Le parole che non so dire

di Ramiza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tenten (-gli inizi-) ***
Capitolo 3: *** Il caso ***
Capitolo 4: *** Una birra ***
Capitolo 5: *** La guerra ***
Capitolo 6: *** Il caffè ***
Capitolo 7: *** Cinghiale alla cacciatora ***
Capitolo 8: *** L'idiota (o Gli idioti) ***
Capitolo 9: *** La sfida ***
Capitolo 10: *** L'appuntamento ***
Capitolo 11: *** Le parole finalmente dette ***
Capitolo 12: *** Sottosopra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Prologo-

(Neji)


Quando mi capita di incontrare Tenten per strada, più o meno casualmente, quando spinto da un desiderio che non esiterei a definire masochistico la seguo, tenendomi abbastanza distante da non farmi notare, quando poi, raggiunto uno di quei luoghi che abbiamo frequentato insieme mi faccio, io, vincere dalla nostalgia e la perdo di vista, quasi volontariamente, non posso fare a meno di pensare a quello che avevo e che ho perso.

Naturalmente sono io il centro di questo pensiero.

Il mio egoismo non mi abbandona neppure per un attimo.

Il mio mondo continua come sempre ad essere Neji-centrico.

Soltanto una cosa è diversa, adesso.

Ho la sensazione, la spiacevole, bruttissima, angosciante sensazione di non bastarmi più.


Io non mi basto e lei non c'è, e se lei non c'è non posso rimproverare altri che me stesso.

Ora, questo vorrei dirlo chiaramente. Non è una donna quella che mi manca, non è una fidanzata quella di cui sento il bisogno.

È la sola persona che mi abbia mai capito, quella che quando anche non mi ha capito ha saputo accettarmi che mi manca adesso.

La sto facendo tragica, lo so.

La mia vita, in effetti, è stata fin dall'inizio una tragedia. È stata fin dall'inizio uno spettacolo recitato sopra un palco.

Ma andiamo con ordine.


Kiba diceva “non è perché non è ricca e snob che Ten non piace alla tua famiglia. È il fatto che pur non essendo ricca e snob sia una persona in gamba che gliela fa odiare”.

Non gli davo molto peso.

Non do quasi mai peso alle parole di alcunchi, figuriamoci alle sue.

Ma aveva ragione, o almeno ci era andato vicino.

Riformulerei così la sua affermazione.

Non è perché non è ricca e snob che Ten non piace alla mia famiglia. È il fatto che sia troppo in gamba per non essere ricca e snob che gliela fa odiare.

C'è una differenza sottile, quasi impercettibile.

Potete vederla?

Riuscite a coglierla?

Lei è troppo in gamba per non appartenere al loro (nostro) mondo.

La cosa li irritava profondamente.

Avete fatto caso che sono scivolato, talvolta, nell'uso del passato?

Sia quando ho detto “Kiba diceva” che due righe qui sopra: “la cosa li irritava”.

Magari Kiba lo dice ancora, ma non lo dice più a me, dato che da tempo non ci rivolgiamo la parola e, per quanto riguarda la mia famiglia, direi che il problema è stato risolto alla radice.

(La mia famiglia, per inciso, è composta dai miei due zii e da due cugine, Hanabi e Hinata che non rientra tra i detrattori di Ten, dal momento che i miei genitori sono morti quando era ancora piccolo in un incidente stradale).

Non essendo più Tenten una presenza nella mia vita possono risparmiarsi la fatica di odiarla.

Anzi.

Talvolta possono perfino indulgere a qualche pacato elogio nei suoi confronti, se qualche ignaro ospite ha l'ardire di nominare in loro presenza i vicini di casa e la loro simpatica figlia.

In un paio di occasioni è successo persino in mia presenza. Se solo fossi leggermente più autoironico, o se mi prendessi un po' meno sul serio, mi sarei messo a ridere.

Da quando ho smesso di vedere lei, però, quella lievissima vena di umorismo che mi aveva regalato se ne è lentamente tornata da dove era venuta e io sono rientrato in una impassibile e suppongo noiosa serietà.

Così non rido.

Tutt'altro.

Rimango serio e li trapasso con lo sguardo.

Loro mi ignorano o, semplicemente, non ci prestano attenzione. È probabile che nemmeno mi prendano sul serio.

Dopotutto hanno pochi motivi per farlo.

Raramente ho speso una parola per difenderla e di certo non ho lottato per riaverla indietro.

Anche in questi casi, per quanto sentire il suo nome pronunciato dalle loro labbra mi provochi un moto di autentica rabbia, rimango in silenzio, li lascio parlare e, semplicemente, penso ad altro.





Grazie a chi ha letto e a chi recensirà.

Questa storia è un AU, ambientata in una qualsiasi città in età contemporanea. L'unica cosa che cercherò di mantenere è il vero carattere dei personaggi.

Molte cose sono ancora in dubbi, compresi quanti e quali personaggi compariranno.

Sono ben accetti suggerimenti, commenti e, naturalmente, critiche.

Un bacio a tutti.


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Capitolo 2
*** Tenten (-gli inizi-) ***


-Gli inizi-
TENTEN


E' una giornata nuvolosa di aprile. Domenica.

I compiti, come al solito, li ho finiti da un pezzo.

Ho anche finito di leggere le Heroides, di Ovidio, un autentico capolavoro della letteratura. Adesso, comunque, mi sento svuotata. Mi succede sempre così quando finisco un libro veramente bello, è come se mi venisse improvvisamente a mancare qualcosa. Tutto il resto mi sembra banale e quasi inutile.

E adesso cosa faccio?, mi chiedo.

Mi infilo la giacca e scendo le scale.

«Vado a fare due passi» dico a mia madre

«Stai attenta» mi risponde.


Bene.

Questo è l'inizio di quella giornata.

Cos'ha di particolare quella giornata è una cosa che vi racconterò tra poco, prima suppongo però che vogliate sapere qualcosa di chi sta scrivendo, almeno per farvi un'idea di chi sono e di come potranno evolversi gli avvenimenti che mi riguardano.

Mi chiamo Tenten Amano e ho 14 anni. Sto finendo il mio primo anno di superiori e vivo a Pisa, con mia madre. I miei genitori, che si chiamano Anna e Fabio, sono divorziati, ma forse questo non è importante, vanno d'accordo e si vedono di tanto in tanto. Sono figlia unica. Mia madre è un tipo iperattivo, si fida di me (effettivamente sono una ragazzina affidabile) e mi permette di fare praticamente tutto quello che voglio, così, per esempio, mi basta dirle «vado a fare due passi», senza nemmeno specificare dove sono diretta. Di questo le sono grata, anche in considerazione del fatto che ho amiche a cui non è permesso mettere il naso fuori di casa.

Per come la vedo io, mia madre, che ha fatto il 68, ha nel dna un certo rifiuto dell'autorità che si è poi trasmesso anche nel modo di educare me (devo ammettere che, per quando io sia acuta e intelligente, questa idea non è tutta farina del mio sacco. Una volta ho sentito un amico di mio padre dire «noi del 68 abbiamo confuso l'autoritarismo con l'autorità e ora ne paghiamo le conseguenze. È colpa nostra se i nostri figli vanno a scuola e fanno cose che noi non ci saremmo mai sognati di fare, sputano fuori dalla finestra e rispondono alle professoresse»).

Ora, io non sono affatto questo tipo di persona. Tutt'altro. Sono tranquilla e molto pacata, lo vedrete con il proseguire della storia. Mio padre mi chiama “il suo angelo” e dice che avrei fatto bella figura anche a Versailles. Rido spesso, non mi arrabbio quasi mai e urlo pochissimo. È difficile che mi offenda. In compenso, per elencare i miei principali difetti, sono perfezionista fino alla nausea, molto puntigliosa («vuoi sempre mettere i puntini sulle i» dice mia madre che i puntini sulle i non li ha mai visti), parlo solo se trovo interessante la persona che ho davanti e credo anche di essere intellettualmente un po' snob (sto cercando di migliorare, almeno su questo). Mi piace leggere, come avrete intuito. Leggo continuamente, voracemente, talvolta rabbiosamente tutto quello che mi passa per le mani e quando comincio a leggere il mondo smette di esistere.

Sto finendo la prima superiore e sono iscritta all'istituto d'arte. Magari non sono un genio ma ho tutti voti abbastanza alti, compresa matematica, cosa di cui vado molto fiera dal momento che, a parte Sakura, sono l'unica della mia classe.

Questo giusto per darvi un'idea di chi sta scrivendo.

La cosa importante, tuttavia, non sono io.

La cosa importante è quella domenica nuvolosa di aprile.

Cammino.

Accendo la mia pennina mp3 (mia madre si è rifiutata di comprarmi l'I-pod per un suo deciso odio nei confronti delle marche e del «monopolio dell'informatica, vale a dire di internet, vale a dire dell'informazione») e ascolto la musica.

Mi fermo incuriosita da un camion dei traslochi, parcheggiato davanti alla villa che una volta apparteneva a dei conti, ora disabitata. Ci sono anche degli operai.

Vi ho detto che sono estremamente paziente, amo stare per conto mio, mi piace osservare quello che mi accade intorno, così mi siedo sul muretto lì accanto, decisa a seguire le operazioni.

Dopo circa un'ora arriva alla villa una grossa limousine.

Saranno i conti?, mi chiedo.

Scende un autista in livrea e apre la porta dietro. Scendono, nell'ordine, un uomo in completo grigio, una signora in tailleur rosa pesca, che prende il braccio dell'uomo, una ragazzina che potrebbe avere la mia età, un ragazzo forse poco più grande di me, una bambina di circa dieci anni.

Sono tutti eleganti, anche i tre ragazzi, mia madre direbbe, con un certo orgoglio proletario, che hanno addosso all'incirca quello che noi abbiamo in banca.

C'è qualcosa però che mi colpisce più dei loro vestiti, qualcosa che non so come spiegare, una sensazione strana che mi rende triste. Non so darle un nome.

Quando sento la voce allegra di mio padre che si sporge dal finestrino mi riscuoto da quel torpore.

«Angelo!» mi chiama. Gli sorrido.

«Prendi un po' di fresco?» mi chiede

«Guardavo loro» rispondo. Li guarda anche lui.

«I rampolli degli Hyuuga» mi dice «una delle famiglie più ricca della città».


Quella volta non gli ho parlato.

Ma quella nuvolosa giornata di aprile, poche settimane prima del mio quindicesimo compleanno, ho visto per la prima volta la persona che avrebbe segnato, con la sua presenza o con la sua assenza, molti, moltissimi anni della mia vita.




Beh, come avete visto qui c'è stato un salto temporale all'indietro.

Spero risulti chiaro, comunque si farà tutto più semplice andando avanti.


Grazie a tutti i lettori e naturalmente a

Uki: quali perché ti sei fatta? Scrivi, scrivi, che magari mi dai qualche idea.

celiane4ever: cercherò di stupirvi!!! Prometto.

Pikkola Rin: che bello rivederti qui...mi mancano un po' le tue recensioni sul Segno (giuro, io tifo sempre per Neji-Ten, vedrai...). Qui non ci sono risposte a cosa abbia fatto Neji per fare scappare Ten, ma arriveranno...arriveranno.


Arrivederci a presto!

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Capitolo 3
*** Il caso ***


E' una fredda giornata invernale, piove.

Guardo il mucchio di scartoffie davanti a me. Non ho nessuna voglia di lavorare.

Il suono del telefono interno mi fa sobbalzare.

«Sì Yukari» dico. Yukari è la mia segretaria, pare che un avvocato di successo debba per forza averne una.

«C'è qui una ragazza che chiede di parlarle, avvocato. Ma non ha un appuntamento» risponde.

Odio quelli che si presentano senza appuntamento e nonostante tutta la mia tragica vita sociale non sono ancora abbastanza libidinoso da fare eccezioni per le ragazze.

«Le dia un appuntamento allora» concludo freddamente.

Abbasso il telefono.

Un attimo dopo sento bussare alla porta.

Yukari mi guarda.

