per vincere un ridicolo cuore
Jonathan le si avvicinò, puntandole addosso i suoi occhi neri come il petrolio. «Sarai più al sicuro dai Lightwood.» Le disse in tono serio. Aggiustandole una ciocca ribelle dietro l'orecchio.
«Sarai?» Sussurrò lei, afferrandogli un braccio. «Cosa vuol dire sarai? Tu non vieni con me?» Il suo tono di voce si fece sempre più alto, tanto che due Cacciatori si voltarono a guardarli incuriositi.
«Io ho diciotto anni, sorellina, e fortunatamente posso prendere le mie personali decisioni.» La schernì. Vedendo il viso di Clary stravolto dalla rabbia abbandonò il tono derisorio, passando a uno più dolce e comprensivo. «Certo che verrò con te, Clarissa. Ma prima devo sbrigare una faccenda.»

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Capitolo 2
*** Winner Takes All ***


CHAPTER 1
WINNER TAKES ALL


Clary osservò l'imponente cancello in ferro battuto che delimitava la proprietà, dove intricati disegni di rose e altri fiori confluivano verso il centro in cui era raffigurata una torcia, il simbolo della famiglia Lightwood. Sospirò, ravviandosi i capelli rossi e spingendo il cancello cigolante, che dava sul viale. Aveva portato poche cose con sé, nella speranza di non doversi fermare a lungo in quella proverbiale tana del lupo. Percorrendo il vialetto Clary iniziò a sudare, e non solo per il caldo afoso dell'estate, ma per l'imminente incontro con Jace Wayland e la sua famiglia adottiva. Conosceva Jace dai tempi dell'Accademia, nonostante non si fossero quasi mai rivolti la parola, se non per qualche battuta sarcastica. Aveva sempre trovato quel ragazzo detestabile e fin troppo pieno di sé. La tenuta dei Lightwood era imponente in un modo differente dalle altre tenute di campagna dei Cacciatori. Era enorme, con grosse balconate di marmo bianco e colonne greche che completavano l'intera facciata dell'edificio. Dell'edera era cresciuta sui muri della casa, senza dargli però un aspetto abbandonato, ma rendendo quel posto ancora più magico di quello che già era. Ai Lightwood piace fare le cose in grande. Era quello che le aveva detto una volta sua madre. Al pensiero di Jocelyn avvertì una stretta allo stomaco, ma si fece forza e usò il battente di ferro a forma di testa di leone per annunciare la sua presenza. Il suono sembrò propagarsi lungo tutti gli interni, mentre Clary voltava le spalle alla porta per rimirare l'immenso parco di alberi e cespugli fioriti che avvolgeva la tenuta. Il portone si aprì, dandole una piccola visuale dell'ingresso, che appariva semibuio dietro la figura esile di una donna con tanto di cuffietta e grembiule bianco, la quale la osservava dalla soglia con cipiglio severo. La governante, pensò Clary.
«Chi è lei?» Sbraitò la donna, con fare assai poco gentile.
«Sono Clarissa Morgenstern. Sono ospite dei Lightwood.» Rispose meccanicamente, mentre avvertiva un certo senso di nausea. Voleva tornare a casa. E voleva Jonathan.
«È in ritardo. Non è educato far attendere i signori.» Borbottò l'anziana governante.
«Beh, se non sono i paparazzi …» disse una voce alle spalle della donna.
Era una voce boriosa e arrogante. Clary strinse i pugni, mentre Jace Wayland si affacciava sulla soglia di casa, appoggiandosi mollemente allo stipite della porta e incrociando le braccia al petto. Osservò i suoi capelli biondi riflettere la luce del sole, i suoi occhi dorati posarsi su di lei e i muscoli delle braccia che tendevano il tessuto della maglia. Non ricordava fosse così bello.
«Hai intenzione di farla entrare, o vuoi tenerla sulla porta per sempre?» Continuò Jace, rivolgendosi alla governante con un sorriso. La donna fece segno a Clary di entrare, borbottando fra sé parole incomprensibili e dileguandosi senza nemmeno prendere il suo bagaglio.
«Non sapevo avessi una governante.» Disse Clary, alzando un sopracciglio e dando un'occhiata all'ingresso, dove un'ampia scalinata dalle ringhiere dorate portava ai piani superiori.
«Vuoi denunciarmi per questo?» Le chiese lui, beffardo, con gli angoli della bocca sollevati all'insù. Clary scrollò le spalle, già irritata dalla sua presenza.
«Vieni, ti mostro la tua stanza.»
Le prese la pesante borsa dalla spalla e si avviò su per le scale, senza darle il tempo di replicare. Lei si ritrovò ad ansimare per tenergli il passo. Si muoveva con una tale velocità e grazia che Clary pensò si fosse appena inciso una runa di agilità. Poi le tornò alla mente che lei e Jonathan non erano gli unici due bambini ad essere stati sottoposti ai folli esperimenti di Valentine. Anche Jace lo era stato, anche lui aveva sangue di angelo nelle vene, proprio come Clary. Lo seguì in silenzio lungo i corridoi illuminati dal sole mattutino, fino a che il ragazzo non si fermò davanti ad una porta di legno, uguale identica a tutte le altre. L'aprì, posando il bagaglio sul pavimento senza tante cerimonie. La sua stanza era stupenda: grande e luminosa, con un letto matrimoniale al centro, una scrivania, un armadio e una porta che dava su un piccolo bagno personale, le tende erano di un rosso acceso, come i garofani freschi che spuntavano da una vaso di porcellana sopra un tavolino. L'odore dell'estate e dei fiori riempiva l'intera stanza.
«È di tuo gradimento?» Le chiese Jace, squadrandola. Era di nuovo appoggiato alla porta, a braccia incrociate. Sembrava quasi che reggere gli stipiti delle porte fosse il suo sport preferito.
«È stupenda.» Rispose Clary, con sincerità.
«Bene,» fece lui, raddrizzandosi e assumendo un'espressione distaccata. «Il pranzo è alle dodici. Non tardare, Maryse odia i ritardatari. Per il resto … fa' quello che ti pare.»
«Cosa vuol dire fa' quello che ti pare?» Chiese lei, esasperata. «Ehi … aspetta!» Disse, vedendo che il ragazzo le voltava le spalle senza nemmeno degnarsi di rispondere. «Jace -» Gridò al vuoto, esattamente quando la porta della sua nuova stanza le si chiuse in faccia con un suono secco. «Stupido, arrogante, viziato!» Bofonchiò irata, buttandosi sul letto a faccia in giù.
Dopo aver borbottato insulti rivolti al ragazzo per una buona mezz'ora, essersi fatta una doccia e aver indossato un paio di jeans e una maglia leggera si erano già fatte le dodici in punto. Imprecò a bassa voce, mentre si precipitava giù per le scale alla ricerca della sala da pranzo. Non fu difficile trovarla, guidata dal profumo invitante di arrosto che aleggiava nell'aria. Il suo stomaco brontolò felice, ma la sua felicità venne spazzata via in un batter d'occhio quando entrò nella sala. C'era un lungo tavolo apparecchiato di tutto punto, con argenteria lucente e deliziose pietanze. Al tavolo erano già sedute quattro persone, che Clary riconobbe dai tempi dell'Accademia. A capotavola Robert Lightwood, alla sua destra Alec e Jace e alla sua sinistra Isabelle e un posto ancora vuoto, il suo. Sembravano tutti in attesa, il cibo ancora intatto nei piatti da portata. Fu felice di vedere che Maryse, l'odiatrice dei ritardatari, non avrebbe partecipato al pranzo.
«Scusate,» disse a bassa voce, arrossendo e sedendosi accanto a Isabelle.
«Non preoccuparti, Clarissa.» Le rispose Robert, in tono stranamente gioviale. La conversazione di famiglia, che si era interrotta nel momento in cui lei era entrata, riprese all'istante.
«Non capisco perché dobbiamo ospitare un branco di idiote nella nostra casa.» Sibilò Isabelle al padre, infilzando con rabbia una patata al forno. «Jace neanche la vuole una moglie. È troppo giovane per una moglie!»
Clary aguzzò le orecchie, ma evitò di intromettersi.
«Jace non si sposerà subito, Iz.» Si intromise Alec, guadagnandosi un'occhiata piena di gratitudine dal padre. Sembrava che quel discorso fosse trito e ritrito. Clary azzardò un'occhiata all'oggetto della discussione. Jace era silenzioso e il suo sguardo sembrava assente, non arrogante come lo era stato qualche ora prima.
«Tu cosa ne pensi, Clarissa?» Le chiese Robert, inaspettatamente. Lei alzò gli occhi dal suo piatto, deglutendo a fatica. Perché Robert Lightwood voleva sapere la sua opinione? Probabilmente solo per includerla nella conversazione, pensò a disagio.
«Io … non saprei.» Rispose arrossendo.
«Dubito che tua madre debba usare tali fini per riuscire a sistemarti con un ragazzo per bene.» Disse Robert, «ma Jace deve mettere la testa a posto. Deve capire che la sua vita non è solo un gioco, in cui può abbandonarsi ai vizi e sperperare tutte le ricchezze di famiglia.» Continuò imperterrito. «Una moglie è l'unico rimedio per far sì che un ragazzo torni sulla retta via.»
Clary non la pensava proprio così, ma quella nuova scoperta, ovvero che non era stato Jace a indire quella ridicola competizione, le accese un piccolo barlume di speranza nel cuore. Forse non era poi così male.
«Tu sei qui per la competizione?» Le urlò nelle orecchie Isabelle, in tono feroce. Avrebbe voluto dirle che non era il caso di urlare, visto che erano sedute a meno di mezzo metro di distanza, ma qualcosa negli occhi infuriati della ragazza la fece desistere.
«Sono qui perché mia madre è sparita.» Disse secca.
Isabelle non sembrò per nulla turbata dalla sua affermazione. Non si finse nemmeno turbata, ma almeno abbandonò il tono accusatorio. «Ah, già. La mamma aveva accennato a una cosa del genere.»
«Forse, dopo avermi rivisto, Clary ha cambiato idea e ha deciso di competere.» Le disse Jace con voce strascicata, perdendo all'istante i punti che aveva guadagnato.
«Non direi.» Rispose acida. Non riusciva a controllarsi, Jace era così borioso da darle la nausea.
Lui alzò un sopracciglio. «Che cosa triste. Allora sarà meglio farti avere qualche vantaggio: dopo pranzo puoi allenarti con me.»
Clary lo guardò scioccata, mentre Alec sorrideva divertito dietro al suo tovagliolo di stoffa. «Perché mai dovrei aver voglia di allenarmi con te?»
«Per poter spettegolare con le ragazze, vantandoti di avermi visto mezzo nudo e tutto sudato, non è ovvio?» Fece lui, agitando in aria una mano affusolata, pavoneggiandosi.
Si sentì ribollire di rabbia. Avrebbe volentieri tirato un pugno su quel bel viso angelico.
«Lasciala stare, Jace.» Ribatté Robert, stancamente.
Il pranzo si concluse in un silenzio teso e imbarazzante. Dopo aver finito il dessert, Clary si alzò da tavola insieme agli altri, catapultandosi nella sala d'ingresso e lanciando sguardi di fuoco. Finì per imbattersi in Robert che, vedendo i fulmini nei suoi occhi, le rivolse un sorriso consapevole.
Almeno Robert era conscio di avere un figlio idiota.
Quando tornò in camera si sdraiò nel soffice letto matrimoniale e si addormentò. Clary si svegliò di soprassalto, con la sensazione di non trovarsi nel proprio letto. E in effetti era proprio così. Si districò tra l'ammasso di lenzuola che le si erano avvolte attorno al corpo. C'era un caldo soffocante. Sì alzò e venne subito attratta dal panorama verdeggiante che si intravedeva dalla sua finestra. Sospirò, aprendola e lasciando che un filo d'aria fresca della sera le rinfrescasse il viso. Il sole di un arancione brillante stava per tramontare sulle montagne di Idris. Si sedette nella nicchia, con il suo blocco da disegno sulle ginocchia, ma presto venne distratta da una specie di cicaleggio proveniente dal piano di sotto. Abbassò lo sguardo sul viale d'ingresso che attraversava il parco: circa sei teste colorate si stavano muovendo nella sua direzione. Gli enormi bauli appresso.
Le ragazze erano arrivate.
Clary riconobbe alcune di quelle teste: il biondo platino di Leah Silvermark, il rosso carota di Ridley Stairwell e il nero corvino di Aline Penhallow. Non erano molte, solo sei, anche se sapeva che un gran numero di giovani avevano fatto domanda per partecipare. Sì, perché quelle sei ragazze che camminavano impettite verso la tenuta dei Lightwood erano il risultato di un'accurata selezione tra una quarantina di candidate. Ridley era graziosa e molto intelligente, ma niente a che vedere con la bellezza da femme fatal delle altre due ragazze. Clary si infuriò nella solitudine della sua stanza, non concepiva come una ragazza piacevole e intelligente come Ridley potesse partecipare a quella stupida competizione. Che cosa patetica.
La sua curiosità però ebbe le meglio, così, dopo essersi vestita e aver domato la sua chioma rossa, Clary scese nell'ingresso, dove trovò Robert e Jace. Robert Lightwood la salutò cortesemente mentre Jace le rivolse solo un'occhiata. Sembrava molto stanco. Tutta l'arroganza sembrava sparita, lasciando posto ad un ragazzo pallido e … spaventato? No, non era possibile, Jace non poteva avere paura di sei belle ragazze pronte a conquistarlo, era ridicolo. Lui sguazzava in quelle situazioni, il suo ego non poteva chiedere di meglio, eppure.
«State creando un po’ di suspence
Chiese a padre e figlio, riferendosi al fatto che la porta fosse ancora chiusa, nonostante il chiacchiericcio delle ragazze si sentisse fin lì. Jace la guardò gelido e fu Robert a risponderle che avrebbero aspettato l'arrivo di Maryse, prima di accogliere le ragazze in casa. Clary annuì distratta e sgattaiolò all'esterno da una porta laterale, mischiandosi con le concorrenti eccitate. Raggiunse Aline, salutandola con un cenno della mano.
«Un mucchio di soldi, Clary, un mucchio! Ma ci pensi?» Esclamò esaltata.
Clary dovette riflettere un attimo prima di capire che Aline si stesse riferendo al premio per la finalista.
«Fantastico. Conosci qualcuna?» Le chiese distratta, facendo scorrere lo sguardo sulle ragazze. «Certo, credi che io sia una sprovveduta? Mi sono informata sulla concorrenza.» Iniziò a snocciolare i nomi di ogni ragazza, indicandole con discrezione. Leah Silvermark, la bionda con i profondi occhi blu. Marlene Ashwood, una ragazza bruna dalla pelle abbronzata, con occhi verdi e intelligenti. Ridley Stairwell, con i suoi capelli color carota e il corpo longilineo. Victoria Greenshade, la cugina di Aline, con la quale condivideva gli stessi capelli neri e un accenno di tratti asiatici. E infine Rebecca Heroncross, una ragazza dai lineamenti fini, capelli rossi e degli strani occhi dorati. Erano tutte bellissime. E tutti i cognomi le suonavano familiari; conosceva alcune di queste ragazze fin dai tempi della scuola. Parlò con alcune di loro, ascoltò i loro discorsi, tra cui uno molto interessante che si stava svolgendo tra Leah, Victoria e Marlene.
«E se venissi eliminata nella prima prova? Come ti sentiresti?» Stava chiedendo Leah alle altre due.
«Devastata!» Rispose Marlene con trasporto.
«Sarebbe imbarazzante!» Ribatté Victoria, portandosi le mani alla bocca in un gesto di orrore.
Clary roteò gli occhi al cielo, spostandosi di qualche passo per non essere obbligata ad ascoltare oltre, ma per sua sfortuna si imbatté di nuovo nel monologo di Aline: «… mia cugina, Victoria, figurati se non si presentava. Credo abbia ancora una cotta per lui fin dai tempi dell'Accademia. Personalmente, non ho alcun interesse verso Jace, ma quel premio in denaro …»
Clary staccò il cervello da quella conversazione, prima di rischiare di staccare qualcos'altro ad Aline. Era sempre stata una persona esuberante e in continua competizione con qualsiasi essere femminile, ma di solito non era una tale stronza. Per fortuna il suo sproloquio venne interrotto dalla voce chiara e limpida di Robert Lightwood. Sulla porta spiccava la sua figura massiccia, accanto a quella esile come un giunco di sua moglie, Maryse. C'era un'altra cosa però, che attirò l'attenzione di Clary: Jace non era con loro.
«Grazie a tutte per essere venute. Fra poco vi mostreremo le vostre stanze. La competizione avrà ufficialmente inizio stasera alle nove.»
«Dov'è Jace?» Urlò la brunetta di nome Marlene.
Per una frazione di secondo Robert sembrò a disagio, ma Maryse rimediò subito a quel momento di esitazione.
«Vedrete Jace questa sera. Sarà una cena formale.» Disse la donna con voce di ghiaccio. Non sembrava compiaciuta per quell'assurda competizione e Clary provò un moto di simpatia nei suoi confronti. «Inoltre, avrete la brillante opportunità di essere istruite dallo stregone Magnus Bane, il -»
La voce di Maryse si interruppe bruscamente e Clary ne approfittò per sgattaiolare all'interno dell'ingresso. Una volta dentro tornò ad osservare la piccola folla di fanciulle e il motivo per cui Maryse si era interrotta. Lungo il viale stavano camminando altre quattro sagome femminili, delle ritardatarie probabilmente. Sentì sghignazzare qualcuno alle sue spalle e si voltò. Era Jace, appoggiato a una parete, in un punto che dall'esterno non poteva essere visto. Al contrario lui aveva un ottima visuale del vialetto.
«Qual è il tuo problema?» Sibilò Clary, mettendosi al suo fianco e sussurrando per non farsi sentire dai genitori di lui.
«Aspetta di vedere la faccia di Robert e riderai anche tu, Morgenstern.» Ribatté, divertito.
A quel punto Clary capì. Il sole era tramontato da alcuni minuti e altre quattro ragazze si erano aggiunte alla folla di Cacciatrici, ma le ultime arrivate non erano come loro, erano diverse, erano Nascoste. Clary trattenne il fiato, mentre osservava lo sguardo allucinato di Maryse e Robert spostarsi rispettivamente sulle due vampire e sulle due fate appena approdate davanti alla loro casa. Lily era una vampira asiatica dai capelli tinti di un blu elettrico. Maureen dimostrava al massimo quindici anni, con l'ossatura esile e una cascata di capelli biondo pallido. Poi c'erano le due stravaganti fate. Kaelie, con la sua pelle bianca come il latte striata da venature verdi e i capelli biondicci. E Hyacinth, con la pelle di una lieve tonalità di blu e le mani palmate. Clary spostò subito lo sguardo su Robert, il cui viso cinereo stava assumendo una preoccupante tonalità di rosso acceso, mentre si voltava verso Jace, furioso.
«Che cosa hai fatto?» Sillabò al figlio, senza emettere alcun suono. Jace sorrise compiaciuto, facendo alcuni passi avanti e mostrandosi alla folla che ora aveva raggiunto la decina.
«Ho pensato che con gli Accordi alle porte, sarebbe stato un gesto carino invitare anche delle Nascoste a partecipare alla gara, sai, per esprimere la nostra approvazione.» Disse, osservandosi le unghie con nonchalance. Clary lo guardò in viso, Jace aveva progettato tutto e adesso si stava divertendo un mondo.  

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Capitolo 3
*** Curiosity Is Not a Sin ***


CHAPTER 2
CURIOSITY IS NOT A SIN
 

Dopo che le ragazze furono accompagnate dai domestici nelle proprie stanze, Clary decise di uscire nel parco, nella speranza di trovare un po’ di tranquillità prima della cena formale di quella sera. Non incontrò anima viva nei corridoi della tenuta, le concorrenti erano troppo indaffarate a prepararsi per l'imminente evento. Il sole era tramontato da poco e il cielo di Idris era di un intenso color blu indaco. Clary respirò l'aria fresca e pulita, addentrandosi lungo un sentiero sterrato, circondato ai lati da una fitta coltre di alberi. La strada iniziò a scendere, fino a che non si interruppe davanti ad uno spettacolo mozzafiato. Un lago naturale non tanto grande si stagliò davanti agli occhi di Clary. L'acqua era cristallina e delle ninfee rosee galleggiavano sopra la sua superficie immobile. Si avvicinò alla riva e si sedette sull'erba fresca, sotto i rami di un grande albero nodoso. Probabilmente nessuno dei Cacciatori residenti a Idris possedeva nelle loro proprietà un gioiello del genere, in cui rinfrescarsi e nuotare durante quei giorni estivi terribilmente caldi.
«Ricchi …» Borbottò fra sé, con aria contrariata. Anche lei avrebbe voluto possedere un lago tutto suo.
Ma l'avversione per gli agi dei Lightwood non le impedì di amare quello splendido panorama e fu felice di aver portato con sé il blocco da disegno; lo aprì su una pagina bianca e impugnando la matita iniziò a tracciare i contorni di una piccola porzione del lago.
«Solo i difetti dei ricchi sembrano virtù
Clary sentì i capelli rizzarsi sulla nuca. Sapeva che lui la stava osservando. Guardò a destra e a sinistra, senza vedere nulla.
«Perché non sei con il tuo fan club?»
La voce arrivò da sopra di lei. «Potrei impazzire. Una ragazza posso gestirla, forse anche due. Ma una decina non credo di farcela.»
Alzò lo sguardo e vide Jace, seduto a cavalcioni di un grosso ramo. Il suo viso era pallido e sembrava non dormisse da giorni.
«Non preoccuparti, stasera potrai eliminarne una quindi ne rimarranno solo nove.»
Lui sospirò e si prese la testa fra le mani. «Ci sarai alla cena?»
«Non me la perderei per niente al mondo.» Rispose Clary, con voce carica di ironia. Jace rimase in silenzio e lei aggrottò la fronte. Sembrava non ci fosse rimasto nulla del Jace arrogante e presuntuoso di quella mattina, ma solo un ragazzo stanco, esausto.
«Cosa stai facendo?» Le domandò lui, saltando giù dal suo nascondiglio e atterrando in piedi a pochi passi da lei.
Clary si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il fiato. Tornò a respirare e fece una smorfia.
«Mi hai spaventata a morte! Che diavolo ci facevi su quell'albero?»
Jace la guardò con aria vagamente colpevole. Clary sospirò e decise di rispondere educatamente alla sua domanda; magari non troppo educatamente.
«Secondo te cosa si può fare con carta e matita? Sto disegnando.»
«E cosa disegni? Un mio ritratto, per caso?» Le disse con un sorrisetto arrogante.
Lei roteò gli occhi, il suo repentino cambiamento di atteggiamento la spiazzava. «Non sei un soggetto interessante come credi.» Rispose secca.
«Le parole sono piene di falsità o di arte; lo sguardo è il linguaggio del cuore.» Recitò. «E il tuo sguardo dice che sono molto interessante.» Aggiunse con un ghigno.
«La smetti di citare Shakespeare? Mi dai sui nervi.»
Jace la fissò con un sopracciglio alzato e i suoi enormi occhi ambrati, che rilucevano dei riflessi argentei provenienti dal lago. Fece per aprire la bocca ma la richiuse all'istante, fissando lo sguardo su un punto oltre la spalla di Clary. Lei si voltò e vide una sagoma leggermente zoppicante avvicinarsi a loro.
«Clarissa Morgenstern,» disse la governante, la stessa che quella mattina le aveva aperto la porta di casa. «Il signor Lightwood desidera vederti nel suo studio.» Abbaiò.
Clary aggrottò la fronte. Non immaginava una sola ragione per cui Robert volesse vederla. Fece un cenno d'assenso e tornò a guardare con aria interrogativa Jace, fermo immobile come una statua.
«Ora.» Aggiunse la donna con un ringhio, prima di voltarle la schiena e incamminarsi lungo il lieve pendio.
Clary sbuffò, si alzò da terra e la seguì. Nonostante la palese artrite della governante, Clary scoprì che era molto veloce. Presto la sua figura ingobbita scomparve dalla sua vista e una volta all'interno della tenuta, non seppe minimamente orientarsi. Ricordava vagamente che lo studio di Robert si trovava al secondo piano, forse la prima porta a sinistra …
Era socchiusa e dall'interno si udivano delle voci. Si accostò allo spiraglio, sbirciando all'interno.
La stanza non era lo studio di Robert Lightwood. Era un piccolo salotto, con un divano rosso scuro dall'aria morbida, un tappeto persiano, una libreria a muro e un piccolo caminetto inutilizzato, viste le alte temperature dell'estate. Nella stanza c'erano due persone. Una era comodamente seduta sul divano, le gambe lunghe e sottili accavallate e un enorme cappello luccicante sulla testa. Gli occhi del ragazzo si distinguevano anche sotto l'enorme visiera, erano color giallo verde, con un insolita pupilla verticale. L'altra persona era in piedi accanto alla finestra, le spalle dritte e tese e gli occhi azzurri sembravano molto impegnati a cercare di non incontrare quelli gialli dell'altro.
«Perché indossi un sombrero?» Chiese Alec, con voce esasperata.
«Questo è un borsalino, dolcezza.» Rispose Magnus, indicando con un cenno delle dita il luccicante indumento sopra la sua testa.
Alec alzò gli occhi al cielo. «Come vuoi, allora … Perché indossi un borsalino
«Beh, mi sembrava festoso!» Ribatté lo stregone, con aria innocente.
«Qualsiasi cosa sia, è troppo … appariscente. I miei non sopportano le persone troppo appariscenti.» Fece Alec, incrociando le braccia al petto. «Faresti meglio a togliertelo, prima di incontrarli.»
«Tesoro, ti assicuro che questo cappello non lascerà la mia testa fino a che non arriverà l'ora del cambio d'abito. Non dopo tutto quello che l'ho pagato.» Gli occhi da gatto di Magnus si scontrarono con quelli di Alec, ammiccando. Il Nephilim arrossì furiosamente e distolse lo sguardo. «Prima mi inviti a casa tua e poi mi maltratti? Non è carino, Alexander.»
«Non sono io che ti ho invitato qui.» Rispose lui, con un po’ troppa fretta.
«Non sei stato tu a suggerire il mio nome ai tuoi genitori?»
«N-no!» Disse Alec, con voce stridula. La bugia era scritta sul suo volto.
«Capisco,» fece Magnus, scavallando le gambe con eleganza e alzandosi in piedi pronto a lasciare la stanza.
«Voglio dire sì.» Si corresse immediatamente l'altro ragazzo, facendo un passo avanti nella direzione di Magnus. «Sono stato io.» Lo stregone si fermò e tornò a fissare Alec. «Ma solo perché si dice in giro che sei il migliore.» Bofonchiò con un gesto nervoso della mano.
«Sì, decisamente io sono il migliore. E, in ogni caso, dubito che qualcun altro sano di mente avrebbe accettato l'incarico. Insomma, un branco di Cacciatrici sovreccitate da ammaestrare. Questo sì che darà uno scossone il mio curriculum.» Disse Magnus, sarcastico.
«Ci sono anche delle Nascoste.» Disse Alec, sollevato di poter portare la discussione su un altro argomento.
«Non amo quel termine. Nascosto. Perché mai, poi? Implica che noi ci nascondiamo, ma io non mi nascondo.» Fece Magnus, seguendo un filo di pensiero tutto suo, lo sguardo vacuo.
«Certo che no, con quel cappello poi … » Rispose Alec, con un mezzo sorriso. «Non passi di certo inosservato.»
Lo stregone sorrise. «Non è educato prendere in giro un ospite per i suoi gusti in fatto di abbigliamento, Alexander.» Si avvicinò di qualche passo verso il giovane. La distanza fra i due ora era davvero minima. «Posso dare qualche lezione privata di galateo anche a te.» Allungò la mano affusolata verso una ciocca di capelli corvini di Alec, che gli era ricaduta sulla fronte, spostandogliela con delicatezza e facendo scorrere il polpastrello lungo il suo viso. «Gratis, ovviamente.» Aggiunse con un'alzata di sopracciglia.
Alec diventò paonazzo. Magnus spostò il viso a pochi centimetri da quello del ragazzo. Alec rimase immobile e Clary trattenne il respiro e, ruotando su sé stessa, appoggiò la schiena al muro. Doveva andarsene, e in fretta. 
«Forse c'è qualcun altro a cui potrei dare una lezione.» Disse Magnus. «Punto primo: origliare non è buona educazione, giovane Morgenstern.»
Clary arrossì, chiuse gli occhi e si morse il labbro, maledicendo sé stessa e la sua incurabile curiosità. Sentì dei passi rabbiosi riecheggiare sul pavimento e quando riaprì gli occhi si ritrovò a fissare due occhi molto azzurri e molto furiosi.
«Che cosa pensavi di fare?» Le sibilò Alec.
«Io … io stavo solo cercando lo studio di tuo padre. Non volevo …» Balbettò imbarazzata.
«Non volevi origliare?» Alec alzò la voce, i suoi occhi mandavano lampi.
«Mi dispiace.» Disse Clary, esasperata. Anche Magnus era apparso nel corridoio e stranamente le sorrideva divertito. Almeno lui non era suscettibile come Alec.
«Non essere così sgarbato, Alec. Accompagnala nello studio di tuo padre, piuttosto. È normale che si sia persa, questo posto è un labirinto.» Concluse facendole l'occhiolino e svanì in uno dei tanti corridoi.
Quando Alec l'ebbe scaricata con poca grazia davanti allo studio di Robert, Clary bussò alla porta, con ansia crescente. Una voce al di là le disse di entrare e lei obbedì. Robert era seduto su una grande poltrona dietro a una altrettanto grande scrivania in mogano. C'era armi appese ai muri e dei grandi scaffali ricolmi di oggetti e libri.
«Prego, accomodati.» Le indicò una sedia di fronte alla sua. Clary si avvicinò, ma non si sedette. Era nervosa e non aveva voglia di inutili convenevoli.
«Perché mi hai fatta venire qui?»
«Dritta al sodo, mi piace.» Rispose l'uomo, con un sorriso che durò pochi istanti. «Ti ho fatta chiamare per darti una bella notizia. Tua madre è stata ritrovata.»
Clary per poco non soffocò. «Dove? Come sta?» Sputò tutto d'un fiato.
«L'hanno trovata in una vecchia tenuta abbandonata. È ancora incosciente, probabilmente a causa di quella pozione che ha bevuto, quella di cui ci parlavate tu e tuo fratello.»
Clary fece per parlare ma Robert alzò la mano facendole segno di tacere. «Sta bene. Si riprenderà, stiamo cercando di contattare l'unica persona che può porre fine all'incantesimo di quella pozione soporifera, lo stregone Ragnor Fell.»
Venne travolta da un'ondata di sollievo. «Posso vederla?» Chiese con foga.
«No.» Rispose secco e Clary sgranò gli occhi, sorpresa.
«Ma perché? È mia madre, ho tutto il diritto di vederla!» Urlò sbattendo i piedi sul pavimento, come una bambina capricciosa.
«Finché tua madre non sarà sveglia non potrà raccontarci cos'è successo e chi l'ha rapita. In ogni caso, gli indizi portano tutti a Valentine e questo è un male. Tu devi restare entro i confini di questa proprietà, fino a che non avremo delle risposte concrete. Anche tuo fratello farebbe bene a stare qui. Lui è maggiorenne, nessuno può dirgli cosa fare, ma è per il vostro bene.» Vedendo l'espressione furiosa della ragazza aggiunse: «È quello che vorrebbe tua madre, Clary. Non devi più preoccuparti per lei, è al sicuro, alla Guardia, e presto si sveglierà.»
Clary non seppe bene come, ma dopo circa dieci minuti e un sacco di parole dopo, Robert riuscì a convincerla con il suo tono calmo e ragionevole. Forse aveva ragione lui, anzi, sicuramente era quello che avrebbe voluto Jocelyn.
Robert si alzò dalla poltrona per accompagnarla alla porta. Quando furono sulla soglia, però, si fermò spostando il peso del corpo da un piede all'altro. Sembrava a disagio.
«Senti … Jace ti sembra … normale?» Le chiese dopo un attimo di silenzio.
«Dici a me?» Clary sgranò gli occhi, puntando il dito su sé stessa.
«Direi. Non c'è nessun'altro nella stanza.»
Lei cercò di ricomporsi. «Credo sia stressato. Quelle ragazze sono terrificanti.»
Robert rise, dopodiché annuì pensieroso, aprendole la porta e congedandola. Le ci volle un attimo per riprendersi da quella strana conversazione e correre fino in camera sua, con l'intenzione di mandare al più presto un messaggio di fuoco a Jonathan.
Quella sera Clary scoprì cosa intendesse Maryse per cena formale. Lei l'aveva intesa come una cena normale, ma quello che si trovò davanti quando scese al piano terra fu un sontuoso banchetto e una vetrina di abiti eleganti. Si pentì di aver indossato i suoi jeans neri e una semplice maglia bianca, era come un pugno in un occhio in mezzo a quell'esplosione di colore. Jace era tornato il solito irritante, egoista, arrogante, insopportabile di sempre. In fondo alla grande scalinata di marmo, al fianco del padre, accoglieva ad una ad una le ragazze, pavoneggiandosi come un pappagallo pregiato. Le ragazze si presentarono nel salone alle nove in punto. Quella era la prima prova ufficiale della competizione, la prova di conversazione ed intrattenimento. Di certo i loro abiti coprivano a malapena lo stretto necessario, intrattenendo Jace in ben altri modi che con le parole. Il ragazzo sorrideva compiaciuto, con Alec al suo fianco. Vedendo la maglietta nera e bucata di Alec, Clary si sentì meno a disagio, ma la sensazione durò ben poco quando lui intercettò il suo sguardo e lo ricambiò con una smorfia gelida. Quando anche l'ultima ragazza entrò in sala da pranzo, Clary si incamminò verso uno dei posti a sedere ancora liberi. Intercettò lo sguardo di Jace e lui le fece l'occhiolino. Per poco non inciampò nel tappeto.
«Vieni, Clary? Ti tengo un posto vicino a me. Così potrai tenermi d'occhio. Non so cosa potrebbero farmi quelle ragazze, credo siano già tutte innamorate di me.»
Jace. Stupido idiota. Clary digrignò i denti mentre varcava la soglia della sala. Come aveva potuto anche solo pensare che Jace avesse un lato umano?
La cena fu orrenda. Clary si chiese se quelle ragazze avessero un minimo di pudore, compresa Aline e sua cugina. Se avesse sorpreso Jace a guardare ancora un'altra volta dentro le loro scollature lo avrebbe preso a schiaffi. Jace era a capo tavola, lei sedeva alla sua sinistra con Isabelle al fianco, all'estremità opposta del tavolo sedeva Robert, con uno sguardo omicida in direzione del figlio.
«Penseranno tutti che sei un maleducato ignorante.» Sibilò all'orecchio di Jace, dopo aver lanciato un ulteriore sguardo alla faccia di Robert. «Sei disgustoso!»
«Ah sì?»
«Smettila di guardare … i loro seni. E chiedi qualcosa di intelligente, non è interessante sapere quale taglia di reggiseno portano.» Clary afferrò la sua forchetta e infilzò con un po’ troppa foga qualcosa nel suo piatto. C'erano un sacco di cose che avrebbe voluto dirgli, ma nessuna era adatta ad una cena formale.
«Ci troviamo di nuovo in disaccordo, Morgenstern.» Rise lui, sussurrandole all'orecchio. Il suo respirò le solleticò la pelle.
«Se ti va più tardi possiamo farci una nuotata al lago.» Continuò a sussurrare. «L'acqua è una favola.»
Perché la sua gola era diventata improvvisamente arida come un deserto? Deglutì a fatica e gli sibilò in risposta: «Non ho portato il costume. Peccato.»
Ovviamente era una bugia. Il suo costume giaceva sul fondo della valigia. Aveva sentito dire che i Lightwood possedevano un magnifico laghetto e, fin da subito, aveva avuto voglia di farsi una nuotata, ancora prima di vedere quanto bello fosse realmente.
«Questo non è un problema per me.» Sorrise amabilmente, bevendo un sorso dal suo calice e meritandosi una gomitata da parte di Alec, seduto al suo fianco. Clary per poco non si soffocò con l'acqua.
Non era difficile immaginare chi Jace avrebbe eliminato in quella prima prova. Ridley Stairwell era una ragazza carina, ma Clary sapeva che carina non era abbastanza per quel tipo di competizione. Non era importante se Ridley fosse un'abile conversatrice, molto più delle altre ragazze, molto educata e dolce. Si vedeva che anche Robert l'apprezzava. Clary provò una fitta di rabbia nei confronti di Jace, che invece di considerare anche solo per un minuto Ridley, era troppo occupato a far sedere la fata di nome Kaelie sulle sue ginocchia. Decise di sedersi accanto a Ridley, mentre le altre ragazze civettavano attorno a lui, cercando di impressionarlo con l'arte della conversazione. Clary notò come Aline, in un abito particolarmente scollato che avrebbe fatto impallidire sua madre, Jia, si sporse in avanti verso Jace e gli sussurrò qualcosa in un orecchio; Jace le accarezzò il braccio quasi distrattamente, completamente estasiato, mentre Kaelie mise il broncio e cercò di catturare la sua attenzione.
«Non riuscirei mai a farlo,» disse Ridley, guardando a sua volta la performance di Aline. Clary sospirò.
«Molte persone non riuscirebbero mai a farlo,» rispose.
Ora Jace rideva a tutto ciò che usciva dalle labbra rosse di Aline. Notò che non solo sua cugina, Victoria, ma anche il resto delle concorrenti, stavano iniziando a guardare Aline come un terribile nemico. Si chiese per quanto a lungo le spade angeliche e la tipica violenza dei Cacciatori, potessero essere tenute fuori dalla competizione, come previsto dal regolamento.
«Perché sei qui?» Chiese il più gentilmente possibile a Ridley, non volendo offenderla. «Sei una ragazza intelligente.»
Ridley sorrise tristemente. «Non basta essere intelligente per trovare un marito, Clary.» E con queste parole si alzò e andò a recitare il suo ruolo insieme alle altre ragazze, anche se tutti in quella stanza sapevano già che sarebbe stata lei la prima ad andarsene. Quando le ragazze iniziarono a ritirarsi nelle loro stanze, era ormai notte inoltrata. Victoria Greenshade le si avvicinò e le sussurrò all'orecchio.
«Una è andata, ne mancano ancora nove.»
«La tua simpatia mi stupisce.» Rispose Clary con un po’ troppa rabbia. Conosceva abbastanza bene Victoria dai tempi dell'Accademia, avendo entrambe la stessa età. Sapeva che non era colpa sua, era di Jace, a cui lanciò un'occhiataccia attraverso la stanza, ma lui non sembrò farci caso, troppo impegnato a pavoneggiarsi con le altre ragazze.
«Ma che ti prende?» Disse Victoria. «Sei di cattivo umore perché volevi partecipare anche tu? Oppure perché viviamo sotto lo stesso tetto con delle Nascoste? Che cosa indecente.»
Clary non riuscì a trattenere la rabbia: gli Accordi stavano per essere firmati, eppure esistevano ancora Nephilim così ignoranti da ritenersi superiori ai Nascosti.
«Guarda, stai perdendo la tua occasione per baciare i piedi a Jace prima che se ne vada a letto.» Indicò il ragazzo che si stava avvicinando alle scale che portavano ai piani superiori e senza aspettare risposta uscì nel giardino. Dovette fare una lunga passeggiata attraverso il parco prima di riprendere il controllo e sbollire il nervoso. Si soffermò alcuni minuti davanti al lago, dentro il quale non aveva ancora avuto l'occasione di nuotare. Decise che più tardi sarebbe sgattaiolata in giardino e avrebbe finalmente fatto un tuffo, lontano dagli occhi indiscreti del padrone di casa. Quando rientrò, trovò Victoria ad attenderla fuori dalla porta della sua stanza.
«Non ora,» disse Clary spalancando la porta, Victoria la seguì all'interno, ad accompagnarla il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento. Clary si tolse le scarpe e si stese nel letto a pancia in su. Sentiva la ragazza borbottare, mentre percorreva l'intero perimetro della stanza senza sosta. Rimase in attesa, sapendo che Victoria avrebbe iniziato a parlare da un momento all'altro.
«Non è giusto.» Disse ad un certo punto, sedendosi sul letto di Clary.
Lei sospirò. «Lo so.»
«Se deve essere eliminato qualcuno, quella deve essere Aline.» Ringhiò Victoria.
«Perché?»
«Non dovrebbe nemmeno essere qui. A lei non piace nemmeno Jace, figuriamoci se vuole …»
Clary si mise a sedere. «Sposarlo? Non sapevo che Jace ti piacesse ancora, Victoria. Che succede?»
«Niente. Ho fatto un errore a lasciarlo, quando eravamo in Accademia.» Sentì il dolore nella voce della ragazza e subito si pentì di averle risposto male poco prima.
«Perché non gli dici semplicemente che ti piace?» Suggerì quella che le sembrava un'ipotesi plausibile, ma Victoria l'accolse con un'espressione inorridita.
«Okay, okay. Come non detto.» Clary roteò gli occhi.
«Hai ragione, suppongo. Ma per l'Angelo, Clary, questo posto è fantastico! Io non voglio più tornare a casa!»
Clary si sdraiò nuovamente e ascoltò solo per metà gli elogi di Victoria riguardo alla tenuta dei Lightwood, percorrendo già con la mente il momento in cui sarebbe sgattaiolata fino al lago.
 
