Josie

di solonely182
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Poway ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** Post-festa ***
Capitolo 4: *** Discorsi ***
Capitolo 5: *** Qual é la tua storia? ***
Capitolo 6: *** Halloween ***
Capitolo 7: *** Ape Regina ***
Capitolo 8: *** 3 a.m ***
Capitolo 9: *** Festa scolastica ***
Capitolo 10: *** 13 Dicembre 1991 ***
Capitolo 11: *** Aliens exist ***
Capitolo 12: *** Lago di Poway ***
Capitolo 13: *** Alcool e sport non vanno d'accordo ***
Capitolo 14: *** Empatia ***
Capitolo 15: *** Ospedale ***
Capitolo 16: *** Fiera di Poway ***
Capitolo 17: *** Giornataccia ***
Capitolo 18: *** Complicazioni ***
Capitolo 19: *** Questione di luna ***
Capitolo 20: *** Andiamo via ***
Capitolo 21: *** Cibo messicano e musica ***
Capitolo 22: *** Troppi, decisamente troppi, segreti ***
Capitolo 23: *** Scelte ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Poway ***


Non dovetti nemmeno alzare lo sguardo per capire che Julia, la mia assistente sociale, era venuta a farmi una visita.
-Cosa leggi?- chiese avvicinandosi alla panchina dove sedevo.
-Un libro sulla chimica- risposi secca.
-Comunque- iniziò sospirando dopo qualche minuto di silenzio –Sono venuta a dirti che stai per tornare a casa-
Mi voltai verso Julia e subito capii che non scherzava, perché aveva un’aria di sincera serenità, quella che avevo visto farle fare ogni volta che doveva dare una buona notizia.
-Allora preparo i bagagli- annunciai alzandomi.
-Non ti preoccupare, ci ha già pensato il personale-
Rimasi ferma di fronte a lei.
-Dove andrò?- domandai preoccupata.
-Ora vedrai- replicò lei.
La seguii per i strani corridoi che portavano all’ingresso, quel posto sembrava un manicomio.
Riconobbi Pat, un ragazzo che era qui da molto prima di me, il padre, infatti, preso dalla collera gli aveva tirato addosso una bottiglia di vetro, e lui di conseguenza era finito in un centro sociale, come me.
Era un fanatico della scienza e mi passava sempre libri a riguardo.
Lo salutai mentre Julia mi faceva firmare alcuni documenti.
-Okay, allora è una questione chiusa- commentò in tono malinconico accompagnandomi all’uscita.
-Già- dissi a bassa voce fissandomi le scarpe.
Improvvisamente mi strinse forte, poi mi baciò sulla fronte e infine si fece scappare qualche lacrima.
Una volta fuori trovai una donna che stava ponendo tutte le mie valigie nel bagagliaio dell’auto, allungai una mano per coprirmi il volto dal sole.
-Michelle?- chiesi accostandomi.
-Josie!- strepitò lei.
Mi venne in contro chiudendo il portabagagli e poi mi abbracciò.
-Mio Dio, che bello rivederti- aggiunse staccandosi dal mio corpo visibilmente rigido.
Rimasi in silenzio, non capivo perché faceva tutto ciò.
-Immagino che tu voglia delle spiegazioni- cominciò –Lux mi ha rivelato tutto, allora ho incominciato a informarmi e a fare delle procedure per diventare tua tutrice, almeno non starai più in questo postaccio e poi tra qualche giorno inizia la scuola. Lux è entusiasta-
Fui felice che Michelle aveva fatto tutto questo per me, che alla fin dei conti non me lo meritavo minimamente.
Durante il viaggio di circa due ore e mezzo, Michelle mi raccontò che si era risposata con un uomo di nome Phil, il quale aveva un figlio della stessa età mia e di Lux, che si erano trasferiti in una casa più grande e che sono tutti contenti del mio ritorno.
Mentre procedevamo per Poway, iniziai a osservare tutti quei luoghi così famigliari con tristezza mista a disgusto, avevo sempre odiato quella città.
Una volta arrivati mi occupai di aiutare Michelle a portare dentro le mie cose, in seguito mi venirono presentati Phil e Rick, il figlio.
-Mi hanno parlato molto di te, fai come se fossi a casa tua- proferì l’uomo baffuto e un po’ spelacchiato, mi chiesi come potesse piacere a una persona come Michelle.
Rick non pronunciò parola, si limitò a sorridermi.
Iniziai a guardarmi intorno e intravidi qualcuno sulle scale, era Lux.
Ci studiammo a vicenda senza dire niente, poi scese la scalinata lentamente e mi circondò con le braccia.
La strinsi forte, mi era davvero mancata.
I genitori, mossi dall’imbarazzo probabilmente, decisero di lasciarci sole per un po’.
Ci dirigemmo nella camera che mi sarebbe spettata, era già tutta arredata.
-Ti piace?- chiese sedendosi sul letto.
-Oh sì, pare un sogno- affermai poggiandomi alla finestra.
-Sai, scusa se non mi sono fatta viva, ma il centro era lontano e non ho avuto modo o tempo di venire- sputò tutto d’un fiato.
-Non fa niente, capisco- mi posi accanto a lei.
Mi scrutò e poco dopo scoppiò in lacrime.
-Lux, non piangere. Sono qui- cercai di rassicurarla poggiandole la mano sulla schiena.
-Oh Josie, mi sento una merda. Mi sei mancata così tanto che… -
-Ehi, va tutto bene. Non me ne vado più-
Si asciugò il volto con un fazzoletto.
-Com’era lì?- mi domandò riferendosi al centro sociale.
- Un manicomio- mi limitai a dirle ridendo come per consolarla.
Lei fece cenno di sì con la testa e tirò su col naso.
Aveva i lunghi capelli biondi legati, ciò permetteva al viso di far risaltare gli occhi grigi.
-Come ti trovi con Rick?-
Scoppiò a ridere.
-Bella domanda. E’ un tipo strano, esce sempre e ascolta musica in continuazione- spiegò sbuffando.
-E non sai dove va?-
-No. Sta sempre con degli amici suoi, ma non li conosco bene- chiarì lei.
Proprio in quel momento entrò lui.
-E’ ora di cena- annunciò seccato.
Quando scendemmo al piano di sotto, trovammo tutta la famiglia a tavola che attendeva solo noi.
-Tutto apposto ragazze?- chiese Phil.
Annuimmo entrambe.
-Dunque Josie, tra qualche giorno inizia la scuola eh?- continuò l’uomo addentando un pezzo di pizza.
-Eh sì, farete il secondo anno del liceo, sapete è stato ristrutturato da poco…- proseguì Michelle.
La conversazione prese piede e perdurò a lungo, verso le dieci terminammo e finalmente ci avviammo alle stanze da letto mentre Michelle e Phil rimasero al piano di sotto.
Intanto che mi lavavo i denti, entrò Rick, sputai nel lavandino e mi rivolsi a lui.
-Serve qualcosa?- chiesi infastidita da quell’irruzione.
-Ho una curiosità- enunciò serio. Osservai i suoi capelli marroni scompigliati e piuttosto lunghi.
-Spara- mi poggiai al lavandino, avevo l’impressione che fosse uno di quei ragazzi cazzoni.
-E’ vero che sai guidare? E che una volta spacciavi?- aveva l’aria seria e sembrava interessargli.
Rimasi un po’ spiazzata da ciò che mi aveva richiesto.
-Chi te l’ha detto?-
-E’ un sì?- ammiccò lui ridendo.
-Interpretalo come vuoi- commentai dandogli le spalle e andandomene in camera.
Pensai a quante cose avrei dovuto fare nei giorni seguenti, alla scuola, alla mia ‘’nuova’’ vita e lentamente sprofondai nel sonno.
 
 
Okay, il primo capitolo è fatto. Siate clementi che è la mia prima ff :u.Che dire mh, recensite che mi fa piacere c:
Al prossimo capitolo c:

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Capitolo 2
*** Primo giorno ***


Come mi aspettavo, il primo giorno di scuola, si trasformò nel Mar Rosso al passaggio di Mosè, le conversazioni si facevano sottovoce, gli sguardi traboccavano di imbarazzata simpatia e tutti mi fissavano come se tra le braccia stringessi un cadavere.
La prima ora avevo chimica, come entrai nell’aula, trovai quasi tutti i banchi già occupati.
Infondo ce n’era rimasto qualcuno libero, scelsi l’ultimo che dava sul muro.
 Appena mi fui sistemata un uomo arrivò in classe, poggiando una miriade di fogli sulla cattedra riuscì a catturare la completa attenzione di chiunque.
Infatti, non pareva un insegnante per il suo aspetto, era molto giovane e i capelli scuri erano in contrasto con gli occhi molto chiari.
-La Signorina Jefferson è in maternità, quindi quest’anno sarò un vostro docente, ora…- le sue parole furono stroncate violentemente da qualcuno che bussò alla porta.
-Avanti- annunciò infastidito.
La porta si aprì e poggiato sullo stipite, c’era un ragazzo, aveva un volto completamente animato dagli occhi azzurri.
-Scusi il ritardo- fece lui rimanendo sulla soglia, aveva l’aria divertita.
-Si accomodi, ma che non si ripeta più. Soprattutto nelle mie ore. Ha capito?- non lo disse con severità, ma piuttosto con un tono neutrale.
Il ragazzo annuì e poi si sedette proprio davanti a me.
Il resto delle ore passarono in un alone confuso e qualche minuto prima del suono della campanella sgusciai nel corridoio.
Subito mi diressi verso la mensa, dove Lux mi stava aspettando.
Mi sedetti dinanzi a lei e cominciammo a parlare del più e del meno.
-Ehi, ciao- una voce mi fece trasalire mentre Lux addentava il suo panino.
Era il ragazzo che era entrato in ritardo, ma non ricordavo il suo nome.
Assieme a lui c’era anche Rick.
-Hai per caso preso appunti su quello che ha detto il Signor Deaver?- continuò.
Non potei fare a meno di notare ancora una volta gli occhi azzurri, incorniciati da ciglia tanto lunghe e folte, che sembravano ammiccare ogni volta che sbatteva le palpebre.
-Ah sì, la relazione tra gli infiniti- confermai sfilando un foglio dai libri che avevo poggiato sul tavolo.
-Ascolti gli U.L?- chiese osservando il pezzo di carta su cui oltre ad aver scritto le formule avevo anche scarabocchiato qualche disegno e canzone.
-Oh, sì- cercai soffocare una risata per l’imbarazzo.
Fece un sorriso a trentadue denti, come se possedesse uno scintillio tutto suo, poi tornò a fissare i miei appunti.
Lux mi lanciò un’occhiata.
-Non ci capisco niente. Non perché non sia chiaro, ma la scienze non è il mio forte- spiegò sbuffando.
-Oh beh, è semplice: quando hai un infinito composto da più infiniti, l’unico infinito che conta è quello più potente, o meglio quello di ordine superiore- sperai di non essergli apparsa impacciata.
Rimase in silenzio per qualche secondo riflettendo su ciò che gli avevo appena chiarito.
-Ma è una cazzata- commentò lui.
-A quanto pare-  replicai sorridendogli.
Solo in quel momento mi accorsi che sia Rick che il ragazzo si erano accomodati al nostro tavolo.
-Ah, lei è Lux, la mia sorellastra, e lei è Josie- ci presentò Rick.
Lux alzò la mano come per salutarlo, io invece mi limitai a fargli un sorriso sghembo.
-Io sono Mark- aveva un sorriso folgorante.
Improvvisamente si girò distratto da qualcosa e Lux ebbe l’occasione per tirarmi un calcio.
-Finalmente, non vi trovavo- annunciò una ragazza sedendosi affianco a Rick.
Aveva i capelli biondi che le scendevano fino al petto, il viso lentigginoso e gli occhi verdi.
Non ci aveva degnato di uno sguardo.
-Mark non capisce un cazzo di scienze- commentò Rick ridendo.
-Hoppus, non mi meraviglio- fece lei, imitando probabilmente qualcuno poiché aveva scatenato le loro risate.
-Stefan? Non è venuto?- intervenne Mark dopo aver ripreso fiato.
-Gioca a football- aggiunse lei alzando gli occhi al cielo.
-Loro sono Lux e Josie- dichiarò Mark.
-Ciao, piacere Minerva- replicò in tono freddo e distaccato.
-Sì, ma per tutti è semplicemente Mini- spiegò Rick.
Lei lo fulminò.
-Merda, devo andare. Ho le prove con le altre tra dieci minuti- esclamò acida scattando in piedi.
Rivolse il saluto solo a Rick e Mark, ci squadrò un’ultima volta e poi si allontanò.
-Che antipatia- scappò a Lux.
-Non ti preoccupare, è solo questione di tempo- le chiarì Mark.
-Ah sì certo- commentò scettica.
-Scusala, è una principessa e odia chi le manca di rispetto- la provocò Rick.
Lux gli fece una boccaccia che lui ricambiò con altrettanta simpatia.
-Questo fine settimana Liv Romance fa una festa- comunicò Mark facendo prigioniera la nostra attenzione.
-Le sue feste sono sempre una palla- sostenne Rick con aria seccata.
-Beh, hai programmi migliori?- replicò lui.
Rick sbuffò.
-Oh, ovviamente voi siete invitate se vi va di venirci, così almeno potremo farvi conoscere gli altri- ci propose lui.
Lux non gli diede nemmeno il tempo di finire che aveva già dato la conferma.
 
 
Capitolo due andato, ovviamente non ho finito di presentare tutti i protagonisti, ciò verrà fatto nel terzo capitolo e la storia finalmente prenderà forma.
Alla prossima, un abbraccio c:

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Capitolo 3
*** Post-festa ***


Il mal di testa era talmente forte che nonostante fossi stesa a terra mi sembrava di rotolare.
Mi girai su un fianco e mi sembrò di cadere nel vuoto.
Qualcosa mi pizzicava sul gomito, aprii gli occhi e capii di essere sdraiata su dell’erba.
Non riuscii subito ad afferrare dove mi trovassi. Ricordavo poco e niente della serata.
Lux era distesa vicino a me, dormiva con il volto poggiato sul braccio.
Era ancora buio, dovevano essere le cinque o le sei di mattina.
Mi alzai facendo uno sforzo assurdo per non crollare a terra, avevo ancora i postumi di una sbornia piuttosto pesante.
Poco lontano da me vedevo una lucina rossa che rendeva evidente i contorni di una persona.
Non sapevo chi fosse ma doveva avere delle sigarette e sinceramente ne avevo proprio bisogno.
Camminai verso la lucina e per un momento ebbi l’impressione di stare ancora coricata sul prato.
Era solo una sensazione, così continuai ad avvicinarmi e la testa a girare.
Ormai ero arrivata quando improvvisamente barcollai, ma non caddi, rimasi come sostenuta da una forza.
Alzai lo sguardo e lo incrociai con qualcuno di vagamente familiare.
-Forse è meglio se ti siedi- ordinò una voce apparentemente maschile.
Mi lasciai sprofondare lentamente, come mi era stato detto.
-Ti gira la testa?- domandò ridacchiando.
-Oh sì- feci una smorfia di dolore.
-Vuoi una sigaretta?- chiese poi.
Allungai la mano come per un disperato bisogno.
Me la passò.
Dopo alcuni tiri già mi sentivo un po’ più cosciente.
Mi sistemai meglio incrociando le gambe.
Anche lui si poggiò a terra, mi osservò e poi rise.
-Cosa c’è di divertente?- mi spostai i capelli dal viso.
-Non ricordi cos’è successo ieri sera?- replicò lui.
Sperai niente di grave o d’irreparabile.
-Abbiamo buttato l’auto in piscina- disse serio.
Lo fissai a bocca aperta e mi sforzai di portare alla memoria ciò che era accaduto.
Lui scoppiò nuovamente a ridere.
-Scherzavo- annunciò per tranquillizzarmi.
-Oh, davvero divertente- commentai acida.
Notai che aveva un piercing al lato della bocca.
-Ci siamo solo divertiti, abbiamo fatto il bagno in piscina e la proprietaria della festa ci ha cacciati- dichiarò alzando le spalle, come se fosse un dettaglio irrilevante.
-Dovevamo essere molto ubriachi allora- dissi a quel punto.
-Beh, mio fratello Shon ti metteva le mani ovunque, la tua amica ha bevuto come una spugna, Mini ha ballato e vomitato contemporaneamente e… poi non ricordo- disse.
Fece un breve pausa.
-Come ti chiami?- domandò scrutando il cielo.
-Josie- sbiascicai sbadigliando.
-Io sono Tom- aggiunse lui.
Un flash-back mi apparve davanti agli occhi.
Lo rammentavo in qualche modo.
Annuii e provai ad allungarmi senza dover patire qualche altro sintomo.
Da lontano qualcuno ci chiamò e subito dopo una ragazza ci venne in contro.
-Oh, Tom!- gli saltò tra le braccia.
-Anne, tutto okay?- aveva l’aria turbata.
-Sì sì, ma non vi trovavamo. Tutto qui- spiegò lei.
Era la sorella di Mark, possedeva la sua stessa vivacità e un sorriso da favola.
Mi era stata presentata a inizio serata come Shon e Stefan.
Solo Tom mi era rimasto sconosciuto ma allo stesso tempo familiare fino ad ora.
-Sono tutti svegli- annunciò rivolgendosi a me come per incalzarci ad andare da loro.
Mini sembrava appena uscita da un sonno rigenerante.
La gonna dorata e la canotta fucsia non si erano minimamente sporcate sebbene avesse dormito su un campo.
Lux invece aveva la faccia di chi era ancora ubriaco.
Non desiderai pensare alla mia.
-Stai bene?- le chiesi avvicinandomi.
-Sì, ho solo fame- confermò ridendo.
Le sorrisi.
Mini mi fulminò con uno sguardo da serial killer e andò verso Mark.
-Facciamo colazione?- propose Shon.
Uno degli occhi, entrambi di un colore chiaro, era circondato da un livido viola.
-Ma hai fatto a botte?- gli domandò Mark tirandolo su.
-Josie ha un destro particolarmente forte- commentò lui.
-Sei il solito porco- aggiunse Mark spingendolo.
Tutti scoppiarono a ridere.
Osservai la netta differenza tra Shon e Tom.
Se non me l’avessero detto, non sarei mai riuscita a concepire che erano fratelli poiché diversi come il sole e la luna.
Stefan, era ancora steso e si contorceva per stirarsi i muscoli.
Aveva i capelli rosso fuoco e il corpo estremamente pallido.
Anche lui, come quasi tutti gli altri, mi era sembrato subito simpatico e soprattutto molto ironico.
-Ma dove siamo?- chiese Lux.
Ci fu un momento di silenzio, dove tutti si guardarono intorno.
-Sul retro del giardino di Liv- ci informò Mini con tono irritato.
-E’ enorme!- esclamò Stefan iniziando a correre.
Quando si trovò dinanzi a Mini, la sollevò e se la mise in spalla.
Lei iniziò a dimenarsi fino a quando entrambi non si schiantarono a terra.
-Sei un coglione!- gli sbraitò contro drizzandosi.
Lui sogghignò divertito.
Mini però non mi apparve in collera ma più che altro frustata o mortificata.
Dopo averci dato le spalle, si diresse verso il cancello d’uscita.
A quel punto tutti, un po’ sconcertati iniziarono a sistemarsi e appena fummo fuori, ognuno andò per la sua strada.
 