«Chiedo scusa avvocato. La ragazza insiste. E' sicura che la riceverete quando vi dirò il suo nome»

«Sentiamo allora» ribatto. Sono incuriosito.

«Tenten Amano».


Cazzo.


«Falla passare»


Yukari mi guarda, tra il sorpreso, il confuso e il soddisfatto di sé, poi si allontana.

Quando la porta si riapre entra lei.


Cazzo.


Ha addosso un paio di jeans e una giacca verde chiaro. Porta i capelli sciolti e un buffo cappellino di lana.

Vorrei dirle che è bellissima.

«Ciao» dice

«Ciao» rispondo. Dietro alla mia solita voce fredda e distante sto cercando di nascondere la paura che mi paralizza la lingua.

«Non volevo disturbarti»

«Non c'è problema».

Non c'è problema?

Non c'è problema?

Sono davvero un idiota.

«Ho bisogno del tuo aiuto, Neji» dice ancora

«Dimmi di cosa si tratta».

Una voce, dentro, mi suggerisce che devo essere impazzito del tutto. Non c'è una spiegazione diversa. Vorrei abbracciarla, chiederle scusa, vorrei risponderle che farei qualsiasi cosa per lei, che sono felice di vederla come non sono mai stato di vedere qualcuno e invece cosa dico? Dimmi di cosa si tratta.

Lei abbassa un istante lo sguardo, sembra intimidita, in difficoltà.

«Ho bisogno di un avvocato, di un bravo avvocato e non posso pemettermene uno» dice improvvisamente.

«E' successo qualcosa di grave?» le chiedo. Cerco di essere più dolce che posso, ma temo che l'effetto sia pessimo, teso come sono.

«Abbiamo problemi con il ristorante» prosegue. Con il pensiero torno al ristorante dei suoi, dove ho mangiato tante volte, dove mi rifugiavo quando ero stanco di sopportare la tensione di casa mia, quando la vita mi faceva schifo, quando avevo paura. Anche quando non avevo fame Ten mi portava una fetta di dolce alla cannella, e tutto assumeva una prospettiva diversa.

«Che genere di problemi?» chiedo

«Per il terreno. Abbiamo lo sfratto e dobbiamo andarcene entro la fine del mese prossimo». La voce le trema, sembra sul punto di mettersi a piangere.

«I miei hanno faticato una vita per tirare su quel posto» sussurra. Io penso alla mia famiglia, che non ha mai conosciuto il significato della fatica. Penso a me, che non sono poi tanto diverso.

Anche allora, quando lei si spaccava la schiena tra scuola e lavoro per dare una mano in casa, io mi limitavo a guardarla, tra l'ammirato e il perplesso, incapace di comprendere davvero quel mistero che il mondo chiamava lavoro (il lavoro, per me, era solo quello di stare dietro ad una scrivania, dare ordini, al massimo studiare fogli zeppi di scritte, e adesso, in fondo, non è cambiato molto).

«Non sapevo da chi andare, Neji. Mi sento così stupida ad essere venuta qui, mi sento stupida e umiliata, ma non avevo nessun altro a cui rivolgermi. Non possiamo perdere quel posto, Neji, è tutta la nostra vita, è tutta la loro vita. Ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego. Ti prego»

Mentre dice queste cose si porta le mani sotto alle gambe e non mi guarda. Rovescia quel fiume di parole senza prendere fiato, ma ognuna si porta dietro un pezzo del suo dolore.

Lo sento. Lo vedo.

Sto rispondere con un professionale

«Vedrò quello che posso fare».

Falla finita, idiota.

Non è il momento di essere professionali.

Davanti a te c'è la ragazza a cui devi i pochi momenti davvero felici della tua vita.

La ragazza che per te c'è sempre stata e che tu hai ferito e allontanato come il peggiore degli stronzi.

La ragazza a cui non ha mai smesso di pensare, per tutto questo tempo.

Mi alzo.

Mi accuccio accanto a lei.

«Certo che ti aiuto, Ten» le dico piano «Hai fatto bene a venire qua, non hai motivo per sentirti stupida e umiliata. Ti aiuto io e risolveremo tutto, vedrai».

Incredibile.

Dove diavolo ho trovato queste parole?

In ogni caso meglio delle altre saranno, più di così non so fare.

Lei scoppia a piangere.

Come non detto.

Forse ho sbagliato tutto, come al solito.

«Grazie» dice «Avevo così paura che mi dicessi di no»


Quelle parole mi fanno male, come se mi avesse colpito con un coltello.

Continuo a pensarci mentre esamino i documenti che mi ha portato.

E' al limite del paradossale. Io la penso in ogni momento e lei teme che le rifiuti un favore del genere.

E' ai limiti del paradossale ma testimonia una volta di più, se ce ne fosse bisogno, l'assurdità dei miei comportamenti.

La conclusione è sempre una.

Sono passati anni ma io rimango lo stesso idiota che l'ha allontanata, lo stesso che (ancor peggio, forse) non ha saputo dire quelle due sciocchezze che sarebbero bastate per riaverla indietro.

Quando se ne va mi appoggio alla scrivania e vorrei dormire.

Non sono abituato a quel turbinio di emozioni.

Non sono abituato a quell'altalena di sentimenti.

Sono stanco come dopo 24 ore filate di lavoro.


«E' una ragazza simpatica» dice Yukari.

La guardo storto. So cosa vorrebbe sapere.

Si chiede se in fondo, da qualche parte ben nascosta, non sia per caso un essere umano anche io (non avere mai provato a portarla a letto ha contribuito molto a rafforzare la mia reputazione di robot-senza-alcuna-esigenza).

Cerco di riprendere il ritmo normale, ma dopo un incontro del genere mi sembra francamente impossibile.

Così tutto il tempo che ho tra un appuntamento e l'altro lo dedico a studiare il suo caso. Non so ancora come ma so che devo portare la vittoria a casa, a qualunque costo.



Eccomi qua.

Alla fine sono riuscita a riprendere anche questa storia...ho un po' idee, perciò spero di andare avanti con tranquillità.

Chiedo scusa per l'enorme ritardo, come spiegavo ne “Il segno degli Hyuuga” è stato un periodo un po' così, ma...eccomi qua!

Valery: tanto presto no, mi perdoni? Continuerai a leggere? Speriamo....

PikkolaRin:sì, Ten è proprio brava, povera...E' che Neji è il solito idiota, ti assicuro che l'ha combinata grossa....baci baci

Altovoltaggio: uaaaa...addirittura la tua preferita? Ma mi sa che con questi enormi ritardi ho perso il titolo...speriamo di rimediare...grazie a te di queste bellissime e entuasiastiche recensioni, continua ti prego

Uki: è sì, Neji è cresciuto. Dal mio punto di vista, però, non è OOC. Qui metto in scena i suoi pensieri, altro è quello che mostra al mondo (e quello è ancora il velo di freddezza e impassibilità che lo contraddistingue). Però adesso è adulto, ha perso Ten, ha avuto modo di riflettere...e nonostante questo non ha avuto il coraggio di dirle ciò che pensava. Grazie per avermi seguito, ci sei ancora?


Un bacio a tutti, e grazie a chi legge!


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Capitolo 4
*** Una birra ***


Un paio di giorni dopo prendo il telefono (e il coraggio in mano) e la chiamo.

«Ho studiato un po' la cosa. Hai tempo per parlarne?» le chiedo serio, quasi senza salutarla per non correre il rischio di sembrare imbarazzato.

«Certo» risponde «dimmi quando».

Oggi pomeriggio. Muoio dalla voglia di vederla e questa è una buona scusa.

Quando arriva la faccio aspettare qualche minuto per darmi un tono, e mi sento un vero idiota (sensazione a cui non sono abituato, ma che in questi due nostri incontri mi ha sorpreso spesso).

«Scusa se ti ho fatto aspettare» le dico indifferente (sembra quasi che io debba far perdonare a me stesso lo slancio dell'altra volta)

«Non importa» risponde «anzi, sei stato gentile a trovare il tempo per vedermi subito».

Maledetto. Idiota.

Gentile? Gentile?

No dico, stiamo scherzando?

Sono stato gentile?

Cazzo Ten, come puoi dirmi così?

Io sono uno stronzo. Mi vedi? Ti ricordi quello che ti ho fatto? Ti ricordi come ti ho trattata, dopo tutto quello che mi hai dato tu?

«Figurati» rispondo.

Per evitare quei pensieri le illustro nel dettaglio tutti gli aspetti del caso.

Quando finisco mi chiede

«Credi che ci sia una possibilità di farcela?»

«Qui non si tratta di possibilità. Non accetto un caso per poi perderlo» rispondo.

Pronuncio questa frase con inutile e pomposa solennità, rendendomi conto della sua vacuità nel momento stesso in cui le parole escono dalla mia bocca. Ten, tuttavia, mi sorride e sembra quasi rincuorata.

«Non sei cambiato molto» dice illuminata da quel suo sorriso.

Non credo sia un bene. Tutt'altro. Quasi tutti quelli che mi hanno conosciuto da ragazzino potrebbero testimoniare che sia un male, il mio non essere cambiato. Tutti avrebbero auspicato un cambiamento con annesso miglioramento.

Tutti tranne Ten.

Dalla sua bocca, quindi, questa frase potrebbe quasi suonare come un complimento.

E comunque qualsiasi cosa, persino un insulto potrebbe suonare come un complimento se pronunciato con quel suo sorriso.

Dentro mi sto sciogliendo. Letteralmente, credetemi.

Per fortuna (o più probabilmente per sfortuna) ho un perfetto controllo di me stesso e dubito che qualcosa appaia all'esterno.

«Già» rispondo.

Lei si irrigidisce, torna alla tensione di prima.

Bravo Neji, complimenti.

Tu sì che sai sempre comportarti, e dire che vorresti metterla a suo agio.

«Beh, questo è tutto» concludo per peggiorare ancora la situazione. Si alza come se saltasse sull'attenti.

«Ti lascio al tuo lavoro, allora»

«Ci vediamo».


Ecco qua. Pensate di me quello che volete, non potrete mai insultarmi quanto sto insultando me stesso.

So che non avete parole per descrivere la mia stupidità. Fate bene.

Non le ho nemmeno io.

Rimango lì alla scrivania, ancora una volta solo.

Mi rigiro la penna tra le mani, poi prendo il telefono e chiamo Sasuke.

«Ciao» dico

«Tutto bene?» mi chiede. In effetti non ci telefoniamo spesso.

«Sì» rispondo «mi chiedevo solo se stasera avevi tempo per una birra».

Ha tempo. La cosa non mi stupisce. La sua vita sociale è quasi ai livelli della mia: inesistente. La domanda avrebbe dovuto essere piuttosto se ne aveva voglia, perché anche da questo punto di vista Sasuke mi assomiglia molto, è un solitario, ai limiti del patologico.

Comunque evidentemente ne ha voglia e la cosa mi fa piacere.

In effetti Sasuke Uchiha è la sola persona che possa somigliare ad un amico, per il sottoscritto.


La sera ci beviamo questa birra.

Io e lui non parliamo molto. Anche quando c'è qualcosa che non va (ed è stato chiaro fin dalla mia telefonata che qualcosa non andava) ci limitiamo a bere qualcosa insieme, o a fare due discorsi generici. Niente di più. Forse, per quanto mi riguarda, trovo confortante l'esistenza di una persona che mi somiglia, che ha i miei stessi difetti e che colleziona cazzate simili alle mie.

Ecco perché quando dico

«Ho visto Tenten»

Sasuke mi guarda sorpreso, appoggia la birra e mi chiede

«Stai bene?».

Annuisco.

«E' venuta per un problema legale. Ha bisogno di un avvocato e non può permetterselo»

«Capisco»

«Ho accettato, naturalmente» proseguo con tono indifferente

«Avrai a che fare con lei per un po', allora» dice

«Suppongo di sì».

Sasuke non si può certo definire un impiccione ed è estremamente difficile che faccia delle domande, meno che mai delle domande personali.

Anche in questo caso, quindi, non mi chiede cosa ho provato.

Fa però un certo sforzo per chiedermi se sono preoccupato.