 
Jonathan aveva ricevuto il messaggio di fuoco di Clary e si era subito precipitato alla Guardia, per assicurarsi di persona che le condizioni di Jocelyn fossero davvero buone. Quando raggiunse la tenuta dei Lightwood era ormai notte fonda. L'enorme villa sembrava completamente addormentata. Ma, mentre percorreva il viale, intravide un guizzo rosso, al di là del vetro di una finestra al secondo piano. Clary. Pensò con un mezzo sorriso sulle labbra. Non c'era nessuno con i capelli rossi come sua sorella. Quando erano piccoli, spesso Clary si perdeva tra la folla durante le festività ad Alicante, troppo presa dalla sua curiosità innata e dalle sue contemplazioni d'artista, ma lui riusciva sempre a ritrovarla e a riportarla a sua madre, grazie soprattutto alla sua inconfondibile chioma rosso sangue. Camminò sotto le fronde degli alberi, vestito completamente di nero era come un'ombra nella notte, se non fosse stato per i capelli bianchi come la neve. Puntò dritto in direzione della finestra in cui aveva intravisto Clary e iniziò ad arrampicarsi, facendo affidamento sui suoi muscoli da Cacciatore e utilizzando come appigli i rami dell'edera che cresceva lungo tutta la facciata della casa. Un gioco da ragazzi, quando nelle tue vene scorre sangue di demone. Senza il minimo sforzo arrivò a destinazione.
Era estate, perciò la finestra era rimasta socchiusa; la spinse con un gomito e scavalcando il davanzale atterrò in piedi sul pavimento. La camera da letto era avvolta nella penombra. Non era molto grande, ma arredata con un essenziale buon gusto: una toeletta, un armadio e ovviamente un grande letto matrimoniale, nel quale giaceva addormentata una figura femminile. La chioma rossa si spargeva sul candido cuscino e Jonathan le si avvicinò, allungando la mano fino a carezzarla dolcemente, sedendosi sul bordo del materasso. Si piegò in avanti, accostando le labbra all'orecchio della sorella e sussurrando: «sono tornato, sorellina.»
La ragazza si voltò di scatto, afferrandogli il polso della mano con cui le aveva accarezzato i capelli. Slanciò la mano libera, chiusa a pugno, dritta verso la faccia di Jonathan. Era stata veloce, ma non abbastanza per lui. Con un movimento fluido le afferrò entrambi gli avambracci, facendola voltare con il viso verso il suo e sibilando contrariato.
«Ma che ti prende?»
«Chi sei? Lasciami subito!» Strillò lei in risposta.
Ops.
«Tu non sei mia sorella.» Disse con voce piatta, lasciando la presa sui suoi avambracci. La ragazza aveva perso il suo interesse nell'esatto momento in cui aveva capito che non era Clary.
«Chi diavolo sei?» Ripeté, alzandosi in piedi e coprendosi il corpo con una porzione di lenzuolo. «Rispondimi! O giuro sull'Angelo che mi metto a urlare!»
Jonathan la osservò con espressione impassibile; la trovava piuttosto melodrammatica, con il lenzuolo stretto al petto, nonostante sotto indossasse il pigiama. La luce della luna illuminava metà del suo volto e Jonathan notò le varie differenze che c'erano tra lei e la sua Clary. Innanzitutto sulla sua pelle non c'era traccia di lentiggini. Il naso e il mento erano più affilati di quelli di sua sorella e gli occhi non erano verdi, ma di una strano color giallo ambrato. In effetti era piuttosto attraente.
Jonathan sbuffò impercettibilmente, prima di incollarsi sul viso uno dei suoi migliori sorrisi affettati. «Chiunque tu vuoi che io sia, dolcezza.»
Una serie di cuscini volanti e altri oggetti contundenti accompagnarono l'uscita di scena del ragazzo, insieme all'urlo acuto della Cacciatrice.
«Esci subito da qui!»

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Capitolo 4
*** Teen Dramas ***


CHAPTER 3
TEEN DRAMAS
 
 
Quando venti minuti dopo Victoria se ne andò, Clary si alzò in piedi e frugò nella valigia alla ricerca del costume. Una volta trovato lo indossò, si mise un asciugamano sulle spalle e scivolò fuori dalla porta. La tenuta era silenziosa; Clary sentì la pelle d'oca sul dorso del collo mentre camminava velocemente attraverso i lunghi corridoi oscuri. Quel posto era magnifico, Victoria aveva ragione, ma c'era anche qualcosa di inquietante. Quando raggiunse il lago, si concesse un sospiro di sollievo. Nessuna guardia, nessuna ragazza si erano intromesse lungo il suo percorso. Il lago era piatto e calmo, come quel pomeriggio e la luna creava strani bagliori sull'acqua nera. Clary si tolse l'asciugamano dalle spalle e saltò in acqua. Era tiepida, riscaldata dall'intera giornata di sole, di una temperatura perfetta. Rimase a mollo per circa un quarto d'ora, fino a che sentì nuovamente quella sensazione di essere osservata. Col cuore che batteva, si avvolse l'asciugamano attorno alle spalle e si avviò furtivamente verso la tenuta, lanciandosi continue occhiate alle spalle. Alla base della scalinata di marmo si fermò, il cuore in gola. Qualcuno la stava sicuramente guardando.
«Te l'avevo detto che l'acqua era bella.»
Jace!
«Dove sei?» Sussurrò Clary. Sperava che non fosse da qualche parte dietro di lei, non aveva proprio bisogno che lui guardasse il suo corpo seminudo. Una forma si srotolò dalla cima della scala e Clary percepì una strana tensione alla bocca dello stomaco, quando lui scese lentamente i gradini. Nel buio sembrava diverso, frammenti di luce riprodotti sul suo viso gli illuminavano la pelle abbronzata e i capelli d'oro. Sembrava più vecchio, potente e questo la rendeva nervosa. Il suo volto rimase per metà nell'ombra, il caratteristico sorriso strafottente era sparito dalla sua faccia.
«Stai bene?» Clary chiese d'impulso. L'acqua le colava lungo la schiena dai capelli bagnati e sperò che non rovinasse il tappeto antico sotto i suoi piedi.
«Che cosa? Oh, sì» mormorò lui e Clary realizzò che la stava fissando. Si coprì il corpo frettolosamente con l'asciugamano e il suo sguardo scattò al suo viso.
«Cosa ...» Iniziò in tono minaccioso.
«Tranquilla, non mi permetterei mai.» Sorrise. «Il tuo adorato fratellino mi ucciderebbe se sapesse che faccio certo pensieri su sua sorella.»
Clary arrossì, non voleva dargli questa soddisfazione, ma non riuscì ad impedire che accadesse. Le sue guance si accesero, diventando color scarlatto dal collo fino alla radice dei capelli. Non disse nulla, osservandolo e aspettando. Fece un respiro profondo, gettò indietro la criniera gocciolante e si spinse oltre di lui, senza aggiungere una parola. Nella sua stanza, sotto la doccia, Clary sapeva di essere ancora rossa in viso, poteva sentirlo sulla sua pelle.
«Stupido Jace» mormorò, infilandosi a letto. Maledisse Jace fino a che non si addormentò.
Si svegliò al colpo secco di una porta sbattuta. Saltò a sedere, alla ricerca di una qualsiasi delle armi che teneva disseminate nella stanza.
«Jonathan!» Urlò, una volta che fu riuscita a distinguere l'ombra che si era intrufolata nella sua camera.
«Dio, ti ringrazio.» Lo sentì borbottare, sedendosi sul bordo del suo letto. «Questo posto è pieno di folli. Una ragazza mi ha quasi ucciso a cuscinate.» Disse, passandosi una mano fra i capelli bianchi e fissando i suoi occhi neri nei suoi. Quando la mise a fuoco, lo vide sorridere; si abbassò per sfiorarle la guancia con un bacio. «Ciao, sorellina.»
«Cos'è questa storia delle cuscinate?» Gli chiese attirandolo verso di sé e facendolo sdraiare al suo fianco.
«Lascia perdere. Uno sfortunato incontro con una concorrente dai capelli rossi.» Rise lui, voltandosi su un lato per guardarla in viso.
Clary alzò le sopracciglia, scettica. «Vuoi dire Rebecca Heroncross?»
«Mi ha cacciato dalla sua stanza prima delle presentazioni.» Rispose con un ghigno, allungando una mano verso la chioma di lei e intrecciando un dito attorno a una ciocca di capelli rossi.
«Che diavolo ci facevi nella camera di Rebecca Heroncross?» Sbottò Clary, non senza una punta di gelosia nella voce.
«Un fraintendimento. Credevo fossi tu.» Jonathan iniziò a ridere, girandosi a pancia in su e incrociando le mani sotto la nuca. «Bella stanza, quella di Rebecca è molto più piccola.»
Clary sbuffò. «Voglio andare a casa, Jonathan. Portami via, ti prego.» Gli disse, posandogli una mano pallida sul petto.
«Non possiamo. Il Conclave non ti permetterà di andartene da qui, fino a che non scoprirà se Valentine è ancora in giro.»
Clary sbuffò un'altra volta, ma non aveva le forze per controbattere. Era notte fonda e le sue palpebre si chiusero involontariamente. Con la testa poggiata sopra il petto di Jonathan, presto si addormentò, cullata dal regolare alzarsi e abbassarsi del suo torace.
La mattina dopo si svegliò con un gran mal di testa. Aveva dormito male a causa di sogni di cui non capiva il significato, fatti di immagini sfocate e conversazioni lasciate a metà. Quando realizzò che il protagonista dei suoi sogni era Jace, ne rimase scioccata. Ancora scossa, scese di sotto per fare colazione, pur non avendo alcuna fame. Al tavolo erano già tutti seduti, Jace, l'aria stanca come se non avesse dormito tutta la notte, Robert Lightwood, intento a parlare con suo fratello Jonathan in un angolo, e tutte le ragazze ad eccezione delle due vampire, Maureen e Lily, la cui colazione a base di sangue avrebbe disgustato le nobili e raffinate Cacciatrici. Clary si sedette vicino a suo fratello e Jace le passò un piatto di pane tostato che, per la sorpresa, per poco Clary non fece cadere a terra. Mormorò un buongiorno e lui grugnì in risposta. Intanto Jonathan osservava il loro scambio di grugniti con un'espressione che Clary aveva già visto prima e che non gli piaceva per niente.
Robert Lightwood si schiarì la voce e parlò alle ragazze delineando brevemente gli eventi della giornata. La prime due ore sarebbero state interamente dedicate ad una lezione di portamento, condotta dallo stregone Magnus Bane in persona. Ci fu un brusio eccitato che attraversò il tavolo.
«Oh, sarà meraviglioso!» Esclamò Leah Silvermark, la bionda seduta davanti a Clary. «Imparare da Magnus Bane, il …»
«Fantastico.» Tagliò corto Clary, mentre la povera Leah tornava a sorseggiare il suo caffè.
«Qualcuno ha visto Ridley?» Chiese Marlene Ashwood, all'improvviso.
Aline scrollò le spalle. «Probabilmente se n'è già andata.»
«Non avrà sopportato il peso dell'umiliazione.» Aggiunse Leah, con un sorrisino ironico.
«È impossibile,» ribatté Marlene. «Le sue valigie sono ancora in camera sua. Ho controllato prima di scendere.»
Aline si alzò in piedi, evidentemente stufa dalla piega della conversazione. «Tesoro,» fece a Marlene, posandole una mano dalle unghie smaltate sul braccio magro. «Se fossi stata la prima ad essere eliminata anche io mi sarei dileguata senza curarmi dei miei averi. Lascia perdere.» Sibilò, prima di voltarsi e uscire dalla sala da pranzo.
Quando la colazione finì, Clary fece per alzarsi ma venne trattenuta dalla mano di Jonathan, che si chiuse attorno al suo polso.
«Che cos'era quello?» Chiese lui.
«Che cosa?»
Jonathan indicò Jace, che stava scortando due ragazze attraverso le porte del salone. «Il pane tostato.»
«Chiedilo a lui.» Borbottò Clary alzandosi in piedi piuttosto seccata dalla faccenda. Da quando Jace, signore del castello, offriva a qualcuno la prima colazione?
Lasciò suo fratello seduto da solo al tavolo da pranzo, correndo di sopra in camera sua.
Passò il pomeriggio a oziare, girovagando per la tenuta e dormicchiando nel suo letto, ancora stanca per la notte quasi insonne che aveva passato. Verso le cinque del pomeriggio udì un bussare insistente alla sua porta, che aveva chiuso a chiave senza nemmeno rendersene conto. Posò il libro che stava leggendo con scarso interesse e andò ad aprire.
«Devi venire di sotto.» Le disse Jonathan. Indossava dei pantaloni neri e una maglia bianca, abbinati ad uno dei suoi ghigni da cattivo. La prese per la mano e la trascinò letteralmente giù per le scale.
«Sì può sapere dove mi stai portando?» Sbottò infastidita.
«Credimi, ne vale la pena.» Le rispose soffocando una risata.
Arrivarono davanti alle porte del salone, le quali erano spalancate sull'ampia sala. Al centro di essa c'era Magnus, con addosso un luccicante completo argentato, accerchiato dalle ragazze. C'erano tutte: Leah, con i suoi capelli biondi; Marlene e Rebecca; Kaelie e Hyacinth, con la sua inconfondibile pelle blu e le mani palmate; Victoria e Aline, così simili a causa dei loro tratti asiatici e, infine, Maureen e Lily, le vampire, per le quali erano state tirate le spesse tende di velluto rosso, in modo tale da non farle bruciare alla luce del sole del tramonto.
«Che cosa … ?» Clary guardò suo fratello, smarrita. C'erano anche Alec e Isabelle, seduti su un divano di pelle in un angolo della sala. Isabelle si copriva il viso con le mani, sussultando. Per un attimo Clary pensò che stesse piangendo, ma dopo un'analisi più accurata si accorse che, al contrario, stava cercando di controllare le risate.
«Insomma,» stava dicendo Magnus, stizzito. «Sì sa, le fate hanno il dono di una grazia innata, ma questo non giustifica la vostra mancanza di stile.» Puntò un dito accusatore verso una povera e indifesa Marlene Ashwood, che reggeva in mano un pesante tomo rilegato in pelle.
Clary continuava a non capire. Jonathan la spinse all'interno della sala, andando a sedersi nel divano accanto a Alec e Isabelle.
«Che facciamo qui?» Bisbigliò, una volta seduta.
«La lezione di portamento è aperta a chiunque voglia assistere.» Le spiegò brevemente Alec, senza staccare gli occhi azzurri di dosso a Magnus.
«E fidati, vedere Magnus che maltratta quelle arrampicatrici sociali è un'esperienza impagabile.» Aggiunse Isabelle.
«Kaelie, tesoro» continuò Magnus, imperterrito. «Vuoi far vedere alle altre come una signora dovrebbe camminare?»
La fata fece un gran sorriso. I suoi occhi completamente blu rivolsero un'occhiata di superiorità alle altre, prima di strappare il pesante libro dalle mani di Marlene e posarselo in bilico sopra la sua testa biondiccia. Iniziò a sfilare lungo il perimetro della stanza, con il libro perfettamente in equilibrio, senza mai farlo cadere una volta, neppure quando si sedette accavallando le gambe.
«Non ci posso credere,» mormorò Clary, allibita. «Siamo finiti in un libro di Jane Austen, senza che io me ne sia accorta?»
«In effetti Orgoglio e Pregiudizio è uno dei libri preferiti di Magnus.» Disse Alec, senza riflettere.
«E tu come lo sai?» Lo punzecchiò Isabelle, con un'alzata di sopracciglia. Alec arrossì e non aggiunse nient'altro.
In effetti, la vista delle ragazze terrorizzate da Magnus e obbligate a sfilare con un libro in testa, mise Clary piuttosto di buon umore.
Hyacinth e Kaelie se la cavarono egregiamente. Lily, la vampira asiatica dai capelli blu elettrico, lo fece cadere una sola volta. Mentre Maureen, la biondina che dimostrava a malapena quindici anni, abbandonò la sala come una furia dopo aver fatto a brandelli il pesante tomo rilegato con i suoi stessi canini.
«Questo è un affronto alla letteratura,» borbottò Magnus, raccogliendo i brandelli di quello che un tempo era stata una prima edizione rilegata della Metamorfosi di Kafka, mentre Jonathan, Alec, Isabelle e Clary soffocavano nelle loro stesse risate silenziose.
Anche alcune Cacciatrici se la cavarono piuttosto bene. Come Leah Silvermark, che sembrava nata per camminare con un libro sulla testa. Per altre, invece, la prova fu piuttosto scadente.
«Niente male,» fece Jonathan, mentre Leah tornava nel gruppo trionfante, passando il nuovo libro nelle mani della prossima. Clary seguì lo sguardo di suo fratello, che scorreva sulle gambe nude di Leah, per poi passare alle altre concorrenti. Roteò gli occhi.
«Non sono qui per te.» Lo rimproverò.
«Beh, ma solo una vincerà e le altre avranno un gran bisogno di essere consolate.» Rispose in tono solenne. Clary rise e gli diede una gomitata. Sapeva che non era serio, Jonathan non avrebbe mai preso in considerazione gli scarti di Jace Wayland.
Fu il turno di Rebecca Heroncross e la sua chioma rossa. Sembrava tesa e agitata, più delle altre ragazze e lanciò un'occhiata gelida in direzione di Jonathan.
«Perché Rebecca ti guarda come se volesse staccarti la testa dal collo?» Chiese Isabelle a Jonathan. Lui rispose con una scrollata di spalle indifferente. La ragazza fece due passi e il libro cadde a terra. Lo raccolse, con il viso arrossato e lo sguardo furente. La scena si ripeté per svariate volte e il libro cadde, cadde e ricadde, fino a che Magnus, esasperato, non glielo strappò dalle mani.
«Basta, ti prego. O vuoi continuare a torturarci?» Le disse lo stregone.
Jonathan scoppiò a ridere. «Sei molto più brava al lancio del cuscino, credimi.»
Rebecca lo fulminò con lo sguardo, il viso rosso come i suoi capelli, dopodiché scappò via dal salone, con la faccia nascosta fra le mani.
«Complimenti per il tatto.»
Sibilò Clary a denti stretti, mentre tutte le ragazze si voltavano a guardarli.
«Che ho detto di male?»
«Dichiaro la lezione finita!» Sbraitò Magnus dopo un attimo, agitando le braccia in aria. «Sciò, sciò» disperse le ragazze come fossero un branco di galline. Anche gli spettatori innocenti si alzarono dal divano, compreso Alec, che però venne bloccato prima che potesse uscire dalla stanza.
«Alec, posso parlarti un momento?»

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Capitolo 5
*** Bikini Race ***


CHAPTER 4
BIKINI RACE
 
 
«Era necessario rinchiudersi nello stanzino delle scope per parlare
Chiese Alec, il quale era appena stato trascinato a forza, da un Magnus in completo argentato, dentro il ripostiglio vicino alle cucine. Si appiattì contro il muro, tentando di non far cadere un secchio colmo di stracci, in bilico sopra un tavolino. Lo sgabuzzino era buio, l'unica luce filtrava da una minuscola finestrella in alto e si rifletteva sul viso ovale e abbronzato di Magnus, che pareva serio, nonostante l'abbondante strato di glitter sopra le palpebre.
«Per una conversazione privata, non c'è niente di meglio che uno stanzino delle scope.» Asserì lo stregone, incrociando le braccia al petto.
«Questa suona tanto come una scusa,» borbottò Alec a bassa voce, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Magnus.
«Tesoro, se volessi sedurti, non ti porterei mai in uno sgabuzzino. Insomma, non è igienico
Alec ringraziò la scarsa illuminazione, perché le sue guance andavano a fuoco. Perché Magnus doveva sempre essere così … allusivo?
Il sorriso dello stregone si allungò malizioso sul suo viso e i suoi occhi gialli sembrarono brillare al riflesso di tutto quell'argento che indossava.
«Avanti, qual è questo argomento top secret?» Lo incalzò Alec, che iniziava a sudare in quello spazio angusto. E il fatto che il ginocchio di Magnus sfiorasse la sua coscia non era di certo d'aiuto.
«Ho parlato con Marlene Ashwood, stamattina.» Iniziò Magnus.
Alec lo guardò con espressione confusa e un sopracciglio alzato e lo stregone alzò gli occhi al cielo.
«Marlene. La brunetta con grandi occhi verdi e ciglia lunghe?» Spiegò pazientemente.
Alec sgranò gli occhi. «Ma certo. Marlene.» In realtà non ricordava la maggior parte dei nomi delle ragazze. Anzi, le ragazze non gli interessavano proprio.
«Mi ha detto che ha spedito un messaggio di fuoco alla famiglia di Ridley Stairwell,» vedendo nuovamente l'espressione confusa sul viso di Alec, si fermò di nuovo, esasperato. «Ridley, capelli arancioni, bassina. Tuo fratello l'ha eliminata per prima!»
«Ah, giusto.» Fece Alec. Non credeva che il discorso top secret con Magnus nello sgabuzzino prendesse quella piega.
«La famiglia le ha risposto dicendole che non avevano idea che Ridley fosse già stata eliminata e che a casa non è tornata. Inoltre i suoi bagagli sono ancora nella sua stanza, come se fosse … scomparsa.» Concluse Magnus, con uno schiocco di dita, dalle quali partirono alcune scintille azzurre.
Alec le rimirò estasiato, prima di ridarsi un tono e focalizzare l'attenzione su quelle notizie. «In effetti è strano. Credi le sia successo qualcosa?» Chiese, grattandosi il mento.
«Marlene crede di sì. Dice che non è da Ridley sparire in quel modo.» Rispose Magnus, pensieroso.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti. «Beh, visto che la ragazza … Ridley, ha lasciato tutta la sua roba qui, potremmo andare nella sua stanza e tentare un incantesimo di localizzazione con una delle sue cose. Magari ha lasciato il pigiama.» Disse Alec, senza mostrare un grande entusiasmo. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era il ginocchio di Magnus premuto sulla sua coscia. Deglutì a fatica.
«Mi sembra un'ottima idea, Alexander.» Magnus allungò un dito, sfiorandogli la guancia e scendendo lungo la linea della sua mascella, fino ad arrivare alle labbra. Alec trattenne il respiro, non sapeva cosa dire, né cosa fare. Voleva solo che Magnus continuasse a tenergli le mani addosso.
«Allora non sono pazza!» Esclamò l'irritante voce di sua sorella, mentre la porta dello stanzino si apriva, inondandolo con la luce del tardo pomeriggio. La mano di Magnus non era più sulle sue labbra, ma in compenso il cuore di Alec batteva a tremila.
«Cristo, Iz, sei capace a bussare?» Sbottò, uscendo da quel luogo claustrofobico e voltandosi di spalle per mascherare il rossore.
Isabelle lo guardò scettica. «Perché mai dovrei bussare ad uno stanzino delle scope? Ho sentito delle voci, credevo di essere fuori di testa, insomma, chi mai si andrebbe a rintanare in uno sgabuzzino?» Nessuno disse niente, così Isabelle continuò, evidentemente divertita dal disagio di Alec. «A proposito, che stavate facendo lì dentro?» Chiese con un sorrisino tutto denti.
«Stavamo elaborando un piano.» Rispose subito Alec, accavallando le parole per la troppa fretta di dirle.
«Come no.» Ribatté lei.
«È la verità!» Esclamò Alec, con veemenza. «Crediamo che Ridley sia scomparsa nel nulla.»
Raccontò brevemente a Isabelle le novità e il loro proposito di andare nella stanza della ragazza.
«Fantastico. Vengo con voi.»
I tre ragazzi salirono l'imponente scalinata di marmo fino ai piani superiori. Le stanze delle concorrenti erano tutte in un unico corridoio lungo, costellato da porte di legno tutte uguali.
«Dovrebbe essere questa.» Disse Isabelle, fermandosi davanti ad una di esse. Picchiettò con le unghie sul legno. La porta era già socchiusa, perciò si aprì con un cigolio al lieve tocco della ragazza.
Il sole stava tramontando e l'intera stanza aveva assunto un colore rossastro. Le cose di Ridley erano lì in bella mostra: vestiti sparsi, il letto sfatto, il suo baule aperto sul pavimento e i suoi trucchi sulla superficie della toeletta. Ma non era questo insieme di cose ad aver attirato l'attenzione dei tre ragazzi, ma la figura alta e magra che stava in piedi al centro della stanza.
«Aline!» Esclamò Isabelle. «Che ci fai qui?»
La ragazza si voltò di scatto, i suoi lunghi capelli neri oscillarono sulla sua schiena. «Ops, devo aver sbagliato stanza. Queste porte sono tutte uguali.» Si esibì in un sorriso bianco smagliante a trentadue denti e si dileguò nel corridoio senza aspettare risposta.
«Certo, ha sbagliato stanza …» cinguettò Isabelle, con aria scettica.
«Se lei ha sbagliato stanza i miei stivali non sono firmati.» Si aggiunse Magnus.
«Probabilmente è venuta a controllare se c'era qualche bel vestito lasciato da Ridley da prendere in prestito.» Suggerì Alec. Infondo conosceva Aline e sua madre da parecchi anni e non le era mai sembrata una cattiva persona. O almeno, non tanto cattiva.
«Già, forse.» Disse Magnus, con sguardo assente. «Beh, cerchiamo qualcosa di Ridley che possa servire per l'incantesimo di localizzazione.»
 
