Le parole che non so dire di Ramiza (/viewuser.php?uid=39264)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tenten (-gli inizi-) ***
Capitolo 3: *** Il caso ***
Capitolo 4: *** Una birra ***
Capitolo 5: *** La guerra ***
Capitolo 6: *** Il caffè ***
Capitolo 7: *** Cinghiale alla cacciatora ***
Capitolo 8: *** L'idiota (o Gli idioti) ***
Capitolo 9: *** La sfida ***
Capitolo 10: *** L'appuntamento ***
Capitolo 11: *** Le parole finalmente dette ***
Capitolo 12: *** Sottosopra ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
-Prologo-
(Neji)
Quando
mi capita di incontrare Tenten per strada, più o meno
casualmente, quando spinto da un desiderio che non esiterei a
definire masochistico la seguo, tenendomi abbastanza distante da non
farmi notare, quando poi, raggiunto uno di quei luoghi che abbiamo
frequentato insieme mi faccio, io, vincere dalla nostalgia e la perdo
di vista, quasi volontariamente, non posso fare a meno di pensare a
quello che avevo e che ho perso.
Naturalmente
sono io il centro di questo pensiero.
Il
mio egoismo non mi abbandona neppure per un attimo.
Il
mio mondo continua come sempre ad essere Neji-centrico.
Soltanto
una cosa è diversa, adesso.
Ho
la sensazione, la spiacevole, bruttissima, angosciante sensazione di
non bastarmi più.
Io
non mi basto e lei non c'è, e se lei non c'è non posso
rimproverare altri che me stesso.
Ora,
questo vorrei dirlo chiaramente. Non è una donna quella che mi
manca, non è una fidanzata quella di cui sento il bisogno.
È
la sola persona che mi abbia mai capito, quella che quando anche non
mi ha capito ha saputo accettarmi che mi manca adesso.
La
sto facendo tragica, lo so.
La
mia vita, in effetti, è stata fin dall'inizio una tragedia. È
stata fin dall'inizio uno spettacolo recitato sopra un palco.
Ma
andiamo con ordine.
Kiba
diceva “non è perché non è ricca e snob che
Ten non piace alla tua famiglia. È il fatto che pur non
essendo ricca e snob sia una persona in gamba che gliela fa odiare”.
Non
gli davo molto peso.
Non
do quasi mai peso alle parole di alcunchi, figuriamoci alle sue.
Ma
aveva ragione, o almeno ci era andato vicino.
Riformulerei
così la sua affermazione.
Non
è perché non è ricca e snob che Ten non piace
alla mia famiglia. È il fatto che sia troppo in gamba per non
essere ricca e snob che gliela fa odiare.
C'è
una differenza sottile, quasi impercettibile.
Potete
vederla?
Riuscite
a coglierla?
Lei
è troppo in gamba per non appartenere al loro (nostro)
mondo.
La
cosa li irritava profondamente.
Avete
fatto caso che sono scivolato, talvolta, nell'uso del passato?
Sia
quando ho detto “Kiba diceva” che due righe qui sopra: “la cosa
li irritava”.
Magari
Kiba lo dice ancora, ma non lo dice più a me, dato che da
tempo non ci rivolgiamo la parola e, per quanto riguarda la mia
famiglia, direi che il problema è stato risolto alla radice.
(La
mia famiglia, per inciso, è composta dai miei due zii e da due
cugine, Hanabi e Hinata che non rientra tra i detrattori di Ten, dal
momento che i miei genitori sono morti quando era ancora piccolo in
un incidente stradale).
Non
essendo più Tenten una presenza nella mia vita possono
risparmiarsi la fatica di odiarla.
Anzi.
Talvolta
possono perfino indulgere a qualche pacato elogio nei suoi confronti,
se qualche ignaro ospite ha l'ardire di nominare in loro presenza i
vicini di casa e la loro simpatica figlia.
In
un paio di occasioni è successo persino in mia presenza. Se
solo fossi leggermente più autoironico, o se mi prendessi un
po' meno sul serio, mi sarei messo a ridere.
Da
quando ho smesso di vedere lei, però, quella lievissima vena
di umorismo che mi aveva regalato se ne è lentamente tornata
da dove era venuta e io sono rientrato in una impassibile e suppongo
noiosa serietà.
Così
non rido.
Tutt'altro.
Rimango
serio e li trapasso con lo sguardo.
Loro
mi ignorano o, semplicemente, non ci prestano attenzione. È
probabile che nemmeno mi prendano sul serio.
Dopotutto
hanno pochi motivi per farlo.
Raramente
ho speso una parola per difenderla e di certo non ho lottato per
riaverla indietro.
Anche
in questi casi, per quanto sentire il suo nome pronunciato dalle loro
labbra mi provochi un moto di autentica rabbia, rimango in silenzio,
li lascio parlare e, semplicemente, penso ad altro.
Grazie
a chi ha letto e a chi recensirà.
Questa
storia è un AU, ambientata in una qualsiasi città in
età contemporanea. L'unica cosa che cercherò di
mantenere è il vero carattere dei personaggi.
Molte
cose sono ancora in dubbi, compresi quanti e quali personaggi
compariranno.
Sono
ben accetti suggerimenti, commenti e, naturalmente, critiche.
Un
bacio a tutti.
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Capitolo 2 *** Tenten (-gli inizi-) ***
-Gli inizi- TENTEN
E'
una giornata nuvolosa di aprile. Domenica.
I
compiti, come al solito, li ho finiti da un pezzo.
Ho
anche finito di leggere le Heroides, di Ovidio, un autentico
capolavoro della letteratura. Adesso, comunque, mi sento svuotata. Mi
succede sempre così quando finisco un libro veramente bello, è
come se mi venisse improvvisamente a mancare qualcosa. Tutto il resto
mi sembra banale e quasi inutile.
E
adesso cosa faccio?, mi chiedo.
Mi
infilo la giacca e scendo le scale.
«Vado
a fare due passi» dico a mia madre
«Stai
attenta» mi risponde.
Bene.
Questo
è l'inizio di quella giornata.
Cos'ha
di particolare quella giornata è una cosa che vi racconterò
tra poco, prima suppongo però che vogliate sapere qualcosa di
chi sta scrivendo, almeno per farvi un'idea di chi sono e di come
potranno evolversi gli avvenimenti che mi riguardano.
Mi
chiamo Tenten Amano e ho 14 anni. Sto finendo il mio primo anno di
superiori e vivo a Pisa, con mia madre. I miei genitori, che si
chiamano Anna e Fabio, sono divorziati, ma forse questo non è
importante, vanno d'accordo e si vedono di tanto in tanto. Sono
figlia unica. Mia madre è un tipo iperattivo, si fida di me
(effettivamente sono una ragazzina affidabile) e mi permette di fare
praticamente tutto quello che voglio, così, per esempio, mi
basta dirle «vado a fare due passi», senza nemmeno
specificare dove sono diretta. Di questo le sono grata, anche in
considerazione del fatto che ho amiche a cui non è permesso
mettere il naso fuori di casa.
Per
come la vedo io, mia madre, che ha fatto il 68, ha nel dna un certo
rifiuto dell'autorità che si è poi trasmesso anche nel
modo di educare me (devo ammettere che, per quando io sia acuta e
intelligente, questa idea non è tutta farina del mio sacco.
Una volta ho sentito un amico di mio padre dire «noi del 68
abbiamo confuso l'autoritarismo con l'autorità e ora ne
paghiamo le conseguenze. È colpa nostra se i nostri figli
vanno a scuola e fanno cose che noi non ci saremmo mai sognati di
fare, sputano fuori dalla finestra e rispondono alle professoresse»).
Ora,
io non sono affatto questo tipo di persona. Tutt'altro. Sono
tranquilla e molto pacata, lo vedrete con il proseguire della storia.
Mio padre mi chiama “il suo angelo” e dice che avrei fatto bella
figura anche a Versailles. Rido spesso, non mi arrabbio quasi mai e
urlo pochissimo. È difficile che mi offenda. In compenso, per
elencare i miei principali difetti, sono perfezionista fino alla
nausea, molto puntigliosa («vuoi sempre mettere i puntini sulle
i» dice mia madre che i puntini sulle i non li ha mai visti),
parlo solo se trovo interessante la persona che ho davanti e credo
anche di essere intellettualmente un po' snob (sto cercando di
migliorare, almeno su questo). Mi piace leggere, come avrete intuito.
Leggo continuamente, voracemente, talvolta rabbiosamente tutto quello
che mi passa per le mani e quando comincio a leggere il mondo smette
di esistere.
Sto
finendo la prima superiore e sono iscritta all'istituto d'arte.
Magari non sono un genio ma ho tutti voti abbastanza alti, compresa
matematica, cosa di cui vado molto fiera dal momento che, a parte
Sakura, sono l'unica della mia classe.
Questo
giusto per darvi un'idea di chi sta scrivendo.
La
cosa importante, tuttavia, non sono io.
La
cosa importante è quella domenica nuvolosa di aprile.
Cammino.
Accendo
la mia pennina mp3 (mia madre si è rifiutata di comprarmi
l'I-pod per un suo deciso odio nei confronti delle marche e del
«monopolio dell'informatica, vale a dire di internet, vale a
dire dell'informazione») e ascolto la musica.
Mi
fermo incuriosita da un camion dei traslochi, parcheggiato davanti
alla villa che una volta apparteneva a dei conti, ora disabitata. Ci
sono anche degli operai.
Vi
ho detto che sono estremamente paziente, amo stare per conto mio, mi
piace osservare quello che mi accade intorno, così mi siedo
sul muretto lì accanto, decisa a seguire le operazioni.
Dopo
circa un'ora arriva alla villa una grossa limousine.
Saranno
i conti?, mi chiedo.
Scende
un autista in livrea e apre la porta dietro. Scendono, nell'ordine,
un uomo in completo grigio, una signora in tailleur rosa pesca, che
prende il braccio dell'uomo, una ragazzina che potrebbe avere la mia
età, un ragazzo forse poco più grande di me, una
bambina di circa dieci anni.
Sono
tutti eleganti, anche i tre ragazzi, mia madre direbbe, con un certo
orgoglio proletario, che hanno addosso all'incirca quello che noi
abbiamo in banca.
C'è
qualcosa però che mi colpisce più dei loro vestiti,
qualcosa che non so come spiegare, una sensazione strana che mi rende
triste. Non so darle un nome.
Quando
sento la voce allegra di mio padre che si sporge dal finestrino mi
riscuoto da quel torpore.
«Angelo!»
mi chiama. Gli sorrido.
«Prendi
un po' di fresco?» mi chiede
«Guardavo
loro» rispondo. Li guarda anche lui.
«I
rampolli degli Hyuuga» mi dice «una delle famiglie più
ricca della città».
Quella
volta non gli ho parlato.
Ma
quella nuvolosa giornata di aprile, poche settimane prima del mio
quindicesimo compleanno, ho visto per la prima volta la persona che
avrebbe segnato, con la sua presenza o con la sua assenza, molti,
moltissimi anni della mia vita.
Beh,
come avete visto qui c'è stato un salto temporale
all'indietro.
Spero
risulti chiaro, comunque si farà tutto più semplice
andando avanti.
Grazie
a tutti i lettori e naturalmente a
Uki:
quali perché ti sei fatta? Scrivi, scrivi, che magari mi dai
qualche idea.
celiane4ever:
cercherò di stupirvi!!! Prometto.
Pikkola
Rin: che bello rivederti qui...mi mancano un po' le tue
recensioni sul Segno (giuro, io tifo sempre per Neji-Ten, vedrai...).
Qui non ci sono risposte a cosa abbia fatto Neji per fare scappare
Ten, ma arriveranno...arriveranno.
Arrivederci
a presto!
|
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Capitolo 3 *** Il caso ***
E'
una fredda giornata invernale, piove.
Guardo
il mucchio di scartoffie davanti a me. Non ho nessuna voglia di
lavorare.
Il
suono del telefono interno mi fa sobbalzare.
«Sì
Yukari» dico. Yukari è la mia segretaria, pare che un
avvocato di successo debba per forza averne una.
«C'è
qui una ragazza che chiede di parlarle, avvocato. Ma non ha un
appuntamento» risponde.
Odio
quelli che si presentano senza appuntamento e nonostante tutta la mia
tragica vita sociale non sono ancora abbastanza libidinoso da fare
eccezioni per le ragazze.
«Le
dia un appuntamento allora» concludo freddamente.
Abbasso
il telefono.
Un
attimo dopo sento bussare alla porta.
Yukari
mi guarda.