«Non lo so. È così strano» dico

«Neji?»

«Dimmi»

«Io pagherei perché Sakura venisse a chiedermi un favore del genere».


Rimango immobile e zitto.

Lo guardo.

Ricordo la prima volta in cui ho pensato a lui come ad un amico.

Era giugno e faceva caldo, un caldo torrido e afoso che ci entrava nel cervello mentre cercavano di preparare l'ultimo esame prima delle vacanze estive.

Eravamo seduti in giardino, intorno ad uno di quei tavoli marroni che ossessionavano la nostra vita studentesca.

Kabuto Yakushi era arrivato camminando lento come suo solito e non aveva nascosto un sorriso soddisfatto. Si era seduto. Aveva tirato fuori i suoi libri, poi, senza guardarmi, aveva detto (come se parlasse all'aria)

«Sono stato a casa dai miei, nel fine settimana»

Momento di silenzio per il grande attore.

«Ho visto Tenten e Kiba Inuzuka».

Lo aveva detto.

«Direi che stanno insieme, adesso».

Parole come coltelli.

«Era naturale, dopo tutto».

Rabbia. Voglia di urlare.

«Lo sapevi, Neji?».

«La cosa non mi riguarda affatto» risposta.

Naturalmente Kabuto sapeva che stavo mentendo. Conosceva me e conosceva Ten. Mentii più con la speranza di convincere me stesso che non di convincere lui. Mentii per non saltargli alla gola come in quel momento desideravo terribilmente fare.

Senza smettere di sorridere Kabuto aveva cominciato a studiare.

Mi ero alzato poco dopo, alla disperata ricerca di un pensiero diverso da quella disperazione.

«Vado in biblioteca» avevo detto

«Vengo anch'io» aveva risposto Sasuke.

Mentre camminavamo in silenzio se ne era uscito con una frase che non avevo capito

«Adesso è fatta, Neji, puoi finalmente stare tranquillo»

Lo avevo guardato sorpreso

«Io mi sveglio tutti i giorni nel terrore che qualcuno mi dica che Sakura e Naruto stanno insieme. Per te è fatta. Adesso non ci devi più pensare».

Per un attimo lo avevo preso per pazzo, poi ero scoppiato a ridere.

Anche lui aveva riso. Lo avevamo fatto insieme, con gusto, per deridere noi stessi e la nostra vita spesa ad inseguire qualcosa che, già iniziavamo a capirlo, noi ci avrebbe mai reso davvero felici. Di più, forse. Ridevamo sulla consapevolezza di aver distrutto la cosa migliore che ci fosse capitata, di aver rinunciato agli unici momenti di vera gioia che avevamo mai provato. Ridevamo con rabbia ma anche con stupore, di fronte alla scoperta di assomigliarci così tanto, ridevamo, forse, con un po' di sollievo per la scoperta che “quelli come me non sono fatti per essere felici” poteva diventare adesso “quelli come noi non sono fatti per essere felici”.

Io e Sasuke non ci saremmo mai scambiati segreti intimi ed emozioni.

Non ci saremmo mai consolati a vicenda e non ci saremmo mai davvero lasciati andare.

Tuttavia avevamo appena capito di poterci considerare amici.


«Neji?»

«Dimmi»

«Io pagherei perché Sakura venisse a chiedermi un favore del genere».


Era come se mi avesse detto: hai una possibilità, sfruttala.

Era come se mi avesse detto: probabilmente farai la figura del deficiente, ma lo sapremo soltanto io e te.


«Già» rispondo

«Non è male questa birra» dice

«Te ne offro un'altra» rispondo.


Quella sera tiriamo tardi ed è una cosa davvero insolita per noi.

Se fossimo ancora ragazzini gli chiederei di venire a dormire da me. Potremmo parlare fino a notte fonda e addormentarci mezzi ubriachi, finalmente liberi di dire quello che ci passa per la testa.

Ma non siamo ragazzini e non abbiamo il carattere per una cosa del genere.

Così rientro solo, con l'unica soddisfazione di trovare mio zia ancora sveglia, di incontrare il suo sguardo interrogativo e curioso per il mio insolito ritardo e di ignorarlo deliberatamente, lasciandola a chiedersi dove sarò stato e con chi. Sono certo che stia pensando ad una donna.

Salgo le scale.

Penso alle poche donne che sono entrate in questa casa.

Penso all'assoluto niente che mi hanno lasciato.

Poi penso a Ten, alle rare volte in cui è entrata da questa maledetta porta e ha salito queste maledette scale per raggiungere camera mia. Penso alle scuse inventate per tenerla lontana da quella casa inospitale e fredda, per difendere lei o più probabilmente per evitarmi problemi. Penso a quando abbiamo fatto l'amore, proprio lì, in camera mia, e mi sono sentito libero e vivo come mai prima in tutta la vita.

Ci penso e mi viene solo una gran voglia di dormire e di svegliarmi il più tardi possibile.


Grazie ai lettori e ai recensori.

Vi dirò, ho moltissimo da svelarvi e molti personaggi da introdurre. Sono graditissime idee e suggerimenti.

Celiane: ecco qualcosa del loro passato, Del futuro, invece, molto poco...

tenny_93: ma grazie..in futuro la nostra Ten avrà parecchio spazio

Amaranth93: grazie grazie...continua a commentare!


Buon Anno a tutti!



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Capitolo 5
*** La guerra ***


La guerra


Come previsto dormo poco e male.

Sai che novità.

La notte è proprio un momento che non sopporto, scarico lì tutte le ansie che non lascio trasparire di giorno, si potrebbe quasi dire che pago il mio autocontrollo giornaliero.

Figuriamoci dopo aver visto Ten e averla trattata così.

Figuriamoci dopo aver ripensato al giorno in cui abbiamo fatto l'amore.

La mattina dopo sono a pezzi, letteralmente.

Alle 6 mi alzo, mi vesto e vado a correre, sperando di sfogare un po' dell'angoscia che mi cresce dentro.


Ovviamente l'angoscia non se ne va.


Il lavoro non migliora la giornata.

Al contrario.

Mi sembra di non averlo mai odiato tanto.

Odio essere un avvocato, odio la gente che devo seguire, odio le cifre astronomiche che pagano per la mia consulenza.

Odio averla persa per inseguire tutto questo.

E allora vorrei sentirmi soddisfatto, vorrei pensare di aver fatto la cosa giusta.

Vorrei dirmi che i soldi e la soddisfazione professionale valgono molto più di una ragazza.

Ma non mi viene proprio.

Una volta, però, devo averlo pensato.

Altrimenti non mi sarei comportato così, non avrei fatto queste scelte.

Cosa mi sia passato per la testa allora non lo so, ma pagherei per riaverlo indietro, adesso.


O magari non è vero, magari allora ho avuto solo paura, una paura folle dei miei sentimenti, dell'amore che mi stava crescendo dentro, che avevo la sensazione potesse inghiottirmi, distruggermi, consumarmi...

Un amore così grande come non credevo potesse esistere, così completo, così totalizzante.

Paura.

Per questo, forse, ho mandato tutto a puttane.


Sono le 3 di pomeriggio.

Suona il telefono.

Dall'altra parte la voce squillante di Yukari

«C'è una persona per lei, avvocato. Ma non ha un appuntamento»

Un'altra volta?

Sta diventando un'abitudine.

Mentre sto per rispondere con il mio solito “gliene dia uno, allora”, sento la porta aprirsi.

Yukari grida

«Non può entrare, aspetti!».

Kiba Iunuzuka mi guarda

«Dobbiamo parlare» dice.

Yukari lo rincorre trafelata, blaterando un

«Mi dispiace avvocato».

Lo guardo anch'io.

«Vada pure Yukari» dico.


«Cosa vuoi?» gli chiedo

«Parlare con te» rispondere

«Parlami allora, ma in fretta. Sto lavorando».

See. Chi credi di prendere in giro, Neji?

Kiba?

Ma figurati.

«Non hai tempo per parlare di Ten?».

Infatti. Come volevasi dimostrare.

«Non vedo cosa abbiamo da dirci, io e te».

Beh insomma. Di cose ce ne sarebbero parecchie.

Per esempio, maledetto stronzo figlio di puttana, che ti sei messo con la ragazza di cui ero innamorato.

Per esempio, maledetto stronzo figlio di puttana, che eri innamorato di lei anche quando eravamo amici.

Per esempio...

Per esempio sì, che tu me l'hai sempre detto che così avrei finito per perderla, che mi hai sempre detto che non dovevo farla soffrire, che mi hai sempre detto che lei mi amava.

Beh.

Ok.

«Ce ne sarebbero di cose» risponde «ma io voglio parlare di adesso. Del fatto che è venuta a chiedere il tuo aiuto»

«E cosa c'è da dire su questo?» chiedo, ostentando indifferenza, il che, naturalmente, mi riesce benissimo.

«Hai idea di quanta fatica le costi?».

Fatica?

Lo benissimo, maledetto idiota. E mi odio per questo. Vorrei che lei potesse sentirsi serena e a suo agio, ma tutte le volte che provo a tranquillizzarla mi blocco e finisco col fare peggio.

«La cosa non ti riguarda affatto, Inuzuka. Questa è una faccenda tra me e lei, e non credo apprezzerebbe se sapesse che sei venuto qui e mi hai parlato in questo modo».

Rispondo con calma, scandendo le parole ad una ad una.

Dentro ad ognuna metto il veleno che covo dentro da una vita.

Lui mi guarda sorpreso.

Probabilmente non si aspettava una frase del genere, nemmeno da uno come me.

Prova a ribattere, alzo una mano e proseguo.

Dal fatto che rimane in silenzio capisco che evidentemente ho sortito l'effetto desiderato: gli ho messo paura.

«Adesso cerchiamo di chiarirci. Cosa vorresti? Che rinunciassi ad aiutarla e la lasciassi sola? Va benissimo. Dopotutto le sto facendo un favore, oppure questo non ti è chiaro, Inuzuka? Sto lavorando gratis, perché la tua ragazza non ha i soldi per pagarmi. Dovresti ringraziarmi, invece che attaccarmi».

Continua a guardarmi in silenzio, ma sul suo volto si dipinge tutto il disprezzo che nutre nei miei confronti. È così tangibile che potrei toccarlo.

«Ti faccio schifo? Eppure sono la sua unica speranza, in questo momento» concludo.

Silenzio.

Silenzio.

Pesante come un macigno.

«Hai ragione» dice lui «sono stato uno stupido a venire qui. Pensavo che potesse importartene di come si sentiva, pensavo che volessi aiutarla sul serio».

Silenzio.

Di nuovo.

Mi guarda, con le mani in tasca, poi si volta e fa per andarsene.

«Non hai nient'altro da dire? Vieni qua, mi aggredisci e poi te ne vai così? Non è una mossa furba».

«Che devo dirti, Neji?» risponde «Scusa. E grazie per l'aiuto che ci stai dando».


Volete sapere cosa mi è passato per la testa?

Non saprei.

Semplicemente questo sono io.

Se mi sento attaccato reagisco come farebbe uno scorpione.

Ho voluto umiliarlo e ci sono riuscito. Ho stabilito chi comanda. Ho messo in chiaro la mia posizione.

Sto giocando a tira molla, dopotutto.

Intanto, lui rimane con lei e io rimango qui da solo.

Intanto, io l'ho perduta e lui l'ha avuta.


Mi alzo e prendo la giacca.

«Annulli i miei appuntamenti, Yukari» dico, ed esco senza darle nemmeno il tempo di ribattere.




Eccomi di ritorno. Nonostante i ritardi, prometto che finirò la storia.

Questo capitolo mette in chiaro che Neji è sempre il solito stronzo.

Un bacio a tutti.

Grazie a chi legge e naturalmente a chi recensisce.

Altovoltaggio: ma che bello trovarti sempre qui a recensire...beh, questo capitolo lascia un po' di spazio a Kiba, cercherò di trovarne anche per Hinata. E, hai ragione, la malinconia è proprio il filo conduttore di questa storia...