 
Il giorno dopo Clary si stava dirigendo verso la sala da pranzo, aveva dormito fino a tardi perciò aveva saltato la colazione e ora il suo stomaco brontolava offeso, quando due mani lisce e delicate si posarono sulle sue spalle.
«Ma che diavolo -»
«Si uccideranno a vicenda!» Bofonchiò Rebecca Heroncross, tirando Clary nella direzione opposta.
«Chi?»
«Aline e Victoria. Dai, muoviti.»
Le due corsero fino a quella che doveva essere la stanza di Victoria, trovandoci dentro tutte le ragazze rimaste in gara, disposte a semicerchio attorno a due figure aggrovigliate a terra. Precisamente le figure delle due cugine, che si artigliavano a vicenda e urlavano come un'orda di demoni Hydra inferociti. Aline mostrava i primi segni di un occhio nero, mentre Victoria aveva graffi sparsi un po’ ovunque. Se non fosse stata così grave, sarebbe potuta essere una situazione decisamente divertente.
«Andiamo, è ridicolo!» Urlò Clary. «Smettetela, siete cugine!»
«Mi ha pugnalato alle spalle!» Ululò Victoria, che ora era sopra ad Aline e la bloccava al pavimento con entrambe le braccia e le ginocchia. Aline ringhiò in risposta. Clary si guardò intorno e per la prima volta fu felice di scorgere il viso di Alec, tra la folla di ragazze. Non ci fu bisogno di spiegazioni, Alec, nella parodia di un cartone animato che si rimbocca le maniche prima di un lavoro sporco, si diresse verso le due lottatrici, separandole dal loro combattimento all'ultimo sangue.
«E voi, sparite.» Sbuffò Clary alle altre spettatrici, che con mugolii di protesta si allontanarono dalla stanza.
«Ma che vi è preso?» Disse Clary con rabbia.
«Lei lo ha baciato.» Urlò ferocemente Victoria, il suo collo e il suo viso erano in fiamme.
«È lui che ha baciato me.» Protestò Aline, incrociando le braccia al petto. Clary percepì una spiacevole stretta allo stomaco, anche se non ne capì il motivo.
«Aline, perché l'hai fatto? Sappiamo tutti che Jace non ti piace davvero.» Clary cercò di parlare con voce calma e ragionevole. Aline abbassò gli occhi e non rispose.
«Perché,» continuò ad urlare Victoria «è una stronza doppia faccia, che vuole solo quello che gli altri hanno!»
Clary sgranò gli occhi. Non credeva che il rapporto tra le due cugine potesse essere così ostile. «Non essere ingiusta.» Disse senza troppa convinzione.
«Cosa sta succedendo qui?» Una voce gelida interruppe quella situazione delirante. La figura longilinea di Maryse Lightwood apparve sulla soglia. Le labbra rosse serrate in una linea di disapprovazione, gli occhi freddi e severi indugiarono sulle ferite delle due ragazze.
«Alec, si può sapere cosa succede?» Maryse si rivolse al figlio maggiore, che in pochi istanti farfugliò la versione dei fatti senza soffermarsi sui dettagli.
«Il vostro comportamento è inaccettabile. Credo che prenderò in considerazione l'idea di rimandarvi a casa.» E così dicendo, uscì dalla stanza lasciando tutti in stato di shock. Aline e Victoria erano sull'orlo delle lacrime.
Dopo alcuni attimi che sembrarono eterni, Alec lasciò la stanza seguendo la madre. Clary non aveva intenzione di rimanere lì oltre, perciò uscì nel corridoio, diretta verso la sua stanza e chiedendosi dove si fosse cacciato Jonathan. Erano ore che non lo vedeva. Persa nei suoi pensieri non si rese conto del torace muscoloso contro cui andò a sbattere. Per un attimo pensò che fosse Jonathan, alzò gli occhi, ma al posto delle due iridi nere come petrolio di suo fratello, incrociò gli occhi ambrati di Jace. Il viso del ragazzo si aprì in un sorriso, mentre i capelli dorati gli ricadevano sulla fronte, scompigliati.
«Se volevi che ti abbracciassi bastava dirlo.» Le disse alzando un sopracciglio biondo. Clary era consapevole di avere l'intero corpo premuto contro quello di lui. Poteva sentire i suoi muscoli del torace e dell'addome attraverso la stoffa della maglietta. Poteva sentire il suo profumo di erba tagliata, di sapone e di sole. Si scostò bruscamente da lui.
«Sarai contento di sapere che due ragazze si sono appena prese a pugni per te.» Si ritrovò a dire Clary, sprezzante.
Jace corrucciò la fronte. Evidentemente non si era accorto di nulla. «Ecco cos'era tutto quel baccano.»
«È tutto quello che sai dire? Victoria e Aline sono cugine. Sono sempre andate d'accordo e ora si azzuffano per te.» Continuò imperterrita. Lo sguardo carico di risentimento. Non sapeva perché stava facendo la paternale a Jace, in fondo non era colpa sua se quelle stupide avevano deciso di darsi alle mani per lui. Lo vide irrigidirsi, la bocca, di solito carnosa, si trasformò in una linea dura molto simile a quella di Maryse.
«Lascia perdere,» borbottò lui. «Ho un concorso di costumi da bagno da giudicare.» Clary fece una smorfia e lui sorrise. «Non è troppo tardi per partecipare, sai.»
«Sparisci,» gli disse, prima di dileguarsi dietro un angolo del corridoio, sentendo le guance bruciare. Perché doveva dirle delle cose del genere? Dove voleva andare a parare? Clary sospirò, era il solito Jace, quello che si divertiva a prenderla in giro. Sicuramente non avrebbe partecipato, ma nessuno le vietava di guardare la gara comodamente seduta sulla riva del lago, sicuramente era l'ultima cosa che Jace si sarebbe aspettato. Quando entrò in camera sua trovò Jonathan sdraiato sul suo letto a torso nudo e le braccia incrociate dietro la testa bionda.
«Dove diavolo ti eri cacciato?» Gli chiese in malo modo, sbattendo la porta della camera e iniziando a frugare nella valigia alla ricerca del costume da bagno.
«Ho dormito.» Rispose lui con un sorriso.
«Non è vero. Ti ho cercato nella tua stanza e non c'eri.» Continuò Clary, senza guardarlo.
«Infatti non ho detto che ho dormito nella mia stanza
Lei si bloccò, con le mani stette attorno al costume. Jonathan le stava nascondendo qualcosa. Fece un respiro profondo e decise che per quel giorno ne aveva avuto abbastanza.
«Come vuoi. La gara inizia fra poco. Vieni?» Parlò in tono freddo e distaccato. Si sentiva nervosa e frustrata senza saperne il motivo. Beh, in realtà un'idea ce l'aveva. Il fatto che Jace avesse baciato Aline le aveva provocato sentimenti contrastanti, un misto di gelosia, tristezza e sollievo. Era confusa e il comportamento misterioso di suo fratello non faceva altro che innervosirla ancora di più.
«Non credo, ho di meglio da fare.» Rispose Jonathan, sbadigliando volutamente.
Clary non si prese la briga di rispondergli. Andò nel bagno e indossò il costume. Quando uscì Jonathan la osservò attentamente con un sopracciglio alzato, mentre lei si raccoglieva i capelli mossi in una coda alta.
«Belle gambe.»
«Questo non mi sembra un commento opportuno. Sei mio fratello.»
Jonathan roteò gli occhi e sbuffò. «Come non detto allora.»
Quando Clary raggiunse il lago, la gara stava per iniziare. La riva era stata imbandita per bene con una specie di gazebo quadrato e molto ampio, all'ombra del quale erano stati disposti divanetti di vimini con voluminosi cuscini e tavolini in ferro battuto pitturati di bianco. Il lago luccicava e i cespugli di ortensie che li circondavano profumavano l'aria. Le ragazze erano in fila al di là del gazebo. Non aveva mai visto così tanta pelle nuda e marchiata di rune prima d'ora, il costume da bagno di Aline la copriva a malapena. Clary cercò di intrufolarsi senza dare nell'occhio, era in ritardo e lei odiava esserlo. Ma non appena raggiunse la riva del lago calò il silenzio. Le ragazze iniziarono a scambiarsi sussurri e Victoria la guardò come se fosse pazza. Non si era mai sentita così nuda in vita sua e presto maledisse il fatto di non essersi portata dietro un asciugamano per coprirsi. Jace e Alec erano seduti su un divanetto all'ombra di un salice e delle tende che scendevano dal tetto del gazebo. Clary li raggiunse e Alec si spostò per lasciarle spazio tra i due. Jace sembrava stranamente rilassato e a suo agio, la stava guardando, stava guardando lei, non le altre ragazze pronte a sfilare mezze nude per lui. La cosa le provocò i brividi lungo tutto il corpo, nonostante la temperatura estiva.
«Hai freddo?»
«No, presta attenzione. Le galline stanno sfilando per te. Anche se nel mondo animale solitamente sono i maschi che si mettono in mostra per attrarre le femmine. Questa cosa va contro le leggi della natura.» Borbottò tutto d'un fiato senza distogliere lo sguardo da un punto imprecisato davanti a sé.
«Sei piena di informazioni inutili a volte, lo sai vero?» Disse Jace semplicemente, spostando la sua gamba contro il suo ginocchio. Clary si mosse a disagio, quel tipo di contatto fisico, pelle contro pelle, con Jace Wayland non era mai capitato prima d'ora.
«E tu non sei altro che un galletto
Lui le diede un pizzicotto su un braccio, rivolgendole uno dei suoi soliti sorrisi arroganti. Clary balzò sul divanetto e cercò di prestare attenzione a ciò che stava accadendo in riva al lago. Poco dopo realizzò che la gamba di Jace era ancora premuta contro la sua. Il suo corpo sembrava irradiare calore e si accorse di non avere più freddo. Sapeva che avrebbe dovuto spingerlo via, ma si rilassò, godendosi il calore e la competizione. E fu allora che notò un particolare molto strano.
«Come diavolo fanno Maureen e Lily ad essere qui, alla luce del sole?» Chiese scioccata, indicando le due vampire pallide e in bikini come tutte le altre ragazze.
Alec grugnì. «Stanno usando delle proiezioni. In realtà sono al sicuro nelle loro camere buie.»
Lei strizzò gli occhi per vedere meglio e si accorse che, effettivamente, i corpi delle due vampire erano stranamente translucidi e quasi semi trasparenti.
«Assurdo.» Borbottò incrociando le braccia al petto.
Rebecca Heroncross fu dichiarata vincitrice della gara in bikini. Si avvicinò a loro con le sue ridicolmente lunghe gambe per ricevere un bacio sulla guancia da Jace. Sorrise a Clary e strizzò l'occhio a Alec, dopodiché si allontanò con i fianchi ondeggianti e il suo minuscolo costume che non lasciava niente all'immaginazione. Una volta conclusa la gara, sembrava che nessuno dei presenti sapesse cosa fare.
«Mi annoio.» Dichiarò Alec alzandosi in piedi. «Credo che farò una nuotata.»
In pochi istanti tutte le ragazze erano in acqua, schizzandosi, nuotando e ridendo, ad eccezione delle due vampire-proiezioni. Clary distese le sue gambe pallide, era bianca come un cadavere rispetto a tutte quelle dee abbronzate.
«Credevo ti piacesse nuotare.» Le disse Jace.
«Normalmente sì.»
Clary si domandò per l'ennesima volta che cosa ci fosse di sbagliato in lui. Il Jace che conosceva sarebbe stato il primo a buttarsi in acqua, a scherzare con le ragazze e magari a cercare di baciarne anche una o più, ridendo e sorridendo come un bambino.
«Io avrei scelto te, sai. Non Rebecca.» Dichiarò a bassa voce.
«Tu … che cosa?» Clary balbettò, le tremavano le mani, un'azione involontaria, così le immerse in grembo, mentre il cuore batteva furiosamente. Che cosa stava facendo?
Jace annuì, avvicinandosi ancora di più a lei fino a sfiorarle il braccio con il petto. «Avresti dovuto partecipare; non sederti vicino a me e prendermi in giro.»
Clary aprì la bocca ma non ne uscì niente, a parte un rantolo strozzato. Jace rise leggermente.
«Sei praticamente indecente, Morgenstern, con questo addosso.» E, come un ragazzino di quattordici anni, fece scattare il laccio del pezzo di sopra del suo costume, dopodiché si tuffò in acqua. A Clary ci volle qualche istante prima di realizzare cosa fosse successo, raccogliere la sua roba e scappare via come una furia fino al piano di sopra. Nella sua stanza, il cuore le batteva ancora assurdamente veloce. Perché proprio lei? Perché prestava attenzione proprio a lei, in mezzo a quella marea di ragazze bellissime. Forse stava solo cercando di metterla in imbarazzo, come al solito. E lei cosa aveva fatto? Se ne era stata lì a bocca aperta, senza riuscire a trovare un insulto abbastanza efficace da sputargli addosso. Si buttò a faccia in giù sul letto.
«Idiota, idiota, idiota.» Mormorò al cuscino.
Dopo cena, quella sera, Jace eliminò Victoria. Maryse era al suo fianco ed era piuttosto evidente che fosse stata una sua idea quella di eliminare Victoria, dopo la spiacevole scena di lotta tra lei e Aline. Una delle due andava punita, come esempio per le altre e, tra Victoria e Aline, era stata quella realmente interessata a Jace a pagarne le conseguenze. Aline riusciva a stento a trattenere la sua gioia incontrollabile, mentre Victoria raccoglieva con grazia le sue cose ed usciva di scena. In effetti anche le altre ragazze sembravano piuttosto sollevate, Victoria era una dura rivale, era di una bellezza snervante e sprizzava glamour e raffinatezza da tutti i pori. Mentre varcava la soglia della tenuta, prima di raggiungere i cancelli principali, Clary la raggiunse, sentendosi improvvisamente triste per lei.
«Mi dispiace,» le disse seguendola nell'atrio.
«Non importa, Clary. Avevi ragione, Jace è un ragazzino immaturo.» Disse sempre sorridendo. Clary sapeva quanto le fosse costato mantenere quell'aria di distaccata superiorità, Victoria odiava perdere.
«Ci vediamo presto, allora.» Mormorò Clary.
«Sì. E, forse, per allora sarai tu la regina di casa Lightwood.» Victoria le lanciò un'occhiata penetrante.
«Che cosa?» Esclamò Clary.
«Avanti, vi ho visti al lago. E non sono l'unica, faresti bene a guardarti le spalle, alcune ragazze sono davvero perfide. Quella vampira, Maureen, potrebbe aspettarti con i canini affilati dietro la porta di camera tua.»
«Tu sei pazza! Lo sai che non sopporto Jace!» Clary era sbalordita. Sentiva caldo dappertutto.
«C'è una sottile linea tra odio e amore.» Concluse lei, saggiamente, prima di voltarsi e scomparire in direzione dei cancelli.
 
 
Isabelle, Alec e Magnus sedevano in cerchio nella stanza di Magnus. La cena era finita da circa un'ora e la luna splendeva alta nel cielo notturno punteggiato di stelle.
«Passami la spazzola.» Ordinò lo stregone con tono pratico.
Alec obbedì, posandogli suoi palmi aperti il piccolo pettine rosa, con i denti ingarbugliati di capelli arancioni. Era il pettine di Ridley, che aveva sottratto dalla sua stanza il giorno prima. Magnus recitò alcune frasi in una lingua sconosciuta. Dalle sue dita lunghe e affusolate sprizzarono piccole fiammelle azzurre. Isabelle e Alec attesero, in silenzio, fino a che Magnus non riaprì gli occhi da gatto.
«Questo è strano.» Disse, enigmatico.
«Cosa?» Chiese subito Isabelle. «Cosa è strano?»
«Ridley non ha mai lasciato la tenuta.» Rispose Magnus, con la fronte corrucciata. «È ancora qui a casa Lightwood. Precisamente, si trova nei sotterranei.»

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Capitolo 6
*** Bad Dreams ***


CHAPTER 5
BAD DREAMS
 
 
La stanza era scura, circolare e Jace non riusciva a scorgerne i dettagli. Tutto ciò che riusciva a mettere a fuoco, era la figura di una ragazzo in piedi al centro della sala. Aveva il capo chino e i capelli biondi come oro gli ricadevano sulla fronte. Per un attimo Jace pensò di guardare sé stesso. Stessi capelli, stessi lineamenti, stesse rune che spiccavano sulle braccia muscolose, stessa divisa da Cacciatore … ma quando il ragazzo aprì gli occhi, si rese conto che non erano come i suoi, erano blu, dello stesso colore del mare. Il ragazzo si portò una mano al petto e l'anello che portava al dito spiccò sulla casacca nera. Era un tipico anello di famiglia da Cacciatore, decorato con un motivo di uccelli in volo.
«Giuro incondizionata obbedienza al Circolo e ai suoi principi ... Sarò pronto a rischiare la vita in qualsiasi momento perché il Circolo preservi la purezza del sangue di Idris e per il mondo mortale della cui sicurezza ci facciamo carico.» Recitò il ragazzo con voce alta e solenne, anche se verso la fine fu tradito da un tremito.
Una mano massiccia si posò sulla spalla del ragazzo. La mano apparteneva ad un Valentine decisamente giovane. I capelli bianchi erano un po’ troppo lunghi, ma la durezza del suo viso era quella di sempre.
«Molto bene, Stephen.» Disse Valentine, con un sorriso soddisfatto e tagliente come la lama di un rasoio.
Jace si svegliò di soprassalto. Il sudore freddo gli incollava il lenzuolo al torace. Il cuore gli batteva nel petto all'impazzata. Di nuovo quegli strani sogni. Di nuovo. Di nuovo. Stava forse diventando pazzo?
 
 
Alec aprì la porta al piano terra che conduceva ai sotterranei. I cardini arrugginiti cigolarono e ben presto uno spicchio di luce illuminò i gradini di pietra umidi e scivolosi.
«Perché dovrebbe trovarsi nei sotterranei.» Ripeté Alec per la milionesima volta, mentre scendeva gli scalini con in mano una stregaluce.
«Vuoi stare un po’ zitto?» Sussurrò Isabelle. «Fra poco lo scopriremo.»
Ma Alec non sembrava intenzionato a tacere. «Magnus, sei sicuro di -»
«Dolcezza, sono sicuro di non aver sbagliato incantesimo.» Sbuffò lo stregone, esasperato. «Dio, faccio quest'incantesimo da secoli. Nel vero senso della parola.»
Il resto del percorso fu silenzioso. L'unico rumore era il suono dei loro passi sulla pietra, attutiti da millenni di polvere. Alec era in testa alla fila e gettava occhiate da una parte all'altra, illuminando i sotterranei con la stregaluce ardente. Ad un certo punto si fermò di colpo. Una sfumatura di arancione e rosa aveva attirato la sua attenzione, fece alcuni passi avanti, incerto, fino a che non fu abbastanza vicino da illuminare il corpo della ragazza disteso a terra. Sembrava immobile e la sua posizione era innaturale, come quella di una bambola rotta.
«Ridley,» sussurrò Isabelle, portandosi le mani alla bocca.
 
 
«Perché sei ancora qui?» Sbottò Clary, entrando in camera sua e trovandoci Jonathan nell'esatta posizione in cui lo aveva lasciato quel pomeriggio: torso nudo, muscoli e rune in bella vista e braccia incrociate dietro la nuca. La recente discussione con Victoria l'aveva messa ancora più di cattivo umore. Cosa ne sapeva lei dei suoi sentimenti?
«Non avevi qualcosa di molto importante da fare?» Continuò, lanciando la maglietta a terra e infilandosi il pigiama.
«Perché sei così nervosa?» Le disse lui, sedendosi sul letto e squadrandola. «Sai che puoi dirmi tutto, sono il tuo fratellone.» Aggiunse con un ghigno ironico.
«Certo, come tu dici tutto a me, no?» Ribatté lei, indignata. «Dimmi dove sei stato stanotte.» Clary si sedette sul letto, alzando le coperte e posandosele sulle gambe incrociate.
«Sei gelosa, sorellina?» Jonathan rise.
«Non credevo saresti caduto così in basso, insomma, rifarsi con gli scarti di Jace, non è da te.» Clary parlò con voce gelida e intrisa di cattiveria, dopodiché si sdraiò, voltandosi su un fianco e dando le spalle a Jonathan.
«E chi ha detto che ho passato la notte con una di quelle
«È implicito. Se non hai dormito in camera tua e ovvio che tu abbia dormito in camera di qualcun altra.»
Jonathan rise ancora, spostandole i capelli dall'incavo del collo. Quando parlò di nuovo, Clary sentì il suo respiro sulla pelle.
«In effetti quella fata, Hyacinth, mi fa impazzire. La pelle blu, mani e piedi palmati. Chissà come deve essere far-»
Il ragazzo non finì la frase, visto che Clary gli assestò una gomitata piuttosto forte sull'addome. Lo sentì espirare d'improvviso e poi cadere sdraiato accanto a lei, il viso affondato nell'incavo del suo collo mentre continuava a ridere silenziosamente.
«Idiota,» sibilò lei, alzando gli occhi al cielo.
Quando smise di ridere, Jonathan si sistemò meglio accanto a lei, passandole un braccio attorno alla vita e costringendola a voltarsi. Clary si ritrovò a fissare i suoi occhi neri. L'unica illuminazione della stanza era una torcia di stregaluce appesa sopra il soffitto.
«Come è andata la gara in bikini?» Le chiese piano, senza staccare gli occhi dai suoi.
«Patetica. Odio Jace.» Rispose Clary, «è così … volubile
Jonathan alzò un sopracciglio. «Lo odi così tanto e l'aggettivo dispregiativo peggiore che trovi è volubile?» Sbuffò. «Io avrei detto stronzo, arrogante e -» Clary sorrise e alzò una mano che posò sulle labbra di Jonathan per farlo tacere.
«Okay, okay, hai reso l'idea.»
Jonathan aprì la bocca, poi la richiuse di scatto.
«Hai sentito?» Le chiese in un sussurro.
In un primo momento Clary non capì, poi aguzzò l'udito e percepì delle voci al di là della porta. Aggrottò la fronte, scambiandosi con il fratello uno sguardo eloquente. I due si alzarono dal letto e, in punta di piedi, uscirono nel corridoio buio. La stanza di Clary era la prima del corridoio ed era affacciata sulle scale di marmo che conducevano all'ingresso, dove un piccola folla di persone sussurrava concitatamente. I due ragazzi si sporsero dalla ringhiera che saliva insieme alle scale, aiutati a nascondersi dall'oscurità della notte. Clary riuscì a distinguere delle sagome: Maryse Lightwood, Alec, Isabelle, Magnus, Kadir, una delle guardie mandate dal Conclave e le alte e bionde figure inconfondibili dei fratelli Blackthorn. Entrambi, nonostante la giovane età, erano già membri attivi del Consiglio.
«Sì. L'abbiamo trovata svenuta nei sotterranei.» Stava dicendo Alec, rivolto verso Kadir.
«Abbiamo avvisato la famiglia di Ridley Stairwell,» disse Mark Blackthorn. «Ora dovrebbe già essere arrivata alla Guardia.»
«Ha detto qualcosa quando è rinvenuta?» Chiese Helen a Isabelle, Alec e Magnus.
Alec abbassò lo sguardo e rispose. «No … appena abbiamo visto il corpo le abbiamo inciso un iratze. Ha aperto gli occhi solo per pochi istanti prima di svenire di nuovo.»
Helen iniziò a passeggiare avanti e indietro nell'ingresso. La sua lunga chioma bionda fluttuava sulla sua schiena senza sosta. «È così strano.» La sentì mormorare Clary.
«Si riprenderà?» Chiese una voce, carica di preoccupazione. Fino a quel momento Clary non aveva notato la presenza di Jace, perché si trovava al di fuori del suo campo visivo. Ma quella voce era sua, l'avrebbe riconosciuta fra mille. Trattenne il respiro.
«Sì, sì. Non preoccupatevi.» Fu Kadir a rispondere sbrigativamente. «Avete detto che la ragazza è stata la prima ad essere eliminata.» Continuò il Cacciatore, con voce autoritaria. «Probabilmente non ha retto il colpo e ha deciso di farsi un giro nei sotterranei per affogare il suo dolore. Avrà avuto un mancamento ed ecco risolto il mistero.»
Maryse inspirò bruscamente. «Questa è la spiegazione del Conclave?» Disse acida. «Una ragazza viene ritrovata in fin di vita nei miei sotterranei e per voi è solo frutto di un'isteria femminile?» Stava sussurrando, ma sembrava furiosa.
«Maryse,» disse Kadir, assumendo un tono ragionevole. «Non credo sia il caso di spaventare le altre ragazze, ovviamente indagheremo sulla faccenda, ma sono sicuro che si rivelerà essere nulla di grave.»
«E, ovviamente, il fatto che Valentine sia tornato non c'entra niente con tutto questo, giusto?» Ribatté lei, sarcastica.
«Non sappiamo con certezza se Valentine sia davvero tornato.» Disse Kadir, gelido.
«Solo perché il Conclave non vuole ammetterlo. Non ora che gli Accordi devono essere firmati.» Sbottò Maryse, alzando la voce di qualche tono. «Kadir, c'eri anche tu il giorno della Rivolta, nella Sala degli Accordi. O hai già dimenticato tutto quel massacro? Questo sarebbe il momento più opportuno per Valentine per tornare all'attacco, lo sai anche tu. Proprio come quindici anni fa.»
Kadir si torse le mani, ma il suo sguardo rimase fisso in quello di Maryse. «Credi che abbia dimenticato? Molti dei nostri sono morti durante la Rivolta. Cacciatori che non avevano niente a che fare con il Circolo, persone valide, e tutto per colpa di Valentine. Non dimenticherò mai quel giorno. Credi che se ci fossero delle prove concrete del suo ritorno non sarei il primo a dargli la caccia?»
Maryse aveva esaurito le parole.
E il cuore di Clary batteva così forte nel suo petto che si ritrovò a chiedersi se anche gli altri potessero sentirlo. Jonathan era immobile dietro di lei.
«È meglio se ora andiamo.» Disse Mark Blackthorn, interrompendo quel silenzio teso. «Il Console vorrà essere informato sugli sviluppi di persona.»
Fu in quel momento che Helen Blackthorn alzò gli occhi verde acqua, incrociando quelli verdi e spalancati di Clary. Lei rimase pietrificata. Le era sempre piaciuta Helen, fin dai tempi dell'Accademia, nonostante fosse più grande. La trovava una ragazza dolce e con dei solidi principi morali, oltre ad avere delle orecchie a punta davvero buffe e affascinanti al tempo stesso. In quel momento però, maledisse Helen e la sua mania di alzare gli occhi al cielo. Aspettò per un lunghissimo attimo che lei li smascherasse davanti al resto del gruppo, ma non lo fece. Abbassò lo sguardo, invece, e disse: «Maryse, credo che per il momento sia meglio tenere tutte le ragazze all'oscuro. Se sapessero che Ridley è stata ritrovata in quelle condizioni potrebbero agitarsi e scoppierebbe il caos.»
Maryse annuì, impassibile.
«Noi continueremo ad indagare.» Affermò Mark con convinzione. Kadir annuì, con un po’ meno convinzione.
 
 
Jace tornò nella sua camera. Il letto era sfatto, ma il resto della stanza era nel suo solito ordine maniacale. Si sedette sul materasso prendendosi la testa fra le mani. Non voleva dormire. Non poteva dormire. Ma le ultime notti insonni rendevano le sue palpebre pesanti e la nuova scoperta riguardo a Ridley aveva gettato un ulteriore strato di stanchezza sul suo corpo già provato. Jace non credeva nelle coincidenze. Prima quegli strani sogni, ora la ragazza svenuta nei sotterranei … Ma qual'era il nesso che legava le due cose?
Tu.
Rispose una piccola voce nella sua coscienza stanca.
No.
Scacciò via quel pensiero dalla mente e, senza neanche accorgersene, si ritrovò sdraiato a occhi chiusi.
La Sala degli Accordi era affollata fino all'inverosimile. Il rumore del metallo contro il metallo era ovunque, così come le urla disperate dei presenti. Era proibito portare armi all'interno della Sala, eppure erano dappertutto. Spade che trafiggevano corpi. Sangue. Lupi mannari che affondavano le zanne affilate. Stregoni dalle cui dita si sprigionavano potenti fiamme di colori sgargianti. Vampiri con i canini sguainati. Le urla erano assordanti … il sangue … il viso straziato di Maryse …
Jace si svegliò con il cuore in gola, le urla del sogno riecheggiavano ancora nelle sue orecchie. Si alzò dal letto con un unico movimento fluido. Non poteva dormire.
 
 
Jonathan si alzò molto presto quella mattina. Aveva dormito nel letto con Clary, osservandola passare dallo stato agitato dovuto alle nuove scoperte, fino a sprofondare nella beatitudine del sonno. Si era mossa freneticamente durante la notte, probabilmente a causa di un incubo. Si infilò una camicia bianca, jeans neri e gli stivali, prima di scendere nella sala da pranzo. Faceva sempre colazione molto presto, per evitare di incappare nella spiacevole famiglia Lightwood. Quindi era abituato a trovare l'enorme tavolo imbandito vuoto. Ma quella mattina non lo era.
«Oh, no. Non tu.» Borbottò la ragazza seduta e intenta a fare una colazione solitaria.
«Anche per me è un piacere rivederti, Rebecca, giusto?» Disse lui, affabile, con un ghigno che gli incurvava le labbra.
«Non parlarmi, grazie.»
«Come? Dopo la lotta con i cuscini che abbiamo condiviso? Mi ferisci.» Jonathan si sedette esattamente di fronte a lei, versandosi del caffè con espressione noncurante.
Lei non rispose. Era pallida e i capelli rossi erano spettinati. Sembrava stesse morendo dalla voglia di dire qualcosa ma al tempo stesso era combattuta.
Jonathan la fissò con le sopracciglia alzate.
«Stai pensando a qualcosa di estremamente scortese da dirmi?» Le chiese con voce piatta.
«No,» disse piano, abbassando gli occhi sulla sua tazza. «Io … ho sentito tutto. Ieri sera. Ridley è stata trovata svenuta da qualche parte.»
Jonathan era sorpreso, ma mascherò il sentimento con la sua solita faccia di schiaffi. «E così ti piace origliare, oltre che lanciare cuscini.»
«È una cosa seria.» Rispose lei, guardandolo in cagnesco.
«Molto seria. Magnus Bane potrebbe toglierti altri punti, sai, origliare non si addice ad una signora.»
«Smettila. Anche tu e tua sorella stavate origliando. Vi ho visti.» Sbottò con voce graffiante.
«Beh, infatti io non sono una signora e mia sorella può permettersi di comportarsi come vuole, visto che vale più di tutte voi messe insieme.» Non parlò con cattiveria, ma le sue parole bastarono per far arrossare di indignazione le guance pallide di Rebecca.
«Sei l'essere più orribile che abbia mai conosciuto.» Sputò con la voce più velenosa che le riuscì.
«Grazie.»
Rebecca era sull'orlo della crisi isterica, sbatté il suo minuscolo pugno sul tavolo e aprì la bocca dipinta di rossetto per ribattere, ma fu interrotta dall'arrivo delle altre ospiti.
Leah Silvermark entrò nella sala da pranzo, seguita da Marlene Ashwood. Dopo un breve sguardo a Jonathan, si sedette accanto a lui.
«E tu chi sei?» Gli chiese con voce suadente, giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi.
«Jonathan Morgenstern.» Rispose lui, con un sorriso amabile quanto falso.
Leah si morse il labbro. Evidentemente Jonathan Morgenstern aveva attirato la sua attenzione da predatrice. «Sei il fratello di Clary. Io e Clary siamo molto amiche.»
«Non ne dubito.» Disse lui, trattenendo a stento una smorfia.
«Che ne pensate dell'eliminazione di Victoria?» Chiese Marlene, all'improvviso.
«Decisamente ingiusta.» Rispose subito Rebecca, felice di non trovarsi più sola con Jonathan. «Insomma, quella vampira … Maureen. Dimostra sì e no quattordici anni e ha letteralmente divorato un libro antico della collezione dei Lightwood durante la prova di portamento. Mi chiedo cosa ci faccia ancora qui.»
«Ragazze, credo sia arrivato il momento che io me ne vada.» Disse Jonathan ad alta voce, alzandosi dal tavolo.
«Perché? Non ti piacciono i pettegolezzi?» Leah posò volutamente una mano sul suo braccio, guardandolo dal basso con i suoi grandi occhi azzurri.
«Preferisco i fatti
Leah strinse la presa sul suo braccio, costringendolo ad abbassarsi con il capo, fino a che le labbra di lei non furono a pochi centimetri dal suo orecchio. «Allora che ne dici di stasera alle dieci in camera mia?» Sussurrò pianissimo. Ma non abbastanza da non essere udita da Rebecca, ancora seduta di fronte a loro. Jonathan sorrise, si liberò dalla sua presa e se ne andò senza aggiungere una parola.
«Cosa stai facendo?» Sibilò Rebecca, una volta che la schiena di Jonathan fu scomparsa dietro la porta. Era pallida e aveva gli occhi sgranati.
Leah la fissò con un sopracciglio alzato. «Perché?»
«Sei qui per Jace. Non per lui.» Indicò con un dito il posto in cui fino a pochi attimi prima era seduto Jonathan.
«Oh, andiamo! Questo non mi impedisce di divertirmi un po’.» Rispose Leah, con un sorrisino malizioso e una scrollata di spalle.
«Leah, non farlo. Non mi fido di quel ragazzo.» Disse Rebecca, sporgendosi in avanti in modo che le altre non potessero sentire. Il tavolo iniziava a riempirsi: Aline, Hyacinth e Kaelie si erano unite alla colazione. «Sai che cos'è
 
 
Quella sera, dopo cena, Clary entrò in camera sua, sicura di trovarci dentro Jonathan. Lui non c'era. Rimase ad aspettarlo, sdraiata nel letto, con la mente lucida, che vagava imperterrita al corpo di Ridley, svenuto nei sotterranei, e a come potesse esserci mai finito. Stava quasi per addormentarsi, era chiaro che Jonathan non sarebbe venuto, quando la porta della camera si spalancò. Afferrò il pugnale che teneva sopra il comodino e si mise a sedere sul letto. Il cuore batteva furioso, quando riconobbe la sagoma di Alec.
«Alec! Avrei potuto farti del male!» Esclamò senza fiato.
«Ehi, metti giù quel pugnale, per favore.» Rispose lui, avvicinandosi di qualche passo. Era strano vedere Alec in camera sua nel bel mezzo della notte. Non riusciva proprio a immaginare un motivo plausibile per cui potesse trovarsi lì.
«Che cosa vuoi?» Ringhiò Clary, posando bruscamente il pugnale sul comodino.
«Jace. Non sta dormendo.» Sussurrò lui, semplicemente.
«Fammi capire, tu mi hai svegliato per dirmi che Jace non riesce a dormire?» Chiese acida.
Alec iniziò a percorrere la stanza avanti e indietro, visibilmente a disagio. Sembrava davvero preoccupato, notò Clary. Doveva essere qualcosa di serio. Fece un bel respiro.
«Ti ha detto perché non riesce a dormire?»
«Brutti sogni.»
«Che genere di brutti sogni?»
«Non me lo ha detto. So solo che non dorme da giorni, ormai. Senti, magari a te darà ascolto. Ho visto come ti guarda. Non è che potresti fare qualcosa per lui?»
«Vuoi che gli canti una ninna nanna?» Sibilò Clary.
Alec scosse la testa. «Non infliggerei mai una così dolorosa tortura al mio parabatai. Potresti parlargli, cercare di capire cosa c'è che non va.»
Clary sgranò gli occhi. Alec che faceva una battuta sarcastica? Questo era preoccupante.
«Se è questo il prezzo per poter dormire.» Clary si alzò sbuffando, Alec sembrava molto preoccupato. Inoltre doveva ammettere di essere davvero curiosa riguardo a questi incubi di Jace. Ricordò di averne avuti alcuni anche lei, qualche giorno prima. Alec le fece strada nei corridoio bui, fino a che non si fermò davanti ad una porta.
«Questa è la sua stanza. Ci vediamo Clary, grazie!» Le fece un piccolo sorriso e svanì.
«Alec!» Sibilò fra i denti, ma lui era già sparito nel buio. Rimase qualche istante davanti alla porta, nella speranza che Jace la aprisse senza che lei dovesse bussare. «Oh, ma è ridicolo» sussurrò a sé stessa. L'intera tenuta era piombata nel silenzio, tutti dormivano. A parte quell'idiota di Alec, evidentemente. Afferrò la maniglia della porta e la aprì silenziosamente. Se Jace stava dormendo, non voleva di certo svegliarlo.