«Chiedo
scusa avvocato. La ragazza insiste. E' sicura che la riceverete
quando vi dirò il suo nome»
«Sentiamo
allora» ribatto. Sono incuriosito.
«Tenten
Amano».
Cazzo.
«Falla
passare»
Yukari
mi guarda, tra il sorpreso, il confuso e il soddisfatto di sé,
poi si allontana.
Quando
la porta si riapre entra lei.
Cazzo.
Ha
addosso un paio di jeans e una giacca verde chiaro. Porta i capelli
sciolti e un buffo cappellino di lana.
Vorrei
dirle che è bellissima.
«Ciao»
dice
«Ciao»
rispondo. Dietro alla mia solita voce fredda e distante sto cercando
di nascondere la paura che mi paralizza la lingua.
«Non
volevo disturbarti»
«Non
c'è problema».
Non
c'è problema?
Non
c'è problema?
Sono
davvero un idiota.
«Ho
bisogno del tuo aiuto, Neji» dice ancora
«Dimmi
di cosa si tratta».
Una
voce, dentro, mi suggerisce che devo essere impazzito del tutto. Non
c'è una spiegazione diversa. Vorrei abbracciarla, chiederle
scusa, vorrei risponderle che farei qualsiasi cosa per lei, che sono
felice di vederla come non sono mai stato di vedere qualcuno e invece
cosa dico? Dimmi di cosa si tratta.
Lei
abbassa un istante lo sguardo, sembra intimidita, in difficoltà.
«Ho
bisogno di un avvocato, di un bravo avvocato e non posso pemettermene
uno» dice improvvisamente.
«E'
successo qualcosa di grave?» le chiedo. Cerco di essere più
dolce che posso, ma temo che l'effetto sia pessimo, teso come sono.
«Abbiamo
problemi con il ristorante» prosegue. Con il pensiero torno al
ristorante dei suoi, dove ho mangiato tante volte, dove mi rifugiavo
quando ero stanco di sopportare la tensione di casa mia, quando la
vita mi faceva schifo, quando avevo paura. Anche quando non avevo
fame Ten mi portava una fetta di dolce alla cannella, e tutto
assumeva una prospettiva diversa.
«Che
genere di problemi?» chiedo
«Per
il terreno. Abbiamo lo sfratto e dobbiamo andarcene entro la fine del
mese prossimo». La voce le trema, sembra sul punto di mettersi
a piangere.
«I
miei hanno faticato una vita per tirare su quel posto»
sussurra. Io penso alla mia famiglia, che non ha mai conosciuto il
significato della fatica. Penso a me, che non sono poi tanto diverso.
Anche
allora, quando lei si spaccava la schiena tra scuola e lavoro per
dare una mano in casa, io mi limitavo a guardarla, tra l'ammirato e
il perplesso, incapace di comprendere davvero quel mistero che il
mondo chiamava lavoro (il lavoro, per me, era solo quello di stare
dietro ad una scrivania, dare ordini, al massimo studiare fogli zeppi
di scritte, e adesso, in fondo, non è cambiato molto).
«Non
sapevo da chi andare, Neji. Mi sento così stupida ad essere
venuta qui, mi sento stupida e umiliata, ma non avevo nessun altro a
cui rivolgermi. Non possiamo perdere quel posto, Neji, è tutta
la nostra vita, è tutta la loro vita. Ho bisogno del tuo
aiuto. Ti prego. Ti prego»
Mentre
dice queste cose si porta le mani sotto alle gambe e non mi guarda.
Rovescia quel fiume di parole senza prendere fiato, ma ognuna si
porta dietro un pezzo del suo dolore.
Lo
sento. Lo vedo.
Sto
rispondere con un professionale
«Vedrò
quello che posso fare».
Falla
finita, idiota.
Non
è il momento di essere professionali.
Davanti
a te c'è la ragazza a cui devi i pochi momenti davvero felici
della tua vita.
La
ragazza che per te c'è sempre stata e che tu hai ferito e
allontanato come il peggiore degli stronzi.
La
ragazza a cui non ha mai smesso di pensare, per tutto questo tempo.
Mi
alzo.
Mi
accuccio accanto a lei.
«Certo
che ti aiuto, Ten» le dico piano «Hai fatto bene a venire
qua, non hai motivo per sentirti stupida e umiliata. Ti aiuto io e
risolveremo tutto, vedrai».
Incredibile.
Dove
diavolo ho trovato queste parole?
In
ogni caso meglio delle altre saranno, più di così non
so fare.
Lei
scoppia a piangere.
Come
non detto.
Forse
ho sbagliato tutto, come al solito.
«Grazie»
dice «Avevo così paura che mi dicessi di no»
Quelle
parole mi fanno male, come se mi avesse colpito con un coltello.
Continuo
a pensarci mentre esamino i documenti che mi ha portato.
E'
al limite del paradossale. Io la penso in ogni momento e lei teme che
le rifiuti un favore del genere.
E'
ai limiti del paradossale ma testimonia una volta di più, se
ce ne fosse bisogno, l'assurdità dei miei comportamenti.
La
conclusione è sempre una.
Sono
passati anni ma io rimango lo stesso idiota che l'ha allontanata, lo
stesso che (ancor peggio, forse) non ha saputo dire quelle due
sciocchezze che sarebbero bastate per riaverla indietro.
Quando
se ne va mi appoggio alla scrivania e vorrei dormire.
Non
sono abituato a quel turbinio di emozioni.
Non
sono abituato a quell'altalena di sentimenti.
Sono
stanco come dopo 24 ore filate di lavoro.
«E'
una ragazza simpatica» dice Yukari.
La
guardo storto. So cosa vorrebbe sapere.
Si
chiede se in fondo, da qualche parte ben nascosta, non sia per caso
un essere umano anche io (non avere mai provato a portarla a letto ha
contribuito molto a rafforzare la mia reputazione di
robot-senza-alcuna-esigenza).
Cerco
di riprendere il ritmo normale, ma dopo un incontro del genere mi
sembra francamente impossibile.
Così
tutto il tempo che ho tra un appuntamento e l'altro lo dedico a
studiare il suo caso. Non so ancora come ma so che devo portare la
vittoria a casa, a qualunque costo.
Eccomi
qua.
Alla
fine sono riuscita a riprendere anche questa storia...ho un po' idee,
perciò spero di andare avanti con tranquillità.
Chiedo
scusa per l'enorme ritardo, come spiegavo ne “Il segno degli
Hyuuga” è stato un periodo un po' così, ma...eccomi
qua!
Valery:
tanto presto no, mi perdoni? Continuerai a leggere? Speriamo....
PikkolaRin:sì,
Ten è proprio brava, povera...E' che Neji è il solito
idiota, ti assicuro che l'ha combinata grossa....baci baci
Altovoltaggio:
uaaaa...addirittura la tua preferita? Ma mi sa che con questi enormi
ritardi ho perso il titolo...speriamo di rimediare...grazie a te di
queste bellissime e entuasiastiche recensioni, continua ti prego
Uki:
è sì, Neji è cresciuto. Dal mio punto di vista,
però, non è OOC. Qui metto in scena i suoi pensieri,
altro è quello che mostra al mondo (e quello è ancora
il velo di freddezza e impassibilità che lo contraddistingue).
Però adesso è adulto, ha perso Ten, ha avuto modo di
riflettere...e nonostante questo non ha avuto il coraggio di dirle
ciò che pensava. Grazie per avermi seguito, ci sei ancora?
Un
bacio a tutti, e grazie a chi legge!
|
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Capitolo 4 *** Una birra ***
Un
paio di giorni dopo prendo il telefono (e il coraggio in mano) e la
chiamo.
«Ho
studiato un po' la cosa. Hai tempo per parlarne?» le chiedo
serio, quasi senza salutarla per non correre il rischio di sembrare
imbarazzato.
«Certo»
risponde «dimmi quando».
Oggi
pomeriggio. Muoio dalla voglia di vederla e questa è una buona
scusa.
Quando
arriva la faccio aspettare qualche minuto per darmi un tono, e mi
sento un vero idiota (sensazione a cui non sono abituato, ma che in
questi due nostri incontri mi ha sorpreso spesso).
«Scusa
se ti ho fatto aspettare» le dico indifferente (sembra quasi
che io debba far perdonare a me stesso lo slancio dell'altra volta)
«Non
importa» risponde «anzi, sei stato gentile a trovare il
tempo per vedermi subito».
Maledetto.
Idiota.
Gentile?
Gentile?
No
dico, stiamo scherzando?
Sono
stato gentile?
Cazzo
Ten, come puoi dirmi così?
Io
sono uno stronzo. Mi vedi? Ti ricordi quello che ti ho fatto? Ti
ricordi come ti ho trattata, dopo tutto quello che mi hai dato tu?
«Figurati»
rispondo.
Per
evitare quei pensieri le illustro nel dettaglio tutti gli aspetti del
caso.
Quando
finisco mi chiede
«Credi
che ci sia una possibilità di farcela?»
«Qui
non si tratta di possibilità. Non accetto un caso per poi
perderlo» rispondo.
Pronuncio
questa frase con inutile e pomposa solennità, rendendomi conto
della sua vacuità nel momento stesso in cui le parole escono
dalla mia bocca. Ten, tuttavia, mi sorride e sembra quasi rincuorata.
«Non
sei cambiato molto» dice illuminata da quel suo sorriso.
Non
credo sia un bene. Tutt'altro. Quasi tutti quelli che mi hanno
conosciuto da ragazzino potrebbero testimoniare che sia un male, il
mio non essere cambiato. Tutti avrebbero auspicato un cambiamento con
annesso miglioramento.
Tutti
tranne Ten.
Dalla
sua bocca, quindi, questa frase potrebbe quasi suonare come un
complimento.
E
comunque qualsiasi cosa, persino un insulto potrebbe suonare come un
complimento se pronunciato con quel suo sorriso.
Dentro
mi sto sciogliendo. Letteralmente, credetemi.
Per
fortuna (o più probabilmente per sfortuna) ho un perfetto
controllo di me stesso e dubito che qualcosa appaia all'esterno.
«Già»
rispondo.
Lei
si irrigidisce, torna alla tensione di prima.
Bravo
Neji, complimenti.
Tu
sì che sai sempre comportarti, e dire che vorresti metterla a
suo agio.
«Beh,
questo è tutto» concludo per peggiorare ancora la
situazione. Si alza come se saltasse sull'attenti.
«Ti
lascio al tuo lavoro, allora»
«Ci
vediamo».
Ecco
qua. Pensate di me quello che volete, non potrete mai insultarmi
quanto sto insultando me stesso.
So
che non avete parole per descrivere la mia stupidità. Fate
bene.
Non
le ho nemmeno io.
Rimango
lì alla scrivania, ancora una volta solo.
Mi
rigiro la penna tra le mani, poi prendo il telefono e chiamo Sasuke.
«Ciao»
dico
«Tutto
bene?» mi chiede. In effetti non ci telefoniamo spesso.
«Sì»
rispondo «mi chiedevo solo se stasera avevi tempo per una
birra».
Ha
tempo. La cosa non mi stupisce. La sua vita sociale è quasi ai
livelli della mia: inesistente. La domanda avrebbe dovuto essere
piuttosto se ne aveva voglia, perché anche da questo punto di
vista Sasuke mi assomiglia molto, è un solitario, ai limiti
del patologico.
Comunque
evidentemente ne ha voglia e la cosa mi fa piacere.
In
effetti Sasuke Uchiha è la sola persona che possa somigliare
ad un amico, per il sottoscritto.
La
sera ci beviamo questa birra.
Io
e lui non parliamo molto. Anche quando c'è qualcosa che non va
(ed è stato chiaro fin dalla mia telefonata che qualcosa non
andava) ci limitiamo a bere qualcosa insieme, o a fare due discorsi
generici. Niente di più. Forse, per quanto mi riguarda, trovo
confortante l'esistenza di una persona che mi somiglia, che ha i miei
stessi difetti e che colleziona cazzate simili alle mie.
Ecco
perché quando dico
«Ho
visto Tenten»
Sasuke
mi guarda sorpreso, appoggia la birra e mi chiede
«Stai
bene?».
Annuisco.
«E'
venuta per un problema legale. Ha bisogno di un avvocato e non può
permetterselo»
«Capisco»
«Ho
accettato, naturalmente» proseguo con tono indifferente
«Avrai
a che fare con lei per un po', allora» dice
«Suppongo
di sì».
Sasuke
non si può certo definire un impiccione ed è
estremamente difficile che faccia delle domande, meno che mai delle
domande personali.
Anche
in questo caso, quindi, non mi chiede cosa ho provato.
Fa
però un certo sforzo per chiedermi se sono preoccupato.