 
Okay, come potete vedere, non ho fatto un capitolo incentrato sulla festa ma su un ‘’post’’ festa.
I personaggi adesso sono tutti, ovviamente sia Anne sia Shon sono davvero i nomi dei rispettivi fratelli di Tom e Mark. Spero che continui a piacervi c:
Datemi pareri (privati o non) e recensioni che mi fa piacere c:
Alla prossima c:

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Capitolo 4
*** Discorsi ***


Mi trovavo sul divano incastrata tra Lux e Rick che continuavano a litigare da circa un’ora.
-La smetti di fare zapping? Mi mandi in bestia- lo avvertì Lux con tono seccato.
-Stai zitta- la ammonì lui.
Era uno di quei pomeriggi in cui l’aria era troppo afosa per uscire, benché fossimo solo agli inizi di ottobre.
Lux gli tirò un colpetto sulla spalla e lui il telecomando in testa.
-Sei un bambino- annunciò massaggiandosi il punto dove era stata colpita.
Lui sogghignò.
Iniziavo a sonnecchiare, così buttai la testa su un cuscino e chiusi gli occhi.
Qualcuno bussò alla porta e automaticamente Lux andò all’ingresso.
-Ciao, c’è Josie?- sobbalzai al suono del mio nome.
Mi sporsi in avanti per vedere chi fosse e quando intravidi Mark, mi rigettai sul divano.
Alzai una mano per farmi vedere.
Rick aveva un’espressione interrogativa e stupita.
-Cosa ci fai con dei libri?- domandò incredulo.
-Sai, non vanno utilizzati solo per cartine- rispose Mark ironico.
-Ecco perché manca una pagina a ‘’Cime Tempestose’’- esclamò Lux incenerendo Rick con lo sguardo.
Ci fu un breve silenzio.
-Josie, potresti darmi una mano con scienze?- propose Mark sollevando i libri.
-Oh, certo- affermai rizzandomi colta un po’ alla sprovvista.
Andai in camera a prendere degli appunti e alcuni libri che Pat, il ragazzo che era stato al centro sociale con me, mi aveva permesso di tenere.
Appena mi girai andai a sbattere contro Mark.
-Mi spiace- disse afferrandomi per le spalle evitando una mia probabile caduta.
-Oh no, scusami tu. Non guardavo dove… Mi hai seguita?-
-Pensavo volessi studiare in camera- si giustificò lui ed il suo sorriso comparve magicamente.
Avrebbe potuto illuminarci San Diego.
-Beh, okay. E’ uguale- farfugliai adagiandomi sulla moquette.
Lui fece lo stesso.
-Partiamo dalle varie teorie o…?-
-Quindi vivi con i genitori di Lux e Rick?- proruppe improvvisamente.
La domanda mi spiazzò.
-Tasto dolente?- continuò lui imperterrito sorridendo.
-Non dovevamo studiare?- replicai con sarcasmo.
-Abbiamo tutto un anno per studiare- fece lui poggiandosi sui gomiti.
Lo scrutai con aria visibilmente sconcertata.
-Okay- dissi spostando la massa di libri.
-Allora?-
-Cosa?-
-Vivi qui? Con loro?-
-Beh, sì-
Lui annuì.
-Ti hanno adottato oppure è temporanea la cosa?-
-Ma cosa t’importa?- ero stata piuttosto acida nel pronunciare quelle parole.
Aggrottò le sopracciglia.
-Siamo amici, in più è inizio ottobre e ancora non so nulla di te- si discolpò alzando le spalle.
Sembrava divertito, come se fosse un gioco.
-Oh, certo. Credi che io non sappia delle voci che girano su di me? Almeno Rick è stato sincero-
-Ti riferisci al fatto che ti facevi di brutto? Principessa, che spacciavi, lo sapevano tutti-.
Rimasi in silenzio, forse un po’ offesa.
-Ti piace almeno qui?-
-E’ meglio del centro sociale- annunciai schifata solo all’idea.
-Sei stata in riabilitazione?-
-Sì-
Fece una pausa.
-E tu?- chiesi a quel punto.
-Ho una vita noiosa-
-A volte è meglio così- commentai.
-Cos’è quello?- domandò indicando una scatolina
-Nulla -
-Posso?- stava allungando la mano per prenderla.
-Se vuoi-
La aprì con estrema delicatezza e tirò fuori il mucchio di fogli impolverati e abbandonati da molto tempo.
-Li fai tu?- era stupito e divertito al contempo.
-Già- mi portai le ginocchia al petto e vi ci poggiai il volto.
-Sono bellissimi, wow-
Sorrisi.
Osservai il modo in cui li riponeva nella scatola.
-E’ una tua passione disegnare o lo fai così?-
-Non so, spesso disegno per un motivo, niente di più- spiegai rimettendo il contenitore al suo posto.
Scese il silenzio.
-Tu invece?-
-Suono il basso- ecco che ricompariva lo scintillio.
A stento sapevo cosa fosse così mi limitai ad annuire.
-Sai, Tom ed io abbiamo intenzione di mettere su una band in futuro- aggiunse.
Scoppiai a ridere in maniera molto sguaiata. Avevo tentato di trattenermi ma, con l’aggiunta di Tom, avevo miseramente fallito.
-Uh, lo trovi divertente? Beh, sei una delle poche persone che lo sa- bofonchiò lui.
-Scusa, non pensavo dicessi sul serio-
-Abbiamo anche scritto una canzone-
-Che genere è?- chiesi interessata.
-Punk-rock, mi piacciono molto i The Cure e spesso facciamo delle cover-
Mi stesi a terra per prendere tutti i loro CD che tenevo gelosamente sotto a letto e glieli lanciai.
-Piacciono anche a te? Incredibile!- mi fece uno di quei sorrisi che solo lui era in grado di fare.
La porta di colpo si spalancò.
-E’ ora di una pausa!- esclamò Stefan irrompendo nella stanza con delle birre.
In seguito arrivarono anche Lux e Rick e si sdraiarono sul letto.
Mark aveva continuato a parlarmi di tutti i suoi progetti, di musica e che sicuramente mi avrebbe fatto sentire una loro cover.
-Ma Mini che fine ha fatto? E’ un po’ di tempo che non la vedo- domandò Lux.
-Partecipa al campionato di football femminile, tornerà tra qualche giorno- rispose Stefan.
Feci un sorso dalla birra che mi passò Rick.
Non avrei mai detto che una persona come Mini potesse partecipare a un gioco così, forse avevamo solo bisogno di tempo per conoscerci meglio.
 
 
Okay questo è il terzo capitolo, come vedete ho accennato alla band e ad alcuni dettagli.
Spero vi piaccia, al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 5
*** Qual é la tua storia? ***


Come mi era stato promesso, nel fine settimana, Mark assieme a Tom mi fece sentire una loro cover.
‘’A letter to Elise’’ dei The Cure. Una canzone che, oltre ad essere estremamente bella, era anche suonata ed eseguita in maniera perfetta.
 La voce di Mark era quella predominante e anche la più calda, Tom si dava da fare semplicemente con la chitarra elettrica riuscendo a dare un sound più Rock.
Mark aveva le guance in fiamme, anche se non sapevo se per la fatica o l’imbarazzo.
-Siete davvero bravi- annunciai sorridendo.
Mini, seduta poco lontano,mangiava una macedonia di frutta indifferente a ciò che le succedeva intorno.
Loro si scambiarono un’occhiata complice e soddisfatta.
-Io comunque dovrei andare- dichiarai avvicinandomi all’uscita del garage.
-In verità anche io- aggiunse Tom posando lo strumento.
Mini lasciò cadere la ciotola in maniera molto rumorosa.
-Va bene, allora ci vediamo in giro- affermò Mark sorridendo.
Mini ci squadrò, come al solito d’altronde, e questo non fece che irritarmi.
Non appena fummo fuori, Tom prese uno skateboard tra le braccia e camminò in silenzio.
Non parlavo spesso con lui, condividevamo quasi  tutti corsi eppure sembravamo solo due conoscenti.
-Ti va di mangiare qualcosa?- propose lui.
-Ho già mangiato- risposi.
-Non è vero, a scuola non hai toccato cibo-
Fece qualche passo avanti lasciandomi indietro a riflettere.
-Avanti, avrai fame- mi incalzò lui.
Risposi con una smorfia ma alla fine lo raggiunsi.
-Dove andiamo?- chiesi.
-Dove vuoi, ti va una pizza?- replicò.
Feci spallucce e lui sorrise con aria serena.
Arrivammo in un locale piuttosto comune e ci sedemmo ad un tavolo distante sia da famiglie che da gruppi di altri ragazzi.
Ordinò due birre e della pizza.
-Qual è la tua storia?- domandai per fare conversazione.
-La mia storia?-
-Sì- confermai.
-Beh, sono nato e vivo qui e voglio suonare, ma probabilmente diventerò avvocato-
-Se ti piace la musica perché dovresti diventare avvocato?-
Arrivò il nostro ordine.
-Spiegalo a mio padre, lui ha occhi sol per Shon e Kari- disse con tono acido.
Contrasse la mascella e bevette un po’ di birra.
-Come sei finita a Baltimora?- cambiò discorso.
Non mi meravigliavo che ormai chiunque conoscesse la mia vita, morte e miracoli.
Fissai la birra che avevo davanti.
-Era un clinica di riabilitazione e psichiatrica, secondo te?-
-Non saprei, dimmelo tu- fece un sorriso beffardo.
-Ho avuto problemi con i miei e qualche droga, tutto qui-
-So cosa intendi-
Sgranocchiai un po’ di pizza.
-Tu e gli altri da quando vi conoscete?- chiesi.
-Io e Mark da quando eravamo piccoli, ci presentò Anne, poi avevamo in comune la stessa passione e quindi…-
-Mini invece?-
-Minerva mi è stata  presentata da Shon, avevano una storia e ci presta il garage per suonare-
-Minerva e Shon stavano insieme?-
-Sì-
-Perchè si sono lasciati?-
-Lui si sbatteva Anne-
Rimasi sconvolta da ciò che mia aveva detto.
-Anne? La sorella di Mark?-
Lui annuì.
-Era anche la sua migliore amica- aggiunse.
Ora forse capivo per quale motivo Mini fosse così scontrosa.
Pensai a come dovesse essere sentirsi traditi.
Ordinò altra birra.
-Non starai esagerando?-
Mi guardò con aria infantile.
-Ricordati che tu sei finita in clinica, io ancora no, perciò…- fece lui afferrando anche il mio bicchiere che prosciugò istantaneamente.
A quel punto mi alzai.
-Ehi, dove vai?-
Non mi girai nemmeno, proseguii diritto e me ne uscii fuori, il sole stava per tramontare.
Poco dopo sopraggiunse Tom che mi sbarrò la strada, aveva il fiatone e lo sguardo serio.
-Cosa..? Non capisco, ho detto qualcosa che non va?-
Fissai le sue scarpe sporche e consumate, aveva un piede poggiato sullo skate.
-Tu credi che io sia una tossica psicotica, eh? Solo perché ho passato tre mesi in un postaccio allora sarò legata per sempre a quella parte della mia vita, giusto?-
Non gli diedi nemmeno il tempo di controbattere.
-Non posso bere o fare nient’altro perché altrimenti ricadrò nella più profonda dipendenza, vero? Questo perché io, sfortunatamente, mi sono trovata in quella circostanza. Per voi rimarrò sempre questo. Io so cosa significa voler morire e che provare a ricominciare è difficile. Ma tu? Cosa sai di me? Che ne sai di tutto ciò? Sei solo uno come tanti altri che si finge uno strizza cervelli del cazzo-
Mi accorsi che le persone intorno a noi si erano fermate a osservarci, dovevo aver alzato parecchio la voce.
Abbassai lo sguardo, gli occhi mi si riempirono di lacrime.
-Ehi ehi, senti, io sono un coglione, okay? Non volevo essere indelicato e per quanto mi sia sforzato ho fatto la figura del cretino. Io non penso che tu…-
Discorsi che avevo sentito milioni di volte, ripresi a camminare ignorandolo.
-Ti prego ascolta –urlò poi.
Mi voltai con aria distaccata e fredda.
–Tu sei una ragazza fantastica e hai un’ala spezzata, quindi sei un bersaglio facile e io mi sto mettendo in mezzo. Tu ti eri aperta con me, in qualche modo, e io ti ho giudicato, sono uno stronzo- concluse.
Ci fu una breve pausa con assenza di suoni.
-Va bene, scusa. Ti  ho aggredito, io non volevo, scusa- farfugliai, mi sentii estremamente in colpa e imbarazzata.
Si avvicinò lentamente e con un braccio mi circondò le spalle.
-Dai, andiamo a casa-
Per tutto il tragitto nessuno aprì bocca, ci eravamo già detti tutto.
 
 
Okay, questo è il quinto capitolo, ho voluto che anche Tom avesse un dialogo di ’’conoscenza ‘’ con Josie,
spero lo apprezziate!
Un abbraccio e alla prossima! C:

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Capitolo 6
*** Halloween ***


Mi era sempre scocciato comportarmi da mamma, forse perché odiavo chi lo faceva con me, ma quando vidi Mark troppo ubriaco per reggersi in piedi cambiai idea.
-Quanto hai bevuto?- gli domandai accostandomi.
Mi si buttò addosso.
Halloween era la mia festa preferita, adoravo i costumi e restare sveglia fino all’alba.
Il forte odore di alcool mi fece capire che doveva aver bevuto abbastanza.
Lo afferrai per le spalle.
-Mark, adesso ti porto a casa okay?-
Lui fece cenno di sì con la testa e mi indicò una via da seguire.
Era un quartiere poco frequentato, quasi in periferia.
-Dove abiti?- gli domandai trovandomi dinanzi a diverse abitazioni.
Sbiascicò qualcosa e subito dopo mi puntualizzò quale fosse la casa sua.
Lo feci poggiare di peso sul mio corpo e ci dirigemmo nel suo giardino.
Bussai diverse volte ma mi resi conto che non c’era nessuno.
-Hai le chiavi?-
Alzò lo sguardo e sorrise.
-Sei bellissima Josie- farfugliò.
-E tu sei ubriaco lercio- ribattei e automaticamente sorrisi.
Tirai fuori le chiavi dalle tasche dei suoi jeans e non appena fummo dentro, lo portai nella sua camera.
Si gettò sul letto.
Rimasi sulla soglia pronta per andarmene via.
-Vieni qui- borbottò battendo la mano sul materasso.
Tentennai un attimo ma non rifiutai l’invito.
Mi stesi accanto a lui, aveva gli occhi chiusi e l’odore dell’alcool stava impregnando la stanza.
-Forse è meglio se ti cambi- suggerii.
Lui scoppiò a ridere.
-Dove vai?- chiese non appena mi rizzai.
-Prendo qualcosa da metterti-
Aprii quello che sembrava un armadio e afferrai la prima t-shirt e jeans che vidi.
-Ce la fai ad alzarti?-
Ci provò ma fu inutile.
Mi adagiai al suo fianco e senza fare movimenti azzardati gli sfilai gli indumenti.
Gli sollevai il capo e le braccia per farle transitare nelle rispettive fessure, il suo respiro sul collo mi distraeva.
Terminata l’opera, crollai anch’io.
-Josie-                  
Aprii gli occhi.
-Sì?-
Non disse nulla, allungò la mano sui miei capelli seguendo il profilo del mio volto.
Aspettavo che la scostasse o che voltasse la testa. Non lo fece.
Non la allontanava, non smetteva di guardarmi.
Il tempo pareva rallentare. Senza rendermene conto eravamo a qualche centimetro di distanza.
Mi baciò.
La sua bocca: calda, soffice, così viva che mi strappò un gemito.
Mi spostai di colpo lasciandolo un po’ sorpreso, feci su e giù per la stanza.
-Oddio, devo andare, devo assolutamente andare- annunciai.
Ma non lo feci. Mi sistemai nuovamente accanto a lui, fissai il soffitto con le mani sullo stomaco in subbuglio.
-Josie- pronunciò il mio nome con voce così ipnotica che non resistetti a voltarmi.
Non volevo e volevo. Non ero capace a decidermi.
La sua mano mi attirò dolcemente a sé.
-Sei bella Josie, davvero-
Ero un oceano di confusione.
Gli accarezzai la guancia, ora ero io a porre vicino i nostri volti.
-Non resisto- mi sussurrò tra le labbra. E nemmeno io.
Mi collocai sopra di lui, posò il naso contro il mio, gli occhi fissi nei miei.
Le sue mani mi strinsero delicatamente i fianchi e poi scivolarono lungo le cosce.
Gli lasciai togliermi il vestito di Halloween da Dorothy Gale.
Afferrai il lembo inferiore della sua maglietta, capì cosa avevo intenzione di fare e tirò su le braccia senza smettere di baciarmi.
Le sue mani correvano in fretta lungo la mia schiena, come per esplorare il mio corpo.
Mi slacciò il reggiseno, niente avrebbe potuto arrestare quell’attimo e per un momento quasi non mi mancò il fiato.
Quando mi svegliai lui non era più lì, doveva essere ancora presto poiché dalle persiane proveniva la luce del mattino.
Non avevo mai pensato a Mark in un altro modo se non come amico, eppure era successo.
Raccolsi le mie cose, sparpagliate un po’ ovunque, non potevo rimettermi il vestito di Halloween.
Acciuffai una t-shirt a caso, mi copriva fino a un terzo della gamba, il che andava più che bene.
Poi mi sistemai i capelli e scesi le scale in punta di piedi.
Lo vidi, era seduto al tavolo e stava facendo colazione.
-Avevo fame, scusa- disse ridendo.
-Non fa niente- mi sedetti di fronte a lui.
-Vuoi?- offrì lui.
Mi venne da ridere.
-Perché ridi?- domandò lui.
-Tutto questo è così buffo – spiegai.
Prese ciotola e cucchiaio e li lanciò nel lavandino, dopo mi venne in contro prendendomi il viso tra le mani.
Mi sollevai e gli gettai le braccia al collo.
-Sai cos’è buffo?- chiese con aria divertita trascinandomi sul divano.
-No, cosa?- stavo al gioco.
-Tu con la mia maglia degli Eagles al contrario-
Scoppiammo in una sonora risata, la sua mano sfiorò la mia pancia facendomi rabbrividire e poco dopo riprendemmo da dove avevamo lasciato.
 