Amaranth93: grazie. Non prometto niente ma ci proverò, insomma, lo spero anch'io...sai, a volte i personaggi prendono un po' la loro strada, ma io adoro Neji e Ten insieme, quindi farò il possibile.

Tenni_93: ecco un particolare, Neji e Kiba non sono certo amiconi. Grazie, l'amicia tra Neji e Sasuke è piaciuta anche a me...l'ho trovata...come dire? Azzeccata.

Un bacione a tutte, continuate a seguirmi e grazie, grazie, grazie.


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Capitolo 6
*** Il caffè ***


Premessa.

Scrivendo mi sono resa conto che questo titolo si sarebbe adattato meglio alla storia, così ho operato un piccolo cambiamento. Tutto il resto rimane invariato.


Il caffè


Esco in fretta dall'ufficio, lanciandogli un'occhiata furente.

Guardo le pareti imbiancate di fresco, i quadri costosi, i mobili decò. Guardo il pc ultimo modello della mia segretaria, il centralino con 5 linee, completamente inutile dato che sono solo.

Guardo le scale del palazzo d'epoca, le ringhiere, la grata intarsiata che chiude l'ascensore.

Infine guardo la targa lucida sul portone d'ingresso.

Avvocato Neji Hyuuga.

Terzo piano, int. 4.

Vorrei mettermi a urlare o a correre.

Vorrei prendere a pugni qualcuno.

Andrebbe bene una persona qualsiasi.

Meglio ancora mio zio o mia zia, o Kabuto Yakushi.

Il guaio è che dovrei prendere a pugni me stesso. Inutile dare la colpa ad altri, lo so benissimo ma così è più facile accettarlo.

Infilo la mano nella tasca interna della mia giacca di sartoria e prendo il cellulare da 600 dollari che ho comprato il mese scorso.


La chiamo.


«Ciao. Sono io» dico

«Ciao Neji» risponde, sembra leggermente preoccupata. Mi chiedo se Inuzuka le abbia già detto quello che è successo.

«Dove sei?» le chiedo

«Al ristorante» risponde

«Ho bisogno di parlarti» taglio corto.

È incredibile quanto poco le mie parole rispecchino i miei pensieri.


Mi viene incontro un po' trafelata. Io sono già seduto al tavolino del caffè più chic della città.

Mi chiedo se l'ho scelto per un motivo.

Probabilmente sì, mi dico. Ancora una volta volevo mettere in chiaro le cose.


«Il tuo fidanzato è venuto a trovarmi in ufficio» dico, quasi senza salutarla.

Lei mi guarda sorpresa.

No, Neji, no.

«Perché?» chiede.

«A quanto pare non è felice dell'aiuto che ti sto dando».

Cazzo. Perché?

«Ma che dici? Stai scherzando?» mi chiede, quasi spaventata.

«Affatto. Non so cosa tu gli abbia detto, ma dovresti mettergli il guinzaglio».

Perché sono uno stronzo, ecco perché.

«Fa' in modo che non succeda più, oppure cavatela da sola».

Uno stramaledetto, fottutissimo stronzo.


Lei non parla.

Ha le braccia conserte al petto, i capelli sciolti, lo sguardo basso.

Io vorrei sparire.

Il meccanismo adesso mi è chiaro.

Inuzuka è venuto da me, con quel comportamento da fidanzatino protettivo e la cosa mi ha fatto uscire dai gangheri. Lui sta dove avrei dovuto stare io.

Semplicemente.

Così divento cattivo.

Che poi lui stia lì per colpa mia e solo mia, questa è un'altra faccenda.


Ten stringe le labbra e socchiude gli occhi, come faceva una volta.

«Perché?» mi chiede poi «perché mi tratti così? Che cosa ti ho fatto?».


Bravo Neji.

Rispondile adesso.

Trova una giustificazione.

Spiegati.


«Tu lo sa benissimo perché Kiba è venuto da te. Lui non voleva nemmeno che chiedessi il tuo aiuto. Non importa Neji, lascia stare. Me la caverò da sola»


Sei contento adesso?


Si alza. E se adesso esce che faccio?

«Ma credimi, non ti capisco proprio. Non riesco a capire perché ce l'hai con me».

«Non ce l'ho con te» rispondo, voce bassissima «Non ce l'ho con te. Siediti, dai».

«Tu mi stai aiutando tantissimo, è vero, ma non hai il diritto di umiliarmi in questo modo».

Che dire allora?

«Non avrei mai dovuto venire».

Non è vero.

Dillo.

Cazzo.

«Perdonami. Non so cosa mi sia preso».

Bugiardo, ma almeno lo hai detto.


Lei mi guarda. Quasi non ci crede.

«Adesso siediti, dai» ripeto.

Non andare via, ti prego.

«Senti...» comincia.

«No Ten, per favore. Fai finta che non sia successo niente. Io voglio aiutarti».

«Sei sicuro?».

«Certo che sono sicuro».

Allora abbassa la testa e gli occhi le diventano lucidi.

«Meno male» dice.

Così l'ho fatta piangere di nuovo.

«Andiamo, su. Non piangere. Non ne vale la pena per una stupidaggine del genere» dico.

Coraggio dai. Sii un po' più sincero.

«Non ne vale la pena per uno stupido come me».

Lei sorride.

È rimasta in piedi, si avvicina e mi abbraccia.


Mi abbraccia.

Capite?

Forse non ve ne potete rendere conto, ma quel contatto rischia di farmi impazzire.

Adesso ritiro fuori lo scudo spaziale della mia indifferenza, lo so.

Andiamo Neji, andiamo. Puoi farcela.

«Puoi abbracciarmi» dice lei «non lo dirò a nessuno che il glaciale avvocato Hyuuga si è lasciato andare a una tale manifestazione d'affetto, giuro».

Mi viene da ridere e la abbraccio.

La abbraccio a mia volta e mi rendo conto che aspetto di farlo da anni. La gente intorno ci guarda.

È un caffè raffinato e per gente chic. Non ci si lascia andare in questo modo senza diventare improvvisamente il centro dell'attenzione.

La novità del momento è che me ne frego.

Certo, preferirei che sparissero tutti, vorrei rimanere da solo con lei, in un mondo dove non esistiamo altri che noi due.

«Mi dispiace per Kiba» dice poi «è solo preoccupato».

«Mi ha chiesto se mi rendo conto di quanta fatica ti costi accettare il mio aiuto» dico improvvisamente «è così? Ti costa davvero fatica?».

Mi rendo conto adesso che quelle sono state le parole che mi hanno ferito tanto.

«Mi è costata fatica venire da te. Non eravamo esattamente in buoni rapporti» risponde.

E chissà per colpa di chi.

La guardo.

Non sto pensando a niente.

«Lo so che sono uno stronzo».

«Un po'» dice «ma lo sei da sempre e non è mai stato un grosso problema».

Bugiarda. È per questo che è finito tutto e lei lo sa benissimo.

O magari lei, come sempre, ne sa molto più di me e ha capito quello che io ho sempre sospettato: che più ancora che uno stronzo sono un codardo e che questo è il motivo vero per cui tutto è finito.

Sorrido tra me e me. Stranamente mi sento bene.

Oddio bene. Meglio diciamo. Un po' meglio di prima, almeno.

«Vincerò questo caso e tu riavrai il tuo ristorante. È una promessa» dico.



Grazie a chi legge e ,ovviamente, a chi recensisce.

Tenni_93: beh, un po' meglio va, no? Che ne pensi? Fa lo stronzo come sempre, ma poi un passettino indietro lo fa.

Altovoltaggio: grazie mille! Che bello! Sì, in effetti la storia è piuttosto triste, malinconica direi. La maschera di Neji...beh, è presto per buttarla giù del tutto, anche se attraverso i suoi pensieri cerco di tirare fuori tutto quello che non dice.

Un bacio a tutti.

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Capitolo 7
*** Cinghiale alla cacciatora ***


«È vero quello che si dice su di te e Tenten Amano?» chiede mio zio mentre inforchetta il petto d'anatra arrosto e se lo porta alla bocca.

«Dipende da cosa si dice» rispondo senza guardarlo.

«Che il ristorante dei suoi rischia l'esproprio e che tu hai accettato di difendere lei e la sua famiglia» continua.

«Sì».

So benissimo che questo non concluderà il discorso, ma voglio dare l'idea che per me sia esattamente così.

Lui, ovviamente, se ne frega.

«È un caso ridicolo, Neji, e comunque mi chiedo come ti stia pagando» prosegue infatti, tra un boccone e l'altro, come se niente fosse.

«Non mi paga, infatti». Non so perché lo dico, forse è solo una piccola rivincita che mi prendo nei confronti della mia solita abulia codarda. Avrei potuto stare zitto, ma non mi va.

Allora lui mi guarda.

Vittoria.

«D'altro canto non credo che andremmo in pari nemmeno se le restituissi tutti i pranzi e le cene che i suoi mi hanno offerto».

Questo, lo ammetto, avrei potuto risparmiarmelo. Servirà solo a rendere più acido mio zio e più aspra la discussione.

Mi è uscito senza averci pensato.


Così ripenso un attimo a quei pranzi e a quelle cene.

Dopo la scuola ci fermavamo lì e poi studiavamo nel retro. A volte lei chiamava e mi diceva “Stasera cinghiale alla cacciatora. Ti va?”. Sono passati millenni.

Da quando ho cominciato l'università non ho mai più mangiato un cinghiale così buono.

Il microcosmo di quel ristorante mi sembrava perfetto.


Lui si irrigidisce. Mio zio intendo.

«Farebbe bene a chiudere, ecco la verità. E tu faresti bene a lasciar perdere».

Già. Soprattutto questo. Se sapesse quanto lo odio quando si atteggia a chi possiede la verità assoluta (atteggiamento che, tra l'altro, temo proprio di aver ereditato).

Comunque rimango calmo.

«Ti assicuro che vincerò questa causa. Fosse l'ultima cosa che faccio», rispondo.

Lui scuote la testa. Adesso passa alla modalità patrigno-bonario-che-ne-sa-infinitamente-più-di-te.

«Quella ragazzina ti ha sempre influenzato troppo, Neji. Con lei di mezzo sembri un'altra persona».

Sorrido.

Inevitabilmente.

«Questa volta devo proprio darti ragione. Quando c'è Ten di mezzo faccio persino un po' meno schifo del solito».


Mi alzo.

Lascio la cena a metà, tanto non ho più fame.

Mia zia mi guarda sbigottita.

«Dove stai andando Neji? Non essere maleducato» sibila cercando di trattenere la rabbia.

Non le rispondo.

Ho la sensazione che quella mia frase, per quanto teatrale e ad effetto, sia davvero la conclusione perfetta per quella discussione. Per quanto teatrale e ad effetto sono perfettamente convinto che si tratti della verità.


Con lei.

Ma lei sta con Kiba, adesso, e io non sono altro che il suo avvocato.

C'è stato un tempo in cui mi ha amato più di qualunque altra cosa.

Per lei ero sempre al primo posto, lo sapevo e mi sentivo importante, essenziale.

Sapevo che qualunque cosa fosse accaduta saremmo stati in due.

Sorrido.

Poi esco frettolosamente di casa.


Quando suono a casa sua so che si tratta di una grossa stupidata.

Potrei trovarci Kiba e in ogni caso non ho la minima idea di cosa dirle.

Mi piacerebbe poterle parlare senza dover trovare una scusa.

Mi piacerebbe poterle dire le cose che le ho mai detto.


Sento i suoi passi che arrivano e il tintinnare del suo buonumore.


«Ciao Neji» dice sorpresa «che ci fai qui?»

«Volevo vederti» rispondo

«È per il processo?» chiede preoccupata «è successo qualcosa?»

«No. Volevo vederti e basta».

Beh, è ovvio. Le parole mi escono dalla bocca prima di arrivare al cervello e vorrei sprofondare un attimo dopo averle dette.

Lei mi guarda.

«Vieni» dice sorridendo e il suo sorriso mi entra nel cuore.


Dio, quanto la amo.

L'ho sempre amata.

Non ho mai amato nessun altro che lei.

Non dovrei dirlo, non dovrei nemmeno pensarlo.