«Non
lo so. È così strano» dico
«Neji?»
«Dimmi»
«Io
pagherei perché Sakura venisse a chiedermi un favore del
genere».
Rimango
immobile e zitto.
Lo
guardo.
Ricordo
la prima volta in cui ho pensato a lui come ad un amico.
Era
giugno e faceva caldo, un caldo torrido e afoso che ci entrava nel
cervello mentre cercavano di preparare l'ultimo esame prima delle
vacanze estive.
Eravamo
seduti in giardino, intorno ad uno di quei tavoli marroni che
ossessionavano la nostra vita studentesca.
Kabuto
Yakushi era arrivato camminando lento come suo solito e non aveva
nascosto un sorriso soddisfatto. Si era seduto. Aveva tirato fuori i
suoi libri, poi, senza guardarmi, aveva detto (come se parlasse
all'aria)
«Sono
stato a casa dai miei, nel fine settimana»
Momento
di silenzio per il grande attore.
«Ho
visto Tenten e Kiba Inuzuka».
Lo
aveva detto.
«Direi
che stanno insieme, adesso».
Parole
come coltelli.
«Era
naturale, dopo tutto».
Rabbia.
Voglia di urlare.
«Lo
sapevi, Neji?».
«La
cosa non mi riguarda affatto» risposta.
Naturalmente
Kabuto sapeva che stavo mentendo. Conosceva me e conosceva Ten.
Mentii più con la speranza di convincere me stesso che non di
convincere lui. Mentii per non saltargli alla gola come in quel
momento desideravo terribilmente fare.
Senza
smettere di sorridere Kabuto aveva cominciato a studiare.
Mi
ero alzato poco dopo, alla disperata ricerca di un pensiero diverso
da quella disperazione.
«Vado
in biblioteca» avevo detto
«Vengo
anch'io» aveva risposto Sasuke.
Mentre
camminavamo in silenzio se ne era uscito con una frase che non avevo
capito
«Adesso
è fatta, Neji, puoi finalmente stare tranquillo»
Lo
avevo guardato sorpreso
«Io
mi sveglio tutti i giorni nel terrore che qualcuno mi dica che Sakura
e Naruto stanno insieme. Per te è fatta. Adesso non ci devi
più pensare».
Per
un attimo lo avevo preso per pazzo, poi ero scoppiato a ridere.
Anche
lui aveva riso. Lo avevamo fatto insieme, con gusto, per deridere noi
stessi e la nostra vita spesa ad inseguire qualcosa che, già
iniziavamo a capirlo, noi ci avrebbe mai reso davvero felici. Di più,
forse. Ridevamo sulla consapevolezza di aver distrutto la cosa
migliore che ci fosse capitata, di aver rinunciato agli unici momenti
di vera gioia che avevamo mai provato. Ridevamo con rabbia ma anche
con stupore, di fronte alla scoperta di assomigliarci così
tanto, ridevamo, forse, con un po' di sollievo per la scoperta che
“quelli come me non sono fatti per essere felici” poteva
diventare adesso “quelli come noi non sono fatti per essere
felici”.
Io
e Sasuke non ci saremmo mai scambiati segreti intimi ed emozioni.
Non
ci saremmo mai consolati a vicenda e non ci saremmo mai davvero
lasciati andare.
Tuttavia
avevamo appena capito di poterci considerare amici.
«Neji?»
«Dimmi»
«Io
pagherei perché Sakura venisse a chiedermi un favore del
genere».
Era
come se mi avesse detto: hai una possibilità, sfruttala.
Era
come se mi avesse detto: probabilmente farai la figura del
deficiente, ma lo sapremo soltanto io e te.
«Già»
rispondo
«Non
è male questa birra» dice
«Te
ne offro un'altra» rispondo.
Quella
sera tiriamo tardi ed è una cosa davvero insolita per noi.
Se
fossimo ancora ragazzini gli chiederei di venire a dormire da me.
Potremmo parlare fino a notte fonda e addormentarci mezzi ubriachi,
finalmente liberi di dire quello che ci passa per la testa.
Ma
non siamo ragazzini e non abbiamo il carattere per una cosa del
genere.
Così
rientro solo, con l'unica soddisfazione di trovare mio zia ancora
sveglia, di incontrare il suo sguardo interrogativo e curioso per il
mio insolito ritardo e di ignorarlo deliberatamente, lasciandola a
chiedersi dove sarò stato e con chi. Sono certo che stia
pensando ad una donna.
Salgo
le scale.
Penso
alle poche donne che sono entrate in questa casa.
Penso
all'assoluto niente che mi hanno lasciato.
Poi
penso a Ten, alle rare volte in cui è entrata da questa
maledetta porta e ha salito queste maledette scale per raggiungere
camera mia. Penso alle scuse inventate per tenerla lontana da quella
casa inospitale e fredda, per difendere lei o più
probabilmente per evitarmi problemi. Penso a quando abbiamo fatto
l'amore, proprio lì, in camera mia, e mi sono sentito libero e
vivo come mai prima in tutta la vita.
Ci
penso e mi viene solo una gran voglia di dormire e di svegliarmi il
più tardi possibile.
Grazie
ai lettori e ai recensori.
Vi
dirò, ho moltissimo da svelarvi e molti personaggi da
introdurre. Sono graditissime idee e suggerimenti.
Celiane:
ecco qualcosa del loro passato, Del futuro, invece, molto poco...
tenny_93:
ma grazie..in futuro la nostra Ten avrà parecchio spazio
Amaranth93:
grazie grazie...continua a commentare!
Buon
Anno a tutti!
|
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Capitolo 5 *** La guerra ***
La
guerra
Come
previsto dormo poco e male.
Sai
che novità.
La
notte è proprio un momento che non sopporto, scarico lì tutte le
ansie che non lascio trasparire di giorno, si potrebbe quasi dire che
pago il mio autocontrollo giornaliero.
Figuriamoci
dopo aver visto Ten e averla trattata così.
Figuriamoci
dopo aver ripensato al giorno in cui abbiamo fatto l'amore.
La
mattina dopo sono a pezzi, letteralmente.
Alle
6 mi alzo, mi vesto e vado a correre, sperando di sfogare un po'
dell'angoscia che mi cresce dentro.
Ovviamente
l'angoscia non se ne va.
Il
lavoro non migliora la giornata.
Al
contrario.
Mi
sembra di non averlo mai odiato tanto.
Odio
essere un avvocato, odio la gente che devo seguire, odio le cifre
astronomiche che pagano per la mia consulenza.
Odio
averla persa per inseguire tutto questo.
E
allora vorrei sentirmi soddisfatto, vorrei pensare di aver fatto la
cosa giusta.
Vorrei
dirmi che i soldi e la soddisfazione professionale valgono molto più
di una ragazza.
Ma
non mi viene proprio.
Una
volta, però, devo averlo pensato.
Altrimenti
non mi sarei comportato così, non avrei fatto queste scelte.
Cosa
mi sia passato per la testa allora non lo so, ma pagherei per
riaverlo indietro, adesso.
O
magari non è vero, magari allora ho avuto solo paura, una paura
folle dei miei sentimenti, dell'amore che mi stava crescendo dentro,
che avevo la sensazione potesse inghiottirmi, distruggermi,
consumarmi...
Un
amore così grande come non credevo potesse esistere, così completo,
così totalizzante.
Paura.
Per
questo, forse, ho mandato tutto a puttane.
Sono
le 3 di pomeriggio.
Suona
il telefono.
Dall'altra
parte la voce squillante di Yukari
«C'è
una persona per lei, avvocato. Ma non ha un appuntamento»
Un'altra
volta?
Sta
diventando un'abitudine.
Mentre
sto per rispondere con il mio solito “gliene dia uno, allora”,
sento la porta aprirsi.
Yukari
grida
«Non
può entrare, aspetti!».
Kiba
Iunuzuka mi guarda
«Dobbiamo
parlare» dice.
Yukari
lo rincorre trafelata, blaterando un
«Mi
dispiace avvocato».
Lo
guardo anch'io.
«Vada
pure Yukari» dico.
«Cosa
vuoi?» gli chiedo
«Parlare
con te» rispondere
«Parlami
allora, ma in fretta. Sto lavorando».
See.
Chi credi di prendere in giro, Neji?
Kiba?
Ma
figurati.
«Non
hai tempo per parlare di Ten?».
Infatti.
Come volevasi dimostrare.
«Non
vedo cosa abbiamo da dirci, io e te».
Beh
insomma. Di cose ce ne sarebbero parecchie.
Per
esempio, maledetto stronzo figlio di puttana, che ti sei messo con la
ragazza di cui ero innamorato.
Per
esempio, maledetto stronzo figlio di puttana, che eri innamorato di
lei anche quando eravamo amici.
Per
esempio...
Per
esempio sì, che tu me l'hai sempre detto che così avrei finito per
perderla, che mi hai sempre detto che non dovevo farla soffrire, che
mi hai sempre detto che lei mi amava.
Beh.
Ok.
«Ce
ne sarebbero di cose» risponde «ma io voglio parlare di adesso. Del
fatto che è venuta a chiedere il tuo aiuto»
«E
cosa c'è da dire su questo?» chiedo, ostentando indifferenza, il
che, naturalmente, mi riesce benissimo.
«Hai
idea di quanta fatica le costi?».
Fatica?
Lo
benissimo, maledetto idiota. E mi odio per questo. Vorrei che lei
potesse sentirsi serena e a suo agio, ma tutte le volte che provo a
tranquillizzarla mi blocco e finisco col fare peggio.
«La
cosa non ti riguarda affatto, Inuzuka. Questa è una faccenda tra me
e lei, e non credo apprezzerebbe se sapesse che sei venuto qui e mi
hai parlato in questo modo».
Rispondo
con calma, scandendo le parole ad una ad una.
Dentro
ad ognuna metto il veleno che covo dentro da una vita.
Lui
mi guarda sorpreso.
Probabilmente
non si aspettava una frase del genere, nemmeno da uno come me.
Prova
a ribattere, alzo una mano e proseguo.
Dal
fatto che rimane in silenzio capisco che evidentemente ho sortito
l'effetto desiderato: gli ho messo paura.
«Adesso
cerchiamo di chiarirci. Cosa vorresti? Che rinunciassi ad aiutarla e
la lasciassi sola? Va benissimo. Dopotutto le sto facendo un favore,
oppure questo non ti è chiaro, Inuzuka? Sto lavorando gratis, perché
la tua ragazza non ha i soldi per pagarmi. Dovresti ringraziarmi,
invece che attaccarmi».
Continua
a guardarmi in silenzio, ma sul suo volto si dipinge tutto il
disprezzo che nutre nei miei confronti. È così tangibile che potrei
toccarlo.
«Ti
faccio schifo? Eppure sono la sua unica speranza, in questo momento»
concludo.
Silenzio.
Silenzio.
Pesante
come un macigno.
«Hai
ragione» dice lui «sono stato uno stupido a venire qui. Pensavo che
potesse importartene di come si sentiva, pensavo che volessi aiutarla
sul serio».
Silenzio.
Di
nuovo.
Mi
guarda, con le mani in tasca, poi si volta e fa per andarsene.
«Non
hai nient'altro da dire? Vieni qua, mi aggredisci e poi te ne vai
così? Non è una mossa furba».
«Che
devo dirti, Neji?» risponde «Scusa. E grazie per l'aiuto che ci
stai dando».
Volete
sapere cosa mi è passato per la testa?
Non
saprei.
Semplicemente
questo sono io.
Se
mi sento attaccato reagisco come farebbe uno scorpione.
Ho
voluto umiliarlo e ci sono riuscito. Ho stabilito chi comanda. Ho
messo in chiaro la mia posizione.
Sto
giocando a tira molla, dopotutto.
Intanto,
lui rimane con lei e io rimango qui da solo.
Intanto,
io l'ho perduta e lui l'ha avuta.
Mi
alzo e prendo la giacca.
«Annulli
i miei appuntamenti, Yukari» dico, ed esco senza darle nemmeno il
tempo di ribattere.
Eccomi
di ritorno. Nonostante i ritardi, prometto che finirò la storia.
Questo
capitolo mette in chiaro che Neji è sempre il solito stronzo.
Un
bacio a tutti.
Grazie
a chi legge e naturalmente a chi recensisce.
Altovoltaggio:
ma che bello trovarti sempre qui a recensire...beh, questo capitolo
lascia un po' di spazio a Kiba, cercherò di trovarne anche per
Hinata. E, hai ragione, la malinconia è proprio il filo conduttore
di questa storia...