 
Come al solito ho cercato di aggiornare quanto prima, spero vi piaccia!
Alla prossima c:

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Capitolo 7
*** Ape Regina ***


L’ora di letteratura era la più noiosa. Non tanto per la materia quanto per l’insegnante.
Decisi di uscire.
I corridoi erano vuoti, si sentivano solo le voci dei professori rimbombare all’interno delle aule.
Uscii nel cortile e mi spostai sul retro della scuola.
Dalla borsa tirai fuori una bottiglia d’acqua che solitamente riempivo con qualche alcolico.
Rhum e Vodka.
Mi sedetti sotto le scale antincendio e feci due sorsi.
Pensai all’anno passato, a tutto ciò che aveva cambiato la mia vita.
Un singhiozzo mi scosse il petto, non stavo piangendo, era come se avessi un attacco di panico.
Nascosi il volto tra le mani quando sentii la porta spalancarsi.
Udii dei passi affrettati correre giù per scale, sperai di non essere vista.
Sollevai il capo, Mini stava vomitando a pochi passi da me.
Non sapevo se avvicinarmi o no.
Si accasciò a terra e spostò lo sguardo su di me.
-Cosa ci fai qui?- fece lei acida.
-Potrei farti la stessa domanda- risposi a tono.
Alzò gli occhi al cielo e si rimise in piedi.
-Non m’interessano i tuoi problemi- disse sistemandosi la gonna fucsia.
-Non ho detto di averli-
-Allora perché sei sul retro della scuola tutta sola con una bottiglia contenente chi sa quale alcool?-
-E perché tu vomiti di nascosto dagli altri?-
Sembrava che fosse una sfida.
-Sei tu la fuori di testa qui-
-Oh davvero? Sai che ti dico? Siamo al completo al manicomio, ora abbiamo anche la Barbie bulimica-
Mi lanciò uno sguardo pieno d’odio.
-Almeno io non ho bisogno di impasticcarmi per provare un minimo di felicità-
-Beh, sai, non abbiamo tutti una vita perfetta come Minerva Fontaine-
-Hai ragione. La mia fottutissima vita perfetta, circondata da amici, feste e ragazzi che si ucciderebbero per me, vero? A nessuno importa se i miei hanno divorziato o che ho abortito sei mesi fa, perché è solo un mondo superficiale e falso- esplose tutta d’un fiato.
Aveva gli occhi rossi e gonfi. Rimasi in silenzio colta alla sprovvista da quello che mi aveva appena sputato in faccia.
Ormai era un fiume di lacrime, mi avvicinai e la strinsi forte tra le mie braccia.
Le accarezzai i capelli, non era un pianto normale, era come se stesse vomitando via tutto il dolore che aveva tenuto nascosto.
Un aborto.
La strinsi ancora più forte. Non le chiesi scusa, non avevo il coraggio di aprire bocca, era stato uno sfogo involontario. Come io ero scoppiata con Tom, lei era scoppiata con me.
Era più piccola e fragile, non Mini ‘’L’ape Regina’’, così soprannominata dall’intero liceo.
Non appena smise di gemere, si allontanò dal mio corpo.
Si asciugò le lacrime di mascara che le colavano dalle guance.
-La bambina sarebbe stata di Shon, ma tu questo già lo sai, ero così felice. L’avrei chiamata Helena- continuò lei.
Posai la mia mano sulla sua.
-Ero al terzo mese, nonostante Shon mi avesse tradito con Anne fingevo di non vedere, volevo che almeno lei avesse avuto un padre e una famiglia unita. Non avevo mangiato e così durante le prove di recitazione iniziai a sentirmi male. Erano delle forti fitte allo stomaco, pensai subito a Helena. Mi precipitai a casa.
Non l’avevo ancora detto a nessuno.
Poco dopo il mio rientro il dolore era diventato allucinante, fui costretta a chiamare un’ambulanza.
Pregai i medici di non avvisare alcun parente. Dissero che avevo avuto un aborto spontaneo.
Mi spiegarono che le cause potevano essere varie. Ma non li ascoltai. Pensavo solo a quanto fossi inutile, un fallimento- concluse.
La cinsi ancora una volta, non avevo idea di come potesse sentirsi.
-Non l’hai mai raccontato a nessuno?-
-No-
-Allora perché a me?-
-Perché forse sei l’unica persona sincera che conosca, non sei un’opportunista come gli altri-
-Se avessi saputo tutto quello hai passato ti sarei stata più vicino-
-Forse dopo l’avresti fatto solo per pena nei miei confronti-
Alzai lo sguardo al cielo.
 Ci eravamo mostrate per quello che eravamo davvero senza muri, avevamo apprezzato reciprocamente quella parte di noi.
-Credo che sia stato meglio conoscerci in questo modo- buttai fuori.
-Suppongo di sì-
 
 
 
Scusatemi l’attesa ma è stato davvero difficile trovare il tempo per scrivere il capitolo. Ancora più difficile è stato trovare un modo d’approccio con Mini. Spero vi piaccia!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** 3 a.m ***


Continuavo a girarmi nel letto, avevo sonno ma non riuscivo a dormire.
 Mi alzai, scesi le scale e mi diressi in salotto.
Accesi la tv e mi sdraiai sul divano, magari il brusio delle voci sarebbe riuscito a rilassarmi.
Non funzionò. Spensi la tv e iniziai a girare per la casa al buio.
Andai in cucina e mi preparai una camomilla.
Nel frattempo che l’acqua bolliva qualcuno bussò alla porta.
Senza farmi vedere, mi affacciai alla finestra e non ci misi molto a riconoscere che era Tom.
Mi avvicinai alla porta d’ingresso.
-Cosa ci fai qui?- domandai  osservando il labret nero che gli circondava il labbro inferiore.
-Non c’è Rick?- replicò a sua volta, sembrava sorpreso.
-No, sono da sola-
-Come mai?-
-Sono partiti per una conferenza del padre, mi sembra-
Ero appoggiata alla porta, lui di fronte a me.
-E’ un po’ che non ti si vede in giro- fece lui.
-Sono stata male-
Avevo passato tre giorni tra vomito e giramenti di testa.
-Questo giardino è favoloso, non ho mai visto fiori tanto belli-
-Oh, grazie, sono una mia fissa-
Ero rimasta talmente perplessa da quella sua osservazione che non mi accorsi nemmeno che se ne stava andando.
Mi morsi le labbra.
-Aspetta!- urlai.
Si voltò sorpreso.
-Cosa?-
-Ti va di entrare?-
-Io?-
-Beh, sì-
Eravamo a qualche passo di distanza, mi osservò facendo un’occhiata strana, come per capire se stessi scherzando o meno.
Anch’io lo scrutai bene e mi trattenni dal ridere quando sollevò le sopracciglia come un cretino.
-Mi stai invitando a fare sesso, eh?-
In quel momento ogni singola goccia di sangue che era presente nel mio corpo mi salì sulle guance.
-Sei proprio un’idiota- cercai di rimanere autorevole, ma non ci riuscii.
Quel sorriso da folle mi aveva fatto scoppiare a ridere.
Non appena entrò si buttò sul divano e nel frattempo la mia camomilla era evaporata.
Sbuffai.
-Ti va qualcosa da mangiare?- gli chiesi aprendo il frigo.
-Tipo cosa?-
-Non so, sono le tre di notte-
-Hai del messicano?-
-Alle tre di notte?-
-Ma è il cibo più buono del mondo-
-Ho del latte e cereali-
Fece una faccia schifata e delusa.
-Mi accontento-
Portai le ciotole con i cucchiaini sul divano.
Mi sedetti poco lontano da lui.
-Cosa ci facevi in giro a quest’ora?- domandai tra una cucchiaiata e l’altra.
-Il coglione con lo skate- rispose abbuffandosi.
-Che idiota esibizionista- commentai.
Una volta finito di mangiare fu lui a preoccuparsi di sciacquare le ciotole.
Mi collocai al suo fianco per poterlo aiutare.
-Ah, grazie per non avere detto nulla agli altri riguardo la nostra conversazione-
Sapeva a cosa mi riferivo e si limitò a fare cenno di sì con la testa.
-Posso vedere i tuoi disegni?- chiese voltandosi verso di me.
La sua richiesta mi fece arrossire.
-Te l’ha detto Mark?-
-Me l’ha solo accennato, non sapevo che fossi un’artista-
-Non lo sono- abbassai il volto, era difficile sostenere il suo sguardo.
-Sta agli altri giudicare, no?-
Mi arresi, non avrebbe lasciato stare. Voleva vederli a tutti i costi.
Lo guidai su per le scale fino ad arrivare in camera.
Si appoggiò al muro e iniziò a farli scivolare tra le mani, li scrutava con cura e a volte sorrideva altre sembrava più serio.
Quando terminò di osservarli li posò sul letto.
-Sono molto belli- fece lui collocandosi al mio fianco.
Rimanemmo in silenzio a contemplare sui nostri pensieri.
-La band come procede?- chiesi dopo qualche istante.
-Insomma, non possiamo fare cover all’infinito, dovremmo pur scrivere qualcosa di nostro-
-Ci sono così tante cose di cui parlare-
-Peccato che quando dobbiamo buttare giù qualche riga non ci viene in mente nulla-
Si gettò di schiena sul materasso e sbuffò.
Mi alzai, volevo chiudere la finestra ma durante il tragitto inciampai in una maglia e di conseguenza cascai di faccia.
-Ma cosa cazzo fai?- sbottò Tom sollevandosi dal letto.
-Cercavo di chiudere la finestra- replicai tastandomi il volto.
-Ti sei fatta male?-
-Non credo, c’è del sangue?-
Mi osservò serio, poi scoppiò a ridere.
-Cosa c’è?- domandai inquieta.
-La tua imbranataggine mi preoccupa, avrai un livido enorme-
Mi massaggiai la fronte seccata dalla sua ironia.
-A me preoccupa la gente che fa irruzione a casa mia alla tre di notte-
-Teoricamente non è casa tua- aveva l’aria divertita.
-Vuoi provocare?- non riuscii a mantenere un tono serio.
-E’ il mio obiettivo- confermò alzandosi.
Eravamo a qualche centimetro di distanza.
Lo fissai con aria interrogativa.
-Ora è meglio se vado, sai, devo infilarmi nel letto prima che mio padre si accorga della mia assenza-
Non lo trattenni, così lo accompagnai fino all’ingresso.
-Allora ci vediamo alla festa del liceo-
Per un momento esitai, me n’ero completamente dimenticata.
-Oh, certo-
Riprese lo skateboard con quel suo solito sorriso beffardo e sparì lungo la strada.
Che idiota esibizionista.
 
 
Come al solito spero vi piaccia!
Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 9
*** Festa scolastica ***


La festa era iniziata da un po’, l’unico motivo per il quale avevo deciso di andarci era stato Tom.
Il vestito che Lux mi aveva costretto a indossare era troppo corto per la temperatura che c’era fuori.
Sbuffai e una nuvoletta di vapore apparve nel buio.         
Da lontano vidi spuntare qualcuno, pensai a Tom.
Sbagliato di poco. Era Shon.
Sollevai il volto, non riuscivo a vederlo bene a causa della sua altezza.
-Non fa un po’ freddo?-
-Già-
Si sedette al mio fianco.
-Perché non sei dentro con gli altri?-
Non sapevo come rispondere, cosa ci facevo fuori?
Alzai le spalle e lui annuì.
-Guarda cosa ti ho portato- disse tirandomi qualcosa addosso.
Osservai la bustina trasparente che mi era atterrata sulle gambe.
-E’ erba?- domandai stupita.
-Credevo la conoscessi-
-Beh, sì, certo-
-Se la vuoi sta lì-
-No-
Mi fissò sorpreso.
-Pensavo volessi ricordare i vecchi tempi- sembrava dispiaciuto dal mio rifiuto.
-Meglio di no-
-Ti hanno ripulito bene allora-
-Non posso ricadere in tentazione, ho chiuso con quella roba-
-Dicono tutti così-
Non capivo se mi stava sfidando e nel dubbio mi raddrizzai.
-Torno dentro- annunciai.
Mi afferrò per un braccio.
-Perché tanta fretta?-
-Non osare toccarmi- lo avvertii a denti stretti liberandomi dalla sua presa.
Si tirò indietro, probabilmente intimorito dall’arrivo di Mark.
Non aveva visto niente poiché mi si gettò addosso senza fare commenti.
-Perché non entrate? La festa è planetaria- esclamò entusiasta.
Né Shon né io gli rispondemmo.
-Tutto bene?- domandò a quel punto con aria inquieta.
Annuii e per rassicurarlo gli buttai le braccia al collo per poi baciarlo.
Lo afferrai per mano e proprio mentre stavamo per entrare, giunse Tom.
Non mi degnò di uno sguardo, Mark mi lanciò un’occhiata nervosa.
-Aspettami qui- disse.
E ovviamente non lo ascoltai.
Corse dietro Tom che sembrava infuriato, lo fermò e iniziarono a parlare.
-Chi te l’ha fatto?- domandò Tom vedendo i segni poco visibili che la presa di Shon mi aveva lasciato sul braccio.
Mark mi scrutò con aria interrogativa e io inutilmente tentai di nasconderli.
-Non l’ha fatto apposta, stavamo parlando e…-
-Ti voleva vendere dell’erba, vero?-
Anche Mark ora era rosso di rabbia.
-No, voleva solo…-
Non riuscimmo a fermarlo, era una locomotiva.
Si era avventato su Shon senza dargli nemmeno il tempo di accorgersi della sua presenza.
Mark tentò di dividerli, ma il risultato fu che ci trovammo circondati dalla sicurezza della scuola.
 
-Quindi lei afferma che l’erba non era di Tom DeLonge?-
Era circa mezz’ora che l’agente baffuto mi faceva la stessa domanda.
-Esatto- risposi secca.
-A chi appartiene allora?-
-Non lo so-
L’uomo sbuffò.
-Senta…- esitò un attimo –Josie Harries? La figlia di Nash?-
Annuii.
-Siamo stati al college insieme, come sta? E Judy?- era sbalordito.
-Sono morti-
-Cosa?- sembrava colto alla sprovvista.
-Mia madre lo è, lui è come se lo fosse- spiegai per tranquillizzarlo.
Si passò una mano tra i capelli, era visibilmente a disagio e cambiò argomento.
-Mi serve un nome, solo uno -
-Le ho già detto che non so niente-
-Okay okay, allora ripeti cos’è successo-
-Dall’inizio?-
-Dall’inizio, coraggio-
Stavo per ricominciare quando una donna fece irruzione nella piccola sala.
-Un ragazzo ha confessato- proruppe lei.
L’agente fece cenno di sì con la testa.
-Puoi andare-
Sorpresa uscii fuori, Shon doveva aver confessato.
Mark mi venne in contro.
-Tutto bene?-
-Oh Dio, adesso sì-
Lo strinsi forte.
-Cosa succederà a Shon?-
-Shon?- aveva l’aria perplessa.
-Non ha confessato?-
-La roba era di Tom- spiegò lui serio.
Lo fissai.
-No, ti sbagli era di…-
Capii solo quando vidi Tom, essere ammanettato, ciò che era successo.
Mi lanciò un’occhiata come a dire di stare zitta.
Tornai a fissare Mark.
-Josie? Tutto okay?- la voce di Mark era lontana.
-Josie?-
La testa mi girava talmente forte che la vista si oscurò e poi boom, vuoto.
 
Okaaaay, come al solito scusatemi il ritardo!
Spero vi piaccia! Un abbraccio e al prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** 13 Dicembre 1991 ***


Mi dondolo avanti e indietro.
Che cosa dovrei dire? Mi siedo sul marciapiede a riflettere e mi accendo una sigaretta.
-Ciao-
Sollevo il volto, c’è una bimba bionda con due codini enormi e tra le mani stringe un cerchio azzurro.
-Ciao- dico a mia volta tentando di nascondere la sigaretta.
-Come ti chiami?-
-Josie, tu?- le sorrido.
-Kari- risponde arrossendo.
-La mamma non ti ha insegnato che è pericoloso parlare con gli sconosciuti?-
-E a te non ha insegnato che non si fuma?- ribatte con prontezza.
Scoppio e ridere e faccio un tiro.
-Cosa ci fai nel nostro giardino?-
La sua domanda mi spiazza.
-Conosci Tom DeLonge?-
-Sì, è mio fratello- adesso è lei che ride.
Mi alzo velocemente, nessuno mi aveva mai accennato ad una sorella minore.
-Vuoi entrare? Oggi è il suo compleanno-
Merda. Non potevo scegliere giornata migliore.
-Oh beh, in verità io dovrei…-
-Dai, entra! Mamma ha fatto una torta squisita-
-Okay, ma solo qualche minuto che devo parlare con Tom- la avviso.
Kari inizia a saltellare su e giù.
-Evviva!- mi prende per una mano e mi trascina alla porta.
Suona il campanello svariate volte, inizio a sentirmi a disagio e sono quasi sul punto di tornare a casa.
Kari mi sorride e penso che ha gli stessi occhi di Tom.
La porta si apre, una donna poco più bassa di me con occhi e capelli marroni ci scruta.
-Mamma lei è Josie, deve parlare con Tom- annuncia Kari.
-Salve- affermo con un po’ di timidezza.
-Oh certo, entra pure cara, è in camera sua- spiega con tono più che affettuoso.
Le sorrido.
-Ti ci porto io, vieni!- la piccola Kari butta il cerchio in angolo e m’incoraggia a seguirla.
Una volta che mi ha illustrato la sua stanza, mi abbandona all’ingresso.
Busso piano e lentamente scosto la porta.
-Ehi- fa lui colto alla sprovvista.
Faccio un cenno con la mano.
Con delicatezza posa la chitarra e sposta dei fogli dalla scrivania.
-Tutto okay?-
-Non è la migliore domanda che mi potessi fare, sei tu quella che è svenuta-
Solleva le sopracciglia e fa una faccia idiota che mi fa ridere.
-Già, ma è stato solo un calo di zuccheri, niente di grave-
Annuisce.
Mi appoggio al muro.
-Comunque- la mia voce sembra rauca –sono venuta qui a ringraziarti per, beh insomma, lo sai ecco-
Sta sorridendo.
-Non ti preoccupare-
Improvvisamente la madre fa irruzione in camera.
-Josie, ti andrebbe di restare per cena?-
Spalanco la bocca nel tentativo di rifiutare l’invito in modo garbato.
-Oh sì, gliel’ho già proposto io e ha detto di sì-
Mi volto di scatto verso di lui. Lo fulmino.
-Bene, allora vi chiamo quand’è pronto-
Non appena esce, gli tiro un cuscino.
Lui scoppia ridere buttando la testa all’indietro.
-Sei un deficiente- annuncio.
-E’ il mio compleanno, se resti mi fa solo piacere-
-Cazzo, me ne sono dimenticata-
Nascondo il viso tra le mani.
-Non ti preoccupare, sono solo diciassette anni-
Mi siedo sul suo letto e noto un foglio scarabocchiato posto al mio fianco.
 