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Capitolo 7
*** The Mystery Deepens ***


CHAPTER 6
THE MYSTERY DEEPENS


«Jace?» Mormorò Clary a bassa voce, avvolta nelle tenebre della stanza. Forse Alec si era sbagliato e Jace stava già dormendo, senza bisogno del suo aiuto. Sentì dei rumori provenire da quello che suppose fosse il letto.
«Wayland?»
Sbatté le palpebre un paio di volte, in modo che i suoi occhi si abituassero al buio. Ma l'impazienza ebbe la meglio e Clary raggiunse con la mano la pietra che teneva in tasca: stregaluce. La tese in avanti, illuminando la stanza. Effettivamente Jace era a letto. Ma non era solo. Le ci volle un momento prima di capire cosa stesse accadendo. Il sangue defluì dal suo volto, dopodiché le guance le andarono a fuoco. Sapeva di essere rossa come un pomodoro.
«Oh mio
Le due figure si separarono in fretta. Vide il bel volto attonito di Rebecca Heroncross e quello altrettanto scioccato di Jace. Pregò che, nell'oscurità, Jace non l'avesse riconosciuta e scappò via nel corridoio buio. Dopo un attimo sentì le loro voci nel corridoio, quella rabbiosa di lui e quella supplichevole di Rebecca.
«Clary, aspetta.» Le disse Jace, mentre si infilava la camicia, camminando al suo fianco. Nell'oscurità, non sapeva nemmeno dove stesse andando.
Ad uccidere Alec. Questo era certo.
«Scusa, avrei dovuto bussare.» Disse Clary continuando a camminare, il volto in fiamme. Jace le afferrò un braccio e la costrinse a fermarsi.
«Dove stai andando?»
«Lontano da te.» Sbottò lei, senza capire perché si sentisse così arrabbiata. Lui aveva tutto il diritto di portarsi a letto chi voleva. Si liberò dalla presa di Jace e incrociò le braccia al petto. Si sentì estremamente vulnerabile con indosso solo il pigiama e i capelli legati in una coda arruffata.
«Che cosa volevi?» Disse lui con calma, il respiro ancora corto e irregolare. Clary chiuse gli occhi cercando di non pensare a cosa stesse facendo neanche un minuto fa. Aprì gli occhi e gli lanciò un'occhiata di fuoco.
«A quanto pare non riesci a dormire.» Disse secca, «ma direi che hai trovato un'ottima alternativa.»
«Te lo ha detto Alec.» La sua voce era bassa, addolorata e lei annuì, sorpresa dalla sua reazione. Sembrava quasi spaventato, diffidente e improvvisamente volle saperne il perché con tutte le sue forze.
«È preoccupato per te.»
Jace sorrise e Clary ebbe l'impressione che stesse per dire qualcosa che l'avrebbe fatta infuriare. «Devi esserlo anche tu, per venire nella mia stanza nel bel mezzo della notte.»
«Non sapevo avessi compagnia,» rispose lei con la voce carica di sarcasmo. «Devo prendere un appuntamento la prossima volta?»
Jace inclinò la testa di lato, studiandola. «Perché sei arrabbiata? È a causa di quello che ho detto?»
«Devi essere più specifico, Jace, dici un sacco di cose che mi fanno arrabbiare.»
Il suo viso si addolcì improvvisamente. «O sei gelosa.»
Clary indietreggiò di un passo. «Nei tuoi sogni, Wayland.»
Lui sorrise trionfante. «Lo sei. Tu sei davvero gelosa. Non riesco a crederci.»
«Credi quello che vuoi,» disse Clary, freddamente, anche se non le piacque il modo in cui le sue stesse parole risuonarono nella sua testa. Rimasero lì in piedi, lui si stava di nuovo prendendo gioco di lei. Si morse il labbro. Non era affatto gelosa!
Jace stava ancora sorridendo, così lei ringhiò un: «togliti di mezzo.»
Si precipitò lungo il corridoio, passandogli davanti, ma lui le afferrò il braccio, questa volta tirandola verso di sé, fino a che con la schiena non fu premuta contro il muro. Clary ebbe un momento di panico quando lui le si avvicinò e realizzò che non le era mai stata così vicina prima d'ora: e la cosa non le dispiaceva affatto. Poteva vedere ogni linea del suo volto, ogni ciglia, ogni minuscolo granello di colore nei suoi occhi. E sentire il suo profumo di sapone e sole. I capelli gli pendevano sulla fronte e lei moriva dalla voglia di toccarli. Le sembrava che lui fosse più reale, più umano, così vicino e così esposto. La sua bocca si seccò.
«Clary …» Jace fece un passo in avanti, più vicino, più vicino, fino a quando il suo corpo non toccò il suo. Clary si ritrovò ad essere fin troppo consapevole del suo petto premuto contro il suo, dei suoi fianchi allineati a quelli di lei e la gamba di lui incastrata tra le sue ginocchia, bloccandola al muro. Sentì i brividi correrle lungo la schiena, lui era così vicino ed era così doloroso. Strinse i pugni, mortificata dal fatto che il suo corpo la stesse tradendo del tutto. Sperò che Jace non se ne accorgesse.
«Dovresti tornare in camera,» riuscì a dire finalmente, ma parlare non si era mai rivelata un'impresa così ardua. «Non è bello lasciare una ragazza in attesa.»
«Posso sempre chiederle di andarsene,» disse semplicemente.
«Sarebbe scortese.» Clary si ritrovò a dire con un filo di voce.
«Sarebbe?»
Lei annuì, cercando di ritrovare l'uso corretto della voce. «Ora levati di mezzo, Jace. Voglio andare a dormire e poi, non c'è niente di peggio di un uomo che lascia le cose a metà.» Nel momento in cui le parole le uscirono dalla bocca, se ne pentì. Jace la guardò in modo strano; Clary vide la sorpresa, la confusione, la contemplazione e, infine, qualcosa che pensava potesse essere desiderio. Non aveva mai parlato così prima d'ora e rimase inorridita dall'averlo fatto proprio adesso, soprattutto adesso. Fece un respiro profondo, alzando entrambe le mani e posandole ai lati del cuore di Jace, sentendo la fermezza dei suoi muscoli del petto attraverso la camicia. Poteva sentire il battito del suo cuore sotto le dita, in modo ritmico, vivo e caldo. Deglutì.
Le mani di Jace si strinsero sulla sua vita, sentì il calore delle sue dita attraverso i vestiti, lasciandole il segno. «Non voglio lei,» Jace mormorò. Non c'era frustrazione nella sua voce e i suoi occhi solitamente annoiati ora erano attenti. «Non lo sai?»
«Che cosa?» Clary lo spinse leggermente e fece un passo indietro. Il suo corpo urlava in segno di protesta, urlò con indignazione e lei lo ignorò. Prendendo un profondo respiro corse via lungo il corridoio prima che lui potesse parlare di nuovo. Sapeva che era una cosa infantile da fare, ma doveva allontanarsi da lui. Sentiva i suoi occhi addosso, si morse il labbro. La voglia di tornare indietro era così potente.
Il mattino dopo due ragazze furono assenti durante la prima colazione. La vampira Maureen era scomparsa, lasciando nella sua camera tutte le sue cose e Marlene Ashwood fu ritrovata alcuni minuti più tardi, svenuta sul pavimento della sua stanza. 
 
 
Nella cantina c'era odore di morte e putrefazione. Era buio, ma Jace riusciva a scorgere ogni figura nella stanza. Non riconosceva quella cantina, anche se ricordava vagamente quella di casa Lightwood, o di qualsiasi altra tenuta di campagna di Idris. Demoni contorti e mugolanti erano legati con catene di elettro, all'interno delle celle. Corpi di Nascosti, alcuni già morti e in vari stadi di decomposizione, altri in stato agonizzante. Lupi mannari, la cui pelle riluceva sanguinante, strinata e bruciata dalla polvere d'argento. Vampiri immersi in enormi vasche di acqua santa, sciolti come plastica nell'acido. E poi le fate, i cui corpi bellissimi sembravano puntaspilli, a causa degli aghi di ferro che spuntavano dalla loro carne martoriata. Accanto ad ogni cella c'erano dei quaderni fitti di appunti. Jace riconobbe la grafia, era quella di Valentine. La cantina era il suo folle laboratorio, in cui Nascosti e demoni erano i pazienti. E quell'odore, di sangue e morte penetrò nelle narici di Jace. E i lamenti delle creature, penetrarono nelle sue orecchie stordendolo, provocandogli conati di vomito … fino a che, con la sensazione di cadere nel vuoto, non si svegliò boccheggiando.
«Un altro incubo?»
La testa di Jace scattò verso la porta, mentre con un slancio si alzava in piedi. «Cristo, Alec! Vuoi farmi morire di paura?» Sbottò in direzione del suo parabatai, in piedi al centro della sua stanza da chissà quanto tempo. Quando l'adrenalina del momento defluì dal suo corpo, Jace si lasciò cadere di nuovo a letto, coprendosi gli occhi dalla luce del mattino con l'avambraccio destro.
«Ehm, scusa.» Fece Alec, leggermente imbarazzato. «Ero venuto a vedere se eri sveglio … e ti ho visto mentre ti dimenavi nel sonno.»
«Che c'è?» Grugnì Jace, con poca grazia.
«Jace …» Alec si bloccò. Il tono della sua voce non piacque affatto a Jace, che subito si mise in allerta.
«Alec, che succede?»
«Sono scomparse due ragazze. Maureen è scomparsa e Marlene incosciente.» Disse Alec, scrutandolo con i suoi grandi occhi blu. «Alcuni membri del Conclave stanno arrivando per occuparsi di Marlene. Faresti meglio a vestirti.»
Il cuore di Jace iniziò a battere forte. Altre due ragazze, scomparse, ferite, proprio come Ridley. Si sentì male.
«Arrivo.» Strinse i denti, mascherando ad Alec il suo shock e dirigendosi verso il bagno.
 
 
«Sei qui. Finalmente, è un'ora che ti cerco.»
La ragazza fece qualche passo nell'erba verde, calpestandola con i suoi stivali neri.
«Oh, ciao, Helen. Come stai?» Rispose la voce affabile di Aline.
La ragazza era sdraiata sul prato di fronte alla riva del lago. Indossava il suo costume striminzito e le rune nere spiccavano ancora di più sulla sua pelle pallida. Non si preoccupò di alzarsi, o di sedersi. Rimase sdraiata a prendere il sole, voltando solo il viso, nascosto da un enorme paio di occhiali da sole, verso Helen Blackthorn, che la osservava da in piedi, a pochi passi da lei.
«Non bene.» Rispose Helen, spostando con due dita un ammasso di boccoli dorati che le era scivolato sul viso a causa del vento. «Aline, cosa stai facendo? Devi tornare alla tenuta. Sai che Marlene è ferita e la vampira … Maureen, è scomparsa. Dobbiamo fare a tutti qualche domanda.» Continuò, con voce pacata e dolce.
«Puoi farmela qui, qualche domanda.»
«È un'indagine ufficiale del Conclave, Aline. Non posso interrogarti mentre ti fai una nuotata in costume.»
«Beh, non ne ho voglia. Magari dopo pranzo.»
Helen inspirò bruscamente.
«Non ti interessa, vero? Che Marlene sia ferita?» Sibilò senza riuscire più a trattenersi. «Dio, sei così egoista
Aline si mise a sedere con studiata lentezza. Dopodiché si alzò gli occhiali da sole sulla fronte, rivelando i suoi scuri occhi a mandorla, puntandoli dritti in quelli verde acqua di Helen. «Come, prego?»
«Ho detto che sei egoista.» Ripeté Helen, con voce piatta.
Non riusciva a credere che quella fosse la stessa persona che, non appena pochi giorni prima, l'aveva baciata sulle labbra d'improvviso, al riparo di alcuni alberi frondosi, durante la festa nella Piazza dell'Angelo. Quel momento era stato indimenticabile per Helen. Nutriva sentimenti per Aline da ormai più di un anno e non avrebbe mai creduto di poter essere ricambiata, almeno non fino a quel bacio rubato. Ma adesso … adesso Aline era tornata fredda, odiosa e ancora più distaccata di prima. Forse si era pentita della sua azione, pensò Helen mestamente.
«Sai che non puoi rifiutarti. Il Console si arrabbierà.»
Aline scoppiò a ridere. «La mamma arrabbiata, sto tremando di paura.» Disse sarcastica.
«Anche se il Console è tua madre, non è una buona motivazione per non collaborare. Non vuoi capire che sta succedendo?» Disse Helen, tutto d'un fiato. Non poteva concepire il comportamento di Aline.
«No, voglio solo vincere i soldi.» Rispose lei, con una scrollata di spalle, tornando a sdraiarsi a pancia in su.
«La competizione verrà annullata, Aline, svegliati.» Per poco Helen non urlò dalla frustrazione.
«E allora voglio solo prendere il sole in pace. Ora lasciami stare.» Ribatté freddamente.
Helen chiuse le palpebre per un istante. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma non avrebbe pianto. Fece un respiro profondo e voltò le spalle alla ragazza di cui era innamorata.
 
 
«Che succede?» Chiese Jonathan, raggiungendo Clary nell'ingresso.
Lei lo fissò per un attimo con un sopracciglio alzato. «Dove sei stato fin'ora?»
«A letto. Che succede?» Ripeté impassibile, serrando le labbra in una linea sottile. L'ingresso della tenuta dei Lightwood era in tumulto. Le ragazze erano raggruppate e il loro chiacchiericcio ansioso rimbombava attraverso i soffitti alti. La voce gelida e furiosa di Maryse, proveniente dal salone, si udiva forte e chiara fino a lì. «Allora, Kadir, vuoi dirmi che anche queste due ragazze sono misteriosamente scomparse o svenute a causa di una tempesta ormonale?»
Clary pensò di non volersi affatto trovare nei panni del Cacciatore di nome Kadir.
«Maureen è scomparsa. Marlene è incosciente. La stanno portando alla Guardia per curarla.»
Jonathan aggrottò la fronte, ma non disse nulla.
«Ehi, Lily, giusto?» Chiese Clary, alla vampira dai capelli blu elettrico che si trovava a pochi passi da loro. Lei annuì con aria diffidente. «Hai idea di dove possa essere andata Maureen? Insomma, è ancora giorno. Ci sono pochi posti in cui poter andare senza -» ridursi ad un mucchio di cenere, concluse Clary nella sua mente.
«No.» Rispose Lily, caustica.
«Qualcuno l'ha vista andare via?» Chiese ad alta voce, parlando a tutte le ragazze. O almeno a quelle che erano ancora lì. Rebecca si voltò verso di loro, gli occhi dorati scrutarono per un attimo Jonathan con disprezzo.
«No. Io sono rimasta in camera mia per tutta la notte.» Rispose con una scrollata di spalle.
Clary pensò a quanto fosse falsa quella bugia, visto che la sera prima aveva speso gran parte del suo tempo in camera di Jace. Si trattene dal ribattere acidamente, non voleva dover spiegare a suo fratello come facesse a sapere che Rebecca stava mentendo.
«Io voglio tornare a casa. Chiederò a mio padre di venirmi a prendere oggi stesso.» Disse Leah Silvermark in tono lamentoso, con gli occhi rossi e il viso teso. Poi si guardò attorno, sospettosa, come se il colpevole di quelle sparizioni potesse proprio essere dietro di lei. «Dov'è Aline?»
«Helen è andata a cercarla.» Rispose una voce alle sua spalle. Era Mark Blackthorn, con la sua divisa da Cacciatore che gli metteva in risalto gli occhi bicolore e i riccioli biondi. «Ciao, Clary.» Le sorrise, gentile. Clary ricambiò il sorriso, prima che Jonathan lo fulminasse con gli occhi. Lei alzò gli occhi al cielo, esasperata. Mark sembrò non farci caso, perché continuò a parlare come se nulla fosse. «Dobbiamo fare un po’ di domande ad ognuno di voi. Chi vuole iniziare? Ah, ecco Helen …» disse indicando la sorella, che era appena entrata dalla porta principale, con i capelli biondi scompigliati e sul volto un'espressione terribile. Mark si accigliò e la raggiunse.
«Perché la mezza-fata ti sorride con aria lasciva?» Sibilò Jonathan all'orecchio di Clary, riferendosi a Mark.
«Jonathan!» Sibilò in risposta Clary, guardandolo attonita. «Ci sono un mucchio di problemi di cui parlare e tu mi chiedi perché la mezza-fata,» disse facendogli il verso, «mi sorride?»
In quel momento la porta del salone si spalancò. Ne uscì l'intera famiglia Lightwood, scortata da Kadir. C'era Robert, Maryse, Isabelle, Alec e Jace. Sembrava che non dormisse da settimane. Ombre violacee cerchiavano i suoi bellissimo occhi, era pallido come un lenzuolo e si torturava le unghie delle mani. Sembrava molto preoccupato. Era davvero in ansia per le ragazze? Oppure c'era qualcosa di più, sotto la sua disperazione?

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Capitolo 8
*** Dark Side of Love ***


CHAPTER 7
DARK SIDE OF LOVE
 
 
Un bussare insistente fece alzare la testa di Magnus dal libro che stava leggendo.
«Avanti. È aperto.» Sbuffò, posando il libro aperto a metà sulla scrivania. Alec si richiuse la porta alle spalle, con aria trafelata e cospiratoria. L'umore di Magnus migliorò nettamente non appena vide il giovane Nephilim. «Sei tu. Prego, vieni pure.» Disse indicando la stanza.
«Scusami, non volevo disturbare -» iniziò lui, portandosi una mano alla nuca.
«Non disturbi affatto, tesoro.»
Alec arrossì. «È che mia madre è fuori di sé per tutto quello che sta succedendo. Cerco un posto sicuro in cui nascondermi.» Sorrise leggermente, ancora con le guance arrossate.
«Non c'è niente di meglio della stanza di uno stregone.» Disse Magnus, con gli angoli della bocca sollevati.
«O uno stanzino delle scope.» Fece Alec, abbassando lo sguardo.
«Esattamente, Alexander. Vieni, siediti, mi casa es su casa.»
«Eh?»
«Significa, casa mia è anche casa tua.» Tradusse Magnus, alzandosi in piedi. «In spagnolo.»
«Beh, tecnicamente questa è casa mia.» Disse Alec, senza riflettere.
«Giusto,» ribatté Magnus, con un sopracciglio alzato in segno di disappunto. «Quindi sei libero di sederti dove vuoi, suppongo.»
Alec prese a camminare avanti e indietro per la stanza. Magnus lo fissò per qualche istante. «Qualcosa ti turba?»
Alec non si fermò, ma alzò il viso verso Magnus. Lo stregone indossava una camicia di seta bianca e un paio di pantaloni assurdamente stretti di pelle nera lucida. «Beh, certo. Sta succedendo qualcosa di molto strano qui.»
«Sì. Marlene si riprenderà?» Chiese Magnus con voce gentile.
«Non si sa ancora niente. Ora è alla Guardia. I Blackthorn mi hanno detto che mi terranno aggiornato. Tu hai qualche … sì, insomma, qualche sospetto
«Nessun sospetto.» Rispose Magnus, con un sospiro teatrale, andando allo specchio sopra la cassettiera e aggiustandosi distrattamente i capelli neri dritti sulle punte. «Solo qualche idea … Ma non ho intenzione di accusare nessuno, né di fare congetture senza delle prove concrete. Non è nel mio stile.»
Alec fermò d'improvviso la sua inesorabile marcia lungo la stanza. Si trovava esattamente alle spalle di Magnus e poteva vedere il suo viso concentrato e abbronzato nel riflesso dello specchio.
«Vuoiuscireconme?» Chiese tutto d'un fiato.
Vide gli occhi di Magnus, riflessi nello specchio, sgranarsi, completamente scioccati. «Come?»
«Sì, vuoi uscire con me? Intendo uscire uscire.» Ripeté Alec con voce tremante, mentre osservava il suo riflesso farsi rosso d'imbarazzo. Magnus si voltò, così che Alec potesse guardarlo direttamente in faccia.
«Uscire uscire?» Ripeté Magnus, con una parvenza scioccata nella voce.
Alec distolse lo sguardo, fissando la punta dei suoi stivali. «È evidente che non vuoi. Scusami, ora devo andare ad uccidere mia sorella.» Fece per raggiungere la porta, ma Magnus lo intercettò.
«E adesso cosa c'entra Isabelle?»
«Beh, è lei che mi ha convinto a chiederti di uscire …»
«Uscire uscire.» Fece Magnus, divertito.
«Già.» Alec non si era mai sentito così mortificato in vita sua. «Adesso puoi farmi passare? Giusto il tempo di un fratricidio.» Commentò acido.
«Non credo sarebbe giusto nei confronti di Isabelle, visto che aveva ragione.» Disse Magnus, posando entrambe le mani sulle spalle muscolose di Alec.
«Cosa hai detto?» Sussurrò Alec, mentre il cuore gli batteva forte nel petto.
«Ho detto che voglio uscire uscire con te, Alec.» Rispose lo stregone, sorridendo con tutto il viso.
Alec non credeva di averlo mai visto sorridere in quel modo. «Davvero?»
«Davvero.»
«Beh, è … fantastico.» Alec credeva che, dopo essere riuscito ad invitare Magnus, le cose sarebbero andate meglio, che l'imbarazzo e l'angoscia del momento sarebbero svanite. Non era così. Si sentiva peggio di prima. Chi ha detto che avere le così dette farfalle nello stomaco è una bella sensazione?
«Puoi respirare, sai?» Gli sussurrò lo stregone in un orecchio. Il suo respiro gli solleticò la pelle e dei brividi gli percorsero la schiena, mentre Magnus stringeva la presa sulle sue spalle e lo avvicinava a sé. Alec percepì l'intero corpo del ragazzo premuto contro il suo. Le sue mani che scendevano lentamente sulla sua schiena. Le labbra a pochi centimetri dalle sue. Chiuse gli occhi e afferrò Magnus per i fianchi, schiacciandoli ancora di più contro i suoi. Appoggiò la fronte sulla sua e tornò finalmente a respirare. Sorrise, e Magnus sorrise con lui, mentre premeva le labbra contro le sue, che si schiusero immediatamente, come se non avessero aspettato altro che quello. E, in effetti, era così. Alec fece scorrere le mani sotto la camicia di seta di Magnus, accarezzando le linee del suo corpo asciutto, dei suoi addominali appena accennati, mentre le loro lingue si incontravano e scontravano, prima con leggerezza e incertezza, poi con più foga e neanche un attimo dopo, o almeno così parve ad Alec, si ritrovò steso sul letto senza la sua noiosa maglietta nera. Strinse la presa sui capelli di Magnus avvicinandolo ancora di più a sé, intrecciando le gambe con le sue e respirando a malapena. Si rotolarono sul materasso, fino a che non fu Alec a sovrastare Magnus con il suo corpo. Iniziò a baciargli il collo, percorrendo una linea immaginaria lungo il suo zigomo fino alla clavicola. Magnus si lasciò sfuggire un gemito di piacere che rese Alec euforico. Non aveva mai fatto cose simili prima d'ora, era appagante sapere di non essere poi così un imbranato totale. Magnus gli accarezzò le spalle, la schiena, facendo scivolare le dita sulle cicatrici bianche e sulle rune nere che ricoprivano il corpo del ragazzo. Era uno di quei momenti perfetti. O almeno, lo fu, finché un grido acuto non lacerò il silenzio dell'intera tenuta.
 
 
«Ti muovi? Sto morendo di fame.» Sbuffò Jonathan, appoggiato allo stipite della porta della camera di Clary. Lei gli rivolse un'occhiataccia, prima di tornare a pettinarsi i capelli lunghi davanti allo specchio della sua toeletta.
«Non ceni mai con noi altri,» disse lei, acida. «Come mai questa sera ci degnerai della tua presenza?»
Era vero. Jonathan non si era mai fatto vedere durante gli orari dei pasti prestabiliti. Quando il tavolo della sala da pranzo dei Lightwood era quasi interamente occupato dai membri della famiglia, da Magnus e dalle ragazze.
«Non crederai che ti lascerò sola, ora che la tenuta dei Lightwood si è trasformata nella casa degli orrori.» Rispose lui, con voce piatta.
«Che dolce,» ribatté Clary, sarcastica, continuando a pettinarsi i capelli che non volevano saperne di stare al loro posto. Jonathan sbuffò per l'ennesima volta e si avvicinò a lei. Il suono dei suoi stivali pesanti rimbombò sul pavimento, come il rumore secco che fece il pettine quando lui glielo tolse dalle mani e lo sbatté sul ripiano di legno malamente.
«Sei bellissima. Jace cadrà ai tuoi piedi. Ora muoviti.» Disse freddamente.
Clary lo guardò con gli occhi sgranati. «Ma che diavolo ti prende?» Fece per dargli una spinta sul petto, ma lui, come sempre, fu più veloce e le afferrò il polso prima che il suo colpo potesse andare a segno.
«Sei lenta.» Le disse con un mezzo sorriso sulle labbra, che però non si estendeva agli occhi neri.
«E tu sei stronzo.» Clary si dimenò per liberarsi, ma le dita di Jonathan non cedettero, lasciando impronte rosse sulla sua pelle.
Clary lo guardò seria. «Cos'hai?»
«Io? Niente. Cos'hai tu. Ho visto come guardavi Jace, prima. Credi davvero che un idiota come lui sia degno della tua attenzione?»
«Non lo stavo guardando!» Sbottò Clary. «E comunque non sono affari tuoi.» Sibilò posando la mano libera sul quella del fratello, cercando di artigliare le sue dita strette attorno al suo polso. «Mi fai male.»
Jonathan si chinò in avanti, avvicinando il viso accanto al suo. «Non mentirmi, Clary. Odio quando lo fai.» Le sussurrò, facendo svolazzare una ciocca di capelli rossi con il suo respiro.
«Tu mi menti ogni giorno.» Rispose lei con aria di sfida.
«È vero, ma io sono cattivo.» Jonathan sbottò in una risata fredda.
«Non è così, lo sai. Tu credi di essere un mostro, fai di tutto perché gli altri ti vedano come un mostro, ma non lo sei.»
«Forse la mia parte oscura sta prevalendo su quella buona.» Rispose con voce atona.
Clary sapeva a cosa si riferiva Jonathan. Non era un segreto ciò che Valentine aveva fatto a Jocelyn mentre aspettava i suoi figli. Il sangue di demone aveva influito su suo fratello, come quello angelico aveva influito su di lei, questo era innegabile.
«Jonathan,» iniziò Clary, con voce ragionevole. Non era la prima volta che affrontavano quell'argomento delicato. «Tutti hanno un lato oscuro. Nessuno è un quadro perfetto.»
«E tu puoi amare il mio?» Sussurrò lui, solleticandole il viso con il suo respiro. «Mi amerai anche con il mio lato oscuro?»
«Certo. Sei mio fratello, non ti lascerò mai.»
Lui le lasciò finalmente andare il polso con un sospiro e raddrizzandosi le voltò le spalle. «Faremo tardi a cena. È meglio andare.» Disse, senza alcuna inflessione emotiva nella voce.
Clary si alzò e lo raggiunse, costringendolo a voltarsi di nuovo. Intrecciò le mani dietro alle sue spalle, stringendolo a sé. «Sai che puoi dirmi tutto? Sono tua sorella.»
«Smettila di ripetermelo. So chi sei.» Un lampo di furia attraversò i suoi occhi neri e Clary non ne capì il motivo. «È che non mi conosci davvero. Tu credi di conoscermi, ma non è così. Se tu fossi nella mia mente … non è bello lì, se te lo mostrassi scapperesti.»
«No.» Disse Clary, cercando di rendere quell'unica sillaba il più convincente possibile. «No.» Ripeté un po’ più piano. Il viso di Jonathan era a pochi millimetri dal suo, lui sorrise e sfregò la sua guancia contro quella di Clary, sfiorandole il collo con la punta del naso affilato e stringendole la vita con le mani. La sua guancia era morbida come velluto. «Ora andiamo a cena.» Disse, ponendo fine alla discussione.
Quella sera, la fata Kaelie non si presentò a cena, dopo un'accurata e approfondita ricerca in tutta la tenuta, compresi i sotterranei, Robert e Maryse Lightwood non poterono arrivare ad altra conclusione: Kaelie era scomparsa, proprio come la vampira Maureen. Clary sedeva davanti al suo piatto di cibo intatto, il suo appetito era svanito, così come le due ragazze. Nessuno parlava. Non c'erano parole. Qualcosa di molto strano stava accadendo alla tenuta.
«Faremmo meglio a goderci il nostro ultimo pasto.» Disse Leah Silvermark con voce acuta e isterica, dopo che Robert e Maryse si furono alzati dalla tavola. Jace le lanciò un'occhiata gelida, ma lei non sembrò accorgersene. Clary vide Rebecca, seduta vicino a Jace, posare le sue dita sottili sulla mano di lui.
«Andrà tutto bene,» disse Rebecca con voce fatta di miele. «Probabilmente ha solo cambiato idea sulla competizione, tutto qui.»
Jace fece scivolare via la mano da sotto quella di Rebecca. «Conosco Kaelie da un sacco di tempo, ormai. Se avesse deciso di andarsene, me lo avrebbe detto.»
Clary si guardò intorno, soffermandosi sui visi delle ultime ragazze rimaste. Aline Penhallow giocherellava meccanicamente con il cibo dentro il suo piatto, sorrideva come se niente di male fosse accaduto, un comportamento davvero strano. Leah Silvermark si era messa a mangiare nervosamente, accompagnando la cena con grandi sorsate dal suo calice pieno di vino. Lily era pallida e non parlava, ma in fondo era una vampira asociale, quindi il suo pallore e la sua mancanza di loquacità poteva essere dovuto anche a quello. Hyacinth sedeva composta al suo posto, neanche lei era mai stata una gran chiacchierona. Rebecca Heroncross stava fissando cupamente l'interno del suo calice, Clary si chiese se il suo improvviso malumore fosse dovuto al rimprovero di Jace. Sospirando, si portò una forchettata di cibo alla bocca, aveva appena inghiottito il boccone quando sentì Hyacinth urlare a squarciagola e Jace balzare in piedi.
Leah era crollata con il viso sul suo piatto, il cibo era sparso in giro per la tavola, i suoi occhi erano chiusi.
«Oh, per l'Angelo,» sussurrò Clary con le mani tremanti. La mano di Leah, notò, era ancora stretta al calice di vino ed un pensiero orribile le attraversò la mente. Si alzò in piedi di scatto.
«Dovremmo vedere se respira ancora.» Disse Jonathan, girando attorno al tavolo per mettersi al fianco di Leah. Clary si lanciò verso il fratello, afferrandogli con forza le braccia con entrambe le mani.
«Ma che diavolo fai?» Chiese lui, scrollandosela di dosso. 
«Credo che sia stata avvelenata,» disse Clary. «Guarda la sua pelle, Jonathan, e il colore delle labbra.»
Clary aveva imparato a riconoscere i segni di un avvelenamento all'Accademia. Ricordava bene l'argomento. La pelle di Leah aveva assunto un colorito verdognolo, la labbra erano totalmente esangui. Respirava ancora, poteva vedere la sua schiena sollevarsi flebilmente al ritmo del suo respiro. Robert entrò a grandi passi nella stanza, Alec e Magnus erano dietro di lui. Clary non si era neanche accorta che i due fossero assenti alla cena.
«Nessuno esca da qui.» Ordinò Robert, osservando il piccolo gruppo, in piedi nella sua sala da pranzo. Il suo sguardo indugiò su Jace. «Non toccare niente.» Gli disse gelido, poi uscì di nuovo dalla stanza, probabilmente per contattare il Conclave.
I membri del Conclave arrivano circa una mezz'ora dopo e radunarono tutti i presenti nel salotto. C'era Kadir, insieme al fratello Malik. C'erano Helen, Mark e altre numerose figure in divisa nera da Cacciatori. Clary si sedette su uno dei divani, accanto a Jonathan. Jace era in piedi accanto alla sua famiglia.
«Questo è diventato un problema prioritario per il Conclave.» Stava dicendo Malik. Clary alzò lo sguardo e incrociò gli occhi di Jace. Lui le lanciò un'occhiata strana, poi guardò a terra. Era spaventato, realizzò all'improvviso.
«Dovremo sigillare la tenuta fino a che non capiremo cosa sta succedendo.» Continuò un altro membro del Conclave di cui Clary non conosceva il nome. «Due ragazze non possono essere semplicemente scomparse nel nulla.»
Clary vedeva già i titoli in stampatello sui giornali di Alicante.
La tenuta dei Lightwood è stata sigillata fino a nuovo ordine, a causa dei misteriosi avvenimenti, accaduti negli ultimi due giorni. Il colpevole non è ancora stato identificato e il Console ha dichiarato che nessuno può lasciare la tenuta, fino a che ...
«Che cosa?» Clary alzò la testa di scatto. «Ha detto che nessuno di noi può andarsene?»
«Si, ragazzina. Nessuna delle concorrenti può abbandonare -»  Iniziò il Cacciatore.
«Ma io non sono una concorrente! » Lo interruppe lei.
«Tuttavia,» si intromise Malik, in tono severo. «Tutti i presenti sono dei sospettati, quindi non vi è permesso andarvene. Non vogliamo che nessun altro si faccia male.»
Clary si alzò in piedi e si schiarì la gola. «Prima mi obbligate a stare qui, per la mia sicurezza, ora invece non mi permettete di andarmene -»
«Anche la corrispondenza è stata bloccata. Niente entra, niente esce. Mi dispiace, ragazzina.» Aggiunse il Cacciatore.
«Morgenstern,» disse lei. «Clarissa Morgenstern. Credo che tu conosca mio padre? Sai, Valentine? C'è lui dietro tutto questo, sta cercando di -»
Clary lasciò la frase a metà. Sentì il volto andarle in fiamme per la vergogna. Non aveva mai fatto sfoggio del suo nome per fare effetto sulle persone, la trovava una cosa assolutamente inadeguata, si vergognava del suo cognome. Ma questi erano tempi disperati. Essere obbligata a restare nella tenuta dei Lightwood per una questione di sicurezza era una cosa, ma essere obbligata a rimanerci fino a tempo indeterminato come sospettata era un'altra.
«E io sono Aline Penhallow.» Si intromise la ragazza, sulla disdicevole scia di Clary. «Mia madre non sarà affatto contenta di tutto questo.»
Helen Blackthorn alzò gli occhi al cielo, ma non disse niente. Fu Malik a rispondere ad Aline.
«Tua madre ti direbbe di rimanere qui e di non ostacolare l'indagine, Aline. Dopotutto, è stata lei a dare l'ordine di sigillare la tenuta. Ora sedetevi. Mi dispiace ma rimarrete qui come tutti gli altri, fino a che non avremo risolto le cose.»
Clary sospirò e si sedette. Aline fece lo stesso, borbottando sommessamente. Incontrò nuovamente lo sguardo di Jace e subito lo distolse per la vergogna. Non poteva credere di essersi messa in imbarazzo a quel modo davanti a lui.
«Usare il tuo nome per impressionare la gente, carino.» Le sussurrò Jonathan al suo fianco, con un sorriso sarcastico stampato sul volto. «Peccato che non ha funzionato.»
«Zitto,» ringhiò Clary, cercando di ascoltare cos'altro diceva Malik. Nessuno poteva andare in giro da solo senza autorizzazione. Ci sarebbero state guardie e membri del Conclave ad ogni piano, fino a che non fosse stata risolta la questione delle sparizioni. Il Conclave avrebbe intervistato tutti i presenti, compreso il personale. Fu ordinato a tutti di tornare nelle rispettive stanze e di rimanerci fino alla mattina seguente. Clary si incamminò fuori dalla porta, seguendo il fratello, quando Jace la prese per un braccio, tirandola indietro nel salone. «Clary, aspetta.»
«Non parlarmi.» Rispose lei freddamente. «Se non fosse per te e per questa stupida competizione, tutto questo non sarebbe mai successo.»
Lui sospirò. «Lo so.»