Amaranth93:
grazie. Non prometto niente ma ci proverò, insomma, lo spero
anch'io...sai, a volte i personaggi prendono un po' la loro strada,
ma io adoro Neji e Ten insieme, quindi farò il possibile.
Tenni_93:
ecco un particolare, Neji e Kiba non sono certo amiconi. Grazie,
l'amicia tra Neji e Sasuke è piaciuta anche a me...l'ho
trovata...come dire? Azzeccata.
Un
bacione a tutte, continuate a seguirmi e grazie, grazie, grazie.
|
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Capitolo 6 *** Il caffè ***
Premessa.
Scrivendo
mi sono resa conto che questo titolo si sarebbe adattato meglio alla
storia, così ho operato un piccolo cambiamento. Tutto il resto
rimane invariato.
Il
caffè
Esco
in fretta dall'ufficio, lanciandogli un'occhiata furente.
Guardo
le pareti imbiancate di fresco, i quadri costosi, i mobili decò.
Guardo il pc ultimo modello della mia segretaria, il centralino con 5
linee, completamente inutile dato che sono solo.
Guardo
le scale del palazzo d'epoca, le ringhiere, la grata intarsiata che
chiude l'ascensore.
Infine
guardo la targa lucida sul portone d'ingresso.
Avvocato
Neji Hyuuga.
Terzo
piano, int. 4.
Vorrei
mettermi a urlare o a correre.
Vorrei
prendere a pugni qualcuno.
Andrebbe
bene una persona qualsiasi.
Meglio
ancora mio zio o mia zia, o Kabuto Yakushi.
Il
guaio è che dovrei prendere a pugni me stesso. Inutile dare la colpa
ad altri, lo so benissimo ma così è più facile accettarlo.
Infilo
la mano nella tasca interna della mia giacca di sartoria e prendo il
cellulare da 600 dollari che ho comprato il mese scorso.
La
chiamo.
«Ciao.
Sono io» dico
«Ciao
Neji» risponde, sembra leggermente preoccupata. Mi chiedo se Inuzuka
le abbia già detto quello che è successo.
«Dove
sei?» le chiedo
«Al
ristorante» risponde
«Ho
bisogno di parlarti» taglio corto.
È
incredibile quanto poco le mie parole rispecchino i miei pensieri.
Mi
viene incontro un po' trafelata. Io sono già seduto al tavolino del
caffè più chic della città.
Mi
chiedo se l'ho scelto per un motivo.
Probabilmente
sì, mi dico. Ancora una volta volevo mettere in chiaro le cose.
«Il
tuo fidanzato è venuto a trovarmi in ufficio» dico, quasi senza
salutarla.
Lei
mi guarda sorpresa.
No,
Neji, no.
«Perché?»
chiede.
«A
quanto pare non è felice dell'aiuto che ti sto dando».
Cazzo.
Perché?
«Ma
che dici? Stai scherzando?» mi chiede, quasi spaventata.
«Affatto.
Non so cosa tu gli abbia detto, ma dovresti mettergli il guinzaglio».
Perché
sono uno stronzo, ecco perché.
«Fa'
in modo che non succeda più, oppure cavatela da sola».
Uno
stramaledetto, fottutissimo stronzo.
Lei
non parla.
Ha
le braccia conserte al petto, i capelli sciolti, lo sguardo basso.
Io
vorrei sparire.
Il
meccanismo adesso mi è chiaro.
Inuzuka
è venuto da me, con quel comportamento da fidanzatino protettivo e
la cosa mi ha fatto uscire dai gangheri. Lui sta dove avrei dovuto
stare io.
Semplicemente.
Così
divento cattivo.
Che
poi lui stia lì per colpa mia e solo mia, questa è un'altra
faccenda.
Ten
stringe le labbra e socchiude gli occhi, come faceva una volta.
«Perché?»
mi chiede poi «perché mi tratti così? Che cosa ti ho fatto?».
Bravo
Neji.
Rispondile
adesso.
Trova
una giustificazione.
Spiegati.
«Tu
lo sa benissimo perché Kiba è venuto da te. Lui non voleva nemmeno
che chiedessi il tuo aiuto. Non importa Neji, lascia stare. Me la
caverò da sola»
Sei
contento adesso?
Si
alza. E se adesso esce che faccio?
«Ma
credimi, non ti capisco proprio. Non riesco a capire perché ce l'hai
con me».
«Non
ce l'ho con te» rispondo, voce bassissima «Non ce l'ho con te.
Siediti, dai».
«Tu
mi stai aiutando tantissimo, è vero, ma non hai il diritto di
umiliarmi in questo modo».
Che
dire allora?
«Non
avrei mai dovuto venire».
Non
è vero.
Dillo.
Cazzo.
«Perdonami.
Non so cosa mi sia preso».
Bugiardo,
ma almeno lo hai detto.
Lei
mi guarda. Quasi non ci crede.
«Adesso
siediti, dai» ripeto.
Non
andare via, ti prego.
«Senti...»
comincia.
«No
Ten, per favore. Fai finta che non sia successo niente. Io voglio
aiutarti».
«Sei
sicuro?».
«Certo
che sono sicuro».
Allora
abbassa la testa e gli occhi le diventano lucidi.
«Meno
male» dice.
Così
l'ho fatta piangere di nuovo.
«Andiamo,
su. Non piangere. Non ne vale la pena per una stupidaggine del
genere» dico.
Coraggio
dai. Sii un po' più sincero.
«Non
ne vale la pena per uno stupido come me».
Lei
sorride.
È
rimasta in piedi, si avvicina e mi abbraccia.
Mi
abbraccia.
Capite?
Forse
non ve ne potete rendere conto, ma quel contatto rischia di farmi
impazzire.
Adesso
ritiro fuori lo scudo spaziale della mia indifferenza, lo so.
Andiamo
Neji, andiamo. Puoi farcela.
«Puoi
abbracciarmi» dice lei «non lo dirò a nessuno che il glaciale
avvocato Hyuuga si è lasciato andare a una tale manifestazione
d'affetto, giuro».
Mi
viene da ridere e la abbraccio.
La
abbraccio a mia volta e mi rendo conto che aspetto di farlo da anni.
La gente intorno ci guarda.
È
un caffè raffinato e per gente chic. Non ci si lascia andare in
questo modo senza diventare improvvisamente il centro
dell'attenzione.
La
novità del momento è che me ne frego.
Certo,
preferirei che sparissero tutti, vorrei rimanere da solo con lei, in
un mondo dove non esistiamo altri che noi due.
«Mi
dispiace per Kiba» dice poi «è solo preoccupato».
«Mi
ha chiesto se mi rendo conto di quanta fatica ti costi accettare il
mio aiuto» dico improvvisamente «è così? Ti costa davvero
fatica?».
Mi
rendo conto adesso che quelle sono state le parole che mi hanno
ferito tanto.
«Mi
è costata fatica venire da te. Non eravamo esattamente in buoni
rapporti» risponde.
E
chissà per colpa di chi.
La
guardo.
Non
sto pensando a niente.
«Lo
so che sono uno stronzo».
«Un
po'» dice «ma lo sei da sempre e non è mai stato un grosso
problema».
Bugiarda.
È per questo che è finito tutto e lei lo sa benissimo.
O
magari lei, come sempre, ne sa molto più di me e ha capito quello
che io ho sempre sospettato: che più ancora che uno stronzo sono un
codardo e che questo è il motivo vero per cui tutto è finito.
Sorrido
tra me e me. Stranamente mi sento bene.
Oddio
bene. Meglio diciamo. Un po' meglio di prima, almeno.
«Vincerò
questo caso e tu riavrai il tuo ristorante. È una promessa» dico.
Grazie
a chi legge e ,ovviamente, a chi recensisce.
Tenni_93:
beh, un po' meglio va, no? Che ne pensi? Fa lo stronzo come sempre,
ma poi un passettino indietro lo fa.
Altovoltaggio:
grazie mille! Che bello! Sì, in effetti la storia è piuttosto
triste, malinconica direi. La maschera di Neji...beh, è presto per
buttarla giù del tutto, anche se attraverso i suoi pensieri cerco
di tirare fuori tutto quello che non dice.
Un
bacio a tutti.
|
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Capitolo 7 *** Cinghiale alla cacciatora ***
«È
vero quello che si dice su di te e Tenten Amano?» chiede mio zio
mentre inforchetta il petto d'anatra arrosto e se lo porta alla
bocca.
«Dipende
da cosa si dice» rispondo senza guardarlo.
«Che
il ristorante dei suoi rischia l'esproprio e che tu hai accettato di
difendere lei e la sua famiglia» continua.
«Sì».
So
benissimo che questo non concluderà il discorso, ma voglio dare
l'idea che per me sia esattamente così.
Lui,
ovviamente, se ne frega.
«È
un caso ridicolo, Neji, e comunque mi chiedo come ti stia pagando»
prosegue infatti, tra un boccone e l'altro, come se niente fosse.
«Non
mi paga, infatti». Non so perché lo dico, forse è solo una piccola
rivincita che mi prendo nei confronti della mia solita abulia
codarda. Avrei potuto stare zitto, ma non mi va.
Allora
lui mi guarda.
Vittoria.
«D'altro
canto non credo che andremmo in pari nemmeno se le restituissi tutti
i pranzi e le cene che i suoi mi hanno offerto».
Questo,
lo ammetto, avrei potuto risparmiarmelo. Servirà solo a rendere più
acido mio zio e più aspra la discussione.
Mi
è uscito senza averci pensato.
Così
ripenso un attimo a quei pranzi e a quelle cene.
Dopo
la scuola ci fermavamo lì e poi studiavamo nel retro. A volte lei
chiamava e mi diceva “Stasera cinghiale alla cacciatora. Ti va?”.
Sono passati millenni.
Da
quando ho cominciato l'università non ho mai più mangiato un
cinghiale così buono.
Il
microcosmo di quel ristorante mi sembrava perfetto.
Lui
si irrigidisce. Mio zio intendo.
«Farebbe
bene a chiudere, ecco la verità. E tu faresti bene a lasciar
perdere».
Già.
Soprattutto questo. Se sapesse quanto lo odio quando si atteggia a
chi possiede la verità assoluta (atteggiamento che, tra l'altro,
temo proprio di aver ereditato).
Comunque
rimango calmo.
«Ti
assicuro che vincerò questa causa. Fosse l'ultima cosa che faccio»,
rispondo.
Lui
scuote la testa. Adesso passa alla modalità
patrigno-bonario-che-ne-sa-infinitamente-più-di-te.
«Quella
ragazzina ti ha sempre influenzato troppo, Neji. Con lei di mezzo
sembri un'altra persona».
Sorrido.
Inevitabilmente.
«Questa
volta devo proprio darti ragione. Quando c'è Ten di mezzo faccio
persino un po' meno schifo del solito».
Mi
alzo.
Lascio
la cena a metà, tanto non ho più fame.
Mia
zia mi guarda sbigottita.
«Dove
stai andando Neji? Non essere maleducato» sibila cercando di
trattenere la rabbia.
Non
le rispondo.
Ho
la sensazione che quella mia frase, per quanto teatrale e ad effetto,
sia davvero la conclusione perfetta per quella discussione. Per
quanto teatrale e ad effetto sono perfettamente convinto che si
tratti della verità.
Con
lei.
Ma
lei sta con Kiba, adesso, e io non sono altro che il suo avvocato.
C'è
stato un tempo in cui mi ha amato più di qualunque altra cosa.
Per
lei ero sempre al primo posto, lo sapevo e mi sentivo importante,
essenziale.
Sapevo
che qualunque cosa fosse accaduta saremmo stati in due.
Sorrido.
Poi
esco frettolosamente di casa.
Quando
suono a casa sua so che si tratta di una grossa stupidata.
Potrei
trovarci Kiba e in ogni caso non ho la minima idea di cosa dirle.
Mi
piacerebbe poterle parlare senza dover trovare una scusa.
Mi
piacerebbe poterle dire le cose che le ho mai detto.
Sento
i suoi passi che arrivano e il tintinnare del suo buonumore.
«Ciao
Neji» dice sorpresa «che ci fai qui?»
«Volevo
vederti» rispondo
«È
per il processo?» chiede preoccupata «è successo qualcosa?»
«No.
Volevo vederti e basta».
Beh,
è ovvio. Le parole mi escono dalla bocca prima di arrivare al
cervello e vorrei sprofondare un attimo dopo averle dette.
Lei
mi guarda.
«Vieni»
dice sorridendo e il suo sorriso mi entra nel cuore.
Dio,
quanto la amo.
L'ho
sempre amata.
Non
ho mai amato nessun altro che lei.
Non
dovrei dirlo, non dovrei nemmeno pensarlo.