‘’I talk to you every now and then
I never felt so alone again
I stop to think at a wishing well
My thoughts send me on a carousel’’
 
-Cos’è?- domando sventolandogli il pezzo di carta davanti agli occhi.
-Oh, niente- prova a prenderlo ma lo allontano.
-Non sembra ‘’niente’’. L’hai scritto tu?-
-No-
-Non è vero, è la tua scrittura-
Sbuffa.
-Come fai a saperlo?-
-Una volta mi hai prestato i tuoi appunti-
-E ti ricordi la mia scrittura?-
-Solo tu fai le ‘’r’’ che sembrano ‘’i’’-
Mi studia con attenzione.
-In ogni caso è molto triste. E’ bellissimo ecco-
-Ti piace davvero?-
-Sì- affermo.
Sorride compiaciuto e poi distoglie lo sguardo imbarazzato.
 
Beth, la madre, si sta occupando di servirci il roast beef. Mi trovo vicino a Tom e di fronte ho Kari e Beth.
Ai due lati opposti della tavola siedono Tom Sr. e Shon, sono due figure molto simili tra loro.
-Shon, facci l’onore di dire la preghiera- dichiara l’uomo con voce seria.
Tutti congiungono le mani e abbassano lo sguardo alla forte voce di Shon che ringrazia il Signore.
Osservo Tom, mi viene da ridere. Anche lui mi scruta e fa una smorfia.
Sobbalzo, mi ha tirato una gomitata. Lo ammonisco lanciandogli un’occhiataccia e in risposta mi fa una faccia cretina.
Terminata la preghiera, iniziamo a mangiare.
-Posso avere una fetta di torta?- chiede Kari.
-Prima mangia quello che hai nel piatto- le suggerisce il padre con tono severo.
-Josie, sei nuova a Poway?- mi domanda mentre taglia la carne.
-No, sono solo mancata per un po’-
Mi fissa con aria interrogativa ma poi distoglie lo sguardo.
-I tuoi genitori cosa fanno?- continua imperterrito.
-Mio padre è un agente di polizia, mia madre era un’attrice di teatro-
-Ah, ha cambiato lavoro?-
-No, è morta-
Adesso tutti mi squadrano.
-Papà, che cazzo- sbotta Tom.
-Tom, modera il linguaggio-
-Ma gli hai fatto il terzo grado!-
-Poteva evitare di rispondere allora-
Si avverte una forte tensione a tavola.
Sposto lo sguardo imbarazzata.
-Non farci caso, non gliene fotte niente di nessuno- afferma poi rivolgendosi a me.
Il padre colloca le posate in maniera molta rumorosa sulla tavola.
-Adesso basta, non ci si comporta così dinanzi agli ospiti. Prendi esempio da tuo fratello per una volta!-
-Vaffanculo-
Tom si alza, sposta la sedia in maniera molto rumorosa e se ne va.
Vedo che Beth si drizza, forse vuole raggiungerlo eppure si accomoda nuovamente a tavola.
Incontro gli occhi di Shon, sembra quasi felice di ciò che sia appena successo.
Kari al contrario sta piangendo.
Mi metto in piedi e senza pronunciare parola lo raggiungo.
 
 
Salve gente, questo sarà un capitolo un po’ più lungo, infatti l’ho diviso in due parti.
Spero vi piaccia! Un abbraccio e al prossimo capitolo. C:

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Capitolo 11
*** Aliens exist ***


-Ehi, Tom- mi avvicino lentamente.
Continua a camminare e ha il respiro affannato, qualcosa non va.
Sbanda.
-Tom- gli prendo la testa tra le mani in modo da poterlo fermare.
Sembra non respirare bene.
–Guardami-
Si appoggia al muro, le nostre teste si sfiorano.
-Tom, guardami- gli carezzo una guancia.
Ora mi fissa.
-Respira con me-
Passa qualche secondo e pare stare meglio.
-E’ tutto okay. E’ tutto okay, capito?-
-Portami via- dice.
-Dove vuoi andare?-
-Non lo so, ma portami via da qui-
Lo faccio alzare lentamente e ci dirigiamo verso l’ingresso.
-Dove avete intenzione di andare?- ci blocca il padre.
Noto che è arrogante quanto Shon.
-E’ il suo compleanno, quindi ovunque voglia Tom-
Apro la porta e sento dei borbottii, non mi importa, usciamo lo stesso.
-Va meglio?- chiedo una volta fuori.
-Sì, molto meglio -
Camminiamo in silenzio nell’oscurità.
-Come vedi la stronzaggine è di famiglia- dice ridendo.
Rido anch’io.
-Ascolta, è stata solo una brutta serata, forse sarebbe stato meglio se non mi fossi presentata-
-No, se non fosse stato per te, probabilmente, sarei rimasto lì a…-
Si ferma.
-Tom?-
Mi avvicino.
-Qualcosa non va?-
Si siede.
-Non lo so è che, mi sento come se avessi una voragine dentro-
Di nuovo il respiro affannato.
-Respira con me-
-Non riesco, mi fa male il petto-
Sta ansimando, mi accosto a lui.
-Tom, pensa a…-
Non sono capace a terminare la frase che gli ho già circondato il volto con le mani e lo sto baciando.
Rimane come bloccato e mi fissa.
Mi allontano di qualche centimetro.
-Ho solo provato a distrarti- mi mordo il labbro inferiore.
-Direi che ha funzionato-
Mi pongo al suo fianco.
-Me l’ha detto Pat, a volte agire senza pensare è soluzione-
-Pat?-
-Era al centro sociale con me-
-Che problemi aveva?-
-Era stato picchiato dal padre-
Abbassa la testa, intento a osservare le sue converse nere.
-Credi agli alieni?-
Scoppio a ridere.
-Dov’è il senso di questa domanda?-
-Rispondi. Ci credi o no?-
-Beh, suppongo che su miliari e miliardi di galassie non siamo l’unico pianeta con una forma di vita. Tu?-
-Anche io la penso così, ma la sola idea che possano realmente esistere mi terrorizza-
-Perché? Voglio dire, gli esseri umani fanno schifo e sono malvagi,  se sono creature intelligenti non oserebbero mai avvicinarsi a noi-
Mi fissa leggermente accigliato.
-Ti interessa l’ufologia?
-Più o meno, Pat mi passava sempre dei libri a riguardo, ne ho uno scatolone pieno-
-Ecco perché sei un genio in scienze-
Rido.
-Per te invece? Cos’è?-
-Una fissa, mi affascina ma allo stesso tempo mi fa rabbrividire-
Adesso ridiamo entrambi.
Raccolgo qualche fiore che trovo nascosto tra l’erba.
Ci faccio una coroncina.
-Potresti scriverci una canzone- suggerisco a quel punto.
-Sugli alieni?-
Annuisco e lui scoppia a ridere.
-Perché ridi?-
-Non sono bravo a scrivere- afferma con tono abbattuto.
-Non è affatto vero, ho letto quello che hai scritto e l’ho trovato infinitamente profondo-
Sorride.
-Sai Josie, quando la vita ti manda un momento come questo è un peccato se non lo afferri-
Lo guardo in maniera perplessa.
-Ti dico è un peccato se non lo afferri.  Ti perseguiterà sempre, come una maledizione. E sinceramente spero di non fare una puttanata-
Si avvicina lentamente e poggia le labbra sulle mie.
Indugio, rigida, immobile. Non realizzo ciò che sta accadendo fino a quando le sue parole non mi rimbombano in testa.
Intreccio le mani tra i suoi capelli e lo spingo sempre più verso di me.
Non so perché lo faccio o cosa mi spinga comportarmi così, ma le sue parole sono così fottutamente vere.
Dopo qualche istante ci ricomponiamo.
Mi scruta con attenzione.
-Hai il trucco colato, sembri un panda- annuncia ridacchiando.
Ora sono confusa, mi palpo le guancie e mi accorgo che sono bagnate.
Sto piangendo.
-Ehi, ehi, che hai?- fa Tom preoccupato.
-Scusa io… io faccio così, e lo rifaccio e lo rifaccio. Poi mi sveglio la mattina e… sono vuota-
Sono in piedi, cammino verso il nulla.
-Forse non avrei dovuto baciarti- si porta una mano tra i capelli.
Torno indietro.
Che cazzo sto facendo?
Gli butto le braccia al collo e lo bacio ancora una volta.
Le sue mani fanno pressione sulla mia schiena.
Lo sto sporcando con il trucco, ci stiamo impiastricciando di nero.
-A volte per sconfiggere uno stato mentale bisogna fare una pazzia- spiego allontanandomi.
-Anche questo te l’ha detto Pat?- domanda facendo quel sorriso strano, che solo lui è in grado di fare.
-Sì- affermo sorridendo.
E ci baciamo. Ancora.
 
 
Okay, questa è la seconda parte! La situazione come potete leggere si complica un po’.
Nella parte in cui Tom viene baciato da Josie mi sono ispirata ad una scena di una serie tv che adoro: Teen Wolf. Ve la consiglio vivamente!
Ah, ho deciso di farvi vedere come mi immagino i personaggi, solo per darvi un’idea un po’ abbozzata ecco:
Josie: http://weheartit.com/entry/124155288/search?context_type=search&context_user=DanielSharmanx&query=shelley+hennig
Lux: http://weheartit.com/entry/85984240/search?context_type=search&context_user=toxickitten&page=3&query=Mena+suvari
Mini: http://weheartit.com/entry/80363642/search?context_type=search&context_user=Falyse&page=15&query=freya+mavor
Rick: http://weheartit.com/entry/92451873/search?context_type=search&context_user=Tee__shirt&page=12&query=freddie+highmore
Anne: http://weheartit.com/entry/100136465/search?context_type=search&context_user=plumpluckers&query=Liv+tyler+young
Stefan:
http://weheartit.com/entry/87838343/search?context_type=search&context_user=marta_2502&page=11&query=eddie+redmayne
Per il resto Tom e Mark penso li abbiate presenti come erano negli anni ’90 ahah.
Spero il capitolo vi sia piaciuto!
Un abbraccio e al prossimo capitolo! C:

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Capitolo 12
*** Lago di Poway ***


Sono su una collinetta di sabbia, distante dal lago e da qualsiasi essere vivente.
Osservo l’enorme specchio d'acqua e riesco a vedere tutti che si tuffano, nuotano o che si schizzano a vicenda.
Sento le loro risate e la cosa mi rattrista.
Allora penso a Van Gogh e alla sua vita di merda. Lui voleva solo essere amato.
Usava poco il giallo perché lo odiava, gli ricordava la felicità che non aveva mai avuto.
Oh Dio, mi deprimo a tal punto che per un momento mi manca il fiato.
Qualcuno impreca in lontananza.
-Oh fanculo… Porca merda, odio la natura. Odio il sole, odio quest’erba schifosa… fanculo, fanculo, fanculo!-
Mi volto, la voce è sempre più vicina.
-Non potevi trovare un posto un po’ meno insidioso?- domanda Mini in tono sarcastico.
Scoppio a ridere.
-Non sono in vena di avere rapporti sociali oggi- le spiego.
Poggia un telo da mare fucsia proprio accanto al mio e ci si siede sopra sbuffando.
Il tempo è parzialmente nuvoloso e Mini si sta cospargendo il corpo di crema solare.
La fisso leggermente accigliata.
-Odio il sole- annuncia palesemente scocciata.
-Sì, l’avrai urlato una cinquantina di volte. Come mai da queste parti?-
-Stefan-
Ridacchio.
-Che è successo?- le chiedo.
-Si è montato la testa, o meglio, i testicoli, da quando ho ballato con lui alla festa-
Esplodo in una rumorosa risata.
Mi squadra.
-Josie, non è divertente. Quel ragazzo mi istiga al suicidio. Dio, mi metto sempre in queste situazioni del cazzo-
Avrei voluto risponderle con un ’’non dirlo a me’’, ma preferisco rimanere zitta così continuo a ridere trascinando anche lei in una vorticosa risata.
-Almeno non è uno stronzo, vedila così- le suggerisco.
Mi tira uno spintone.
-Facile da dire da una che si scopa Mark Hoppus- commenta ironica.
-Vuoi sapere i dettagli, eh?- dico con aria maliziosa.
-No, ma grazie lo stesso, sai, i particolari non m’interessano- annuncia ridendo.
Improvvisamente qualcuno mi circonda le spalle.
Ho un brivido.
Mark è completamente fradicio.
-Lo sai che mi stai bagnando tutta la maglia?- gli domando.
-E non solo quella…- si affretta ad aggiungere Mini.
Scoppiamo a ridere.
Inizia a baciarmi sul collo.
-Ti cerca Stefan- dice Mark rivolgendosi a Mini.
Si è seduto al mio fianco.
Mini ha la faccia disgustata.
-E va bene, va bene! Me ne vado, vi lascio fare porcate-
Ridiamo.
Raccoglie le sue cose velocemente.
-E comunque, sei un maniaco sessuale-
-Mini, un giorno scriverò una canzone su di te- le urla lui mentre si allontana.
In tutta risposta lei solleva il dito medio e ricomincia a imprecare contro madre natura.
-Mark, mi stai congelando-
Si sposta di poco.
-Meglio?-
Mi mordo il labbro inferiore.
-No-
-Oh Cristo Josie, se vuoi mi trasferisco dall’altra parte del mondo-
Sorrido e poi gli butto le braccia al collo.
-Mark, stai zitto. Sei un idiota-
Anche lui sta sorridendo.
Poggia le sue labbra sulla mia fronte.
-Cosa stai facendo?- domando perplessa.
-Ti sto baciando?-
-Sulla fronte?-
-Perché?-
-Sai, la tua bocca sarebbe più utile se poggiata da qualche altra parte- commento acida.
Scoppia in una fragorosa risata.
-Oh Josie, sei una rompi cazzo-
-Sì, lo so- ammetto con aria abbattuta.
-Ho così tanta paura che qualcuno possa portarti via da me- aggiunge.
Non dico niente, un senso di colpa improvviso mi ha pervaso lo stomaco.
Mi affretto a rubargli un bacio e immediatamente si pone sopra di me.
 
Siamo in tenda, dormono tutti. O almeno credo.
Mark mi stringe in una presa mortale, sorrido, è così caldo.
Riesco a immaginare i suoi così azzurri anche quando è buio.
Lo bacio e sembra continuare a dormire.
Ma nella tenda sto morendo di caldo, m’infilo la sua maglia che profuma di lui ed esco fuori.
Aria. Faccio un respiro profondo.
Non si sente nessun rumore, è inquietante.
Mi muovo nel buio seguendo i contorni delineati dalla luna.
Riesco a intravedere Mini, Lux e anche Stefan e Rick.
Cammino lentamente, vado verso il lago.
Mi tolgo la maglia, il reggiseno e gli slip.
Penso al poema di Pablo Neruda, quello della Sirena, lo adoro.
Nuoto male, molto male, ma nuoto.
Arrivo a un punto in cui tocco il fondo solo con le punte.
Qualcosa mi sfiora il polpaccio.
Che cazzo è? Un’alga?
Inizio a interrogarmi sulla fauna marina del Lago di Poway e in una frazione di secondo sono sott’acqua.
Risalgo in superficie.
-Ma sei nuda!- urla Tom.
Sputò quello schifo di acqua che ho bevuto.
-Vaffanculo!- sbraito –Che cazzo hai in quella testa? Mi volevi uccidere?-
-Sei nuda- continua a ripetere come un coglione.
-Dio, Tom! Sì, sono nuda!-
Resta in silenzio.
-Perché stai facendo il bagno a quest’ora?-
-Potrei farti la stessa domanda-
Ride, ma io non ci trovo nulla di divertente.
Riprendo fiato e gli lancio un’occhiataccia.
-Beh, non sono io quello che si fa una nuotata, perlopiù nudo alle quattro di mattina. Scommetto che è sempre un consiglio di Pat, eh?-
Non riesco a trattenermi, rido e a momenti affogo.
Mi tiene per un braccio e una volta che riacquisto un po’ di serietà, si allontana imbarazzato
 -Che hai? Ti urta che non indosso niente?- faccio in tono di sfida.
Con difficoltà riesco a vedere che fa qualcosa di strano.
I suoi boxer mi arrivano in faccia.
-Cos’hai detto ragazzina?-
Sto nuovamente affogando dalle risate.                  
-Probabilmente domani mattina avremo l’HIV, non penso sia igienico nuotare nudi in un lago-
Si avvicina ed io mi faccio un po’ indietro.
-Hai paura?-
Sbuffo.
-Dipende dalle tue intenzioni-
-Voglio solo riprendere i boxer, cosa pensi?-
Divento tutta rossa, per fortuna è buio.
Nuoto verso di lui e glieli passo.
Sembra sorridere, ma non ne sono del tutto sicura.
-E’ meglio tornare- dice dopo qualche istante.
-Sì, hai ragione. Ma io sono…-
-Non ti preoccupare, esco prima io e giuro che guarderò-
Fa la solita faccia da cretino ed esce dall’acqua, si gira e non mi degna di uno sguardo.
Avrei gradito una sbirciatina, ma niente.
Mi rivesto, il sole sta sorgendo e mi affretto a tornare da Mark.
 