Ricordo bene quel giorno.

Lei lì davanti, intorno gli altri.

Lei lì davanti, incredula e fragile come non l'avevo mai vista. Gli occhi spalancati su quella festa a cui non era stata invitata.

Mia zia che la guarda con un certo disprezzo e sussurra alle amiche “è la figlia dei vicini, è infatuata di Neji e non gli scolla di torno”.

Lei che chiede “posso parlarti?”, io che rispondo “non è il momento”.

I suoi occhi gonfi di lacrime.

I miei occhi tronfi d'orgoglio per l'ammissione ad Harvard.


«Vieni» dice sorridendo.

Le prendo una mano e la fermo.

«Perdonami Ten».


Così alla fine lo dico.

Aspetto un attimo per essere sicuro di non averlo solo immaginato.

È vero.

L'ho detto.

Le sto chiedendo perdono per quel giorno.

Per non averla invitata a quella festa e per averla allontanata in malo modo.

Le sto chiedendo perdono per il giorno successivo.

Per averle detto che non l'amavo e che tutto quello c'era stato finiva lì.

Ma le sto chiedendo perdono anche per tutti i giorni prima e per tutti quelli che sono venuti dopo, per non averla saputa proteggere, per il mio maledetto egoismo, per la mia paura di amare, per averla lasciata sola.


Lei mi guarda, incredula forse come allora.

«Di cosa parli?» chiede

«Di tutto».

Abbassa lo sguardo, come se stesse riflettendo. Poi lo solleva di nuovo e mi fissa.

Mi raggiunge nel passato che sto vivendo e rivivendo da allora, ininterrottamente.

«Non voglio le tue scuse, Neji. L'unica cosa che voglio è sapere perché».

Lo dice quasi con calma, scandendo l parole senza fretta.

«Ho avuto paura» ammetto finalmente.

«Perché non sarei mai stata quello che la tua famiglia avrebbe voluto?» mi chiede scuotendo la testa in maniera appena percettibile.

Sì, anche per questo.

Avevo cominciato a pensarci quando inviai il curriculum per Harvard. Avevo ottime possibilità di entrare. Ten, al contrario, non sarebbe mai andata all'università. Sarebbe rimasta per sempre la figlia della sindacalista che aveva deciso di aprire un ristorante e avrebbe lavorato per sempre in quel ristorante.

«Anche» rispondo.

Finalmente posso essere sincero.

«Sapevo che non avresti capito le scelte che stavo per fare, la strada che avevo deciso di prendere».

Per lei era assurdo spendere 300 dollari per una camicia di Armani.

Ecco il mio alibi, riuscite a capirlo?

«Forse non avrei capito, ma non me ne sarei mai andata per questo» risponde.

Già.

È così maldettamente amaro saperlo. Averlo sempre saputo, non averlo mai potuto ignorare, nemmeno per un istante.

«Lo so» rispondo.

Dev'essere il momento della sincerità. Davvero mi meraviglio di me stesso (ma il potere dei dialoghi con mio zio è davvero straordinario, mi danno, come dire, una carica positiva che normalmente davvero non mi appartiene).


Lei rimane in silenzio.

«Hai mangiato?» mi chiede poi

La guardo. Beh, non farei altro che guardarla.

«Vuoi un po' di cinghiale alla cacciatora?».


Adesso urlo.

Sì.

Adesso salto sulla sedia e mi metto a urlare di gioia.

Certo che lo voglio! Lo voglio eccome! Lo stravoglio!

Impazzisco di felicità.


«Volentieri, grazie» rispondo.


«Vieni» dice prendendomi a braccetto.

«Ma', pa'...- aggiunge poi in direzione della sala – c'è Neji».


Tremo. Sul serio. Cosa diranno, cosa penseranno, cosa faranno i suoi genitori?

C'è stato un tempo in cui mi consideravano davvero uno di famiglia.

Poi li ho abbandonati e traditi, anche loro insieme a lei.

Aspetto.


Sua madre si affaccia dalla porta della cucina, con un sorriso luminoso sul volto.

«Neji! - esclama – è così bello vederti...volevo tanto ringraziarti per quello che stai facendo!».


E così finisce tutto? Voglio dire, adesso la mia paura si scioglie, il senso di colpa se ne va, mi metto l'anima in pace?

Eh beh, no. Non è così facile.

Tutt'altro.

Magari mi fa onore, almeno un po', ma ne dubito.

Quella cena, comunque, è la cosa più bella che ricordi da anni.

È calda, accogliente e piena d'amore.

Poi scala al secondo posto nella mia classifica quando Ten mi chiede

«Facciamo due passi?».


Camminiamo.

A dirla tutta, lei cammina, io faccio finta, ma in realtà volo.

Lei chiacchera e sorride.

«Che direbbero i tuoi se ci vedessero adesso?» mi chiede. La nota lieve di tristezza nella sua voce mi fa sussultare.

Mi fermo e la guardo.

«Non mi importerebbe più» rispondo.


Anche lei mi guarda.

Chissà se ci crede.

Perché dovrebbe, in fondo?

Da ragazzino ho detto tante cose. Beh, non proprio tante, d'accordo. Anche allora non è che parlassi molto.

Ma qualcosa glielo avevo detto.

E nella mia testa le avevo fatto un milione di promesse.

Perché dovrebbe credermi allora.


Mi sorride.

Non ho mai visto un sorriso più bello o più dolce.

«È davvero una serata meravigliosa» sussurra.


Che dire? Sono tornata...

Vediamo un po'...

Grazie a tutti, e in particolare:

Tenny_93:anche qui un po' di dolcezza, che ne dici? Neji si è sciolto davvero?

Kisa_chan:è vero, sono proprio dolorosamente divisi.E adesso? Uhm, ho la sensazione che la riunificazione sarà molto difficile.

Altovoltaggio:carissima! Sì, sono tornata...ti è piaciuto il cap? Il povero Neji ha davvero problemi ad esprimersi, non trovi?

Celiane4ever:come dicevo sopra, Neji ha davvero dei problemi ad esprimersi, ma in questo cap migliora no? Qualche piccolo passo avanti e non va così male...

Baci a tutti!



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Capitolo 8
*** L'idiota (o Gli idioti) ***


'Buonanotte', mi ha detto lei salutandomi.

Eh certo, buonanotte.

Parla facile, lei.

Chi accidenti dorme, adesso?


Non io.

Non dopo una serata così.


Inutile persino provarci, e in ogni caso, non ne ho affatto voglia.

Mi guardo intorno. Sono le 11.30 di sera.

Tranquillo, Neji, l'infinita schiera dei tuoi amici è lì pronta per colmare la tua momentanea solitudine soddisfacendo questo estemporaneo bisogno di compagnia...

L'infinita schiera...

Dunque?


Mi guardo intorno. Coppie, terzetti, gruppi di amici che chiacchierano. Mi sembra di non vedere altro, è quasi inquietante, non vorrei essere patologico e soffrire di allucinazioni.

Sono da tutte le parti. Ridono, scherzano, si lamentano.

Certamente qualcuno di loro starà soffrendo per una donna, e gli amici lo staranno consolando.

Io, come sapete, sono di un'altra scuola.


Ma non raccontartela, Neji Hyuuga.

Tu sei un incapace sociale.

O più semplicemente.

Tu sei inequivocabilmente solo.


Cammino con questo pensiero. La felicità quasi ubriaca (e diciamocela tutta, francamente esagerata) di poco fa è quasi sparita. Ha lasciato il posto a una malinconia generica e pesante che mi è quasi del tutto nuova.

Quando alzo gli occhi e mi accorgo di aver camminato fino alla casa di Uchiha, scrollo le spalle e decido di fottermene se è tardi, se il mio atteggiamento lo sconvolgerà e, soprattutto, se così facendo deporrò la maschera di uomo glaciale-impassibile-indifferenteatuttoquellochesuccedeintorno.

Se sembrerò più debole il mondo se ne farà una ragione.

Io suono.


Uchiha che apre ha una faccia che è tutto un programma.

Immagino che si stia ancora chiedendo chi diavolo potrebbe suonargli a quest'ora.

«Neji!» grida quando realizza chi sono.

Neji...

È quasi buffo sentirmi chiamare per nome da lui.

Lo guardo. Adesso mi sento immensamente stupido. Cosa diavolo ci sono venuto a fare, fino a qui? Che giustificazione gli do? Che gli dico?

Mi guarda. È abbastanza preoccupato, e ci credo! Lo sarei anch'io al suo posto.

Esterrefatto, anzi, sarebbe la parola giusta.


«Ma che ci fai qui a quest'ora?» mi chiede.

Chissà adesso che frase ridicola mi esce dalla bocca (avrete capito, ormai, che sono del tutto incapace di controllarmi).

Qualcosa tipo “passavo di qua”, o “volevo un tuo consiglio su un caso”. O peggio, non dico niente e prima di aver realizzato me ne sono già andato.


«Che devo dirti, Uchiha? Bella domanda. È stata una serata strana e non mi andava di stare da solo».


Non posso crederci! L'ho detto davvero?

Beh, dev'essere l'effetto Ten ancora nell'aria.

Scrollo le spalle.


Mi guarda ancora più allibito.

«Entra» dice poi.


Entro, mi siedo e gli spiattello tutto, dettagli compresi. Dalla discussione con l'adorabile zietto alla buonanotte. Non mi ero reso conto di avere una tale voglia di parlare.

Non mi riesce di smettere.

Parlo come un fiume in piena, lui, tuttavia, non fa una piega. Mi chiedo come mi sarei comportato io a situazione ribaltata.

Boh.

Comunque parlo e lui ascolta.

Alla fine dice

«Beh, devi dirglielo», poi mi guarda e si mette a ridere.

Viene da ridere anche a me.

«E che le dico?» chiedo ridendo.

«Che la ami. Che sei innamorato perso, come un quindicenne idiota. Che non fai altro che pensare a lei, che è l'unica donna della tua vita. Che la ami, insomma».

Cribbio. Non credevo che Sasuke Uchiha potesse nemmeno pensarle parole come questo, nemmeno che le conoscesse.

Lo guardo perplesso.

«Beh, che c'è? È la verità, no?» chiede.

Annuisco.

«Ahah...è che non mi aspettavo di sentirti parlare così».

Arrossisce violentemente. Che buffo. È la prima volta che lo vedo così (ma non dovrei essere io ad arrossire?).

«Cosa c'entra? Non sto parlando di me, sto parlando di te» risponde.

«Sì, certo – ridacchio – ma scommetto che hai fatto le prove un sacco di volte, perché sono esattamente le cose che vorresti dire a Sakura». La butto lì, tanto per vedere cosa risponde.

Rimane un attimo in silenzio, poi dice

«No. Io sono più indietro di te. Io non le ho mai detto che mi dispiace e non le ho nemmeno chiesto scusa – ha un'espressione malinconica, o vagamente triste, forse – tu hai fatto passi da gigante, rispetto a me».

Tombola.

A questo punto vado avanti.

«Ma tu e lei? - chiedo un po' titubante – insomma, stavate insieme?».

Domanda idiota, lo ammetto.

Mi aspetto una risposta altrettanto idiota, per non fare l'unico idiota della serata.

Per condividere, insomma, questa malinconia nostalgica e romantica che mi ha preso e che mi fa pure (onestamente) un po' schifo.

«Sì - risponde secco – un paio d'anni, alle superiori»

«Cazzo» esclamo. Altro che risposta idiota, mi ha lasciato senza parole. E chi se l'aspettava? Sasuke Uchiha ha avuto una vera fidanzata?

«Lo so cosa stai pensando. Sì, sono stato fidanzato. Ma era una storia così, o cioè, volevo che lo fosse» dice serio.

«Vale a dire?» chiedo.

«Vale a dire che non era il mio ruolo, quello del fidanzato fedele e innamorato. Stavamo insieme, ma ne ho combinate parecchie. Alla fine, vabbé, alla fine è finita» dice.

«Già. Ma perché?».

«Che c'è, Hyuuga, me lo chiedi per poi sentirti meglio?».

«Proprio così – rispondo – ho bisogno di condividere l'idiozia».