Ricordo
bene quel giorno.
Lei
lì davanti, intorno gli altri.
Lei
lì davanti, incredula e fragile come non l'avevo mai vista. Gli
occhi spalancati su quella festa a cui non era stata invitata.
Mia
zia che la guarda con un certo disprezzo e sussurra alle amiche “è
la figlia dei vicini, è infatuata di Neji e non gli scolla di
torno”.
Lei
che chiede “posso parlarti?”, io che rispondo “non è il
momento”.
I
suoi occhi gonfi di lacrime.
I
miei occhi tronfi d'orgoglio per l'ammissione ad Harvard.
«Vieni»
dice sorridendo.
Le
prendo una mano e la fermo.
«Perdonami
Ten».
Così
alla fine lo dico.
Aspetto
un attimo per essere sicuro di non averlo solo immaginato.
È
vero.
L'ho
detto.
Le
sto chiedendo perdono per quel giorno.
Per
non averla invitata a quella festa e per averla allontanata in malo
modo.
Le
sto chiedendo perdono per il giorno successivo.
Per
averle detto che non l'amavo e che tutto quello c'era stato finiva
lì.
Ma
le sto chiedendo perdono anche per tutti i giorni prima e per tutti
quelli che sono venuti dopo, per non averla saputa proteggere, per il
mio maledetto egoismo, per la mia paura di amare, per averla lasciata
sola.
Lei
mi guarda, incredula forse come allora.
«Di
cosa parli?» chiede
«Di
tutto».
Abbassa
lo sguardo, come se stesse riflettendo. Poi lo solleva di nuovo e mi
fissa.
Mi
raggiunge nel passato che sto vivendo e rivivendo da allora,
ininterrottamente.
«Non
voglio le tue scuse, Neji. L'unica cosa che voglio è sapere perché».
Lo
dice quasi con calma, scandendo l parole senza fretta.
«Ho
avuto paura» ammetto finalmente.
«Perché
non sarei mai stata quello che la tua famiglia avrebbe voluto?» mi
chiede scuotendo la testa in maniera appena percettibile.
Sì,
anche per questo.
Avevo
cominciato a pensarci quando inviai il curriculum per Harvard. Avevo
ottime possibilità di entrare. Ten, al contrario, non sarebbe mai
andata all'università. Sarebbe rimasta per sempre la figlia della
sindacalista che aveva deciso di aprire un ristorante e avrebbe
lavorato per sempre in quel ristorante.
«Anche»
rispondo.
Finalmente
posso essere sincero.
«Sapevo
che non avresti capito le scelte che stavo per fare, la strada che
avevo deciso di prendere».
Per
lei era assurdo spendere 300 dollari per una camicia di Armani.
Ecco
il mio alibi, riuscite a capirlo?
«Forse
non avrei capito, ma non me ne sarei mai andata per questo»
risponde.
Già.
È
così maldettamente amaro saperlo. Averlo sempre saputo, non averlo
mai potuto ignorare, nemmeno per un istante.
«Lo
so» rispondo.
Dev'essere
il momento della sincerità. Davvero mi meraviglio di me stesso (ma
il potere dei dialoghi con mio zio è davvero straordinario, mi
danno, come dire, una carica positiva che normalmente davvero non mi
appartiene).
Lei
rimane in silenzio.
«Hai
mangiato?» mi chiede poi
La
guardo. Beh, non farei altro che guardarla.
«Vuoi
un po' di cinghiale alla cacciatora?».
Adesso
urlo.
Sì.
Adesso
salto sulla sedia e mi metto a urlare di gioia.
Certo
che lo voglio! Lo voglio eccome! Lo stravoglio!
Impazzisco
di felicità.
«Volentieri,
grazie» rispondo.
«Vieni»
dice prendendomi a braccetto.
«Ma',
pa'...- aggiunge poi in direzione della sala – c'è Neji».
Tremo.
Sul serio. Cosa diranno, cosa penseranno, cosa faranno i suoi
genitori?
C'è
stato un tempo in cui mi consideravano davvero uno di famiglia.
Poi
li ho abbandonati e traditi, anche loro insieme a lei.
Aspetto.
Sua
madre si affaccia dalla porta della cucina, con un sorriso luminoso
sul volto.
«Neji!
- esclama – è così bello vederti...volevo tanto ringraziarti per
quello che stai facendo!».
E
così finisce tutto? Voglio dire, adesso la mia paura si scioglie, il
senso di colpa se ne va, mi metto l'anima in pace?
Eh
beh, no. Non è così facile.
Tutt'altro.
Magari
mi fa onore, almeno un po', ma ne dubito.
Quella
cena, comunque, è la cosa più bella che ricordi da anni.
È
calda, accogliente e piena d'amore.
Poi
scala al secondo posto nella mia classifica quando Ten mi chiede
«Facciamo
due passi?».
Camminiamo.
A
dirla tutta, lei cammina, io faccio finta, ma in realtà volo.
Lei
chiacchera e sorride.
«Che
direbbero i tuoi se ci vedessero adesso?» mi chiede. La nota lieve
di tristezza nella sua voce mi fa sussultare.
Mi
fermo e la guardo.
«Non
mi importerebbe più» rispondo.
Anche
lei mi guarda.
Chissà
se ci crede.
Perché
dovrebbe, in fondo?
Da
ragazzino ho detto tante cose. Beh, non proprio tante, d'accordo.
Anche allora non è che parlassi molto.
Ma
qualcosa glielo avevo detto.
E
nella mia testa le avevo fatto un milione di promesse.
Perché
dovrebbe credermi allora.
Mi
sorride.
Non
ho mai visto un sorriso più bello o più dolce.
«È
davvero una serata meravigliosa» sussurra.
Che
dire? Sono tornata...
Vediamo
un po'...
Grazie
a tutti, e in particolare:
Tenny_93:anche
qui un po' di dolcezza, che ne dici? Neji si è sciolto davvero?
Kisa_chan:è
vero, sono proprio dolorosamente
divisi.E adesso?
Uhm, ho la sensazione che la riunificazione sarà molto difficile.
Altovoltaggio:carissima!
Sì, sono tornata...ti è piaciuto il cap? Il povero Neji ha davvero
problemi ad esprimersi, non trovi?
Celiane4ever:come
dicevo sopra, Neji ha davvero dei problemi ad esprimersi, ma in
questo cap migliora no? Qualche piccolo passo avanti e non va così
male...
Baci
a tutti!
|
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Capitolo 8 *** L'idiota (o Gli idioti) ***
'Buonanotte',
mi ha detto lei salutandomi.
Eh
certo, buonanotte.
Parla
facile, lei.
Chi
accidenti dorme, adesso?
Non
io.
Non
dopo una serata così.
Inutile
persino provarci, e in ogni caso, non ne ho affatto voglia.
Mi
guardo intorno. Sono le 11.30 di sera.
Tranquillo,
Neji, l'infinita schiera dei tuoi amici è lì pronta per colmare la
tua momentanea solitudine soddisfacendo questo estemporaneo bisogno
di compagnia...
L'infinita
schiera...
Dunque?
Mi
guardo intorno. Coppie, terzetti, gruppi di amici che chiacchierano.
Mi sembra di non vedere altro, è quasi inquietante, non vorrei
essere patologico e soffrire di allucinazioni.
Sono
da tutte le parti. Ridono, scherzano, si lamentano.
Certamente
qualcuno di loro starà soffrendo per una donna, e gli amici lo
staranno consolando.
Io,
come sapete, sono di un'altra scuola.
Ma
non raccontartela, Neji Hyuuga.
Tu
sei un incapace sociale.
O
più semplicemente.
Tu
sei inequivocabilmente solo.
Cammino
con questo pensiero. La felicità quasi ubriaca (e diciamocela tutta,
francamente esagerata) di poco fa è quasi sparita. Ha lasciato il
posto a una malinconia generica e pesante che mi è quasi del tutto
nuova.
Quando
alzo gli occhi e mi accorgo di aver camminato fino alla casa di
Uchiha, scrollo le spalle e decido di fottermene se è tardi, se il
mio atteggiamento lo sconvolgerà e, soprattutto, se così facendo
deporrò la maschera di uomo
glaciale-impassibile-indifferenteatuttoquellochesuccedeintorno.
Se
sembrerò più debole il mondo se ne farà una ragione.
Io
suono.
Uchiha
che apre ha una faccia che è tutto un programma.
Immagino
che si stia ancora chiedendo chi diavolo potrebbe suonargli a
quest'ora.
«Neji!»
grida quando realizza chi sono.
Neji...
È
quasi buffo sentirmi chiamare per nome da lui.
Lo
guardo. Adesso mi sento immensamente stupido. Cosa diavolo ci sono
venuto a fare, fino a qui? Che giustificazione gli do? Che gli dico?
Mi
guarda. È abbastanza preoccupato, e ci credo! Lo sarei anch'io al
suo posto.
Esterrefatto,
anzi, sarebbe la parola giusta.
«Ma
che ci fai qui a quest'ora?» mi chiede.
Chissà
adesso che frase ridicola mi esce dalla bocca (avrete capito, ormai,
che sono del tutto incapace di controllarmi).
Qualcosa
tipo “passavo di qua”, o “volevo un tuo consiglio su un caso”.
O peggio, non dico niente e prima di aver realizzato me ne sono già
andato.
«Che
devo dirti, Uchiha? Bella domanda. È stata una serata strana e non
mi andava di stare da solo».
Non
posso crederci! L'ho detto davvero?
Beh,
dev'essere l'effetto Ten ancora nell'aria.
Scrollo
le spalle.
Mi
guarda ancora più allibito.
«Entra»
dice poi.
Entro,
mi siedo e gli spiattello tutto, dettagli compresi. Dalla discussione
con l'adorabile zietto alla buonanotte. Non mi ero reso conto di
avere una tale voglia di parlare.
Non
mi riesce di smettere.
Parlo
come un fiume in piena, lui, tuttavia, non fa una piega. Mi chiedo
come mi sarei comportato io a situazione ribaltata.
Boh.
Comunque
parlo e lui ascolta.
Alla
fine dice
«Beh,
devi dirglielo», poi mi guarda e si mette a ridere.
Viene
da ridere anche a me.
«E
che le dico?» chiedo ridendo.
«Che
la ami. Che sei innamorato perso, come un quindicenne idiota. Che non
fai altro che pensare a lei, che è l'unica donna della tua vita. Che
la ami, insomma».
Cribbio.
Non credevo che Sasuke Uchiha potesse nemmeno pensarle parole come
questo, nemmeno che le conoscesse.
Lo
guardo perplesso.
«Beh,
che c'è? È la verità, no?» chiede.
Annuisco.
«Ahah...è
che non mi aspettavo di sentirti parlare così».
Arrossisce
violentemente. Che buffo. È la prima volta che lo vedo così (ma non
dovrei essere io ad arrossire?).
«Cosa
c'entra? Non sto parlando di me, sto parlando di te» risponde.
«Sì,
certo – ridacchio – ma scommetto che hai fatto le prove un sacco
di volte, perché sono esattamente le cose che vorresti dire a
Sakura». La butto lì, tanto per vedere cosa risponde.
Rimane
un attimo in silenzio, poi dice
«No.
Io sono più indietro di te. Io non le ho mai detto che mi dispiace e
non le ho nemmeno chiesto scusa – ha un'espressione malinconica, o
vagamente triste, forse – tu hai fatto passi da gigante, rispetto a
me».
Tombola.
A
questo punto vado avanti.
«Ma
tu e lei? - chiedo un po' titubante – insomma, stavate insieme?».
Domanda
idiota, lo ammetto.
Mi
aspetto una risposta altrettanto idiota, per non fare l'unico idiota
della serata.
Per
condividere, insomma, questa malinconia nostalgica e romantica che mi
ha preso e che mi fa pure (onestamente) un po' schifo.
«Sì
- risponde secco – un paio d'anni, alle superiori»
«Cazzo»
esclamo. Altro che risposta idiota, mi ha lasciato senza parole. E
chi se l'aspettava? Sasuke Uchiha ha avuto una vera fidanzata?
«Lo
so cosa stai pensando. Sì, sono stato fidanzato. Ma era una storia
così, o cioè, volevo che lo fosse» dice serio.
«Vale
a dire?» chiedo.
«Vale
a dire che non era il mio ruolo, quello del fidanzato fedele e
innamorato. Stavamo insieme, ma ne ho combinate parecchie. Alla fine,
vabbé, alla fine è finita» dice.
«Già.
Ma perché?».
«Che
c'è, Hyuuga, me lo chiedi per poi sentirti meglio?».
«Proprio
così – rispondo – ho bisogno di condividere l'idiozia».