 
 
Saaaalve a tutti, non pensavo che sarei mai arrivata tanto in là con i capitoli ahah.
Ringrazio tutti i lettori, recensori e chi segue la storia!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima c:

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Capitolo 13
*** Alcool e sport non vanno d'accordo ***


A metà strada tra biblioteca e casa mi accorgo di aver dimenticato gli appunti di matematica in classe.
Che palle.
Cambio strada e taglio per luoghi poco frequentati.
Arrivo dinanzi al liceo, dove nelle ore pomeridiane si tengono i corsi legati allo sport.
Sorrido quando vedo le ragazze pompon sgobbare sotto il sole, per fortuna non sono mai stata un’amante dello sport.
Entro velocemente in classe e raccolgo i miei fogli sparpagliati un po’ ovunque.
Al ritorno decido di passare per il campo di basket, lì almeno ho un po’ di riparo dal caldo.
A circa una decina di metri da me intravedo il coach protendersi in avanti e urlare contro un ragazzo.
Cerco di fare il giro più largo, non voglio mettermi nei casini, ma riconosco la risata.
Fresca, fragorosa e piena di vita.
E’ Tom.
Non riesco a fingere di non aver visto niente quando qualcuno gli sferra un destro su uno zigomo.
-Ehi!- urlo procedendo velocemente verso Tom.
Adesso l’attenzione è totalmente rivolta a me.
-Tu saresti?- chiede un ragazzo in tono più che acido.
Mi squadra dalla testa ai piedi e subito dopo sputa a terra come se volesse massacrarmi di botte.
Noto la sua corporatura robusta.
Il coach gli poggia una mano sul petto, come per tenerlo a bada, e l’intero gruppo scoppia a ridere.
Anche Tom ride, mi volto per lanciargli un’occhiataccia e mi rendo conto che è ubriaco fradicio.
-Cos’è successo?- domando ignorando il tizio che mi fissa.
-Si dia il caso che il sottoscritto si sia presentato ubriaco alla partita- mi spiega il coach.
-Ah, e questo dà il permesso ad un suo compagno di tirargli un pugno?- chiedo in tono sarcastico.
-E’ la millesima volta che succede, ho chiesto una sospensione immediata-
-Ma…- sto per ribattere quando Tom scoppia a ridere, ancora.
-Liam, com’è succhiare cazzi? Eh?- dice cantilenando.
-Vaffanculo DeLonge, ti spacco quella faccia da coglione- contesta il ragazzo insultato.
-Adesso basta! Voi due, fuori!-
-Ma non può cacciarlo!- obietto.
-Ah sì? L’ho appena fatto!- mi sbraita contro.
-Liam, Liam, Liam, si scopa anche…- non riesce a terminare la frase che un altro pugno lo stende a terra.
Mi pongo dinanzi al ragazzo.
-Smettila! Non vedi che non è in lui?!-
-E’ un coglione anche quando è sobrio- sputa per una seconda volta.
-Avanti ragazzi, dieci giri del campo- ordina il coach.
Resto allibita.
-E’ appena stato preso a… -
Ma a nessuno importa, così mi piego nel tentativo di sollevarlo di peso.
-Aspetta, ma tu sei Josie Harries, vero?- fa Liam in tono odioso.
Lo osservo, ha voglia di provocare.
-Ho sentito parlare di te, non sei quella che si scopava tutti e che spacciava? Che ne diresti di una bottarella eh? Dieci minuti al massimo-
Sorrido.
-Quanto mi dai?- mi mordo labbro.
-Quello che vuoi- sorride malizioso.
Scoppio a ridere.
-Sai, ci sarà sempre un parte di me smandrappata e un po’ puttanella, ma mi piace. Insieme alle altre parti di me, puoi dire la stessa cosa di te? O sei solo un porco che corre dietro una palla?-
Rimane in silenzio.
Lentamente carico Tom e lo faccio poggiare con la testa sulla mia spalla, sembra essersi ripreso così ci allontaniamo.
Lo porto nello spogliatoio e noto che la parte destra della faccia è completamente gonfia e sporca di sangue.
-Tom, ci sei?-
Sorride e per un momento il mio cuore sembra rallentare, ringrazio Dio che sia cosciente.
Mi dirigo verso l’armadietto delle emergenze mediche e tiro fuori una specie di bisturi.
-Okay, adesso questo ti farà un po’ male…-
Poggio la lametta sulla parte gonfia e incido un breve taglio.
Il suo volto si contorce in una smorfia di dolore.
Premo ai lati della piccola lacerazione e inizia uscire una marea di sangue, in compenso però il viso non sembra più sfigurato.
Prendo una fascia.
-Tieni premuto- ordino.
Annuisce con fatica.
Mi sciacquo le mani sporche di sangue e subito dopo gli disinfetto la lesione e gliela bendo.
-Ti sei cacciato in un bel disastro- dico tra me e me.
-Lo so- risponde.
-Sei stato espulso-
-Fanculo-
-Picchiato da Liam-
-Fanculo-
-E mi ha anche chiesto di scopare- dico ridendo mentre metto a posto tutte le cose che ho tirato fuori.
-Cosa?! Ora torno e…- tenta di alzarsi ma immediatamente si divincola su se stesso.
Comincia a vomitare.
-Oh cazzo-
-Sta’ fermo, hai preso una bella botta-
-Oh fanculo Josie- si poggia al muro.
Mi fermo dinanzi a lui.
-Cos’hai?- domando.
-E’ molto compassionevole come cosa-
-Il mio aiuto, essere picchiato da Liam o presentarsi ubriaco ad una partita di basket e venire espulso?-
Ho alzato la voce e lui sta sorridendo come un’ebete.
-Cosa c’è di divertente?- contesto tentando di rimanere seria.
-Niente- replica con aria vaga, come se nascondesse qualcosa.
Gli lancio un’occhiata.
-Che ne dici se torniamo casa?- propone.
-Sì, credo che sia un’ottima idea, hai bisogno di riposare-
-E anche di dire ‘’Ehi famiglia, sono stato espulso!’’- aggiunge con sarcasmo.
-Come la prenderà tuo padre?-
Scoppia a ridere.
-Non la prenderà, ormai è come se non fossi più suo figlio. Sono quello che ha perso tutte le speranze-
Ho l’impressione che provi a fregarsene, ma non ci riesce.
Ci incamminiamo verso casa sua.
-Sto cercando qualcosa di rassicurante da dirti- dichiaro ridendo, come per sdrammatizzare.
-Sì, l’avevo capito- conferma.
-Come?-
Ci fermiamo dinanzi il suo giardino.
Sospira e poi ridacchia.
-Beh, ti sei morsa la guancia per tutto il tempo e non hai mai alzato lo sguardo-
-E’ da questo che fai la tua deduzione?-
-Mi piacciono i particolari, tutto qui- spiega.
 
 
Eccoci qui, scusate l’attesa ma ho avuto un po’ di problemini ahah
Tom quindi viene espulso, cosa accaduta veramente durante una partita di basket, e come potete vedere Josie si trova a passare di lì.
Il titolo del capitolo è orribile, lo so, ma non avevo fantasia ahah cwc
Spero vi sia piaciuto, recensite anche solo per dirmi che il capitolo vi fa schifo o qualsiasi altra cosa!
Al prossimo capitolo c:

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Capitolo 14
*** Empatia ***


Apro gli occhi in pratica disorientata.
L’aria che respiro e consumata e c’è odore di frittura.
Mi sollevo sui gomiti e mi rendo conto di aver dormito su un divanetto.
Cerco qualcosa di vagamente familiare nella stanza e mi ritrovo a carponi sul pavimento circondata da bottiglie di vetro.
Il rumore che provoco spostandole è simile a quello prodotto da una sega elettrica.
Mi passo una mano tra i capelli e ci trovo qualcosa di appiccicoso.
Uovo?
Mi sale la nausea, che cosa è successo?
Mi alzo in piedi in cerca di qualche indizio e riesco a intravedere gli strumenti musicali di Mark e Tom abbandonati.
Sono nel garage.
Sul tavolo da biliardo giace la testa di Mini, per avvicinarmi al suo corpo inciampo in un pezzo di carta:
 
 
 
‘’Yeah my girlfriend
takes me home when I'm too drunk to drive
And she doesn't get all jealous
when I hang out with the guys
She laughs at my dumb jokes when no one does.’’
 
‘’And my girlfriend
Likes UL and DHC
And she's so smart and independent
I don't think she needs me
quite half as much as I know I need her
I wonder why there's not another
guy that she'd prefer
 
And when I feel like giving up
like my world is falling down
I show up at three a.m.
She's still up watching vacation
and I see her pretty face
It takes me away to a better place and
I know that everything,
everything's gonna be fine…’’
 
Ora ricordo, Mark aveva voluto farmi sentire la sua stupida canzone dedicata a me.
Non poteva scegliere persona più sbagliata.
Lascio cadere il foglio e torno a sedermi sul divano mezzo sfondato.
Mi copro il viso con le mani.
Giuda, Bruto, Cassio e Josie.
Alla fine faccio parte di quella categoria, i traditori o meglio conosciuti come degli stronzi.
Sono immersa nei miei pensieri quando Mini si sveglia.
-Oh Signore- esclama sollevandosi con difficoltà.
Ha tutto il trucco sfatto e i capelli sono un disastro.
Dondola avanti e indietro nello sforzo di dirigersi verso di me.
-Ho fatto un casino vero?-
Ride.
-Beh, hai solo fatto la psicopatica- spiega.
Merda.
Si butta al mio fianco.
-Dopo quella stupida canzone hai iniziato a comportarti in maniera strana, Mark se n’era accorto e ha provato a parlarti, ma tu… hai reagito male, molto male-
-In che senso?-
Sospira.
-Avevi l’aria sconvolta e subito dopo hai cominciato a piangere, allora ho detto a Mark e a Tom che forse era il caso di andarsene e così hanno fatto. Poi abbiamo bevuto, tanto, credo di non aver mai visto tanti alcolici in vita mia- annuncia cercando di ironizzare sulla situazione.
Le sorrido.
-Quindi? Qual è il problema?- mi incalza.
Non ho la forza di aprire bocca.
-Mini, io… io sono sbagliata, non mi si può dedicare una canzone. Sono una di quelle persone che fanno pochissima parte della vita degli altri e buona parte delle volte spezzo il cuore a chiunque mi circondi. Questo è garantito e… e io non so come spiegare questa cosa-
-Mark ti ama e tutti ti vogliono un gran bene, compresa me-
Mi sale un enorme senso di colpa.
-Ho baciato Tom- sputo tutto d’un fiato, proprio per dimostrarle che non sono adatta.
Silenzio imbarazzante.
-Tom? Tom, il nostro Tom?-
-Sì- confermo.
Mi aspetto una predica che non arriva.
-Beh, l’avevo capito…- dice sospirando.
-Cosa? Che vuoi dire?-
-Non saprei. Il modo in cui a volte ti guarda, sai credo si tratti di empatia-
-Non capisco- sto andando in panico.
-Dai, voi due vi capite, siete molto simili-
-Ma anche io e Mark siamo simili, no?-
-In maniera diversa, nel senso che a Mark piaci, Dio se gli piaci! Ma tu provi lo stesso per lui?-
La domanda che temevo più di qualsiasi altra cosa.
Ecco la nausea e i singhiozzi.
Nascondo il viso, come se fossi una bambina piccola.
Mi carezza la schiena.
-Non piangere, tu sei una ragazza tosta, non so come fai ad andare avanti nonostante tutto-
-La verità è che non lo so, non un cazzo di niente. Io non sono tosta-
Mi abbraccia.
-Io credo che tu lo sia, più di quanto non pensi-
 
Mark sta tagliando l’erba nel giardino canticchiando qualcosa.
Vado verso di lui, mi vede. Spegne il tosa erba.
Mi bacia non appena siamo poco distanti.
Ha già dimenticato tutto?
-Come mai da queste parti?-
Ci metto un po’ a rispondere, sono ancora un po’ confusa.
-Ho bisogno di parlarti-
Il suo sorriso ben presto si capovolge.
Ha l’aria seria e preoccupata.
-Okay, allora entriamo-
Mi fa accomodare in soggiorno e cerco le parole giuste ma non le trovo.
Mi osserva.
-Quindi?- m’incalza.
Mi faccio coraggio.
-Scusa per ieri-
-Non ti devi scusare, è tutto okay-
-No, io credo di non essere la persona giusta per te-
Ha la bocca spalancata.
-Cosa te lo fa pensare?-
-Prima o poi sparirò dalla tua vita e tu non avrai su che poggiarti-
-Non capisco-
-Non sono la persona adatta-
-Per me sì, Josie, sei perfetta-
Mi mordo il labbro inferiore.
-Mark, io non posso più… è difficile da spiegare ma penso che sia meglio finirla qui-
-Josie io ti amo-
BOOM. Morta, pugnalata al petto.
Abbasso lo sguardo sopraffatta dai sensi di colpa.
Non so cosa dire o come comportarmi, nel dubbio mi copro il volto con le mani.
-Ehi, va tutto bene-
-No! Non va tutto bene, anzi, fa tutto schifo-
-Josie, tu sei quello che fa per me-
Prendo la borsa e mi dirigo verso la porta.
-Devo andare ora o Michelle starà in pensiero e io…-
Mi afferra per un braccio, mi attira a sé e preme le labbra contro le mie.
Lo allontano.
-Non farmi pentire di ciò che ho appena fatto, ti prego-
Rimango un po’ confusa.
-Ti ho appena lasciato io- dico.
-Ma io ti sto lasciando andare, è peggio-
BOOM. Pugnalata alla schiena, colpo di grazia.
Trattengo le lacrime fissandomi le scarpe.
Potrebbe essere il più grande errore della mia vita.
Mi volto.
 
 
 
Saaaaalve, avrei pubblicato il capitolo prima se il sito avesse funzionata cwc
So che la rottura tra Mark e Josie è avvenuta in maniera improvvisa, ma ha un suo perché che verrà giustificato.
Per il resto spero che vi sia piaciuto c:
Al prossimo capitolo! C:

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Capitolo 15
*** Ospedale ***


I gridolini che provengono dalla camera di Rick mi distraggono.
Cancello l’errore fatto con la matita e cerco di concentrarmi.
Dovrei prendermi la camera di Lux, almeno non sentirei Anne e Rick.
Riesco perfino a percepire il materasso che cigola.
Rabbrividisco.
Squilla il telefono, prevedo che non risponderà nessuno se non lo faccio io.
Sbuffo.
-Pronto?-
-Parlo con Josie Harries?-
Sospiro.
-Già, sono io-
-Chiamo dall’ospedale di Poway, a nome di Minerva Fontaine-
Mi sento impallidire.
-Cos’è successo?- ho alzato la voce di qualche ottava.
-Potrebbe raggiungerci quanto prima possibile?-
-Certo, arrivo-
Chiudo la telefonata e mi precipito per le scale.
 
Quando qualcosa mi sfiora la spalla, apro gli occhi di soprassalto.
-Tieni-
Un’infermiera mi porge una tazza di caffè.
-Oh, ehm, grazie- dico sistemandomi meglio sulla sedia.
-Da quando sei qui?-
Si pone al mio fianco mentre cerco un orologio.
-Tredici ore-
-Avresti bisogno di stenderti- suggerisce lei.
-Oh no, aspetto che Mini si svegli-
-E’ in camera, se vuoi, posso farti entrare, solo per poco però-
Sorrido.
-Magari-
Senza farsi notare la donna apre la porta.
-Stefan!- sbotta improvvisamente.
Mi affaccio.
Mini è circondata da fili e monitor che producono strani suoni a brevi intervalli, al suo fianco c’è Stefan che è poggiato con la testa sul lettino.
-Corinne, capiscimi, è l’amore della mia vita- spiega facendo spallucce.
Lei sbuffa e mi lascia entrare uscendo subito dopo.
-Cosa ci fai qui?-
-Mi ha chiamata l’ospedale, tu?-
-Corinne-
Gli lancio un’occhiata interrogativa mentre mi getto sulla poltrona posta al fianco del lettino.
-E’ mia sorella e fa l’infermiera, mi ha chiamato non appena…- aggiunge.
Annuisco, sembra davvero inquieto e sul punto di crollare.
Le stringe la mano.
-Sai che ha?- domando.
-No, almeno per ora non si sa niente-
-Dovremmo chiamare gli altri-
-Già, probabilmente più tardi-
Vedo le palpebre di Mini muoversi, mi avvicino.
-Mini?-
Lentamente apre gli occhi, sembra sorridere.
-Ehi- dice con fatica.
Si volta e non appena incontra il viso di Stefan resta come paralizzata.
Lui indietreggia lasciandole la mano.
-Scusa io stavo solo…- si allontana imbarazzato –Sono felice che ti sia svegliata-
Esce dalla camera.
-Cosa ci faceva qui?- mi chiede, non capisco se sia felice o turbata dalla sua presenza.
 -L’infermiera è sua sorella, Corinne-
-Cazzo, è vero, me n’ero completamente dimenticata che…-
-Come sei finita qui?- le chiedo senza lasciarle il tempo di terminare la frase.
Mi fissa.
-Stavo nella vasca da bagno e mi sono sentita male-
-Male come?-
-Ho avuto solo un mancamento-
-Non dirmi stronzate Mini-
-E’ vero- afferma con tono affaticato, lascio perdere.
So che non è in grado di sostenere ansia o altre preoccupazioni.
-Okay okay, perché mi hai fatto chiamare?-
-Tu sei l’unica a cui importa-
Improvvisamente entra il medico, ha l’espressione di chi ha appena avuto una giornataccia.
-Scusate l’interruzione ma avrei delle comunicazioni importanti da fare-
Faccio cenno di sì e noto comparire un velo di angoscia sul volto di Mini.
-Allora, dalle analisi del sangue risulta la presenza elevata di alcuni medicinali che vengono classificati come anti-depressivi-
Mi fisso le scarpe e spero che non ci sia niente di grave.
-Probabilmente è stata quella la causa della perdita dei sensi, adesso le devo fare una domanda alla quale deve rispondere sinceramente Minerva, okay?-
-Sì-
-Da quando tempo non hai le mestruazioni?-
-Quattro mesi-
Le lancio un’occhiataccia.
-Va bene, facendo due più due e soprattutto per mezzo delle analisi e altre cartelle, abbiamo notato che dall’aborto a oggi sei dimagrita di ventitré chili, l’uso di anti-depressivi ha quindi confermato la mia supposizione, ovvero la dismorfofobia-
-E’ grave?- domando ansiosa.
-Assolutamente no, è semplicemente causata da mancanza di autostima, ma può portare all’anoressia nervosa e quindi alla bulimia, perciò è necessario intervenire subito con una terapia di gruppo-
-Cosa?! Mi rifiuto-
-Mini…- cerco di parlare.
-No- m’interrompe.
-Perché no?-
-A nessuno importa che sono una fottuta stronza bulimica-
-A me sì e anche a Stefan come hai potuto vedere, a tutti importa-
Sospira.
-Ci penserò su dottore, grazie-
L’uomo esce in silenzio.
-Perché tutto questo?-
-Sai quando vuoi una vita perfetta e poi cambia qualcosa e tutto sembra precipitare? Ecco perché-
Sta piangendo.
-Hai solo sedici anni, non puoi punirti per ciò che è accaduto in passato. Non è stata colpa tua il divorzio dei tuoi, né l’aborto-
Qualcuno bussa alla porta.
Entra Stefan.
-Cosa vuoi?-
-Sempre gentile, eh? Comunque c’è una sorpresa per te-
Improvvisamente vedo Anne, Mark, Rick, Lux e Tom comparire nella stanza.
-Cosa diavolo…?- esclama non appena se li ritrova davanti.
Sul suo volto scavato e quasi irriconoscibile compare il suo sorriso luminoso.
Lux le tira un colpetto sulla spalla.
-Pensavo mi odiassi- commenta Mini.
-Naah, credo di volerti molto bene invece- fa Lux abbracciandola.
Stefan e Anne restano in disparte, fino a quando Anne scoppia a piangere.
-Oh Mini, non hai idea di quanto io sia stata…-
-Va tutto bene- risponde lei in tono amichevole.
Cerca di sollevare le braccia come per abbracciarla e Anne ci si fionda.
Mi sento di troppo e decido di andare in corridoio.
Sulla stessa sedia dove ho passato circa tredici ore c’è Stefan, mi avvicino.
-Grazie a Dio sta bene- annuncia massaggiandosi le tempie.
-Già, perché non entri?-
-Oh no. Mi odia, non voglio rovinarle questo momento-
Scoppio a ridere.
-Credo che tu le piaccia-
Adesso lui sta ridendo.
-Se solo gli piacessi minimante, non mi tratterebbe così- afferma abbattuto.
-Si è solo bruciata, tutto qui-
-Che lingua parli?-
-Idiota, intendo dire che le devi dare tempo per guarire, si tratta di autodifesa-
-Quindi mi stai dicendo che ha paura che io possa ferirla come ha fatto Shon?- chiede.
Gli rispondo con un cenno.
Rimaniamo in silenzio, probabilmente entrambi persi nei propri pensieri.
 -Ti va di entrare con me?- domanda dopo qualche istante.
-Okay-
Lo accompagno nella stanza, le lacrime che prima erano di disperazione sono mutate in gioia.
Vorrei parlare con qualcuno ma ho paura di iniziare ad urlagli contro, come è accaduto con Mark, perciò in una frazione di secondo in cui Tom si pone al mio fianco, mi ritrovo a stringergli la mano quanto più forte possibile.
 