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Capitolo 9
*** The Past Always Comes Back ***


CHAPTER 8
THE PAST ALWAYS COMES BACK
 
 
Il silenzio tra i due si prolungò. Clary non riusciva a pensare a niente da dire. Erano successe troppe cose alla tenuta.
«Posso chiederti una cosa?» Disse Jace, dopo un po’.
«Suppongo di sì.» Rispose lei, lentamente. Jace l'aveva trascinata fino nell'angolo più buio della sala e con un sospiro si sedette su una delle poltrone. Lei lo imitò, notando una delle guardie del Conclave in agguato di fianco alla porta, che li osservava con sospetto.
«Perché sei ancora qui? Potevi scappare dalla finestra prima che sigillassero la tenuta. Praticamente tuo fratello lo fa ogni notte.»
Clary rimase un attimo spiazzata da quelle parole, ma non ci badò più di tanto.
«Forse perché non voglio andare contro le direttive del Conclave?» Rispose acida.
«Stronzate, Morgenstern. Sei preoccupata per me.» Il suo ghigno arrogante era di nuovo sul suo volto.
«Sono preoccupata, ma non per te, Wayland.» Ribatté scocciata, incrociando le braccia al petto.
«Non sono stato a letto con lei, sai ...» iniziò Jace bruscamente. «Rebecca. Lei voleva, ma io ...»
«Perché mi stai dicendo questo?» Chiese Clary con sospetto. Il suo cuore accelerò i battiti a quella notizia, ma cercò di non farci caso, dicendosi che adesso come adesso non era importante.
Lui si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
«Io non ti capisco proprio, lo sai, vero?» Clary parlò furiosamente.
Lui la guardò, lo sguardo quasi feroce. «Vorrei che lo facessi.»
«Scusa?»
«Vorrei che qualcuno lo capisse ... che io non sono così. Non sono questo.» Jace sussurrò appena.
«E allora chi sei?»
Rimase in silenzio per un po’, poi sospirò profondamente. «Non lo so.»
Visto che Jace non accennava a continuare fu Clary a parlare di nuovo. «Spero che Leah si riprenda.» Disse mordendosi il labbro.
«È colpa mia.» Jace parlò all'improvviso, distogliendo lo sguardo dal suo. «È colpa mia se si sono fatte male.»
«Jace, prima ho parlato a sproposito. Non è colpa tua. Come potrebbe esserlo?»
Jace si voltò di nuovo a guardarla. Era molto pallido, più del solito, e gli occhi erano cerchiati da profonde ombre scure. «Sapevo che sarebbe successo. L'ho sognato. Voglio dire, ho sognato che sarebbe successo qualcosa di terribile. La mia testa è un casino, Clary, non so più distinguere tra sogno e realtà. Anche ora, sto sognando? O tu sei davvero qui?»
«Jace,» Chiese Clary con cautela. «Cosa succede nei tuoi sogni?»
«Cose terribili, bizzarre. Io ... non lo so.» Concluse a voce bassa. Esitò un attimo, prima di afferrarle la mano e tirarla dietro di sé. «Continuo a sognare dei fatti, ma non sembrano sogni, sono così reali, così nitidi ...»
«Cosa significa?»
Jace si strinse nelle spalle. La guardia li scrutò con aria minacciosa, come a invitarli ad andare subito nelle loro rispettive stanze. «Vieni, andiamo via di qui.» La prese per mano e la guidò su per le scale fino alla stanza di Clary. Jonathan era lì in attesa, li guardò con occhi piatti, fissando le loro mani ancora intrecciate. Clary si liberò dalla presa di Jace e aggrottò la fronte.
«Come hai fatto ad entrare?» Chiese al fratello.
«Merito del mio fascino e del mio bell'aspetto.» Grugnì lui. «Ho detto alla guardia che ero preoccupato per la mia dolce sorella. Ma vedo che sei già in compagnia.» Aggiunse con un sopracciglio alzato e la voce tagliente. Clary conosceva bene quella voce, Jonathan la usava spesso per mascherare la furia che montava in lui.
«Cosa ci fai con mia sorella?» Si rivolse direttamente a Jace, con gli occhi neri piantati in quelli d'oro di lui. Il ragazzo assunse la sua tipica espressione arrogante e aprì la bocca, probabilmente per ribattere con una delle sue frasi ironiche, ma fu interrotto dalla porta della stanza che si aprì di nuovo. Alec apparve sulla soglia, osservò i presenti per un momento, evidentemente confuso da quel terzetto.
Clary alzò gli occhi al cielo. «Scusate ma, ho sentito male io quando le guardie hanno ordinato a tutti di rimanere nelle proprie stanze?»
Alec scrollò le spalle. «Mark è di guardia a questo piano, mi ha fatto passare. Comunque, che succede?»
Jace scosse la testa a corto di parole.
«Ieri notte hai sognato di nuovo?» Gli chiese Alec in modo diretto.
«Sì.»
«Non credevo che la stanza di mia sorella fosse un ritrovo per psicanalizzare i sogni.» Disse Jonathan, alzandosi dal letto e guardando i presenti con palese irritazione. «Inizio io, allora. Sogno sempre di uccidere cuccioli e di investire vecchiette, cosa significa secondo voi?» Continuò ironico.
«Mmh, vediamo … forse che hai un desiderio sessuale latente verso animali e persone avanti con gli anni?» Propose Jace, grattandosi il meno e fingendosi riflessivo.
Jonathan ringhiò e si avvicinò a grandi passi verso il ragazzo. Clary poteva vedere i lampi di odio nei suoi occhi. Corse in mezzo ai due, afferrando un braccio di Jonathan per trattenerlo e calmarlo. Jace era già sul piede di guerra, con lo sguardo di fuoco e la mascella contratta.
«Jace sta facendo dei sogni strani ultimamente. Crediamo possano avere un significato.» Spiegò velocemente Clary al fratello, sempre trattenendolo per un braccio.
«Avanti, racconta.» Lo incitò di nuovo Alec.
«Beh, ieri notte ho sognato di nuovo che mi trovavo nella Sala degli Accordi. C'era sangue e armi dappertutto, gente che gridava. Compresa Maryse, Robert, il Console Penhallow …» Borbottò Jace.
«Il sogno prima di questo.» Disse Clary.
«La cantina di una tenuta, in cui dei Nascosti erano tenuti prigionieri, alcuni morti, altri ancora vivi ma in condizioni pietose. Come se fossero degli esperimenti. E dopo ancora, ho sognato mio padre ... il mio vero padre, che recitava il giuramento di fedeltà al Circolo a -» Si fermò di colpo. «Tuo padre.» Concluse guardandola.
Clary si scambiò uno sguardo eloquente con Jonathan. Entrambi conoscevano ogni singolo sogno di Jace. Jocelyn aveva raccontato loro tutto ciò che c'era da sapere sugli anni della Rivolta nella Sala degli Accordi e del Circolo. Si sentiva la bocca secca e la tachicardia.
«Credo dovremmo fare delle ricerche.» Disse cercando di nascondere la sua angoscia crescente. «Mia madre dice sempre che non bisogna mai ignorare i sogni. Ci deve pur essere qualcosa che spieghi la tua situazione, nei libri. Inoltre dovresti dirlo a Maryse e Robert.»
«No. hanno già abbastanza di cui preoccuparsi. E poi cosa dovrei dirgli? Che sono perseguitato da degli strani ricordi di quindici anni fa?»
Nessuno dei quattro sapeva cosa rispondere a quella domanda. Rimasero in silenzio a lungo, dopodiché Clary andò a dormire.
Dopo colazione Clary intravide Jace andare ai piani superiori e le guardie annunciarono che la vampira asiatica di nome Lily era scomparsa. Evidentemente sigillare la tenuta non era sufficiente. Clary si morse il labbro ripensando alla sera prima e alle cose che Jace le aveva raccontato. Le risultava impossibile non essere preoccupata per lui. Decise di cercare Jonathan. Non era nel parco, così andò a cercarlo di sopra. La tenuta era immersa nel silenzio, le rimanenti ragazze erano nelle loro stanze e tutto taceva. A parte una voce proveniente da dietro la porta della stanza di Aline. Accostò l'orecchio al muro, sapeva che non era giusto mettersi ad origliare ma la curiosità prese il sopravvento sul suo giudizio.
«Non credi di esagerare, Aline? Clary non è così.» Stava dicendo la voce di Alec.
«Sì. Forse, non lo so. Ma hai visto il modo in cui lui la guarda -»
Alec si mise a ridere. «Non vorrai mica incolparla per questo? E poi non se ne sarà nemmeno accorta, lo sai come la pensa Clary riguardo a Jace.»
Aline borbottò qualcosa che Clary non riuscì a decifrare. «Se gli piace lei, noi altre non abbiamo alcuna possibilità.»
«Perché dici così?»
«Perché,» ribatté Aline. «Lei è Clary. E poi non è adatta per lui, è troppo rigida. Ma sei lei decide che anche lui le piace ...»
Alec la guardò freddamente. «Non credi che dovresti avere questa conversazione con Jace? O con Clary, magari. Non con me. Non mi piace sentirti lamentare, soprattutto quando tu sei la prima ad essere qui per motivi tutt'altro che nobili.»
Clary era scioccata, Alec non l'aveva mai difesa prima d'ora, soprattutto con Aline, visto il legame di amicizia tra i Penhallow e i Lightwood.
«Perché dovrei parlarne con lei? Se davvero gli piace, di sicuro non me lo verrà a dire. Mentirebbe. Mente a sé stessa, Alec, pensaci. Se no perché mai sarebbe venuta qui?»
«Queste sono tutte stronzate. È venuta qui perché era un luogo sicuro.» Ribatté Alec con voce gelida.
«Ma ...»
«Basta, Aline. Ci sono cose più importanti a cui pensare adesso.»
Sentì i passi di Alec e di Aline avvicinarsi alla porta e con il cuore in gola scivolò dietro l'angolo più vicino. Si appiattì al muro, nella speranza di non essere notata dai due. La porta si aprì e vide Aline e Alec passarle accanto, senza però accorgersi di lei. Solo allora si accorse di Jace. Con un sussulto lo guardò. Era appoggiato casualmente al muro, senza temere di essere visto o intercettato. Prima che lei potesse andarsene lui era lì, con le braccia attorno a lei come una gabbia.
«Non mi piace essere schiacciata ai muri.» Disse Clary, impassibile.
Jace sorrise. «Avrei detto il contrario.»
«Mi stai pedinando?»
«Perché mai dovrei?»
«Jace, che cosa vuoi?»
Il suo sorriso svanì e sospirò. Il suo respiro le solleticò il viso. «Non lo so.»
«Aline …» cominciò Clary, ma lui rise amaramente.
«Aline non mi vuole,» disse piano. «Io non so cosa vuole, ma sono abbastanza sicuro di non essere io.» Fece una pausa, strofinando il suo viso contro il suo. Era così vicino. Poteva vedere tutto di lui, anche le minuscole fossette sulle guance, e sentire il suo respiro sulla pelle. «Credo mi veda come un accessorio. Qualcosa da abbinare ai suoi vestiti.»
«Così a Jace Wayland non piace essere trattato come un oggetto.» Clary parlò piuttosto acidamente.
I suoi occhi si spalancarono. «Io non ho mai trattato le donne come oggetti, Clary.» Disse con voce bassa e dura. «Non è colpa mia se ... le attraggo. Per l'Angelo, sono incredibilmente affascinante, questo è certo, ma spesso le ragazze mi avvicinano per i motivi sbagliati. Una volta ho chiesto ad una ragazza se volesse uscire direttamente con Robert, così avrebbe avuto subito accesso al suo patrimonio. Non è durata a lungo quella relazione. Come quella prima del resto. E quella prima ancora.»
Clary deglutì a fatica, incerta su cosa dire. Jace sorrise tristemente.
«Allora, c'era qualcosa di vero in quello che stava dicendo Aline?»
«No,» rispose Clary, troppo in fretta. Osservò il suo volto contrarsi in una piccola smorfia. Si sentiva irrequieta, spostò il peso da un piede all'altro. «Sono venuta qui solo perché mi hanno obbligata,» spiegò. «Ma ora ...»
«Ora?»
«Non lo so, Jace.»
«Che cosa stai cercando di dire?» La sua voce era quasi un sussurro, così intenso e pieno di energia. Clary dovette fare un respiro profondo per calmarsi e si sentì in dovere di essere sincera con lui.
«Non sei così male,» sussurrò. «Quando ti comporti da essere umano, sei okay.»
«Solo okay?»
«Non ti basta? Non penso che tu sia un cretino completo, così va meglio?» Disse Clary con la sua voce graffiante. Avrebbe voluto dirgli molto di più ma tenne a freno la lingua, preoccupata per quello che aveva sentito dire ad Aline e preoccupata che lui si stesse solo prendendo gioco di lei, come al solito.
Jace sorrise, un sorriso lento e pigro. «Credo che per ora dovrà bastarmi.» E prima che se ne accorgesse si piegò verso di lei, baciandola sulle labbra. Il bacio durò pochissimi istanti, dopodiché lui si staccò e andò via, lasciandola contro quel muro, in preda al desiderio di sentire nuovamente le sue labbra sulle sue. Si portò le dita tremanti alle labbra, il cuore batteva dolorosamente, il sangue ribolliva nelle vene. Non sapeva come lui facesse, ma ogni volta che le era così vicino ... Clary scosse la testa. Era una cosa fisica, si disse, niente di più, solo la natura, la biologia, gli ormoni, l'attività cerebrale latente ...
 
 
«Cosa stai facendo?»
Jonathan si voltò di scatto, una gamba già al di là della finestra, appoggiata sul cornicione. Il tramonto era passato da poco e il cielo era di un intenso color blu indaco.
«Non sono affari tuoi,» rispose con un ghigno, sollevando anche l'altra gamba, così da essere in bilico sul cornicione del terzo piano.
Isabelle si avvicinò di qualche passo. Gli occhi scuri puntati sul ragazzo e i capelli neri legati in una treccia da amazzone. «Nessuno può lasciare la tenuta. Credi di essere speciale?»
«In effetti sì, piuttosto speciale.» Sorrise lui, senza divertimento.
«Dove stai andando?» Disse Isabelle, risoluta.
Lui sbuffò. «Va bene, sto andando a fare una nuotata notturna al lago. Beccato!» Rispose Jonathan con voce affabile. Squadrò Isabelle dalla testa ai piedi. «Vuoi unirti a me?»
La ragazza fece schioccare la lingua in segno di disapprovazione. «Non credo proprio.» Ribatté acidamente.
Jonathan scrollò le spalle. «Come vuoi.» Mollò la presa sugli infissi della finestra e si lasciò cadere giù. Isabelle venne colta dal panico. Corse alla finestra giusto in tempo per vedere il ragazzo cadere nel vuoto di schiena. A circa due metri da terra fece una capriola e atterrò in piedi sul prato bagnato di rugiada. Isabelle non aveva mai visto fare a nessuno un salto mortale del genere … eccetto a Jace.
«Ma che cavolo,» sussurrò tra sé con gli occhi spalancati.
Dal basso Jonathan le fece l'occhiolino e un cenno con la mano, prima di iniziare a correre così veloce che dopo un istante era solo una macchia indistinta nel bosco.
«Che fai qui, Izzy? Sai che non puoi girare da sola per i corridoi.»
Isabelle rimase alla finestra, ancora scossa dall'agilità di Jonathan. «Questa è casa mia, Mark. Faccio quello che mi pare.»
Mark Blackthorn le andò accanto, posandole una mano calda sulla spalla. «Avanti, Iz. Non vorrai mettermi nei casini?» Le domandò dolcemente, guardandola con i suoi occhi bicolore e la sua chioma bionda riccioluta.
«Qui è già tutto un casino.» Sussurrò Isabelle, distogliendo lo sguardo dalla foresta e portandolo su Mark.
Lui sospirò amaramente. «Hai ragione. Ancora non abbiamo capito come diavolo ha fatto quella vampira a scomparire nel nulla. Tutti i corridoi erano controllati e anche il perimetro della casa.»
Isabelle ripensò a Jonathan che, giusto pochi secondi fa, era riuscito a fuggire senza incappare in nessuna guardia e non disse nulla.
«E con la cerimonia degli Accordi alle porte, tutto questo proprio non ci voleva.» Continuò Mark. «Sono scomparse due vampire e una fata in casa di Nephilim. I Nascosti iniziano ad essere sospettosi e diffidenti.»
«Credi che gli Accordi non si firmeranno, quest'anno?» Gli chiese Isabelle.
«Non lo so. Ma il tempo sta per esaurirsi.»

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Capitolo 10
*** Stand by Me ***


CHAPTER 9
STAND BY ME
 
 
Questa volta era diverso. Non era come essere lo spettatore esterno di un film, era come se guardasse il tutto in prima persona, esattamente attraverso gli occhi di Valentine. Era conscio anche dei suoi pensieri, di ciò che era accaduto poche ore prima: la Rivolta nella Sala degli Accordi. Valentine era in piedi, nascosto da un gruppo di alberi frondosi e dalla notte senza luna. Stava fissando una casa, era la tenuta dei Fairchild. Jace la riconobbe subito, o forse era stato Valentine a riconoscerla, non importava. Le finestre della tenuta erano buie, ad eccezione di una al secondo piano, dove si intravedeva un baluginio rossastro diventare sempre più acceso e più luminoso. Inizialmente Jace pensò che si trattasse di una candela, o di una stregaluce … ma presto si rese conto che quelle che stava guardando erano fiamme. Come alimentate dalla sua consapevolezza, le fiamme divamparono in un attimo. L'aria era intrisa di fumo e dopo un istante, non c'era più nulla, solo il fuoco che avvolgeva la casa, bruciandone i mobili e intaccandone la struttura, che iniziò a cedere come una candela sciolta. Jace sentì delle urla provenire dall'interno di quel globo infuocato, le urla di una donna, di un uomo. Voleva muoversi, correre verso l'incendio e aiutare le persone che erano rimaste intrappolate lì dentro. Ma, proprio come loro, lui era intrappolato nel suo sogno e non poteva far altro che guardare. Subito Jace capì chi c'era dentro la casa dei Fairchild. I nonni di Clary, insieme ai, probabilmente già morti, corpi di Michael Wayland e di suo figlio … il figlio di cui portava il nome. Jace Wayland. Un nome sbagliato, un nome che non gli apparteneva, ma che continuava a portare. Ora, come non mai, gli sembrò che il suo nome fosse una mancanza di rispetto verso quel povero bambino che stava bruciando nella casa. Le urla cessarono, la casa crollò, Valentine rise …
E Jace si svegliò boccheggiando.
 