Mi
guarda.
Risposta
sincera, se non altro.
«L'ho
tradita – dice con calma – Beh, non era la prima volta. Ma quella
avrei potuto risparmiarmela. Una sera in discoteca sono stato con la
sua migliore amica e lei poi, presa dai sensi di colpa, glielo ha
detto. Avrei potuto dirle che mi dispiaceva, credo che mi avrebbe
perdonato anche quella volta, ma non l'ho fatto».
Non
riesco a dire niente.
Non
mi immaginavo che fosse così, Sasuke ragazzino.
Un
play boy che frequenta discoteche e tradisce la sua fidanzata.
Sasuke
in discoteca?
Sasuke
con una fidanzata?
Sasuke
con la migliore amica della sua fidanzata?
Mi
si spalanca davanti un mondo nuovo.
«Beh,
ero più socievole, prima - dice – con Sakura mi sono giocato pure
Naruto. Due in un colpo solo. Lui mi ha fatto una paternale colossale
e io l'ho mandato al diavolo, poi sono sparito. Così ho chiuso con i
rapporti sociali. Troppo incasinati, non fanno per me».
«Ma...lei...?»
chiedo.
Cioè,
non chiedo niente. Farfuglio e basta.
Vorrei
chiedergli se la ama, ma quella parola proprio non mi esce dalla
bocca. Sarò patologico? Di sicuro ho un blocco mentale da far
spavento.
«Che
vuoi sapere? - mi interrompe quasi un po' spazientito – se la amo
ancora? Se l'amavo prima? Ma non riesci nemmeno a dirlo?».
«Allora?»
chiedo.
«È
stata l'unica ragazza importante – dice dopo un attimo di
riflessione – l'amore può prescindere dal modo in cui si tratta
una persona?».
«Sì»
rispondo.
«Allora
direi che la amo».
Un
po' di spazio anche a Sasuke...che ne dite?
Baci
e grazie a tutti.
Tenny_93:
niente bacio...accidenti, mi perdoni? Povero Neji, fa fatica persino
a dire “amore”. Che dici, è abbastanza coerente con il pg del
manga? Almeno nelle linee generali del carattere? Grazie mille,
prometto che cercherò di aggiornare presto!
Dryas:
grazie davvero! Neji soffre moltissimo, è un personaggio complesso,
elaborato, e anche, diciamocelo, veramente stupido. Ho una passione
per gli antieroi di questo tipo! Sempre in bilico, sempre incerto, e
totalmente incapace di parlare. Ma anche Sasuke non scherza, no?
Angel
of Sin: davvero si capisce qualcosa di Ten? Il fatto di aver scelto
il punto di vista di Neji, forse, è un po' penalizzante per lei...ma
i sentimenti di Neji ormai son abbastanza chiari, no? Il problema è
quanto riuscirà a dimostrare. Grazie grazie grazie!
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Capitolo 9 *** La sfida ***
La
sfida
In
casa, la mattina dopo, c'è un clima pesante.
Hanabi
(che è casa per qualche giorno, a riposo dalle sue fatiche
universitarie) mi incontra sulle scale e mi dice
«Li
hai fatti incazzare».
Non
le rispondo.
Le
scrolla le spalle.
Non
credo si aspettasse una risposta, e probabilmente nemmeno le sarebbe
interessato averne una.
Siccome
sono andato a letto tardissimo (e non ci sono per niente abituato),
stamani, quando ho sentito la sveglia, l'ho spenta e mi sono girato
di là.
I
due appuntamenti saltati se ne faranno una ragione.
Tanto
sono un grande avvocato, io.
Al
lavoro ci vado alle 10.30, con una faccia che è tutta un programma.
Yukari
mi viene incontro allarmata.
«Avvocato!»
esclama, poi mi inonda con un fiume di parole, tra cui colgo «ero
preoccupatissima», «ho provato a chiamarla», «aveva il cellulare
irraggiungibile».
I
due tipi degli appuntamenti mi stanno aspettando ancora, seduti nella
mia lussuosa sala d'attesa.
Vorrei
rispondere che il cellulare era spento perché stavo dormendo e
perché non poteva fregarmene di meno di loro, di lei e di questo
stupido ufficio.
«Chiedo
scusa – dico invece – ho avuto una brutta colica durante la
notte, e stamattina ero in condizioni terribili».
Naturalmente
mi credono. Tutti. Compresa la mia sagace segretaria. D'altra parte
non c'è nessun altro motivo per cui Neji Hyuuga potrebbe disertare
il lavoro.
Appena
entro in ufficio, e il riccone di turno (senti da che pulpito...) mi
sbrodola i suoi guai giudiziari con la moglie, che sta cercando di
portargli via tutto il suo patrimonio a seguito dell'iter classico
tradimento ripetuto – divorzio, sorrido.
Ten
è rientrata nella mia vita da qualche settimana e ha già
rivoluzionato tutto, al punto da farmi rimanere a letto la mattina
piuttosto che andare al lavoro.
Al
tipo qua davanti vorrei dire «ben ti sta, caro mio. Se ti fossi
trovato una donna come Ten non ti sarebbe successo», ma poi penso
che, poveretto, nemmeno è colpa sua. Donne come lei ce n'è una e
basta, e certamente non la lascerei a lui.
Scrollo
le spalle e comincio a lavorare sul serio, entrando in modalità
grande avvocato.
Nei
due giorni successivi tutto torna a una apparente normalità (la mia,
s'intende).
Vale
a dire: lavoro-lavoro-lavoro.
Il
fatto di potermi impegnare sul caso di Ten, però, mi tira almeno un
po' su il morale.
Per
lo meno faccio qualcosa di sensato.
Mi
ci dedico con tutto me stesso e alla fine del mio studio matto e
disperatissimo la conclusione è una sola:
io
quelli
li
distruggo.
Chiamo
l'avvocato della parte avversa.
«Caro
collega – dico – ho interessanti novità per lei a proposito
dell'esproprio ai danni della mia cliente, Amano».
Lui
esita.
«Mi
permetta di presentarmi. Come le dicevo sono l'avvocato dei signori
Amano: Neji Hyuuga».
Assaporo
il momento in cui pronuncio il mio nome.
Lo
sento fremere dall'altra parte del telefono.
«Stimato
collega...» comincia.
Dentro,
ghigno.
Così
lo incontro e parliamo.
Il
verdetto naturalmente è uno solo: è un completo incapace. Come
presupposto, lo distruggo.
Lui
ha quell'atteggiamento reverenziale che di solito mi fa godere (sì,
lo ammetto) e in questo caso, stranamente, mi infastidisce.
Più
che fargli le scarpe sul piano legale vorrei prenderlo a pugni.
Comunque
mi trattengo e vengo via con la vittoria in tasca.
Poi
sto mezz'ora davanti al telefono prima di avere il coraggio di
chiamarla.
«Neji!»
esclama rispondendo.
Odio
quelli che rispondono al telefono pronunciando il mio nome come se
avessero appena fatto una scoperta sensazionale, ma pronunciato da
lei, il mio nome, ha sempre un suono bellissimo.
«Ti
disturbo?» chiedo.
«Per
niente – risponde, poi aggiunge - avrei voluto chiamarti, ma avevo
paura di disturbarti».
Paura...paura
di disturbarmi?
Tu?
A
me?
Ma
che, scherzi?
Sei
pazza o cosa?
Questo
è quello che mi verrebbe da dire.
Naturalmente,
indovinate un po', non lo dico affatto.
Però
cerco un compromesso.
Qualcosa
che esprima, almeno alla lontana, il mio pensiero, senza farmi
apparire più patetico di come già mi sento.
«Mi
avrebbe fatto piacere, invece».
Bravo
Neji-sentimentale. Un punto per te.
«Allora
la prossima volta ti chiamo».
Silenzio.
«Senti,
ho incontrato l'avvocato Brown».
Acc.
Ma
perché cambio discorso, una volta tanto che ho l'occasione di
lasciarmi un po' andare?
Un
punto per Neji-glaciale.
«Davvero?
E com'è andata?» mi chiede preoccupatissima.
«Esattamente
come doveva andare. È un incapace che si atteggia a grande avvocato»
rispondo.
«Sì,
ma...quindi?» chiede ancora.
Ah
già, non ho risposto.
Mi
sono fatto prendere di nuovo dalla modalità professionale.
Ma
quindi siamo in tre, in gara?
Un
punto per Neji-professionale.
«Quindi
si risolverà tutto. Non vi porteranno mai via il ristorante, con
queste premesse» concludo.
Lei
si mette a piangere.
No,
cribbio, non di nuovo.
«Ten?
Ten? - la chiamo – perché piangi?»
«Perché
sono felice - risponde singhiozzando – come farò ringraziarti?».
Rimango
un attimo in silenzio.
«Un
appuntamento basterebbe» rispondo poi.
Da
dove mi venga non lo so.
Forse
sono impazzito.
Però
una cosa è certa: signori e signore, per 2 a 1 a 1 vince questa
sfida Neji-sentimentale!
Adesso
sentiamo cosa risponde.
Mi
manda al diavolo?
Butta
giù il telefono?
Si
mette a ridere?
O,
peggio di tutte, mi dice che è già fidanzata?
Me
la sto facendo addosso come un quindicenne.
Poi
la sua voce rompe il silenzio.
«Stasera?»
chiede.
«Sì»
rispondo.
Quando
butto giù il telefono mi tocco la faccia, su, per altro, devo aver
stampato un sorriso davvero idiota.
Quella
di farmela addosso sarà anche solo una metafora, ma sono sudato come
un animale, e questa non è affatto una metafora.
Prima
di andare a prendere dovrò andare a casa e farmi una doccia.
Un
grazie a tutti quelli che leggono e un grazie speciale a chi
commenta.
Nel
prossimo capitolo prometto di dedicare un po' di spazio a Sasuke!
Angel
of Sin: grazie mille per i complimenti! Come dicevo nel prox
capitolo cercherò di dire qualcosa di più su Sasuke. I sentimenti
di Ten non sono ancora molto chiari, ma forse non lo sono del tutto
nemmeno a lei.
Altovoltaggio:
eheh, ho sentito la tua mancaza...Neji, in effetti, è davvero in
ansia! Non sa dove sbattere la testa, ma la situazione si sta un po'
risolvendo.
Tenny_93:
grazie mille. Il prox capitolo sarà esattamente come lo vorresti:
Ten e Sasuke ci saranno entrambi (anch'io adoro i momenti Neji-Sasu).
Dryas:
neanch'io apprezzo particolarmente Sasuke, qui ho cercato, senza
snaturarlo, di dargli un po' di umanità. Ne ha combinate parecchie,
nella mia storia, e come Neji non riesce a tornare indietro. Ma ti
assicuro che entrami soffrono tanto. Grazie, anch'io ho trovato il
cap. abbastanza divertente, nonostante la tristezza...
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Capitolo 10 *** L'appuntamento ***
L'appuntamento.
Ho
fatto la doccia.
Mi
sono messo il deodorante (forse pure troppo).
Mi
sono pettinato (sei o sette volte prima di uscire).
Ma
non riesco a far smettere di tremare le gambe.
Che
tipo di appuntamento è questo?
Una
cosa tra vecchi amici che si erano persi e si sono ritrovati?
Una
cosa tra innamorati che dopo essersi lasciati si riscoprono tali?
Non
ci capisci niente, Neji Hyuuga, ammettilo.
Questa
donna che tra poco arriverà – perché tu ovviamente sei arrivato
in anticipo di mezz'ora, neanche a dirlo – è stata la tua migliore
amica e la tua innamorata, e in definitiva la persona di cui più ti
sia importato al mondo.
Quindi,
da bravo disadattato sociale, non ci capisci assolutamente niente.
Ma
qualunque cosa sia te la terrai stretta.
Che
sia amore o amicizia lo non lo butterai via, o questa volta giuro che
ti uccido con le mie mani.
Lei
arriva ed è bellissima – anche questo, neanche starlo a dire.
Sorride,
e tanto basta a renderla meravigliosa.
«Allora,
avvocato, dove si va?».
Scrollo
le spalle.
«Dove
vuoi».
«Ma
come, non hai pensato a niente? - mi rimbrotta – mi inviti fuori e
non sai nemmeno dove portarmi?».
Già.
Splendida
figura.
Sarò
cretino?
Non
c'è alcun dubbio.
Ci
ho pensato, a dove portarla... è che mi sono venuti in mente solo
locali ultra eleganti da non meno di 100 dollari a persona.
Ferma
tutto!
E
allora?
Perché
non l'ho portata lì?
Ancora
la vecchia storia della vergogna?