 
Salve a tutti, come al solito ho provato ad aggiornare quanto prima c:
Già dai capitoli precedenti avevo fatto notare che Mini non mangiava molto, soprattutto nel settimo (quello in cui vomita…).
Aggiornerò quanto prima!
Spero vi sia piaciuto e al prossimo capitolo! C:

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Capitolo 16
*** Fiera di Poway ***


Cammino tra la folla e spero di non essermi persa.
Le stupide indicazioni di Rick non sono servite a nulla.
Non so nemmeno dove o cosa sia la casa degli specchi.
Sbuffo e mi fermo nel mezzo, indecisa se tornare indietro no.
-Ti sei persa?-
Mi giro e mi ritrovo a qualche centimetro da Tom.
-No, è che… la confusione mi… ecco, io…-
-Ti sei persa- afferma ridendo.
-Già-
Faccio un sorriso imbarazzato.
-Okay, seguimi-
-No, torno a casa-
-Cosa?-
-Sì dai, tanto ormai è tardi, tu raggiungi gli altri-
Mi volto.
-Aspetta, non puoi andartene così, insomma, è la fiera di Poway-
Sospiro.
-Che ne dici di un giro sulla ruota panoramica?-
Solleva il sopracciglio con il suo fare idiota.
-Oh no-
-Hai paura di un giretto a qualche metro da terra?- domanda beffardo.
-Qualche metro? Solo?- ribatto acida osservando la giostra dinanzi a noi.
Il solo pensiero di stare così in alto mi da la nausea.
-Avanti, solo un giro e poi sarai libera di andartene-
Sbuffo.
-Solo uno e se provi a fare il cretino mentre siamo lassù, giuro che ti uccido- lo avverto seria.
Scoppia a ridere.
 
-L’hai sentito?- domanda Tom mentre siamo fermi.
-Cosa?- cerco di mantenere la calma.
-Lo scricchiolio, non l’hai sentito?-
-Fanculo Tom, non è divertente-
Ride.
-Vuoi aprire gli occhi?-
-No-
-Ma è una giostra panoramica, capito? Panoramica- sottolinea.
-Soffro di vertigini- spiego respirando lentamente.
Sbuffa.
-Dai, non fare il bambino piccolo-
Sollevo una palpebra.
-Ma siamo altissimi!- urlo.
Poggio la testa sulla sua spalla e lui scoppia a ridere.
-Stai perdendo-
-Non è vero, sono salita. Ho vinto- sollevo il volto.
-Stai zitta- mi copre il viso con la mano e mi spinge lontano da lui.
Scoppio a ridere.
-Ti irrita perdere?- dico sfottendolo.
-No-
Ha l’aria pensierosa.
-E allora cosa?- chiedo preoccupata.
-Hai vinto e questo implica che dopo sarai libera di andartene-
Si gira dall’altra parte ed io mi sento sprofondare nell’imbarazzo.
Mi mordo il labbro.
-Oh, beh, prima ho visto un tendone con dei giochi e se vinci ti danno un peluche… e c’era una specie di orsetto lavatore che…-
-Vuoi un orsetto lavatore?-
-Se riesci a vincerlo…-
Sorride e per un istante gli brillano gli occhi.
 
Il tendone è pieno di ragazzi che tentano di vincere premi per le proprie fidanzate.
-Dov’è il tuo stupido procione?- domanda.
-Orsetto lavatore- lo correggo indicanglielo.
-Quant’è a partita?- chiede al proprietario.
-Cinque dollari, tre tentativi-
Scoppia a ridere.
-Ne sei davvero sicura?-
-Sì-
Sorride e poi scuote la testa.
-E va bene, ecco-
Non riesco a contare quante volte fallisce.
-Ma non giocavi a basket?-
-Sono stato cacciato dalla squadra-
Rido.
-Non fa niente- dico quando perde per l’ennesima volta.
Mi lancia un’occhiataccia.
-E’ imbarazzante, cioè, è uno stupido procione!- sbraita.
-Non importa e comunque è un orsetto lavatore-
Esplode in una rumorosa risata.
-Okay, quanto vuole per quel peluche?-
-Tom, ma è un…-
-Non è in vendita, bisogna vincerlo- risponde il tizio con aria presuntuosa.
-Josie, perché non ti prendi dello zucchero filato?-
-Ma...- provo ad obiettare.
-Sta’ zitta e vai-
Mi allunga una banconota.
Infuriata gliela strappo dalle mani e mi allontano.
Quando torno lo vedo che sta ancora parlando con il tizio del tendone.
Mi avvicino e lui mi pone davanti gli occhi il peluche che avevo tanto desiderato.
-Come la mettiamo adesso?- fa mentre ci spostiamo.
-Non era necessario- ribatto.
Sul viso ha stampato un sorriso leggero e sereno.
Stringo il peluche tra le braccia mentre lui mangia lo zucchero filato.
-Grazie- bisbiglio.
Solleva le spalle.
-Siamo due a uno- annuncia con soddisfazione.
-Cosa?-
-Io ti ho vinto il peluche e ti ho trovato quando ti eri persa, tu hai solo fatto un giro su una giostra-
-E quindi?- lo incalzo per vedere fino a dove vuole arrivare.
-Devi darmi qualcosa, altrimenti tocca decidere a me- dichiara con aria teatrale.
-E cosa vorresti?-
-Voglio solo sapere una cosa-
Scoppio a ridere, mi sarei aspettata di peggio.
-Che c’è?- domanda un po’ offeso.
-Niente, scusa. Avanti, spara-
Calcia un sassolino e si porta le mani nelle tasche del jeans.
-Tra te e Mark è finita definitivamente o…?-
-Perché?-
-Non lo so, una curiosità-
-Credo che sia finita-
Non ne sono del tutto certa ma ho l’impressione che stia sorridendo e senza rendermene conto lo sto facendo anch’io.
Attiro il suo volto al mio, per un momento esito, ma poi lo bacio.
Lui resta fermo, lascia che sia io a fare tutto e quando ci separiamo lui torna ad abbassare lo sguardo.
-Perché l’hai fatto?-
-Ora siamo pari- rispondo.
Sorride e fissa il cielo, ormai troppo buio.
Non faccio in tempo ad allontanarmi che ormai ci stiamo baciando.
Così non va, cazzo.
 
 
 
Saaaaaaalve, scusatemi l’assenza ma il computer fa schifo ahah
Comunque, è un capitolo un po’ sdolcinato e stupido, anche senza senso ecco.
Però, mi è venuto spontaneo scriverlo ahah
Spero vi sia piaciuto!

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Capitolo 17
*** Giornataccia ***


Non riesco a pensare a nient’altro se non a quanto la mia esistenza sia un disastro.
Invece di prendere appunti, scarabocchio su un foglio frasi stupide o cose senza senso.
E’ strano, pensavo che con Mark il nostro rapporto sarebbe cambiato, al contrario pare essersi rafforzato ed io non so se è una cosa positiva o meno.
Il vero problema è Tom.
Ogni volta che rimaniamo soli ci troviamo avvinghiati, certo non ci siamo mai spinti oltre ma la situazione comincia a preoccuparmi.
Ho paura che possa succedere come con Mark e non posso rischiare di creare casino con altre persone.
Mi arrivano diverse palline di carta che puntualmente ignoro.
-Josie?-
E’ come se fossi assente.
Sollevo lo sguardo.
Il signor Deaver mi fissa con aria preoccupata.
Sono disorientata.
-Sì, scusi, ero distratta- spiego voltando pagina per nascondere i miei scarabocchi.
Il professore si allontana e Tom mi scruta.
-Che ti è preso?- bisbiglia sporgendosi verso di me.
Faccio spallucce, neanche io riesco a capacitarmi.
Non appena termina la lezione, caccio fuori dalle tasche una sigaretta.
-DeLonge, potresti venire un momento?- chiede Deaver.
Tom si avvicina all’uomo che siede sulla cattedra.
-Sono uno dei pochi docenti che si è battuto per non espellerti definitivamente, lo sai? Non credo che quindi lanciare delle stupide palline di carta durante la lezione ti faccia onore- dichiara.
Con molta calma, subito dopo, compila il modulo per la punizione e per tutta risposta riceve un sorriso beffardo da parte di Tom.
-La motivazione?- lo incalza.
-Disturbo della lezione e scarsa attenzione, DeLonge- fa presuntuoso.
Lui sbuffa, prende le sue cose e si ferma dinanzi la porta.
-Ci vediamo dopo- annuncia rivolgendosi a me.
Mi sono accesa la sigaretta senza accorgermi che Deaver è ancora in classe.
-Josie, i tuoi test di fisica, scienza e chimica sono davvero… spettacolari-
Arrossisco.
-Grazie-
-Ti piacciono molto come materie, vero?-
-Beh, sì… normale-
Faccio un altro tiro.
-Ho portato del materiale, ti piacerebbe fare qualche problema?-.
 
Non so di preciso per quanto tempo svolgo operazioni, non so nemmeno perché lo faccio o il motivo per cui siano davvero troppo semplici.
Il sole sta tramontando e suppongo che la scuola sia vuota.
-Signor Deaver potrei andare?- chiedo posando il gesso.
-Certo, però prima vorrei porti una domanda-
Raccolgo la borsa da terra.
-Ti vedo un po’ confusa in questo periodo, come mai?-
Faccio una breve pausa prima di rispondere.
-C’è qualcosa che non va?-
-Solo stanchezza, nulla di che-
Mi massaggio una tempia nell’attesa di andarmene via.
-Solo?-
Cosa vuole? Che gli racconti la mia vita?
Mantengo la calma.
-Apprezzo molto il suo interessamento, ma sono davvero stanca e…-
-Josie, una ragazza come te non dovrebbe mai stancarsi-
Si alza dalla cattedra.
-Sei piena di potenzialità e doti, sei una delle mie alunne preferite-
Inizio ad avere una brutta sensazione, indietreggio.
-Grazie, ora devo proprio…-
Mi sfiora il viso con una mano ed io mi sento la nausea avanzare.
Continuo ad arretrare nella speranza di trovare una via d’uscita.
Sono contro la porta e disperatamente tento di muovere la maniglia.
Le sue mani circondano la mia e la sua bocca si pone sul mio orecchio.
-Josie, dal primo istante che ti ho vista ti ho desiderata- sussurra.
Sono paralizzata.
I nostri volti sono a poca distanza, ma lui non vuole carezze o baci, no.
Un rumore metallico proviene dal basso.
E’ la sua cintura che é appena stata slacciata.
Subito dopo una zip viene aperta.
Non posso, non quando mi sto ricostruendo una vita.
-La prego…- supplico.
Brutti ricordi affiorano nella mia mente.
Le lacrime inondano il mio viso e con tutta la forza che ho in corpo, lo spingo lontano da me.
Sembra sorpreso dalla mia reazione, quasi eccitato.
Con una mossa competente mi tira i capelli nella sua direzione.
Sbatto la fronte contro la cattedra nel tentativo di divincolarmi.
Mi solleva per la testa.
-Josie, non bisogna provocare un…-
Gli sputo in faccia.
Mi strattona un’altra volta e mi ritrovo piegata in due sul freddo pavimento.
Un forte colpo mi arriva diritto nello stomaco e spero di morire prima che riesca a finire l’opera.
Mi poggio sui gomiti e riesco a tirargli un calcio in pieno viso.
Lui grida ed io mi alzo.
Zoppicando prendo le chiavi della porta e mi precipito fuori.
I corridoi sono bui e se non faccio in tempo a uscire potrebbe anche raggiungermi.
Inciampo per le scale del cortile e sento un liquido caldo colarmi dalla fronte.
Mi giro e vedo la strada isolata.
Continuo a muovermi velocemente e sento che mi mancano le forze.
Tasto la lesione sul volto nel tentativo di bloccare una possibile emorragia.
Perché c’è così tanto male nelle persone?
Perché a me?
Non posso andare all’ospedale poiché chiamerebbero Michelle.
Ergo, non posso tornare a casa.
Rifletto mentre continuo a spingere il mio corpo lontano dal liceo ed ho un’idea improvvisa: il garage.
Avrei passato lì la notte.
Arrivo nel giardino di Mini, prendo le chiavi da sotto lo zerbino e sollevo il grande portone di ferro.
Lo alzo quel tanto che basta a strisciarci sotto.
Sono nell’oscurità più totale.
Avevo giurato a me stessa che non mi sarei mai più lasciata toccare in quel modo.
Sono forte, okay, ma non di pietra.                 
Mi sposto nell’altra estremità della stanza e raggiungo il bagno.
Non ho nemmeno il coraggio di vedere com’è diventato il mio volto.
Poggio la testa sulla parete e esplodo in un pianto corrotto.
 
Un tonfo mi fa sobbalzare.
Resto immobile, anche se lo volessi, non riuscirei mai a spostarmi.
Passi leggeri si muovono nella stanza.
Riesco a vedere un fascio di luce che penetra nelle piccole quattro mura in cui mi sono chiusa.
Tento di sollevarmi, ma il mio bacino si lamenta facendomi crollare a terra.
-Chi c’è? Oh, cazzo-
Trattengo il respiro e quando la porta che ho dinanzi si spalanca.
La luce mi acceca costringendomi a coprire il viso.
-Josie!-
Mini si butta al mio fianco e mi prende le mani.
-Che ti è successo?-
-Non chiamare nessuno- la prego.
-Josie…-
-Giuramelo, non chiamare nessuno-
 Riesco a vedere che è combattuta ma fa cenno di sì con la testa.
L’ultima cosa che sento è il rumore che fa la mia testa mentre sbatte sulle mattonelle del cesso.
 