Mi guarda.

Risposta sincera, se non altro.

«L'ho tradita – dice con calma – Beh, non era la prima volta. Ma quella avrei potuto risparmiarmela. Una sera in discoteca sono stato con la sua migliore amica e lei poi, presa dai sensi di colpa, glielo ha detto. Avrei potuto dirle che mi dispiaceva, credo che mi avrebbe perdonato anche quella volta, ma non l'ho fatto».

Non riesco a dire niente.

Non mi immaginavo che fosse così, Sasuke ragazzino.

Un play boy che frequenta discoteche e tradisce la sua fidanzata.

Sasuke in discoteca?

Sasuke con una fidanzata?

Sasuke con la migliore amica della sua fidanzata?

Mi si spalanca davanti un mondo nuovo.

«Beh, ero più socievole, prima - dice – con Sakura mi sono giocato pure Naruto. Due in un colpo solo. Lui mi ha fatto una paternale colossale e io l'ho mandato al diavolo, poi sono sparito. Così ho chiuso con i rapporti sociali. Troppo incasinati, non fanno per me».

«Ma...lei...?» chiedo.

Cioè, non chiedo niente. Farfuglio e basta.

Vorrei chiedergli se la ama, ma quella parola proprio non mi esce dalla bocca. Sarò patologico? Di sicuro ho un blocco mentale da far spavento.

«Che vuoi sapere? - mi interrompe quasi un po' spazientito – se la amo ancora? Se l'amavo prima? Ma non riesci nemmeno a dirlo?».

«Allora?» chiedo.

«È stata l'unica ragazza importante – dice dopo un attimo di riflessione – l'amore può prescindere dal modo in cui si tratta una persona?».


«Sì» rispondo.


«Allora direi che la amo».




Un po' di spazio anche a Sasuke...che ne dite?

Baci e grazie a tutti.


Tenny_93: niente bacio...accidenti, mi perdoni? Povero Neji, fa fatica persino a dire “amore”. Che dici, è abbastanza coerente con il pg del manga? Almeno nelle linee generali del carattere? Grazie mille, prometto che cercherò di aggiornare presto!

Dryas: grazie davvero! Neji soffre moltissimo, è un personaggio complesso, elaborato, e anche, diciamocelo, veramente stupido. Ho una passione per gli antieroi di questo tipo! Sempre in bilico, sempre incerto, e totalmente incapace di parlare. Ma anche Sasuke non scherza, no?


Angel of Sin: davvero si capisce qualcosa di Ten? Il fatto di aver scelto il punto di vista di Neji, forse, è un po' penalizzante per lei...ma i sentimenti di Neji ormai son abbastanza chiari, no? Il problema è quanto riuscirà a dimostrare. Grazie grazie grazie!

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Capitolo 9
*** La sfida ***


La sfida


In casa, la mattina dopo, c'è un clima pesante.

Hanabi (che è casa per qualche giorno, a riposo dalle sue fatiche universitarie) mi incontra sulle scale e mi dice

«Li hai fatti incazzare».

Non le rispondo.

Le scrolla le spalle.

Non credo si aspettasse una risposta, e probabilmente nemmeno le sarebbe interessato averne una.


Siccome sono andato a letto tardissimo (e non ci sono per niente abituato), stamani, quando ho sentito la sveglia, l'ho spenta e mi sono girato di là.

I due appuntamenti saltati se ne faranno una ragione.

Tanto sono un grande avvocato, io.


Al lavoro ci vado alle 10.30, con una faccia che è tutta un programma.

Yukari mi viene incontro allarmata.

«Avvocato!» esclama, poi mi inonda con un fiume di parole, tra cui colgo «ero preoccupatissima», «ho provato a chiamarla», «aveva il cellulare irraggiungibile».

I due tipi degli appuntamenti mi stanno aspettando ancora, seduti nella mia lussuosa sala d'attesa.

Vorrei rispondere che il cellulare era spento perché stavo dormendo e perché non poteva fregarmene di meno di loro, di lei e di questo stupido ufficio.

«Chiedo scusa – dico invece – ho avuto una brutta colica durante la notte, e stamattina ero in condizioni terribili».

Naturalmente mi credono. Tutti. Compresa la mia sagace segretaria. D'altra parte non c'è nessun altro motivo per cui Neji Hyuuga potrebbe disertare il lavoro.


Appena entro in ufficio, e il riccone di turno (senti da che pulpito...) mi sbrodola i suoi guai giudiziari con la moglie, che sta cercando di portargli via tutto il suo patrimonio a seguito dell'iter classico tradimento ripetuto – divorzio, sorrido.


Ten è rientrata nella mia vita da qualche settimana e ha già rivoluzionato tutto, al punto da farmi rimanere a letto la mattina piuttosto che andare al lavoro.


Al tipo qua davanti vorrei dire «ben ti sta, caro mio. Se ti fossi trovato una donna come Ten non ti sarebbe successo», ma poi penso che, poveretto, nemmeno è colpa sua. Donne come lei ce n'è una e basta, e certamente non la lascerei a lui.

Scrollo le spalle e comincio a lavorare sul serio, entrando in modalità grande avvocato.


Nei due giorni successivi tutto torna a una apparente normalità (la mia, s'intende).

Vale a dire: lavoro-lavoro-lavoro.

Il fatto di potermi impegnare sul caso di Ten, però, mi tira almeno un po' su il morale.

Per lo meno faccio qualcosa di sensato.

Mi ci dedico con tutto me stesso e alla fine del mio studio matto e disperatissimo la conclusione è una sola:

io

quelli

li

distruggo.


Chiamo l'avvocato della parte avversa.

«Caro collega – dico – ho interessanti novità per lei a proposito dell'esproprio ai danni della mia cliente, Amano».

Lui esita.

«Mi permetta di presentarmi. Come le dicevo sono l'avvocato dei signori Amano: Neji Hyuuga».

Assaporo il momento in cui pronuncio il mio nome.

Lo sento fremere dall'altra parte del telefono.

«Stimato collega...» comincia.

Dentro, ghigno.


Così lo incontro e parliamo.

Il verdetto naturalmente è uno solo: è un completo incapace. Come presupposto, lo distruggo.

Lui ha quell'atteggiamento reverenziale che di solito mi fa godere (sì, lo ammetto) e in questo caso, stranamente, mi infastidisce.

Più che fargli le scarpe sul piano legale vorrei prenderlo a pugni.

Comunque mi trattengo e vengo via con la vittoria in tasca.


Poi sto mezz'ora davanti al telefono prima di avere il coraggio di chiamarla.


«Neji!» esclama rispondendo.

Odio quelli che rispondono al telefono pronunciando il mio nome come se avessero appena fatto una scoperta sensazionale, ma pronunciato da lei, il mio nome, ha sempre un suono bellissimo.

«Ti disturbo?» chiedo.

«Per niente – risponde, poi aggiunge - avrei voluto chiamarti, ma avevo paura di disturbarti».


Paura...paura di disturbarmi?

Tu?

A me?

Ma che, scherzi?

Sei pazza o cosa?

Questo è quello che mi verrebbe da dire.

Naturalmente, indovinate un po', non lo dico affatto.

Però cerco un compromesso.

Qualcosa che esprima, almeno alla lontana, il mio pensiero, senza farmi apparire più patetico di come già mi sento.


«Mi avrebbe fatto piacere, invece».


Bravo Neji-sentimentale. Un punto per te.


«Allora la prossima volta ti chiamo».


Silenzio.


«Senti, ho incontrato l'avvocato Brown».


Acc.

Ma perché cambio discorso, una volta tanto che ho l'occasione di lasciarmi un po' andare?

Un punto per Neji-glaciale.


«Davvero? E com'è andata?» mi chiede preoccupatissima.

«Esattamente come doveva andare. È un incapace che si atteggia a grande avvocato» rispondo.

«Sì, ma...quindi?» chiede ancora.

Ah già, non ho risposto.

Mi sono fatto prendere di nuovo dalla modalità professionale.

Ma quindi siamo in tre, in gara?

Un punto per Neji-professionale.

«Quindi si risolverà tutto. Non vi porteranno mai via il ristorante, con queste premesse» concludo.

Lei si mette a piangere.

No, cribbio, non di nuovo.

«Ten? Ten? - la chiamo – perché piangi?»

«Perché sono felice - risponde singhiozzando – come farò ringraziarti?».

Rimango un attimo in silenzio.


«Un appuntamento basterebbe» rispondo poi.


Da dove mi venga non lo so.

Forse sono impazzito.

Però una cosa è certa: signori e signore, per 2 a 1 a 1 vince questa sfida Neji-sentimentale!


Adesso sentiamo cosa risponde.

Mi manda al diavolo?

Butta giù il telefono?

Si mette a ridere?

O, peggio di tutte, mi dice che è già fidanzata?


Me la sto facendo addosso come un quindicenne.


Poi la sua voce rompe il silenzio.

«Stasera?» chiede.

«Sì» rispondo.

Quando butto giù il telefono mi tocco la faccia, su, per altro, devo aver stampato un sorriso davvero idiota.

Quella di farmela addosso sarà anche solo una metafora, ma sono sudato come un animale, e questa non è affatto una metafora.


Prima di andare a prendere dovrò andare a casa e farmi una doccia.






Un grazie a tutti quelli che leggono e un grazie speciale a chi commenta.

Nel prossimo capitolo prometto di dedicare un po' di spazio a Sasuke!


Angel of Sin: grazie mille per i complimenti! Come dicevo nel prox capitolo cercherò di dire qualcosa di più su Sasuke. I sentimenti di Ten non sono ancora molto chiari, ma forse non lo sono del tutto nemmeno a lei.


Altovoltaggio: eheh, ho sentito la tua mancaza...Neji, in effetti, è davvero in ansia! Non sa dove sbattere la testa, ma la situazione si sta un po' risolvendo.


Tenny_93: grazie mille. Il prox capitolo sarà esattamente come lo vorresti: Ten e Sasuke ci saranno entrambi (anch'io adoro i momenti Neji-Sasu).


Dryas: neanch'io apprezzo particolarmente Sasuke, qui ho cercato, senza snaturarlo, di dargli un po' di umanità. Ne ha combinate parecchie, nella mia storia, e come Neji non riesce a tornare indietro. Ma ti assicuro che entrami soffrono tanto. Grazie, anch'io ho trovato il cap. abbastanza divertente, nonostante la tristezza...

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Capitolo 10
*** L'appuntamento ***


L'appuntamento.


Ho fatto la doccia.

Mi sono messo il deodorante (forse pure troppo).

Mi sono pettinato (sei o sette volte prima di uscire).

Ma non riesco a far smettere di tremare le gambe.

Che tipo di appuntamento è questo?

Una cosa tra vecchi amici che si erano persi e si sono ritrovati?

Una cosa tra innamorati che dopo essersi lasciati si riscoprono tali?

Non ci capisci niente, Neji Hyuuga, ammettilo.

Questa donna che tra poco arriverà – perché tu ovviamente sei arrivato in anticipo di mezz'ora, neanche a dirlo – è stata la tua migliore amica e la tua innamorata, e in definitiva la persona di cui più ti sia importato al mondo.

Quindi, da bravo disadattato sociale, non ci capisci assolutamente niente.


Ma qualunque cosa sia te la terrai stretta.

Che sia amore o amicizia lo non lo butterai via, o questa volta giuro che ti uccido con le mie mani.


Lei arriva ed è bellissima – anche questo, neanche starlo a dire.

Sorride, e tanto basta a renderla meravigliosa.

«Allora, avvocato, dove si va?».

Scrollo le spalle.

«Dove vuoi».

«Ma come, non hai pensato a niente? - mi rimbrotta – mi inviti fuori e non sai nemmeno dove portarmi?».

Già.

Splendida figura.

Sarò cretino?

Non c'è alcun dubbio.

Ci ho pensato, a dove portarla... è che mi sono venuti in mente solo locali ultra eleganti da non meno di 100 dollari a persona.


Ferma tutto!


E allora?

Perché non l'ho portata lì?

Ancora la vecchia storia della vergogna?