Oh
mio
dio
!
Non
ci posso credere.
«La
verità – continua – è che tu conosci ristoranti di un certo
tipo e non volevi portarmi lì».
Signorina,
scusi, potrebbe evitare di leggermi nel pensiero?
È
imbarazzante.
«Perché?
- mi chiede (sorridendo) – non è che hai paura di incontrare
qualcuno che conosci?»
Improvvisamente,
però, tutto diventa chiaro.
«Un
po' – ammetto – ti va se prima facciamo due passi?».
Annuisce.
Sì,
adesso è tutto chiaro. Passo successivo: trovare le parole per
spiegarlo a lei.
Camminiamo.
«Se
incontrassimo qualcuno sarebbe qualcuno sarebbe qualcuno che mi
assomiglia» dico.
Discorso
complicato, ma necessario, più per me che per lei.
«Qualcuno
come me, gente da 100 dollari a serata».
«Non
me ne sono mai fatta un problema» risponde.
«Tu
no, io sì - dico – a me vuoi bene. Per lo meno, me ne hai voluto
tanto...», mi guarda inclinando la bocca, con quell'espressione che
vuol dire “lasciamo perdere, va'”.
«E
certe cose di me ti sei sempre rifiutata di vederle. Se incontri loro
magari te ne accorgi, ti accorgi di tutto e...»
Ho
la bocca impiasctricciata, mi impappino come un ragazzino.
«...e
io non voglio che tu te ne accorga».
Lei
mi guarda e poi mi da uno schiaffetto sulla testa.
«Sei
proprio cretino, Neji! - esclama – guarda che i tuoi difetti li ho
sempre visti. Non sono cieca. Solo che li ho anche sempre amati. E
francamente, ho sempre creduto che tu valessi molto più di 100
dollari a serata».
La
guardo incantato, perché lei sa sempre cosa dirmi, perché lei ha
sempre le parole giuste, perché lei, anche se deve parlare dei suoi
sentimenti, non si impappina per niente.
«Non
valgo niente, invece. Se valessi qualcosa non ti avrei trattato come
ho fatto».
Le
parole mi scivolano fuori dalla bocca senza che me ne accorga, senza
trovare il tempo o il modo di fermarle, e, tutto sommato, ne sono
felice.
Lo
dico con amarezza e delusione, ma senza vittimismo.
Non
sono vittima di un bel niente, a pare della mia codardia e della mia
stupidità.
Lo
dico perché è proprio il caso di dirlo.
«Non
l'ho mai pensato – risponde – ho solo creduto di non valere
abbastanza per te».
Lei
lo dice con consapevolezza.
Nessuna
parola che le scappa di bocca, nessun tentativo di fermarle
Ma
il suo tono porta la stessa amarezza e la stessa delusione del mio.
«No
Ten, non dirmi questo, ti prego – sussurro (come un adolescente
innamorato) – sono stato solo un codardo vigliacco».
Mi
metterei a piangere.
Oppure
mi scaverei una buca e mi ci infilerei sotto.
Qualunque
cosa, ma non questo.
«Pensavo
che saresti venuto a cercarmi. Ti ho aspettato tanto» dice.
Piange.
Le
prendo il viso tra le mani e la abbraccio. È piccola come un
bambolina, ma forte come la roccia.
«Perdonami
– dico – sono un infelice cronico, senza di te».
«Perché
non sei venuto, allora? Perché hai dovuto aspettare che venissi
io?».
«Perché
fingo di essere forte, ma in realtà sono debole e spaventato –
rispondo, e non smetto di accarezzarla – ho una paura matta di te,
perché quando sono con te mi sento diverso. Avevo paura che non mi
volessi, che mi mandassi al diavolo, avevo paura».
«E
allora hai lasciato che tutto questo tempo passasse così?».
Annuisco.
«Lo
vedi come sono in realtà?».
«Sei
uno stupido, ma non ci sono mai stati dubbi su questo».
Sorride.
Che
faccio?
Glielo
dico o no?
Che
succede se glielo dico?
E
Kiba?
E
lei?
La
metto nei guai?
Le
riporto a galla vecchi sentimenti?
Ten
mi ama ancora, adesso ne sono sicuro. Lo vedo da come mi guarda, lo
sento dalle cose che dice. Sono le stesse che avrebbe detto una
volta, sono gli stessi occhi e gli stessi sguardi.
Ma
forse ha messo via quell'amore, forse lo ha addormentato, forse lo ha
riposto in un angolo per andare avanti, e se adesso ama anche Kiba io
non voglio stravolgerle la vita.
So
che lo farei, se glielo dicessi.
So
che le creerei dei problemi.
So
che la costringerei ad affrontare qualcosa che, probabilmente non
vuole affrontare.
Allora
sto zitto e le bacio il viso, stringendomela addosso.
E
per la prima volta in vita mia, se taccio non è autocontrollo o
paura, ma solo amore.
Ops,
mi spiace.
Avevo
promesso Sasuke e invece l'ho rimandato al prossimo capitolo...sono
perdonata ugualmente?
Spero
di sì.
Grazie
a tutti, in particolare a:
Altovoltaggio:
eh sì, Ten e Kiba li abbiamo lasciati fidanzati...così dice Neji
almeno. L'appuntamento c'è stato, e Neji, in effetti, sta diventando
un po' OOC, ma mi sforzo di mantenerlo realistico. Voglio dire, sta
tirando fuori certe cose, ma per come lo vedo io, le ha sempre avute
dentro. Tu che dici? Grazie grazie grazie, ti aspetto, come sempre
tenny_93:
beh, vittoria schiacciante del Neji-sentimentale, no? Finalmente. Lui
la causa è stra-sicuro di vincerla, speriamo...alla prossima e
grazie mille!
Angel
of Sin: ecco qua l'appuntamento: è stato intenso, no? Che ne
pensi? Neji, in effetti, è parecchio grottesco, come tutti gli
iper-controllati, a mio avviso. Grazie come sempre per il commento!
|
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Capitolo 11 *** Le parole finalmente dette ***
Le
parole finalmente dette
«Kiba
mi ha detto che non state insieme» dico d'un fiato.
Non
voglio riflettere.
Ten,
seduta al tavolino davanti a me, intenta a bere una spremuta
d'arancia, mi guarda semi sconvolta (ma sapesse quanto sono sconvolto
io...).
«Già»
dice poi ricomponendosi.
Ok
Neji, non pensare. Non pensar a niente, parla e basta.
«Perché
non mi hai detto niente?».
D'accordo,
pessima domanda. Forse parlare e basta non è una grande idea. Magari
dovrei baciarla direttamente.
«Perché
la cosa non ti riguardava, suppongo».
Centro.
Brava Ten, colpito e affondato.
Così
imparo con questa storia del “parla senza pensare”, come se
parlare fosse una cosa che mi viene bene.
Che
le dico ora?
«Hai
ragione, però avrei voluto saperlo».
Sensato.
«Perché?».
Non
capisco e prendo tempo.
«Cosa?»
«Perché
avresti voluto saperlo?».
Poi
precisa.
«Cosa
sarebbe cambiato, per te?».
Ah
già. Sensato anche questo.
Com'è
che anche quando dice cose apparentemente sciocche in realtà ha
ragione? Per me non sarebbe cambiato niente. O meglio, sarebbe
cambiato tutto dentro di me, ma poco o nulla esteriormente, a parte
forse il fatto che avrei evitato quella disgustosa scenata con lui e
con lei. D'accordo, lo dico (tanto una risposta devo dargliela).
«Almeno
mi sarei risparmiato quella scena terribile».
Ridacchia.
«In
effetti...».
«Te
l'ho già detto che ero consumato dalla gelosia?».
Cazzo
Neji, gran bel colpo questa volta!
«No»
sorride.
«Deve
essermi passato di mente» sorrido a mia volta.
Poi,
nel silenzio di un attimo, sento la sua voce scandire parole chiare,
affilate come coltelli.
«Non
me l'hai detto, Neji, ma era piuttosto chiaro. O almeno, lo è stato
quando ci ho riflettuto con calma. Solo che il punto non è questo.
Il punto è ancora non riesci a dirmi quello che dovresti, o
vorresti, o non so».
Abbasso
la testa.
No,
non questa volta.
Questa
volta non permetterò che il mio stupido orgoglio, o la mia
inettitudine sociale, chiamatela come volete, me la porti via di
nuovo.
Questa
volta no, a costo di scornarmici contro.
«Ti
amo, Ten».
All'improvviso
questa tre parole mi sembrano semplicissime.
Mi
chiedo cosa ci sia mai stato di così difficile, nel pronunciarle.
All'improvviso
non ho più paura, neppure della sua risposta.
Lei,
però, non risponde.
Tace
e mi guarda, e allora, già che ci sono, parlo io.
«Dal
primo giorno e non ho mai smesso».
Silenzio,
di nuovo.
«Non
abbastanza, forse» dice.
L'ho
sempre detto che il silenzio è da preferirsi a qualunque altra
cosa...
E
invece no.
No,
cazzo, no.
Non
ci sto zitto, questa volta. Questa volta parlo e lo dico e al diavolo
tutto il resto.
«Sposami».
Cribbio.
Cribbio.
Cribbio.
«Sposiamoci».
Lo
dico due volte, per sicurezza.
Lei
sgrana gli occhi, io cerco di dare una calmata ai battiti iper
accelerati del mio cuore.
«Tu
sei pazzo» dice.
Forse.
«No».
In
effetti no, non sono mai stato così lucido, al contrario.
Glielo
dico? Ma sì.
«Non
sono mai stato così lucido. Io ti amo e voglio sposarti».
«E...»
sta per dire qualcosa.
No
ti prego, la domanda sulla famiglia non la reggerei adesso.
«Non
me ne frega niente» la precedo (chissà se voleva chiedermi quello,
poi).
«La
mia vita è stata uno schifo, senza di te» aggiungo.
Mah?
Forse mi si è rotto qualcosa, da qualche parte nel cervello, oppure
si aperta una valvola, oppure boh. Fatto sta che ho cominciato e non
mi fermo più.
«Abbiamo
fatto l'amore una volta sola» sussurra.
Se
sapesse quante volte ho immaginato di farlo, rifarlo e rifarlo ancora
non lo direbbe.
«E
con questo?» chiedo.
«È
stato un disastro totale, il dopo» dice.
«Sì.
Hai ragione. Hai ragione su tutto. Ma adesso è diverso, è diverso
tutto».
«Cosa
c'è di diverso?»
«Che
sono pronto».
Ottimo
Neji, gran bel discorso.
E
adesso che tu sei pronto lei dovrebbe essere lì, pronta a sua volta
a correrti tra le braccia, vero?
Sei
proprio un pezzo di merda, anche quando non vorresti.
«Devo
pensarci su» dice.
«No
– rispondo no!».
Se
ci pensa su non mi dirà mai di sì.
Ripenserà
a tutte le cazzate che ho fatto, ripenserà al tipo di persona che
sono e nemmeno il suo amore riuscirà più a mascherarlo ai suoi
occhi. Con egoismo estremo, il solito che mi contraddistingue le dico
«No.
Non pensarci».
Poi
proseguo.
«Cioè,
non vorrei che tu ci pensassi, ma è giusto».
Incredibile.
Allora
sono pazzo davvero.
«Prenditi
tutto il tempo che ti serve, io sarò sempre qui. Solo, voglio che tu
sappia che questa volta combatterò fino alla fine».
Lei
mi guarda e sorride.
«Mi
fai un po' paura» dice.
«Solo
un po'? È buono, in fondo. Io mi faccio moltissima paura» rispondo.
Ridacchia.
«Senti,
vorrei che anche tu ci pensassi» dice poi.
Pensare?
A cosa? A quanto la amo? Al fatto che la mia vita non ha alcun senso
senza di lei?
Non
occorre, grazie.
«Io
non devo pensare a niente. Ho già pensato abbastanza» rispondo.
«A
quello che succederebbe se ti dicessi di sì. Alla tua famiglia, al
tuo lavoro, alle tue abitudini. Cambierebbe tutto, Neji».
Sto
per pensare a qualcosa. Ma non voglio farlo, lo dico e basta
«Io
voglio che cambi tutto, Ten. La mia vita è uno schifo, senza di te».
Ok,
l'ho già detto. Ma dopo una vita di silenzio voglio che sia ben
chiaro.
In
fondo, sono le parole che non ho mai detto.
Spazio
autrice.
Carissimi,
grazie a tutti. Ci avviciniamo alla conclusione, nel prossimo
capitolo spero di poter dare un po' di spazio anche a Sasuke, ma Neji
è stato coraggioso, no?