 
 
Salveee, allora su questo capitolo non so bene cosa dire ahah
Spero che comunque vi sia piaciuto!
Un forte abbraccio e al prossimo capitolo! C:

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Capitolo 18
*** Complicazioni ***


Spero che sia solo un incubo, ma so bene che non è così.
Vedo Mini che siede per terra, mi tiene la mano.
Fuori piove, riesco a percepire il suono della pioggia battere sul tetto.
-Josie, che diavolo è successo?-
Mentre cerco una scusa qualcuno bussa alla porta.
-Mini? Sono Tom-
Cazzo.
Le lancio un’occhiata supplicante.
-Tom, non è un buon momento-
-Tutto apposto?-
-Sì, certo-
-Avrei bisogno di un posto per dormire-
Lancio un grido nel tentativo di spostarmi.
-Mini?!-
Mi vomito addosso.
-Merda-
Mini corre verso l’entrata.
-No!- urlo con tutte le mie forze.
-Mini, apri immediatamente!-
Vedo che è combattuta, ma fa ciò che reputa più giusto.
Tom irrompe nella stanza come un tuono.
-Oh cazzo- esclama osservando il sangue per terra.
Mi squadra impallidito.
-Cosa le è successo?-
-Niente- rispondo per Mini.
-Niente? Niente?! Hai la faccia completamente zuppa di sangue e tu lo chiami niente?!- sbraita.
-Tom, non è in forze!-
E’ infuriato, si passa una mano tra i capelli e si avvicina.
-Chi è stato?-
Lo fisso.
-Josie, chi è stato?- ripete.
Non parlo.
-Tom, è stanca lasciala…- Mini prova ad allontanarlo.
-Dio Josie, come puoi pretendere di vivere se non permetti a nessuno di aiutarti?!-
Mi alzo anche se con forti dolori.
-Io non ho chiesto il tuo aiuto!- replico a tono.
-Ma non vedi che a stento riesci a prenderti cura di te stessa?!-
-Infatti mi sembra di essermela cavata fino ad ora, che dici?- ribatto sarcastica.
-Con droga e alcool?! Ah, cazzo. Se facessimo tutti così allora saremmo messi bene! Perché non accetti che a qualcuno possa importare di te!-
-A nessuno è mai importato qualcosa di me! Nemmeno ai miei genitori! Mia madre si è suicidata e mio padre mi metteva le mani addosso in qualsiasi modo! Eppure, sono sopravvissuta senza l’aiuto di nessuno-
Capisco di aver detto troppo quando Mini e Tom mi scrutano preoccupati.
Mini si porta una mano sulla bocca, è sconvolta.
-E non mi guardate con quell’aria compassionevole!- grido.
Mini si accascia a terra.
-Ehi, che ne dici di andare a dormire? Sono le dieci passate, ci penso io a lei- le propone Tom con dolcezza.
Fa cenno di sì con la testa e avanza verso l’uscita.
Mi sento in colpa, lei mi ha soccorso ed io l’ho ripagata trattandola in malo modo.
Tom prova ad avvicinarsi.
Lo spingo via.
-Josie…-
-No!-
-Perché no?-                 
-Io…io, non…-
Mi mancano le forze e cado a terra.
Tom si precipita giù con me.
-Anche tu hai bisogno di dormire- annuncia prendendomi tra le sue braccia.
Mi fa sdraiare sul divano e si pone al mio fianco.
Singhiozzo.
-Ascolta, hai bisogno di qualcuno che si occupi di te e te lo prometto, io ci sarò sempre-
Nascondo il volto tra la sua maglietta, mi stringe forte.
-Josie, dimmi chi è stato- implora.
-Giurami che non farai nulla-
Sospira.
-Okay, lo giuro-
Mi faccio coraggio.
-Il signor Deaver-
Sento il suo battito cardiaco accelerare.
-Ecco perché ti ha trattenuto in classe, avrei dovuto…-
-Non c’entri niente, la colpa non è di nessuno-
Mi scruta.
Prende una ciocca dei miei capelli e inizia a giocarci.
-Non te l’ha… voglio dire, ehm… messo dentro?-
-Non sono così facile- spiego sarcastica.
-No, io intendevo se, insomma, ti ha stuprata…-
-No, non ci è riuscito-
Annuisce.
-Lo denuncerai?-
-Sei pazzo?! L’ultima volta che ho denunciato qualcuno sono finita quasi in un manicomio. Non mi crederebbero mai-
-Perché non dovrebbero darti ascolto?-
-Ho la fedina penale sporca-
-Beh, anche io e…-
Mi lancia un’occhiata.
-Sì, hai ragione-
Mi giro.
Il suo cuore batte all’impazzata.
Gli prendo una mano e la stringo forte.
-Non devi angosciarti a causa mia, finirò con il ferire qualcuno-
Sorride.
-Che cos’è? La prima regola di uno spezza cuori?-
-Il tuo sarcasmo mi urta-
-Mi piace infastidirti, te lo dico sempre-
Provo a sorridere, ma mi tira la faccia e finisco col fare una smorfia.
-Mi piace anche quando ti mordi la guancia o il labbro, quando ridi, quando fissi qualcosa e sembri catapultata in altra dimensione, sei bella anche quando piangi o quando sei piena di lividi…-
Il mio volto è in fiamme e il cuore a mille.
Mi accosto al suo volto.
I respiri diventano affannosi.
Lentamente si sposta sul mio corpo, la sua delicatezza è impressionante.
Per un momento esita, gli circondo il collo con le mani e lo spingo verso di me.
Le nostre labbra si fondono, mi manca l’aria.
Mi sfiora il bacino ed io mi sento rabbrividire, i vestiti cadono a terra in maniera confusa.
Lo vedo sorridere.
Chiudo gli occhi e non posso fare a meno di lasciarmi abbandonare a una sensazione di quasi felicità.
 
Tom mi fissa poggiato su un gomito.
Mi copro il volto.
-Ti prego- dico ridendo.
-Cosa?-
-Non mi guardare-
-Perché?-
-Sembri un maniaco-                 
Fa una faccia idiota ed io scoppio a ridere.
-Come ci siamo finiti sul pavimento?- domando.
-Abbiamo definitivamente sfondato il divano- annuncia.
Osservo i vari cuscini e indumenti buttati a caso.
Gli afferro un ciuffo di capelli neri e lo attiro verso di me.
-Vuoi demolire il garage di Mini?- fa lui ridendo.
-Tutta la casa-
Siamo ormai nel bel mezzo del rapporto che Mini appare dal nulla.
-Oh cazzo- esclama.
Mi accovaccio sopra Tom tentando di coprirmi con la coperta.
Tom si volta.
-Buongiorno-
-Okay, vi do dieci minuti per finire…quello che… oh fanculo, avete dieci minuti!-
Esce dalla stanza come se avesse trovato un cadavere.
Tom mi lancia un’occhiata persuasiva e mandiamo a farsi fottere i dieci minuti.
 
 
 
Scusate il ritardo come al solito!
Non so bene cosa dire su questo capitolo, alla fine è il seguito dell’altro, spero che vi sia piaciuto!
Un forte abbraccio e alla prossima! C:
 
                 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Questione di luna ***


Mentre cammino per la strada, mi accorgo di fissare il cemento come se cercassi una risposta.
Ho fatto bene con Mark?
E Tom? Che cazzo c’è tra di noi?
Sempre che possiamo definirci con un noi.
Mi sposto abbastanza velocemente e mi rendo conto di trovarmi non so dove.
E’ un vicolo piuttosto stretto e poco abitato.
Continuo lo stesso.
-Ehi, ma guarda guarda…-
Liam, il ragazzo che ha picchiato Tom mi sbarra la strada con un braccio.
Lo fisso con odio profondo.
-Che vuoi?- domando stringendo i denti.
-Tu mi devi qualcosa- dice con fare da lupo.
-Lasciami stare-
Provo a passare ma la sua forza è di gran lunga superiore alla mia.
-Hai presente il Signor Deaver? Bene, è mio padre, e chi fa la troietta con mio padre è una  troietta morta-
Faccio una risata acida.
-E quindi? Vuoi riempirmi di botte come ha fatto lui?-
-Beh, qualcuno deve pur pagare per i suoi sei punti al naso-
Grandioso.
 
Sono con la testa spiaccicata sul cuscino, quel poco di sangue che mi esce dalle labbra non è niente in confronto ai lividi sullo stomaco.
Qualcuno è entrato in casa, sento i passi.
A questo punto spero che sia un serial killer o qualcosa di simile, facciamola finita una volta per tutte.
-Josie?-
Merda, è Tom.
Mi nascondo sotto il lenzuolo.
Entra ugualmente e si siede sul letto, la sua mano mi percorre tutta la coscia.
-Giochi a nascondino o cosa?- chiede ironico.
-Non mi sento bene- dico affinché se ne vada.
-Che hai?-
-Uhm, nausea- rispondo con prontezza.
-Allora vedrai che un po’ di…- solleva il telo e la sua espressione si fa viva di rabbia.
-E’ stato ancora Deaver?-
Si alza, è una bestia.
-Adesso basta, gli spacco la faccia-
-No!- urlo tentando di fermarlo.
-Dio, Josie. Non puoi continuare a prendere le botte per sempre, è finita quella parte della tua vita, okay? E’ ora che tu guarisca ed io ammazzerò chiunque si metta d’intralcio-
Da una parte ha ragione, eppure temo che possa accadergli qualcosa di brutto.
Sta scendendo le scale.
-Tom!-
Si volta.
-Stai attento e…-
Mi fissa con aria interrogativa.
Lo raggiungo, non m’importa dei dolori allo stomaco o al labbro rotto.
Lo bacio, lo bacio come se non avessi mai baciato nessun altro.
Premo la sua testa contro la mia e lo stringo talmente forte a me che mi fa male qualsiasi parte del corpo.
Quando ci allontaniamo, mi sorride come se fosse un bambino.
-Ci vediamo dopo- dice.
-Torna-
-Sempre-
Chiude la porta.
L’attesa è stressante, non so di preciso cosa sia andato a fare o se sia da solo.
Michelle mi porge un po’ di carne, faccio cenno di no.
-Josie, tutto bene?- nota Phil.
Annuisco.
Mi lanciano occhiate stranite.
-Forse hai bisogno di riposare, vieni- interviene Lux.
Ci spostiamo dalla  sala da pranzo alla camera da letto.
Mi abbraccia.
-Vedrai che non succederà niente-
Fa un sorriso rassicurante.
Mi copro il volto con le mani.
-Se solo dovesse…-
-Non gli accadrà nulla-
Poggio la testa sulla sua spalla.
Rick invade la stanza come un terremoto.
-Dove teniamo la mazza da baseball?- chiede senza accorgersi del clima angosciato che c’è.
-Che cazzo ne so- risponde Lux scocciata.
-Perché?- domando.
-Ha chiamato Tom-
-E?- tento di incalzarlo.
-Andiamo a prendere a botte Liam Deaver-
-Cosa?!- sbraitiamo contemporaneamente Lux ed io.
Mi sento sbiancare.
Non può essere così stupido.
 
Con una semplice scusa (pigiama-party) riusciamo ad andare nel garage di Mini.
L’idea è stata di Lux, ovvero bere e tentare di svagarci in assenza dei ragazzi, ma ogni volta che un tuono fa vibrare la parete sento come il bisogno di controllare.
-Tieni- Anne mi passa una bottiglia.
-Oh, ehm, no-
-Avanti, un sorso-
Mini e Lux mi incitano.
-Ascoltate, apprezzo tutto quello che state facendo ma…-
Il rumore della sonora risata di Mark mi fa saettare all’ingresso, sollevo la parete di metallo e mi butto fuori.
La pioggia mi bagna il volto e gli indumenti.
Riconosco il profilo di Tom ma non corro verso di lui come se ci trovassimo in un film. No.
Lo vedo e quando mi nota rimaniamo entrambi immobili.
Vorrei andare lì e stringerlo forte ma non lo faccio.
-Allora?- prorompe Lux.
-Liam non era solo…- annuncia Stefan.
Tom si fa avanti di qualche passo, ha il naso ricoperto di sangue che cola fino al mento.
Senza rendermene conto stringo tra le mani il suo volto.
-Non è niente di…-
Scruto la sua espressione, un misto di dolore e stanchezza.
-Devi sciacquarti la faccia-
Lo costringo a seguirmi e lo porto bel bagno dove poche settimane prima ero svenuta.
Mi richiudo la porta alle spalle e faccio scorrere l’acqua nel lavandino per creare un po’ di confusione.
Lui mi fissa poggiato al muro.
-Lo sai che sei un coglione irresponsabile?- dico seria.
Solleva gli occhi al cielo.
-Sapevo che ti saresti incazzata- ammicca.
Vorrei fracassargli il cranio sulla tavoletta del cesso.
Mi volto ed inumidisco un asciugamano con l’acqua fredda.
La stanza è estremamente stretta e l’aria è umida.
Sto quasi per posargli il panno sul viso, ma i suoi occhi mi distraggono e attirano sempre più verso di lui.
-Stiamo facendo un bel casino - mormoro non appena i nostri nasi si sfiorano.
Scoppia a ridere.
-Ne abbiamo fatti troppi, uno in più che cambia?-
Esito per un istante.
-Josie, segui il tuo corpo… i tuoi feromoni o… quelle cazzate lì, insomma, ignora il resto-
Mi fa sorridere.
-Il miglior modo per non avere un cuore spezzato è pretendere di non averne uno- ribatto allontanandomi.
-E se ti dicessi che sei la mia luna?-
Soffoco una risata.
-La tua che?- chiedo ironica.
-La mia luna, sai, il sole vede solo l’aspetto e tutte le ragazze che ho avuto fino ad ora hanno notato solo quello. Ma tu, cazzo Josie, tu sei la luna. Solo la luna vede l’anima delle persone ed io credo di amarti.
Ti amo, davvero tanto. E sei La Mia Luna, staremo okay insieme perciò lasciati amare-
Le sue parole si insinuano nella mia mente come le note di una canzone.
Intreccio frettolosamente le dita tra i suoi capelli, sento il sapore del sangue nelle nostre bocche.
-Dovresti dire qualcosa- dice ansimando.
-Ti voglio, ti voglio sul serio-
E così inizia una pioggia di vestiti.
 
 
Saaalve, eccosi qui. Beh, che dire? Come avete potuto vedere Liam è il figlio di Deaver e Josie è costretta a passarci i guai (e anche Tom)
Per il resto spero che la fine non sia stata troppo sdolcinataesenzasenso cwc
Spero che vi sia piaciuto, un forte abbraccio e al prossimo capitolo! C:
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Andiamo via ***


Sono nel giardino di Tom, fumo una sigaretta nella speranza di vederlo uscire da lì.
Mark mi ha detto che ha il virus e non sta molto bene, balle.
Butto via la cicca e mi faccio coraggio.
Non lo vedo da qualche giorno e alla fine, anche se sta davvero male, non m’importa tanto del contagio, voglio stare solo un po’ con lui.
Oltretutto la scuola è finita da una settimana.
Busso alla porta, sento dei passi e movimenti confusi.
-Uh, ma ciao, come mai da queste parti?- fa Shon con aria sorpresa.
-Sono qui per Tom, mi hanno detto che non sta molto bene- dico un po’ infastidita dalla sua presenza.
-Non puoi vederlo-
-Cosa?-
-Non puoi vederlo-
Entro lo stesso, ignoro quello che dice Shon, salgo le scale e corro verso camera sua.
E’ steso sul letto, mi vede.
La parte sinistra del suo volto è completamente gonfia e piena di lividi.
-Cosa ti è successo?- domando preoccupata.
Mi siedo poco distante da lui.
-Una rissa, ero ubriaco- spiega sbiascicando.
Gli passo una mano sulla guancia.
-Dovresti andare, non mi sento bene- aggiunge.
Sembra preoccupato quanto me.
-Tutto okay?-
Improvvisamente suo padre fa irruzione nella stanza, è infuriato.
-TU- mi punta il dito addosso.
-E’ VERO QUELLO CHE DICONO I DEAVER? EH?! CHE SEI UNA PUTTANELLA, CHE SPACCIA E…-
-Papà…- tenta di intervenire Tom.
-TU STA’ ZITTO CHE FACCIAMO I CONTI DOPO!-
-CHE HAI PROVATO A SCOPARTI ADDIRITTURA IL PADRE DI LIAM, EH?-
A quel punto un cazzotto lo fa barcollare.
Tom si regge a malapena.
-Andiamo via, non ce la faccio più- dice aprendo l’armadio.
Getto in un borsone alcune maglie a caso.
Annuisco.
-Credevo di essere l’unica ad avere avuto i genitori di merda, eppure eccone un esempio.
Mio padre iniziò così, prima era uno schiaffo poi diventò il polso rotto. E piano piano la cosa degenerava, tanto che c’erano dei giorni in cui non volevo tornare a casa ma lo facevo lo stesso, lo perdonavo ogni fottuta volta. Sapevo che non era colpa sua, era l’alcool. E sa che le dico? Ha fatto bene a sparire, le persone come lui devono nascondersi perché se solo lo dovessi incontrare, giuro, che lo massacrerei di botte-
Rimane in silenzio.
-Andiamo, ho tutto-
Scendiamo le scale, sorreggo Tom con un braccio e non appena arriviamo al piano di sotto l’uomo i affretta a raggiungerci.
Nonostante abbai aperto gli occhi rendendosi conto di essere un uomo di merda, non mi fa un minimo di pena.
-Vattene con le puttane e lì il tuo posto, sei solo una delusione!-
-Il suo posto è con me, con una puttana o come cazzo gli pare a lei-
Prima di chiudere la porta mi passo la lingua sulle labbra in maniera molto provocante.
L’uomo è disgustato, al contrario Tom scoppia a ridere per poi baciarmi proprio dinanzi a lui.
 
Tom dorme al mio fianco, siamo nella mia stanza.
Gli passo una mano tra i capelli.
Lo guardo, continuo a disegnare il suo profilo e a scarabocchiare il suo nome su un foglio.
Si sveglia.
-Che cazzo di ore sono?-
-Le tre di notte-
-Che stai facendo?-
-Uhm, disegno-
Si stropiccia gli occhi.
A causa della presenza di Michelle e Phil siamo costretti a bisbigliare.
Lascio cadere la matita.
-Perché non ce ne siamo andati prima?- domando.
-Beh, tu eri psicopatica ed io il coglione sullo skate-
-Pensavi fossi psicopatica?-
-Dopo il bagno nuda nel lago avevo dei dubbi-
Scoppio a ridere.
-Sai, Mark due giorni fa mi ha chiamato e mi ha detto che ha mandato un EP ad una casa discografica-
-Meraviglioso, no?-
-Credo di sì-
-Non sembri convinto-
-Non lo so, è strano, non pensavo potesse realizzarsi un sogno per uno come me-
-Ve lo meritate-
-Voglio solo che le cose non cambino-
-Non devono per forza cambiare-
Sorride.
-Vieni qui-
Mi attira al suo volto e sento le sue labbra che sorridono appena sotto le mie.
Mi allontano.
-Ehi, che fai?-
-Non ti muovere- ordino.
Da sotto al letto caccio la vecchia polaroid che apparteneva a mia madre.
Gli salgo sopra.
-Sorridi-
-Cosa? No, che palle..-
Tenta di spingermi via facendomi il solletico e casualmente partono le foto.
-Eddai, non fare lo scemo. Una foto sola, una. Giuro-
Sbuffa.
E dopo tante lamentele riesco a fargliene una decente.
-Peggio dei bambini piccoli- commento raccogliendo la piccola istantanea.
Osservo il volto che lentamente compare come per magia.
Nella foto è sul punto di ridere, non guarda nemmeno l’obiettivo.
Guarda me. Vede me, e quando lo fa, mi sento viva.
Porto le mani sul suo viso e lo bacio, poi mi giro e lascio che mi avvolga la vita con le sue mani.
Dormo come non ho mai dormito, con la sicurezza che chi mi affianca non mi abbandonerà.
 