 
Clary non rivide Jace per tutto il giorno. Voleva sapere se aveva sognato ancora. Voleva sapere come stava. Voleva sapere perché l'aveva baciata. Verso le dieci di sera passate rimase l'unica in salotto, ad eccezione di una guardia del Conclave che la osservava da lontano. Sospirò e si ritirò nella sua stanza, cadendo in un sonno agitato. Fu svegliata da una voce e da qualcuno che la scuoteva leggermente. Era Alec. Le immagini del sogno che stava facendo vorticavano ancora nella sua mente, più che un sogno era stato un incubo, sentiva il sudore freddo appiccicarle il pigiama alla schiena e si aggrappò con le unghie al braccio del ragazzo, ancora scossa da quelle immagini. Avrebbe voluto urlare, ma dalla sua gola scaturì solo un suono strozzato.
«Ahi, mollami.» Si lamentò Alec.
«Dov'è Jace?» Ansimò lei. «Dov'è?»
«Qui.» Rispose la voce di Jace. Clary vide la sua figura nell'ombra della stanza, con il cuore che le batteva veloce nel petto. «Stiamo andando in missione. Pensavamo ti avrebbe fatto piacere unirti a noi.»
«Missione?»
«Vestiti.» Le ordinò Jace. Lui e Alec uscirono nel corridoio e Clary iniziò a vestirsi senza nemmeno guardare quello che le capitava sottomano. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era quell'orribile sogno. Aveva una terribile sensazione. Uscì in corridoio per raggiungere i ragazzi. Al sogno ci avrebbe pensato più tardi.
«Bella maglietta.» Disse Jace, osservando la t-shirt della ragazza infilata al contrario.
«Bella faccia.» Sibilò in risposta. «Cosa stiamo per fare esattamente?»
«Stiamo andando a fare razzia nello studio di Robert.» Disse Jace con calma. «Devo sapere cosa diavolo sta succedendo nella mia testa e lì ci sono un mucchio di libri e pergamene. Sicuramente ci sarà qualcosa che potrà aiutarmi.»
La tenuta era silenziosa come una tomba, mentre strisciavano per i corridoi bui. Fortunatamente non incontrarono nessuno lungo la strada fino alle porte dello studio di Robert, che Jace aprì in modo che non cigolassero o emettessero alcun suono. Entrarono dentro, mentre Alec sussurrava qualcosa a proposito di alcuni film di spionaggio che lui e Jace avevano visto insieme durante un viaggio a New York.
«Chiudi la porta, 007» Clary sorrise ed estrasse dalla tasca una stregaluce per illuminare la stanza.
«Tu puoi essere la segretaria di Bond, Clary.» Disse Alec.
«O la donna intelligente e bellissima ma assolutamente priva di fortuna che si caccia in una situazione pericolosa,» replicò Jace. «Così poi noi verremmo a salvarti. Hai anche il bikini per il ruolo.»
«Preferirei non pensare a questa scena.» Sussurrò Alec.
«Io sarò Bond, allora.» Aggiunse Jace.
«Perché non posso essere io Bond? In fondo è palese che sono quella che sta guidando questa operazione.» Sussurrò Clary mentre faceva scivolare un dito sopra alcuni volumi della libreria. Sentì Jace mormorare un 'io non la penso così' e sorrise. Prese uno sgabello e ci salì sopra per esaminare i volumi sull'ultimo ripiano dello scaffale.
«Dubito che troverai qualcosa lì. Sono i libri di Maryse.» Disse Jace facendola trasalire. Sentì lo sgabello oscillare pericolosamente e perse l'equilibrio. Si morse il labbro per non urlare, preparandosi allo schianto a terra. Quando riaprì gli occhi, pensò che in fondo il pavimento non era poi così duro. Le ci volle un attimo per capire che giaceva a faccia in giù sopra il corpo di Jace, che gemette sotto il suo peso.
«Mi dispiace,» sussurrò a bocca aperta, mentre cercava di mettersi a sedere. Le braccia di Jace l'avvolsero velocemente, immobilizzandola sopra di lui in un abbraccio.
«Questo è un terribile luogo comune, non credi? Se volevi stare sopra di me, tutto quello che dovevi fare era chiedere.» Disse con voce bassa e profonda. Poi alzò le sopracciglia attendendo una risposta e lei si dimenò a disagio.
«Perché tutto quello che esce dalla tua bocca deve avere un maledetto risvolto sessuale?»
«Non posso farci niente se hai una mente perversa.» Nella penombra, vide i suoi occhi oscurarsi e un piccolo sorriso increspargli le labbra.
«Jace, lasciami andare.» Clary si dimenò con maggior forza e lui le afferrò i fianchi così forte che era sicura che le avrebbe lasciato i segni.
«Questa cosa non mi dispiace affatto,» disse lui alzando leggermente la testa, così che i loro volti furono ancora più vicini. Clary chiuse gli occhi. «Sai, ho un letto che è molto più comodo del pavimento.»
Riaprì gli occhi di scatto. La sua bocca era ad un centimetro dalla sua e, mentre lo guardava leccarsi le labbra, sentì qualcosa rigirarsi nel profondo dello stomaco. Si liberò dalle sue braccia con forza, allontanandosi il più possibile da lui.
«Sei un idiota, Jace.» sussurrò, solo perché non sapeva che altro dire.
«Il corpo vuole quel che il corpo vuole.» Ribatté lui mettendosi a sedere e guardandola con occhi ardenti. «Non posso farci niente se il mio corpo ti vuole.»
«Questa è una cosa tipicamente maschile da dire.» Ringhiò Clary, rimettendosi in piedi. «Ne ho abbastanza. Io sono fuori.» Annunciò a voce alta dirigendosi verso la porta. Non le importava se Robert li avrebbe beccati.
Li maledisse mentalmente, mentre allungava il braccio per posare la mano sulla maniglia, ma Alec la afferrò prima che potesse aprire la porta. Cercò di liberarsi dalla sua presa, ma lui era nettamente più forte, la trascinò fino al centro della stanza, dove sbuffò incrociando le braccia.
«Lo dirò a Robert.» Minacciò ad alta voce. «E a Maryse.»
«Vuoi fare meno baccano?» Le sibilò Alec all'orecchio.
«Vuoi fare meno baccano?» Lo scimmiottò Jace, con voce ironica. «Ma come parli? Sembri un damerino dell'800.»
Alec lo fulminò con lo sguardo. «E tu, invece, che non riesci a fare un intero discorso senza inserire una citazione di chissà quale poema?»
Jace gli rivolse un sorriso accattivante e Clary li fissò esasperata.
«Io me ne vado.» Disse la ragazza, sbuffando.
«Clary, Clary, non farlo ... Abbiamo bisogno di te,» sussurrò Alec. «Jace, avanti, dille che abbiamo bisogno di lei.»
Jace era appoggiato alla scrivania di suo padre, catturò il suo sguardo attraverso la stanza, la sua espressione calda e intensa. La stregaluce che Clary aveva lasciato sopra la scrivania gettava bagliori intermittenti sul suo volto, rendendolo in qualche modo sinistro, ma anche intrigante e misterioso.
«Ho bisogno di te.» Disse piano. Le sue parole raggiunsero Clary con la stessa potenza di uno schiaffo in pieno viso. Rabbrividì. Si morse il labbro e distolse lo sguardo, stringendo i pugni.
Lo odio, si disse, lo odio, è così irritante, arrogante, ridicolo, stupendo ... Fece un respiro profondo e sospirò, sapendo che era troppo tardi per negare a sé stessa ciò che aveva appena pensato.
«Va bene ... Ma solo perché voi due insieme non avete neanche un briciolo di cervello.»
Cercò di rimanere il più lontana da lui, per quanto lo permettesse quella stanza buia.
Dopo circa venti minuti Alec la chiamò dalla scrivania, dove Jace era seduto e teneva un volume tra le mani. Lo passò a Clary che lesse in fretta, accigliandosi.
«L'interpretazione dei sogni di Sigmund Freud?» Lesse Clary con voce scettica.
«Beh, è proprio ciò che fa al caso nostro, no? Dobbiamo interpretare i sogni di Jace!»
«Alec, Freud era un mondano. Non credo troveremo niente che possa esserci utile in un libro scritto da un mondano.»
Alec si grattò la fronte. «Presumo che allora nemmeno Il libro degli incubi di Belanger, vada bene.»
«Esatto.» Clary fece schioccare la lingua, seccata.
«Tutto questo è una perdita di tempo.» Disse Jace, con voce amara. Accanto a lui c'era un tomo abbandonato, spesso e dalla copertina lisa e consunta. Il titolo recitava in caratteri corsivi: Comunicare attraverso i sogni di Jonathan Wrighthallow. Clary lo afferrò fra le mani, scorrendo l'indice con lo sguardo.
«Questo lo ha decisamente scritto un Cacciatore,» bofonchiò più a sé stessa che agli altri due.
«Con un nome del genere,» asserì Jace ironicamente.
Dopo un quarto d'ora, Clary sbatté il libro sulla scrivania, con occhi trionfanti. «Sentite qui, si ritiene che gli Angeli utilizzino i sogni per comunicare con noi Shadowhuntersinviandoci immagini simboliche del passato, e talvolta del futuro per metterci in guardia, consigliarci e aiutarci a fare la cosa giusta nel -»
«Che noia.» La interruppe Jace.
«Non è il momento per scherzare, Jace.» Clary gli rivolse un'occhiataccia.
«Non sto scherzando, è una vera noia.»
Lei lo ignorò continuando a leggere.
«Avanti, Clary. Non sappiamo nemmeno se esistono gli angeli.» Continuò Jace, laconico.
Alec lo fissò con un'espressione scioccata sul viso. «Jace, come puoi dire una cosa del genere? Noi discendiamo dagli angeli, se non fosse per loro non esisteremmo! E tu te ne esci dicendo che non credi che esistano?»
«Beh, nessuno ne ha mai visto uno.» Si giustificò il ragazzo, alzando le mani in segno di resa.
Alec scosse la testa e si rivolse a Clary. «Quindi i sogni di Jace potrebbero essere immagini del passato e del futuro?»
«Ssssh,» Jace si mise un dito sulle labbra, in ascolto. Clary trattenne il respiro, con le orecchie tese, sentì dei passi nel corridoio.
«Dannazione, potrebbe essere mio padre ...» sussurrò Alec. «Via da qui.»
I tre si affacciarono sul corridoio, come tre ladri in procinto di scappare. I passi si stavano allontanando e i ragazzi scoprirono che non erano altro che Mark Blackthorn e Isabelle.
«Che cosa ci fa mia sorella con Mark?» Chiese Alec, accigliandosi.
«Secondo te?» Rispose Jace con un'alzata di sopracciglia piuttosto eloquente.
Alec lo guardò male. «Ho bisogno di dormire.» Disse, sbadigliando. Si incamminò lungo il corridoio buio; aveva fatto pochi passi quando Jace aprì di nuovo la bocca per parlare.
«Ehi, Alec,» lo chiamò a bassa voce.
Il suo parabatai si girò a guardarli. «Che c'è?»
«Camera tua è dall'altra parte.» Gli disse Jace indicando il lato opposto del corridoio, con un sorriso malizioso stampato sulle labbra.
Anche nella penombra, i due videro Alec arrossire furiosamente. «Oh, già …» mormorò prima di scomparire.
«Anche io ho bisogno di dormire.» Aggiunse Clary rapidamente, spostandosi verso la porta. Jace la prese per un braccio, stringendola.
«Clary, aspetta. Ho bisogno di parlarti.»
«Più tardi, ho davvero bisogno di dormire. E anche tu.»
Jace sospirò tristemente e la lasciò andare.
Clary si svegliò nel buio, qualcuno bussava alla sua porta. Non ebbe neanche il tempo di dire avanti che la porta si aprì e una sagoma entrò. Era la domestica che giorni prima l'aveva accolta in casa Lightwood piuttosto rudemente.
«Che succede?» Chiese lei, saltando giù dal letto e osservando la vecchia signora, impassibile nel suo grembiule e cuffietta bianca anche in piena notte.
«Signorina, mi segua.»
«Ma … ma dove?»
«Il signorino Jace ha bisogno di lei.»
Clary aggrottò la fronte, il suo cuore incominciò a battere forte. «Jace ha bisogno ... va bene, fammi vestire.»
«No! È una cosa urgente!» La voce della domestica iniziava ad assumere una tonalità decisamente stridula e angosciata. Clary sentiva la preoccupazione crescere ogni istante di più.
«Ma che cosa ...»
«Ora!» La domestica le afferrò la mano e nel giro di un attimo, Clary si ritrovò, per la seconda volta, in pigiama in camera di Jace.
La stanza era buia, ma le tende erano aperte e lasciavano trapassare la luce della luna, così l'intera stanza risultava illuminata da un tenue bagliore argenteo. Jace era seduto sul bordo del letto. Clary lo vide fare un cenno di ringraziamento alla governante, prima che quest'ultima si dileguasse silenziosamente.
«Io ...» cominciò Clary a voce bassa. Ma Jace le fece segno di non parlare e di avvicinarsi. Lei obbedì, intravedendo il suo viso sempre più stanco e cerchiato da profonde occhiaie. Doveva essere rimasto sveglio fino ad allora. Si sedette accanto a lui, il suo letto era morbido ed invitante come quello in camera sua. Si sentiva estremamente a disagio, nuda, con addosso solamente il suo pigiama.
«È possibile fare una cosa e poi dimenticarsi di averla fatta?» Chiese lui, voltandosi a guardarla negli occhi.
«Che vuoi dire?»
Lui deglutì. «Voglio dire ... Le ragazze ferite. E … altre cose.»
«Come incendiare un casa?» Rispose Clary, senza pensarci.
Jace le afferrò il braccio, affondandole dolorosamente le dita nella carne. «Come fai a saperlo?»
«Mi fai male, Jace. Lasciami.»
Lui la lasciò in fretta, mormorando delle scuse.
«Prima che tu e Alec mi svegliaste, stavo facendo un sogno, un incubo in realtà.» Spiegò Clary, dolcemente. «Ti ho visto mentre osservavi una tenuta andare a fuoco. Sembravi felice e soddisfatto, come se fossi stato proprio tu ad appiccare l'incendio. È stato terribile e spaventoso.»
Jace imprecò. «Ma non ero io, era -» Valentine, concluse nella sua mente, ma evitò di dirlo ad alta voce per non turbare Clary.
«Era solo un sogno, non vuol dire che accadrà davvero.»
Lui non disse nulla per un lungo momento, poi la guardò con un'intensità così forte da farla rabbrividire. «Sei tu, lo sai.» Disse. «Voglio che tu lo sappia, prima che succeda qualcosa di veramente grave.»
La sua bocca diventò improvvisamente secca, mentre la sua mente formulava quella domanda. «Che vuol dire sono io?»
Jace le rivolse uno sguardo ardente che quasi la incenerì. Quello era decisamente troppo, troppo intimo. Le sue prese in giro, le sue continue allusioni sessuali, erano okay. Ma quello era tutt'altra cosa. Clary sentì i suoi sentimenti esplodere e la cosa la spaventò.
«Devo andare ...» sussurrò e chiuse per un attimo gli occhi. Quando li riaprì, il suo viso e le sue labbra erano vicinissime alle sue.
«Dal momento in cui questa stupida competizione è iniziata, dal momento in cui ti sei presentata alla mia porta, con la tua valigia, sapevo che eri tu.» Sussurrò lui. Clary sentì il suo respiro sulla pelle e deglutì a fatica.
«Sapevi cosa?» Rispose con un filo di voce. Abbassò gli occhi e si morse il labbro. Stare così vicino a lui non le permetteva di pensare razionalmente.
«Jace, rispondi alla domanda. Se è un'altra delle tue stupide prese in giro ...»
La baciò, dolcemente e senza trattenersi. Per un momento lei non ricambiò, poi fremette e il bacio divenne appassionato. Gli infilò le dita tra i capelli biondi e l'universo si restrinse intorno a loro. Non esisteva altro a parte Jace e la sensazione delle sue braccia intorno a lei e il fuoco delle sue labbra sulle sue.
«Sapevo che eri tu quella che volevo.» Disse infine, poggiando la fronte contro la sua. «Clary ...»
«Se stai per dirmi che ti sono sempre piaciuta fin da quando eravamo a scuola credo che me ne andrò, visto che sappiamo entrambi che non è vero.» Sussurrò lei, guardando i suoi occhi mentre si spalancavano per la sorpresa e poi si rilassavano, sorridendo appena.
«In realtà non ti sopportavo.»
«Lo so.» Rispose lei, allontanandolo. Il suo viso tornò ad essere teso e pallido, fino a che Clary non allungò una mano per sfiorargli una ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte. «Perché lo hai fatto?» Gli chiese.
«Baciarti? Perché volevo.» Rispose semplicemente.
Lei non riuscì a trattenersi e fece una smorfia. «Così, quello che Jace vuole, Jace lo ottiene, giusto?»
«Non è così e tu lo sai.» Disse lui a voce bassa e piena di rabbia.
«No, non lo so. Ti ho sempre visto fare casini con le ragazze e ...»
Lui le mise un dito sulle labbra. «Non sto scherzando, Clary.»
Lei spinse via la mano. «Cosa mi dici di Victoria? E di Rebecca?»
«Non mi importa di loro, di nessuna di loro.» La sua voce era così solenne e sincera che Clary non ebbe altra scelta che credergli. Trattenne il respiro, cercando una qualsiasi traccia di presa in giro sul suo volto. Quando non ne vide alcuna, un senso di sollievo la attraversò e senza riflettere ulteriormente, premette le sue labbra contro le sue, baciandolo con una passione che non sapeva neanche di avere. Aveva bisogno di lui e in un istante, la sua camicia era sopra la sua testa e poi gettata sul pavimento. Jace gemette e la strinse forte contro di lui, sentì le sue mani muoversi sul suo corpo. Clary era stordita, ansimando, si lasciò spingere con la schiena sui cuscini, abbandonandosi tra le sue braccia. Era tutto ciò che voleva, in quel momento. Quando le sue mani scivolarono sotto i vestiti, le dita sopra la sua carne, il suo cervello però scattò e lentamente lo spinse via.
«Non possiamo,» disse con dolcezza, la voce ruvida e roca. «Ci sono cose più importanti a cui pensare. Dobbiamo trovare il modo di farti smettere di sognare. E capire chi è il responsabile di tutto, prima che qualcuno si faccia male sul serio.»
Jace sospirò forte. «Sei troppo razionale a volte, lo sai?»
«E tu non pensi con la testa.» Clary si mise a sedere e lui alzò le sopracciglia, sorridendo. «È una cosa seria, Jace.»
«Lo so.»
«Devo tornare nella mia stanza.» Disse Clary, anche se non voleva farlo.
«No, per favore.»
«Ho bisogno di dormire. E anche tu. Siamo entrambi esausti.»
«E se ti dicessi che non c'è niente di peggio di una donna che non finisce ciò che ha iniziato?» Sorrise, ma era un sorriso debole che non raggiunse il resto del viso.
«Io direi, la pazienza è una virtù,» ribatté Clary, facendolo sorridere. Scese dal letto. «Mi dispiace, Jace. Devo andare.»
«Non voglio rimanere solo,» ammise a bassa voce. «Una volta che inizio a sognare, non riesco a svegliarmi. Sono costretto a guardare tutto, fino alla fine. Non posso addormentarmi, non posso ...» fece una pausa, guardandola. «Ho bisogno di te, Clary.»
«Va bene,» sussurrò lei con il cuore in gola. Se Jace avesse fatto ancora una notte senza sonno, probabilmente sarebbe impazzito. «Ci proverò, proverò a svegliarti, anche se secondo Jonathan dormo come un sasso. Quindi non so quanto potrò esserti utile.»
Jace annuì. Clary era pronta a sedersi su una sedia e vegliare su di lui per tutta la notte, o almeno quel che ne restava. Lui la guardò, alzando gli occhi al cielo.
«Morgenstern, entra.» Disse, tenendo alzate le coperte.
«Che cosa? Niente da fare!»
«Clary, dai, non essere stupida. Sono stanco, voglio dormire. Non ti toccherò, te lo prometto.»
Clary sospirò, guardandolo attentamente mentre ancora teneva sollevate le coperte per lei. Aveva paura di ammettere che in realtà le piaceva l'idea di dormire accanto a lui. Deglutì, i suoi nervi tesi erano in fiamme. «Se tu osi ...»
Lo vide sorridere nel buio. «Il tuo adorato fratellino mi ucciderebbe se sapesse che faccio questo genere di cose con sua sorella.»
Prima ancora di pensare di schiaffeggiarlo, lui si era addormentato.
Quando Clary si svegliò qualche ora dopo, si mise a sedere così velocemente che la testa iniziò a girarle. La mano di Jace era chiusa attorno al suo polso, la guardò con aria colpevole.
«Devo andare.»
«Buongiorno anche a te,» disse sbadigliando e tirandola per un braccio fino a quando lei si sdraiò accanto a lui. Sembrava riposato, ancora stanco, ma non come lo era stato il giorno prima.
«Devo andare,» ripeté Clary, sedendosi di nuovo. «Sono contenta che tu abbia dormito, davvero, ma non posso restare qui.»
«Non sei per niente divertente.» Disse Jace mettendo il broncio ed incrociando le braccia dietro la testa. Clary lo guardò, veramente, e vide per la prima volta quello che tutte le altre ragazze avevano già visto: Jace era stupendo. Lei lo sapeva già, ovviamente, ma alla luce onesta del mattino, fresco di sonno, sembrava più reale e quasi non riusciva a riconoscerlo. C'era qualcosa di ipnotico in lui. Si arrampicò fuori dal letto, sentendo le sue guance traditrici arrossire.
«Uhm, ci vediamo a colazione?» Mormorò, studiando il tappeto.
«Forse,» rispose lui dal letto. Lo guardò un'ultima volta e uscì. Spalancò la porta e non appena la richiuse alle sue spalle se ne pentì amaramente, perché si trovò faccia a faccia con Robert Lightwood, nel corridoio. Si guardarono in silenzio, mentre Clary sentiva le guance prendere fuoco letteralmente. Aprì la bocca, cercando qualcosa di intelligente da dire, qualcosa per spiegare perché si trovasse lì alle prime luci del mattino, ma non ne uscì niente.
«Interessante,» mormorò Robert e se ne andò. Lasciando Clary a morire di vergogna.

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Capitolo 11
*** Wicked Children ***


CHAPTER 10
WICKED CHILDREN
 
 
Clary dormì per tutto il resto della mattinata, fino a che Jonathan non irruppe nella sua stanza, poco dopo l'ora di pranzo. Il sole era alto nel cielo di Idris e i due fratelli decisero di spendere il resto di quella giornata estiva al lago, proprio come due persone normali.
Come fratello e sorella, normali.
Il lago era deserto e i due ragazzi si stesero sull'erba ben curata che precedeva di qualche centimetro la riva sabbiosa. L'acqua era limpida e le ninfee danzavano sulla sua superficie scintillante. Era tutto perfetto … eccetto la guardia del Conclave che li osservava a distanza ravvicinata all'ombra di un salice. Nessuno aveva il permesso di girare per le proprietà dei Lightwood senza protezione.
La normalità era solo un'illusione. Non sarebbero mai stati normali.
«Non sei venuto in camera mia, ieri sera.» Disse Clary, rotolando su un fianco per poter guardare Jonathan in viso. Era disteso supino, le braccia incrociate dietro la testa argentea e gli occhi chiusi. Le rune nere sul suo torace sembravano brillare alla luce del sole, così come quelle sulle sue gambe.
«Ero stanco,» le disse senza guardarla, tenendo sempre gli occhi chiusi. «Tu hai fatto qualcosa di interessante?»
Clary deglutì a fatica. Odiava mentire a suo fratello. Ma la sola idea di dirgli di lei e Jace la terrorizzava a morte.
Perché?
«Niente di interessante,» rispose Clary, distogliendo lo sguardo. «Ho letto un libro.» Che in un certo senso, era vero.
Jonathan aprì le palpebre e si voltò a guardarla lentamente. I suoi occhi neri sembravano scrutare all'interno della sua anima, alla ricerca della bugia.
Clary tornò a guardarlo.
Lo sa. Ha capito che sto mentendo.
Jonathan sorrise, inaspettatamente. «Ho caldo.» Disse semplicemente, alzandosi in piedi e trascinandola con sé.
«Che fai?» Gli chiese lei, opponendo resistenza.
Allora il suo segreto era al sicuro, ancora per un po’.
«Ti porto in acqua, no?» Sorrise.
Era raro vedere Jonathan comportarsi come un ragazzo, come un fratello, normale e questo fece sorridere Clary, che si abbandonò fra le sue braccia preparandosi all'impatto con l'acqua gelida del lago. Le si mozzò il respiro, mentre il suo corpo e quello di Jonathan, scalciavano uno accanto all'altro per riemergere in superficie. Quando riprese fiato, Clary si lasciò sfuggire una risata, che riecheggiò per tutta la valle, schizzando il fratello e aggrappandosi al suo corpo per non affondare.
Si sentiva normale.
«Ehi, voi due!» Urlò la guardia del Conclave, sempre immobile sotto il salice piangente. Sembrava fosse allergico al sole. «Dovete tornare alla tenuta, mi hanno detto che avete una visita.»
Clary si immobilizzò, rischiando di andare a fondo, se non fosse stato per le braccia di Jonathan che la sorreggevano. Una visita. Poteva essere sua madre. Forse erano riusciti a curarla e lei era tornata a prenderli.
Quando lei e Jonathan raggiunsero il salone dei Lightwood, avevano entrambi i capelli umidi e i vestiti incollati al corpo. C'era un tavolino con un vassoio da tè e un individuo decisamente verde seduto sul divano, intento a sorseggiare dalla sua tazza di porcellana.
Quando li vide entrare abbassò la tazza e rivolse loro un sorriso cortese.
«Buongiorno, giovani Morgenstern. Io sono Ragnor Fell, Sommo Stregone di Londra, nonché amico di famiglia. Prego sedetevi.» Indicò due poltrone accanto al divano, con la sua mano verde cavolo.
Clary obbedì, troppo impegnata ad osservare i tratti affascinanti dello stregone. Jonathan invece rimase in piedi. Era lui quello con il così detto sangue freddo in famiglia.
«Finalmente,» parlò con voce fredda. «Sei venuto a dirci che hai guarito nostra madre.» Non era una domanda, era più che altro una minaccia.
Ragnor sorrise affabile. «No, mi dispiace. Credo che per guarire vostra madre mi ci vorrà più tempo, così come le altre ragazze ferite che ora si trovano alla Guardia.»
«Ma nostra madre ci aveva assicurato che tu eri l'unico a poterla guarire da quella pozione soporifera, quella che tu stesso hai preparato!» Sbottò Clary, dimenandosi sulla poltrona.
«Ecco, mia dolce pel di carota, è proprio questo il punto. La pozione che ha bevuto Jocelyn non è quella che ho preparato io.»
Clary ignorò l'orribile soprannome affibbiatole. «Ma noi abbiamo visto l'ampolla, era proprio quella che ci aveva mostrato … aveva detto che se lei fosse scomparsa e se avessimo trovato quell'ampolla, voleva dire che Valentine era tornato!»
«Credo che sia tutta una copertura. Non credo che Valentine sia tornato e sono più che certo che la pozione che ha reso vostra madre incosciente non sia quella che ho preparato io.» Disse Ragnor, poi, vedendo l'espressione terrificata sul viso di Clary aggiunse: «tranquilli, riuscirò a guarirla, ho già chiamato i rinforzi, una mia cara amica esperta in guarigione sta per raggiungermi e -»
«Oh, per tutti i cavoli!» Disse una voce scioccata, alle loro spalle. Sulla soglia del salone c'era Magnus, in completo di tweed rosso sgargiante e i capelli acconciati in una cresta alta. «Che diavolo ci fai tu qui?!»
«È un piacere anche per me, caro Magnus.» Rispose Ragnor, nascondendo un sorriso soddisfatto dietro ad un colpo di tosse.
«Vi conoscete?» Chiese Jonathan con voce piatta.
«Purtroppo sì.» Magnus sembrava sull'orlo dell'isteria. «Sei solo, vedo? Come mai non ti sei portato dietro il tuo amichetto Raphael? Siete così grandi amici, voi due!» Esclamò sprezzante.
«Oh, Magnus, non essere geloso. Ti verranno le rughe.» Rispose Ragnor con aria affabile.
«Oh, stai zitto. Ho cose più importanti da fare,» ribatté Magnus, con ritrovato contegno. Sbatté le palpebre due o tre volte, come se stesse cercando di ricordare il motivo per cui si trovava in quella stanza.
«Ragazzi,» disse, schiarendosi la voce e rivolgendosi a Clary e Jonathan. «Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Aline è scomparsa e il Console è su tutte le furie. Stiamo setacciando l'intera tenuta e … sembrerebbe che anche Lily e Hyacinth non si trovino più qui.»
Jonathan fece un cenno col capo e seguì Magnus di corsa fuori dal salone.
Ragnor fece per seguirli, ma Clary lo fermò piazzandosi davanti alla porta. «Devo chiederti una cosa.» Sputò tutto d'un fiato.
«Spara.»
«Ti hanno detto dove hanno ritrovato mia madre? Insomma, a me Robert ha solo detto che era stata rinvenuta in una tenuta abbandonata … ma non mi ha detto quale. Tu lo sai?»
Ragnor la fissò pensieroso.
«Sì, nella tenuta dei Wayland.»
 
 
Alec correva lungo i sotterranei di casa sua al fianco di Isabelle, che faceva strada con una stregaluce tra le mani. Gli sembrava di rivivere per la seconda volta quel momento. La ricerca, l'ansia, le ragazze scomparse … solo che questa volta si trattava di Aline, la figlia del Console, nonché sua amica. Isabelle si fermò di scatto e con lei il fascio di luce. Alec si ritrovò al buio, con una brutta sensazione, sentiva che quello era il posto giusto, che lì avrebbero trovato le risposte e la ragazza, proprio come era successo con Ridley.
Sentì sua sorella imprecare.
«È lei, Iz? È Aline? L'hai trovata?» Chiese correndo in direzione di Isabelle con voce affannosa.
«Ho trovato qualcuno,» rispose la voce acuta di sua sorella. «Ma non è Aline. È Rebecca Heroncross.»
La stregaluce illuminò la ragazza distesa a terra. Proprio come Ridley, era ferita e priva di coscienza.
 
 
Lily, Hyacinth e Aline erano davvero scomparse. Non c'era traccia di loro nell'intera proprietà dei Lightwood. Rebecca era stata portata alla Guardia come le altre ragazze ferite. Non c'erano più concorrenti, ormai. Jace Wayland non avrebbe mai avuto una moglie.
Clary era nella stanza di Alec, seduta nella nicchia accanto alla finestra, con un dito teneva aperte le tende di velluto, lanciando occhiate al via vai di Cacciatori che si intravedeva sul vialetto d'ingresso.
Jace entrò nella stanza, sembrava trafelato, ma non appena incontrò lo sguardo di Clary il suo viso si aprì in un sorriso composto. I due rimasero a guardarsi, immobili. Clary poteva sentire il battito forte del cuore rimbombarle nelle orecchie.
«Allora!» Sbottò Alec infastidito. «Che cosa hai scoperto, Jace?»
«Oltre al fatto che c'è un essere verde che si aggira per casa, dici?»
Alec lo guardò senza capire.
«È Ragnor Fell,» spiegò Clary. «Lo stregone che dovrebbe aiutare mia madre.»
Alec annuì appena, dopodiché Jace parlò. «Ho sentito Maryse mentre parlava con Kadir. Sembra che verremo tutti trasferiti alla Guardia, in modo che nessun altro sparisca o si faccia male.»
«No!» Esclamò Clary, balzando in piedi. «Ne ho abbastanza di essere spostata da un luogo all'altro come una pedina in un torneo di scacchi. Deciderò io dove andare, non m'importa se non ho diciotto anni o cos'altro. Io alla Guardia non ci vado.»
«Come sei matura.» La schernì Jace, facendola arrossire.
Sapeva di aver parlato come una bambina capricciosa, ma era stanca di stare a guardare, come una spettatrice passiva, il delirio che stava accadendo.
Da sempre Alec era molto più ragionevole di Jace. «Clary, è per la nostra sicurezza e poi non hai altro posto in cui andare.»
«Potremmo indagare,» rispose lei timidamente.
«Ottima idea!» Esclamò Jace, sbattendosi il palmo della mano sulla fronte. «Perché non ci abbiamo pensato prima? Oh, forse perché non abbiamo uno straccio di pista, né di indizio.»
«Non c'è bisogno di essere così odioso. E comunque io un indizio lo avrei …»
Alec e Jace la guardarono con occhi sgranati.
«Come scusa?» Fece Alec.
«Sentite, Leah, Marlene, Ridley e Rebecca sono alla Guardia. Sono in condizioni gravi, ma sappiamo che si riprenderanno, prima o poi. Ma le altre? Dove sono finite Aline, Lily, Maureen, Kaelie e Hyacinth?»
«Non ne abbiamo idea.» Asserì Alec, mentre Jace la guardava come se fosse una folle.
«Credo che abbia preso troppo sul serio quella faccenda su 007,» sussurrò all'orecchio del suo parabatai, abbastanza forte da farsi sentire anche da lei.
Alec soffocò una risata, ma si interruppe subito, come colto da un improvviso pensiero. «Ragazzi … ci stiamo dimenticando qualcuno … Victoria. Pensate che sia arrivata a casa sana e salva? Magari è scomparsa anche lei.»
«Tranquillo, i suoi genitori hanno inviato un messaggio di fuoco a Maryse. Lei sta bene, è a casa. Sembra l'unica concorrente uscita incolume dalla gara … forse è lei la colpevole.» Disse Jace.
«Ma è impossibile!» Esclamò Alec. «Non lo farebbe mai. Aline è sua cugina!»
Clary sbuffò sonoramente, attirando nuovamente l'attenzione dei due su di sé. «Stavo parlando.»
Alec abbassò lo sguardo a terra. «Giusto, stavi dicendo che hai una pista.»
«Sì. Alcune ragazze sono scomparse e devono pur essere da qualche parte entri i confini di Idris.»
Jace alzò gli occhi al cielo e Clary lo ignorò, continuando a parlare. «Ho pensato: ehi, anche mia madre era scomparsa ma è stata ritrovata dopo alcuni giorni.»
I due la guardarono con occhi vacui. Lei roteò gli occhi. «Questo sarebbe il punto in cui uno di voi due mi chiede: dove?»
«Dove?» Chiese Alec in fretta.
«Nella tenuta abbandonata dei Wayland.» Vide Jace fare una smorfia. Non voleva ferirlo, ne riportare a galla brutti ricordi, ma doveva farlo. «Quindi … se le sparizioni fossero collegate? Se anche le altre ragazze si trovassero lì?»
Alec scosse la testa, dubbioso. Jace invece fissava un punto imprecisato oltre la sua spalla. I suoi occhi d'ambra sembravano offuscati dalla nebbia dei ricordi. Ricordi in cui Valentine si fingeva suo padre, sotto il nome di Michael Wayland, immaginò Clary.
«Dovremmo iniziare da lì.» Suggerì lei a voce bassa.
«Credo che Clary abbia ragione. La tenuta dei Wayland ha un sacco di stanze segrete, passaggi e sotterranei labirintici. Inoltre nessuno va lì da molti anni, è il posto ideale per nascondere delle persone.» Disse Jace con sguardo fermo e risoluto.
L'unico ancora incerto era Alec. «Ma come facciamo ad uscire da qui? Ci sono più guardie che in tutta Alicante, ora che la figlia del Console è scomparsa.»
«Troveremo un modo.» Jace posò una mano sulla spalla dell'amico, sorridendo in modo sinistro.
Alla governante, che aveva un plateale ed evidente debole per il signorino Jace, venne assegnato il compito di distrarre le guardie del Conclave. Lo eseguì con grande riluttanza, mentre Jace, Alec e Clary sgattaiolavano dalla porta sul retro. Con le loro guardie impegnate, erano sicuri di poter uscire senza essere visti da nessuno. Robert e Maryse erano insieme a Kadir e Malik nello studio. Una volta fuori nel parco, Jace tracciò le rune di agilità, silenzio e forza su Clary, Alec e poi su sé stesso. Clary avvertì una sorta di brivido scivolarle lungo la pelle, come se qualcuno le avesse rovesciato un secchio di acqua fredda addosso. Corsero attraverso i campi, superarono il lago e presto si trovarono davanti alle alte recinzioni in ferro che delimitavano la proprietà. Si arrampicarono su un albero e Clary cercò di fare il più in fretta possibile, terrorizzata dall'idea di essere vista. Venne aiutata da Alec a scendere, che la prese saldamente dai fianchi e la posò a terra. Si guardò alle spalle, come se da un momento all'altro potesse apparire una delle loro guardie, urlanti. Ma non successe niente e Clary lanciò una breve occhiata a Jace. Moriva dalla voglia di prendergli la mano e sentire le sue dita lunghe e sottili tra le sue, ma le sue mani rimasero saldamente sui suoi fianchi. Questo non era di certo il momento adatto. Dopo alcuni minuti di discussione Clary scelse una corteccia spessa, su cui iniziò a tracciare una runa per aprire un Portale. Non c'era molto tempo prima che gli altri si accorgessero della loro fuga.

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Capitolo 12
*** Bitter Revenge ***