Sono
molto orgogliosa di lui.
Veniamo
alla mie adorata e carissime commentatrici, che ringrazio tanto
tanto.
Dryas:cara,
certo che meglio tardi che mai. Sono d'accordo con te, era proprio
ora che Neji si svegliasse...anche a me Kiba piace un sacco,
all'inizio pensavo di farlo restare con Ten, ma poi non ci sono
riuscita, il mio animo Neji-Ten ha preso il sopravvento...che vuoi
farci?
Shark
Attack:che bello trovarti qui! Sono contenta che la storia ti
piaccia, nel prossimo capitolo cercherò di tirare fuori qualcosa del
mio Sasuke...
Altovoltaggio:
alla faccia dell'inatteso, no? Che ne dici di questa proposta? E Ten
non ha pianto, né è cascata ai suoi piedi come una pera cotta. Al
contrario, resiste. Vedremo...
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Capitolo 12 *** Sottosopra ***
Sottosopra
L'appuntamento
è finito.
Non
ho ancora capito niente ma, cazzo, sono felice.
Felice
sul serio, ci credete?
Io
faccio un po' fatica (a crederci, intendo), ma sono felice come non
credevo di poter essere.
Così
felice che mi riprometto, il giorno dopo, di chiamare Sasuke solo per
il gusto di raccontarglielo, e per essere sicuro di farlo scrivo su
un foglietto: “chiama Uchiha. Hai giurato a te stesso di farlo”
(certe volte la mia stupidità mi sorprende davvero, in ogni caso mi
scopro sempre a chiedermi cosa penserebbero gli altri – tutti gli
altri tranne lei – se mi scoprissero in questi panni).
Il
giorno dopo ci penso e ci ripenso. La voglia mi è passata ma ho
giurato (e per fortuna l'ho scritto sul foglietto).
Penso
di accartocciarlo, il foglietto, e di buttarlo via facendo finta di
niente.
Poi
lo chiamo – giusto per non apparirmi ancora più ridicolo.
Usciamo.
Gli
racconto della sera prima – ma con poche, semplici parole, niente
dettagli per carità.
Lui
rimane impassibile, mi sembra quasi di vedermi allo specchio.
Poi
prende il cellulare in mano e mi dice
«Ok.
La chiamo».
Rimango
come un deficiente a guardarlo mentre si allontana di qualche passo.
«Tu
però aspettami» aggiunge senza voltarsi.
Lo
aspetto..
«Ciao»
dice.
«Sì,
sono io».
«Lo
so. Stai bene?».
«Tutto
a posto. Possiamo vederci? Io, te e Naru, intendo».
«Grazie».
«Ok»
«Ciao».
Poche
parole, forse ancora meno di quante avrei potuto dirne io. Forse è
proprio per questo che lo capisco.
Stranamente
la mia testa ricostruisce quella conversazione, se la immagina, come
se gli affari degli altri avessero mai avuto una qualche importanza,
per me.
«Ciao»
le ha detto lui.
«Sasuke?
Sei proprio tu?», le avrà chiesto esterrefatta.
«Si,
sono io», come se fosse normale.
«Sei
l'ultima persona che mi aspettavo di sentire», gli avrà detto, ma
senza cattiveria, senza rabbia, solo con sincero, autentico stupore
(e forse una briciola di felicità).
«Lo
so. Stai bene?»
«Sì,
io sto bene. Tu come stai?», gli avrà chiesto. Riordinati un attimo
i pensieri si sarà preoccupata sul serio, pensando che quella
telefonata potesse dipendere da chissà cosa.
«Tutto
a posto», forse non ha capito la sua preoccupazione, o forse, più
probabilmente (io avrei fatto così) l'ha ignorata per non sentirsi
più in colpa.
«Possiamo
vederci? Io, te e Naru, intendo».
A
quel punto chissà cos'avrà pensato lei.
Comunque
gli ha detto di sì, e forse ha aggiunto che si sarebbero sentiti,
per mettersi d'accordo.
Cazzo
Neji, ma hai pensato a tutte queste cose mentre lo sentivi parlare?
E
la tua discrezione?
E
il tuo distacco?
Boh.
Fanculo
(da quanto non dico “fanculo”, anche solo tra me e me?).
Ok.
Adesso però cerchiamo di occuparci di lui.
Infondo
lui si è occupato di te.
«Tutto
bene?» gli chiedo.
«Direi
di no – risponde - Tutto uno schifo, piuttosto. Vuoi spiegarmi come
diavolo mi è venuta quest'idea?».
«E
io che ne so, scusa?». dico
«È
tutta colpa tua» conclude.
Scrollo
le spalle.
No,
caro mio, penso. Questi sono i miracoli di Ten. Lo penso ma non lo
dico. Non esageriamo con le stronzate.
«Li
incontrerai, allora?» dico invece.
«Ci
sentiamo domani. Era sorpresa. Basita direi» risponde.
«Immagino»
commento.
«Solo
che io sono infinitamente più sorpreso di lei. Per quello che ho
fatto, intendo» dice.
«L'avevo
capito».
«Insomma,
è tutta colpa tua».
Torno
indietro che sto ancora sorridendo.
La
giornata non è andata male, dopotutto.
Poi,
vicino a casa, me lo vedo lì.
Ha
addosso una felpa e un paio di jeans, come quando eravamo ragazzini.
Ha i capelli un po' più corti, ma la stessa faccia da semi-idiota.
No. Da persona felice.
Per
un attimo rimango immobile.
Mi
passano in testa un milione di pensieri, compreso quello – subito
bocciato – di chiedergli scusa per le cafonate dell'altra volta.
«Cosa
fai qui, Inuzuka?» chiedo.
Dopo
tanta espansività avrò pure il diritto di tornare a darmi un
contegno, no?
«Devo
parlarti» risponde.
«Un'altra
volta? Non ti è bastata l'ultima conversazione?» (forse mi aspetto
di scoraggiarlo, forse...).
«E
a te non è bastata?» mi chiede di riflesso.
Sì,
mi è bastata.
Decisamente.
Vorrei
evitare di ripeterla.
«Non
sono io quello che ne è uscito a pezzi».
Ma
non ci riesco.
Cazzo.
Non
con lui.
«Eppure,
a quanto mi risulta, non l'hai preso proprio bene. Il seguito,
intendo dire».
Centro.
Bravo
Inuzuka.
«Non
è cosa che ti riguarda. Come a me non riguardano le confidenze che
ti fa la tua ragazza».
Nel
dire “la tua ragazza” mi si accappona la pelle.
Vorrei
tirare un urlo, ma uso tutta la non poca indifferenza che possiedo.
Lui,
al contrario, sembra lievemente imbarazzato.
«Beh,
è proprio di questo che vorrei parlarti, se sei disposto a deporre
per cinque minuti la tua arroganza».
Secondo
centro, sull'arroganza.
Cominci
a darmi davvero sui nervi.
E
poi figuriamoci se mi interessa sapere cosa fa con lei.
«Di
te e Ten? Non sono affari miei» rispondo.
«Piantala
Neji! - dice – non sono qui per sfotterti o sbatterti in faccia
niente. Sono qui per parlarti, ma sto cominciando a rompermi il
cazzo».
«Vattene
allora – ribatto – io non ti trattengo».
«Sei
proprio un'idiota. Arrogante e senza palle».
Adesso
gli spacco la faccia.
Cioè,
gliela spaccherei se non sapessi che ha ragione.
È
perché non ho le palle che non voglio ascoltarlo, perché ho paura
di quello che mi dirà, perché voglio continuare a godermi il mio
momento magico.
Lui
si volta e fa per andarsene.
«Purché
sia un cosa veloce» dico con freddezza.
Si
volta.
È
come se stesse aspettando di darmi una possibilità. Come se stesse
cercando almeno un piccolo cedimento da parte mia.
«Velocissima
Neji. Io e Ten non stiamo insieme».
Lo
guardo.
No,
lo scruto.
No,
cerco di entrargli dentro.
«Mi
stai prendendo per il culo?», al diavolo l'indifferenza.
«Affatto»
risponde. Sembra serio.
Rimango
in silenzio.
«Credi
che sarebbe uscita, altrimenti?».
Ah
già. Il dettaglio dell'appuntamento.
Ma
allora?
Mi
hanno raccontato cazzate?
Ho
frainteso io?
Gliel'ho
mai sentito dire?
«È
finita già da un po'- dice all'improvviso – e se tu non fossi
un'idiota totale l'avresti capito prima».
«E
perché diavolo me lo vieni a dire? Cos'è, una ventata di altruismo?
Ti preoccupi per me? Vuoi adoperarti per farci tornare insieme?»
glielo sputo in faccia con violenza e rabbia, senza mezzi termini,
senza nessun filtro.
Lui
mi guarda.
È
il quel momento che capisco di aver detto un'enorme stronzata.
Prima
ancora che lui parli.
Prima.
Lo capisco.
Quando
parla, poi, ne ho l'assoluta certezza.
«Mi
sono sempre preoccupato per voi, Neji».
Già.
C'è
più di vero in questo che in tutto il resto del discorso che abbiamo
fatto.
Me
l'ha detto in tutti modi.
Ha
provato a farmelo capire.
Sempre.
Inuzuka
è arrabbiato ma cerca di calmarsi. È come se si stesse dicendo “lo
conosci, lo sai com'è fatto...non prendertela”.
Ci
riesce e si calma davvero.
«Non
sarei certo venuto qui se stessimo ancora insieme. È finita quel
tipo di cosa tra noi. C'è stata, ma è finita. Forse continuava a
pensare a te anche allora, non lo so. Non l'ha mai detto. Ci siamo
lasciati perché ci sentivamo più amici che altro, almeno lei.
Insomma, io avevo questo sentore. Ho provato a fregarmene di te, ma
non ci sono riuscito. La verità, Neji, è che ero ossessionato dal
tuo pensiero, molto di più di quanto non fosse lei, o non
dimostrasse di esserlo, almeno».
Parla
con calma.
Senza
fretta.
Ha
l'aria di chi ha riflettuto a lungo sulle cose da dire.
Non
c'è nessun rancore nella sua voce e mi chiedo come sia possibile.
Io
rimango immobile ad ascoltarlo.
Poi
un flash.
«Quando
ho visto Ten, dopo la nostra discussione – comincio tentennando –
le ho detto che eri venuto da me, ho usato l'espressione “fidanzato”
e lei...non ha smentito», manca poco che cominci a balbettare.
«Lo
so», risponde.
Lo
guardo con aria interrogativa.
Non
ci capisco più niente.
«Non
aveva voglia di darti spiegazioni sulla sua vita, in quel momento,
non credi?» dice
Giusto.
«Ma
non lo ha fatto nemmeno dopo» puntualizzo.
Kiba
sorride, un po' imbarazzato.
«È
la mia migliore amica» dice.
E
questo cosa c'entra?
«Lo
fa per me, presumo».
«Non
capisco» ammetto.
«C'è
una cosa che immagino tu non sappia. Non volevo dirla. Ho cercato di
tenerla nascosta. Ma ti dirò, mi sembra di assomigliarti e mi sono
proprio stufato».
Sorvolo
sull'insulto e cerco di concentrarmi.
Forse
è omosessuale e non vuole dirlo in giro?
«Una
storia ce l'ho, ma non è con Ten».
E
con chi, di grazia? Ammesso che la cosa possa interessarmi.
Poi,
da come mi guarda, prima che mi abbia risposto, realizzo che
probabilmente mi interesserà.
«Sto
con Hinata» dice.
Sgrano
gli occhi.
Con
la mia piccola, inetta, fragile cugina?
Lei
è stata in grado di farsi una storia segreta?
Non
ci credo.
In
questo momento devo avere un'espressione davvero idiota.
«Adesso
fai quello che ti pare. Ti ho detto quello che dovevo dirti, puoi
riferirlo ai tuoi zii o meno, tanto ho già deciso che è ora di
farla finita con questa stupida storia della segretezza. Ho avuto
paura che con Hina finisse come tra te e Ten, ma sono stato un idiota
perché lei non è te. Non ti somiglia nemmeno un po'» sbrodola (e
ha ragione).
Io
non dico altro.
Nemmeno
lui, ma è come se mi dicesse “se hai orecchie intendi, e datti una
mossa”.
A
me sembra semplicemente che il mondo sia tutto sottosopra.
Carissimi
miei,
scusate
se questa volta non vi ringrazio uno per uno, ma vi adoro – perché
ogni scrittore, per quanto dilettante e farlocco, vive solo di chi lo
legge, no?.
Sono
un po' di fretta ma ci tenevo a postare il capitolo rivelazione.
Baci
baci.
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