 
 
Saaaalve, come al solito ho tentato di aggiornare quanto prima ed ho fallito miseramente cwc
Spero che il capitolo nel complesso vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate voi c:
Un fooorte abbraccio e alla prossima!
C:
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Cibo messicano e musica ***


-La dovete smettere!- urla Lux ricoperta di farina.
Scoppiamo a ridere, ha l’aria davvero arrabbiata.
E’ iniziato tutto con l’idea di cucinare un bel dolce ma è finita con una battaglia all’ultimo sangue.
-E’ polvere bianca, polvere bianca!- ripete Rick sparpagliandone altra come se fosse un angelo.
-E tu, basta con la cioccolata!- sbraita Lux a Tom.
-Gne gne- le fa il verso lui.
-Avanti facciamo questa stupida torta- sbiascico pulendo alcuni ripiani.
-Che idea di merda- commenta Lux.
Nel momento in cui prendo le uova, suona il campanello.
Mi precipito alla porta facendo una scivolata.
Mark mi osserva un po’ accigliato.
-Disturbo?-
-No no, stavamo… cucinando-
Fa un sorriso luminoso.
-C’è Tom?-
-Sì, è in salotto-
Corre nell’ampia sala gridando come un pazzo.
Tutti lo fissano come se fosse un alieno appena caduto dal cielo.
-HANNO PRESO L’EP!-
Tom si mette le mani nei capelli e si alza dal divano come se fosse stato punto da una medusa immaginaria.
-Cazzo, cazzo, cazzo!-
Si abbracciano.
Lux batte le mani come una bambina mentre Rick prende alcune birre.
-Com’è stato possibile?-
-Cazzo ne so, ma ehi.. ce l’abbiamo fatta!-
Resto a fissare la loro gioia che esplode con una qualsiasi affermazione.
Tom mi lancia un’occhiata.
-Prendo la macchina fotografica- dico provando a sembrare entusiasta.
Salgo le scale e per un istante mi sento mancare l’aria.
Scuoto la testa con un gesto automatico e vado in camera, la cerco ovunque ma non la trovo.
Mi accovaccio sotto il letto, potrebbe essere caduta, ci rimango e non so il perché.
Ho un enorme vuoto interiore. Dovrei essere felice per loro eppure mi sento uno schifo.
Mi rannicchio contro il muro fino a quando non vedo le scarpe di Tom comparire nella stanza.
-Josie?-
Non rispondo, farei la figura dell’idiota se mi facessi trovare qui.
Si china.
Troppo tardi.
-Cosa ci fai qua sotto?-
-Cercavo la polaroid-
-E’ sul letto, non l’hai vista?-
-Uhm… credo di no- rispondo imbarazzata.
Mi scruta in una maniera strana e poi si stende.
-Cazzo… è davvero stretto-
Tira una gomitata per entrare meglio.
Siamo a pochi centimetri sotto il mio letto che è anche pieno di polvere.
-Ci sarà una nostra esibizione sabato prossimo e vorrei che la mia ragazza fosse presente, senza nascondersi sotto il palco- dice ironico.
Scoppio a ridere.
-Sì, scusa hai ragione-
-Tutto okay?- domanda quel punto.
-Penso di sì-
Mi tende una mano.
-Questa sera ti porto in un posto per festeggiare-
-Non sei obbligato-
-Infatti ti obbligo io- ribatte.
 Sorrido e afferro la sua mano.
 
‘’EL SOMBRERO’’
L’enorme insegna ci ripara dalla pioggia, o meglio, da un diluvio universale.
-E’ chiuso-
Osservo il cielo nero sopra di noi.
-Che facciamo ora?- chiedo.
-Te la senti di fare una gara?-
Per un momento esito, non ho idea di cosa abbia in mente ma la sua faccia idiota mi fa capire che dev’essere una delle sue stronzate, tipo questa di andare a cena con una tempesta.
-Di che tipo?-
-Una gara di corsa, chi arriva per primo a quel ponte vince- ammicca.
-Quel ponte?- sottolineo indicandolo, disterà almeno cinquecento metri.
-Hai paura di perdere, eh?-
-Coglione-
Lego un’estremità della maglia che mi sta troppo larga.
-Okay, al mio via. Pronti…-
Mi piego in avanti, sarà un’ammazzata.
-Partenza… Via!-
Nel preciso istante in cui grida ‘’via’’ lo spingo di lato e comincio a correre.
-Ehi! Non è valido!-
-E’ il vantaggio per le ragazze!-
Sento che farfuglia qualcosa ma la pioggia è talmente fitta che non riesco a percepirlo.
Faccio dei respiri regolari per non perdere fiato.
Mi volto e vedo che mi sta raggiungendo, scoppio a ridere nell’intravedere la sua espressione palesemente affaticata.
Dopo qualche minuto fa un gesto con la mano e poi si butta a terra.
-Okay okay, hai vinto!-
Rallento e torno indietro.
Ha il fiatone.
Mi stendo vicino a lui, proprio come aveva fatto tre ore prima sotto il letto.
Aspetto che si riprenda.
Gli s’illumina il volto.
-Oh cazzo, l’hai visto?-
-Cosa?- continuo a fissarlo.
-Un cazzo di fulmine, è caduto a…-
Lo bacio.
La pioggia continua a scendere e s’insinua nelle nostre bocche.
Resta un po’ sorpreso dal mio gesto, tanto che ho addirittura il tempo di alzarmi mentre lui continua ad osservarmi dal basso.
-Mi farai impazzire-
Sorrido.
-Dai, andiamo-
Si solleva e ci incamminiamo sotto il ponte.
Il suo braccio destro mi stringe le spalle.
-Mi devi una cena da ‘’El Sombrero’’-
-Diventerai obeso- commento.
-Se mi ami, mi accetterai anche quando svaccherò- replica come avesse appena detto una citazione famosa.
Scoppio a ridere e poggio la testa sulla sua spalla.
 
 
 
Salve, come al solito il capitolo è un po’ banale ahaha spero comunque che vi sia piaciuto!
Un forte abbraccio e al prossimo capitolo!

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Capitolo 22
*** Troppi, decisamente troppi, segreti ***


La loro prima esibizione è stata grandiosa, sono riusciti a far divertire un intero pubblico con le loro canzoni.
Perciò adesso festeggiamo abbuffandoci da ‘’EL SOMBRERO’’ con schifezze messicane.
Tom e Mark non fanno altro che mangiare, affamati come sono.
Rick e Anne celebrano i loro sei mesi assieme.
Lux è uscita con un tizio che gioca nella squadra di football.
-Vado al bagno- annuncia Mini.
Tom mi tira un cubetto di ghiaccio.
-Allora?-
-Vuoi ancora sentirti dire che sei stato bravo?- domando ironica.
-Già-
Mark scoppia a ridere.
-Beh, ce lo meritiamo-
-Diventerete dei narcisisti del cazzo- sbiascico mandando giù un po’ di birra.
Si scambiano uno sguardo complice.
-Vuoi dire che non siamo già dei sex-symbol?- replica Mark.
Faccio una smorfia disgustata e lascio che una patatina mi scivoli dalla bocca, in modo da potergli esprimere ancora di più il mio schifo.
-Credo che andrò al bagno- annuncio alzandomi dal tavolo.
-Vuoi che ti accompagno?- ammicca Tom.
-Devo solo lavarmi le mani- spiego ridendo.
-E’ la scusa che utilizza per masturbarsi su di noi- commenta Mark.
Una famiglia seduta a qualche tavolo dietro al nostro si volta turbata.
Esplodiamo in una rumorosa risata.
La toilette è un locale davvero piccolo e mentre mi sciacquo le mani mi ricordo di Mini.
Osservo tutti i bagni in maniera discreta e finalmente riconosco le sue scarpe.
-Mini?-
-Fai piano…- bisbiglia lei.
Improvvisamente intravedo delle converse, quelle di Stefan. 
Entrambi, evidentemente ignari della mia presenza, escono senza farsi troppi problemi.
Resto impalata come un idiota.
-Oh cazzo- dice Stefan non appena mi vede.
-Non avevo idea che… che voi due…- balbetto.
-Non lo dire a nessuno- m’implora Mini.
-Oh, ehm, non vi preoccupate- ribatto immediatamente.
Tutti e tre ci affrettiamo a tornare al tavolo, Mini però prima si da una sistemata ai capelli.
Un cameriere ci osserva con aria interrogativa, poi arrossisce e distoglie lo sguardo
-Ce ne hai messo di tempo per venire!- mi grida Mark.
I due cretini al tavolo scoppiano nuovamente a ridere e poi si battono il cinque.
-Ci avete dovuto pensare fino ad ora per fare una battuta così squallida?-
Mini e Stefan fanno finta di nulla ed io mi sento come se sapessi qualcosa che avrei preferito non conoscere.
-Tom, dobbiamo andare che Michelle torna tra un’ora- lo avviso.
Lui sbuffa e nonostante le lagne di Mark (sembra più lui la fidanzata di Tom che io), riusciamo a tornare a casa.

Tom è buttato sul mio letto, osserva alcuni miei disegni mentre mi tolgo le scarpe.
-Ti è piaciuto davvero?-
Scoppio a ridere.
-E’ la trecentesima volta che me lo chiedi-
-Voglio il tuo parere, sincero- 
Mi siedo poco distante da lui.
-Eri il sesso su quel palco-
Si sporge in avanti e mi attira verso di lui.
-A proposito di sesso…-
Gli salgo in groppa.
-Dai, dì la stronzata giornaliera- lo incalzo.
Mi osserva con aria offesa e poi mi bacia sul collo.
-L’hai sentito?-
-Sì sì…-
Non so di preciso da dove provenga, ma è come se percepissi un pianto sommesso.
Scanso Tom e mi sollevo di scatto.
-Non lo senti?-
-Cosa?-
-Qualcuno sta piangendo-
Fa uno sguardo serio.
-Non sento niente- afferma.
-Okay-
-Tutto bene?-
Mi volto a fissarlo.
-Sarà stato qualche bambino o... gatto-
Gli lancio un’occhiata stranita.
-Che c’è?-
-Un gatto?-
-E’ vero i gatti a volte sembra che stiano piangendo quando miagolano-
Scoppio a ridere.
Torna a baciarmi, ed io continuo a sentire quel singhiozzo.
-Tom…-
-Cosa?- esplode stufo.
-Voglio fare un giro della casa, solo per controllare-
 -Vengo con te-
-Ma Michelle…-
Ormai è in piedi.
-Grazie- mormoro.
Fa un sorriso idiota.
-Sarà come in un film horror, no?-
Rido.
-Speriamo di no- 
Usciamo in corridoio in punta di piedi e proprio dinanzi le scale, seduta, c’è Lux in lacrime.
Mi precipito verso di lei.
-Lux? Che hai?-
-Troy, mi ha dato buca. L’ho aspettato fino ad ora-
Mi volto verso Tom e gli faccio cenno di tornare in camera.
Solleva gli occhi al cielo ma mi ubbidisce.
-E’ stato un stronzo- aggiungo. 
Le passo una mano sulla schiena.
-Non importa, non è per lui- dice accennando ad un sorriso.
-Allora cosa? Sai che puoi dirmi tutto-
Fa un respiro profondo.
-Sono lesbica, Josie- 
Mi fissa in attesa di una reazione inaspettata.
Resto ferma, non so bene come comportarmi, ma poi il gesto mi viene spontaneo.
La stringo forte e lei torna a piangere.
-E’ okay- le bisbiglio.
-Giura di non dirlo a nessuno- ordina seria con le lacrime agli occhi.
-Lo giuro-
Dopo qualche instante, giusto il tempo di sfogarsi, si stacca.
-Okay, vado e… grazie… di tutto, ecco-
Le faccio un sorriso rassicurante.
Per oggi penso di aver saputo troppe cose.
Decido di tornare in camera da Tom. .
Arrivo davanti la porta, la apro lentamente.
-Finalmente- sbiascica intorpidito dalla stanchezza.
-Hai sonno?-
-Un po’-
Mi sistemo al suo fianco, intreccia la sua mano alla mia.
-Vuoi dormire?- chiedo.
Il suo respiro si sposta sul mio collo.
-Dio, ti sei impossessata di me in una maniera assurda, mi hai Josie-
Mi bacia e si accorge del mio sorriso ebete stampato in faccia.
-Cosa?- domanda.
-Non lo so, sono solo felice-
Sorride.
-Anche io-



Saaaaaalve cari lettori, scusatemi l’assenza ma sono partita e non ho avuto modo di aggiornare…
Prometto che da ora in poi aggiornerò quanto prima possibile! 
Nel capitolo ci sono alcuni colpi di scena, come la storia tra Mini e Stefan oppure l’omosessualità di Lux.
Spero che comunque vi sia piaciuto! Un forte abbraccio!
Al prossimo capitolo c:

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Capitolo 23
*** Scelte ***


Sono stesa sul divano, mangio qualche schifezza e faccio zapping con il telecomando.
Sono anche, come se non bastasse, da sola, poiché ogni singola persona di mia conoscenza ha qualcosa da fare in questo pomeriggio.
Sbuffo e tiro il telecomando sulla poltrona che mi affianca.
Giuro che se non trovo niente di meglio da fare finirò con l’impazzire.
Sto per dirigermi in camera quando qualcosa posato a terra attira la mia attenzione.
E’ un libro di scienze e appartiene alla biblioteca della scuola, lo si capisce grazie al marchio presente sulla prima pagina.
Tamburello le dita sulla coscia, indecisa se riportarlo o meno.
Non ho nessun impegno, tanto vale…
Prendo la borsa e mi butto fuori casa, il tragitto non è molto lungo, ma oggi lo sembra davvero.
C’è un caldo afoso e la maglia che indosso, nonostante sia piuttosto larga, mi si è appiccicata addosso.
Finalmente arrivo dinanzi all’edificio, provo un certo brivido nel tornarci.
Manca ancora un mese all’inizio delle lezioni perciò la scuola è aperta.
Scuoto la testa ed entro, la biblioteca è l’ultima sala a destra in fondo al corridoio.
E’ un luogo un po’ buio e polveroso, ma piuttosto accogliente.
Cammino per il corridoio, passo vicino alle varie bacheche e ogni tanto leggo qualche annuncio dell’anno passato.
‘’Alunni con la media scolastica più alta’’
Mi fermo.
Il primo nome sula lista è: Mark A. Hoppus.
E dopo qualche riga compare anche il mio, Josie J. Harries.
Ma il peggio deve ancora arrivare: ‘’Nel caso in cui si voglia prendere una borsa di studio, è necessario compilare i moduli per l’Università che si desidera frequentare entro la fine dell’estate’’.
Sbianco.
Mark ha una media praticamente altissima e potrebbe prendere una fottutissima borsa di studio.
Tiro un pugno al muro.
Per quale cazzo di motivo Mark non mi ha detto nulla?
Inizio a saltellare come un’idiota a causa del dolore e, come una bestia, dimentico il motivo per cui sono venuta e faccio irruzione in presidenza.
L’uomo, abbastanza giovane, mi osserva accigliato.
-Posso aiutarla?-
Mi placo prima di sbraitargli in faccia.
-Vorrei sapere se Mark Hoppus ha fatto richiesta per una borsa di studio-
-E lei sarebbe?-
-Josie Harries -
-Mi dispiace, sono informazioni private che di certo non posso dare ai quattro venti-
-Sì, ma lui è un genio e dovrebbe compilare i moduli-
-Uhm, sì ma evidentemente non è interessato-
-Cosa?-
-Ha rifiutato-
-Ma è…-
-Signorina, queste sono scelte che devono essere prese dai singoli interessati, non dalle loro fidanzate- dice con disprezzo.
-Capisce che è un ragazzo con grandi capacità e sta buttando tutto il suo lavoro nel cesso?-
Comincio ad alterarmi.
-E’ ancora giovane e gli manca un anno per finire il liceo, come a lei d’altronde, potrebbe sempre cambiare idea-
-E le domande d’iscrizione?-
Sbuffa e da un cassetto prende qualche foglio.
-Ascolti, non può decidere lei per gli altri e a quanto pare, anche lei, Josie, ha rifiutato… eppure ha delle capacità, non è forse vero?-
Colpevole.
 Come Mark ha ignorato quest’opportunità, così ho fatto anche io.
Mi sporgo in avanti.
-Diciamoci la verità, lei sa benissimo che io non ho alcuna speranza. Finirò a pulire i cessi o… a fare la cameriera in qualche squallido bar, ammesso che non rimanga incinta. Ma Mark ha una scelta, una possibilità-
Mi scruta con aria un po’ abbattuta e ormai stufo annuisce.
-Se è così ostinata, gli faccia cambiare idea-
Mi passa i moduli.
 
Sono chiusa in biblioteca da circa due ore.
Rifletto se quello che sto per fare ha un senso.
Leggo le domande delle varie richieste d’iscrizione, sono davvero complicate.
-Ehi-
Sbatto le palpebre alla vista di Shon.
-Che vuoi?-
-Come mai da queste parti?-
-Compilo i moduli per il college- rispondo con non curanza.
-Andrai al college?-
Si è seduto ed io sospiro a causa della sua presenza.
-Non io, Mark ci andrà-
-E lui lo sa?-
Sembra piuttosto interessato.
-Che cazzo te ne importa?-
Fa spallucce.
-Comunque sì, ci andrà-
-E lo decidi tu?-
-A quanto pare-
-E tu invece?-
-No-
-Perché?-
-Shon, che vuoi?- esplodo.
-Assolutamente nulla- spiega ridendo.
Lo fisso infastidita.
-Strano, quando Satana bussa alla tua porta pretende sempre qualcosa-
Sul suo volto spunta un sorriso amaro.
-Tranquilla, sarò fuori dalle palle tra meno di un mese-
-Ah, vero, in che università andrai?- chiedo.
-Mi arruolo-
-Ti vuoi arruolare?- ripeto incredula poggiando i moduli sul tavolo.
Lo fisso.
-Sì, so che è…-
-Una stronzata?-
-Già, ma per me no, infatti, sono venuto qua per studiare trigonometria e fisica, sai, per entrare nell’esercito devo avere una media alta ed io faccio schifo in queste materie-
-E da quando bisogna avere un cervello per sparare a cazzo?-
-Non saprei, ma voglio essere utile al mio Paese-
-Facendoti uccidere? Saresti più utile da vivo, credo- aggiungo cercando di sdrammatizzare.
Scoppia ridere un po’ addolorato.
-Tom cosa ne pensa?-
-Non lo sa, non lo sa nessuno a dire il vero, tanto a nessuno frega un cazzo-
Rimango in silenzio.
-Quindi, per favore, non dirlo a nessuno… preferirei passare gli esami e poi avvisare gli altri-
Ha un’espressione sincera, faccio cenno di sì con la testa e torno sulle domande.
Non so come, ma provo un po’ di tenerezza nei suoi confronti.
-Ascolta, se vuoi posso darti una mano, in fisica e trigo me la cavo abbastanza bene-
Sorride.
-Sarebbe grandioso-
Nemmeno Satana è tanto male alla fine.
 
 
 
Ehilà! Okay, altre sorprese: Mark ha una borsa di studio che non ha intenzione di prendere e Shon vuole arruolarsi e, come sempre, Josie ci è finita in mezzo ahah.
Per il resto non so che dire, spero che nel suo complesso il capitolo vi sia piaciuto!
Un forte abbraccio e al prossimo capitolo! C:

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