Oh

mio

dio

!

Non ci posso credere.


«La verità – continua – è che tu conosci ristoranti di un certo tipo e non volevi portarmi lì».


Signorina, scusi, potrebbe evitare di leggermi nel pensiero?

È imbarazzante.


«Perché? - mi chiede (sorridendo) – non è che hai paura di incontrare qualcuno che conosci?»

Improvvisamente, però, tutto diventa chiaro.

«Un po' – ammetto – ti va se prima facciamo due passi?».

Annuisce.

Sì, adesso è tutto chiaro. Passo successivo: trovare le parole per spiegarlo a lei.


Camminiamo.

«Se incontrassimo qualcuno sarebbe qualcuno sarebbe qualcuno che mi assomiglia» dico.

Discorso complicato, ma necessario, più per me che per lei.

«Qualcuno come me, gente da 100 dollari a serata».

«Non me ne sono mai fatta un problema» risponde.

«Tu no, io sì - dico – a me vuoi bene. Per lo meno, me ne hai voluto tanto...», mi guarda inclinando la bocca, con quell'espressione che vuol dire “lasciamo perdere, va'”.

«E certe cose di me ti sei sempre rifiutata di vederle. Se incontri loro magari te ne accorgi, ti accorgi di tutto e...»

Ho la bocca impiasctricciata, mi impappino come un ragazzino.

«...e io non voglio che tu te ne accorga».


Lei mi guarda e poi mi da uno schiaffetto sulla testa.

«Sei proprio cretino, Neji! - esclama – guarda che i tuoi difetti li ho sempre visti. Non sono cieca. Solo che li ho anche sempre amati. E francamente, ho sempre creduto che tu valessi molto più di 100 dollari a serata».


La guardo incantato, perché lei sa sempre cosa dirmi, perché lei ha sempre le parole giuste, perché lei, anche se deve parlare dei suoi sentimenti, non si impappina per niente.


«Non valgo niente, invece. Se valessi qualcosa non ti avrei trattato come ho fatto».

Le parole mi scivolano fuori dalla bocca senza che me ne accorga, senza trovare il tempo o il modo di fermarle, e, tutto sommato, ne sono felice.

Lo dico con amarezza e delusione, ma senza vittimismo.

Non sono vittima di un bel niente, a pare della mia codardia e della mia stupidità.

Lo dico perché è proprio il caso di dirlo.


«Non l'ho mai pensato – risponde – ho solo creduto di non valere abbastanza per te».

Lei lo dice con consapevolezza.

Nessuna parola che le scappa di bocca, nessun tentativo di fermarle

Ma il suo tono porta la stessa amarezza e la stessa delusione del mio.

«No Ten, non dirmi questo, ti prego – sussurro (come un adolescente innamorato) – sono stato solo un codardo vigliacco».

Mi metterei a piangere.

Oppure mi scaverei una buca e mi ci infilerei sotto.

Qualunque cosa, ma non questo.

«Pensavo che saresti venuto a cercarmi. Ti ho aspettato tanto» dice.

Piange.

Le prendo il viso tra le mani e la abbraccio. È piccola come un bambolina, ma forte come la roccia.

«Perdonami – dico – sono un infelice cronico, senza di te».

«Perché non sei venuto, allora? Perché hai dovuto aspettare che venissi io?».

«Perché fingo di essere forte, ma in realtà sono debole e spaventato – rispondo, e non smetto di accarezzarla – ho una paura matta di te, perché quando sono con te mi sento diverso. Avevo paura che non mi volessi, che mi mandassi al diavolo, avevo paura».

«E allora hai lasciato che tutto questo tempo passasse così?».

Annuisco.

«Lo vedi come sono in realtà?».

«Sei uno stupido, ma non ci sono mai stati dubbi su questo».

Sorride.


Che faccio?

Glielo dico o no?

Che succede se glielo dico?

E Kiba?

E lei?

La metto nei guai?

Le riporto a galla vecchi sentimenti?

Ten mi ama ancora, adesso ne sono sicuro. Lo vedo da come mi guarda, lo sento dalle cose che dice. Sono le stesse che avrebbe detto una volta, sono gli stessi occhi e gli stessi sguardi.

Ma forse ha messo via quell'amore, forse lo ha addormentato, forse lo ha riposto in un angolo per andare avanti, e se adesso ama anche Kiba io non voglio stravolgerle la vita.

So che lo farei, se glielo dicessi.

So che le creerei dei problemi.

So che la costringerei ad affrontare qualcosa che, probabilmente non vuole affrontare.


Allora sto zitto e le bacio il viso, stringendomela addosso.

E per la prima volta in vita mia, se taccio non è autocontrollo o paura, ma solo amore.





Ops, mi spiace.

Avevo promesso Sasuke e invece l'ho rimandato al prossimo capitolo...sono perdonata ugualmente?

Spero di sì.

Grazie a tutti, in particolare a:


Altovoltaggio: eh sì, Ten e Kiba li abbiamo lasciati fidanzati...così dice Neji almeno. L'appuntamento c'è stato, e Neji, in effetti, sta diventando un po' OOC, ma mi sforzo di mantenerlo realistico. Voglio dire, sta tirando fuori certe cose, ma per come lo vedo io, le ha sempre avute dentro. Tu che dici? Grazie grazie grazie, ti aspetto, come sempre


tenny_93: beh, vittoria schiacciante del Neji-sentimentale, no? Finalmente. Lui la causa è stra-sicuro di vincerla, speriamo...alla prossima e grazie mille!


Angel of Sin: ecco qua l'appuntamento: è stato intenso, no? Che ne pensi? Neji, in effetti, è parecchio grottesco, come tutti gli iper-controllati, a mio avviso. Grazie come sempre per il commento!

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Capitolo 11
*** Le parole finalmente dette ***


Le parole finalmente dette


«Kiba mi ha detto che non state insieme» dico d'un fiato.

Non voglio riflettere.

Ten, seduta al tavolino davanti a me, intenta a bere una spremuta d'arancia, mi guarda semi sconvolta (ma sapesse quanto sono sconvolto io...).

«Già» dice poi ricomponendosi.

Ok Neji, non pensare. Non pensar a niente, parla e basta.

«Perché non mi hai detto niente?».

D'accordo, pessima domanda. Forse parlare e basta non è una grande idea. Magari dovrei baciarla direttamente.

«Perché la cosa non ti riguardava, suppongo».

Centro. Brava Ten, colpito e affondato.

Così imparo con questa storia del “parla senza pensare”, come se parlare fosse una cosa che mi viene bene.

Che le dico ora?

«Hai ragione, però avrei voluto saperlo».

Sensato.

«Perché?».

Non capisco e prendo tempo.

«Cosa?»

«Perché avresti voluto saperlo?».

Poi precisa.

«Cosa sarebbe cambiato, per te?».

Ah già. Sensato anche questo.

Com'è che anche quando dice cose apparentemente sciocche in realtà ha ragione? Per me non sarebbe cambiato niente. O meglio, sarebbe cambiato tutto dentro di me, ma poco o nulla esteriormente, a parte forse il fatto che avrei evitato quella disgustosa scenata con lui e con lei. D'accordo, lo dico (tanto una risposta devo dargliela).

«Almeno mi sarei risparmiato quella scena terribile».

Ridacchia.

«In effetti...».

«Te l'ho già detto che ero consumato dalla gelosia?».

Cazzo Neji, gran bel colpo questa volta!

«No» sorride.

«Deve essermi passato di mente» sorrido a mia volta.

Poi, nel silenzio di un attimo, sento la sua voce scandire parole chiare, affilate come coltelli.

«Non me l'hai detto, Neji, ma era piuttosto chiaro. O almeno, lo è stato quando ci ho riflettuto con calma. Solo che il punto non è questo. Il punto è ancora non riesci a dirmi quello che dovresti, o vorresti, o non so».

Abbasso la testa.

No, non questa volta.

Questa volta non permetterò che il mio stupido orgoglio, o la mia inettitudine sociale, chiamatela come volete, me la porti via di nuovo.

Questa volta no, a costo di scornarmici contro.

«Ti amo, Ten».


All'improvviso questa tre parole mi sembrano semplicissime.

Mi chiedo cosa ci sia mai stato di così difficile, nel pronunciarle.

All'improvviso non ho più paura, neppure della sua risposta.

Lei, però, non risponde.

Tace e mi guarda, e allora, già che ci sono, parlo io.

«Dal primo giorno e non ho mai smesso».

Silenzio, di nuovo.

«Non abbastanza, forse» dice.

L'ho sempre detto che il silenzio è da preferirsi a qualunque altra cosa...

E invece no.

No, cazzo, no.

Non ci sto zitto, questa volta. Questa volta parlo e lo dico e al diavolo tutto il resto.

«Sposami».

Cribbio.

Cribbio.

Cribbio.

«Sposiamoci».

Lo dico due volte, per sicurezza.

Lei sgrana gli occhi, io cerco di dare una calmata ai battiti iper accelerati del mio cuore.

«Tu sei pazzo» dice.

Forse.

«No».

In effetti no, non sono mai stato così lucido, al contrario.

Glielo dico? Ma sì.

«Non sono mai stato così lucido. Io ti amo e voglio sposarti».

«E...» sta per dire qualcosa.

No ti prego, la domanda sulla famiglia non la reggerei adesso.

«Non me ne frega niente» la precedo (chissà se voleva chiedermi quello, poi).

«La mia vita è stata uno schifo, senza di te» aggiungo.

Mah? Forse mi si è rotto qualcosa, da qualche parte nel cervello, oppure si aperta una valvola, oppure boh. Fatto sta che ho cominciato e non mi fermo più.

«Abbiamo fatto l'amore una volta sola» sussurra.

Se sapesse quante volte ho immaginato di farlo, rifarlo e rifarlo ancora non lo direbbe.

«E con questo?» chiedo.

«È stato un disastro totale, il dopo» dice.

«Sì. Hai ragione. Hai ragione su tutto. Ma adesso è diverso, è diverso tutto».

«Cosa c'è di diverso?»

«Che sono pronto».

Ottimo Neji, gran bel discorso.

E adesso che tu sei pronto lei dovrebbe essere lì, pronta a sua volta a correrti tra le braccia, vero?

Sei proprio un pezzo di merda, anche quando non vorresti.

«Devo pensarci su» dice.

«No – rispondo no!».

Se ci pensa su non mi dirà mai di sì.

Ripenserà a tutte le cazzate che ho fatto, ripenserà al tipo di persona che sono e nemmeno il suo amore riuscirà più a mascherarlo ai suoi occhi. Con egoismo estremo, il solito che mi contraddistingue le dico

«No. Non pensarci».

Poi proseguo.

«Cioè, non vorrei che tu ci pensassi, ma è giusto».

Incredibile.

Allora sono pazzo davvero.

«Prenditi tutto il tempo che ti serve, io sarò sempre qui. Solo, voglio che tu sappia che questa volta combatterò fino alla fine».

Lei mi guarda e sorride.

«Mi fai un po' paura» dice.

«Solo un po'? È buono, in fondo. Io mi faccio moltissima paura» rispondo.

Ridacchia.

«Senti, vorrei che anche tu ci pensassi» dice poi.

Pensare? A cosa? A quanto la amo? Al fatto che la mia vita non ha alcun senso senza di lei?

Non occorre, grazie.

«Io non devo pensare a niente. Ho già pensato abbastanza» rispondo.

«A quello che succederebbe se ti dicessi di sì. Alla tua famiglia, al tuo lavoro, alle tue abitudini. Cambierebbe tutto, Neji».

Sto per pensare a qualcosa. Ma non voglio farlo, lo dico e basta

«Io voglio che cambi tutto, Ten. La mia vita è uno schifo, senza di te».


Ok, l'ho già detto. Ma dopo una vita di silenzio voglio che sia ben chiaro.

In fondo, sono le parole che non ho mai detto.


Spazio autrice.

Carissimi, grazie a tutti. Ci avviciniamo alla conclusione, nel prossimo capitolo spero di poter dare un po' di spazio anche a Sasuke, ma Neji è stato coraggioso, no?