CHAPTER 11
BITTER REVENGE
 
 
La sagoma di un Portale si aprì nella corteccia dell'albero, scintillante e nebulosa. Alec la osservava rapito, era a conoscenza delle doti di Clary, ma non ne era mai stato testimone.
Clary fece per entrare dentro il Portale.
«Ehi, aspetta non sai -» disse Jace, allungando un braccio per trattenerla. Troppo tardi, Clary era già svanita, così i due ragazzi si affrettarono a seguirla.
Quando il tornado li risputò fuori, Jace atterrò sopra a un tappeto di un piccolo salottino.
«Questa non è la tenuta dei Wayland,» disse subito, guardandosi attorno con aria circospetta.
Si trovavano in un salottino non troppo grande, che si affacciava su una cucina e un corridoio, che molto probabilmente portava al piano superiore. Era la tipica casetta di Alicante, di quelle color miele che si affacciano sui canali e che hanno i tetti di un rosso sgargiante.
«Lo so,» fece Clary, riponendo lo stilo in una tasca. «Questa è casa mia.»
Jace sgranò gli occhi per un istante. «Non era questo il piano!» Gridò, muovendosi a disagio.
Alec gli posò una mano sulla spalla per calmarlo. «Perché siamo qui?» Chiese a Clary.
Lei si avviò verso la piccola cucina, seguita dai due ragazzi confusi. «Ho pensato che fosse meglio nascondersi finché non è buio. E questo è il primo luogo sicuro che mi è venuto in mente.»
Alec annuì. «Sì. Forse è meglio agire quando sarà notte. Meno probabilità di essere visti … da chiunque. E poi alla tenuta si saranno già accorti che siamo scomparsi. Ci saranno guardie dappertutto.»
Jace si appoggiò alla soglia della cucina, incrociando le braccia e mettendo il broncio.
Clary gli lanciò un'occhiataccia, mentre faceva segno ai due di seguirla al piano di sopra. Finite le scale, entrarono in una camera da letto inondata dalla luce pomeridiana. C'era un letto singolo, una scrivania e un comodino di legno, più un armadio dipinto di bianco. Era essenziale e piacevole. Ma Jace era ancora imbronciato.
«Oh, andiamo. Staremo qui solo per poche ore. So che non è la tenuta dei Lightwood,» aggiunse lei con voce fredda, riferendosi alle dimensioni modeste della sua casa. «Ma è pur sempre una casa.»
Jace alzò la testa di scatto. «Clary, non è questo che intendevo -»
«Benvenuto nella parte più bella del mondo, ragazzo ricco.» Disse Alec con un sorriso ironico.
Clary roteò gli occhi, esasperata.
«Oh, zitto,» ringhiò Jace, poi sospirò. «Cerchiamo di riposare un po’.»
«Jace, tu starai sul pavimento.» Asserì Clary.
«Non credo proprio,» ribadì il ragazzo, gettandosi sul letto da cui si sollevò uno strato di polvere. Alec iniziò a tossire.
«Bene, io dormirò in camera di mio fratello. Alec, sistemati dove vuoi.» Disse Clary a denti stretti.
«Avanti, scherzavo. Puoi prendere questo letto,» le offrì Jace, alzandosi in piedi e aprendo le porte finestre che davano su un piccolo balconcino. «Tanto non credo che riuscirei a dormire, comunque.»
Clary stava per ribattere che quello era il suo letto e che lui più di tutti doveva cercare di risposare, quando Alec aprì bocca.
«Potete sempre condividerlo.» E sorrise.
«Perché non lo condividete voi due?» Sibilò Clary, lanciando un'occhiata di traverso a Jace, chiedendosi se avesse raccontato qualcosa a Alec. «In fondo questa è casa mia.»
«Alec intendeva dire che potremmo dormire a turni, non è così?» Disse Jace incrociando le mani dietro alla testa e sorridendo beffardo.
«C'è forse qualcosa che non mi state dicendo, voi due? Hmm?»
«Perfetto, io dormirò sul divano. A più tardi.» Clary uscì dalla stanza come una furia e con le guance in fiamme.
Respirò a fondo e si chiuse in bagno, fissando il suo sguardo nel riflesso dello specchio e cercando di calmarsi. Sentiva i due ragazzi parlare nell'altra stanza, ma non riusciva a carpire le parole. Quando si fu calmata abbastanza, tornò nella camera. Alec era sul letto e stava russando leggermente, Jace invece era fuori dal balcone e dava le spalle alla stanza. Dalla finestra giungeva una sottile brezza e Clary rimase un attimo ferma ad ascoltare il ronzio dell'aria di Alicante, prima di raggiungerlo. Jace la guardò, poi guardò alle sue spalle, controllando che Alec stesse ancora dormendo. Sorrise e alzò un braccio invitante e Clary scivolò sotto di esso, contenta di poter sentire il calore del suo corpo. Le posò un bacio sulla fronte e lei appoggiò la testa contro il suo petto. Rimasero così per un po’, senza dire una parola. Non c'erano più parole rassicuranti, tutte quelle esistenti le aveva già dette.
Clary fece per andare via, ma lui le prese il viso fra le mani. «Aspetta un attimo,» mormorò e cominciò a baciarla, dolcemente e senza pressioni. Sentì il suo corpo fondersi al suo e si abbandonò al bacio, aveva bisogno di sentire qualcosa di reale, quando tutto era così assurdo.
«Okay, direi che ora ho visto proprio di tutto.» La voce di Alec era bassa e divertita, Clary balzò indietro e lentamente si allontanò da Jace.
Alec sorrise e si sdraiò di nuovo sul letto.
Nessuno parlò per un lungo momento, fino a che Jace la prese per mano, guidandola giù per le scale, di nuovo nel salotto, dove si sedettero a guardare il sole che tramontava ad ovest. L'oscurità si stava lentamente impadronendo del mondo esterno.
«Fra poche ore partiamo,» disse Jace tranquillamente. «Non ci sarà molta gente in giro, a quell'ora, così potremmo dare un'occhiata e poi torneremo alla tenuta. Maryse sarà furiosa.» Aggiunse con un piccolo sorriso.
Il ragazzo si sdraiò sul divano soffice e accarezzò lo spazio accanto a lui. Clary ebbe un attimo di esitazione, dopodiché si unì a lui, sdraiandosi cautamente. Nel momento in cui la circondò con le sue braccia si rilassò e presto scivolò in un sonno profondo.
Quando il cielo diventò di un intenso blu scuro i tre ragazzi si misero in viaggio.
Jace era agitato, Clary poteva vederlo dal suo volto teso e dalla mascella contratta.
«Cosa c'è?» Gli chiese piano, mentre percorrevano una strada buia costeggiata da alberi. Lui sospirò.
«Ho fatto un altro sogno,» disse.
Clary si fermò e gli afferrò il braccio, lanciando un rapido sguardo verso Alec.
«Io, voglio dire, Valentine era giovane, in questo. Era in un posto squallido, sembrava una specie di rifugio abbandonato. Non poteva essere a Idris, c'era cemento, spazzatura e dei lupi mannari con le spalle al muro. C'erano dei Cacciatori che li tenevano prigionieri e Valentine … Valentine ne ha preso uno, una bambina. L'ha portata in un'altra stanza e lui l'ha -» deglutì a fatica.
Clary e Alec si guardarono l'un l'altro.
«L'ha torturata in modi orribili. Continuava a chiederle dove fosse il suo fratellino, le ha messo due monete d'argento sugli occhi e lei … l'ha resa ceca. Poi è diventato tutto confuso, i lupi combattevano contro i Nephilim e alla fine erano tutti morti, in un bagno di sangue. Era così reale, così vivido. Reale come siete voi due adesso,» sussurrò Jace.
«Riconosco anche questo sogno. Mia madre ne ha parlato a me e a Jonathan. Deve trattarsi di uno dei tanti raid organizzati da Valentine e il Circolo, quando cacciavano i Nascosti in ogni città, accusandoli di crimini che non avevano commesso.»
Clary rabbrividì, chiedendosi se dopo tutto quella spedizione fosse stata una buona idea. Avvertiva il senso del pericolo, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Aveva bisogno di capire.
L'area davanti alla tenuta dei Wayland era nera come il catrame. Clary aveva come la sensazione di essere orribilmente esposta a ogni pericolo, Jace dovette avvertirlo, perché le prese la mano e insieme si diressero cautamente verso il viale di ingresso. La tenuta era buia e immobile, sembrava disabitata da anni.
«Forse mi sono sbagliata, forse non è il posto giusto,» suggerì Clary.
Dei passi riecheggiarono in lontananza, il sangue nelle vene le si congelò all'istante, mentre tutti e tre rimasero in ascolto. Jace afferrò Clary e la trascinò dietro un angolo buio, spingendola dietro ad una siepe incolta. Alec apparve accanto a loro, respirando profondamente.
«Sta' giù,» sibilò Clary, afferrandogli un lembo della camicia e tirandolo verso il basso.
Jace si portò le dita alle labbra, indicando il viale. Clary trattenne il respiro, mentre osservava una figura avvolta in un lungo mantello avvicinarsi alla porta di ingresso. Sentiva Jace stringerle la mano, così protettivo. Mentre guardavano, alla figura in nero se ne aggiunse un'altra. Le due persone non parlavano, la prima mise nelle mani della seconda un mazzo di chiavi arrugginito, con le quali si accinse ad aprire il portone malfermo.
«Che cosa stanno facendo?» Borbottò Alec.
Clary tornò a guardare le figure in nero, che sostavano davanti alla porta e parlavano a bassa voce fra loro, ondeggiando sul posto. Clary seppe subito che una delle due, o forse entrambe, erano donne. La seconda toccò con un dito il pesante portone e quello si spalancò.
«Cosa facciamo?» Chiese Clary piano, trattenendo un sospiro quando una delle due figure girò la testa verso il loro nascondiglio. Jace si morse il labbro e aggrottò le sopracciglia. La sua spada angelica stretta nella mano tanto da fargli diventare le nocche bianche.
«Sta venendo verso di noi,» avvertì. «Aspetta ... Kaelie!»
Clary allungò il collo per guardare, confusa, ma nella penombra della luna riuscì a guardare sotto il cappuccio nero. Jace si alzò, Clary fece per trattenerlo ma non fu abbastanza veloce.
«Kaelie, che ci fai qui?»
Non ebbe neanche il tempo di finire la domanda che la ragazza estrasse una spada e la puntò contro di lui.
Clary avrebbe voluto seguirlo, ma Alec la afferrò e insieme si buttarono a terra dietro al cespuglio.
«Non ora,» le sibilò il ragazzo all'orecchio.
«Che facciamo? E chi è l'altra?» Chiese lei senza fiato. L'altra persona intanto si era unita a Kaelie e il cappuccio le era lentamente scivolato dalla testa.
«Lily,» gemette Alec. «E pensare che mi piaceva, sembrava una vampira con la testa a posto.»
Jace stava guardando entrambe le ragazze con sguardo carico di incredulità.
«Ci sono loro, dietro a tutto,» disse con voce aspra. «Le ragazze ferite, mia madre ... a che gioco stanno giocando?» Fece per alzarsi, ma Alec la trattenne giù un'altra volta.
«Dobbiamo muoverci. Ci preoccuperemo di capire il perché più tardi ...» Disse Alec. Lei annuì, il viso stretto in una smorfia.
«Dov'è Jace?»
Si guardarono attorno e si accorsero di Jace e Kaelie. I due non combattevano, lui era in piedi davanti a lei e sembrava che stesse cercando di parlargli. La ragazza scosse la testa e borbottò qualcosa e Clary sentì i peli sulla nuca rizzarsi quando Kaelie alzò lo sguardo e sorrise, un sorriso minaccioso.
«Aspetta,» sussurrò Clary in stato di shock.
La fata afferrò Jace per un braccio, insieme a Lily, e lo trascinarono dentro la tenuta abbandonata. Clary riuscì a scorgere il suo viso, prima di sparire dietro la porta. Era pallido, vuoto e i suoi occhi sembravano annebbiati.
«Oh merda,» sussurrò Alec. La bocca di Clary si aprì in stato di incredulità. Avrebbe voluto strapparsi i capelli per la frustrazione e la paura.
«Non ci credo. Perché le ha seguite senza opporre resistenza?» Mormorò, rialzandosi in piedi.
«Kaelie deve aver usato il suo glamour su di lui, oppure Lily … l'encanto.» Disse Alec.
«Ma è impossibile! Abbiamo i marchi apposta per proteggerci dagli incantesimi delle fate e dei vampiri.» Disse Clary a nessuno in particolare.
Esistevano marchi apposta per proteggersi dalle illusioni e dai trucchi delle fate e dal soggiogo dei vampiri, ma forse erano stati troppo avventati e incoscienti, forse Jace non se li era fatti prima di uscire da casa sua. Non avrebbe saputo dirlo.
«Per l'Angelo, dobbiamo dirlo ai miei genitori. Dobbiamo avvisare il Conclave. Oh merda, oh merda ...»
«Ma perché Kaelie sta facendo tutto questo? E i sogni di Jace? E se ci fosse una relazione tra tutti i suoi sogni?»
«Clary,» disse Alec respirando in fretta. «Abbiamo bisogno di aiuto.»
«Non c'è tempo!» Alec fece per ribattere ma si fermò quando lei si voltò a guardarlo con sguardo feroce. «Jace ti ha detto tutto?» Chiese Clary.
«Che vuoi dire?»
«Lui crede di essere il responsabile di tutto quello che è successo, e chi può dire che non è così? Come facciamo a sapere se Kaelie e Lily non hanno usato il loro potere su di lui anche alla tenuta? Non sappiamo nulla di certo. Lui pensa di aver ferito quelle ragazze.» Concluse Clary, lentamente.
Alec rimase a bocca aperta. «No. Mi rifiuto di crederlo. Può essere un idiota a volte, ma non è cattivo.»
«Lui non lo ha fatto di proposito, se lo ha fatto.» Mormorò Clary.
«Perché proprio loro?» Chiese lui perplesso. «Voglio dire, Lily e Kaelie. Cosa possono ricavare da questa follia?»
«Gli Accordi.» Disse Clary all'improvviso. «Probabilmente stanno solo eseguendo degli ordini dai loro superiori.»
«Ma non ha senso!»
Clary scosse la testa. «Invece si. Pensaci, solo le Nascoste sono scomparse: Kaelie, Hyacinth, Maureen e Lily. Sono state loro a fare del male alle altre ragazze e poi sono scappate. E i sogni. I sogni riguardavano sempre il periodo degli scorsi Accordi, quando Valentine e il Circolo minacciavano i Nascosti di tutto il mondo. Credo che i sogni volessero mostrare a Jace tutto il male che i Cacciatori hanno fatto ai Nascosti e fargli capire che quello che stava accadendo alla tenuta era una specie di vendetta su noi Shadowhunters, un modo per far si che quest'anno gli Accordi non vengano firmati, così che Cacciatori e Nascosti possano combattere fra loro senza infrangere alcuna legge.»
«E che mi dici di Aline? Lei è scomparsa come le altre Nascoste.»
«Non lo so,» disse Clary con calma. «Dobbiamo trovare Jace. Ho una brutta sensazione, Alec.»
«Anche io. Andiamo.» Disse Alec miseramente. Clary si morse il labbro.
I due ragazzi attraversarono il recinto di pietra, un giardino squallido, incolto e selvaggio. Le finestre della casa erano annerite e buie come bocche spalancate, Clary rabbrividì, costringendo sé stessa a calmarsi. Tenne d'occhio la casa, in allerta e in cerca di un qualsiasi rumore; si mossero lentamente lungo il bordo dell'edificio e sentirono mormorare Kaelie e Hyacinth all'interno, ma nessuna traccia della voce di Jace e si chiese se non fosse stato messo fuori gioco, o peggio. Il retro dell'edificio era un groviglio di piante e detriti e Clary sentì una lacrima mentre la sua pelle rimaneva impigliata in qualcosa. Il sangue le colava lentamente lungo la gamba, ma ignorò il dolore. La porta sul retro era scardinata, quella era l'unica via d'accesso oltre al portone principale.
«Vado per prima,» sussurrò Clary.
«Come no,» sibilò Alec, sfrecciando all'interno della casa.
Clary sospirò e si immerse nel buio, inseguendo il ragazzo. Alec era accovacciato nel sottoscala e lei lo raggiunse. Ascoltarono le voci che galleggiavano nell'aria, arrivando alle loro orecchie attutite dai decenni di polvere. Si sporsero in avanti per avere la visuale della stanza.
«Hai visto Jace?» Le disse Alec a bocca aperta. Clary annuì.
Jace era bloccato contro il muro, legato ad una sedia con delle funi magiche. Tutti i mobili all'interno della stanza erano rotti. Qualcuno tossì, e poi si sentì la voce di Jace.
«Kaelie, questa è follia.»
 
 
«Dov'è mia sorella?» Sibilò Jonathan, afferrando il braccio di Isabelle. Lei si divincolò con un strattone posando i suoi occhi scuri sul ragazzo.
«Non lo so,» rispose brusca. «Non riesco a trovare neanche Jace e Alec.»
Lui fece un verso di frustrazione, passandosi una mano fra i capelli argentei.
«Merda.»
«Che c'è? Sai qualcosa? Dove credi che siano?» Isabelle lo aggredì con le sue domande e Jonathan la guardò con disprezzo.
«Non è chiaro? Quei due idioti l'hanno portata fuori a giocare ai detective.»
«Cosa vuoi dire? E non osare chiamare idioti Alec e Jace!»
Mark e Helen li raggiunsero di corsa nel corridoio del secondo piano. «Allora, li hai trovati?»
Helen sembrava più magra e stanca che mai. I suoi enormi occhi verde mare erano cerchiati da occhiaie ed era tesa come una corda di violino, probabilmente a causa della sparizione di Aline.
«No e pare che anche sua sorella sia scomparsa.» Ribatté Isabelle freddamente.
«Credete che siano stati rapiti anche loro, come le altre?» Chiese Mark.
«No.» Rispose secco Jonathan.
Fratello e sorella lo osservarono con aria confusa. Jonathan però non accennava a voler spiegare la sua risposta criptica, così lo fece Isabelle al suo posto.
«Lui crede che siano andati ad indagare per conto loro.»
«Oh, questo è terribile!» Esclamò Helen. «Dobbiamo trovarli, prima che accada qualcosa di brutto anche a loro.»
«Ma non abbiamo idea di dove siano!» Disse Isabelle con veemenza.
«Io sì.»
I tre ragazzi si voltarono contemporaneamente verso Jonathan.
Lui iniziò a correre, prendendo le scale di servizio e scendendo sempre più in basso.
«Ehi! La porta di ingresso è dall'altra parte!» Gli urlò Isabelle, cercando di tenere il passo, nonostante Jonathan fosse molto più veloce di loro.
«Lo so,» gridò lui di rimando. «Non usciremo dalla porta principale.»
Helen guardò Isabelle con la fronte corrucciata. «Dove stiamo andando?» Ansimò, saltando gli ultimi due gradini rimasti.
«Credo ci stia portando nei sotterranei,» rispose Isabelle, continuando a correre.

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Capitolo 13
*** Downworlders and Shadowhunters ***


CHAPTER 12
DOWNWORLDERS AND SHADOWHUNTERS
 
 
«Follia?» Ripeté Kaelie, con una risata amara, al fianco di Lily. «La vera follia è ciò che avete fatto voi Cacciatori a noi Nascosti. Da secoli ci trattate come spazzatura, gli Accordi non sono altro che un misero pretesto per mettere a posto la vostra coscienza sporca. Ma quest'anno sarà diverso … quest'anno gli Accordi non verranno firmati. Non dopo che la figlia del Console e il grazioso Jace Wayland saranno uccisi da delle miserabili Nascoste..»
Kaelie fece un cenno con il capo. Da una porta malandata Maureen e Hyacinth entrarono nel salone, trasportando un corpo incosciente legato da spesse cinghie di metallo. Era Aline Penhallow, la testa ciondolante, mentre le due Nascoste deponevano il suo corpo floscio sul pavimento impolverato.
Clary si morse il labbro, stringendo con forza il braccio di Alec.
«Io mi fidavo di voi,» disse Jace con rabbia, indicando con il mento le quattro Nascoste in piedi di fronte a lui. «Vi ho invitato nella mia casa e voi -»
Maureen scoppiò in una risatina che fece accapponare la pelle di Clary e Kaelie sorrise. «Tesoro, tu sei stato essenziale nel nostro piano. L'entrata dei Nascosti ad Alicante è strettamente sorvegliata e tu ci hai fornito una splendida opportunità, invitandoci a partecipare a quella ridicola competizione.» Disse Kaelie. «E tutto solamente per infastidire i tuoi genitori. Sai, mi piacevi Jace, ma sei troppo egocentrico, ti credi il migliore di tutti, migliore di noi.»
Jace la guardò con aria di sfida. «Forse perché sono migliore di voi.»
Clary maledisse mentalmente la sua boccaccia. «Stai zitto, Jace.» Mormorò, sporgendo un po’ più la testa dal sottoscala in cui si nascondeva.
«Sssh,» fece Alec, stringendole una spalla. «Non è ancora il momento.»
«Lo vedremo,» continuò Kaelie. «Quando tu e la tua amica sarete morti.»
Nel frattempo Maureen si aggirava attorno al corpo accasciato di Aline, come un corvo sopra una carcassa.
«La figlia del Console, questo sì che è un colpo grosso!» Sussurrò Lily con voce profonda, unendosi alla danza predatoria di Maureen.
«Ho fame!» Strillò la ragazzina vampira, attorcigliandosi al dito una ciocca di capelli biondi. «Non bevo sangue umano da giorni. Quello che ci davano a colazione era di animale, bleah
«Ma perché lo fate?» Disse Jace, cercando di distogliere l'attenzione delle due vampire dal collo di Aline. «Da quando Valentine è morto non vi abbiamo più fatto del male! Abbiamo rispettato le leggi degli Accordi e ci siamo pentiti per ciò che ha fatto il Circolo.»
Hyacinth fece un passo avanti. La sua pelle blu e le sue mani palmate spiccavano nell'ombra di quella casa polverosa e grigia. «Molti di noi sono morti ingiustamente. Noi non dimentichiamo così in fretta.»
«Grazie tante, voi fate e vampiri siete immortali.» Borbottò Jace. «E che mi dite degli stregoni e dei lupi mannari? Non vedo nessuno di loro qui.»
«Con i lupi non si può più trattare, da quando danno retta a quel Lucian Greymark. Non sono affidabili e avrebbero sicuramente riferito i nostri piani a voi Nephilim. E gli stregoni … beh, sì sa che sono da sempre i vostri animali da compagnia, ma alcuni di loro sono dalla nostra parte. La Regina sta spargendo il suo verbo e a raccolto molti consensi.» Disse Kaelie soddisfatta.
«Te l'avevo detto, c'è quella stronza della Regina Seelie dietro a tutto questo.» Sussurrò Clary ad Alec.
Lily si avvicinò a Kaelie, mostrando i canini in un ringhio disumano. La fata alzò gli occhi, completamente blu, al cielo. «Sì, Lily. Anche Lady Belcourt è stata fondamentale.»
«Camille Belcourt?» Ripeté Jace, confuso. «Credevo fosse scomparsa da secoli.»
«È tornata.» Disse Lily con orgoglio. «E non ha dimenticato quello che Valentine ha fatto al nostro clan quindici anni fa.»
«Tutto questo è sbagliato,» ringhiò Jace, dimenandosi sulla sedia alla quale era legato saldamente. «Avete ferito delle giovani Cacciatrici e ora state per uccidere la figlia del Console e me. Quando il Conclave vi scoprirà non vi darà tregua e quando vi avranno trovate vi uccideranno. Complimenti gran bel piano!» Concluse con fredda ironia.
«Siamo pronte a morire per servire Lady Belcourt.» Urlò Lily.
«Avanti, la ragazza è vostra, io mi occuperò di Jace.» Ordinò Kaelie, ponendo fine alla discussione e avvicinandosi al ragazzo con un pugnale lucido stretto in mano. Lily e Maureen si avventarono su Aline, che legata e priva di coscienza non poté difendersi, quando i canini delle vampire perforarono la sua carne.
«Ora,» le sussurrò Alec all'orecchio. «Io le tengo impegnate, tu cerca di liberare Jace.»
I due ragazzi uscirono dal loro nascondiglio nel sottoscala. Ci fu un attimo in cui tutto si bloccò, mentre Clary e Alec sguainavano le loro armi e si lanciavano nel salone. Poi Kaelie sorrise, un sorriso lento e malvagio.
«Fantastico! Altri due giovani Cacciatori promettenti da esibire nel nostro curriculum!» Kaelie si lanciò nella battaglia.
Alec tentò di mettere a segno qualche colpo con il suo arco, prendendo Maureen dritta nella spalla con una freccia affilata. Ma la vampira era veloce e nonostante nell'aspetto assomigliasse a Dorothy del Mago di Oz, la sua sete di sangue e violenza era feroce. Si gettò su Alec, che abbandonò l'arco a terra e iniziò a combattere con la spada. Clary sì buttò su Kaelie, la più vicina a Jace, ma ben presto fu afferrata da Hyacinth alle spalle. Era stata così veloce e silenziosa che non l'aveva nemmeno sentita arrivare.
Lily e Maureen erano aggrovigliate su Alec, che tentava di proteggersi dai loro colpi con la spada, affondando la lama nei loro corpi già morti, che si rimarginavano quasi all'istante. Alec riuscì a liberarsi delle due vampire, scagliandole contro il muro con una forza brutale, che le lasciò per un attimo semi svenute. Ma a quel punto si accorse di Clary, intrappolata tra le braccia delle due fate.
Jace, che aveva lottato fino a quel momento con le cinghie che lo costringevano, si bloccò all'istante. «Lasciateli andare. Tutti e due. Non volete loro, ci sono qua io.»
«Sta' zitto, Jace!» Mugolò Clary, divincolandosi e assestando un colpo con il gomito nello stomaco di Hyacinth. La fata mollò la presa per un attimo e questo bastò a Clary per saltare via dalle sua braccia, raggiungere il camino, stranamente acceso, del salone e afferrare un attizzatoio di ferro. Prese la rincorsa e affondò l'oggetto appuntito e di ferro nel ventre della fata. Il ferro era tossico per le fate. Hyacinth cadde a terra, premendosi la ferita da cui sgorgava lentamente il suo sangue fatato.
In quell'istante Kaelie diventò una furia. Afferrò Clary per i capelli e la sbatté spalle al muro, facendole scivolare via della mani l'attizzatoio. «Come hai osato!» Le urlò in faccia. «Sarai tu la prima a morire.»
 
 
I sotterranei erano bui e polverosi. L'aria umida e stantia impediva a Isabelle di respirare. Sembravano passate ore, da quando erano entrati in quel labirinto di pietra.
«Jonathan, dove stiamo andando? Quello è un vicolo cieco, non c'è niente oltre quel muro.»
Isabelle non era solita passare il suo tempo nei sotterranei della tenuta, ma era abbastanza sicura che questi finissero proprio lì, con quel muro di mattoni viscido di muschio.
Jonathan era in piedi davanti alla parete di pietra. Dietro di lui Helen, Mark e Isabelle cercavano di riprendere fiato.
«Nel passato tutte le tenute più importanti di Idris erano collegate tra loro da tunnel sotterranei.» Disse Jonathan, senza voltarsi.
Non c'era niente in quella parte dei sotterranei, solo pietra e qualche botte di legno contenente chissà quale schifezza. Jonathan ne calciò una, che cadde al suolo con un gran fracasso e iniziò a rotolare, rivelando una nicchia rettangolare, che si apriva poco sopra l'altezza del pavimento.
Isabelle sgranò gli occhi.
Jonathan si infilò nell'apertura e sparì nel buio più totale. Si udì un rumore di acqua smossa e poi la voce del ragazzo che li incitava a seguirlo. I tre obbedirono, ritrovandosi in un tunnel maleodorante e con l'acqua putrida alle ginocchia.
«Che schifo.» Borbottò Isabelle, tappandosi il naso. Jonathan fece per mettersi in marcia ma la ragazza lo afferrò per una spalla. «Dimmi dove stiamo andando, oppure giuro che torno indietro.»
Jonathan la guardò con occhi neri e vuoti. «Alla tenuta dei Wayland. Credo che Clary e gli altri siano lì. Ora, se vuoi tornare indietro fai pure.» Si liberò con una scrollata dalla sua presa e iniziò di nuovo a correre lungo il tunnel.
«Lo odio.» Asserì Isabelle, scambiandosi uno sguardo eloquente con Mark e Helen.
«Sì, anche a me non è troppo simpatico.» Rispose Mark, passandosi una mano tra i riccioli biondi.
Helen non aprì bocca e iniziò a correre dietro a Jonathan. Pochi istanti dopo venne seguita anche dagli altri due.
Isabelle corse per quelli che le sembrarono chilometri, fino a quando non sbucarono nei sotterranei di una tenuta. Erano simili a quelli dei Lightwood, ma ancora più sporchi e polverosi. Nessuno disse una parola e tutti continuarono a correre dietro a Jonathan. Quando il ragazzo si fermò di scatto davanti ad una porta, si trovavano negli interni di una tenuta abbandonata. Per poco Helen non andò a sbattere contro la schiena di Jonathan, che le rivolse uno sguardo acido. Al di là della porta si sentiva il rumore di una battaglia: gemiti e il clangore delle spade. Tutti e quattro i Nephilim si scambiarono un'occhiata ed estrassero le spade, prima di fare irruzione nel salone.
Clary era spalle al muro, con addosso la fata Kaelie. Alec era tornato a tenere testa alle due vampire e Jace continuava a lottare furiosamente contro le cinghie.
«Tu!» Urlò una delle Nascoste, prima che la furia di Jonathan si abbattesse sulla fata che minacciava la sorella. Scansò Kaelie come se fosse una piuma, prima di sbatterla a terra e coprirle l'intero colpo di calci.
«Jonathan!» Sussurrò Clary in un misto di adorazione e gratitudine, prima di tuffarsi verso Jace e finalmente liberarlo dalla sua prigionia.
La battaglia era già vinta.
Helen era corsa verso il corpo svenuto di Aline e la teneva tra le braccia, mentre trafficava con lo stilo per guarirle le ferite. Mark e Alec si stavano occupando rispettivamente di Maureen e Lily, mentre Isabelle abbatteva la sua frusta di elettro su Hyacinth, che nel frattempo si era ripresa dalla ferita infertale da Clary. Dopo che Jonathan ebbe finito con Kaelie, la fata giaceva a terra immobile.
«Che diavolo succede!» Urlò Isabelle, mentre imprigionava Hyacinth con delle catene di ferro.
Jace le spiegò tutto molto brevemente, mentre aiutava Alec e Mark a mettere fuori combattimento le vampire.
«Dobbiamo ucciderle.» Disse Jonathan ad alta voce, i capelli argentei macchiati di sangue e il viso riportava un graffio sullo zigomo, ma per il resto completamente illeso.
«No!» Urlò Alec. «Dobbiamo consegnarle al Conclave e riferire che stanno lavorando per conto della Regina e di Camille Belcourt.»
Jace strinse la mano di Clary nella sua. Mentre un calore sinistro si diffondeva nell'aria.
«Che cos'è?» Chiese Helen, alzandosi in piedi con il corpo di Aline tra le braccia. «Perché fa così caldo?»
«Perché la tenuta sta andando a fuoco.» Rispose Jonathan con calma glaciale, senza distogliere lo sguardo dalle mani intrecciate di Jace e Clary.
Fumo grigio e denso annebbiò l'aria della stanza. I ragazzi iniziarono a tossire, mentre le fiamme si estendevano rapidamente dal camino sino al soffitto, staccando travi di legno e bruciando i vecchi e polverosi tendaggi.
«Usciamo!» Urlò Jace, facendo cenno agli altri di seguirlo verso la porta d'ingresso.
«Ma … non possiamo lasciarle qui!» Strillò Clary, opponendo resistenza e indicando le Nascoste a terra, legate e fuori uso.
Quando alzò il viso, quello di suo fratello era pochi centimetri dal suo. «Sono state loro a fare del male a nostra madre. A ridurla un vegetale per sviare i sospetti su Valentine e tu vuoi salvarle?» Le sibilò all'orecchio. Le fiamme si riflettevano sulle sue iridi nere come la notte. Clary fece per aprire bocca ma inalò del fumo e iniziò a tossire. Non ebbe il tempo di riaprire gli occhi, che Jonathan l'aveva afferrata con forza per le spalle e l'aveva portata all'esterno, a pochi metri dal viale di ingresso, dove l'aria era più pura e lei poté tornare a respirare.
Dietro di lei, Isabelle stringeva Alec in un abbraccio. Helen era china su Aline, che iniziava a riprendere conoscenza, mentre Mark sostava in piedi accanto alla sorella con una mano sulla sua spalla esile. Jonathan continuava a stringerla per le braccia, come se potesse scappare da un momento all'altro e Jace … Jace era solo, qualche metro più avanti a tutti gli altri. Clary poteva scorgerne il profilo, sembrava quasi felice e soddisfatto, mentre osservava la tenuta dei Wayland andare a fuoco e sbriciolarsi lentamente tra fumo e fiamme e le urla delle Nascoste. In quel momento Clary realizzò che aveva sognato giorni prima quella esatta scena.
Prima che tu e Alec mi svegliaste, stavo facendo un sogno, un incubo in realtà. Ti ho visto mentre osservavi una tenuta andare a fuoco. Sembravi felice e soddisfatto, come se fossi stato proprio tu ad appiccare l'incendio. È stato terribile e spaventoso.
Si rese conto di aver sognato quel preciso momento del futuro. Ma come era possibile? Chi era stato a inviare quei sogni d'avvertimento a lei e a Jace?
«Ho mandato un messaggio di fuoco al Conclave.» La voce di Mark interruppe i suoi pensieri. «Saranno qui a momenti.»
I ragazzi mormorarono e annuirono, mentre la tenuta dei Wayland bruciava inesorabile, insieme al mittente di quei sogni di cui Clary non riusciva a spiegarsi l'origine. L'angelo Ithuriel, infatti, bruciava insieme alla casa e alle Nascoste, prigioniero nella cantina segreta dei Wayland da più di quindici anni. Ma nessuno poteva saperlo.
 
 
Quando arrivarono i membri del Conclave erano spuntate le prime luci dell'alba. I ragazzi vennero riportati alla tenuta, non avendo riportato danni gravi, ad eccezione di Aline che fu trasferita alla Guardia.
Clary salì nella sua stanza e si cambiò i vestiti sporchi e sgualciti. Uscì fuori nel parco. Il lago era il posto ideale. Si tolse i vestiti e si tuffò dentro, iniziando a nuotare fino a che non sentì i muscoli bruciare e la tensione sciogliersi lentamente. Quando riemerse dall'acqua, il sole la raggiungeva attraverso i rami sopra di lei e Clary sollevò il braccio, immaginando di poter afferrare i raggi con la mano.
«Anche io di solito lo faccio.»
Clary si bloccò. Conosceva bene quella voce ormai. Deglutì, guardando verso la riva. Jace era in piedi con le braccia lungo i fianchi. Anche da laggiù, Clary riusciva a vedere che era teso. «Ti dispiace se mi unisco?» La sua voce era profonda e bassa, ma la sentì chiaramente, come se le avesse sussurrato a un orecchio. Lei annui, sforzandosi di parlare tranquillamente.
«Dovresti riposare.»
«Così mi hanno detto.» Lui sorrise, un dolce ghigno gli apparve sulle labbra e Clary lo guardò con una morsa allo stomaco, mentre gettava la camicia a terra e scivolava in acqua. Paura e desiderio si mescolavano dentro di lei. Il suo cuore batteva furiosamente, il suo corpo era scosso da brividi. L'acqua le arrivava alle spalle e la distanza tra loro diminuì improvvisamente, mentre lui nuotava verso di lei. Trattenne il respiro, ipnotizzata, mentre le sue braccia tagliavano agevolmente l'acqua. Deglutì a fatica, quando si fermò a pochi centimetri da lei. Le mani di Jace presto si posarono sulla sua vita. Abbassando lo sguardo, poteva vedere le sue dita contro la sua pelle. I loro corpi brillavano sotto l'acqua. «Si può dire che tu mi abbia salvato la vita,» sussurrò Jace con un ghigno.
«Ti ho solo liberato dalle cinghie,» rispose Clary.
«Forse, ma tu mi hai aiutato.»
«Perché hai seguito Kaelie nella tenuta? Non avevi i marchi contro il glamour delle fate?» Gli chiese Clary all'improvviso.
«Perché ha detto che se non l'avessi seguita avrebbe ucciso Aline e perché speravo di prendere tempo in modo che voi avvisaste i rinforzi.»
Lui sorrise e si avvicinò, unendo i loro corpi. Clary pensò che la sua pelle sarebbe esplosa da quanto era tesa. «Rilassati,» mormorò, accarezzandole con leggerezza, solo una volta, il basso ventre. Clary avrebbe voluto urlare.
«Non posso.»
La guardò con espressione preoccupata. «Perché? Ancora non ti fidi di me?»
Clary gli mise un dito sulle labbra. «Non è questo.» Si fidava di lui. Era terrorizzata da sé stessa, da quello che stava permettendo che accadesse. Aveva paura di essere ferita, di abbandonarsi completamente a lui. «Perché io? C'erano un centinaio di ragazze disposte a diventare tue e tu non hai voluto nessuna di loro ma ...»
Lui sorrise piuttosto tristemente. «Oltre al fatto che la metà di loro erano delle psicopatiche e l'altra metà delle arrampicatrici sociali? Beh, questo è esattamente il motivo per cui non ho voluto nessuna di loro, Clary. Non lo capisci? Non voglio qualcuno che mi ami per il mio nome, per i soldi dei Lightwood e per lo stile di vita che potrei dare. Voglio, ho bisogno, di qualcuno che voglia me, e basta.» Fece una pausa, la sua espressione era seria. «Se tu avessi partecipato a quella ridicola competizione, ora non saremmo qui, perché ti avrei considerato come ogni altra strega presente: superficiale e in cerca di fortuna. O un'assassina.» Concluse, cercando di sdrammatizzare.
«Okay. Ma ancora non capisco perché vuoi me.» La sua voce era un sussurro graffiante che Clary odiò immediatamente. Avrebbe voluto suonare fiduciosa, sicura di sé.
«Perché,» rispose Jace, avvicinandosi ancora di più a lei. «Non ti importa di queste cose. Perché non sei assolutamente impressionata da quella parte della mia vita, e perché sei sempre disposta a farmi notare che il mio comportamento è inaccettabile.» Rise leggermente e la baciò prima che potesse reagire. «Perché non ho bisogno di essere trattato in modo diverso da chiunque altro, e odio chi sono a volte.»
«Non me ne ero mai resa conto,» disse Clary, onestamente. «Hai sempre recitato il tuo ruolo così bene.»
«Per tutta la vita,» rispose lui con triste ironia. «Posso chiederti una cosa?»
«Certo,» sussurrò Clary si sentiva la testa leggera. Non aveva mai capito in tutti quegli anni di conoscenza, che lui si sentiva in quel modo e capì quanto sbagliati fossero stati i suoi giudizi.
«Che cosa ti aspetti da me? Se questa cosa sta per andare da qualche parte, ho bisogno di saperlo.»
Clary si morse il labbro e guardò l'acqua. «Mi aspetto che tu sia onesto e che sia te stesso. Non devi fingere con me, Jace, preferisco vedere i tuoi difetti ...»
«Solo questo?» Chiese lui a bassa voce. «Posso farlo.»
Lei rise e lo baciò, gettandogli le braccia al collo e tirandolo più vicino. Rimasero così a lungo fino a che l'acqua non iniziò a risultare fredda. Jace l'accompagnò nella sua stanza e alla porta entrambi si fermarono, incerti sul da farsi. Lui non disse nulla, appoggiando la testa contro lo stipite della porta e guardandola.
«Ho bisogno di dormire,» sussurrò lei e Jace annuì. «Vuoi restare?»
Lui sorrise e fece un passo indietro per permetterle di entrare. Poi la prese tra le braccia e chiuse la porta con un calcio in modo melodrammatico, che fece ridacchiare Clary. Lo fece aspettare mentre si faceva una doccia e quando uscì, lo trovò già addormentato, rannicchiato al centro del grande letto. Clary lo guardò, studiandolo alla luce che filtrava dalle tende, prima di salire sul letto, sedendosi accanto a lui, con le mani alzate incerte sul da farsi. Sembrava così tranquillo, non voleva disturbarlo. Si sdraiò accanto a lui, appoggiandosi sul gomito, per guardarlo ancora. Allungò un dito e tracciò la linea degli zigomi e della sua mascella, sorridendo. Lentamente scese sulle labbra, sulla gola e sul petto. Lui si mosse e lei gli si avvicinò, accarezzandogli i capelli sulla fronte.
«Tu sei assolutamente delizioso, lo sai?» Sussurrò, sentendosi stupida per averlo detto e piegandosi per dargli un bacio sulla guancia.
Si sdraiò accanto a lui, avvolgendosi con il suo braccio e si addormentò. Quando si svegliò era metà pomeriggio e Jace era sparito. Rimase un attimo a fissare il soffitto bianco, chiedendo a sé stessa cosa fare adesso. Cercò di non offendersi per la sua assenza, immaginando che fosse dovuto sgattaiolare via per vedere i suoi genitori o qualcosa del genere. Nonostante questo il suo stomaco si strinse e il suo cervello le disse che era stata una stupida.
«Stupida,» sibilò Clary, rotolando a pancia in giù e nascondendo il viso nel cuscino. La porta si aprì e lei alzò la testa per vedere entrare Jace con un vassoio d'argento in mano. Si ritrovò a ridere piano.
«Ho pensato che potessi avere fame,» disse poggiando il vassoio sulla scrivania. Clary sorrise, alzandosi dal letto e stiracchiandosi.
«In realtà molta. Grazie.»
Clary iniziò a mangiare sotto lo sguardo di lui, rendendosi conto di quanto goffa potesse sembrare ai suoi occhi. Dopo aver finito si appoggiò allo schienale, soddisfatta.
«Allora?» Chiese Jace, spingendo il piatto da una parte.
Clary sorrise. «Non male.»
«Clary, senti ...»
Lei si alzò di scatto, afferrandogli una mano e trascinandolo più vicino. «Zitto, Jace.» Strinse le braccia attorno a lui, nascondendo il viso nel suo collo e attese. Gli ci volle un attimo per capire che la stava facendo camminare all'indietro, fino a quando le gambe le urtarono contro il bordo del letto. Clary lo vide esitare, così si alzò sulle punte dei piedi, abbracciandolo ed eliminando la distanza tra loro. Le loro labbra si incontrarono e lei gli fece scivolare le mani sotto la camicia che venne presto gettata via da qualche parte sul pavimento. Voleva Jace più di quanto avesse mai immaginato. Si sentiva così lontana da sé stessa e scoprì che non le dispiaceva affatto questa parte di lei che non sapeva neanche esistesse. Era liberatorio. Clary si staccò da Jace per guardare il modo in cui i suoi occhi si oscuravano mentre si sdraiavano nel letto. «Sei troppo vestita, Morgenstern.» Le disse.
Lei chiuse gli occhi ed esitò. Una cosa era ammettere che gli piaceva e che lo voleva, un'altra era mettersi a nudo, nel vero senso della parola. I suoi occhi si aprirono e lui sorrise. «Che fine ha fatto la ragazza che voleva mangiarmi vivo?»
«Non ho mai detto questo,» mormorò Clary, anche se, in verità, era proprio quello che voleva fare.
«Hai detto che ero delizioso.» Il suo sorriso si allargò e la faccia di Clary divenne rovente. «Ciò implica che vorresti mangiarmi.»
«Pensavo dormissi,» sussurrò, guardando lontano, fino a quando Jace le fece scorrere le dita sotto il mento e lo sollevò sul suo viso. Si guardarono l'un l'altro, i suoi occhi di solito chiari erano scuri come una tempesta, le labbra socchiuse. Lentamente Clary chiuse gli occhi e lo baciò con intensità. Sentiva i muscoli del suo corpo sempre più tesi e si accorse che non stava respirando.
«Non dobbiamo farlo adesso, non ancora.» Le disse lui sulle labbra.
«Tu vuoi?»
«E tu?» Jace attese una risposta che non arrivò, evidentemente il corpo di Clary non aveva bisogno di parole. Rimasero aggrovigliati l'uno all'altro, baciandosi, per un tempo indefinito, sperando non finisse mai. Nessuno dei due sentì la porta che si apriva.
«Ehi, Clary, Jace e per caso qui con ... woah
Entrambi si bloccarono. Poteva sentire il suo cuore rimbombarle nelle orecchie, si girò lentamente e vide Alec a bocca aperta sul ciglio della porta.
«Alec!» Strillò Clary, contenta di non essere nuda. «Nessuno ti ha insegnato a bussare?»
«Hai un pessimo tempismo,» gli disse Jace con calma, gettando un cuscino al ragazzo, che sbatté le palpebre ed indietreggiò velocemente fuori dalla stanza. Il fuoco dentro al corpo di Clary si era trasformato in un profondo imbarazzo. Chiuse gli occhi, cercando di scomparire.
«Si, beh, il Console è qui, quindi è meglio se ... sbrigati a finire o ... qualsiasi altra cosa e scendi al piano di sotto.» Disse Alec da dietro la porta. «Non credo sia il caso che vengano a cercarti di persona, soprattutto se -»
«Va bene!» Gridò Jace. «Saremo giù in dieci minuti.»
Sospirò. «Odio Alec,» disse raggiungendo con un dito i fianchi di Clary, afferrandole il bordo dei jeans e attirandola a sé. «Rovina sempre tutto.»