Sono molto orgogliosa di lui.

Veniamo alla mie adorata e carissime commentatrici, che ringrazio tanto tanto.

Dryas:cara, certo che meglio tardi che mai. Sono d'accordo con te, era proprio ora che Neji si svegliasse...anche a me Kiba piace un sacco, all'inizio pensavo di farlo restare con Ten, ma poi non ci sono riuscita, il mio animo Neji-Ten ha preso il sopravvento...che vuoi farci?

Shark Attack:che bello trovarti qui! Sono contenta che la storia ti piaccia, nel prossimo capitolo cercherò di tirare fuori qualcosa del mio Sasuke...

Altovoltaggio: alla faccia dell'inatteso, no? Che ne dici di questa proposta? E Ten non ha pianto, né è cascata ai suoi piedi come una pera cotta. Al contrario, resiste. Vedremo...

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Capitolo 12
*** Sottosopra ***


Sottosopra


L'appuntamento è finito.

Non ho ancora capito niente ma, cazzo, sono felice.

Felice sul serio, ci credete?

Io faccio un po' fatica (a crederci, intendo), ma sono felice come non credevo di poter essere.

Così felice che mi riprometto, il giorno dopo, di chiamare Sasuke solo per il gusto di raccontarglielo, e per essere sicuro di farlo scrivo su un foglietto: “chiama Uchiha. Hai giurato a te stesso di farlo” (certe volte la mia stupidità mi sorprende davvero, in ogni caso mi scopro sempre a chiedermi cosa penserebbero gli altri – tutti gli altri tranne lei – se mi scoprissero in questi panni).


Il giorno dopo ci penso e ci ripenso. La voglia mi è passata ma ho giurato (e per fortuna l'ho scritto sul foglietto).

Penso di accartocciarlo, il foglietto, e di buttarlo via facendo finta di niente.

Poi lo chiamo – giusto per non apparirmi ancora più ridicolo.


Usciamo.

Gli racconto della sera prima – ma con poche, semplici parole, niente dettagli per carità.

Lui rimane impassibile, mi sembra quasi di vedermi allo specchio.

Poi prende il cellulare in mano e mi dice

«Ok. La chiamo».

Rimango come un deficiente a guardarlo mentre si allontana di qualche passo.

«Tu però aspettami» aggiunge senza voltarsi.


Lo aspetto..


«Ciao» dice.

«Sì, sono io».

«Lo so. Stai bene?».

«Tutto a posto. Possiamo vederci? Io, te e Naru, intendo».

«Grazie».

«Ok»

«Ciao».


Poche parole, forse ancora meno di quante avrei potuto dirne io. Forse è proprio per questo che lo capisco.

Stranamente la mia testa ricostruisce quella conversazione, se la immagina, come se gli affari degli altri avessero mai avuto una qualche importanza, per me.

«Ciao» le ha detto lui.

«Sasuke? Sei proprio tu?», le avrà chiesto esterrefatta.

«Si, sono io», come se fosse normale.

«Sei l'ultima persona che mi aspettavo di sentire», gli avrà detto, ma senza cattiveria, senza rabbia, solo con sincero, autentico stupore (e forse una briciola di felicità).

«Lo so. Stai bene?»

«Sì, io sto bene. Tu come stai?», gli avrà chiesto. Riordinati un attimo i pensieri si sarà preoccupata sul serio, pensando che quella telefonata potesse dipendere da chissà cosa.

«Tutto a posto», forse non ha capito la sua preoccupazione, o forse, più probabilmente (io avrei fatto così) l'ha ignorata per non sentirsi più in colpa.

«Possiamo vederci? Io, te e Naru, intendo».

A quel punto chissà cos'avrà pensato lei.

Comunque gli ha detto di sì, e forse ha aggiunto che si sarebbero sentiti, per mettersi d'accordo.


Cazzo Neji, ma hai pensato a tutte queste cose mentre lo sentivi parlare?

E la tua discrezione?

E il tuo distacco?

Boh.

Fanculo (da quanto non dico “fanculo”, anche solo tra me e me?).


Ok. Adesso però cerchiamo di occuparci di lui.

Infondo lui si è occupato di te.


«Tutto bene?» gli chiedo.

«Direi di no – risponde - Tutto uno schifo, piuttosto. Vuoi spiegarmi come diavolo mi è venuta quest'idea?».

«E io che ne so, scusa?». dico

«È tutta colpa tua» conclude.

Scrollo le spalle.

No, caro mio, penso. Questi sono i miracoli di Ten. Lo penso ma non lo dico. Non esageriamo con le stronzate.

«Li incontrerai, allora?» dico invece.

«Ci sentiamo domani. Era sorpresa. Basita direi» risponde.

«Immagino» commento.

«Solo che io sono infinitamente più sorpreso di lei. Per quello che ho fatto, intendo» dice.

«L'avevo capito».

«Insomma, è tutta colpa tua».


Torno indietro che sto ancora sorridendo.

La giornata non è andata male, dopotutto.


Poi, vicino a casa, me lo vedo lì.

Ha addosso una felpa e un paio di jeans, come quando eravamo ragazzini. Ha i capelli un po' più corti, ma la stessa faccia da semi-idiota. No. Da persona felice.

Per un attimo rimango immobile.

Mi passano in testa un milione di pensieri, compreso quello – subito bocciato – di chiedergli scusa per le cafonate dell'altra volta.

«Cosa fai qui, Inuzuka?» chiedo.

Dopo tanta espansività avrò pure il diritto di tornare a darmi un contegno, no?

«Devo parlarti» risponde.

«Un'altra volta? Non ti è bastata l'ultima conversazione?» (forse mi aspetto di scoraggiarlo, forse...).

«E a te non è bastata?» mi chiede di riflesso.

Sì, mi è bastata.

Decisamente.

Vorrei evitare di ripeterla.

«Non sono io quello che ne è uscito a pezzi».

Ma non ci riesco.

Cazzo.

Non con lui.

«Eppure, a quanto mi risulta, non l'hai preso proprio bene. Il seguito, intendo dire».

Centro.

Bravo Inuzuka.

«Non è cosa che ti riguarda. Come a me non riguardano le confidenze che ti fa la tua ragazza».

Nel dire “la tua ragazza” mi si accappona la pelle.

Vorrei tirare un urlo, ma uso tutta la non poca indifferenza che possiedo.

Lui, al contrario, sembra lievemente imbarazzato.

«Beh, è proprio di questo che vorrei parlarti, se sei disposto a deporre per cinque minuti la tua arroganza».

Secondo centro, sull'arroganza.

Cominci a darmi davvero sui nervi.

E poi figuriamoci se mi interessa sapere cosa fa con lei.

«Di te e Ten? Non sono affari miei» rispondo.

«Piantala Neji! - dice – non sono qui per sfotterti o sbatterti in faccia niente. Sono qui per parlarti, ma sto cominciando a rompermi il cazzo».

«Vattene allora – ribatto – io non ti trattengo».


«Sei proprio un'idiota. Arrogante e senza palle».


Adesso gli spacco la faccia.


Cioè, gliela spaccherei se non sapessi che ha ragione.

È perché non ho le palle che non voglio ascoltarlo, perché ho paura di quello che mi dirà, perché voglio continuare a godermi il mio momento magico.


Lui si volta e fa per andarsene.

«Purché sia un cosa veloce» dico con freddezza.

Si volta.

È come se stesse aspettando di darmi una possibilità. Come se stesse cercando almeno un piccolo cedimento da parte mia.

«Velocissima Neji. Io e Ten non stiamo insieme».

Lo guardo.

No, lo scruto.

No, cerco di entrargli dentro.

«Mi stai prendendo per il culo?», al diavolo l'indifferenza.

«Affatto» risponde. Sembra serio.

Rimango in silenzio.

«Credi che sarebbe uscita, altrimenti?».

Ah già. Il dettaglio dell'appuntamento.

Ma allora?

Mi hanno raccontato cazzate?

Ho frainteso io?

Gliel'ho mai sentito dire?

«È finita già da un po'- dice all'improvviso – e se tu non fossi un'idiota totale l'avresti capito prima».

«E perché diavolo me lo vieni a dire? Cos'è, una ventata di altruismo? Ti preoccupi per me? Vuoi adoperarti per farci tornare insieme?» glielo sputo in faccia con violenza e rabbia, senza mezzi termini, senza nessun filtro.

Lui mi guarda.

È il quel momento che capisco di aver detto un'enorme stronzata.

Prima ancora che lui parli.

Prima. Lo capisco.

Quando parla, poi, ne ho l'assoluta certezza.

«Mi sono sempre preoccupato per voi, Neji».

Già.

C'è più di vero in questo che in tutto il resto del discorso che abbiamo fatto.

Me l'ha detto in tutti modi.

Ha provato a farmelo capire.

Sempre.

Inuzuka è arrabbiato ma cerca di calmarsi. È come se si stesse dicendo “lo conosci, lo sai com'è fatto...non prendertela”.

Ci riesce e si calma davvero.

«Non sarei certo venuto qui se stessimo ancora insieme. È finita quel tipo di cosa tra noi. C'è stata, ma è finita. Forse continuava a pensare a te anche allora, non lo so. Non l'ha mai detto. Ci siamo lasciati perché ci sentivamo più amici che altro, almeno lei. Insomma, io avevo questo sentore. Ho provato a fregarmene di te, ma non ci sono riuscito. La verità, Neji, è che ero ossessionato dal tuo pensiero, molto di più di quanto non fosse lei, o non dimostrasse di esserlo, almeno».

Parla con calma.

Senza fretta.

Ha l'aria di chi ha riflettuto a lungo sulle cose da dire.

Non c'è nessun rancore nella sua voce e mi chiedo come sia possibile.

Io rimango immobile ad ascoltarlo.

Poi un flash.

«Quando ho visto Ten, dopo la nostra discussione – comincio tentennando – le ho detto che eri venuto da me, ho usato l'espressione “fidanzato” e lei...non ha smentito», manca poco che cominci a balbettare.

«Lo so», risponde.

Lo guardo con aria interrogativa.

Non ci capisco più niente.

«Non aveva voglia di darti spiegazioni sulla sua vita, in quel momento, non credi?» dice

Giusto.

«Ma non lo ha fatto nemmeno dopo» puntualizzo.

Kiba sorride, un po' imbarazzato.

«È la mia migliore amica» dice.

E questo cosa c'entra?

«Lo fa per me, presumo».

«Non capisco» ammetto.

«C'è una cosa che immagino tu non sappia. Non volevo dirla. Ho cercato di tenerla nascosta. Ma ti dirò, mi sembra di assomigliarti e mi sono proprio stufato».

Sorvolo sull'insulto e cerco di concentrarmi.

Forse è omosessuale e non vuole dirlo in giro?

«Una storia ce l'ho, ma non è con Ten».

E con chi, di grazia? Ammesso che la cosa possa interessarmi.

Poi, da come mi guarda, prima che mi abbia risposto, realizzo che probabilmente mi interesserà.

«Sto con Hinata» dice.

Sgrano gli occhi.

Con la mia piccola, inetta, fragile cugina?

Lei è stata in grado di farsi una storia segreta?

Non ci credo.

In questo momento devo avere un'espressione davvero idiota.

«Adesso fai quello che ti pare. Ti ho detto quello che dovevo dirti, puoi riferirlo ai tuoi zii o meno, tanto ho già deciso che è ora di farla finita con questa stupida storia della segretezza. Ho avuto paura che con Hina finisse come tra te e Ten, ma sono stato un idiota perché lei non è te. Non ti somiglia nemmeno un po'» sbrodola (e ha ragione).

Io non dico altro.

Nemmeno lui, ma è come se mi dicesse “se hai orecchie intendi, e datti una mossa”.


A me sembra semplicemente che il mondo sia tutto sottosopra.


Carissimi miei,

scusate se questa volta non vi ringrazio uno per uno, ma vi adoro – perché ogni scrittore, per quanto dilettante e farlocco, vive solo di chi lo legge, no?.

Sono un po' di fretta ma ci tenevo a postare il capitolo rivelazione.

Baci baci.

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