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Capitolo 14
*** So It Ends ***


CHAPTER 13
SO IT ENDS

 
Un mese dopo
 
Clary si guardò nello specchio della sua camera. Indossava un vestito azzurro di un tessuto setoso che le arrivava poco sopra le ginocchia, lasciando scoperte braccia e spalle. Le rune nere erano visibili su tutto il suo corpo pallido e i capelli rossi le ricadevano morbidi sulle clavicole. Nella Piazza dell'Angelo si stava per celebrare la firma dei nuovi Accordi, nonostante i recenti avvenimenti e le aspre discussioni che si erano tenute tra Shadowhunters e Nascosti. La Regina della Corte Seelie e Camille Belcourt erano ufficialmente ricercate dal Conclave, anche se non c'erano molte speranze di stanarle e imprigionarle. Le Nascoste Lily, Maureen, Hyacinth e Kaelie erano morte nell'incendio alla tenuta dei Wayland. Invano, visto che gli Accordi erano comunque stati firmati.
Clary aveva visto raramente Jace, in quell'ultimo periodo e Jonathan sembrava distante e irraggiungibile come non lo era mai stato.
«Sei bellissima, tesoro.» Le disse Jocelyn, comparendo sulla soglia della sua camera. Anche sua madre, come le altre ragazze ferite, si era ripresa completamente, grazie all'aiuto di Ragnor Fell e dalla sua amica Catarina Loss.
Sembrava tutto a posto, anche se qualcosa nella mente di Clary continuava ad agitarsi inquieto.
Non aveva più fatto sogni strani, da quella fatidica notte e da quello che le aveva detto Jace, anche i suoi sembravano essere svaniti.
«Grazie, mamma.» Rispose abbracciandola. «Tu non vieni alla festa?»
«Oh, sì. Verrò più tardi, prima devo incontrarmi con Lucian.» Disse Jocelyn, evasiva. «Beh, vado. Non fare tardi, mi raccomando.»
Clary alzò gli occhi al cielo, raccogliendo una molletta dal comodino e tornando allo specchio per appuntarsela fra i capelli. Quando guardò il suo riflesso per poco non le balzò il cuore in gola. C'era Jonathan in piedi dietro di lei, con addosso i pantaloni della divisa da Cacciatore e una camicia grigia.
Clary si voltò per fronteggiarlo. «Mi hai quasi fatta morire di paura.»
«Non volevo.» Rispose con voce strascicata e un'espressione indecifrabile. «Stai andando alla festa?»
«Sì. Andiamo insieme?»
«Dipende. Ti vedrai con quel Jace?»
«Oh, andiamo. Non vorrai riniziare con questa storia.» Clary scansò il fratello, avviandosi verso la porta della stanza, ma lui l'afferrò, veloce come sempre, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Di cosa hai paura precisamente?» Lo incitò Clary, guardandolo dritto negli occhi. «Che se esco con Jace non avrò più tempo per te? Lo sai che io non tradirei mai la tua fiducia. Sei tu che mi eviti da quella notte, io ho provato a parlarti e a starti vicino ma -»
Clary non ebbe il tempo di finire la frase che le labbra di Jonathan si abbassarono sulle sue. Sentì il suo naso affilato sfiorarle la guancia e i suoi capelli d'argento solleticarle la fronte. Le mani di lui si strinsero sulle sue braccia, mentre le loro lingue si scontravano.
La prima cosa che la colpì fu il suo modo di baciare, così diverso da quello di Jace. Le labbra di Jonathan erano più sottili e sicure. Era una sensazione strana.
A quel punto avrebbe dovuto ritrarsi. Lui, incerto, le accarezzò la schiena e scese fino alla vita e poi fino all'orlo dell'abito da sera, sfiorandole le cosce e solo a quel punto Clary si ritrasse. Quando si staccò, Jonathan emise un gemito sommesso. L'emozione di Clary era così intesta che dovette sedersi sul letto per paura di cadere a terra.
Si portò le mani alle labbra, ancora umide per il bacio. Gli occhi verdi sgranati e il cuore che sembrava voler uscire dalla sua gabbia toracica.
«Cosa abbiamo fatto,» sussurrò con un filo di voce, gettando un'occhiata angosciata alla porta, dove pochi attimi prima c'era Jocelyn. «Cosa significa.» Continuò in preda allo shock e al disgusto per sé stessa.
«Significa che voglio stare con te e che non riesco a smettere di pensarti. Ci ho provato in tutti i modi, ma tu sei ancora lì, nella mia mente.»
Jonathan aveva parlato con il suo solito tono di voce piatto e strascicato. Il suo viso non trasmetteva alcuna emozione, l'unico indizio era il suo petto che si abbassava e rialzava velocemente al ritmo del suo respiro affannoso.
«Ma sei mio fratello! Oh mio dio.» La testa le girava e sentiva il sapore della bile in gola.
«Clary,» Jonathan fece per inginocchiarsi accanto a lei, posando le sue dita sottili sulle sue ginocchia nude.
Lei si scostò bruscamente, il viso rovente per la rabbia e la confusione. «Non toccarmi!» Strillò, alzandosi di scatto e correndo verso la porta. Poi si fermò, come se avesse appena cambiato idea.
«Quello che abbiamo fatto è orribile e disgustoso. Non dovremo rifarlo mai più.» Puntò un dito tremante su suo fratello, che continuava ad osservarla con aria inespressiva. «Mai.» Gemette.
Il viso di Jonathan si trasformò all'istante. I suoi lineamenti affilati vennero distorti dalla furia, mentre gli occhi neri si scurivano ancora di più.
«Vuoi dire che non ti è piaciuto? Che non hai desiderato farlo da un sacco di tempo?» Coprì la distanza che lo separava dalla sorella in due falcate, afferrandola per la spalla e stringendola con la sua forza non umana, tanto da lasciarle lividi rossi.
«No.» Urlò lei, sull'orlo delle lacrime, non badando al dolore alla spalla.
Jonathan mollò la presa e spinse Clary lontano da sé, come se fosse un orribile insetto. «Perfetto. Vai dal tuo angioletto, allora e non provare a tornare da me, quando lui ti avrà scaricata.» Le sibilò all'orecchio, prima di sorpassarla senza un ulteriore sguardo. Lasciandola sola e disperata, sulla soglia della stanza.
 
 
La piazza dell'Angelo era addobbata a festa. La Sala degli Accordi brillava, nascosta in parte da un boschetto di alberi cresciuti al centro, frutto di un incantesimo. C'erano lunghi tavoli e panche, dove Cacciatori e Nascosti si mescolavano. Fiori bianchi erano sparsi ovunque, insieme a lanterne luminose di vari colori. Helen individuò Mark, seduto ad un tavolo accanto a Isabelle. La ragazza sembrava molto interessata a tutto ciò che usciva dalle labbra di suo fratello, notò Helen con un mezzo sorriso sulle labbra. Fece per raggiungerlo, ma dita sottili le sfiorarono la schiena nuda.
«Ciao Aline,» disse Helen, voltandosi a guardare la ragazza, che indossava un abito rosso sgargiante molto corto e molto stretto.
«Helen, posso parlarti?» Chiese Aline, incerta.
Lei la guardò con i suoi grandi occhi verde mare, tormentandosi i capelli biondi che nascondevano le sue orecchie appuntite. «Veramente dovrei raggiungere mio fratello …»
«Ci vorrà un secondo.» Esclamò Aline, prendendo fiato e afferrando le mani piccole di Helen tra le sue. «Volevo chiederti scusa, Helen, per tutto. Mi sono comportata come un idiota, ho cercato di allontanarti, perché mi vergognavo, mi vergognavo dei sentimenti che provo per te. Per questo mi sono iscritta a quella stupida gara per Jace Wayland, avevo paura della gente e dei loro giudizi, così ho pensato fosse una buona tattica per sviare i sospetti, in modo che non pensassero che sono … Sì, insomma, che mi piacciono le ragazze.»
«E il comportarsi da stronza anche con tutti gli altri faceva parte del piano?» Chiese Helen, cercando di mantenere un tono di voce fermo e tranquillo, anche se dentro si sentiva morire.
«Sì, cioè no. Volevo allontanare te … ma poi tu mi hai salvata da quelle Nascoste e -» disse quella parola con tale disgusto che Helen si accigliò. «Ti prego perdonami, Helen.» Concluse Aline, con un sorriso sulle labbra rosse, come se Helen l'avesse già perdonata.
«Non credo si possa fare.» Disse la ragazza, dopodiché le voltò le spalle senza aspettare risposta, camminando verso Isabelle e Mark. Avrebbe voluto perdonare Aline e prenderla fra le braccia e baciarla un'altra volta. Ma questo non avrebbe cambiato le cose, non avrebbe mai perdonato il suo comportamento.
 
 
«Direi che come primo appuntamento non è male,» cercò di sdrammatizzare Magnus, posando una mano ingioiellata sulla schiena di Alec.
«Come no. Con mia madre che ci fissa da lontano e mio padre che ti guarda come se fossi un alieno.» Ribatté Alec con rabbia.
«Sì, in effetti non è il massimo.» Asserì lo stregone, tornando a concentrarsi sul suo piatto vuoto.
Gli schiamazzi delle ragazze sedute al loro tavolo gli impedivano di pensare. Ma almeno sembrava che Leah, Ridley, Marlene e Rebecca si fossero riprese bene dalle recenti disavventure. Erano tornate esattamente come quando le aveva incontrate la prima volta: frivole, chiassose, bellissime e irritanti.
«Che ne dici di andarcene?» Propose Magnus senza esitare.
Alec era già scattato in piedi come una molla quando gli rispose. «Certo!»
Magnus si avviò verso il boschetto fitto e intricato al centro della piazza, cercando di ignorare gli sguardi gelidi di Maryse Lightwood.
Una volta che furono al riparo degli alberi, lo stregone prese per mano il ragazzo, addentrandosi nell'ombra della vegetazione. Diede una piccola scossa alla mano di Alec, costringendolo a roteare su sé stesso fino a che non fu con la schiena contro un tronco argenteo. Riuscì a scorgere i tratti sorpresi del suo viso, prima di chinarsi su di lui e baciarlo sulle labbra con intensità. Alec rispose immediatamente al bacio, stringendo le mani sui fianchi di Magnus e attirandolo contro di sé in un bacio frenetico, mentre le mani dello stregone affondarono nei capelli corvini del giovane. Alec gli baciò il collo, lo zigomo e la clavicola, mandando scosse di piacere per tutto il corpo di Magnus che si tese contro il suo. Non c'era un centimetri di spazio fra i due e Magnus poteva sentire ogni singola parte del corpo di Alec premuto contro il suo torace, le sue ginocchia che scontravano sulla sue e le mani che scorrevano lungo l'intera lunghezza del suo corpo.
Si staccarono per un istante, il tempo di riprendere fiato, respirando affannosamente e guardandosi negli occhi con sorrisi identici stampati sui volti.
«Va decisamente meglio,» mormorò Magnus, spegnendo con uno schiocco di dita le luci decorative sui rami degli alberi adiacenti, in modo che sopra e attorno a loro calasse una dolce oscurità.
«Ah! Lo sapevo!» Esclamò una voce a pochi passi di distanza. «Te l'avevo detto, Raphael, che se la faceva con uno dei giovani Nephilim. Mi devi venti dollari.» La voce acquistò subito un nome nella mente di Magnus, che chiuse gli occhi per un istante prima di voltarsi verso di lui.
«Eh va bene, hai vinto. Dios, non credevo saresti caduto così in basso, Magnus.» Ridacchiò la seconda voce.
Magnus lanciò uno sguardo gelido ai suoi vecchi amici: Ragnor Fell e Raphael Santiago. «Possibile che il vostro hobby preferito sia quello di rendermi la vita un inferno?»
Sentì Alec irrigidirsi accanto a lui. Non voleva turbarlo. «Tranquillo, Alexander, non lo diranno a nessuno.» Gli sussurrò piano.
«Sono le tue scelte di dubbio gusto che ti manderanno all'inferno, caro Magnus.» Ridacchiò Raphael.
«Parla il morto vivente dannato per l'eternità.» Rispose Magnus, acido. «E ora sparite!»
I due si dileguarono, continuando con i commenti derisori finché non furono fuori portata d'orecchio.
«Mi dispiace, Alec. Sono fatti così, due idioti
«Non fa niente,» mormorò il ragazzo, anche se il suo sguardo era basso e tutta la passione di poco prima sembrava essersi trasformata in imbarazzo.
Magnus sospirò. «Che ne dici di andare in un posto in cui nessuno può vederci?»
«Non credo che esista, qui ad Alicante.» Rispose l'altro, amaramente.
«Hai ragione.» Asserì Magnus e iniziò ad agitare le mani, da cui fuoriuscirono fiammelle azzurre. L'ombra di un Portale si aprì davanti a loro e al di là di esso apparvero i contorni di un loft.
«Dove …?»
«Ti sto invitando a casa mia. Precisamente a New York. Tranquillo, ti riporterò a casa per cena.» Sorrise Magnus, tendendo una mano al ragazzo. Lui l'afferrò senza esitare e insieme vorticarono nel Portare, fino a quando non atterrarono sopra un lucido parquet, tra un divano e un caminetto spento.
«Wow.» Disse semplicemente Alec, sgranando gli occhi.
«Che ne dici?»
«Decisamente meglio.» Rispose Alec, riprendendo a baciarlo con foga.
 
 
«Clary!»
La ragazza si voltò di scatto, asciugandosi in fretta una lacrima e stampandosi sul viso un sorriso forzato.
«Jace.» Si sistemò meglio il vestito e tornò a sedersi sugli scalini che conducevano alla Sala degli Accordi.
Jace la guardò con un sopracciglio biondo alzato. «Che è successo?»
«Niente, ho solo litigato con …» Jonathan. Non riusciva neanche a pronunciarlo quel nome. «Mio fratello. Non preoccuparti.»
«Mi dispiace.» Le disse lui, sedendosi accanto a lei sul gradino. Sembrava a disagio e continuava a mordersi il labbro inferiore.
«Mi sei mancata.»
«Anche tu.» Rispose lei meccanicamente, anche se non ne sembrava convinta.
Il viso di Jace divenne una maschera di inespressività. In questo era molto simile a Jonathan, pensò Clary. Non appena qualcuno feriva i loro sentimenti, si nascondevano dietro una finta facciata.
«Ti lascio sola, vedo che non sei in vena di compagnia.» Jace parlò con voce atona e inespressiva, fece per alzarsi ma Clary lo trattenne, guardandolo dal basso con gli occhi verdi lucidi.
«Non andare.»
Jace rimase in piedi a fissarla per un tempo che le parve infinito, poi si risedette con un sospiro.
«Cosa c'è, Clary? Se non vuoi -»
«Sssh,» lo interruppe lei, guardandolo negli occhi e attirandolo a sé per il colletto della camicia.
I due ragazzi si baciarono per un tempo lunghissimo, le mani di lei erano allacciate sulle sua nuca mentre quelle di lui strette sulla sua vita. Quando si fermarono, Clary posò la fronte su quella di Jace, respirando velocemente. Lui sorrise, quel sorriso arrogante e adorabile.
«Devo fingere di andarmene più spesso se scatena queste reazioni.» Disse sarcastico.
Lei lo colpì su una spalla, nascondendo il viso per non mostrargli che stava ridendo.
«Ti senti mai in colpa per quello che è successo?» Le chiese all'improvviso, nessuna traccia di ilarità nella voce.
«Intendi per le Nascoste che sono morte nell'incendio?»
Jace annuì e Clary rispose. «Sì, sempre. Ma l'incendio è stato un incidente e loro stavano per ucciderci …» la frase le morì in gola.
«Anche io mi sento in colpa. Ogni giorno. Soprattutto perché quando stavano bruciando mi sentivo felice, ero davvero convinto che lo meritassero.»
Clary allungò una mano per spostargli una ciocca di capelli dorati dalla fronte, ma si immobilizzò a mezz'aria.
Il suo sguardo era stato catturato da una sfumatura rossa, sul limitare della piccola foresta. Strizzò gli occhi e mise a fuoco la figura. Aveva lunghi capelli rossi e la pelle diafana. Anche da quella distanza poteva scorgere i suoi occhi innaturali, privi di bianco e azzurri come vetro. Indossava una corona e un vestito di fiori. Era la Regina Seelie, nascosta all'ombra di alcuni alberi.
Ma la cosa che aveva fatto aumentare il battito cardiaco di Clary era il fatto che non fosse sola.
Nell'ombra accanto a lei c'era una seconda figura.
Alta, slanciata e muscolosa. Con capelli corti, di un biondo argenteo. Jonathan.
I due sembravano intimi, parlavano concitatamente, uno accanto all'altro.
«Che succede, Clary?»
Lei distolse in fretta lo sguardo. «Senti, Jace, Isabelle ti ha detto come lei e i Blackthorn ci hanno trovati quella notte?»
«Sì, ha detto che li ha guidati Jonathan, attraverso dei tunnel sotterranei. Perché? Non li avete avvisati voi?»
Nessuno sapeva dove fossimo. Io e Alec non abbiamo avvertito nessuno. Stava per dire, ma si trattenne.
Come faceva suo fratello a sapere dove fossero? Come sapeva dei tunnel segreti attraverso i sotterranei? E soprattutto perché parlava con la Regina della Corte Seelie, ricercata dal Conclave in tutto il mondo?
Tornò a guardare quel punto al limitare del boschetto, ma i due erano spariti.
Forse se li era solo immaginati.
Forse stava diventando pazza.
«Clary, mi stai spaventando. Cosa hai visto? Cosa c'è?»
«Niente,» sorrise lei, sforzandosi con tutta sé stessa di risultare naturale e con sua grande sorpresa ci riuscì, perché Jace le sorrise di rimando.
Non avrebbe mai tradito suo fratello.

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Capitolo 15
*** Epilogue ***


EPILOGUE
 
 
Jocelyn si sedette al tavolo della cucina. Era tardo pomeriggio e come d'abitudine si stava preparando un tè, quando sentì qualcuno bussare alla porta. Si alzò e andò nell'ingresso, ma quando guardò sull'uscio, fuori non c'era nessuno. Scosse la testa, pensando ai giovani Cacciatori che si divertivano a fare scherzi. Tornò in cucina e prese la tazza tra le mani, bevendo qualche sorso del liquido caldo appena preparato.
«Ciao Jocelyn.»
Si alzò di scatto. Sulla soglia della cucina c'erano quattro Nascoste: due vampire e due fate. Jocelyn non le aveva mai viste prima, perciò non poteva sapere i loro nomi. Maureen, Lily, Kaelie e Hyacinth.
Corse verso il cassetto dei coltelli, ma si accorse che le sue gambe erano molli e tremanti.
«Cosa …?» Sbiascicò, lanciando un'occhiata alla sua tazza di tè, mentre un lampo di consapevolezza le attraversò gli occhi, prima di cadere svenuta a terra.
L'ultima cosa che udì, fu la voce calda e mielosa di Kaelie: «Trovate la pozione di Ragnor Fell, svuotatela e lasciate l'ampolla in cucina. La Regina ha detto che la tiene nel bagno. E non fatele del male, dobbiamo sviare i sospetti su Valentine, se vogliamo agire indisturbate.»
 
 
«Sarai più al sicuro dai Lightwood.»
«Cosa vuol dire sarai? Tu non vieni con me?»
«Io ho diciotto anni, sorellina, e fortunatamente posso prendere le mie personali decisioni.» La schernì. Vedendo il viso di Clary stravolto dalla rabbia abbandonò il tono derisorio, passando a uno più dolce e comprensivo. «Certo che verrò con te, Clarissa. Ma prima devo sbrigare una faccenda.»
«È un piacere vederti, giovane Morgenstern.»
«Dovrei dire lo stesso, mia Regina, nonostante tu abbia drogato e rapito mia madre.»
La Regina della Corte Seelie guardò Jonathan con i suoi occhi vitrei. «Sei sveglio.»
«Il tuo biglietto era piuttosto esaustivo. Cosa vuoi?»
«Un alleato. Abbiamo un interesse comune, distruggere gli Shadowhunters.»
Jonathan annuì.
«Ti unirai a me? Non dovrai fare molto, penseranno a tutto le mie ragazze.»
«Ad una condizione. A mia sorella non deve essere fatto del male.»
La Regina sorrise lentamente. «Prometto che non farò del male a tua sorella.»
 
 
Ridley Stairwell era appena stata eliminata. Sapeva di non avere chance contro le altre ragazze, ma era stato un duro colpo essere la prima scartata da Jace. Tornò in camera sua, pronta a fare le valige e a lasciare la tenuta con dignità, quando una trafelata Kaelie la raggiunse.
«Ridley! Per fortuna sei ancora qui …» la fata riprese fiato e poi parlò di nuovo. «Jace vuole parlarti. Forse si è pentito di averti eliminata. Mi ha chiesto di dirti che ti aspetta fra dieci minuti nei sotterranei.»
Quando Ridley, con il cuore gonfio di speranza, arrivò nei sotterranei però, non c'era l'ombra di Jace. In compenso qualcosa di duro e legnoso si abbatté sulla sua testa e sentì come degli spilli sul collo e una risata stridula che assomigliava molto a quella della giovane vampira, Maureen, prima di perdere coscienza.
 
 
Era notte fonda e Marlene Ashwood non riusciva a dormire. Si rigirò nel letto, prima di captare delle voci al di là del muro. Le riconobbe subito, erano quelle delle due vampire.
«Non c'è la faccio più, Lily. Ho fame, ho bisogno di sangue! Sangue vero, non quella schifezza animale che ci propinano a colazione.» Mugolò Maureen.
«Almeno tu hai bevuto il sangue di quella Nephilim, Ridley. Io sono giorni che non ne tocco una goccia.» Sbraitò Lily.
Marlene ascoltò con attenzione. Se lo sentiva che era successo qualcosa di brutto a Ridley, nonostante il Conclave minimizzasse, e ora ne aveva la prova.
«La sento respirare.»
Marlene si immobilizzò, trattenendo il respiro, mentre il cuore le batteva all'impazzata.
«Ora sento il suo cuore.» Cantilenò Maureen, scoppiando in una risata da brivido.
Marlene si staccò dal muro in preda al panico. Fece per raggiungere la porta della camera, ma quella si aprì di colpo, mandandola a gambe all'aria. Sulla soglia Maureen e Lily, la fissavano con i canini sguainati.
«Non è educato origliare.»
Disse la bionda, prima di gettarsi su di lei. Marlene lottò con tutte le sue forze, ma le due vampire erano forti e utilizzarono il loro incanto per soggiogarla.
Sentì i canini di una delle due perforargli la coscia e poi l'altra che diceva: «Dobbiamo nascondere i segni dei morsi, prendi un pugnale.»
Poi svenne.
Il mattino dopo due ragazze furono assenti durante la prima colazione. La vampira Maureen era scomparsa, lasciando nella sua camera tutte le sue cose e Marlene Ashwood fu ritrovata alcuni minuti più tardi, svenuta sul pavimento della sua stanza. 
 
 
«Faremmo meglio a goderci il nostro ultimo pasto.» Disse Leah Silvermark con voce acuta e isterica.
Clary si guardò intorno, soffermandosi sui visi delle ultime ragazze rimaste. Aline Penhallow giocherellava meccanicamente con il cibo dentro il suo piatto, sorrideva come se niente di male fosse accaduto, un comportamento davvero strano. Leah Silvermark si era messa a mangiare nervosamente, accompagnando la cena con grandi sorsate dal suo calice pieno di vino. Lily era pallida e non parlava, ma in fondo era una vampira asociale, quindi il suo pallore e la sua mancanza di loquacità poteva essere dovuto anche a quello. Hyacinth sedeva composta al suo posto, neanche lei era mai stata una gran chiacchierona. Rebecca Heroncross stava fissando cupamente l'interno del suo calice, Clary si chiese se il suo improvviso malumore fosse dovuto al rimprovero di Jace. Sospirando, si portò una forchettata di cibo alla bocca, aveva appena inghiottito il boccone quando sentì Hyacinth urlare a squarciagola e Jace balzare in piedi.
Leah era crollata con il viso sul suo piatto, il cibo era sparso in giro per la tavola, i suoi occhi erano chiusi.
Nessuno si accorse della breve occhiata tra Hyacinth e Lily. Un piccolo cenno del capo e un sorriso accennato. Hyacinth mise al sicuro nella tasca del suo vestito la piccola boccetta di veleno. Mai bere, né mangiare qualcosa offerto da una fata.
 
 
«Cosa stai facendo?»
Jonathan si voltò di scatto, una gamba già al di là della finestra, appoggiata sul cornicione. Il tramonto era passato da poco e il cielo era di un intenso color blu indaco.
«Non sono affari tuoi.»
«Dove stai andando?» Disse Isabelle, risoluta.
Lui sbuffò. «Va bene, sto andando a fare una nuotata notturna al lago. Beccato!» Rispose Jonathan con voce affabile. Squadrò Isabelle dalla testa ai piedi. «Vuoi unirti a me?»
La ragazza fece schioccare la lingua in segno di disapprovazione. «Non credo proprio.» Ribatté acidamente.
Jonathan scrollò le spalle. «Come vuoi.» Mollò la presa sugli infissi della finestra e si lasciò cadere giù.
Corse per il parco dei Lightwood, raggiungendo i primi alberi della foresta di Brocelind. Quando arrivò al punto di incontro si appoggiò ad un tronco per riprendere fiato e attese l'arrivo della Regina Seelie.
Questa non arrivò, ma al suo posto comparve una donna bellissima, con lunghi capelli biondi e occhi verdi come l'erba. Indossava un lungo vestito da sera che le esaltava i fianchi e il decolté.
«Tu devi essere Lady Belcourt.»
«Esatto, tesoro. La Regina ha avuto un imprevisto alla corte, così sono venuta io al posto suo.» Disse la capo clan dei vampiri di New York. «Ma se avessi saputo che il figlio di Valentine era così attraente sarei di certo venuta prima.»
«Ti ringrazio, ma non ho tempo da perdere. Riferisci il messaggio.»
L'adulazione non aveva mai funzionato con Jonathan e Camille ne rimase molto offesa. «Orrendamente antipatico, proprio come suo padre.» Sibilò tra sé prima di incollarsi sul viso un sorriso di circostanza.
«Come preferisci. Abbiamo bisogno che tu aiuti le ragazze a rapire la figlia del Console. Le altre Cacciatrici che avete messo fuori gioco non erano grandi combattenti e inoltre non avevano grande importanza. Ma Aline Penhallow è la nostra chiave per far sì che gli Accordi non vengano firmati. Se lei morirà, gli Accordi non ci saranno, il Console non lo permetterebbe. Converrai con me che devi occupartene personalmente.» Concluse Camille.
«Lo farò.»
 
 
Quando Rebecca raggiunse la sua stanza, trovò un piccolo biglietto di carta sulla sua scrivania. Lo prese tra le mani e lo lesse. Un'elegante scrittura recitava: Mi dispiace per essere stato scortese. Voglio farmi perdonare. Raggiungimi nei sotterranei. Con affetto, Jace.
Rebecca se lo strinse al petto, si cambiò d'abito, si truccò e con un sorriso soddisfatto raggiunse i sotterranei. Certo, i sotterranei non erano tra i luoghi più romantici della tenuta, ma probabilmente Jace lo aveva reso tale per il loro incontro, con petali di rosa e candele profumate. Quello che trovò però, fu tutt'altra scena.
Jonathan teneva su una spalla quello che assomigliava ad un sacco di patate. Guardando meglio si rese conto che era il corpo svenuto di Aline. Stava parlando con le due Nascoste, Lily e Hyacinth.
«… sì, la porto alla tenuta dei Wayland e … Lily, credo sia arrivata la tua cena.»
Le Nascoste si voltarono entrambe verso di lei. «È in anticipo!» Squittì Lily, deliziata.
«In realtà è in orario. Mettere al tappeto Aline si è rivelato più difficile del previsto.»
Disse il ragazzo, posando gli neri su Rebecca. Non ebbe il tempo di scappare, che le due ragazze l'aggredirono.
 
 
La piazza dell'Angelo era addobbata a festa. La Sala degli Accordi brillava, nascosta in parte da un boschetto di alberi cresciuti al centro, frutto di un incantesimo. C'erano lunghi tavoli e panche, dove Cacciatori e Nascosti si mescolavano. Fiori bianchi erano sparsi ovunque, insieme a lanterne luminose di vari colori.
«Sei un pessimo alleato, Jonathan Morgenstern. Gli Accordi sono stati firmati e due delle mie fate migliori sono morte.» Disse la Regina della Corte Seelie, al limitare del bosco, nascosta dalla folla di Cacciatori.
«E tu non mantieni le tue promesse, mia Regina.» Rispose lui, sprezzante.
«Non capisco.»
«Avevi promesso che non avresti fatto del male a mia sorella. E invece Kaelie stava per ucciderla. Questo non è infrangere le promesse?»
«Sai che noi fate non possiamo mentire. Io ho detto: prometto che non farò del male a tua sorella. Ma non che le mie suddite non lo avrebbero fatto.»
Jonathan strinse i pugni. «Si può dire che la nostra collaborazione sia finita.»
«Direi di sì.»
«Bene, non ho bisogno di te per distruggere i Nephilim.»
Jonathan voltò le spalle alla Regina e si dileguò nell'intricato boschetto.

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